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APPRENDERE
CIÒ CHE VIVE
Studi offerti a Raffaele Licinio
a cura di
Victor Rivera Magos e Francesco Violante
ESTRATTO
2017
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SANTI, GUERRIERI E MERCANTI AL PORTO DI BARI
Vito Bianchi
1. Origini di un porto
Il porto di Bari ha spesso modellato la storia della città. E la storia della città si è per
lunghi tratti plasmata sul suo porto. Nei secoli. Nei millenni. Oggi, come più di tremilacin-
quecento anni fa. L’età del Bronzo vide attecchire in loco un insediamento simile a quello
di tanti altri centri costieri della Puglia adriatica1. Nacque su una lingua di terra protesa
nel mare, su quel pronunciamento del litorale che tuttora trattiene in sé la cosiddetta “città
vecchia”. Una penisoletta più o meno allungata, occupata nel secondo millennio avanti
Cristo da una popolazione trascorrente attraverso la facies culturale prima proto-appen-
ninica, poi appenninica e infine sub-appenninica.
Sin dalle origini, quella protuberanza poté consentire un duplice favorevole attracco,
in ciascuna delle due insenature che ne costeggiavano i fianchi, a seconda dei venti e delle
stagioni, delle alte e delle basse maree. Era uno scalo bipartito, fra Maestrale e Scirocco,
che offriva la possibilità di usare un golfo o l’altro. Fra Grecale e correnti da Ponente,
all’occorrenza ambedue i bacini erano in grado di entrare in funzione.
I rinvenimenti archeologici più remoti, attestati in prossimità di San Pietro e Santa
Scolastica (all’estrema punta della penisola), di Santa Maria del Buonconsiglio (quasi a
ridosso del bacino orientale) e di San Francesco della Scarpa (affacciato nei pressi dell’in-
senatura occidentale)2, parrebbero appunto confermare, con la loro dislocazione, la gra-
vitazione del nucleo insediativo su entrambi i fronti portuali. Del resto, il fenomeno di
insediamento presso un sito litoraneo che si sviluppa fra due anse è comunemente attestato
1
Sugli insediamenti dell’età del Bronzo in Puglia, con specifico riferimento al versante adriatico, cfr. Do-
cumenti dell’età del Bronzo. Ricerche lungo il versante adriatico pugliese, a c. di A. Cinquepalmi, F. Radina,
Fasano 1998. In particolare, sull’insediamento protostorico di Bari, nello stesso volume, cfr. F. Radina, Bari
centro storico, pp. 83-93.
2
Radina, Bari centro storico cit., pp. 84-85.
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lungo una riviera pugliese che, in linea di massima, non è dotata di baie profonde e ben
riparate dai marosi. I promontori naturali divenivano pertanto necessari all’economia di
scambio marittimo, appendici terracquee praticabili e abitabili da comunità predisposte ai
contatti trans-marini, nell’orbita di quei traffici micenei che, specialmente fra il XVI e il
XII sec. a.C., interessavano con sistematicità un po’ tutti i lidi mediterranei3, e la cui eco
mitizzata si tramanderà nei poemi epici.
Gli scali costieri potevano, quindi, favorire le relazioni commerciali col mondo egeo
e, in genere, col Mediterraneo orientale: ne è testimone un frammento di alabastron con
decorazione in vernice nero-brillante, di produzione micenea4, proveniente da una struttura
ubicata nella parte est dell’insediamento protostorico di Bari. Altri frammenti analoghi
sono stati scoperti all’estremità settentrionale dello stesso centro storico5.
Generalmente, si ritiene che approdi come quello di Bari potessero rappresentare il
referente commerciale di un tessuto economico di tipo agricolo-pastorale e artigianale,
che trovava la sua elaborazione in prevalenza nell’entroterra, laddove sono effettivamente
riscontrabili le tracce di numerosi villaggi dell’età del Bronzo. Sulla costa si sarebbero
quindi sviluppati dei centri dediti ad attività specializzate, che fungevano da tramite per i
traffici in rapporto alle comunità dell’interno, nel cui ambito avrebbero invece continuato a
prevalere le attività primarie6. Ma a innescare e a incentivare un ruolo emporico per il porto
di Bari non necessariamente né esclusivamente può essere stato il contesto del territorio
retrostante. Non va sottovalutato, in effetti, come l’impianto e la genesi di un insediamento
portuale potessero eventualmente anche derivare, sulla direttrice opposta, dagli interessi
economico-commerciali innestati e cresciuti sulla scia delle rotte micenee. Oltretutto, in
relazione al sito protostorico di Bari, l’idea di una precipua “specializzazione” nei com-
merci trae vigore dall’assenza di elementi archeologici inerenti a una qualche attività di
pesca. In un contesto che vedeva l’allevamento di maiali, di parecchi bovini destinati all’a-
ratura, di capre e pecore per la produzione casearia e tessile, e in cui si praticava la caccia
al cervo7, estremamente limitata e secondaria si configurava l’attività della raccolta dei
molluschi marini e di tartarughe8, mentre nessun dato materiale finora consentirebbe di
presupporre una sistematica attività peschereccia.
3
E.M. De Juliis, I navigatori micenei, in Andar per mare. Puglia e Mediterraneo tra mito e storia, a c. di
R. Cassano, M. Milella, Bari 1998, pp. 29-31.
4
L. Vagnetti, La relazione fra il versante adriatico pugliese e l’area egea alla luce delle ricerche recenti,
in Documenti dell’età del Bronzo cit., p. 274.
5
Al riguardo, cfr. A. Fornaro, Santa Scolastica, in Archeologia di una città. Bari dalle origini al X secolo,
Bari 1988, pp. 95-115.
6
A. Cazzella, Il versante adriatico della Puglia durante l’età del Bronzo. Appunti per una sintesi, in Do-
cumenti dell’età del Bronzo cit., Fasano 1998, pp. 17-22; F. Radina, Il contesto ambientale delle Murge, in
Documenti dell’età del Bronzo cit., pp. 53-56.
7
I dati sono riportati in B. Wilkens, Le risorse animali, in Documenti dell’età del Bronzo cit., Fasano 1998,
pp. 223-225.
8
Radina, Bari centro storico cit., p. 87.
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3. L’età romana
Comunque, la predisposizione alla marineria civile di Bari non doveva essere svanita,
benché potesse probabilmente raggiungere, con la romanizzazione, un volume di scambi
poco più che modesto.
Il rinvenimento, nelle acque prospicienti la basilica di San Nicola, di anfore Lamboglia
9
E.M. De Juliis, Dal villaggio alla città, in Archeologia di una città cit., pp. 169-172.
10
Ivi, p. 171.
11
Ivi, pp. 171-172.
12
Cfr. in proposito G. Andreassi, Barion, in Archeologia di una città cit., pp. 173-175.
13
Una sintesi sull’epopea dei “condottieri” greci in Puglia è in M. Lombardo, I “condottieri” greci in
Puglia, in Andar per mare cit., pp. 177-184 (con bibliografia di riferimento). Si veda inoltre Alessandro il
Molosso e i “Condottieri” in Magna Grecia, Atti del quarantatreesimo convegno di studi sulla Magna Grecia
(Taranto - Cosenza, 26-30 settembre 2003), 2 voll., Taranto 2004.
14
Livio, Ab urbe condita, XL, 18, 7-8.
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15
Sulla diffusione del vino italico e sulle rotte seguite dai carichi stivati nelle navi onerarie romane, utile
l’analisi di A. Tchernia, Le vin de l’Italie romaine, Roma 1986, che si sofferma sui rapporti intrattenuti dai
navigli apuli (e in genere italici) con il bacino orientale del mar Mediterraneo alle pp. 68-74, 129, 148-149.
16
Cfr, in proposito E.M. De Juliis, Le antichità sommerse, in La Puglia e il mare, Milano 1984, p. 124; G.
Volpe, Il porto e il litorale, in Archeologia di una città cit., pp. 385-394, in particolare pp. 386-387.
17
Ivi, p. 387.
18
De Juliis, Le antichità sommerse cit., p. 124. L’area interessata dai reperti si estenderebbe per circa un
chilometro, lungo una fascia che dista fra i 10 e i 250 metri dalla costa, a una profondità variabile fra i 3 e
i 15 metri. Il carico anforaceo del presunto relitto, depositatosi su un fondale piuttosto roccioso e basso, ha
dovuto subire nel tempo l’azione violenta dei marosi, che ne hanno determinato la dispersione, per poi essere
ulteriormente rimaneggiato dai pescatori dilettanti e dai subacquei a caccia di anfore.
19
Tchernia, Le vin de l’Italie cit., pp. 68-74.
20
J. Rougè, Recherches sur l’organisation du commerce maritime en Méditerranée sous l’empire romain,
Paris 1966, p. 93; cfr. inoltre in proposito G. Volpe, R. Auriemma, Rotte, itinerari e commerci, in Andar per
mare cit., pp. 199-210, con particolare riferimento alle pp. 200-201.
21
Al riguardo, cfr. A. Siciliano, La monetazione di Barion/Barium, in Archeologia di una città cit., pp.
233-235.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 53
della città nella sfera d’influenza romana, quanto una tradizionale vocazione marinara,
esplicitata dall’inequivocabile insegna commerciale.
Di quanto fosse apprezzabile, per la romanità, l’approdo di Bari, può essere in qual-
che misura confermato dall’apprestamento della via publica Gellia, che i Romani fecero
costruire probabilmente già nella prima metà del I sec. a.C., collegando Barium a Nord
con Canosa e a Sud con Egnazia22. Il poeta Orazio, tuttavia, durante il famoso viaggio
compiuto da Roma a Brindisi nel 37 a.C., in compagnia di Mecenate, dedica al mare barese
appena una battuta, che ne ricorda la pescosità, e nulla più23. Strabone pone a sua volta
Bari fra gli scali obbligati della rotta adriatica, a 700 stadi dal più importante emporium di
Brundisium24. Già attivo dunque in età repubblicana, senza raggiungere presumibilmente
l’importanza degli snodi portuali di Brindisi e Otranto, il porto barese dovette incremen-
tare la sua valenza in epoca imperiale. Con la realizzazione della via Traiana, realizzata
fra il 108 e il 110 d.C. per connettere più velocemente Roma con Brindisi (e quindi con
l’Oriente)25, Bari verrà inserita nel pieno dei flussi di uomini e merci dell’impero romano,
non solo sulla direttrice Est-Ovest, ma anche sull’asse Nord-Sud che legava Aquileia ad
Alessandria d’Egitto. Quale fosse il tragitto barese dell’arteria imperiale non è del tutto
accertato. Stando agli studi antiquari, un antico miliario della via Traiana sarebbe stato
utilizzato per circa due secoli, dal XVI al XVIII, dai pescatori del “Porto Vecchio”, per
legarvi le gomene delle barche26. In ogni caso, del movimento di genti e dei traffici svi-
luppati dal porto di Bari con l’impero romano raccontano alcuni documenti epigrafici e
iconografici. Innanzitutto, una stele funeraria, scoperta nel 1910 in via Abate Gimma,
durante alcuni lavori edilizi, rivela per il II sec. d.C. la presenza in loco di Errio Severo,
un hortator, vale a dire un capovoga, presumibilmente di una nave mercantile. Il marinaio
viene esplicitamente menzionato su una lastra che reca altresì il disegno di un’imbarca-
zione con remi e alberi, in viaggio su un mare contraddistinto dai pesci che sguazzano
fra le onde27. In ambito barese è inoltre attestata l’esistenza di stranieri, menzionati da un
22
In proposito cfr. M. Pani, La città in età romana, in Archeologia di una città cit., pp. 371-377, con par-
ticolare riferimento alle pp. 374-375. Sulla via Gellia, cfr. G. Uggeri, La viabilità romana nel Salento, Roma
1983, pp. 231 ss.
23
Così si esprime Orazio in Sermones I, 5, 96-97: «[…] postera tempestas melior, via peior adusque Bari
moenia piscosi […]».
24
Strabone, Geographia, VI, 3, 8.
