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SILENZIOSE RIVOLUZIONI

LA SICILIA DALLA TARDA ANTICHITÀ


AL PRIMO MEDIOEVO

Atti dell’Incontro di Studio


Catania-Piazza Armerina, 21-23 maggio 2015

a cura di
Claudia Giuffrida - Margherita Cassia

EDIZIONI DEL PRISMA


Pubblicato con i fondi PRA e del Dipartimento di Scienze Umanistiche
(Di.S.Um.) dell’Università degli Studi di Catania.

Silenziose rivoluzioni: La Sicilia dalla tarda antichità al primo Medioevo :


atti dell’incontro di studio, Catania- Piazza Armerina, 21-23 maggio 2015 /
a cura Claudia Giuffrida, Margherita Cassia. – Catania :
Edizioni del prisma, 2016.
(Testi e studi di storia antica ;28)
ISBN 978-88-86808-51-4
1. Sicilia – Sec. 3.-10. – Atti di congressi.
I. Giuffrida, Claudia <1951->. II. Cassia, Margherita <1969->.
937.808 CDD-23 SBN Pal0292302

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Agosto 2016
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Catania-Roma
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ISBN 978-88-86808-51-4

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strazioni) senza il consenso scritto dell’editore.
LA SICILIA TRA ROMA E COSTANTINOPOLI
(SECOLI VI-VII)
Renata Gentile Messina*

1. La riconquista della Pars Occidentis, pur se di fatto in-


completa, segnò una tappa fondamentale nel processo di restau-
razione dell’autorità imperiale avviato da Giustiniano. Restau-
razione intesa nel senso di consolidamento, da ottenersi me-
diante un forte aggancio alla tradizione, ma anche mediante un
radicamento altrettanto forte nel presente. E se la tradizione era
rappresentata da Roma caput mundi e dalle sue constitutiones, il
presente era costituito dagli sviluppi ormai maturi dell’eredità
costantiniana e postcostantiniana: vale a dire, la translatio impe-
rii nella Nuova Roma in Oriente e una società già permeata in
gran parte da nuovi valori e nuove consuetudini, a causa dell’a-
pertura verso il Cristianesimo nonché della progressiva immis-
sione di genti diverse. Perfetta sintesi di queste due tendenze fu
il Corpus Iuris, che fissò per i secoli a venire l’autorità delle leggi
romane, ma aprendole all’evoluzione in atto nelle relazioni fa-
miliari e sociali1.
Questo duplice orientamento della politica di Giustiniano –
di rispetto, cioè, della tradizione, ma anche di adattamento alle
contingenze – contribuì immediatamente a definire, e in modo
* Università degli Studi di Catania.
Abbreviazioni usate: LP = L. Duchesne, Le Liber Pontificalis. Texte, in-
troduction et commentaire, I, Paris 1886; LPR = Andreae Agnelli liber Ponti-
ficalis ecclesiae Ravennatis ed. O. Holder Egger, MGH SS Lang. et Ital., Han-
noverae 1878, 265-391; Mansi = J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et
amplissima collectio, I-LIII, Florentiae 1762-1769.
1
Sull’attività legislativa di Giustiniano vd. G.G. Archi, Giustiniano legi-
slatore, Bologna 1970; F. Botta (a cura di), Il diritto giustinianeo tra tradizione
classica e innovazione. Atti del Convegno, Cagliari 13-14 ottobre 2000, Torino
2003; G. Luchetti, Contributi di diritto giustinianeo, Milano 2004, nonché i
contributi di A. Carile e M. Amelotti in G.G. Archi (a cura di), L’imperatore
Giustiniano. Storia e mito. Giornate di studio a Ravenna 4-16 ottobre 1976 (A.
Carile, Consenso e dissenso fra propaganda e fronda nelle fonti narrative dell’età
giustinianea, ivi, 37-93; M. Amelotti, Giustiniano tra teologia e diritto, ibid.,
135-159).
162 Renata Gentile Messina

durevole, un legame speciale tra la Sicilia e Costantinopoli, il


quale rese alquanto complesse le relazioni dell’Isola con la Vec-
chia Roma da un lato e con la Nuova dall’altro 2. Infatti, quando
nel 540 venne rinnovata la Prefettura d’Italia e, nel 554, la Prag-
matica sanctio pro petitione Vigilii contribuì a stabilizzarne l’or-
ganizzazione in tutta la Penisola3, la Sicilia rimase congelata in
quello status di dipendenza diretta dalla Capitale che le era sta-
to attribuito da Belisario già alla fine del primo anno di guerra,
appena completatane la conquista. A quel tempo il generale l’a-
veva rimessa direttamente nelle mani dell’imperatore e ne aveva
sicuramente organizzato la gestione, sancendone di fatto l’an-
nessione all’impero4, allo scopo di salvaguardare il ruolo strate-
gico che le era destinato per le successive imprese in Italia, qua-
le base delle operazioni e dei rifornimenti. Giustiniano, dal can-
to suo, già nel 537 si affrettò ad emanare la Novella 75 (=104)5,

2
Riguardo all’assetto della Sicilia dopo la riconquista giustinianea, oltre
agli studi ormai classici di B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, IV: Barbari
e Bizantini, Roma-Napoli-Città di Castello 1949 e S. Borsari, L’amministrazio-
ne del tema di Sicilia, RSI 56, 1954, 133-158, sono fondamentali quelli V. Lau-
rent, Une source peu étudiée de l’histoire de la Sicile au haut moyen âge: la si-
gillographie byzantine, in Byzantino-Sicula. Istituto Siciliano di Studi Bizantini
e Neoellenici. Quaderni 2, Palermo 1966, 22-50; A. Guillou, La Sicilia bizan-
tina. Un bilancio delle ricerche attuali, ASSir, n.s. 4, 1975-1976, 45-89 (= Id.,
La Sicile byzantine. État de recherche, ByzF 5, 1977, 95-145); L. Cracco Rug-
gini, La Sicilia tra Roma e Bisanzio, in Storia della Sicilia, III, Napoli 1980, 3-
96; M. Mazza, La Sicilia fra tardo-antico e altomedioevo, in C.D. Fonseca (a cu-
ra di), La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee, Galatina 1986,
43-84; F. Burgarella, Bisanzio in Sicilia e nell’Italia meridionale: i riflessi poli-
tici, in Storia d’Italia, III: Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino,
1983, 129-216; S. Cosentino, Storia dell’Italia bizantina (VI-XI secolo) da Giu-
stiniano ai Normanni, Bologna 2008. Altri pur importanti studi saranno citati
nel corso del lavoro.
3
Che Giustiniano e il suo entourage fossero consapevoli del fatto che il
ripristino delle passate tradizioni dovesse inserirsi in un contesto socio-politi-
co ormai diverso da quello antico risulta anche dalla circostanza che, sebbene
la Penisola fosse sottoposta come prima al praefectus praetorio per Italiam, nel-
la Pragmatica il territorio era definito provincia Italiae (vd. in proposito Cosen-
tino, Storia dell’Italia bizantina, cit., 20).
4
Così fa pensare l’espressione usata in Procop. Goth. 1, 5, 17 a conclu-
sione del racconto della conquista dell’Isola da parte di Belisario: βασιλεύς τε
ἐκ τοῦδε Σικελίαν ὅλην ἐς φόρου ἀπαγωγὴν κατήκοον εἶχε (Procopii Caesarensis
opera omnia, edd. J. Haury-G. Wirth, I-IV, Leipzig 1962-1964, II, 27, 16-19).
5
Come è noto, il testo della Nov. 75 de appellationibus Siciliae si legge tal
quale nella Nov. 104 de praetore Siciliae.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 163

con cui definiva la gestione dell’Isola affidandola a un praetor,


sottoposto senza intermediazioni al quaestor sacri palatii, mentre
per l’aspetto fiscale la Sicilia restava legata alla Penisola sotto la
giurisdizione del comes sacri patrimonii per Italiam 6. In quel mo-
mento la situazione era incerta sia sul fronte italiano, dove Viti-
ge aveva riorganizzato le forze e aspirava a riprendere Roma, sia
su quello africano dove sussistevano ribellioni interne7. Dunque
è assai probabile che, come ha ipotizzato Salvatore Cosentino8,
fosse intenzione dell’imperatore stabilizzare immediatamente il
possesso dell’Isola per assicurarsene le risorse granarie a bene-
ficio di Bisanzio, anche «ai fini di un indebolimento politico di
potenziali oppositori in Italia e in Africa». È verosimile, però,
che Giustiniano contemplasse tale prospettiva non solo limita-
tamente alle contingenze del momento, ma anche nella sfortu-
nata ipotesi di un fallimento della conquista della Penisola, o
anche della perdita dell’Africa. Infatti, la Sicilia avrebbe potuto
costituire comunque un buon caposaldo nel Mediterraneo per
i Bizantini, se fossero riusciti a mantenerne il possesso.
A guerra felicemente conclusa il basileus, come già ricorda-
to, se da un lato rinnovava l’antica organizzazione dell’Italia col
ripristino della Prefettura, da un altro lato tralasciava di annet-
6
Se da un canto il nuovo assetto amministrativo dell’Isola presentava ele-
menti di continuità col passato, e non solo per il ricorso ad un’antica magistra-
tura come la praetura (su tali aspetti della questione vd. il contributo di Fran-
cesco Arcaria in questo stesso volume), per un altro verso esso appariva adat-
tato alle situazioni contingenti. Infatti, non solo veniva spezzato il vincolo con
la Prefettura italica, ma, mentre gli altri pretori creati da Giustiniano, ad es. in
Pisidia, Tracia, Paflagonia e Cappadocia assumevano la duplice funzione civi-
le e militare propria dell’antico praetor, in Sicilia era previsto un dux. Tuttavia,
come è stato rilevato, è probabile che anche l’assetto della Sicilia si sia presto
evoluto in modo analogo. Infatti è possibile che la duplice funzione civile e
militare sia passata di fatto nelle mani di un unico magistrato ben prima del-
l’istituzione del tema (vd. F. Burgarella, Sicilia e Calabria fra tarda antichità e
alto medioevo, in R. Barcellona-S. Pricoco (a cura di), La Sicilia nella tarda an-
tichità e nell’alto medioevo. Religione e società. Atti del Convegno di Studio
Catania-Paternò 24-27 settembre 1997, Soveria Mannelli 1999, 9-32: 10-23;
Id., Alle origini del tema di Sicilia, SicGymn n.s. a. LVII, 2004 [= Atti del VI
Congresso nazionale dell’Associazione Italiana di Studi Bizantini, Catania-Mes-
sina 2-5 ottobre 2000], 67-74; cfr. le osservazioni di Laurent, Une source, cit.,
36s.).
7
Per l’assedio di Roma vd. Procop. Goth. 1, 16-23 (II, 84-117 Haury-
Wirth); per l’Africa vd. Id. Vand. 2, 14-17 (I, 482-505 Haury-Wirth).
8
Cosentino, Storia dell’Italia bizantina, cit., 131-132.
164 Renata Gentile Messina

tervi la Sicilia. Evidentemente egli ritenne opportuno rendere


definitivo quell’espediente strategico, recentemente sperimen-
tato con successo, di controllare in modo diretto ed esclusivo il
naturale avamposto di Costantinopoli in Occidente rappresen-
tato dall’Isola9.

