Sei sulla pagina 1di 21

LA GUERRA DI SARDEGNA E DI

SICILIA 1717-1720. GLI ESERCITI


CONTRAPPOSTI: SAVOIA,
SPAGNA, AUSTRIA
PARTE I
L’ESERCITO SABAUDO NEL 1718-1720 E LA GUERRA
PER LA DIFESA DELLA SICILIA
PREFAZIONE

N ella trattazione, in tre parti, delle vicende che ebbero luogo nelle isole di Sardegna e di
Sicilia tra il 1717 ed il 1720 si presenterà lo svolgersi delle operazioni militari che videro
contrapposti l’esercito e la marina spagnola e quelli austriaci e sabaudi e un’analisi delle
forze militari impiegate.
Filippo V Borbone, Re di Spagna, non si era rassegnato alla situazione che si creata alla ine della guerra
per la successione spagnola, che aveva visto l’occupazione da parte degli austriaci dei possedimenti
spagnoli in Italia (Milano, Sardegna, Regno di Napoli e quello di Sicilia ceduto a Vittorio Amedeo II
di Savoia) e, alla prima occasione (l’impero austriaco era impegnato in una durissima guerra contro
i Turchi) inviò un fortissimo corpo di spedizione, che occupò un dopo l’altra la Sardegna e la Sicilia.
Le potenze garanti dei trattati di pace del 1714 e dell’assetto che ne era conseguito (in primis la Gran
Bretagna e la Francia) reagirono.
La Gran Bretagna inviò una potente lotta nel Mediterraneo, che ribaltò il rapporto di forze e
praticamente impedì che l’esercito spagnolo nelle due isole potesse ricevere soccorsi.
L’impero austriaco da Milano e da Napoli raccolse ed inviò un numero sempre crescente di truppe,
che invasero a loro volta la Sicilia (il cui dominio era stato nel frattempo ceduto da Vittorio Amedeo
all’Austria in cambio del regno di Sardegna). La coalizione europea costrinse alla ine la Spagna a
rinunciare alla sua avventura ed evacuare le due Isole.

GianCarlo Boeri

◀ Vittorio Amedeo II in Maestà. Dipinto di Martin van Mytens - collezione La Venaria Reale (Torino)

5
INDICE
PREFAZIONE PAG. 5
PREMESSA PAG. 7
1 - VICENDE STORICHE . PAG. 9
2- STRUTURA E ORGANIZZAZIONE
DELL’ESERCITO SABAUDO (1713-1720) PAG. 29
APPENDICE PAG. 75
ENGLISH NOTES TO THE PLATES PAG. 95
BIBLIOGRAFIA E FONTI PAG. 97

6
PREMESSA
LA SITUAZIONE IN ITALIA DOPO LA GUERRA DELLA SUCCESSIONE SPAGNOLA.

S econdo i termini del trattato di Utrecht (1713) e della successiva pace di Rastatt (1714), che posero ine
alla guerra per la successione spagnola1, l’Impero spagnolo venne spartito tra potenze magiori e minori:
gli austriaci ricevettero gran parte dei territori spagnoli in Europa (Italia e Fiandra), ma Filippo di
Borbone mantenne la Spagna peninsulare e l’America spagnola dove, dopo aver rinunciato ai propri diritti
sulla corona francese, regnò col nome di Filippo V, consentendo così il bilanciamento tra le potenze europee.
Nel 1714 Filippo sposa Elisabetta Farnese. Vittorio Amedeo II, duca di Savoia in premio della sua fedeltà alla
causa alleata contro i Franco-Spagnoli e delle soferenze subite dai territori e dalle popolazioni del ducato
ottenne, per la particolare benemerenza della regina d’Inghilterra Anna, il regno di Sicilia (che comportava
l’agognato titolo di re a lungo inseguito) e acquisizioni nelle Langhe e nei territori ducato di Milano (tutte
concessioni avversate dall’Imperatore d’Austria).
L’Imperatore Carlo VI d’Asburgo dovette ritirarsi dalla Spagna (e avrebbe dovuto abbandonare le sue
pretese a quel trono), ricevendo però gli ex possedimenti della Spagna in Italia, e cioè la Lombardia, ed i regni
di Napoli e di Sardegna (ma non quello di Sicilia, a cui non voleva rinunciare), oltre anche agli ex Paesi Bassi
spagnoli (coincidenti in gran parte con l’odierno Belgio). Nel 1715 l’Imperatore aveva inviato una poderosa
armata in Ungheria e sui conini orientali contro i Turchi, che alla ine del 1714 avevano proditoriamente
assaliti i possedimenti veneziani in Grecia e sulla costa dalmata. Il Papa chiese a tutti gli stati cattolici una
sospensione d’ogni ostilità inché l’Impero era impegnato nella guerra e l’invio di soccorsi alla repubblica
veneta in diicoltà contro un nemico dotato di forze soverchianti.
1 La guerra di successione spagnola fu uno dei più importanti conlitti europei combattuti nel XVIII secolo. Il conlitto si
originò dalla morte nell'anno 1700 dell'ultimo re di Spagna, l'infermo e senza eredi Carlo II della casa d'Asburgo (in Spagna chiamati
Los Austrias); la questione di chi avrebbe dovuto succedergli preoccupava i governi di tutta Europa, e i tentativi a livello europeo di
risolvere il problema con una spartizione dell'impero tra i candidati elegibili (in quanto parenti di Carlo II) proposti dalle casate di
Francia (Borbone), Austria (Asburgo) e Baviera (Wittelsbach) fallirono. Sul letto di morte Carlo II decise di aidare tutto l'impero
spagnolo al suo pronipote Filippo, nipote di re Luigi XIV di Francia (il Re Sole); con Filippo al governo della Spagna, Luigi XIV
avrebbe ottenuto un notevole vantagio per la sua dinastia andando a occupare due dei troni più potenti d'Europa, un fatto che
avrebbe rotto gli equilibri della stabilità europea. Luigi XIV aveva le sue buone ragioni per spingere suo nipote ad accettare il trono
spagnolo, ma compì una serie di mosse controverse per tutelare gli interessi di quest'ultimo: inviò delle truppe per occupare i Paesi
Bassi spagnoli (la zona cuscinetto tra Francia e Repubblica delle Sette Province Unite, sostanzialmente il Belgio odierno) e, in Italia,
il ducato di Milano ed il regno di Napoli; cercò di dominare il panorama delle colonie spagnole americane a spese dei mercanti inglesi
e olandesi; si riiutò di rimuovere Filippo dalla linea di successione francese, riaprendo la possibilità di unire le corone di Francia
e Spagna in un'unica monarchia nel futuro (un incubo per molti stati europei). Per contrastare la crescente inluenza di Luigi XIV,
l'Inghilterra, la Repubblica delle Sette Province Unite e l'Austria, assieme ai loro alleati nel Sacro Romano Impero, riformarono la
Grande Alleanza della Lega di Augusta (1701) e sostennero le pretese dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, sull'intero possedimento
spagnolo per conto di suo iglio secondogenito, l'arciduca Carlo (conosciuto dai suoi sostenitori come Carlo III di Spagna); ciascun
membro della coalizione cercò di ridurre per parte sua il potere della Francia, mantenendo la propria sicurezza territoriale e dinastica
nonché restaurando e migliorando le opportunità di commercio. Inglesi, olandesi e austriaci dichiararono guerra alla Francia nel
magio 1702. Dal 1708 il duca di Marlborough e il principe Eugenio di Savoia ebbero assicurato la vittoria della coalizione imperiale
nei Paesi Bassi spagnoli e in Italia, e sconitto l'alleato di Luigi XIV, la Baviera. La Francia subì una serie di rovesci militari sul fronte
occidentale, ma la sconitta dei coalizzati in Spagna e l'aumento delle perdite umane e inanziarie spinsero l'Inghilterra a progettare
l'uscita dal conlitto, in particolare dopo l'ascesa al potere nel 1710 del Partito Tory. Francesi e inglesi prepararono il terreno per una
conferenza di pace da tenersi nel 1712; olandesi, austriaci e stati tedeschi continuarono a combattere per raforzare le loro posizioni
negoziali, ma vennero sconitti dal maresciallo Villars e costretti ben presto ad accettare la mediazione anglo-francese. Nel 1713 si irmò
il trattato di Utrecht, che pose di fatto ine ai combattimenti, e nel 1714 con la Pace di Rastat si issarono le clausole deinitive, che tutti
i contendenti dovettero accettare; ma i due trattati non furono in grado di eliminare tutte le cause del contendere. L’Imperatore non
accondiscese a rinunciare alle sue pretese sulla Corona di Spagna (e alla Sicilia) e, dal conto suo, Filippo V, senza quest’atto, si riiutava
di ammettere che l’Austria avesse diritto a mantenere le ex-province spagnole in Fiandra ed in Italia. Il re di Spagna acconsentiva solo
ad una cessazione delle ostilità in Italia sino alla conclusione di una pace generale.

