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Milano
Collana Velvet
Progetto grafico
Blacks
Illustrazione di copertina
NoReply
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SAL
stampato presso
Fotolito Graphicolor snc
Città di Castello (PG)
per No Reply srl
www.noreply.it
A Leo, mio papà,
GRACE SLICK
JERRY RUBIN
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: Indice
17 PARTE PRIMA
SBOCCIANO I FIORI AD HAIGHT-ASHBURY
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145 VII AMSTERDAM VIVE IL MARXISMO DI GROUCHO
147 VIII COPENHAGEN È L’ULTIMO BALUARDO
214 BIBLIOGRAFIA
218 INDICE DEI NOMI
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:
SOGNATORI
INNAMORATI DELL’AMORE
di Lucia Vasini
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amore» non è stato solo uno slogan pacifista ma anche condizione men-
tale: sono stati veri e propri sognatori che hanno interpretato l’amore
come passione sensuale e consacrazione dell’altro.
Tra il 1965 e il 1969 è stato un susseguirsi di novità, musicali e artisti-
che, simboli di un’epoca nuova che, senza l’uso della politica, è stata vista
come rivoluzione sociale ma anche artistica dove il teatro di strada di
San Francisco informava la gente di quello che accadeva nel Paese e nel
Vietnam, e dove le rockstar erano le portavoce del movimento. Una ri-
bellione decisa, ma mai violenta: sempre con il sorriso e un fiore tra i ca-
pelli. In California assieme al movimento è nato un nuovo modo di fare
musica, di suonare e cantare.
Se oggi per «sentirsi insieme» i giovani utilizzano la tecnologia,
i Figli dei fiori avevano l’arte e la musica, insieme si ascoltavano i dischi
e le canzoni con i messaggi universali trasmessi da Jimi Hendrix, Janis Jo-
plin, Jefferson Airplane, Carlos Santana. E questa musica “nuova” era ar-
rivata anche in Italia, dove i nostri primi complessi traducevano le
canzoni che venivano da là: dai Rokes, Ma che colpa abbiamo noi, ai No-
madi che in Dio è morto (testo di Guccini) citano l’Howl di Ginsberg, e
l’anno dopo cantano Un figlio dei fiori non pensa al domani. Poi ci sono
i Dik Dik, con Sognando la California e L’isola di Wight; e i Giganti con
Proposta (conosciuta come «Mettete dei fiori nei vostri cannoni»). Can-
tavano la nuova libertà dei capelli lunghi e dell’amore senza divieti; ma,
soprattutto, invitavano al viaggio, a uscire di casa, a provare un’esperienza
“on the road”.
Poi, alla fine del decennio sconfitta dalle industrie, dal consu-
mismo, dagli interessi economici e politici, l’epoca degli hippie e del loro
sogno s’è chiusa definitivamente.
Sono stati anni meravigliosi, forse irripetibili, in cui un’intera genera-
zione ha cercato di cambiare il mondo con i colori, l’arte e l’amore; ri-
bellandosi all’ipocrisia di un modello sociale e all’arroganza della politica
con l’impegno culturale e civile.
Un’epoca e un movimento che vanno ricordati e rispettati.
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Introduzione
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identificava nell’American Dream. Il Grande sogno che diffondeva sicu-
rezza e secondo il quale «ognuno negli Stati Uniti può avere successo e
prosperare». Siamo agli inizi degli anni Sessanta, anni in cui è vincente
lo stereotipo della famiglia felice composta da due giovani, belli, puliti e
sani, con due bambini, altrettanto belli, puliti e sani, che vivono in una
villetta, con cane, gatto e giardino, televisione (sempre accesa) in salotto
e automobile nel garage. Per loro, ovviamente, c’è un roseo futuro al-
l’orizzonte.
A svegliare tutti arriva il Vietnam: gli americani vanno in guerra.
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volevano i Figli dei fiori. O, forse, perché parole come Pace e Amore co-
minciavano a essere una minaccia per l’America, impegnata in guerre
infinite contro Vietnam e Cambogia, in rapporti tesi con l’Unione So-
vietica, con violenti conflitti razziali interni e con presidenti, politici e
predicatori assassinati.
E a Woodstock si è celebrata la festa d’addio. Quell’apparente di-
simpegnato weekend di Ferragosto del 1969 si sarebbe trasformato -
complici le infervorate interpretazioni dei media, un triplo album pietra
miliare della discografia rock, un film-monumento e una presenza ocea-
nica e appassionata di giovani - nel sogno utopico di una nazione alter-
nativa, celebrata da un fiume di musica che usciva definitivamente allo
scoperto, lasciandosi alle spalle il marchio “underground” e diventando
semplicemente rock. Una nazione ansiosamente inseguita dall’industria
discografica e dai teorici dei nuovi consumi che scoprivano, nello ster-
minato pubblico hippie (o supposto tale) un serbatoio di risorse e un
proficuo investimento per gli anni a venire.
Il trasgressivo slogan dei Figli dei fiori è stato: Fate l’amore, non
fate la guerra. Ma la storia e gli eventi lo capovolsero in Non fate l’amore,
fate la guerra. Purtroppo, così fu.
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PARTE PRIMA
SboccIAno I fIoRI Ad HAIgHT-ASHbuRy
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I
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que si trovi nelle vicinanze. Gli Stati Uniti sono ancora in guerra - l’ultima, la
guerra di Corea, era terminata nell’estate del 1953 - e al fronte sono chiamati
anche i ventenni che però, questa volta, non ci stanno e vogliono farlo sapere or-
ganizzando le prime manifestazioni di protesta contro questo intervento mili-
tare dall’altro capo del mondo.
Verso la fine del 1964, nella sede dell’Università di Berkeley in California,
nasce la prima protesta vera e propria contro il coinvolgimento dell’Università
in ciò che, negli anni Cinquanta, il presidente Dwight Eisenhower aveva chia-
mato «complesso militare-industriale». Le proteste a Berkeley proseguono anche
nel 1965, quando gli studenti si ribellano all’arresto di un attivista anti-razzista
che, davanti al portone d’ingresso del Campus universitario ha installato un ta-
volo di propaganda a favore dei diritti civili ai colored. La giustificazione ufficiale
dell’arresto fornite dalle autorità sono banali: all’interno dell’Università, c’è scritto
in uno stringato comunicato, è da sempre vietato fare qualsiasi tipo di propa-
ganda politica, anche la più banale ed elementare. A questa azione seguono una
lunga serie di sit-in spontanei e la costituzione del Free Speech Movement (Mo-
vimento per la libertà della parola) che organizza l’occupazione di un edificio
amministrativo. All’interno dei locali occupati si svolgono corsi autogestiti di
attività culturali e spettacolari. La rivolta segna la nascita di una “consapevo-
lezza di gruppo” da parte degli studenti, le dimostrazioni dilagano a macchia
d’olio in tutta la California e proseguono per tutto l’anno. Un dato importante da
rilevare, forse caso unico al mondo, è che il Movimento non solo non si rifà a
nessun partito, ma non conta alcuna personalità politica tra i suoi portavoce; i
suoi messaggi, infatti, sono affidati soltanto a poeti, cantanti, scrittori e studenti.
È la middle-class il nemico
A turbare la società statunitense, però, non c’è solo il conflitto in Vietnam. I
primi anni Sessanta sono anche il periodo della Guerra Fredda, la minaccia di
un mondo ignoto che sta al di là della Cortina di Ferro nell’Est dell’Europa, del
maccartismo, combattuto con la ricerca persecutoria del nemico comunista al-
l’interno dell’Università e del mondo culturale. Questi sono gli anni in cui il mo-
vimento sindacale vive una profonda crisi, mentre l’economia è in espansione:
si affermano le corporations del famoso “complesso militare-industriale”, si
espandono a velocità impressionante le grandi aree legate al pieno impiego dei
settori di popolazione che la Depressione post bellica aveva colpito e costretto
a emigrare. Per il popolo americano si sta aprendo la prospettiva di una stabi-
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lità economica e l’ingresso in quella middle-class in cui s’identifica sempre di
più il cittadino medio. Alcuni settori della popolazione, fino a ieri esclusi o co-
stretti a vivere nell’ombra, hanno accesso a nuovi spazi di espressione pubblica;
il mercato culturale per diffondere i suoi messaggi utilizza nuovi canali come i
fumetti, i manifesti, il rock in tutte le sue forme, i dischi a 33 giri (poco diffusi
pochi anni prima) e i paperback, i libri tascabili grazie ai quali molti giovani au-
tori riescono ad affermarsi.
È un momento chiave, ciò che scorre sotterraneo a un tratto diventa visibile, e
al mondo culturale hanno accesso strati sociali rimasti fino a ora in ombra che
danno vita a nuove forme di espressione nella produzione artistica, sia essa lette-
raria, visiva o musicale. Per dirla con Bob Dylan, The Times They Are A-Changing
(I tempi stanno cambiando), che è il titolo della sua canzone più politica scritta nel
1963, pochi giorni dopo aver partecipato, assieme a Joan Baez, alla marcia orga-
nizzata da Martin Luther King, leader del movimento dei diritti civili, a Washin-
gton D.C. (dove viene pronunciato il leggendario discorso «I Have a Dream»).
Una cosa è certa: il confronto fra cultura alta e cultura di massa giunge allo scon-
tro, con maggior contrasto rispetto a precedenti momenti storici.
Ed è in questo contesto che nascono gli hippie, i Figli dei fiori, la Love Ge-
neration, il Flower Power che dir si voglia. Non c’è nessuna regia e nessuna moda
da seguire, è stata una spontanea decisione collettiva. I giovani cominciano a
farsi crescere i capelli molto di più di quanto hanno fatto pochi anni prima i
Beatles, a indossare camice a fiori dai colori sgargianti, a pensare che si può dav-
vero cambiare radicalmente il modo di vivere. Si inizia anche a comprendere
che la società così com’è non piace, è sbagliata, che la guerra in Vietnam va fer-
mata, che il mondo deve cambiare.
E che ci si vuole esprimere, meglio se circondati dalla musica.
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Angeles e dai movimenti filo-comunisti delle grandi città industriali come De-
troit, il gruppo che dal nord della California vede l’utopia della società alterna-
tiva si sente sufficientemente protetto e numeroso.
Intanto, dall’altra parte della baia, a Berkeley, è appena scoppiata la rivolu-
zione studentesca.
A San Francisco i giovani - che per la prima volta i giornali definiscono “im-
pegnati” - si incontrano nella zona di Haight-Ashbury, all’inizio secolo quar-
tiere borghese ora trasformatosi in zona popolare con grandi case in stile
coloniale semi-abbandonate ed economicamente accessibili. I ragazzi si ritro-
vano a gruppi, frequentano locali, leggono scritti, pensieri e poesie composte
da loro stessi, ascoltano e producono musica. E discutono. Per identificarli gli
abitanti del quartiere li chiamano hip, che nello slang americano significa essere
all’avanguardia, impegnato, fare tendenza, comunque anticipare le mode. Sul si-
gnificato della parola hippie, però, ci sono diverse teorie. La più attendibile è
proprio quella che sostiene risalga al significato gergale di hip - quindi essere
impegnato e all’avanguardia allo stesso tempo - a cui però è stato aggiunto il
suffisso “ie”, in genere usato in modo dispregiativo. Per questo, specialmente al-
l’inizio, i giovani di Haight-Ashbury rifiutano quell’appellativo. Il primo a usare
il vocabolo hippie sembra sia stato il giornalista inglese Michael Fallon, inviato
negli Stati Uniti del Telegraph, che riferendosi in un articolo ai personaggi del na-
scente movimento della controcultura di San Francisco, li descrive così: «giovani
con capelli lunghi, abbigliamento bizzarro, dediti alla musica rock e alle droghe
psichedeliche».
È il 1965 e da un paio d’anni, dall’altra parte degli Stati Uniti, a New York, è
attivo un altro movimento giovanile di “controcultura”: i beat. I due movimenti,
però, sono diversi come il giorno e la notte. La prima differenza è nel contesto
in cui si sono formati: San Francisco non ha niente in comune con New York e
con le altre metropoli americane: non è grande (il suo territorio è di appena
49mila miglia quadrate dove vi risiedono meno di 800 mila abitanti), non ha ri-
sorse agricole, non ha industrie e non è un centro di potere finanziario. Al con-
trario, è una città esteticamente bella, grazie alle case vittoriane costruite dopo
il terremoto, senza ghetti o zone pericolose, con ampie zone verdi, parchi, punti
di ritrovo. Nati in città dalle caratteristiche diverse, hippie e beat non hanno mai
cercato di essere antagonisti gli uni degli altri: sono semplicemente gli opposti.
Le differenze tra i due movimenti sono nette, a partire proprio da modo di ap-
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procciare la vita: ottimista e gioioso quello degli hippie, negativo e buio quello
dei beat. E le differenze non finiscono qui; i due movimenti si differenziano
anche nel modo di vestire: la “divisa” dei beat è completamente bianca e nera
mentre quella dei figli dei fiori è coloratissima; e poi il beat può essere conside-
rato un “solitario”; l’hippie, invece, vive nelle comunità e adora i raduni oceanici.
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all’origine della parola hippie vale la pena ricordare che hip è anche il nome di
una specie di rosa canina). Questo riappropriarsi dell’innocenza e spogliarsi
del conformismo si è tradotto anche in impegno civile, soprattutto contro la
segregazione razziale e le guerre, stessi obiettivi degli studenti in rivolta al-
l’Università di Berkeley ma perseguiti con mezzi differenti: gli hippie con sar-
casmo e ironia, gli studenti con scontri e oratoria da piccoli politici.
Ma sono i media a stanarli e a portarli, loro malgrado, alla notorietà. Il mo-
vimento hippie diventa ben presto un fenomeno da rotocalco, una delle tante
bizzarrie californiane. Questo interesse, assolutamente non richiesto, si tra-
sforma però in una sorta di autogol da parte della classe dirigente. La nuova fi-
losofia fondata sul binomio pace-amore comincia ad avere un enorme
ascendente su tutti i giovani americani e l’utopia di cambiare il mondo attra-
verso l’amore, divulgato dai Figli dei fiori, trasforma ben presto San Francisco
in una sorta di città-paradiso agognata da ogni ragazzo che ha compiuto almeno
16 anni. Il movimento si diffonde a macchia d’olio: i giovani cominciano a ren-
dersi conto che tutto è da cambiare, che stanno sprecando il loro tempo e se ne
vanno di casa, spesso sbattendo la porta, rompendo ogni rapporto con i genitori.
Ed è in questo periodo che entra in scena Timothy Leary, detto anche Doc-
tor Drug o Drug Guru. Leary è un ex docente dell’università di Harvard, nel
Massachusetts, tra i primi ricercatori della fenomenologia dell’ego, che viene li-
cenziato dalla facoltà nel 1962 - le voci nei corridoi dell’università dicono die-
tro pressioni della Cia - per uso di sostanze stupefacenti. Disoccupato e senza
alcuna cattedra Leary si stabilisce nel quartiere di Haigh-Ashbury ed entra in
contatto con i giovani del movimento hippie ai quali spiega in cosa consiste la
sua teoria. Secondo Leary per raggiungere il massimo di un uomo occorre par-
tire dal cambiamento totale dell’individuo: «Bisogna cambiare l’abito, l’ambiente,
la casa in cui si vive - sostiene il professore -. E per questo occorre avere un
aspetto differente: dobbiamo decorare il nostro corpo come fosse un’opera d’arte,
ricoprirlo e addobbarlo di bracciali e collane, dipingerlo, coprirlo con abiti dai
colori dell’arcobaleno ispirati dall’azione degli allucinogeni, ispirarsi alla me-
scolanza dei costumi di tutti i Paesi». Alle teorie di Leary per «edificare la co-
noscenza della nuova spiritualità» i Figli dei fiori affiancano anche le culture
orientali e indiane.
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corpo: musica, ballo e sessualità hanno aspetti comuni, s’intrecciano tra loro e
regalano un equilibrio spirituale verso la natura e il rapporto con gli altri, rap-
porto facilitato dalla vita quotidiana all’interno delle comuni.
Sono in molti i giovani che, una volta lasciata la casa paterna, scelgono di vi-
vere nelle affascinanti case vittoriane, tipologia praticamente inesistente nelle
altre grandi città americane, a Nord di Market Street, nel triangolo compreso
tra le strette vie di Haight-Ashbury, i giardini Buena Vista e il Golden Gate Park.
Il quartiere agli inizi degli anni Sessanta sembra un po’ dimenticato, per non
dire abbandonato, dai cittadini di San Francisco e dall’amministrazione: anche
per questo motivo le grandi ville, con decine di locali dove possono sistemarsi
comodamente anche una ventina di persone, sono affittate per pochi dollari, i
contratti che si firmano prevedono un canone tra i 25 e i 30 dollari al mese.
Questo “nuovo modo” di abitare in gruppo, però, non è propriamente di San
Francisco, ma nasce pochi mesi prima a Virginia City, piccolo borgo a tre ore di
macchina dalla Baia, appena oltre il confine con il Nevada. Un tempo al centro
della corsa all’oro, Virginia City è abitata da un gruppo di artisti nullafacenti,
forti consumatori di alcol e droga. Uno di loro, Mark Unobsky, è appassionato
di musica folk e acquista per pochi dollari la vecchia e fatiscente Comstock
House (un ex deposito d’argento) con l’intenzione di aprire un folk club assieme
a Chan Laughlin, ex proprietario di un club simile, e Don Works, che si era tra-
sferito lì solo per poter coltivare i peyote con l’aiuto dei nativi americani. Il vec-
chio edificio, alto tre piani e con un lungo porticato, è ristrutturato a tempo di
record: i muri vengono colorati di rosso fuoco e, l’interno sopra il porticato, che
sovrasta le mezze porte d’ingresso oscillanti tipo saloon, è arredato con mobili
antichi dell’epoca vecchio west. Fuori viene appesa un’enorme insegna con scritto
Red Dog Saloon. C’è tutto, manca solo chi suona. Unobsky si ricorda di aver
visto in un locale un gruppo formato da quattro giovani vestiti in perfetto stile
edoardiano, che indossavano stivaletti, panciotti e cappelli da cow boy. Si chia-
mano Charlatans e si guadagnano da vivere suonando in giro per il Nebraska.
Il gruppo si è costituito attorno a due folk-singer, il cantante e batterista Dan
Hicks e il chitarrista Mike Wilhelm, e a uno sperimentatore underground di
light-show, George Hunter, a loro di aggiunge il bassista Richard Olsen. Unob-
sky gli propone a diventare il complesso stabile del Red Dog Saloon. I quattro
accettano, ma già dalla prima sera tutto il pubblico, i tre soci del locale e una
trentina di clienti, si accorgono che non si tratta di un vero gruppo folk, ma piut-
tosto rock: si vestono così solo per contrastare gli abiti mod stile inglese, niente
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di più. Ai Charlatans, comunque, in cambio delle esibizioni serali, viene assicu-
rato vitto e alloggio ai piani alti del locale.
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che il gruppo offre anche a band di giovani che vogliono provare a incidere i
loro pezzi.
A gestire l’attività di alcune di queste rockstar, dall’informazione all’organiz-
zazione dei concerti, è la comunità Family Dog, gruppo che ha preso il nome
dalla quantità di cani (dalla dozzina alla ventina, il numero varia a seconda delle
stagione) che vivono con loro. Il gruppo è composto da Luria Castell, ex attivi-
sta politica; Ellen Harmon, ecologista convinta, che si dice abbia vissuto per sei
mesi in cima a un albero in Messico; Alton Kelly, ex commerciante ora artista e
autore di diversi poster e copertine di dischi; Jack Towle, commerciante e “di-
stributore” (non spacciatore) di Lsd e droghe leggere, divenuto famoso per aver
imposto un prezzo politico all’hashish e marijuana in città. Ai quattro, l’idea di
mettersi in società e gestire spettacoli e gruppi rock è venuta assistendo a un’esi-
bizione dei Charlatans al Red Dog Saloon di Virginia City. Il primo evento or-
ganizzato dalla Family Dog si tiene in ottobre al Longshoreman’s Hall, sono tre
serate con concerti dei Jefferson Airplane, degli stessi Charlatans e di un nuovo
gruppo californiano, ironico e dissacrante: i Mothers of Invention guidati da un
giovane cantante con dei grossi baffi, Frank Zappa. Più avanti entra a far parte
della Family Dog anche Chet Helms, attivista dei diritti civili in Texas e mana-
ger dei Big Brother and the Holding Company. È lui che una sera in un pub di
Austin scopre Janis Joplin e la convince di trasferirsi a San Francisco. Dopo
Helms per Family Dog lavorano anche Rock Scully e Danny Rifkin, manager e
tecnico dei Grateful Dead. I primi mesi Family Dog opera in città quasi in re-
gime di monopolio, fino a quando non sbuca Bill Graham. Graham, che in un
primo tempo entra in società con loro ma ci litiga quasi subito per una que-
stione di soldi, e convince i Jefferson Airplane a seguirlo. È anche grazie a loro
che Graham in poco tempo diventa uno dei più grossi promoter di eventi rock
della California. La sua lungimiranza è eccezionale e non solo per quanto ri-
guarda gli artisti. Capisce al volo che ai concerti arriverà sempre più pubblico e
decide di gestire direttamente i locali, come ad esempio il Fillmore Auditorium,
dove si svolgono gli eventi e si esibiscono i suoi gruppi.
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mirare e toccare». E così l’hippie, che non rivela un’identità definita, diventa
«una magnifica esplosione di sete e perline sessualmente ambigua, coperto da
un uniforme patchwork di una società in cui i raggruppamenti sociali e sessuali
stanno disintegrandosi».
La regola principale della moda hippie è non avere regole. La conferma viene
dal fatto che si riesce a fare convivere insieme look opposti e diversi tra di loro,
come abiti stile vecchio west accoppiati con accessori indo-orientali; indumenti
nord-africani insieme a costumi rinascimentali. Ma, come spesso avviene nelle
arti povere, il loro look nasce dalla necessità: a loro, per esempio, è attribuito il
merito di aver sdoganato il jeans, fino ad allora esclusivamente indossato da
operai e contadini, che diventano improvvisamente capo d’abbigliamento pri-
mario della controcultura giovanile, prima americana e poi europea. Ai jeans,
su cui strappi e buchi dovuti all’usura (e non creati artificialmente) sono cucite
toppe colorate, vengono abbinati a giubbotti o gilet scamosciati sfrangiati e T-
Shirt dai colori decisi come giallo, viola o rosso bollite nella candeggina per dare
un effetto psichedelico (tye-dyed); velluti, tessuti indiani e altre stoffe prove-
nienti dall’Oriente; vanno per la maggiore anche i pantaloni di pelle stile cow-
boy abbinati a casacche indiane Nehru, dashiki africani, parei asiatici e caftani
medio-orientali. Unica regola nel mondo delle non-regole è che nessuno di loro
indossa abiti che mostrano un marchio di un’azienda commerciale, è contrario
all’etica anticonformista e all’establishment del movimento. Ai piedi, quando
non girano scalzi, a seconda della stagione vengono indossati sandali infradito,
zoccoli, stivali e stivaletti di cuoio, polacchine di camoscio. Tra gli accessori, se
si possono chiamare così, le headbands, fascette colorate per fermare i capelli,
bandane e cappelli presi in prestito dai western, ma non sono esclusi i colbac-
chi e gli zuccotti islamici. Completano il look collanine di pietruzze colorate e
di nessun valore, nastri multicolori, fiori, conchiglie, piume di pavone, orna-
menti indiani, simboli e disegni dipinti sul viso e sul corpo, e quant’altro detta
la fantasia e la creatività.
Oltre ai fiori e ai colori un altro elemento dominante dell’hippie-look sono i
capelli, lunghi per tutti, donne e uomini, questi anche con baffi, barba e baset-
toni. Le ragazze aboliscono il reggiseno, simbolo di «oppressione e di controllo
sulla sessualità delle donne». Sono molto amati gli incensi indiani e i profumi dei
fiori come la lavanda, la rosa, la gardenia e il patchouly.
Nelle pagine di Beat Hippie Yippie Fernanda Pivano, dopo essere tornata da
un viaggio a San Francisco nel 1965, li descrive così: «C’erano ragazze con ve-
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staglie di velluto abbottonate fino alla bocca e aperte dalla cintola in giù, ragazzi
vestiti da principi del Rinascimento, le giacche di daino sfrangiate (che quattro
anni dopo sarebbero arrivate in Europa sull’onda del musical Hair), cappotti di
montone bianco lunghi fino a terra, colori sgargianti nelle sete lucide e campa-
nelle tintinnanti portate al collo, alle caviglie, sulla testa, ai polsi, occhiali con
lenti verde e gialle, giacche napoleoniche da ammiraglio, pantalone da generale
della guerra di Secessione, piume indiane, berretti di velluto raffaelleschi, ca-
micie di cotone da Mayflower, code di volpe, mantelle da Dracula, magliette di
cotone da marinai alle caldaie della nave, gonne lunghe da film western, granny
dresses, fiori, collane, pizzi. La rivolta al consumismo era passata alla fase ri-
nunciataria e polemica dei blue jeans alla fase creativa e ribelle del vestito “in-
ventato” invece che “subìto”: beffa insolente e pacifista all’industria della moda».
Ma sono in molti a pensare che lo stile hippie, come ogni altro stile, sia co-
struito: «si vuol far credere di voler non apparire per potersi riconoscere me-
glio» scrive Marshall McLuhan, giornalista di Harper’s Bazar. E ancora Angela
Carter: «I Figli dei fiori vogliono apparire come i rappresentanti anticonformi-
sti della nuova America, vogliono rendersi visibili inglobando, nel look, tutte le
americhe che li hanno preceduti».
Il mezzo di trasporto preferito sono i furgoncini, della Ford e della Volkswa-
gen, o vecchi scuolabus adibiti a camper con tutte le necessità per una vita on the
road. Acquistati rigorosamente usati o addirittura dagli sfasciacarrozze, le car-
rozzerie vengono immediatamente dipinte con fiori, scritte, simboli di pace e
immagini psichedeliche dai colori sgargianti.
Anche in cucina l’hippie si distingue: cucina piatti rigorosamente vegetali,
conditi con curry, zenzero e altre spezie, accompagnati da riso basmati e for-
maggi di soia. Le ricette sono prese in prestito dalle diverse culture e si mi-
schiano: i piatti messicani si fondono con la cucina italiana, le specialità africane
con i menù orientali. Su tutto prevalgono i principi della dieta vegetariana che,
oltre ad essere salutare, costa anche poco, ed è per questo motivo che i menu
prevedono spesso insalate, yogurt, zuppe, riso. Si beve molto latte, acqua, te e
succhi di frutta. È ammessa la birra, ma sono bandite le bibite gassate e i supe-
ralcolici.
Sempre con l’intento di trovare un rapporto stretto con la natura, i Figli dei
fiori realizzano i primi campi di nudisti, convinti che la nudità annulli ogni tipo
di tabù: su alcune spiagge della California si prende il sole integrale, ci si rilassa
nudi guardando il tramonto, si pratica yoga, si fa l’amore.
:29
In molti sostengono che per i giovani hippie, soprattutto per quelli bianchi,
il vero mito dell’appartenenza al nuovo movimento e alla controcultura sia
quello della nudità: il corpo, finalmente liberato dal contatto con i prodotti del-
l’industria e della tecnica, torna ad essere primitivo, quindi sé stesso, coperto
solo di barbe e capelli lunghi, collanine, perle e fiori. Le culture orientali sono
fonti dalle quali attingere anche per le cure del corpo. Un aspetto costante della
filosofia hippie, molto popolare ancora oggi, è il movimento della crescita per-
sonale, a cui si è ispirata successivamente anche la cultura new age tanto in voga
negli anni Novanta. Le lezioni di yoga e la terapia Gestalt, praticate per la prima
volta in Occidente in quegli anni, sono diventate ben presto una sorta di movi-
mento di autoanalisi e autoterapia per le classi medie. Malattie, intossicazioni,
infezioni e disturbi vari sono curati con la medicina olistica e ayurvedica, pra-
ticata in India, Africa, Asia e Sudamerica; con infusi di erbe, agopuntura, ri-
flessologia, omeopatia e shiatsu. Questi tipi di medicina influenzano anche
l’alimentazione: come già detto, sono in molti a sposare regimi alimentari inte-
grali, macrobiotici, vegetariani e vegani; si diffondono rapidamente anche cli-
niche di terapia del sesso, la bioenergetica, la terapia reichiana; si pratica la
meditazione trascendentale di Maharashi, la coscienza di Krishna, si diffondono
i seguaci dei buddisti tibetani e zen, la sufi dancing e il Thai-Chi. Nelle case e nei
locali anche l’arredamento adotta stile vagamente indiano: tende e tappeti in
stoffe colorate, drappi alle pareti, sedie e letti in vimini, cuscini da pavimento.
Sui mobili, rigorosamente in legno, spiccano statue di Shiva, Buddha e altre di-
vinità orientali; l’illuminazione è garantita da candele e tutto l’appartamento è
profumato d’incenso.
30 9
II
In noME dELL’LSd
L Le droghe sono tra le basi della controcultura giovanile di questi anni. Le più
diffuse sono l’hashish, la marijuana («erba» o «Mary Jane» secondo lo slang), il
peyote (una specie di cactus verde inebriante che contiene mescalina, che cre-
sce nel deserto e veniva usato dagli apache, e ancora oggi da alcuni nativi ame-
ricani per i riti sciamanici) e, certamente quella che fa più scalpore, l’Lsd
(Lysergic Acid Diethylamide), la prima e più diffusa droga psichedelica.
La nascita del vocabolo psychedelic è documentata: è stato adoperato per la
prima volta nel 1957 da Humphry Osmond, medico psichiatra canadese, in una
lettera indirizzata al romanziere Aldous Huxley. Osmond spiega il termine psy-
chedelic come mind-manifesting, manifestazioni della mente, dal greco “io ma-
nifesto”. La corrispondenza tra il medico e lo scrittore verte sulla descrizione
degli effetti di una nuova droga, chiamata Lsd, realizzata nel 1943 dal chimico
svizzero Albert Hofmann mentre studiava il fenomeno comunemente noto
come “ballo di San Vito”. Hofmann, quando viene a contatto con Lsd lavora in
Svizzera per l’industria farmaceutica Sandoz ed è impegnato in uno studio che
identifica e sintetizza i composti attivi di alcune piante; tra queste, il fungo ve-
lenoso della segale impiegato in passato dalle levatrici per accelerare il parto.
Alcuni chimici statunitensi isolano la sostanza chimica del fungo che produce
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l’effetto farmacologico e ne indentificano il principio attivo come acido liser-
gico: Hofmann, che è alla ricerca di un composto utile, inizia a combinare que-
sta sostanza chimica “instabile” con altre molecole. Lavora sull’ergotina e
individua alcuni farmaci molto importanti, tra questi anche un composto uti-
lizzato ancora oggi per le emorragie post-parto.
Ma il composto che ha il più grosso impatto è il venticinquesimo da lui sin-
tetizzato in Lsd, dietilammide dell’acido lisergico. Quando lo sintetizza il com-
posto non evidenzia nessun effetto significativo. Una volta portate a termine le
ricerche sull’ergotina, lo scienziato decide di riprendere in mano l’Lsd-25, con
la speranza che nuovi test possano individuare quell’effetto stimolante sul si-
stema circolatorio corporeo che si aspettava. Il 16 aprile 1943, durante il processo
di sintesi dell’Lsd, Hofmann viene colto da malore e per circa due ore resta in
stato confusionale accompagnato da allucinazioni. Il ricercatore ritiene che que-
sti effetti siano dovuti a un contatto accidentale con l’Lsd, anche se gli sembra
impossibile che una piccola quantità di quella possa avere avuto effetti psichici
tanto rilevanti. E così vuole approfondire e tre giorni dopo ci riprova e ingeri-
sce 0,5 mg di Lsd. Poco dopo comincia a provare sensazioni di alterazione della
percezione, di depersonalizzazione e alterazione dello schema corporeo, in parte
accompagnate da ansie ma in parte anche piacevoli. Una volta ripresosi Hof-
mann riferisce ai responsabili della Sandoz degli strani effetti e la Casa farma-
ceutica mette a disposizione degli istituti di ricerca il prodotto con il nome di
Delysid, da usare in psicoterapia analitica per indurre stati di rilassamento o
negli studi sperimentali sulla natura delle psicosi. Per Hofmann, però, l’Lsd ha
un effetto ancor più importante: provoca un allargamento della coscienza para-
gonabile a un’esperienza mistica.
Nel 1951 scrive al romanziere tedesco Ernst Junger, che aveva fatto esperi-
menti con la mescalina, e gli propone un incontro per provare ad assumere in-
sieme l’Lsd. I due si ritrovano poco tempo dopo a casa dello scienziato svizzero
e in un’atmosfera curata anche nei particolari - con vasi colmi di rose di tutti i
colori, le note di una sonata di Mozart e un forte profumo d’incenso giapponese
- ingeriscono 0,5 milligrammi di Lsd puro. «Quello fu il primo test psichedelico
programmato» dichiara in seguito. «L’Lsd - scrive Hoffman nel suo libro Lsd, il
mio bambino difficile - mi ha permesso di vedere. Mi ha permesso di capire che
fuori di noi c’è una serie infinita di mondi e che più allarghi il tuo sguardo, più
vedi… più ti accorgi che il mondo che ci circonda è più ampio e misterioso, in-
finitamente più complesso di quello che appare». E ancora: «(L’Lsd) è diretta-
32 9
mente responsabile della nostra liberazione. Un viaggio nell’Lsd ti lega intima-
mente all’anima, è uno strappo dalle difese dell’Ego. Dopo un viaggio nell’Lsd
ogni inibizione sessuale si libera». E arriva a concludere: «…si arriva a vedere
tutto… …si arriva a vedere la verità». «Conosco l’Lsd meglio di me e non ho più
bisogno di prenderne» dice. E aggiunge: «Forse lo farò ancora quando dovrò
morire». Hofmann definisce l’Lsd una “medicina per l’anima”. «È stata usata con
successo per almeno dieci anni in psicoanalisi ed è un’assurdità che oggi sia vie-
tata» dichiara all’indomani del 6 aprile 1967, quando in California viene ema-
nata la legge per cui è reato assumerla. E continua: «Certo, la distribuzione di
massa fatta da Timothy Leary è assolutamente criminosa. L’Lsd può diventare
pericolosa se usata senza criterio, ma potrebbe essere anche una sostanza a di-
stribuzione controllata, come accade per la morfina». Pochi anni fa la Svizzera
ha dato il via libera all’uso dell’Lsd ai malati di cancro. L’ufficio federale della Sa-
nità ha approvato uno studio sugli effetti della sostanza per gravi psicopatie con-
tro il panico e l’angoscia del confronto con la morte per i malati terminali e per
sedare la percezione psichica del dolore che, hanno spiegato i medici, si può ri-
durlo agendo sulle aree emotive del cervello. La notizia dello studio che riabi-
lita l’Lsd, almeno in Svizzera, è stata la rivincita di Hofmann che, a 102 anni, si
è detto incredulo: «Non credevo di poter vivere così a lungo da poter assistere
al ritorno dell’Lsd in medicina». Hofmann nel 2007 è stato inserito nella classi-
fica dei 100 Geni Viventi. L’anno dopo, il 29 aprile 2008, è deceduto a causa di
un infarto nella sua casa vicino a Basilea, aveva 102 anni.
:33
notati rivoluzionari nei confronti dell’America perbenista, l’uso dell’Lsd si pone
anche come veicolo per la meditazione trascendentale, stabilendo un contatto fra
la civiltà occidentale e le religioni orientali.
Inizialmente prodotta e commercializzata dalla stessa Sandoz, l’Lsd non dà
dipendenza ed è per questo le organizzazioni criminali non se ne sono mai in-
teressate. Convinto sostenitore dell’Lsd è Timothy Leary, quarantacinquenne
psicologo con una grande passione per la chimica, docente all’università di Har-
vard, che a New York trasforma una villa barocca nota come Millbrook, un gi-
gantesco palazzo di 63 stanze appena fuori dalla città, nel suo centro di ricerche.
Ed è proprio all’interno dei locali di Millbrook che, assieme a un gruppo fidato
di studenti poi confluiti nella Lega per la Ricerca Spirituale, il professore com-
pie esperimenti di espansione della mente e di esplorazione dei diversi stati di
coscienza.
Capolinea «avanti»
A San Francisco il paladino dell’acido lisergico è invece Ken Kesey, scrittore
stimato ma non ancora incluso fra gli “intellettuali”, anche se ha appena pub-
blicato un libro, Qualcuno volò sul nido del cuculo, che ha avuto un successo, di
pubblico e critica, del tutto inaspettato. Kesey da anni si presta come cavia alle
droghe e agli esperimenti di farmaci presso gli ospedali californiani, e con i soldi
guadagnati dalle vendite del libro e il congruo anticipo per un secondo romanzo,
ha acquistato una grande fattoria appena fuori San Francisco, sulle colline di La
Honda, e un vecchio bus, un gigantesco International Harvester del 1939. La
casa a La Honda è un luogo incredibile, una sorta di Disneyland per hippie, un
bizzarro ambiente surreale, con amplificatori e diffusori dappertutto, persino
all’interno del bosco. E, in ogni momento del giorno e della notte, sono servite
pastiglie e spinelli a volontà. Ogni sabato Kesey si organizza un party che ri-
chiede il resto dei giorni della settimana per la preparazione. Dietro la casa, nel-
l’ampio giardino, c’è un anfiteatro naturale dove è stato allestito un palco dove
chitarre, batteria, tastiere, microfoni e impianto di amplificazione sono a di-
sposizione di chiunque voglia suonare. Kesey e i suoi amici, i Marry Pranksters
(simpatici burloni) che vivono assieme a lui nella fattoria, girano per casa - e
anche all’esterno nel giardino - sempre mezzi nudi, con le facce dipinte, indos-
sando occhialoni e altri indumenti improbabili. Una pattuglia della polizia sta-
ziona fissa all’ingresso dell’abitazione, ma non ha intenzioni bellicose, la sua è
solo una presenza volta a scoraggiare qualche follia di troppo e un uso smodato
34 9
di stupefacenti.
È nel giardino della villa che Kesey e i Pranksters modificano il vecchio scuola
bus del quartiere: forano il tetto e costruiscono una piattaforma sulla quale sono
montati enormi altoparlanti provvisti di microfoni, un impianto voce e parec-
chi strumenti musicali, organo Hammond e batteria compresi. Sotto vengono ri-
cavati un bagno, una cucina da campo e alcune brandine dove sdraiarsi. Dietro
al posto guida è installato un piccolo ma funzionale studio di registrazione. Ter-
minate le modifiche, l’autobus viene ridipinto con i classici colori accesi, simboli
della pace e una grossa insegna con la scritta Furthur (che avrebbe dovuto essere
Further, cioè avanti) viene applicata nel posto dove solitamente viene indicata
la destinazione. Kesey è per la libertà assoluta, per la droga come viaggio senza
paura nella profondità della psiche e decide di girare gli Stati Uniti a bordo del
bus e in compagnia dei suoi “seguaci”, per “propagandare” l’uso dell’Lsd e delle
sostanze stupefacenti in ogni angolo del Paese, promuovendone ed esaltandone
soprattutto gli effetti creativi. Salgono sul bus in quattordici e partono: destina-
zione “avanti”. L’autista principale del bus è lo scrittore beat Neal Cassady che,
oltre a guidare, beve alcol, fuma di tutto, prende anfetamine e, senza sosta, re-
clamizza gridando al microfono - amplificato verso l’esterno - gli effetti strabi-
lianti dell’Lsd. Kesey, invece, trascorre gran parte del viaggio al piano di sopra,
all’aperto, avvolto da un’enorme bandiera degli Stati Uniti usata come lenzuolo
e, quando non parla Cassidy, s’improvvisa disc-jockey, mettendo dischi e nastri
di musica rock a un volume assordante. Il bus attraversa l’Arizona, raggiunge
Phoenix, poi si ferma un paio di giorni a Houston, quindi va Texas, entra a New
Orleans e, infine, raggiunge New York dove punta verso Millbrock, la tenuta
dove ora vive Timothy Leary, il Guru dell’Acido. L’incontro è tra due modi di-
versi di vivere l’Lsd: tranquillo e quasi spirituale quello di Leary; chiassoso, gio-
ioso e creativo quello di Kesey. Eppure i due s’intendono a meraviglia. Leary
capisce che in California c’è terreno fertile per la sua “religione” e così, pochi
mesi dopo, decide di lasciare la villa di Millbrock e di trasferirsi a San Francisco.
Raggiunto il loro scopo Kesey e i suoi Marry Pranksters decidono di rien-
trare alla base: il viaggio di ritorno è molto più lungo, faticoso e pieno di im-
previsti. Eppure, come per miracolo, il bus e i suoi quattordici occupanti entrano
nella fattoria di La Honda tutti sani e salvi. Passano pochi giorni e la polizia ir-
rompe improvvisamente nella casa perquisendola da cima a fondo, Kesey cerca
di opporsi ma ben presto capisce che c’è poco da fare perchè questa volta l’azione
degli agenti è più decisa del solito. Vengono arrestati in quindici per possesso di
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marijuana, a Kesey è anche contestato il reato di resistenza al pubblico ufficiale.
Al processo i Pranksters sono tutti prosciolti, non Kesey che - riconosciuto il
leader e il responsabile di quell’uso smodato di stupefacenti - è concessa la con-
dizionale dietro la promessa di chiudere immediatamente la comune. Impegno
che mantiene pochi giorni più tardi: lascia La Honda e, insieme alla moglie, si
trasferisce più a Sud, a Santa Cruz, in una residenza con 400 acri di terreno.
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occorre fare un passo indietro, fino agli anni Quaranta. Il merito va attribuito
certamente ad Alfred Kinsey, il primo vero sessuologo della storia, che con i
suoi studi e le sue ricerche ha di fatto influenzato la rivoluzione sessuale com-
piuta dagli hippie. Kinsey, cresciuto in una famiglia fortemente conservatrice
(il padre era un pastore metodista), verso la metà degli anni Quaranta ha iniziato
a documentare e indagare sulle abitudini sessuali dell’americano tipo: il suo
primo libro, quello sul comportamento sessuale maschile, dal titolo originario
Sexual Behavior in the Human Male, meglio conosciuto come “Il rapporto Kin-
sey” offre un quadro sconcertante e inaspettato. La ricerca rileva che nonostante
i giovani americani degli anni Quaranta non sappiano nulla di sesso e non ne
parlino liberamente, su un campione di 5.300 maschi il 46% ha avuto esperienze
bisessuali; il 69% è stato con prostitute; il 92% pratica la masturbazione; il 21%
degli uomini confessa l’adulterio; il 10% è stato omosessuale per almeno 3 anni
e il 17% dei ragazzi di campagna ha sperimentato il sesso con gli animali. Il rap-
porto sostiene anche che le giuste dimensioni dell’organo sessuale maschile sono
16 centimetri, il che semina letteralmente il panico tra milioni di persone. Uno
dei costrutti teorici più importanti di Kinsey è la Heterosexual/ Homosexual
Rating Scale una scala a sette punti, dove si misura la sessualità e le eventuali ten-
denze omosessuali di un soggetto.
Cinque anni più tardi arriva il corrispondente volume riguardante gli studi
sulla femminilità femminile, Sexual Behavior in the Human Female, conosciuto
come “il secondo Rapporto Kinsey”. Con questo nuovo documento si scopre
che le donne adolescenti prima del matrimonio hanno tre rapporti a settimana;
le trentenni almeno due, il 40% delle donne sono state infedeli dopo il matri-
monio, il 71% afferma che la relazione non ha danneggiato il loro matrimonio
e alcune addirittura sostengono che è stato d’aiuto nell’ambito della coppia. Ma
il successo e la popolarità di Kinsey comincia a dare fastidio: parte dell’opinione
pubblica, esponenti delle forze armate e alcuni gruppi religiosi lo accusano di
fare pornografia additandolo come uno che aggira le norme condivise sul buon
costume, chiamando “scienza” produzioni che ritengono oscene. In particolare
sono messe sotto accusa le sue “ricerche fisiche”, in cui le persone compiono atti
sessuali sono osservati, analizzati e registrati a livello statistico in tutti i loro par-
ticolari. Nel frattempo dilagano le voci che vedrebbero Kinsey come un omo-
sessuale e pervertito. Da come lo descrive nella sua biografia James Jones,
collaboratore del gruppo di Bloomington (gli studi sono stati sviluppati dal-
l’Università dell’Indiana, nella città di Bloomington, dove il dottore abita), Kin-
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sey avrebbe anche tendenze sadomasochiste ed esibizionistiche. Jones sostiene
che il sessuologo ha «una metodologia e un modo di raccogliere casi, che gli ga-
rantisce di trovare esattamente ciò che vuole trovare».
In seguito alla pubblicazione del secondo volume, il senatore repubblicano Jo-
seph McCarthy ipotizza che Kinsey faccia parte di un complotto comunista per
indebolire i valori americani e nel 1954 la Fondazione Rockefeller, che sovven-
ziona i suoi studi, nega a Kinsey fondi per altre ricerche. Intanto, grazie ai suoi
rapporti, in tutti gli Stati Uniti si comincia a parlare di sesso. I due libri diven-
tano bestseller e abbattono molti tabù aprendo le porte alla rivoluzione sessuale
degli anni Sessanta. Dopo di allora si cominciano a stampare libri sulla sessua-
lità, su come conoscere l’amore, l’erotismo, tra i più venduti quello scritto a quat-
tro mani dal sessuologo William Masters e dalla psicologa Virginia Johnson
L’atto sessuale nell’uomo e nella donna e La gioia del sesso del medico inglese Alex
Comfort, soprannominato dopo questo libro Mr. Joy of Sex. Il sesso, in breve
tempo, invade anche cinema, edicole, scuole, supermarket e diventa una sorta
di oggetto di consumo.
