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La Costituzione italiana

Una sintesi
Michele Morreale

Premessa
La Costituzione è l’“insieme delle norme giuridiche che regolano le strutture fondamentali
dello Stato e i suoi rapporti con i cittadini”.1 Si tratta di una definizione abbastanza
semplice e intuitiva, bisognosa tuttavia di qualche precisazione.
Generalmente, si è inclini a credere che sia sufficiente la presenza di una Carta
costituzionale a garantire diritti e libertà ai cittadini. Ebbene, no. Esistono – o sono esistite
- costituzioni illiberali o così flessibili, ovvero modificabili con leggi ordinarie, prive di
questa capacità. Lo Statuto Albertino, per esempio, non impedì l’affermarsi del fascismo
pur disponendo di un articolato che formalmente assicurava le libertà individuali. Come
mai? In ragione proprio della sua flessibilità esso si conformò sia a una monarchia
parlamentare sia a un sistema dittatoriale. In particolare, il fascismo sfruttò
un’interpretazione estensiva dell’articolo 32 dello statuto relativo all’ordine pubblico e al
suo mantenimento.
Perché dunque una Carta costituzionale stia a fondamento e a garanzia delle libertà deve
necessariamente essere improntata ai principi del costituzionalismo. Il costituzionalismo è
quell’insieme di dottrine che ammettono come “costituzionali” solo quelle carte che
garantiscono la divisione dei poteri e le libertà personali. La Costituzione italiana è una di
queste. Un confronto con lo Statuto Albertino servirà a esemplificare meglio.

Statuto Albertino Costituzione Italiana


Carta costituzionale ottriata Carta costituzionale votata
Unilateralmente concessa dal sovrano. Il monarca Scelta rappresentativamente dal popolo che è il
autolimita il proprio potere senza metterne in titolare del potere. Una diversa e successiva volontà
gioco il fondamento. popolare può cambiare il contenuto della Carta,
tranne la forma dello Stato (articolo 139)
Costituzione flessibile Costituzione rigida
I cambiamenti delle parti della Carta non I cambiamenti delle parti della Carta richiedono
richiedono procedure speciali procedure speciali, regolate dall’articolo 138
Costituzione non costituzionalista Costituzione costituzionalista
Il riconoscimento dei diritti può essere limitato o Il riconoscimento dei diritti non può essere limitato o
cambiato da leggi ordinarie. I diritti non sono cambiato da leggi ordinarie. I diritti sono uguali per
uguali per tutti tutti

Nel suo secolo di vita, lo Statuto ha sorretto sistemi politici diversi, quello liberal-
parlamentare e quello totalitario del fascismo. Senza avvertirne la necessità di cambiarlo,
Mussolini si limitò a subordinare alle leggi fascistissime la Carta sabauda, consegnando ad
alcuni articoli – come detto il numero 32 sull’ordine pubblico – un peso maggiore e
un’interpretazione più autoritaria.

La nascita della Costituzione. Un po’ di storia


Nell’aprile del 1945 gli alleati angloamericani e le organizzazioni partigiane portarono a
compimento la liberazione di tutto il territorio nazionale dai tedeschi occupanti e dagli
ultimi fascisti loro alleati.
Erano trascorsi più di vent’anni di dittatura e si era consumata una sconfitta militare nella
più sanguinosa guerra che la storia dell’umanità avesse mai conosciuto e di cui lo stesso
fascismo italiano fu corresponsabile.
Si trattava ora di porre le basi del nuovo Stato, di un’Italia diversa in cui gli stessi valori
che avevano ispirato la Resistenza e la lotta contro il nazifascismo, i valori della
democrazia, della libertà , della giustizia e della solidarietà , fossero posti alla base della
nuova società a cui la maggioranza degli italiani aspirava.
1
Definizione tratta dal Dizionario italiano De Mauro
Già con il Patto di Salerno2 dell’aprile del 1944, stipulato tra il Comitato di Liberazione
Nazionale e la Monarchia, si decise, tra l’altro, di sospendere la scelta tra la Monarchia e la
Repubblica fino alla fine della guerra. I partiti antifascisti che condussero la Resistenza
non avevano perdonato a Vittorio Emanuele III di avere affidato l’incarico di formare il
nuovo governo nel 1922, in seguito alla marcia su Roma, al capo del Partito Fascista Benito
Mussolini e neppure gli perdonarono di non avere fatto alcunché per impedire che questi
trascinasse l’Italia nella dittatura, nella sciagurata alleanza con Hitler e nella rovinosa
avventura della guerra.
Con il Patto di Salerno si decise anche che, a guerra terminata, gli italiani avrebbero
dovuto eleggere un’Assemblea Costituente con il compito di redigere una nuova
Costituzione.
In attesa di definire il nuovo assetto dello Stato, Vittorio Emanuele III rinuncia all’esercizio
delle sue funzioni che vengono affidati al figlio Umberto II col titolo provvisorio di
Luogotenente del regno. Lo Statuto Albertino non rappresentava più , semmai lo avesse
fatto, la reale volontà degli italiani. La Costituzione del Regno d’Italia dal 1848 era ancora
formalmente in vigore poiché le leggi fasciste che lo avevano stravolto erano state in certa
misura già abrogate a partire dal 25 luglio 1943, dopo la destituzione di Mussolini.
Il 2 giugno del 1946, venti milioni di italiani sono chiamati alle urne per decidere – con
legge proporzionale – la formazione dell’ Assemblea Costituente e la forma repubblicana o
monarchica dello Stato. Con più di 2 milioni di voti di scarto l’opzione repubblicana
prevalse. I 552 membri dell’Assemblea risultarono così suddivisi:

• DC (Democrazia cristiana) oltre il 35%


• PSIUP (Partito socialista di unità proletaria) oltre il 20%
• PCI (Partito comunista italiano) quasi il 19%
• PLI (Partito liberale italiano) quasi il 7%
• UQ (Fronte dell’uomo qualunque) oltre il 5%
• PRI (Partito repubblicano italiano) oltre il 4%
• PdA (Partito d’azione) quasi 1,5%
• Altri 7% circa

A fine giugno dello stesso anno l’Assemblea elegge Enrico De Nicola primo Capo dello
stato. Forma, inoltre, la Commissione per la Costituzione composta da 75 membri – e per
questo chiamata più comunemente Commissione dei 75 – scelti in numero proporzionale ai
voti ottenuti dai partiti. Invero, i lavori dei Padri Costituenti si svolgono in tre
Sottocommissioni, la cui presidenza è affidata a rappresentanti dei maggiori partiti.
Umberto Tupini (DC) è alla guida della Sottocommissione dei Diritti e doveri dei cittadini;
Umberto Terracini (PCI) alla Organizzazione costituzionale dello Stato e Gustavo
Ghidini (PSI) presiede la terza, quella sui Rapporti economici e sociali.
La Commissione dei 75 inizia i suoi lavori il 20 luglio 1946, li conclude con l’approvazione
definitiva dell’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947 con 453 voti a favore e 62
contrari. La Costituzione italiana entra in vigore il 1° gennaio 1948.

2
Il cosiddetto Patto o svolta di Salerno, avvenuta nell'aprile del 1944, prende il nome da una iniziativa
di Palmiro Togliatti leader del PCI, probabilmente su impulso dell'Unione Sovietica, finalizzata a trovare
un compromesso tra partiti antifascisti, monarchia e Badoglio, che consentisse la formazione di
un governo di unità nazionale al quale partecipassero i rappresentanti di tutte le forze politiche presenti
nel Comitato di Liberazione Nazionale, accantonando quindi temporaneamente la questione
istituzionale. L'iniziativa si concluse con l'accettazione di una mediazione di Enrico De
Nicola concernente il trasferimento di tutte le funzioni ad Umberto di Savoia, quale Luogotenente del
Regno e l'indizione di una consultazione elettorale per un'Assemblea Costituente per la scelta della
forma dello Stato solo al termine della guerra. [Fonte Wikipedia, con rettifiche]
La Costituzione è dunque frutto di un compromesso tripartito (DC-PCI-PSI) – come
sostenuto da subito da Piero Calamandrei – ma a cui non fece mancare l’appoggio
perplesso ma costruttivo dell’area liberale. Avvocato, giurista e accademico di fama, Piero
Calamandrei – tra i fondatori del Partito d’Azione, gruppo di ispirazione liberal-sociale – è
tra i Padri Costituenti una voce libera e spesso critica rispetto alla scelte compiute 3.
Nonostante ciò , la sua adesione al risultato finale dà il senso e lo spessore storico della
validità della carta costituzionale. In un suo celebre discorso ai giovani universitari, nel
salone degli affreschi della società umanitaria Milano, del 26 gennaio 1955 così si esprime:

In questa nostra Costituzione c’è tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i
nostri dolori, tutte le nostre sciagure, le nostre glorie. Sono sfociati qui, in questi
articoli e, a sapere intendere, dietro questi articoli si sentono le voci lontane … E
quando io leggo nell’art. 2: “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale”; o quando nell’art. 11: “l’Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria in mezzo ad altre patrie
… ma questo è Mazzini! O quando io leggo nell’art. 8 “tutte le confessioni religiose
sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour! O quando io leggo
nell’art. 5: “la Repubblica è una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie
locali”, ma questo è Cattaneo! O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle Forze
armate: “l’ordinamento delle FF.AA. si informa allo spirito democratico, ma questo è
Garibaldi! E quando leggo all’art. 27 “non è ammessa la pena di morte”, ma questo è
Beccaria! […] Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti […] dovunque è morto un
italiano per riscattare la libertà e la dignità […] lì è nata la nostra Costituzione.

Dunque compromesso è stato, ma di alto livello. Risultato del sangue e del genio – per
usare una formula nicciana – della storia recente e meno recente del popolo italiano.

Struttura della Costituzione


La Costituzione della Repubblica Italiana contiene 139 articoli e 18 disposizioni transitorie
e finali. I primi dodici articoli costituiscono i Principi fondamentali, segue la prima parte,
che si occupa di Diritti e doveri, articolata in Rapporti civili (articoli 13-28), Rapporti
eticosociali (articoli 29-34), Rapporti economici (articoli 35-47) e Rapporti politici (articoli
48- 54). La seconda parte si occupa dei complessi meccanismi che regolano l'Ordinamento
della Repubblica, cioè le funzioni del Parlamento, del Presidente della Repubblica, del
Governo, della Magistratura, di Regioni, Province e Comuni, nonché delle garanzie
costituzionali.

Le radici culturali della Costituzione. I Principi fondamentali


Per capire al meglio la natura compromissoria della nostra Carta c’è un indicatore di sicura
efficacia: l’analisi dei suoi primi dodici articoli, i Principi fondamentali. In realtà , in questa
sede ci si limiterà semplicemente a delibarne complessivamente le linee di fondo,
scegliendo di analizzare invece con qualche dettaglio in più l’Articolo 3. Anzi,
segnatamente, di comprendere le ragioni di una scelta lessicale molto scivolosa, ovvero
l’inserimento della parola “razza” al suo interno. Ci accorgeremo che la decisione di
adottare questo sostantivo non è dovuto a imperizia o superficialità : tutt’altro. È questa
una conferma ulteriore di un dato – tra i tanti – davvero significativo. Tra i Padri
Costituenti solo il 5,5 % non aveva titolo di laurea. Forse oggi, in epoca di istruzione di
massa e mercificazione dei titoli culturali, questo aspetto potrebbe essere valutato
impropriamente; tuttavia nell’Italia del dopoguerra meno dell’uno per cento della
popolazione aveva raggiunto il traguardo finale di studi universitari. La lettura delle

3
Valga per tutte la battaglia - perdente - che Calamandrei intraprese perché il sistema democratico della
Repubblica fosse presidenziale e non parlamentare. I suoi timori di una politica consegnata alla
partitocrazia – secondo il neologismo di Roberto Lucifero – non si sono certo rivelati infondati.
sedute parlamentari di allora ci restituisce infatti appieno l’immagine di un consesso di
persone consapevoli del legame tra parole e concetti.
Se si dovesse dunque indicare un nucleo capace di portare alla luce l’unitarietà dei Principi
fondamentali, che cosa dovremmo riconoscere? Per molti esperti la risposta è il valore
della persona umana.4 Le tre aree culturali dei Padri costituenti – quella cattolica, quella
marxista, quella liberaldemocratica – hanno permesso di declinare in modi differenti,
sorvolando le vicende e gli interessi politici quotidiani 5, i fondamenti della Costituzione.
Limitiamoci a pochi cenni. Senza il lavoro, un individuo ha dignità di persona o diviene una
cosa alla mercé di altri?6 Questo allora è l’Articolo 1 e l’Articolo 4 (L’Italia è una Repubblica
fondata sul lavoro/ La Repubblica riconosce … il diritto al lavoro), nella cui parola-chiave si
condensa la dignità umana (cattolici), la dignità sociale (sinistra) e quella dell’espressione
del proprio merito (liberali). Il valore della persona cambia a seconda le circostanze
storiche? No. L’Articolo 2 “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Non deve
più accadere che la politica possa definire un uomo una non-persona, come si fece in Italia
con le leggi razziali del 1938. I diritti inviolabili stanno oltre la sfera politica e sociale: non
possono essere dettati dalle diseguaglianze economiche, di genere, di razza, di opinioni
politiche e religiose (Articolo 4), né si può pretendere di toglierli alle minoranze (Articolo
6), agli stranieri (Articolo 10) o di impiegare la guerra per sottrarli agli altri popoli
(Articolo 11).
La formulazione di questi articoli non è stata facile né lineare, tant’è che l’accordo talvolta
non riesce a nascondere tensioni e diversità in alcuni casi palesi. Per citare una sola
questione: l’Articolo 7 a lungo paralizzò i lavori dei Settantacinque. Alla componente
marxista e liberale la menzione esplicita e diretta dei Patti lateranensi e della centralità
assegnata al cattolicesimo pareva contrastare con l’antifascismo costituzionale e
l’uguaglianza delle religioni sancito nell’Articolo 4. Per una decisione inaspettata del
leader comunista Togliatti, nella notte tra il 25 e il 26 marzo del ’47, i lavori poterono
proseguire. Dalla parte laica dei Padri Costituenti – che se compatta costituiva
maggioranza - la concessione di ammettere la formulazione cattolica dell’Articolo 7 fu
vissuta come un tradimento. In ogni caso, i primi dodici articoli – o almeno buona parte di
essi – hanno il merito di fondare una società liberale e sociale che cancellava la struttura
totalitaria del fascismo.