25
Sulla via Traiana, cfr. T. Ashby, Le vie Appia e Traiana, in «Boll. Ass. Arch. Romana», VI-VII (1916-17),
pp. 10 ss.; T. Ashby, R. Gardner, The via Traiana, in «Papers of the British School at Rome», VIII (1916), pp.
104-171; Uggeri, La viabilità cit., pp. 229 ss.; M. Silvestrini, La viabilità, in Archeologia di una città cit., pp.
379-383; Viae Publicae Romanae, a c. di R. Cappelli, Roma 1991; La via Appia. Sulle ruine della magnificen-
za antiche, a c. di I. Insolera, D. Morandi, Roma 1997; V. Bianchi, La via Traiana e l’Oriente, in Paesaggi
e rotte mediterranee della cultura, a c. di C.S. Fioriello, Bari 2008, pp. 143-156; e V. Bianchi, Viaggio tra i
misteri. Culti orientali e riti segreti lungo l’antica via Traiana, Fasano 2010, in particolare pp. 7-16.
26
G. Petroni, Della storia di Bari dagli antichi tempi sino all’anno 1856, I, Napoli 1857, p. 31.
27
Il testo epigrafico recita così: «D(is) M(anibus) s(acrum) / Cn. Herrius Se-verus, hort(ator) v(ixit) a(nnis)
/ XVII. Herrius / Proculus et / Gellia Proba f[ili]o / b(ene) m(erenti) f(ecerunt)». Sul dato epigrafico, Pani,
La città cit., p. 375; M. Chelotti, La documentazione epigrafica, in Archeologia di una città cit., p. 450. Utili
riferimenti sono riscontrabili anche in M. Chelotti, Regio II. Apulia et Calabria. Barium, in «Supplementa
italica», 8 (1991), pp. 25 ss.
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Cfr. Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1863-, n. 285; Chelotti, Regio II cit., p. 33.
28
L’iscrizione è così composta: «Anub[…]/…..»?. Al riguardo, cfr. V. Morizio, La città in età romana, in
29
Archeologia di una città cit., p. 445; Chelotti, Regio II cit., p. 34; M. Chelotti, Le divinità dell’Oriente, in
Andar per mare cit., p. 239; Id., Viaggio tra i misteri cit., pp. 52-54.
30
Apuleio, Metamorfosi XI, 11.
31
Sui culti orientali nella Puglia di età romana, cfr. V. Bianchi, Culti orientali nella Regio II Apulia et Ca-
labria, tesi di dottorato di ricerca in “Documentazione, catalogazione, analisi e riuso dei beni culturali (XIV
ciclo)”, Bari 2001-2002; Id., Viaggio tra i misteri cit. (con bibliografia di riferimento).
32
Karlsruhe, Badisches Landesmuseum, n. inv. 67/134.
33
Il testo dell’iscrizione è il seguente: «D(is) M(anibus)/Fabiae Q. f. Stratonice/optimae ac piissimae co-
niugi/L. Plutius Hermes». Cfr. J. Thimme, Badisches Landesmuseums Neuerwerbungen 1967. Grabstein ei-
ner Isimystin, in «Jahrbuch der Staatlichen Kunstsammlungen in Baden - Wurttemberg» 5 (1968), pp. 182-
184; M.C. Budischovsky, La diffusion des cultes isiaques autour de la Mer Adriatique, Leiden 1977; J.C.
Grenier, L’autel funéraire isiaque de Fabia Stratonice, Leiden 1978; Chelotti, Le divinità cit., pp. 238-239;
Bianchi, Viaggio tra i misteri cit., pp. 53-54.
34
Cfr. in proposito i molteplici esempi riportati in Iside. Il mito, il mistero, la magia, a c. di E.A. Arslan,
Milano 1997, pp. 86 ss.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 55
cofago marmoreo di tipo “Sidamara”, lavorato in Asia Minore nel III sec. d.C. Parimenti,
i capitelli della cripta nicolaiana, insieme a quelli della cattedrale di San Sabino e delle
chiese di San Gregorio e Santa Maria del Buon Consiglio, costituiscono materiale di pro-
duzione asiatica e bizantina, elaborati in tempi diversi, fra il II e il VI sec. d.C.: ne è stata
presupposta una provenienza illirica, greca, nord-africana (sono state notate assonanze
con l’apparato scultoreo della moschea di Kairouan in Tunisia) o microasiatica, e una pro-
babile pertinenza a edifici religiosi preesistenti all’arrivo dei Normanni nell’XI secolo35.
Non sempre, in verità, il riuso fatto nel Medioevo degli elementi architettonici antichi,
spesso spostati a notevoli distanze dall’ubicazione originaria, consente di risalire con esat-
tezza alle dinamiche culturali: nella cattedrale barese di San Sabino, per esempio, in seguito
a un restauro36, è stata riconosciuta, su una colonna, una dedica all’orientale dio Sol37, fir-
mata dall’augustale Q. Terenzio Antero e databile entro i primi decenni del I sec. d.C.38.
35
Sull’argomento, cfr. R. Cassano, I monumenti, in Archeologia di una città cit., pp. 401 ss.
36
L’operazione di restauro che ha portato al fortuito rinvenimento dell’epigrafe è stata condotta nel 2005.
37
Sul rinvenimento, M. Silvestrini, Una dedica al dio Sole nella cattedrale di Bari, in Studi in onore di
Francesco Grelle, a c. di G. Volpe, Bari 2006, pp. 269-279. L’epigrafe era inscritta su una colonna in marmo
rosso cavato da Iasos, presso l’odierna Marmaris, in Asia Minore. Dalla Caria, il marmo era stato trasportato
a Canosa e successivamente, col declino della città e l’aggregazione episcopale a Bari, aveva subito un reim-
piego nella cattedrale barese. La dedica inscritta sulla colonna era stata offerta in un tempio che associava il
culto di Sol a quello imperiale.
38
Sebbene, a rigore, non si tratti della dedicazione a una divinità da identificare necessariamente con
Mithra, tuttavia il riferimento al Sol Invictus e l’intimo rapporto fra il mitraismo e il culto del dio Sole – per
distinti che fossero – riecheggiano dei riti d’ascendenza persiana. Sul rapporto strettissimo fra Sole e Mithra,
cfr. Bianchi, Viaggio tra i misteri cit., pp. 52-53 (con bibliografia).
39
Sull’Itinerarium Antonini, cfr. l’edizione riportata in O. Cuntze, Itineraria Romana, I, Lipsia 1929, spe-
cialmente pp. 1-85. Sull’argomento, utile anche Uggeri, La viabilità cit., pp. 142 ss.
40
Sull’Itinerarium Maritimum, Cuntze, Itineraria cit., pp. 76-84; Uggeri, La viabilità cit., pp. 145 ss.;
Silvestrini, La viabilità cit., p. 379.
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56 Vito Bianchi
ad età vandala41. Se così fosse, per gli approdi pugliesi, e per quello barese in particolare,
sarebbe confermato il ruolo acquisito nella precedente età imperiale.
Qualche leggera variazione parrebbe invece registrarsi con l’Itinerarium Burdigalense
(o Hierosolymitanum), risalente al 333-334 d.C.42, in cui si descrive un pellegrinaggio di
cristiani dell’Aquitania in Terrasanta. Nel diario di viaggio, si riferisce espressamente di
mutationes per il cambio dei cavalli, di mansiones per il pernottamento, e di civitates.
Insieme a Brindisi e a Leonatia (volgarizzazione di Egnazia), Bari/Beroes è l’unica località
costiera a essere definita, appunto, civitas (al pari di Ruvo, Canosa, Ordona ed Aecae, che
però sono situate nell’interno)43. È il sintomo di una rilevanza non secondaria della città.
Il dato viene parzialmente confermato dalla Tabula Peutingeriana, un rotolo di perga-
mena risultante dalla successione di dodici fogli, con la rappresentazione dell’Ecumene e
l’indicazione dettagliata di strade, fermate e distanze44. Ascrivibile nella sua formulazione
originaria alla metà del IV sec. d.C., il documento è conservato in una copia medievale
del XII-XIII secolo alla Biblioteca Nazionale di Vienna. Qui, Bari viene segnalata senza
particolari caratteristiche, a differenza, ad esempio, di Gnatie/Egnazia, definita addirit-
tura portus Pediculorum, o di Brindisi e di pochi altri centri della Puglia, che vengono
marcati in posizione eminente, con il simboletto convenzionale di due edifici accostati, a
designare i capita viarum.
Sostanzialmente analogo, pur con qualche mutazione, è poi il rendiconto dell’Anonimo
di Ravenna, che durante il periodo esarcale, grossomodo fra il 670 e il 700, compila una
Cosmographia suddivisa in cinque libri45, in cui confluisce l’inquadramento geografico
generale di Asia, Africa, Europa e bacino mediterraneo46. Il geografo ravennate, attin-
gendo con ogni probabilità ad una carta geografica affine (e presumibilmente coeva) alla
Tabula Peutingeriana, elenca fra l’altro le stazioni dislocate lungo le vie paralitoranee, che
sarebbero state annotate durante due peripli, dell’Italia e del Mediterraneo. Non manca la
segnalazione di Barium, che in qualche maniera doveva dunque conoscere una certa vita-
Così G. Uggeri in una relazione tenuta al XII Convegno sull’Africa romana, Sassari 1996.
41
Sull’Itinerarium Burdigalense, Cuntze, Itineraria cit., pp. 86-102; R. Gelsomino, L’Itinerarium Burdiga-
42
lense e la Puglia, in «Vetera Christanorum» III (1966), pp. 161-208 = “Puglia Paleocristiana”, I, Bari 1970,
pp. 205-268; Uggeri, La viabilità cit., 148 ss. (con bibliografia).
43
Sull’argomento, da ultimo V. Bianchi, Bari, la Puglia e la Francia, Bari 2015, in particolare pp. 13-55.
44
Sulla Tabula Peutingeriana: K. Miller, Itineraria Romana, Stuttgart 1916 (Roma 1963); Id., Die Peutin-
gersche Tafel, Stuttgart 1962; A. e M. Levi, Itineraria picta, contributo allo studio della Tabula Peutingeriana,
Roma 1967; Tabula Peutingeriana, Codex Vindobonensis 324, komm. von E. Weber, Graz 1976; L. Bosio, La
Tabula Peutingeriana, Città di Castello 1983; Uggeri, La viabilità cit., pp. 150 ss.
45
Si fa qui riferimento alle seguenti edizioni: Ravennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographi-
ca, edd. M. Pinder, G. Parthey, Berlin 1860; J. Schnetz, Itineraria Romana, II, Leipzig 1940, pp. 1-110.
46
In proposito, cfr. T. Mommsen, Ueber die Unteritalien betreffenden Abshnitte der Ravennatischen Ko-
smographie, Leipzig 1851; J. Schnetz, Untersuchungen uber die Quellen der Kosmographie des anonymen
Geographen von Ravenna, in «Sitz. Bayer. Akad.» 6 (1942); B.H. Stolte, De Cosmographie van den Anony-
mus Ravennas Een studie over de Bronnen van Boek, II-V Zundert 1949; U. Schillinger-Haefele, Beobachtun-
gen zum Quellenproblem der Kosmographie von Ravenna, in «Bonner Jahrbucher», CLXIII (1963), pp. 238-
251; S. Mazzarino, Da Lollianus et Arbetio al mosaico storico di S. Apollinare in Classe, in «Helikon», V
(1965), pp. 45-62 e in «Riv. Studi Bizantini e Neoellenici», n.s., II-III (12-13) (1965-1966), pp. 99-117; A.
