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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA

POTENZA
***
DIPARTIMENTO DELLE CULTURE EUROPEE E DEL
MEDITERRANEO: ARCHITETTURA, AMBIENTE,
PATRIMONI CULTURALI
CORSO DI LAUREA IN
OPERATORE DEI BENI CULTURALI

TESI DI LAUREA IN

ETNOMUSICOLOGIA

Storia ed evoluzione della musica e della cultura


giamaicana: viaggio da Kingston all’Italia

RELATORE: CANDIDATO:
Chiar.mo Prof.
Guido RASCHIERI Alberto ROMANO
Matr. 40612

ANNO ACCADEMICO 2013 – 2014


1
2
Indice

1. RADICI ED EVOLUZIONE DELLA MUSICA


GIAMAICANA

1. Dalla musica degli schiavi all’r’n’b made in Jamaica


2. Indipendenza e identità: lo ska
3. Dallo ska al rocksteady

2. CULTURA, RELIGIONE E POLITICA NELLA


MUSICA GIAMAICANA

1. Politica coloniale in Giamaica


2. Il rastafarianesimo: origini ed evoluzione
3. La musica rasta

3. LA GIAMAICA NEL MONDO

3.1 Il fenomeno Marley


3.2 La diffusione mondiale del reggae
3.3 L’influenza del reggae sulla musica internazionale

3
4. IL REGGAE IN ITALIA

4.1 Prime tracce di reggae nella musica italiana


4.2 Il reggae come voce della protesta
4.3 Le band e i sound system italiani

Bibliografia

4
5
1. RADICI ED EVOLUZIONE DELLA MUSICA GIAMAICANA

1.1 Dalla musica degli schiavi al r’n’b made in Jamaica

Do you remember the days of slavery?


Do you remember the days of slavery?
And how they beat us
And how they worked us so hard
And they used us
'Til they refuse us1

La storia della musica popolare Giamaicana, ricca di profonde influenze ed


evoluzioni, rispecchia in buona parte quella che è ed è stata la crescita e la
trasformazione politica e sociale dell’isola. Questa tradizione musicale mutevole,
ma allo stesso tempo fortemente identitaria, vede le sue origini, come del resto
tutta la black music, nei canti degli schiavi importati dall’Africa sin dalla fine del
1400.
Fu però solo nei primi anni del ‘900 che la musica giamaicana iniziò a ricercare in
maniera consapevole una sua identità. Le forti influenze musicali provenienti
dalle altre nazioni caraibiche (Cuba, Haiti, Repubblica Dominicana, Panama)
portarono alla nascita del primo genere musicale della Giamaica contemporanea,
il mento. Esso presentava molti elementi in comune con il calypso, genere
musicale molto popolare nelle isole caraibiche di lingua inglese, ma trovò la sua
connotazione identitaria proprio in Giamaica: le band di mento si esibivano in
spettacoli spontanei per strada, commentando in maniera satirica gli avvenimenti
contemporanei e denunciando in maniera esplicita il dissenso popolare derivato
dalle condizioni di oppressione a cui era soggetta la Giamaica durante il periodo
di colonizzazione inglese2. Questi complessi utilizzavano uno specifico gruppo di
strumenti che solitamente includeva le percussioni, il banjo, la rumba box (una

1 BURNING SPEAR, Slavery Days, in ID., Marcus Garvey, Island Records, 1975.
2 Si veda D. KATZ, Solid foundation. Il reggae raccontato dai suoi protagonisti, Viterbo, Stampa
Alternativa/Nuovi equilibri, 2007.

6
kalimba sovradimensionata utilizzata per suonare le note del registro basso) e
talvolta un flauto o un sassofono di bambù.
Dai i primi anni del ‘900 i gruppi di mento iniziarono ad esibirsi anche nelle sale
ricevimenti, nei golf club e nelle strutture alberghiere dell’isola, ma fu solo dopo
aver subito una forte censura da parte del governo britannico che diventò
necessario rendere più 'leggeri' quei testi di denuncia verso la situazione sociale
giamaicana e l’oppressione coloniale, che tanto caratterizzavano queste ensemble.
In questi luoghi, riservati solo alle classi più abbienti, si esibivaono anche molti
complessi swing e big band jazz che presentavano un repertorio di standard jazz
classici o rivisitati in chiave caraibica contaminandoli con calypso o merengue3.
Le classi più povere, non potendo permettersi di frequentare quei locali eleganti,
trovarono un altro mezzo per intrattenersi con la musica: i sound system, dei
giganteschi impianti audio composti da casse e amplificatori molto potenti,
utilizzati per diffondere musica durante le feste o semplicemente davanti ai negozi
per le strade. La strumentazione veniva importata dagli Stati Uniti oppure
costruita artigianalmente, e l’enorme potenza di questi apparecchi attirava
inevitabilmente un vasto pubblico agli eventi organizzati.
Il fenomeno dei sound system fu estremamente importante per la storia della
musica giamaicana per due motivi principali: innanzitutto con l’avvento dei sound
system diventò molto più facile ed economico organizzare feste o musica (dato
che organizzare concerti di musica dal vivo era ovviamente più dispendioso e
logisticamente più complicato); e anche perché la grande diffusione di musica da
loro promossa pose le basi per la nascita di un’industria musicale autoctona.
Inizialmente diffondevano musica importata principalmente dagli Stati Uniti.
Negli anni Cinquanta il centro musicale degli Stati Uniti del Sud era New Orleans,
in quegli anni infuocata da un nuovo genere musicale, sempre di derivazione
black: il rhythm‘n’blues, o r’n’b. La vicinanza geografica con la Giamaica favorì
immediatamente il prender piede del r’n’b sull’isola e i sound system ne fecero
un’istituzione dell’intrattenimento musicale.

3 Si veda S. BETTINI - P. TOSI , Paperback Reggae. Origini, protagonisti, storia e storie della
musica in levare, Sesto Fiorentino, Editoriale Olimpia, 2009.

7
In questa fase iniziale i deejay acquistavano i dischi provenienti dagli Stati Uniti
nei bordelli, dove i piazzisti di musica statunitensi erano soliti bazzicare, oppure
nei pochi negozi di dischi che importavano direttamente. Il sound system diventò
in poco tempo un elemento imprescindibile nelle feste giamaicane, e i vari
proprietari si lanciarono in una vera e propria gara per accaparrarsi i dischi più rari
(talvolta togliendo le etichette da quelli più apprezzati per impedire alla
concorrenza di trovarne una copia) e potenziando i propri impianti audio, che con
il tempo diventarono esclusivamente di produzione artigianale, fattore
fondamentale di garanzia qualitativa.4
Iniziarono così le sfide tra vari sound system, inizialmente in luoghi separati dove
vinceva chi attirava più gente alla propria dance (o dancehall), che aveva luogo
solitamente davanti alcuni negozi o in locali privati affittati per l’occasione,
successivamente nello stesso luogo divenendo veri e propri duelli. Le sfide tra i
sound, denominate clash, erano in genere decisi dal pubblico che ne determinava
il vincitore manifestando la propria approvazione urlando, applaudendo o
fischiando.
I limiti della lealtà venivano talvolta superati, ed erano frequenti azioni di
sabotaggio o addirittura minacce da parte dei sostenitori dei vari sound nei
confronti dei rivali. A volte le rappresaglie diventavano vere e proprio sparatorie,
causate dalla grande rivalità esistente tra i vari gruppi abitanti di zone diverse del
ghetto. Tra i numerosi sound system che nascono agli inizi degli anni Cinquanta,
furono due ad avere maggiore importanza: il Sir Coxsone’s Downbeat di Clement
Seymour Dodd e il Trojan Sound System di Arture ‘Duke’ Reid. Entrambi
proprietari di negozi di liquori, iniziarono la loro attività di promotori musicali
proprio per attirare e intrattenere i clienti nei propri negozi. Per i primi anni
Cinquanta nessuno era in grado di competere con Coxsone e Duke Reid.
I due mostrarono subito un’impareggiabile capacità nel reperire i dischi più
originali, sfruttando soprattutto la loro possibilità di compiere numerosi viaggi
negli Stati Uniti. Il rapporto tra i due diventò subito molto competitivo e ognuno
cercava continuamente di sabotare le dance dell’altro. Si crearono anche gruppi di

4 Si veda ID, Paperback reggae.

8
simpatizzanti dei due sound, e spesso durante le dance i sostenitori più facinorosi
arrivavano anche a provocare grandi risse, talvolta finite in sparatorie.
Le dance però non furono esclusivamente luogo di violenza ed eccessi di alcol e
droghe, al contrario furono un luogo di aggregazione e di diffusione musicale:
rappresentavano, infatti, uno dei pochissimi momenti di svago per la working
class giamaicana, e soprattutto per gli abitanti del ghetto. Per un giovane
giamaicano degli anni Cinquanta, infatti, andare ad una dancehall significava
prendere parte a un rito collettivo e avere l’opportunità di dimostrare la propria
abilità nel ballo, sfoggiando con orgoglio l’abbigliamento in voga al momento.
Con l’affermarsi delle dancehall e con l’accrescersi del pubblico, Coxsone e Reid
portarono il livello di gestione del sound system da amatoriale a imprenditoriale,
iniziando a gestire più sound system contemporaneamente, e quindi più dance
sotto lo stesso nome in luoghi diversi.
Si crearono così delle vere e proprie crew, composte da diverse persone con vari
compiti specifici: insieme al proprietario del sound system, che si occupava spesso
della gestione tecnica dell’impianto, vi era il selecter, che aveva il compito di
selezionare le scalette dei brani, far suonare i dischi e molto spesso di esaltare il
pubblico, enfatizzando con ogni mezzo certi brani o certi momenti.
I vari selecter si distinguevano per le varie tecniche adottate per incitare il
pubblico: una delle più usate era il cosiddetto wheel & come again, che consisteva
nel fermare un brano dopo aver fatto ascoltare solo l’inizio rimettendolo più volte
da capo. Un'altra delle tecniche utilizzate era detta toasting, e consisteva nel
presentare il brano che stava per essere suonato con alcune improvvisazioni vocali
utilizzando anche toni e timbri vocali particolari
Questa tecnica era ispirata dai dj radiofonici americani e portò alla nascita di una
nuova figura all’interno del sound system giamaicano, ovvero quella del dj inteso
come MC (Master of Ceremony), che aveva il compito di coinvolgere il pubblico
durante le dancehall, non solo introducendo i brani, ma sviluppando e
improvvisando dei veri e propri testi.5

5 Si faccia riferimento al documentario Reggae History, prodotto da Cult TV, reperibile


all'indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=LwskYt_NnPg.

9
Così nacque l’arte del dj style, grazie alla quale il dj divenne una figura essenziale
nelle dancehall: ogni sound system sentì così la necessità di sviluppare un proprio
stile personale anche per presentare i brani o comunicare con il pubblico.
Verso la fine degli anni Cinquanta l’r’n’b statunitense lasciò la scena giamaicana
al rock‘n’roll e le produzione discografiche cominciarono a scarseggiare: i sound,
che non riuscivano più a reperire dischi r’n’b negli Stati Uniti, decisero quindi di
promuovere una produzione totalmente autoctona.
A quel punto, gli operator (proprietari dei sound system) iniziarono anche a creare
le proprie etichette discografiche, prime su tutte la Trojan Records di Duke Reid,
Studio One di Coxsone Dodd, Island Records di Chris Blackwell.
Le prime produzioni si basavano principalmente sull’imitazione degli artisti
americani: l’idea era quella di far suonare r’n’b ‘vecchia maniera’ a musicisti di
studio locali, e di stampare i dischi senza etichetta e in poche copie in modo tale
da avere l’esclusiva sul brano.
Con l’ampliarsi delle produzioni la musica incisa non si limitò solo a brani r’n’b,
ma si contaminò con influenze provenienti dal mento e dal calypso. In questo
contesto si misero in luce una serie di musicisti “da studio” ingaggiati dai diversi
produttori per eseguire le musiche per i vari cantanti.
Le band quindi erano mutevoli e interscambiabili, e i musicisti avevano il compito
di realizzare una buona registrazione, possibilmente alla prima take per
ammortizzare i costi di registrazione.
È così che iniziarono a mettersi in luce molti musicisti di grande valore, la
maggior parte proveniente dalla Alpha Boys School (un centro di accoglienza per i
giovani del ghetto), che diventarono nomi fondamentali nella storia della musica
giamaicana.6 L’r’n’b made in Jamaica conobbe un successo commerciale che
travalicò i confini nazionali: certi titoli, infatti, furono stampati anche sul mercato
inglese e arrivarono a vendere migliaia di copie.

