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HIP HOP

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NASCITA DELL’HIP HOP E FATTORI SOCIALI
L’Hip Hop è un movimento culturale nato nel Bronx nella prima metà degli anni ’70. Il Bronx è uno dei
cinque distretti amministrativi di New York, passato alla storia in quel periodo per essere stato vittima di
un notevole decadimento urbano, che portò il quartiere ad elevatissimi tassi di povertà e disoccupazione,
favorendo l’aumento delle attività criminali e la nascita delle “gang”. Tra i primi eventi che portarono
all’impoverimento del Bronx troviamo la costruzione nel 1959 della “Cross-Bronx Expressway”, una grossa
arteria stradale che attraversa il cuore del quartiere, durante la cui realizzazione furono abbattute case,
magazzini e fabbriche. Ciò significò la perdita del lavoro per una buona parte degli abitanti di quella zona e
spinse la classe media bianca a trasferirsi altrove, alla ricerca di maggiori sicurezze economiche e di uno stile
di vita più agiato: ne conseguì una forte svalutazione del patrimonio immobiliare, che spinse molti
afroamericani a trasferirsi nel Bronx attirati dagli affitti meno cari rispetto agli altri quartieri.

Lo scenario del Bronx era caratterizzato dai


palazzi abbandonati e dalle macerie di
quelli andati distrutti.

Col passare degli anni l’alto tasso di


disoccupazione spinse molti giovani verso la criminalità: questi, insediandosi in complessi abitativi
abbandonati, si unirono in gruppi creando le cosiddette gang, associazioni criminali che si contendevano il
quartiere, sostentandosi grazie al ricavo di attività illecite, prima fra tutte lo spaccio di stupefacenti. In poco
tempo la situazione degenerò, gli scontri armati divennero all’ordine del giorno e le poche attività
commerciali rimaste nella zona subirono una lunga lista di furti e rapine. Contemporaneamente la giunta
comunale di New York apportò per ragioni politiche un grosso taglio alla spesa pubblica, investendo molti
meno soldi nelle forze dell’ordine e andando a diminuire il numero degli agenti di polizia attivi sul territorio.
Si innescò così un effetto domino: gli ultimi bianchi della classe media rimasti nel Bronx fuggirono via e il
tasso di povertà raggiunse un livello talmente critico che le persone rimaste furono costrette a dedicarsi ad
attività illegali per guadagnarsi da vivere.
Gli scontri tra le gang portano a centinaia di morti, molte famiglie ormai esasperate bruciarono le proprie
case nella speranza di ricevere la polizza assicurativa antincendio e di potersi quindi trasferire altrove, e
molti cominciarono a rubare dai palazzi abbandonati sanitari, fili in rame e infissi di metallo per poi
rivenderli.

In questa foto è possibile osservare il


decadimento urbano a cui fu soggetto il Bronx
durante gli anni ’70.

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HIP HOP
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Per un decennio il Bronx venne abbandonato a se stesso e alle dure leggi della strada, dove il più forte
prevarica il più debole, diventando la capitale statunitense del crimine: la polizia si ritrovò infatti
disorganizzata e con fondi insufficienti per poter affrontare un intero quartiere dove le normali leggi non
avevano più valore, e la classe politica volse lo sguardo altrove interessandosi ad altre aree della città, dato
che la Middle Class, costituente la gran parte dell’elettorato, aveva ormai abbandonato il quartiere. Si stima
che il 40% degli edifici situati nel Bronx furono distrutti, portando l’aspetto del quartiere a quello di una città
bombardata durante la seconda guerra mondiale.

“Non avevo mai visto una cosa simile dai tempi della Londra bombardata dai nazisti”.