38 9
III
:39
reagire all’accaduto. E così il giorno successivo incomincia il boicottaggio dei
mezzi pubblici della città, una protesta che dura per oltre un anno, 381 giorni:
dozzine di pullman rimangono fermi finché non viene rimossa la legge che le-
galizza la segregazione. Nel 1956 il caso di Rosa Parks arriva alla Corte Suprema
degli Stati Uniti che decreta incostituzionale la segregazione sui pullman pub-
blici. Dal boicottaggio dei bus di Montgomery emerge la leadership di Martin
Luther King che, in breve tempo, diventa la figura più prestigiosa del movimento
per i diritti civili. King si fa promotore della non violenza anche a fronte di una
resistenza razzista che arriva ad aggressioni, pestaggi, atti di terrorismo e im-
piccagioni, molte a opera del Ku Klux Klan. Il momento più alto della sua pre-
dicazione è il discorso tenuto davanti a 250.000 americani di tutte le razze al
Lincoln Memorial di Washington il 28 agosto 1963 quando, con voce rotta dal-
l’emozione ma ferma e decisa, dice: «Ho ancora un sogno. È un sogno profon-
damente radicato nel sogno americano (…). Ho un sogno, che un giorno sulle
rosse colline della Georgia i figli degli ex schiavi potranno sedere insieme alla ta-
vola della fratellanza. (…) E se l’America dovrà essere una grande nazione, tutto
questo si dovrà avverare».
Per la generazione della controcultura Martin Luther King incarna quello
spirito di fratellanza che consente di legare lo slogan «Peace & Love» ad atti con-
creti. King ricorda sempre che la Costituzione parla di garantire a «tutti gli uo-
mini» i diritti alla vita e alla libertà, e che nella parola tutti devono essere
compresi anche gli uomini di colore. Quella dei “diritti” è una sorta di cambiale
che i neri hanno deciso di riscuotere: «Ci rifiutiamo di credere - dice King in un
suo intervento - che la banca della giustizia sia fallita».
Molti afroamericani, però, cominciano a dubitare della realizzazione del suo
“sogno” e si avvicinano alle posizioni dei Black Muslims, i musulmani neri, gui-
dati da Elijah Muhammad. Le loro posizioni sono diametralmente opposte: se-
condo il movimento filo-musulmano ai soprusi dei bianchi invece che col
dialogo e il ragionamento bisogna rispondere «occhio per occhio, dente per
dente». Questo modo di pensare attecchisce tra gli strati più poveri della popo-
lazione nera. Il propagatore più accanito si chiama Malcolm Little di Omaha
(Nebraska), il suo nome islamico è El-Haij Malik El-Shabazz, ma Little passa
alla storia come Malcom X. La forte personalità di Malcolm X entra subito in
contrasto con Elijah Muhammad perché i due hanno una visione diversa sulla
conduzione del movimento. Malcolm X viene espulso dai Black Muslims in se-
guito a un discorso tenuto dopo la morte di John Kennedy nel quale, facendo ri-
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ferimento all’omicidio di Dallas, sostiene che: «le cattive azioni, alla fine, si ri-
torcono su chi le ha compiute». Il 14 febbraio 1965 Malcolm, che ha 39 anni,
scampa a un attentato dinamitardo contro la sua abitazione. Ma una settimana
dopo, il 21 febbraio, durante un discorso in pubblico a Manhattan viene assas-
sinato: gli sparano sette colpi di pistola. I funerali si celebrano il 27 febbraio a
Harlem, partecipano oltre un milione e mezzo di persone. Sull’omicidio non è
mai stata fatta chiarezza, anche se la teoria più accreditata è quella che la mano
del killer sia stata armata proprio da Elijah Muhammad e dal direttivo del Black
Muslims.
Il 1965 è fondamentale per le rivendicazioni razziali. Dal 21 al 25 marzo
Martin Luther King, che l’anno prima, a soli 35 anni, vince il premio Nobel per
la Pace, guida nell’Alabama una marcia da Selma alla capitale Montgomery: vi
partecipano oltre 25.000 persone, al corteo le truppe federali fanno una sorta di
servizio d’ordine e proteggono il corteo. Ma non basta, al termine della manife-
stazione Viola Liuzzo, una bianca quarantenne madre di cinque figli, attivista per
i diritti civili, è uccisa in un agguato mentre fa rientro a Selma.
Il 6 agosto King, che alla causa ha devoluto i 54 mila dollari guadagnati dal
premio Nobel, ottiene una grande vittoria politica: il presidente Johnson pro-
mulga una legge che concede il voto agli afro-americani. La storia dell’America
sta cambiando davvero.
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nifestanti. Non c’è una grande ideologia dietro al loro gesto, a chi chiede spie-
gazioni rispondono semplicemente: «A noi le manifestazioni non piacciono.
Quindi non ci riprovate». Ken Kesey tenta di mediare e organizza un incontro
tra le due fazioni a casa del capo degli Hell’s Angels, Ralph “Sonny” Barger, ven-
tottenne di Oakland, città dove è nato e dove nel 1957 ha fondato il club moto-
ciclistico più famoso degli Stati Uniti. Davanti a una ventina di Angels, e ad
altrettante lattine di birra, c’è la delegazione degli hippie formata, oltre che da
Kesey, da Allen Ginsberg e alcuni Merry Pranksters. Si parla per più di mez-
z’ora in maniera concitata, gli animi si scaldano fino a quando Ginsebrg si porta
l’armonica alla bocca e comincia a suonare il Prajnaparamita Sutra, una sorta di
sermone sulla “perfezione del cuore e della saggezza”. Dopo alcuni minuti sono
tutti più tranquilli e, guidati ancora da Ginsberg, intonano un «Om», la sillaba
più sacra dell’induismo e mantra simbolo della disciplina yoga. Da quell’in-
contro i due gruppi iniziano a “collaborare”. Il giorno dopo Allen Ginsberg scrive
il celebre articolo sul Berkeley Barb in cui sostiene che le uniche “armi” del nuovo
movimento sono la non-violenza e l’ironia, unici strumenti che riescono a far
entrare in sintonia la gente. Ma non solo: l’autodifesa espressa con la non-vio-
lenza è strettamente legata alla visibilità mediatica. E così, per fare colpo sulla
stampa, ci si inventa forme di protesta sempre più originali: fiori, canti, slogan
e carri allegorici contro armi da fuoco e manganelli.
La tournée dell’Lsd
In autunno Timothy Leary arriva a San Francisco e la prima cosa che fa è
contattare l’amico Ken Kesey che poco tempo prima era andato a trovarlo nella
sua residenza di Millbrock, a New York, assieme al suo gruppo. Leary ha un’idea
per diffondere il più possibile l’uso dell’Lsd e vuole proporgliela: ha pensato di
organizzare in tutta San Francisco degli Acid Test, sorta di party all’interno di
locali “amici” della città, dove poter distribuire, assieme a cibo e bibite, anche pa-
stiglie della droga lisergica indispensabile, secondo le intenzioni dei due, a far
aprire le menti e coinvolgere i membri della “società alternativa” che si stava for-
mando.
La sera del 27 novembre 1965 alcuni artisti della città si ritrovano in un ranch
privato vicino a Santa Cruz di proprietà di Kenneth Babbs, attore, membro dei
Pranksters e grande amico di Kesey, per parlare della possibilità di organizzare
uno show multimediale. Tra questi ci sono i musicisti Jerry Garcia e Phil Lesh,
componenti dei Walocks, che poco tempo dopo sarebbero diventati i Grateful
42 9
Dead; Allen Ginsberg, Ken Kesey accompagnato da Neil Cassady e qualche
Merry Pranksters. Girano pastiglie di Lsd e ognuno si esibisce a modo suo, re-
citando poesie, disegnando, suonando, cantando. È una sorta di prova generale
di quello che sarà l’Acid Test. Il primo test lisergico ufficiale si svolge il 2 di-
cembre 1965, al Civic Auditorium di San Josè, e viene annunciato tramite uno
stravagante poster dove i caratteri cubitali si legge: «Dovete soltanto uscire di
casa! Portiamo tutto noi». Partecipano un centinaio di persone, incuriosite da
quello che non si presenta come uno show vero e proprio, nemmeno come un
raduno politico o un incontro commerciale dove qualcuno cerca di venderti
qualcosa: questa è una riunione di persone a cui viene data l’occasione di giocare
con le loro fantasie e le loro possibilità. Una volta entrati nel locale non si deve
fare nulla se non prendere la pastiglia che viene offerta appena varcata la soglia,
poi ci si esprime come meglio si crede, accompagnati dalle note dell’acid-rock
suonato dal vivo dai gruppi che si alternano sul palco, tra luci stroboscopiche e
altoparlanti al massimo volume. È in occasione di un’acid test che suonano dal
vivo per la prima volta con il loro nome i Grateful Dead: danno vita a un con-
certo dove il quintetto guidato da Jerry Garcia si esibisce per ore e ore, con suoni
in libertà, mescolando vecchi brandi di rock’n’roll e musica country con im-
provvisazioni psichedeliche.
La settimana dopo la città scelta per “l’iniziazione” all’Lsd è Palo Alto, dove
all’Acid Test partecipano duecento persone; altrettante a San Josè cinque giorni
più tardi, quindi si raggiunge San Francisco dove a provare la droga lisergica
accorrono in più di trecento. Da quel momento in poi, almeno fino a quando
Lsd resta legale, i test sono organizzati un po’ ovunque, all’interno di locali, li-
brerie, case private, parchi, giardini e addirittura spiagge, e da San Francisco co-
minciano a spostarsi a Sud verso Los Angeles.
Dopo il profeta (Leary) e il padre (Hofmann) l’Lsd ha anche un testimonial:
i Grateful Dead, gruppo rock guidato dal chitarrista Jerry Garcia. I “Dead”, non
c’è dubbio, sono la band che incarna meglio lo spirito di Kesey: ed è anche gra-
zie all’uso abbondante che fanno dell’Lsd che i componenti diventano ben pre-
sto i paladini degli hippie. La loro musica è subito battezzata acid-rock:
ascoltandola - sostengono i loro fans - si libera il potenziale percettivo e creativo.
A dir la verità la musica dei Grateful Dead è un mix tra rock psichedelico ed
elettronico, con grande uso di chitarre elettriche, distorsori e sintetizzatori. Ad-
dirittura il loro sound engineer, Augustus Owsley Stanley, per un certo periodo
diventa uno studioso dell’Lsd e organizza un suo laboratorio dove sperimenta
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delle varianti della droga psichedelica. Owsely crede ciecamente nell’acido li-
sergico: «È la nuova onda per il futuro» dichiara in un’intervista. Per lui la mu-
sica dei Grateful Dead è la musica del domani, che attraversa le dimensioni e
dissolve tutti i confini. E così i Byrds nel brano 5-D (Fifth Dimension), che apre
l’album omonimo pubblicato nel luglio del 1966, descrivono un luogo dove si
uniscono psichedelia e immagini fantascientifiche e parlano di confini annullati:
«Nella Quinta Dimensione sono scomparsi i miei confini bidimensionali (…)
Ho visto il mio mondo che andava in pezzi e mi sono accorto che la gioia, in-
nocentemente, è una questione di tacere e sentirsela intorno (…)». Stesso mes-
saggio arriva da Frank Zappa nel suo secondo disco, Absolutely Free, e in quasi
tutte le canzoni dei Jefferson Airplane, nei cui testi si continua a fantasticare li-
berazioni collettive e si evocano mondi fantascientifici. Il rock psichedelico, as-
sieme all’Lsd, attraversa poi l’oceano e approda in Inghilterra dove Rolling
Stones, Who e Pink Floyd raccolgono il testimone.
Da un punto di vista strettamente musicale, la comunità hippie trova la sua
strada mescolando insieme psichedelia, free-jazz e umore pacifista del folk pro-
testatario del primo Dylan; ovviamente senza dimenticare il folk-rock, come
quello suonato dai Byrds e a volte dai Jefferson Airplane e Janis Joplin, e im-
provvisazioni di tutti i generi, che spaziano dall’afro al latino alla musica in-
diana, che possano accompagnare visioni lisergiche e gli “sballi” collettivi dei
discepoli di Ken Kesey e Timothy Leary. Si diffondono sempre di più le jam ses-
sions, improvvisazioni di gruppo che differiscono dal free-jazz solo perché sono
usate le chitarre elettriche come strumento guida e perché i musicisti sono ra-
gazzi bianchi della classe borghese invece che i neri del ghetto. Il blues, più che
il jazz, è però il genere di riferimento, ed anche in questo caso per un motivo po-
litico, visto che con il blues, da sempre, si sono fatti sentire coloro che negli Stati
Uniti non hanno mai avuto voce. Per riprodurre la distorsione dei sensi dello
stato mentale alterato dagli acidi, i musicisti impiegano sintetizzatori, amplifi-
cazioni mostruose, feedback, fuzztone, strumenti orientali; l’enfasi è posta so-
prattutto sulle note lente e scivolose, sui suoni modali, con assenza quasi totale
dei cambi di accordo, e sulle melodie rallentate. L’acid rock nasce così, da que-
sto humus e per certi versi anticipa quella che sarà la musica psichedelica, con
la quale ha molti punti di contatto, come i continui richiami all’Oriente, all’Lsd,
a una nuova libertà formale; ma pure parecchie diversità: una sedicente aspira-
zione anti-commerciale, sicuramente meno fantasia, meno colori, meno gioia e
più politica, più rabbia, più consapevolezza.
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Sognatori rock
L’era della Love Generation e del Flower Power ha il suo inizio ufficiale il 17
ottobre 1965 al Longshoreman’s Hall di San Francisco: è uno spettacolo definito
dagli organizzatori multiartistico che s’intitola A Tribute to Dr. Strange dove, tra
esposizioni di quadri, letture di poesie e performance teatrali, davanti a oltre
duemila persone suonano alcuni gruppi locali come i Charlatans, la primissima
formazione dei Jefferson Airiplane e la Great Society, il gruppo dove Grace
Slick è la vocalist. Il successo è clamoroso. Le settimane dopo sullo stesso palco
suonano Frank Zappa, Country Joe McDonald & The Fish e il poliedrico, folle,
geniale Richard Farina, strana figura di cantautore-romanziere-agitatore cul-
turale-leader universitario, amico e ispiratore di Thomas Pynchon, che gli de-
dicherà il suo capolavoro Gravity’s Rainbow. Seguono altri simili happening in
altri locali alternativi che velocemente stanno aprendo in tutta la Bay Area
(come l’Avalon Ballroom, il Matrix, il Carousel), dove a fine serata i concerti che
si tramutano in grandi orge di suono e amore chiamate love-in.
A San Francisco in quelle notti nasce e si stabilizza una nuova ondata della
scena rock internazionale, dove i capostipiti, oltre ai gruppi di quelle serate, sono
le band strettamente legate alla psichedelia: Grateful Dead, Quicksilver Mes-
sanger Service, Moby Grape, Jefferson Airplane, Big Brother & the Holding
Company (il gruppo di Janis Joplin) e, da Los Angeles, i Doors.
A fianco della psichedelia più dura convivono la sperimentazione dei “soli-
sti” come Jimi Hendrix (emigrato però in Inghilterra per riuscire a incidere un
disco) o Al Kooper; il blues dei Canned Heat; la West Coast dei Mama’s & Pa-
pa’s, Sonny & Cher, Byrds, Buffalo Springfield e Crosby, Stills, Nash & Young; la
classica canzone americana del Creedence Clearwater Revival e quelle surf-style
dei Beach Boys. A favorire la creatività e l’affermazione di questi gruppi c’è la
diffusione del disco a 33 giri, il long playing, che offre molto più spazio alla spe-
rimentazione e all’improvvisazione musicale rispetto ai 3-4 minuti, durata ca-
nonica della canzone.
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IV
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e famiglie benestanti, schifati dalla nuova gioventù capellona, mezza nuda e sbal-
lata, se ne vanno. Il loro posto è immediatamente preso dalla nuova comunità
che si è formata nel quartiere, i Figli dei fiori. Tra questi, i fratelli Jay e Ron The-
lin che, trovato uno spazio libero al 1535 di Haight Street, il primo gennaio 1966
inaugurano lo Psychedelic Shop, una sorta di market della cultura hippie. Al-
l’interno si vendono libri, fumetti, testi sulle droghe e sulle filosofie orientali,
candele, “perle d’amore”, poster e quadri psichedelici, dischi, strumenti musi-
cali, cartine per sigarette, oli essenziali, collanine, perline e qualche capo d’ab-
bigliamento. Insomma, tutto il necessario per vivere come un Figlio dei fiori.
Dietro alla cassa, c’è appesa una lavagna sulla quale si possono scrivere mes-
saggi, annunci, richieste, saluti e ogni tipo di comunicazione. All’esterno, sul
marciapiede davanti alle vetrine, sono state installate un paio di file di sedie da
platea recuperate dalla sala del vicino Straight Theatre, piccolo teatro del quar-
tiere: chi sta seduto fuori dal locale può vedere ciò che accade all’interno. Ben
presto il negozio diventa uno dei ritrovi più importanti della comunità, anche
perché, sul retro c’è un locale, silenzioso, illuminato solo da un paio di candele
con dei grandi e comodi cuscini sistemati per terra: è la meditation room, luogo
dove oltre a meditare si fa anche l’amore. Un anno più tardi, a New York, sul-
l’Avenue A, a Est della città, apre lo Psychedelicatessen, il più grande negozio
hippie della città che vende anche prodotti alimentari. Al centro del locale c’è un
enorme narghilé, alto più di un metro e mezzo, con otto tubi flessibili per fumate
di gruppo.
Sempre all’interno dello Psychedelic Shop si redige l’Hip Switchboard, una
sorta di bollettino informativo della comunità hippie e distribuito gratuitamente
oltre che nel negozio anche per le strade della città. Quale mese più tardi Ron
Thelin e Allen Cohen, poeta della beat generation, fondano un giornale vero e
proprio che viene stampato con i colori dell’arcobaleno, il San Francisco Oracle.
Lo finanzia Thelin e lo dirige Cohen, la redazione è sistemata in una stanza nella
casa del grafico che, aggiungendo altri tipi d’inchiostro a quelli standard utiliz-
zati in tipografia, riesce a ottenere proprio l’effetto arcobaleno. Ma le novità non
finiscono qui: ogni numero pubblicato è addirittura aromatizzato. Dopo i primi
tre numeri - il primo profumato al gelsomino, il secondo alla rosa, quello dopo
al patchouly - la redazione si accorge che la stampa profumata e a colori risulta
parecchio costosa, e con i soldi ricavati dalle vendite si riesce a malapena a co-
prire i costi della carta e a pagare la tipografia. Così, nonostante alcune cifre cla-
morose, le copie vendute superano anche le centomila a numero, i soldi
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finiscono; e dopo appena 12 numeri il giornale è costretto a chiudere. L’opera-
zione, però, rimane storica: l’Oracle oltre ad essere il primo esempio di editoria
psichedelica riesce a essere l’anello di congiunzione tra gli hippie e i beat. Sulle
sue pagine, infatti, scrivono articoli, pensieri e poesie Lawrence Ferlinghetti,
Gary Snyder, Michael McClure; sono pubblicati disegni di Victor Moscoso, Rick
Griffin e Mouse & Kelley e recensiti album dei Grateful Dead, Jefferson Air-
plane e di Bob Dylan. Ma la fortuna dello Psychedelic Shop arriva pochi mesi più
tardi, quando Lenore Kandel, poetessa americana e leader dei Diggers, pubblica
The Love Book, raccolta di poesie a carattere erotico in vendita solo nel negozio
di Haight Street. Il 17 novembre 1966, dopo una denuncia di un privato citta-
dino, una squadra della buon costume fa irruzione nei locali per sequestrare
tutte le copie del volume: quel giorno dietro al bancone c’è Allen Cohen e viene
arrestato. Dopo un processo durato oltre cinque settimane, The Love Book viene
giudicato «osceno», ma la sentenza viene ribaltata in appello. Prima del seque-
stro il libro della Kandell non aveva venduto più di una cinquantina di copie; su-
bito dopo - visto il clamore dell’azione - vengono ristampate decine di edizioni
che vanno esaurite in pochissimi giorni facendo diventare The Love Book un
best seller da centinaia di migliaia di copie, regalando all’autrice una fama in-
sperata e trasformandola in una delle poetesse più lette degli Stati Uniti. Al ter-
mine della vicenda, come ironico ringraziamento, la Kandell dona parte dei suoi
diritti editoriali al fondo pensione della polizia per il loro aiuto.
Intanto in tutta San Francisco cominciano a diffondersi nuove e innovative
iniziative artistiche: dalla musica all’arte, dalla poesia - la Kandell stessa apre dei
laboratori di scrittura creativa - al teatro d’avanguardia, dalla pittura alla scultura.
Una delle più attive e dinamiche compagnie di teatro è la San Francisco Mime
Troupe, compagnia gestita dal giovane Bill Graham (il suo vero nome è Wol-
fgang V. Grajonka, di origine tedesca) che fatica non poco a trovare spazi e si esi-
bisce spesso in strada e nei parchi pubblici. Graham decide così di occupare il
Fillmore Auditorium, una vecchia sala da ballo in disuso, e organizzarci uno
spettacolo senza grandi pretese. Contro ogni previsione lo spettacolo ha un no-
tevole successo, tanto che viene ripetuto diverse volte spingendo così il lungi-
mirante Graham ad “ampliare” il proprio ventaglio d’offerte culturali. Così al
Fillmore pochi mesi dopo, oltre agli spettacoli teatrali, vengono organizzati con-
certi, mostre d’arte, balletti, performance e altre esibizioni. L’appuntamento ha
cadenza settimanale e il locale di Graham diventa il più alternativo e frequen-
tato di tutta la Bay Area, e il centro della controcultura.
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Va detto che all’aspetto prettamente culturale, Graham non disdegna affatto
quello economico: il fenomeno degli spettacoli cresce a dismisura, in modo
esponenziale e lui si propone come agente non solo di compagnie teatrali ma
anche di gruppi rock, come i Jefferson Airplane, e giovani musicisti alternativi
che propongono sound originali, come Carlos Santana. L’offerta cresce, il pub-
blico anche e la sala del Fillmore si rivela ormai troppo piccola, così Graham si
muove alla ricerca di spazi più grandi in città. L’occasione gli è data dalla chiu-
sura del Carousel, un’altra sala da ballo sull’incrocio tra Van Ness e Market Street,
che acquista per pochi dollari, ristruttura immediatamente e rinomina Fillmore
West, duplicando così i suoi locali. Il suo nome è conosciuto da tutti gli agenti
delle rockstar degli Stati Uniti e tutti vogliono venire a suonare per il pubblico
di Graham a San Francisco: perché ormai è chiaro che una volta calcato il pal-
coscenico del Fillmore si entra nella storia del rock. Il calendario tipo prevede
sei serate la settimana, alcune no-stop, amalgamando in un’unica notte (che fi-
nisce inesorabilmente in una jam session collettiva) i personaggi più diversi e più
lontani culturalmente e musicalmente. Ma il giovane manager, sulle ali dell’en-
tusiasmo si spinge oltre e organizza “sit-in”, “free-concerts” e poco tempo dopo
apre una nuova sala da concerti, il Winterland. San Francisco è diventata troppo
piccola e Graham tenta il grande salto: prima affitta sale a Berkeley e a Oakland,
poi il 2 agosto 1968 parte alla conquista la grande mela: in pieno centro a Man-
hattan apre il Fillmore East; più grande, più comodo e meglio insonorizzato del
“fratello minore” dell’altra costa.
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cale e comincia a spegnere luci e microfoni. Dalla sala parte un applauso ironico
all’indirizzo degli agenti. A questo punto un poliziotto riaccende un microfono
per fare un annuncio: le parole, però, escono distorte da echi, fischi e scariche
elettriche, come fosse un effetto voluto all’interno della recita di una poesia psi-
chedelica. Kesey, che fino a quel momento era rimasto in un angolo a godersi lo
spettacolo, si avvicina al poliziotto, si fa consegnare il microfono, lo sistema e,
con voce calma, dice: «Ragazzi, la festa è finita. Tornate a casa da bravi». La sala
comincia svuotarsi, ordinatamente e in silenzio, sotto lo sguardo incredulo degli
agenti. All’esterno, però, c’è ancora gente in coda per entrare. Per la cronaca, il
Festival frutta agli organizzatori la bellezza di 12.500 dollari.
Kesey è intervenuto in soccorso dell’agente perché vuole tenersi buona la po-
lizia visto che solo due sere prima è stato sorpreso con una valigetta piena d’erba
e denunciato. Il suo gesto, però, non riesce a evitare che venga emesso un man-
dato d’arresto nei suoi confronti, proprio pochi giorni dopo l’episodio del Lon-
gshoremen’s Hall. Ma lui non si dà per vinto e nella speranza di scampare dalla
prigione allestisce una messa in scena del suo suicidio. Scrive un biglietto e con-
vince suo cugino Dale, che gli assomiglia parecchio, a guidare il suo vecchio fur-
gone sulla strada costiera e fermarsi in una zona nei pressi di un precipizio,
lasciare la portiera aperta e attaccare il biglietto sul volante. Sul biglietto c’è
scritto: «Io Ken Kesey, sano (ehm) di mente e di corpo, lascio tutto a Kaye, la so-
cietà, i contanti, le opere. Tutta la successione sarà gestita dal fido Kenneth
Babbs». Kesey, intanto, raggiunge Los Angeles, da lì oltrepassa la frontiera e si
stabilisce in Messico.
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della “specialità” sbagliano le dosi della ricetta: invece di 80 microgrammi di Lsd
ne distribuiscono 800 a testa. Risultato: la maggior parte vomita e collassa e sette
persone vengono ricoverate in ospedale.
I giorni dopo i raduni continuano a svolgersi in quasi tutta la California e
sono sempre affollati, ma a Leary non basta e si spinge più in là. Secondo lui, in-
fatti, le droghe, senza particolare distinzioni tra marijuana e Lsd, costituiscono
il veicolo della nuova consapevolezza collettiva. Così a luglio fonda la Religione
Psichedelica che come sacramento ha, appunto, l’uso di Lsd. A settembre, in-
tervistato dalla rivista Playboy, Leary afferma: «L’Lsd ti permette di fare l’amore
contemporaneamente con Dio, con te stesso e con la donna che ami». L’idea di
Leary è che l’espansione della coscienza e l’esplorazione del sé, che gli allucino-
geni sono in grado di estendere oltre qualsiasi limite, possano portare a una mu-
tazione biologica. Ne La politica dell’estasi il professore scrive: «Gli esseri umani
nati dopo il 1943 appartengono a una specie diversa da quella dei loro progeni-
tori. Tre nuove energie, esattamente simmetriche e complementari - l’atomica,
l’elettronica e la psichedelia - hanno prodotto una mutazione evolutiva». Que-
ste parole fanno breccia con estrema facilità tra le comunità hippie: i Figli dei
fiori si convincono che i sogni e le visioni, vissuti dell’estasi degli allucinogeni,
quanto prima si trasformino in realtà.
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organizzata da Michael Bowen e Allen Cohen che partoriscono l’idea del Love
Pageant Rally, il Corteo dell’Amore, che si terrà verso la fine di ottobre. Gli or-
ganizzatori annunciano che sarà una manifestazione in grado di dimostrare la
falsità della legge, senza aggressività né scontro diretto con lo Stato; una pacifica
celebrazione d’innocenza dei consumatori, perchè nessuno si senta colpevole
per aver assunto una sostanza oggi dichiarata illegale. Sul poster che promuove
la manifestazione si legge: «Al corteo indossate il color oro; portate le fotogra-
fie dei vostri santi protettori, dei vostri guru, dei vostri eroi underground (…)
portate bambini, fiori, flauti, tamburi, piume, collanine, incenso, cembali, co-
stumi colorati (…) e tanta gioia». È invitato a partecipare anche il sindaco di
San Francisco, il repubblicano George Christopher. Il giorno della manifesta-
zione la redazione dell’Oracle e lo staff dello Psychedelic Shop guidano la dele-
gazione che si reca alla City Hall, la sede del Comune, per incontrare il sindaco
Christopher e spiegare il motivo della loro iniziativa.
Il Corteo dell’Amore riscuote un successo eccezionale, decine di migliaia di
persone sfilano pacificamente per le strade della città, in mezzo al corteo sfila a
passo d’uomo anche un camion col rimorchio sul quale è montato un palco-
scenico dove si alternano i Grateful Dead e i Big Brother & The Holding Com-
pany. Al termine della giornata, e visto il successo della manifestazione, Cohen
capisce che è il momento giusto per spingere sull’acceleratore, che una manife-
stazione del genere deve essere al più presto replicata, perché il Corteo del-
l’Amore è stato qualcosa di molto di più di un semplice corteo per le strade della
città. È soddisfatto, felice perché non si sono registrati incidenti, perché tutto si
è svolto pacificamente e perché l’atmosfera della città è cambiata. Poi, rivolgen-
dosi a Michael Bowen, l’altro promotore e ideatore del Love Pageant Rally, dice:
«It’s just being, humans being, being together (…)» («È stato come essere pre-
senti. Ma un “essere” diverso e prezioso, perché è stato un essere fatto di umani
che stanno insieme. Dobbiamo fare ancora qualcosa di simile, non è finita qui»).
«Sì - risponde Bowen - hai ragione, è stato uno Human Be-In. Anzi: lo chiame-
remo proprio così. Ma sarà molto più grande, riuniremo tutte le tribù della città,
degli Stati Uniti. Del mondo».
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Berg. I due una sera, assistendo a un pestaggio tra giovani afro-americano e po-
lizia, danno vita a un gruppo culturale non-violento ispirato alla visione anar-
chica della società degli agricoltori inglesi del Seicento.
I Diggers - così hanno scelto di chiamarsi - alternano performance teatrali da
strada con azioni puramente anarcoidi e happening artistici perseguendo l’obiet-
tivo di una “free city”. Organizzano dei veri e propri servizi di mensa (feed-in)
raccogliendo generi alimentari da donazioni private, avanzi dei ristoranti e di
mense aziendali e offrono assistenza medica e distribuzioni di medicinali. La
raccolta e la distribuzione avviene tutti i giorni al Golden Gate Park, così come
il “surplus energy”, cioè lo stoccaggio in alcuni negozi della città dei prodotti
che, in caso di bisogno, possono essere ritirati gratis. Le linee guida sono la ro-
tazione dei posti di lavoro, la gratuità dei servizi, l’educazione e la formazione co-
mune dei bambini, coppie e matrimoni più o meno “aperti”, famiglie allargate,
democrazia diretta, coltivazione in proprio di prodotti agricoli e dell’artigianato
e accesso gratuito alle droghe.
Però, nonostante tutte queste attività, i Diggers continuano a essere princi-
palmente una compagnia teatrale. Il loro palcoscenico sono solo le strade e i
parchi di San Francisco, dove alle performance si assiste gratuitamente o con
una piccola offerta (sono accettati anche generi alimentari, medicinali, oggetti,
abbigliamento): spesso, però, le rappresentazioni sono interrotte dalla polizia a
causa di contenuti eccessivamente trasgressivi, linguaggio volgare e accuse con-
tro politici.
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cheggiare, ai pedoni di camminare, ai negozi di rifornirsi. In uno di questi sit-
in Neil Young, appena arrivato dal Canada, conosce Stephen Stills e Richie Furay
e, dopo una chiacchierata durata una notte intera, decidono di formare un
gruppo e chiamarlo Buffalo Springfield. Il 12 novembre, dopo innumerevoli
scontri con la polizia con pestaggi e arresti, un migliaio di giovani invece che sul
marciapiede decidono di sedersi sulla strada bloccando completamente il traf-
fico. Viene mobilitata la polizia di tutta Los Angeles, migliaia di agenti in tenuta
antisommossa cominciano a manganellare e ammanettare oltre 300 dimostranti,
tra questi Peter Fonda e i cantanti Sonny Bono e la sua compagna Cher.
Arrivano le Pantere
Sul fronte della popolazione afroamericana, c’è da segnalare la nascita a Oa-
kland del Black Panther Party for Self-Defense, fondato da Huey Percy Newton
e Bobby Seale. Le Pantere Nere, i cui aderenti girano armati anche di armi da
fuoco e in uniforme completamente nera, si propongono come protettori della
popolazione di colore organizzando servizi legali e sociali (come le mense per i
bambini o gli ambulatori) per gli abitanti più poveri delle città. In pochi mesi l’or-
ganizzazione acquista un ampio consenso soprattutto tra i giovani neri. Al loro
fianco si schiera la Nuova Sinistra “bianca” e buona parte dell’opinione pubblica
democratica. Il Carousel, nel quartiere di Fillmore, è il locale più frequentato
dai simpatizzanti delle Pantere, così tra hippie e “black” nasce subito un feeling,
anche perché gli obiettivi sono gli stessi: parità dei diritti e fine della guerra in
Vietnam. E inizia uno scambio d’informazioni e aiuti: le madri di colore forni-
scono ai Figli dei fiori indicazioni su come ottenere gli assegni dai servizi sociali,
le comunità hippie aiutano i colored a trovare alloggi e lavoro.
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V
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Vallo a chiedere ad Alice quando è alta dieci piedi
E se vai a caccia di conigli
E sai che finirai di cadere giù
Dì a loro che un bruco che fumava il narghilé
Ti ha lanciato il richiamo
Vallo a chiedere ad Alice quando era alta così
Quando gli uomini sulla scacchiera
S’alzano e ti dicono dove andare
E tu hai appena mangiato una certa specie di funghi
E la tua mente si muove bassa e lenta
Vallo a chiedere ad Alice, credo che proprio lei lo sappia
Quando logica e proporzione
Cadono svuotate a terra
Ed il Cavaliere Bianco parla a rovescio
E la Regina Rossa ha perduto la testa
Ricorda cos’ha detto il ghiro: «Nutrite la vostra mente»
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musicale, unite, però, dalla stessa filosofia di vita. Oltre ai soliti noti, ai gruppi
più famosi e quasi sempre nei cartelloni del Fillmore e degli altri locali di San
Francisco e dintorni, ci sono altre centinaia di gruppi che impastano il rock in
forme sempre più nuove, alternando pigre canzoni a viaggi verso l’ignoto, so-
stenuti, però, da ripetuti assoli di chitarra “acida”, con sonorità distorte. Lenta-
mente il San Francisco Sound dilaga dalla zona della Bay Area, scende lungo
tutta a California e arriva a Los Angeles, anche se con qualche distinguo: i
gruppi, al Sud, risentono dell’aria un po’ più glam della “città degli angeli” e della
vicina Hollywood, e perciò mostrano un atteggiamento molto meno hippie ma
più aggressivo, per certi versi “maledetto”, nei confronti del mondo dello spet-
tacolo. L’onda del Sud è portata avanti da Frank Zappa, dai Byrds di David Cro-
sby e dai Doors di Jim Morrison, questi ultimi artefici di performance molto
teatrali stimolate pesantemente dall’alcol e dalle droghe.
Oltre al rock, in tutte le sue forme, a riunire i gruppi giovanili di San Franci-
sco è il teatro. In città, per festeggiare il nuovo anno, la San Francisco Mime
Troupe e i Diggers il giorno di capodanno del 1967 mettono in scena in strada,
all’incrocio con Ashbury Street, una performance clamorosa: la Celebrazione
della morte e della rinascita di Haight-Ashbury e la morte del denaro. Le ragazze,
completamente vestite di bianco, distribuiscono tra il pubblico improvvisato
strisce di carta argentata con la scritta «Now!» (Ora!) e consegnano ai passanti
flauti di Pan, fiori colorati, bastoncini di bambù, fischietti e specchietti per il
trucco che vengono utilizzati per riflettere i raggi del sole. Il corteo si dispone
sui due lati del marciapiede. Il primo gruppo inizia a cantare «Uuuuuh!», a de-
stra rispondono «Aaaaaah!», poi tocca ancora al primo che questa volta sus-
surra «Sssssssh!», e così via. L’effetto sonoro è incredibile. La gente, almeno
quattromila le persone che partecipano, applaude, suona e canta. Il traffico è
bloccato, ma nessuno sembra preoccuparsene, anzi: si vede l’autista di un auto-
bus salire sul tetto e cominciare a ballare tra gli applausi dei passeggeri. «La
strada è di tutti, la città è di tutti» cantano gli attori. Arriva la polizia e fa sgom-
berare i presenti con qualche spintone. L’obiettivo degli agenti è unicamente
quello di arrestare qualcuno per disturbo della quiete pubblica. La scelta cade su
due motociclisti che sfilano per la strada in sella a una Harley Davidson: il pas-
seggero è in piedi sul sellino e sventola un bandierone con scritto «Free!». I due
fanno parte del gruppo Hell’s Angels, motociclisti, amanti della birra, del rock
e, da poco tempo, amici degli hippie. Durante l’arresto un altro motociclista,
George “Chocolate” Hendricks - anche lui appartenente al gruppo degli Hell’s
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Angel - si ferma, scende dalla moto e, cercando di difendere gli amici che sta-
vano per essere caricati a bordo di un cellulare, inveisce contro i poliziotti. “Cho-
colate” è una specie di eroe popolare, amato e benvoluto da tutti, con una forte
personalità: indossa sempre un gilet con appese decine di spille colorate e va in
moto con un vecchio casco da giocatore di football. Nonostante le apparenze è
un buono. La polizia non si fa intimidire e arresta anche lui. Il tutto avviene da-
vanti alle vetrine del Free Store dei Diggers che, nel frattempo, viene perquisito
da cima a fondo senza apparente motivo, solo alla ricerca di qualche grammo di
fumo.
Il giorno dopo per le strade del quartiere si formano cortei spontanei che in-
vocano la «libertà degli angeli»: uno di questi, con i manifestanti vestiti da bec-
chini e con in spalla una bara, si dirige verso la stazione di polizia di Golden
Gate, dove lavorano i responsabili degli arresti. Il capo della polizia fa recapitare
un messaggio ai manifestanti: la cauzione per rilasciare gli arrestati ammonte-
rebbe a 2.500 dollari, ma se viene versato in contanti il 10 per cento è previsto
il rilascio immediato. Gli hippie non perdono altro tempo e organizzano subito
una colletta tra i passanti nel quartiere dove la bara diventa il contenitore dei
soldi raccolti. La colletta è scandita dallo slogan «Angels in jail, money for bail»
(«Angeli in prigione, soldi per la cauzione»). Alla sera i tre angeli sono liberi. E
non sono stati pochi i poliziotti che hanno messo mano al portafoglio dando il
loro contributo.
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VI
L’ESTATE dELL’AMoRE
I I media, non solo quelli degli Stati Uniti ma di tutto il mondo, guardano sem-
pre più con maggiore attenzione a ciò che succede nella città californiana, dove
la notizia stravagante è sempre in agguato. Gli hippie capiscono che questo - da
un punto di vista mediatico - è un periodo irripetibile, da sfruttare per far co-
noscere a più gente possibile le loro idee. Nel 1967 il movimento è alla sua mas-
sima espressione: ogni giorno vengono organizzate assemblee, spettacoli, raduni,
conferenze, presentazioni, concerti, dove partecipano centinaia di giovani. E il
progetto dell’Human Be-In, ideato da Ginsberg a fine dello scorso anno, co-
mincia a prendere forma. Per prima cosa Michael Bowen, Allen Cohen, e Jay
Thelin decidono la data e il luogo: si terrà il 14 gennaio al Polo Fields del Gol-
den Gate Park. Il Polo Fields, è un vasto campo in erba circondato da alte piante
all’interno del parco progettato originariamente per le partite di polo: Thelin
stima che possa ospitare circa ventimila persone. Per scegliere la data Bowen e
Cohen si rivolgono a Gavin Arthur, scrittore, filosofo e astrologo, pronipote del
ventunesimo presidente degli Stati Uniti, Chester Arthur, che la individua dopo
complicati calcoli astrologici. Arthur, popolarissimo tra la comunità hippie gra-
zie a una serie di articoli astrologici pubblicati sull’Oracle, suggerisce il 14 gen-
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naio perché «è un giorno ideale per la comunicazione tra i popoli» in quel
giorno, infatti «la popolazione del pianeta pareggerà quella di tutti i morti della
storia dell’umanità».
Ora non resta che promuovere l’evento e per farlo decidono di indire una
conferenza stampa. Cohen e Bowen fanno recapitare ai giornalisti un comuni-
cato sul quale si legge: «Da dieci anni una nuova nazione sta crescendo nelle vi-
scere del vecchio sistema. Come si può chiaramente vedere, un’anima nuova
libera e vitale sta riconnettendo i centri vitali degli Stati Uniti. Il 12 gennaio
1967, alle 10 a.m., al 1542 di Haight Street, sul retro del Print Mint, Michael
Bowen, Allen Cohen, Gary Snyder, Jerry Rubin e Jay Thelin saranno presenti
per spiegare il loro progetto alla stampa e rispondere alle domande sul Gathe-
ring Of The Tribes For Human Be-Inn che si terrà il 14 gennaio, dalle ore 13, al
Polo Fields nel Golden Gate Park». E ancora: «Gli attivisti politici di Berkeley
e i rappresentanti della Love Generation di Haight-Ashbury si uniranno ai mem-
bri della “nuova nazione”, provenienti da ogni angolo del Paese. Con loro le varie
“tribù della gioventù” (l’anima emergente della nazione) per celebrare e festeg-
giare l’epoca della liberazione, dell’amore, della pace, della solidarietà e dell’unità
degli esseri umani». Il comunicato si conclude con uno slogan e un invito: «Le
notti del terrore dominate dalla “rapace aquila americana” sono finite. Lasciate
le paure alla porta e incontrate il futuro. Se non ci credete, aprite bene gli occhi
e… guardate!».
La conferenza stampa è affollatissima. Agli organizzatori dell’evento tocca ri-
spondere a centinaia di domande e ai presenti mostrano il manifesto dell’evento,
dov’è raffigurato un capo indiano a cavallo che imbraccia una chitarra, sopra
campeggia la scritta Pow Wow, tipica espressione religiosa nei nativi d’America.
Durante la presentazione Coehn e Bowen rimarcano ulteriormente che, per la
prima volta, gli hippie di Haight-Ashbury, gli attivisti politici di Berkeley, i beat
di New York, gli Hell’s Angels e tutte le altre organizzazioni giovanili di qualsiasi
credo e colore si uniranno lasciando da parte tutte le divisioni. «Lo Human Be-
In - dicono davanti alla platea dei giornalisti - è l’inizio di una nuova era: quella
della consapevolezza dell’unità e dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, della
solidarietà e dell’amore, l’Era dell’Acquario. Comincia un processo di umaniz-
zazione delle donne e degli uomini d’America».
L’Era dell’Acquario, spiegano a margine della conferenza stampa, e non solo
ai giornalisti, rappresenta per gli hippie - pensiero poi mutuato dalla new age -
l’era della conoscenza, che coltiva l’ideale di una religione cosmica, contrappo-
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sta alla religione del terrore (la religione cristiana), che non conosce né dogmi,
né dei costruiti secondo l’immagine dell’uomo. Secondo questa filosofia di ori-
gine orientale, l’uomo deve rivolgere la conoscenza verso se stesso, perché è lì che
è depositata, lì è la verità, lì è la realtà. «Attraverso la conoscenza interiore - di-
cono Coehn e Bowen - l’uomo potrà scoprire tutto». Ma tengono a precisare
che il diffondersi della conoscenza non vuol dire necessariamente capire, poiché
essere al corrente non vuol dire imparare. E aggiungono: «Per capire e per sapere
bisogna documentarsi, esercitarsi, assimilare, ma soprattutto aprire la mente. Il
destino della superciviltà degli oggetti, del materialismo, delle parole vuote, del-
l’inganno, del sesso senza amore è solo il fallimento».
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arringa la folla con lo slogan «Turn On, Tune In, Drop Out - Accenditi, sinto-
nizzati, abbandonati», una sorta di invito alla ricerca della propria spiritualità e
personalità artistica promovendo la condivisione con gli altri. «È un concetto che
mi ha insegnato Marshall McLuhan - spiega Leary - . Il significato è semplice:
“Turn On” è un invito ad attivare la divinità o il grande spirito che è in ognuno
di noi. Da migliaia di anni tutti i filosofi ripetono qualcosa di simile, accendi la
spiritualità che è in te. “Tune In”, invece, ti ricorda che una volta che sei attivato
spiritualmente e sei pronto per tornare in mezzo agli altri, devi trovare un mezzo
per manifestare la tua nuova consapevolezza: dipingi, scrivi, suona, fai qualcosa
che sia in grado di esprimere la tua personalità. “Drop Out” non è un isolamento
dovuto al consumo di marijuana ascoltando rock, ma un invito a cambiare vita.
Significa fare più cose possibili entrando e uscendo dalla realtà».