2. Questo stato di subordinazione alla Capitale senza inter-


mediari, e dunque di autonomia rispetto alla superiore magi-
stratura italica, fu mantenuto anche quando l’autorità prefettizia
venne oscurata, pian piano, da quella dell’Esarca di Ravenna10.
Nel corso dell’avanzata longobarda lungo la Penisola, a fronte
del crescente frazionamento territoriale che indeboliva le strut-
ture amministrative dei possedimenti bizantini, la Sicilia conti-
nuò a godere della stabilità e della prosperità che le erano ga-
rantite non solo dall’essere risparmiata dall’invasione, ma anche
dall’avere una gestione autonoma che favorì il perdurare di for-
me dell’organizzazione municipale fino all’VIII secolo11. È pro-
babile che tale condizione privilegiata, nel 663, non sia stata
estranea alla scelta di Costante II di stabilire a Siracusa il suo
quartier generale per fronteggiare gli Arabi d’Africa.
Si è ritenuto, e certamente a ragione, che la decisione del so-
vrano sia stata determinata dalla vicinanza della Sicilia alle coste
africane, dalle risorse di cui era ricca e dalla consistente elleniz-
zazione della popolazione, specialmente nella parte orientale12.
È anche probabile che Costante abbia inteso difendere diretta-
mente quella che ormai era diventata la principale fonte di rifor-
19
Come è stato osservato da Cracco Ruggini, La Sicilia tra Roma e Bisan-
zio, cit., 22ss. e da Mazza, La Sicilia, cit., 80, da quel momento l’Isola fece par-
te, di fatto, dello scacchiere orientale dell’impero.
10
Cfr. Borsari, L’amministrazione, cit., 135s., dove però si precisa che il
pretore rispondeva all’esarca per le attività finanziarie; Laurent, Une source,
cit., 34-36; Guillou, La Sicilia bizantina, cit., 98.
11
Cfr. A. Guillou, Géographie administrative et géographie humaine de la
Sicile byzantine (VIe-IXe s.), in AA.VV., Philadelphie et autres études, Paris
1984, 133-139: 133-134.
12
P. Corsi, La spedizione italiana di Costante II, Bologna 1983, 167-181.
Una approfondita summa delle diverse interpretazioni date dalle fonti e dagli
studiosi moderni circa le cause e le finalità della venuta dell’imperatore in Ita-
lia si trova ibid., 78-105. Vd. anche Id., La politica italiana di Costante II, in Bi-
sanzio, Roma e l’Italia nell’Alto Medioevo, II, CISAM 34, Spoleto 1988, 751-
796; J.F. Haldon, Byzantium in the Seventh Century. The Transformation of a
Culture, Revised edition, Cambridge 1997, 59s.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 165

nimento di grano per l’impero13. Ma di certo fu determinante


l’insularità di questa regione, preservata dall’invasione longo-
barda e la cui dipendenza diretta da Costantinopoli, probabil-
mente, induceva il sovrano a considerarla come un’estensione
della stessa capitale dell’impero14. Visto da questa prospettiva,
il trasferimento della residenza imperiale a Siracusa poteva ap-
parirgli affatto naturale, laddove da parte dei costantinopolitani
lo spostamento in Occidente fu sentito come un tradimento,
tanto verso la vocazione imperiale della città, quanto rispetto al-
la necessità di difendere il cuore dell’impero15.
Ma ritorniamo all’epoca immediatamente successiva alla ri-
conquista giustinianea ed alla complessità che, come si è detto,
si era determinata nelle relazioni dell’Isola con Roma e Costan-
tinopoli.

3. La particolare posizione della Sicilia nel quadro ammini-


strativo italico venne a creare una difformità non solo rispetto al
quadro dell’organizzazione fiscale, come s’è visto, ma anche ri-
spetto a quello dell’organizzazione ecclesiastica la quale invece,
come è noto, rimase quella tradizionale formatasi nei secoli pre-
cedenti. Pertanto, in questa regione in cui le autorità cittadine
13
V. Prigent, La Sicile de Constant II: l’apport des sources sigillogra-
phiques, in A. Nef-V. Prigent (éds.), La Sicile byzantine de Byzance à L’Islam,
Paris 2010, 157-187: 166.
14
Non va dimenticato che già Giustiniano, nella Nov. 65, aveva mostrato
di guardare all’Isola come ad una proprietà imperiale privata (nostrorum quo-
dam modo peculium). Cfr. Guillou, La Sicilia bizantina, cit., 47.
15
Quasi tutte le fonti bizantine, anche se raccontano che Costante si di-
resse a Siracusa e vi si stabilì, gli attribuiscono la volontà di trasferirsi «a Ro-
ma»: Theoph. chron. 348, 4-8; 351, 24s. De Boor; Georg. Mon. chron. 717, 10
s. De Boor; Georg. Cedr. chron. 762, 14-20 Bekker; Zonara epit. hist. 221, 2-
5 Büttner-Wobst. Tale affermazione, contrapponendo implicitamente la Vec-
chia alla Nuova Roma, intende esprimere il risentimento per il passaggio della
basileia in Occidente; risentimento che si manifestò anche con l’opposizione
al trasferimento della famiglia imperiale (Theoph. chron. 351, 25-28 De Boor;
Georg. Mon. chron. 717, 20 s. De Boor; Georg. Cedr. chron. 762, 21-763, 2
Bekker; Zonara epit. hist. 221, 5-9 Büttner-Wobst; Mich. Syr. chron. 11, 11
[446 Chabot]). Sulla stessa linea si pone l’Anonimo del Chronicon ad A.C.
1234 pertinens, il quale considera il soggiorno del basileus a Roma come una
scelta della sua sede definitiva ed attribuisce alla volontà dell’esercito il trasfe-
rimento a Siracusa (Chron. ad A.C. 1234 pertinens, 137 [= I.B. Chabot,
Anonymi auctoris Chronicon ad annum Christi 1234 pertinens, I, CSCO 109,
SS 56, Lovanii 1937, 219, 35-220, 2).
166 Renata Gentile Messina

furono ancora vitali per molto tempo e dipendevano diretta-


mente dalla capitale, le Chiese siciliane continuarono ad essere
subordinate alla giurisdizione della sede romana. A complicare
lo scenario si aggiungeva il fatto che la Chiesa di Roma, poiché
possedeva la maggior parte dei patrimonia dell’Isola, estendeva
su di essa la propria egemonia, oltre che nell’ambito ecclesiale,
anche in quello economico, per di più esercitando il ruolo di
esattore fiscale connesso al suo stato di possessor 16. Occorre poi
tener presente che proprio nel VI secolo la dignità episcopale,
già da tempo riservata alle classi elevate, accrebbe la propria im-
portanza. Infatti, da un canto i vescovi costituivano l’autorità
morale di riferimento per la popolazione cristiana, che era or-
mai prevalente, dall’altro erano legalmente investiti di funzio-
ni di controllo e sussidiarie rispetto a quelle delle autorità civili
locali17.
Se la situazione della Sicilia era siffatta al livello gestionale,
non era meno complessa dal punto di vista etnico-linguistico e
sociale. Infatti alla popolazione locale – che parlava latino ma
presentava una forte componente grecofona, specialmente nel-
la parte orientale dell’Isola – tra VI e VII sec. si andarono via
via aggiungendo elementi balcanici, africani e orientali, in misu-
ra non certo massiccia ma pressoché costante18. Questi immi-
16
Vd. al riguardo l’osservazione di F. Burgarella, secondo il quale nei se-
coli successivi, fino a quando Leone III non rivendicò alla capitale il gettito fi-
scale del Patrimonium Petri, «… si hanno buoni motivi per scorgere nel papa-
to l’erede del comes patrimonii per Italiam d’epoca giustinianea» (Burgarella,
Alle origini, cit., 73).
17
Sul ruolo del vescovo in questo periodo la letteratura è molto vasta. Mi
limiterò a ricordare: S. Mochi Onory, Vescovi e città (sec. IV-VI), Bologna
1933; per l’Italia e in particolare per la Sicilia A. Guillou, Régionalisme et
indépendence dans l’empire byzantin au VIIe siècle. L’exemple de l’Exarchat et
de la Pentapole d’Italie, Roma 1969, 164-165; J. Durliat, L’évêque et sa cité en
Italie byzantine d’après la corrispondance de Grégoire le Grand, in L’évêque
dans l’histoire de l’Église. VIIe Rencontre d’histoire religieuse Fontevraud 14-
15 Octobre 1983, Angers 1984, 21-32; E. Caliri, Per la storia della Sicilia nel-
l’età di Gregorio Magno, Messina 1997, 53-55; per il vescovo come patronus
A.M. Orselli, Il santo patrono cittadino: genesi e sviluppo del patrocinio del ve-
scovo nei secoli VI e VII, in S. Boesch Gajano (a cura di), Agiografia altomedie-
vale, Bologna 1976, 85-104; per le funzioni giudiziarie esercitate dai vescovi
nell’età gregoriana L. Giordano, Giustizia e potere giudiziario ecclesiastico
nell’epistolario di Gregorio Magno, Bari 1998, 67ss.
18
Della vasta letteratura sulla ellenizzazione della Sicilia, oltre agli studi
citati alla nt. 2, mi limito a ricordare S. Borsari, La migrazione dall’Oriente in
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 167

grati, in genere laici facoltosi o monaci, per lo più parlavano


il greco, se avevano studiato avevano letto autori greci, sia pro-
fani sia religiosi, e provenivano da Chiese diverse, ciascuna del-
le quali aveva usi liturgici propri19, ma i cui ecclesiastici erano
comunque accomunati da una disciplina regolata sulle usan-
ze orientali. Pertanto il loro inserimento, col tempo, non pote-
va non influire tanto sulla realtà culturale e religiosa dell’Isola,
quanto sulla compagine sociale. Infatti, da una parte i nuovi ar-
rivati, se erano altolocati e benestanti, a poco a poco si inseriva-
no nella classe dirigente che, a seguito della regolamentazione
giustinianea circa il reclutamento dei magistrati provinciali, era
costituita dall’élite locale, verosimilmente già frutto di un’inte-
grazione tra primores siciliani e famiglie senatorie romane sta-
bilitesi nell’Isola20. Da un altro canto la popolazione monastica
si arricchiva di individui legati alle tradizioni bizantine, i quali
non solo furono restii a recepire gli sforzi di Gregorio Magno
volti ad uniformare la vita cenobitica, ma a poco a poco assur-
gevano anche al ruolo di igumeno o di vescovo, divenendo dun-
que essi stessi parte delle élites cittadine. Entrambe le categorie
contribuirono alla cosiddetta ‘ellenizzazione’ la quale, pertanto,
dev’essere intesa non come avvicendamento tra due diversi
gruppi etnico-linguistici legati a tradizioni religiose differenti,
bensì come una prevalente diffusione di elementi culturali bi-

Italia nel VII secolo, PP 6, 1951, 133-138: 133s.; Id., Il monachesimo bizantino
nella Sicilia e nell’Italia meridionale prenormanne, Napoli 1963, 7-22, dove si
ridimensiona la portata delle ondate migratorie e si riconosce la prevalenza
dell’aspetto culturale rispetto a quello etnico; V. von Falkenhausen, Magna
Grecia bizantina e tradizione classica. Vicende storiche e situazione politico-so-
ciale, in Magna Grecia bizantina e tradizione classica, CSMG 17, Napoli 1978,
61-90: 83s.; Ead., Chiesa greca e chiesa latina in Sicilia prima della conquista
araba, ASSir n.s. 5, 1978-1979, 137-154: 144-148; A. Messina, I Siciliani di rito
greco e il patriarcato di Antiochia, RSCI 32, 1978, 415-421; Cosentino, Storia
dell’Italia bizantina, cit., 71-76, con bibliografia 426-428.
19
Quanto alla lingua, se dall’Africa potevano giungere sia latinofoni sia
grecofoni, coloro che venivano dall’Oriente parlavano quasi di certo il greco
oltre alla lingua madre. Riguardo alle differenze tra le Chiese orientali, va ri-
cordato che esse conservavano la propria autonomia, mentre quelle occiden-
tali avevano già intrapreso un percorso di uniformazione sotto la guida del
pontefice romano.
20
Cracco Ruggini, La Sicilia tra Roma e Bisanzio, cit., 22; Mazza, La Sici-
lia, cit., 82s.; R. Rizzo, Papa Gregorio Magno e la nobiltà in Sicilia, Biblioteca
dell’Officina di Studi medievali 8, Palermo 2008, 131ss.
168 Renata Gentile Messina

zantini in tutti gli strati di una popolazione etnicamente varie-


gata, che proprio mediante quella cultura si andava sempre più
omogeneizzando.