Disse il presidente Ronald Reagan durante la prima visita del quartiere nel 1980.
Con l’avvicinarsi degli anni ’80 il Bronx cominciò ad affrontare una fase di ricrescita e la classe dirigente si
interessò alla riqualificazione del quartiere investendo 1 bilione di dollari per la costruzione di nuove
strutture residenziali. Ma fu la nascita dell’Hip Hop che portò un vero cambiamento in positivo per questo
quartiere. I ragazzi più giovani, cresciuti in un contesto di massima povertà e segnati dalla morte di amici e
familiari, decisero di stabilire una tregua tra le gang favorendo la convivenza pacifica rispetto alla violenza:
questo nuovo clima favorì l’integrazione e lo scambio culturale tra le varie etnie residenti nel quartiere,
principalmente afroamericani e sudamericani, ponendo le basi per la nascita dei “block party”, delle vere e
proprie feste di quartiere basate sulla musica e sul ballo.
Il “giorno zero” dell’Hip Hop può essere individuato nell’11 agosto 1973: una ragazzina decide di
organizzare una festa in casa, al 1520 di Sedgwick Avenue, e dà al fratello maggiore l’opportunità di esibirsi
per la prima volta in veste di Dj. Questo si presenta con qualcosa di incredibile che lascia tutti a bocca aperta:
due giradischi, un mixer e una nuova tecnica incredibilmente rivoluzionaria che permetteva di mettere in
loop le sezioni più ritmiche dei dischi e che di lì a poco avrebbe radicalmente cambiato il panorama
musicale. Il suo nome è Clive Campbell, in arte Dj Kool Herc, riconosciuto a livello mondiale come il
primo pioniere dell’Hip Hop, e a quell’evento furono presenti altri due individui fondamentali per la storia di
questa cultura: Afrika Bambaataa, che contribuì a porre le basi dei principi etici del movimento, e
Grandmaster Flash, creatore di diverse tecniche fondamentali per lo sviluppo musicale del genere.
Quel giorno nacque qualcosa di totalmente nuovo, e da quel momento una grande energia si diffuse tra i
giovani del quartiere e tutti quelli che avevano partecipato alla festa cercarono di ricreare quell’atmosfera e
quella musica che Kool Herc era magicamente riuscito a tirar fuori da due comuni giradischi. Bisognò però
aspettare fino all’anno seguente per vedere questo fenomeno prendere forma: è infatti nel 1974 che acquista
una forte identità e si consolida in un vero e proprio movimento culturale basato su forti principi etici che
viene denominato “Hip Hop” da Afrika Bambaataa, fondatore inoltre della “Universal Zulu Nation”,
associazione che ha lo scopo di fornire delle indicazioni etiche ai giovani che si avvicinano a questo
movimento.
L’Hip Hop si divide in quattro discipline, derivanti dalle più comuni e immediate forme di espressione
artistica: il B-boying (o Breakdance), legato al ballo, il Writing, legato alla pittura e all’arte calligrafica, e
infine il Djing e l’Mcing, costituenti l’aspetto musicale di questa cultura. Questi mezzi espressivi nascono
dall’unione di tutte le varie usanze culturali derivanti dalle diverse etnie che popolavano il Bronx. Una delle
più importanti influenze riguardanti il Djing viene dalla Giamaica e dal Dub, un sottogenere del Reggae nato
negli anni ’60. In questo filone musicale i produttori creavano versioni strumentali molto lunghe dei brani
Reggae in voga al momento per rispondere alle esigenze dei locali da ballo: si erano infatti accorti di come i
giovani che volevano ballare apprezzassero maggiormente le sezioni ritmiche dei dischi, ricche di bassi e
percussioni. Ciò spinse Dj Kool Herc, per l’appunto di origine Giamaicana, e poi molti altri Dj del Bronx a
sviluppare tecniche che permettessero di isolare e ripetere queste sezioni ritmiche ritenute particolarmente
interessanti.
Per quanto riguarda il Rap, o Mcing, esso affonda le sue origini in tecniche espressive per lo più derivanti
dal popolo afroamericano: l’improvvisazione di versi in rima su basi strumentali deriva dai Griot dell’Africa
occidentale, poeti e cantori che tramandavano oralmente la cultura tradizionale, e dal toasting, tecnica
d’intrattenimento sviluppatasi in area caraibica che consiste nel racconto di lunghe storie in rima. Si ritiene
che gli MC (letteralmente “Master of Ceremony”) abbiano preso ispirazione anche dagli spiritual e da
elementi di talking blues, una divagazione in rima di tema ironica che si era diffusa nel Blues dei primi
periodi.

