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MATERIALI POLIMERICI

Il termine comunemente usato per indicare i materiali polimerici è PLASTICA che deriva dal greco
PLASTEIN (dare forma, modellare) e che quindi fa riferimento alla facile processabilità. Il termine sarebbe
adatto solo per i polimeri TERMOPLASTICI che sono molto semplici da formare, mentre non va bene per
quelli TERMOINDURENTI che non sono affatto semplici da lavorare o comunque per i quali non si può
alterare la forma una volta che sono induriti. Quando si parla di polimeri siamo, inoltre, nel campo della
chimica organica, ovvero la chimica di quei composti i cui costituenti principali sono carbonio ed idrogeno.

I materiali polimerici possono essere suddivisi in:

 TERMOPLASTICI: flessibili e resistenti a temperatura ambiente, capaci di rammollire ad alta


temperatura, facilmente processabili e rilavorabili anche dopo formatura

 TERMOINDURENTI: sono caratterizzati dal fatto che ad un certo stadio del loro processo di
ottenimento, modificano la loro struttura, diventano più rigidi e resistenti e non sono più lavorabili

 ELASTOMERI: possono subire grandi allungamenti e poi riprendere la forma originale (gomme), non sono
generalmente riprocessabili (lo sono invece gli ELASTOMERI TERMOPLASTICI)
Il termine POLIMERO è più tecnico perché fa riferimento alla struttura chimica: sta ad indicare
materiali le cui molecole sono ottenute legando fra loro molte molecole di piccole dimensioni:

POLIMERI (POLYS: molti MEROS: parti) formati da molte unità, alto PM


OLIGOMERI (OLIGOS: pochi) PM inferiore
MONOMERI (MONO: uno) la molecola di base che va a costituire l’UNITA’
RIPETITIVA nella catena polimerica

Il termine MATERIALI MACROMOLECOLARI indica l’elevato peso molecolare del materiale (MACRO =
grande dal latino e MOLECOLA = massa dal greco).
I polimeri sono presenti in quasi ogni oggetto della nostra vita:

 COSTRUZIONI (pavimenti, pannelli, isolanti, persiane, vetri, tegole, vernici, adesivi …)


 ABBIGLIAMENTO (scarpe, cinture, orologi, felpe, tessuti …)
 AUTO (cruscotto, sedili, paraurti, tappetini, fanali …)
 ARREDAMENTO (divani, mobili, sedie …)
 AERONAUTICA – AEROSPAZIALE
 OGGETTISTICA (giochi, stoviglie, elettrodometici)
 IMBALLAGGIO
VANTAGGI SVANTAGGI
 leggerezza  instabilità dimensionale
 capacità di isolamento termico, acustico ed  utilizzabilità in un intervallo ristretto di
elettrico temperature
 facile processabilità (economicità e versatilità  non degradabilità
dei processi produttivi  scarse proprietà meccaniche rispetto ad altri
 inerzia chimica (inerti alla corrosione, buona materiali; ad esempio il modulo elastico E di un
resistenza ai solventi ed alla radiazione solare metallo è circa due ordini di grandezza più
 disponibilità come materiale trasparente, grande rispetto a quello di un materiale
traslucido e opaco polimerico (ca. 200 GPa per un acciaio e
 disponibilità in una vasta gamma di colori ca. 3 GPa per il PMMA)

MINOR RIGIDEZZA
STORIA DEI POLIMERI
STRUTTURA DEI POLIMERI

I polimeri hanno una struttura molecolare costituita da LUNGHE CATENE contenenti unità più o
meno complesse che si ripetono in maniera regolare e definita. Quando le unità ripetitive sono
tutte uguali abbiamo un OMOPOLIMERO.

GRUPPO TERMINALE UNITA’ RIPETITIVA

L’UNITA’ RIPETITIVA si ottiene dal MONOMERO, ovvero da una molecola che possiede almeno
2 FUNZIONALITA’ capaci di formare legami con altri monomeri oppure un sito (per esempio un
doppio legame) capace di formare legami con altri due monomeri.
= FUNZIONALITA’

MONOMERO (bifunzionale)

+
DIMERO

La reazione tra due momomeri bifunzionali porta alla formazione del dimero, anch’esso
bifunzionale. Di conseguenza la reazione di polimerizzazione può continuare.

TRIMERO

POLIMERO
n

n = GRADO DI POLIMERIZZAZIONE
Monomeri bifunzionali danno origine a macromolecole LINEARI. Monomeri con tre o più funzionalità
portano a polimeri RAMIFICATI. Le ramificazioni possono essere lunghe o corte ma in tutti i casi siamo
nell’ambito dei polimeri non reticolati, ovvero ogni singola catena è individuabile e separabile dalle altre
(POLIMERI TERMOPLASTICI).

MACROMOLECOLE LINEARI

MACROMOLECOLE CON
RAMIFICAZIONI LUNGHE

MACROMOLECOLE CON
RAMIFICAZIONI CORTE
L’impiego di trimeri può portare a strutture ramificate sempre più complesse fino ad avere una struttura
RETICOLATA. Nei polimeri reticolati le singole catene non sono separabili a causa dei legami covalenti
che agiscono da ponte tra le diverse catene (POLIMERI TERMOINDURENTI). Questo tipo di polimeri
possono essere ottenuti oltre che utilizzando monomeri con più di due funzionalità, eseguendo una
successiva reazione di reticolazione (VULCANIZZAZIONE). I legami tra le catene sono legami di tipo
covalente e quindi forti come quelli presenti nella macromolecola.

MACROMOLECOLE CON
RETICOLAZIONI
Quando le unità strutturali che compongono la macromolecola sono due otteniamo un COPOLIMERO (se sono
tre diversi, un terpolimero). I polimeri sintetici, in genere, sono al massimo dei terpolimeri, mentre i polimeri
di origine naturale possono essere costituiti da molte unità monomeriche differenti (ad esempio le proteine
sono costituite da 20 aminoacidi diversi).
La struttura del copolimero può essere diversa in funzione della sequenza delle due unità ripetitive.
Una macromolecola polimerica è costituita da una lunga sequenza di legami covalenti (forti) tra gli atomi
di carbonio. L’angolo formato tra i legami C-C-C è circa 109° (il carbonio ha ibridazione sp3). Durante la
formazione del polimero la catena può ruotare e la macromolecola può assumere diverse conformazioni.

questo atomo di carbonio può posizionarsi in


un punto qualsiasi della circonferenza s
A causa della struttura non lineare delle catene polimeriche e della possibilità dei legami di ruotare
le macromolecole possono assumere diverse conformazioni nello spazio. La posizione maggiormente
favorita, ovvero quella caratterizzata da più bassa energia, è quella che cerca di minimizzare le
interazioni repulsive tra gruppi ingombranti. Questo rende poco probabile la conformazione
completamente estesa.
La conformazione più probabile per un
polimero amorfo o comunque al di sopra della
sua temperatura di fusione è quella del
gomitolo statistico avente geometria
approssimativamente sferica. Nel caso del
polietilene il gomitolo statistico ha un
diametro di circa 60 nm ovvero un valore che
è circa 50 volte inferiore rispetto alla
lunghezza della catena macromolecolare
completamente estesa (d = L/50).

GOMITOLO
STATISTICO
ETILENE

POLIETILENE
(unita’ ripetitiva)

CONFORMAZIONE ZIG-ZAG PLANARE


All’interno di una molecola polimerica sono presenti legami primari di tipo prevalentemente covalente.
Questi sono LEGAMI INTRAMOLECOLARI FORTI (50-200 Kcal/mole).
Tra una molecola polimerica e l’altra sono, inoltre, presenti legami secondari: legame idrogeno, polari e
forze di Van der Waals. Questi LEGAMI INTERMOLECOLARI sono decisamente più deboli
(0-5-10 Kcal/mol) rispetto ad un legame covalente primario. Tuttavia, i legami intermolecolari sono
molto importanti perché sono «responsabili» delle proprietà fisiche dei materiali (passaggi di stato,
deformazioni meccaniche). I legami secondari influenzano, infatti, la temperatura di fusione, la
viscosità e la tensione superficiale. I legami secondari sono alla base di quella che si chiama ENERGIA
COESIVA ovvero l’energia necessaria per allontanare le macromolecole una dall’altra. L’energia coesiva
generalmente cresce al crescere del peso molecolare.
Anche se i legami tra le diverse macromolecole sono deboli, se il peso molecolare è grande abbiamo
molti di questi legami tra due diverse catene polimeriche e quindi l’energia coesiva risulta decisamente
grande. Grazie all’elevato peso molecolare anche i materiali organici hanno potuto affermarsi come
MATERIALI STRUTTURALI e competere con materiali caratterizzati da legami intramolecolari molto
più forti (IONICO e METALLICO).
CH4 metano gas
CH3-CH3 etano
CH3-CH2-CH3 propano
GPL
CH3-CH2-CH2-CH3 n-butano
C5H12
C6H14
liquidi
C7H16
...............

C16H34 oli viscosi

CERE

POLIETILENE
Dal punto di vista della struttura i polimeri TERMOPLASTICI sono polimeri LINEARI o con
ramificazioni più o meno lunghe. Sono caratterizzati da forti forze intramolecolari e deboli forze
intermolecolari. Ad alte temperature, l’energia cinetica delle macromolecole è sufficiente perché si
possano rompere questi legami intermolecolari ed avere scorrimento fra le macromolecole. Questo
permette di poter nuovamente fondere un prodotto ottenuto con un polimero termoplastico che quindi
è RILAVORABILE più volte e RICICLABILE. I polimeri termoplastici possono essere anche
solubilizzati in opportuni solventi.

TERMOPLASTICI fusibili, rilavorabili, riciclabili, solubili

Nel caso dei polimeri TERMOINDURENTI durante la polimerizzazione o subito dopo la


polimerizzazione subiscono una, più o meno spinta, reticolazione. Abbiamo cioè una struttura
RETICOLATA. Nel caso della gomma naturale, ad esempio, quando il grado di reticolazione è
relativamente basso, il polimero si comporta come un ELASTOMERO, quando la reticolazione è elevata
si ottiene un solido rigido (EBANITE).
I forti legami covalenti intermolecolari li rendono insensibili al riscaldamento ed all’azione dei solventi.
Non possono quindi né essere solubilizzati in un solvente né rilavorati.

TERMOINDURENTI non fusibili, non rilavorabili, non riciclabili, insolubili


TERMOPLASTICI

TERMOINDURENTI
termoindurenti con
scarsa reticolazione una volta formati non
possiamo più avere
scorrimento viscoso ad alta
temperatura
scorrimento viscoso ad
alta temperatura
SINTESI DEI POLIMERI
La reazione di polimerizzazione può avvenire secondo diversi meccanismi, di cui i principali sono la
poliaddizione e la policondensazione.