7
8
I - VICENDE STORICHE
IL RIARMO SPAGNOLO E LA FLOTA DI CADICE

L a perdita dei domini italiani nel 1707 aveva tolto alla Spagna non solo lo status di Grande Potenza
continentale e il controllo del Mediterraneo centrale, ma anche il vitale sistema di sicurezza costituito
dal possesso dei porti della Sardegna e della Sicilia e dalle basi tirreniche continentali (Stato dei Presidi
di Toscana, Gaeta, Napoli).
In Spagna, che era rimasta devastata dalla lunga guerra per la successione spagnola divenuta una feroce guerra
civile, il nuovo primo ministro, l’italiano Alberoni, si adoperava in vaste riforme civili e militari, dirette a
ricostruire l’economia del Regno e le basi amministrative, inanziarie, commerciali e industriali della potenza
militare e navale del regno iberico. Riorganizzò e potenziò notevolmente l’esercito e la marina.
A seguito di tale attività nel 1716 la Spagna, anche su richiesta del Ponteice, era stata in grado di
inviare una discreta lotta (6 vascelli e 5 galere) in Levante in soccorso dei Veneziani che erano stati attaccati
dai Turchi e stavano subendo un duro assedio alla loro piazza strategica di Corfù.

LA RICONQUISTA SPAGNOLA DELLA SARDEGNA

Nell’aprile 1717 una lotta spagnola salpò nuovamente da Cadice, apparentemente ancora una volta
in soccorso dei Veneziani. Tuttavia, anziché dirigersi sulla rotta di Sicilia, per poi procedere verso Levante,
la lotta si spostò senza evidente motivo a Barcellona, destando a Vienna il timore, mai sopito, di un colpo
di mano contro il regno di Napoli. Infatti, come risulta da tutte le Gazzette dell’epoca, Vienna dispose man
mano il trasferimento di numerosi regimenti dal Milanese verso Napoli e dai territori austriaci o verso il
Milanese o direttamente verso il regno meridionale per via di mare nell’Adriatico, anche approittando del
fatto che nel frattempo si stava chiudendo la guerra contro i Turchi (con la presa di Belgrado nel 1717 e la pace
di Passarovitz siglata deinitivamente nel 1719) e si rendevano quindi disponibili molte delle forze, aguerrite
e veterane, che erano state impiegate sul fronte orientale.
Poche settimane dopo, alla ine di magio, il governatore austriaco del ducato di Milano principe
di Loewenstein fece arrestare il nuovo Grande Inquisitore di Spagna Molines che, munito di passaporto
pontiicio, aveva tentato di ragiungere Finale attraverso il Milanese. Fu quella la scintilla della guerra,
caldegiata in particolare dall’ambasciatore spagnolo a Genova, marchese di Sanilippo2, e dal Duca di Parma.
Tra le altre cause principali di questa decisione, come dichiarato da Madrid agli inviati britannici, vi era anche
il risentimento per lo scorretto comportamento dell’Arciduca (Carlo VI) che al momento dell’abbandono
della Catalogna e di Maiorca, aveva fatto consegnare dalle sue truppe le città e le fortiicazioni agli abitanti
dichiaratisi contrari a Filippo V, anziché consegnarle alle truppe spagnole, per cui l’esercito borbonico era
stato costretto ad una lunga e sanguinosa guerra per quasi un anno. Il 12 luglio la lotta ricevette l’ordine
segreto di attaccare la Sardegna, la cui difesa era aidata al viceré, il marchese di Rubì3 con appena 2 deboli
regimenti ispano-lombardi al servizio asburgico (regimenti Barbon di fanteria e Carreras di cavalleria). Il
2 Vincenzo Baccalar y Sanna, Marchese di San Filippo nacque a Cagliari il sei febbraio 1669, Dopo la Pace di Utrecht, nel
1713, il Bacallar venne nominato ambasciatore spagnolo a Genova, dove sì fermò una ventina d’anni. Egli morì l’11 giugno del 1726,
all’Aja, dove si era trasferito nel 1725, nominato ambasciatore in Olanda.
3 D. José Antonio de Rubì y Boxardos, dal 1717 marchese di Rubì (14 magio 1669 Barcellona, 31 dicembre 1740 Bruxelles),
già Viceré di Maiorca, uno degli emigrati catalani rimasti al servizio di Carlo VI d’Asburgo.
◀ Re Filippo V di Spagna, dipinto di Louis Michel Vanloo circa 1739 Museo del Prado Madrid

9
22 agosto la lotta borbonica comparve di sorpresa davanti a Cagliari, e sbarcò le truppe presso S. Andrea,
15 km più ad Est, mentre i cannoni dei vascelli sgombravano la riva dai 350 cavalieri nemici. L’assedio di
Cagliari durò 47 giorni, con violenti bombardamenti e reiterati contrattacchi imperiali: ma dopo l’apertura
della breccia la città si arrese. Un rinforzo di soli 400 uomini spedito frettolosamente da Napoli fu costretto
a capitolare a Terranova, e in novembre anche Alghero, ultima guarnigione asburgica dell’Isola, si arrese agli
Spagnoli, che vi nominarono subito un Viceré.