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HIP HOP
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È interessante osservare la fondamentale funzione sociale ricoperta dal movimento Hip Hop nella seconda
metà degli anni 70 nel Bronx: esso nasce dalla tregua tra le gang e porta quindi in sé un forte messaggio di
pace e di integrazione. Con la nascita dei block party e di questa cultura viene per la prima volta offerta la
possibilità ai giovani del quartiere di confrontarsi in modo costruttivo e di imparare ad apprezzare le
differenze delle loro culture, e ciò dà agli abitanti del Bronx la possibilità di cercare e creare una nuova
identità culturale dopo anni segnati dal crimine e dalla povertà.
Le gang si trasformano in “crew”, iniziando a incanalare e sfogare le tensioni sociali e il bisogno di
autoaffermazione attraverso l’Hip Hop: agli scontri armati vennero preferite le gare di ballo tra B-boys e le
battle di freestyle, in cui gli MC si sfidavano improvvisando versi in rima. Ciò dimostra ancora una volta
come l’arte ed in particolare la musica costituiscano un elemento benefico nei confronti della società,
favorendo lo sfogo delle tensioni tra classi sociali ed etnie differenti, e donando ai giovani la possibilità di
affermarsi in qualcosa che fa bene sia a loro sia alla comunità nella quale vivono.
Assumendo sempre più la forma di un vero e proprio movimento nuovo, l’Hip Hop ha sviluppato la sua
funzione principale di mezzo di comunicazione, portando i creatori a dare uno stampo etico a questa cultura,
per migliorare la società e il Bronx stesso. In particolare l’organizzazione Zulu Nation ha sempre curato
molto questo aspetto, presentando all’ONU la Hip Hop Declaration of Peace, nella quale viene ribadito che

“La cultura Hip Hop rispetta le leggi e gli accordi della sua società, non partecipa deliberatamente o
volontariamente a qualsiasi forma di odio, disonestà, pregiudizio o furto”.

“L’Hip Hop è da considerarsi come una consapevole cultura internazionale che fornisce a ogni razza, tribù,
religione e popolo una base per la comunicazione delle loro migliori idee e dei loro migliori valori”.

E’ necessario sottolineare che nel corso degli anni il genere musicale nato da questo movimento, che viene
comunemente chiamato Rap, non ha sempre rispettato i cardini fondamentali di questa cultura: bisogna
infatti distinguere chi nel corso degli anni ha aderito a questa cultura e chi invece si è solo impadronito del
metodo espressivo del Rap per poi trasmettere valori in contrasto col vero movimento Hip Hop. E’ inoltre
importante precisare che questo genere è nato in un quartiere dove le morti per droga e gli scontri da arma da
fuoco erano all’ordine del giorno, e tuttora molti rapper e DJ vivono in ambienti difficili dove regna il
crimine, ed è quindi normale trovare nella loro musica elementi che rimandano alla droga, alle armi e alla
violenza: anche in questo caso però l’Hip Hop non è altro che una via di fuga da queste situazioni disagiate
che offre la possibilità a chi non ha niente di poter raccontare il suo inferno quotidiano.
Rivestendo una forte funzione di intrattenimento, ed essendo un’ottima musica da ballo, questo genere si è
ampiamente diffuso in America e poi nel mondo, andando a sua volta a portare grandi influenze nella società
e nella mentalità dei giovani. In particolare il Rap ha influenzato il modo di vestire e di parlare dei giovani,
contribuendo alla nascita di un vero e proprio “slang”. Viene inoltre ampiamente accusato di indurre i
giovani a compiere comportamenti contro produttivi per la società, come il vandalismo e varie attività
illecite: gli artisti del genere si sono però difesi dicendo che è proprio grazie al Rap se in America e poi nel
mondo è stato possibile parlare di alcuni temi a livello mediatico. E’ inoltre importante ricordare ancora che
il “Gangsta Rap” ed il movimento “bling bling” (legati appunto all’attività criminale e all’ostentazione di
armi e soldi) sono solo un piccolo aspetto dell’Hip Hop che per motivi mediatici e commerciali ha avuto
maggiore visibilità, ma che va in diretto contrasto con le basi etiche di questa cultura e che per questo è
sempre stato criticato nell’ambiente “underground”.