4. Per il periodo a cavallo tra VI e VII secolo il quadro di


questo processo in divenire è ben rispecchiato nell’epistolario di
Gregorio Magno 21. Come è noto, poco meno di un quarto del
totale delle lettere del pontefice è indirizzato in Sicilia e ciò de-
riva in parte dal fatto che i collegamenti con i territori italiani
controllati dall’impero erano più agevoli22, ma sicuramente è
dovuto pure alla quantità di interessi che il papa aveva nell’Iso-
la. Infatti, oltre che dei suoi patrimonia personali, alcuni di ori-
gine familiare e altri appartenenti ai monasteri da lui stesso fon-
dati23, il pontefice si occupava delle proprietà della Chiesa ro-
mana in una fitta corrispondenza con rectores o defensores 24. Ma
estendeva la propria attenzione di pastore anche, per dir così, al
buon governo dell’Isola: ad esempio, scrivendo al praetor Giu-
stino per complimentarsi della sua nomina, lo ammoniva di evi-
tare dissidi con l’episcopato e di amministrare la giustizia retta-
mente 25. Inoltre, egli intendeva sorvegliare molto da vicino le
diocesi siciliane, malgrado la lontananza, spesso favorendo la
candidatura di uomini di propria fiducia. In particolare, nei pri-
mi anni di pontificato, per due volte di seguito adottò tale stra-
tegia per la scelta del vescovo di Siracusa e al primo di questi
presuli, Massimiano, raccomandò di sovrintendere a tutte le
21
S. Gregorii Magni registrum epistularum, ed. D. Norberg, CChL 140-
140A, Turnholti 1982.
22
J.-M. Martin, Grégoire le Grand et l’Italie, in A. Jacob-J.-M. Martin-G.
Noyé (éds.), Histoire et culture dans l’Italie byzantine. Acquis et nouvelles re-
cherches, Rome 2006, 239-278: 241.
23
Von Falkenhausen, Chiesa greca e chiesa latina, cit., 137-138.
24
Sui patrimonia della Chiesa di Roma in Sicilia, dai quali derivava la
maggior parte del grano per l’approvvigionamento della città, vd. S. Boesch
Gajano, Gregorio Magno. Alle origini del Medioevo, Roma 2004, 63-66.
25
Et quia quandam inter uos atque ecclesiasticos simultationem subrepere
comperi, uehementissime contristatus sum. Nunc uero quia et uos administratio-
nis cura et me studium huius regiminis occupat, in tantum nos recte diligere spe-
cialiter possumus, in quantum generalitati minime nocemus. Vnde per omnipo-
tentem Dominum rogo, … ut … numquam quodlibet, ex quo inter nos uel pa-
rua dissensio proveniat, admittat. Nulla uos lucra ad iniustitiam pertrahant, nul-
lius uel minae uel amicitiae ab itinere rectitudinis deflectant… (Greg. M. ep. 1,
2 [2, 7-17 Norberg]).
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 169

Chiese dell’Isola in nome della Sede apostolica26, istituendo così


una sorta di vicariato che metteva in secondo piano la sede di
Catania, fino ad allora la più importante 27. Poiché la Sicilia non
era toccata dall’avanzata longobarda, Gregorio non nutriva per
gli episcopati siciliani le stesse preoccupazioni che aveva riguar-
do a quelli dell’Italia centro-meridionale, le cui sedi erano fre-
quentemente distrutte e spopolate, spesso abbandonate persino
dagli ecclesiastici28. In relazione all’Isola, piuttosto, la principale
preoccupazione di Gregorio appare appunto quella di non per-
derne il controllo in ambito ecclesiale e monastico, dinanzi al
pericolo che interessi delle élites locali, oppure derive morali o
eretiche compromettessero la gestione delle diocesi e dei mona-
steri29. Particolarmente importante appare la cura del pontefice
affinché i vescovi esercitassero in modo adeguato due aspetti
inerenti alla loro funzione, che spesso – in un quadro socioeco-
nomico complesso e in evoluzione, come quello siciliano del
tempo 30 – finivano con l’essere in contrasto fra loro se non pra-
ticati correttamente: quello giudiziario e quello pastorale di di-
fensori dei deboli. Infatti, talvolta i presuli favorivano in giudi-
zio i potentes in modo indebito, oppure tolleravano che i con-
ductores dei patrimonia ecclesiastici commettessero abusi ai
danni di contadini o di altri proprietari, oppure ancora reclama-
vano il rispetto dei diritti dei pauperes con poca diplomazia,
26
Greg. M. ep. 2, 5 (93 Norberg).
27
Von Falkenhausen, Chiesa greca e chiesa latina, cit., 142; Ead., Die
Städte im byzantinischen Italien, MEFRM 101, 1989, 401-464: 406s.
28
Peraltro, costoro spesso si rifugiavano proprio nell’Isola e da qui il pa-
pa cercava di richiamarli nelle loro sedi, oppure di inviarli in sedi vacanti nelle
quali avrebbero potuto riprendere le loro funzioni: vd., ad es., le epp. 2, 15 e
16; 4, 42 (101s.; 263 Norberg). Sulle preoccupazioni del papa per il fenomeno
dell’esodo di monaci dell’Italia centro-meridionale in Sicilia vd. G. Mammino,
Gregorio Magno e la riforma della Chiesa di Sicilia, Catania 2004, 98-106.
29
Una valida sintesi circa la moralità dell’episcopato siciliano durante il
pontificato di Gregorio Magno è in Rizzo, Papa Gregorio Magno, cit., in par-
ticolare 159-179. Un’analisi dell’epistolario gregoriano sotto il profilo pasto-
rale nei confronti dei vescovi e dei monaci dell’Isola si trova in Mammino,
Gregorio Magno e la riforma, cit., 92-115.
30
Ad esempio, il legame tra l’aristocrazia locale e la Chiesa romana po-
teva rafforzarsi anche a causa di contratti di enfiteusi o conduma su terreni dei
patrimonia ecclesiastici (V. Prigent, La Sicile byzantine entre papes et empe-
reurs [6ème-8ème siècle], in D. Engels-L. Geis-M. Kleu [hrsg.], Zwischen Ideal
und Wirklichkeit: Herrschaft auf Sizilien von der Antike bis zur Frühen
Neuzeit, Stuttgart, 201-230: 215).
170 Renata Gentile Messina

provocando dissidi con autorità civili e aristocratici31. L’obietti-


vo di mantenere le Chiese siciliane sotto una stretta vigilanza era
perseguito dal papa non solo inviando nei posti-chiave perso-
naggi provenienti dalla propria cerchia32, ma anche cercando di
uniformare gli usi liturgici. Una simile politica di normalizzazio-
ne non era nuova33, né era riservata esclusivamente alla Sicilia34,
ma rientrava nel piano gregoriano di rafforzare la supremazia
romana sulle Chiese occidentali, esposte al pericolo di essere in-
quinate da eresie e costumi devianti, a causa del contatto con
popolazioni barbariche ed eretiche. In particolare, come è stato
osservato 35, l’interesse del pontefice nei confronti delle regioni
italiane ancora dominate dall’impero – ormai identificato come
impero cristiano – era quello di salvaguardare parimenti l’ordi-
namento romano tradizionale e l’unità religiosa, ivi incluso l’a-

31
Emblematica delle preoccupazioni di Gregorio circa il comportamento
dei vescovi, in rapporto ai problemi sociali ed economici della Sicilia in quegli
anni, è l’ep. Append. 1 (1092-1094 Norberg) al suddiacono Pietro, per cui vd.
F.P. Rizzo, Tensioni sociali ed economiche nella Sicilia di Gregorio Magno. Un
caso esemplificativo, in M. Mazza (a cura di), Hestiasis. Studi di tarda antichità
offerti a Salvatore Calderone, II, Messina 1986, 137-174.
32
Oltre che sull’elezione dei vescovi il pontefice interveniva anche nella
scelta di abati, come nel caso di Cesario, designato per dirigere il monastero
di S. Pietro ad Baias (Greg. M. ep. 7, 36 [499s. Norberg]).
33
L’inclinazione manifestata dal pontefice ad uniformare gli usi liturgici
in Occidente era già presente in Leone Magno e, successivamente, in Gelasio
I, i quali avevano ammonito i vescovi siciliani di non impartire il battesimo nel
giorno dell’Epifania come era in uso nelle Chiese orientali (cfr. Borsari, Il mo-
nachesimo bizantino, cit., 18 e ntt. 35 e 36).
34
Cfr. V. von Falkenhausen, Il monachesimo greco in Sicilia, in C.D. Fon-
seca (a cura di), La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee. Atti
del Sesto Convegno Internazionale di Studio, Catania-Pantalica-Ispica 7-12
settembre 1981, Galatina 1986, 135-174: 140-142. In particolare, la pratica di
affidare diocesi e monasteri a propri fedelissimi era stata adottata da Gregorio
anche altrove, come ad es. nei casi di Agostino e Mariniano, trasferiti l’uno in
Inghilterra e l’altro a Ravenna (ibid., 141). Peraltro, Gregorio aveva mostrato
di apprezzare il monachesimo bizantino durante il suo soggiorno a Costanti-
nopoli e si era ispirato alle regole di S. Basilio tradotte da Rufino di Aquileia
(cfr. A.J. Ekonomou, Byzantine Rome and the Greek Popes: Eastern Influences
on Rome and the Papacy from Gregory the Great to Zacharias, A. D. 590-752,
Lanham 2007, 8; 10).
35
S. Gasparri, Gregorio Magno e l’Italia meridionale, in Gregorio Magno
e il suo tempo. XIX Incontro di studiosi dell’antichità cristiana in collabora-
zione con l’École Française de Rome, Roma 9-10 maggio 1990, I, Roma 1991,
77-101.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 171