Potthast, Repertorium fontium historiae Medii Aevi, Roma 1967, pp. 361 ss. (con bibliografia); Uggeri, La
viabilità cit., pp. 155 ss.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 57
lità, in un frangente di cui ben poco, nondimeno, ci hanno tramandato le fonti scritte. Il
segmento storico compreso fra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’affermazione
di Bari quale metropolis del Catepanato d’Italia in epoca mediobizantina rimane in effetti
piuttosto oscuro. L’attestazione di un episcopato barese a partire dal 456 d.C., quando un
vescovo Concordio di Bari è presente al sinodo convocato a Roma da papa Ilario I47, e il
rinvenimento dei resti della primigenia cattedrale di VI secolo al di sotto della fabbrica
odierna48, sono soltanto dei brandelli di storia, che non possono contribuire granché alla
lettura del contesto socio-culturale di riferimento.
Non è dato sapere, pertanto, in che modo e in che misura Bari, e il suo porto, fossero
stati coinvolti nella guerra greco-gotica (535-553 d.C.) o nel conflitto fra i Longobardi
beneventani e i Bizantini, che proprio a ridosso della composizione della cosmografia
del Ravennate conobbe un aspro rigurgito di violenza, con la spedizione militare guidata
dall’imperatore costantinopolitano Costante II nel 663, e la replica violenta di Romualdo
nel 66849. Finché dovette perdurare il predominio bizantino, è verosimile che il porto
barese continuasse a sviluppare una sua attività, basata sulla pesca e forse sui commerci
di piccolo cabotaggio. Non sappiamo compiutamente invece fino a che punto l’avvento di
un’economia longobarda abbia potuto influire sulla vitalità portuale di Bari.
5. Saraceni e Bizantini
Di fatto, la posizione della città, all’imbocco della profonda insenatura adriatica, doveva
farne una località strategicamente appetibile nei disegni politici dell’Impero Romano d’O-
riente, di Venezia e della nuova compagine saracena che si andava intromettendo con sem-
pre maggiore insistenza negli affari mediterranei50.
Intorno all’840, perciò, Bari venne assalita da Hablah, liberto (nel senso di mawla,
cliente, straniero convertito, affiliatosi a una famiglia della casta araba dominante) di al-A-
ghlab, emiro di Kairouan, in Tunisia, fra l’838 e l’84151. L’attacco non ebbe alcun esito.
47
P.F. Kehr, Italia pontificia, IX, Samnium - Apulia - Lucania, a c. di W. Holtzmann, Berolini 1962, p. 315.
In proposito, cfr. G. Otranto, La formazione della diocesi paleocristiana, in Archeologia di una città cit., pp.
507-511 (con bibliografia).
48
In proposito, cfr. Otranto, La formazione cit., pp. 510-511; N. Lavermicocca, Cattedrale, in Archeologia
di una città cit., p. 512; G. Bertelli, S. Maria que est episcopio. La cattedrale di Bari dalle origini al 1034,
Bari 1994; La cattedrale di Bari, a c. di M. Basile, G. Barracane, Bari 1995. Sulle vicende storico-archeolo-
giche e storico-artistiche inerenti la cattedrale barese, cfr. pure V. Bianchi, Quelle bianche fortezze della fede,
in «Medioevo», n. 78 (luglio 2003), pp. 64-76.
49
Al riguardo, P. Corsi, Dalla caduta dell’Impero d’Occidente al dominio Longobardo, in Storia di Bari.
Dalla preistoria al Mille, I, Roma - Bari 1989, pp. 257 ss.
50
Sulla presenza islamica nel Mezzogiorno italiano, cfr. G. Musca, L’emirato di Bari, Bari 1967; V. Bian-
chi, Sud e Islam. Una storia reciproca, Lecce 2003; V. Bianchi, S. Sanjuan Ledesma, Bari, la Puglia e l’islam,
Bari 2014.
51
Sull’episodio, cfr. il racconto di al-Baladhuri, riportato in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, vol. I, Torino
- Roma 1880, pp. XXXVIII-XL: «È in Ponente una provincia detta la Gran Terra [d’Italia], distante da Barca
quindici giornate di viaggio, poco più o poco meno. Qui giace, a spiaggia di mare, una città chiamata Barah, la
cui popolazione è cristiana, pur non appartenendo alla schiatta dei Rum. Fu attaccata, questa città, da Hablah,
liberto di al-Aghlab. Ma costui non poté insignorirsene». Da al-Baladhuri dipende anche la narrazione di ibn
al-Athir, che muta il nome dell’assalitore in Hayah (ma si tratta solo di una questione grafica), come riportato
anche in M. Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, II ed. a c. di C.A. Nallino, vol. I, Catania 1933, p. 498.
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58 Vito Bianchi
Più efficace risultò piuttosto l’azione intrapresa nell’847 dal berbero Khalfun, un capo-
banda della tribù di Rabi’ah. Nottetempo, dopo essersi acquartierato con le sue schiere
presso le fortificazioni cittadine, “lungo la riva”, come ricordano le fonti, il Kalfon rex dei
transmarinos Saracenos penetrò attraverso dei cunicoli incustoditi nell’abitato, con i suoi
guerrieri semi-nudi e armati con lance di canna, per essere più agili. Dopo una strage di
baresi, dopo la riduzione di parecchie persone in schiavitù52, la Bari longobarda diventava
Bari saracena. Va sottolineato come l’incursione di Khalfun avvenisse per via di terra,
mediante un’azione proditoria, l’unica che poteva probabilmente consentire di espugnare
una città che i Longobardi avevano ben munito. Almeno in qualche settore, la cinta difen-
siva era stata elevata a picco sugli scogli: il gastaldo Pandone venne infatti torturato e
scaraventato in mare dall’alto delle mura.
La conquista musulmana porterà all’instaurazione di un potentato quasi venticinquen-
nale, con le caratteristiche di vero e proprio “emirato”, il cui riconoscimento, richiesto dal
secondo emiro Mufarraj ibn Sallam (853-856)53, sarà ufficialmente ratificato dal califfo
abbaside fra l’864 e l’866, quando su Bari governava Sawdan (856-871), l’ultimo amir o
wali del neonato Stato islamico indipendente54.
L’idea che possa rimontare all’epoca dell’emirato islamico l’origine dei frequenti rap-
porti dei marinai e dei mercanti baresi con la Siria55, seppure trovi anticipazioni già in
momenti anteriori56, non è tuttavia peregrina. Il pattugliamento dei mari effettuato dai
navigli bizantini non doveva impedire i traffici commerciali. Lo testimonia l’episodio del
monaco franco Bernardo, di passaggio in Puglia per un pellegrinaggio in Terrasanta57. Il
frate giunge a Bari, per ottenere da Sawdan il salvacondotto che potrà agevolarne il transito
nelle terre nord-africane e mediorientali, e si imbarca da Taranto, laddove può osservare
sei bastimenti carichi di schiavi del Beneventano, pronti a salpare per l’Africa e Tripoli58.
Il dato può indurre a una serie di considerazioni: che lo scalo di Taranto fosse uno fra
i principali collettori di “merce umana” da smistare in ambito mediterraneo; oppure che
le navi potessero fare tappa presso una qualsiasi delle località che si trovavano in mani
saracene (magari dopo aver imbarcato anche altrove); che nella “città dei due mari” vi fos-
52
Sull’episodio, al-Baladhuri in Amari, Biblioteca arabo-sicula cit., p. 269; Chronica Sancti Benedicti
Casinensis [M.G.H., SS rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-IX], ed. G. Waitz, Hannoverae 1878,
cap. V, pp. 471-472; Erchemperto, Historia Langobardorum Beneventanorum, ivi cap. XVI, p. 240.
53
al-Baladhuri in Amari, Biblioteca arabo-sicula cit., p. 270.
54
Amari, Storia dei musulmani cit., I, 513-514; al-Baladhuri in Amari, Biblioteca arabo-sicula cit., p.
270. Sulle vicende che condurranno all’ufficializzazione dell’emirato barese da parte del califfo abbaside, cfr.
Musca, L’emirato cit., pp. 49 ss. (con ulteriore bibliografia di riferimento).
55
Come, pur cautamente, affermato in W. Heyd, Histoire du commerce du Levant au Moyen-Age, vol. I.,
Leipzig 1885, p. 97.
56
Cfr. supra, l’età romana.
57
Bernardus Monacus Francus, Itinerarium in loca sancta anno 870 factum, in T. Tobler, A. Molinier,
Itinera hierosolymitana latina, I, Genevae 1879, p. 310: «[…] venimus ad civitate Sarracenorum, nomine
Barrem, que dudum dicioni subiacebat Beneventanorum. Que civitas, supra mare sita, duobus est a meridie
latissimis munita muris, ab aquilone vero mari prominet exposita […]».
58
Bernardus Monacus, Itinerarium cit., pp. 310-311: «Exeuntes de Barre, ambulavimus ad meridiem…
usque ad portum Tarentine civitatis, ubi invenimus naves sex, in quibus erant IX milia captivorum de Bene-
ventanis christianis. In duabus nempe navibus, que primo exierunt Africam petentes, erant tria millia captivi,
alie due post euntes, in Tripolim deduxerunt similiter III».
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 59
59
Sul fenomeno schiavistico in ambito islamico, cfr. M. Scarcia Amoretti, Un altro Medioevo. Il quotidia-
no nell’Islam, Roma - Bari 2001, pp. 64 ss.
60
L’evento è narrato in Ahimaaz, Sefer Yuchasin, ed. M. Salzman, The chronicle of Ahimaaz translated
with an introduction and notes New York 1924, pp. 76-77. Un’altra edizione del testo è riscontrabili in A.
Neubauer, Mediaeval Jewish Chronicles, vol. II, Oxford 1895, pp. 111-132. In B. Klar, Gerusalemme 1944,
si propone altresì un’ottima edizione in ebraico, tradotta successivamente in The Chronicle of Ahimaaz, with
a collection of poems from Byzantine Southern Italy and additions, Jerusalem 1974. Cfr. Inoltre J. Starr, The
Jews in the Byzantine Empire (641-1204), New York 1970, n. 117.
61
L’analisi di questa tradizione e delle relative fonti, non sempre attendibili, è in Musca, L’emirato cit., p.
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60 Vito Bianchi
Così, dopo la parziale e breve interruzione dei commerci nell’VIII secolo, dovuta al
clima di instabilità sopraggiunto nel Mediterraneo con l’avvento dell’Islam, la stabilizza-
zione del dominio musulmano aveva in certa misura rinnovato le opportunità di alimentare
i flussi mercantili. Sotto l’egida saracena si era potuta quindi produrre una sorta di “cor-
sia franca” per i traffici instaurati (e, anzi, probabilmente incentivati) con l’affermazione
dell’emirato di Bari. Posta all’imbocco dell’Adriatico, la città con il suo porto doveva esser
quindi stimolata a dialogare con quelle regioni mediterraneo-orientali ricadenti in un van-
taggioso orizzonte politico-economico, quale era quello islamico.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 61
confermata dalle fonti che, almeno per la prima metà del X secolo, non attestano una dif-
fusa presenza di commercianti. Piuttosto si fa menzione di fabbri, di ferrarii impegnati
verosimilmente nella manutenzione e riparazione delle navi65.
La bizantinocrazia si tradusse nella costruzione di un pretorio, la cittadella fortificata
che alloggiava la corte catepanale, gli uffici, una caserma, una prigione, chiese e cap-
pelle, ma anche terre coltivate, all’interno della cinta muraria come all’immediato esterno.
Quel palatium, che sorse con ogni probabilità nell’area attualmente occupata dalla basi-
lica nicolaiana, recava un’iscrizione inerente al catapano Basilio Mesardonite, in cui era
ricordata, fra le altre cose, l’esistenza di un tempio dedicato a San Demetrio, innalzato
affinché, “come un faro”, brillasse con lucentezza in tutta la sua bellezza, per gli abitanti
e per quelli che sarebbero lì giunti66.