POLIADDIZIONE (o POLIMERIZZAZIONE A CATENA)


Consiste in una reazione a catena molto rapida che avviene senza la formazione di sottoprodotti
(polimerizzazioni cationiche, anioniche e radicaliche). Nel caso delle polimerizzazioni radicaliche i
monomeri contengono un doppio legame come sito bifunzionale. Le polimerizzazioni a catena sono
iniziate mediante addizione di specie chimiche reattive (iniziatori) oppure fornendo energia
esterna (calore o luce) al sistema contenente il monomero, che determina la formazione di specie
molto reattive (REAZIONE DI INIZIO). Le specie attive generate dalle reazioni di inizio
addizionano molto velocemente molecole di monomero senza perdere la loro attività (REAZIONE
DI PROPAGAZIONE). La reazione di crescita a catena continua velocemente, generando specie
attive polimeriche, finchè il gruppo terminale attivo non viene disattivato a seguito di reazioni di
terminazione di catena (REAZIONE DI TERMINAZIONE). In virtù di questo particolare
meccanismo, nelle fasi iniziali delle polimerizzazioni possono essere presenti molecole di polimero,
ormai terminate (disattivate) ma di peso molecolare molto elevato, in presenza di un forte
eccesso di monomero; così come, verso la fine della polimerizzazione, sono ancora presenti
molecole di monomero nella massa di polimero. Il peso molecolare medio del polimero ottenuto
dipende dal rapporto tra le velocità delle reazioni, oltre che dalle concentrazioni delle relative
specie reattive.
POLIMERIZZAZIONE RADICALICA: INIZIO, PROPAGAZIONE, TERMINAZIONE

INIZIO
Per la fase di inizio di una polimerizzazione a catena radicalica si usano in genere dei composti
particolarmente reattivi (perossidi organici) che, in presenza di calore possono decomporsi
formando radicali.
PROPAGAZIONE
Il processo di successiva addizione di unità monometriche, con continuo aumento del peso molecolare,
rappresenta la fase di propagazione.

TERMINAZIONE
Il processo di terminazione è quello che porta alla completa disattivazione della specie attiva radicalica.
La terminazione può avvenire disattivando, mediante opportuni reagenti o attraverso reazione con il
solvente, il radicale della catena in crescita ed, in questo caso, la reazione di polimerizzazione ha
effettivamente termine. Quando la disattivazione del radicale della catena in crescita avviene mediante
sottrazione di un atomo di H da un’altra catena con trasferimento del radicale su quest’ultima, la prima
catena termina effettivamente il processo di polimerizzazione ma la seconda catena, riattivata, può
riprendere a polimerizzare. In questo caso non si ha una vera e propria interruzione del processo di
polimerizzazione.
POLICONDENSAZIONE (o POLIMERIZZAZIONE A STADI)

Più simile ad una reazione chimica di tipo classico con formazione, in alcuni casi, di sottoprodotti
(di solito piccole molecole come l’acqua, il metanolo, etc. da cui trae origine il nome di reazione di
“condensazione”). Nelle polimerizzazioni a stadi, il processo di crescita delle macromolecole si
sviluppa molto più lentamente, attraverso un numero di stadi successivi in ognuno dei quali il
monomero (o uno dei monomeri) reagisce con il gruppo terminale del polimero con formazione di
una catena più lunga ma contenente un gruppo terminale disattivato, al quale compete la stessa
reattività del monomero. Per questa ragione la reazione di una molecola di monomero può avvenire
con velocità confrontabili sia con quella di un altro monomero, sia con quella del polimero. Di
conseguenza, la polimerizzazione avviene in modo molto più graduale ed il peso molecolare medio
del polimero formatosi al tempo t cresce al crescere di t. Tale peso molecolare medio rimane
comunque molto basso fino a quando la conversione del monomero non è prossima al 100%.

Una sostanziale differenza che caratterizza le reazioni a stadi rispetto alle reazioni a catena, sta
nella variazione della velocità globale di reazione in funzione del tempo. Nelle reazioni a stadi, la
velocità di reazione è massima al tempo zero (perché è massima la concentrazione dei reagenti) e
decresce gradualmente all’aumentare del tempo e della conversione.
Nelle reazioni a catena, invece, la velocità iniziale è vREAZ
nulla e cresce poi rapidamente quando, a seguito delle
reazioni di inizio, cresce la concentrazione delle specie
a catena
attive. Segue poi un periodo più o meno lungo durante il
quale la velocità resta praticamente costante perché:

 il monomero è ancora presente in forte eccesso


rispetto all’altro reagente della reazione di
propagazione, cioè la specie attiva;
 la concentrazione delle specie attive resta
pressoché costante come risultato di un equilibrio a stadi
tra le reazioni di inizio e quelle di terminazione.

i tt

Solo quando la conversione è molto alta, la velocità della reazione decresce a causa della riduzione, ora
sensibile, della concentrazione del monomero. In molti casi si osserva anche un periodo di induzione (i) prima
che la reazione cominci a decorrere con velocità apprezzabile.
Un’altra caratteristica delle reazioni a catena è che esse sono molto sensibili alla presenza di tracce di
sostanze che possono avere un effetto ritardante o addirittura inibente, in quanto capaci di interagire con
l’iniziatore o con le specie attive da esso generate dando luogo a reazioni di terminazione. Tale sensibilità è
legata al fatto che la concentrazione delle specie attive, anche a causa della loro elevatissima reattività,
deve essere mantenuta molto bassa.
Le catene polimeriche non sono tutte uguali, ovvero non hanno tutte la stessa lunghezza. Di conseguenza
avremo una certa DISTRIBUZIONE DEI PESI MOLECOLARI ed un determinato PESO MOLECOLARE
MEDIO.

PESO MOLECOLARE MEDIO NUMERALE

𝑁𝑖 ∙𝑀𝑖
𝑀𝑛 = 𝑥𝑖 ∙ 𝑀𝑖 = 𝑁𝑖 = 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑡𝑒𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑜𝑙𝑒𝑐𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑀𝑖
𝑁𝑖
𝑥𝑖 = 𝑁𝑖 𝑁𝑖 = 𝑓𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑚𝑎𝑐𝑟𝑜𝑚𝑜𝑙𝑒𝑐𝑜𝑙𝑒
𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑜𝑙𝑒𝑐𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑀𝑖

PESO MOLECOLARE MEDIO PONDERALE

𝑁𝑖 ∙𝑀𝑖2
𝑀𝑤 = 𝑤𝑖 ∙ 𝑀𝑖 = 𝑁𝑖 = 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑡𝑒𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑜𝑙𝑒𝑐𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑀𝑖
𝑁𝑖 ∙𝑀𝑖
𝑤𝑖 = 𝑁𝑖 ∙𝑀𝑖 𝑁𝑖 ∙𝑀𝑖 = 𝑓𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒𝑟𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑚𝑎𝑐𝑟𝑜𝑚𝑜𝑙𝑒𝑐𝑜𝑙𝑒
𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑜𝑙𝑒𝑐𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑀𝑖
Peso molecolare numerale e ponderale possono
essere notevolmente diversi. Il grado di
polimerizzazione è legato al peso molecolare
medio numerale. Molte proprietà fisiche e
meccaniche (come ad esempio la viscosità)
sono, invece, correlate al peso molecolare
medio ponderale.

Mw è influenzato soprattutto dalle


macromolecole di alto peso molecolare, mentre
Mn risente maggiormente della presenza di un
elevato numero di molecole di basso peso
molecolare.
POLIMERI SEMICRISTALLINI E POLIMERI AMORFI
Quando un polimero solidifica possiamo ottenere materiali AMORFI oppure SEMICRISTALLINI. Un
polimero, infatti, non raggiunge quasi mai una cristallinità del 100%. Condizione necessaria per ottenere un
polimero cristallino è che le macromolecole che lo formano abbiano una configurazione ed una
conformazione regolare. Cristallizzano con maggiore facilità i polimeri senza sostituenti ingombranti in
catena laterale (come il polietilene lineare oppure il politetrafluoroetilene). Anche la presenza di
ramificazioni porta ad una drastica riduzione della percentuale di cristallinità del polimero perché riduce
la possibilità di movimento della catena e di ripiegamento all’interno del cristallo. La cristallinità di un
polimero, inoltre, diminuisce all’aumentare della velocità di raffreddamento perché le macromolecole non
hanno il tempo sufficiente per scorrere ed organizzarsi nel reticolo cristallino.
Nel caso di un polimero AMORFO e quindi incapace di
assumere una conformazione ordinata e regolare allo stato
solido, durante il raffreddamento dallo stato fuso si ha
una graduale diminuzione del volume specifico fino ad

volume specifico
attivare ad una temperatura alla quale si ha un
cambiamento di pendenza (TEMPERATURA DI materiale
materiale
TRANSIZIONE VETROSA, Tg). A questa temperatura il gommoso e
vetrificato
volume libero assume un valore critico per cui i segmenti flessibile
fragile
macromolecolari non hanno più la possibilità di scorrere gli
uni sugli altri e restano bloccati in una struttura vetrosa.
Al di sopra della temperatura di transizione vetrosa il
materiale è gommoso e flessibile, al di sotto si comporta temperatura
come un vetro fragile. T g
Nel caso di un polimero SEMICRISTALLINO e quindi
capace di assumere una conformazione ordinata e

volume specifico
regolare allo stato solido, durante il raffreddamento
dallo stato fuso si verifica una netta ed improvvisa
diminuzione del volume specifico, determinata da un più
efficiente impacchettamento delle catene polimeriche
in regioni cristalline. A questa temperatura abbiamo
una parte di catene macromolecolari cristallizzate in
una struttura ordinata ed una parte nello stato amorfo
ma viscoso. Continuando a raffreddare si arriva alla temperatura
Tg Tm
temperatura di transizione vetrosa dove la parte
amorfa vetrifica. La struttura di un polimero
semicristallino è quindi costituita da regioni cristalline
in una matrice vetrosa amorfa.

A differenza di un solido cristallino, duro e fragile, i polimeri termoplastici semicristallini sono duri ma
tenaci e flessibili. Al di sopra della temperatura di transizione vetrosa la fase amorfa flessibile dà
mobilità alle zone cristalline rigide. Le sollecitazioni meccaniche vengono perciò scaricate sulla frazione
amorfa che garantisce così flessibilità, mentre le zone cristalline consentono di avere un materiale
resistente e duro.
Le proprietà meccaniche di un materiale polimerico cambiano sensibilmente se la temperatura di
transizione vetrosa è maggiore o minore della temperatura ambiente:

 I polimeri AMORFI che hanno una Tg > Tamb (come il PBT):


si comportano come delle gomme, facilmente deformabili ma con scarse proprietà meccaniche.
 I polimeri AMORFI che hanno una Tg < Tamb (come il PVC, il PMMA ed il PS):
si comportano come vetri e sono rigidi ma fragili.