LA MEDIAZIONE INGLESE E LA QUADRUPLICE ALLEANZA

La riconquista spagnola della Sardegna acuì anche la tensione tra la Spagna e la Gran Bretagna
(intanto era morta la regina Anna [ultima rappresentante della Casa Stuart] e sul trono di Londra sedeva
il nuovo re, Giorgio elettore di Hannover). Al momento la corte spagnola dichiarò di non volere procedere
ad ulteriori atti di ostilità in Italia. Nel novembre 1717 Londra e Parigi avanzarono proposte di mediazione
che potessero in qualche modo soddisfare sia le pretese spagnole, che quelle austriache, non curandosi molto
delle attese sabaude (queste soluzioni prevedevano per Vittorio Amedeo la cessione della Sicilia all’Austria, in
cambio del regno di Sardegna, che sarebbe stata evacuata dagli spagnoli, e la successione ai ducati di Parma
e Toscana per il iglio di Filippo V ed Elisabetta Farnese, Carlo di Borbone), ma la diplomazia inglese non
riuscì a convincere Alberoni ad accettare il riassetto territoriale proposto. Alberoni ritenendo che la Gran
Bretagna avesse un ogettivo interesse al ridimensionamento della potenza asburgica in Italia e che non si
sarebbe impegnata in una nuova guerra nel Mediterraneo, si irrigidì dichiarando irrinunciabili il possesso
della Sardegna e l’esclusione dell’Impero dalla Sicilia. Al contrario, a seguito degli incontri diplomatici svoltisi
a Vienna nel marzo-aprile 1718, l’Imperatore Carlo VI aderì in linea di principio alla Triplice (anche l’Olanda,
oltre la Gran Bretagna e la Francia) e poi Quadruplice – Alleanza, rinviando peraltro la irma del trattato
sino alla ine dell’estate. Nel disperato tentativo di rompere l’isolamento diplomatico (i giochi escludevano
il duca di Savoia, il cui grande protettore era stata la regina britannica Anna, mentre il nuovo re Giorgio
non mostrava alcun interesse), tra il dicembre 1717 e il gennaio 1718 Vittorio Amedeo cercò vanamente di
ostacolare il progetto franco-britannico (che, ricordiamo, prevedeva la cessione della Sicilia agli Asburgo)
con missioni parallele in tutte le corti europee, prive di ogni risultato. I rapporti tra Torino e Vienna si
deteriorarono sino a rasentare uno stato di guerra. Ai primi di giugno 1718, quando Carlo VI aveva già deciso
di aderire alla Triplice, il sovrano sabaudo gli ofrì invano la rinuncia alla Sicilia e ai diritti di successione
spagnola in cambio della Sardegna e di magiori acquisizioni territoriali in Lombardia. Vienna si apprestava
ad afrontare direttamente la Spagna e non rinunciava alle pretese sulla Sicilia.
Nel frattempo Londra allestì una squadra per il Mediterraneo allo scopo di dimostrare sia all’Impero che alla
Spagna che la garanzia britannica sugli equilibri italiani era efettiva, e indurli entrambi ad una soluzione
paciica della loro controversia, accettando la mediazione e la proposta territoriale inglese. Londra temeva
però che l’irrigidimento spagnolo e asburgico e le diicoltà militari dell’Impero, impegnato nella guerra contro
la Turchia, favorissero la fazione revisionista e ilospagnola della corte francese. Per scongiurare una rottura
dell’accordo ragiunto con la Francia e una nuova grande guerra europea, alla ine di giugno Lord Stanhope
si recò personalmente a Parigi in missione diplomatica, per convincere il Regente (Duca d’Orleans, zio del
minore Luigi XV) ad accettare il riassetto territoriale proposto dagli inglesi. Il 18 luglio si irmò l’accordo con
l’Inghilterra, in base al quale le due Potenze si impegnavano ad una comune politica di pace e a persuadere
l’Olanda, la Spagna e il Piemonte ad unirsi con l’Impero in una grande alleanza europea. Il trattato di Londra
del 2 agosto 1718 sancì la Quadruplice Alleanza, in cui le Potenze riconoscevano la successione di Toscana e di
Parma, una volta estinte le dinastie dei Farnese e dei Medici, all’Infante di Spagna Don Carlos (1716-88), iglio
di secondo letto di Elisabetta Farnese, che aveva sposato nel settembre 1714 Filippo V, dopo la morte avvenuta
nel 1712 della prima moglie Maria Gabriella di Savoia (iglia di Vittorio Amedeo II).

10
IL REGNO SABAUDO IN SICILIA
Il 3 ottobre 1713 Vittorio Amedeo II, scortato da una lotta di navi britanniche dell’ammiraglio
Jennings era salpato dal porto di Villafranca, presso Nizza [ogi Villefranche], con un largo seguito di cortigiani
e di truppe, alla volta della Sicilia al ine di prendere uicialmente possesso del nuovo reame. Già il 31 luglio
del 1713 era stato stabilito che fossero destinate ad andare di guarnigione nell’isola le seguenti truppe
: aliquote delle Guardie del Corpo (allora due compagnie; una terza compagnia venne formata agli inizi
del 1714 in Sicilia con i nuovi sudditi), Archibugieri Guardie della Porta e Guardie svizzere; il regimento
Dragoni di Piemonte, 1° battaglione del regimento Guardie, 2° Battaglione Savoia, 1° battaglione
Monferrato, 2° battaglione Piemonte, 1° battaglione Saluzzo, 2° battaglione Fucilieri, 2° battaglione
svizzero-valesano Hackbrett (cui poi venne agiunto il 3° battaglione), aliquote del battaglione di
artiglieria. Qualche altro battaglione di fanteria nel corso degli anni venne ad accrescere il presidio
dell’isola4.
Arrivò in Sicilia il 10 dello stesso mese, accolto con entusiasmo dai nobili e dalla popolazione. Vittorio
Amedeo fu incoronato Re di Sicilia nella Cattedrale di Palermo il 24 dicembre 1713 con il titolo di Vittorio
Amedeo I re di Sicilia.
Però, dopo un breve sogiorno nell’isola, nel 1714 Vittorio Amedeo II ritornò in Piemonte, lasciando a Palermo
un Viceré, il conte Annibale Mafei5 con una buona guarnigione, circa 6.000 uomini, comprendente anche il
1° battaglione del regimento di Guardia o delle Guardie, composto, secondo la riforma dell’organico del 1712, da
una compagnia di granatieri e sette di fucilieri6.
La partenza del Re causò una prima grossa delusione ai Siciliani, che speravano di tornare a vedere Palermo
vera capitale di uno Stato sovrano ed alienò quindi alla causa dei Savoia molte simpatie, il che avrebbe
pesato non poco nelle successive vicende. Le altre delusioni vennero quando i sudditi si accorsero che molti
incarichi del governo dell’isola venivano aidati a Piemontesi, mentre i Siciliani migliori inivano a Torino. La
burocrazia sabauda, formatasi sotto Vittorio Amedeo e brillantemente collaudata nel periodo bellico, iniziò
ad esaminare tutto, decisissima a mettere ordine ovunque ed a consolidare il potere regio senza considerare le
sensibilità e le tradizioni locali (la cosa si ripeterà 150 anni dopo per tutto il regno delle Due Sicilie). Mettendo
le cose in ordine vennero fuori vari aspetti che non andavano per la burocrazia piemontese, e tra l’altro, nuove
4 Dai bilanci appare che nel corso del 1714 venne trasferito in Sicilia il regimento della Marina (costituito di un solo
battaglione) mentre l’anno successivo ne furono inviati altri tre, uno di Savoia, uno di Piemonte, uno di Saluzzo. portando a dodici il
totale dei battaglioni inviati in Sicilia. Nel 1716 venne poi mandato un altro battaglione del regimento Fucilieri, in sostituzione di
quello della Marina, che si pensava di destinare unicamente al servizio di truppa d’imbarco. Nelle intenzioni di Vittorio Amedeo si
doveva efettuare una rotazione tra i battaglioni distaccati in Sicilia e quelli rimasti in terraferma, ordinando al Viceré il 28 novembre
1714 di rinviare in Piemonte il battaglione delle Guardia e quello di Savoia; ma l’invasione turca della Morea lo costrinse a prendere
provvedimenti difensivi, prescrivendo quindi al Viceré di trattenere quei battaglioni (Stellardi Vol. III, p. 367).
5 Annibale Mafei nacque nel 1666 a Mirandola dal conte Giovanni Mafei e da Margherita Baglioni. In giovane età fu inviato
alla corte di Torino nel 1681 come pagio del duca Vittorio Amedeo II di Savoia, la iducia del quale ben presto si guadagnò il favore
a seguito al suo comportamento nella battaglia di Stafarda (1690). Prese parte a varie imprese quali la difesa di Avigliana, Cuneo,
l'assedio di Carmagnola e la ritirata dalla Valle di Susa, che gli permisero di essere fregiato il 31 marzo 1692 dell'Ordine dei Santi
Maurizio e Lazzaro. Partecipò inoltre alla campagna di Buriasco, all'assalto del forte di Santa Brigida e alla battaglia di Orbassano.
Nel 1695 fu inviato come diplomatico alla corte di Parma, ma fu più volte chiamato a partecipare a campagne militari, tra cui l’assedio
di Namur, a luglio. Fu ambasciatore del duca di Savoia in Inghilterra dal 1699 al 1701. Ebbe il grado di tenente colonnello di cavalleria
e nel 1703 fu nominato colonnello di uno dei regimenti di fanteria nuovamente levati, ma ritornò in seguito come ambasciatore a
Londra. Negli anni seguenti combatté a ianco del principe Eugenio e del duca di Marlborough. Nel 1709 fu nominato generale di
battaglia; nel 1712 intervenne come delegato del duca di Savoia al Congresso di Utrecht. Mafei fu nominato viceré di Sicilia dal 1713-
14 al 1719 dopo aver ricevuto la nomina di Gran Maestro di Artiglieria. Il 15 aprile 1729 gli fu assegnato il titolo di cavaliere dell'Ordine
Supremo della Santissima Annunziata. Successivamente fu ambasciatore del Re di Sardegna in Francia. Si ritirò dalla diplomazia nel
1732 e morì a Torino nel 1735.
6 Già il 31 luglio 1713 un ordine di Vittorio Amedeo aveva stabilito quali regimenti di fanteria del suo esercito avrebbero
dovuto essere destinati di guarnigione in Sicilia.