6 A tal proposito si veda KATZ, Solid foundation.

10
1.2 Indipendenza e identità: lo ska

Gather together, be brothers and sisters


We're independent, we're independent
Join hands to hands, children started to dance
We're independent, we're independent7

Alla fine degli anni Cinquanta, al tramonto del colonialismo, la Giamaica si


avvicinava all’indipendenza dal Regno Unito: il 6 agosto 1962 essa si distaccò
definitivamente dalla Federazione delle Indie Occidentali, ottenendo la piena
indipendenza politica.
Con il progressivo avverarsi dell’indipendenza emergeva tra la popolazione
dell’isola una grande necessità di affermazione identitaria non solo a livello
politico, ma anche a livello culturale, e fu ancora in ambito artistico e musicale
che il popolo giamaicano trovò la sua chiave d’espressione più forte.
I vari produttori che fino ad allora erano rimasti sempre legati all’influenza
musicale statunitense, andarono alla ricerca di un nuovo sound che rispecchiasse il
carattere e l’identità dei propri connazionali. L’attitudine jazzistica dei musicisti
impegnati nelle nuove produzioni portò alla sperimentazione di nuove forme
musicali, utilizzando soluzioni ritmiche tipiche della musica caraibica e
applicandole alle forme armoniche e melodiche già utilizzate nel r’n’b
statunitense.8
In questa fase, una delle figure principali era quella di Cecil Bustamente
Campbell, meglio noto come Prince Buster, produttore musicale e sound operator
del sound system da lui battezzato Voice of the People, rivale dei più ricchi e
affermati Coxsone Dodd e Duke Reid.
Buster proveniva da una famiglia operaia del ghetto di Kingston, e dopo varie
esperienze con i grandi sound system della città, dei quali non condivideva l’ottica
imprenditoriale, a soli diciannove anni decise di progettare e costruire un proprio
sound system che promuova la musica del popolo, e quindi della gente del ghetto.

7 D. MORGAN, Forward March in ID. Seven Letters, Trojan Records, 1969.


8 Si veda in proposito L. BRADLEY, Bass Culture. La musica dalla Giamaica: ska, rocksteady,
roots reggae, dub e dancehall, Milano, ShaKe, 2008.

11
In poco tempo riuscì a riscuotere un grande successo e a tener testa alla
concorrenza degli altri grandi rivali.
Di sua produzione era uno dei brani che portò alla rottura con l’r’n’b statunitense
e alla nascita del primo genere musicale propriamente giamaicano, lo ska. Il brano
si intitola Oh Carolina, composto da John Folkes ed inciso dai Folkes Brothers.
Caratterizzato dalla classica struttura armonica del r’n’b, presentava una
caratteristica che presto divenne l’elemento identificativo di tutta la musica
giamaicana, ovvero lo spostamento dell’accento ritmico dal battere al levare: la
chitarra e il pianoforte non marcavano più il primo e il terzo battito di ogni
misura, ma il secondo e il quarto. Molto importante era anche la presenza
all’interno del brano del tamburo burru suonato da Count Ossie, percussionista
rasta proveniente dalla downtown di Kingston, che portò per la prima volta il
suono rastafariano nella coscienza popolare giamaicana.9
Con il passare del tempo e le varie sperimentazioni dei musicisti e dei produttori,
arrivarono a definirsi meglio i canoni dello ska: come già detto, la chitarra e il
pianoforte davano degli accenti stoppati sul upbeat, spesso accompagnati anche
dai numerosi fiati presenti nelle varie formazioni, che oltre a marcare la ritmica
suonavano anche i temi dei brani; il basso e la batteria, invece, scandivano tutti e
quattro i battiti delle misure.
Data l’enorme presenza di fiati, quasi tutti provenienti dalla tradizione jazzistica,
molti dei brani erano esclusivamente strumentali e lasciavano molto spazio
all’improvvisazione. I brani cantati, invece, presentavano testi di natura molto
eterogenea, ed era quindi possibile ascoltare brani d’amore, brani che parlavano,
in maniera positiva, negativa o semplicemente narrativa, dei rude boys (i ragazzi
di strada del ghetto, dediti alla violenza e al disprezzo delle regole), così come
brani che non avevano un testo di vero senso compiuto, e che si limitavano ad
utilizzare esclamazioni o parole inventate.
Non ci sono fonti certe sull’origine del nome ska, quindi ci si affida alle varie
fonti tramandate oralmente. C’è chi dice che fosse un abbreviazione del termine
skavoovie,10 un’esclamazione che utilizzava spesso il bassista Cluett Johnson per

9 Si veda KATZ, Solid foundation.


10 Si veda ID., Solid Foundation.

12
esprimere il suo entusiasmo o semplicemente per chiamare i suoi colleghi. Altre
fonti sostengono invece che il termine sia stato coniato da Coxsone Dodd per
spiegare al chitarrista Ernest Ranglin in che modo avrebbe dovuto enfatizzare lo
spostamento di accento tipico del genere, e cioè che avrebbe dovuto fare «ska…
ska…ska» con la chitarra.11
E’ ugualmente impossibile affermare la paternità della musica ska, in quanto,
nonostante la grande concorrenza tra produttori e finanziatori delle sedute di
registrazione, le varie band avevano nomi diversi, ma comprendevano quasi
sempre gli stessi musicisti, ed era quindi facile trovare in gruppi come il Duke
Reid Group, i Blues Blasters o gli All Stars musicisti come Val Bennet, Roland
Alphonso, Don Drummond, Stanley ‘Ribs’ Notice, Rico Rodriguez, Oswald ‘Ba
Ba’ Brooks ai fiati, Ernest Ranglin o Jah Jerry alla chitarra, Theophilus Beckford
al piano, Cluett Johnson al basso e Arkland ‘Drumbago’ Parkes alla batteria.12
Quasi tutti i citati, tra musicisti e produttori, hanno contribuito alla nascita del
genere, proponendo nuove idee o interpretando quelle dei colleghi. Nacque quindi
un forte cameratismo tra i vari musicisti, tutti provenienti dal ghetto, che
prendevano quasi come una missione la ricerca di un nuovo stile musicale che
fosse espressione della loro identità sociale, geografica, generazionale, ed in un
certo senso anche politica, in quanto lo ska finì per prendere la forma di vera e
propria ‘colonna sonora’ dell’indipendenza dal Regno Unito e del distacco
culturale dagli Stati Uniti.
Lo ska era una musica che proveniva dal ghetto, era espressione dei soffera
(forma giamaicana per sufferer, con la quale ci si riferiva agli appartenenti alla
classe subalterna), e rappresentava per questi un’occasione per affermare la
propria identità. Per questo motivo lo ska non ottenne subito un largo successo a
livello commerciale, e le radio giamaicane inizialmente lo ignorarono: alcuni
musicisti del ghetto addirittura preferivano non essere menzionati sulle etichette
dei dischi ska per preservare la propria reputazione negli ambienti della uptown
dove lavoravano.
Il chitarrista Ernest Ranglin, in un’intervista fatta da Lloyd Bradley, affermò:

11 Si veda BRADLEY, Bass Culture.


12 Si veda F. LAGANÀ, Massive Reggae Discography, S.l., s.n., 2000.

13
Non volevo il mio nome. Era solo musica del ghetto e in Giamaica aveva una brutta
fama, quindi è per questo che non ho avuto nulla a che ridire quando ci hanno messo
sopra il nome di Cluett Johnson. Era musica ribelle già allora, la ritenevano
antisociale, e noi eravamo i reietti che la suonavano. Quando la musica ska si è
imposta io avevo scritto un sacco di pezzi che però non figuravano a mio nome
perché dovevo suonare nelle sale da ballo degli alberghi e nelle occasioni mondane
e non volevo grane. Chissà, forse avrei lavorato di meno. Allora dovevi rigare
dritto.13

Nei primi anni Sessanta si rinnovarono le sfide tra i grandi produttori e gli
operator: questa volta però non riguardavano più i sound system, ma gli studi di
registrazione e di produzione. I più importanti ovviamente furono gli studi di
Coxonne Dodd e Duke Reid, lo Studio One e il Treasure Isle. In questi due studi si
concentrò gran parte della produzione discografica locale che, in breve tempo,
divenne enorme in termini di numeri, ma anche di sfumature di stile.
Il grande fermento musicale di questo periodo venne sottolineato, da un lato, dai
produttori che cercavano di ricreare in studio lo spirito e la vitalità tipici delle
dancehall, dall’altro da musicisti, cantanti e terzetti vocali, che da lì a poco
sarebbero stati destinati alla notorietà internazionale.
Fu proprio all’interno di questi studi che nacquero band come gli Skatalites,
gruppo di musicisti proveniente dalla Alpha School e noti session man con
all’attivo numerosissime incisioni. Questi, dopo numerose session di
registrazione, decidono di darsi un nome e creare una propria band stabile per
accontentare il pubblico che voleva sentirli suonare dal vivo. Registrarono
principalmente per Studio One, ma pubblicano anche sulle label di Reid, Prince
Buster e Justin Yap, altro produttore giamaicano di origini cinesi.
I musicisti che fecero parte della formazione seppero sfruttare al meglio la loro
formazione jazzistica, sviluppandola nel nuovo stile ska e unendola a diverse
contaminazioni, dal folklore giamaicano alle musiche da film. In questo periodo
emergono anche cantanti come Ken Boothe, Desmond Dekker e John Holt, che
avrebbero poi contribuito molto all’evoluzione e alla diffusione mondiale della
musica giamaicana. Un ruolo importante svolsero anche i gruppi vocali come i
Maytals, gruppo nato da un coro gospel, e i Wailers (successivamente The Wailing

13 BRADLEY, Bass Culture, p. 53.

14
Wailers), provenienti dal ghetto di Trench Town e prodotti da Joe Higgs, che
portarono per la prima volta sulla scena musicale Bob Marley.
I ritmi incalzanti dello ska e i suoi balli sfrenati raggiunsero una grandissima
diffusione nelle dancehall giamaicane, tanto da riuscire a superare addirittura
divisioni di razza e di classe sociale. Infatti molti dei ragazzi delle classi più
abbienti incominciano a frequentare le dancehall di ska organizzate nella
downtown e, allo stesso tempo, c’era chi aveva pensato di portare lo ska nella
uptown, assecondando il gusto del pubblico che la frequenta.
Lo ska che veniva suonato nei quartieri alti era sicuramente più leggero e trattava
argomenti più frivoli rispetto allo ska della downtown. Il principale interprete di
questa fase è Byron Lee, musicista giamaicano di origine cinese, che con la sua
band, i Dragonaries, incominciò ad accompagnare cantanti come Jimmy Cliff,
Eric Monty Morris e lo stesso Prince Buster, e a esibirsi dal vivo in luoghi
inconsueti per molti dei gruppi da studio dello ska, frequentati dalle classi medio-
alte e dai turisti.
Un altro tipo di emancipazione che avviene in questo periodo è quella che
riguarda il rapporto diretto tra i rasta e l’intrattenimento. Nonostante le critiche
dei più integralisti e la promulgazione nel ’62 della legge che metteva al bando il
suono dei tamburi rasta per la stretta connessione con il consumo di marijuana, il
rastafarianesimo andò diffondendosi moltissimo tra i musicisti, i produttori e i
dj.14
I rasta che decisero di abbandonare l’eremitaggio e di trasferirsi nei ghetti urbani
portarono nella musica un messaggio di resistenza e fierezza, di integrità e
autodeterminazione, ottenendo un vasto consenso tra i giovani arrabbiati e gli
oppressi.
La grande diffusione dello ska in Giamaica superò presto i confini dell’isola e si
diffuse in Nord America, ma soprattutto in Inghilterra, dove risiedevano un gran
numero di emigranti giamaicani. Ciò permise la nascita di un’industria
discografica legata allo ska che sarebbe poi servita da trampolino di lancio per la
successiva diffusione internazionale della musica giamaicana.