L’indicazione epigrafica indurrebbe a ipotizzare l’erezione di un’alta chiesa che, essendo
situata in prossimità della riva, potesse fungere da faro per quanti fossero in procinto di
approdare a Bari, e quindi a un porto che doveva prevedere un bacino d’ancoraggio anche
dal versante orientale della “città vecchia”, quello, cioè, su cui affacciava il pretorio. Sullo
stesso lato, ma inizialmente ubicato fuori dalla cinta urbica, a sud-est, c’era il monastero di
San Benedetto. Era un complesso architettonico che doveva essere dotato di fortificazioni,
se, come racconta Giovanni Diacono, possedeva quella torre su cui era di guardia uno dei
Saraceni che stavano assediando Bari nel 1002-1003, quando fu vista una stella guizzare
da Ponente, avvicinarsi velocemente e cadere nel porto barese67. L’evento preannunciava
l’arrivo salvifico del doge veneziano Pietro Orseolo II, che di lì a poco, in settembre, riuscì
a entrare incolume, con un centinaio di vascelli, nel porto di Bari. Troppo importante era
lo snodo barese per gli interessi politici ed economici veneziani e bizantini. Sicché il doge,
dopo esser stato ospitato nel Palazzo del catapano Gregorio Tarcaniota e aver rifocillato
la popolazione stremata, liberò la cittadinanza dal pericolo saraceno.
All’intervento di Pietro Orseolo non deve esser stata estranea la richiesta d’aiuto inol-
trata da una colonia di Veneziani che si erano stabiliti presso lo scalo barese68. La presenza
di mercanti veneziani può essere utilizzata per avvalorare l’idea che il porto di Bari avesse
allora, in avvio di XI secolo, ripristinato un determinato volume di traffici, controllato dal
binomio Bisanzio-Venezia e che, pertanto, lo scalo fosse inserito in una specifica orbita
commerciale69. Del resto, la “crisobolla” che nel 992 l’imperatore Basilio II aveva con-
cesso a Venezia, offrendo privilegi commerciali in cambio di ausilio militare, era chiara:
65
G. Musca, Sviluppo urbano e vicende politiche in Puglia. Il caso di Bari medievale, in Civiltà e culture
in Puglia, III, La Puglia tra Medioevo ed età Moderna. Città e campagna, Milano 1981, pp. 14-72, in parti-
colare p. 16. Cfr. inoltre, dello stesso autore, L’espansione di Bari nel secolo XI, in «Quaderni medievali», 2
(1976), pp. 39-72.
66
L’iscrizione è riportata in A. Guillou, Recueil des inscriptions grecques médiévales d’Italie, Roma 1996,
pp. 154-159. Cfr. inoltre, dello stesso autore, Un document sur le gouvernement de la province. L’inscription
historique en vers de Bari (1011), in Studies on Byzantine Italy, London 1970, p. 22, vv. 4-14.
67
Giovanni Diacono, Chronicon Venetum, in Cronache veneziane antichissime, ed. G. Monticolo [Fonti
per la Storia d’Italia IX], Roma 1890, vol. I, pp. 166-167.
68
Corsi, Dalla riconquista cit., p. 342.
69
Sull’argomento, cfr. da ultimi V. Bianchi, C. Gelao, Bari, la Puglia e Venezia, Bari 2013, in particolare
pp. 27-29.
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62 Vito Bianchi
le navi veneziane avrebbero usufruito di esenzioni fiscali alla dogana di Abido, purché non
trasportassero merci di Ebrei, Amalfitani e dei “Longobardi” della città di Bari, che forse
già fruivano di esenzioni70. Dunque i traffici baresi erano vitali. È perciò presumibile che
il porto di Bari avesse ripristinato una tradizionale valenza mercantile, riequilibrando ben
presto la preminenza delle mansioni prettamente militari, che invece avevano caratteriz-
zato i decenni iniziali del governatorato bizantino. Oltretutto, la verosimile assenza, nel
1002-1003, di una flotta bizantina che, presso la sede catepanale, fosse pronta a fronteggiare
i musulmani, e il derivante bisogno di ricorrere, per la liberazione, ai navigli veneti, al di
là dell’assorbimento di risorse belliche nelle campagne che Basilio II andava effettuando
in area balcanica contro Samuele di Bulgaria, è sinonimo di una riduzione del ruolo mili-
tare del porto di Bari. La rivitalizzazione commerciale condusse i Baresi a frequentare i
porti e i mercati della Siria, dell’Egitto, del Medio Oriente, delle isole egee, della Grecia e
della Dalmazia, e ad avere a Costantinopoli fondaci e case, presso lo scalo di San Marco
o Icantissa, fra le porte di Neorìon (oggi Baghez-Kapi) e di Eugenio71.
Le scie delle rotte commerciali seguite dai traffici in partenza da Bari sono in parte
ricostruibili grazie alle note dell’Anonimo Barese72, in cui, fra l’altro, si ricordano i nau-
fragi subiti dai convogli. Si apprende così che, nel 1045, l’imbarcazione di Maraldo figlio
di Giovanni Ycanato, appartenente a una delle famiglie baresi più ricche, affondò nell’Egeo
proveniente da Tarso. Nel 1051 una nave carica di olio, in procinto di salpare da Bari per
Bisanzio, venne incendiata vicino al promontorio “della Pinna”73, corrispondente all’o-
dierna punta di San Cataldo74. A capo Malea, nel 1062 naufragarono invece tre vascelli
baresi diretti a Costantinopoli, su cui era imbarcata una donna Maria, madre di Ronno. E
nel 1071, un naviglio in viaggio per Durazzo, su cui si trovava il kyr Epifanio e molte altre
persone, colò a picco senza che vi fosse scampo per gli uomini a bordo.
In città affluivano le merci prodotte nell’entroterra, coltivato in prevalenza a vigneto e
uliveto, e sulla costa, dove fioriva la produzione di sale. I depositi di merci e vettovaglie
erano situati con ogni probabilità presso lo scalo portuale, fra l’episcopio e il pretorio75.
E sin dal 1036 sono noti in città i commerciarii, funzionari statali addetti all’esazione dei
diritti doganali76, che insieme alle figure dei mercanti stranieri e dei cambiatori forniscono
un’idea della rilevanza raggiunta con la bizantinocrazia dal porto barese. Inoltre, prendendo
in considerazione le indicazioni proposte dal Musca riguardo all’assetto socio-economico
di Bari dell’XI secolo, è interessante notare una cospicua quantità di calciolari, furnari,
scarpari e via dicendo, che risultano proprietari di case dentro e fuori del perimetro
70
Cfr. in proposito Lavermicocca, Bari bizantina cit., p. 73. Sulla crisobolla si sofferma altresì V. Bianchi,
Marco Polo. Storia del mercante che capì la Cina, Roma - Bari 20093, pp. 75-76.
71
Cfr. Lavermicocca, Bari bizantina cit., pp. 73-74.
72
Cfr. Anonymus Barensys, Chronicon (855-1149), ed. L.A. Muratori, Milano 1724 [Rerum Italicarum
Scriptores, V], pp. 147-156.
73
Ivi, p. 151, anno 1051. Cfr. anche Musca, L’espansione cit., p. 66.
74
Sulla localizzazione del promontorio di “Pinna” o “Penna”, cfr. Musca, Sviluppo urbano cit., p. 28.
75
Ivi, p. 26.
76
Sull’argomento, cfr. R. Licinio, F. Porsia, Economia, religione e società nell’Alto Medioevo, in Storia di
Bari cit., I, pp. 372-379.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 63
urbano77. Ciò lascia pensare, in accordo anche con altri studiosi, a un sistema insediativo
di tipo chiaramente cittadino, correlato con le attività portuali78.
Le fonti che si soffermano sui decenni immediatamente precedenti alla conquista dei
Normanni del 1071, oltre a fornire il quadro di un frangente storico piuttosto turbolento
sotto il profilo politico, contengono, a leggere fra le righe, altre interessanti informazioni
concernenti la configurazione e l’utilizzazione delle risorse offerte dall’assetto geo-morfo-
logico del porto di Bari. Si apprende, quindi, come nel 1046 il nuovo catapano, Giovanni
Rafayl, giungesse a Bari, con un contingente di truppe vareghe e una cospicua flotta. In
attesa di un accordo coi maggiorenti locali e col vecchio catapano Eustazio Palatinos,
Giovanni si ritirò coi suoi soldato in ipsa Pinna79, sul fianco nord-occidentale della città.
È ragionevole ritenere che, in quella temporanea fase di stallo, il comandante soggiornasse
provvisoriamente in contiguità con le proprie forze militari e navali, e che pertanto, nella
circostanza, i bastimenti bizantini avessero utilizzato, per l’ancoraggio, la rada chiusa
superiormente dal promontorio di San Cataldo “in Pinna”. Su quel bacino affacciava la
chiesetta di Sant’Apollinare, che sarebbe stata identificata negli scavi archeologici effet-
tuati nel castello. Non era l’unica chiesa eretta a ridosso del porto, giacché, dopo il Mille,
è ad esempio menzionato un San Giorgio super portum, di probabile fondazione armena80.
Nei documenti compare altresì una chiesa di San Clemente que est sita iusta portum81,
insieme a un San Salvatore e Maria supra portum maris82, e a un San Nicola de lu porto83.
È stato ipotizzato che proprio a quest’ultima chiesetta possano essere pertinenti i resti di
un edificio a cupola centrale, concluso da tre absidi, che le indagini archeologiche, condotte
dal giugno all’ottobre del 1996, hanno riconosciuto inglobato nelle strutture murarie del
Fortino di Sant’Antonio84. Se così fosse, e considerando valida la datazione della chiesa fra
l’XI e il XII secolo, si ricaverebbe un ulteriore indizio a supporto della tesi che entrambi
i fianchi della “città vecchia” potessero essere adibiti ad uso portuale. Tanto più che, non
troppo distante, nell’area di piazza Mercantile, gli scavi del 1991-1992 avevano già portato
alla scoperta di una rilevante entità architettonica (fondaco, palazzo, struttura portuale
77
Musca, Sviluppo urbano cit., pp. 22 ss.
78
V. Franchetti Pardo, Le città portuali meridionali e le Crociate, in Il Mezzogiorno normanno-svevo e
le Crociate, Atti delle quattordicesime giornate normanno-sveve (Bari, 17-20 ottobre 2000), Bari 2002, pp.
301-323, in particolare p. 309.
79
Sulla vicenda, G. Musca, P. Corsi, Da Melo al regno normanno, in Storia di Bari cit., II, Roma - Bari 1990,
pp. 5-55, in particolare pp. 20-21.
80
Cfr. Codice Diplomatico Barese (d’ora in poi siglato CDB), IV, Le Pergamene di S. Nicola di Bari.
Periodo Greco (939-1071), ed. F. Nitti, Bari 1900, 1005, n. 9, p. 18, r. 13; IV, 1011 ott., n. 11, p. 22, r. 40; IV,
1036 dic., n. 24, p. 51, r. 5; I, 1059 ago., n. 24, p. 42.
81
CDB I, Le pergamene del Duomo di Bari (962-1264), ed. G.B. Nitto de Rossi, F. Nitti, Bari 1897, 1089
nov., n. 34, p. 64.
82
CDB I, 1059 ago., n. 24, p. 41.
83
CDB I, 1178 nov. 21, n. 53, p. 102.
84
Cfr. Notiziario delle attività di tutela, a cura della Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia,
1996, pp. 113-116.
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64 Vito Bianchi
o avanzi di una grossa fortificazione) risalente, sulla scorta delle cronologia monetale e
ceramica, ancora all’XI-XII secolo85. La zona sarebbe stata occupata nel Medioevo da un
“Fondaco dei Ciprioti” e dalla chiesa di Santa Pelagia di Antiochia86.
85
Notiziario delle attività di tutela cit., giugno 1991 - maggio 1992, pp. 320-321.
86
Cfr. Lavermicocca, Bari bizantina cit., p. 72.
87
Guillaume de Pouille, La geste de Robert Guiscard, ed. e trad. a c. di M. Mathieu, Palermo 1961, p. 120
e 151: «omnia preclarum super Appula moenia Barum», e «Appulia nulla erat urbs, quam non opulentia Bari
/ vinceret».
88
Al riguardo, cfr. R. Bünemann, L’assedio di Bari, 1068-1071, in «Quaderni medievali», 27 (giugno
1989), pp. 39-66.