Dopo di lui salgono sul palco alcuni esponenti della beat generation come La-
wrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg e Gary Snyder. Il primo suona una melodia
soffiando dentro a delle grandi conchiglie e canta un mantra dedicato a Buddha,
The Coming Buddha of Love (l’Arrivo del Buddha e dell’amore); anche Ginsberg in-
tona un mantra indiano, il Sri Maitreya, e annuncia che: «… lo spirito del nuovo
Messia potrebbe non venire a noi, ma da noi…» e al termine del suo intervento
urla: «Noi siamo uniti! Noi siamo un’unica persona!» e dalla platea si alza un coro
di risposta: «Noi siamo tutto l’amore!». Si levano anche cori di Hare Krishna, dal
palco viene lanciato un lungo e profondo «Om». Con Ginsberg si uniscono sul
palco i poeti Gary Snyder, Michael McClure, Lawrence Ferlinghetti, Lenore Kan-
del che compie gli anni e al termine del suo intervento, Ginsberg e Snyder into-
nano «Happy Birthay To You», al coro si unisce tutta la platea accorsa al Golden
Gate Park. Nelle prime ore del pomeriggio iniziano i concerti: sul palco salgono i
beniamini di San Francisco, ovvero i Quicksilver Message Service, i Jefferson Air-
plane e i Grateful Dead. Al termine delle performance, quando tutto è finito, tutti
sono invitati a eseguire un esercizio di “kitchen yoga”: cioè, ripulire il parco men-
tre ci si avvia all’uscita. L’esercizio risulta perfettamente riuscito, il Golde Gate Park
torna pulito più di quando tutto era cominciato. L’evento, durato cinque ore, è stato
un successo clamoroso, tanto che il movimento hippie viene ufficialmente sdoga-
nato anche dai politici che ora lo vedono come una realtà culturale con cui bisogna
confrontarsi. Personalità del mondo accademico, artisti internazionali, uomini po-
litici, tra questi persino il sindaco di Nuova Delhi, sostengono l’iniziativa.
Allen Ginsberg, in tutto questo, coglie il significato letterale: era davvero suffi-
ciente essere lì.
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Nei giorni a seguire giornali e televisioni dedicano parecchio spazio all’ini-
ziativa, con lunghi articoli, servizi fotografici e gli immancabili commenti di po-
litici e sociologhi. Il San Francisco Oracle definisce il Be-In «…un’unione
d’amore, amore fino a quel giorno sempre diviso da etichette e categorie dog-
matiche»; il Berkeley Barb, giornale underground dell’East Bay, scrive che il ra-
duno: «è il segno di una rivoluzione spirituale» e termina il lungo articolo con
una frase che ha segnato un epoca: «È iniziato l’anno dell’amore!»; sulle pagine
del San Francisco Chronicle si legge che: «Non è stata soltanto una “riunione di
tribù, poeti e musicisti”, lo Human Be-In è stata una dichiarazione di vita e non
di morte; una testimonianza d’amore e non di odio».
I reportage dell’evento, tra cui un filmato girato da Dennis Hopper, fanno il
giro del mondo. Il movimento hippie è ormai inarrestabile, cresce in maniera
esponenziale: San Francisco è letteralmente in mano ai giovani, per tutti è la ca-
pitale (contro)culturale del pianeta.
Ma la sua musica, il suo sound, le sue mode cominciano a diventare un pro-
dotto da esportare.
Assistenza e protezione
Non sempre, però, fila tutto liscio come l’olio. Nei raduni e ai concerti rock a
causa dell’uso, e spesso dell’abuso, delle sostanze stupefacenti la polizia comin-
cia a prendere provvedimenti drastici. E così se prima reprimeva e sequestrava
gli spinelli, ora usa il manganello e in certi casi anche le manette. Per affrontare
questa nuova ondata di arresti gli avvocati Brian Rohan e Michael Stepanian
fondano la Halo (Haight-Ashbury Legal Organisation) che ha sede al 715 di
Ashbury Street, praticamente di fronte alla casa dei Grateful Dead. La Halo offre
l’assistenza per tutte le imputazioni, dalla resistenza al pubblico ufficiale ai ru-
mori molesti, dalla guida senza patente agli atti osceni, ma il lavoro maggiore per
gli avvocati è quello di difendere i loro assistiti dall’accusa di consumo e pos-
sesso di sostanze stupefacenti. Accusa che è stata rivolta anche a Ken Kesey che
pochi mesi prima alla giuria dichiara «Sono innocente, ma non posso pagare le
spese legali per difendermi. Quindi, accusatemi pure». E proprio la Halo va in
suo soccorso. Ma la nuova Organizzazione non si ferma ai soli aspetti legali:
pochi mesi dopo apre lo Switchboard, sorta di servizio assistenza 24 ore su 24:
qui si rivolge chi non ha un letto perché è scappato di casa o ha fatto un brutto
viaggio con la droga, chi cerca un lavoro o un pasto caldo, chi non sa dove an-
dare perché è la prima volta che viene a San Francisco o per qualsiasi altro mo-
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tivo. Ben presto, allo Switchboard, si rivolgono anche i genitori che ricercano i
loro figli che non tornano più a casa, di cui non hanno più notizie, con la spe-
ranza di ritrovarli accasati in qualche comune di Haight-Ashbury. La comunità
hippie si organizza anche per l’assistenza sanitaria: a occuparsene è David Smith,
un giovane medico che, pochi giorni prima di quella che sarà la Summer of Love,
decide di aprire una clinica gratuita al 558 di Clayton Street dove offrire assi-
stenza a tutte le ore del giorno e della notte. Smith si sta specializzando in tos-
sicologia e capisce subito che gli abitanti di Haight-Ashbury possono fornirgli
una grande quantità di casi da studiare che non troverebbe altrove. Il personale
della clinica è costituito da una trentina di medici part-time e un centinaio di vo-
lontari, in maggioranza Figli dei fiori ex studenti di medicina. Oltre alle diverse
reazioni agli stupefacenti, la maggior parte si rivolge alla clinica per curare ma-
lattie veneree e intossicazioni alimentari.
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certo da una balconata, sotto si radunano oltre 400 persone, alcuni di loro bal-
lano nudi sotto la pioggia. Arriva la polizia e la gente inizia a bersagliare le ca-
mionette con uova e ortaggi. Gli agenti chiamano rinforzi: vengono arrestate
soltanto una cinquantina di manifestanti perché qualcuno è provvidenzialmente
riuscito a tagliare i pneumatici delle camionette blindate.
Gli hippie si sentono sempre più liberi e San Francisco, dal canto suo, per-
mette loro di fare quello che vogliono. L’esempio più clamoroso di questa libertà
assoluta accade a maggio, quando Country Joe McDonald, per festeggiare
l’uscita del suo primo album, Electric Music For The Mind and Body on Van-
guard, distribuisce gratis la bellezza di cinque chili di spinelli già pronti per l’uso.
A giugno la città è gioiosamente invasa da settantacinquemila giovani, e quasi
tutti portano un fiore tra i capelli. Manca ormai poco alla consacrazione ufficiale
della “generazione dell’amore”.
A consegnare alla storia l’epopea dei Figli dei fiori è il Monterey Pop Festival,
un’eccezionale concerto che sarà l’evento clou della Summer of Love e il primo
grande avvenimento della storia del rock. Monterey è una piccola città affac-
ciata sull’oceano Pacifico, a Sud-Est di San Francisco, sulla sponda meridionale
dell’omonima baia, a tre ore di macchina dalla Bay Area e a cinque da Los An-
geles. Il Festival ha prezzi popolari (da uno a un massimo di sei dollari), dura tre
giorni, dal 16 al 18 giugno, e si svolge all’aperto, nel parco dei Fairgrounds. Il
palco è sormontato da un grande striscione su cui c’è scritto “Music, Love & Flo-
wers” e all’ingresso a tutti i partecipanti vengono distribuiti fiori.
L’idea di organizzare un mega-concerto rock è di Alan Pariser, erede di una
famiglia di industriali e agente musicale quasi per hobby. Una sera Pariser, as-
sistendo al Monterey Jazz Festival, manifestazione che riunisce i migliori jazzi-
sti del mondo, capisce che quello è il momento giusto per ricalcarne la formula
a suon di rock. La location resta la stessa, così come la durata: manca solo il cast.
Così Pariser si reca a Los Angeles da Benny Shapiro, uno dei promoter di con-
certi rock tra i più quotati sulla piazza statunitense. Il primo gruppo ingaggiato
sono i Mama’s & Papa’s, quartetto popolarissimo che con il primo album ha sca-
lato le classifiche di mezzo mondo, grazie soprattutto all’hit California Dreamin’.
John Phillips e Denny Doherty, i due uomini del gruppo (le donne sono Cass El-
liot e Michelle Gaiman, moglie di John) sono talmente entusiasti del progetto
che decidono di far parte della organizzazione. A loro si uniscono anche Derek
Taylor, addetto stampa dei Beatles, e Lou Adler, boss della Dunhill Records. La
base operativa è l’ufficio di Shapiro a Los Angeles, e dal suo ufficio partono le
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telefonate dirette alle più grandi star del rock, e ai loro manager, per invitarli al
Festival. Sono in pochi quelli che dicono di no.
Essere presenti al Festival di Monterey è un’occasione unica per farsi cono-
scere, sicuramente allettante anche per i musicisti hippie più intransigenti come
i Grateful Dead e i Jefferson Airplane. Ma nell’aria c’è qualcosa che disturba, non
tutto va come dovrebbe, che c’è una minaccia incombente: si capisce che qual-
cuno è in agguato, qualcuno che vuole sta appropriarsi del Festival, della musica
rock e della Love Generation. E i primi imputati sono proprio i discografici delle
major di Los Angeles e New York, che carpiscono e sfruttano le idee degli arti-
sti dell’area di San Francisco e dei Figli dei fiori. Va ricordato che il Festival ar-
riva in un momento storico per l’industria discografica, cioè quando il disco
formato 45 giri comincia il suo lento declino a favore del long playing, conside-
rato, da pubblico e critica, una sorta di vera e propria opera d’arte. Non solo: il
1967 è l’anno in cui nascono le radio che trasmettono in Fm, emittenti sicura-
mente più all’avanguardia che fanno della musica underground la loro colonna
sonora. Fatto sta che dietro il palco di Monterey si percepisce chiaramente che,
in quei giorni, comincia a esaurirsi la purezza del sogno artistico degli hippie.
Gli organizzatori mettono assieme un cast da favola, grazie anche agli aiuti di
Paul McCartney, Mick Jagger e Brian Jones, Donovan, Roger McGuinn. Poche
le rinunce, assente giustificato Bob Dylan, che è ha avuto un incidente in moto
pochi giorni prima e ha un braccio fuori uso.
Questo il cartellone del Festival: per il primo giorno, venerdì sera, sono pre-
visti sette artisti, tra i quali Lou Rawls, Eric Burdon & The Animals e Simon &
Grafunkel. Il giorno dopo le esibizioni iniziano al primo pomeriggio con i Can-
ned Heat, seguiti poi dai Big Brorther & The Holding Company con la vocalist
Janis Joplin, quindi Country Joe McDonalds & The Fish, Al Kooper, la Butter-
field Blues Band, Quicksilver Messanger Service, la Steve Miller Band. Alla sera,
otto esibizioni: tra le più attese quelle di Hugh Masekela, i Byrds, gli idoli di casa
Jefferson Airplane, Booker T & The MG’s e Otis Redding. L’ultimo giorno il
piatto forte del programma: si apre con Ravi Shankar, previsto in un primo mo-
mento alla sera ma anticipato nel pomeriggio per il rifiuto del maestro del sitar
di esibirsi dopo Jimi Hendrix («Suonerà anche della musica fantastica, ma io la
trovo assordante e non no ho voglia di aspettare ascoltandolo. E poi maltratta le
chitarre e per me è un sacrilegio» si lamenta l’artista con gli organizzatori). Poi
tocca ancora a Janis Joplin e i Big Brother a scaldare il pubblico, seguono i Buf-
falo Springfield e, in un finale in crescendo, una sequenza da brividi con Who,
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Grateful Dead, Jimi Hendrix. A chiudere, i due jingle dei Figli dei fiori: Scott
McKenzie che canta San Francisco, e i Mama’s & Papa’s con California Dreamin’.
Ai tre giorni hanno partecipato oltre duecentomila persone, per la maggior
parte studenti universitari, equamente divisi tra ragazzi e ragazze. Più della metà
di loro ha un’età compresa tra i 16 e i 25 anni e arriva direttamente dall’Hippies
Haven, quello che per i media è il rifugio hippie, cioè la zona di Haight-Ashbury
di San Francisco; gli altri dal resto degli Stati Uniti. Non pochi quello giunti dalla
lontana Europa, arrivati a Monterey, magari dopo aver viaggiato in autostop,
con il solo scopo di ballare, fumare e fare l’amore ascoltando buona musica rock.
Il Monterey Pop Festival, oltre che per essere stato il primo grande raduno
rock, passa alla storia anche per alcune esibizioni davvero memorabili. Janis Jo-
plin, il sabato pomeriggio, si presenta in scena con un look completamente fuori
tema: indossa una stretta casacchina dorata abbinata a una giacchetta e a dei fu-
seaux neri, ai piedi dei sandali con paillettes e tacco stretto. Vederla è inquietante
e ci si domanda dove credeva di andare a cantare, ma la sua performance lascia
tutti senza fiato per intensità e generosità. La Joplin alterna momenti dramma-
tici a acuti, urla rauche e sofferte a esplosioni gioiose: un’esibizione unica. Anche
i Jefferson Airplane sono in splendida forma, splendida è soprattutto Grace Slick
che - a differenza dell’altra “regina” rivale - si presenta vestita con una lunga tu-
nica blu sopra la quale indossa una specie di caftano marocchino. La Slick, coa-
diuvata da Marty Balin, voce e chitarra e altro leader del gruppo, regala grandi
interpretazioni dei classici Somebody To Love, White Rabbit e pezzi inediti come
The Ballad Of You And Me Pooneil, il tutto condito da giochi di luce psichede-
lici. All’esibizione di Ravi Shankar, seduti nelle prime file, ci sono quasi tutti gli
artisti del Festival, incuriositi da questa nuova musica indiana, che poco ha a
che fare con il rock. Shankar suona il sitar per due ore e mezza in un caldo po-
meriggio di sole. La platea è come ipnotizzata, tutti stanno in silenzio ad ascol-
tare. Alla fine, sul palco, vengono lanciati collanine di fiori e perle dell’amore.
Il piatto forte della serata di domenica è la grande sfida tra gli Who e Jimi
Hendrix. Pete Towshend, leader del gruppo inglese, nel pomeriggio si lamenta
con gli organizzatori perché hanno messo in scaletta Hendrix prima degli Who
e riesce ad ottenere il cambio di scaletta. La band inglese è la prima volta che
suona negli Stati Uniti e la loro “filosofia” musicale, quella cioè di spaccare tutto
alla fine di ogni loro esibizione, non sembra molto in sintonia con lo spirito pa-
cifico dei Figli dei fiori. Eppure c’è curiosità e in platea non si vede l’ora di ascol-
tarli. Roger Daltrey, il cantante, durante l’esibizione fa roteare il microfono sopra
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la sua testa e, dopo solo due brani, inizia a prendere a calci l’amplificatore;
Townshend si prodiga in assoli laceranti sfregando le corde della sua Ric-
kenbacker contro l’asta del microfono ottenendo così un effetto larsen infer-
nale e al termine del concerto impugna la chitarra per il manico, la fa roteare
fino a sbatterla violentemente sul palco e mandarla in mille pezzi. Il batteri-
sta Keith Moon non vuole essere da meno: anche lui prende a calci e pugni
la sua batteria, lancia i piatti e sfascia i microfoni. Per tutta la durata della
performance, illuminata abbondantemente da giochi di luci psichedeliche, il
rumore prodotto dagli strumenti distrutti è lacerante e lascia attonita e scon-
volta la platea che non mostra aver gradito granché visto che gli applausi fi-
nali - quando il gruppo saluta - sono davvero pochi, e molti di più i fischi. I
Grateful Dead, saliti sul palco subito dopo, riportano a un’atmosfera più ri-
lassata e riescono a far rialzare il pubblico dalle sedie e farlo ballare. Dopo i
Dead, che invece escono tra gli applausi scroscianti, sul palco sale Brian Jones,
chitarrista ribelle dei Rolling Stones perennemente in lite con il duo Jagger &
Richards, che annuncia l’arrivo di «un gruppo inglese con un chitarrista ame-
ricano… Anzi… con il più incredibile chitarrista che si sia mai sentito. Signore
e signori… The Jimi Hendrix Experience!». Anche l’abbigliamento di Hendrix
è quanto meno improbabile: giacca damascata con inserti in oro su panta-
loni di velluto rosso, camicia di seta gialla con jabot e, tocco finale, boa di
struzzo intorno al collo e bandana sui capelli. Hendrix, che ha dovuto attra-
versare l’oceano per incidere un disco perché negli Stati Uniti nessuno sem-
brava disposto a dare fiducia a un meticcio di colore (Jimi ha sangue cherokee
nelle vene), si esibisce per poco più di mezz’ora ma è devastante perché sfrutta
al massimo il suono delle distorsioni della sua Fender. Al termine un boato
interminabile si leva da pubblico. Raramente si è sentito suonare la chitarra
in quel modo. Hendrix, con ancora lo strumento a tracolla, presenta i mem-
bri del suo gruppo e s’inchina a ringraziare. Ma il pubblico non smette e lo
acclama a gran voce. Così, dopo un paio di minuti di applausi e boati, Hen-
drix si avvicina al microfono: «Potrei stare qui tutta la notte a ringraziarvi
per questo calore. Per farvi capire quanto vi sono riconoscente, sacrificherò
qualcosa che amo veramente… Questa è la sola cosa che posso donarvi». Si
sfila la chitarra, la depone sul pavimento e s’inchina. Il feedback è lacerante
(Hendrix è un mago nell’uso delle distorsioni). Dai pantaloni estrae una bot-
tiglietta di benzina, la versa sulla chitarra, prende un accendino e accende il
fuoco. Il pubblico è in delirio.
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Le regine
Dopo il Festival di Monterey, anche le major discografiche sono convinte
sempre di più che il rock, in tutte le sue forme, può rappresentare un affare. E
piano piano da San Francisco il business scende lungo la California fino a arri-
vare a Los Angeles, da sempre capitale della musica leggera, dove si comincia ad
apprezzare il rock, con i suoi concerti e artisti che sono ormai diventati una
moda. Per tutta l’estate nella Bay Area continua ininterrottamente ad arrivare
gente da ogni angolo del mondo, la stragrande maggioranza sono ventenni,
nemmeno fosse in atto una nuova corsa all’oro. I componenti delle rock-band
sono personaggi mitizzati dagli hippie e loro fanno di tutto per dare notizie. Le
regine dell’acid rock, Grace Slick e Janis Joplin, si contendono le copertine e i ti-
toli sui magazine: la prima, diventata front girl dei Jefferson Airplane, flirta con
un po’ tutti i componenti del gruppo; Janis, invece, frequenta il collega Country
Joe McDonald e poco dopo decide di andarci a convivere. Le due sono dei veri
sex symbol: giovani, grintose, intelligenti, creative, piene di talento. Ma non gli
basta e, per affermarsi, ricorrono all’alcol e alle droghe.
Il rock sta dilagando e c’è chi vede nella stampa un altro veicolo per comuni-
care la musica e la cultura di Haight Ashbury: è Jann Wenner che, con pochi
soldi prestati dalla moglie, in un magazzino dismesso a sud di Market Street,
apre la redazione della rivista musicale Rolling Stone, giornale che parla di rock
non soltanto sotto l’aspetto musicale, ma anche artistico, sociale e culturale, fa-
cendo luce sul mondo in cui si manifesta e, ovviamente, sui suoi protagonisti. Il
primo numero esce nell’autunno del 1967 e ha in copertina John Lennon che in-
dossa un elmetto da militare, e si rivela subito un giornale di rottura: i suoi ar-
ticoli sono scritti ricorrendo spesso allo slang e alla grafica del movimento
hippie. Grazie a Rolling Stone il giornalismo rock viene sdoganato e messo sullo
stesso livello della critica letteraria o d’arte.
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VII
D Dopo la Summer of Love, il numero degli scontri tra Figli dei fiori e agenti
della polizia registra una forte crescita, così come quello degli arresti. Il 10 lu-
glio 1967, mentre alcuni hippie sono per le strade di San Francisco a manifestare
per la pace e contro la guerra del Vietnam, arriva un gruppo di agenti in tenuta
anti sommossa che, anche usando maniere forti, cerca di sciogliere il corteo.
Durante gli scontri una ragazza è colpita in pieno volto da una bottiglia di vetro
che in origine doveva essere destinata ai poliziotti. Immediatamente gli scontri
degenerano, gli agenti chiamano rinforzi, arrivano blindati e una ventina di au-
topattuglie: il bilancio a fine giornata è di quattro manifestanti feriti (a cui va ag-
giunta una passante colpita mentre cerca di placare gli animi di un poliziotto) e
nove arresti. Due giorni dopo la polizia fa un’irruzione alle 3 del mattino al 42
di Belvedere Street dove, secondo la denuncia dei vicini, provengono rumori
molesti. Gli agenti - sempre in tenuta antisommossa con caschi, scudi e man-
ganelli spianati - entrano sfondando porte e finestre, sequestrano decine di spi-
nelli e pasticche e arrestano diciotto persone, tra questi anche i ballerini Rudolf
Nureyev e Margot Fonteyn, in città perché impegnati in uno spettacolo in scena
all’Opera House. Nel pomeriggio il viceprocuratore distrettuale - non potendo
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procedere esclusivamente solo per Nureyev e la Fonteyn - si vede costretto a ri-
lasciare tutti e diciotto i giovani, adducendo a motivazione che le prove non
sono sufficienti per convalidare l’arresto. La sera stessa oltre duecento Figli dei
fiori si trovano davanti all’Opera House e inscenano un balletto classico, una
sorta di ringraziamento ai due ballerini più famosi del mondo che, anche se non
manifestamente, hanno dimostrato di essere dalla loro parte.
Il 27 settembre dello stesso anno un poliziotto bianco uccide un giovane di
colore nel ghetto di Hunter’s Point, scatenando una rivolta che dura sei giorni.
La protesta si diffonde e arriva a lambire le strade di Haight-Ashbury. Quella
sera anche nel quartiere hippie è decretato il coprifuoco, circola la voce che è me-
glio non farsi vedere per strada: alla fine vengono arrestate 124 persone. Qual-
cosa comincia a scricchiolare e proprio nel momento di massima espansione,
quando il movimento conquista l’attenzione dei media, gli hippie capiscono che
è iniziata la fine del movimento e, purtroppo, anche del loro sogno.
La Summer of Love è stata presentata all’opinione pubblica come un grande
evento; e una contestazione, di fatto, non può trasformarsi in uno spettacolo: i
loro messaggi non sono stati percepiti, e quindi diffusi, dai media. Il movimento
fa capire immediatamente che non ha alcuna intenzione di farsi sfruttare fa-
cendosi inglobare dal sistema. Così, il 6 ottobre, la compagnia dei Diggers as-
sieme a un centinaio di Figli dei fiori mette in scena The Death Of Hippie,
performance sulla vita e la morte della controcultura hippie. Lo spettacolo si
svolge nella zona cuore del movimento, Haight-Ashbury, sui cui muri delle case
nei giorni precedenti erano stati affissi annunci mortuari dove si legge: «Hippie,
nel distretto di Haight-Ashbury di questa città, figlio devoto dei mass media, è
deceduto. Gli amici sono invitati a partecipare alla cerimonia funebre che avrà
inizio all’alba del giorno 6 ottobre 1967 al Parco di Buena Vista». Alla cerimo-
nia partecipano in decine di migliaia, e non sono solo Figli dei fiori. È una pic-
cola marcia funebre, tutti hanno una candela accesa in mano e, passando a
fianco di una grande bara scoperchiata con dentro un manichino agghindato da
perfetto Figlio dei fiori, depositano all’interno qualsiasi cosa rappresenti il mo-
vimento: abiti, libri, scritti, poesie, foto, dischi, pasticche, ciocche di capelli, fiori,
distintivi, perle dell’amore, poster… tra queste anche l’insegna dello Psychede-
lic Shop, che i fratelli Thelin hanno deciso di chiudere proprio pochi giorni
prima. Al termine della cerimonia, il corteo accompagna la bara di fronte ai lo-
cali, ormai chiusi, dello Psychedelic Shop. Sulle vetrine, vuote e disadorne, c’è
scritto «Non piangete per me, siate liberi». Poco dopo la bara e il suo contenuto
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vengono date alle fiamme.
Il lento tramonto della Love Generation è ormai iniziato. Oltre ai fratelli The-
lin se ne vanno da San Francisco anche Emmett Grogan, che dopo questa ultima
performance scioglie i Diggers, Allen Cohen e altri personaggi simbolo del mo-
vimento, tra i primi a insediarsi ad Haight-Ashbury.
Che l’aria stia proprio cambiando lo si avverte soprattutto dalle azioni della
polizia che aumentano esponenzialmente e dagli agenti cominciano ad avere la
mano sempre più pesante. I commercianti di Haight-Ashbury si dotano di fi-
schietti in modo da attirare l’attenzione e avvisare il quartiere in caso di altri at-
tacchi della polizia.
Una notte, però, una pattuglia di una trentina di agenti entra ad Haight-
Ashbury e compie un blitz a sorpresa arrestando una cinquantina di persone.
Sconvolti da questa azione di forza alcuni hippie corrono al Fillmore, dove si
stanno esibendo i Grateful Dead e raccontano a Bill Graham l’accaduto chie-
dendo solidarietà e un aiuto concreto. Questi si dice dispiaciuto ma proibisce la
raccolta di fondi all’interno del locale per pagare la cauzione agli amici in car-
cere. Anche Graham ha capito che dell’atmosfera di San Francisco di poco tempo
prima non è rimasto nulla. Le settimane successive tutti i piccoli spacciatori di
droghe leggere sono cacciati o arrestati e, in poco tempo, la zona è invasa da
eroina e cocaina. La cultura pacifica e comunitaria della marjuana e dell’hashish
e quella creativa dell’Lsd vengono cancellate in pochissimo tempo da quelle più
violente, e senz’altro più individuali, dell’eroina e delle anfetamine.
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squadre di soldati dell’esercito armati. I due però non si fanno intimidire e pro-
seguono fino al portone: poi, una volta fermato il mezzo, scaricano i fiori pro-
prio davanti ai loro piedi. Le immagini vengono riprese dalla stampa di tutto il
mondo e le foto, che ritraggono dei fiori davanti ai fucili spianati dei soldati che
circondano il Pentagono, pubblicate su centinaia di giornali e riviste. Nello stesso
periodo contestazioni alla guerra in Vietnam si registrano anche a New York, nel
Maryland, nel Wiscosin, nel New Mexico e viene occupata la Columbia Uni-
versity.
Hotel pericolosi
Intanto, a Memphis, c’è un nuovo omicidio politico: il 4 aprile viene assassi-
nato Martin Luther King. Il reverendo è colpito mentre prende una boccata
d’aria sul balcone della sua stanza nel Lorraine Motel. Anche in questo caso, pur
essendoci un presunto colpevole (James Earl Ray dichiara di essere il killer, salvo
poi ritrattare come Lee Harvey Oswald) la verità è lontana, destinata a restare
seppellita nella tomba assieme a Ray.
Un paio di mesi più tardi, la sera del 5 giugno 1968, all’Hotel Ambassador di
Los Angeles Sirhan Sirhan, uno pseudo terrorista mediorientale, fredda a colpi
di pistola, praticamente in diretta tv, il senatore Robert Kennedy, fratello di John,
che tutti pronosticano futuro presidente degli Stati Uniti. Dopo l’omicidio di
Dallas, Bob si è impegnato a continuare il programma politico del fratello John,
con un particolare impegno nella questione dei diritti civili delle minoranze di
colore americane. Kennedy diventa in poco tempo l’uomo nuovo della sinistra
democratica americana; l’idolo dei giovani impegnati nella contestazione e dei
neri, che in lui vedono un bianco di cui potersi fidare, considerata anche la pro-
fonda amicizia che lo lega a Martin Luther King. Bob Kennedy, ex procuratore
generale, si è aggiudicato la candidatura presidenziale per il Partito Democra-
tico proprio quel giorno e ha appena vinto le primarie della California con un
programma contro la guerra nel Vietnam. Per gli analisti la sua vittoria eletto-
rale su Richard Nixon alle presidenziali è praticamente sicura. Il presunto autore
del crimine, il palestinese Sirhan Sirhan, è arrestato con un’arma in mano nella
cucina dell’hotel. Gli psichiatri chiamati dalla difesa nel processo affermano che
in quel momento il killer ventiquattrenne era in trance e forse anche ipnotizzato.
La frase «RFK deve morire», rinvenuta su un block-notes in possesso del giovane
assassino, potrebbe essere stata scritta sotto ipnosi. Herbert Spiegel, medico e do-
cente dell’università di Columbia, un’autorità mondiale in materia di ipnosi, ri-
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tiene che Sirhan possa essere stato programmato per apparire come l’assassino
e sviare così l’attenzione da quello reale. Sirhan, durante gli interrogatori, dice di
ricordare che una ragazza lo portò in un luogo molto buio, dove una banda lo
colpì ripetutamente fino a farlo svenire. Aggiunge che non ricorda di aver spa-
rato a Bob Kennedy. Nel 1998 Lawrence Teeter, avvocato di Sirhan, chiede un
nuovo processo basandosi su diverse prove: una di queste sono i risultati del-
l’autopsia, che la procura mantiene riservati, secondo i quali il colpo fatale è
stato sparato alle spalle di Kennedy e da una distanza minima di due centime-
tri e mezzo a una massima di otto. Dalle immagini risulta che il palestinese si
trova di fronte al senatore e l’arma nelle sue mani è tra 45 centimetri e un metro
e mezzo dal candidato alla presidenza. Da indagini successive risulta poi che i
colpi di pistola sparati sulla scena del crimine, alcuni anche su una porta, sono
di più rispetto a quelli partiti dall’arma di Sirhan, cosa che fa sospettare l’esi-
stenza di più di un tiratore. La prova viene distrutta, così come sparisce una se-
conda arma trovata in hotel e sequestrata dalla polizia di Los Angeles: si
adduce, come motivazione, un ordine giudiziario, ma la Difesa non viene mai
informata. Inoltre, una guardia di sicurezza, per niente simpatizzante di Ken-
nedy, ammette che era in piedi a diretto contatto con le spalle del Senatore e
che, quando si sentirono gli spari, si abbassò ed estrasse il suo revolver. Un te-
stimone, sempre ignorato dalla polizia, dichiara parecchi mesi più tardi di aver
visto sparare la guardia: la sua arma non è mai stata esaminata, nonostante
l’autopsia abbia rivelato anche come «le perforazioni nel corpo descrivono un
angolo verso l’alto, come se gli spari fossero venuti dal basso». Subito dopo gli
spari, la guardia aggredisce il fotografo James Scott Enyert e gli sequestra la
macchina fotografica.
Il più importante degli ufficiali Cia, identificato attraverso le foto e i video
da alcuni testimoni, è David Morales, un bevitore abituale. Sembra che in più
di un’occasione ad amici abbia confidato: «Io ero a Dallas quando prendemmo
il figlio di puttana ed ero a Los Angeles quando prendemmo il piccolo ba-
stardo». Morales è descritto da Tom Clines, un altro dei capi della JM Wave (la
base Cia di Miami) come una leggenda in quasi tutte le operazioni coperte
dell’Agenzia investigativa, sempre legato agli attori principali del gruppo. A
Cuba organizza l’invasione della Baia dei Porci; partecipa al rovesciamento
del governo in Guatemala; sempre a Cuba, tra il 1958 e il 1960, appoggia Ba-
tista contro Fidel Castro. Partecipa anche al colpo di Stato in Cile nel 1973: a
Santiago aiuta Pinochet a rovesciare il presidente Allende e poi ad attuare la
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dittatura. Le indagini cominciano a virare prepotentemente verso ambienti
della Cia, fin quando Morales, che temeva un attentato alla sua vita da parte
«della sua stessa gente», muore di un sospetto attacco di cuore alcuni giorni
prima di testimoniare di fronte alla Commissione Selezionata della Camera dei
Rappresentanti che indaga su tutti e due gli assassini dei Kennedy. La lista dei
morti in circostanze misteriose è lunghissima. I documenti chiave della CIA
che secondo un’indagine dei congressisti del 1978 dimostrerebbero la teoria
della cospirazione che portò all’uccisione del presidente Kennedy, non sono
ancora stati declassificati. A cinquant’anni dall’omicidio di JFK, le prove por-
tano agli stessi sospettati anche nel caso di Bob e confermano l’ipotesi di un
vero e proprio colpo di Stato, i cui autori sono ancora protetti. Quella sera di
giugno l’America e tutto il mondo piangono l’enorme tragedia che ha colpito,
ancora una volta, la democrazia.
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cong bombardano la base Usa a Saigon, nell’attacco muoiono 1.113 militari
americani. All’apertura del Festival sono presenti parecchi giornalisti e Hoff-
man non perde l’occasione per provocare: «…in questi giorni - dice in aper-
tura del suo intervento dal palco - ci spoglieremo nudi, faremo all’amore sulle
spiagge… ….poi illustreremo il programma politico del partito Yippie… …e
anche noi, come i democratici o i repubblicani, abbiamo il nostro candidato
presidente. Il candidato non ha voluto perdersi questo importante momento
politico ed è qua con noi. Ve lo presento: signore e signori ecco il prossimo
presidente degli Stati Uniti, Pigasus» e sul palco compare un maiale. Applausi
e urla dal pubblico. Hoffman continua «Vi invito tutti a votarlo perché, una
volta eletto, ce lo mangeremo…». La stampa riporta fedelmente le sue parole
e nei commenti fa passare hippie e aderenti allo Yippie per dei mascalzoni
senza voglia di lavorare, dei perditempo dediti alla droga. Così, il giorno dopo,
la polizia fa irruzione al Festival. Vengono arrestate 688 persone con l’accusa
di ingiurie alle autorità. Gli interrogatori nella sala del distretto di polizia sono
parecchio duri, tanto che al termine dei colloqui con gli agenti un centinaio di
giovani vengono ricoverati in ospedale. Il movimento prova a denunciare que-
sta violenza ma nessuno li ascolta. Così come la stampa, questa volta anche gli
abitanti di Chicago prendono le parti delle forze dell’ordine: «In Vietnam ci
sono giovani che muoiono e questi qua non fanno altro che drogarsi e bal-
lare!». Il Vietnam fa paura. C’è voglia di sicurezza e alle elezioni presidenziali
il partito repubblicano candida un paladino dell’ordine, l’ex governatore della
California Richard Nixon. Il neo candidato ha fama di avere il pugno di ferro,
di essere un decisionista e infatti si presenta subito come un duro che non ha
paura di nessuno e che vuole mettere ordine tra le forze armate e che nel suo
spot elettorale recita: «Mai sono state dispiegate tante forze così inutilmente
come in Vietnam. Se dopo tanto tempo, tanti sacrifici e tanto sostegno non se
ne vede ancora la fine, allora dico che è ora che il popolo americano guardi a
una nuova leadership, che non sia legata alle politiche e agli errori del passato.
Vi prometto che la guerra in Vietnam avrà una fine onorevole». Nixon si can-
dida con una promessa, quella di avere un piano segreto per porre fine alla
guerra, che rivelerà soltanto dopo la sua elezione. Il piano segreto, si saprà poi,
è quello di dichiarare guerra anche alla Cambogia. La guerra del Vietnam è
una ferita che ancora oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, fatica a rimargi-
narsi.
Nei tre anni di presidenza di John Kennedy, fino al novembre 1963, l’indu-
76 9
stria bellica è il settore trainante dell’economia statunitense, grazie alle prime
avvisaglie di scontri nel Vietnam, alla grave crisi cubana (acuitasi dopo il man-
cato blitz anticastrista alla Baia dei Porci organizzato dalla Cia) e alla minac-
cia continua di guerra nucleare con l’Urss. Morto Kennedy, il vicepresidente
Lyndon Johnson si trova con il problema Vietnam da gestire. E se Kennedy
aveva offerto solo un sostegno al Vietnam del Sud, in chiave anticinese, limi-
tandosi all’invio di “consiglieri militari” e appoggiando un colpo di Stato con-
tro il presidente dittatore, Johnson rispondendo a un attacco a un
accampamento militare a Pleiku, bombarda il Vietnam del Nord e inizia la
guerra vera e propria. Fino a quel giorno, la maggior parte dei cittadini ame-
ricani non aveva mai sentito nominare il Vietnam, neppure sapeva in quale
parte del mondo fosse, figurarsi se poteva capire le ragioni di un conflitto, ra-
gioni che sfuggivano anche ai più esperti analisti politici.
Progressivamente, il coinvolgimento militare statunitense arriva, nel 1969,
a 500 mila soldati e nel corso dei dieci anni di conflitto si calcola che siano
inviati nel Sud-Est asiatico quasi 3 milioni di militari: il 40 per cento di tutti i
giovani americani che perdono la vita in Vietnam muoiono durante la presi-
denza Nixon.
La televisione, suo malgrado, alimenta il fuoco della contestazione contro
la guerra. Ogni sera nei telegiornali e in talk-show dedicati vengono trasmesse
immagini di vittime civili, distruzione di centri abitati, di foreste e zone colti-
vate incendiate, rumori di bombardamenti, effetti dell’uso delle armi chimiche.
I reportage sui giornali, per radio e televisione cominciano a sbugiardare la
propaganda governativa che annuncia quotidianamente bollettini inverosi-
mili. Il culmine della brutalità verso i civili arriva nel marzo del 1968 con il
massacro di My Lai, una delle quattro frazioni raggruppate nei pressi del vil-
laggio di Son My, nella provincia di Quang Ngai a circa 840 chilometri a Nord
di Saigon, dove muoiono centinaia di contadini, donne e bambini. A questo,
si aggiungano centinaia di agghiaccianti testimonianze dei reduci dal fronte,
spesso rimasti invalidi.
La guerra rappresenta comunque una sorta di salto di qualità per la conte-
stazione giovanile: a loro, infatti, si affiancano contro l’intervento americano
in Vietnam anche figure pubbliche, intellettuali, attori, sportivi e, ovviamente
non potevano mancare, i cantanti. Tra i più ascoltati è Country Joe McDo-
nald, ex marine e reduce dalla guerra di Crimea (avvenuta più o meno per gli
stessi motivi solo qualche anno prima) che scrive un testo ironico, diretto e ac-
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cusatorio sull’intervento in Vietnam e lo musica su una base rag-time:
78 9
Potrete essere i primi nel vostro condominio
Con il figlio che torna a casa in una bara.
McDonald centra il bersaglio. Il brano, che s’intitola I Feel Like I’m Fixin’ To
Die Rag (Mi sento come se fossi condannato a morte), mette il dito sui profitti
dell’industria militare. A tale proposito, Joan Baez prende una posizione origi-
nale per protestare contro l’intervento militare Usa e la spesa per l’armamento.
La cantautrice scopre da un’inchiesta giornalistica che per la guerra in Vietnam
lo Stato spende il 60 per cento del budget, così lei decide così di non pagare il 60
per cento delle tasse. Nonostante sia inglese anche John Lennon, una volta la-
sciati i Beatles, assieme alla moglie Yoko Ono affianca il movimento pacifista
guidato da Abbie Hoffman e Jerry Rubin. Al pugile Cassius Clay (non ancora di-
ventato Muhammad Alì) campione olimpico a Roma nel 1960 e detentore della
corona mondiale dei pesi massimi, viene tolto il titolo dalla federazione ameri-
cana perché rifiuta l’arruolamento: «Quel popolo non mi ha fatto niente di male
- spiega motivando la sua decisione di non andare al fronte in Vietnam - inol-
tre, è forse l’unico popolo che non mi chiama negro».
Il numero dei contestatori alla guerra cresce di giorno in giorno: nessun gio-
vane americano riesce a vedere il Vietnam come una nazione nemica e l’idea
della diserzione dilaga nelle università. Oltre a studenti, intellettuali, sportivi e
rock star a dire «No» all’intervento in Vietnam ci sono anche gli strati bassi della
popolazione, cioè quelli con più probabilità di essere chiamati, o richiamati, alle
armi. La mobilitazione antimilitare non poteva restare solo una questione di
giovani bianchi benestanti. In ogni Stato si organizzano manifestazioni contro
la guerra: e in testa al corteo, sempre più spesso, si vedono i veterani.
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è stato linciato»). Smith e Carlos fanno parte dell’Olympic Project for Human
Rights. Anche Peter Norman, per solidarietà, durante la cerimonia indossa la
coccarda dell’Organizzazione per i diritti civili. Scesi dal podio la loro carriera
finisce all’istante. I due atleti afroamericani sono cacciati dal villaggio e ra-
diati a vita dalla squadra Usa. Smith, fresco del record del mondo, trova lavoro
in un autolavaggio; Carlos come scaricatore di porto a New York. La loro colpa
è stata quella di aver manifestato al mondo rispetto e giustizia per la gente di
colore, senza chiedere permesso alla Federazione di atletica.
Dopo la morte di Malcom X, il Black Power, movimento nazionalista gui-
dato da Stokely Carmichael, Huey P. Newton e Bobby Seale, smette di ricono-
scersi nelle lotte unitarie con i bianchi progressisti e sceglie di puntare
all’autodeterminazione dei neri. Emergono anche nuovi leader come H. Rap
Brown e Angela Davis. Nei quartieri poveri si rifiutano apertamente le istanze
non-violente e integrazioniste di Martin Luther King, ritenute non solo ineffi-
caci ma addirittura colluse con le strutture di potere dei bianchi. Alla non-vio-
lenza sostituiscono quindi l’autodifesa quale principale strumento di lotta.
Le prime speculazioni
Ormai il movimento hippie è un fenomeno di costume e, come tale, sfrutta-
bile commercialmente. La prima a strizzare l’occhio ai Figli dei fiori è la Pepsi che
conia lo slogan: «Pepsi, la bevanda per la gente che pensa giovane». Poi è la volta
della Sony che, per la lanciare un nuovo modello di tv, riempie le strade delle me-
tropoli degli Stati Uniti con un manifesto che ritrae un gruppo di giovani uomini
e donne sdraiati nudi sull’erba intenti a guardare un programma in televisione.
Ma l’audacia e lo stile di vita degli hippie contagia anche la moda: ne approfitta
subito la stilista inglese Mary Quant che per le sue nuove collezioni disegna
gonne di 10-15 centimetri più corte sopra il ginocchio inventando, di fatto, la
minigonna. A cavalcare la moda dei Figli dei fiori è anche la rivista Red Book
Magazine che esce in edicola con un numero speciale intitolato «Indossa i fiori»:
tra le pagine vengono presentati una serie di modelli di camicette, gonne, short-
pants, T-Shirt e minigonne, tutti stampati con motivi floreali. E poi sono tan-
tissime le ragazze che, copiando le coetanee Figlie dei fiori, cominciano a non
indossare più il reggiseno, facendo così diventare il seno protagonista incontra-
stato della seduzione. Alcune di loro, esagerando, aboliscono anche le mutan-
dine.
Lo stile di vita dei giovani della Love Generation approda anche a Broadway
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con lo spettacolo Tribal Love, Rock Musical dove un gruppo di attori, nemmeno
tanto giovani e soprattutto che non hanno niente a che spartire con i veri Figli
dei fiori, interpreta una commedia senza capo né coda ambientata in una co-
mune di Haight-Ashbury, dove non si fa altro che suonare la chitarra, fumare
spinelli e fare l’amore. Ma lo scandalo, si sa, fa vendere: e così, invece del pacifi-
smo o della spiritualità, della filosofia hippie i media colgono soprattutto
l’aspetto trasgressivo legato al sesso. Riviste trendy e porno-soft come Penthouse,
Playboy e Playgirl, o ancora MyFair, Esquire e Nugget, dedicano pagine e pagine
su come la “nuova gioventù” interpreta il sesso. Addirittura Playboy trova sedu-
cente come i giovani del movimento si colorano il corpo e dedica un intero ser-
vizio fotografico immortalando cinque ragazze nude con il corpo dipinto «alla
maniera degli hippie». Per la cronaca, quel numero vende oltre sette milioni di
copie. E la rivista MyFair, per non essere da meno, mette in copertina una ra-
gazza “vestita” soltanto di fiori nei capelli.
A San Francisco intanto, è cominciato un vero e proprio esodo: il leggenda-
rio quartiere si spopola degli originali Figli dei fiori, di quelli che il movimento
l’hanno fatto nascere e crescere e che non hanno nessuna intenzione di farsi
sfruttare dall’establishment. Gli artisti, alcuni di loro diventati ricchi firmando
contratti milionari con le majors discografiche, lasciano le case vittoriane di
Haight- Ashbury per trasferirsi in altre zone della città. Cominciano anche a gi-
rare sempre di più le droghe “cattive”, come eroina e cocaina. E c’è chi sostiene
che «più che con un fiore tra i capelli, ora a San Francisco è meglio girare con
una pistola infilata nei pantaloni».
Comincia a chiudersi un’era. E ad aprirsi un mito.
Ma il peggio deve ancora venire.
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VIII
I Il dualismo, secondo il simbolo dello Yin-Yang e illustrato dalle cifre 69, viene
confermato proprio dagli eventi del 1969, anno in cui il movimento hippie si
trova in mezzo tra il male e il bene; tra la pace e la guerra; tra l’amore e l’odio.