14 Si veda il documentario Reggae History.

15
Alla nascita di questo mercato portò l'attività di Chris Blackwell, produttore
giamaicano e figura chiave del mercato discografico della musica giamaicana nel
mondo, che grazie al suo senso per gli affari decide di abbandonare la
competizione con gli altri produttori giamaicani e di occuparsi con la sua
etichetta, la Island Records, delle edizioni inglesi di numerosi singoli prodotti in
Giamaica. Un esempio può essere il brano My Boy Lollipop di Barbie Gaye,
arrangiata da Ernest Ranglin e cantata da Millie Small, che con la vendita di sette
milioni di copie in tutto il mondo pose le basi per la diffusione mondiale della
musica giamaicana.

1.3 Dallo ska al rocksteady

Better get ready


Come do rock steady
You've got to do this new dance
Hope you are ready15

Passarono pochi anni dalla dichiarazione d’indipendenza della Giamaica, e tutto


l’entusiasmo che si era creato andò piano piano scemando. Le condizioni
economiche e sociali dell’isola non erano migliorate, i suffera aumentavano
notevolmente e la loro condizione di subalternità diventava sempre più marcata.
Ciò comportò l’aumentare delle attività criminali all’interno del ghetto. Erano
soprattutto i ragazzi più giovani a essere coinvolti, ed è proprio in questo periodo
che si assistette alla nascita della figura del rude boy.
Nello specifico i rude boys erano gang di giovani e adolescenti, che rispondevano
alla società che li considerava come dei reietti con un atteggiamento duro, rude
appunto. Vestiti in maniera elegante con giacche a tre bottoni, cappelli porkie pie e
mocassini di pelle lucidi, imitavano lo stile dei gangster16 e si comportavano come
tali, portando scompiglio nelle dancehall e provocando numerose risse (a volte

15 A. ELLIS, Get Ready, in ID. Sings Rock and Soul, Coxonne Records, 1967.
16 Si veda KATZ, Solid Foundation.

16
spinti dagli stessi operator per sabotare le dance dei concorrenti) e dedicandosi ad
attività criminali come lo spaccio di droga e armi.
L’opinione pubblica, guidata principalmente dai media, condannò subito
l’atteggiamento dei rude boys, ma in ambito musicale erano sostenuti e
incoraggiati, principalmente perché condividevano la stessa provenienza sociale
con musicisti e buona parte dei produttori del tempo.
Iniziò così ad aumentare il numero dei brani dedicati ai rude boy e anche lo stile
musicale incominciò a variare alcune delle sue caratteristiche. Inoltre, le alte
temperature che caratterizzano i Caraibi e la grande passione di molti giamaicani
per il ballo portarono alla luce la necessità di un nuovo genere musicale.
Nacque così il rocksteady, che prendeva il nome appunto dal modo in cui si
poteva ballare: questo nuovo genere, essendo meno frenetico dello ska,
permetteva di danzare in modo più tranquillo, anche stando fermi sul posto,
ondeggiando e muovendo le spalle e la testa.
La ritmica rimaneva sempre incentrata sull’accentuazione dell'upbeat, sottolineato
dalla chitarra e dal pianoforte, mentre la presenza di fiati iniziava a diminuire
notevolmente, sia per una questione di risparmio economico negli studi di
registrazione, sia per dare più spazio alle parti vocali. Le linee di basso si
trasformarono notevolmente e da continue diventarono sincopate, creando un
groove oscillante e donando al basso un ruolo predominante. Anche il suono del
basso cambiò notevolmente e diventò più incisivo grazie alla maggior presenza
sull’isola di bassi elettrici, che in poco tempo sarebbero andati a sostituire quasi
completamente i più pesanti e meno pratici contrabbassi. La batteria sintetizzò
tutta la sua essenza in un solo termine, one drop, ovvero la demarcazione di un
unico battito sul terzo movimento della battuta con un colpo di rullante.
Gradualmente i brani strumentali lasciando spazio ai brani cantati con testi di
varia natura, che andavano dalle canzoni d’amore a brani che esaltavano la figura
dei rude boys, passando per brani con tematiche religiose, filosofiche e morali,
tipiche soprattutto degli autori rasta. Non bisogna dimenticare infatti che il
rocksteady non era una musica esclusivamente per rude boys, ma comprendeva
anche numerosi artisti legati al culto rastafari, molti dei quali impegnati nella
militanza per la sua diffusione. Se per lo ska il maggior produttore era Coxsone

17
Dodd con il suo Studio One, con l’avvento del rocksteady è il Treasure Isle di
'Duke' Reid ad aver il maggior numero di produzioni.
In questo periodo emerse anche una delle figura più importanti della storia della
musica giamaicana, Rainford Hugh Perry, meglio conosciuto come Lee 'Scratch'
Perry: inizialmente, lavorò per Coxsone Dodd sia come talent scout che come
autore e compositore, nonché come tecnico di studio. Dopo aver lasciato lo Studio
One collaborò con altri grandi produttori del tempo come Sir J.J. e Clancy Eccles
fino a collaborare con Joe Gibbs, con il quale arrivò a produrre la sua band
storica, gli Upsetters.
Come lo ska, anche il rocksteady ottiene un grandissimo successo negli Stati Uniti
e in Inghilterra, dove a seguire questa musica, oltre ai giamaicani emigranti,
c’erano tantissimi giovani inglesi, appartenenti per lo più al sottoproletariato
urbano, che si riconoscevano nello stile e nell’attitudine dei rude boys giamaicani
e quindi anche nella loro musica.

18
2. CULTURA, RELIGIONE E POLITICA NELLA MUSICA
GIAMAICANA

2.1 Politica coloniale in Giamaica

Slave driver the table is turned


Catch a fire you're gonna get burned
Ev'ry time I hear a crack of the whip
My blood runs cold
I remember on the slave ship
How they brutalised they very souls
Today they say that we are free
Only to be chained in poverty17

La storia della dominazione inglese in Giamaica iniziò l’8 Luglio 1670 con la
stipulazione del Trattato di Madrid, con il quale la Spagna cedeva al Regno Unito
il dominio dell’isola, territorio tanto bramato e conteso in diversi scontri e guerre
dall’inizio del 1600.
Sia la Spagna che il Regno Unito avevano applicato nella colonia una politica
economica improntata sull’intensivo sfruttamento delle risorse naturali dell’isola,
basato sul lavoro degli schiavi strappati dalla loro terra d’origine, il continente
africano. Attraverso la Royal African Company18, compagnia commerciale
britannica addetta alla deportazione degli schiavi africani nelle colonie, il Regno
Unito deportò milioni di persone nelle proprie colonie sfruttandole per il proprio
accrescimento economico.
La Giamaica assunse il ruolo di colonia agricola all’interno del sistema
economico imperiale britannico, alimentando le ricchezze della madrepatria
principalmente con la sua grande produzione di canna da zucchero e banane.
Gli schiavi ovviamente erano soggetti a condizioni di estrema precarietà, costretti
a un durissimo lavoro per oltre 15 ore al giorno e a una alimentazione stentata, per
la quale dovevano provvedere da soli nel tempo in cui non erano impegnati a
lavorare per i padroni.
17 B. MARLEY, Slave Driver in ID., Catch a Fire, Tuff Gong/ Island Records, 1973.
18 Si faccia riferimento a LAGANÀ, Massive Reggae Discography.

19
Durante le ore di lavoro subivano violenze fisiche e intimidazioni di ogni genere,
giustificate dal concetto di razzismo che era alla base della legittimazione della
schiavitù stessa. Infatti, l’eurocentrismo economico e culturale, concetto pilastro
del colonialismo europeo, era incentrato sulla convinzione che la naturale
predisposizione dei neri fosse a uno stato di subalternità e schiavitù, e che quella
dei bianchi fosse a uno stato di egemonia e comando.19
Un altro fattore che contribuiva alla degradazione personale dei sottomessi erano
le discriminazioni che si venivano a creare tra gli schiavi stessi. Le mansioni di
lavoro, infatti, erano differenziate in base alle caratteristiche fisiche e alle
attitudini di ognuno, non solo per quanto riguarda il lavoro all’interno dei campi
ma anche per la selezione dei capigruppo e degli schiavi domestici. Questo
portava quindi alla nascita di un forte odio da parte degli schiavi dei campi verso
quegli schiavi che vivevano più a stretto contatto con i padroni, e quindi in
condizioni leggermente migliori, ma che a loro volta erano costretti a subire, fino
a interiorizzare la mentalità dei bianchi, autoconvincendosi dell’odio verso la
propria razza.20
Le condizioni di frustrazione morale e fisica, accompagnata da una coscienza
collettiva del proprio status, e soprattutto delle proprio origini, portò subito a
numerose e violente insurrezioni degli schiavi. Alcuni di loro riuscirono
addirittura a scappare e a creare di gruppi di guerriglia e di resistenza, come per
esempio quello dei Maroons.21
Le continue insurrezioni portarono ad un diverso approccio coloniale da parte del
Regno Unito, che il 1 Agosto 1834 con Giorgio III abolì definitivamente la
schiavitù e decretò la liberazione degli schiavi.
Fu all’interno dei sentimenti religiosi e nazionalisti degli schiavi che trovò origine
il movimento, religioso e culturale, che diventerà simbolo della Giamaica, il
Rastafarianesimo.

19 Si veda in proposito E. SAID, Orientalismo, Milano, Feltrinelli, 1991.


20 Si veda a tal proposito: H. CAMPBELL, Resistenza Rasta, Milano, Shake, 2004.
21 Si faccia riferimento a LAGANÀ, Massive Reggae Discography.

20
2.2 Il rastafarianesimo: origine ed evoluzione

You have got to be clean inside


You have got to be united
Just to see when the Rastaman a come

You have got to have charity


And love within your heart
Just to see when the Rastaman a come

Can't be no prostitute living


You have got to be clean and upful and right
Just to see when the Rastaman a come

Can't be grudgeful nah red eye


Nah licky-licky, nah eat swine
Just to see when the Rastaman a come22

Lo sviluppo del movimento rastafariano è da rintracciare primariamente nelle forti


influenze che su di esso ebbero i movimenti di rivolta degli schiavi in Uganda,
detti nyabinghi, che alla metà dell’Ottocento si opponevano al colonialismo
europeo e portavano avanti la proprio resistenza al motto di: «morte agli
oppressori, sia bianchi che neri»23.
In Giamaica, la conoscenza di queste rivolte ebbe un impatto sulla formazione di
una comune coscienza della propria origine africana: come accadde in diverse
altre zone coloniali, la riflessione collettiva sulla dominazione coloniale, sullo
schiavismo e sul razzismo portò alla diffusione di vari movimenti politici e
religiosi.
Un’altra influenza importante per la nascita del rastafarianesimo si può trovare nel
cosiddetto etiopianismo, o ethiopian movement24, che, rifacendosi a quanto nella
Bibbia vi è scritto a proposito dell’Etiopia (che stava a intendere l’intero
continente africano), voleva ribaltare le diffuse convinzioni razziste nei confronti
degli africani, visti unicamente come animali da lavoro.
Tale movimento nacque in realtà in Sudafrica, dove la chiesa dei neri aveva messo
in discussione i principi biblici di sottomissione ai padroni per giustificare

22 CULTURE, Rastaman A Come, in ID., One Stone, Sanctuary Records, 2003.


23 Si veda in proposito CAMPBELL, Resistenza Rasta.
24 Si veda ID., Resistenza Rasta.

21
religiosamente la ribellione all’establishment razzista olandese25.
Contemporaneamente negli Stati Uniti aveva luogo la nascita del movimento
panafricanista, nato dall’unione di diversi gruppi di liberazione nazionale
provenienti da tutto il continente africano.
Il punto di unione fra i movimenti etiopianisti e le varie di forme di
panafricanismo che si diffondevano all’epoca si ebbe con l’intellettuale e
sindacalista giamaicano Marcus Garvey, già fondatore della Universal Negro
Improvement Association e della African Communities League, e particolarmente
impegnato nella costruzione di un movimento che guardasse al territorio d’origine
della maggior parte degli ex schiavi del mondo.
Garvey si identificò subito con la parte sottoproletaria della società giamaicana, e
si impegnò politicamente con la formazione del People’s Political Party (Ppp), di
stampo comunista e marxista e fortemente legato ai concetti di antimperialismo e
anticapitalismo, proponendo una politica che riuscisse a sollevare le condizioni
dei ceti bassi con salari minimi garantiti, lavoro garantito e la nazionalizzazione
delle terre private.
Facendo riferimento a un passo biblico («Vengano i grandi dall’Egitto, l’Etiopia
innalzerà le mani verso Dio»)26, Garvey introdusse in Giamaica l’idea della
nascita di un re che avrebbe liberato l’Africa e che lì avrebbe ricondotto tutti gli
ex schiavi delle colonie.
Intrecciando, così, il pensiero politico marxista e il pensiero religioso fortemente
innovativo e rivolto alla liberazione spirituale dei neri, egli riuscì ad ottenere un
forte consenso, che si manifestò non solo dal punto di vista politico, ma anche da
quello spirituale: Garvey arrivò, infatti, ad essere considerato alla stregua di una
guida o di un profeta.
Un momento fondamentale per la nascita del rastafarianesimo è costituito
dall’incoronazione nel 1930 del ras Tafarì come Hailé Selassié I, Imperatore
d’Etiopia, e già re d’Abissinia con il nome di Negus Negusta, o Re dei Re: per i
giamaicani, egli incarnava perfettamente la figura biblica evocata da Garvey; e