 I polimeri semicristallini che hanno una Tg > Tamb (come il PET e la PA):
si comportano come vetri, hanno elevata resistenza meccanica ma sono fragili.
 I polimeri semicristallini che hanno una Tg < Tamb (come il PE e il PP):
sono caratterizzati da una parte amorfa gommosa e quindi deformabile e plastica, mentre la parte
cristallina è rigida e resistente; sono perciò rigidi e tenaci.
POLIMERO Tg (°C) Tm (°C)
LDPE -130 110/115
HDPE -130 125/135
PP -10 164/170
PA 6,6 50/57 264
PVC 78/81 -
PS 82/100 -
PMMA 100/125 -
PTFE -122 327
PBT -100 -
LA TEMPERATURA DI TRANSIZIONE VETROSA

 La Tg dipende dalla struttura della catena principale; quanto più la struttura è rigida quanto più la
temperatura di transizione vetrosa è elevata, ovvero quanto più la catena è bloccata quanto più è
necessario scaldare per riuscire a far scorrere le catene.

Tg = -130 °C struttura molto


PE flessibile grazie a sostituenti in
catena laterali poco ingombranti

Tg = 45 °C struttura rigida per la


PA 6,6 presenza dei legami idrogeno
intermolecolari
Tg = 120 °C struttura rigida per la
PMMA presenza dei sostituenti ingombranti
in catena laterale

Tg = 150 °C struttura rigida per la


PC presenza degli anelli aromatici in
catena principale
 La Tg dipende dalla polarità dei gruppi in catena laterale; quanto più i gruppi in catena laterale
hanno polarità elevata, quanto più forti sono le interazioni dipolari intermolecolari e quindi più elevata
la rigidità complessiva che determina un valore più alto della transizione vetrosa.

PP Tg = -10 °C il gruppo CH3 ha una polarità piuttosto bassa

Tg = 75 °C il gruppo Cl, particolarmente elettronegativo, ha


PVC
una polarità superiore rispetto al gruppo metile del PP e
questo determina un sensibile aumento della rigidità
strutturale e quindi della temperatura di transizione vetrosa.
 La Tg dipende dall’ ingombro sterico dei gruppi in catena laterale; quanto più i gruppi in catena
laterale hanno dimensioni elevate, quanto più elevata è la rigidità complessiva della macromolecola e
questo determina un valore più alto della transizione vetrosa.

PE Tg = -130 °C il gruppo H ha un ingombro sterico molto basso

PP Tg = -10 °C il gruppo CH3 ha un ingombro sterico maggiore rispetto ad H

PS Tg = 100 °C l’anello benzenico ha un ingombro sterico importante e


questo limita fortemente la mobilità della catena principale
Un polimero cristallino solidifica secondo il modello folded-chain.
Le catene molecolari si ripiegano più volte su se stesse e si una macromolecola non è confinata in
organizzano in modo da dare origine alla lamella. Ciascuna lamella una sola cella elementare ma
è costituita da un certo numero di macromolecole e la lunghezza attraversa più celle elementari
media di ciascuna catena è molto più grande dello spessore di
una lamella. Le catene non possono sistemarsi totalmente
all’interno delle lamelle: alcuni segmenti possono rimanere fuori,
altri possono entrare a far parte di due lamelle adiacenti. Il
risultato è che difficilmente si ottiene una cristallinità totale e
questa è una caratteristica decisamente positiva. La
cristallinità, infatti, rende il materiale resistente, ma lo rende
anche fragile . Un polimero
completamente cristallino sarebbe troppo fragile per essere
utilizzato come materia plastica. Le regioni amorfe danno al
polimero tenacità ossia la capacità di piegarsi senza rompersi.
Molti polimeri cristallizzano formando sferuliti. Uno
sferulita è costituito da un aggregato di cristalliti
(lamelle) a forma di nastro a catene ripiegate, spesse
circa 10 nm e che si irradiano dal centro verso l’esterno.
Nello sferulita i cristalli lamellari a singola catena
ripiegata sono separati tra loro da materiale amorfo.
Attraverso le regioni amorfe le lamelle adiacenti
vengono collegate mediante catene molecolari. Quando il
processo di cristallizzazione di una struttura sferulitica
giunge al completamento, le estremità di sferuliti
adiacenti cominciano ad urtarsi formando confini più o
meno piani; prima di questo momento esse mantengono
però la loro configurazione sferica.
Gli sferuliti dei polimeri possono essere considerati
analoghi ai grani cristallini nelle strutture metalliche e
ceramiche. Tuttavia ciascun sferulita è in realtà
composto da molti cristalli lamellari e materiale amorfo.
Polietilene, polipropilene, cloruro di polivinile,
politetrafluoroetilene e nylon formano strutture
sferulitiche quando cristallizzano dal fuso.
SFERULITI
torsione
elicoidale
della
lamella in
crescita
REQUISITI PER LA CRISTALLIZZAZIONE

Come già detto, i polimeri possono cristallizzare solo se hanno un elevato grado di REGOLARITA’
COSTITUZIONALE e CONFIGURAZIONALE e possono assumente una CONFORMAZIONE
REGOLARE nel passaggio dallo stato fluido (gomitolo statistico) allo stato cristallino.

REGOLARITA’ COSTITUZIONALE
 L’uguaglianza delle unità strutturali lungo la catena, la regolarità costituzionale (successione
regolare delle unità monomeriche), è necessaria per poter garantire un ordine tridimensionale a
lunga distanza, caratteristica fondamentale dello stato cristallino.
 Il concatenamento delle unità monomeriche, nel caso di monomeri non simmetrici, deve essere
invariante, ovvero deve essere sempre delle stesso tipo in modo da avere una struttura
regiospecifica

Un polimero regolare dal punto di vista della COSTITUZIONE e della CONFIGURAZIONE è anche in
grado di dare luogo a REGOLARITA’ CONFORMAZIONALE.
STEREOISOMERI
CRISTALLIZZAZIONE DEI POLIMERI
Durante la cristallizzazione le macromolecole si organizzano in modo da massimizzare il grado di
impacchettamento: le catene di avvicinano tra loro a distanze intermolecolari simili a quelle che si
realizzano nei composti a basso peso molecolare, in modo da riempire lo spazio nel miglior modo possibile,
ovvero in modo da garantire la massima densità ed il massimo numero di interazioni così da ottenere una
elevata energia reticolare. Nel caso di polimeri molto cristallini (ad es. il PET) non si riesce, ad esempio, a
sciogliere in un opportuno solvente il polimero a meno che non si riduca la sua cristallinità. Durante la
dissoluzione si distrugge il reticolo cristallino e l’energia recuperata nelle interazioni tra macromolecole e
solvente insieme all’aumento di entropia non sono sufficienti per compensare la perdita di energia
reticolare. Attraverso la tempra (riscaldamento nel fuso e rapido raffreddamento), il grado di
cristallizzazione viene sensibilmente ridotto ed è possibile sciogliere il polimero.
Le forze intermolecolari sono molto
importanti nella formazione dei
cristalli polimerici. Il KEVLAR è una
poliammide aromatica che permette di
ottenere fibre di elevata resistenza
meccanica. Le ottime proprietà
meccaniche sono dovute all’elevata
cristallinità ed ai numerosi legami KEVLAR
intermolecolari che ostacolano lo
scorrimento delle catene sottoposte a
trazione, rendendo quindi le fibre
altamente resistenti e con ottimo
modulo elastico.
POLIMERI AMORFI

I polimeri AMORFI sono quelli:

 hanno irregolarità strutturali tali da non permettere l’organizzazione delle macromolecole nel
reticolo cristallino (PVC, PS, PMMA)
 sono debolmente (ELASTOMERI) o fortemente (TERMOINDURENTI) RETICOLATI. Gli
elastomeri reticolati sono costituiti da polimeri amorfi con bassa temperatura di transizione
vetrosa che hanno subito una blanda reticolazione. Questa non influisce sul comportamento elastico
del polimero ma ne impedisce la deformazione plastica. Un materiale di questo tipo, a differenza
dello stesso non reticolato, è capace di riprendere la sua forma iniziale una volta che viene rimosso
il carico. Nella gomma naturale (poliisoprene) la reticolazione si ottiene con un processo, detto
VULCANIZZAZIONE, che opera a temperature tra 120 e 180 °C, in presenza di zolfo. Gli atomi di
zolfo creano legami covalenti tra le macromolecole, reagendo con le insaturazioni presenti in
catena.
CIS 1,4-POLIISOPRENE

CIS 1,4-POLIISOPRENE VULCANIZZATO


ISOMERI GEOMETRICI CIS-TRANS

POLIISOPRENE CIS - GOMMA NATURALE


ELASTOMERO AMORFO (Tg = -70 °C)

POLIISOPRENE TRANS - GUTTAPERCA


POLIMERO TERMOPLASTICO
SEMICRISTALLINO (Tg = 38 °C, Tm = 60 °C)
Alcune resine termoindurenti vengono reticolate per mezzo del calore o attraverso calore e
pressione.
Altre possono venire reticolate attraverso una reazione chimica che avviene a temperatura
ambiente
(termoindurenti a freddo).
Anche se i manufatti in resina termoindurente possono ammorbidirsi per effetto del calore, i
legami covalenti del reticolo impediscono loro di ritornare allo stato fluido che esisteva prima
della re8colazione. Quesi materiali, quindi, non possono venire nuovamente fusi come succede per i
materiali termoplastici; questo è uno svantaggio perché gli scarti prodotti durante la lavorazione
non possono essere riciclati e riutilizzati. Stessa cosa per il manufatto a fine vita.

I principali vantaggi sono:


 elevata stabilità termica
 elevata rigidità
 elevata stampabilità dimensionale
 resistenza al creep e alla deformazione sotto carico
ESEMPIO DI TERMOINDURENTE: RESINE FENOLO-FORMALDEIDE

Le resine termoindurenti fenoliche sono state la prima materia plastica utilizzata


industrialmente (Bakelite).
 non sono chimicamente reticolati ma si comportano come elastomeri (ELASTOMERI
TERMOPLASTICI). Un esempio è il copolimero SBS. Esso è costituito da macromolecole
aventi un blocco centrale polibutadienico e blocchi laterali polistirenici. I diversi blocchi sono
poco affini e tendono a segregare: le parti terminali di polistirene tendono a riunirsi in
domini mentre le parti polibutadieniche legano i diversi domini e costituiscono la matrice del
sistema. I due blocchi hanno caratteristiche molto diverse. Il blocco PB si comporta da
elastomero, con bassa temperatura di transizione vetrosa, il blocco PS, invece, ha una Tg
particolarmente elevata a causa dell’ingombro sterico dell’anello aromatico in catena laterale
e, di conseguenza, si comporta come un blocco rigido e fragile, che ostacola il movimento
delle macromolecole. La DEFORMAZIONE ELASTICA è resa possibile dalla parte
butadienica, la DEFORMAZIONE PLASTICA è impedita dai blocchi stirenici. Questi
elastomeri portati a temperature superiori alla Tg del blocco stirenico, si comportano come
polimeri termoplastici e possono essere deformati plasticamente in modo da ottenere la
forma desiderata. A temperatura ambiente il materiale assume invece il tipo comportamento
di un elastomero. La reticolazione fisica non è sufficiente per assicurare le proprietà
richieste per l’impiego come pneumatici, quindi si realizza anche qui il processo di
vulcanizzazione.
PROPRIETA’ MECCANICHE DEI MATERIALI POLIMERICI

In Figura sono riportate per confronto le curve


sforzo-deformazione di un materiale polimerico
a comportamento fragile, duttile ed
elastomerico. Nel caso di un materiale fragile si
ha solo il tratto lineare elastico, corrispondente
a piccole deformazioni che possono essere
recuperate in seguito alla rimozione del carico.
Nel caso di un materiale a comportamento
duttile si ha un tratto iniziale lineare di tipo
elastico, una zona in cui la deformazione è
plastica (snervamento) ed una zona di rottura
finale.
sotto Tg deformazione elastica Deformazione elastica
sopra Tg deformazione plastica

Al di sotto della temperatura di transizione


vetrosa, i materiali termoplastici hanno un
comportamento fragile e si deformano in modo
essenzialmente elastico. Al di sopra della Deformazione elastica o plastica
temperatura di transizione vetrosa si deformano in
modo principalmente plastico.