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HIP HOP
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HIP HOP E FATTORI TECNOLOGICI
L’Hip Hop si basa musicalmente su vari supporti tecnologici, primo fra tutti il giradischi: esso è stato infatti
usato più volte come simbolo di questo genere musicale e tuttora il movimento Hip Hop riconosce nel vinile
il miglior supporto per ascoltare musica.
Le origini del Djing ci portano infatti al 1973, quando Kool Herc iniziò a sperimentare all’interno dei block
party una nuova tecnica rivoluzionaria, il “break beat”, che presto diventò l’elemento fondamentale di questa
musica. Egli notò che all’interno di queste feste le persone mostravano particolare interesse nei confronti
delle parti dei dischi più ritmate e ricche di percussioni, e quindi più adatte al ballo: decise così di selezionare
i dischi più interessanti sotto questo aspetto (tra i primi dischi usati da Kool Herc troviamo “Give It Up Or
Turnit A Loose”, a indicare quanto siano state fondamentali le sonorità e l’energia del Funk per la nascita
dell’Hip Hop) e si procurò un rudimentale soundsystem formato da due giradischi, un doppio amplificatore
con due canali per chitarra (usato come mixer) e degli altoparlanti. La tecnica da lui ideata consisteva nel
mettere sui piatti due copie dello stesso disco dal quale aveva selezionato un “break” di batteria di una certa
durata e appena un disco raggiungeva la fine del break, Herc faceva partire l’altro dall’inizio dello stesso giro
da lui scelto. Mentre questo suonava, tornava ad ascoltare in cuffia il primo disco e lo riportava all’inizio del
punto selezionato, facendolo ripartire al momento giusto (si usava anche segnare con dei pastelli a cera il
punto del disco in cui iniziava la prima battuta del giro scelto). In questo modo si poteva mettere in loop una
sezione ritmica e riprodurla ininterrottamente (il gesto di alternare i due giradischi passando da un canale
all’altro del mixer venne chiamato “Get Down”, come ricorda Grandmaster Flash), assemblando questi break
che diedero appunto vita alla “Break Dance” e che presto divennero le basi su cui i primi MC provavano a
rimare.

Scatto di uno dei primi block party, dove è


chiaramente visibile un DJ che sta usando la
coppia di giradischi ed un MC con il microfono
in mano.

Da allora sempre più giovani cercarono di procurarsi una coppia di giradischi su cui far suonare i dischi che
già avevano in casa e da questa tecnica nacque una nuova concezione della musica, che partendo da qualcosa
di preesistente puntava a riutilizzare in modo creativo parti strumentali già registrate: per la prima volta il DJ
modificava la musica invece di riprodurla semplicemente, assumendo un ruolo nuovo, nel quale era richiesta
una buona conoscenza musicale e l’ascolto di molti dischi per riuscire a trovare sempre più break da isolare
adatti al ballo. Ciò portò alla nascita di molti nuovi DJ i quali cercarono nuove tecniche per poter interagire
coi dischi: lo scopo, alimentato ulteriormente dalla competizione diffusasi tra i membri di questo movimento,
era quello di prendere un break  ritmico e attraverso queste tecniche che prevedono il diretto contatto tra le
mani ed il vinile sul piatto andare a modificare il più possibile la traccia, cercando così di dimostrare
un’abilità creativa e quasi compositiva.
Questi DJ, che per la prima volta sentivano il forte bisogno di creare musica nuova e di suonarla, si
avvicinavano concettualmente all’immagine di un musicista che con lo strumento in mano cerca di creare
qualcosa di originale e personale, discostandosi completamente dai DJ che siamo abituati a vedere nelle
discoteche odierne. Questo forte impulso a creare qualcosa di nuovo portò Grandmaster Flash ed il suo
apprendista Grand Wizard Theodore a sviluppare la tecnica dello “scratch” che negli anni portò alla nascita
del Turntablism, l’arte di creare musica e manipolare i suoni tramite i giradischi ed il mixer. La storia
racconta che un giorno Grand Wizard Theodore, per mettere a tacere la musica sul giradischi mentre sua
madre lo stava chiamando, mise la mano sul disco facendolo così scivolare sotto la puntina scoperta,
generando un nuovo suono che variava a seconda della velocità e della posizione della mano e a seconda del