25 ID., Resistenza Rasta pag. 56.


26 ID., Resistenza Rasta, pag. 73.

22
contemporaneamente si distingueva come autorità politica e religiosa nell’intera
area africana, diventandone un punto di riferimento.
I primi a parlare di rastafarianesimo furono Leonard Owell, Archibald Dunkley e
Joseph Hibbert, operai che avevano lavorato anche negli Stati Uniti: essi
predicavano il riconoscimento dell’autorità politica e religiosa di Selassié,
rifiutando il potere della Corona.
Le radici anticapitaliste del pensiero rastafari furono subito percepite dal governo
e da quei giamaicani che sostenevano le autorità coloniali, tanto da arrivare ad
arrestare i possessori di immagini dell’imperatore per incitamento al dissenso nei
confronti della dominazione inglese. Nel legame con i nyabinghi ugandesi, che
proclamavano la morte degli oppressori, il governo britannico e i suoi sostenitori
videro una forte minaccia, consapevoli del fatto che questa identificazione era
diventata culturalmente dominante nei ceti più popolari, e che i giamaicani stessi
avevano capito come i nyabinghi non facessero differenza fra gli schiavisti
bianchi e i loro caporali neri.
Dopo l’aggressione italiana all’Abissinia, nacquero diversi gruppi in sostegno
della causa di Selassié, che vennero riuniti nel 1937 dall’Ethiopian World
Federation, guidata dal cugino, e con sezioni in tutti gli Stati Uniti e nei Caraibi.
Si unirono così tutte le forze dei movimenti neri etiopianisti del mondo, e in
Giamaica l’ideologia del ritorno verso l’Africa si rinforzò, abbracciando in pieno
le tesi dei primi predicatori rasta e allargandone la diffusione del messaggio.
Alla fine degli anni Trenta iniziano ad apparire i simboli identificativi del
rastafarianesimo, tratti per la maggior parte dal Vecchio Testamento: fra essi, vi
sono, ad esempio, il Leone conquistatore della Tribù di Giuda; i tre voti di Nazireo
(non bere alcolici, non avvicinarsi ai cadaveri, non tagliare capelli e barba) e i
dreadlock, che, oltre a fare riferimento all’eroe biblico Sansone, rappresentavano
anche una dimostrazione di ribellione ai costumi della società contemporanea
giamaicana.27
Il rastafarianesimo si discosta dagli schemi rituali impositivi prevalenti nelle
religioni monoteiste, poiché lascia una libertà individuale nella ricerca della
verità, prevedendo la concezione di un’unità fisica e spirituale dell’individuo.

27 Si veda in proposito E. FERRARIS, Il movimento Rasta, Milano, Xenia Edizioni, 2001.

23
Infatti, i rasta parlano di se stessi utilizzando il termine I and I (un Io fisico e uno
spirituale), sovvertendo la rigida suddivisione fra corpo e mente, dominante nel
mondo occidentale.28
Queste nuove istanze religiose presero piede all’interno dei ceti subalterni,
rimanendo però sempre al di fuori delle dinamiche politiche del paese, poiché
questa visione spirituale della vita non prevede una dimensione considerata
corrotta e portatrice di divisioni, come quella politica (come dimostra la creazione
del termine politricks, talvolta usato da Bob Marley nelle interviste).
All’interno delle comunità rasta, la musica era un elemento imprescindibile, in
quanto accompagnava le riunioni spirituali dei membri, chiamate groundation (o
grounation): queste erano riunioni di preghiera cantata e accompagnata dai
tamburi nyabinghi originari del continente africano, nelle quali era inoltre
frequente l’uso rituale di marijuana. Tale pratica di consumo è diventata poi
pretesto, da parte del governo, per punire la ribellione di questa comunità nei
confronti degli inglesi. A differenza dei movimenti a sostegno di Garvey, infatti, il
movimento rastafari si opponeva al regime britannico in senso non strettamente
politico ma più legato al concetto di ‘orgoglio razziale’ non contemplato
dall’ideologia colonialista. A tal proposito Lloyd Bradley scrive:

Per quanto fosse abbastanza difficile per la rigida tradizione britannica capire un
movimento ideologico, che però non era una religione, rivolto contro il capitalismo
ma senza un manifesto politico in senso classico, l’aspetto veramente
inimmaginabile era quello di un’ideologia basata interamente sul concetto di razza
da un punto di vista black. E altri problemi nascevano da un modo di pensare che si
adattava in continuazione di fronte alle novità. Non dimentichiamo infatti che nella
filosofia rasta non esiste una cosa come l’assoluto.29

28 BETTINI - TOSI, Paperback Reggae, p. 69.


29 BRADLEY, Bass Culture, p. 69.

24
2.3 La musica rasta

Look, oh Lord, they brought us down here


Have us in bondage, right through these years
Fussing and fighting, among ourselves
Nothing to achieve this way, it's worser than hell, I say

Get up and fight for your rights, my brothers


Get up and fight for your rights, my sisters30

La musica ovviamente ha seguito un percorso coerente e strettamente legato al


susseguirsi degli eventi storici e al mutare dei fenomeni sociali e culturali. Come
detto in precedenza, l’ideologia rastafari venne subito abbracciata da tantissimi
cantanti e musicisti giamaicani e venne utilizzata la musica come strumento di
diffusione del messaggio politico e religioso.
Durante il periodo dello ska e del rocksteasy, l’appartenenza alla comunità rasta
da parte degli artisti era espressa soltanto attraverso il testo del brano, mentre i
riferimenti alla tradizione africana erano decisamente esigui.
Con l’aumentare della diffusione del messaggio rastafari la musica subisce anche
delle trasformazioni stilistiche, influenzate dalla tradizione musicale nyabinghi. I
brani adottano un tempo più lento e un andamento più appoggiato rispetto allo ska
e al rocksteady, le ritmiche sono fortemente influenzate dai pattern dei tamburi
burru suonati durante le groundation: tre tipi di tamburi che con l’intreccio delle
loro diverse timbriche creavano delle ritmiche con forti richiami melodici. Di
conseguenza aumenta anche la presenza di percussioni all’interno delle band
reggae.
Le liriche composte per i brani si ispiravano ai principi del rastafarianesimo, come
l’approccio spirituale alla vita, le lodi a Jah e al suo rappresentante in terra Hailé
Selassié I, che diventa il simbolo della fede rasta, e il ritorno alle proprie radici
africane come visione ultima del destino dei rastafari.
Oltre che dai principi religiosi, i testi dei brani prendevano ispirazione anche dalle
tematiche politiche proprie del movimento: furono composti veri e propri inni alla
rivolta sociale e al riscatto dei ceti subalterni, e al disprezzo verso Babylon, intesa
come la società occidentale di stampo capitalista e colonialista.

30 ABYSSINIANS, Declaration of Rights, in ID. Satta Massagana Jam Sound, 1976.

25
Queste trasformazioni stilistiche e tematiche rappresentarono un’ulteriore
rafforzamento dell’identità della musica giamaicana: con il termine reggae si
intende, infatti, una fase di maggiore maturità del suono locale, soprattutto nello
specifico dello stile roots. Ciò permise anche di affrancarsi da una condizione di
‘dipendenza commerciale’ imposta dal mercato discografico, che prevedeva il
rifacimento di brani rock e pop in chiave giamaicana, per una maggiore diffusione
oltre i confini nazionali.
Tra le più importanti figure del reggae legato al rastafarianesimo spiccano
Winston Rodney, in arte Burning Spear, cantante noto per la sua vocalità profonda
e rauca e per le sue liriche fortemente spirituali e legate alle radici dell’identità
afro-giamaicana; il gruppo dei Wailers, che sarà la band d’esordio per Bob
Marley, rifletteva la propria militanza rastafariana esplicitamente nei testi delle
canzoni, e rivendicava fortemente la propria appartenenza al ghetto. Bob Andy, in
una sua canzone, dal titolo I’ve got to go back home, esprime un forte sentimento
di alienazione e il desiderio di tornare ‘a casa’, che faceva riferimento sia al mitico
luogo d’origine dei neri giamaicani, che ai luoghi di campagna da cui provenivano
gli abitanti recentemente inurbatisi nel ghetto.31
Un brano che rappresentava un vero inno per la comunità rasta è Satta
Massagana, inciso dagli Abyssinians nel 1969 e ispirato al brano Happy Land di
Carlton & the Shoes: i versi del ritornello sono in lingua amarica (di tradizione
etiope) e invitano alla preghiera e all’adorazione di Jah, mentre le strofe in inglese
fanno riferimento alla Bibbia («The Book of Life») e alla Terra Promessa («There
is a land, far far away, where there's no night, there's only day»).

31 BETTINI - TOSI, Paperback Reggae, p. 71.

26
3. LA GIAMAICA NEL MONDO

Come già detto in precedenza, la musica giamaicana aveva raggiunto una certa
notorietà anche al di fuori dei confini nazionali, grazie soprattutto ad alcuni
produttori discografici che, come Blackwell, avevano saputo sfruttare la forte
carica identitaria dello ska e del rocksteady, esportandola nel contesto delle
comunità giamaicane emigrate in Inghilterra e negli Stati Uniti: in questo modo
erano riusciti non solo ad allargare il mercato per i prodotti musicali provenienti
dalla Giamaica, ma anche a farli conoscere fuori dall’isola.
Complice anche l’utilizzo dell’arrangiamento in ‘chiave giamaicana’ di brani
celebri in Europa e USA, che permise al pubblico di venire in contatto con questo
nuovo stile e con gli artisti che lo rappresentavano, la musica giamaicana
cominciò a raggiungere gli ascoltatori bianchi occidentali. Questa tendenza, però,
impedì al pubblico di comprenderne a pieno la portata rivoluzionaria: il
messaggio politico e identitario rimaneva quindi marginale e riservato
principalmente ai migranti.
Blackwell con la sua Island Records fu uno dei primi a recepire l’importanza che
la musica giamaicana aveva per gli espatriati, e così si occupò di creare un
mercato alternativo nel Regno Unito. Con la sua capacità imprenditoriale e il suo
legame con il territorio di origine, spesso messo in discussione dagli artisti stessi,
diede una prospettiva internazionale al fenomeno musicale giamaicano,
utilizzando una delle figure più coinvolgenti nella storia della musica mondiale,
Bob Marley.

27
3.1 Il fenomeno Marley

I, rebel music
Why can't we roam this open country
Oh why can't we be what we want to be
We want to be free.32

Robert Nesta Marley nacque il 6 Febbraio 1945 nel villaggio di Rhoden Hall,
nella regione di St. Ann’s Bay, situata sulla costa settentrionale della Giamaica, da
madre giamaicana, Cadella Booker, e padre inglese, Norman Marley, capitano
dell’esercito britannico. Bob crebbe soltanto con la madre, abbandonata dal
compagno appena venuto a conoscenza della sua gravidanza, e sviluppò un
sentimento d’odio verso il padre, nel quale riconosceva l’atteggiamento
oppressivo e oltraggioso tipico dei colonizzatori.
Nella canzone Corner Stone del 1970 si ispirò a questa esperienza di vita,
scrivendo un testo che si rivolgeva a tutti coloro che si sentivano rifiutati, e che
voleva infondere loro la speranza con i versi: «The stone that dem builder refuse
will always be the head cornerstone33».
All’età di sei anni si trasferì a Trench Town, quartiere della capitale Kingston,
dove compì gli studi di base e iniziò a lavorare come elettricista. Fu in ambienti di
lavoro che strinse una forte amicizia con Neville O’Riley, meglio conosciuto
come Bunny Wailer, con il quale Bob condivise anche le prime esperienze
musicali sotto la guida del cantante e maestro di musica Joe Higgs.
Higgs era allora, per i ragazzi del ghetto, una sorta di mentore, che attraverso la
fede religiosa e la musica legata al culto rastafari aiutava le giovani generazione
svantaggiate a tenersi lontane dalla malavita, che in città dilagava a causa della
estrema povertà. Fu proprio lui a presentare ai due il talentuoso Winston
McIntosh, ovvero Peter Tosh. I tre formarono presto una band chiamata The Teen
Agers, che si dedicava principalmente allo ska, inteso nella sua forma più leggera
e meno politicizzata.