89
Sulla vicenda, cfr. la sintesi riportata in Musca, Corsi, Da Melo cit., pp. 25 ss.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 65
per qualche tempo i collegamenti con Costantinopoli non poterono più avere la frequenza
di una volta. L’avvento normanno e la politica anti-bizantina dei conquistatori sulle prime
frenò, anche se probabilmente non interruppe del tutto, lo sviluppo commerciale di Bari,
che, al pari delle altre città marittime pugliesi, fu costretta a fornire naviglio ed equipaggi
per le guerre nei Balcani e in Oriente. Nel 1075, un importante documento ricorda che il
Guiscardo, per mano del patrizio e catapano Maureliano, aveva concesso in servitium a
Bisanzio Struzzo un centinaio di case, affinché fossero date in fitto90. L’atto accenna a una
grande abitazione prospiciente il porto, nel quartiere in cui agivano i parathalassiti, gli
addetti alla dogana marittima91: sintomo che le attività marinaresche non si erano fermate.
Tutt’altro: l’episodio della traslazione delle ossa di San Nicola da Myra, che, nel 1087, ebbe
per protagonisti i marinai di tre “caracche”, cariche di grano per il mercato di Antiochia92,
indica che le piazze mediorientali erano sempre aperte ai traffici mercantili dei Baresi,
anche a pochi anni dalla fine della bizantinocrazia e durante l’inizio, pur tormentato da
ribellioni e tumulti cittadini, del dominio normanno93.
Ma nell’attimo in cui Bari diveniva santuario di uno fra i culti più diffusi, soprattutto
(ma non solo) negli ambienti delle città marinare, si innescava un fenomeno che avrebbe
fatto del porto barese il polo d’attrazione per un traffico diverso, più che mai legato ai pel-
legrinaggi e imperniato sul richiamo ai principi della cristianità. Se già dall’epoca tardoan-
tica lo scalo di Bari si era ritagliato una sua dimensione di tappa sulla via per la Terrasanta,
ora la venerazione delle reliquie nicolaiane ne incrementava l’interesse di luogo spirituale:
l’omaggio a un santo universale come il vescovo di Mira, anche se soltanto di passaggio
“da” o “per” la Palestina, favoriva, piuttosto nettamente, il volume dei movimenti portuali.
Cronisti come Fulcherio di Chartres e il Monaco del Bec riferiscono che il Portus sancti
Nicolai era ritenuto già di per se stesso una destinazione “sufficientemente pia”, adeguata
a una buona penitenza, se il pellegrino non poteva proseguire per Gerusalemme. Ed è
stato ribadito come nell’Europa occidentale il nome di Portus sancti Nicolai sostituisse
frequentemente il nome stesso della città di Bari94.
Le virtù taumaturgiche di San Nicola provocarono dunque flussi continui di pellegrini,
tanto che si rese necessario l’apprestamento di un hospitium ad uso religioso. Crebbero
così le prerogative di Bari quale stazione di traghetto transmarino per fedeli, in aggiunta
all’ormai solido ruolo di terminal commerciale. In quest’ottica è da leggersi la presunta
presenza a Bari di Pietro l’Eremita nel 1096, in preparazione della prima crociata. E para-
90
Sull’argomento, cfr. l’analisi compiuta in Musca, Sviluppo urbano cit., p. 33.
91
CDB V, n. 1, anno 1075, p. 3, r. 1.
92
Sulla traslazione delle ossa di San Nicola, si rimanda a P. Corsi, La traslazione di san Nicola: le fonti,
Bari 1987, contenente un’analisi delle problematiche concernenti le fonti principali di Niceforo e Giovanni
arcidiacono, e ulteriori rinvii bibliografici, specialmente alle pp. 7-12. Dello stesso autore è La traslazione
delle reliquie, in San Nicola di Bari e la sua basilica. Culto, arte, tradizione, a c. di G. Otranto, Milano 1987,
pp. 37-48. L’argomento è trattato più di recente in M. Bacci, San Nicola. Il grande taumaturgo, Roma - Bari
2009, pp. 104-115; e in Bianchi, Gelao, Bari, la Puglia e Venezia cit., pp. 36-45.
93
Sulle difficoltà incontrate dai Normanni nei primi tempi di governo in Bari, si veda la sintesi di Musca,
Corsi, Da Melo cit., pp. 31 ss.
94
V. Sivo, Il Mezzogiorno e le Crociate in alcuni testi letterari, in Il Mezzogiorno normanno-svevo e le
Crociate cit., pp. 355- 377, in particolare pp. 369-370.
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95
La fase storica cui si è qui accennato è analizzata in Bianchi, Bari, la Puglia e la Francia cit., pp. 42 ss.
96
Su Boemondo e la prima crociata, cfr. R. Hiestand, Boemondo I e la prima Crociata, in Il Mezzogiorno
normanno-svevo e le Crociate cit., pp. 65-94, con bibliografia precedente, e ivi J.-M. Martin, Les structures
féodales normanno-souabes et la Terre Sainte, pp. 225-249. Un ultimo contributo al riguardo è in Bianchi,
Ledesma, Bari, la Puglia e l’islam cit., pp. 72-74.
97
Il testo è conosciuto come Gesta Francorum et aliorum Hierosolymitanorum, ed. R. Hill, London 1962.
98
Le vittorie, riportate in prima persona da Boemondo sull’esercito bizantino, fecero comunque scalpore,
nonostante l’esito negativo dell’intrapresa militare avviata dal Guiscardo contro Bisanzio. Delle sconfitte in-
flitte da Boemondo ai Bizantini si ha un’eco nell’Alessiade di Anna Comnena, al cui riguardo cfr. Anne Com-
nene, Alexiade, ed. B. Leib, 4 voll. Paris 19672 (1937-1945), X 11, 2, p. 231; e in Raoul di Caen, al cui riguardo
cfr. Radulphus Cadomensis, Gesta Tancredi, Paris 1866 [Rec. Hist. Crois., Hist. Occid., 3], c. 2, p. 606.
99
Robertus Monachus, Historia Hierosolymitana, Paris 1866 [Rec. Hist. Crois., Hist. Occid., 3], II 14, p. 746.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 67
tini, come pure ribadirà nel colloquio avuto con il basileus bizantino alla corte costan-
tinopolitana100. Sia che fosse un intendimento autentico, sia che si trattasse di un trucco
per non dare nell’occhio, in ogni caso l’obiettivo di Boemondo si paleserà ben presto in
tutta la sua evidenza: dopo la conquista di Nicea e la vittoria a Dorileo, è ad Antiochia,
il tradizionale terminale dei commercianti baresi (e le reliquie di San Nicola verranno
trafugate da marinai che, a vender grano, andavano proprio ad Antiochia), che punta il
signore di Bari. Anche a costo di procurare un nuovo incidente diplomatico con Alessio
Comneno, che reclamava la restituzione delle regioni ricadenti in precedenza nei domini
bizantini. Anche a rischio di entrare in conflitto con Raimondo di Tolosa, che pretendeva
di condividere il governo della città sull’Oronte. Ma chi, più di Boemondo, dominus di
Bari, della Bari dei mercanti che andavano e venivano da Antiochia, avrebbe potuto avere
interesse per questa città? Durante l’assedio posto dai crociati, come è noto, fu intavo-
lata una trattativa col comandante di una torre antiochena. Il nome di quel comandante
era Pirro (Firuz)101: sicché un difensore antiocheno avrebbe aperto le porte della città a
un condottiero famoso per coraggio e ferocia. Colui che avvisa Boemondo dell’avvenuta
intrusione in città, e che lo sollecita a unirsi all’assalto, è un “servente longobardo”. Dopo
la vittoria, Boemondo riceve potestatem et dominium su Antiochia102: ne detiene in pratica
la signoria, come per Bari. Ed è, nemmeno a dirlo, a Bari che Boemondo invia nell’agosto
del 1098 il trofeo di una splendida tenda, quella dell’emiro Kerbogha di Mossul, sconfitto
in seguito a una durissima battaglia103. Non poteva essere diversamente. Si determinava,
in tal modo, una vera e propria proiezione di Bari, e dell’Occidente che essa incarnava,
nel Vicino Oriente: Boemondo fondava il principato di Antiochia, città che quasi inin-
terrottamente aveva stretto dei legami commerciali con il porto barese. Cosicché, se in
età crociata la Puglia sarà considerata la retroguardia della Terrasanta, Bari, rispettando
un’atavica predisposizione, sarebbe dovuta assurgere, in proporzione, a diretta retrovia
del principato antiocheno. Con Boemondo, in definitiva, Bari e Antiochia, la Puglia e la
Siria venivano riunite sotto un’unica signoria, che ne avrebbe potuto valorizzare le tradi-
zioni commerciali. L’interesse del normanno per i risvolti economici della sua impresa è
peraltro riassumibile nell’unico privilegio concesso nel luglio del 1098, a poco più di un
mese dalla resa di Antiochia, allorché vennero fatte delle concessioni ai Genovesi in un
quartiere della città.
Del prosieguo della crociata a Boemondo interessava ben poco, come è evidente dalla
sua immediata dissociazione, una volta ottenuto quanto cercava. E se, nel 1099-1100, lo
ritroviamo assieme a Baldovino, conte di Edessa, a Gerusalemme, è perché andava a “incas-
sare”, in un giro attraverso i luoghi santi, l’investitura ufficiale, de iure, con diritto eredi-
tario, del possesso antiocheno, da parte dell’arcivescovo pisano Dailberto, nuovo legato
di papa Urbano II (che, in cambio, verrà promosso con l’ausilio dello stesso Boemondo
100
Alexiade, X 11, 2, p. 231.
101
In proposito cfr. Gesta Francorum cit., III, pp. 140-141.
102
Come riportato in Albertus Aquensis, Historia hierosolymitana, Paris 1879 [Rec. Hist. Crois., Occid.,
4], V 2, pp. 433 ss.
103
In proposito, cfr. Willelmus Tyrensis, Chronicon, ed. R.B.C. Huygens, Turnhout 1996 [Corpus Christia-
norum. Continuatio mediaevalis, 63/63A], VI 5, p. 312.
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104
Secondo la testimonianza riscontrabile in Fulcherius Carnotensis, Historia Hierosolymitana, ed. H.
Hagenmeyer, Heidelberg 1913, III 34, 16, pp. 741 ss. Cfr. anche Willelmus Tyrensis, Chronicon cit., IX 15,
p. 440.
105
Hiestand, Boemondo I cit., p. 86.
106
Sul principato di Antiochia, cfr. C. Cahen, La Syrie du Nord et la principauté franque d’Antioche, Paris
1940.
107
Sul monumento, cfr. M. Falla Castelfranchi, Il mausoleo di Boemondo a Canosa, in I Normanni popolo
d’Europa, Venezia 1994, 327-330.
108
In proposito, cfr. C.D. Fonseca, L’Oriente negli Itinera Hierosolymitana Crucesignatorum, in Il Mezzo-
giorno normanno-svevo e le Crociate cit., pp. 177-200, in particolare pp. 198-199; e V. Bianchi, Castelli sul
mare, Roma - Bari 2008.
109
G. Bresc - Bautier, Les possessions des églises de Terre Sainte en Italie du Sud (Pouille, Calabre, Sicile),
in Roberto il Guiscardo e il suo tempo, Atti delle prime giornate normanno-sveve (Bari, maggio 1973), Roma
1975, rist. Bari 1991, pp. 13-39.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 69
Monopoli, che dista da Bari un giorno di viaggio […]»: era il 13 luglio del 1102, quando
Saewulf, lupo di mare anglosassone, descriveva nella sua Relatio de situ Ierusalem la situa-
zione portuale pugliese110. Si ricava l’idea di tutta una serie di luoghi d’imbarco attrezzati
per il passagium in Terrasanta, quasi che un qualsiasi pellegrino potesse scegliere il porto
più conveniente alle proprie necessità, oppure quello in cui erano disponibili dei traghetti
nei giorni di transito per la Puglia.
Cosa facesse propendere i peregrini per l’uno o l’altro scalo, è peraltro difficile a dirsi.