Area cattolica Area marxista Area liberaldemocratica

Uguaglianza Libertà
Valore Persona
(della persona) (della persona)

teologia medievale
filosofi antihegeliani e Karl Marx John Locke
Teorici
antiliberali socialisti utopisti John Stuart mill
kierkegaard

4
Stefano Rodotà (1933-2017) – giurista di fama internazionale – ha usato a tal proposito la formula
“costituzionalizzazione della persona” per indicare il processo di acquisizione giuridica dell’idea di
persona.
5
Nei due anni circa in cui rimase operativa, l’Assemblea Costituente funse anche da governo che ebbe
maggioranze varie. Ebbene i lavori della Commissione dei 75 non si fecero influenzare dalla contingenza
del momento politico.
6
Kant distingue l’uomo dalla cosa in relazione all’uso strumentale che possiamo farne. Una persone è
sempre un fine e mai un mezzo.
Padri
costituen Moro, Dossetti, La Pira Togliatti, Jotti, Einaudi, La Malfa
ti

La parola “razza” nella Costituzione


L’11 settembre 1946 la Prima Sottocommissione accoglie il testo provvisorio - che
costituisce il primo abbozzo dell’Articolo 3 – presentato dai relatori Giorgio La Pira (DC) e
Lelio Basso(PSI). Il testo diviso in due commi così recita:
“Gli uomini, a prescindere dalla diversità di attitudini, di sesso, di razza, di classe, di opinione
politica e di religione, sono eguali di fronte alla legge ed hanno diritto ad eguale trattamento
sociale.
È compito della società e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale che,
limitando la libertà e l'uguaglianza di fatto degli individui, impediscono il raggiungimento
della piena dignità della persona umana ed il completo sviluppo fisico, economico e
spirituale di essa”.
Seguono interventi di varia natura, particolarmente interessante per i fini che ci
proponiamo in questa sede è l’emendamento - poi bocciato - dell’on. Roberto Lucifero
D’Aprignano (1903-1993) (BNL= Blocco Nazionale delle Libertà , un partito monarchico). Il
deputato - ex segretario di Umberto II - propone di sostituire il termine “uomini” con il
termine “cittadini”. Se la proposta fosse stata accolta, la nostra Costituzione avrebbe
assegnato i diritti fondamentali in base alla cittadinanza, non all’essere persona.
Nella seduta del 24 marzo 1947, durante la discussione sull’articolo 7 che poi diventerà
l’articolo 3, la Commissione per la Costituzione presieduta dall’On. Terracini 7 prende in
esame un emendamento dell’On Mario Cingolani 8 che propone di sostituire la parola
“razza” con “stirpe”.9 Segue un dibattito di vasta portata, in cui inizialmente il proponente
rimarca la sua scelta anche per rispetto ai cittadini italiani ebrei perseguitati sotto il
fascismo. L’intervento del comunista Michele Laconi e, soprattutto, di Meuccio Ruini -
appartenente al gruppo Misto – avranno invece il potere di fargli cambiare idea. Anche se
con argomenti che alla nostra sensibilità suonano come poco scientifici (i due deputati
infatti ammettono l’esistenza delle razze), le obiezioni proposte fanno leva proprio sulla
funzione ammonitrice che il sostantivo “razza” conserva in luogo di stirpe. “Razza”
insomma per ricordare gli orrori del razzismo.
“Si potrebbe apprezzare – dichiara Ruini – la parola «stirpe» e preferirla a quella di «razza»,
per quanto anche razza abbia un significato ed un uso scientifico, oltreché di linguaggio
comune. Comprendo che vi sia chi desideri liberarsi da questa parola maledetta, da questo
razzismo che sembra una postuma persecuzione verbale; ma è proprio per reagire a quanto
è avvenuto nei regimi nazifascisti, per negare nettamente ogni diseguaglianza che si leghi in
qualche modo alla razza ed alle funeste teoriche fabbricate al riguardo, è per questo che —
anche con significato di contingenza storica — vogliamo affermare la parità umana e civile
delle razze”. Al termine dell’intervento Mario Cingolani ritira la sua proposta.
La conoscenza di questi avvenimenti storici avrebbe evitato sfondoni di certi politici che,
recentemente rimbeccati per aver usato il termine “razza”, si sono difesi dichiarando che è
la Costituzione ad ammettere le razze, quando non addirittura la “difesa della razza
bianca”! Forse in questi casi, neanche l’ignoranza più patentata può nascondere certi retro
pensieri di cui non si ha il coraggio di assumere pubblicamente la paternità .

