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Approfondimento sui romani

I principali sport nell'antica Roma erano: il pancrazio, la lotta, il pugilato, la corsa, il lancio del
giavellotto, il lancio del disco, il lancio del peso, che erano stati presi a modello dalla Grecia.

La concezione dello sport nell'antica Roma però non rifletteva la predilezione della cultura greca
per le attività atletiche non professionali, per gli agoni gare incruente riguardanti non solo lo sport
ma anche diversi campi delle attività umane, dove il vincitore riceveva un premio per aver
dimostrato, secondo la mentalità greca, le sue superiori doti fisiche e morali.
Quarant'anni prima della conquista della Grecia, prima ancora che la sua civiltà influisse su quella
romana, i certamina graeca, come quelli istituiti da Marco Fulvio Nobiliore nel 186 a.C., erano
considerati dalla società romana esibizioni immorali prive di quelle finalità pratiche che davano
senso all'addestramento ginnico militare per l'esercizio della guerra.

Scriveva l'intellettuale Tacito che temeva, come quella parte della società romana più legata alle
tradizioni, che le raffinatezze greche potessero invalidare gli antichi valori
Nello stesso senso va considerata l'avversione della classe senatoria per quegli imperatori infatuati
dalla civiltà greca come Caligola o lo stesso Nerone che suscitava scandalo dilettandosi di
partecipare personalmente ai giochi.

La nudità degli atleti poi, che presso i Greci stava a rappresentare la bellezza della vittoria sportiva,
disturbava il senso del pudore dei Romani che alla fine operarono una incisiva modifica di
costume, già delineatisi nella cultura greca, dando vita a una classe di specialisti e professionisti
nelle attività sportive della quale poteva far parte chiunque, senza distinzione di appartenenza
sociale, come dimostra il ritrovamento nel 1959 in una tomba del V secolo a.C. del cosiddetto
Atleta di Taranto dove emerge la funzione sociale dell'evento atletico, non più legato a significati
religiosi e alla dimostrazione della preminenza della classe nobiliare, ma come espressione di una
forma di intrattenimento.
L'ideale greco per cui l'atleta rappresentava l'ideale dell'equilibrio armonico, che ciascuno doveva
cercare di perseguire tra il corpo e la mente, andava perso invece proprio con la specializzazione
fisica come sosteneva il celebre Galeno (129-201) che criticava l'esasperato atletismo, nemico
della salute e causa di abbrutimento di atleti che pensavano solo a «mangiare, bere, dormire,
evacuare e rotolarsi nel fango» e che si riducevano a una massa informe di carne e sangue dove
l'anima annega.
Una descrizione dell'atleta, quella di Galeno, che trova riscontro nei mosaici provenienti dalle
Terme di Caracalla (212-217), oggi conservati ai Musei Vaticani, o in quelli nella villa romana del
Casale (Piazza Armerina) del IV-V secolo, dove l'atleta è raffigurato con un corpo tozzo e sgraziato
nella muscolatura, molto diverso da quello raffigurato in molte statue della Grecia classica.
Costituiscono invece un'eccezione più unica che rara la rappresentazione dello sport, sempre nei
mosaici di Piazza Armerina, dove compaiono le palestrite, eccezionale esempio nell'antichità di
sport femminile.

L'attività sportiva viene invece spesso assimilata agli spettacoli del circo come quelli[3] che si
svolgevano nello stesso ambiente dell'ippodromo dove le prestazioni ginniche, come la lotta e il
pugilato, si svolgevano insieme alle corse delle quadrighe o ai giochi molto apprezzati dal pubblico,
di funambolismo dei desultores, capaci di saltare da un cavallo all'altro in corsa o saltare a cavallo
una quadriga.