Sta di fatto che il porto barese doveva funzionare a pieno regime. In un documento del
1103, viene effettivamente descritta una nave che risulta in «taxidium, armamentis et
aseis»111. A regolare i traffici marittimi contribuivano in qualche maniera le disposizioni
sulla navigazione, il nolo delle barche, il trasporto delle merci, i capitali, i dazi, i danni, i
naufragi e i guadagni contenute nelle cosiddette Consuetudini baresi112. Erano due raccolte
di leggi, attribuite ai giudici baresi Andrea e Sparro (o Sparano, o Spararo), sulla cui ste-
sura e cronologia sono state avanzate diverse ipotesi113, e che ebbero una prima edizione
a Padova nel 1550-1551, e una seconda a Venezia nel 1596.
Va qui sottolineato come le disposizioni contenute nel codice, quale che sia stato il
tempo in cui vennero originariamente compilate, furono eseguite a titolo privato e, dun-
que, non ebbero mai completo valore propriamente legale114. Né i riferimenti attestati
nella documentazione notarile alludono a un testo scritto. Piuttosto, parrebbe trattarsi di
regole consuetudinarie che la comunità applicava per tradizione specialmente nel diritto
privato e in quello procedurale115. Ancora una conferma sulle rotte più praticate giunge
dalla rubrica XXV delle Consuetudini raggruppate da Sparano, dove all’ultimo paragrafo
si spiega che “se qualcuno deve mettersi in mare alla volta della Siria, di Alessandria o di
Costantinopoli, negli ultimi otto giorni precedenti al salpare non sarà costretto a rispon-
dere di nessuna azione”. Dunque, sempre il Mediterraneo orientale quale meta prediletta.
Sempre la Siria, Alessandria e Costantinopoli, che anche altre fonti ricordano familiari ai
mercanti di Bari: come narrato da Guglielmo di Tiro e Alberto di Aix, Pietro l’Eremita, al
ritorno da un pellegrinaggio in Terrasanta, sullo scorcio dell’XI secolo, aveva trovato pro-
prio sulle coste siriane una nave di commercianti con cui raggiungere il porto barese116. E
nel XII secolo, per andare a Bisanzio, un mercante genovese viaggia in navi Barensium117.
Dei mercanti baresi saranno peraltro attestati a Costantinopoli fino al XVI secolo, così
come a Venezia e a Palermo col formarsi del regno normanno: insomma il porto aveva
110
Saewulfus, Carta relatio de situ Ierusalem, in Itinera Hierosolymitana Crucesignatorum (saec. XII-
XIII), vol. II, Tempore Regnum Francorum, Jerusalem 1980, p. 6.
111
CDB V, n. 36, anno 1103, p. 62.
112
Il corpus è riscontrabile in T. Massa, Le consuetudini della città di Bari. Studi e ricerche, Bari 1903.
113
Un’analisi della problematica è molto convincentemente esposta in F. Porsia, Vita economica e sociale,
in Storia di Bari cit., pp. 189 ss., soprattutto alle pp. 214-216.
114
Ivi, p. 216.
115
Ibidem.
116
Cfr. da ultimo Bianchi, Bari, la Puglia e la Francia cit., pp. 42-45.
117
L’episodio è riportato in Porsia, Vita economica cit., p. 209, che attinge a D. Abulafia, The Two Italies.
Economic Relations between the Norman Kingdom of Sicily and the Northern Communes, Cambridge 1977,
p. 75.
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fatto di Bari, nell’XI-XII secolo, una delle maggiori potenze marinare d’Italia, proiettata
verso l’Oriente118. Nel frattempo, la città allargava gradualmente a sud-est la maglia urbana,
in seguito a una più che probabile crescita demografica119. L’inurbamento dalle città, dai
casali, dai villaggi e dalle campagne circostanti120, il santuario nicolaiano che catalizzava
risorse spirituali e materiali, i traffici crociati, l’installarsi di Veneti, Toscani, Tolosani e
Ungheresi, gli scambi commerciali avevano contribuito notevolmente all’incremento della
popolazione, sebbene si conosca poco della demografia urbana dei secoli XI-XIII. Falcone
Beneventano assegna a Bari per l’anno 1139 circa 50.000 abitanti e 400 cavalieri, cifre
che, anche a volerle considerare esagerate, indiziano comunque una realtà urbana di non
indifferente dimensione, almeno in relazione all’epoca121.
Di conseguenza, l’attività di un armatore barese doveva essere, al tirar delle somme,
piuttosto redditizia se, nel 1103, un certo Nicola, nauclerius, fa un testamento in cui risulta
proprietario di parte di una nave, di cinque servi che andranno affrancati dopo la sua
morte, di vigne in campagna, di due case dentro e di altrettante fuori le mura, di porzioni
di un’altra abitazione, e di una frazione dell’orreum di un ennesimo edificio urbano122. Un
altro atto del 1135 ci informa che un certo Melo, armatore, poté acquistare due case vicino
alla chiesa di San Teodoro per la bella somma di 1050 miliareni de ramesinis123. Nel 1151,
ancora un armatore vende a un fabbro una casa orreata per 96 soldi d’oro regi124. La moneta
non doveva scarseggiare, in una città vivace e crepitante di attività.
Da un altro documento del 1107 si apprende inoltre dell’esistenza di un mulino presso
il porto, che sicuramente costituiva in questo periodo uno dei principali centri gravitazio-
nali della vita cittadina125, assieme alla basilica nicolaiana. Dunque il porto, dunque San
Nicola. E quindi del “Porto di San Nicola” si riferisce negli Itinera Sancti Theotonii ad
Terram Sanctam, inerenti a un paio di viaggi compiuti in Palestina dal santo galiziano,
vissuto fra il 1080 e il 1166126. Peraltro, nel modo in cui viene presentata, la menzione di
un determinato “porto nicolaiano” potrebbe indurre a supporre sin d’ora, nell’ambito della
sistemazione portuale, l’esistenza di un attracco di pertinenza esclusiva della basilica (ciò
che è attestato abbastanza esplicitamente, come vedremo, al tempo del Saladino, poco
dopo la battaglia di Hattin del 1187).
È in un simile frangente che, pur fra i dissidi verificatisi in Bari all’indomani della
scomparsa di Boemondo127, giunge a maturazione il processo di composizione del regno
di Ruggero II. Una volta assestatasi, la monarchia ruggeriana consentirà alle città costiere
pugliesi di prosperare ulteriormente grazie ai rinnovati contatti con Venezia, l’Oriente e
120
Al riguardo, cfr. Musca, Sviluppo urbano cit., p. 42.
121
Porsia, Vita economica cit., p. 202.
122
Per un’analisi del documento, cfr. Musca, Sviluppo urbano cit., p. 38.
123
Al riguardo cfr. ivi, p. 44.
124
Ibidem.
125
CDB V, n. 46, anno 1107, p. 84.
126
Theotonius, Duo itinera ad Terram Sanctam, in Itinera cit., p. 34.
127
Sugli avvenimenti successivi alla morte di Boemondo nel 1111, cfr. Musca, Corsi, Da Melo cit., pp.
39-45.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 71
l’Africa del Nord, laddove Tunisi e Tripoli fungevano da appendici della Sicilia128. Ma va
ricordato che, anche in precedenza, durante il decennio di governo cittadino di Grimoaldo
Alferanite (dal 1118 in avanti), Bari aveva già una sua dimensione commerciale, tanto
che nel 1122 si era potuto stipulare un patto di amicizia con Venezia e il doge Domenico
Michiel, in base al quale i lagunari si impegnavano a difendere ovunque la vita e i diritti
dei Baresi, promettendo ammenda e riparazioni per ogni abuso del suo decreto129.
Il porto di Bari, con le sue infrastrutture, doveva pertanto risultare da tempo ben inse-
rito in un’economia regnicola fatta di inesausti spostamenti di uomini e merci, e quindi
non fece altro che rafforzare la propria posizione, nel momento in cui Ruggero II provvide
a incentivare scambi e comunicazioni fra le varie componenti della sua signoria meridio-
nale e, in senso più allargato, mediterranea.
Ciononostante, per il passagium in Terrasanta, l’abate islandese Nicola Saemundarson,
proveniente fra il 1151 e il 1154 dal monastero benedettino di Thingeyar, pur menzionando
esplicitamente Bari, “dov’è riposto San Nicola”, prende il mare da Brindisi130. Il porto nico-
laiano viene bypassato nuovamente. Sintomo di una specializzazione più spiccatamente
commerciale per lo scalo barese, e invece più “turistica”, di smistamento dei pellegrinaggi,
per quello brindisino? In tal caso, sembrerebbero quasi recuperate delle vecchie attitudini,
un certo tipo di attività portuali, già verificate in età antica e tardoantica, quando il porto
di Brindisi, più di Bari, è meglio attestato in funzione di scalo per traghetti.
Sull’aspetto del porto barese si soffermò comunque il grande geografo musulmano
Edrisi: incaricato di compilare il celebre Libro del re Ruggero presso la corte palermitana,
così egli si esprimeva: “Bari, città grande e popolata, posta in fondo a un golfo, è la capi-
tale del paese dei Longobardi ed è una delle metropoli rinomate dei Rum. In questa città
si costruiscono navigli”131. Alla metà del XII secolo, Bari ci appare perciò sicuramente
dotata di un arsenale per costruire e riparare le imbarcazioni. Imbarcazioni di che genere?
Prevalentemente commerciali? Militari? Si è scritto che il riferimento di Edrisi presuppone
la realizzazione di navi destinate ad attività civili, supportate dalla presenza di un nucleo
di artigiani del legno e del ferro, di calafati e di cordai, così come implicitamente sarebbero
riconoscibili le figure dei pescatori e degli armatori, a comporre il substrato di una serie
di attività proiettate sul mare a titolo diverso132. La città si è certo ingrandita, e nel 1153,
in posizione sud-orientale, è citata una via publica chiamata Ruga Francigena, che passa
davanti all’atrio della chiesa di Santa Pelagia, ed è fiancheggiata da abitazioni di ricchi
borghesi, in una sequela di botteghe e bancarelle che si susseguono fino a San Nicola133. Il
128
Sull’argomento, cfr. da ultima A. De Simone, Ruggero II e l’Africa islamica, in Il Mezzogiorno nor-
manno-svevo cit., pp. 95-129. Mi si permetta inoltre di rimandare, per un quadro di sintesi, a Bianchi, Sud e
Islam cit., pp. 94 ss.
129
Sulla vicenda, cfr. Musca, Corsi, Da Melo cit., pp. 43 ss.; e Bianchi, Gelao, Bari, la Puglia e Venezia
cit., pp. 52-55.
130
Nicolaus Saemundarson, Iter ad loca sancta (1151-1154), in Itinera cit., vol. II, p. 216.
131
Edrisi, L’Italia descritta nel “Libro del re Ruggero”, edd. M. Amari, C. Schiaparelli, Roma 1883, p. 103.
132
Porsia, Vita economica cit., p. 207.
133
Musca, Sviluppo urbano cit., p. 44; R. Licinio, Bari e la terra, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno
normanno-svevo, Atti delle decime giornate normanno-sveve (Bari, 21-24 ottobre 1991), a c. di G. Musca, Bari
1993, pp. 121-146, in particolare p. 135. Da ultimo cfr. Bianchi, Bari, la Puglia e la Francia cit., pp. 31-32.
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nome della via, che ricalca nel tratto terminale il percorso della via Traiana di età romana
imperiale, sembrerebbe alludere ai Franci, pellegrini e guerrieri provenienti d’Oltralpe e
dall’Europa continentale. Giungevano in Puglia per dirigere a Oriente, sicuramente, ma
è anche da credere che in alcuni casi si scendesse dal Nord soltanto per visitare i santuari
di San Michele sul Gargano e di San Nicola a Bari134.
134
Cfr. ivi, pp. 27-28.
135
Cfr. anche Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. C.A. Garufi, Città di Castello 1935 [Rerum Italica-
rum Scriptores, 1], p. 240. che narra: «Guglielmo I venne a Bari e, poiché i Baresi avevano distrutto il castello
regio, mosso dall’ira sconvolse la città dalle fondamenta».