7
Umberto Terracini politico, tra i fondatori con Gramsci del PCI.
8
Mario Cingolani (1883-1971) politico DC, senatore a vita
9
Ovviamente al momento della discussione tra i costituenti della Commissione dei 75, la numerazione
degli articoli non coincideva in genere con quella definitiva
In chiusura proponiamo un articolo di Sergio Bontempelli uscito in occasione della
querelle di cui abbiamo riferito che ricostruisce bene le circostanze entro cui maturò il
dibattito e fornisce una chiave di lettura che condividiamo appieno.

Che razza di Costituenti


S. Bontempelli
[…] due autorevoli scienziati, Gianfranco Biondi e Olga Rickards, hanno lanciato
un appello per cancellare la parola «razza» dalla Costituzione italiana. Si ricorderà che,
all’art. 3, il testo fondativo della Repubblica stabilisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza…»: e quella
parola – «razza» – suona davvero male, in una carta che sancisce la piena uguaglianza e la
parità di diritti.
Già, ma perché i Padri Costituenti usarono un termine così odioso, che richiamava 
l’antisemitismo di stato e i progetti hitleriani di sterminio? Difficile pensare a una svista:
chiunque conosca anche superficialmente i lavori della Costituente sa che ogni parola fu
attentamente soppesata, ponderata, «limata» fino alla nausea. Ed è improbabile  che un
vocabolo così «pesante» possa essere sfuggito di mano. E, infatti, i deputati di allora si
interrogarono a lungo sulla parola «razza», e decisero di usarla, per così dire, a ragion
veduta. [..].
Il contesto
Prima di entrare nel dettaglio, sarà bene ricordare un dato «di contesto»: all’epoca, il
concetto di «razza» era politicamente screditato, ma aveva ancora una sua legittimità
scientifica. I Costituenti sapevano benissimo che quel termine aveva legittimato lo sterminio
e la persecuzione degli ebrei, nonché le tante «pulizie etniche» della Seconda Guerra
Mondiale: eppure, esso faceva parte del vocabolario degli studiosi e dei ricercatori, ed era
difficile prescinderne.
La prima presa di posizione antirazzista della scienza «ufficiale» arrivò in effetti solo nel
1950. In quell’anno un gruppo di antropologi e biologi, riuniti sotto l’egida dell’UNESCO,
elaborò la cosiddetta «Dichiarazione sulla razza», secondo la quale non vi era «alcuna prova
che i gruppi umani differiscano nelle loro caratteristiche mentali innate, riguardo
all’intelligenza o al comportamento». Posizioni di questo tipo esistevano già all’indomani
della guerra, ma erano ancora minoritarie nel mondo scientifico. Il dibattito alla Costituente
è uno specchio di queste ambiguità: da una parte, i deputati volevano superare la stagione
delle leggi razziali e della discriminazione di Stato, ma dall’altra facevano un uso disinvolto
del concetto di «razza». Così, nei verbali delle sedute si trovano a volte frasi di questo
tenore:  «basta aprire un qualsiasi testo di geografia per trovare che gli uomini si dividono
in quattro o cinque razze»[Seduta Plenaria del 24 Marzo 1947, pag. 2423, l’affermazione è di
Renzo Laconi, Pci]
«Razza» o «stirpe»?
Ma andiamo con ordine. Come noto, i lavori della Costituente si articolarono in due momenti
distinti. In una prima fase, l’Assemblea demandò il compito di redigere un testo provvisorio a
una Commissione: questa lavorò dal Luglio 1946 al Gennaio 1947, dividendosi a sua volta in
tre «sottocommissioni». A partire dal Marzo 1947, il progetto di carta costituzionale passò
poi al dibattito in Aula.
La parola «razza» fece capolino subito, sin dalle prime riunioni della Commissione: fu il