11
▲ Vittorio Amadeo II di Savoia viene incoronato nella cattedrale di Palermo
imposizioni di tasse (anche sugli alberi), e inine perino la ristampa della raccolta degli atti dei Parlamenti
di Sicilia, fu bruciata nel 1717 per ordine del Viceré quando questi lasciò Palermo. I nobili credettero di
vedere andare in fumo la propria indipendenza ed i propri privilegi e dentro di sé promisero di sbarazzarsi
dei Piemontesi alla prima occasione, che non avrebbe tardato a presentarsi; di lì a poco moltissimi di loro
passarono infatti entusiasticamente dalla parte spagnola7. La goccia che fece traboccare il vaso fu la politica
repressiva condotta contro il clero siciliano. La partecipazione agli eventi bellici da parte della popolazione
siciliana, animata e sostenuta da gran parte della nobiltà, fu molto intensa e convinta, come vedremo meglio
nelle altre parti di questa serie.
I fatti d’arme che seguirono all’invasione spagnola, ai quali parteciparono le truppe sabaude non
furono moltissimi : i principali consisterono nella marcia del Viceré Mafei da Palermo a Siracusa, nella quale
scontrandosi con le milizie paesane dopo un faticoso percorso ad ostacoli i Piemontesi riuscirono a giungere
a Siracusa, il lungo e duro assedio di Messina sostenuto con fermezza e con onore dai sabaudi, in un secondo
tempo con il rinforzo di truppe ausiliarie austriache provenienti da Regio, l’assedio della piazza di Milazzo,
che gli Spagnoli non riuscirono a conquistare, anche per il consistente nerbo di truppe imperiali che a più
riprese vi misero piede, oltre all’assedio di alcuni castelli e forti, rapidamente conclusi. Alle due battaglie
campali di Milazzo e di Francavilla parteciparono esigui contingenti sabaudi: un battaglione sabaudo
7 Non erano ancora passati cinque anni, che gli animi de’ Siciliani s’intiepidivano, anzi odiavano il governo savojardo; e questo per vari
motivi ... Ma le principali cagioni furono due, che poi, avanzandosi l’una e l’altra, fecero che fosse stato preso in odio non che il governo, ma l’istesso
nome di Savojardo. La prima fu la guerra fatta al papa ed ecclesiastici; e benché egli l’avesse trovata, la portò nondimeno a tal segno, che diede
licenza libera ed indipendente dal Viceré ad una giunta di ministri, da lui eretta, a metter mano sopra gli ecclesiastici, ed avvalorata dal suo braccio.
[…] La seconda fu l’interesse, per la quale le gabelle regie erano esatte con estrema delicatezza [rigore] e con esorbitanza, costringendo a pagar più del
solito e pagar quello, che mai si era costumato pagare. (BIBLIOTECA STORICA E LETERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di
Marzo DIARI Volume XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina, p. 115-116)

12
partecipò alla battaglia di Milazzo e dopo quella di Francavilla due battaglioni provenienti da Siracusa si
unirono all’esercito imperiale. Le piazze di Trapani e di Siracusa subirono un blocco ed una forma di assedio
niente afatto stringente; rimasero in potere dei Piemontesi ino a che non furono cedute agli Austriaci.
Le fonti bibliograiche sulla storia di questo periodo per quanto riguarda il regno di Vittorio Amedeo
di Savoia in Sicilia e le vicende delle truppe savoiarde, sono ancora costituite essenzialmente dai lavori di
Domenico Carutti e Isidoro La Lumia, oltre alla monumentale raccolta di documenti operata dall’abate
Stellardi, su incarico di Vittorio Emanuele II.
Successivamente Pio Bosi compose uno studio sulle truppe sabaude in Sicilia e, in tempi molto più recenti
Alberico Lo Faso Serradifalco ha presentato alcuni studi, molto dettagliati e ben documentati, sulle
vicende politiche e di guerra di quel periodo. Sono risultate anche signiicative varie relazioni di testimoni
contemporanei (diari, relazioni e gazzette dell’epoca) che narrano, sia pure da un punto di vista parziale, le
vicende che si stavano svolgendo sotto i loro occhi.
Per un inquadramento complessivo della situazione e una descrizione dello svolgersi dei fatti v. “Istoria delle
guerre avvenute in Europa e particolarmente in Italia per la Successione Spagnola 1696-1725.” Francesco
Maria Ottieri T. IV Roma 1757 ...,” p. 228 e seg.
LO SBARCO SPAGNOLO IN SICILIA (1° LUGLIO 1718)
Nella primavera del 1718, resisi intanto padroni della Sardegna, gli Spagnoli continuavano ad ac-
crescere i loro armamenti di terra e di mare, per cui il 13 aprile 1718 Vittorio Amedeo, che intanto era stato
informato dai suoi diplomatici del disegno di Francia e Gran Bretagna di cedere la Sicilia all’Imperatore
(senza averlo consultato) in cambio del riconoscimento di Filippo V come Re di Spagna, sperando in tal
modo di prevenire ulteriori atti di guerra, confermò al Mafei le istruzioni già impartite per la difesa della
Sicilia, raccomandandogli di non volere difendere tutto, usando a tal proposito un’espressione assai vivace “chi
tutto stringe nulla abbraccia”. In particolare invitava il Viceré, in caso di invasione, a concentrare la difesa delle
piazze di Messina, Trapani e Milazzo, poiché Palermo non era in grado di sostenere un assedio; a spostare le
truppe dalla costa occidentale a quella orientale dell’isola, dove la difesa sarebbe stata più facile, e dettava
una serie di modalità comportamentali nel caso di comparsa della lotta spagnola, prescrivendo che ne fosse
consentito l’attracco nei porti, solo in caso di tempesta. Su queste basi Mafei diede le disposizioni esecutive
per far fronte ad un’eventuale invasione e ordinò al marchese d’Andorno, comandante delle Armi in Sicilia,
di approvvigionare d’armi, munizioni e viveri la cittadella di Messina ed i forti della costa orientale. Egli all’i-
nizio di giugno ispezionò la costa, diede disposizioni per mettere i forti in stato di combattimento, e andò
a Messina per accordarsi col comandante della città, il marchese Tana d’Entraives, per le misure necessarie
a portare a termine i progetti difensivi8. Quando, all’inizio di luglio, seppe che gli Spagnoli erano sbarcati a
8 “Abbandonando Palermo si lasciarà un B.ne (=Battaglione) od un distaccamento di 500 Huomini per custodire Castelamare ed il Forte
del Molo, e prima di ritirare da detta Città le Truppe, che sono 4 B.ni di 600 Huomini cad.o con 300 H.ni della Marina e la metà del Regimento
Dragoni di Piemonte si provederà al Presidio di Trapani, et a quello di Termini, inviando in quella Piazza uno dei sudetti B.ni, et in questa un
distaccamento di 350, o 400 H.ni al più. In Palermo vi erano H.ni 3000. Se ne lasciano in Castelamare H.ni 500, in Trapani H.ni 600, in Termini
H.ni 400, totale 1500, che devono seguitare il Viceré H.ni 1500. Ha destinato il Marchese d’Andorno per commandare a Messina, suo Dipartimento,
Coste di Levante, e mezzo giorno. Vi sono in detta Città e suoi Forti cinque B.ni con quattro Comp.e del Regimento Dragoni Piemonte per agire
nel modo che li movimenti de Nemici potranno permettere e doppo tutte le diicoltà, che si opporranno allo sbarco, et passagio de’ Nemici nelle
Montagne, si lasciarà in quella Cittadella un Corpo di mille Huomini per la difesa della medesima.
In Melazzo si lasciarà il B.ne, che presentemente vi si ritrova di Presidio, e sarà in tempo rinforzato d’un distaccamento da detto Marchese d’Andorno
prima che si ritiri verso Taormina. Augusta si evacuarà di quanto vi si ritrova tanto de viveri, che d’attrazzi militari. In Siracusa si lascieranno per
hra due B.ni con una Compagnia del regimento Dragoni Piemonte e somministrerà 300 Huomini di detti due B.ni per restare in Augusta, sinche sij
come sovra evacuata. In Trappani si lascia il B.ne di 600 Huomini, che vi si ritrova presentemente e s’augmenterà quel Presidio come sovra s’è detto
con un Battaglione di quelli che usciranno da Palermo.
Quanto alle provisioni da bocca, che da guerra, come pure de fascinassi, gabioni, pichetti, et altri boscami per l’Artiglieria scrive che aveva date
tutte le disposizioni necessarie, ainchè ne venisse provvista la quantità che sarebbe di bisogno in cad.a di dette Piazze. Quanto alle riparazioni delle
fortiicazioni delle medesime vi si travaglia incessantemente. (A.S.To. Sicilia Inv. 1 Cat. 3 Mazzo 2 citato da Lo Faso di Serradifalco, Alberico
“I Piemontesi in Sicilia. L’assedio di Messina (luglio-settembre 1718)”)