136
Ugo Falcando, Liber de Regno Siciliae, ed. G.B. Siragusa, Roma 1904 [Fonti per la Storia d’Italia, 22],
p. 297.
137
Robertus de Monte, Cronica (1101-1186), ed. L.C. Bethmann, Hannovrae 1844 [M.G.H., SS VI], p. 505.
138
Benjamin da Tudela, Libro di viaggi, a c. di L. Minervini, Palermo 1989, p. 47 (traduzione condotta
sull’edizione inglese The Itinerary of Benjamin of Tudela, ed. M.N. Adler, London 1907, rist. New York
1964).
139
L’argomento è molto ben trattato in Musca, Sviluppo urbano cit., pp. 48 ss.
140
CDB V, n. 119, anno 1161, p. 206: una nave appartenente al ricco mercante Nicola di Petracca andò
«fracta in portu pinne sancti Cataldi […] de ipsa societate Buctiae castelli».
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 73
di un villaggio para-urbano a settentrione della città distrutta, sul bordo dell’ansa dove
in quegli anni è testimoniata l’erezione di una chiesa dedicata a Sant’Eustrazio martire,
oltreché di case, di una torre, di un forno, di una cisterna e di un orto141. Nel medesimo
contesto, per il 1168 è inoltre attestata la chiesa di San Cataldo de Pinna Sancti Minne. Nel
1169, invece, in un documento – peraltro mal conservato – viene citata una navi connessa
a una moram, a un pretium galearum e a un naufragium142. Pur ammettendo un’attività a
scartamento ridotto, non si può dunque negare, nel periodo immediatamente successivo
alla distruzione guglielmiana del 1156, la vitalità dell’approdo barese, in relazione almeno
ad una delle insenature che tratteggiavano l’assetto litoraneo della città. Non è strano,
allora, che già nel 1185, a nemmeno vent’anni dalla concessione regia che sanciva, con re
Guglielmo II il Buono, il ripopolamento di Bari, il porto funzioni più che bene: al punto
da consentire la partenza di molte navi impegnate nel conflitto anti-bizantino che produrrà
la temporanea conquista di Tessalonica. Lo stesso vale per i navigli salpati nel 1187 per
una nuova crociata, quando il porto di Bari non funge solamente da piattaforma di lancio
per armi e guerrieri, ma è deputato a rifornire e manutenere la corposa flotta militare143.
D’altronde, la ricostruzione della città aveva innescato un processo di riattivazione eco-
nomica capace di calamitare abitanti da Bitonto, Monopoli, Polignano, Taranto come pure
da Ravello e Benevento. Incuriosisce la presenza persino di un Giovanni burgunionus
francus, un borgognone che risulta abitare vicino al mare, e che vende a un negotiator
una casa sul porto144. All’economia portuale è legata l’attività dei molti armatori, maestri
d’ascia e fabbri, che compongono un tessuto sociale completato da macellai, osti e bottai.
Più di ogni altra cosa, poi, è assolutamente impressionante, in rapporto a questa fase, la
frequenza documentaria di cambiavalute e mediatori145, la cui presenza rimarca la ristrut-
turazione e la nuova effervescenza del contesto economico cittadino.
Alla fine degli anni Ottanta del XII secolo, lo scalo barese appare certamente frequen-
tato, tanto da prevedere presumibilmente delle specie di compagnie di navigazione, dipen-
denti dall’istituzione ecclesiastica nicolaiana e deputate al collegamento con la Terrasanta.
Nell’aprile del 1189 vediamo infatti funzionare una buttia sancti Nicolai barensis146, che
permette a sei peregrini teotonici, il conte Bertoldo col figlio Enrico e in più Ermanno,
Elia, Payn e Antonio, di salpare alla volta del Santo Sepolcro gerosolomitano147. Nella cir-
141
Cfr. Musca, Sviluppo urbano cit., p. 53.
142
CDB V, n. 127, anno 1169, p. 22. In proposito, cfr. R. Iorio, L’urbanistica medievale di Bari fra X e XIII
secolo, in «Archivio storico pugliese», XLVIII (1995), pp. 17-100, in particolare p. 70.
143
Musca, Sviluppo urbano cit., p. 59.
144
CDB I, n. 61, 18 febbraio 1188, p. 119.
145
Musca, Sviluppo urbano cit., pp. 59-60.
146
In Houben, Templari e Teutonici cit., p. 277, la buttia in questione corrisponderebbe invece, più sem-
plicemente, a una boccia della santa manna emanata dal corpo di San Nicola. Comunque ciò non inficia la
partenza di pellegrini tedeschi da Bari, e, dunque, l’esistenza di navigli per il trasporto di fedeli cristiani in
Terrasanta, a prescindere dalla dipendenza delle navi dalla basilica nicolaiana.
147
CDB V, n. 262, 12 aprile 1189, pp. 262-263: «teotonici et peregrini ituri […] cum buttia sancti Nicolai
barensis in occursum ad sanctum sepulchrum in Ierusalem». All’episodio accenna da ultimo anche R. Licinio,
La Terrasanta nel Mezzogiorno: l’economia, in Il Mezzogiorno normanno-svevo e le Crociate cit., pp. 201-
224 (ora in Id., Uomini, terre e lavoro nel Mezzogiorno medievale (secoli XI-XV), Roma 2017), in particolare
p. 221.
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costanza, i pellegrini tedeschi potrebbero aver pagato il biglietto per il traghetto non con
denaro contante, bensì con la probabile donazione di una proprietà fondiaria, una clausura
con una quarantina di ulivi, posta fra Bari e Modugno, presso la chiesa di Santa Maria
delle Grotte148. L’ipotesi che il bacino portuale del versante orientale fosse, almeno in parte,
appannaggio della basilica di San Nicola, che qui avrebbe avuto un proprio particolare
approdo (barcarius), è del tutto plausibile149. La presenza e l’esplicita citazione di peregrini
teotonici potrebbe essere la spia di un apprestamento o della miglioria di strutture, hospi-
tia e xenodochia, atte a offrire accoglienza. D’altro canto non va dimenticato che l’intero
complesso santuariale nicolaiano sarà solennemente consacrato solo nel giugno del 1197,
allorché è ragionevole ritenere ultimate le architetture deputate all’ospitalità religiosa. È in
questo dettaglio la scelta dei viatores di privilegiare precedentemente, come notato, altri
porti pugliesi, meglio attrezzati per il pellegrinaggio, da cui salpare?
Ibidem. Musca tuttavia, pur ammettendo l’esistenza di un piccolo attracco specifico per le attività mari-
149
nare del santuario nicolaiano, ritiene pur sempre doversi individuare in questo periodo un vero e proprio porto
solo sul versante occidentale.
150
R. Iorio, R. Licinio, G. Musca, Sotto la monarchia normanno-sveva, in Storia di Bari cit., vol. II, pp.
57-94, in particolare pp. 73-74.
151
M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, Appendice, Torino - Roma 1881, pp. 7-8.
152
CDB VI, n. 42, anno 1223, pp. 66-67, rr. 39-45.
153
Per un’analisi del documento in questione, cfr. Musca, Sviluppo urbano cit., p. 63, e Iorio, Licinio,
Musca, Sotto la monarchia cit., pp. 76-77.
154
Iorio, L’urbanistica cit., p. 74.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 75
fondachi e grandi magazzini, con tasse in entrata e in uscita155. La vivacità e il volume degli
scambi commerciali avrebbero così giustificato il patto di isopolitia con Ragusa (1201), i
trattati commerciali con Genova (1218), Pisa (1220), Venezia (1232)156, e lo stanziamento di
famiglie di mercanti forestieri, fra cui Dalmati, Romani, Sorrentini, Salernitani, Calabresi
e Siciliani157. Federico II esentò da diritti di ancoraggio e di piazza i cittadini di Cattaro
che trafficavano in Bari, secondo un’inveterata consuetudine, sancita anche da una con-
cessione della regina Costanza risalente al 1195, che esonerava i Cattaresi dal plateatico de
mercimoniis suis in prossimità del porto (mentre invece risulta che la tassa veniva regolar-
mente versata de navibus eorum in epoca normanna)158. Dal canto suo, Manfredi conce-
derà ai Genovesi nel 1257 e 1259 ampi privilegi presso gli scali del regno meridionale159.
Ovviamente, le operazioni commerciali potevano svolgersi in regime di franchigia durante
le fiere: nel 1234, nell’organizzazione del sistema fieristico statale, Federico II aveva asse-
gnato a Bari una fiera che si teneva dal 22 luglio al 10 agosto, fra le sette principali del
regno160. Non è strano, pertanto, che uno fra gli inni celebrativi più antichi di San Nicola
recitasse così: «Omnes exteri ad te veniunt / simul munera deferentes / o felix Barium».
Bari, ricostruita, rinata sulle sue stesse rovine (se anche mai fu del tutto abbandonata)
dopo la rappresaglia di Guglielmo il Malo del 1156, non era più da identificare soltanto
con la chiesa di San Nicola. La vivacità del porto aveva contribuito a risollevarne le sorti.
Le rotte dei commerci e dei pellegrinaggi continuavano nelle medesime scie del passato:
nella basilica nicolaiana viene seppellito nel 1205 Nevelo, vescovo di Soissons, che tornava
da Costantinopoli. E, secondo un’artificiosa tradizione locale, nel 1220 sarebbe giunto a
Bari dall’Oriente persino san Francesco d’Assisi161. Sulla direttrice opposta, è noto per il
1200 il nome di un nauclerius Ottone che, essendo in procinto di partire per la Romània,
si preoccupa di redigere un ricco testamento162.
A livello strutturale e organizzativo, è presumibile che in età federiciana, verso il 1239-
1240, si progettasse di rimaneggiare il porto assieme al prospiciente castello dalla parte
di tramontana, sul versante settentrionale, non lontano dal promontorio di San Cataldo163.
La ristrutturazione derivava sì da un’esigenza prettamente militare, per controbattere alle
minacce portate dalle flotte nemiche di Genova e Venezia, le cui navi saccheggiavano ripe-
tutamente le coste pugliesi; ma non doveva escludere l’intento di creare, dopo la nomina
dei nuovi portolani Niccolò di Giovannicio e Leone Bello, «un più attento controllo del
155
Porsia, Vita economica cit., p. 211.
156
Bianchi, Gelao, Bari, la Puglia e Venezia cit., p. 72.
157
Musca, Sviluppo urbano cit., pp. 61-67.
158
Il documento è citato anche in Iorio, L’urbanistica cit., p. 74.
159
Cfr. Porsia, Vita economica cit., p. 212.
160
Riccardo di San Germano, Chronica, ed. C.A. Garufi, p. II, Bologna 1937 [Rerum Italicarum Scriptores,
serie II, VII,], p. 187: «Quartae [nundinae] erunt apud Barum, et durabunt a festo Magdalene usque ad festum
sancti Laurentii». Sull’argomento, Iorio, Licinio, Musca, Sotto la monarchia cit., 77-78; Licinio, Bari e la
terra cit., pp. 137-138.
161
Iorio, Licinio, Musca, Sotto la monarchia cit., p. 74.
162
CDB VI, n. 10, anno 1200.
163
Cfr. A. Beatillo, Historia di Bari principale città della Puglia, Napoli 1637 (rist. Bologna 1965), p. 128.