32 BOB MARLEY & THE WAILERS in ID, Natty Dread, Island/Tuff Gong, 1974.
33 Si faccia riferimento al film: K. MACDONALD (regia di), Marley, Cowboy Films, Shangri-La
Entertainment, Tuff Gong Pictures, 2012.

28
La formazione cambiò nome in Wailing Wailers, che stava sottolineare la
sofferenza del ceto sociale da cui provenivano (to wail significa lamentarsi): si
andò così a sviluppare in loro una maggiore coscienza socio-culturale, che li porta
non solo a riflettere sulle motivazioni dell’oppressione delle generazioni del
ghetto, ma anche comprendere la portata politica e rivoluzionaria della musica.
Composero così nel 1964 il brano Simmer down, prodotto da Coxsone, che si
rivolgeva principalmente ai rude boys, nei quali in questo periodo i Wailing
Wailers si identificavano direttamente, tanto da cambiare per un breve periodo il
loro nome in Wailing Rude Boys 34. A metà anni Sessanta, entrò a far parte del
gruppo come corista anche la cantante Rita Anderson, che nel 1966 divenne la
moglie di Marley.
Subito dopo il matrimonio, Marley si trasferì per un breve periodo negli Stati
Uniti, per fare esperienze lavorative e musicali, che gli permettessero di tornare in
Giamaica con le competenze giuste per aprire una sua etichetta musicale e per
farla funzionare: nel 1967 nacque quindi la Wailing’N’Soul’M Records, con sede
a Kingston.
In contemporanea con la permanenza di Marley negli USA, in Giamaica ebbe
luogo un accadimento che ne mutò notevolmente il panorama culturale, sociale e
politico: la visita di Hailé Selassié I. Marley, che non aveva potuto presenziare
all’evento, era stato comunque fortemente influenzato da esso tramite i racconti
della moglie e dei compagni: Rita era diventata una convinta sostenitrice di
Selassié, coinvolgendo il marito nella riflessione spirituale del rastafarianesimo.35
La curiosità di Marley era stata attirata soprattutto dal cambiamento repentino che
la religione rasta aveva impresso alla gente del ghetto, e grazie alla vicinanza
della moglie e del maestro Higgs, decise di approfondire le sue conoscenze sul
movimento, confrontandosi all’inizio con Mortimo Planno, l’unico rasta che
aveva potuto avere accesso diretto all’imperatore durante la sua visita. 36 Entrò così
in contatto con le comunità rasta del periodo, condividendone gli ideali, ma non le

34 Si veda in proposito FERRARIS, Il movimento Rasta.


35 EAD., Il movimento Rasta.
36 EAD., Il movimento Rasta.

29
modalità di vita, preferendo rimanere a vivere nel ghetto con la sua gente,
piuttosto che vivere da eremita sulla montagne come loro.
Dal punto di vista musicale, per Marley gli ultimi anni Sessanta coincisero con
l’influente presenza di Lee ‘Scratch’ Perry, che allora ricopriva il ruolo di
produttore e tecnico del suono, con il quale fondò la sua seconda etichetta
discografica, la Tuff Gong, e scrisse brani quali Duppy Conqueror e Mister
Brown, e con l’arrivo nella band dei fratelli Aston e Carlton Barrett,
rispettivamente bassista e batterista, che lo accompagnarono per tutta la vita e che
diventarono due figure di riferimento per la musica mondiale.37
Nel 1971 con il brano Trench Town Rock arrivò il primo successo di pubblico, che
portò i Wailing Wailers a uscire dai confini nazionali e a ottenere un tour negli
Stati Uniti di spalla al cantante Johnny Nash (dovettero però abbandonare il tour,
non essendo in regola con i documenti). Come ultimo tentativo di sfondare i
mercati occidentali, decisero di rivolgersi, quindi, all’etichetta inglese di
Blackwell, la Island Records.
Blackwell rimase subito colpito dal carattere e dal talento dei musicisti suoi
conterranei, e decise di collaborare al progetto, offrendo ottomila sterline per la
produzione del disco Catch a fire, sesto album in studio per i Wailers, che uscì nel
1972. Il disco era caratterizzato da testi che trattavano tematiche di tipo politico e
sociale (povertà, razzismo, sfruttamento dei lavoratori, etc.), e fu registrato in tre
diversi studi tra la Giamaica e l’Inghilterra. La produzione artistica dell’album si
dimostrò fortemente innovativa, sviluppando un sound che si poneva a metà
strada tra il tipico reggae giamaicano e il rock statunitense, con elementi del rock
che andavano a inserirsi nel brano senza snaturarne la base. Con 14000 copie
vendute nel primo anno, dimostrarono di aver avuto la giusta intuizione per il
mercato estero.38
A questo album seguì un tour in Inghilterra, durante il quale si manifestarono i
primi screzi di Peter Tosh e Bunny Wailer con Blackwell: i due, che si definivano
militanti della religione rastafariana, non gradivano i luoghi scelti per le loro

37 Si veda a tal proposito: L. MAZZONI, Rasta Marley: le radici del Reggae, Viterbo, Stampa
Alternativa/Nuovi Equilibri, 2009.
38 Si faccia riferimento al documenario J. MARRE (regia di), Catch a fire / Bob Marley and the
Wailers, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, 2004.

30
esibizioni (night club e altri locali ambigui), tanto che, prima della successiva
tornata di concerti in America, Bunny Wailer abbandonò la formazione, essendo
sostituito da Joe Higgs.39
Dopo il tour americano, che portò un’enorme visibilità alla band, arrivò la
realizzazione del nuovo album, Burnin’, nel 1973, all’interno del quale furono
inclusi dei brani che parlavano apertamente delle rivolte e dei disordini scoppiati a
Kingston in quel periodo, e della contrapposizione politica tra i due partiti
nazionali allora esistenti, il People National Party e il Jamaican Labour Party.
Seguì un altro tour in Inghilterra, che coincise con un periodo decisamente critico
per i Wailers: durante la tournée il tastierista Earl Lindo abbandona l’attività,
costringendo la band a interrompere i concerti. Nel frattempo, anche Tosh se ne
andò, mettendo in discussione la leadership di Marley.
La band si risollevò grazie al trio di coriste I-Threes, formato da Rita, Judy
Mowatt e Marcia Griffiths, e all’arrivo del chitarrista Al Anderson, che sostituì
Tosh. Con la nuova band, che cambiò il nome ancora in Bob Marley and the
Wailers, a definitiva conferma della centralità della sua figura nel progetto,
registrò nel 1974 l’album Natty Dread, che contiene uno dei brani più celebri di
sempre, No Woman, No Cry.40
La fede rastafariana di Marley si rifletteva ancora ulteriormente nell’album
successivo, Rastaman Vibration, del 1975. L’anno successivo, in seguito ai
violenti scontri tra le fazioni dei due partiti nazionali, Marley decise di
organizzare personalmente un suo concerto a Kingston, intitolato Smile, Jamaica!,
con il quale si proponeva come conciliatore tra le due parti, utilizzando
quest’occasione per chiedere anche il riconoscimento ufficiale del
rastafarianesimo in Giamaica.41
Nei giorni precedenti il concerto Bob Marley subì però un attentato a casa sua, nel
centro di Kingston, nel quale rimase ferito (fece poi riferimento a questo
avvenimento nel brano Ambush in the Night). La decisione di tenere comunque il
concerto in prima persona, nonostante le ferite riportate e la tensione creatasi

39 Si faccia riferimento al film K. MACDONALD (regia di), Marley.


40 Si veda MAZZONI, Rasta Marley.
41 A tal proposito si veda LAGANÀ, Massive Reggae Discography.

31
intorno all’evento, contribuì alla successiva mitizzazione dell’immagine del
cantante agli occhi dei suoi conterranei. A quel punto, Marley ritenne necessario
allontanarsi dalla propria terra, e trasferirsi brevemente a Londra, per continuare
con meno tensioni il lavoro creativo.
In Inghilterra scrisse e incise Exodus, nel 1977, un album che la rivista «Time» ha
eletto come migliore del XX secolo, e la cui track title, secondo L. Mazzoni è una

Salmodia panafricanista dai riferimenti biblici, che inizia con un’improvvisazione di


studio (jam session di voce, chitarre, percussioni, basso e sintetizzatore), e cresce
progressivamente; presenta una durata insolitamente lungo per un brano reggae (8
minuti), a simboleggiare una marcia cui si aggiunge gradualmente una moltitudine
di persone. Ritmicamente si situa tra Funk e Reggae, con influenze di
Rhythm’n’Blues americano e inglese anni ‘60-’70. La ricchezza ritmica di questo
brano fa riferimento alle tradizioni percussive africane, e in particolare al
procedimento, comune per i suonatori di percussioni, nel quale particolari sillabe
vengono correlate a determinati suoni prodotti dai tamburi. Questa modalità è utile
anche al fine mnemonico e didattico, specialmente negli stili percussivi che usano
una grane varietà di tecniche, e può essere adottata anche per altri strumenti.42

Dopo l’uscita di Exodus, durante il tour americano, Marley si infortunò a un piede


durante una partita di calcio, sport che praticava assiduamente e con grande
passione. Dovette interrompere la tournée, e tornare a Londra per ricevere le cure:
venne così riscontrata la presenza di cellule tumorali nella ferita che si era
procurato, che dovevano essere esportate, amputando il piede. Marley non accettò
di farlo per motivi religiosi, decidendo di perseguire la sua carriera come
performer dal vivo, e di farsi curare con altre modalità.
La sua attività concertistica continuò con la partecipazione al One Love Peace
Concert (che fu un altro tentativo di conciliazione tra le fazioni politiche in lotta
tramite la musica e la socializzazione), e così anche il lavoro in studio, con la
pubblicazione di Kaya nel 1978.
Nel 1980 Marley produsse il suo ultimo album, Uprising, e nello stesso periodo
partecipò al concerto di celebrazione per l’ottenuta indipendenza dello Zimbabwe,
che si trasformò in una doppia data vista la grande richiesta del vasto pubblico
(più di centomila persone). Dopo il concerto di Pittsburgh, interruppe la tournée
americana per ritirarsi dalle scene, stremato dalla malattia, e trascorse gli ultimi

42 MAZZONI, Rasta Marley, p. 106.

32
periodi della sua vita negli istituti di cura di Germania e Stati Uniti, per morire a
Miami l’11 maggio 1981.

33
3.2 La diffusione mondiale del reggae

I say the people of Handsworth, know that


One hand wash the other so they say
So let's join hands my bredren
Make the way for our children43

La grande popolarità ottenuta da Marley durante la sua carriera mise in luce la


produzione musicale giamaicana come una delle più importanti e più articolate
tendenze contemporanee, ciò portò alla crescita e all’arricchimento del mercato
discografico giamaicano e consentì la sua crescita e ulteriore evoluzione.
Bob Marley aveva destato le attenzioni e il successo fra il pubblico occidentale,
ma aveva anche aperto le porte alla loro curiosità nei confronti di tutta la
produzione musicale giamaicana nella sua epoca. Infatti, già dall’inizio degli anni
Settanta negli studi di registrazione avvenivano continue sperimentazioni
all’interno dei canoni del genere reggae, che con la visibilità acquisita riuscivano
a raggiungere i mercati internazionali.
Una delle più importanti tendenze nate in questo periodo è rappresentata dal dub,
che mise in particolare luce la figura del tecnico del suono (o dubmaster).
L’approccio tecnico venne importato dalla dance music e prevedeva il
riarrangiamento di una base strumentale di un brano reggae, miscelando in
maniera creativa tramite l’uso di effetti sonori i vari pattern ritmici e melodici,
creando estemporaneamente una nuova versione del brano:

Nella tradizione giamaicana i dub venivano fatti in presa diretta, mandando tutte le
piste suonate in un mixer e ottenendo in uscita direttamente il nuovo brano attraverso
l’uso estemporaneo dei cursori del mixer e dei pulsanti dei vari effetti. Il dubmaster
diventava così un vero e proprio musicista. A seconda dei gusti un dub poteva più o
meno stravolgere il brano originale attraverso un approccio ritmico o selvaggio,
oppure poteva far risaltare in modo più tranquillo il particolare lirismo delle parti
musicali originali.44

Pionieri del genere furono King Tubby e Sly & Robby, che collaborarono con
moltissimi altri artisti per comporre i dub da inserire nei B-side dei dischi.