In tutto il mondo sono pubblicati almeno cinquecento giornali underground;
oltre un migliaio sono quelli con una posizione radicale nell’opposizione alla
guerra in Vietnam che circolano nella maggior parte delle scuole superiori degli
Stati Uniti. Alcune aree delle grandi città americane si trasformano in piccole
Haight-Ashbury, zone cioè frequentate essenzialmente da hippie e dove in poco
tempo sorgono locali, boutique, ristoranti vegetariani, librerie alternative, negozi
di dischi, di poster e di quadri astratti e dove, in tabaccheria, si trova tutto il ne-
cessario - non solo filtri e cartine, ma anche chilum e cannucce - per fumare
droghe leggere. Negli Stati Uniti i quartieri più frequentati dai Figli dei fiori sono
il St. Mark’s Place a New York, Sunset Strip a Los Angeles, la Telegraph Avenue
a Berkeley, Miffin Streat a Madison, Wells Street a Chicago. Ma il movimento ha
cominciato ad attraversare anche l’oceano: in Europa, infatti, giovani simpatiz-
zanti del movimento cominciano ad avere i loro spazi in zone come The Grove
a Londra, Saint Michelle a Parigi, Piazza di Spagna a Roma, Christianshavn a
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Copenaghen.
Dal 1966, anno in cui sono ufficialmente nati i Figli dei fiori, al 1969 il rock
è cresciuto in maniera esponenziale, è diventato grande e, soprattutto, maturo:
si è occupato di culture e problemi sociali, di politica e guerra, di religioni e dro-
ghe. Il culmine lo raggiunge proprio quando i colori accesi degli hippie stanno
ormai sbiadendo. La musica rappresenta un elemento formidabile di aggrega-
zione di persone e idee. Sotto i palcoscenici si è tutti uniti “contro” qualcosa -
dalla guerra in Vietnam, alle istituzioni, dalla scuola alla famiglia tradizionale -
o a “favore” - dell’amore libero, delle droghe leggere, delle minoranze etniche. Un
aspetto unico di questo periodo è che il pubblico non fa distinzioni tra le pro-
poste: sul palco si alternano gruppi di tutti i generi musicali, esponenti del rock
più duro come i Ten Years After dello scatenato Alvin Lee o Jimi Hendrix, so-
norità latine di Santana, acid-rock dei Grateful Dead, coretti dei Mama’s & Pa-
pa’s, blues di Richie Havens, folksinger come Joan Baez e Bob Dylan, rockettari
come gli Who, gruppi blues tipo Sly & The Family Stone, e al termine delle esi-
bizioni ci sono sempre e solo applausi per tutti, nessuno escluso.
È un anno fondamentale il 1969 anche perché il fermento, la voglia di cam-
biare, la filosofia del Peace & Love non si limita solo agli Stati Uniti, ma attra-
versa l’Atlantico e approda in Inghilterra. Il 30 gennaio, a Londra, sul tetto degli
studi di Abbey Road, i Beatles tengono il loro ultimo concerto e, in estate, pub-
blicano Abbey Road, il loro album più venduto (e ultimo se si tiene conto che Let
It Be, pubblicato nel 1970, contiene in gran parte scarti di proprio di Abbey
Road). Sempre per quanto riguarda la band di Liveropool, Paul McCartney
sposa Linda Eastman e John Lennon Yoko Ono. Questi ultimi, da sempre ani-
mati da spirito pacifista, sono protagonisti di un evento mediatico eccezionale:
passano una settimana, dal 25 al 31 marzo, chiusi dentro una stanza dell’Hilton
Hotel di Amsterdam conversando con i giornalisti sui temi della pace. Visto il
successo, vogliono replicare la performance anche negli Stati Uniti ma, all’ul-
timo momento, non gli viene dato il permesso. Allora ripiegano sul Canada dove
alloggiano per sette giorni al Queen Elizabeth Hotel di Montreal. Al termine
dell’happening, chiamato Bed-In, registrano la canzone Give Peace a Chance
nella stanza dell’albergo, accompagnati da amici, giornalisti e personalità dello
spettacolo che si trovavano all’interno della camera in quel momento. Il brano
diventerà l’inno movimento contro la guerra in Vietnam e poi, così come We
Shall Overcome è diventato quello del movimento per i diritti civili, diventa
l’inno del movimento pacifista di tutto il mondo.
:83
Nel frattempo, sempre in Inghilterra, i Pink Floyd pubblicano Ummagumma;
gli Who registrano Tommy; e i King Crimson incidono il capolavoro In The
Court Of The Crimson King. Negli Stati Uniti, in California, i Jefferson Airplane
pubblicano il loro album più politico, Volunteers e i Grateful Dead un doppio dal
vivo Live Dead; escono il secondo Lp della Band di Bob Dylan e di Frank Zappa,
Hot Rats. Si sciolgono Cream, Neil Young si unisce a Crosby, Stills e Nash dando
così vita alla più celebre ensamble della west-coast. Jim Morrison viene arre-
stato a Miami per atti osceni durante un concerto dei Doors; Jimmy Page lascia
gli Yardbirds e fonda i Led Zeppelin che incidono due album storici, Vol. I e Vol.
II. Arlo Guthrie, figlio del leggendario Woody, gira il divertente e dissacrante Ali-
ce’s Restaurant, film di protesta contro il servizio militare, la cui colonna sonora
diventa una delle più cantate durante i cortei e le manifestazioni pacifiste.
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Easy Rider è l’espressione dell’America che vuole ritrovare i valori della li-
bertà, che non sopporta più i limiti del puritanesimo, il conservatorismo fine a
se stesso e le discriminazioni razziali. Il finale del film, però, non dà nessuna
speranza: gli hippie vengono uccisi in sella alle loro moto a colpi di fucili dai
“rednecks”, gli abitanti della provincia americana più radicata, abitata da conta-
dini e artigiani poco inclini al rinnovamento.
Roger McGuinn, che ha scritto la canzone che dà il titolo al film, canta:
Il fiume scorre
Scorre verso il mare
Da qualsiasi parte vada quel fiume
Voglio essere da quelle parti
Il film è il quadro del fallimento degli ideali dei Figli dei fiori, la sconfitta dei
valori basati sull’amore e sulla pace. Peter Fonda, nonostante sia stato pregato e
corteggiato a suon di dollari da più di un produttore, si è sempre rifiutato di gi-
rare un sequel: «Easy Rider è e resterà un film unico. Quell’esperienza, nel bene
e nel male, mi ha segnato la vita. Non avrebbe senso ripeterla».
People’s Park
Nella zona Sud di Berkeley c’è un’area di tre acri di proprietà dell’Università,
abbandonata da sempre che, a maggio del 1969, i ragazzi di Haight-Ashbury vo-
gliono trasformare in un punto d’incontro per la gente con un’area giochi per i
bambini. Pochi giorni dopo si mettono a lavorare per liberare l’area e, all’in-
gresso, appendono un cartello con scritto People’s Park. Gli abitanti del quar-
tiere e i commercianti della zona approvano subito l’idea: non solo aiutano gli
hippie a recuperare e acquistare il materiale necessario per mettere in atto il pro-
getto, ma nei weekend si uniscono a loro per dare una mano a costruire altalene,
bonificare lo stagno e piantare gli alberi. Tutto sembra andare nel migliore dei
modi finché, quando mancano poche settimane all’apertura del parco, il gover-
natore della California Ronald Reagan decide che quella zona deve restare così
com’è. Il governatore invia all’alba del 15 maggio oltre trecento poliziotti ad al-
lontanare i Figli dei fiori, considerati pericolosi radicali, e gli altri frequentatori
del parco e a sigillare e presidiare l’area mentre alcuni operai distruggono ciò
che era appena stato costruito. Dopo aver tolto gli alberi e i fiori, le autorità lo-
cali fanno erigere una recinzione attorno al lotto incriminato. Il giorno dopo il
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San Francisco Chronicle riporta le parole di Reagan sulla vicenda: «Se proprio de-
v’esserci un bagno di sangue, facciamolo».
Hippie e cittadini, che per i primi minuti restano attoniti ad assistere alla
scena, cominciano a protestare. A dar man forte accorrono anche gli studenti
della vicina università. In pochi minuti davanti al parco si radunano oltre un
migliaio di persone che, visto che con le parole non ottengono alcun risultato,
decidono di reagire a tanta violenza e bloccare con la forza la distruzione del
parco. La polizia per disperdere la folla risponde lanciando lacrimogeni ma gli
studenti, ormai abituati agli scontri, indossano i guanti, raccolgono i candelotti
e li rispediscono al mittente ancora accesi. Lo scontro degenera rapidamente,
vengono incendiate auto della polizia, infrante vetrine, lanciati sassi. Ma a Ber-
keley vige una legge, varata proprio dal governatore Regan, secondo la quale la
polizia non può usare armi salvo che per legittima difesa: e così, vista la mal pa-
rata, gli agenti cominciano a sparare sulla folla. Il dispiegamento delle forze del-
l’ordine è impressionante: duemila soldati più settecento agenti di polizia e un
elicottero. Una giornata di follia, al termine della quale si conta un morto, un cit-
tadino che si trova per caso nella zona e non ha nulla a che vedere con gli scon-
tri, un centinaio di feriti e 482 arresti.
Il movimento, suo malgrado, ha imboccato una strada senza ritorno. L’indu-
stria capisce al volo l’enorme potenzialità commerciale del fenomeno, gli hippie
e la musica rock rappresentano un mercato nuovo, elastico ed estremamente re-
cettivo. Un mercato stimato in miliardi di dollari. L’hippie “vende bene” e tutti,
dalle multinazionali alle piccole botteghe, cercano di sfruttare la nuova moda
floreale e colorata. Ovunque spuntano negozi con tutto il necessario per trave-
stirsi da Figlio dei fiori. Il mercato comincia a essere inondato di distintivi e
marchi di protesta, tavolette di incenso, cordicelle da preghiera, perle dell’amore,
talismani fasulli, T-Shirt, diversi fiorai cambiano l’insegna del negozio scriven-
doci Flower Power, e Haight-Ashbury diventa una delle mete fondamentali per
i turisti che si fermano a fotografare le case “comunità” e i suoi pittoreschi abi-
tanti. Grazie a questa industrializzazione del fenomeno, fioriscono a vista d’oc-
chio i “falsi” Figli dei fiori. Nei club e nei locali sulla scia dei Be-In si organizzano
i Love-In, gruppi di clienti che a un certo punto della serata vengono invitati a
esprimere liberamente il loro “amore”; cioè a fare sesso liberamente e con chi si
vuole.
Il colpo di grazia arriva quando il movimento diventa simpatico alla middle
class americana, il nemico giurato, quello per cui i Figli dei fiori hanno com-
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battuto sin dall’inizio: si cominciano a battezzare i figli con i soprannomi che si
sono attribuiti gli esponenti della Love Generation: e così una generazione in-
tera di bambini americani si chiameranno Sky, Begonia, Rain, Autumn Flowers,
Karma, Serenità, Felicity, Freedom, Sunshine, Harmony e così via. Ma la moda
da copiare non si ferma qui, perché dopo i nomi originali le “famiglie bene” sco-
prono che le anfetamine fanno dimagrire e sono afrodisiache. Una beffa a cui co-
stretti ad assistere e per la quale gli hippie capiscono che sono arrivati veramente
alla fine, che la loro rivoluzione è fallita: la gente interpreta la loro filosofia solo
come un fenomeno di costume, una tendenza, una moda passeggera e niente
più, dei contenuti, dei messaggi, delle ideologie non gliene frega più niente a
nessuno. E ora nelle mense gratuite di Haight-Ashbury, a fianco degli hippie,
poveri per scelta, arrivano i poveri veri (ispanici, neri, gente di tutte le razze e i
colori) che frequentano il feed-in più che per una ricerca di un percorso spiri-
tuale per tappare un buco nello stomaco.
Ma la cosa più triste è che i Figli dei fiori si accorgono che ormai non fanno
più paura alla classe politica, che non costituiscono più una minaccia e che, cosa
assai più grave, sono sotto controllo del potere.
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si ritrova nel bel mezzo della Summer of Love.
Manson non trova difficoltà a stabilirsi nel quartiere di Haight-Ashbury e
fare amicizia con i suoi abitanti: capisce al volo che quel clima di “libertà” (non
solo fisica) gli è congeniale. In carcere ha letto molto, studiato nuove discipline
filosofiche e imparato a suonare la chitarra: ha composto addirittura alcune can-
zoni (niente di memorabile) che lui suona seduto sull’erba del Golden Gate Park,
in mezzo ad altri hippie. Non ha un fisico prestante, anzi: è piccoletto, alto ap-
pena un metro e 58, molto magro, con la schiena curva, capelli neri e lisci, ma
ha dalla sua uno sguardo ipnotico e una grande parlantina. Occhi e voce che
fanno subito breccia attraverso i cuori delle “figlie” dei fiori che restano incan-
tate dal suo modo di fare: la sua prima vittima è la ventitreenne Mary Theresa
Brunor, una bibliotecaria di Berkeley. Manson, pochi giorni dopo averla cono-
sciuta, si trasferisce a casa sua. Capisce subito che, se si ha un po’ di intrapren-
denza, all’interno di Haight-Ashbury si può anche avere un discreto successo e
fare qualche soldo. Così si muove moltissimo, tutte le sere presenta le sue tre-
mende canzoni in un club diverso, poi, sceso dal palco, incanta la gente (so-
prattutto le donne) sulla sua filosofia, quella della “Big Family” che ha la stessa
concezione della comune, soltanto che al primo punto c’è l’amore libero e al se-
condo la droga. Le ragazze aumentano: dopo la bibliotecaria, si unisce a lui una
giovane appena scappata di casa, la studentessa Patricia Krenwinkel; arriva per-
sino una ex suora di Sacramento, Mary Ann, nella cui casa Manson stabilisce il
suo quartier generale. A loro si aggiungono altre ragazze, quasi tutte scappate da
casa in cerca di avventure e nel giro di poche settimane Manson gestisce un vero
e proprio harem, con oltre un centinaio concubine (una nel 1968 lo rende anche
padre di Valentine Michael Manson detto Pooh Beer) mentre pochissimi sono
gli uomini che ruotano intorno alla Family. Le più fedeli sono Sandra Good
detta Sandy, che quando si unisce alla comunità ha 21 anni: oggi vive a Corco-
ran, in California, a pochi chilometri dal carcere dov’è rinchiuso Manson, e ge-
stisce un sito internet, www.charliemanson.com, dove sono pubblicati i pensieri,
le opere e i testi delle canzoni, si possono trovare tutte le informazioni su Char-
les; Catherine Share detta Gips: quando lo incontra ha 24 anni, nel 1971 tenta
di dirottare un aereo per chiedere la sua liberazione, viene arrestata e ora è in
carcere pure lei; Ruth Anne Moorehouse detta Ouisch ha soltanto 14 anni
quando entra a far parte della Family, ora è in carcere perché ha tentato di uc-
cidere un testimone d’accusa al processo Manson. C’è poi Lynn Gromme, la vice
di Charles, che nel 1975 tenta di uccidere il presidente degli Stati Uniti Gerald
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Ford. Ancora oggi è rinchiusa in un carcere di massima sicurezza ed è l’unica,
insieme a Sandy Good, ad essere rimasta fedele a Manson. Tra gli uomini, hanno
un ruolo rilevante nella Family Charles “Tex” Watson e Bobby Beausoleil, at-
tore/cantante con forte inclinazione al satanismo, unito a Manson dalla grande
passione per la musica, tanto che per un certo periodo fondano anche la band
The Milky Way con l’intento di sfondare nel mondo del rock ad ogni costo.
Nel 1968 Manson, assieme a tutte le ragazze, si stabilisce definitivamente a
Sud della California perché capisce che a San Francisco sta venendo a mancare
lo spirito creativo, inizia a circolare troppa eroina e, con eccessiva frequenza, si
registrano episodi di violenza con la polizia. Il quartier generale della Family si
divide tra un vecchio ranch nell’entroterra di Los Angeles, il Barker’s Ranch nella
Death Valley di proprietà di un vecchio cow-boy con gravi problemi alla vista
che si è fatto incantare dalle lusinghe di Manson e delle sue girls (li ospita tutti
gratis in cambio di un po’ di assistenza come un piatto caldo e il rifornimento
di birra), e una villa al 14400 del Sunset Boulevard che apparteneva a Dennis
Wilson, il “bello” dei Beach Boys, venuto in contatto con la Family per aver ca-
ricato due giovani e carine autostoppiste, Ella Jo Bailey e Patricia Krenwinkel,
anche loro ragazze di Manson. Anche Wilson rimane folgorato da Charles, non
tanto per la sua musica e le sue canzoni che gli fa ascoltare ininterrottamente per
giorni e giorni nella speranza di una raccomandazione presso qualche disco-
grafico, quanto dal modo di essere, dalla sua filosofia e dal suo modo di pensare.
Attraverso l’amicizia di Wilson, Manson frequenta sempre più party e jet-set, e
viene a contatto con alcuni boss del mondo artistico di Los Angeles. Manson è
molto invadente, per toglierselo di torno Wilson lo gira al produttore dei Beach
Boys, Terry Melcher che dopo avergli fatto incidere un provino gli promette che
gli farà incidere un disco e cerca di convincere un giovane impresario, Rudy Al-
tobelli, a metterlo sotto contratto. Altobelli, che tra l’altro e proprietario di alcune
ville a Bel Air, non ci pensa nemmeno: «Terry - gli risponde - io sarò giovane e
inesperto, ma non sono sordo e cieco. Le canzoni sono orrende, lui è impre-
sentabile e, come se non bastasse, canta come un cane». Melcher cerca quindi di
metterci una pezza e propone al manager del gruppo, Gregg Jakobson, di far gi-
rare a Manson un documentario sulla Family, sulla loro vita, il loro look, la loro
filosofia, ambientato nel ranch nella Death Valley. Anche il video si rivela disa-
stroso. Dennis ha quindi un’idea per toglierselo di torno: inserire una canzone
di Manson nel prossimo album dei Beach Boys. Gli altri componenti della band
non vedono di buon occhio questa invasione, anche perché da tempo cercano
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di convincere il compagno ad allontanarsi da Manson che considerano più un
approfittatore che un artista. La canzone inserita, ufficialmente accreditata a
Dennis Wilson e profondamente rivista nel testo, è Never Learn Not To Love e
viene inclusa nell’album 20/20 pubblicato nel 1969. Per la “collaborazione” i
Beach Boys decidono di liquidare Manson, che non è accreditato come autore,
con circa 100 mila dollari in contanti e una motocicletta. Appena Manson inta-
sca l’assegno e sale sulla moto gli chiedono anche di togliersi di torno e non farsi
più vedere. Melcher, per chiarire le cose, provvede a far sgomberare la villa al
14400 di Sunset Boulevard.
Così sfrattata, la Family si rifugia nel ranch, ma Manson non si dà per vinto:
incontra nuovamente Jakobson e gli fa capire che «o si è con me o contro di me»
e, al termine della chiacchierata per niente cortese, lascia nelle mani dell’ester-
refatto produttore un bossolo di pistola da recapitare a Dennis Wilson.
90 9
Beatles sono considerati dei veri e propri profeti, e così ogni loro canzone è sezionata
e studiata parola per parola, nella convinzione dei fan di trovare chissà quale mes-
saggio nascosto. Comunque, per eliminare qualsiasi fraintendimento, Paul McCar-
tney, autore del testo di Helter Skelter, racconta che la canzone fa riferimento a un
enorme scivolo che si trova in un parco dei divertimenti appena fuori Londra e che
lui voleva solo scrivere il brano più “rumoroso” di sempre, molto di più di I Can See
For Miles degli Who, considerato dalla stampa specializzata di allora il più caotico e
chiassoso in assoluto. Manson però ci legge tutt’altro e nel testo trova spunti per la co-
struzione della sua tesi. Ad esempio, nella frase «Look out Helter Skelter, is coming
down fast» (Attenzione, Helter Skelter sta arrivando giù velocemente) secondo lui
emerge il messaggio che la fine del mondo che sta arrivando, sotto forma di guerra
tra i popoli. E la guerra, secondo Manson, è alle porte: tanto che ordina a tutti i suoi
seguaci di avere un’attrezzatura da “militante Helter Skelter”, che comprende abiti
scuri, coltelli a serramanico, sacco a pelo. Mantenere l’intera struttura della Family (au-
tomobili, droga, cibo, alcolici) senza l’appoggio di Wilson e di tutto l’entourage dei
Beach Boys comincia a costare parecchio. Manson viene a sapere che Gary Hinman,
un insegnante di musica che aveva simpatizzato con Bobby Beausoeil e altri membri
della comunità, nasconde in casa 20.000 dollari in banconote da piccolo taglio: de-
cide che è giunto il momento di convincerlo di donarli alla sua causa. Non è mai stato
chiarito cosa accade esattamente la sera del 25 luglio, l’unica certezza è che Gary Hin-
man viene ammazzato: vengono accusati dell’omicidio Beausoleil, che è subito arre-
stato, e successivamente Manson e Bruce Davis, altro giovane membro della Family,
che però restano a piede libero. Pochi giorni dopo Manson uccide a coltellate un pu-
sher di colore per una questione di pagamenti di droga e vengono arrestate due sue
fedelissime, Sandy Good e Mary Ann, per uso di carte di credito false. L’organizza-
zione si sta lentamente sgretolando, così Manson decide che è giunta l’ora dell’Helter
Skelter. La sera del 9 agosto riunisce Tex Watson e le sue ragazze più fidate, Susan At-
kins, Patricia Krenwinkel e Linda Kasabian. È molto agitato e, stranamente, di poche
parole: «C’è da fare un’azione dimostrativa a Bel Air. Fate tutto quello che vi dice Tex.
Alla fine ricordate di lasciare un segno maligno». Poi congeda il gruppo. I quattro si
vestono di nero e partono verso quella che un tempo era la villa di Terry Melcher, al
10050 di Cielo Drive. Appena arrivati Tex taglia i fili elettrici ed entra in giardino. Il
vialetto e viene illuminato dai fari di un auto che sta per uscire. È Steve Parent, il cu-
stode della villa che lo riconosce e gli chiede: «Cosa fai qui a quest’ora?». Tex gli ri-
sponde con quattro pallottole al petto e poi fa segno alle ragazze di seguirlo. Entrano
in casa e trovano Voiteck Frykowski, giovane sceneggiatore di 32 anni, e la sua com-
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pagna Abigail Folger di 25; Sharon Tate, e il suo ex fidanzato, Jay Sebring, parruc-
chiere di Hollywood. Vengono tutti radunati in salotto con le mani alzate. Sebring
tenta di ribellarsi e Watson gli spara a freddo uccidendolo. La Folger implora di es-
sere lasciata libera, si slaccia l’orologio e mostra il suo portafoglio, Watson ordina alla
Krenwinkel di ucciderla e, nel frattempo, corre in giardino a inseguire Frykowski che
sta tentando di scappare e gli spara alla schiena. Rimane solo Sharon Tate che, pian-
gendo, chiede pietà per il suo bambino. Tex intima alla Atkins di ucciderla, ma lei
sembra paralizzata; così come la Krenwinkel. Allora prende lui l’iniziativa e pugnala
la Tate al cuore. A questo punto scatta come una molla e tutti si avventano sul corpo
dell’attrice: alla fine gli inquirenti conteranno più di 160 coltellate. Prima di uscire
dalla villa, Susan Atkins prende un asciugamano e lo intinge nel sangue di Sharon
Tate, si avvicina alla porta d’ingresso e scrive «Pig», il maiale che, secondo le teorie di
Manson, è uno dei travestimenti del maligno.
La sera dopo si replica. Stessa formazione con in più Leslie Van Houten e Manson.
Nella villa al 3301 di Waverly Drive ci abitano Rosemary e Leno LaBianca, due one-
sti commercianti, che vengono massacrati a coltellate. Sui muri, con il loro sangue, è
stato scritto: «Death to Pigs, Rise, Helter Skelter» e con un forchettone da forno sulla
pancia di Lino La Bianca è stata incisa la parola «War».
La polizia non collega subito i due crimini e non sospetta lontanamente di Man-
son e della Family, tanto che pochi giorni dopo, il 16 agosto, fanno irruzione nel Ranch
e arrestano Manson e alcuni membri con l’accusa di furto di un’auto, per rilasciarli
dopo neanche una settimana. Ma il 12 ottobre, dopo una lunga indagine, gli stessi
agenti tornano al Ranch ad arrestarli per aver commesso le due carneficine. A inca-
strare definitivamente il “piccolo Charlie” è Linda Kasbian, l’unica pentita della Fa-
mily che al processo si dissocia dal gruppo diventando così la testimone-chiave del
procuratore distrettuale Vincent Bugliosi che accusa Manson e amici degli omicidi
dell’8 e 9 agosto.
Così si conclude la storia di uno squilibrato che, in un paio di anni, è riuscito a tra-
sformare un gruppo di innocenti e pacifisti giovani hippie in sanguinari e spietati as-
sassini.
Rolling Stone ha recentemente pubblicato la notizia secondo la quale Manson, con-
dannato all’ergastolo e che potrà beneficiare della libertà vigilata tra 15 anni, quando
ne avrà 92, sta nuovamente per sposarsi. A comunicarlo direttamente alla redazione
della rivista è stata la futura moglie, Star - nome dato a lei direttamente da Manson -
di 25 anni.
92 9
XI
P Passato alla storia come il più grande evento della controcultura giovanile
mai organizzato; nelle intenzioni il Festival di Woodstock doveva essere solo
una manifestazione per rinvigorire il movimento hippie e - magari - riportarlo
ai fasti dell’Estate dell’amore e celebrare la rinascita del Flower Power.
Si svolge a metà del mese di agosto, su un campo di 600 acri poco distante da
New York, e prende il nome dalla collina della località che in origine avrebbe do-
vuto ospitarlo, una cittadina in stile coloniale, circondata da boschi, colline e la-
ghetti, dove non c’è lo stress e il caos delle metropoli, e vi risiedono diversi artisti,
pittori, scrittori e qualche compositore.
Gli organizzatori dell’evento sono quattro: Michael Lang, 23 anni, un simpa-
tizzante del movimento hippie, proveniente da una famiglia di artisti e residente
a New York; Artie Kornfeld, 25 anni, discografico, talent scout e già vicepresi-
dente della Columbia Records; John Roberts, 23 anni, studente benestante; e
Joel Rosemann, 25 anni laureato in legge, appassionato di musica e anche lui
con parecchi soldi a disposizione. I primi due hanno l’idea, gli altri ci mettono
il capitale. L’incontro tra i quattro avviene perché Lang e Kornfeld rispondono
a un annuncio che Roberts e Rosemann fanno pubblicare sul New York Times:
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«Giovani dal capitale illimitato cercano idee e opportunità da finanziare». Così
Lang e Kornfield illustrano il loro progetto: la realizzazione di uno studio di re-
gistrazione unico al mondo, tecnicamente all’avanguardia, con tutte le como-
dità per i musicisti, piscine e sale relax, palestra e biblioteca, dove dal giardino
si può godere la vista sul magnifico panorama delle Catskill Mountains di Wo-
odstock. Per l’inaugurazione i due pensano di organizzare un concerto nella
piazza centrale del paese coinvolgendo i maggiori nomi del rock, Bob Dylan e
Jimi Hendrix in testa. I due finanziatori pensano subito al business: e perché
non organizzare un megaconcerto? I possibili ricavi dei biglietti (ne prevedono
quarantamila a 18 dollari l’uno) potrebbero essere investiti nei lavori dello stu-
dio di registrazione extra lusso. Così, per organizzare un cast degno almeno del
Monterey Pop Festival si rivolgono a John Morris, uno dei promoter più in auge.
Presto però si accorgono che Woodstock non ha una zona in grado di conte-
nere un palco enorme e quarantamila persone, perciò ripiegano su un campo al-
l’interno di una fattoria a 60 miglia a Sud di Woodstock, a Bethel. Il proprietario
si chiama Max Yasgur: all’inizio non ne vuole sapere, ma cede alle insistenze del
figlio appassionato di musica rock.
Per tutto ciò che riguarda l’extra-musica (accoglienza, camping, vitto, lezioni
di yoga, meditazione, infermeria, security, ecc.) vengono ingaggiati i ragazzi
della comunità Hog Farm guidata Wavy Gravy, i Marry Pranksters e la comune
di Ken Kesey. E forse è proprio grazie a loro che la notizia che qualcosa di grosso
succederà a Ferragosto a Nord di New York gira velocemente per tutti gli States.
Il 14 agosto, il giorno prima dei concerti, fuori dai cancelli, c’è già una folla di
cinquantamila persone, almeno diecimila più del previsto. Gli organizzatori co-
minciano a capire che l’evento non solo gli sta scoppiando nelle mani, ma che ha
tutte le carte in regola per diventare il più grande evento rock del mondo, molto
più del Monterey Pop Festival di due anni prima. Tolgono le palizzate e il Festi-
val viene dichiarato gratuito.
Ai tre giorni più importanti della storia del rock prendono parte oltre cin-
quecentomila persone che per 72 ore consecutive cantano, ballano, fumano,
mangiano, dormono, fraternizzano, fanno l’amore e, persino, partoriscono. I
giornali parlano di «Woodstock Nation»: in effetti per tre giorni la fattoria di
Max Yasgur è stata un Paese a sé, una zona franca dove gli ideali di libertà hanno
regnato sovrani e grazie ai quali si è svolto un evento culturale di importanza so-
ciologica forse irripetibile.
Per la folla e gli ingorghi sulle strade gli organizzatori sono costretti a noleg-
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giare diciotto elicotteri per trasportare gli artisti dall’aeroporto JFK di New York
al palcoscenico e, a causa dei ritardi, la scaletta della manifestazione è rivolu-
zionata e viene improvvisata sul momento. Richie Havens ha l’onore di aprire il
Festival alle 17.07: è il primo musicista a suonare solo perché è accompagnato
da un gruppo acustico formato da due persone, un chitarrista(Paul “Deano”
Williams) e un percussionista(Daniel Zebulon), ed è possibile trasportare tutti
con un solo elicottero. Havens è costretto a suonare per oltre due ore per il fatto
che non c’è nessuno pronto a salire sul palco dopo di lui: una scaletta di nove
brani che si chiude con la leggendaria interpretazione di Freedom, pezzo quasi
completamente improvvisato, per oltre quattro minuti frutto anche di questi
eventi. Poi è la volta di Country Joe McDonald che suona con la chitarra di Ha-
vens perché i suoi strumenti non sono arrivati. John B. Sebastian non era tra gli
artisti che dovevano suonare ma, per coprire uno dei tanti buchi in scaletta,
l’hanno costretto a salire ugualmente sul palco, completamente fatto, ed esibirsi.
Joan Baez, che chiude la prima serata, canta solo per pochi minuti perché incinta
di 6 mesi e, poi, perché comincia a piovere. Una pioggia violentissima, che dura
tutta la notte. La mattina dopo il terreno della fattoria si è trasformato in un
mare di fango dove nuotano oltre mezzo milione di persone. Ma il Festival pro-
segue. Apre il secondo giorno Carlos Santana, allora conosciuto sono nell’area
di San Francisco, ed entrato nel cast solo perché Bill Graham, il suo manager,
non è soddisfatto nel basso ingaggio ricevuto per un altro suo cliente, il gruppo
dei Grateful Dead. Risultato, Santana fa un’esibizione che passa alla storia men-
tre i Dead deludono. La colpa, dichiarano una volta usciti di scena, è del palco
bagnato e delle scariche elettriche. Un altro flop inatteso è quello di Janis Joplin:
è ubriaca fradicia, e sale sul palco stringendo una bottiglia di whisky nelle mani
che le viene poi sfilata da un suo musicista. Non deludono invece i Creedence
Clearwater Revival e i Jefferson Airplane, questi ultimi costretti a suonare alle
prime luci dell’alba, con un ritardo di sei ore sulla scaletta. Chiudono la giornata
di sabato gli Who che suonano con professionalità, senza troppa enfasi, forse
perché stravolti dall’attesa. L’ultimo giorno c’è la leggendaria performance di Joe
Cocker, che stravolge la cover dei Beatles White A Little Help For My Friend ren-
dendola una canzone stupenda grazie a un’interpretazione intensa e dramma-
tica. Seguono i “padroni di casa” della Band, gli unici a risiedere nella cittadina
di Woodstock; poi Butterfield Blues Band, Johnny Winter, i Blood Sweet & Tears
(che pare siano stati i più pagati di tutti), e i Crosby Stills Nash & Young, tecni-
camente i più perfetti. A chiudere la tre giorni, domenica notte, sale sul palco
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Jimi Hendrix che al termine della sua esibizione esegue l’inno americano: la sua
chitarra elettrica produce il fragore del bombardamenti in Vietnam.
Woodstock è oggi sinonimo di pace, musica e contestazione, ed è passato alla
storia. Gli organizzatori, però, hanno sempre dichiarato di non averci guada-
gnato nulla, di non essere riusciti mai a rientrare nemmeno delle spese: certo è
che il film-documentario di Michael Wadleigh ha vinto il premio Oscar e i due
album prodotti, uno triplo e uno doppio, hanno venduto milioni di copie. E poi
molti musicisti sono stati ingannati: al momento dell’ingaggio, infatti, in pochi
sapevano che sarebbero stati prodotti film e dischi e così non hanno mai rice-
vuto un dollaro per i diritti di riproduzione. Ma i gruppi rappresentati da ma-
nager scafati, come i Grateful Dead, i Jefferson Aiplane, i Creedence Clearwater
Revival o The Band, non hanno rilasciato i diritti e così le loro esibizioni non
compaiono né sull’album né nel documentario. Quindi a Woodstock non pro-
prio tutto è stato fatto con “pace & amore”, e qualcuno, sicuramente, ci ha gua-
dagnato. E parecchio. Il Festival di Woodstock ha comunque messo
definitivamente la parola fine all’evento culturale fine a sé stesso o a favore del
movimento, facendo entrare, dalla porta principale, le logiche del business.
Oggi la collina dove si è svolto il Festival è protetta da una staccionata, per ri-
cordare l’evento è stato eretto un monumento in pietra dove sul frontone sono
stati scolpiti il logo con la colomba bianca sul manico della chitarra e tutti i nomi
dei partecipanti. Nel 1997 Alan Gerry, ricco imprenditore dello spettacolo, ha ac-
quistato il terreno per costruirci Bethel Woods, un centro polifunzionale con
due zone per concerti all’aperto, un’area eventi e convegni, e un museo multi-
mediale interamente dedicato al mito di Woodstock.
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Sono in molti, però, siano essi cantanti, musicisti, tecnici o organizzatori, che de-
vono la loro carriera al solo fatto di aver partecipato all’evento che ha segnato per
sempre la cultura giovanile.
Ma non solo, ha segnato per sempre anche la musica. Dopo Woodstock, in-
fatti, le rockstar sono diventate ufficialmente ricche. Si comprano ville e mac-
chine di lusso ma, nelle interviste, continuano a sostenere ideologie
rivoluzionarie, a favore dell’amore e dell’uso delle droghe leggere, contro la vio-
lenza e la guerra. Qualcuno riesce a gestire il successo e il benessere improv-
viso, altri meno. Tra questi Janis Joplin, diventata cantante solista dopo aver
lasciato in malo modo i Big Brother, che sale sul palco, sempre più spesso, stra-
fatta di eroina e ubriaca di whisky, tanto da non riuscire nemmeno più a cantare.
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gruppo, cerca di difenderlo, ma anche lui viene messo fuori combattimento da
un cazzotto. Già eccitati da droghe e alcol, gli Angels alla vista del sangue non
capiscono più niente e cominciano a picchiare il pubblico solo per il gusto di
farlo. Il concerto finisce in tragedia: salgono sul palco gli Stones e durante l’ese-
cuzione del brano Simpathy for the Devil quelli che dovevano fare il servizio
d’ordine finiscono per uccidere a pugnalate Meredith Hunter, un ragazzo suda-
mericano. Al processo sostengono, senza prove concrete, che il giovane spetta-
tore nascondeva sotto la giacca (una tuta bianca) un fucile. La stampa e
l’opinione pubblica incolpa dell’incidente la musica rock, i suoi festival e i suoi
protagonisti che inducono alla violenza. Più tardi Keith Richards ammette:
«Forse bisognava sospendere lo spettacolo perché la violenza davanti al palco era
terribile. Non credo sia stata una buona idea ingaggiare gli Hells Angel’s come
security, ma ci siamo fidati dei Grateful Dead, che avevano già organizzato spet-
tacoli del genere con la loro collaborazione. L’alternativa sarebbero state le Pan-
tere Nere: non saprei certo dire se sarebbero stati più corretti».
Da quella sera non è solo il mondo della musica rock, ma è anche l’ideologia
pacifica a essere macchiata di sangue: e il sogno dei Figli dei fiori e del Peace &
Love sono morti con il giovane Hunter. Se Woodstock è universalmente rico-
nosciuto come l’apice del periodo di controcultura giovanile, Altamont segna la
fine delle illusioni. Questo il bilancio finale dell’evento: circa 350 mila parteci-
panti, danni stimati in 400.000 dollari, muoiono quattro persone (tre acciden-
talmente).
Ovviamente la mattina dopo i fatti di Altamont gli Stones decidono di non
avvalersi più della “collaborazione” degli Hell’s Angels per le date successive della
tournée in California. Gli “Angeli” però non ci stanno e si offendono del modo
in cui vengono licenziati dalla band. Sono così offesi che - secondo una recente
rivelazione di un ex agente dell’Fbi - mettono a punto un piano per assassinare
niente meno che Mick Jagger. Secondo il piano, l’assassinio avrebbe dovuto avere
luogo all’interno della villa che il cantante ha a Long Island, non lontano da New
York. Un commando degli Angels avrebbe dovuto raggiungere la casa via mare
ma, la notte in cui era programmata l’azione, a causa di un’improvvisa tempe-
sta la barca si rovesciò e gli uomini finirono in mare.
I guai per i Rolling Stones sono però cominciati qualche mese prima, le dro-
ghe hanno reso il chitarrista Brian Jones un peso insopportabile per il gruppo.
Artisticamente geniale, ma indisciplinato, Jones non accetta le regole del gruppo
fregandosene dei rimproveri dei colleghi: non si presenta alle registrazioni o alle
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prove, non studia le canzoni nuove che gli vengono proposte, pianta continua-
mente grane quando è in tournée. Mick Jagger e Keith Richards pensano così di
sostituirlo e il 9 giugno lo comunicano ufficialmente alla stampa: motivo, sem-
plici «divergenze musicali». A Jones sembra non importargliene nulla e comu-
nica al mondo interno che è lui che non sopporta più la coppia Jagger & Richards
e che è lui che ha deciso di sbattere la porta. I suoi atteggiamenti diventano sem-
pre più bizzarri, la sua vita più sregolata fino al 3 luglio del 1969, quando viene
rinvenuto morto dentro la piscina di casa sua. Secondo la versione ufficiale Jones
stava facendo una nuotata a mezzanotte ed è annegato per un improvviso at-
tacco d’asma; ma diversi testimoni sostengono che quella sera era in corso un
party e qualcuno gli ha tenuto la testa sott’acqua fino a farlo annegare. Uno
scherzo finito male? Può anche essere, è un dato di fatto che però Jones, nella sua
breve vita, appena 27 anni, s’era fatto molti nemici.
A poco più di un anno di distanza, il 18 settembre 1970 Jimi Hendrix muore
a 27 anni nella camera di un hotel di Londra. Anche questa morte è avvolta nel
mistero: la causa ufficiale è che il chitarrista sia stato soffocato dal suo stesso
vomito, quello che però avviene negli ultimi minuti prima della morte non è
chiaro. Hendrix, infatti, quando inizia a stare male riesce a chiedere aiuto al suo
manager che chiama subito un’ambulanza. Pare però che i soccorritori, invece
di farlo mettere su un fianco in modo da liberare la trachea, lo abbiano sdraiato
facendolo così soffocare.
Due settimane dopo è la volta di Janis Joplin e anche lei, come i suoi colleghi
Jones e Hendrix, ha solo 27 anni. A ucciderla è stato un cocktail di alcool ed
eroina. La dose fatale se la inietta la sera dopo aver inciso Me and Bobby McGee,
una della sue canzoni più famose, nella Camera 105 del Landmark Motel di Los
Angeles. La Joplin aspettava il suo fidanzato, Seth Morgan, e la sua amica-
amante, Peggy Caserta, per un ménage à trois, ma nessuno si presenta all’ap-
puntamento, e non hanno nemmeno lo scrupolo di avvertirla. Janis si sente
ancora una volta tradita e abbandonata e cerca consolazione nell’eroina dopo
aver bevuto mezza bottiglia di tequila.
L’ecatombe di artisti continua il 3 luglio (combinazione lo stesso giorno della
morte di Brian Jones) del 1971 quando a Parigi, nella vasca da bagno dell’ap-
partamento al numero 17 di Rue Beautraillis, Pamela Courson trova Jim Mor-
rison morto, con le braccia a penzoloni, il capo reclinato, grumi di sangue sotto
le narici. Anche la sua morte è circondata da un alone di mistero. Bill Siddons,
manager dei Doors, arriva a Parigi il giorno dopo ma quando entra nell’appar-
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tamento la bara è già sigillata: ogni cosa è stata fatta in fretta, dice la polizia pa-
rigina, per non trasformare la morte del cantante in un circo mediatico. I fune-
rali hanno luogo la mattina del 7, alla cerimonia sono presenti pochi intimi e
nessun musicista dei Doors. Cosa sia successo nell’appartamento nessuno lo
saprà mai. Anche lui aveva 27 anni.
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X
nAScono I gIovAnI
U Uno dei punti del programma elettorale del repubblicano Richard Nixon,
presidente dal 1968, è di far sloggiare i Figli dei fiori dagli Stati Uniti e vietare
l’uso di tutti gli stupefacenti. Timothy Leary, il guru dell’Lsd, non lo teme, anzi:
lancia una provocazione e si candida governatore della California. Tra i suoi so-
stenitori ci sono niente meno che John Lennon e Yoko Ono, in quel periodo
particolarmente attivi sul fronte pacifista. Il Governo, però, gli tende una trap-
pola: a un posto di blocco dentro al posacenere della macchina di Leary gli
agenti della polizia stradale rinvengono due mozziconi di spinello, proba-
bilmente introdotti dagli stessi poliziotti. “Dr. Drug” viene immediatamente
arrestato e, al processo per direttissima, la giuria lo condanna. Non è la
prima volta che Leary è arrestato per fatti di droga e il giudice, con un pro-
cedimento del tutto inconsueto, somma varie pene: in totale è condannato
a dieci anni di reclusione. Il 10 marzo 1970, prima che termini il processo,
Leary scappa dagli Stati Uniti e rilascia una dichiarazione che imbarazza
tutta la comunità hippie spianando la strada alla linea politica repressiva
di Nixon: «Attenzione - dice Leary - sono armato e da considerare perico-
loso per chiunque minacci la mia vita o la mia libertà». La latitanza dura
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solo un paio di anni. È di nuovo catturato in Svizzera e riportato negli Stati
Uniti nel 1972 dove, in cambio di una riduzione di pena, collabora con l’Fbi.
Addio Beatles
Ma l’evento che più di ogni altro ha forse segnato la fine del decennio è lo
scioglimento dei Beatles, gruppo che da solo era riuscito a rivitalizzare l’indu-
stria del rock, fino ad allora immobile su Elvis Presley, aprendo la strada a un
movimento intero di musicisti. Agli albori le loro canzoni sono per lo più bal-
late e semplici giri di accordi di rock’n’roll con testi parlano principalmente
d’amore; negli ultimi anni, dall’album Sgt. Pepper in poi, abbracciano la mu-
sica psichedelica e i testi si sono fatti più impegnati, socialmente e politica-
mente. Un’evoluzione musicale e artistica che ha sempre visto al loro fianco
anche i fans della prima ora, che hanno seguito la band senza tradirli o muo-
vergli una critica da P.S. I Love You a Revolution 9. Proprio per loro, per i fans,
lo scioglimento non è indolore: pianti, grida di disperazione, quintali di lettere
scritte da migliaia di giovani che per giorni hanno sostato davanti agli Apple
Studios di Abbey Road, cercando di far cambiare idea ai loro beniamini. Lo
scioglimento del gruppo, però, era nell’aria da parecchio tempo. Sono anni che
i quattro si sopportano a mala pena. La rivalità tra Lennon e McCartney è alle
stelle, spinta anche dalle droghe pesanti (pare che un giorno Lennon, strafatto
di eroina, abbia convocato urgentemente il gruppo negli Apple Studios per co-
municare loro che lui era Gesù Cristo, «Hai ragione, John - dissero gli altri tre
- devi dirci altro o possiamo andare?»); dall’invadenza di Yoko Ono, che Len-
non vuole accanto a sé ovunque (alle registrazioni la fa sedere accanto al pia-
noforte) e dal misticismo indiano che ha coinvolto Paul. George Harrison, dal
canto suo, è stufo del fatto che le sue composizioni non siano mai prese in con-
siderazione e che sta meditando di formare un nuovo gruppo assieme all’amico
Eric Clapton. Inoltre, McCartney e Ringo stanno da tempo lavorando a progetti
solisti e Lennon è spesso impegnato con il gruppo che ha fondato con Yoko, la
Plastic Ono Band, con il quale si esibisce nelle manifestazioni pacifiste contro
la guerra in Vietnam. Let It Be, il loro ultimo album, è registrato pressoché in-
teramente in presa diretta, cioè senza incidere svariate versioni per scegliere la
migliore. Avviene nei primi mesi del 1969, ma il disco viene pubblicato soltanto
l’8 maggio del 1970, dopo l’annuncio dello scioglimento del gruppo. L’album è
odiato e ripudiato dai Beatles, che vanno su tutte le furie al primo ascolto per via
degli arrangiamenti (parti orchestrali, violini e cori celestiali) aggiunti arbitra-
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riamente dal produttore Phil Spector a loro insaputa. Nel novembre 2003 viene
pubblicato, Let It Be... Naked che, secondo McCartney, assomiglia maggiormente
al progetto iniziale. Oltre a missaggi diversi dei vari brani, sono state eliminate
Dig It e Maggie Mae, e aggiunta al loro posto Don’t Let Me Down.