La deformazione elastica consiste nella variazione Deformazione plastica


degli angoli di legame della catena macromolecolare
con stiramento dei legami covalenti stessi lungo la
direzione di stiro. Aumentando il carico applicato si
ha la variazione conformazionale delle macromo-
lecole che passano dalla loro conformazione più
stabile di gomitolo statistico a quella di
macromolecole distese.
Questa deformazione può essere elastica o plastica. Infine si ha scorrimento delle catene
macromolecolari le une sulle altre attraverso la rottura e la nuova formazione di forze di legame
intermolecolari di tipo secondario. Quando lo sforzo è troppo elevato le catene si rompono e si ha la
frattura del materiale.
A causa del comportamento viscoelastico, i
risultati delle prove risentono della velocità
di deformazione utilizzata nella prova.
Generalmente un materiale ha un
comportamento prevalentemente elastico e
fragile ad elevate velocità di deformazione;
a velocità di deformazione molto basse, al
contrario, non è in pratica presente il tratto
elastico (prevalgono le deformazioni di tipo
viscoso). A velocità intermedie il materiale
evidenzia un comportamento duttile. La
velocità di stiro modifica il diagramma
sforzo-deformazione in modo analogo ad una
variazione della temperatura di prova. Un
aumento della velocità di deformazione ha
quindi un effetto simile a quello di una
riduzione di temperatura (il materiale
risulta più rigido e fragile; si registra un Influenza della temperatura
valore del modulo elastico più elavato ed una sull’andamento della curva sforzo-
minore deformazione percentuale a rottura). deformazione del PMMA, polimero amorfo
con Tg = ca. 95°C
TERMOPLASTICO AMORFO TERMOPLASTICO SEMICRISTALLINO
(PVC) (NYLON 6)

Il modulo elastico cambia, quindi, in maniera significativa con la temperatura. Nello stato vetroso, al di
sotto della temperatura di transizione vetrosa, i materiali termoplastici, amorfi o semicristallini, hanno
un modulo elastico dell’ordine di qualche GPa. Nel caso di un materiale termoplastico amorfo quando la
temperatura aumenta e si supera la temperatura di transizione vetrosa, il comportamento cambia
rapidamente da vetroso a gommoso ed il modulo elastico si riduce di circa mille volte ed ha valori
dell’ordine dei MPa. Nel caso di un termoplastico semicristallino si osserva una diminuzione del modulo
elastico in seguito alla transizione vetro-gomma della parte amorfa, tuttavia il materiale risulta ancora
parzialmente rigido per la presenza della frazione cristallina. Superata la temperatura di fusione della
parte cristallina il modulo crolla ed il polimero fluisce.
Rafforzamento dei polimeri termolastici

Per migliorare le proprietà meccaniche di un materiale termoplastico possiamo:


 aumentare la massa molecolare media. Questo determina un aumento della resistenza meccanica
almeno fino ad un certo valore critico di massa
 aumentare il grado di cristallinità. Questo determina un aumento della resistenza meccanica, del
modulo di elasticità e della densità
 introdurre gruppi laterali sulla catena principale della macromolecola. Lo scivolamento delle catene
durante la deformazione plastica può essere reso difficoltoso dall’ingombro sterico dei gruppi in
catena laterale e questo determina un aumento della resistenza meccanica.
 introdurre atomi polari (ad es. N o O) nella catena principale. La polarità dei gruppi in catena
principale determina interazioni intermolecolari dipolo-dipolo e/o di legame a idrogeno molto
intense che sono di ostacolo allo scorrimento viscoso delle macromolecole e quindi determinano un
aumento della resistenza meccanica.
 introdurre gruppi altamente polari (anelli aromatici) nella catena principale. Gli anelli aromatici
causano ingombro sterico per la libera rotazione all’interno della catena polimerica e questo
deteermina un aumento della resistenza meccanica.
 aggiungere fibre di rinforzo (ad es. fibre di vetro).
Proprietà meccaniche di un polimero semicristallino

all’aumentare del grado di


cristallinita migliorano le
proprietà meccaniche
le proprietà meccaniche di un polimero
semicristallino dipendono in modo significativo
dalla temperatura di utilizzo
Snervamento e rottura dei materiali polimerici

Polimeri termoindurenti frattura fragile


Polimeri termoplastici frattura duttile o fragile in funzione della temperatura

Lo snervamento (e la rottura) dei materiali polimerici può avvenire in modi diversi a seconda che il
materiale abbia un comportamento duttile o fragile. Le materie plastiche termoindurenti sono
generalmente caratterizzate da frattura fragile. Un materiale termoplastico, invece, può andare
incontro a frattura fragile o duttile in funzione della temperatura. Fragile se T<Tg, duttile se T>Tg.
Nel caso di frattura di duttile, per sollecitazioni superiori al carico di snervamento, il materiale subisce
una elevata deformazione in corrispondenza di una determinata sezione e si parla di strizione. Durante
questa fase le macromolecole tendono ad allinearsi nella direzione della sollecitazione, aumentando la
resistenza del materiale. Di conseguenza, a differenza dei materiali metallici, la zona che subisce
strizione si allunga progressivamente.
Anche la velocità di deformazione è determinante nel comportamento a frattura dei materiali
termoplastici, in quanto più basse velocità di deformazione favoriscono la frattura duttile perché basse
velocità di deformazione permettono alle catene macromolecolari di riallinearsi tra loro.
Se il polimero è semicristallino, le zone
cristalline esercitano un ruolo fondamentale
sull’entità della deformazione.
Nella fase iniziale della deformazione
la parte cristallina del polimero rimane
inalterata, mentre le zone amorfe
iniziano ad orientardi nella direzione di
stiro. Solo quando gran parte delle
macromolecole della parte amorfa
sono orientate, anche le lamelle
cristalline cominciano ad orientarsi
nella direzione di stiro.
Successivamente si ha la rottura delle
lamelle con la formazione di blocchi
cristallini separati. Infine si realizza
l’orientazione dei segmenti cristallini
lungo la direzione di stiro, per arrivare
alla rottura. In condizioni di stiro si
può talvolta avere anche la
ricristallizzazione del polimero che si
orienta nella direzione di trazione.
Questo provoca un aumento dello
sforzo prima che si arrivi a rottura.
Acciaio

X
strizione
strizione
Nei materiali a comportamento fragile, durante un carico di trazione, lo snervamento può avvenire
attraverso la formazione di microvuoti all’interno dei quali sono ancora presenti le fibrille di
catene macromolecolari che vengono orientate nella direzione di stiro (snervamento per crazing).
La formazione di questi microvuoti rende il materiale fragile.
PRINCIPALI TIPI DI MATERIALI POLIMERICI

POLIMERO SEMICRISTALLINO: POLIETILENE, PE HDPE

n
LDPE
Costo relativamente basso ma dotato di elevata
tenacità a temperatura ambiente, buona flessibilità
anche a basse temperatura (Tg molto bassa),
elevata resistenza alla corrosione, ottime proprietà
isolanti, bassa permeabilità al vapor d’acqua. LLDPE

maggiore linearità maggiore peso molecolare

maggiore cristallinità maggiore viscosità

maggiore densità minore indice di fluidità


MFI anche MDPE, UHMWPE
La densità e l’indice MFI sono le
proprietà principali per definire il
campo di applicazione di ciascun
polietilene. Lo stampaggio ad
iniezione, ad esempio, richiede un
fluido con bassa viscosità e quindi
con elevato valore di MFI, mentre
nell’estrusione è richiesto un fluido
a viscosità più elevata, quindi
polietileni con basso valore di MFI.
All’aumetare della cristallinità (e quindi della densità) aumenta il modulo elastico e la resistenza a
trazione ma diminuisce la deformazione a rottura.
 film per imballaggi  contenitori
 agricoltura e costruzioni  film per imballaggi
 manufatti stampati  manufatti stampati
 rivestimento cavi elettrici  tubazioni e profili
 casalinghi
POLIMERO SEMICRISTALLINO: POLIPROPILENE isotattico, PP

Tg = -10°C
Tm = 165 °C
r = 0.90-0.91 g/cm3

Il PP ha un ottima resistenza agli agenti chimici,


è un buon isolante termico ed elettrico, ha un
comportamento tenace a temperatura ambiente
ma diventa fragile alle basse temperature
(Tg = -10°C) ed è sensibile alla degradazione per
esposizione alla radiazione ultravioletta. Il grado
di cristallinità può essere variato controllando il
grado di isotaticità della catena polimerica o la
percentuale di comonomero (in genere etilene)
con il quale viene co-polimerizzato così da  film per imballaggi
diminuire la temperatura di transizione vetrosa.  contenitori
 parti di auto
 fibre tessili
POLIMERO SEMICRISTALLINO: POLITETRAFLUOROETILENE, PTFE (teflon)

Il PTFE è un polimero completamente fluorurato, altamente


cristallino (Tm = 327 °C) e con elevata densità (2.13-2.19 g/cm3). E’
eccezionalmente resistente agli agenti chimici ed è insolubile in
quasi tutti i solventi organici (fanno eccezione alcuni solventi
fluorurati). Ha una buona resistenza agli urti ma una bassa
resistenza a trazione. Il PTFE dopo fusione ha elevata viscosità e
quindi non può essere lavorato per estrusione o stampaggio. I pezzi
vengono stampati comprimendo i granuli a temperatura ambiente
con pressioni elevate e sinterizzandoli a temperature di 360-380
°C.
POLIMERO SEMICRISTALLINO: POLIAMMIDI, PA ( se alifatiche nylon, se aromatiche aramidi).