13
Palermo, cercò di provvedere in fretta a rinforzare e rifornire la Cittadella e i forti dipendenti da Messina,
immagazzinando polvere da sparo, munizioni, esplosivi, mise l’artiglieria in stato di combattimento, dotò la
piazza del necessario per impiantarvi un ospedale. Non fu però possibile, per mancanza di tempo e di fondi,
efettuare la riparazione ed il raforzamento delle mura dei forti e della Cittadella. Intanto il conte Viancino
era stato spostato a Palermo a comandare le truppe in quella città, e il marchese d’Andorno al comando della
piazza di Messina, quale la piazza militare più importante del regno.

Come risulta da tutte le gazzette dell’epoca, Vienna, allarmata dalle mosse della lotta spagnola che
temeva diretta contro il regno di Napoli9 (anzi si sospettava ancora con l’appogio mascherato di Vittorio
Amedeo), dispose man mano il trasferimento di numerosi regimenti dal Milanese verso Napoli e dai territori
austriaci o verso il Milanese o direttamente verso il regno meridionale per via di mare nell’Adriatico, anche
approittando del fatto che nel frattempo si stava chiudendo positivamente la guerra contro i Turchi (con la
presa di Belgrado) e si rendevano quindi disponibili molte delle forze che erano state impiegate sul fronte
orientale.

Il 1° giugno era partito dall’Inghilterra (come una delle Potenze garanti dell’assetto europeo derivante
dai trattati di pace) l’ammiraglio George Byng (1663-1733) con una lotta di 20 navi di linea, 2 brulotti, una
nave ospedale e una nave oneraria con alcuni regimenti destinati a dare il cambio alla guarnigione inglese
di Port Mahon. Alla lotta iniziale si agiunsero altri legni lungo il tragitto, in particolare alle isole Baleari.
Oltrepassato il Capo S. Vincenzo, il 19 giugno Byng fece comunicare ad Alberoni, tramite l’ambasciatore a
Madrid, la richiesta di cessare le ostilità contro Carlo VI e l’oferta di una mediazione britannica, con l’av-
vertimento che la lotta inglese si sarebbe opposta a qualunque tentativo di attaccare Napoli o la Sicilia o di
sbarcare in qualsiasi altro punto della Penisola italiana. Le istruzioni per l’ammiraglio inglese erano che egli
dovesse rendere edotti la corte di Madrid, il Viceré di Napoli ed il Governatore di Milano che veniva inviato
nel Mediterraneo per promuovere tutte le misure che avrebbero potuto comporre al meglio le diferenze tra
le due corone, e per prevenire ogni ulteriore violazione della neutralità dell’Italia. Ma nel caso che gli Spagnoli
dovessero attaccare ancora i territori dell’Imperatore in Italia o tentare di invadere il regno di Sicilia, con l’evi-
dente intento di invadere poi il regno di Napoli, egli doveva con tutta la sua forza cercare di ostacolare questi
disegni. Se (al suo arrivo) gli Spagnoli fossero poi sbarcati in qualche territorio, avrebbe dovuto dissuaderli
e ofrire la sua assistenza per il ritiro delle truppe e porre ine ad ogni altro atto di ostilità. Se inine questi
tentativi amichevoli avessero dovuto risultare ineicaci, avrebbe dovuto difendere i territori attaccati, inter-
cettando navi e convogli (degli spagnoli) e, se necessario, opponendosi apertamente ad essi. Alberoni ricevette
le lettere di Byng solo il 30 giugno: ma anche se l’intervento inglese fosse stato più tempestivo, diicilmente
avrebbe modiicato le decisioni di Madrid. Infatti il 16 era salpata segretamente da Barcellona una poderosa
squadra spagnola, con l’ordine di aprire le lettere contenenti la destinazione solo una volta giunta a Cagliari.
In origine Filippo V intendeva efettivamente fare sbarcare la spedizione nel regno di Napoli, ma Al-
beroni l’aveva convinto ad attaccare invece la Sicilia, ritenendo in questo modo di poter evitare un intervento
inglese, dato che la garanzia britannica sui domini imperiali in Italia non si estendeva formalmente a quelli
sabaudi (senza considerare il fatto che l’Imperatore riteneva la Sicilia di sua appartenenza).
La lotta spagnola contava 12 vascelli, 17 fregate, 2 brulotti, 4 bombarde e 7 galere, con 276 legni da trasporto e
123 tartane sui quali erano imbarcati oltre 30.000 soldati, 100 cannoni da assedio, 25 da campagna, 40 mortai,
100.000 palle da cannone, 30.000 bombe e 20.000 quintali di polvere.