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L’Onu si accorge della Terra
Ormai alcuni ideali propri della cultura e della filosofia del movimento hip-
pie sono mutuate dai politici in cerca d’affermazione. E così il senatore demo-
cratico Gaylord Nelson capisce che un suo impegno ecologista può essere la
mossa giusta per uscire dall’anonimato, fare notizia, acchiappare nuovi elettori.
Sin dall’inizio, il movimento ecologista affonda le sue radici nella controcultura
hippie: Nelson prima studia le problematiche tramite i documenti e pubblica-
zioni underground, quindi, nel 1968, propone un Teach-In ambientale da te-
nersi nei campus e nei college. L’anno dopo riesce a convincere
l’amministrazione di San Francisco a proclamare il 21 marzo Giornata della
Terra: le strade vengono chiuse al traffico, i bambini piantano alberi e fiori nei
giardini, nei chioschi sono diffusi opuscoli e volantini con informazioni am-
bientali, nei parchi si gioca, ci si ritrova, si danza e si suona. Se una manifesta-
zione simile fosse stata organizzata da qualche comunità hippie, ci sarebbero
stati sicuramente scontri con la polizia e arresti. L’evento è un successo, la citta-
dinanza partecipa convinta: il senatore Nelson capisce che può puntare in alto
e nel 1970 organizza il World Earth Day, la Giornata mondiale della Terra. Il
patrocinio, questa volta, arriva nientemeno che dal segretario generale delle Na-
zioni Unite che sottoscrive, assieme ad altri leader mondiali, l’International Earth
Day Proclamation redatto l’anno prima dallo stesso Nelson a San Francisco. Il
testo, per far convogliare maggior attenzione, è reso pubblico come documento
dell’Onu. L’aspetto grottesco della vicenda è che nel documento, redatto da un
senatore degli Stati Uniti e firmato dall’Onu e da altri capi di Stato, si trovano gli
stessi argomenti, le stesse preoccupazioni e analisi che si leggevano qualche anno
prima sui volantini distribuiti nello Psichedelyc Shop, nelle pagine del San Fran-
cisco Oracle oppure che si ascoltavano negli interventi sul palco di qualche
Human Be-In o raduno rock. I contenuti, infatti, riguardano il problema del-
l’estensione incontrollato delle città, il cattivo uso dei pesticidi, dei consumi del
petrolio, dei rischi del nucleare, dell’inquinamento delle automobili e delle fab-
briche, argomenti che stavano portando il mondo alla catastrofe. Al primo World
Earth Day partecipano venti milioni di persone, con manifestazioni in quasi
tutte le maggiori città degli Stati Uniti. E non si registra nessuno scontro con le
forze dell’ordine.
E proprio con questa prima “vittoria” dei loro ideali che si è chiusa definiti-
vamente l’epoca degli hippie. Un’epoca meravigliosa, in cui un’intera genera-
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zione ha cercato di rivoluzionare il mondo con i colori, la musica, l’amore; che
si è ribellata all’ipocrisia di un modello sociale e all’arroganza della politica, con
l’impegno culturale e civile. Tra il 1964 e il 1969 c’è stato un susseguirsi di no-
vità, musicali e artistiche, simboli di un’epoca nuova che, senza l’uso della poli-
tica, è stata vista come rivoluzione. Una rivoluzione in musica, forte, decisa e
felice, sempre con il sorriso sulle labbra e un fiore tra i capelli. In quegli anni si
è capito che il cambiamento era arrivato, perché è nata la modernizzazione e
morto il conformismo.
Ma soprattutto, grazie ai Figli dei fiori sono nati i giovani come categoria sociale.
La libertà oggi è più debole, perché ha smesso di occuparsi della libertà di
tutti e, forse, perché è consumata da un individualismo che la rende incapace di
affrontare battaglie portando avanti le istanze della collettività.
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PARTE SEcondA
Lo SbARco In EuRoPA
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I
A All’inizio degli anni Sessanta nei bar lungo la Penisola i juke-box sono quindici-
mila; la radio dedica ai giovani un programma specifico dal titolo originale… La
musica dei giovani; tv e giornali realizzano lunghe inchieste che hanno come unico
tema il mondo dei ragazzi. È nelle grandi città che si registra la prima vera svolta so-
ciale e culturale del mondo giovanile: i ragazzi scappano di casa; si ribellano agli at-
teggiamenti autoritari di scuole e famiglie; si fanno crescere i capelli; indossano i
blue-jeans.
Il regno incontrastato dei capelloni e del beat è il Piper Club di Roma in via
Tagliamento, un locale totalmente nuovo nella concezione dello spazio di sala da
ballo, con una grande pista centrale dalla quale si ergono pedane luminose e, su
un lato, un palcoscenico. Quando il Piper viene inaugurato il 17 febbraio del 1965,
è in assoluto il primo locale italiano che offre musica dal vivo, happening e per-
formance: mitica quella di Mario Schifano accompagnato dal suo gruppo con le
Stelle di Schifano (uno scimmiottamento di Andy Warhol e dei Velvet Under-
ground), spettacolo che comincia alle 22 e termina alle 5 del mattino. Sul palco del
Piper nascono i cantanti beat italiani (Patty Pravo, Caterina Caselli, Rokes, Gi-
ganti) e ci passano gruppi del calibro dei Procol Harum e dei Pink Floyd. Tutto fila
liscio fino al 1967, quando la polizia proibisce l’apertura pomeridiana del locale a
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causa delle lamentele dei genitori i cui figli trascurano lo studio per il ballo; e la
Chiesa, per non essere da meno, denuncia i pericoli dello “shake”, il ballo più in
voga del momento: perché i suoi movimenti sono provocanti e la penombra delle
discoteche insidiosa.
Ed è proprio al Piper di Roma che il movimento hippie per la prima volta è ce-
lebrato ufficialmente in Italia: il 17 ottobre 1967 viene organizzata la Festa dei Fiori
dove, si avvisa nell’invito «solo chi indossa un abbigliamento da “hippie puro” potrà
entrare». Quel giorno sul marciapiede davanti all’ingresso del locale, si accalcano
oltre cinquemila persone (tra queste Lina Wertmüller, Luchino Visconti, Vittorio
Gassman, Renzo Arbore, Gianni Boncompagni, Dado Ruspoli) alcune vestite in
modo improbabile ma tutti con addosso qualche addobbo floreale, fascettine in
testa, collanine, dipinti sul viso e sulle braccia. Sul palco, oltre alla regina Patty Pravo,
si esibiscono anche i Primitives di Mal.
Alla radio e alla televisione (trasmettono solo i canali Rai) i programmi musicali
cominciano ad avere sempre maggiore spazio; sono pubblicate tre nuove riviste di
costume: Ciao amici nel 1963, Big, che esce nel 1965, e Ciao 2001, che diventa il più
venduto e che si attesta su una tiratura media di quattrocento-cinquecentomila copie.
Tutte e tre le testate si occupano prevalentemente di musica rock (su quasi ogni nu-
mero c’è un servizio che riguarda o i Beatles o i Rolling Stones) e dei nuovi gruppi e
cantanti di casa nostra, con servizi fotografici, notizie e informazioni, e con riferi-
menti obbligati al panorama internazionale. Ma oltre alla musica, nella rubrica delle
lettere e in alcuni servizi specifici, prevalgono tematiche tipiche del malessere esi-
stenziale e sociale che connotano la condizione giovanile dell’epoca che i nuovi
gruppi cercano di interpretare nelle loro canzoni. In breve tempo, anche in Italia la
musica diventa strumento di comunicazione politico-culturale che introduce un
nuovo modo di atteggiarsi, di vestirsi, di pensare. I giornali “tradizionali”, con in-
chieste piene di luoghi comuni e di facile perbenismo, cominciano a dare l’allarme
sul fenomeno beat-capelloni-hippie e nel 1965 siamo in piena «emergenza giovani».
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Per alcuni mesi non accade nulla e al gruppo si uniscono anche hippie nostrani.
Un giorno di novembre un ragazzo e un militare vengono alle mani: scoppia una
rissa, interviene la polizia, tutti gli stranieri vengono fermati e rispediti al loro
paese col foglio di via. L’episodio è ripreso da tutta la stampa nazionale. In un ar-
ticolo del Corriere della Sera si legge: «Sono brutti [...] infestano la scalinata di Tri-
nità dei monti [...] tipi di apparente sesso maschile che portano i capelli lunghi
quasi come le donne [...] secondo una moda mutuata dai Beatles, i quattro giova-
notti che l’Inghilterra anziché premiare, avrebbe dovuto [...] esiliare in Patagonia
[...]. Essi, dicono, esprimono il tormento della bomba e bisognerebbe buttargliela
[...]. Sarebbe anche ora che venga esercitata una stretta sorveglianza sulle scali-
nate e alle frontiere [...] In Italia deve entrare chi porta i capelli lunghi». Il giorno
dopo i fatti, l’unica a intervenire in loro difesa è la scrittrice Elsa Morante attraverso
una lettera che invia a La Stampa «Non vedo nessun oltraggio nella foggia dei ca-
pelli lunghi e del vestiario dimesso [...] foggia, la suddetta, già confortata da in-
numerevoli esempi illustri, tra i quali, per citarne solo due, Dante Alighieri e
Giuseppe Garibaldi».
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stare contro la loro famiglia, suggestionati anche dalla cultura del viaggio e del no-
madismo.
Tra Torino e Milano nel 1966 si forma un vero e proprio movimento beat dotato
di un minimo di organizzazione che promuove iniziative di protesta sociale e di
lotta. Portano i capelli lunghi, indossano camicie e pantaloni colorati, viaggiano in
autostop, ascoltano rock e fanno sesso fuori dal matrimonio: lontano dalla consa-
pevolezza politica dei pari età americani, i ventenni italiani combattono per diritti
molto più basilari. Il 17 luglio a Torino i beatniks organizzano la Marcia per la pace
universale, che si conclude con incidenti e arresti di dimostranti da parte della po-
lizia. Il 12 ottobre a Milano la “zia Polly” (così viene chiamata la polizia) arresta di-
ciannove ragazzi con l’accusa di aver scritto slogan pacifisti sui muri. Con questo
tipo di iniziative i beat tendono a marcare il loro impegno sociale, distinguendosi da
quella che altrimenti rischia di essere solo una moda, un modo di vestire e di atteg-
giarsi. A Milano si ritrovano in Piazza Duomo e all’interno della stazione della me-
tropolitana di Cordusio; un gruppo di loro affitta un negozio in viale Montenero e
lo trasforma in un luogo di incontro e di ospitalità per hippie e beat di passaggio
nella città. Il 12 novembre nella sezione anarchica Sacco e Vanzetti di viale Murillo
a Milano, con l’assistenza di Giuseppe Pinelli che spiega come inchiostrare le matrici
e mette a disposizione risme di carta da ciclostile, viene stampato il primo numero
della rivista Mondo Beat (ne usciranno sette, l’ultimo il 31 luglio 1967). Due giorni
dopo le copie del giornale, circa 800, sono consegnate ai ragazzi dei ritrovi di Piazza
Duomo e di Cordusio per venderle per le vie della città e diffonderle durante i loro
viaggi, prelevando per sé 25 lire e portando le restanti 75 lire, sulle 100 del prezzo di
copertina, alla redazione. Alla rivista collabora anche il gruppo Onda verde di An-
drea Valcarenghi, organizzazione costituita da giovani di estrazione sia borghese sia
proletaria famosa per le sue manifestazioni antimilitariste e che si ispira al Green
Wave, il movimento pacifista americano che gravita attorno a Joan Baez. Nei servizi
di Mondo Beat sono presenti le influenze del movimento hippie americano, di quello
provos olandese e della disobbedienza civile anglosassone, c’è tutto, quindi: pacifi-
smo e antimilitarismo, richiesta di riconoscimento dei diritti civili quali divorzio,
pillola anticoncezionale, aborto, libero amore, critica della famiglia, della scuola e di
tutte le istituzioni in genere per il loro autoritarismo, critica della politica partitica,
esaltazione della partecipazione diretta e non delegata, proposta di esperienze di vita
comunitaria e di gruppo, esaltazione della cultura del viaggio, denuncia della so-
cietà capitalistica, del consumismo. E ci si avvicina al misticismo e alle filosofie orien-
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tali; a partire da sé e dal proprio vissuto, come si dirà in seguito, bisogna cambiare
prima di tutto sé stessi se si vuole davvero cambiare la società.
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Milano, pur essendo parecchio indietro rispetto alle realtà politiche e sociali gio-
vanili che si vanno formando nel mondo, rappresenta per l’Italia l’avanguardia del
movimento. Tre studenti del liceo classico Parini, una delle scuole dove vanno i gio-
vani della Milano-bene, nel 1966 danno vita a un giornale della scuola: La zanzara.
Dopo pochi numeri pubblicano un’inchiesta-sondaggio in cui si fa esplicito riferi-
mento alle abitudini sessuali delle studentesse. L’inchiesta si chiude con la frase: «en-
trambi i sessi, quindi, hanno diritto a rapporti prematrimoniali». Lo scandalo che
segue è di dimensione nazionale: studenti e preside del Parini sono denunciati per
incitamento alla corruzione. Rinviati a giudizio sono assolti ma devono sottoporsi
a una visita psichiatrica per verificare «la presenza di tare fisiche e psicologiche».
Pochi anni fa al liceo Parini di Milano sono giunti - donati da ex studenti - centinaia
di scatoloni contenenti oltre 20 mila documenti originali dell’epoca, riviste, volan-
tini, fotografie. Il materiale è stato schedato ed è diventato archivio storico aperto a
tutta la cittadinanza.
Sempre a Milano, nel maggio del 1967, negli uffici della Motorizzazione Civile
una ragazza è rimandata a casa per cambiarsi, senza aver potuto l’esame di guida, per-
ché il rappresentante dell’Ispettorato trova indecente la gonna troppo corta.
In Italia a fine del 1967, secondo un’indagine dell’istituto demoscopico Doxa, i
giovani tra i 13 e i 19 anni spendono 540 miliardi di lire all’anno (ai prezzi di allora)
in divertimenti e consumi voluttuari come bibite, dischi, cinema, abbigliamento. A
Milano nella centralissima Corso Vittorio Emanuele apre Fiorucci, negozio di ab-
bigliamento che consente di entrare in contatto con quello che succede a Londra e
negli Stati Uniti: la protesta, agli occhi della gente, diventa così anche un fenomeno
di costume. Nelle scuole non si veste più in giacca e cravatta e capelli corti (gli uo-
mini) o twin-set e gonnellone a pieghe all’altezza del ginocchio: questa generazione,
in pochi mesi, diventa consumatore di moda. Da Fiorucci si trovano abiti dal taglio
eccentrico, magliette a stelle e strisce, pantaloni viola o gialli, magliette con disegni
“optical”. Un’esplosione di colori accompagnata, come sempre, da musica rock. E,
pochi mesi dopo, anche dalla politica.
A partire dall’autunno del 1967 gli studenti universitari cominciano a occupare
gli atenei. Inizia quello che convenzionalmente verrà chiamato Sessantotto, di lì a
poco l’impegno e la militanza segnano una rottura fra la dimensione politica e quella
impolitica, tipica degli hippie e dei beat di casa nostra. A differenza della situazione
americana, la “base” sociale che costituisce il movimento italiano è diversa. Se negli
Stati Uniti la maggior parte dei Figli dei fiori sono di estrazione piccolo borghese, in
Italia, tranne alcune eccezioni, provengono dal proletariato. In merito Pier Paolo
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Pasolini scrive: «il movimento hippie non poteva incidere più di tanto come feno-
meno della contestazione giovanile, perché in Italia ha avuto una grande impor-
tanza la Resistenza e ha ancora grande importanza la critica che il marxismo fa alla
società. I giovani che non vanno d’accordo con i padri borghesi hanno già dunque
pronte tradizioni (la Resistenza) e le forme (le proteste razionali del marxismo) per
rivoltarsi».
Inizia il Sessantotto
Il primo marzo del 1968 a Roma, sulla collina della Facoltà di Architettura di
Valle Giulia ai Parioli, per la prima volta gli studenti si scontrano con violenza con
le forze dell’ordine: lanciano pietre, uova e oggetti ai poliziotti, ne incendiano gli au-
tomezzi, una vera e propria battaglia urbana che dura un giorno intero, durante la
quale si affrontano tremila studenti e duemila agenti. A posteriori c’è chi vede in
questo episodio la nascita della componente violenta del movimento che avrebbe
portato, molti anni dopo, al terrorismo. In realtà si tratta di una reazione sponta-
nea, estremamente disorganizzata, che ha successo solo perché gli agenti di polizia
non si aspettavano alcuna resistenza. Pier Paolo Pasolini, in quell’occasione, scrive
Il Pci ai giovani, poesia in cui dichiara di simpatizzare con gli agenti e che ha scate-
nato dure repliche fra gli studenti. «Avete facce di figli di papà - scrive Pasolini ri-
volto agli studenti - Vi odio come odio i vostri papà/Buona razza non mente/ Avete
lo stesso occhio cattivo» e continua: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti/io simpatizzavo coi poliziotti/Perché i poliziotti sono figli di poveri».
Quel giorno l’ingresso della Facoltà è presidiato dalla polizia; la mattina presto gli
studenti decidono di entrare. La manifestazione studentesca è iniziata alle nove del
mattino, nella massima calma. Almeno cinquemila studenti si sono dati appunta-
mento in piazza di Spagna. «L’università è nostra: a noi e ai professori servono le bi-
blioteche, gli istituti, le aule invase dalla polizia. Il rettore che l’ha chiamata deve
andarsene. Andiamo noi all’università, tutti insieme. La più vicina è Architettura:
tutti ad Architettura».
Non erano solo universitari: c’erano anche professori, liceali e studenti degli isti-
tuti tecnici con i libri sotto il braccio. Il corteo non prende vie traverse ma, spalla a
spalla, i partecipanti imboccano il viale che porta all’ingresso principale della Fa-
coltà. Dove li aspettano reparti di agenti e carabinieri, i furgoni cellulari addossati alle
scalinate, i manganelli in mano, le pistole nelle fondine nere. La testa del corteo si è
fatta avanti, spingendo per superare lo sbarramento. «Lasciateci entrare nella no-
stra università. Andatevene!». Da quel momento non c’è stato un attimo di sosta.
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Gli agenti caricano e lanciano lacrimogeni; ma questa volta gli studenti non scap-
pano: arretrano e contrattaccano, sassi contro granate lacrimogene, su e giù per i
vialetti e i prati della zona, armati di oggetti occasionali, pietre, stecche delle panchine
e roba simile. I poliziotti, infagottati nelle loro divise antisommossa, sono imprepa-
rati perché abituati a disperdere le manifestazioni senza incontrare resistenza. Qual-
che jeep inizia a prendere fuoco. Arrivano i vigili del fuoco, le prime ambulanze,
tutta la zona è bloccata: il cordone poliziesco per lasciare passare le lettighe ha un
istante di sbandamento, si ritira, sotto un lancio fitto di pezzi di legno, zolle di terra,
fischi assordanti e urla indignate. La Facoltà è presa, la scalinata si riempie di studenti
e professori che premono contro il portone, lo aprono, entrano dentro. Fuori i fun-
zionari della polizia hanno intanto chiamato i rinforzi, giungono alle spalle degli
studenti reparti speciali della celere armati di tutto punto. Le cariche riprendono
con l’uso degli idranti che spazzano il piazzale con getti violentissimi di acqua e di
ammoniaca. Ora le cariche coinvolgono tutti, studenti, giornalisti, fotografi, opera-
tori, passanti, tutti picchiati e allontanati dalla scalinata, sgomberata.
Alla fine si contano 150 feriti tra i poliziotti e molte centinaia da parte studente-
sca, oltre a migliaia di fermi e denunce. Per la prima volta, però, la polizia è stata co-
stretta a battere ritirata in diverse riprese, lo scontro è stato “guidato” dalla base
studentesca senza mai scappare, opponendo una resistenza attiva. Al fianco degli
studenti, poi, si sono trovati anche i professori.
Il re è nudo
Dopo la chiusura di Mondo Beat, Andrea Valcarenghi decide di intraprendere
una nuova esperienza editoriale e aprire una nuova rivista. A seguito di intermina-
bili riunioni tra alcuni esponenti beatnik, hippie, neosessantottini critici con la sini-
stra e militanti di Onda Verde, nel 1969 esce la rivista Re Nudo, della quale
Valcarenghi ricopre il ruolo di direttore sin dal primo numero. Ed è proprio lui che,
la sera prima dell’uscita in edicola, gira per Milano di notte impugnando una bom-
boletta a spray e scrive sui muri «Re Nudo?». La mattina seguente la città s’interroga
sul significato della scritta apparentemente senza senso, fino a quando non vede
esposta la rivista in edicola. Re Nudo diventa subito la principale e più diffusa rivi-
sta italiana di controcultura e underground giovanile. La redazione è fortemente
critica nei confronti dell’area più settaria e dogmatica del Movimento studentesco,
considerata moralista. Gli articoli e i servizi, impaginati con una grafica psichede-
lica, trattano di politica e cultura alternativa, di sesso, religioni orientali, droghe, cul-
tura underground, tutti argomenti che fino ad allora trovavano poco spazio sui
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giornali, anche quelli orientati a sinistra. Pochi mesi dopo l’uscita del primo numero,
Valcarenghi, già obiettore di coscienza, è incriminato e arrestato per vilipendio alle
forze armate, l’accusa è quella di aver distribuito volantini con messaggi antimilita-
risti in occasione di una parata militare.
Re Nudo informa i suoi lettori che il mondo sta cambiando e che loro possono es-
sere parte attiva del cambiamento. Allo stesso tempo, però, il giornale è anche uno
strumento di propaganda politica: è l’unica voce per gli hippie, le aggregazioni gio-
vanili, i movimenti spontanei, i gruppi della sinistra più radicale, gli omosessuali e
le femministe. La rivista, che sin dall’inizio si è prefissata un compito molto arduo,
quello cioè di far convivere la tradizione marxista con quel disordinato universo di
frammenti socio-culturali chiamato cultura underground, ha un buon successo edi-
toriale, tanto che Valcarenghi, lanciando lo slogan «facciamo che il tempo libero di-
venti tempo liberato» e in controtendenza con il disinteresse della sinistra
extraparlamentare nei confronti della musica rock, sulla scia delle feste delle testate
politiche come l’Unità e l’Avanti! organizza il Festival di Re Nudo (poi negli anni di-
ventato Festival del Proletariato Giovanile ) evento che, partito in sordina in zone
della piccola provincia lombarda come Zerbo o l’Alpe del Viceré, si trasforma in un
ritrovo nazionale quando viene spostato al Parco Lambro di Milano.
Anche in Italia quindi, come in Francia e nel resto del vecchio continente, il
“nuovo” movimento giovanile si è buttato anima e corpo nella politica. Così, men-
tre in California i Figli dei fiori, nonostante presidenti assassinati, conflitti razziali e
guerre dall’altra parte del pianeta, stavano godendosi tre giorni di musica e libertà a
Woodstock, i giovani italiani si dividono in marxisti, leninisti, stalinisti, maoisti,
trotziski, filocinesi e passano le giornate, invece di suonare e fare l’amore, a ciclosti-
lare volantini nei sottoscala e organizzare manifestazioni contro il «capitalismo im-
perante in Italia».
La cattiva Domenica
Ma la stampa italiana non si accontenta di mettere in cattiva luce i movimenti gio-
vanili italiani. La Domenica del Corriere il 14 ottobre 1969 pubblica un reportage
strillato in copertina col titolo: «Gli hippie: chi sono, cosa vogliono. Il nostro inviato
ha vissuto sei mesi con loro». Al servizio, corredato da grandi foto a colori che ri-
portano ragazze mezze spogliate, sono dedicate una dozzina di pagine, nelle quali
Claudo Cutry, giovane giornalista di 24 anni, spara a zero sul movimento dei Figli
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dei fiori. Nell’introduzione, a cura della redazione, si spiega la filosofia hippie, il ri-
fiuto degli status symbol, dei soldi, delle comodità. Si legge: «Questo rifiuto totale non
è nuovo nella storia e ha il suo più illustre esempio nel monachesimo. Ma la diffe-
renza tra il rifiuto dei monaci e quello degli hippie è grossa: i primi rinunciarono al
sesso e si dedicarono a servire gli altri cercando l’evasione dal mondo e dal dolore in
Dio. I secondi, invece, hanno rinunciato al pudore, si dedicano a se stessi e cercano
l’evasione dalla realtà nella droga. Sicché, in pratica, il loro è soprattutto il rifiuto
della responsabilità, il che li avvicina più a Pinocchio nel paese dei balocchi che a
degli autentici innovatori. (...) Il servizio che pubblichiamo è opera di un giovane re-
catosi in California, negli Stati Uniti, che ha voluto vedere da vicino, capire, cono-
scere e provare persino la droga. In questo servizio egli narra la sua esperienza e le
sue conclusioni, e infine la sua ribellione al falso mondi degli hippie». Il servizio e
intitolato: «Droga nel paese del balocchi». Se l’articolo è duro con il movimento, le
didascalie non sono certo più morbide. Una foto che ritrae una ragazza intenta a
montare un’amaca e che ha tra le dita una semplice sigaretta è così descritta: «L’effetto
della droga - È inebetita dall’ “acido”, ossia dalla droga. Ha diciotto anni, è figlia di
un ricco americano. Ma un giorno annuncia a suo padre che intendeva andare a vi-
vere con gli hippie. Il padre cercò di dissuaderla e, non essendovi riuscito, non fece
nient’altro per fermarla. Nella società americana, straordinariamente libera, un con-
cetto esagerato della libertà dei diritti può portare a queste dolorose situazioni. La ra-
gazza, fotografata a Berkeley, sta trascinandosi in una specie di trance (detto “trip”,
viaggio) sotto l’effetto dell’Lsd o del più recente “sunshine”. I casi mortali di giovani
intossicati da questi o da altri pericolosi intrugli sono sempre più frequenti». Nella
foliazione del giornale, il lungo reportage sugli hippie è anticipato da un servizio di
scienza intitolato: «Anche i ragni impazziscono con l’Lsd». «In un istituto canadese
- è scritto nel sommario - il professor Groh conduce interessanti esperimenti iniet-
tando negli animali droghe, fra cui l’allucinogeno caro agli hippie. Ecco le sconvol-
genti conseguenze». E segue un’intervista allo scienziato e parallelismi tra i
comportamenti dei ragni e dei giovani sotto l’effetto non solo dell’Lsd, ma anche
della marijuana.
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II
I I primi gruppi musicali italiani che si affacciano sulla scena nel 1964 si dedicano
soprattutto alla costruzioni di cover, cioè traducono in italiano classici del rock-beat
inglesi e americani. I nomi delle maggiori band, o meglio dei complessi come li chia-
mano in Italia, sono Ribelli, Equipe 84, Dik Dik, New Dada, Camaleonti, Nomadi, Gi-
ganti, Corvi e gli inglesi Rokes, che però cantano in italiano; i solisti sono Patty Pravo,
Caterina Caselli, Ricky Maiocchi, Gian Pieretti. Sono artisti che rappresentano un fe-
nomeno che si sta allargando a macchia d’olio: centinaia di gruppi e cantanti suo-
nano in locali e cantine sparse in tutta la Penisola; la Eko, una delle aziende di
strumenti musicale che va per la maggiore, fiuta il business e mette in vendita una chi-
tarra acustica a un prezzo irrisorio, che va a ruba in pochi mesi.
È un momento decisivo per il coinvolgimento dei giovani nel mondo della musica,
c’è chi lo definisce una sorta di scolarizzazione di massa dell’alfabeto rock. In questo
periodo, l’egemonia musicale di casa nostra è in mano alla canzone melodica, so-
prattutto per merito del Festival di Sanremo e della programmazione televisiva Rai,
che offre pochi spazi alla musica, e quei pochi sono monopolizzati dalla canzone
d’amore. In Inghilterra spopolano Who e Jimi Hendrix, negli Stati Uniti cresce il mo-
vimento hippie sulla musica di Janis Joplin, Jefferson Airplane, Mama’s & Papa’s, San-
tana e Grateful Dead, nel mondo Rolling Stones e Beatles si dividono i fan. E così gli
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organizzatori di Sanremo non vogliono essere da meno, persuasi di avere la cultura
necessaria fanno sbarcare nella città dei fiori anche qualche big del rock. Il 1966 è
l’anno della vittoria di Domenico Modugno e Gigliola Cinquetti con Dio come ti amo,
ma qualcuno riesce a rompere le fila e comincia la marcia verso una lenta - ma ine-
sorabile - “politicizzazione” del Festival. In gara con Claudio Villa, Luciana Turina, Ni-
cola Di Bari, Peppino Gagliardi ci sono anche i Ribelli, Caterina Caselli, l’Equipe 84
e - da non credere - gli Yardbirds il gruppo di Eric Clapton e Jeff Beck cantano in
coppia con Lucio Dalla Paff… Bum, una delle canzoni più brutte mai interpretate dal
cantante bolognese, e vengono eliminati subito. Per la cronaca il conduttore Mike
Bongiorno li presenta come I Gallinacci! L’anno dopo è il Festival della tragedia di
Luigi Tenco, che si toglie la vita con un colpo di pistola. Il motivo del gesto che si dice
sia stato lasciato su una lettera scritta dal cantante genovese prima di morire, è con-
tro la decisione della giuria del Festival che ha eliminato dalla finale la sua Ciao amore,
ciao, preferendo Io, tu e le rose cantata da Orietta Berti. Nonostante tutto, però, il Fe-
stival è uno spettacolo e, come tutti gli spettacoli, deve continuare. Nelle tre serate, si
ascoltano per la prima volta testi “nuovi”, poco abituali nel clima sanremese: i Rokes
e Lucio Dalla presentano Bisogna saper perdere; i Giganti, con la pacifista Proposta (dal
ritornello molto hippie «…mettete dei fiori nei vostri cannoni…») fanno il colpaccio
e si piazzano addirittura terzi. Ricky Maiocchi canta con Marianne Faithfull, la lady
scoperta dai Rolling Stones che è accompagnata a Sanremo da Mick Jagger in persona,
ma sono subito eliminati; stessa sorte tocca a Graham Nash e i suoi Hollies che can-
tano assieme a Mino Reitano Non prego per me, scritta per loro dalla coppia Mogol-
Battisti. Coppia sicuramente meglio assortita quella tra Caterina Caselli e il duo
americano Sonny & Cher (quelli di Bang Bang e I Got You Babe) che arrivano con-
vinti che il Festival di Sanremo, nota come la città dei fiori, sia una sorta di raduno hip-
pie e cantano Il cammino di ogni speranza con un fiore tra i capelli, collanine, poncho,
jeans e stivaloni. C’è poi Gianni Pettenati, reduce dal successo di Bandiera gialla, che
ha l’ardore di presentare una canzone dal titolo quanto mai esplicativo: La rivolu-
zione; poi la coppia formata da Gian Pieretti e dal pittoresco francese Antoine con Pie-
tre, dal testo quanto mai democratico e dalla musica orecchiabile, che strappano
applausi a scena aperta. Ma le sorprese non finiscono qua: molti di questi raggiungono
la finale e si scontrano con “mostri sacri” del calibro di Claudio Villa, Little Tony,
Orietta Berti. Vince Claudio Villa che, alla stampa, si definisce: «Sono il cantante che
ha sconfitto i capelloni». Nelle edizioni successive si rivedono Gianni Pettenati, An-
toine, i Giganti (che nel 1968 una lungimirante casa discografica obbliga in coppia
con Massimo Ranieri disorientando i loro primi fans) i Rokes, Caterina Caselli, de-
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buttano i New Trolls, i Dik Dik, Nada e Lucio Battisti (che presenta Un’avventura in
coppia con Wilson Pickett). Nel 1969 Dario Fo e Franca Rame annunciano un Con-
trofestival per contestare il Festival della canzone italiana che definiscono un «pro-
dotto della borghesia che addormenta le coscienze dei lavoratori».
Proprio l’anno dopo a Sanremo i lavoratori sono protagonisti. È il 1970, nelle piazze
italiane la contestazione e gli scioperi sono all’ordine del giorno: Adriano Celentano
e la moglie Claudia Mori presentano Chi non lavora non fa l’amore e stravincono da-
vanti ai superfavoriti Nicola Di Bari e Sergio Endrigo. A quella edizione partecipano
il Supergruppo guidato da Ricky Gianco, i Dik Dik, Caterina Caselli, Antoine e i de-
buttanti Camaleonti e Patty Pravo. Da segnalare Fausto Leali che presenta una can-
zone scritta da lui intitolata Hippie. A Sanremo passano anche la Formula Tre, i
Nomadi e i Mungo Jerry (1971), i Delirium (1972), Roberto Vecchioni (1973). Poi,
inesorabilmente, per gruppi e cantanti “alternativi” le porte del Festival tornano a
chiudersi, e sul palco dell’Ariston si torna a cantare la rima «cuore/amore».
Anche lo Zecchino d’oro si mette al passo con i tempi e cavalca la moda del Flo-
wer Power: nel 1969 vince Tippy, il coniglietto hippy cantata da Paolo Lanzini, questa
edizione, però, passa alla storia per la vittoria di Volevo un gatto nero interpretata da
Vincenza Pastorella.
L’Italia psichedelica
Anche se in Italia non c’è stato un vero movimento rock psichedelico, non sono
mancati alcuni tentativi isolati ispirati principalmente alla musica britannica e statu-
nitense, quasi sempre espressi da gruppi che, verso la fine degli anni Settanta, si sono
poi accostati al rock progressivo italiano. Si possono citare ad esempio l’album Ad
Gloriam delle Orme, uscito nel 1968, il musicista Juri Camisasca, l’esperienza di
Franco Battiato prima con gli Osage Tribe poi come solista quando incide per l’eti-
chetta Bla-Bla. Tra i lavori più originali c’è anche il 45 giri Danze della sera del gruppo
romano Chetro & Co. e l’album Dedicato a... de Le Stelle di Schifano del 1967, disco
che si apre col brano dal titolo Le ultime parole di Brandimarte, tratto dall’Orlando Fu-
rioso con ospite Peter Hartman, una suite lunga oltre venti minuti, zeppa di simbo-
lismi onirici. Tra le produzioni psichedeliche di casa nostra, vanno ricordati anche i
primi album di Claudio Rocchi, Alan Sorrenti e del gruppo Albergo Intergalattico
Spaziale, con Mino Di Martino ex dei Giganti. Di questi il solo Rocchi ha proseguito
per la strada della psichedelia fino a metà degli anni Settanta: è definito cantastorie
visionario e messaggero psichedelico anche se la stampa specializzata spesso lo cata-
loga, erroneamente, semplice cantautore. Milanese, Rocchi inizia a suonare come
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bassista degli Stormy Six. Nel 1970 incide il suo primo album da solista: Volo magico
n.1 e vince il premio della critica al Club Tenco. Con lui collaborano Alberto Came-
rini, Donatella Bardi, Eugenio Finardi. Le musiche spaziano tra rock acustico e soft-
ballad, i testi parlano di misticismo e allucinazioni. Nel suo secondo album, La norma
del cielo, uscito nel 1972, comincia a trattare temi orientali, poi sviluppati, dopo un
viaggio in India, nei dischi successivi: Essenza (1973) e Il miele dei pianeti le isole le api
(1974). L’anno dopo inizia un periodo di ricerca di musica elettronica (Rocchi, 1975).
Non si sa bene come sia potuto accadere, sta di fatto che Rocchi si ritrova tra i con-
duttori radiofonici di Per voi giovani, la fortunata trasmissione della Rai condotta da
Renzo Arbore: grazie a lui si ascoltano i primi brani psichedelici e di musica speri-
mentale e si hanno fresche informazioni su ciò che accade, musicalmente parlando,
negli Stati Uniti e nel resto d’Europa. Nella seconda metà degli anni Settanta, Rocchi
lascia l’elettronica torna al rock con testi più aggressivi e di carattere politico-sociale,
ma quasi all’apice della carriera scompare dalle scene, abbandona la musica e il mondo
occidentale per dedicarsi interamente alle filosofie orientali. Nei testi tratta temi orien-
tali, esalta il rapporto con il cosmo e invita a sostituire le energie psichedeliche cau-
sate dalla droga con altre forze naturali. Si esibisce in pochi concerti, tra questi si
segnalano la partecipazione ai festival di Re Nudo e alle rassegne della Canzone d’au-
tore organizzate dal Club Tenco. In una di queste occasioni si presenta sulla scena
senza chitarra e strumenti, ma solo con un registratore a bobine Revox per fare ascol-
tare, a un pubblico esterrefatto, la registrazione del battito del cuore di suo figlio an-
cora nel grembo materno. Stanco della violenza degli Anni di pionbo, a metà anni
Settanta Rocchi lascia Milano e parte per l’India attratto dalle filosofie orientali. Al suo
rientro, pochi anni dopo, è convinto che la musica possa donare pace e serenità agli
uomini: le sue nuove canzoni sono caratterizzate da una voce esile e profetica, ac-
compagnato da delicati arpeggi di chitarra, da numerose varietà di percussioni, da
suadenti accordi di pianoforte. Incide un paio di album e riparte per l’Oriente dove
estremizza definitivamente il proprio misticismo ed entra a far parte degli Hare Kri-
shna. Continua a fare la spola tra l’India e le varie comunità disseminate in Italia e, nel
1982 in un piccolo borgo toscano, fonda Radio Krishna Centrale.
Alan Sorrenti è invece uno dei pochi cantanti solisti che ha saputo ritagliarsi un
proprio spazio durante il periodo di massima espansione del progressive italiano. Na-
poletano di origine gallese, dotato di una voce fuori dal comune, nel 1972 realizza il
primo album dal titolo Aria, dove presenta brani romantici come Vorrei incontrarti
e la lunga suite omonima dove la voce viene utilizzata come uno strumento. Il se-
condo lavoro, Come un Vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto pubblicato nel
:123
1973, ricalca fedelmente quanto già fatto in precedenza, cioè una lunga e suite dal ti-
tolo omonimo e dolci ballate come Serenesse. Con il terzo album, Alan Sorrenti ini-
zia la virata verso lidi più commerciali: riesce addirittura a entrare in classifica con il
singolo Dicitencello vuje, rivistazione di un classico napoletano. Due anni di silenzio
e torna sulle scene con Sienteme, it’s time to land dove si capisce che da lì a poco ab-
bandonerà il pop per abbracciare il genere commerciale.
Vale la pena segnalare anche il primo album dei Circus 2000, quartetto torinese
molto influenzato dalla west coast californiana e in particolar modo dai Jefferson
Airplane, Circus 2000 (così s’intitola l’album) si presentò più come un disco ameri-
cano che non come un prodotto nostrano: i titoli delle canzoni sono inglesi, in co-
pertina non sono menzionati né i nomi dei componenti del gruppo né informazioni
aggiuntive tanto che sono stati in molti a credere che la band fosse davvero califor-
niana. Tra questi lo scrittore Vernon Johnson che nel suo libro The Flashback del
1988 li annovera tra i gruppi psichedelici americani.
124 9
III
I noSTRI AMbAScIAToRI
R Renzo Arbore È il 1964 quando inizia a lavorare alla radio, il suo primo e vero
amore, e lo fa come maestro-programmatore. Nel 1965 firma Bandiera Gialla, pro-
gramma condotto assieme a Gianni Boncompagni, che tratta di attualità discogra-
fiche internazionali: è il primo esempio di trasmissione radiofonica rivolta
esclusivamente a un pubblico giovane. Nel 1967 scrive e conduce un nuovo pro-
gramma radiofonico, Per voi giovani, che va in onda tutte le sere: il taglio è decisa-
mente più impegnato e innovativo e Arbore è tra i primi a trasmettere musica
psichedelica e a parlare del movimento hippie, tanto che al suo fianco, nella condu-
zione, chiama il cantante underground milanese Claudio Rocchi. Nel 1969 lavora in
televisione come autore e conduttore di Speciale per voi, programma musicale che
senza artificiose forzature testimonia fedelmente il clima di confronto e contesta-
zione di dell’epoca, tanto che il pubblico in sala può intervenire senza censure e anche
criticare gli ospiti che sono invitati a esibirsi. È il primo talk-show della televisione
italiana. Il 1970 è l’anno di Alto Gradimento, trasmissione cult scritta e condotta in-
sieme a Boncompagni.
Dik Dik Cover band milanese che, oltre ad aver spinto Lucio Battisti a intra-
prendere la carriera solista, ha il merito di aver diffuso le nuove tendenze musicali
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provenienti dall’estero. Agli inizi del 1966 Mogol fa ascoltare a Pietruccio Montalbetti,
leader e cantante della band, una canzone che è appena uscita negli Stati Uniti, Ca-
lifornia Dreamin’. L’impasto delle voci, la melodia trascinante e le soluzioni musicali
colpiscono Montalbetti, che convince Mogol a scrivere un testo in italiano. Mogol si
mantiene abbastanza fedele al testo originale. Con il titolo Sognando la California la
canzone riscuote un successo clamoroso (nella hit parade della Rai rimane stabile per
settimane al secondo posto, superata solo da Strangers in the Night di Frank Sinatra),
consentendo ai componenti del gruppo di abbandonare i loro lavori precedenti e di
dedicarsi a tempo pieno alla musica. Nel 1969 riprendono le tematiche hippie con
L’isola di Wight.
Elio Fiorucci Stilista, milanese di nascita, apre il suo primo negozio nel 1967, in
Galleria Passerella a Milano, spazio progettato dalla scultrice Amalia Dal Ponte e
inaugurato da Adriano Celentano, che raggiunge il negozio vicino a Corso Vittorio
Emanuele - al tempo non isola pedonale - a bordo di una Cadillac rosa. Fiorucci ha
talento e per quanto riguarda le mode il fiuto di un cercatore d’oro: tutto ciò che pro-
pone nelle sue vetrine fa subito tendenza, una moda in movimento, in evoluzione,
continuamente alla ricerca di materie diverse da utilizzare, che risponde pienamente
alle attese dell’universo giovanile, impegnato e non. Con gli anni Settanta la sua fama
raggiunge livelli internazionali anche perché, come dice lui stesso, «la (mia) imma-
gine è autonoma, apolide, rifiuta ogni confine territoriale e ogni etichetta che possa
costringerla in genere». Nel 1976 apre un negozio a New York, nel cuore di Man-
hattan, disegnato e arredato da architetti innovatori come Ettore Sottsass, Andrea
Branzi e Franco Marabelli. Dopo New York apre negozi a Boston, Los Angeles,
Miami, Chicago, tra i clienti le star del cinema e della musica rock, artisti come Andy
Wahrol e celebrità come Jackie Kennedy. In poco tempo, dopo la Ferrari e il Mar-
tini, Fiorucci è il nome italiano più venerato negli Stati Uniti. Nel 1979 è consacrato
dalla discomusic. Le Sister Sladge, gruppo di vocalist americano, lo citano nella hit
You’re The Greatest Dancer: «The best designers, heaven knows/Ooh, from his head
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down to his toes/Halston, Gucci, Fiorucci/ He looks like a still/That man is dressed
to kill». La citazione è dovuta al fatto che all’epoca le star della discomusic si vestono
nel negozio di Fiorucci.
Melchiorre “Mel” Gerbino Siciliano, poco più che ventenne viaggia per l’Eu-
ropa. A Stoccolma conosce sua moglie, Gunilla Unger. Torna in Italia e a Milano
trova lavoro come centralinista dell’Alitalia. È tra i primi attivisti del movimento beat
in Italia e il primo a voler fondare un movimento pacifista, che si rivolga sia ai gio-
vani anticonformisti sia agli studenti. Gerbino immagina movimento pacifista glo-
bale che porti «la gioventù italiana in Europa» perché sostiene che, a differenza degli
altri gruppi che manifestano contro la guerra, «per noi il Vietnam è in Italia».
Nomadi Il gruppo si forma nel 1963 a Modena e, dopo un primo periodo dedi-
cato alle cover, trovano assieme a Francesco Guccini, autore di alcune loro canzoni,
una via personale e originale del panorama musicale italiano. Traducono in italiano
The Revolution Kind di Sonny and Cher, che intitolata Come potete giudicar, diventa
un vero manifesto che racchiude tutti i temi cari agli hippie: pacifismo, anticonfor-
mismo, solidarietà. Nel 1967 incidono Un figlio dei fiori non pensa al domani, cen-
surata dalla Rai per una frase allusiva all’uso dell’Lsd: «Amico che cerchi il tuo
paradiso».
Gian Pieretti Nato a Pistoia, Dante Pieretti inizia la carriera traducendo assieme
a Ricky Gianco i testi di Donovan, che incontra nel 1966. Le sue canzoni trattano
sempre tempi scottanti come l’omosessualità, l’inquinamento, l’emarginazione so-
ciale e per il pubblico italiano diventa il cantante di protesta per eccellenza. Pietre e
Il vento dell’Est, entrambe scritte con Gianco, sono i suoi maggiori successi.
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e nera; Beat Hippie Yippie; C’era una volta un beat; L’altra America degli anni Ses-
santa; Intervista a Bukowski; Biografia di Hemingway; Viaggio americano, sono al-
cune delle sue opere maggiori.
Eddie Ponti Romano, è uno dei primi animatori e presentatori del Piper Club e
personaggio di spicco del panorama musicale e poi radiofonico degli anni Sessanta:
ha tenuto a battesimo tutta la generazione dei cantautori beat e psichedelici.