Sono polimeri lineari e all’aumentare del


Tg = 60°C grado di cristallinità aumentano la
Tm = 260 °C resistenza a trazione, il modulo elastico,
r = 1,14 g/cm3 la durezza, la resistenza all’abrasione, la
resistenza all’assorbimento di acqua ma
dimiuisce la resistenza ad impatto. Le PA
sono utilizzate principlamente per
ottenere fibre.
KEVLAR
POLIMERO SEMICRISTALLINO: POLIESTERI, es. PET

Il PET ha ottima durezza superficiale, buona


resistenza chimica e stabilità dimensionale,
trasparenza, resistenza all’usura. E’ un polimero
semicristallino ma la sua velocità di cristallizzazione è
abbastanza bassa. Per raffreddamento veloce dal fuso
si ottiene un polimero amorfo ma fragile. E’ utilizzato
per realizzare ingranaggi, maniglie, contenitori e fibre.
Tg = 80°C
Tm = 265 °C
r = 1,38 g/cm3
POLIMERO AMORFO: POLIVINCLORURO, PVC
Ha un basso costo ed una buona resistenza alla fiamma. Può essere rigido,
semirigido o flessibile in funzione della quantità di additivi plastificanti che ne
modificano la temperatura di transizione vetrosa (la diminuiscono).
All’aumentare del grado di polimerizzazione aumenta la sua tenacità e la stabilità
dimensionale termica ma diminuisce la lavorabilità. Sono necessari anche
stabilizzanti per evitare il rilascio di HCl durante la lavorazione. Viene
principalmente utilizzato come isolante elettrico, per la realizzazione di tubi
(scarichi, pluviali), raccordi, valvole, pompe, pavimenti. Il PVC flessibile è
utilizzato per l’imballaggio, per contenitori, come rivestimento isolante di cavi
elettrici.
POLIMERO AMORFO: POLISTIRENE, PS

Viene utilizzato come omopolimero o copolimerizzato con altri monomeri


(SAN, ABS). Come omopolimero è rigido, duro, trasparente e fragile. E’ un
buon isolante elettrico. Viene utilizzato per la realizzazione di mobili, di parti
di elettrodomestici, di prodotti di elettronica, per accessori per auto,
casalinghi e materiale da laboratorio. E’ molto utilizzato come materiale
espanso.
POLIMERO AMORFO: POLICARBONATO, PC
I due gruppi fenilici ed i due gruppi metilici sullo stesso atomo
di carbonio nell’unità ripetitiva, determinano un elevato
impedimento sterico e rendono la macromolecola molto rigida.
Tuttavia i legami C-O forniscono una certa flessibilità alla
molecola e questo conferisce al materiale una elevata
resistenza agli urti. Buona anche la resistenza a trazione, la
resistenza alla distorsione termica, la trasparenza e la capacità
Tg = 155°C di isolamento elettrico. A temperatura ambiente snerva per
r = 1,2 g/cm3 scorrimento e questo conferisce al materiale una certa
tenacità. Il policarbonato ha elevata stabilità dimensionale che
lo rende idoneo per applicazioni strutturali di precisione dove
sono richieste tolleranze strette. Viene utilizzato per
realizzare schermi di protezione, ingranaggi, vetrate,
coperture.
POLIMERO AMORFO: POLIMETILMETACRILATO, PMMA

Il PMMA, a temperatura ambiente, snerva per crazing e


Tg = 105°C quindi ha un comportamento a frattura fragile. Ha una buona
resistenza agli agenti atmosferici ed ha una resistenza
r = 1,18 g/cm3
all’urto migliore rispetto al vetro. I gruppi laterali sulla
catena principale provocano un considerevole impedimento
sterico che conferiscono al PMMA rigidezza e resistenza
meccanica. E’ utilizzato per vetrature, insegne luminose,
fanali posteriori di posizioni delle automobili, chermi di
protezione, occhiali di protezione.
POLIMERI AMORFI: POLIURETANI, PU
Il nome poliuretano (PU) sta ad indicare che nella catena principale sono presenti legami uretanici, ovvero
legami ottenuti per reazione del funzionale NCO di un di-isocianato ed il gruppo OH di un diolo.

legame ureico

Una reazione importante è quella tra il gruppo isocianato e l’acqua:

R-NCO + H2O → R-NHCO-OH → R-NH2 + CO2↑


R-NCO + R-NH2 → R-NHCO-NHR

Questa reazione porta alla formazione di legami ureici e quindi a polimerizzazione, con formazione di
CO2, che agisce da espandente
In base al tipo di monomeri si
possono ottenere poliuretani con
diverse caratteristiche in funzione
del grado di reticolazione raggiunto.
Polioli di alto peso molecolare sono
utilizzati soprattutto per la
produzione di schiume flessibili,
mentre quelli di basso peso
molecolare sono utilizzati per dare
schiume rigide.
Nello stato condensato, a causa di forti legami idrogeno
che si vengono ad esplicare tra gruppi uretanici
appartenenti a macromolecole diverse, i segmenti rigidi
tendono ad aggregarsi costituendo delle microfasi.
Pertanto il materiale può essere considerato un sistema a
due fasi interconnesse tra loro che si differenziano
sostanzialmente per le diverse caratteristiche chimico-
fisiche. In molti PU segmentati questa struttura bifasica
determina un comportamento termico del materiale
caratterizzato da due transizioni vetrose: quella dei
segmenti flessibili a bassa temperatura e quella della fase
rigida a temperature più elevate. I segmenti rigidi, a
temperature relativamente basse (T < Tg della fase rigida)
agiscono da cross-link di natura fisica contribuendo a dare
consistenza al materiale. A temperature elevate
(T > Tg della fase rigida) i legami intercatena si rompono e
pertanto il polimero può essere lavorato come un normale
termoplastico. Riportato alle basse temperature si
riformano i legami idrogeno e il materiale conserva la
forma conferitagli nel corso del processo di lavorazione.
La micromorfologia in massa di un PU-segmentato, risulta
così caratterizzata dalla presenza di due fasi,
hard e soft.
alcuni esempi di ISOCIANATO

lycra
TECNICHE DI TRASFORMAZIONE DEI MATERIALI POLIMERICI
LAVORAZIONE DELLE RESINE TERMOINDURENTI

Nella lavorazione delle resine termoindurenti, le reazioni di polimerizzazione vengono interrotte a


uno stadio incompleto, in modo che il materiale possa ancora essere plasmato nella fase di formatura.
Le reazioni di polimerizzazione vengono poi completate con un successivo riscaldamento fino
all’indurimento irreversibile.

Il processo di formatura può avvenire attraverso due diverse tecniche di stampaggio:

 stampaggio per compressione diretta: utilizzato per la formatura delle resine fenoliche, ureiche
e melamminiche. Si articola nelle fasi di caricamento della polvere da stampaggio, riscaldamento,
compressione, degasaggio e, infine, di formatura
 stampaggio per trasferimento: è un sistema di formatura misto tra lo stampaggio per
compressione e la formatura per iniezione utilizzata per le resine termoplastiche. Richiede uno
stampo più complesso, con la matrice divisa in due parti: una inferiore nella quale è ricavata
l’impronta dell’oggetto da formare e una superiore contenente la camera di caricamento della
polvere da stampaggio.
RESINE TERMOINDURENTI
stampaggio per compressione diretta stampaggio per trasferimento

Nella cavità dello stampo è introdotta


La resina è caricata in una camera esterna alla cavità dello
la polvere che poi viene stampata per
stampo; quando lo stampo è chiuso un pistone sospinge la
compressione; la parte superiore dello
resina, generalmente preriscaldata, dalla camera esterna
stampo viene forzata contro la resina
alle cavità dello stampo; dopo che il materiale ha avuto il
e la pressione ed il calore applicato
tempo di indurire in modo da formare un rigido reticolo
provocano la liquefazione della resina,
tridimensionale, il pezzo stampato viene espulso dallo
spingendola dentro le cavità dello
stampo.
stampo; continuando il riscaldamento
si ottiene la completa reticolazione
della resina termoindurente
LAVORAZIONE DELLE RESINE TERMOPLASTICHE

Nella lavorazione delle resine termoplastiche, le reazioni di polimerizzazione vengono completate prima
della formatura e gli stampi vengono riscaldati esclusivamente per rendere malleabile il materiale.

Si distinguono i seguenti tipi di formatura:

 formatura per immersione: impiegata soprattutto per realizzare il rivestimento protettivo di


superfici metalliche; avviene immergendo l’oggetto da rivestire nella resina fusa a 60÷120 °C;
 formatura per colata: la resina fluida viene colata all’interno di stampi metallici che, dopo il
raffreddamento, vengono aperti per estrarre gli oggetti finiti;
 formatura per spalmatura: consiste nello spalmare con appositi rulli la resina fluida sulle superfici di
materiali di supporto (come carta o tessuti); si ottengono così finte pelli, nastri trasportatori ecc.;
 formatura per soffiatura: utilizzata per produrre corpi cavi (come bottiglie, fustini, bombole)
consiste nel dilatare una certa porzione di resina di forma cilindrica con un getto d’aria sotto
pressione, fino a farla aderire alle pareti di uno stampo; la produzione di oggetti cilindrici è
realizzata facendo precedere la fase di soffiatura da una fase di estrusione per la realizzazione del
tubo di alimentazione alla soffiatura. La formatura per soffiatura viene impiegata anche per la
produzione dei gusci di certi tipi di casco.
 stampaggio per iniezione : consiste nell’iniettare a pressione dentro uno stampo freddo la resina
preriscaldata; con questo procedimento si può ottenere con grande precisione la forma voluta;
 formatura per decompressione: si usa per ricavare elementi (lastre e fogli) di forma complessa; si
riscalda il foglio di plastica aspirando l’aria attraverso minuscoli fori praticati sul fondo dello stampo
fino a ottenere la completa adesione del foglio alla superficie dello stampo.
 formatura per estrusione: consiste nel far passare attraverso una filiera dotata di fori sagomati
secondo il profilo che si vuole ottenere la resina riscaldata, per renderla sufficientemente fluida; con
questa tecnica vengono realizzati tubi e barre;
 formazione per laminazione o calandratura: è il sistema adottato per ottenere fogli e lastre sottili
continue; consiste nel far passare il materiale attraverso una serie di rulli caldi, che pressano la resina
fino a raggiungere lo spessore voluto dei fogli finiti. Con il processo di laminazione si ottengono lastre
piane, con il processo di calandratura lastre ondulate;
 formatura rotazionale: è un processo tecnologico che permette di produrre corpi cavi in un solo pezzo
senza necessità di saldature. Con questa lavorazione si ottengono pezzi privi di tensioni interne e con
spessore uniforme. La particolarità di questa tecnica consiste nel fatto che lo stampo ruota secondo
due assi: uno primario, a direzione fissa, e uno secondario, a direzione variabile. Grazie ai due
movimenti il polimero investe tutte le superfici interne dello stampo, le quali, una volta scaldate in
forno, fondono il polimero che vi aderisce sopra ricoprendole. Possono così essere stampati oggetti
anche di grosse dimensioni con contorni molto complicati.
formatura per soffiatura formazione per laminazione o calandratura
formatura per soffiatura
stampaggio per iniezione
APPLICAZIONI DEI POLIMERI IN CAMPO CIVILE-EDILE