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HIP HOP
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tipo di suono sul quale veniva applicata la tecnica (lo scratch sul suono di un rullante risulta infatti molto
diverso rispetto a quello applicato ad una voce).
Ciò permise ai DJ del Bronx di avere a disposizione molti più elementi per poter creare qualcosa di nuovo
partendo dai vinili storici della black music. C’era però un problema, costituito dal fatto che i giradischi usati
al tempo erano “a cinghia”, il che vuol dire che il motore del giradischi comunica col piatto appunto
attraverso una cinghia: ciò significava che ogni volta che il disco veniva fermato o semplicemente toccato,
poi non ripartiva subito ma aveva bisogno di un paio di secondi per riprendere la velocità di 33 giri al
minuto, e questo costituiva un limite esecutivo per i DJ, che per fare ripartire il disco subito alla velocità
giusta dovevano calcolare la forza da imprimere al disco con la mano. Ciò offrì uno dei maggiori pretesti che
portarono alla nascita di una nuova generazione di giradischi, quelli a “trazione diretta”, che rimangono
tuttora i migliori per prestazioni e fedeltà del suono: essi non avevano più la cinghia perché il motore era
direttamente attaccato al piatto.
Grazie a questo miglioramento fu possibile ovviare al problema dei DJ, in quanto grazie alla trazione diretta
il piatto di questi giradischi ha un momento angolare maggiore, e quindi esso continua a girare anche se il
disco sopra viene fermato: così appena il DJ toglieva la mano dal disco esso iniziava subito a girare a 33 giri
esatti.
Dall’avvento del break beat in poi, la musica Hip Hop acquistò un andamento ripetitivo, ed è per questo che i
DJ degli anni ’80 decisero di provare a usare i primi campionatori disponibili all’epoca per creare questi loop
strumentali: ciò rivoluzionò completamente questa musica e diede finalmente la possibilità ai DJ (che nel
frattempo iniziarono a farsi chiamare “producers”, in quanto il loro ruolo principale era diventato quello di
creare basi musicali su cui i “rapper” potevano rimare) di esprimersi creativamente nel modo più ampio
possibile all’interno di questo genere. I campionatori sono strumenti musicali elettronici in grado di
acquisire campioni audio e dotati di controlli manuali e unità visive per modificare i suoni del campione
registrato (in inglese “sample”).
Grazie al loro utilizzo nell’Hip Hop, essi vennero incredibilmente migliorati e subirono un’evoluzione che
rese possibile un nuovo genere di idea compositiva, quella basata appunto sui campioni. La musica che ne
nasceva era sì basata su materiale preesistente, ma poteva comunque vantare una forte componente di
originalità: i nuovi campionatori permettevano infatti di velocizzare e cambiare la tonalità di un sample, di
rovesciarlo, di aggiungervi effetti e di tagliarlo in piccoli segmenti di breve durata per poi mescolarli, e in
molti casi i producers più talentuosi usavano quattro o cinque sample presi da canzoni diverse nello stesso
brano (era possibile per un DJ creare propri set di batteria prendendo i singoli suoni, come cassa rullante e
piatti, da dischi diversi, in modo tale da creare un proprio suono caratteristico raccogliendo le sonorità dei
dischi che lo hanno musicalmente più influenzato).
I campionatori maggiormente usati negli anni ’90, definita la “Golden Age” dell’Hip Hop, sono gli Akai
s900 e 950 ed il rivoluzionario Akai MPC (Music Production Controller), del quale continuano tuttora ad
essere prodotti nuovi modelli. Queste apparecchio permette di avere un controllo completo del campione e
grazie ai suoi sedici pad sensibili permette di dividere una battuta nelle parti desiderate (si può ad esempio
dividere una battuta di 4/4 in 16 sedicesimi) per poi riassemblarla a piacimento. In questo modo è possibile
anche isolare ogni singola nota e creare delle proprie librerie di suoni di batterie, di basso, e in generale di
tutti quelli strumenti che il producer ha deciso di campionare e di inserire nei suoi brani. L’MPC offre inoltre
alcuni accorgimenti che cercano di sorpassare il limite posto dal fatto di comporre musica tramite una
macchina, dando la possibilità di dare un certo accento alle note, di impostare un livello di swing alla batteria
e di mettere brevi rallentamenti o lievi stonature che cercano di ricordare l’effetto reso da uno strumento
musicale suonato da un essere umano.
Oggi la produzione Hip Hop usa una quantità incredibile di macchine e dall’avvento dei computer si sta
spostando tutto in digitale, anche se tuttora la gran parte dei DJ Hip Hop sono fedeli alle radici del genere
continuando a basarsi sui vinili e sui campionatori.

Un’AKAI MPC 2000XL, uno dei campionatori degli anni ’90 che hanno avuto maggiore successo
nell’ambito dell’Hip Hop.