9 8 marzo 1718 Napoli (Avisi italiani di Vienna) Li continui armamenti della Spagna, per Mare, e per Terra, fanno stare vigilanti li
Cesarei in questo Regno, tanto più che dicesi, che sia destinata per il Rendevous generale di tutte le forze spagnole la Sardegna […]

14
Tav. 01 - Timballiere Dei Dragoni di S.M.

15
Tav. 02 - Guardie del Corpo - Ufficiale superiore

16
Tav. 03 - Reggimento Guardie, Ufficiale

17
Tav. 04 - guardie del Corpo, Cornetta

18
Il 1° luglio la squadra si presentò di sorpresa nella rada di Solanto presso Palermo10 e sbarcò circa
20.000 uomini a Bagheria, accolti molto favorevolmente dalla popolazione e dalla nobiltà. Infatti l’isola da
oltre tre secoli era legata stata alla Spagna e fra i due paesi si erano stabiliti saldi legami di sangue e di iducia.
La magioranza della nobiltà era stata infeudata da re spagnoli e le famiglie originarie siciliane si erano nel
tempo mescolate ai nobili catalani ed aragonesi venuti nei secoli successivi nell’isola al servizio dei monarchi
iberici. I sovrani di Spagna erano sentiti dai Siciliani come propri11. Il favore iniziale con cui era stato accolto
Vittorio Amedeo, soprattutto perché poteva signiicare la rinascita del regno con un re residente in Palermo,
come già notato, venne rapidamente declinando.
Il Re Vittorio Amedeo, benché avesse rinforzato il presidio dell’isola portandolo a 10.000 uomini, e
avesse lanciato un proclama ai sudditi incitandoli a sostenerlo contro gli invasori spagnoli, forse era ormai
rassegnato a perdere la Sicilia (e, come rilevano le fonti inglesi, poco propenso a dissipare le forze per l’inutile
difesa di un regno, che sapeva sarebbe probabilmente stato ceduto all’Impero). Così, volendosi persuadere che
l’Armata spagnola fosse diretta contro il regno di Napoli, il re sabaudo ordinò al viceré Mafei di accoglierla
come quella di un paese amico ed evitare atti di ostilità, a meno che di non essere attaccato.
Ma, appena completato lo sbarco, il marchese di Lede12 a capo della spedizione spagnola chiarì il suo
vero obiettivo con minacciose intimazioni.
In considerazione della disparità di forze (non potendo neanche contare sull’appogio della popola-
zione), il viceré Mafei decise allora di lasciare due piccoli presidi a Termini Imerese (il governatore del forte
e comandante la guarnigione era il conte Badat, con 2 compagnie del 2° Batt.ne Savoia a cui si agiunsero 184
uomini del 1° Guardie e di Hackbrett) e nel Castello di Palermo (Castellamare) e il 3 luglio uscì dalla capitale
con 400 funzionari e 1.400 soldati (1° battaglione Guardie, 2° Savoia, un battaglione di Hackbrett e 5 compagnie
del regimento Dragoni Piemonte tutti sotto il comando del conte Francesco Montanaro di Viancino colon-
nello del regimento La Marina), marciando verso Siracusa per Piana dei Greci, Corleone, Vicari e Vallelonga
con una marcia assai faticosa e contrastata, senza che un solo nobile si fosse presentato almeno a salutarlo.
Accompagnavano il viceré, oltre la moglie ed i igli, il conte Francesco Antonio Nicolis di Robilant auditore
generale di guerra consultore del regno di Sicilia, il conte Bolgaro direttore generale dell’Uicio del soldo, il
commissario di guerra Buttis, il conservatore Sapellani e vari altri personagi della corte vicereale.
L’8 luglio la colonna sabauda giunse a Caltanissetta, alla qual città erano intanto giunte le notizie
di quanto era avvenuto a Palermo. Priva di viveri, la colonna decise di entrare a rifornirsi in città. La milizia
civica, 400 uomini, appogiati dalla popolazione che si era dichiarata in favore di Filippo V, e forte dei pe-
10 .. la armata di Spagna ...consistente in dieci vascelli di guerra, di 60 in 74 cannoni, 16 fragate, 7 galere, 2 burlotti, 4 palandre e sopra 400
bastimenti di trasporto, nolegiati da Francesi, Genovesi ed Inglesi, fecero vela verso Palermo, dove il primo giorno di luglio dell'anno 1718, sulle ore
13, comparvero da ponente, lungi dalla città 6 in 7 miglia. Era comandata detta armata da D. Antonio Castagnetta, imbarcato sopra la nave San
Filippo di 74 cannoni, e che avea sotto di lui quattro capi di squadra: D. Ferdinando Ciacchon sopra il Principe d'Asturias, di 64 cannoni; il marchese
Stefano Mari sopra la Reale, di 62 cannoni; D. Girolamo Camok sopra San Ferdinando il Grande, di 62 cannoni; e D. Baldassare Guevara sopra
San Luigi, di 60 cannoni. Erano altresì le sette galere sotto il comando di D. Francesco Grimau, sopra la Capitana, e di D. Pietro di Montemayor,
sopra la Padrona. Il numero di tanti bastimenti era impiegato a portare, oltre le milizie, che noterò appresso, centocinquanta cannoni di bronzo di
24 libbre, con doppia cassa, e cinquanta altri di campagna di 16 libbre; quaranta mortari di bombe; quindecimila fascine; trentamila bacchette per
trincere; trentamila bombe, palle, granate e barrili di polvere senza conto, picche, zappe, chiodi, carri di trasporto, sacchi di miccio, sacchi di carboni
in considerabile quantità; mule per carriagi duecento, e di più la provigione necessaria per detta armata, valevole per quattro mesi, compresa la
paglia per tutta la cavalleria. BIBLIOTECA STORICA E LETERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di Marzo DIARI Volume
XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina). NB Le varie fonti diferiscono legermente nell’indicazione della
consistenza della lotta spagnola e delle truppe trasportate, ma le cifre qui riportate danno in sostanza conto della conmposizione
massicia della spedizione. In ogni caso nel corso del tempo altre truppe spagnole furono sbarcate nell’isola.
11 Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Mafei” in Studi
Piemontesi Nov. 1999, vol. XXVIII, fasc. 2
12 Jean-François de Bette, Marquis de Lede, (Bruxelles, 6 dicembre 1672 – Madrid, 11 gennaio 1725) esponente della primaria
nobiltà proveniente dai Paesi Bassi spagnoli da lungo tempo militante negli eserciti spagnoli nei quali ricoprì le più importanti
cariche.