spetto liturgico 36. Riguardo alla Sicilia, l’epistolario di Gregorio


rivela che i timori del papa concernevano il pericolo di eresia,
idolatria o conversione al giudaismo 37, ma anche la crescente ri-
levanza che le tradizioni delle Chiese orientali andavano acqui-
sendo nell’Isola. Quest’ultima preoccupazione non traeva origi-
ne da un’avversione per tali tradizioni in se stesse o per la popo-
lazione di origine ‘greca’, ma piuttosto da due diverse cause.
Una era la diffidenza nei confronti della duttilità della lingua el-
lenica e dell’abilità dialettica dei Bizantini, che il papa aveva
sperimentato durante il suo soggiorno a Costantinopoli e che ri-
teneva entrambe pericolose per la salvaguardia dell’ortodossia38;
l’altra era la questione della supremazia, già apertasi tra Pelagio
II e il patriarca Giovanni IV a proposito dell’uso del titolo di
‘ecumenico’39.
36
Il pari interesse di Gregorio per l’unità della Chiesa e per la salute del-
l’impero, al fine di una collaborazione delle due autorità discendenti da Dio,
quella ecclesiastica e quella imperiale, è sottolineato anche da G. Cracco, Alle
origini dell’Europa cristiana: Gregorio Magno, in G. de Rosa-G. Cracco (a cura
di), Il papato e l’Europa, Soveria Mannelli 2001, 13-49: 46-48, ma in una pro-
spettiva prevalentemente religiosa piuttosto che politica, nonché da Boesch
Gajano, Gregorio Magno, cit., 108s.
37
Cracco Ruggini, La Sicilia tra Roma e Bisanzio, cit, 5s. e nt. 16; Gaspar-
ri, Gregorio Magno e l’Italia meridionale, cit., 91.
38
Sulla permanenza di Gregorio a Costantinopoli come apocrisiario di
Pelagio II vd. Boesch Gajano, Gregorio Magno, cit., 44s. In particolare sugli
effetti della sua permanenza a Bisanzio vd. C. Dagens, L’Église universelle et
le monde oriental chez saint Grégoire le Grand, Istina 20, 1975, 457-475; L.
Cracco Ruggini, Gregorio Magno e il mondo mediterraneo, in Gregorio Magno
nel XIV Centenario della morte. Convegno internazionale, Roma 22-25 otto-
bre 2003, Roma 2004, 11-51: 7-36; Ekonomou, Byzantine Rome, cit., 8-16.
Circa il giudizio del pontefice sulla lingua greca vd. R. Lizzi, La traduzione gre-
ca delle opere di Gregorio Magno dalla ‘Regula Pastoralis’ ai ‘Dialogi’, in Gre-
gorio Magno e il suo tempo, cit., 41-57. Per una sintesi, con bibliografia, della
vexata quaestio della conoscenza del greco da parte di Gregorio vd. Boesch
Gajano, Gregorio Magno, cit., 28s.
39
Pelagii II ep. 6 (PL 72, 738-744). Il contrasto tra le due sedi, in quel pe-
riodo, era complicato dalla tensione creatasi tra papato e impero a causa delle
divergenze circa l’atteggiamento da tenere nei confronti dei Longobardi. Cfr.
Dagens, L’Église universelle, cit., 1975, 457-475; A. Tuiller, Grégoire le Grand
et le titre de patriarche oecuménique, in J. Fontaine-R. Gillet-S. Pellistrandi
(éds.), Grégoire le Grand. Actes du colloque CNRS, Chantilly 15-19 septem-
bre 1982, Paris 1986, 69-82; F.P. Rizzo, Aspetti dell’epistolario siciliano di Gre-
gorio Magno nel contesto della tensione romano-bizantina, in R. Barcellona-S.
Pricoco (a cura di), La Sicilia nella tarda antichità e nell’alto medioevo. Religio-
ne e società. Atti del Convegno di Studi, Catania-Paternò 24-27 settembre
172 Renata Gentile Messina

In proposito è eloquente l’epistola gregoriana 9, 2640, indi-


rizzata al vescovo siracusano Giovanni, in cui il papa riferisce
che alcuni Siciliani, che egli non sa se fossero Greci o Latini (vel
Graeci vel Latini nescio), lo avevano criticato perché voleva in-
trodurre nella liturgia latina pratiche di origine costantinopoli-
tana e si erano chiesti: quomodo ecclesiam Constantinopolitanam
disponit comprimere, qui eius consuetudines per omnia sequitur?.
Nel respingere le critiche Gregorio, in primo luogo, sostiene
che gli usi liturgici da lui imposti appartengono alla tradizione
della Chiesa romana oppure, in qualche caso, derivano da quel-
la gerosolimitana. Inoltre, circa la volontà di ecclesiam Constan-
tinopolitanam comprimere, egli ribadisce che la supremazia della
sede romana è incontestabile, tanto è vero che è riconosciuta
anche a Costantinopoli, sia dall’imperatore sia dal patriarca:
nam de Constantinopolitana ecclesia quod dicunt, quis eam dubi-
tet sedi apostolicae esse subiecta? Quod et piissimus domnus im-
perator et frater noster eiusdem ciuitatis episcopus assidue profi-
tentur.
La lettera, che conferma la consistente presenza greca nella
Sicilia orientale41, è stata oggetto di varii commenti e interpreta-
zioni42. Però quel che è certo, e che più interessa in questa sede,
è che i provvedimenti papali avevano provocato disagio e ten-
sione in Chiese sottoposte alla giurisdizione romana, ma nelle
quali si praticava anche il rito bizantino e la cui popolazione era
mista. Ancor più significativa è la circostanza che ciò sia acca-

1997, Soveria Mannelli 1999, 53-72; Boesch Gajano, Gregorio Magno, cit.,
102-109.
40
Greg. M. ep. 9, 26 (586s. Norberg).
41
Infatti Gregorio, anche se al vescovo siracusano spettava di sorvegliare
tutte le diocesi dell’Isola, chiede al suo corrispondente di contestare quelle fal-
se opinioni solo presso la Chiesa di Catania, oltre che presso quella di Siracusa
(Greg. M. ep. 9, 26 [587, 39-43 Norberg]).
42
Fra i diversi interventi, vd. Borsari, Il monachesimo bizantino, cit., 20s.;
von Falkenhausen, Chiesa greca e chiesa latina, cit., 151; F.P. Rizzo, Una pole-
mica fra siciliani e Gregorio Magno su questioni liturgiche, in V. Messana-S.
Pricoco (a cura di), Il Cristianesimo in Sicilia dalle origini a Gregorio Magno.
Atti del Convegno di studi, Caltanissetta 28-29 ottobre 1985, Caltanissetta
1987, 169-190; G. Otranto, Note sull’Italia meridionale paleocristiana nei rap-
porti col mondo bizantino, «Augustinianum» 35, 1995, 859-884: 875s.; Id., Cri-
stianizzazione del territorio e rapporti con il mondo bizantino, in L’Italia meri-
dionale in età tardo antica, CSMG 38, Taranto 1999, 69-113: 101; Cracco Rug-
gini, Gregorio Magno, cit., 15-21.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 173

duto pochi anni dopo che la controversia sulla supremazia era


tornata d’attualità tra le sedi di Roma e Costantinopoli43. Peral-
tro, in quel periodo, i rapporti erano tesi anche tra l’imperatore
e il papa, perché Maurizio non gradiva i tentativi di mediazione
che Roma avanzava verso i Longobardi44. Sullo sfondo di tale
scenario, appare rilevante il fatto che Gregorio affermasse di
ignorare se i suoi critici fossero Latini o Greci. Come giusta-
mente ha osservato S. Borsari, «è chiaro che queste “murmura-
tiones” potevano avere un significato ben diverso, a seconda
che provenissero da Greci o da Latini»45. Ma quale sarebbe sta-
ta la differenza? Qualora a parlare fossero stati dei Greci, non si
sarebbe trattato di una lamentela circa le innovazioni liturgiche,
la quale in effetti, come è stato osservato, sarebbe stata contrad-
dittoria46, bensì di un commento ironico sulle innovazioni stes-
se. In altri termini, i contestatori avrebbero evidenziato che il
papa, adottando usanze ‘greche’, avrebbe ammesso di fatto la
superiorità della sede costantinopolitana di cui, per altro verso,
contestava le pretese ecumeniche. Pertanto, al centro delle obie-
zioni ci sarebbe stata la politica di Gregorio verso Bisanzio,
mentre i provvedimenti papali avrebbero rappresentato solo un
pretesto. Se invece fossero stati dei Latini a protestare, oggetto
primario delle loro lagnanze sarebbe stata la questione liturgica,
mentre quella del primato sarebbe rimasta solo sullo sfondo, co-
me elemento da utilizzare a scopo polemico. Non a caso, dun-
que, il pontefice nella lettera puntualizza di non sapere da quale
parte provenga la critica al suo comportamento e, conseguente-
mente, formula la sua risposta in modo fermo ma equilibrato, in
modo tale da difendere il proprio operato sotto tutti gli aspetti,
ma cercando di non provocare risentimenti. Il corpo dell’episto-
la è dedicato a controbattere punto per punto l’affermazione
che le riforme siano ispirate alla liturgia costantinopolitana, ma
è più interessante rileggere le parti iniziale e finale dell’epistola.
Esaminiamo per primo l’incipit:

43
L’epistola è del 598. Nel 595 il patriarca Giovanni, scrivendo a Grego-
rio Magno, era tornato a fregiarsi del titolo di ‘ecumenico’, suscitando una
veemente protesta da parte del papa (Greg. M. epp. 5, 44 e 45 [329-338 Nor-
berg]).
44
Cfr. supra, nt. 39.
45
Borsari, Il monachesimo bizantino, cit., 20.
46
Cfr. Rizzo, Una polemica, cit., 172.
174 Renata Gentile Messina

Veniens quidem de Sicilia, dixit mihi quod aliqui amici eius, uel
Graeci uel Latini nescio, quasi sub zelo sanctae Romanae ecclesiae,
de meis dispositionibus murmurarent dicentes: quomodo ecclesiam
Constantinopolitanam disponit comprimere, qui eius consuetudines
per omnia sequitur?
Nel caso che i critici fossero stati Greci, l’espressione quasi
sub zelo sanctae Romanae ecclesiae, sarebbe suonata ironica,
mentre se fosse stata riferita a dei Latini avrebbe lasciato inten-
dere una certa irritazione, causata da critiche ingiuste. Inoltre,
al fine di ipotizzare da quale ambiente provenissero le obiezioni,
giova considerare proprio la prima proposizione, in base alla
quale i contestatori sarebbero stati amici di una persona che
aveva incontrato il pontefice e gli aveva parlato personalmente.
Dunque costui era verosimilmente un uomo di chiesa o un ari-
stocratico e tali dovevano essere pure i suoi amici. È anche signi-
ficativo che Gregorio non fosse in grado di sapere se essi fossero
Greci o Latini, e lo è ancor più il fatto che egli non si sia preoc-
cupato di chiederlo. Ciò induce a pensare che sapesse che l’am-
biente era misto e che la cosa in se stessa non lo interessasse47.
Invece, per quel che riguarda la chiusa della lettera, ad
un’interrogativa retorica dal tono alquanto risentito, cui tiene
dietro un’affermazione decisa circa il riconoscimento della su-
periorità della sede romana anche da parte bizantina, segue una
dichiarazione di apertura finalizzata al perseguimento del bene:
Nam de Constantinopolitana ecclesia quod dicunt, quis eam du-
bitet sedi apostolicae esse subiectam? Quod et piissimus domnus im-
perator et frater noster eiusdem ciuitatis episcopus assidue profiten-
tur. Tamen si quid boni uel ipsa uel altera ecclesia habet, ego et mi-
nores meos, quos ab illicitis prohibeo, in bono imitari paratus sum.
Stultus est enim qui in eo se primum existimat, ut bona quae uiderit
discere contemnat.
Appare evidente la volontà del papa di perseguire il proprio
programma di riorganizzazione, ma anche di non perdere il
consenso di coloro che appartenevano alle Chiese a lui sottopo-
ste, Latini o Greci che fossero. In ogni caso, si nota l’insistenza
nei confronti del vescovo affinché conducesse un’efficace opera
di convincimento:
47
Vd. in proposito von Falkenhausen, Chiesa greca e chiesa latina, cit.,
151; Ead., Il monachesimo greco, cit., 139-140.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 175

… eos quos credit aut intellegit quia de hac re murmurare po-


tuerunt, facta collocutione, doceat et quasi alia ex occasione eos in-
struere non desistat.