democristiano Giorgio La Pira, il futuro (e famoso) Sindaco di Firenze, a inserirla in
una  bozza di lavoro presentata ai deputati. «Davanti al sistema integrale dei diritti della
persona – si leggeva in uno degli articoli proposti da La Pira – gli uomini sono tutti eguali a
prescindere dalle loro attitudini, dalla loro razza, classe, religione, opinione politica o sesso».
Era, per così dire, l’«antenato» dell’attuale articolo 3.
L’utilizzo della parola «razza» non sfuggì agli attenti deputati. Roberto Lucifero
d’Aprigliano, esponente del Partito Liberale e monarchico convinto, propose di sostituirla
con “stirpe”, un vocabolo «più consono alla dignità umana». Gli altri parlamentari, però,
obiettarono che il termine razza era «entrato nell’uso comune da quando fu impostata dal
fascismo la questione razziale»: era dunque difficile prescinderne. Quella parola così odiosa,
concluse Togliatti, «dovrebbe essere usata appunto per ripudiare la politica razziale del
fascismo» [Commissione per la Costituzione, Prima Sottocommissione, Resoconto del 14
Novembre 1946, pagg. 377-378].
Le comunità ebraiche scendono in campo
La prima bozza di Costituzione, uscita nel Gennaio 1947, conteneva dunque la parola
«razza». Ma il dibattito sull’opportunità di usare quel termine non si chiuse con i lavori della
Commissione. E anzi si spostò dalle aule parlamentari alla discussione pubblica «nel paese»,
come si diceva allora.
Il 3 Marzo 1947 intervennero le prime vittime delle politiche razziali del fascismo: l’Unione
delle comunità israelitiche italiane inviò alla Costituente un documento molto articolato, in
cui accanto alle libertà religiose si chiedeva l’eliminazione della parola “razza”, «da lasciare
ai cani e ai cavalli» [Rilievi e proposte presentate dalla Unione delle Comunità israelitiche
italiane sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana formulato dalla Commissione
per la Costituzione, Roma 1947, pag. 9].
Le scelte dei Costituenti
L’intervento delle comunità ebraiche sollecitò una nuova discussione, stavolta in assemblea
plenaria. Nella seduta del 24 Marzo, il gruppo DC presentò un emendamento volto a
sostituire la parola «razza» con «stirpe»: e paradossalmente, furono le sinistre a opporsi.
«In questa parte dell’articolo – spiegò il comunista Laconi – vi è un preciso riferimento a
qualche cosa che è realmente accaduto in Italia, al fatto cioè che determinati principî
razziali sono stati impiegati come strumento di politica ed hanno fornito un criterio di
discriminazione degli italiani, in differenti categorie di reprobi e di eletti».
«Comprendo che vi sia chi desideri liberarsi da questa parola maledetta – aggiunse Meuccio
Ruini, esponente del Partito Democratico del Lavoro di Ivanoe Bonomi – ma è proprio per
reagire a quanto è avvenuto nei regimi nazifascisti, per negare nettamente ogni
diseguaglianza che si leghi in qualche modo alla razza, è per questo che – anche con
significato di contingenza storica – vogliamo affermare la parità umana e civile delle razze».
La preoccupazione dei Costituenti, insomma, era quella di superare la stagione delle
discriminazioni. E poiché la parola «razza» era stata usata per discriminare ed escludere,
non si poteva cancellarla con un colpo di penna: era necessario usarla, ma per affermare
l’uguaglianza di tutti i cittadini. Il ragionamento, alla fine, convinse anche i democristiani,
che ritirarono l’emendamento e votarono a favore dell’articolo 3.

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