19
rentori ordini diramati dal marchese de Lede in qualità di rappresentante di Filippo V di nuovo re di Sicilia,
che ingiungevano di non far passare e di non rifornire i Piemontesi, si oppose a mano armata. Il Viceré Mafei
perse la pazienza; sabato 9, fallite le trattative, i dragoni (Dragoni di Piemonte) caricarono, seguiti dai grana-
tieri dei battaglioni Savoia, Guardie ed Hackbrett, e giunsero alle porte della città, dopo alcune scaramucce
con la milizia, mentre i fucilieri, agiratala, vi penetravano dalla parte opposta conquistandola rapidamente,
perdendo 18 morti e 30 feriti contro 40 paesani e un sacco parziale alla città. Negli scontri morirono da parte
sabauda il barone di Faverges, 17 soldati tra fanti e dragoni, ed ebbero inoltre 31 feriti, tra cui due uiciali.
L’11 la colonna piemontese, dopo aver alla ine ottenuto qualche rifornimento, riprese la marcia, sotto il sole
e circondata da una popolazione ostile, che negava a mano armata i rifornimenti e costringeva ad evitare i
centri abitati. Transitando per Piazza Armerina, dopo aver incontrato ogni sorta di resistenze da parte del
popolo, sobillato dai nobili lungo tutto il percorso, il 16 luglio giunsero a Siracusa, dopo aver coperto 360 km
e perduto 113 uomini per fame e stenti13, e si chiusero nelle fortiicazioni in attesa delle mosse degli Spagnoli.
Questi, ragiunta la città, si limitarono però a bloccarla. Entrato in Siracusa il conte Mafei diede ordine
che le due imbarcazioni della marina, che vi si trovavano, partissero per Messina conducendo seco quattro
compagnie del regimento siciliano di Gioeni, che giunte in Messina il giorno 21, furono poste di guarnigione
nella cittadella. Nel contempo la popolazione di Agrigento si sollevò acclamando Filippo V re di Spagna e di
Sicilia, ed anche l’isola di Lipari si sollevò in favore degli Spagnoli, facendo prigioniero il governatore sabaudo
(che fu poi liberato). I Liparoti armarono poi diversi legni corsari e per oltre un anno condussero un’intesa
attività contro i legni napoletani ed austriaci, ino a che non furono sottomessi con la forza da una apposita
spedizione armata austriaca14.
Frattanto gli Spagnoli erano entrati in Palermo accolti dalla cittadinanza come liberatori. L’artiglie-
ria del castello di Palermo (Castellamare), al cui comando era il tenente colonnello cav. Carlo Marelli capitano
nel regimento di Guardia, con 5 compagnie del regimento La Marina, tentò di molestare i lavori di approccio
del nemico, ma la sera del 12 luglio gli Spagnoli aprirono il fuoco con una batteria di mortai seguita poco
dopo da una di cannoni, e al mattino seguente, senza opporre ulteriore resistenza, Marelli si arrese, nonostan-
te avesse ordine di resistere almeno ino all’apertura della breccia; più tardi, liberato dagli inglesi, ragiunse
Siracusa dove fu processato e fucilato per non avere adempiuto ino in fondo al suo dovere15. In seguito gli
Spagnoli misero il 17 luglio il blocco a Trapani, energicamente presidiata dal generale conte di Campiglione
con 2 battaglioni (1° Saluzzo e 1° Monferrato).
13 Così la gazzetta contemporanea, Avisi Italiani di Vienna, riporta la cronaca dei fatti:
14 luglio 1718 Palermo “Doppo d’essersi fatti gli attacchi, e piantate le batterie contro il Castel à Mare di questa Città, si cominciò da’ Spagnuoli à
farsi fuoco la notte scorsa con sì favorevole successo, che senza far alcuna breccia nelli ripari à capo di 4 ore gli Assediati fecero la Chiamata, essendo
essi in numero di circa 460 Soldati, e 18 Uiziali; e benche essi pretendevano di sortire cogli onori militari, il Generale Lede fece loro intendere, che
non li voleva altrimenti ricevere, che à discrezione, al che inalmente acconsentirono li Piemontesi, & havendo subito li Spagnuoli preso possesso
del Castello, ne uscirono li Contrarii, che mostrano inclinazione di prendere partito frà le Truppe Angiuine. Il Conte Mafei proseguisce la ritirata
verso Siracusa, dove si crede giunto con qualche perdita di Gente; e dietro di lui è andato il Tenente Generale D. Luca Spinola colla vanguardia
della Cavalleria, mà per la di lui precipitosa ritirata, non lo puotè arrivare; e secondo si suppone esso Mafei per l’oposizione, che haverà incontrata
nel camino dagli ininiti Popoli, he acclamano da per tutto l’Armi Angiuine, e si armano contra li Piemontesi, haverà perduta molta Gente del suo
seguito a ogni Passo, come si è veduto nella Villa di Caltanizzetta, li di cui Paesani ne hanno uccisi ino a 40, e frà essi il Nipote del medesimo Conte
Mafei, per la sola pena, che haveva ordinata a quel Popolo, che somministrasse alle sue Truppe Pane, & Biada : & il detto Ten. Generale Spinola và
altresì per agiutare tutti quei Paesi. Il resto della Cavalleria Spagnuola si è incaminata verso Messina per bloccarla inchè il Marchese di Lede vi
passi per Mare con tutta la Fanteria, che è già imbarcata, per mettervi l’assedio formale. La Città di Cattania si impadronì del suo Castello, facendo
prigione il poco Presidio Piemontese, che vi era. Tutti li Corrieri che spediscono li Governatori delle Piazze Nemiche sono condotti al Campo
Spagnuolo da’ medesimi Paesani, che procurano attrapparli. Il Tenente Generale Montemar resta nella Valle di Mazara con un Campo Volante di
3. mila huomini per impedire le Guarnigioni Nemiche di Trapani, e Termini.”
14 Per una descrizione dettagliata delle vicende della marcia del Viceré Mafei v. Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi
in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Mafei” in Studi Piemontesi Nov. 1999, già citato.
15 Vittorio Amedeo II era molto rigido sul comportamento dei comandanti di piazze o fortezze. Anche nelle precedenti
guerre, ogni volta che una piazza si arrendeva al nemico, il comandante o governatore veniva sottoposto a giudizio, e, se trovato
colpevole, subiva una severa punizione, che poteva giungere alla pena di morte.

20
▲ Entrata della lotta spagnola nel porto di Messina. Questa e le stampe successive derivano dal volume: “Vera e distinta relazione
de’ progressi dell’Armi Spagnuole in Messina, e suo Distretto fatti sotto la Direzione dell’Eccellentissimo Signore D. Giovanni France-
sco de Bette Marchese di Lede, Cavaliero dell’Insigne Ordine del Toson d’Oro, Capitan Generale dell’Eserciti di Sua Maestà, Direttore
Generale di tutta la sua Infanteria Spagnuola e straniera, Comandante Generale del Regno d’Aragona, Vice-Rè e Capitan Generale
per la Maestà di Filippo V in questo Regno di Sicilia.” Vincenzo Migliaccio Messina 1718

Il 22 luglio il grosso delle forze spagnole, al comando di Lede, sbarcò tra Milazzo e Messina, quest’ul-
tima piazza difesa dal generale Ghirone Silla S. Martino, marchese di Andorno, colonnello del regimento
di Guardia, iglio del marchese di Parella distintosi nelle guerre del Seicento. Aveva ai suoi ordini circa 6.000
uomini, con 5 battaglioni (3° Savoia, 1° Piemonte, 2° Fucilieri, 2° e 3° Hackbrett 550 uomini in tutto) e 4 compa-
gnie siciliane (regimento Gioeni 290 uomini), oltre ad alcune Milizie urbane con il loro Capitano ed un po’ di
truppe montate (dragoni Piemonte).
I magiorenti della città lo convinsero però a chiudersi nella cittadella e nei forti esterni, e a lasciarli
liberi di trattare col nemico, in modo da evitare che i combattimenti coinvolgessero gli abitanti. Il 24 luglio
le prime truppe spagnole entrarono in città accolti favorevolmente e predisposero l’attacco alle posizioni sa-
baude, posizionando le batterie per l’assedio delle fortiicazioni avversarie. Il 27 cadde il forte del Castellaccio,
seguito il 31 luglio ed il 4 agosto da quelli di Matagrifone e di Gonzaga. Resistevano tuttavia in mano sabauda
la Cittadella e il forte di S. Salvatore.
Contemporaneamente il duca di Montemar, distaccato dal Marchese di Lede con un corpo di truppe
per dirigersi contro Trapani, attaccava prima il castello di Termini Imerese, difeso da 300 uomini (2 com-
pagnie del 2° Savoia, 185 tra Guardie e alcuni svizzeri del regimento Hackbrett) al comando del conte Badat