43 STEEL PULSE, Handsworth Revolution, in ID., Handsworth Revolution, Island Records, 1978.
44 BETTINI - TOSI, Paperback Reggae, p. 125.

34
Negli anni Ottanta, dopo i forti scontri tra i sostenitori dei due partiti politici
giamaicani e con l’elezione a Primo Ministro di Edward Seaga, parlamentare del
Labour Party, la Giamaica si avviò verso un governo più conservatore e liberista,
che aprì il paese ai mercati internazionali. Il fenomeno rastafariano in questi anni
si ridimensionò e la musica finì per richiamare lo stile dancehall dei primi anni
Sessanta, che prediligeva tematiche quotidiane, come il ballo, il sesso e le sfide tra
Dj, depotenziandone il messaggio politico e religioso.
Con l’avvento della digitalizzazione anche le produzione giamaicane assistettero a
una rivoluzione delle tecniche di incisione musicale: iniziano così a essere
utilizzate basi strumentali prodotte con sintetizzatori e drum machine; a ciò si
accompagna una nuova modalità vocale, fortemente ispirata dal Dj style e dal rap
statunitense. Vennero a definirsi proprio in questo periodo gli stili digital e
raggamuffin, due tendenze fra loro collegate (può essere definita digital la base
strumentale, mentre raggamuffin è lo stile vocale) e che spesso si sovrapposero.
Il panorama musicale giamaicano continuò ad assumere caratteri eterogenei, che
spaziarono molto sia nei temi che nelle soluzioni stilistiche, ed è quindi possibile
trovare cantanti più portati per il misticismo e la spiritualità, che si rifacevano ai
Bobo Ashanti, figure del rastafarianesimo di origine africana, e stilisticamente
ancora legati al reggae roots, come ad esempio Sizzla, Capleton e Buju Banton,
ma anche cantanti più influenzati dal rap americano, come Shabba Ranks,
Yellowman e Burro Banton.
La grande visibilità internazionale che si venne a creare durante gli anni ’70 favorì
ugualmente lo sviluppo di una scena musicale reggae, o comunque inspirata da
questo stile, in Europa e negli Stati Uniti. Di notevole interesse e di fondamentale
importanza per la comprensione dell’influenza che la musica giamaicana ha avuto
sulla musica internazionale contemporanea è il movimento reggae che si sviluppa
in Gran Bretagna, e nello specifico a Londra.
I quartieri periferici della capitale britannica, come ad esempio Handsworth,
Brixton, Chapel Town e Notting Hill, erano le zone residenziali della classe
sottoproletaria inglese, che comprendeva anche un alto numero di migranti
provenienti dalle ex colonie. Il clima politico e sociale di queste zone era
turbolento e molto teso. Lo stato di subalternità della classe sociale che le abitava

35
era ulteriormente enfatizzato dall’atteggiamento oppressivo e colmo di
pregiudizio della polizia. Aumentava così il forte interesse, soprattutto da parte dei
più giovani, verso i movimenti culturali e artistici che predicavano la giustizia
sociale e il riscatto dei ceti inferiori.
I migranti che abitavano questi quartieri erano prevalentemente di origine
caraibica, e riuscirono ad indentificarsi a pieno con la cultura e la musica
proveniente dalla loro terra d’origine, che era molto seguita grazie ai sound
system locali e alle etichette, nati già nel primo periodo postcoloniale con l’arrivo
delle prime ondate di migranti.
Il reggae, che già negli anni Settanta si era guadagnato l’appellativo di ‘rebel
music’, raccolse molti seguaci così tra i giovani giamaicani abitanti della periferia
londinese, che si identificarono con le tematiche contenute nei suoi testi
riscontrandone la veridicità nella loro esperienza di vita e nel loro vissuto
quotidiano.
Nacquero così band come gli Steel Pulse, gli Aswad e i Matumbi, che diedero una
nuova connotazione allo stile reggae roots giamaicano contaminandolo con alcune
caratteristiche tipiche del pop occidentale. Da questo infatti fu ereditato
l’approccio compositivo dei brani che prevedeva la stesura delle liriche
contemporaneamente alla composizione musicale, mentre nel reggae giamaicano
la tendenza era quella di adattare il testo ad una base musicale precedentemente
composta. Questa modalità di scrittura facilitò l’espressione della natura narrativa
del reggae britannico che, attraverso i suoi testi, descriveva il problematico
panorama sociale, culturale e politico delle periferie di Londra e il disagio dei suoi
abitanti.
Oltre ai temi della disoccupazione, delle precarie condizioni di vita nelle periferie
e dell’odio razziale, una delle tematiche più affrontate dal reggae britannico fu
l’atteggiamento provocatorio e fortemente violento della polizia nei confronti dei
migranti, dei rasta e in generale degli abitanti delle periferie. I violenti scontri tra i
giovani neri e la polizia durante i festeggiamenti del carnevale di Notting Hill del
1976, festa di celebrazione della vita, della musica e della cultura caraibica,
alimentarono la crescita di questo forte sentimento d’odio.45

45 Si veda in proposito BRADLEY, Bass Culture.

36
Un altro elemento di differenziazione del reggae inglese rispetto a quello
giamaicano è rintracciabile nelle logiche dell’industria musicale dei due Paesi: se
in Giamaica la produzione musicale fu strettamente legata alla volontà dei
produttori, in Gran Bretagna gli artisti avevano una maggiore responsabilità del
proprio progetto, e quindi potevano godere di una maggiore libertà espressiva e
compositiva, avvicinandosi alcune volte al concetto di autoproduzione.
Di grande rilevanza fu anche la nascita, a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni
Ottanta, dello stile poetry. Questo prendeva spunto dalla tecnica del toasting,
tipico dei dj giamaicani, per inserire un testo poetico recitato su una base musicale
reggae roots o dub.
Pioniere di questo genere fu Linton Kwesi Johnson, artista, giornalista e attivista
nato in Giamaica e cresciuto a Londra nel quartiere di Brixton. Egli, rifacendosi
alle forme poetiche popolari giamaicane, univa le sue composizioni poetiche
fortemente intrise di orgoglio nero e desiderio di giustizia sociale, che
rispecchiavano la sua militanza nei movimenti politici dei neri, con basi musicali
reggae e dub contaminati da alcuni elementi tratti dal pop per favorire la
comprensione e la musicalità del testo parlato.
Di lui L. Bradley scrive:

(…) aveva un occhio da giornalista per tutto quanto poteva rendere interessante
una storia e sapeva smentire il sua aspetto da mite professorino con un senso
dell’umorismo acido e quasi mefistofelico mentre colpiva la borghesia nera, le
scuole degradate, la vita di strada, i tempi bui in Inghilterra e, naturalmente, la
polizia. Il fatto che queste poesie fossero presentate in un patois di facile
comprensione conferiva un peso enorme al recitato. Titoli come Inglan is a Bitch,
Di Great Insohreckshan, All Wi Doin Is Defendin’, It Noh Funny e Reggae Fi
Dada non lasciavano dubbi in chi li ascoltava su come andavano le cose.46

Il panorama reggae inglese non comprendeva però soltanto l’aspetto legato


all’impegno politico e sociale, ma era anche composto da una parte di musicisti e
cantanti più inclini alla composizione di canzoni d’amore o che trattassero
comunque tematiche più leggere. Questi definirono quindi il sottogenere
denominato lovers’ rock che per tutti gli anni ’80 fu quello più popolare.

46 ID., Bass Culture, p. 317.

37
Questo filone stilistico vide tra i suoi protagonisti cantati come Gregory Isaacs,
Dennis Brown e Freddie McGregor, che affiancavano alle classiche liriche di
denuncia tipiche del reggae, anche un vastissimo numero di brani dalle tematiche
romantiche e amorose, tutto accompagnato da basi perfettamente coerenti con le
tendenze stilistiche del tempo. Il lovers’ rock non fu apprezzato in Giamaica tanto
quanto lo fu in Inghilterra dove raggiunse un enorme successo in termini di
vendite.

3.3 L'influenza del reggae sulla musica internazionale

Police and thieves in the streets, oh yeah


Scaring the nation with their guns and ammunition
Police and thieves in the street, oh yeah
Fighting the nation with their guns and ammunition47

La periferia londinese era abitata, oltre al grande numero di migranti provenienti


dalle ex colonie, anche da un ingente numero di nativi inglesi e in generale di
occidentali appartenenti al sottoproletariato.
Le sottoculture presenti all’interno di queste classi sociali furono strettamente
collegate tra di loro, tanto da influenzarsi a vicenda. La vicinanza culturale tra i
neri giamaicani e i bianchi inglesi si manifestò con la nascita del movimento
skinhead, che si rifaceva ai rude boy giamaicani e con i quali condivideva le stesse
condizioni di subalternità sociale. Gli skinhead si dedicarono dunque alla musica
ska e rocksteady contaminandola con elementi e sonorità rock. Nacque dunque lo
ska 2 tone, denominato così per il frequente accostamento del bianco e del nero
sia nella simbologia (scacchiere, smoking bianchi e neri) sia per sottolineare la
forte negazione delle ideologie razziste. Si inseriscono così nella scena musicale
underground gruppi come gli Specials, i Madness e i Selecter contraddistinti per
le loro formazioni miste di bianchi inglesi e neri caraibici, e caratterizzati da testi
che descrivevano la condizione socio-politica britannica in maniera più o meno
ironica e sarcastica.

47 J. MURVIN, Police and Thieves, in ID., Police and Thieves, Island Records, 1977.

38
Successivamente fu il movimento culturale punk ad entrare in contatto con la già
ben definita cultura giamaicana. I punk trovarono numerosi punti in comune con
la cultura rasta dei giamaicani e rimasero affascinati dalla loro forte desiderio di
rivoluzione. Questa vicinanza si manifestò presto anche nella musica e molti
gruppi punk resero omaggio nei loro dischi alla musica giamaicana,
interpretandone alcuni brani in chiave personale.
L’esempio più significativo furono i Clash, che incisero la cover del brano Police
and Thieves del cantante giamaicano Junior Marvin, a sottolineare la vicinanza
socio-culturale del movimento dei punk sottoproletari inglesi rispetto alle classi
subalterne giamaicane. In segno di apprezzamento Bob Marley incise nel 1977 il
brano Punky Reggae Party, prodotto da Lee ‘Scratch’ Perry.
Divenne così frequente la presenza di gruppi reggae in apertura ai concerti punk
dando così origine al movimento del Rock Against the Racism .
Ma non sono soltanto i generi musicali alternativi ad essere coinvolti dalle
caratteristiche sia culturali che musicali del reggae, infatti anche il circuito
musicale mainstream comprende il suo forte potenziale commerciale.
Ad esempio i Beatles, già durante il primo periodo di diffusione della musica
giamaicana in Inghilterra, nella loro Ob-la-di Ob-la-da utilizzano ritmiche e
melodie che richiamano lo ska, ispirati dalla musica che cantanti giamaicani
emergenti come Desmond Dekker e Ken Boothe proponevano sulla scena
musicale inglese.48
Anche i Rolling Stones si dimostrano notevolmente colpiti dal fascino della
cultura e della musica giamaicana, tanto da compiere frequenti viaggi sull’isola
per trarre ispirazione e per effettuare alcune sessioni di registrazione. Da una di
queste session nasce la collaborazione con Peter Tosh che porta alla pubblicazione
del brano Walk and Don’t Look Back, che venne inserito nell’album Bush Doctor
di Tosh.
La definitiva apertura del mercato musicale internazionale pop e rock verso il
reggae si ha nel 1974 con Eric Clapton che omaggia Bob Marley incidendo una
cover di I Shot the Sheriff e inserendola nel suo album 461 Ocean Boulevard.

48 Si veda in proposito E. ASSANTE, Reggae. Da Bob Marley ai Police, Da Kingston a Londra:


storia dei protagonisti della rivoluzione musicale giamaicana, Roma, Savelli Editori, 1980.