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HIP HOP
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L’HIP HOP E L’INDUSTRIA DISCOGRAFICA
Per i primi anni dopo la sua nascita l’Hip Hop rimase un fenomeno di quartiere isolato nel Bronx, infatti il
primo brano Rap messo in circolazione fu Rapper’s Delight della Sugarhill Gang, pubblicato nel 1979.
Tuttavia c’era ancora una totale mancanza di attenzione mediatica nei confronti di questo fenomeno
musicale: è infatti nel 1984 che il rap assume visibilità a livello mainstream con la rielaborazione dei Run
Dmc di“Walk This Way” degli Aerosmith. Iniziarono così ad esserci le prime produzioni discografiche di
artisti Hip Hop, radio e televisioni cominciarono ad interessarsi a questo genere musicale.
Presto arrivò l’intuizione del potenziale economico che le case discografiche potevano avere nell’investire in
questa musica e così il mercato iniziò a cercare questi nuovi Rapper e DJ di cui aveva sentito parlare.
Cominciarono così a diffondersi i primi nomi, che poi sarebbero entrati a far parte dell’Olimpo dell’Hip Hop,
come Rakim, Public Enemy, N.W.A. (dai quali usciranno poi i famosi Ice Cube e Dr.Dre), Beastie Boys e
molti altri. Dato il crescente interesse da parte del pubblico giovanile, i media dedicarono sempre più spazio
a questo genere e nel 1988 MTV introdusse “Yo! MTV Raps” nel palinsesto: nacque così il primo
programma televisivo completamente dedicato a questa musica, che segnò definitivamente l’avvento del Rap
prima in America e poi nel mondo.
La grande visibilità che questa musica acquistò grazie al suo incontro con l’industria discografica e con lo
show business fece sì che il Rap (inteso ora solo come genere musicale) cominciasse a discostarsi da alcuni
valori fondamentali per la cultura Hip Hop: le tematiche trattate nei testi cominciarono così a subire dei
cambiamenti, in buona parte dettatati appunto dal contatto col mondo del mercato musicale. Nonostante i
compromessi a cui il genere è dovuto scendere per rendersi commerciabile, è comunque importante ricordare
il contributo di questi processi che hanno permesso la diffusione dell’Hip Hop, che senza l’appoggio dei
media e dell’industria discografica sarebbe rimasto un piccolo movimento confinato nel suo quartiere
d’origine.
Inoltre, seppure siano stati i prodotti più commerciali ad avere una maggiore visibilità, la diffusione del Rap
ha permesso anche ai pionieri del genere di avere il loro momento di gloria, e nonostante questo genere sia
stato più volte accusato di “essersi venduto” esistono tuttora figure che nonostante la notorietà decidono di
non tradire i canoni musicali ed i principi etici di questa cultura.
Queste evoluzioni che il rap si è trovato ad affrontare in seguito all’interazione con l’industria discografica
possono essere osservate nel sotto genere del “Gangsta Rap”, che negli anni è purtroppo diventato l’aspetto
più diffuso e famoso del Rap. Esso parte dalla narrazione della difficile situazione sociale delle comunità
afroamericane delle periferie, ma si distacca da tutte quelle tematiche orientate all’aiuto della comunità e
legate ai valori della cultura Hip Hop.
Se originariamente il Rap trattava argomenti duri e difficili, lo faceva comunque in un ottica simile a quella
del verismo Verghiano, nel quale l’ascoltatore-lettore è messo di fronte a fatti reali caratterizzati da forti
ingiustizie per portarlo a riflettere riguardo a queste tristi tematiche. Se nell’Hip Hop si era soliti parlare di
armi e spaccio di droga, lo si faceva per mettere la comunità al corrente di ciò che non andava e per aiutare i
più giovani a non finire sulla cattiva strada: lo scopo era quello di unire uno sfogo personale, dato da un
vissuto difficile, ad un messaggio mirato ad aiutare la società.
Nel Gangsta Rap questa propensione all’aiuto della comunità lascia il posto al materialismo, alla misoginia e
all’uso della violenza come mezzo per affermarsi socialmente all’interno del proprio gruppo di appartenenza
(cosa che portò poi a storiche faide tra movimenti Rap, la più famosa delle quali fu lo scontro in America tra
East Coast e West Coast). L’introduzione dell’Hip Hop nel mercato discografico e l’attenzione dei media nei
suoi confronti si sono rivelati quindi un’arma a doppio taglio, fondamentali per la conservazione e la
diffusione del genere ma allo stesso tempo complici della perdita dei valori etici alla base dell’Hip Hop (e
col tempo anche della perdita dei canoni musicali: il Rap di oggi non ha musicalmente nulla a che vedere con
quello originario, e infatti sta sfociando in un nuovo genere, la “trap”, concettualmente quasi opposto ai
valori e all’estetica Hip Hop).
Un’altra tendenza derivata dalla diffusione mediatica del Rap (e totalmente in contrasto coi principi che
hanno fondato questo movimento) è il “bling-bling”: questo termine entra a far parte dello slang americano
nei primi anni ’90 ed indica il riflesso creato dai gioielli d’oro colpiti dalla luce, che sostanzialmente
rappresenta l’attitudine al materialismo e l’ostentazione della ricchezza. Nasce a livello sociale come mezzo
di autoaffermazione e di ostentazione materialistica per ribadire il fatto che grazie alla propria musica (e
quindi grazie all’appoggio del settore discografico) si è usciti da una situazione difficile e si è diventati
ricchi, raggiungendo l’obbiettivo del riscatto sociale.