Patty Pravo Nicoletta Strambelli ha solo 16 anni quando a metà degli anni Ses-
santa arriva a Roma da Venezia, città dove è nata e ha studiato pianoforte al Con-
servatorio. A Roma frequenta il Piper Club, dove si fa notare per la sua abilità a
danzare e trascinare la pista. Entra a far parte, in qualità di cantante-chitarrista, di
un gruppo beat tutto femminile con il nome di Guy Magenta, fino a quando viene
notata da Alberico Crocetta, avvocato-impresario, e Renzo Arbore che la convin-
cono a intraprendere la carriera solista con il nome di Patty Pravo (sulla scelta del
nome Pravo esistono due versioni: la prima, della cantante, la vuole come omaggio
del gruppo hippie olandese Provos; l’altra – scelta da Crocetta – è riferita all’Inferno
dantesco “guai a voi anime prave”, cioè malvagie). Patty Pravo diventa subito un per-
sonaggio, protagonista delle serate del Piper, ad alimentarne la fama anche la battuta
che fece ad Arbore: «Io i ragazzi li fumo come le sigarette» e diventa “La ragazza del
Piper”, come indicato in evidenza sulla copertina del suo primo 45 giri, Ragazzo tri-
ste, pubblicato all’inizio del 1967. La giovane esordiente colpisce subito per la sua
voce profonda, così in contrasto con il suo aspetto gentile: il disco vende bene e
pochi mesi dopo incide un nuovo pezzo, questa volta molto più romantico e ben
poco beat, Se perdo te. A fine anno arriva la consacrazione: il 45 giri La bambola, altro
pezzo romantico ma con copertina glamour che mette in bella mostra tutta la sen-
sualità e l’avvenenza di Patty, è un successo clamoroso, vende nove milioni di copie
in tutto il mondo.
Ribelli Uno dei primi complessi italiani, è la prima band che accompagna Ce-
lentano nei concerti dal vivo. Dopo aver inciso per lo più “canzonette”, nel 1967 la-
sciano il Clan, firmano un contratto con la Ricordi e ingaggiano un nuovo cantante:
Demetrio Stratos. Con lui pubblicano la bellissima Pugni chiusi scritta da Gianni
Dall’Aglio (batterista della band) e da Ricky Gianco, che ne è pure il produttore. La
Ricordi inizialmente non vuole pubblicarla perché ritiene il brano troppo politico
«sin dal titolo», è Ricky Gianco che insiste.
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Claudio Rocchi Milanese, inizia a suonare il basso nel gruppo degli Stormy Six.
Nel 1970 incide il suo primo album da solista: Volo magico n.1 grazie al quale vince
il premio della critica. Le musiche spaziano tra rock acustico e soft-ballad, ma i testi
parlano di misticismo e allucinazioni. Nel suo secondo album, La norma del cielo
(1972) inizia a trattare temi orientali, poi sviluppati, dopo un viaggio in India, nei di-
schi successivi, Essenza e Il miele dei pianeti le isole le api. Vista la sua vena alterna-
tiva, Renzo Arbore lo chiama a condurre il programma radiofonico Per voi giovani,
come esperto di musica internazionale ed è grazie a lui che in Italia si cominciano
ad ascoltare gruppi come Mahavisnu Orchestra, Santana, Ten Years After, Grateful
Dead, Jefferson Airplane. L’anno dopo inizia un periodo di ricerca di musica elet-
tronica (Rocchi, 1975) e, lasciata la Rai, collabora con Radio Milano Centrale, oggi
Popolare Network, emittente della sinistra milanese. Dopo tre album di matrice più
rock e con testi più politici e aggressivi, scompare dalle scene: abbandona non solo
la musica ma anche il mondo occidentale per dedicarsi interamente alle filosofie
orientali.
Saverio Rotondi Dalla metà degli anni Sessanta la musica non è più soltanto
svago e intrattenimento, ma diventa un fenomeno più complesso che raccoglie at-
torno a sé una serie di tensioni individuali e collettive presenti nell’universo giova-
nile. Ciao 2001 è un settimanale specializzato di musica ed è il più venduto anche
perché il suo fondatore e direttore, Saverio Rotondi, riesce a comprendere che il rock
è un linguaggio (tribale secondo alcuni sociologi dell’epoca) con una serie di conte-
nuti e messaggi che vanno oltre al semplice fatto musicale. I lettori si ritrovano nelle
pagine dove gli articoli, oltre che di musica, trattano i sogni, le vaghezze, le pulsioni
frustrate o irrisolte, le crisi non chiarite del momento. Chi acquista Ciao 2001 si sente
uno «fuori dal sistema» ma dentro la controcultura, più per rifiuto o per rigetto, che
per contestazione. Il lettori del settimanale diretto da Rotondi sono gli acquirenti di
dischi, i fruitori di musica (qualsiasi essa sia), quelli che vanno ai teatri, al cinema,
nei centri sociali, che occupano le scuole, che affollano i raduni e i festival pop che
si cominciano ad organizzare in tutta Italia.
Mario Schifano Esponente di spicco della pop art italiana, nonostante lui stesso
preferisce non essere inquadrato in alcuna corrente artistica, è considerato l’erede -
italiano - di Andy Warhol. E proprio come Warhol con i Velvet Undeground anche
Schifano debutta nel mondo della musica: al Piper di Roma, nel 1967, vanno in scena
Le Stelle di Schifano, gruppo di musica sperimentale che con il contributo e la sce-
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nografia multimediale del pittore, propone un concerto della durata di sette ore sul-
l’estetica psichedelica. Le Stelle di Mario Schifano, nel loro breve periodo di attività,
hanno inciso un solo album Dedicato a..., stampato in sole 500 copie e con la cover
disegnata dallo stesso Schifano.
Tito Schipa Jr. Dopo aver lavorato come aiuto regista a fianco di Lina Wertmül-
ler in un paio di film, nel 1967 debutta al Piper Club con Then An Alley, spettacolo
basato su diciotto canzoni di Bob Dylan collegate assieme e ri-arrangiate. Affasci-
nato da questa formula, e dopo essere stato folgorato dal musical Hair, inizia a scri-
vere una vera e propria opera rock, Orfeo 9, in cartellone al Teatro Sistina di Roma
nel 1970, dove i brani mischiano il rock con la psichedelia e il progressive. Dall’opera
è tratto anche un film per la tv e un doppio album.
Shel Shapiro David “Shel” Shapiro approda in Italia nel marzo del 1963 quando
il suo gruppo, i Shel Carson Combo, è ingaggiato per accompagnare Tony Hicks,
cantante discretamente noto per il brano Give Up a Ding Ding, in una tourneè in
Italia. Nella data di Torino Hicks ha un improvviso abbassamento di voce e l’im-
presario decide di rischiare: quella sera lo spettacolo lo fanno i Shel Carson Combo.
È un successo clamoroso, tanto che il locale registra il tutto esaurito per una setti-
mana intera. La gente lo chiama Shel, convinta che sia il suo vero nome: a lui piace
e se ne appropria. Rita Pavone li vuole al suo fianco durante la tournée di Gianbur-
rasca: il gruppo apre gli spettacoli con un mini concerto live di cinque pezzi, cantati
in inglese. Ormai sono nel giro “che conta” tanto che nel 1965 Shel è invitato a suo-
nare per l’inaugurazione del Piper di Roma: per l’occasione fonda un gruppo tutto
nuovo, i Rokes, con i quali incide una serie di successi che venderanno milioni di di-
schi (C’è una strana espressione nei tuoi occhi; Che colpa abbiamo noi; È la pioggia che
va; Bisogna saper perdere). Le loro canzoni sono il manifesto della ribellione giova-
nile contro gli adulti: i Rokes diventano gli idoli di una generazione intera e contri-
buiscono alla rivoluzione musicale del nostro paese.
Bobby Solo Roberto Satti ha impostato la sua carriera sul modello di Elvis Pre-
sley. Infatti, sin dai suoi esordi, a partire dai primi anni Sessanta, ne imita stile, look
e movenze, in un’ottica più italica, indubbiamente meno trasgressiva. Una carriera
costruita con decine di partecipazioni al Festival di Sanremo, dove ha sempre avuto
un grande successo, proponendo brani melodici, orecchiabili, garbati come Una la-
crima sul viso; Se piangi, se ridi; Serenella; Canta ragazzina; Zingara. Nel 1967 è lui,
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da non credere!, che importa in Italia l’inno del movimento hippie, San Francisco, il
brano di Scott McKenzie scritto dai Mama’s & Papa’s. In origine la canzone-cover è
confezionata per Milva, che rifiuta, così i produttori si rivolgono al più “americano”
dei nostri cantanti: americano sì, ma col cuore a Memphis, non in California. Ma ai
discografici poco importa, l’importante è che fosse in sintonia con gli Stati Uniti,
non con il movimento. In una recente intervista ha dichiarato: «Ricordo che tutte le
particolari sonorità di quel brano, le campane, tutti quei suoni etnici, quasi da Hare
Krishna... ...mi facevano immaginare cortei di ragazzi vestiti di fiori, o con vestiti
arancioni come i lama. In sala d’incisione cercai di mettere da parte la mia infatua-
zione per Elvis e mi calai nell’atmosfera della Summer of Love...». Mah, non sembra
ci sia riuscito appieno. Comunque il disco vende oltre 250mila copie.
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sui muri la frase «Re Nudo?», una sorta di promozione per la rivista di politica di cul-
tura alternativa di cui è fondatore e direttore. Valcarenghi, sulla moda delle altre te-
state politiche, organizza i Festival di Re Nudo, dove vi partecipano il meglio dei
gruppi di musica alternativa, pop e underground italiana.
Renato Zero A metà egli anni Sessanta si esibisce al Piper di Roma come balle-
rino. Viene notato dal coreografo Don Lurio che lo inserisce nel gruppo di ballo di
Rita Pavone, i Collettoni. Dopo essere stato comparsa nel film Satyricon di Federico
Fellini, nel 1970 entra nel cast dell’edizione italiana del musical Hair e della rock-
opera di Tito Schipa jr. Orfeo9. Nel 1972 firma un contratto come cantautore con la
RCA e, l’anno dopo, esce il suo primo lp intitolato No! Mamma, No! che riscuote un
buon successo di critica. Inizia in questo periodo un’intensa attività promozionale
con spettacoli in tutta Italia. Nel 1976 il 45 giri Madame, tratto dall’album Trapezio,
entra in classifica, l’anno dopo esce l’lp Zerofobia che lo consacra come cantante e
show-man, grazie a uno spettacolo che registra per mesi il tutto esaurito in ogni
città. L’album successivo, Zerolandia, non fa che confermare il successo. Nel 1982
torna al Piper di Roma, il locale che l’ha visto nascere artisticamente, per presentare
il nuovo disco dal titolo Via Tagliamento 1965- 1970, tributo al luogo dove prese
avvio la sua carriera.
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IV
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alternativi, ed è grazie a loro che qualcosa inizia a muoversi. L’underground psiche-
delico comincia lentamente a influenzare, per poi fondersi, con la scena pop e beat,
con i mods e i rockabilly, gli studenti dell’estrema sinistra e gli attivisti della Campa-
gna per il disarmo nucleare. Sono tutti particolarmente eccitati e vogliosi di fare,
anche per effetto delle droghe, e sono convinti di poter cambiare il mondo.
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Il party ha un successo imprevisto, il locale è pieno oltre ogni limite; tutti sono ag-
ghindati in modo a dir poco bizzarro, alcuni creano il proprio abito direttamente
dentro il locale, con pezzi di stoffa e indumenti prestati da altri.
Di giorno, quando l’Ufo Club è chiuso, gli hippie londinesi si ritrovano nelle bou-
tique come Lord Kitchener’s Valet, Granny Takes a Trip e Hung on You che, un po’
come allo Psychedelic Shop al 1535 di Haight Street di San Francisco, non si limi-
tano solo a vendere vestiti, ma anche poster, dischi, fumo e, su richiesta, qualche pa-
sticca di anfetamina, una sorta di market per la Love Generation. Alla Boutique
Apple, di proprietà dei Beatles, lavorano delle sarte che confezionano abiti psiche-
delici su misura «adatti per qualsiasi viaggio» è scritto su un cartello esposto in ve-
trina, la boutique chiude però nel giro di pochi mesi a causa dei continui furti di
vestiti da parte dei clienti. Da ricordare che questo è il periodo in cui furoreggia la
minigonna lanciata dalla stilista Mary Quant.
Di Lsd nelle strade di Londra ne gira ancora poca perché costa parecchio e se la
possono permettere in pochi, soprattutto le rockstar: tra queste, ovviamente, Beatles
e Rolling Stones. Così anche gli “Spontaneous Underground ” giungono al termine
e i giovani underground si trasferiscono a Notting Hill, nella zona ovest di Londra,
un quartiere allora piuttosto degradato e multiculturale; gli affitti bassi e l’alta di-
sponibilità di droghe attraggono un gran numero di studenti e giovani che deside-
rano vivere in modo bohémien.
I gestori del Ufo Club, John Hopkins e Joe Boyd, assieme ad Harold Pendleton del
Marquee, a John Dunbar e ad altri giovani della London Filmakers Coop, l’8 marzo
1966 fondano la London Free School: la sede è in un seminterrato al 26 di Powis
Terrace, un appartamento avuto in affitto dall’attivista del Black Power, Malcolm X.
Pur animato da ottime intenzioni il progetto fin dall’inizio è funestato da enormi
problemi di ordine pubblico e, in meno di un anno, il locale diventa un covo di fu-
matori di spinelli, oltre che da sala prove per le nuove band. Tra le cause del naufra-
gio della London Free School c’è anche la droga: Hopkins e Boyd visto il crescente
successo del loro locale, verso la fine del 1967 decidono di trasferire l’Ufo Club nella
più capiente Roundhouse - un’ex rimessa ferroviaria, poi adibita a deposito di gin,
abbandonata da 15 anni, di proprietà dell’Arnold Wesker’s Centre che, in quel pe-
riodo, stava cercando i fondi necessari per trasformarla in una galleria d’arte. Ma
anche il nuovo locale viene quasi subito chiuso dalla polizia con l’accusa di consumo,
spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti.
Proprio alla Roundhouse, appena riaperta ma passata ad altra gestione, viene or-
ganizzata una grande festa per il lancio del primo giornale underground inglese,
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l’International Times o più semplicemente IT. Poco giorni prima ci si accorge che i
locali non sono a norma, gli organizzatori non hanno i permessi necessari per ospi-
tare la serata, non hanno le licenze per la vendita di alcolici, le assicurazioni, man-
cano i servizi igienici, l’impianto di riscaldamento e quello elettrico non sono a
norma. La festa viene comunque annunciata sulla prima pagina del primo numero
di IT con il titolo «Il più grande happening mai visto». Al folle ritrovo partecipano
circa 2.500 persone vestiti nei modi più improbabili e colorati, tanto che gli orga-
nizzatori, nel corso della serata, decidono di premiare l’abito “più corto-più nudo”,
che risulta essere quello di Marianne Faithfull, che indossa una veste da suora che
le copre appena il sedere. Tra gli altri si vedono Paul McCartney, vestito da arabo;
Monica Vitti e Michelangelo Antonioni; William Burroughs. Sul palco si esibiscono
i Pink Floyd e i Soft Machine; poi Yoko Ono si esibisce in una performance arti-
stico-teatrale con John Lennon seduto immobile sul palco. Il giorno dopo, i quoti-
diani descrivono così la festa dell’International Times «...oscurità, solo luci
intermittenti, gente in maschera, ragazze mezze nude. Persone che andavano in giro
domandandosi cosa diavolo stesse succedendo. Erba da fumare. Di tanto in tanto il
suono di una bottiglia in frantumi…».
Come a San Francisco e in tutti gli Stati Uniti, anche a Londra la droga è mal vista
dalla polizia, e così cominciano gli arresti e le vittime, alcune anche eccellenti. Ad
agosto, nel pieno del successo dell’incredibile album Sgt. Pepper Lonely Heart Club
Band, il manager dei Beatles, Brian Epstein, viene trovato morto nella sua casa e la
settimana dopo, in un’intervista rilasciata a Life, Paul McCartney ammette di fare uso
di Lsd e George Harrison alla radio dichiara: «Noi non vogliamo invogliare nes-
suno: prendere l’Lsd è una scelta personale. Per me l’effetto è stato come una chiave
che apre una porta di una stanza chiusa da sempre, dove è possibile vedere tutte le
cose sconosciute che stavano dall’altra parte e che prima ignoravi».
Dopo un’ispezione da parte degli agenti nella tenuta Redlands di Keith Richards,
finiscono in cella con l’incriminazione di possesso di sostanza di stupefacenti Mick
Jagger e lo stesso Richards; gli agenti dopo l’irruzione trovano la cantante Marianne
Faithfull sdraiata su un pavimento completamente nuda e in preda a deliri. A giu-
gno Jagger e Richards vengono processati e condannati a tre mesi di detenzione. Ma
il mondo musicale si stringe attorno agli Stones: Lennon e McCartney si prestano a
cantare nel brano We Love You che inizia con il rumore della porta di una cella che
si chiude; gli Who durante un concerto gli rendono omaggio suonando una cover
di Under My Thumb. Dopo un anno gli Stones realizzano il loro album più psiche-
delico, Their Satanic Majestic Request, che risulta un mezzo flop. Intanto, anche a
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casa dei Beatles non tutto gira per il verso giusto: i quattro cominciano a litigare
sempre più spesso, non solo per questioni artistiche ma anche di denaro. La rivalità
tra Lennon e McCartney è ormai evidente, Ringo Star non viene praticamente con-
siderato, e George Harrison, che nel frattempo ha preso lezioni di sitar, si avvicina
alle religioni indiane tanto che, il 25 agosto 1967, organizza in Galles un ritiro di
meditazione con il Maharishi Mahesh Yogi e riesce a convincere il resto del gruppo
a seguirlo.
A differenza degli Stati Uniti, quindi, l’aria che si respira in Inghilterra è calma:
lo Stato non teme questo cocktail di “droga e musica”, i giovani hanno poco da con-
testare, la guerra in Vietnam o in altre parti del mondo non li tocca più di tanto e il
razzismo non è un problema. In movimento “ideologico” americano a Londra si è
trasformato in movimento “edonistico modaiolo”.
Questo per quanto riguarda il movimento hippie, perché non va comunque scor-
dato che attraverso la musica, le performance e gli artisti di questi anni, Londra ha
contribuito in modo fondamentale alla rivoluzione culturale del XX secolo.
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manifestazione pro-Vietnam, e il giorno dopo gli scontri la protesta scoppia in
tutte le università di Francia e il governo decide di chiudere la Sorbona. «L’uni-
versità - affermano gli studenti durante una manifestazione - prepara gli uo-
mini all’oppressione e allo sfruttamento: gli studenti sono i futuri dirigenti, i
futuri sfruttatori, i futuri cani da guardia della società borghese o i suoi paras-
siti. Gli studenti mettono oggi in discussione sia l’insegnamento che ricevono sia
le strutture universitarie, rimaste praticamente invariate dal 1875». «Chiediamo
il diritto di pensare e la libertà di movimento» dichiara uno studente della Sor-
bona intervistato dalla televisione nazionale. E aggiunge: «Sappiamo che per voi
pensare è pericoloso, perché significa contestare». A marzo, 150 studenti, tra i
quali Cohn-Bendit, occupano l’Università di Nanterre, un distaccamento della
Sorbona. Nanterre è un insieme di tristi edifici costruiti alla periferia della ca-
pitale, lontani da ogni forma di vita intellettuale, senza che esistano nei pressi li-
brerie, cinema o teatri. Un luogo di alienazione, come è stato definito dai
sociologi, dove i residenti della città universitaria si erano già ribellati l’anno
prima ai regolamenti troppo autoritari. L’agitazione prosegue con uno sciopero
degli studenti e con la nascita di un movimento - che può essere definito sim-
patizzante di sinistra - cui aderiscono un migliaio di studenti universitari. Alla
stampa Cohn-Bendit si dichiara anarchico, non di sinistra e il rettore di Nan-
terre, Pierre Grappin, chiude l’università per paura di disordini.
Durante questi giorni caldi agli studenti arrivano notizie che anche in Ger-
mania è in corso una rivolta studentesca: e lì i poliziotti hanno la mano più pe-
sante. A Parigi, nel corso di manifestazioni di sostegno per i “compagni”
tedeschi, è arrestato proprio Cohn-Bendit, che è di nazionalità tedesca e gli viene
ritirato il permesso di residenza in Francia. Ormai la rivolta è cominciata: ogni
giorno in tutto il paese si registrano dimostrazioni nelle università e occupa-
zioni di edifici. La polizia comincia a picchiare: il 2 maggio, nel Quartiere Latino,
vengono arrestati cinquecento studenti e un centinaio finiscono all’ospedale. Il
bollettino di guerra continua pochi giorni più tardi: 345 poliziotti e seicento stu-
denti sono feriti nel corso di nuovi scontri dove vengono effettuati oltre quat-
trocento arresti. La lotta raggiunge il suo apice il 10 maggio del 1968 quando,
dopo un’affollata manifestazione, in pieno clima rivoluzionario, lungo i boule-
vard del Quartiere Latino vengono innalzate delle barricate e migliaia di gio-
vani francesi si scontrarono con la polizia. In Rue Gay-Lussac gli scontri durano
12 ore. Alla fine della nottata i feriti sono più di 1500. Prendono posizione anche
i maggiori sindacati francesi, Cgt-Cfdt e Fen, che affiancano gli studenti e an-
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nunciano uno sciopero generale. Il giorno dopo il primo ministro Georges Pom-
pidou, travolto dagli avvenimenti, fa marcia indietro: cede alle richieste degli
studenti e annuncia la riapertura della Sorbona il 13 maggio, proprio il giorno
in cui è stato indetto lo sciopero. Ma non funziona: le strade di Parigi si riem-
piono di cortei di studenti e lavoratori e l’università Sorbona viene occupata. Il
16 maggio sono sospesi tutti i trasporti, il 20 scioperano 10 milioni di persone,
oltre metà della popolazione. Il paese è paralizzato, ogni sera si registrano vio-
lenti scontri tra studenti e polizia.
A fine mese, dopo altre centinaia di arresti e feriti e un tentativo di incen-
diare il palazzo della Borsa (l’edificio viene però occupato e issata una bandiera
con un grande spinello fuori dalla finestra principale) si comincia a vedere la fine
degli scontri: il governo raggiunge un accordo con i sindacati e il ministro del-
l’Educazione Alain Peyrefitte rassegna le dimissioni. Il presidente Charles De
Gaulle, dopo aver verificato l’appoggio dell’esercito, annuncia lo scioglimento
dell’Assemblea nazionale e indice nuove elezioni. La fragilità dello Stato ha fatto
paura a molte persone e la destra vince le elezioni. De Gaulle, nell’aprile del 1969,
indice un referendum per chiedere agli elettori francesi se vogliono ancora lui
come presidente. Il 16 giugno viene destituito: al suo posto è eletto Georges
Pompidou.
L’icona diseredata
L’immagine del “maggio francese” ritrae una bella ragazza a cavalcioni di un
compagno che sventola la bandiera del Vietnam nel corso di una manifestazione
studentesca a Parigi, nel Quartiere latino. La fotografia scattata dal reporter Jean-
Pierre Rey dell’Agenzia Gamma è diventata una delle immagini-simbolo del Ses-
santotto europeo, mentre la ragazza, Caroline de Bendern, proprio a causa di
quello scatto perde tutto. Caroline nel 1968 ha ventotto anni, proviene da una
nobile famiglia inglese (è nata a Windsor), gira il mondo, fa la fotomodella, e ha
avuto un flirt con Lou Reed. È a Parigi per un servizio fotografico; la sera fre-
quenta pittori, musicisti, intellettuali e qualche studente. Simpatizza per l’ideo-
logia hippie, tanto che il 13 maggio del 1968 decide di partecipare alla
manifestazione contro l’intervento militare in Vietnam. Giunta a Place de Ro-
stang, vicino al Quartiere Latino, è stanca, le fanno male i piedi e un amico si
offre di portarla sulle spalle. Quando è a cavalcioni le passano anche la bandiera
del Vietnam dicendole: «Alzala più che puoi. Si deve vedere in tutta la piazza».
E proprio in quel momento passa Rey e scatta la foto-simbolo.
140 9
L’immagine fa rapidamente il giro del mondo, finisce anche sulle scrivanie
dei direttori di giornali di moda che si dicono subito poco disponibili a far la-
vorare una modella “di sinistra”, ma la foto arriva anche tra le mani del nonno
che, da buon aristocratico inglese, non sopporta l’idea di avere una nipote rivo-
luzionaria e la disereda. E così la modella, icona del Sessantotto, si trova senza
lavoro e senza soldi. Chissà Caroline cosa pensa del fatto che, oggi, dopo cin-
quant’anni, e proprio in Francia, modelle “di sinistra” hanno sposato pure pre-
sidenti “di destra”.
:141
VI
L L’underground tedesco, a dire il vero, non c’è mai stato. In Germania i movimenti
giovanili si sono subito espressi tramite la politica. A partire dalla metà degli anni
Sessanta in Germania si va a esaurire il miracolo economico della ricostruzione di
Konrad Adenauer e Ludwig Erhard, mentre si dirada la cappa della Guerra fredda,
che ha permesso di chiudere più di un occhio sul passato nazista e bandito ogni con-
flitto sociale nel segno di un anticomunismo viscerale. Il nuovo clima apre la strada
all’ingresso della socialdemocrazia nell’area di governo e così, verso la fine del 1966,
si arriva alla Grande coalizione con Kurt George Kiesinger cancelliere e Willy Brandt
vicecancelliere. Da questo momento, vista l’assenza di un minimo dissenso in Par-
lamento, si costituisce una forte area d’opposizione extraparlamentare, l’Apo (Aus-
serparlamentarische Opposition) in cui confluiscono organizzazioni studentesche,
frange sindacali, intellettuali, transfughi dalla Spd e di cui l’Sds (Unione degli Stu-
denti Socialisti Tedeschi) costituisce la punta di diamante grazie anche al carisma del
suo leader, Rudi Dutschke (detto Rudi il rosso).
Nell’estate del 1967 il movimento dilaga nelle università e nelle scuole superiori
e il modello di “controuniversità” direttamente gestita dagli studenti, sviluppato nella
Freie Università di Berlino Ovest, si diffonde ad altre sedi universitarie di tutta la
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Germania. La solidarietà con il popolo vietnamita e la protesta contro la guerra ame-
ricana in Indocina diventano un tema dominante del movimento studentesco e si
moltiplicano le manifestazioni e le azioni dimostrative nelle quali i militanti dell’Sds
danno sfoggio di vere e proprie tecniche militari che sono prese come esempio dagli
studenti di tutta Europa. La protesta è rivolta contro la società capitalistica e il go-
verno della Repubblica federale tedesca, ma si guarda anche all’estero: a Berlino viene
contestata la visita del vicepresidente Usa, Hubert Humphrey. La denuncia del ge-
nocidio in Vietnam è, per i giovani tedeschi, anche un modo per mettere sotto pro-
cesso la rimozione del passato nazista e il silenzio dei padri. La reazione della destra
contro il movimento degli studenti è violenta: il gruppo Springer, che controlla il 78
per cento della stampa berlinese e il 33 per cento di quella di tutta la Germania, or-
ganizza una campagna stampa contro gli studenti, accusandoli di fomentare il di-
sordine e l’anarchia e di agire al servizio del blocco sovietico. La destra considera
Berlino e Vietnam del Sud affratellati, in quanto bastioni del mondo libero contro il
comunismo.
Il 1968 si apre con un congresso e una grande manifestazione contro l’aggres-
sione Usa in Vietnam, cui seguirà una contromanifestazione organizzata dal senato
berlinese, dal sindacato e dal gruppo Springer. Il 3 aprile Andreas Baader, insieme a
Gudrun Ensslin, Horst Soehnlein e Thorwald Proll compiono, con motivazioni an-
timperialiste, un attentato incendiario contro due grandi magazzini a Francoforte:
vengono arrestati il giorno dopo. È l’inizio della parabola della lotta armata tedesca
che porterà alla costituzione della Raf (Rote Armee Fraktion). L’11 aprile, pochi
giorni prima di Pasqua, Joseph Bachmann, giovane di destra, ferisce gravemente
con tre colpi di pistola il leader degli studenti socialisti Dutschke, che si salva per mi-
racolo ma con gravi ferite che ne causeranno la morte dieci anni dopo. A Berlino
scoppia immediatamente la rivolta, i manifestanti si scontrano violentemente con la
polizia e tentano l’assalto alla sede del gruppo Springer. Nei giorni seguenti la rivolta
si estende ad altre 27 città, prendendo di mira le sedi e i furgoni dell’editore, ritenuto
responsabile del clima di odio che aveva ispirato l’attentatore. I cosiddetti “disordini
di Pasqua” sono considerati i più gravi dai tempi della Repubblica di Weimar. Alla
fine si registreranno centinaia di feriti e arresti e due morti a Monaco di Baviera.
A maggio si torna in piazza per cercare di impedire l’approvazione della legisla-
zione d’emergenza, un pacchetto di misure restrittive dei diritti costituzionali, cui la
Spd si è convertita da parecchio tempo: ma dopo il cedimento dell’opposizione sin-
dacale, i Notstandsgesetze vengono approvati dal parlamento con la richiesta mag-
gioranza dei due terzi. Da questa sconfitta comincia il declino dell’Sds, dilaniato
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dalle frazioni e dal conflitto tra “spontaneisti” e sostenitori dell’organizzazione le-
ninista mentre le donne dell’organizzazione, in occasione del congresso di Franco-
forte, contestano il maschilismo imperante nei vertici. Alla fine dell’anno vengono
fondati i primi partiti comunisti, come Dkp (Deutsche kommunistische partei), il
maoista Kpd, lo Spartakusbund, (organizzazione giovanile della Dkp), le Rote Zel-
len (le cellule rosse) e il Sozialistisches Buero. Il movimento si sposta così dalle uni-
versità alle fabbriche. L’anno1968 termina con la vittoria elettorale della Spd alle
elezioni del 28 settembre, che consente l’esclusione della Cdu/Csu dal governo e la
creazione di una coalizione social-liberale, guidata dal cancelliere Brandt, impe-
gnata nella politica di distensione. L’Sds si scioglie ufficialmente nel marzo del 1970
e quello che resta dopo la contestazione, è il principio anticonsumistico mutuato
dall’ideologia hippie che si concretizza nel primo movimento ambientalista e che
condiziona il sistema politico della Germania Occidentale. Alcuni militanti, infatti,
fondano un movimento orientato sull’intervento nell’ambito sociale e sulla crea-
zione di propri spazi autonomi di vita, destinato a confluire in gran parte, attra-
verso la protesta pacifista e antinucleare, nella cultura e nelle organizzazioni
ambientaliste. Altri “orfani” dell’Sds entrano in clandestinità e aderiscono alle or-
ganizzazioni terroristiche Raf e Movimento 2 giugno.
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VII
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vietato favorirne l’uso, si può tranquillamente fumare erba senza aver paura di es-
sere arrestati. Il Fantasio è in pratica il primo centro culturale underground sov-
venzionato da un governo: ha sale dedicate alla lettura, ai dibattiti, alla musica, alle
proiezioni, c’è un ristorante (rigorosamente vegetariano) e una sala da te con prezzi
contenuti, e si organizzano progetti culturali, sociali e politici. Spesso il direttore del
Fantasio, in occasione di interviste a giornali e tv, rilascia dichiarazioni a favore della
legalizzazione dell’hashish; mentre la posizione del Paradiso è un po’ meno esplicita:
«noi sappiamo che la droga è illegale» dicono i gestori, però «se i nostri clienti fu-
mano droga sono affari loro, noi non possiamo proibirlo. E poi, nel nostro locale, cia-
scuno è libero di fare ciò che vuole». Pochi mesi dopo aprono altri ritrovi di
controcultura come il Café Olympia in Saint Jansstraat e il Phono Bar a Rembran-
dtplein.
In città il punto di ritrovo è la statua del Little Rascal dove alla sera subito
dopo il tramonto si mettono in scena i primi happening teatrali dei Provos, per-
formance in linea con il loro spirito anarcoide e libertario. È qui che il 10 marzo
1966, durante il passaggio del corteo nuziale della principessa Beatrice, il gruppo
organizza un’azione goliardica contro la famiglia reale olandese e facendo esplo-
dere alcuni petardi.
Altri ritrovi hippie di Amsterdam sono al numero 9 di Zwanenburgwalstraat,
dove due ragazze, Janette originaria della Scozia e l’amica olandese Ineke, aprono il
The Head Shop, negozio dove si vende un po’ di tutto, compresi abiti e collane pro-
venienti dall’India e dal Medio Oriente; in piazza Spui c’è la libreria Atheneum, ge-
stita come fosse una cooperativa; e a Danstraat si apre una fornitissima libreria
inglese dove è possibile trovare anche magazine e riviste antimilitariste e di spiri-
tualità orientale.
Esistono poi ben tre giornali underground e diverse case per una prima acco-
glienza per chi per la prima volta arriva in città e non sa dove andare: la più fre-
quentata è la Boomstraat dove all’interno si trovano anche elmetti per eventuali
scontri con la polizia che, va detto, è sempre stata tra le più clementi del mondo. Nel
1966 i Provos partecipano anche alle elezioni amministrative di Amsterdam con un
programma elettorale che vuole sostituire il marxismo di Karl con quello di Grou-
cho: riescono a eleggere un consigliere comunale e, dopo questo successo, il 13 mag-
gio 1967 annunciano il loro scioglimento. Nonostante le difficoltà rappresentate da
una lingua ostica e dalla mancanza del megafono rappresentato dalla musica rock,
la rivolta dei Provos olandesi riesce comunque ad avere una eco straordinaria in
tutta Europa.
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VIII
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cittadini tutti totalmente autogestiti. Nella comunità si sviluppa una struttura de-
cisionale e amministrativa autonoma e di base, con assemblee di quartiere e as-
semblee generali, le decisioni sono prese secondo il principio del consenso
unanime. Al suo interno vi è la libera circolazione delle droghe leggere, mentre
è totalmente bandito, l’uso e lo spaccio di droghe pesanti, vige il divieto di cir-
colazione delle automobili e ovviamente non ci sono le forze dell’ordine.
Nell’aprile del 1976 il governo decide che l’esperimento deve finire. Ma il giorno
dell’annunciata evacuazione, una massiccia manifestazione popolare di solida-
rietà con gli abitanti di Christiania, costringe il governo a rimandare la chiu-
sura ulteriormente. La comunità ha così tempo di rafforzarsi in tutti i campi,
con un’espansione dell’infrastruttura, dei servizi pubblici e dei posti di lavoro. Gli
abitanti crescono, fino a raggiungere un migliaio e la ristrutturazione degli edi-
fici, o la costruzione di nuovi, si fa molto più intensa. Nel 1991, dopo lunghe
trattative con lo Stato e diverse controversie interne, viene firmato un nuovo ac-
cordo fra Christiania e il ministero della Difesa danese, che garantisce una certa
stabilità alla comunità che a sua volta si impegna a rispettare alcune regole di si-
curezza contro gli incendi, acquisire le licenze dei bar e pagare tutte le tasse sulla pro-
prietà. E in questa occasione la comunità rifiuta di ricevere sussidi dallo Stato per la
manutenzione e la ristrutturazione delle case. L’accordo è durato fino al 2001, anno
in cui alla guida del Paese sale un governo di centrodestra guidato da Anders Fogh
Rasmussen. Pochi mesi dopo l’insediamento, il governo approva una nuova legge
speciale per la cosiddetta «normalizzazione» di Christiania, un modo come un altro
per dire «sgombero». L’argomentazione ufficiale è la lotta contro il mercato di dro-
ghe leggere (hashish e marijuana), che è fatto alla luce del sole. A questo punto gli
abitanti hanno risposto alle autorità rendendo “meno visibili” le bancarelle copren-
dole con teli mimetici.
Nella stessa legge, però, viene approvata la possibilità ai privati di costruire nel-
l’area nuovi edifici da vendere a prezzi di mercato. Questo porterebbe allo smantel-
lamento della struttura centrale della comunità, (dove non esiste in nessuna forma
la proprietà privata) e di conseguenza alla fine di Christiania come la conosciamo
oggi, esperimento sociale unico al mondo che, con l’andare del tempo, si è trasfor-
mato in un’attrazione turistica. Ma gli abitanti di Christiania sono riusciti a resistere,
hanno combattuto con ogni mezzo (pacifista, sia inteso): gli avvocati della comunità
hanno preparato un ricorso al tribunale contro lo sgombero appellandosi allo sta-
tus di “esperimento sociale” conquistato nel 1989 e il giudice gli ha dato ragione. Ma
il primo gennaio del 2006 la città ha perduto il suo statuto speciale di comunità al-
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ternativa e un anno e mezzo dopo la polizia ha distrutto uno dei primi edifici, fatto
che ha scatenato un vivo conflitto con le forze dell’ordine. Il 22 giugno 2011, a qua-
rant’anni dalla fondazione, è stato raggiunto un nuovo accordo con i circa 700 abi-
tanti. Il modello elaborato dal ministero della Difesa prevede infatti il diritto di
usufrutto del quartiere occupato e autogestito a condizione che gli abitanti acquistino
attraverso un fondo l’intero complesso residenziale per 76,2 milioni di corone danesi,
l’equivalente di circa 10,2 milioni di euro.
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PARTE TERZA
In PILLoLE
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AccAddE quEL gIoRno
8 gennaio 1966 - Ken Kesey, Timothy Learny e il biologo Stewart Brand orga-
nizzano al Long Shoreman’s Hall il Trips festival, sorta di Acid test della durata di tre
giorni. Sul palco si esibiscono i Grateful Dead, Janis Joplin e i Jefferson Airplane.
Nel mezzo della sala è collocata una tinozza piena di punch caldo aromatizzato al-
l’Lsd. Vi partecipano più di seimila persone, tra cui intellettuali, poeti, letterati, ar-
tisti e giornalisti.
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6 aprile 1967 - Il Congresso americano emana una legge per cui è bandito l’uso
e la produzione di Lsd per scopi sia personali sia scientifici. La produzione e la com-
mercializzazione continua clandestinamente, alimentando il mercato nero delle so-
stanze stupefacenti.
6 ottobre 1967 – Il gruppo dei Diggers assieme a un centinaio di Figli dei fiori
mettono in scena The Death Of Hippie, performance teatrale sulla morte della con-
trocultura hippie che si svolge tra le strade di Haight-Ashbury a San Francisco. Allo
spettacolo partecipano decine di migliaia di persone, tra hippie e cittadini. Da que-
sto giorno comincia il lento tramonto della Love Generation.
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partito Yippie. Hoffman annuncia che il neo-partito candida un maiale, Pigasus,
alla presidenza degli Stati Uniti: «Vi invito tutti a votarlo - dice - così una volta eletto
ce lo mangeremo...».
25-31 marzo 1969 John Lennon e Yoko Ono, durante la loro luna di miele ad
Amsterdam mettono in scena una delle più originali forme di protesta contro la
guerra in Vietnam, il Bed-In. All’interno della stanza 702 dell’Amsterdam Hilton
Hotel ricevono i giornalisti di tutto il mondo, in pigiama e seduti sul letto, per par-
lare di pace e spiegare i motivi della loro protesta. La performance è replicata Al
Queen Elizabeth Hotel di Montreal il 26 maggio e dura una settimana; durante la
quale è stata registrata la canzone Give Peace A Chance.
15 maggio 1969 I Figli dei fiori, con l’aiuto della popolazione del quartiere, tra-
sformano in un parco pubblico, chiamato subito People’s Park, un’area abbandonata
nei pressi del campus di Berkeley di proprietà dell’Università della California. Una
volta bonificata l’area, il governatore della California Ronald Reagan ordina la di-
struzione del parco e l’allontanamento dei suoi ideatori e frequentatori, considerati
pericolosi radicali. Migliaia di cittadini manifestano il loro dissenso organizzando
una protesta davanti al parco. Le forze dell’ordine intervengono caricando i manife-
stanti. Centinaia di persone finiscono in ospedale e 428 sono arrestate.
3 luglio del 1969 - Brian Jones, chitarrista dei Rolling Stones, viene trovato morto
dalla sua fidanzata all’interno nella piscina della sua tenuta di Cotchord Farm, nel
Sussex. Il medico ne diagnostica la morte per annegamento e trova nel corpo di
Brian ingenti quantità di alcol e droga. Con lui si apre la serie di morti che colpiscono
le rockstar.
10 luglio 1969 In una sala del Moma di New York viene proiettata l’anteprima di
Easy Rider, film-manifesto del movimento hippie, diretto da Dennis Hopper. Hop-
per, 33 anni, pochi mesi dopo vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes come mi-
glior regista esordiente.
9/10 agosto 1969 - Charles Manson e alcuni componenti della sua comune, The
Family, compiono le stragi di Bel Air a Los Angeles: uccidono sette persone, tra cui
Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski.
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15 agosto 1969 - Si apre il festival di Woodstock, evento storico sotto il profilo cul-
turale e sociologico e passato alla storia come sinonimo di pace, musica e contesta-
zione: per tre giorni oltre mezzo milione di persone hanno ballato, fumato, mangiato,
dormito, fraternizzato, fatto l’amore.
6 dicembre 1969 Quattro mesi dopo Woodstock i Rolling Stones, che per pro-
blemi logistici non hanno partecipato alla tre giorni di pace amore e musica, per
chiudere il tour negli Stati Uniti organizzano un festival gratuito, assieme ai Jeffer-
son Airplane, Corsby Stills e Nash, Santana e altri artisti americani. La manifesta-
zione, che si svolge all’Altamont Raceway Park tra le cittadine di Tracy e Livemore
in California, degenera violentemente a causa della leggerezza degli organizzatori
che affidano incautamente agli Hells Angels l’incombenza della sicurezza in cambio
di alcune centinaia di dollari in cartoni di birra. Il risultato di questa scelta sono
quattro morti e risse continue che spesso finiscono persino per colpire gli stessi ar-
tisti.
4 ottobre 1970 In una camera di un hotel di Los Angeles muore Janis Joplin. Nel
1971 è la volta di Jim Morrison. Tutti morti a 27 anni e tutti con una J nel nome. La
stampa la battezza subito “La maledizione della J” e ipotizza che anche John Lennon
e Mick Jagger avessero i giorni contati.
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dovE È PASSATA LA LovE gEnERATIon
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dell’epoca vecchio west e fuori viene appesa un’enorme insegna.
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Redazione San Francisco Oracle (San Francisco)
Gli uffici e la redazione del San Francisco Oracle si trovano al 1371 Haight Street.
È uno dei primi giornali della controcultura assieme al Berkeley Barb e al Los Ange-
les Free Press. Dalla nascita del giornale gli editori, Allan Cohen e Michael Bowen,
sono costretti a cambiare sede più volte. Nel 1992, in occasione del venticinquesimo
anniversario della nascita, viene stampata un’edizione speciale dell’Oracle che, no-
nostante il costo di diverse centinaia di dollari, è andata esaurita in poche ore.
Monterey
È una piccola città sul mare, a Sud-Est di San Francisco, sulla sponda meridionale
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dell’omonima baia, a tre ore di macchina dalla città e a cinque da Los Angeles. Dal
16 al 18 giugno 1967, all’interno del parco dei Fairgrounds, si tiene la prima e unica
edizione del Monterey Pop Festival, un’eccezionale concerto che sarà l’evento clou
della Summer of Love. Il festival di Monterey, dove partecipano più di duecentomila
persone, è il primo grande evento della storia del rock, che fa da apripista ai grandi
raduni (Woodstock su tutti) e che consegna alla storia l’epopea dei Figli dei fiori.
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della città: al centro del locale c’è un enorme narghilé, alto più di un metro e mezzo,
con otto tubi flessibili per fumate di gruppo.
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Hilton Hotel di Amsterdam e Queen Elizabeth Hotel di Montreal
Sono i due alberghi dove nel 1969 John Lennon Yoko Ono hanno organizzato il
Bed-In, un evento mediatico in favore della pace nel mondo. Il primo si svolge nella
stanza 702 dell’Hilton di Amsterdam dal 25 al 31 marzo. Visto il successo la coppia
vuole replicare la performance anche negli Stati Uniti ma, all’ultimo momento, non
gli viene concesso il visto d’ingresso (da un paio di anni Lennon era controllato dalla
Cia). Allora ripiegano sul Canada dove, dal 26 maggio, alloggiano per sette giorni
nella stanza 1742 del Queen Elizabeth Hotel di Montreal. L’ultimo giorno dell’hap-
pening canadese incidono, sempre nella stanza d’albergo, la canzone Give Peace a
Chance, il cui testo e la musica erano stati scritti durante il Bed-In olandese, accom-
pagnati da amici, giornalisti e personalità dello spettacolo che in quel momento si
trovavano con loro nella camera.
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Sono dI ModA
(loro malgrado)
Quando nei primi anni Settanta gli hippie sono trasformati dai mass media da
movimento alternativo a fenomeno di moda, la middle class americana comincia a
fare suoi alcuni aspetti, come l’abbigliamento la cucina e persino i nomi di fantasia,
con i quali i giovani del movimento si erano ribattezzati. Così, diversi bambini nati
in quel periodo, portano nomi di fantasia. I più diffusi tra gli hippie sono: Sky, Be-
gonia, Solaire, Rain, Rainbow, Freedom, Moon, Happy, Harmony, Honey, Melanie,
Ravi. Altro aspetto tipico, e poco tempo dopo adottato anche dagli americani-bene
che giocano a fare gli alternativi, è lo slang. I Figli dei fiori, infatti, tra di loro parlano
quasi in codice, e così lo spinello diventa l’Ice Cream mentre Key è una dose di ha-
shish o marjiuana; e se il pene è Mr. Happy la vagina diventa Lady Jane, mentre una
donna che non pratica la fellatio è una Vegetarian. E ancora: Uncle Sham (Zio Farsa)
sarebbe lo Zio Sam; Trippy è qualcosa di meraviglioso; una birra è una Brewski; Bar-
bie è una donna stupida (come, appunto, la bambola); Yuck! significa disgustoso; l’A
è l’abbreviazione di acido; la Cadillac un’oncia di eroina; bears (l’orso) è un ufficiale
della polizia.