5. Non meno complesso era il rapporto dell’Isola con Ra-


venna48, la quale a partire dagli ultimi decenni del VI secolo fu
sede esarcale e la cui Chiesa era anch’essa proprietaria di un
grande patrimonium in Sicilia49. Non abbiamo molte informa-
zioni al riguardo, ma è certo che l’intreccio che derivava dalle
relazioni tra le Chiese isolane, romana e ravennate, dai rapporti
tra le autorità siciliane e l’esarca50, nonché dagli svariati interessi
economici, pubblici51 e privati, doveva dar luogo ad un equili-
brio assai delicato.
Le poche fonti di cui disponiamo concordano sul fatto che
le relazioni tra Ravenna e l’Isola tra VI e VII secolo fossero co-
stanti. Il Registrum epistularum di Gregorio Magno testimonia
la presenza in Sicilia di un diacono inviato dal vescovo ravenna-
te per rimettere in sesto le proprietà della sua Chiesa52. Nel Li-
ber Pontificalis ecclesiae Ravennatis si attesta la presenza del rec-
tor, ma anche la prosperità del patrimonium 53, nonché l’esisten-
za di un traffico navale tra l’Isola e la città esarcale. Infatti, oltre
alla notizia che i proventi del patrimonium venivano trasportati
per nave 54, apprendiamo che durante l’episcopato di Damiano
48
Tale rapporto si era cementato durante il periodo in cui Ravenna era
capitale, prima dell’impero d’Oriente e poi del regno goto.
49
Dal Liber Pontificalis ecclesiae Ravennatis si evince che già nel V sec.
esisteva un rector del patrimonium siciliano della Chiesa di Ravenna (LPR 31)
e che nel VII sec., durante l’episcopato di Mauro, la rendita fiscale comples-
siva del patrimonium ammontava a trentunomila aurei (cui andava sottratta la
quota da inviare a Costantinopoli) e inoltre si ricavavano cinquantamila modii
di grano e molti manufatti preziosi (ibid., 111). Sui possedimenti della Chiesa
ravennate in Sicilia vd. G. Fasoli, Il patrimonio della chiesa di Ravenna in Sici-
lia, FelRav 117, 1979, 69-96; Ead., Il patrimonio della chiesa ravennate, in Sto-
ria di Ravenna, II/1: Dall’età bizantina all’età ottoniana. Territorio, economia
e società, a cura di A. Carile, Venezia 1991, 389-400; T.S. Brown, The Church
of Ravenna and the Imperial Administration in the Seventh Century, EHR 94,
1979, 1-28.
50
Rispetto all’esarca il praetor era amministrativamente autonomo, ma
subalterno per le funzioni finanziarie: vd. supra nt. 10.
51
Non va dimenticata l’esistenza di patrimonia imperiali.
52
Greg. M. ep. 11, 8 (870 Norberg).
53
Vd. supra, nt. 49.
54
LPR 111.
176 Renata Gentile Messina

(693-709) un certo abate Giovanni, per tornare a Ravenna da


Costantinopoli, cercava una nave che fosse diretta o alla capita-
le esarcale o in Sicilia55. A tal proposito è stato ipotizzato un
«triangolo commerciale Sicilia-Ravenna-Bisanzio»56 e in effetti
il suddetto passo, quanto meno, testimonia che la frequenza del
traffico da Costantinopoli verso l’Isola era paragonabile a quella
del traffico verso la capitale dell’esarcato, e conferma che le navi
ravennati facevano continuamente la spola con la Sicilia per il
trasporto annonario 57.
Anche l’archeologia dimostra lo stretto rapporto tra l’Isola
e la Chiesa di Ravenna in questo periodo. È recente il ritrova-
mento a Catania di un sigillo di un rector di quella Chiesa, data-
bile «tra la fine del sesto secolo e la metà del settimo»58. Allo
stesso periodo sembrano rimandare alcuni frammenti di cerami-
ca, rinvenuti nei pressi della stessa città, che hanno fatto ipotiz-
zare un collegamento con l’alto Adriatico 59.
Le relazioni della Sicilia con Ravenna, al pari di quelle con
Roma, non erano connesse solo alla sfera economica, ma inve-
stivano anche l’ambito religioso e culturale. Oltre che dalla dif-

55
LPR 131.
56
L. Ruggini, Economia e società nell’Italia annonaria. Rapporti fra agri-
coltura e commercio dal IV al VI secolo d.C., Milano 1961, 465.
57
Cfr. Guillou, La Sicilia bizantina, cit., 70. Del resto, per tutto il VI sec.
e fino all’inizio del VII la flotta bizantina d’alto mare era in grado di garantire
il flusso navale tra Oriente e Occidente; solo verso la metà del VII sec. diven-
ne difficile, ma non impossibile, un controllo completo sui pirati arabi che in-
festavano il Mediterraneo, soprattutto nella sua parte orientale (H. Ahrweiler,
Byzance et la mer. La marine de guerre, la politique et les institutions maritimes
de Byzance aux VII e-XV e siècles, Paris 1966, 11-19). In particolare questo traf-
fico era dovuto al ruolo fondamentale che la Sicilia, come s’è detto, svolse co-
me principale granaio dell’impero nel corso del VII sec. Peraltro, anche per
l’VIII e il IX sec. i dati desumibili dalla ricerca archeologica nella Sicilia orien-
tale sembrano indicare una continuità degli scambi con l’Oriente, nonostante
l’inizio di una complessiva flessione dei commerci verso la fine del VII sec. (L.
Arcifa, Nuove ipotesi a partire dalla rilettura dei dati archeologici: la Sicilia
orientale, in Nef-Prigent [éds.], La Sicile, cit., 15-49: 27s.).
58
G. Guzzetta, Monete dagli scavi del 2015 a nord della Rotonda a Cata-
nia, in F. Nicoletti (a cura di), Catania antica: nuove prospettive di ricerca, Pa-
lermo 2015, 573-589: 575-579.
59
P. Marchese, Ceramica a ‘vetrina pesante’ rinvenuta alla periferia di Ca-
tania nell’insediamento bizantino di Nesima superiore, in Ch. Bakirtizis (éd.),
Actes du VII e Congrès international sur la céramique médiévale en Méditerra-
née, Thessaloniki 11-16 octobre 1999, Athènes 2003, 509-512.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 177

fusione a Ravenna di culti isolani, come quelli di S. Agata e S.


Lucia60, i rapporti tra l’Isola e la città esarcale sono attestati dai
racconti agiografici relativi a S. Bassiano vescovo di Lodi e a S.
Leone vescovo di Catania61, nonché dall’influsso che la leggen-
da di S. Apollinare ha avuto sull’agiografia siciliana a sostegno
dell’origine apostolica delle principali Chiese dell’Isola62.
Particolarmente interessante, come è stato notato, appare il
racconto della vita di Bassiano, perché costituisce un raro esem-
pio della complessità delle relazioni che l’alta società sicilia-
na intratteneva con gli ambienti omologhi di Roma e dell’Ita-
lia settentrionale63. Certamente, dobbiamo tener conto del fat-
to che la Vita del presule di Lodi si riferisce al periodo tra IV
secolo e inizi del V, quando la Sicilia era ancora integrata nel
contesto italico sotto l’aspetto amministrativo64, ma si può ipo-
tizzare che la situazione non fosse molto diversa in seguito. In-
fatti, la Vita di S. Leone e l’imitazione della leggenda di S. Apol-
linare suggeriscono che ancora nell’VIII secolo erano sicura-
60
V. Milazzo-F. Rizzo Nervo, Lucia tra Roma e Bisanzio: itinerario di un
culto (IV-VIII secolo), in S. Pricoco (a cura di), Storia della Sicilia e tradizione
agiografica nella tarda antichità. Atti del Convegno di Studi, Catania 20-22
maggio 1986, Soveria Mannelli 1988, 95-135: 112-116. Vd. anche D. Motta,
Percorsi dell’agiografia. Società e cultura nella Sicilia tardoantica e bizantina,
Catania 20042, 33-35.
61
Il racconto agiografico su S. Bassiano (AA.SS. Ian., II, 1863, 585-590)
riferisce che era figlio del praefectus Syracusanorum provinciae, aveva studiato
a Roma, era fuggito a Ravenna dopo la conversione al cristianesimo ed infine
era approdato a Lodi. La Vita di S. Leone (2, 2-5) ci dice che questi era giunto
a Catania da Ravenna per occuparsi degli affari di quella Chiesa (A. Acconcia
Longo, La Vita di S. Leone vescovo di Catania e gli incantesimi del mago Elio-
doro, RSBN n.s. 26, 1989, 3-98, testo 80-98); molto probabilmente egli era sta-
to rector del patrimonium ravennate nell’Isola e successivamente era stato elet-
to vescovo (cfr. Motta, Percorsi, cit., 250).
62
Cfr. C.J. Stallman, The Past in the Hagiographic Texts: S. Marcian of
Syracuse, in G. Clarke et Alii (eds.), Reading the Past in Late Antiquity, Rushe-
utters Bay 1990, 347-365; A. Acconcia Longo, Siracusa e Taormina nell’agio-
grafia italogreca, RSBN n.s. 27, 1990, 33-54.
63
Motta, Percorsi, cit., 247-250. Ad es., sono attestati collegamenti anche
con Milano, la cui Chiesa pure aveva proprietà nell’Isola. Vd. C. Pasini, Chie-
sa di Milano e Sicilia: punti di contatto dal IV all’VIII secolo, in S. Pricoco-F.
Rizzo Nervo-T. Sardella (a cura di), Sicilia e Italia suburbicaria tra IV e VIII se-
colo, Soveria Mannelli 1991, 367-398.
64
L’opera, tuttavia, fu composta in un’epoca più tarda, che potrebbe
corrispondere all’ultimo trentennio del X sec. o ai primi anni dell’XI (A. Ca-
retta, San Bassiano di Lodi. Storia e leggenda, Milano 1966, 34-38).
178 Renata Gentile Messina

mente vivaci gli scambi economici, nonché quelli culturali di


ambito religioso65.

6. Nel corso del VII secolo l’anomala posizione della Sicilia,


sottoposta alla sorveglianza diretta da parte di Costantinopoli e
all’obbedienza episcopale a Roma, fu resa ancor più delicata
dall’esplosione della controversia monotelita66. La dottrina, in-
trodotta da Eraclio nel 638 e tollerata in un primo tempo da pa-
pa Onorio I, in seguito fu condannata dai pontefici Giovanni
IV e Teodoro. Poco dopo, essendo morto Teodoro, fu eletto
pontefice Martino I, il quale aveva fatto parte dell’ambasceria
che il suo predecessore aveva inviato a Costantinopoli e si era
duramente scontrato col patriarca Paolo e col nuovo imperato-
re. Il neopapa assunse subito un atteggiamento di rottura: non
chiese a Costantinopoli la rituale ratifica dell’elezione e, per di
più, convocò il Concilio Lateranense del 649, in cui furono de-
finitivamente scomunicati i tre patriarchi monoteliti Sergio, Pir-
ro e Paolo67.
In questo secolo, come si è detto, si ebbe un aumento del-
l’immigrazione dalle regioni orientali dell’impero verso la Sici-