39
Incominciano così ad interessarsi alla musica giamaicana anche i nuovi artisti e le
band new wave, come Dire Straits e Patti Smith, che inseriscono, principalmente
nelle esibizioni live, alcuni riff tipici del reggae.
Un gruppo in particolare si distinguerà per la sua forte propensione nel mescolare
il carattere del rock e del punk con le melodie e le ritmiche del reggae, i Police.
Il giovane trio inglese, guidato dall’estroso e talentuoso Gordon Sumner (in arte
Sting), si forma alla fine degli anni Settanta e dopo varie esperienze nei circuiti
punk, jazz e funky definiscono la loro impronta sonora e stilistica unendo le
proprie esperienze musicali passate con l’ispirazione presa dalla musica
giamaicana. Il sound caratteristico e le composizioni innovative e fortemente
coinvolgenti fanno dei Police una delle band più esclusive e di successo del
panorama musicale internazionale. A proposito del loro stile M. Buda dice:

Un rock compatto ma fluido, duro e spigoloso ma tutt’altro che pesante, giocato anzi
su soluzioni vocali e aperture melodiche continue, che richiamano il pop degli anni
Sessanta. È soprattutto un sound nel quale l’impasto ritmico, pulsante e colorito
come pochi, è dato dalle continue sottolineature di cadenze reggae tra i cui intervalli
s’inserisce con incastro quasi perfetto la voce acuta e in falsetto, ma potente, di
Sting, grande ammiratore di Bob Marley e cervello del gruppo. 49

49 ID., Reggae, p. 111.

40
4. IL REGGAE IN ITALIA

4.1 Prime tracce di reggae nella musica italiana

Abbasso e alè
abbasso e alè
abbasso e alè con le canzoni
senza fatti e soluzioni
la castità
la verginità
la sposa in bianco il maschio forte
i ministri puliti i buffoni di corte
ladri di polli
super pensioni
ladri di stato e stupratori
il grasso ventre dei commendatori
diete politicizzate
evasori legalizzati
auto blu
sangue blu
cieli blu
amore blu
rock and blues
nuntereggaepiù50

A differenza di quanto accadde in Gran Bretagna, dove si verificò un naturale


avvicinamento alla musica e alla cultura giamaicana dovuta alla forte presenza di
migranti provenienti dai caraibi, in Italia questa si affermò decisamente più tardi.
Nei primi anni Sessanta, però, si iniziarono a percepire i primi segnali di
avvicinamento alla reggae con l’incisione di alcuni brani di musica giamaicana ai
quali veniva adattato un testo in italiano. E il caso questo di canzoni come, ad
esempio, Tu sei pallido di Rita Pavone (cover della celebre My Boy Lollipop),
Lady Cartwright di Jo Fedeli & Jenny’s Group (versione italiana della The
Israelites di Desmond Dekker) e Un Grosso Scandalo di Dalida ispirata al canto
calypso Shame and Scandal in the Family.51
Questi esempi però rimasero isolati e per buona parte degli anni Settanta la
musica giamaicana rimase fuori dal mercato discografico italiano, troppo legato

50 R. GAETANO, Nuntereggae più, in ID., Nuntereggae più, 1978.

51 BETTINI – TOSI, Paperback Reggae, p. 229.

41
alla tradizione della canzone italiana e in alcuni casi orientato solo verso il
fenomeno del rock.
Le sonorità che richiamavano la musica giamaicana vennero riprese in Italia solo
con l’avvicinarsi degli anni Ottanta quando il fenomeno di Bob Marley era già
esploso e il mercato internazionale stava aprendo le porte alla musica giamaicana.
Fu così che alcuni cantautori italiani utilizzarono ritmi e melodie provenienti dal
reggae, seppur in maniera ancora molto elementare e basilare mantenendo quei
canoni stilistici tipici della canzone a cui il mercato italiano era abituato. Tra
questi riordiamo Lucio Dalla con la sua Disperato Erotico Stomp, Rino Gaetano
con Nun te reggae più e Adriano Celentano con Un po’ artista un po’ no.
Nella musica italiana di questo periodo il reggae fu percepito solo come una
tendenza artistica e stilistica e passò inosservata la profondità e la carica
rivoluzionaria dei suoi testi.

4.2 Il reggae come voce della protesta

Pagine e pagine di allarmismi letali,


di scuse, cordogli, ipotesi tutte uguali
a cui sfugge di nuovo la connessione sicura
la connessione c'è... è la paura!52

Solo con l’inizio degli anni Ottanta l’Italia incominciò a interessarsi al reggae in
maniera più approfondita. Si ebbero dunque i primi concerti di Peter Tosh,
Burning Spear e i Misty in Roots, fino ad arrivare ai concerti tenuti da Bob
Marley a Milano e Torino il 27 e il 28 Giugno 1980, che sconvolsero
completamente le sorti della musica reggae in Italia.
Molti, soprattutto tra i più giovani legati ai movimenti punk, iniziarono a
comprendere e si appassionarono al messaggio di rivolta che la musica reggae
portava. La reperibilità dei dischi reggae giamaicani e inglesi era però molto
complicata visto che il mercato italiano non si era ancora aperto a questo genere
musicale, e gli appassionati che volevano conoscere a fondo questo movimento

52 ISOLA POSSE ALL STARS, Stop al panico, in ID., Stop al panico, Isola nel Kantiere
Productions,1991.

42
culturale e procurarsi dei dischi da diffondere furono costretti viaggiare verso
Londra e, i più fortunati, verso la Giamaica.
Fu grazie ai dischi importati personalmente dai collezionisti e grazie alla nascita
di alcuni negozi di dischi specializzati che il reggae vide un incrementarsi del suo
pubblico.
Il messaggio portato dai testi e dalla sonorità della musica reggae fu accolto con
grande curiosità ed entusiasmo dai vari movimenti studenteschi e politici di
sinistra che in quegli anni si unirono nelle lotte contro il sistema universitario e in
generale contro il sistema capitalistico, convergendo successivamente nel così
detto Movimento della Pantera.
Nelle frequenti manifestazioni di piazza e nei diversi centri sociali delle varie città
si incominciò ad ascoltare i primi dischi di musica reggae giamaicana ed inglese
che rappresentava il sentimento comune di ribellione, oltre che nei i suoi testi, per
la sua natura alternativa ai canoni stabiliti dal mercato discografico italiano di quei
tempi. A metà degli anni Ottanta la scena musicale legata al reggae appariva
ancora molto indefinita ed era costituita da vari fenomeni locali sparsi per tutta
l’Italia e da dj e collezionisti di dischi che si impegnavano per la diffusione della
musica giamaicana e della cultura legata ad essa.

4.3 Le band e i sound system italiani

In salentinu oppuru in giamaicanu


qualche volta pure in italiano
l'importante ete ca buenu lu sentimu
intra la capu lu core lu corpu
cussi ca ni preciamu53

A Bari, ad esempio, i vari movimenti universitari di protesta uniti a giovani


appartenenti alle varie sottoculture urbane, tra cui punk e hippie, diedero vita
all’occupazione di un stabile nel quartiere Stanic, che fu adibito a spazio per
l’organizzazione di attività di tipo sociale e politico oltre che a sala concerti.
All’interno di questo centro sociale nacque la band dei Different Stylee nel 1982.

53 SUD SOUND SYSTEM, Reggae Party, in ID., Reggae Party, Royality Records, 1999.

43
La band era caratterizzata da un sound fortemente legato al reggae roots e al dub e
da testi prevalentemente incentrati sulle tematiche del riscatto delle classi
subalterne e dell’uguaglianza sociale. Nei loro spettacoli i Different Stylee
riuscivano a miscelare in maniera eccentrica musica e recitazione teatrale tanto da
rendere coinvolgenti persino alcune esibizioni televisive nelle quali erano costretti
a suonare in playback54. La band riuscì ad ottenere molto successo grazie
soprattutto al grande talento del suo leader Militant P (nome d’arte di Piero
Longo), che rappresentò una delle figure centrali nella diffusione della musica
giamaicana nel sud Italia e che fu il fondatore, oltre che dei Different Stylee,
anche di una delle band più rappresentative del panorama reggae italiano, i Sud
Sound System.
Nei centri sociali e in ancora pochi music club delle varie province d’Italia
aumentava il numero degli eventi nei quali i dj selezionavano musica reggae,
sempre associata all’hip hop, al punk e in generale alla musica underground.
Gli appassionati che avevano avuto la possibilità di viaggiare e di recarsi nei posti
dove il movimento legato alla musica reggae era nato e si era consolidato
sentirono la necessità di ricreare nel proprio paese lo stesso entusiasmo e lo stesso
fervore che avevano vissuto nelle dancehall di Londra o, ancora meglio, di
Kingston. Per fare ciò si rese necessario innanzitutto procurarsi un ingente numero
di dischi ma ancora di più di utilizzare una strumentazione adeguata per rendere al
meglio le sonorità di quella musica. Gli impianti audio disponibili, anche se
potenti e di buona qualità, non riuscivano a reggere il confronto con gli esagerati
sound system che in Giamaica e in Inghilterra, fin dagli anni Sessanta,
diffondevano la musica reggae enfatizzandone le frequenze del basso e rendendo
esuberanti le dancehall. Furono così costruiti i primi sound system italiani,
seguendo i progetti importati dai viaggi a Kingston e a Londra e rispettando la
tradizione che prevedeva la costruzione artigianale di questi.
Attorno ai sound system si andavano a formare delle vere e proprio crew,
composte da dj, sound operator e mc che animavano le feste con selezioni di
musica giamaicana spesso affiancata all’hip hop statunitense.

54 A tal proposito si veda T. MANFREDI, Dai caraibi al Salento: nascita, evoluzione e identità del
reggae in Puglia, S.l., s.n., 2008.

44
Verso la fine degli anni Ottanta dai sound system si diramano due strade che
daranno un grande contributo alla musica italiana: una parte rimarrà legata al
genere reggae e alla diffusione della musica giamaicana, l’altra invece, unendo la
passione verso il reggae e l’hip hop con l’impegno e la militanza politica, porterà
alla nascita del movimento delle posse.
Questo vede la sua nascita dall’unione di artisti, cantanti e dj che gravidavano
attorno ai centri sociali e ai movimenti di protesta studentesca e sociale. Tra la
fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta andavano a formarsi delle posse per
ogni centro sociale delle maggiori città italiane.
Nacquero così a Roma, all’interno del centro sociale Forte Prenestino, l’Onda
Rossa Posse che si occupava anche della programmazione di una radio
indipendente denominata Radio Onda Rossa; a Napoli, la 99 Posse legata
all’occupazione del centro sociale Officina 99; a Bologna l’Isola Posse All Star
formata da studenti fuorisede che frequentavano il centro sociale Isola del
Kantiere55.
I punti in comune di tutte le posse erano forti tematiche politiche e sociali trattate
nei testi e legate all’utilizzo di linguaggi e stili ispirati al hip hop statunitense e al
raggamuffin giamaicano. L’utilizzo di questi stili, oltre che rappresentare una
forma di distacco dalla commercialità del panorama musicale italiano, si dimostrò
particolarmente efficace per soddisfare la necessità di questo movimento artistico,
ovvero quello di dare centralità al testo (che era frequentemente parlato e non
cantato) senza tralasciare l’aspetto dell’intrattenimento legato al ballo.
Le posse consolidarono le loro formazioni e il loro curriculum artistico ottenendo
un enorme successo all’interno del circuito musicale alternativo italiano ed
internazionale. Gruppi come i 99 Posse hanno mantenuto nel tempo la stessa
formazione e la stessa attitudine artistica dando vita ad un’ingente produzione
musicale e ottenendo un vasto successo ancora oggi. Altri gruppi invece
modificarono nel tempo l’organico della loro formazione dando vita a nuovi
progetti. Esempio più lampante è quello dell’Isola Posse All Star che darà vita ai
Sud Sound System.