Per quanto riguarda gli oggetti, invece, oltre al classico e immancabile “fiore tra
i capelli”, i più identificativi del movimento sono: un gilet o di cotone colorato o di
camoscio con le frange; collanine e braccialettini che indossano anche gli uomini;
jeans rattoppati con stoffa colorata di cotone o velluto (questa più che un tratto di-
stintivo è una necessità visto che il jeans è spesso l’unico pantalone che si pos-
siede) buono per tutte le stagioni, l’alternativa è il chinos, il tessuto lino color kaki
fabbricato in Cina recuperato dalle divise militari dismesse; occhiali di plastica
ispirati ai grafismi dei fumetti e ai quadri di Roy Lichtenstein; capelli portati lun-
ghi (uomini) e sciolti o con treccine (donne); il profumo è il patchouly. All’interno
delle case non possono mancare candele e bastoncini d’incenso da accendere
quando si pratica yoga. Comunque una sola parola d’ordine regna sovrana nel
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modo di vivere della Love Generation: “no logo” cioè abbigliamento, oggetti e cibo
senza marchio industriale.
Tutto questo anche se per gli hippie, secondo i sociologi dell’epoca, «le mode du-
rano la vita di una farfalla: esattamente due giorni, sette ore e trenta minuti»
Col tempo l’hippie style s’è fatto largo anche in cucina. Un po’ per necessità (soldi)
un po’ per ideologia, influenzata molto dall’Oriente, i Figli dei fiori sono pressoché
vegetariani e, nonostante risiedano in California, patria di enormi e squisite T-
Boone, le bistecche americane sono un miraggio. Il motivo principale per cui in
molti scelgono di diventare vegetariani non è certo il desiderio di migliorare l’aspetto
fisico, ma è una decisione legata alla coscienza politica e sociale. Essere vegetariani
è la naturale conseguenza della filosofia hippie: la difesa dei diritti degli animali altro
non è che un’estensione delle lotte in difesa dei soggetti più deboli nella società ca-
pitalista. Quindi, largo a uova e alle verdure croccanti e crude come carote, piselli,
peperoni, cavolo rosso, patate, alle quali sono aggiunte un paio di manciate di ara-
chidi tritate e due cucchiai di salsa chili. Un’altra variante dell’insalata vede l’aggiunta
di avocado, mango, barbabietole e noci, con te all’arancia come condimento.
Anche le zuppe hanno un posto preminente nel menu hippie. Quelle più comuni
sono di fagioli e ceci con rosmarino e papadam (focaccine) una specialità indiana.
La più ricercata è la zuppa di zucca con chiodi di garofano, cannella e zenzero.
D’estate, in occasione del Be-Inn al Golden Gate Park, Allan Ginsberg suggerisce ai
Diggers la ricetta di un’altra specialità indiana: la zuppa di curry con ananas, mela e
banana che preparano sul momento per i partecipanti al raduno. Tra le specialità pre-
ferite c’è il burritos, importato dal vicino Messico: è un piatto unico e in genere viene
servito con accanto fagioli neri (bolliti e poi conditi con salsa di pomodoro e riso).
Sopra si possono aggiungere salse come il guacamole (crema ottenuta dall’avocado),
pomodorini tagliati a pezzetti e conditi con olio e cipolla, peperoni verdi piccanti e
coriandolo tritato. Di origine cubane è invece il moros y cristianos, un altro dei piatti
sempre presenti nel menu-hippie, preparato con fagioli neri lessati, riso, e pancetta
tagliata a cubetti e rosolata con peperoni, cipolla e spezie.
Latte e yogurt sono la base della colazione mattutina, assieme a una tazza di caffè
(liofilizzato) o di orzo, sostituiti da te. All’interno dello Psychedelic Shop, e succes-
sivamente in altri locali di San Francisco, viene preparato un te speciale, molto spe-
ziato, chiamato “all’indiana”: l’acqua viene fatta bollire con cardamomo, anice, chiodi
di garofano o cannella.
Visto che la Coca Cola e le altre bibite gassate sono bandite, per dissetarsi, oltre
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al te freddo, si beve un frullato particolare fatto con mele, centrifugate con la buc-
cia, e dello zenzero tagliato a fettine, il tutto versato in un bicchiere con un po’ di
miele, poco ghiaccio e foglioline di menta spezzettate. Due le varianti: lo sciroppo
d’acero al posto del miele e le albicocche invece delle mele.
Oltre alla verdura anche la frutta è alla base dell’alimentazione della Love Gene-
ration. Ai Figli dei fiori piace sempre sperimentare e inventare piatti e miscele nuove.
Una delle ricette più famose, perché si dice sia afrodisiaca, è quella dove il mango e
la banana, frutti sensuali per eccellenza, sono accompagnati da una salsa in cui spicca
la cannella, considerata una spezia riscaldante e stimolante ( è usata nella medicina
ayurvedica per combattere l’astenia sessuale). Sopra viene tritato un po’ di carda-
momo e di pepe nero che completano l’aroma dolce-piccante della salsa, e ne esal-
tano gli effetti stimolanti. Il riso basmati non poteva mancare: è il piatto originario
dell’India, adatto ad accompagnare pietanze a base di pesce, carne bianca (pollo o
tacchino) e legumi. Per renderlo più saporito, nell’acqua di cottura viene aggiunto un
soffritto di cannella, cumino e peperoncino. Oltre al riso a tavola è sempre presente
il pane integrale al lievito di birra, ricco di fibra e sali minerali, che quando invec-
chia viene inzuppato nel latte o diventa la base delle bruschette. Nell’impasto sono
spesso aggiunti semi di cumino, di girasole o di finocchio.
Il dessert è sempre l’Apple Pie, la classica torta di mele, il dolce più semplice, tra-
dizionale e dietetico degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda il trasporto, quando non scelgono l’autostop, gli hippie lan-
ciano la moda delle moto chopper, quelle con le forcelle lunghe celebrate nel film
Easy Rider, e del Volkswagen Transporter, il pulmino chiamato Bulli. Nato verso la
fine degli anni Quaranta, Bulli è scelto come mezzo di trasporto per via dell’abita-
bilità; dei bassi costi di manutenzione e della robustezza. E con poche e semplici
modifiche può trasformarsi in un caravan con costi di gestione di un’utilitaria. A
metà anni Sessanta carovane di giovani - con sacco a pelo, chitarra e tenda - partono
dagli Stati Uniti e dal vecchio Continente alla volta dell’Asia e del Sudamerica in
viaggi-avventura dalle date di ritorno incerte tanto quanto gli itinerari. Ancora oggi
fra Bangkok e Kathmandu, tra le Ande e il Machu Picchu, si rivedono i pulmini VW
colorati, con targhe americane, canadesi o inglesi, tedesche, olandesi e anche ita-
liane, trasformati in bar o negozi on the road. Un mezzo trasversale, il Volkswagen
T2, che dopo la Love Generation viene apprezzato anche dalle tranquille famiglie di
campeggiatori. Oggi Bulli è andato in pensione, l’ultimo esemplare è uscito dalla
fabbrica Volkswagen in Brasile nel dicembre del 2013 (in Europa è stata sospesa nel
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1979), perché nonostante le numerose migliorie tecniche introdotte nel tempo dalla
Volkswagen per tenerlo al passo coi tempi, ha dovuto fare i conti con le nuove nor-
mative sulla sicurezza e con quelle anti-inquinamento.
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LE guIdE
(spirituali e non)
Questi i personaggi che, nel bene e nel male, hanno influenzato, costruito, orga-
nizzato il movimento hippie. Politici, cantanti, sportivi, scienziati, attori, semplici
cittadini: senza di loro, molto probabilmente, gli anni Sessanta sarebbero stati tutta
un’altra cosa.
JOAN BAEZ
Cantante folk, nata a New York nel 1941, pacifista convinta, impegnata da sem-
pre per i diritti civili, è considerata The Flower of the Hippie Counterculture (il fiore
della controcultura hippie): nel 1964 si schiera contro l’intervento militare statuni-
tense in Vietnam detraendo spontaneamente dalle sue tasse il 6 per cento destinato
alle spese per la guerra e nel 1967 è arrestata per disobbedienza civile, mentre ma-
nifesta contro la guerra in Vietnam. Nel dicembre 1972 parte per Hanoi dove passa
il Natale in un villaggio di contadini e tra i giovani militari: al suo ritorno scrive l’al-
bum Where Are You Now, My Son?.
CASSIUS CLAY
Pugile americano, campione olimpico a Roma nel 1960 e detentore della corona
mondiale dei pesi massimi, titolo che gli viene tolto dalla federazione americana
perché che rifiuta l’arruolamento nelle truppe impegnate in Vietnam. «Quel popolo
non mi ha fatto niente di male - spiega motivando la sua decisione di non andare al
fronte in Vietnam - inoltre, è forse l’unico popolo che non mi chiama negro». «Se so
dov’è il Vietnam? Sì, alla Tv» risponde poi a chi lo accusa di non sapere nemmeno
dove si svolge la guerra. Nel 1964 si converte alla religione musulmana e cambia il
suo nome in Muhammad Alì.
ANGELA DAVIS
Nel 1970 il suo processo è un caso politico che mobilita il mondo giovanile in Ame-
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rica e Europa: la giovane assistente universitaria di colore è incarcerata con l’accusa di
aver partecipato a un complotto per liberare George Jackson, leader delle Pantere nere
(l’organizzazione rivoluzionaria dei neri d’America), tentativo avvenuto nell’aula del
tribunale e concluso con la morte del giudice e di tre “pantere”. La Davis, che si è sem-
pre battuta per il diritto dei neri e il miglioramento delle condizioni carcerarie, diventa
un simbolo: la sua foto campeggia sempre sui poster e nei cortei, sia John Lennon sia
i Rolling Stones le dedicano una canzone: Angela viene assolta nel 1972.
BOB DYLAN
Poeta, filosofo, cantante, scrittore: Dylan è tutto questo e anche di più. Nato nel
1941 nel Minnesota, inizia la carriera di cantante a New York, influenzato dal mo-
vimento beat. Non è certo da considerare un esponente “vero” della musica hippie,
ma nei testi delle sue canzoni riesce sempre a esprimere le tensioni della sua gene-
razione. Nel 1963 scrive The Times They Are Changin, brano destinato a diventare
un inno delle rivolte degli anni Sessanta, un minaccioso monito nel confronti del
mondo: «attenti - canta Dylan - o l’imminente, inevitabile onda del cambiamento fi-
nirà con lo spazzare via tutti. Se non siete pronti ad accettarlo, il nuovo vi travolgerà».
JANE FONDA
Il simbolo della bellezza femminile è Brigitte Bardot, ma le giovani hippie prefe-
riscono identificarsi con Jane Fonda, un nuovo tipo di attrice, impegnata, con il fra-
tello Peter, nella lotta per i diritti civili e la fine della guerra in Vietnam. Nel 1968
interpreta Barbarella, di Roger Vadim, un anno dopo è la protagonista di un film che
colpisce l’immaginario collettivo giovanile: Non si uccidono così anche i cavalli? di
Sidney Pollack, dove si parla di un’America spietata e violenta, in cui non c’è posto
per aspirazioni e ideali dei giovani. Da lì in poi, e grazie al suo impegno, diventa uno
dei personaggi del mondo dello spettacolo più amati: non un’icona, ma una donna
con cui ci si può identificare, segno della nuova coscienza femminile.
JERRY GARCIA
Garcia, all’anagrafe Jerome John, è stato il vero padrone di casa dei musicisti hip-
pie di Haight-Ashbury: è nato a San Francisco nel 1942 e inizia a suonare il piano-
forte per poi diventare un virtuoso del banjo e della chitarra. A 22 anni fonda i
Grateful Dead, la più importante psychedelic-band della storia del rock. Il gruppo,
i cui componenti vivono tutti assieme in una grande casa-comune su Haight-
Ashbury, regala centinaia di esibizioni dal vivo durante gli Acid Test organizzati da
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Ken Kesey e Timothy Leary, suonando quella che, per molti, è la musica dettata dal-
l’Lsd. Garcia, non ha mai smesso di assumere stupefacenti, muore nel 1995 per un
attacco cardiaco.
ALLEN GINSBERG
Ebreo americano di Denver, dove nasce nel 1935, è il primo scrittore e poeta che
sposa la causa pacifista del movimento hippie, scelta influenzata dalla sua conver-
sione al buddismo. Nel 1955 pubblica Howl and Other Poems, uno dei suoi lavori
principali, un libro che tratta della corruzione della vita moderna, e che viene boc-
ciato dalla critica perché considerato scandaloso a causa della crudezza del lin-
guaggio. È lui che inventa il termine Flower Power e, nel 1966, ha l’idea dello Human
Be-Inn che si terrà l’anno successivo al Golden Gate Park. La sua filosofia è la base
di tutte le rivolte pacifiche degli anni Sessanta e Settanta.
BILL GRAHAM
Tedesco di nascita, il suo vero nome è Wolfgang V. Grajonka, nato a Berlino nel
1931. Nel bel mezzo degli anni Sessanta scopre di essere un americanissimo uomo
d’affari diventando in poco tempo il più potente promoter di rock degli Stati Uniti.
Dopo aver gestito la compagnia teatrale alternativa San Francisco Mime Troupe, nel
novembre del 1965 organizza a San Francisco il primo concerto dei Jefferson Air-
plane: da quel giorno ha messo sul palco la maggior parte delle rockstar americane
e inglesi, da Bob Dylan ai Rolling Stones. Non è interessato alle droghe, non gli piac-
ciono i loro effetti: il suo obiettivo è organizzare buoni spettacoli e fare soldi. È one-
sto, paga sempre le band anche quando l’incasso non copre le spese, e rude nei modi:
urla e bestemmia con tutti se le cose non vanno come vuole lui. Ha aperto diversi lo-
cali, tra questi i più importanti sono il Fillmore Auditorium e il Fillmore West a San
Francisco e il Fillmore East a New York. Muore nel 1991 in un incidente in elicot-
tero. Oggi, il Fillmore di San Francisco è intitolato a lui, il nuovo proprietario l’ha
chiamato Bill Graham Civic Auditorium.
WAVY GRAVY
«Quello che abbiamo in mente è di servire la colazione al letto a mezzo milione
di persone». Questa frase, pronunciata al microfono sul palco di Woodstock, ha fatto
passare alla storia Hugh Romney, meglio conosciuto come Wavy Gravy. La sua co-
mune, la Hog Farm, è stata la “forza di pace” che ha fornito pasti gratuiti, assistenza
medica e servizio sociale durante i tre giorni passati nel campo di Bethel: «e tutto è
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stato fatto completamente gratis» tiene ancora oggi a sottolineare. Nato a New York,
si definisce il figlio illegittimo di Groucho Marx e Madre Teresa di Calcutta. Nella
vita ha fatto un po’ di tutto: attore, pittore, clown, scrittore, organizzatore di eventi
benefici ma non è mai stato in carcere. Una volta i poliziotti lo fermarono durante
una manifestazione contro il presidente degli Stati Uniti ma lo lasciano andare per-
ché «troppo strano».
EMMETT GROGAN
È uno dei fondatori dei Diggers, gruppo di azione radicale e artistico con sede nel
quartiere di Haight-Ashbury a San Francisco. Il gruppo prende il nome dai Diggers
inglesi, movimento radicale del Seicento in contrasto con il feudalesimo, la Chiesa
d’Inghilterra e quella della Corona britannica, dai quali adottano la filosofia eguali-
taria, la dimensione collettiva, la critica nei confronti dell’autocrazia statale e lo spi-
rito solidaristico. I Diggers sono il settore più politicizzato e radicale della
controcultura hippie. Oltre a farsi carico di fornire gratuitamente asilo e distribuire
cibo e vestiti, manifestano le loro forme di contestazione con modalità creative e
fantasiose attraverso spettacoli teatrali che si svolgono in strada coinvolgendo i cit-
tadini e i passanti.
JIMI HENDRIX
Nato a Seattle nel 1942, è considerato non solo uno dei migliori chitarristi nella
storia della musica rock ma anche uno dei maggiori innovatori del suono della chi-
tarra elettrica (che suona da mancino). La sua carriera solista non ha paragoni: è
durata appena quattro anni nei quali ha inciso sei album. Restano indimenticabili
la performance al Monterey Pop Festival del 1967 e l’inno americano suonato all’alba
al termine dell’esibizione di Woodstock e che ha chiuso il Festival. Hendrix manda
in delirio il pubblico, sia per come suona la chitarra, sia per la performance che fa al
termine dei suoi concerti: brucia lo strumento. La prima volta che dà fuoco alla sua
Fender Stratocaster è nel 1965: quel gesto rappresenta una svolta storica negli spet-
tacoli musicali. Una delle prime chitarre bruciate è stata recentemente battuta a
un’asta di Londra per 280mila sterline (circa 346mila euro). Muore a Londra nel
1970, soffocato dal suo stesso vomito, a 27 anni.
ABBIE HOFFMAN
Abbot Hoffman, detto Abbie, è nato a Worchester, nel Massachusetts, nel 1936.
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Attivista politico, esponente della New Left, la sinistra radicale statunitense, nel 1968,
assieme a Jerry Rubin, fonda il partito Yippie, Youth International Party. La sua fi-
gura, associata ai movimenti di protesta e il suo coinvolgimento contro la guerra nel
Vietnam, diventa ben presto il simbolo della ribellione giovanile di quegli anni. Nel-
l’agosto del 1967, assieme a un gruppo di oppositori al capitalismo, getta biglietti da
un dollaro nella galleria della Borsa di New York davanti agli scambisti che si chi-
nano, praticamente si inginocchiano ai suoi piedi, per raccoglierli. Viene arrestato
nel 1968 a Chicago, durante la convention democratica, quando il partito Yippie
candida alla presidenza degli Stati Uniti un maiale chiamato Pigasus. A causa di
nuovi guai con la giustizia e con la droga, passa un periodo da latitante, rientrato
negli Stati Uniti sconta un paio di anni di carcere poi, il 12 aprile 1989, muore, si
dice, a causa dall’ingestione di una grossa dose di barbiturici.
ALBERT HOFMANN
È lo scienziato considerato padre dell’Lsd. Nato in svizzera, dopo anni di ricer-
che, giunge alla sintesi dell’Lsd nel 1938. Cinque anni dopo scopre gli effetti psiche-
delici casualmente, dopo aver ingerito una piccola quantità della sostanza, cadutagli
sulla mano durante un esperimento di laboratorio, che gli provoca una notevole ir-
requietezza e una leggera vertigine. Compie una serie di auto-sperimentazioni, al ter-
mine delle quali arriva alla conclusione che - sotto effetto dell’Lsd - lo stato
predominante è sempre quello dello scambio uditivo-visivo: i suoni si trasformano
in sensazioni variopinte, ovvero la mente riesce ad associare le immagini a diversi
suoni. Diventa direttore del dipartimento di prodotti naturali della casa farmaceu-
tica Sandoz e continua a studiare le sostanze psichedeliche trovate nei peyote, nei
funghi messicani e in altre piante utilizzate dagli aborigeni. Muore a causa di un in-
farto il 29 aprile 2008 all’età di 102 anni.
GERALD HOLTOM
Artista e designer britannico, ha creato nel 1958 il simbolo della Campagna per
il disarmo nucleare, convinto che la manifestazione e la “lotta” avevano bisogno di
un marchio, di un logo, qualcosa che rimanesse nella memoria. Neppure lui avrebbe
potuto sperare che in pochi anni quel simbolo, in un primo momento accusato dalle
femministe di essere un po’ troppo fallico, sarebbe diventato il “logo” di tutte le ma-
nifestazioni pacifiste della Terra. Holtom quando disegna il simbolo è in un mo-
mentaneo stato di depressione che lo porta a ispirarsi al quadro del Contadino
davanti al plotone di esecuzione di Goya: disegna quindi un uomo disperato, con i
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palmi delle mani allargate verso il basso. Poi trasforma la forma del disegno in linea
e la racchiude in un cerchio. Altra fonte d’ispirazione sono le segnalazioni marine che
le navi si scambiano sventolando bandierine, prima che fossero introdotti i semafori
per i segnali luminosi con l’alfabeto Morse, le radio e, per ultimo, i collegamenti sa-
tellitari. La “V” rovesciata che sta alla base del simbolo nella segnaletica marittima
è la lettera “N” iniziale della parola “Nuclear”; mentre quella eretta verticale sta per
la “D” di “Disarmo”: quindi, la figura completa signifca semplicemente “Nuclear Di-
sarmament”. Al simbolo sono state date diverse interpretazioni: la più diffusa è quella
di una rappresentazione stilizzata di un rapporto sessuale, una lettura in sintonia
con lo slogan «Fate l’amore, non la guerra».
DENNIS HOPPER
Oltre ad essere regista e attore, Dennis Hopper è anche fotografo e pittore. Nel
1969, assieme all’amico Peter Fonda scrive la sceneggiatura di Easy Rider, che poi di-
rige. Interpretato dallo stesso Hopper, da Fonda e da Jack Nicholson, il film narra il
viaggio attraverso l’America di due motociclisti, in totale libertà. Vince il premio come
Miglior Film di un regista esordiente al Festival di Cannes del 1969 e guadagna due
nomination all’Oscar come miglior Sceneggiatura e miglior Attore non protagonista.
Easy Rider si inserisce nel contesto culturale dell’America degli anni Sessanta: nella vo-
glia di evasione dei protagonisti c’è la ricerca della libertà da una società medio bor-
ghese da parte della controcultura dei giovani americani.
JANIS JOPLIN
Texana di nascita, a soli 17 anni si trasferisce in California chiamata dagli ideali
“Peace & Love”. È la più amata delle cantanti di San Francisco, tanto da meritarsi,
dopo un’esibizione stratosferica davanti al pubblico del Monterey Pop Festival, il so-
prannome “The Pearl”, la perla. Comincia la carriera come cantante dei Big Brother
& The Holding Company ma dopo appena due album, insofferente alla vita collet-
tiva sul palco, prosegue da solista. Le sue corde vocali, nonostante gli abusi di dro-
ghe e alcol, sconvolgono ogni regola e fanno della Joplin la più straordinaria cantante
bianca di blues. Muore per overdose di eroina a soli 27 anni.
LENORE KANDEL
Poetessa americana, leader del movimento dei Diggers, nel 1967 pubblica The
Love Book, raccolta di poesie - alcune di queste anche erotiche - sull’amore. Si fa co-
noscere in occasione dell’Human Be-Inn, quando sale sul palco (unica donna ad
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averlo fatto) e recita un paio di sue composizioni. Quel giorno è anche il suo com-
pleanno e, dopo il suo intervento, Allen Ginsberg, Gary Snyder, Timoty Leary iniziano
a intonare «Happy Birthay to you», al coro si unisce tutta la platea accorsa al Golden
Gate Park, circa trentamila persone. The Love Book, scritto in prima persona perché
rispecchia le personali esperienze della poetessa, viene sequestrato per «oscenità»
pochi giorni dopo la pubblicazione e la Kandel è arrestata assieme ai fratelli Thelin
che lo vendono all’interno dello Psychedelic Shop. Al processo si difende declamando
San Giovanni della Croce e affermando che «Amore è una parola di quattro lettere,
le parole veramente oscene sono odio, guerra, bomba. Se possiamo riconoscere la
nostra bellezza, è impossibile per ogni essere umano recare danno a un altro essere
umano». Appena scarcerata, il libro viene ristampato e diventa un caso editoriale.
KEN KESEY
Ken Kesey, pseudonimo di Kenneth Elton Kesey, nasce in Colorado nel 1935.
Scrittore, tra i massimi esponenti della controcultura, è reputato il trait d’union tra la
beat generation e il movimento hippie. Pochi anni prima di morire, ha dichiarato a
una trasmissione radiofonica: «Ero troppo giovane per essere un beatnik, ma troppo
vecchio per essere un hippie». È uno dei primi “viaggiatori psichedelici”: nel 1959,
per guadagnare qualche soldo, risponde a un’inserzione dell’istituto della Stanford
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University che cercavano “cavie” sui quali sperimentare gli effetti dell’Lsd. Dopo aver
lavorato come assistente in un ospedale psichiatrico, nel 1962 scrive il romanzo Qual-
cuno volò sopra il nido del cuculo: grazie ai soldi guadagnati dal successo ottenuto dal
libro, acquista una farm a La Honda, appena fuori San Francisco. Nel 1964 Kesey e i
suoi amici, i Marry Pranksters, modificano un vecchio bus con il quale girano gli
Stati Uniti per “propagandare” l’uso dell’Lsd e delle sostanze stupefacenti, promuo-
vendone soprattutto gli effetti creativi. A New York incontra Timothty Leary e con lui,
una volta tornato in California, organizza gli Acid Test, party durante i quali gli invi-
tati assumono Lsd in un’ambientazione psichedelica. Prima di morire di cancro, nel
2001, si occupa di problematiche ambientali.
TIMOTHY LEARY
Psicologo con una grande passione per la chimica, Leary è docente all’università
di Harvard. Vive a New York in una villa barocca, nota come Millbrook, una gigan-
tesca magione di 63 stanze appena fuori dalla città, che trasforma nel suo centro di
ricerche. Assieme a un gruppo fidato di studenti, poi confluiti nella Lega per la Ricerca
Spirituale, Dr. Drug - come viene soprannominato dagli hippie - compie esperimenti
di espansione della mente ed esplorazione dei diversi stati di coscienza. A causa dei
suoi atteggiamenti anticonformisti, è bollato dal presidente Richard Nixon «l’uomo
più pericoloso d’America». Quando entrano in vigore le severe leggi antidroga viene
condannato per possesso di stupefacenti: fugge all’estero ma nel 1965 è arrestato in un
posto di blocco perché gli agenti trovano marijuana nella sua auto. Viene condannato
con la pena più alta mai emessa per possesso di marijuana: dieci anni di reclusione e
630 mila dollari di multa. Evade, viene riacciuffato, collabora con la giustizia e, nel
1996, muore a causa di un cancro alla prostata.
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ANNIE LEIBOVITZ
Figlia di un ufficiale dell’Aeronautica e di una ballerina classica, vive l’adolescenza
in si militari, spostandosi continuamente a bordo di una station wagon di suo padre.
Nel 1967, a diciotto anni, si iscrive al primo anno del corso di pittura al San Franci-
sco Art Institute e l’estate dell’anno successiva, durante una vacanza in Giappone,
acquista la sua prima macchina fotografica. Inizia a scattare durante la scalata del
monte Fuji, restando "totalmente sedotta" dall’arte della fotografia. Tornata a San
Francisco bussa alla porta di Rolling Stone che le offre di collaborare. All’editore
Jann Wenner bastano due servizi per capire che ha davanti una fotografa di talento
e decide di assumerla. Lavora al magazine fino al 1983, durante i quali realizza ritratti
a tutte le rockstar internazionali e segue centinaia di tournée. Oggi è una delle foto-
grafe più quotate al mondo.
JOHN LENNON
L’altra metà dei Beatles, assieme a Paul McCartney, si trasferisce in America dopo
la metà degli anni Sessanta e lì conosce una nuova vita professionale e privata. In-
contra Yoko Ono, la sposa, si separa dai Beatles e comincia l’attività pacifista. Una
delle performance più clamorose quella del Bed-In creata assieme a Yoko Ono
all’Hotel Hilton di Amsterdam: i due, che stanno trascorrendo la loro luna di miele,
in segno di protesta contro ogni tipo di violenza nel mondo trascorrono a letto un’in-
tera settimana facendosi riprendere da numerosi fotografi. La performance è repli-
cata in Canada pochi mesi più tardi, durante la quale viene registrata la canzone
Give Peace A Chance che, in poco tempo, diventa l’inno del movimento pacifista. E
proprio a causa delle amicizie strette con i leader del movimento, come Abbie Hoff-
man, Jerry Rubin e Bob Seale, la Cia apre un dossier su di lui. Un fan disturbato di
mente, lo uccide sotto il portone di casa la sera dell’8 dicembre 1980.
MALCOLM X
Orfano di padre a 21 anni per colpa del Ku Klux Klan, Malcolm Little si converte
alla causa degli afroamericani. Più avanti adotta la “X” come cognome che rappre-
senta il simbolo di un’identità rubata: il suo vero cognome gli fu sottratto, dice, ai
tempi della schiavitù in America, quando un suo antenato è stato venduto come
schiavo. Nel 1963 fonda l’Organizzazione dell’unità afroamericana con il progetto di
unire la lotta dei neri degli Stati Uniti con i movimenti politici dei paesi sottosvi-
luppati di Asia e Africa. Nel 1965, viene ucciso mentre tiene un discorso pacifista.
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CHARLES MANSON
Una vita segnata sin dall’infanzia: quando nasce la madre ha 16 anni ed è una
prostituta con problemi di legge e droga, il padre non esiste. A 9 anni viene arrestato
per furto e comincia a entrare e uscire dai riformatori subendo ogni tipo di abuso.
Alto 1 metro e 58, magro, con la schiena curva, capelli neri e lisci, ha uno sguardo
ipnotico e una grande parlantina. Nel marzo del 1967 viene rilasciato per decor-
renza dei termini: ha 32 anni, ma non conosce il mondo perché la maggior parte
della sua esistenza, oltre vent’anni, l’ha trascorsa dietro alle sbarre. Si trova in piena
Summer of Love e comincia la sua nuova vita. Fonda una comunità, The Family, che
raccoglie un discreto numero di adepti (circa 50 persone); molti di loro sono ra-
gazzi che hanno avuto una vita dura come lui, con problemi sociali, con difficoltà a
inserirsi nel sistema e dall’immancabile passato difficile: per loro lui è un guru. Pro-
fetizza la sua dottrina tutta particolare, dove non manca il sesso, l’alcol, le droghe, il
disprezzo nei confronti delle persone di colore, furti e qualsiasi altra attività crimi-
nale. E, tra una rapina e l’altra, suona la chitarra e si droga. Il suo sogno è quello di
incidere un disco con i Beach Boys: e quasi ci riesce. L’attività della setta di Manson
non si ferma solamente ai furti, ma si estende anche agli omicidi. Nell’agosto del
1969 la Family firma le due stragi a Cielo Drive, un ricco quartiere di Los Angeles:
sette morti, tra cui Sharon Tate, moglie del regista Polanski. Manson, che non ha
mai ammesso le sue colpe, ha subito undici processi ed è in carcere da più di qua-
rant’anni.
HERBERT MARCUSE
Il settantenne filosofo tedesco, emigrato negli Usa, assiste al nascere della conte-
stazione a Berkeley e dà subito il proprio sostegno al movimento giovanile, nel quale
vede la forza per esprimere “il grande rifiuto” alla società dei consumi. In Europa,
anche tra chi non ha letto L’uomo a una dimensione, scritto dal filosofo nel 1964, cir-
colano le sue teorie sull’alienazione prodotta dalle società capitaliste e dalla mani-
polazione mediatica, slogan come “L’immaginazione al potere”, scritto sui muri
dell’università Sorbona di Parigi, sembrano ispirarsi alla sua utopia, che insiste sul
valore del gioco e sulla felicità individuale. Amato dai suoi studenti e associato nei
cortei a Mao Tse Tung e Karl Marx, Marcuse a volte viene anche contestato, ma sti-
mola ovunque un vivace dibattito tra i giovani che affollano le sue conferenze.
GAYLORD NELSON
Senatore democratico californiano, a seguito di un disastro ambientale causato
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dalla fuoriuscita di petrolio da un pozzo al largo di Santa Barbara ha l’idea di orga-
nizzare qualcosa per la salvaguardia del pianeta. Nelson prima studia le problema-
tiche tramite i documenti e pubblicazioni underground poi, nel 1968, propone un
Teach-In ambientale da tenersi nei campus e nei college. L’anno dopo riesce a con-
vincere l’amministrazione di San Francisco a proclamare il 21 marzo Giornata della
Terra. Visto il successo nel 1970 organizza il World Earth Day, la Giornata mondiale
della Terra, patrocinata dall’Onu: partecipano venti milioni di persone, con mani-
festazioni in quasi tutte le maggiori città degli Stati Uniti.
JERRY RUBIN
Nato nell’Ohio nel 1938, è un giornalista e leader della Sds (Student for Democracy
Society). Fonda il movimento Yippie! insieme all’amico Abbie Hoffman, e con esso
è imputato al celebre processo di Chicago, quando il partito Yippie! candida alla pre-
sidenza degli Stati Uniti un maiale chiamato Pigasus e 688 persone sono arrestate con
l’accusa di ingiurie alle autorità. Politico e movimentista di talento, grande esperto di
uso sovversivo dei media, diventa famoso durante il suo primo processo quando, da
imputato, si presenta in aula vestito da soldato della Guerra di Indipendenza. Nel
1967 è tra gli organizzatori insieme ad Allen Ginsberg della manifestazione contro il
Pentagono: tenta di farlo “levitare” con la forza della mente. Anche lui, assurto a sim-
bolo della ribellione come Hoffman, dopo la fine della guerra del Vietnam collabora
strettamente con John Lennon e Yoko Ono, tanto che il cantante gli propone di suo-
nare in Imagine. Nel 1971 pubblica il libro Do It!, una sorta di manuale per una rivolta
organizzata e creativa. Muore a Los Angeles all’età di 56 anni, investito da un’auto-
mobile mentre attraversa la strada.
GRACE SLICK
Protagonista della Bay Area, è la front girl e vocalist dei Jefferson Airplane, gruppo
che contribuisce a rinnovare radicalmente la scena rock californiana. Grace Slick
porta la corona di sacerdotessa del Flower Power e voce, fisico, carica sensuale e modi
trasgressivi si prestano alla costruzione del mito. Con i Jefferson Airplane dà vita a una
serie di dischi e concerti memorabili, dove la sua voce, dolce e aggressiva allo stesso
tempo, rende inconfondibile un sound dalle tinte acide e psichedeliche. Stanca della
carriera musicale, riesce a strappare un contratto di un milione di dollari per scrivere
la sua biografia, che si intitola Somebody To Love, come uno dei migliori successi del
gruppo. Lasciato l’ambiente rock decide di dedicarsi anima e corpo a un vecchio
hobby: la pittura (la copertina del primo album solista Manhole, del 1974, è un suo
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autoritratto). Nei quadri dipinge i volti dei suoi amici dell’epoca, Jimi Hendrix, Jim
Morrison, Jerry Garcia, Janis Joplin; illustra scene immaginifiche da Alice nel Paese
delle Meraviglie e, nonostante da diversi anni risieda a Malibu, si diverte sempre a ri-
trarre particolari di San Francisco. Durante le mostre vende i suoi quadri a migliaia
di dollari e, a chi le fa i complimenti per l’intramontabile bellezza, risponde: «A 64 anni
nessuno può essere bello. Cerco soltanto di essere presentabile. E non fatemi foto: è
una cosa che ho sempre odiato anche quando avevo più motivi di mostrarmi».
BENJAMIN SPOCK
“The Bay Doctor”, com’è stato soprannominato, è un pediatra, psichiatra e attivista
sociale, che raggiunge la fama con un libro di consigli alle madri, Come si cura e come
si alleva un bambino pubblicato per la prima volta nel 1946. Nel libro, uno dei mag-
giori successi editoriali del dopoguerra (tradotto in 39 lingue ha venduto oltre 50 mi-
lioni di copie), Spock tratta temi come la gravidanza, il parto, l’alimentazione,
l’educazione e le cure del bambino, con un linguaggio semplice e brillante, spregiudi-
cato e anticonformista, presentando progressi e orientamenti della ginecologia e della
pediatria, come novità rivoluzionarie derivanti anche della sua esperienza professio-
nale. Nel 1960 si dedica intensamente all’attività dell’Anti-War Movement, il movi-
mento contro la guerra in Vietnam; lavora a fianco di Martin Luther King, manifesta
contro gli arsenali nucleari: tutte attività che lo portano, nel 1972, ad accettare una can-
didatura “di protesta” per il People’s Party, alle elezioni presidenziali.
MICHAEL WADLEIGH
È il regista del film-documentario Woodstock: tre giorni di pace amore e musica, che
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ha girato con una cinepresa Super8, senza aver la minima idea di quello che stava ac-
cadendo nel parco di Bethel. Ai numeri musicali si alternano - anche con la tecnica
dello split-screen - scene di vita all’aperto e interviste, girate da numerosi operatori (tra
cui il futuro regista Lewis Teague). Grazie a un sapiente montaggio cui collabora anche
Martin Scorsese, è una cronaca audiovisiva che sa rendere anche il senso fisico di quel-
l’evento irripetibile. Nel 1970 vince il premio Oscar come il miglior documentario.
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hitleriana e quella atomica, in Sgt. Pepper Lonely Heart Club Band sono presenti un’escla-
mazione di gioia e una dimostrazione di cosa significhi essere vivi». Timothy Leary, dal
canto suo, rincara la dose e, probabilmente sotto effetto di stupefacenti, dice: «Oggi ho
avuto la conferma che i Beatles sono dei mutanti, prototipi di agenti rivoluzionari inviati
da Dio e dotati di un misterioso potere di creare una nuova specie, una giovane razza di
uomini liberi e ridenti... ...i Beatles sono la più vigorosa incarnazione divina mai pro-
dotta dalla razza umana».
L’amore è tutto.
Come per gli artisti vicino al movimento hippie, anche per i Beatles il 1967 rappre-
senta l’anno di massima creatività e il momento culmine della loro popolarità. A fine
giugno la BBC commissiona al gruppo, come contributo dell’Inghilterra per l’Our World,
programma televisivo in onda in tutto il mondo, un brano inedito da presentare in di-
retta. L’emittente chiede che sia una canzone contenente un messaggio semplice che fosse
comprensibile per gli spettatori di tutte le nazionalità. Lennon scrive di getto All You Need
Is Love (Tutto ciò di cui hai bisogno è amore) e, in conferenza stampa, dice: «Questa can-
zone non può essere male interpretata. Il messaggio è chiaro: l’amore è tutto».
Anni dopo, quando gli chiesero se canzoni come Give Peace A Chance e Power To The
People fossero canzoni di propaganda politica, Lennon risponde: «Certamente. Così
come lo è All You Need Is Love. Sono un rivoluzionario: la mia arte è sempre impegnata
per il cambiamento, per il progresso». Vista la popolarità raggiunta dalla band George
Martin, loro produttore e spesso definito “quinto” Beatles, convince la band a girare un
nuovo film per la televisione. Sul primo canale della BBC il giorno dopo Natale, il 26 di-
cembre 1967, viene trasmesso Magical Mistery Tour, film che nelle intenzioni di Martin
avrebbe dovuto imprimere su pellicola l’anima psichedelica dei Beatles. E invece è un
fiasco totale: la storia è caotica e raffazzonata e i quattro, forse tranne Ringo, non sanno
recitare, sembrano lì per caso. Si salva la colonna sonora, uscita successivamente su un
doppio EP che contiene, oltre il brano che dà il titolo al film, anche altre canzoni dal-
l’ispirazione lisergica come Fool On The Hill, Blue Jay Way, scritta da Harrison, e I Am
The Walrus.
L‘anno dopo la band tenta ancora una volta la via del cinema. Ma questa volta è un
grande successo di pubblico e critica. Il merito è del lungometraggio animato Yellow
Submarine, che prende il titolo dalla canzone pubblicata sull’album Revolver, dove i
quattro appaiono solo in una breve sequenza finale e nel resto del film sono sostituiti
dalla propria immagine disegnata. Il film è una via di mezzo tra l’apologia del mito-
Beatles e un’innovativa esperienza figurativa, la critica lo definisce un mix tra art-nou-
180 9
veau, surrealismo e pop art.
Dopo il boom di Yellow Submarine a febbraio, assieme alle rispettive mogli e fidan-
zate, i Beatles vanno in India, nell’Ashram di Maharishi Mahesh Yogy a Rishikesh. As-
sieme a loro ci sono Donovan, Mike Love dei Beach Boys, Mia Farrow e sua sorella
Prudence. Sul soggiorno dei baronetti in India si è molto fantasticato, soprattutto sul fatto
che i Beatles avessero trovato in Maharishi una nuova fonte di ispirazione per la loro mu-
sica. In realtà le cose sembra siano andate in modo ben diverso. Ringo, dopo un paio di
giorni, non ne può più del cibo speziato e reclama a gran voce uova e patatine fritte; John
Lennon non perde occasione di fare battute sull’evidente interesse del santone per Pru-
dence Farrow, e non proprio dal punto di vista spirituale; a Paul da fastidio la troppa
gente che soggiorna nel villaggio; l’unico che manifesta qualche interesse per la spiritua-
lità e la cultura indiana è George Harrison. Molti altri artisti e star seguirono l’esempio dei
Beatles negli anni successivi, da Clint Eastwood e Andy Kaufmann al medico Deepak
Chopra, e la scuola del Maharishi si trasforma pian piano in una vera e propria industria,
con un giro d’affari di milioni di dollari. Chopra, il medico guru allievo di Maharishi, ha
sempre spiegato che l’atteggiamento poco spirituale dei Beatles fosse dovuto dal loro
massiccio uso di droghe.
Nonostante tutto, quel viaggio spinge un’intera generazione verso l’India, contri-
buendo a far scoprire a milioni di ragazzi nel mondo le filosofie orientali, le religioni non
cattoliche, le tecniche della meditazione trascendentale e la figura stessa del Maharishi,
una delle figure più influenti nella cultura giovanile degli anni Sessanta. Uno dei mantra
più celebri e amati dai Figli dei fiori è «Don’t fight darkness. Bring the light, and darkness
will disappear», cioè non combattere l’oscurità, porta la luce e l’oscurità scomparirà. Ma-
harishi muore il 6 febbraio 2008 per cause naturali a 91 anni nella sua abitazione di Vlo-
drop, in Olanda, vicino ad Amsterdam.
Tornati in Inghilterra a novembre del 1968 esce il doppio long playing White Album
confezionato con una copertina tutta bianca, molto elegante, che - al di là delle facili in-
terpretazioni - ha un significato ben preciso: i quattro si odiano a tal punto che non
possono usare un’immagine insieme. Il gruppo, infatti, sta andando in pezzi: Lennon,
McCartney e Harrison lavorano separatamente come compositori e interpreti, utiliz-
zando l’apporto degli altri membri solo come band di spalla. La maggior parte delle
canzoni del White Album (trenta, senza alcun legame di stile o genere che le leghi e dove
sono sperimentati tutti i generi musicali, dal pop, al rock, country, jazz, blues) vengono
composte durante il ritiro spirituale in India, dal santone Maharishi Mahesh Yogi. No-
nostante questi diverbi intestini, il disco è riuscito grazie a canzoni come Back in the
USSR; Ob-La-Di, Ob- La-Da; While My Guitar Gently Weeps; Helter Skelter; Revolution;
:181
Blackbird e molte altre.
Nel 1969, insieme al movimento hippie, cala il sipario anche per i Beatles. Il gruppo,
che da tempo ha rinunciato a esibirsi dal vivo, pubblica Abbey Road, che può essere de-
finito l’ultimo album in studio inciso dai Beatles, visto che il successivo Let It Be contiene
canzoni registrati in precedenza. Abbey Road ha una struttura unica nella discografia del
periodo: il lato B è costituito quasi interamente da un lungo medley in cui i brani si sus-
seguono senza soluzione di continuità, con temi ripresi e variazioni, formula che anticipa
le suite che caratterizzeranno parte della produzione rock-progressive degli anni Set-
tanta. Nel lato A compare Come Together, scritta da Lennon; Here Comes The Sun, la più
celebre canzone scritta da Harrison; e Octopus’s Garden, la seconda e ultima composizione
firmata da Ringo per il gruppo.
182 9
LE cAnZonI SLogAn
:183
pulsante e un accompagnamento di chitarra unico. Con questo brano il gruppo
debutta ufficialmente negli ambiti psichedelici, sperimentando le nuove sono-
rità e lasciando dietro loro il garbato folk-rock californiano dei primi album.
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All across the nation
Such a strange vibration
People in motion
There’s a whole generation
With a new explanation
People in motionPeople in motion
For those who come to San Francisco
Be sure to wear some flowers in your hair
If you come to San Francisco
Summertime will be a love-in there
If you come to San Francisco
Summertime will be a love-in thereSummertime will be a love-in there
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I Feel Like I’m Fixin’: To Die Rag – Country Joe McDonald (1967)
È l’inno irriverente, goliardico e sfrontato contro la guerra in Vietnam: la sua
rabbiosa esibizione a Woodstock e le tematiche anti-militari portano il califor-
niano Country Joe a imporsi all’attenzione dei movimenti pacifisti di tutto il
mondo. Durante le esibizioni dal vivo l’artista invita il pubblico allo spelling
della parola «F-U-C-K», esortando la folla a reagire contro una politica estera
che voleva gli Stati Uniti impegnati in Vietnam a combattere una guerra già
persa. A Woodstock Country Joe coinvolge in questo grido mezzo milione di
persone.
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That’s It For The Other One - Grateful Dead (1968)
È una lunga suite composta da improvvisazioni e prolungati assolo, un primo
esempio di musica realizzata sotto l’effetto dell’Lsd. Il brano porta la firma di tutti i
componenti del gruppo ed è costruito con sovraincisioni di nastri “live” e registrati
in studio. Suonato utilizzando strumenti classici ed elettronici, adotta tribali soluzioni
ritmiche. Di difficile ascolto, ma di grande fascino, è incluso nell’album Antehm Of
The Sun, il secondo dei Grateful Dead.