65
Secondo Acconcia Longo, La Vita di S. Leone, cit., 54s., la composizio-
ne della Vita di Leone non può essere collocata più tardi degli inizi del IX se-
colo. I testi agiografici che si ispirano alla leggenda di S. Apollinare, riguar-
danti i santi vescovi Marciano, Pancrazio e Berillo, sono variamente datati da-
gli studiosi e collocati generalmente in un arco di tempo che va dalla fine del
VII all’inizio del IX sec. (ai due estremi: A. Amore, San Marciano di Siracusa.
Studio archeologico agiografico, Città del Vaticano 1958, 27, che pone l’Enco-
mio di Marciano tra VII ex. e VIII in.; A. Acconcia Longo, La data della Vita
di S. Pancrazio di Taormina [BHG 1410], BBGG n.s. 4, 2001, 37-42, che col-
loca «non oltre, comunque, l’815» il testo agiografico in questione, nel quale
sono pure narrate le vicende di Berillo con l’attestazione della sua investitura
da parte dell’apostolo Pietro). Per quanto riguarda l’Encomio di S. Marciano,
invece, viene proposta una datazione all’XI sec. in A. Messina, L’Encomio di
S. Marciano (BHG 1030 e la basilica di S. Giovanni Evangelista a Siracusa),
«Byzantion» 65, 1995, 17-23; cfr. Id., La sede arcivescovile di Catania e il codi-
ce Vat. Gr. 866, BBGG 3s. 10, 2013, 145-155: 150.
66
Sulla questione monotelita vd. principalmente M. Jugie, Monothélisme,
in DThC, X, Paris 1929, 2307-2323, praesertim 2316-2322; J.M. Hussey, The
Orthodox Church in the Byzantine Empire, Oxford 1986, 15-24. Per i risvolti
politici della controversia in Italia e per gli eventi correlati vd. in particolare
A.N. Stratos, Byzantium in the Seventh Century, I-VI, 1968-1975, III, 75-130;
209-217; 249-260; IV, 10-14; 55-62.
67
Cfr. LP 75, 3; 6; 76, 1-3; Mansi X, 878s.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 179

lia, ma pure, è bene ricordarlo, verso Roma68. Tale incremento


fu dovuto alla pressione avaro-slava sui Balcani e a quella per-
siana, e successivamente araba, sul Medio Oriente e sull’Africa,
ma si intensificò anche a causa della politica religiosa imperiale,
che ancor prima del monotelismo aveva cercato di imporre,
senza gran successo, il monoenergismo69. A Roma, dove già ave-
vano iniziato a trasferirsi Greci provenienti dall’Isola, giungeva-
no adesso soprattutto monaci dissenzienti nei confronti delle
nuove dottrine, i quali consideravano la sede papale come il ba-
luardo dell’ortodossia. Tra questi dovette esserci pure il giovane
Teodoro, poi eletto papa, che era figlio di un vescovo ausiliario
di Gerusalemme, probabilmente espulso perché calcedoniano70.
Anche Massimo Confessore, il principale avversario del mono-
telismo, giunse in Sicilia dall’Africa e si recò a Roma, con l’o-
biettivo di contrastare quella dottrina. Si andava rafforzando
dunque, nell’ambito religioso, il vincolo tra la città del papa e la
Sicilia, mentre questa restava legata a Costantinopoli dal punto
di vista amministrativo e, nel corso del secolo, sarebbe stata an-
che sede imperiale.
Adesso più che mai l’Isola si trovava ad essere oggetto di
sollecitazioni di segno contrario da parte di Roma e di Bisanzio,
ma riguardo alla questione monotelita l’essere Greci o Latini
contava poco, perché il dissenso era diffuso in tutte le regioni
dell’impero e la Sicilia continuava ad essere meta di migrazione.
In ogni caso, la categoria che più dovette risentire di questa de-
licata situazione fu sicuramente quella dei vescovi, i quali per un
verso facevano parte dell’élite dirigente locale, ma per un altro
verso erano legati a Roma essendo nominati dal papa71.

68
Cfr. supra. Per l’immigrazione a Roma in vd. Borsari, La migrazione,
cit., praesertim 136-138; Ekonomou, Byzantine Rome, cit., 13s.; Cracco Rug-
gini, Gregorio Magno, cit., 21s.
69
Jugie, Monothélisme, cit., 2307; 2316s.; Hussey, The Orthodox Church,
cit., 13-15.
70
LP 75, 1. Il padre di Teodoro si era formato verosimilmente sotto l’in-
fluenza di Sofronio, il patriarca di Gerusalemme che si era fermamente oppo-
sto al monoenergismo (Ekonomou, Byzantine Rome, cit., 96 e nt. 161). Sull’at-
tività di Teodoro I contro il monotelismo vd. infra.
71
Tali difficoltà si protrassero anche durante la controversia iconoclasta,
divenendo un «motivo ricorrente che accompagna, anche se non espresso
apertamente, tutta l’agiografia vescovile italogreca» (A. Acconcia Longo, Il
contributo dell’agiografia alla storia delle diocesi italogreche, in Ead., Ricerche di
180 Renata Gentile Messina

Si pone dunque per noi la domanda: in che modo l’episco-


pato, il clero, i monaci siciliani si allinearono rispetto alle oppo-
ste posizioni di Roma e di Bisanzio? La presenza di ben dieci
vescovi dell’Isola al Concilio del Laterano depone a favore della
fedeltà a Roma. Tuttavia, il fatto che Massimo Confessore abbia
scritto al clero, ai monaci e ai fedeli della Sicilia72 per confutare
il monotelismo ed esortarli a non cadere nell’errore indica che
egli considerava concreto il rischio che la nuova dottrina si
diffondesse facilmente tra gli isolani.
Nella riflessione sull’argomento non va dimenticato che sia
il monotelismo, sia la proibizione di discutere sulla questione
delle volontà di Cristo, erano stati imposti con editti imperiali73:
l’Ekthesis di Eraclio e il Typos di Costante. Sicuramente, dun-
que, il controllo delle autorità affinché questi editti fossero ri-
spettati doveva essere molto forte nell’Isola, dato il suo stretto
collegamento con la capitale. Al riguardo è particolarmente in-
teressante l’assenza al concilio Lateranense da parte dei vescovi
di Siracusa e Catania. La circostanza è resa ancor più intrigante
dal fatto che la Vita di Zosimo, il vescovo siracusano che proba-
bilmente era in carica in quel periodo, ignora del tutto ogni ri-
ferimento alla controversia monotelita e al concilio74. Non a ca-
so A. Acconcia Longo ha avanzato l’ipotesi, invero molto sug-
gestiva, circa un coinvolgimento di Zosimo nella dottrina ereti-

agiografia italogreca, Roma 2003, 179-208: 183 = Ead., I vescovi nell’agiografia


italogreca, in Jacob-Martin-Noyé [éds.], Histoire et culture, cit., 127-153: 131).
72
PG 91, 112-132; 245-257. La prima epistola è indirizzata τοῖς κατὰ
τήνδε τὴν Σικελῶν φιλόχριστον νῆσον παροικοῦσιν ἁγίοις πατράσιν, ἡγουμένοις τε
καὶ μονάζουσι, καὶ ὀρθοδόξοις λαοῖς, la seconda è diretta al presbitero Teodoro
della diocesi di Marsala.
73
Un particolare, questo, che già in passato doveva aver inciso non poco
nelle controversie religiose tra Vecchia e Nuova Roma: si pensi alle reazioni
papali nei confronti dell’Enotikon di Zenone e dell’editto dei Tre Capitoli di
Giustiniano.
74
Un ulteriore argomento su cui appare significativo il silenzio dell’agio-
grafo è la controversa presenza in Sicilia dell’esarco Olimpio in seguito alla
sua ribellione (LP 76, 5-7). Sull’argomento vd. F. Burgarella, Per una storia del
Senato bizantino, in Il Senato nella storia. Il senato nel Medioevo e nella prima
Età Moderna, Roma 1997, 40-41. Il santo, comunque, non sarebbe vissuto ab-
bastanza da vedere l’arrivo di Costante II in Italia, poiché la sua morte è data-
bile tra il 655 e il 662 (A. Acconcia Longo, La Vita di Zosimo vescovo di Sira-
cusa: un esempio di «agiografia storica», RSBN 36, 1999, 5-17: 6, ora in Ead.,
Ricerche di agiografia italogreca, Roma 2003, 9-22: 10).
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 181

ca75. Come ben argomenta la studiosa, i silenzi dell’agiografo so-


no resi ancor più sospetti dal fatto che egli infarcisce il racconto
di riferimenti a circostanze e a personaggi ‘storici’. Tra questi
ultimi si annovera il cubiculario Euprassio, presentato come de-
voto di Zosimo nella Vita del santo vescovo76. Questo personag-
gio è stato identificato con quell’Euprassio che, secondo il Liber
Pontificalis, avrebbe consigliato all’imperatore di far intervenire
con le armi l’esarca Olimpio contro papa Martino77.
Tale identificazione appare verosimile e si presenta quanto
mai interessante, dal momento che il Platon gloriosus patricius,
il quale assieme ad Euprassio avrebbe consigliato a Costante di
fare arrestare il pontefice, altri non sarebbe se non un ex esarca
di Ravenna78. Si potrebbe dedurre che l’esperienza italiana dei
75
Acconcia Longo, La Vita di Zosimo, cit., 5-17, ora in Ead., Ricerche,
cit., 9-22; Ead., Il contributo dell’agiografia alla storia delle diocesi italogreche,
ibid., 179-208: 184s. (= Ead., I vescovi, cit., 131-132); Ead., Santi siciliani di età
iconoclasta, in T. Sardella-G. Zito (a cura di), Euplo e Lucia 304-2004. Agio-
grafia e tradizioni cultuali in Sicilia. Atti del Convegno di studi organizzato dal-
l’Arcidiocesi di Catania e dall’Arcidiocesi di Siracusa, Catania-Siracusa 1-2 ot-
tobre 2004, Catania 2006, 283-305: 287s.
76
BHL 9026; O. Gaetani, Vitae Sanctorum Siculorum, I, Panormi, 1657,
pp. 226-231; AA.SS. Martii, III, Antverpiae 1668, 839-843. L’originale greco
perduto dovrebbe risalire all’incirca alla fine del VII sec. (M. Re, La Vita di s.
Zosimo vescovo di Siracusa: qualche osservazione, RSBN n.s. 37, 2000, 29-42:
30; Id., Ancora sulle fonti letterarie della Vita Zosimi. Postilla ad un articolo re-
cente, «Orpheus» n.s. 23, 2002, 105- 109: 105 alla nt. 1; Id., La Vita di s. Zosi-
mo vescovo di Siracusa come fonte per la storia della Sicilia del VII secolo, in
Nef-Prigent (éds.), La Sicile, cit., 189-204: 193; Id., Un vescovo siciliano del
VII secolo: s. Zosimo di Siracusa, in V. Messana (a cura di), Vescovi, Sicilia, Me-
diterraneo. Atti del I convegno di studi, Palermo 29-30 ottobre 2010, Caltanis-
setta 2012, 293-306. Cfr. Acconcia Longo, La Vita di Zosimo, cit., 14 [= Ead.,
Ricerche, cit., 18-19], dove tuttavia la studiosa non escludeva la possibilità di
una composizione precoce, durante il regno di Costante II). Il titolo di cubi-
cularius potrebbe indicare che egli fosse un funzionario imperiale incaricato
di presenziare alle attività della zecca siracusana, se si accoglie l’ipotesi sulla
gestione della medesima espressa da Prigent, La Sicile byzantine, cit., 211s.
77
… direxit imperator in Italiam Olimpium… dicens: «… Si autem, quo-
modo nobis suggessit Platon gloriosus patricius, Eupraxius gloriosus, potueritis
suadere exercitu ibidem consistenti, iubemus tenere Martinum… » (LP 76, 4).
Cfr. PBE 1 (2001/2015) Eupraxios 1 <http://www.pbe.kcl.ac.uk/person/
p2526>. Sull’argomento vd. D. Motta, Politica dinastica e tensioni sociali nella
Sicilia bizantina da Costante II a Costantino IV, MediterrAnt 1, 2, 1998, 659-
668: 674.
78
Vd. Duchesne, Le Liber Pontificalis, cit., 339, nt. 8, nonché S. Cosen-
tino, Prosopografia dell’Italia bizantina (493-804), I: A-F, Bologna 1996, 417,
182 Renata Gentile Messina