21
governatore del Castello. Mentre la città si era sollevata contro il dominio sabaudo ed aveva acclamato per
re Filippo V, il 26 luglio le batterie spagnole aprirono il fuoco e il 3 agosto la breccia. Con un’eroica sortita il
presidio riuscì a devastare le trincee nemiche, ma la sera seguente, esaurite le munizioni, dovette arrendersi
per evitare l’ormai imminente assalto generale.
Lo stesso giorno altre forze spagnole, sostenute dalle milizie isolane, bloccarono Siracusa da terra
e da mare. In questi frangenti caddero gli ultimi dubbi austriaci circa una segreta intelligenza tra Spagna e
Vittorio Amedeo. Il Viceré Mafei da Siracusa, sulla base delle istruzioni ricevute dal sovrano, richiese l’aiuto
(oferto) degli austriaci, che presidiavano in forze Regio di Calabria ed iniziarono ad inviare da lì e da Na-
poli soccorsi di viveri e munizioni e poi anche di uomini ai sabaudi in Messina. Vienna annunciava anche di
avere predisposto l’invio di un consistente nerbo di truppe (dai conini orientali) verso l’Italia. Rimanevano
in potere dei Piemontesi le sole Piazze di Trapani, Siracusa, Messina, e Milazzo. Il 9 di agosto un emissario di
Vittorio Amedeo, il conte Solaro di Borgo, concordò col Viceré austriaco di Napoli, conte Daun, l’ammissione
in Messina di truppe imperiali. In conseguenza di ciò altre truppe austriache entrarono in forza nella piazza
assediata dagli Spagnoli, ed in seguito anche in quella di Milazzo, rimpiazzando in parte quelle piemontesi,
che furono inviate a Regio per un meritato periodo di riposo.

LA BATAGLIA NAVALE DI CAPO PASSERO (11 AGOSTO 1718)

Benché si tratti di un combattimento navale, che non riguardò direttamente né l’esercito di terra spagnolo, né
tantomeno quello sabaudo, trattiamo nel seguito l’episodio della battaglia navale di Capo Passero, tra la lotta
britannica e quella spagnola, perché l’esito segnò in modo decisivo l’andamento della guerra.
L’ammiraglio Byng apprese della spedizione spagnola contro la Sicilia solo il 12 luglio, quando giunse
a Port Mahon. Fece allora vela su Napoli, dove giunse il 1° agosto. Qui, secondo le istruzioni ricevute e autoriz-
zato e incoragiato da Stanhope, prese accordi di cooperazione militare con il viceré conte Daun. L’obiettivo
inglese non era solo quello di garantire la difesa del Regno di Napoli e di impedire un allargamento del con-
litto. C’era anche la forte tentazione di cogliere un’occasione irripetibile per distrugere il nucleo fondamen-
tale della lotta spagnola e accrescere così la sicurezza del traico commerciale inglese, anche nelle Americhe.
Il compito non era tuttavia facile. Byng sapeva che la squadra dell’ammiraglio Castañedo era ormegiata nella
Rada Paradiso, un miglio a nord di Messina, l’unico buon ancoragio dello Stretto, e conosceva la diicoltà
di accedervi da nord. Tuttavia, mentre 10.000 soldati imperiali si concentravano via terra a Regio Calabria,
le 21 unità inglesi imbarcarono altri 2.000 soldati (I.R. Regimento Wetzel), e la notte del 5 agosto salparono
da Napoli verso il Faro di Messina.
Giuntovi tre giorni dopo, Byng inviò una lettera a Lede invitandolo a sospendere le ostilità. La risposta di
Lede non lasciò dubbi sulla determinazione spagnola per la conquista dell’isola e Byng decise di sbarcare i sol-
dati imperiali a Regio per poi tornare ad ancorarsi a Messina. Strada facendo apprese però che l’ammiraglio
Castañedo aveva lasciato lo Stretto ed era stato avvistato al largo delle coste calabre, diretto a Sud verso Sira-
cusa, e decise di intercettarlo (senza peraltro dichiarare intenzioni ostili agli Spagnoli). Infatti il mattino del
10 agosto i trasporti spagnoli ormegiati nella Rada Paradiso salutarono con 21 salve di cannone il passagio
della squadra inglese, che rispose nello stesso modo. Prima di sera Byng avvistò la squadra spagnola, forte di 26
vascelli (in gran parte ex-mercantili convertiti in navi da guerra), 2 brulotti, 4 bombardiere, 7 galere e parecchi
trasporti. Al mattino dell’11 agosto Byng distaccò 8 unità contro le navi minori spagnole della retroguardia e
alle 11 attaccò i vascelli al largo di Capo Passero, ancora una volta senza dichiarazione di guerra anche se gli
Inglesi, almeno nelle loro dichiarazioni posteriori, aspettarono che gli Spagnoli, colti di sorpresa, aprissero
per primi il fuoco. Lo scontro si protrasse per oltre sette ore. A sera 17 navi spagnole erano state catturate (e
con esse un gran numero di marinai e soldati degli equipagi) e altre 8 inseguite e bruciate nella baia di Avola.
Solo 22 legni, in gran parte minori, riuscirono a salvarsi.

22
▲ Lo scontro navale di Capo Passero del 11 agosto 1718

LE OPERAZIONI TERRESTRI IN SICILIA (AGOSTO 1718 - SETEMBRE 1719)

Frattanto 2.000 soldati imperiali provenienti dal presidio di Regio avevano rinforzato la guarnigione della
Cittadella di Messina16. La composizione iniziale del presidio era la seguente: 3° batt.ne regimento Savoia,
1° di Piemonte, 2° dei Fucilieri, 2° e 3° di Hackbrett, 4 compagnie di Gioeni. Al principio, fedele alla consegna,
il generale piemontese Andorno li aveva riiutati, asserendo di avere truppe suicienti per la necessaria resi-
stenza. Solo un ordine scritto del suo Re lo convinse ad accogliere i rinforzi “alleati”, senza tuttavia cedere il
comando della piazza.17
Neanche lo sbarco di successivi contingenti imperiali e la supremazia navale anglo-austriaca, impedì al mar-
16 Per una ricostruzione precisa e ben documentata dell’assedio della piazza di Messina e della valorosa resistenza opposta
dall’esercito sabaudo v. Lo Faso di Serradifalco, Alberico “I Piemontesi in Sicilia. L’assedio di Messina (luglio-settembre 1718)” in “Studi
Piemontesi” Dic. 2003, vol. XXXII, fasc. 2.
17 6 settembre 1718 Napoli Mercordì con espresso venuto da Regio, s’hebbe l’aviso che continuando l’ostilità tra’l Campo degl’Angiuini
sotto Messina, e le Fortezze della Cittadella, e Salvatore della medesima Città, s’erano dal General Barone Wezel il giorno de’ 24 caduto distaccati
2 Battaglioni Alemani, con suoi rispettivi Uiziali, per andare in rinforzo delle sudette Fortezze Cittadella e Salvatore, essendo felicissimamente
entrati la notte dell’istesso giorno, conducendo ancora quantità di utensili di Guerra, con molti attrezzi & altri requisiti militari; essendo all’incontro
usciti e venuti nel luogo della Catona presso Regio medesimo, altri due Battaglioni Savojardi di quelle Guarnigioni, gente veterana, e ben all’ordine;
e coll’istesso Corriere si confermò la grande costernazione che regnava, non solo nel Campo nemico, mà anche in tutti quei Popoli del Regno di Sicilia
per l’intiera disfatta dell’Armata di Mare Angiuina … (Avvisi italiani di Vienna).

23

Potrebbero piacerti anche