:187
primo perché la scaletta viene scombussolata a causa dell’enorme, e non previsto, af-
flusso di pubblico che ha creato un gigantesco ingorgo sulla Route 17B, la strada prin-
cipale che porta alla sede del festival, la fattoria di Max Yasgur vicino a Bethel. I
musicisti non riescono a raggiungere il luogo del concerto, tanto che viene organiz-
zato un servizio navetta con diciotto piccoli elicotteri che trasportano tre persone per
volta più il pilota. L’unico gruppo “da tre” è quello di Richie Havens che si fa accom-
pagnare dal chitarrista Paul “Deano” Williams e dal percussionista Daniel Ben Ze-
bulon. E così loro sono i primi a salire sull’elicottero. Freedom viene improvvisata sul
palco di Woodstock (sul giro di accordi di Motherless Child) perché Havens ha finito
le canzoni del suo repertorio ma continua a essere richiamato sul palco dal pubblico
e anche perché il gruppo che deve esibirsi dopo di lui non è pronto. Forse è proprio
grazie a quella clamorosa esibizione che si innesca la scintilla fra il palco e la stermi-
nata platea di Woodstock, mezzo milione di giovani che risentono di quella carica spe-
ciale ed esprimono, assieme all’artista, il grido di libertà e di pace. Un’invocazione
contro la guerra in Vietnam eseguita davanti fronte al più grande raduno pacifico e
pacifista mai riunito.
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AdunATE RocK
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Swingin’ London del 1967. All’organizzazione del concerto partecipa anche la reda-
zione dell’International Times, il primo giornale underground londinese. A metà se-
rata fa la sua comparsa anche John Lennon, come semplice visitatore, e la leggenda
vuole che proprio a questa megafesta s’innamori di Yoko Ono, presente in qualità di
artista, conosciuta pochi mesi prima in una libreria. Sono circa quaranta i gruppi che
danno vita a questo gigantesco happening multimediale destinato a restare nella
storia del rock: tra i quali Syd Barrett e i Pink Floyd, Keith West e i Tomorrow, i Mi-
sunderstood di Tony Hill, i Creation del chitarrista e sperimentatore Eddie Phillips,
Hapshash & Coloured Hat, i Soft Machine, i Pink Fairies, i Social Deviants, Marc
Bolan con i John’s Children, i Purple Gang, i Syn di Peter Banks e Chris Squire e
una lunga sequenza di gruppi destinati a vivere soltanto quel momento di gloria.
190 9
album (ora disponibile in CD) intitolato semplicemente Woodstock dove sono pre-
senti alcune delle performance più significative.
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1971 New York (Usa)
Concert for Bangladesh
Anche questo evento ha segnato un’epoca: è stato il primo esempio di concerto
rock organizzato per raccogliere fondi a scopo benefico. George Harrison, ormai
svincolato dai Beatles, risponde a un invito dell’artista indiano Ravi Shankar e chiama
con sé grandi stelle della musica rock per raccogliere fondi a favore delle popolazioni
di profughi della guerra civile tra India e Pakistan, conflitto che portò in seguito alla
costituzione dello stato del Bangladesh. Harrison organizza due spettacoli dal vivo
l’1 e 2 agosto che fanno registrare il tutto esaurito al Madison Square Garden di New
York, grazie alla presenza di ospiti illustri come Bob Dylan, Ravi Shankar, Eric Clap-
ton, Leon Russell, Billy Preston e Ringo Starr. Non ci sono Paul McCartney (per
questioni legate al suo management) e John Lennon (per il rifiuto da parte di Har-
rison di un’esibizione in coppia con Yoko Ono). Dal concerto sono stati tratti un tri-
plo album e un film, The Concert for Bangladesh, oggi disponibili in CD e DVD.
1972 Roma
Festival Pop Villa Pamphili
Anche l’Italia ha la sua piccola Woodstock: è il raduno di Roma a Villa Pamphili,
in programma a maggio, che richiama sul palco il meglio dei gruppi pop e progres-
sive del momento. L’edizione culminante è quella che si svolge nel 1972, tra il 25 e il
27 maggio: 300 lire il biglietto, oltre trecento persone sul prato per tre giornate di con-
certi, in programma dalle 16 alle 24. L’idea di un evento specifico per la musica gio-
vanile risale al 1970, quando in ottobre, sempre a Roma ma alle Terme di Caracalla,
si organizza una minirassegna di gruppi pop. Visto il discreto successo si decide di
192 9
replicarla anche l’anno successivo. Ma per il 1972 si fanno le cose il grande: il parco
della grande villa romana è preso d’assalto da oltre trecento giovani attrezzati con
tende e sacchi a pelo e sotto un grande striscione dove c’è scritto Pace e natura si esi-
biscono Banco del Mutuo Soccorso, Trip, Osanna, New Trolls, Stormy Six, Semira-
mis, Paese dei Balocchi, Forum Livii, Alluminogeni, Capitolo 6, Era d’Acquario, Latte
e Miele, Garybaldi, Fholks, Claudio Rocchi, Osage Tribe, Procession, Quella vec-
chia locanda, Capsicum Red, Ritratto di Dorian Gray, Raccomandata con Ricevuta
di Ritorno e importanti ospiti internazionali come Van Der Graaf Generator, Hawk-
wind e gli Hookfoot di Caleb Quaye. Nel doppio CD Pop Villa Pamphili sono rac-
colti i brani presentati nella due giorni romana, ma purtroppo non sono quelli
registrati dal vivo in occasione del concerto.
:193
SuL gRAndE ScHERMo
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Il professor matusa e i suoi hippies di Luigi De Maria (1968)
Ovviamente l’Italia ha seguito la scia del flower power e tra i musicarelli - i
film cui la sceneggiatura è scritta prendendo spunto dal testo della canzone di
successo - ecco questa pellicola ispirata più che a una canzone a una parola di
moda del momento, perché la storia e gli interpreti principali - Gigliola Cin-
quetti e Little Tony - non hanno nulla a che vedere con il movimento califor-
niano. Una piccola parte l’ha anche Caterina Caselli, forse quella che più ricorda
i Figli dei fiori, anche se lei di definisce una cantante beat. Questa la trama: per
impedire le nozze tra il figlio Sergio e la giovane Orietta, che ha velleità di can-
tante, il sindaco di un piccolo paese, che odia la musica leggera, chiede allo stra-
vagante professor Matt Beat di persuadere il giovanotto a lasciar perdere la
ragazza. Contemporaneamente, però, anche Orietta si rivolge a lui, pregandolo
di intercedere in suo favore presso il sindaco. Preso tra due fuochi, Matt Beat si
rivolge in favore dei due giovani, e quando Orietta abbandona la casa per rag-
giungere Sergio, partito per il servizio militare, ne facilita la fuga mettendole a
disposizione la propria automobile. Approfittando della situazione, Stella, una
giovane innamorata di Sergio, sottrae dei gioielli dalla casa del sindaco, facendo
in modo che la colpa ricada su Orietta. Il sindaco, allora, si pone decisamente
all’inseguimento di Matt Beat, raggiungendolo a Napoli, davanti alla caserma
in cui dovrebbe trovarsi Sergio. Il giovane, però, che ha ricevuto il trasferimento
ad altra sede, è tornato di passaggio al paese. A questo punto Matt Beat e il sin-
daco, formato un unico equipaggio tornano indietro, in tempo per vedere Ser-
gio e Orietta acclamati dalla popolazione, mentre Stella, nel frattempo ha trovato
il modo di restituire di nascosto i gioielli rubati. Così, tenendo anche conto che
non gli conviene, per ragioni elettorali, inimicarsi la popolazione, il sindaco con-
cede finalmente il suo consenso alle nozze tra i due giovani.
:195
Alice’s Restaurant di Arthur Penn (1969)
Film tributo alla Love Generation: è la cronaca di una vita hippie, basata sulla fa-
mosa canzone di Arlo Guthrie, figlio del leggendario cantautore Woody Guthrie.
Racconta la storia del viaggio del ventiduenne Arlo che cerca un posto per sé e la sua
musica e lo trova in un ristorantino a Stockbridge, nel Massachusetts, gestito da
amici. Qui termina le sue peregrinazioni, trova pace continuando però a essere li-
bero e credere nelle sue idee lontano dai soliti schemi. Arthur Penn conquista la no-
mination all’Oscar.
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Harold & Maude di Hal Ashbi (1971)
Una delle coppie più belle mai apparse sul grande schermo, Ruth Gordon e Bud
Cort, sono protagonisti di una storia che sfida tutte le convenzioni sulle storie
d’amore. Harold è un giovane annoiato dalla ricchezza e attratto dalla morte; Maude
un’arzilla vecchietta fiduciosa verso la vita e il mondo. Un film stravagante, coinvol-
gente e spiritoso che dimostra che l’amore non conosce barriere. Colonna sonora di
Cat Stevens.
:197
della bassa padana, che si lascia crescere i capelli senza un motivo ideologico, soltanto
perché «è di moda». All’azienda dove lavora non piace e lo obbliga ad andare dal
parrucchiere e presentarsi al lavoro con un aspetto più consono. Michele va a casa,
ne parla con la famiglia (molti di loro impiegati nella stessa azienda) che non ne
fanno un dramma. «Tagliateli, se non si può non si può. Cosa te ne frega…». Ma de-
cide di sfidare il capo: si tiene i capelli lunghi perché è una persona “libera” e si sente
vittima di un’ingiustizia. Michele finisce male: il capo del personale gli consiglia di
prendere un periodo di riposo, poi lo manda in cura da uno psichiatra, poi ancora
a casa. I rapporti con la famiglia con il passare del tempo si fanno sempre più tesi.
Michele, alla fine, perderà tutto: lavoro, famiglia, affetti.
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In bIbLIoTEcA
:199
mensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di sce-
gliere tra molti prodotti diversi. « Una confortevole, levigata, ragionevole, demo-
cratica non-libertà - si legge nelle prime pagine - prevale nella civiltà industriale
avanzata, segno del progresso tecnico».
200 9
tano la rivoluzione, cercando di trascinare l’America e gli americani su una via più
allegra. Wolfe declina sempre l’offerta di Lsd e annota, raccontando al mondo la na-
scita della controcultura hippie, dell’arte psichedelica e di tutto ciò che ha fatto degli
anni Sessanta un momento di eccezionale ispirazione.
:201
ama i Goodyear”. Se non posso più dire “ti amo”, allora dico solo parolacce!». E, visto
che il turpiloquio negli Stati Uniti all’epoca era proibito, gli hippie si facevano arre-
stare a decine. Do It! è una dichiarazione di guerra fra le generazioni: tra le pagine
si incita i ragazzi a lasciare le loro case, vivere in comuni, ascoltare nuova musica, bru-
ciare le scuole per creare una società nuova dalle ceneri della vecchia. Rubin conclude
invitando i giovani a non fidarsi mai di chi ha più di 30 anni. Nelle note di coper-
tina si legge: «Questo libro è una bottiglia Molotov nelle vostre mani».
202 9
approdo a un impegno politico “radicale” sia stato determinato da fattori psicologici,
storici e sociali. Si tratta di quattordici attivisti che, nel 1967, lavorarono alcuni mesi
per la Vietnam Summer, un’organizzazione che si opponeva all’impegno militare
americano nel Sud-Est asiatico. Mediante una serie di interviste registrate Keniston
ricostruisce il loro sviluppo psicologico, esamina il peso che ha avuto su di loro l’espe-
rienza della Nuova Sinistra e dimostra come il loro approdo a un impegno politico
«radicale» sia stato determinato da fattori psicologici, storici e sociali. Keniston so-
stiene che la società moderna sta creando uno specifico stadio di vita tra l’adole-
scenza e l’età adulta. I temi fondamentali sui quali questi giovani militanti - che
l’autore identifica come la «gioventù postmoderna» - tornano con insistenza sono il
benessere, il mutamento e la violenza. Il loro atteggiamento verso questi temi risulta
decisivo nella loro ricerca di risposte e soluzioni a problemi che riguardano tutti.
L’analisi fornisce spunti di ricerca molto stimolanti anche per analoghe situazioni
italiane.
:203
gRAfIcA PSIcHEdELIcA
Quasi tutte le pubblicazioni uscite tra il 1965 e il 1970, dai libri ai giornali, dai
poster alle copertine dei dischi, rompono con la grafica tradizionale e adottano
quello che è comunemente conosciuto come lo stile psichedelico. Spesso di let-
tura non facilissima, questa grafica rompe gli schemi tra testo e immagine, li
fonde insieme, tra pieni e vuoti e introduce l’elemento del disordine in quella
che era la rigidità degli schemi d’impaginazione. Il lettering, come detto, a volte
rischia di essere incomprensibile e i colori sono pieni e volutamente violenti.
Una buona palestra per i grafici di questo periodo sono i manifesti che annun-
ciano i concerti rock, dove possono sbizzarrirsi con un’infinità di nomi da ri-
portare tra giochi geometrici e con scelte di colore violentissime che richiamano
l’attenzione.
Anche nell’arte, come nella musica, a guidare la mano sono la consapevo-
lezza della libertà: si disegna quindi senza limiti cromatici o stilistici, e l’effetto
è quello, dicono gli artisti, della psichedelia ottenuto dalle droghe. I nomi di al-
cuni illustratori cominciano a essere popolari come le rockstar, così come i loro
rispettivi stili: Rick Griffin è un maestro nel lettering più arzigogolato e abbinato
a visioni iperrealistiche tipo Salvador Dalì; Stanley “Mouse” Miller si avvicina
più allo stile Belle Epoque; Victor Moscoso è uno specialista di collage; mentre
le prime scritte di Wes Wilson s’ispirano alla cover Rubber Soul dei Beatles e alle
opere dell’espressionista viennese fin-de-siécle Alfred Roller. Tra gli artisti tra i
più quotati c’è anche Alton Kelly, membro della Family Dog, che battezza il suo
stile «electric age folk art».
Tra loro non c’è nessuna rivalità, sono amici e si scambiano impressioni e pa-
reri, s’influenzano l’uno con l’altro. Wilson, ad esempio, è l’unico che ha nel suo
studio una pressa per la stampa che mette a disposizione degli altri colleghi. Le
loro opere, soprattutto poster e copertine dei long playing, che diventano un
elemento fondamentale per la musica e i loro protagonisti: non può esserci un
204 9
concerto senza un poster creato e disegnato per l’occasione; così come un album
di acid-rock, non può prescindere da una copertina con grafica psichedelica.
L’anno del grande lancio dei poster psichedelici è il 1966, quando a San Fran-
cisco si annuncia un concerto rock ogni giorno. A commissionare i manifesti
sono direttamente gli organizzatori delle serate, che lasciano assolutamente
mano libera ai grafici perché si fidano della loro creatività e chiedono soltanto
che il nome della band sia messo in risalto. I manifesti restano appesi un solo
giorno, perché la gente li stacca dai muri per appenderli in casa: ai concerti co-
minciano quindi a distribuirli gratis.
L’innovazione grafica arriva anche dai fumetti, di produzione chiaramente
underground, tranne quelli dei supereroi della Marvel Comics, i primi a intro-
durre innovazioni nell’uso dei colori e delle sceneggiature, spesso ambientate
fuori dal mondo, in spazi distorti e allucinatori.
:205
TEATRo on THE RoAd
Il teatro, assieme alla musica, è una delle forme di massima espressività e, allo
stesso tempo forse la più intellettuale, del movimento hippie. La prima compagnia
teatrale è la San Francisco Mime Troupe fondata da Ronny Davis, che ha come sede
una vecchia chiesa in Capp Street. Anche il teatro segue le regole del movimento:
deve essere di tutti e per tutti e aperto a tutti. Davis e la sua compagnia cominciano
a realizzare rappresentazioni gratuite all’aperto, dei veri e propri happening nei par-
chi cittadini o per le strade della città, dove mettono in scena su un palco di fortuna
commedie classiche o nuovi testi di autori contemporanei. Nei primi anni le com-
medie messe in scena sono soprattutto quelle dei testi classici (soprattutto di Ru-
zante, Molière e Goldoni). Col tempo, però, questi autori non bastano a soddisfare
il bisogno di improvvisazione che il collettivo esprime; una tecnica, quella dell’im-
provvisazione, che viene utilizzata sia come processo creativo, per le nuove messa in
scena, sia come richiamo per il pubblico durante gli spettacoli. Nel 1965 Davis è ar-
restato per aver rappresentato Il candelaio di Bruno nel Golden Gate Park nono-
stante l’autorità municipale avesse revocato l’autorizzazione per l’eccessiva volgarità
dello spettacolo, giudicato un testo «di cattivo gusto» e «poco adatto ai cittadini che
frequentano il parco». Davis e gli attori si difendono sostenendo che i parchi ap-
partengono alla gente e che, in base al principio della libertà di parola, la compagnia
e i suoi attori hanno il diritto di esibirsi. Al processo Davis viene condannato e, la sera
stessa, i Mime Trupe organizzano uno spettacolo per raccogliere soldi per pagare un
processo d’appello. Lo spettacolo si tiene nella nuova sede della compagnia, un loft
al 924 di Howard Street, tra la 5a e la 6a strada, un grande e spazioso locale che con-
dividono con il gruppo degli Sds, gli Student for a Democray Society, una delle prin-
cipali organizzazioni contro la guerra.
I Mime Troupe entrano in contatto con la comunità dei Diggers, con i quali col-
laborano e, insieme, trasformano il quartiere di Haight-Ashbury in una sorta di li-
ving theatre, organizzando numerose performance stradali come Morte e rinascita
206 9
di Haight-Ashbury e morte del denaro e la La morte dell’hippie. Proprio in una di
queste performance stradali nascono le luci caleidoscopiche. Gli spettacoli e le per-
formance si avviano verso una rapida politicizzazione, i testi sono apertamente con-
tro le decisioni di azioni militari del Governo e a favore delle droghe libere: una
discussione sul Vietnam e sul pacifismo accompagna L’eccezione e la regola di Brecht
(1965), temi ripresi anche nell’Amante militare di Goldoni del 1967. Un articolo di
Davis apparso nel 1966 sulla rivista Tulane Drama Review dal titolo esplicativo Il
teatro di guerriglia diventa quasi un manifesto, mentre le tecniche spettacolari (clow-
nerie, travestimenti, umorismo, bande musicali, maschere) tendono al coinvolgi-
mento del pubblico.
Intanto sceneggiature e regie teatrali s’inquadrano politicamente nelle azioni della
Nuova Sinistra Americana, occasione anche per stringere una sorta di sodalizio con
il Black Panther Party. Il testo dello spettacolo Centerman parla delle torture fisiche
e morali inflitte a un prigioniero di guerra, Search and Seizure denuncia invece la du-
rezza della legge federale sugli stupefacenti. A questo punto anche la Cia e Fbi co-
minciano a interessarsi al teatro di strada e aprono fascicoli sui Mime Troupe. Il
1970 segna un momento decisivo nella crescita di questa forma di teatro d’opposi-
zione. Il lavoro di preparazione per The Congress of the White Washers (l’incompiuta
Turandot di Brecht) genera una spaccatura fra i membri della Compagnia. Davis si
dimette (poco dopo fonda il gruppo di controinformazione Praxis) mentre alcuni
attori della compagnia creano un nuovo collettivo che sceglie, di volta in volta, di
mettere in scena i temi più scottanti fra quelli denunciati dall’opposizione radicale:
dai diritti civili al conflitto razziale, dallo sfruttamento industriale alle collusioni eco-
nomico-governative.
:207
PoLITIcA coI fIoRI
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fitrioni dalla personalità un po’ troppo ingombrante per gli altri attivisti. Inol-
tre, i punti del programma del partito dove si esprime il concetto che il “privato”
deve diventare “politico” è già stato scavalcato da vari movimenti, americani ed
europei, come quelli delle femministe e dei gay-lesbo.
Alla fine emerge il vero disegno di Hoffman e Rubin: i due, con l’aiuto di un
inconsapevole John Lennon, cercano di far confluire il movimento hippie al-
l’interno della Sinistra radicale americana, in parte riuscendoci.
«I nostri sorrisi sono il nostro vessillo politico e la nostra nudità è il nostro marchio»
«Vietato vietare»
«Nel migliore dei casi la vita in questa società è una noia tremenda»
:209
«Più mi ribello, più faccio l’amore»
«Se non leggi la stampa alternativa non puoi sapere come va il mondo»
In merito agli slogan dei Figli dei fiori, l’ex leader del Movimento studente-
sco, Mario Capanna, nel suo libro Il Sessantotto al futuro (ed. Garzanti) scrive:
«“Mettete dei fiori nei vostri cannoni” e “Fate l’amore non la guerra” sono stati
due fra i più famosi inviti del Sessantotto rivolti a generali, “statisti”, militari, po-
liziotti. I due slogan - come tutti gli slogan - sintetizzavano forse troppo, ma il
loro contenuto metaforico era inequivoco: la guerra è, in ultima analisi, attività
barbara e stupida (e infatti non ce n’è mai stata una capace di eliminare più gente
malvagia di quanta ne abbia suscitata), rispetto a cui è di gran lunga preferibile,
e molto più piacevole, essere gentili, amarsi, costruire convivenza e pace. La ri-
sposta all’invito è nota: ci fu recapitata con i carri armati, i bombardieri, le stragi.
Così, oggi, siamo alla teorizzazione - e alla pratica - della “guerra preventiva”.
Qui aberrazione e follia si amalgamano».
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:211
:
UNA RIVOLUZIONE
PARTITA DAL CUORE
di Elio Fiorucci
212 9
la storia della moda e del costume, fornendo poi periodicamente una
giustificazione culturale per infrangere le regole del bon-ton, rappresen-
tato di volta in volta, negli anni successivi, dal minimalismo, dall'assenza
di colore e di fantasia, in poche parole dalle omologazioni e diktat im-
posti dagli stilisti.
Una rivoluzione partita dal cuore e dalla pancia, e arrivata di-
rettamente al cuore e alla pancia della gente per rimanervi per decenni
come icona, memoria, percorso ideale di conoscenza ed esempio unico
di gioia di vivere e creatività assolute.
Diceva Henry Miller negli anni Cinquanta «Ricordati, la vita è
sempre più strana dell'immaginazione. Più vera, più reale, più fantastica,
più poetica, più terribile, crudele e affascinante. Hurrah alla vita».
Hurrah agli hippie.
:213
Bibliografia :
Angela Carter Note per una teoria dello stile anni Sessanta
Editori Riuniti - Roma, 2002
214 9
Ezio Guaitamacchi Peace & Love
Ed. Riuniti - Roma, 2004
:215
Fernanda Pivano Beat hippie yippie!
Bompiani - Milano, 1977
———————
216 9
Indice dei nomi :
A
Abramson, Jeryl 161
Adler, Lou 65, 189
Albergo Intergalattico Spaziale 122
Allende, Salvador 74,
Alluminogeni 193
Alpe, Richard 200
Altobelli, Rudy 89,
Animals 66, 134,
Ann, Mary 88, 91,
Antoine 121, 122
Antonioni, Michelangelo 136, 194, 196
Arbore, Renzo 110, 123, 125, 128, 129
Arthur, Chester 59,
Arthur, Gavin 59,
Ashbi, Hal 197
Association, The 189
Atkins, Susan 91, 92,
Avanti! 117
B
Baader, Andreas 143
Babbs, Kenneth 42, 50
Bachmann, Joseph 143,
Baez, Joan 21, 79, 83, 95, 112, 167, 190, 191
Bailey, Ella Jo 89,
Balin, Marty 97,
Banco del Mutuo Soccorso 193
Band 84, 95, 96, 190
Banks, Peter 190
Bardot, Brigitte 168
Barger, Ralph “Sonny” 42,
Bardi, Donatella 123
Barrett, Syd 190
Battiato, Franco 122
Battisti, Lucio 121, 122, 125
Beach Boys 45, 89, 90, 91, 176, 181, 183
218 9
Beatles, 65, 83, 90, 95, 102, 110, 120, 133,
134, 135, 136, 137, 154, 175, 179,
180, 181, 182, 187, 189, 192, 204
Beausoleil, Bobby 89, 91,
Beck, Jeff 121
Berg, Peter 53,
Berger, Candice 90,
Bertè, Loredana 124
Berti, Orietta 121
Beverly, 189
Big 110
Big Brother & The Holding Company 26, 27, 45, 49, 52, 56, 66, 97, 172, 189
Black Panther Party 54, 98, 135, 207
Black Widow 191
Blood Sweet & Tears 95, 190
Blues Project, The 189
Bocca, Giorgio 113
Boncompagni, Gianni 110, 125
Bongiorno, Mike 121
Bolan, Marc 190
Booker T & The MG’s 66, 189
Boyd, Joe 135
Bowen, Michael 52, 59, 60, 61, 72, 159,
Brand, Stewart 49, 153
Brandt, Willy 142
Branzi, Andrea 126
Brock, Alice 185
Brown, H. Rap 80,
Brown, Penny 124
Bruce, Lenny 202
Brunor, Mary Theresa 88,
Bugliosi, Vincent 92
Buffalo Springfield 45, 54, 66, 189
Burdon, Eric 66, 189
Burroughs, William 127, 136, 161
Butterfield Blues Band 66, 95, 189, 190
Byrds 44, 45, 57, 66, 183, 189, 191
C
Cactus 191
Camaleonti 120, 122
Camerini, Alberto 123
Camisasca, Juri 122
Canned Heat 45, 189, 190, 191
Capanna, Mario 210
Capitolo 6 193
Capsicum Red 193
Carlos, John 79, 80, 178
Carmichael, Stokely 80,
Carroll, Lewis 55, 186, 199
Caruso, Enrico 26,
:219
Carter, Angela 27, 29,
Caselli, Caterina 109, 121, 122, 195
Caserta, Peggy 99,
Castell, Luria 27,
Castro, Fidel 74,
Cassady, Neal 35, 43, 50
Cederna, Camilla 113
Celentano, Adriano 122, 126
Charlatans 25, 26, 27, 45, 153, 157
Chetro & Co. 122
Chicago 191
Chopra, Deepak 181
Ciao 2001 110, 129
Ciao Amici 110
Cinquetti, Gigliola 12, 195
Circus 2000 124
Clapton, Eric 102, 121, 192
Clay, Cassius 79, 167
Clines, Tom 74,
Cocker, Joe 95, 190, 191
Cohen, Allen 47, 48, 52, 59, 60, 61, 72, 159,
Cohen, Leonard 191
Cohn-Bendit, Daniel 138, 139
Collettoni 132
Comfort, Alex 38
Corman, Roger 194
Corriere della Sera 111, 113
Corso, Gregory 127, 133
Corvi 120
Cream 84,
Creation 190
Creedence Clearwater Revival 45, 56, 95, 96, 190,
Cristaldi, Franco 197
Cristopher, George 52
Crocetta, Alberico 128
Crosby, David 57, 103, 160
Crosby Stills Nash & Young 45, 84, 95, 156, 188, 190
Cutry, Claudio 117
D
Dalla, Lucio 121
Dall’Aglio, Gianni 128
Dalì, Salvador 204
Dal Ponte, Amalia 126
Daltrey, Roger 67,
Davis, Angela 80, 167, 168
Davis, Bruce 91,
Davis, Miles 191
Davis, Ronny 206, 207
Dean, James 84,
De Bendern, Caroline 140, 141
220 9
De Gaulle, Charles 140
Delirium 122
De Maria, Luigi 195
De Piscopo, Tullio 124
De Vito, Danny 200
Diamond, Louis 134
Di Bari, Nicola 121, 122
Diggers 48, 52, 53, 58, 71, 72, 154, 164,
170, 206, 208
Dik Dik 12, 120, 122, 125, 183
Di Martino, Mino 122
Di Russo, Vittorio 111, 126
Doherty, Denny 65,
Domenica del Corriere 117
Donovan, 66, 127, 181, 191
Doors 45, 57, 84, 99, 100, 184, 191
Dow Chemicals 19
Dunbar, John 133, 135
Dutschke, Rudi 142, 143,
Dylan, Bob 21, 44, 48, 66, 83, 94, 124, 130,
161, 167, 169, 191, 192, 212
E
Eastman, Linda 83,
Esatwood, Clint 181
Eco, Umberto 113
Eisenhower, Dwight 20
Epstein, Brian 136
Electric Flag 189
Electric Train 56
Elliot, Cass 65,
Emerson, Lake & Palmer 191
Endrigo, Sergio 122
Ensslin, Gudrun 143
Enyert, James Scott 74,
Equipe 84 120, 121
Era d’Acquario 193
Esquire 81,
F
Faithfull, Marianne 121, 133, 136
Fallon, Michael, 22
Family 88, 89, 90, 91, 92, 176, 187
Family, The 191
Family Dog 27, 204
Farina, Richard 45,
Farrow, Mia 181
Farrow, Prudence 181
Fellini, Federico 132, 197
Ferlinghetti, Lawrence 46, 48, 62, 127, 133
Fholks 193
:221
Finardi, Eugenio 123
Fiorucci, Elio 114, 126, 127
Fleetwood Mac 188
Fo, Dario 122
Folger, Abigail 92,
Fonda, Jane 168
Fonda, Peter 54, 84, 85, 172, 194, 195
Fondazione Rockfeller 38
Fonteyn, Margot 70, 71
Food & Drug Administration 36,
Ford, Gerald 89,
Forman, Milos 197, 200
Formula Tre 122
Fortner, Bill 72,
Forum Livii 193
Frank, Ben 53,
Franklin, Aretha 186
Franklin, Erma 186
Free 191
Free Speach Movement, 20
Frykowski, Voiteck 91, 92,
Furay, Richie 54
G
Gagliardi, Peppino 121
Gaiman, Michelle 65,
Gandini, Giovanni 201
Gandini, Annamaria 201
Garcia, Jerry 42, 43, 168, 178
Garfunkel, Art 66, 189
Garybaldi 192, 193
Gassman, Vittorio 110
Gerbino, Melchiorre “Mel” 127,
Gerry, Alan 96, 161
Gianco, Ricky 122, 127, 128
Giganti 12, 109, 120, 121, 122
Ginsberg, Allen 12, 42, 43, 59, 61, 62, 127, 133,
159, 164, 169, 173, 177, 179, 202
Good, Sandra 88, 89, 91,
Goya, Francisco 171
Graham, Bill 27, 48, 72, 95, 158, 169,
Grappin, Pierre 139
Grateful Dead 26, 27, 43, 44, 45, 48, 49, 50, 52, 56,
62, 63, 66, 67, 68, 72, 83, 84, 95, 96,
97, 98, 120, 129, 153, 168, 187,
189, 190
Great Society 153
Gravy, Wavy 50, 94, 169
Great Society 45
Gree, Peter 188
Griffin, Rick 48, 204
222 9
Grogan, Emmett 52, 72, 97, 159, 170
Gromme, Lynn 88,
Grootveld, Robert Jasper 145
Groundhogs, The 191
Group With No Name, The 189
Guaitamacchi, Ezio 87,
Guccini, Francesco 12, 127
Guthrie, Arlo 84, 185, 190, 196
Guthrie, Woody 84, 196
Guy Magenta 128
H
Hagmann, Stuart 196
Hapshash & Coloured Hat 190
Hardin, Tim 190
Harmon, Ellen 27,
Harper’s Bazar 29
Harrison, George 90, 102, 136, 137, 179, 180, 181,
182, 192
Hartman, Peter 122
Havens, Richie 83, 95, 187, 188, 190, 191
Hawkwind 193
Heinlein, Robert 36,
Hell’s Angels 41, 42, 57, 58, 60, 61, 97, 98, 159,
179, 194
Helms, Chet 27, 158
Hemingway, Ernest 201
Hemmings, David 194
Hendricks, George “Chocolate” 57, 58,
Hendrix, Jimi 12, 45, 66, 67, 68, 83, 84, 94, 96, 99,
120, 134, 156, 161, 170, 178, 179,
189, 190, 191, 212
Hicks, Dan 25
Hicks, Tony 130
Hill, Tony 190
Hinman, Gary 91,
Hoffman, Abbie 75, 76, 79, 134, 154, 155, 170, 175,
177, 208
Hofmann, Albert 31, 32, 33, 43, 171
Hog Farm 94, 169
Hollies 121
Holtom, Gerald 171, 209
Hookfoot 193
Hopper, Dennis, 63, 84, 155, 172, 186, 194, 195
Howard, Roy 161
Humphrey, Hubert 75, 143,
Hunter, George 25
Hunter, Meredith 98
Hopkins, John 135,
Huxley, Aldous 31,
:223
I
Incredible String Band 190
International Times 133, 136, 190
It’s a Beautiful Day 56, 186, 191
J
Jackson, George 168
Jagger, Mick 66, 68, 98, 99, 121, 136, 182, 202
Jakobson, Gregg 89,
Jefferson Airplane 12, 26, 27, 44, 45, 48, 49, 55, 56, 62,
66, 67, 69, 84, 95, 96, 97, 120, 124,
129, 153, 156, 161, 169, 177, 186,
189, 190, 191, 199
Jethro Tull 191
Jewison, Norman 197
John’s Children 190
Johnson, Lyndon 19
Johnson, Vernon 124
Johnson, Virginia 38
Jones, Brian 66, 68, 98, 99, 155, 182, 202
Jones, James 37, 38
Jones, Ronnie 124
Joplin, Janis, 12, 26, 27, 44, 45, 66, 67, 69, 95, 97,
99, 120, 153, 156, 161, 172, 178,
186, 189, 190
Junger, Ernst 32
K
Kandel, Lenore 48, 62, 172, 173
Kasabian, Linda 91, 92
Kaufmann, Andy 181
Kelly, Alton 27, 204
Keniston, Kenneth 202
Kennedy, John Fitzgerald 19, 40, 73, 75, 76, 77, 153, 173
Kennedy, Robert 73, 74, 75, 79, 173
Kerouac, Jack 127
Kesey, Ken 34, 35, 36, 42, 43, 44, 49, 50, 63, 94,
138, 153, 159, 169, 173, 174, 200
Kiesinger, Kurt George 142
King, Martin Luther 21, 40, 41, 73, 80, 174, 178
King Crimson 84,
Kinsey, Alfred 37, 38
Kooper, Al 45, 66, 189,
Kornfeld, Artie 93, 94, 190
Krenwinkel, Patricia 88, 89, 91, 92
Kristofferson, Kris 191
Ku Klux Klan 40,
L
LaBianca, Leno 92
LaBianca, Rosemary 92
224 9
Lang, Michael 93, 94, 190
Lanzini, Paolo 122
Laughlin, Chan 25, 157,
Latte e Miele 193
Leali, Fausto 122
Leary, Timothy 24, 33, 34, 35, 42, 44, 49, 50, 51, 61,
62, 101, 134, 153, 169, 173, 174,
180, 200
Led Zeppelin 84,
Lee, Alvin 83,
Lee Masters, Edgar 127
Lega per la Ricerca Spirituale 34,
Leibovitz, Annie 175
Lennon, John 69, 79, 83, 101, 102, 133, 136, 137,
155, 162, 175, 177, 179, 180, 181,
182, 190, 192, 209
Lerner, Murray 191
Lesh, Phil 42
Lichtenstein, Roy 163
Liuzzo, Viola 41
Lloyd Webber, Andrew 197
Love, Mike 181
Lurio, Don 132
M
Maddox, Fathleen 87
Madre Teresa di Calcutta 170
Mahavisnu Orchestra 129
Mahesh, Maharishi 137, 154, 181, 187
Maiocchi, Ricky 120, 121,
Mailer, Norman 201
Malcom X 40, 41, 80, 135, 175
Mama’s & Papa’s 45, 56, 64, 65, 67, 83, 131, 183,
185, 189
Manson, Charles 87, 88, 89, 90, 91, 92, 155, 176, 187
Manson, Valentine Michael 88,
Marabelli, Franco 126
Marcuse, Herbert 176, 199
Martin, George 180
Marry Pranksters 34, 35, 36, 42, 43, 50, 94, 159, 174, 200
Marx, Groucho 146, 170
Marx, Karl 146, 176
Masekela, Hugh 66, 189
Masters, William 38
McCarthy, Joseph 38
McCartney, Paul 66, 83, 91, 102, 103, 133, 136, 137,
175, 181, 187, 192
McClure, Michael 48, 62,
McDonald, Country Joe 26, 45, 65, 66, 69, 77, 79, 95, 186,
189, 190, 191
McGuinn, Roger 66, 84, 85,
:225
McKenzie, Scott 64, 67, 131, 184, 185, 189
McLuhan, Marshall 29, 62,
McTell, Ralph 191
Melanie 190, 191
Melcher, Terry 89, 90, 91,
Metzner, Ralph 200
Milky Way 89
Miller, Henry 213
Miller, Stanley “Mouse” 204
Milva 131
Missofe, Françoise 139
Misunderstood 190
Mitchell, Joni 191
MyFair 81,
Moby Grape 45, 189
Modugno, Domenico 121
Mogol 121, 126
Mondo Beat 112, 113, 116, 126
Monicelli, Mario 197
Montalbetti, Pietruccio 126
Moody Blues 191
Moon, Keith 68,
Moorehouse, Ruth Anne 88,
Morales, David 74, 75,
Morgan, Seth 99
Mori, Claudia 122
Morris, John 94, 190
Morrison, Jim 57, 84, 99, 156, 178, 184, 191
Moscoso, Vincent 48, 204
Mouse & Kelly 48,
Mountain 190
Mozart, Wolfang Amadeus 32
Muhammad, Elijah 40, 41
Mungo Jerry 122
N
Nada 122
Nash, Graham 103, 121, 160
Nelson, Gaylord 104, 176, 177
Neville, Richard 202
New Dada 120
Newton, Huey Percy 54, 80
New Trolls, 122, 193
Nichols, Mike 196
Nicholson, Jack 84, 172, 194, 195
Nixon, Richard 73, 76, 77, 101, 103, 174
Nomadi 12, 120, 122, 127
Notte 113
Norman, Peter 79, 80, 178
Nugget 81,
Nureyev, Rudolf 70, 71,
226 9
Nyro, Laura 189
O
Olsen, Richard 25
Ono, Yoko 79, 83, 101, 102, 133, 136, 155,
162, 175, 177, 190, 192
Orme 122
Osage Tribe 122, 193
Osanna 193
Osmond, Humphry 31,
Oswald, Lee Harvey 73,
P
Paese dei balocchi 193
Page, Jimmy 84,
Parent, Steve 91,
Pariser, Alan 65, 189
Parks, Rosa 39, 40,
Pasolini, Pier Paolo 114, 115
Pastorella, Vincenza 122
Pauper, The 189
Pavese, Cesare 127
Pavone, Rita 130, 132
Penthouse 81
Pendleton, Harold 135
Penn, Arthur 196
Pentangle 191
Pettenati, Gianni 121
Peyrefitte, Alain 140
Phillips, Eddie 190
Phillips, John 64, 65, 185
Pickett, Wilson 122
Pieretti, Gian 120, 121, 127
Pinelli, Giuseppe 112,
Pink Fairies 190
Pink Floyd 44,84,109,134,136,161,190,191,196
Pinochet, Augusto 74
Pipers, The 124,
Pivano, Fernanda 28, 127, 202
Plastic Ono Band 102,
Playboy 51, 81
Playgirl 81,
Pohland, Haus Jurgen 191
Polansky, Roman 90, 155, 176
Pollack, Sidney 168
Pompidou, Georges 140,
Ponti, Eddie 128
Prandi, Diana 124,
Pravo, Patty 109, 110, 120, 122, 128
Presley, Elvis 102, 130, 131
Preston, Billy 192
:227
Primitives 110
Procession 193
Procol Harum 109, 134, 161, 191
Proll, Thorwald 143,
Purple Gang 190
Pynchon, Thomas 45
Q
Quant, Mary 80, 135
Quaye, Caleb 193
Quella vecchia locanda 195
Quicksilver Messanger Service 45, 56, 62, 66, 189
Quill 190
Quinn, Patricia 185
R
Raccomandata con Ricevuta di Ritorno 193
Rame, Franca 122
Ranieri, Massimo 121
Rasmussen, Anders Fogh 148
Ravel, Maurice 186
Ray, James Earl 73,
Rawls, Lou 66, 189
Reagan, Ronald 85, 86, 155,
Red Book Magazine 80
Redding, Otis 66, 184, 189
Redgrave, Vanessa 194
Reed, Lou 140
Reid, Terry 191
Reitano, Mino 121
Re Nudo 116, 117, 192
Rey, Pierre 140
Ribelli 120, 121, 128
Rice, Tim 197
Richards, Keith 68, 98, 99, 136, 182
Rifkin, Danny 27
Ritratto di Dorian Gray 193
River, Johnny 189
Roberts, John 93,
Rocchi, Claudio 122, 123, 125, 129, 192, 193
Rohan, Brian 63
Rokes 12, 109, 120, 121, 130
Roller, Alfred 204
Rolling Stone 69, 92, 159, 175
Rolling Stones 44, 68, 97, 98, 110, 120, 134, 135,
136, 156, 159, 169, 179, 182
Rosemann, Joel 93
Roszak, Theodore 201
Rotondi, Saverio 129
228 9
Rubin, Jerry 60, 75, 79, 134, 154, 171, 175, 177,
201, 202, 208
Ruspoli, Dado 110
Russell, Bertrand 209
Russell, Leon 192
S
Sacchi, Andrea 124
Sampson, Will 200
Sandoz 31, 32, 34, 51, 171
San Francisco Mime Troupe 48, 57, 158, 169, 206, 207
Santana, Carlos 12, 49, 56, 83, 95, 97, 129, 156,
188, 190, 191
Schifano, Mario 109, 129
Schipa, Tito jr. 124, 130, 132
Scorsese, Martin 179
Scully, Rock 26, 27
Seale, Bobby 54, 80, 175
Sebastian, Joe B. 95, 190, 191
Sebring, Jay 92,
Semiramis 193
Sha-Na-Na 190
Shankar, Ravi 66, 67, 189, 190, 192
Shapiro, Benny 65,
Shapiro, Shel 130
Share, Catherine 88,
Shel Carson Combo 130
Siddons, Bill 99,
Simon, Paul 66, 189
Sirhan, Sirhan 73, 74,
Sister Sladge 126
Slick, Grace 45, 67, 69, 153, 177, 186, 190
Sluizer, George 191
Sly & The Family Stone 83, 191
Social Deviants 190
Soehnlein, Horst 143,
Soft Machine 134, 136, 161, 190, 191
Solo, Bobby 130, 131, 185
Sommer, Bert 190
Sonny & Cher 45, 54, 121, 127
Sottsass, Ettore 126
Smith, David 64,
Smith, Tommie 79, 80, 178
Snyder, Gary 48, 60, 61, 62, 173
Sorrenti, Alan 122, 123
Spector, Phil 103,
Spiegel, Herbert 73,
Spirit 191
Spock, Benjamin 178, 199
Squire, Chris 190
Stampa 111
:229
Stanley, Augustus Owsley 43, 44
Starr, Ringo 90, 102, 137, 180, 181, 182, 192
Stelle di Schifano 109, 122, 129, 130
Stepanian, Michael 63,
Steppenwolf 84, 186
Steve Miller Band 56, 66, 189
Stevens, Cat 197
Stewart, Al 191
Stills, Stephen 54, 103, 160
Stolk, Rob 145
Stormy Six 123, 129, 193
Stratos, Demetrio 128
Supergruppo 122
Supetramp 191
Syn 190
T
Taste 191
Tate, Sharon 90, 92, 155, 176
Taylor, Derek 65, 189
Teague, Lewis 179
Teeter, Lawrence 74,
Tenco, Luigi 121
Ten Years After 83, 129, 190, 191
Thelin, Jay 47, 59, 60, 71, 72, 158, 173
Thelin, Ron 47, 71, 72, 158, 173
Thomas, Dylan 161
Tomlinson, Sally 19, 153
Tomorrows 190
Tony, Little 121, 195
Towle, Jack 27
Towshend, Pete 67, 68
T-Rex 191
Trip 193
Tse Tung, Mao 176
Turina, Luciana 121
U
Unger, Gunilla 127
Unità 117
Unobsky, Mark 25, 157,
V
Vadim, Roger 168
Van Der Graaf Generator 193
Van Duyn, Roel 145
Van Houten, Leslie 92
Valcarenghi, Andrea 112, 116, 117, 131, 132, 192
Vecchioni, Roberto 122
Velvet Undeground 109, 129
Villa, Claudio 121
230 9
Visconti, Luchino 110
Vitti, Monica 136
Y
Yardbirds 121
Yasgur, Max 94, 161, 188
Yippie 75, 76, 155, 171, 177, 208
Young, Neil 54, 84, 103, 160, 188
W
Wadleigh, Michael 96, 178, 190
Walocks 42
Watson, Charles “Tex” 89, 91, 92,
Warhol, Andy 109, 129
Wenner, Jann 69, 159, 175
Wertmüller, Lina 110, 124
West, Keith 190
Who 44, 66, 67, 83, 91, 95, 120, 134,
136, 189, 190, 191
Wilhelm, Mike 25
Williams, Paul “Deano” 95, 188
Wilson, Brian 183
Wilson, Dennis 89, 90, 91, 190
Wilson, Wes 204
Winter, Johnny 95,
Wright, Richard 127
Wolfe, Tom 159, 200
Works, Don 25, 157
Z
Zanzara 114
Zappa, Frank 27, 44, 45, 57, 84,
Zebulon, Daniel 95, 188
Zero, Renato 124, 132
Zingarelli 33
:231
232 9
:233