In edilizia i polimeri sono utilizzati soprattutto come:

 ESPANSI
 ADESIVI
 PITTURE e RIVESTIMENTI PROTETTIVI
 SIGILLANTI
 PRODUZIONE DI TUBAZIONI E TELI IMPERMEABILI
 PRODUZIONE DI PROFILATI PER INFISSI
 PRODUZIONE DI VETRATE
ESPANSI
I materiali espansi (in particolare polistirene e poliuretano) vengono prodotti con una struttura cellulare,
che conferisce loro densità notevolmente inferiore rispetto ai comuni materiali polimerici. L’espansione
porta all’ottenimento della struttura cellulare facendo espandere un gas (pentano, esano) nel polimero
fuso, in modo da creare sottili pareti di polimero che intrappolano le bolle di gas. I vuoti possono essere
aperti o chiusi, con dimensioni variabili, con forma sferica, irregolare o allungata, con distribuzione delle
dimensioni più o meno uniforme. Le proprietà del materiale espanso sono determinate dalle proprietà del
polimero utilizzato, dalla densità ottenuta con l’espansione e dalla struttura dei vuoti. All’aumentare del
volume dei vuoti diminuiscono le caratteristiche meccaniche e la densità, mentre aumentano le
prestazioni in relazione all’isolamento termico e all’assorbimento acustico. Una struttura a celle
completamente aperte in una matrice di un materiale con una buona elasticità, può deformarsi sotto
sforzo e ritornare allo stato iniziale una volta che questo cessa, ed è quindi un materiale adatto per
imbottiture. Inoltre, se le celle sono irregolari, provocano una cattiva riflessione delle onde sonore
conferendo buone proprietà di isolamento acustico. In un materiale a celle parzialmente aperte, l’aria
contenuta nelle celle può entrare ed uscire con difficoltà; poiché la deformazione ed il suo recupero
risultano ritardati, un simile materiale può essere impiegato per ammortizzare gli urti, assorbendo
energia. Infine un materiale a celle completamente chiuse, in cui non sono possibili movimenti convettivi
dei gas all’interno, sarà un buon isolante termico.
ISOLANTI TERMICI IN EDILIZIA

 Materiali di origine sintetica (polistirene e poliuretano espanso, lane minerali)


 Materiali di origine naturale (argilla espansa, perlite espansa, vermiculite espansa, pomice)

I prodotti sintetici presentano un valore


di isolamento termico migliore rispetto ai
prodotti naturali ed hanno spesso un costo
decisamente inferiore.

I polimeri più utilizzati per l’isolamento


termico, come isolanti organici sintetici,
sono:

 il polistirene espanso sinterizzato (EPS)


 il polistirene espanso estruso (XPS)
 i poliuretani (PUR/PIR)
Polistirene espanso sinterizzato - EPS

Il più importante uso del polistirene espanso sinterizzato in edilizia è costituito dal suo impiego come
isolante termico in edifici sia nuovi sia in fase di ristrutturazione. L'EPS è un materiale rigido, di bassa
densità. Attraverso la polimerizzazione dello stirene si ottiene il polistirene. Quest'ultimo, prima di essere
espanso, si presenta sotto forma di piccole perle semitrasparenti contenenti pentano, un idrocarburo a
basso punto di ebollizione. Portato a contatto con il vapore acqueo, a 100°C circa, il pentano evapora e si
espande facendo rigonfiare le perle fino a 60 volte il loro volume iniziale. Si forma così al loro interno una
struttura a celle chiuse che conferisce al polistirene le sue eccellenti caratteristiche di isolante termico e
ammortizzatore di urti. La sinterizzazione è il processo di saldatura delle perle che, sottoposte nuovamente
a vapore acqueo a 105-110°C, si uniscono fra loro fino a formare un blocco omogeneo di espanso.
Grazie alla sua efficacia come materiale isolante, l'EPS svolge un ruolo prezioso in edilizia; contribuisce,
infatti, al risparmio dei combustibili fossili usati per il riscaldamento e riduce le emissioni di anidride
carbonica che concorrono alla creazione del cosiddetto “effetto serra”.

L'EPS, prodotto in lastre, viene impiegato nei seguenti casi:

 isolamento dei tetti a falde e dei tetti piani;


 isolamento delle pareti verticali dall'esterno con facciata ventilata o isolamento "a cappotto";
 isolamento delle pareti verticali in intercapedine e dall'interno;
 isolamento di pavimenti e soffitti;
 isolamento delle strutture interrate.
isolamento tetti piani

La realizzazione del tetto piano prevede l’applicazione


di più strati impermeabili sopra il materiale isolante. E’
isolamento tetti a falde
altrettanto necessaria è doverosa l’esigenza di
applicare una barriera vapore sotto lo strato isolante,
per impedire fenomeni di condensa , che andrebbero a
compromettere l’efficacia dell’isolamento termico e la
durata nel tempo dell’impermeabilizzazione.
isolamento delle pareti verticali dall'esterno con facciata ventilata
La facciata ventilata è una tecnica d’isolamento termico che viene effettuata dall’esterno e sfrutta la
ventilazione di una camera d’aria creata fra l’isolante ed il rivestimento esterno. Quest’ultimo può essere
costituito da elementi di varia natura: lapidei, terrecotte, metallici, plastici, etc. Le pareti ventilate sono
progettate e realizzate per dar luogo, nell’intercapedine, ad un flusso d’aria ascendente dovuto alla
differenza di temperatura fra l’aria presente nell’intercapedine e quella presente in ingresso della
stessa, detto “effetto camino”. I vantaggi che derivano dall’isolare l’edificio col sistema a facciata
ventilata utilizzando lastre in EPS sono: la realizzazione dell’isolamento termico in modo omogeneo e
continuo, un totale controllo dei ponti termici, la riduzione del carico termico dell’edificio durante la
stagione calda grazie alla ventilazione che si crea nell’intercapedine.
isolamento delle pareti verticali dall'esterno con isolamento "a cappotto"

L’EPS è diventato il materiale


d’elezione per l’isolamento delle
facciate con sistema a cappotto.
L’isolamento esterno così realizzato,
infatti, migliora sensibilmente il
rendimento energetico della
costruzione, in particolare quando
l’edificio ha una struttura pesante:
blocchi di cemento, calcestruzzo, ecc.;
grazie ai suoi eccellenti valori
d’isolamento, il ‘’cappotto’’ in EPS
sfrutta al massimo l’inerzia termica
della struttura, contribuendo al
raggiungimento degli obiettivi di
comfort.

Il rivestimento in EPS offre prestazioni di alto livello non solo in termini di conducibilità termica, ma
anche di reazione al fuoco, resistenza al vento, alla neve, al gelo, agli urti. Inoltre, è permeabile al vapore,
ma è caratterizzato anche da un ridottissimo assorbimento d’acqua e le sue caratteristiche si
mantengono inalterate nel tempo.
L'isolamento termico in intercapedine è
un sistema molto diffuso. isolamento delle pareti verticali in intercapedine e dall'interno
Consiste nell'utilizzare lastre in EPS
(nell’immagine sono additivate con
grafite) preferibilmente a tutta altezza
e possibilmente poste fra due strati di
laterizio con caratteristiche fisiche e
morfologiche diverse.
L'isolamento termico in intercapedine
può essere: EPS additivato con grafite
 DISCONTINUO: l'intercapedine
viene interrotta in corrispondenza
dei solai; in questo caso bisogna
evitare il ponte termico applicando
una lastra in EPS a cappotto a per la
correzione del ponte termico. EPS (isolamento a
 CONTINUO l'isolante viene pavimento)
posizionato sull'esterno del cordolo
dei solai o della struttura dando così
continuità all'isolante ed evitando i
ponti termici, tamponando poi
esternamente con un tavolato di
laterizio.
2

isolamento di pavimenti
1
Un contributo importante alle dispersioni termiche di
un edificio si registra attraverso i pavimenti. Queste
avvengono maggiormente nel caso di soletta a diretto
contatto del terreno, su solai ventilati non accessibili, o
sopra locali non riscaldati (garage) o su solai esposti
direttamente all'esterno (piani porticati).

1. isolamento a pavimento
2. isolamento in intercapedine
isolamento di soffitti
Elemento debole delle abitazioni, e degli edifici in
generale, sono i soffitti degli ultimi piani, dai quali, se
non adeguatamente isolati, penetra facilmente il
freddo invernale e il caldo estivo.
Per risolvere questo problema una soluzione può essere
quella di intervenire con delle lastre di EPS nel
2
controsoffitto.
La posa è semplice: si applicano i pannelli sull'intradosso 4
della copertura e si procede con la realizzazione della 3
1. pannelli in EPS
struttura del controsoffitto che sarà terminata con il 2. ancore per malta
fissaggio dei pannelli di cartongesso che garantiscono 1 3. Telaio a muro
una buona resa estetica. 5 4. pinze in acciaio
5. pannello in cartongesso
isolamento delle fondazioni
1. guaina bituminosa
2. divisorio
3. pannelli in EPS
4. vespaio
5. giunto separatore in EPS
2 6. massetto in c.a.

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Polistirene espanso estruso - XPS
Il polistirene espanso estruso è un materiale isolante plastico rigido e cellulare, che viene prodotto a
partire dal polistirene cristallo. Presenta una struttura cellulare chiusa, con celle di piccole dimensioni
separate tra di loro da pareti piane di polistirene. Questa proprietà è una delle più importanti per
garantire una buona resistenza all’assorbimento dell’umidità, dato che non vi sono interstizi attraverso i
quali questa possa introdursi. La produzione dell’XPS avviene attraverso un processo dove il polistirene
assieme a coloranti ed altri additivi viene portato a fusione e ad alta pressione. Si iniettano, quindi, gli
agenti espandenti (esempio CO2) che si sciolgono nella matrice polimerica. La massa fluida e viscosa, così
formata, è fatta passare, a temperatura e pressioni controllate, attraverso una testa di estrusione a
fessura calibrata. All’uscita da questa, il polistirene, sotto la spinta degli agenti espandenti, non più
controbilanciata dalle pareti dell’estrusore, si espande e raffreddandosi si solidifica sottoforma di una
lastra continua con una struttura cellulare omogenea. Il prodotto, così ottenuto, viene rifilato in lastre di
varie misure con la possibilità di effettuare lavorazioni meccaniche di battentatura, maschiatura e
goffratura delle superfici.
Il polistirene espanso estruso mantiene le sue proprietà nel tempo poichè le sue
prestazioni termiche non sono influenzate dall’umidità che non viene assorbita
grazie alla sua struttura cellulare chiusa. Inoltre, quando le lastre di XPS sono
installate sotto carico, le loro ottime proprietà meccaniche fanno si che esse
non subiscano deformazioni, mantenendo invariato il loro spessore che è
direttamente proporzionale alla resistenza termica. Altri vantaggi nell’uso
dell’XPS sono la sua buona lavorabilità, vista la facilità di taglio, posa in opera e
l’assoluto non rilascio di polveri e/o fibre, la riutilizzabilità del materiale in
cantiere oltre alla totale riciclabilità industriale.
Il più importante uso di XPS in edilizia, è costituito dal suo impiego come isolante termico. Grazie alla sua
bassa conducibilità termica, l’XPS, analogamente ad EPS, svolge un ruolo prezioso in edilizia come materiale
isolante.