due funzionari avesse generato una convergenza d’intenti, pro-


babilmente indotta dalla consapevolezza dell’ascendente che il
pontefice romano godeva, tanto nella Penisola quanto in Sicilia.
Inoltre, se nel cubicularius della Vita Zosimi è da riconoscere
l’Eupraxius gloriosus della Vita Martini, egli dovrebbe essere
considerato come un attivo sostenitore del monotelismo. Per
conseguenza, il fatto che fosse ammiratore e benefattore di Zo-
simo potrebbe giovare a corroborare l’ipotesi dell’adesione del
santo a quella dottrina79.
Tuttavia, a mio modesto avviso, l’identificazione dei due
Eupraxii non sembra sufficiente a tal fine. Difatti, l’introduzione
di personaggi ‘storici’ nella narrazione agiografica può costituire
un espediente narrativo per dare credibilità al racconto80 e, poi-
ché l’episodio della Vita in cui compare Euprassio, come è stato
dimostrato, è attinto dalla tradizione agiografica81, chi ci assicu-
ra che il nome del personaggio – peraltro nomen loquens assai
confacente ad un benefattore – non sia stato inserito dall’agio-
grafo a bella posta, proprio allo scopo di accreditare la veridi-
cità dell’episodio? Oltretutto, all’epoca della composizione della
Vita greca, intorno alla fine del VII secolo, vigeva un clima di
pacificazione a seguito della definitiva condanna del monoteli-
smo a Costantinopoli (681). Pertanto, se in quest’ottica si pos-
sono spiegare i significativi silenzi dell’agiografo, lo stesso po-
trebbe valere per l’episodio di Euprassio. Infatti, la devozione
del cubiculario per il santo vescovo avrebbe costituito, agli oc-

dove l’Eupraxius gloriosus (Eupraxius 1) e il cubicularius Eupraxius (Eupraxius


2) sono registrati come personaggi distinti. Il primo, secondo Cosentino, po-
trebbe essere stato un magister militum attivo forse a Roma (Cosentino, Pro-
sopografia, ibid.; cfr. T.S. Brown, Gentlemen and Officiers. Imperial Adminis-
tration and Aristocratic Power in Byzantine Italy A.D. 554-800, London 1984,
148).
79
Acconcia Longo, La Vita di Zosimo, cit., 10-12 (= Ead., Ricerche, cit.,
14-16); Re, La Vita di s. Zosimo vescovo di Siracusa: qualche osservazione, cit.,
29-30; Id., La Vita di s. Zosimo, in Nef-Prigent (éds.), La Sicilie, cit., 194s.
80
Acconcia Longo, La Vita di Zosimo, cit., 8 (= Ead., Ricerche, cit., 12).
81
Il modello di questo episodio, come di altri, è stato identificato in un
più complesso racconto contenuto nella Vita di Giovanni l’Elemosiniere
(Léontios de Néapolis, Vie de Siméon le fou et Vie de Jean de Chypre, éds. A.J.
Festugière-L. Rydén, Paris 1974, 366-367): V. Déroche, Études sur Léontios
de Néapolis, Uppsala 1995, 87-88; cfr. Re, La Vita di s. Zosimo vescovo di Sira-
cusa: qualche osservazione, cit., 33-34. Per una completa rassegna dei modelli
che hanno ispirato l’agiografo del santo vescovo vd. ibid., 31-38.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 183

chi dei lettori, un’esemplare testimonianza di concordia tra Co-


stantinopoli e Sicilia. Peraltro, se diamo credito al racconto del-
l’agiografo circa l’elezione di Zosimo all’episcopato da parte di
papa Teodoro, che appare come uno dei pochi dati certi circa
la vita del santo82, non potremmo pensare se non ad una con-
versione tardiva del presule. Infatti il pontefice, niente affatto
allineato sulle posizioni costantinopolitane e anzi deciso a con-
trastarle83, avrebbe sicuramente evitato di mettere a capo della
diocesi siracusana un religioso di incerta fede ortodossa. Pertan-
to, se è pur vero che assai verosimilmente dovettero esserci mo-
noteliti in Sicilia e che è anche possibile che Zosimo, alla fine, si
sia accostato alla nuova dottrina, non mi pare che, allo stato at-
tuale, possediamo elementi tali che ci consentano di passare dal
campo delle congetture a quello della certezza. Resta, di sicuro,
da spiegare l’assenza di Zosimo al concilio del 649, ma a giusti-
ficarla potrebbe bastare il timore delle autorità che risiedevano
nella sua stessa sede84. Si potrebbe obiettare che l’ammirazione
di Euprassio per Zosimo non sarebbe stata possibile se quest’ul-
timo fosse stato calcedoniano. Tuttavia, come s’è detto, il Typos
non prescriveva di abbracciare il monotelismo, ma semplice-
mente di non discutere sulla questione e di non pronunciare
condanne nei confronti dei seguaci di ciascuna dottrina85. Per-
tanto, per adeguarsi alla volontà imperiale sarebbe stato suffi-

82
Re, La Vita di s. Zosimo, in Nef-Prigent (éds.), La Sicilie, cit., 193 e
nt. 14.
83
Nel 643 Teodoro scrisse al patriarca Paolo invitandolo ad abbandona-
re il monotelismo, nonché ai vescovi orientali, suggerendo loro di deporre il
patriarca se questi non si fosse ravveduto (LP 75, 6). Le epistole furono por-
tate a Costantinopoli dall’ambasceria di cui fece parte Martino: cfr. il com-
mento di Duchesne, Le Liber Pontificalis, cit., 334, nt. 13. Il concilio che poi
Martino convocò in Laterano era stato preparato da Teodoro, in collaborazio-
ne con Massimo il Confessore (cfr. R. Riedinger, Die Lateransynode von 649
und Maximos der Bekenner, in Maximus Confessor. Actes du Symposium sur
Maxime le Confesseur, Fribourg 2-5 septembre 1980, Fribourg 1982, 111-
121). Inoltre, Teodoro accolse a Roma l’ex patriarca Pirro dopo che questi si
pentì pubblicamente del peccato di eresia, e poi lo scomunicò quando egli rin-
negò l’abiura, poco tempo dopo (LP 75, 3).
84
Cfr. Acconcia Longo, La Vita di Zosimo, cit., 11-14. Riguardo all’inten-
sità del controllo che veniva esercitato in Sicilia è eloquente il fatto che, al
tempo dell’iconoclastia, i legati papali inviati a Leone III furono bloccati nel-
l’Isola e non poterono raggiungere la capitale (LP 92, 2).
85
Cfr. Hussey, The Orthodox Church, cit., 17.
184 Renata Gentile Messina

ciente che Zosimo non si presentasse al concilio e non sottoscri-


vesse alcun anatema. Del resto, lo stesso papa Vitaliano, col
quale Costante in persona intrattenne relazioni formalmente
cortesi, non risulta aver aderito al monotelismo, anche se si
guardò bene dal suscitare polemiche.

7. Un altro argomento che ha fatto discutere riguardo alla


fedeltà dei Siciliani a Bisanzio in questo periodo è l’eventuale
coinvolgimento di elementi isolani nel complotto che portò al-
l’uccisione di Costante II a Siracusa86.
Senza dubbio, le vessazioni di ordine fiscale perpetrate dal-
l’imperatore in Italia meridionale e in altre province occidenta-
li, quali ci sono testimoniate dal Liber Pontificalis, furono note-
voli87. Dovettero essere ancor più pesanti in Sicilia a causa del
mantenimento dell’esercito, nonché del seguito imperiale88. Tut-
tavia, da tempo prevale l’ipotesi che la congiura abbia avuto ori-
gine a Costantinopoli89 e, in effetti, nelle fonti bizantine non c’è
alcun riferimento che rimandi all’ambiente locale; per di più, tra
coloro che furono puniti come responsabili, gli unici di cui co-
nosciamo il nome sono costantinopolitani90. Si può osservare,
inoltre, che la strana affermazione di Cedreno 91, secondo cui
86
Vastissima la letteratura sull’attentato all’imperatore, ma la frammen-
tarietà delle notizie di cui disponiamo non consente di fare passi avanti rispet-
to allo status quaestionis che fu efficacemente esaminato da Corsi, La spedizio-
ne, cit., 200-202. Più di recente Haldon, Byzantium in the Seventh Century,
cit., 60-63, pur senza pronunciarsi sulla genesi della congiura, la inserisce nel
più ampio quadro del dissenso suscitato dalla politica di Costante, che si tra-
dusse in un fronte di opposizione a Costantinopoli e in diverse ribellioni mi-
litari in provincia.
87
LP 78, 4.
88
In base alla testimonianza di una fonte siriaca tarda, ma verosimile, a
Siracusa i cortigiani dovevano disporre di ingenti somme: Illic pervenit ad Sy-
racusas… et iussit optimates qui cum eo erant, in eis aulas sibi aedificare et pos-
sessiones atque bona acquirere (Chron. ad A.C. 1234 pertinens, 137 [220, 2-4
Chabot]).
89
In tempi recenti una nuova ipotesi in tal senso è stata avanzata in Pri-
gent, La Sicile de Constant II, cit., 175-177, dove si propone di identificare
l’autore del regicidio col cubicolario Andrea, diretto collaboratore di Costan-
tino IV.
90
Cfr. Georg. Mon., chron. breve, PG 110, 884B; Leo Gramm. chron.
159, 9-12 Bekker; Georg. Cedr. chron. 764, 2-4 Bekker; Zonara epit. hist. 222,
3-8 Büttner-Wobst.
91
Georg. Cedr. chron. 763, 16s. Bekker.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 185

nella capitale una voce dal cielo avrebbe rivelato l’uccisione del
sovrano nello stesso giorno in cui essa avvenne, piuttosto che
frutto di fantasia potrebbe essere proprio un indizio della pre-
senza in città di componenti del complotto, le cui intenzioni sa-
rebbero state risapute, sia pur in una cerchia ristretta. Un solo
testo, più tardo e di incerta autenticità, ha fatto sorgere il so-
spetto di un coinvolgimento dell’episcopato siciliano: una lette-
ra di Gregorio II all’imperatore Leone III, inserita negli atti del
Concilio Niceno del 78792. In essa si afferma che quando Meze-
zio, l’usurpatore eletto dopo la morte del basileus, voleva sep-
pellire il cadavere di Costante in chiesa, i vescovi dell’Isola gli
fecero presente che si trattava di un eretico, cosicché la sepoltu-
ra ebbe luogo fuori dell’edificio sacro 93. In realtà, che si consi-
deri autentica o no l’epistola, questo particolare non sembra
sufficiente a suffragare l’ipotesi dell’adesione al complotto. Tut-
t’al più, come è stato notato 94, potrebbe indicare che il malcon-
tento nei confronti di Costante inducesse i vescovi ad assumere
una posizione netta contro la sua memoria, in contrasto col ri-
guardo che papa Vitaliano, sia pur forse per paura, gli aveva di-
mostrato95. Il pontefice, infatti, pur avendo dato prova di rispet-
tare il Typos, non aveva rinnegato l’esito del concilio Lateranen-
se. Il suo rispetto era rivolto all’autorità imperiale legittima, co-