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HIP HOP
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In combinazione con MTV ciò ha portato alla nascita dei videoclip Rap a cui siamo abituati, nei quali
vengono rappresentate in un insieme quasi grottesco montagne di soldi, prostitute, armi, droga e scene di
violenza e di discriminazione: ancora una volta possiamo mettere in luce come, tramite la diffusione a livello
mondiale di questo genere, il mezzo espressivo del Rap si sia staccato completamente dalle sue radici Hip
Hop e le abbia in un certo senso tradite.
Gli stessi artisti italiani più famosi del momento che usano il Rap per esprimersi, come Club Dogo, Fabri
Fibra, Fedez e J-Ax, mandano ai giovani messaggi di stampo materialista senza dare profondità ai loro testi e
senza inserire il benché minimo elemento di critica sociale, basandosi su musiche piatte nel confronto delle
quali non può essere riconosciuto nessun tipo di meritò, né compositivo, né stilistico, e che hanno ormai
abbassato il Rap al livello di “musica da discoteca”.

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HIP HOP
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RAPPORTO TRA HIP HOP E POLITICA
L’ Hip Hop, nascendo in un contesto disagiato segnato dalla povertà e dalla disparità sociale, si è sempre
posto come un movimento di protesta che ha interagito attivamente fin dalle sue origini col contesto politico.
Pur non essendosi mai accostata a nessun partito o ideologia politica in particolare, questa cultura ha sempre
cercato di portare consapevolezza tra le persone suggerendo una visione critica della società e impegnandosi
in tematiche come la disparità tra classi sociali e la situazione di grande povertà che caratterizza il popolo
afroamericano. L’Hip Hop si è infatti incentrato sulla lotta al razzismo ed ha più volte contribuito alla
formazione di scioperi e manifestazioni per i diritti civili, appoggiando figure come Martin Luther King e
Malcolm X.: in questo senso i fondatori di questa cultura, come Kool Herc e Afrika Bambaataa, si sono più
volte dichiarati entusiasti dell’elezione di Barack Obama, tenendo comunque a precisare che la strada verso
la parità sociale è ancora lunga.
L’elezione di Donald Trump ha invece creato grande scompiglio nell’ambiente Hip Hop e molti rapper (tra
cui Chuck D dei Public Enemy, Jeezy, The Creator e Mac Miller) si sono dichiarati fortemente contrari alla
politica di Trump e alla sua ideologia discriminatoria nei confronti della popolazione afroamericana e
sudamericana.
Seppure l’Hip Hop si sia posto fin da subito come un movimento di protesta che mira all’uguaglianza tra le
classi sociali, fu con la nascita del “Conscious Rap” che i testi iniziarono a basarsi sulla critica sociale,
facendo del Rap un veicolo per poter parlare coi giovani di temi come la disparità dei diritti e la lotta alla
violenza. Questo sottogenere nacque nel 1982 con il brano “The Message” di Grandmaster Flash, che dettò
un cambiamento radicale nel genere andando ad influenzare tutti i rapper delle generazioni a venire. Un altra
figura socialmente impegnata fu Tupac Shakur, rapper e attivista statunitense, che attraverso i suoi testi si è
espresso su tematiche come l’emarginazione sociale, la violenza, la corruzione delle istituzioni e l’abuso di
potere da parte delle forze dell’ordine.
L’Hip Hop inoltre ha avuto influenze sul sistema legislativo americano (e non solo), favorendo la nascita di
varie leggi riguardanti la censura dei testi nei brani musicali. A riguardo bisogna ricordare che il Rap ha
contribuito, insieme al Rock, alla nascita del “Parental Advisory” (abbreviato PAL), un’etichetta affissa alle
copertine di quei dischi che vengono considerati inadatti per i contenuti trattati o per l’uso di un linguaggio