55 Si veda A. CAMPO, Nuovo? Rock?! Italiano! , Firenze, Giunti, 1995.

45
Questi nascevano dall’unione dei salentini Papa Gianni, GGD DJ, Don Rico,
Militant P, Treble e Dj War, dopo varie esperienze con Isola Posse All Star e
Salento Posse. Le prime esibizioni dei Sud Sound System avvenivano durante
feste spontaneamente autorganizzate come quelle che si svolgevano durante
l’occupazione della spiaggia Montagna sul litorale leccese 56. Lo stile e la
formazione dei SSS andò delineandosi con più chiarezza verso la metà degli anni
Novanta con la pubblicazione del loro primo disco Comu na petra. I testi avevano
una natura molto eterogenea e andavano da canzoni d’amore a brani più impegnati
a livello politico e sociale e quasi tutti caratterizzati dal utilizzo del dialetto.
Prendendo infatti spunto dai giamaicani, che utilizzavano la lingua creola nei loro
testi come carattere identitario, i SSS ricorsero al dialetto salentino nei loro testi
per sottolineare le proprie origini e la propria vicinanza alle tradizioni della terra
natia.
La band si è sempre ispirata al raggamuffin e in generale alla scena musicale
giamaicana degli anni ’80-’90 utilizzando basi musicali molto dinamiche e
coinvolgenti nelle quali comparivano sia elementi tipici del reggae che influenze
provenienti dalla musica tradizionale salentina. Per questo motivo fu coniato il
termine tarantamuffin57 che andò ad identificare quel movimento salentino legato
al reggae che negli anni è cresciuto in maniera cospicua incoraggiando la nascita
di molte crew e band e favorendo l’organizzazione di molti concerti e festival
anche di respiro internazionale tanto da procurare al Salento la denominazione di
'Giamaica italiana'. A tal proposito Stefano Bettini e Pier Tosi scrivono:

L’importanza dei SSS, infatti, al di là degli indubbi meriti musicali, sta nell’aver
fondato una scena locale in grado di coinvolgere una grande fetta di popolazione, di
presentarsi con una sua dignità culturale anche al di fuori dei circuiti propri della
musica in levare e capace per di più di riprodursi e rigenerarsi in diverse generazioni
successive. In quest’ottica, quella salentina è stata l’unica esperienza italiana che ha
riprodotto alcune modalità tipicamente giamaicane, trovando nel reggae un autentico
collegamento con il territorio.58

56 In proposito si faccia riferimento al documentario G. DE GAETANO (regia di), Pull It Up. An


Italian Story, 9 Lives Video, 2011.
57 Si faccia riferimento a: ID., Nuovo? Rock?! Italiano!, p. 82.
58 BETTINI – TOSI, Paperback Reggae, p. 238.

46
Un'altra band fortemente legata all’identificazione territoriale e sensibile alla
promozione di questo sono i Pitura Freska. Nati a Venezia nella località di
Marghera, rappresentano uno dei gruppi di maggior successo del panorama
reggae italiano. Guidata dal cantante e leader Sir Oliver Skardy, nome d’arte di
Gaetano Scardicchio, la band iniziò a pubblicare le sue prime produzioni nel 1990
e per tutti gli anni Novanta riscosse un successo immenso tanto da riuscire
addirittura ad approdare al Festival di Sanremo nel 1999 con la canzone Papa
Nero.
Il sound dei Pitura Freska, che richiama molto il reggae roots e il primo
raggamuffin con alcune venature rock, risulta essere molto caratteristico ed è
affiancato a testi che trattano tematiche di attualità in maniera fortemente ironica.
A sancito la vera e propria nascita del movimento reggae italiano sono stati gli
Africa Unite, nati a Pinerolo, provincia di Torino, nel 1981 dalle menti di Vitale
Bonino e Francesco Caudullo, in arte rispettivamente Bunna e Madaski, due
eccentrici musicisti dalle spiccate doti creative. Bunna donò al progetto la sua
grande dote dialettica scrivendo testi riguardanti tematiche politiche, sociali e di
attualità con una spiccata vena critica e poetica allo stesso tempo. Madaski invece
sfruttò le sue solide conoscenze musicali per dare alla band quel sound
caratteristico, di provenienza reggae roots ma molto contaminata da influenze
provenienti dal dub, dal dark rock e dalla musica elettronica, che è diventato
riconoscibile in tutto il mondo.
Il primo disco pubblicato dagli Africa Unite, che inizialmente si chiamavano
Africa United per un errore di lettura nel titolo della canzone di Bob Marley, risale
al 1987, fu Mjekrari che fu accorpato l’anno successivo ad un nuovo album
intitolato Llaka. Ma il vero primo successo si è avuto con l’album People Pie del
1991 e con un concerto in Giamaica insieme al celebre Gregory Isaacs59.
La caratteristica peculiare degli Africa Unite è quella di distaccarsi
completamente, se non per l’aspetto stilistico, da tutti quelli stereotipi che
vorticavano intorno al reggae e alla Giamaica, come il rastafarianesimo, la
spiritualità, l’uso di marijuana e preferendo rimanere coerenti con il proprio

59 Si veda BUNNA [et al.], Trent'anni in levare: storia della storia di Africa Unite, Genova,
Chinaski, 2011.

47
background culturale. Ciò permise loro di riscuotere un grande successo anche al
di fuori del pubblico strettamente legato alla musica reggae e di diventare una
delle band più prolifiche e longeve del panorama musicale italiano
contemporaneo.
Seguendo l’esempio degli Africa Unite e dei Pitura Freska, che si dimostrarono
quelli più vicini alle sonorità giamaicane e inglesi, nei primi anni Novanta iniziò
ad aumentare la presenza di gruppi musicali strettamente legati al reggae. È il
caso, ad esempio, dei Reggae National Ticket, che nascono nel 1993 a Bergamo e
che si dimostra essere una delle band più legate alla tradizione musicale
giamaicana. I Reggae National Ticket riscossero un notevole successo nel
panorama underground italiano e grazie alla vittoria di un contest per band reggae
ebbero la possibilità di esibirsi in Giamaica e di registrare lì il loro quarto disco,
intitolato La Isla.
Dopo il viaggio in Giamaica e dopo l’uscita del loro ultimo album nel 2000 il
cantante e leader della band Alberto D’Ascola, in arte Stena, fortemente colpito
dall’esperienza fatta sull’isola che aveva visto la nascita della musica e della
cultura che tanto lo avevano appassionato e coinvolto, decise di trasferirsi a
Kingston per proseguire lì la sua carriera musicale e per portare avanti le sue
credenze rastafari. In Giamaica cambiò il nome d’arte in Alborosie, e strinse
contatti con alcuni produttori del posto e grazie al suo talento e alla sua perfetta
integrazione con l’ambiente giamaicano in breve tempo ottiene, oltre alla stima di
molti cantanti e musicisti dell’isola, un grandissimo successo internazionale.
Contemporaneamente alla nascita e al proliferare di band reggae in tutta Italia
negli anni Novanta anche il fenomeno dei sound system vede un ingente sviluppo.
La cultura dei sound system si diffonde capillarmente in tutta Italia risolvendo in
un certo senso il problema della mancanza di spazi dedicati alla fruizione della
musica reggae. Per le varie crew infatti risultò più immediato organizzare feste in
luoghi come casolari di campagna e strutture private, utilizzando direttamente la
strumentazione già in possesso di chi metteva la musica.
Con il passare del tempo e con l’approfondirsi delle ricerche musicali e della
conoscenza della materia da parte delle crew, ogni gruppo tendeva a prediligere un
particolare sottogenere del reggae e delle tecniche di mixaggio dal vivo,

48
determinando così una certa frammentazione nel panorama dei sound system, che
finivano per specializzarsi in un solo stile.
Il primo e uno dei maggiori sound system italiani è stato il One Love Hi Powa,
una crew di Roma, che aveva anche aperto uno dei primi negozi di dischi
specializzati in musica giamaicana, con una fiorente attività anche in Giamaica sia
come performance dal vivo che come etichetta discografica, e i cui componenti
già dalla fine degli anni Ottanta erano stati promotori dell’organizzazione di
diversi concerti di band e cantanti giamaicani e inglesi.
L’enorme crescita dei sound system in Italia portò a una stretta collaborazione fra
essi e alla nascita di manifestazioni e festival che permettevano l’incontro e la
condivisione di esperienze tra le crew e il loro pubblico. L’esempio più importante
a livello italiano fu il RAS (Reali Autentici Sound) Festival, che si è svolto
annualmente a Roma presso il C.S.O.A Forte Prenestino dal 1995 al 2001, e che
durante la sua attività ha visto la presenza di quasi tutti i sound system attivi sul
territorio in quegli anni.
In questi contesti viene recuperata la tradizione giamaicana dei sound clash, che
assume ovviamente caratteri meno bellicosi di quelli giamaicani, e che si
caratterizza invece come momento di confronto fra i partecipanti. Le sfide
naturalmente consistevano all’inizio nel proporre i brani più particolari o più
difficili da reperire, esattamente come era avvenuto nella Giamaica degli anni
Sessanta.
Col tempo si sviluppa anche la produzione dei dubplate: brani rivisitati nel testo,
in modo da esaltare le qualità, reali o presunte, del sound system che li ha prodotti,
e che risultano di maggiore impatto a seconda dell’interprete e della fama degli
originali. I dubplate rappresentano così per i sound operator una fase di
produzione più personale, in quanto sono loro stessi nella maggior parte dei casi a
riscrivere il testo, e di allargamento della visibilità, poiché si sviluppò la pratica di
far cantare questi riarrangiamenti dai più noti cantanti reggae. Questa tendenza,
però, divenne talmente legata alla celebrità dei cantanti stessi, che spesso
diventava più importante suonare dal vivo un dubplate con la voce di un
performer giamaicano famoso, piuttosto che avere in possesso un buon numero di
dischi esclusivi e di alta qualità.

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Carattere distintivo dei dj e dei sound system reggae è l’utilizzo unico e
imprescindibile degli Lp e dei singoli in vinile, marchio di garanzia qualitativa in
quanto essi costituivano i supporti originali su cui le etichette giamaicane
pubblicavano gli album. La mancanza di negozi specializzati durante le prime fasi
della diffusione del reggae in Italia costrinse i collezionisti e i dj a importare i
dischi dalla Giamaica stessa e dall’Inghilterra, la maggior parte delle volte ‘a
scatola chiusa’, poiché, a distanza, non vi era la possibilità di ascoltarli prima
dell’acquisto.60
Con lo sviluppo di nuove tecnologie di registrazione e riproduzione fra gli anni
Ottanta e i Duemila (CD, mp3, etc.), l’approccio più tradizionale legato
all’utilizzo dei vinili è rimasto comunque in auge da parte di molti sound system
ancora oggi in attività. L’acquisto degli originali non è mai infatti venuto del tutto
meno, nonostante la grande diffusione dei supporti e della strumentazione digitale,
che certamente sono caratterizzati da una maggiore praticità, dovuta anche alle
dimensioni più ridotte dei materiali. Spesso però, proprio per risparmiare la fatica
del trasporto di pesanti valigette portadischi, e per evitare l’usura o il furto dei
vinili stessi (non si dimentichi che la maggior parte dei dj sono possessori di
collezioni che possono anche raggiungere diverse migliaia di pezzi, anche molto
rari, e quindi che necessitano attenzione e cura), si è fatto ricorso alle nuove
tecnologie e ai nuovi supporti per la diffusione musicale. La tendenza, infatti, è
sempre di più quella di utilizzare i brani in formato mp3 e mixarli dal vivo,
utilizzando programmi informatici appositi e strumentazione digitale in
sostituzione dei tradizionali giradischi.
Se da un lato la digitalizzazione musicale e la diffusione di internet hanno
permesso una maggiore e più libera circolazione della musica tra il pubblico, a
livello mondiale così come italiano, dall’altro si è andata perdendo sia la qualità
performativa (poiché i supporti digitali prevedono una certe compressione dei
dati, che determina la perdita di qualità in termini sonori), che anche il carattere di
ricerca individuale o collettiva della musica, che, soprattutto per quanto riguarda il
reggae, è sempre stato connaturato nell’evoluzione del genere, essendo così legato
alla stessa tradizione giamaicana.

60 Si veda il documentario: DE GAETANO, Pull it up.

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Bibliografia

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storia dei protagonisti della rivoluzione musicale giamaicana, Roma, Savelli
Editori.
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underground musicale e cultura giovanile degli anni '90 in Italia, Firenze, Tosca.
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Sitografia

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Origini e le influenze del feno-meno reggae a Londra
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T. D'ELIA - L. ONORATI (regia di), Giamaica Mon amour. Viaggio on the road
attraverso i luoghi e i rap-presentanti della musica reggae in Giamaica.
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Radicale.
Il reggae in Italia. Dibattito sulla scena musicale reggae italiana al Rototom Sun
Splash, reperibile all'indirizzo www.arcoiris.tv.

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