92
Mansi XII, 959-974. Cfr. M. Amari, Storia dei musulmani in Sicilia, Se-
conda edizione modificata e accresciuta dall’autore, a cura di C.A. Nallino, I,
Catania 1933, 213; Stratos, Byzantium, cit., III, 255s.; IV, 8. Il dubbio sull’au-
tenticità dell’epistola è stato avanzato da J. Guillard, Aux origines de l’icono-
clasme: le témoignage de Grégoire II? «Travaux et Mémoires» 3, 1968, 243-
307: 259-276, mentre di parere opposto è A. Alexakis, Codex Parisinus Grae-
cus 1115 and its Archetype, Dumbarton Oaks Studies 34, Washington D.C.
1996, 119-122.
93
Ibid., 971C. Per la corretta lettura del testo vd. R. Maisano, La spedi-
zione italiana dell’imperatore Costante II, SicGymn n.s. 28, 1, 1975, 140-168:
155-158.
94
Motta, Politica dinastica, cit., 670.
95
Il pontefice aveva avuto un atteggiamento rispettoso nei confronti di
Costante, probabilmente non tanto per convinzione quanto perché la fine che
aveva fatto Martino e la presenza a Ravenna di Teodoro Calliopa, l’esarca che
lo aveva arrestato, dovevano avergli consigliato una grande prudenza. Dal can-
to suo Costante, seppur mantenendo una condotta formalmente corretta, non
era stato di certo incoraggiante verso la città di Roma e la sua Chiesa, poiché
aveva concesso l’autocefalia a Ravenna ed aveva rastrellato tutto il metallo pre-
giato dell’Urbe (vd. supra).
186 Renata Gentile Messina

me dimostra la prontezza con cui abbracciò la causa di Costan-


tino IV, l’erede dell’imperatore assassinato. Pertanto, tutto som-
mato, si potrebbe concludere che l’episcopato siciliano sia stato
sempre collegialmente allineato con Roma circa la questione
monotelita, seguendo di volta in volta la politica del pontefice
in carica e che, dopo la morte di Costante, non abbia temuto di
ribadire apertamente la posizione già assunta al concilio Latera-
nense.
Più difficile sarebbe stabilire se esistesse, e di quale entità
esso fosse, un divario tra i vescovi, di nomina papale e vicini al-
l’élite locale, e la massa di sacerdoti, monaci e laici cui si era ri-
volto Massimo il Confessore ritenendoli esposti al pericolo di
eresia.
Mezezio fu presto eliminato col concorso degli eserciti itali-
ci, oltre che di quelli d’Africa96, e Costantino IV inaugurò una
politica di distensione con Roma, che attestava la sua gratitudine
per l’appoggio ricevuto nella soppressione dell’usurpatore, ma
significava anche l’importanza di ricompattare ciò che restava di
un impero ormai irrimediabilmente mutilato. Da questo punto
di vista l’Italia, e la Sicilia in particolare, erano fondamentali ai
fini strategici ed economici. Del resto, proprio le perdite terri-
toriali subite, che includevano le regioni a maggioranza mono-
fisita, rendevano ormai superflua ogni insistenza sul monoteli-
smo. Pertanto, Costantino IV si premurò di ritirare l’autocefalia
a Ravenna, di coinvolgere intensamente il papa nella prepara-
zione del VI Concilio ecumenico e di concedere alleggerimenti
fiscali alla Chiesa romana. Al concilio, tenutosi a Costantinopoli
(680-681), la dottrina monotelita fu definitivamente condannata
e le due Chiese si riconciliarono; tutti i vescovi siciliani sotto-
scrissero l’epistola che papa Agatone (678-681) indirizzò a Co-
stantino e ai suoi fratelli con una professione di fede antimono-

96
LP 79, 2; Paul. Diac. hist. Lang. 5, 12. Di questo intervento non c’è
motivo di dubitare, mentre è stata messa in dubbio la possibilità di un inter-
vento diretto di Costantino IV, cui accenna Theoph. chron. 352, 4-7 De Boor
(cfr. E.W. Brooks, The Sicilian Expedition of Constantin IV, ByzZ 17, 1908,
455-459). Tuttavia, è possibile che alla ribellione di Mezezio ne sia seguita
un’altra ad opera di suo figlio (cfr. Mich. Syr. chron. 11, 13 [455 Chabot ]),
per reprimere la quale sarebbe intervenuta in Sicilia una spedizione da Co-
stantinopoli, guidata o no dal giovane sovrano (Prigent, La Sicile de Constant
II, cit., 178-184).
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 187

telita, e Teodoro, l’igumeno del monastero siracusano di S. Pie-


tro ad Bajas, fece parte degli emissari papali inviati al concilio 97.
È significativo che a non grande distanza di tempo rispetto al
pontificato di Teodoro (642-649) – il papa di origine palestinese
che aveva scelto Zosimo quale vescovo di Siracusa98 – tra il 678 e
il 701 si registri la presenza sul seggio papale di tre siciliani (Aga-
tone, Leone II e Sergio99), nonché di orientali quali Giovanni V,
siriano della provincia di Antiochia100, e Conone che era cresciuto
in Sicilia101, come pure l’elezione al patriarcato di Antiochia del-
l’igumeno siracusano Teodoro102. Tali dati lasciano capire quan-
to l’elemento ‘greco’ fosse in ascesa in Sicilia103 e come anche a
Roma si fosse vieppiù incrementata la presenza di ellenofoni e
di religiosi provenienti dalle regioni orientali dell’impero e che
condividevano le posizioni dottrinali romane104. Tutto ciò sicu-
ramente giovò a rafforzare il legame tra la sede papale e l’Isola105.

197
LP 80, 2; 81, 3-15; 82, 2-3. Mansi XI, 189-656, in particolare 233-316
per la lettera di Agatone. L’igumeno Teodoro fu poi eletto patriarca di Antio-
chia dallo stesso Agatone (LP 81, 14; cfr. Acconcia Longo, Il contributo, cit.,
191 [=Ead., I vescovi, cit., 138 e nt. 73]).
198
Cfr. supra.
199
LP 86. Sergio era nato in Sicilia da famiglia siriana. Il nome del padre,
Tiberio, è significativo del fatto che l’onomastica non è sufficiente a definire
l’origine etnica dei Siciliani dell’epoca (cfr. von Falkenhausen, Il monachesimo
greco, cit., 139-140).
100
LP 84. Anch’egli, essendo diacono a Roma, era stato tra i legati papali
al concilio di Costantinopoli.
101
LP 85. Non ne è nota l’origine etnica, ma il padre doveva appartenere
al tema Trakesion (Duchesne, Le Liber Pontificalis, cit., 369, nt. 1).
102
Vd. supra, nt. 98.
103
Lo testimoniano anche alcuni elementi della Vita di Zosimo: oltre alla
scelta di papa Teodoro in favore del santo, il forte accento posto sul suo lega-
me con S. Lucia e l’episodio della matrona Donnina (Vita Zosimi, 8, 11; vd. in
merito Re, La Vita di s. Zosimo vescovo di Siracusa: qualche osservazione, cit.,
40-42).
104
Cfr. supra. In particolare per l’influsso culturale dei ‘greci’ a Roma an-
che oltre il VII sec., vd. A. Pertusi, Bisanzio e l’irradiazione della sua civiltà in
Occidente nell’alto medioevo, in Centri e vie di irradiazione della civiltà nell’al-
to medioevo, CISAM 11, Spoleto 1964, 75-133; J.M. Santerre, Le monachisme
byzantin à Rome, in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’Alto Medioevo, cit., 701-746;
F. Burgarella, Presenze greche a Roma: aspetti culturali e religiosi, in Roma fra
Oriente e Occidente, II, CISAM 49, Spoleto 2002, 943-992; Ekonomou, By-
zantine Rome, cit., 199-333.
105
Ad esempio, è noto che Conone scelse come rector del patrimonium
Petri dell’Isola il diacono siracusano Costantino (LP 85, 4).
188 Renata Gentile Messina

Peraltro, la serie dei pontefici di origine orientale si protrasse fi-


no alla metà dell’VIII secolo con Giovanni VI, Giovanni VII,
Sisinnio, Costantino, Gregorio III e Zaccaria († 752), dei quali
gli ultimi in età iconoclasta106.
Durante il regno di Giustiniano II le buone relazioni tra pa-
pato e Costantinopoli si guastarono di nuovo a causa delle riso-
luzioni del Concilio Quinisesto (691-692)107 e venne istituito il
tema di Sicilia (ca. 692/695)108, il quale, a motivo del progressi-
vo indebolimento e poi della caduta dell’Esarcato, avrebbe rap-
presentato il più forte centro di potere bizantino in Italia fino
all’invasione araba dell’Isola.
Si apriva dunque una nuova fase del rapporto tra la Sicilia e
Costantinopoli – che esula dai limiti cronologici di questo lavo-
ro – durante la quale, ancora una volta, l’Isola si trovò nella de-
licata situazione di dovere obbedienza sia agli imperatori sia ai
papi anche ove essi fossero in disaccordo, fino a che le diocesi
d’Italia meridionale e Sicilia non furono sottoposte al patriarca-
to costantinopolitano. Tuttavia, il clima culturale creatosi a Ro-
ma per la presenza di tanti ‘greci’ consentì che si rafforzasse
senza ostacoli, e in modo durevole, quello stretto legame dell’I-
sola con la cultura e la religiosità bizantine, che si era silenziosa-
mente costituito e intensificato a partire dalla riconquista giusti-
nianea. Si accentuò, in definitiva, quel carattere ‘greco’ con cui
anche i Normanni dovettero confrontarsi, quando conquistaro-
no la Sicilia dopo circa due secoli di dominazione araba.

106
LP 87-90; 92-93.
107
Papa Sergio si rifiutò di accettarne alcune, in particolare la riconferma
del canone 28 di Calcedonia (451) – con cui la sede di Costantinopoli veniva
equiparata gerarchicamente a quella di Roma – che il papato non aveva mai
riconosciuto. Il contrasto toccò il culmine quando l’imperatore ordinò l’arre-
sto del pontefice, che fu però impedito dalle truppe esarcali. La rottura fu poi
ricomposta nel secondo periodo di regno di Giustiniano, durante il pontifica-
to di Giovanni VII (Mansi XI, 921-1006; LP 86, 6-9; 88, 4-6).
108
Per il tema di Sicilia vd. principalmente Borsari, L’amministrazione,
cit.; N. Oikonomides, Une liste arabe de stratèges byzantins du VIIe siècle et les
origines du thème de Sicile, RSBN n.s. 1, 1964, 121-130; Burgarella, Alle origi-
ni, cit.
La Sicilia tra Roma e Costantinopoli (secoli VI-VII) 189

ABSTRACTS

Sicily between Rome and Constantinople in the 6th and 7th centuries
A partire dalla riconquista giustinianea la Sicilia sperimentò l’ano-
malia di dipendere da Costantinopoli per l’amministrazione e da Ro-
ma per l’organizzazione ecclesiastica, mentre si attuava la bizantiniz-
zazione religiosa e culturale dell’Isola. Nel VII secolo l’afflusso a Ro-
ma di ‘greci’ che condividevano l’orientamento dottrinale papale
rafforzò il legame tra gli ecclesiastici siciliani e Roma, ma anche la ‘gre-
cità’ dell’Isola. In questo quadro complesso i vescovi siciliani, anche
se spesso ‘greci’ e sorvegliati da Costantinopoli, si mantennero sostan-
zialmente allineati con le posizioni dottrinali romane.
Since the Justinian reconquest, Sicily in an anomalous way was
subjected to Constantinople for administration and to Rome for eccle-
siastical organization, as Island’s religious and cultural Byzantinization
was taking place. In the seventh century, the migration in Rome of
‘Greeks’, which were in line with the papal doctrinal positions,
strengthened the link between the Sicilian clergy and Rome, but also
the Island’s ‘Greek’ feature. In this complex scenario, the Sicilian
bishops, although often ‘Greeks’ and supervised by Constantinople,
remained essentially in line with the Roman doctrinal positions.
Parole chiave: Sicilia, Bizantinizzazione, Episcopato, Monotelismo.
Key words: Sicily, Byzantinization, Bishops, Monothelism.

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