esplicito. Il primo album Hip Hop a ricevere l’etichetta fu “Rhyme Pays” di Ice-T, uscito nel 1987, uno dei
primi dischi del sottogenere Gangsta Rap.
Un’altra caratteristica che lega l’Hip Hop alla sfera giuridica è la tecnica del campionamento (o sampling):
essa consente, attraverso un campionatore, l’acquisizione in digitale di un evento sonoro. La caratteristica di
questo genere però è di non campionare suoni presi dall’ambiente esterno, ma piccole sezioni di musica
prese da dischi già esistenti (di solito si predilige registrare dal vinile): il merito del produttore sta nel
trasformare i sample, sovrapponendoli e cambiandone la velocità e la tonalità, per ottenere un prodotto
personale che si discosti da quello di partenza. Bisogna però considerare che utilizzare una registrazione di
altri per produrre musica propria è illegale ed equivale a un plagio, che può avere conseguenze sia civili che
penali: si va infatti ad infrangere le leggi riguardanti il diritto d’autore, l’istituto giuridico che ha lo scopo di
tutelare le opere dell’ingegno,
riconoscendo all’autore originario una serie di diritti di carattere sia morale che patrimoniale.
Inoltre molti artisti si sono dichiarati contrari a questo modo di far musica, accusandolo di copiare qualcosa
di già esistente, e tra i primi a schierarsi contro l’uso dei sample possiamo trovare James Brown, da sempre
contrario a questa tecnica (nonostante la sua musica abbia involontariamente contribuito alla nascita dell’Hip
Hop), che in un’intervista del 1991 per DJ World dichiarò: “Il 95% della musica moderna contiene James
Brown… Quando qualcuno utilizza la mia voce, sta rubando a tutti gli effetti”.

I produttori Hip Hop si trovano quindi obbligati a compiere una serie di scelte prima di poter pubblicare i
loro brani, per evitare di incorrere in problemi legali. Il primo metodo (e l’unico legalmente valido) è quello
di dichiarare il sample e ottenere il permesso scritto di usarlo da parte dei titolari dei diritti d’autore, e nasce
quindi da un accordo tra l’autore originario ed il producer, che a volte si può trovare costretto a cedere anche
l’80% dei profitti del suo brano. A volte al contrario capita che il titolare dei diritti eviti di denunciare il
plagio, considerando la cosa in un’ottica promozionale: i fan dell’Hip Hop infatti sono soliti andare a cercare
quali sono i brani originali da cui è stato preso il campione (a tal proposito si veda il sito WhoSampled).

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HIP HOP
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Spesso si sceglie invece di non dichiarare un sample perchè lo si è preso da un disco di un autore sconosciuto
e si ritiene che i titolari dei diritti non potranno mai venire in contatto col brano contenente il campione in
questione (oppure perchè, al contrario, il producer ha una visibilità talmente ristretta da ritenere improbabile
che l’autore del brano originale scopra l’utilizzo che lui ne ha fatto). Infine bisogna considerare il fatto che la
metodologia di produzione musicale dell’Hip Hop stimola la creazione di un prodotto personale ed originale,
spingendo i producer a compiere uno studio approfondito sulle tecniche di campionamento, sulle
caratteristiche dei generi campionati e sulla teoria musicale in generale, portando sempre più in là gli
orizzonti di questa musica nel tentativo di fornire la libertà compositiva e l’intensità espressiva di uno
strumento vero e proprio. Ciò ha portato ad usare sample sempre più brevi e a storpiarli inserendo vari
effetti: questo aspetto ha iniziato a rappresentare un ulteriore vantaggio per i producer, che creando qualcosa
di molto diverso dal brano originale, reso praticamente irriconoscibile, non si trovavano più costretti a
dichiarare i campioni e a cedere a terzi una parte del guadagno ricavato dalla musica.

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