In conclusione secondo la moderna storiografia dello sport si può sostenere che


Per moderare la virulenza dei cruenti spettacoli del circo, che scandalizzava la parte più moderata
dei Romani, Augusto ripropose i tentativi sporadici di Silla, Pompeo e Cesare di introdurre a Roma i
giochi greci dove prevaleva lo spirito agonistico e nei quali la gara serviva a fortificare il corpo non
a distruggerlo.[5]

Per celebrare la sua vittoria su Marco Antonio e Cleopatra nel 28 a.C. istituì ad Azio e a Roma gli
Actica di cui però già nel 16 d.C. gli autori romani avevano perso memoria. Come pure non
durarono i giochi Troiani che egli
(LA)
«Sed et Troiae lusum edidit frequentissime maiorum minorumque puerorum, prisci decorique
moris existimans clarae stirpis indolem sic notescere. In hoc ludicro Nonium Asprenatem lapsu
debilitatum aureo torque donavit passusque est ipsum posterosque Torquati ferre cognomen.
Mox finem fecit talia edendi Asinio Pollione oratore graviter invidioseque in curia questo Aesernini
nepotis sui casum, qui et ipse crus fregerat.»

(IT)
«... organizzò spesso... tra ragazzi di età maggiore e minore, pensando che fossero una nobile
usanza antica per mettere così in evidenza il valore di una stirpe illustre. Durante queste gare Lucio
Nonio Asprenate era rimasto contuso in seguito ad una caduta. [Augusto] gli regalò una collana
d'oro e lo autorizzò a portare, lui stesso e i suoi discendenti, il nome di Torquato. Più tardi però
mise fine a queste manifestazioni, poiché l'oratore Asinio Pollione, carico di odio, si era lamentato
davanti al Senato per il caso di suo nipote Esernino, che si era rotto le gambe
Nerone cercò di rinnovare in Roma i giochi greci con i Neronia che dovevano essere celebrati in
Roma periodicamente e che consistevano in prove di resistenza fisica, di canto e poesia. Vi fu
qualche senatore che partecipò alle prime gare ma nessuno osò gareggiare nelle seconde dove
primeggiava lo stesso imperatore.
Modello ricostruttivo dell'Odeon (al centro) e dello Stadio di Domiziano (in basso).
Anche queste furono dimenticate e solo Domiziano riuscì a rendere duraturi i giochi greci
istituendo nell'86 l'Agon Capitolinus dove venivano premiate dallo stesso imperatore in occasioni
alterne le gare di corsa, di eloquenza, di pugilato, di poesia latina, del lancio del disco, di poesia
greca, del lancio del giavellotto, di musica. Le gare atletiche si svolgevano nel Circus Agonalis, fatto
appositamente erigere dall'imperatore, mentre per quelle intellettuali fu costruito l'Odeon.

L'Agon Capitolinus rimase in voga anche dopo la morte del suo fondatore: Marziale ne scrisse le
lodi e l'imperatore Flavio Claudio Giuliano continuò ad interessarsene, ma le gare si tenevano ogni
quattro anni e i luoghi destinati ad accoglierle avevano una disponibilità di posti molto limitata
rispetto a quelli del Colosseo. In effetti questi giochi erano poco apprezzati dal pubblico e l'alta
società romana ne criticava la prevalenza di motivi stranieri e l'immoralità dei nudi degli atleti.

I giochi greci continuarono così ad essere osteggiati dai romani: Plinio il Giovane approvò la
decisione del Senato di proibirli a Vienna Lugdunense e scrisse: «Vorrei che si potesse sopprimerli
anche a Roma.»

I munera invece vedevano una folta partecipazione del popolo che ne apprezzava la brutalità che
alcuni imperatori tentarono di diminuire: Adriano proibì che della schiera dei gladiatori facesse
parte uno schiavo senza il suo consenso, Traiano, Marco Aurelio, tentarono di estendere la parte
dello spettacolo dedicata alla lusio diminuendo così il tempo per i combattimenti reali dei
gladiatori e cercarono di ridurre le spese statali per i munera che tuttavia mantennero l'aspetto di
quello spettacolo dove «l'uomo gode di nutrirsi del sangue umano» (iuvat humano sanguine frui)

Finalmente l'imperatore cristiano Costantino il 1º ottobre 326 decretò che le condanne ad bestias
fossero sostituite dai lavori forzati ad metalla ed eliminò la primaria fonte di reclutamento dei
gladiatori.

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