L’XPS viene impiegato nei seguenti casi:


 isolamento dei tetti a falde e dei tetti piani, particolarmente il tetto “rovescio”;
 isolamento delle pareti verticali in intercapedine e dall’interno;
 isolamento di pavimenti e soffitti;
 isolamento delle murature contro terra;
 correzione dei ponti termici.

Le lastre isolanti in polistirene estruso sono adatte per resistere a esposizioni prolungate sia all'acqua, sia a
ripetuti cicli di gelo/disgelo. Questa particolare resistenza ai cicli gelo/disgelo fa si che il polistirene
estruso sia il prodotto ideale per quelle applicazioni dove sono presenti elevati gradienti di temperatura e
forti pressioni di vapore. Qualunque sia l’elemento della costruzione, il relativo materiale di isolamento
termico deve durare almeno quanto la struttura portante. In aggiunta, il materiale isolante deve mantenere
le sue prestazioni anche quando l’elemento della costruzione è parzialmente danneggiato. Ad esempio, quando
si verificano delle perdite in una membrana impermeabilizzante o sulla parte esterna di un muro a
intercapedine, le caratteristiche di resistenza all'umidità della schiuma isolante in polistirene estruso
garantiscono le prestazioni isolanti di questo materiale per un certo numero di anni a livello praticamente
invariato. Si può, quindi, affermare che le schiume in polistirene estruso continuano a fornire un efficace
isolamento termico anche in condizioni estreme.
Esempi di impiego di un prodotto XPS commercializzato da BASF

tetto a falda ventilato tetto a falda inclinato tetto piano ‘’rovescio’’

isolamento perimetrale a
isolamento dei ponti termici
pavimenti e solai contatto con il terreno
Poliuretano espanso rigido – PUR-PIR
Il poliuretano espanso rigido è un polimero reticolato termoindurente che viene prodotto dalla
reazione di due componenti principali, POLIOLI e POLIISOCIANATI, in presenza di un AGENTE
ESPANDENTE (generalmente idrocarburi, CO2 o altre miscele) e di altri additivi. Nel corso della
reazione che porta le materie prime dallo stato liquido a quello solido del polimero finale, la schiuma
manifesta elevate proprietà di adesione a quasi tutti i tipi di supporti. L’impiego del poliuretano
espanso rigido come isolante termico è estremamente diffuso in edilizia, anche se una quota viene
utilizzata nell’industria del freddo (frigoriferi domestici, mezzi per il trasporto refrigerato, celle
frigorifere commerciali e industriali). In entrambi i settori, il suo successo è dovuto alle seguenti
proprietà: eccellente isolamento termico determinato dalla più bassa conduttività termica disponibile,
leggerezza, elevate caratteristiche meccaniche, stabilità dimensionale alle alte e basse temperature,
inerzia ai più comuni agenti chimici, capacità di adesione, in fase produttiva, a praticamente tutti i
supporti, compatibilità con tutti i sistemi applicativi, resistenza a temperature elevate, reazione al
fuoco adeguata agli impieghi previsti e rispondente alle più severe normative vigenti, compatibilità con
l’uomo e l’ambiente garantita dall’inerzia fisica e chimica della schiuma.

; caratteristica questa fondamentale per lo sviluppo e l’industrializzazione di moltissimi prodotti: dai


pannelli isolanti con rivestimenti flessibili, a quelli sandwich autoportanti per la prefabbricazione e
l’industria del freddo, ai frigoriferi commerciali e domestici, ai boiler, ecc.

In funzione della formulazione e delle condizioni di processo, si possono ottenere diversi tipi di
schiume poliuretaniche:
Il poliuretano espanso rigido è il materiale isolante che, a parità di spessore rispetto ad altri materiali,
garantisce le migliori prestazioni. Il suo valore di conducibilità termica stabile nel tempo è compreso tra
0,023 e 0,028 W/m∙K in funzione del tipo di schiuma e del tipo di rivestimento.
Questa eccellente prestazione permette di ottenere elevati livelli di isolamento termico con spessori
significativamente ridotti rispetto a quelli necessari utilizzando altri materiali isolanti.
Spessori di materiali isolanti necessari ad ottenere una trasmittanza pari a 0,25 W/mK.
La struttura a celle chiuse della schiuma di poliuretano espanso rigido, oltre ad un perfetto isolamento
termico, garantisce anche altre caratteristiche, determinanti per il successo delle applicazioni, quali:

la durata nel tempo


 la leggerezza
 le elevate caratteristiche meccaniche
 la stabilita dimensionale alle alte e basse temperature
 l’inerzia ai più comuni agenti chimici
 l’ottima processabilità
 la caratteristica di aderire spontaneamente in fase di
espansione a quasi tutti i supporti
 la sicurezza nell’impiego
 l’assenza di ponti termici
 la compatibilità con la salute dell’uomo struttura a celle chiuse di
 il ridotto impatto ambientale, garantita dall’inerzia una schiuma poliuretanica
fisica e chimica della schiuma
 reazione al fuoco adeguata agli impieghi previsti e
rispondente alle normative vigenti
Per alcune applicazioni possono essere impiegate anche schiume poliuretaniche a celle aperte che, a
fronte di prestazioni di isolamento termico inferiori, rispetto a quelle a celle chiuse, offrono
interessanti valori di assorbimento acustico.
In edilizia, i poliuretani espansi rigidi sono impiegati sia in pannelli con
rivestimenti flessibili (per l’isolamento termico di coperture, pareti e
pavimenti, per la realizzazione di condotte pre-isolate per il trasporto
dell’aria, ecc.) sia per l’espansione “in situ” mediante applicazione a spruzzo e
per colata. ll poliuretano costituisce, inoltre, il componente base dei pannelli
metallici coibentati. Attraverso un processo di fabbricazione in continuo,
tra i due paramenti metallici (in prevalenza di acciaio zincato preverniciato)
viene insufflato il formulato che cambia stato fisico: da liquido passa a
consistenza solida rigida a celle chiuse. Il pannello presenta una morfologia
alquanto diversificata, sia per le coperture degli edifici industriali e civili
con il paramento all’estradosso in lamiera grecata (per il deflusso delle
acque meteoriche) sia con ambedue i paramenti in lamiera minigrecata o
completamente piana per le pareti esterne (principalmente) e anche interne.
L’impiego prevalente è stato rivolto alla copertura di opifici con il preciso
vantaggio di disporre di una soluzione costruttiva dall’elevato abbattimento
termico degli ambienti, incrementandone il comfort per gli occupanti sia in
regime invernale sia estivo. I pannelli metallici coibentati hanno trovato un
crescente impiego anche negli impianti sportivi, scuole, grande distribuzione
e nel comparto dell’agroalimentare. Le notevoli prestazioni nell’isolamento
dell’involucro edilizio sono abbinate alla massima produttività e sicurezza del
cantiere oltre che al costo alquanto contenuto rispetto ai criteri
tradizionali.
Il pannello in poliuretano viene anche largamente utilizzato per gli interventi di bonifica delle esistenti
coperture fuori legge in lastre di cemento-amianto.
La sostituzione con pannelli metallici viene oggi utilizzata anche per edifici residenziali. Vengono utilizzati
pannelli leggeri che assicurano un significativo risparmio energetico e che concorrono alla stabilità
strutturale dell’edificio anche in relazione ad una maggiore sicurezza contro il rischio sismico. I paramenti
dei pannelli in metallo preverniciato assicurano varietà cromatica per una maggiore espressività
architettonica dell’edificio. Il poliuretano presente nei pannelli metallici coibentati possiede una funzione
statica: assieme al paramento esterno ed a quello interno, costituisce un elemento monolitico ed omogeneo
in cui ambedue i paramenti diventano portanti grazie al nucleo di connessione in poliuretano. Sul
comportamento antincendio, il pannello metallico isolante in poliuretano offre adeguata reazione al fuoco.
Il poliuretano espanso rigido è una delle poche materie plastiche che
può essere prodotta, utilizzando appositi macchinari e formulazioni
specifiche, direttamente in cantiere con notevoli vantaggi in termini
di tempi di esecuzione dei lavori, minimizzazione degli impatti
ambientali dovuti al trasporto dei materiali, efficacia e continuità
dell’isolamento termico realizzato. Il poliuretano espanso rigido
viene prodotto in cantiere utilizzando due diverse tecnologie che
richiedono specifiche attrezzature idonee al loro utilizzo in
cantiere: le macchine dosatrici ed applicatrici sono montate su
carrelli mobili, sono dotate di sistemi di termostatazione dei
componenti e di tubi di alimentazione delle pistole distributrici che
assicurano il mantenimento della corretta temperatura.
La gamma delle tipologie produttive è variegata, dai
pannelli grecati (per il displuvio delle acque) ai pannelli
piani, fonoassorbenti, curvi, fotovoltaici.
A SPRUZZO
I due componenti si miscelano in modo omogeneo scontrandosi, grazie all’alta pressione dell’impianto,
all’interno di una camera di miscelazione della pistola distributrice. Immediatamente dopo la nebulizzazione
sulla superficie avviene la formazione delle celle del polimero che solidifica, aderendo al substrato, entro
10-15 secondi. La rapidità di espansione e di solidificazione permette di applicare il poliuretano a spruzzo su
superfici sia orizzontali sia verticali o su soffitti.
PER INIEZIONE O COLATA
Nel caso di riempimenti di cavita, la schiuma poliuretanica può essere realizzata utilizzando appositi
macchinari dotati di una testa all’interno della quale i due componenti vengono miscelati ed iniettati quindi
all’interno del manufatto o dell’intercapedine da isolare. I tempi di polimerizzazione dei sistemi poliuretanici
per iniezione o colata sono generalmente più lunghi di quelli per le applicazioni a spruzzo.
Permeabilità al vapore
La schiuma poliuretanica a celle chiuse, a densità
comprese tra i 35 e i 60 kg/m3, è permeabile con valori
di coefficiente di resistenza al passaggio del vapore, μ,
compresi tra 30 e 40. Questi valori consentono, nelle
più comuni applicazioni, il normale flusso del vapore
attraverso le strutture.
Impermeabilità all’acqua
La struttura a celle chiuse della schiuma e la naturale formazione della pelle superficiale impediscono
l’assorbimento d’acqua che può avvenire, per capillarità, solo in corrispondenza di tagli o fessure.
L’assorbimento d’acqua è
inversamente proporzio-
nale alla densità della
schiuma; prove condotte
su schiume applicate a
spruzzo con densità di
circa 60 kg/m3, hanno
ottenuto la certifica-
zione di impermeabilità
anche alla pressione di
0,6 atm.
ADESIVI
L’incollaggio è l’operazione con la quale si realizza un giunto tra due superfici di uno stesso materiale
o di due materiali diversi. Rispetto ad altre tecniche di giunzione, l’incollaggio consente un’unione di
due pezzi molto rapida, distribuisce in modo uniforme gli sforzi attraverso tutta l’area di giunzione
(evitando la concentrazione di sforzi che si creano, ad esempio, con i rivetti o le viti), consente
l’unione di materiali con proprietà meccaniche diverse (ad esempio materiali flessibili con materiali
rigidi e fragili), è in grado di adattarsi alle irregolarità geometriche delle superfici da unire, può
consentire di smorzare le vibrazioni ed, in genere, è economico. Le applicazioni dei giunti incollati
sono, tuttavia, limitate dalle caratteristiche del materiale polimerico che costituisce l’adesivo, in
particolare dalla sua sensibilità alla temperatura e dal suo comportamento viscoso. Un adesivo può
essere definito come una sostanza che, applicata sulle superfici di due materiali anche diversi tra
loro, è in grado di unirli e resistere alle forze che tendono a separarli. Possiamo distinguere
principalmente tra ADESIVI TERMOINDURENTI ed ADESIVI TERMOPLASTICI.
ADESIVI TERMOINDURENTI
 Resine urea formaldeide: si utilizza una soluzione acquosa di formaldeide e urea (oppure polvere) e un
indurente; possono essere utilizzati solo per spessori sottili a causa del rischio di microfessurazione per
ritiro durante l’indurimento; questo tipo di adesivo viene utilizzato per l’incollaggio del legno (legno
lamellare, laminati di legno, truciolare) e presenta una buona resistenza all’acqua a temperatura ambiente
 Resine melammina formaldeide: è prodotta in polvere e, mescolata con acqua, indurisce a circa 100°C;
l’adesivo ha una buona resistenza in seguito all’esposizione atmosferica
 Resine fenol-formaldeide: è costituita da un liquido che polimerizza a temperatura superiore a 100°C, ma
esistono formulazioni che reticolano anche a temperatura ambiente a pH acido; è utilizzata, ad esempio,
per l’incollaggio del legno compensato (sono necessari circa 5 min sotto pressione); presenta un’ottima
resistenza all’umidità, ma è fragile
 Resine resorcinol-formaldeide: hanno caratteristiche analoghe alle resine fenol-formaldeide, ma possono
indurire a temperatura ambiente e pH neutro
 Resine poliuretaniche: sono in grado di unire le gomme vulcanizzate ai metalli
 Resine epossidiche: hanno una buona adesione a quasi tutti i materiali (esclusi alcuni termoplastici come il
polietilene); hanno una serie di caratteristiche che le rendono interessanti per incollaggi strutturali su
vari materiali da costruzione (vetri, metalli, laterizi, calcestruzzo), tra le quali: un basso ritiro durante
l’indurimento (che determina l’insorgenza di bassi sforzi di taglio all’interfaccia), un’elevata resistenza a
trazione e creep, resistenza all’acqua, acidi, alcali
 Resine poliestere insature: sono in grado di indurire rapidamente anche a basse temperature, presentano
un marcato ritiro durante l’indurimento ed hanno una bassa resistenza in ambiente alcalino
 Resine alchil-cianoacrilati: polimerizzano molto rapidamente sotto forma di film sottili in presenza di
acqua (è sufficiente l’umidità del substrato) ma sono molto costose.
ADESIVI TERMOPLASTICI
Nel caso degli adesivi termoplastici non avviene una reticolazione del polimero. In genere l’adesivo è
costituito da un unico componente e l’indurimento avviene in seguito a trasformazioni fisiche; ad
esempio può essere prodotto da raffreddamento, dall’evaporazione di un solvente, oppure dalla
coalescenza di una emulsione (lattice). Questi adesivi sono meno resistenti e presentano una
deformazione viscosa più elevata degli adesivi termoindurenti; per questo motivo non sono utilizzati
per applicazioni strutturali. I principali tipi sono:
 Resina polivinil-acetato: è solubile in acqua e quindi non richiede un indurente; viene utilizzata per il
legno (per usi interni) oppure per migliorare l’adesione di un calcestruzzo nuovo su un calcestruzzo
vecchio
 Resine polistireniche: sono utilizzate per la giunzione di alcuni materiali plastici come PS, PVC,
PMMA
 Adesivi bituminosi: emulsioni acquose applicate a caldo
 Adesivi a base di gomme: comprendono le gomme capaci di auto-aderire, gli adesivi di contatto con i
quali si applica l’adesivo sulle due superfici e, dopo l’evaporazione del solvente, si uniscono i due pezzi
(l’adesivo aderisce quindi prima alle due superfici e poi su se stesso), oppure i lattici (gomme SBR) e
malte modificate con lattici (per la posa di piastrelle ceramiche).
PITTURE E RIVESTIMENTI PROTETTIVI
Molti materiali da costruzione devono la loro durabilità ad un trattamento superficiale che li protegge
dall’azione degli agenti aggressivi presenti nell’ambiente. Nella maggior parte dei casi, il trattamento
consiste nell’applicazione di un sottile strato di una sostanza polimerica sulla superficie, con lo scopo di
formare una pellicola protettiva oppure di modificare il comportamento chimico-fisico del materiale (ad
esempio, rendendolo idrorepellente). I rivestimenti protettivi sono, in generale, costituiti da un legante
polimerico, nel quale sono disciolti dei pigmenti, dei solventi e degli additivi.
PE e PP in edilizia

PE e PP sono utilizzati in edilizia per la produzione di


tubazioni e di teli impermeabili.
Le tubazioni in polietilene e polipropilene, grazie alle
proprietà chimico-fisiche e meccaniche di questi
materiali, vengono utilizzate in numerosi campi :
 reti di trasporto di liquidi in pressione
 reti antincendio
 reti fognarie e di scarico civile ed industriale
 reti di trasporto di gas combustibili
 reti per il trasporto di scorie, fanghi, etc.
 impianti per il trasporto di liquidi alimentari, di
cereali, etc. Quando le condizioni di utilizzo sono
 impianti di irrigazione particolarmente severe è preferibile il
 impianti di raffreddamento polipropilene che resiste a temperature
 impianti per il trasporto di aria compressa maggiori.
Tubi in polietilene ad alta densità
per acquedotto e fluidi in pressione

Tubi in polietilene ad elevatissima


resistenza alla fessurazione a
struttura multistrato per la
distribuzione dell’acqua, incluso il
trasporto dell’acqua prima del Tubi di polietilene a bassa
trattamento densità particolarmente adatti
per la realizzazione di impianti
di irrigazione.
PVC in edilizia
PVC è utilizzato in edilizia per la produzione di tubazioni di scarico.

Tubi in PVC rigido per lo Tubi in PVC rigido per lo scarico Tubi in PVC rigido per
scarico di acque fredde civili delle acque calde delle condotte di scarico
ed industriali. apparecchiature interrate non in
elettrodomestiche. pressione
PVC è utilizzato per la produzione di profilati per serramenti. Il
PVC ha numerosi vantaggi: assicura un’elevata prestazione a costi
accessibili, è un materiale isolante, stabile, resistente e versatile,
è resistente al fuoco, è durevole, è igienico ed è riciclabile. Una
delle caratteristiche principali che contraddistingue i serramenti
in PVC è l'impermeabilità; le finestre in PVC sono le meno sensibili
alle infiltrazioni d’acqua e al contempo resistono bene alle
sollecitazioni del vento. Questa loro caratteristica ne ha
permesso la diffusione soprattutto nelle zone di mare. Gli infissi
in PVC sono leggeri e maneggevoli, ciò li rende la soluzione migliore
nei casi in cui sia necessario realizzare finestre o porte finestre
di grandi dimensioni. Inoltre tali finestre sono ignifughe in quanto
il PVC è un materiale auto-estinguente, che non alimentare le
fiamme in caso di incendio.
PC in edilizia
Il policarbonato è un polimero termoplastico utilizzato,
in particolare, per la realizzazione di manufatti
trasparenti come i lucernari. Le sue ottime
caratteristiche meccaniche ne hanno facilitato una
larga diffusione: resiste, infatti, sino a una
temperature intorno ai 140 “C. Le caratteristiche che
ne hanno fatto il materiale plastico più impiegato in
termini di numero di possibili applicazioni sono l’elevata
resistenza meccanica e all’urto, le eccellenti proprietà
elettriche, la stabilità dimensionale, l’innocuità
fisiologica, l’ottima permeabilità alla luce, nei tipi
trasparenti, e la possibilità di realizzare tipologie
dotate di protezione antifiamma. L:industria delle
costruzioni ha utilizzato diffusamente il PC per le sue
doti di resistenza alla rottura e di trasparenza: ampi
impieghi si sono anche avuti nella realizzazione di lastre
alveolari per vetrate e costruzioni leggere (vetrate
industriali e serre) e pareti protettive trasparenti.
PMMA in edilizia

Il polimetilmetacrilato (PMMA) è noto con il nome comune di plexiglass ed è tra le materie plastiche di
più antica produzione e diffusione essendo stato introdotto sul mercato nel lontano 1928. Dal punto di
vista dei costi, il PMMA, occupa una posizione intermedia tra il polistirene (50% del costo del PMMA) e
il policarbonato (150% del costo del PMMA). La proprietà più interessante del prodotto è la sua
perfetta trasparenza che lo rende idoneo a moltissime applicazioni in cui questo requisito risulta
essere predominante. Si tratta di un materiale ad alta resistenza ma incline alle rotture anche a bassi
valori di allungamento, mentre, al contrario, presenta superfici molto dure e considerevolmente
resistenti alle graffiature. L’elevata resistenza all’azione dei raggi UV e al deterioramento causato
dall’esposizione agli agenti atmosferici, lo rendono adattissimo alla realizzazione di elementi da
utilizzare in esterno. Il PMMA risulta essere facilmente infiammabile, ma attualmente sono sul
mercato validi prodotti appositamente trattati che ne garantiscono un ritardo di fiamma offrendo,
conseguentemente, buone prestazioni dal punto di vista della sicurezza antincendio. Trasparenza e
durabilità sono comunque le peculiarità che ne hanno favorito l’enorme diffusione in particolare nel
settore delle costruzioni, dove il PMMA trova ampio impiego nella realizzazione, tra le altre, di
chiusure trasparenti, impianti ricreativi e per lo sport, serre. Il materiale si propone, quindi, come
valida alternativa al polistirene, che costa meno ma è molto più fragile, e al policarbonato, che è più
tenace e rigido ma costa molto di più.

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