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76 Vito Bianchi
fisco sul commercio portuale»164. In un simile contesto, il castello poteva svolgere, oltre
alla funzione di presidio militare, quella di difesa del porto, cui sarebbe stato connesso da
un sistema di banchine e moli165. Pur tuttavia, il porto restava essenzialmente lo strumento
della vita commerciale di Bari166, una città che appare in rapido sviluppo urbanistico: fra i
quartieri più recenti, si distingue anche quel vicinia maris de guaranghe che forse prende
nome dai Varangi o Vareghi167, e che caratterizza il settore orientale del nucleo abitativo,
lungo l’asse della ruga Francigena. Si è stimato che la popolazione barese ammontasse nel
XIII secolo a circa 10-11.000 abitanti168. A queste unità stanziali si dovrebbero aggiungere,
volta per volta, le diverse decine, se non centinaia, di presenze dovute ora alla partenza di
un contingente crociato per la Terrasanta, ora al massiccio transito di pellegrini in sosta
per l’omaggio a San Nicola e per l’imbarco/sbarco al porto, nonché di mercanti che sog-
giornavano per periodi più o meno lunghi, a seconda delle esigenze contingenti. E anche se
l’insediamento di crucesignati poteva risultare caratterizzato da elementi provvisori quali
attendamenti, magazzini e via dicendo, d’altro canto un impatto sulla vita economica di
Bari e sull’utilizzazione degli impianti portuali deve esserci stato. Quanto, però, e in che
forme possa avere influito l’apporto dell’età crociata nel rinvigorire gli assetti socio-eco-
nomici della città, è quasi impossibile a dirsi, benché sia stato sottolineato come almeno
l’organizzazione delle strutture portuali baresi potrà essersi accresciuta per consistenza
ed efficienza, in virtù di quei flussi crociati che avrebbero contribuito a modificare e a
rendere più dinamici i ritmi dell’intera città169. Nel 1237, è segnalata l’istituzione in Bari
di una commenda dell’Ordine Teutonico, che qui avrebbe precedentemente ricevuto beni
immobiliari e fondiari170: è forse da intuire in ciò una qualche connessione con il passaggio
dei sei peregrini teotonici del 1189171? Una predisposizione ad accogliere viatores e baga-
gli specificamente tedeschi, o comunque nordici? L’ipotesi verrebbe rafforzata qualora ci
si volesse soffermare su un altro episodio: nel giorno dell’antivigilia del Natale del 1199 il
papa, Innocenzo III, invia un’ingiunzione al baiulo regio, ai giudici e ai cittadini tutti di
Bari. Nella charta si fa riferimento a una galea, armata dall’arcivescovo di Magonza ad
subventionem terre sancte, che presumibilmente si trovava nel porto barese in attesa di
salpare per la Terrasanta, e che era stata a un certo punto sequestrata dai Baresi. Con la
lettera spedita dal Laterano, il pontefice ingiungeva di restituire prontamente a Doferio,
arcivescovo di Bari, «dicta galeam cum utensilibus suis», o almeno di fornire una giusti-
ficazione esauriente dell’accaduto, entro un mese172. Dell’esito dell’epistola, in realtà, non
Musca, Sviluppo urbano cit., p. 62; Iorio, Licinio, Musca, Sotto la monarchia cit., p. 90.
165
166
Musca, Sviluppo urbano cit., p. 62.
167
Ivi, pp. 62-63; Iorio, Licinio, Musca, Sotto la monarchia cit., p. 90.
168
Cfr. M. Sanfilippo, Continuità e persistenze negli insediamenti difensivi, in La Puglia tra Medioevo ed
età moderna cit., pp. 73-117, in particolare p. 78, saggio ripubblicato in Medioevo e città nel regno di Sicilia
ed in Italia meridionale, Messina 1991, pp. 47 ss.
169
Franchetti Pardo, Le città portuali cit., pp. 310-311.
170
H. Houben, L’Ordine Teutonico a Bari (secoli XIII-XV), in Scritti in onore di Giosuè Musca, a c. di C.D.
Fonseca, V. Sivo, Bari 2000, pp. 225-247.
171
Vd. supra.
172
CDB, VI, n. 9, anno 1199.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 77
173
Sulla questione concernente i rapporti fra Durazzo e il regno angioino, cfr. I Registri della Cancelleria
angioina, ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani (d’ora in poi
siglati RA), VIII, ed. J. Donsì Gentile, VIII, Napoli 1957, n. 52, anno 1272, p. 297.
174
RA XIV, n. 360, 3 giugno 1277, p. 213.
175
Sull’argomento, F. Carabellese, Carlo d’Angiò nei rapporti politici e commerciali con Venezia e l’O-
riente, Bari 1911.
176
In proposito, cfr. R. Licinio, Castelli medievali, Bari 1994 (n. ed. Bari 2010), pp. 221-222.
177
RA XI, n. 143, 29 aprile 1274: inquisitio sulle saline occupate dai pirati in Puglia, con l’elenco dei fon-
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78 Vito Bianchi
Basilio, insieme al collega tranese, Ruggero, la difesa della costa pugliese. Di conseguenza,
nel periodo proto-angioino le funzioni eminentemente militari del porto barese finirono per
essere, una volta di più, accentuate. Oltretutto, nel 1274 il re ordinò nuovamente al proton-
tino di Bari e al governatore di Monopoli di allestire navi e preparare soldati in vista di un
attacco ai pirati di Almissa. In settembre, la flotta angioina, comprendente anche contin-
genti di Vieste, Peschici e Ortona, salpò per l’opposta sponda dalmata. Le fonti tacciono
sull’esito dell’impresa, e ciò induce a ritenere che essa si risolvesse in un fallimento. Come
un fallimento dovette rivelarsi la decantata “guerra di sterminio” condotta ancora contro
i pirati nel 1276 da navi baresi, tranesi, monopolitane, tarantine, otrantine e gallipoline: la
connivenza di Veneziani e Ragusini giocava infatti a favore della sopravvivenza e della
inesausta vitalità dei corsari. Anzi, i ripetuti insuccessi determinarono presumibilmente
un inasprimento delle scorrerie piratesche. Sicché, a fronte dell’inanità statale, incapace di
risolvere il problema, prese corpo una sorta di “pirateria pugliese”, nata spontaneamente
e di riflesso, che dovette in alcune circostanze ripagare con la stessa moneta gli Slavi di
Almissa, soprattutto durante il regno di Carlo II lo Zoppo178.
Agli inconvenienti derivanti al porto e al commercio barese dalle azioni piratesche si
sommava poi il duro fiscalismo imposto dagli Angiò. Rispetto all’ultimo trentennio svevo,
la pressione fiscale su Bari aveva segnato un notevole incremento, senza tuttavia che fosse
assicurata quella stabilità politico-sociale registrabile per l’età federiciana179.
Le genti del regno venivano sottoposte alle vessazioni di una nobiltà feudale sguaz-
zante a proprio piacimento fra le maglie larghe di una monarchia meno vigile e meno forte
di quelle normanna e sveva. E, specie all’indomani dei Vespri Siciliani del 1282, il lungo
stato di guerra fiaccherà notevolmente le risorse economiche meridionali, favorendo l’in-
trusione di banche centro-settentrionali e il monopolio di Veneziani, Genovesi e Fiorentini
sul tradizionale commercio di grano, olio e lana che si dipanava attorno ai porti pugliesi180,
a fronte di un’importazione di spezie, oro, argento e tessuti pregiati. Le tracce di un’im-
prenditoria agraria, sia pur di ridotte dimensioni, note nel periodo degli Altavilla e degli
Hohenstaufen, con gli Angiò andavano eclissandosi181. Lo stesso massiccio inurbamento,
verificabile per Bari proprio al passaggio fra il Due e il Trecento, si differenziava sostan-
zialmente dal passato: come è stato giustamente sottolineato, in età normanno-sveva esso
costituì «un fenomeno fondamentalmente positivo di promozione e articolazione sociale».
Invece, in età angioina, rappresentò «un fenomeno negativo di fuga, rifugio, sfruttamento
e parassitismo»182, che coinvolgeva anche famiglie e persone provenienti da località vicine,
quali Monopoli, Modugno o Casamassima: tutta gente in cerca di migliore fortuna in una
dachi del sale: Manfredonia, Salpi, Vieste, Termoli, Foggia, Melfi, Venosa, Barletta, Trani, Giovinazzo, Bari,
Monopoli, Torremare, Taranto, Brindisi, Gallipoli e Otranto.
178
Sulle vicende qui esposte, cfr. Cioffari, Bari e la Dalmazia cit., pp. 336-337.
179
Musca, Sviluppo urbano cit., p. 67.
180
Sull’effetto del dominio angioino su Bari, cfr. R. Licinio, Bari angioina, in Storia di Bari cit., vol. II,
pp. 95-144.
181
Porsia, Vita economica cit., p. 205.
182
Musca, Sviluppo urbano cit., p. 68.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 79
città che, sulla scorta dei rendiconti esattoriali, poteva contare sul declinare del XIII secolo
più o meno 10-11.000 abitanti “tassabili”183.
183
Licinio, Bari angioina cit., p. 134.
184
«Et est sciendum quod naves de Ancona, Bari, Termole, Barleto, Siponto, Ordona, Molfeta, Jovenacio,
Pestice, Senegaia et Fano nichil dant d. comiti pro arboratico». In proposito, cfr. G. Cioffari, Bari e la Dal-
mazia cit., pp. 335-338.
185
Sull’argomento, cfr. Licinio, Bari angioina cit., pp. 106-107.
186
Francesco Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, ed. A. Evans, Cambridge (Mass.) 1936, pp.
162-164.
187
Sul rapporto fra la monarchia angioina e i banchieri fiorentini, cfr. R. Licinio, L’organizzazione del
territorio fra XIII e XIV secolo, in Civiltà e culture cit., p. 244.
188
Sulla vicenda, cfr. Porsia, Vita economica cit., p. 212-213.
189
Cfr. il Libro rosso della città di Bari, c. 21, Archivio di Stato di Bari. Si veda inoltre G. Petroni, Della
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80 Vito Bianchi
storia di Bari dagli antichi tempi sino all’anno 1856, I, Napoli 1857 (rist. anast. Bologna 1971), pp. 411-414;
Licinio, Bari angioina cit., p. 115.
190
La notizia dell’intervento archeologico, effettuato nel 1996, è in Notiziario delle attività di tutela cit.,
1996, pp. 113- 114.
191
In proposito, cfr. C. Colafemmina, Gli Ebrei, la Puglia e il mare, in Andar per mare cit., pp. 307-312.
192
Su questo personaggio, cfr. Codice Diplomatico Pugliese (d’ora innanzi siglato CDP), Le pergamene di
S. Nicola di Bari, XXIII, ed. J. Mazzoleni, Bari 1977, nn. 41-43, 45, 53.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 81
tanto da essere costretta a sborsare 5.136 ducati al viceconsole veneziano in Trani per tor-
nare a essere “ufficialmente subalterna” al doge Francesco Foscari193.
193
Sull’episodio, Licinio, Bari angioina cit., p. 128.
194
CDP XXVI, ed. J. Mazzoleni, n. 58 e p. XVIII, Bari 1982.
195
Sulle vicende del periodo, cfr. Licinio, Bari angioina cit., pp. 132-133.
196
Cfr. F. Porsia, Bari aragonese e ducale, in Storia di Bari cit., vol. II, p. 148; R. Licinio, Dalla “licentia
castrum ruinandi” alle disposizioni “castra munienda”, in Studi in onore di Giosuè Musca cit., pp. 297-329,
in particolare pp. 311-312.
197
In proposito cfr. G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese (1266-1494), in
Storia d’Italia, XV/1, Torino 1992, pp. 587-607.
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82 Vito Bianchi
Su questo frangente della storia barese, cfr. Porsia, Bari aragonese cit., pp. 152-159.
199
200
Porsia, Vita economica cit., p. 213.
201
Il testo in latino della descrizione, redatto da un viaggiatore di Bruges, è in Itinéraire d’Anselme Adorno
en Terre Sainte (1470-1471), edd. J. Heers, G. Groer [Sources d’Histoire Médiévale, publiées par l’Institut de
Recherches et d’Histoire des Textes], Paris 1978, pp. 386-388.
202
Beatillo, Historia di Bari cit., pp. 189-190.
203
L’originale in latino dell’epigramma di Pietro da Gravina è in Petroni, Della storia di Bari cit., p. 559.
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Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari 83
Nel componimento, risalta l’ennesima menzione “degli” approdi di Bari. In più, compa-
iono ancora i riferimenti all’Oriente e al paese dei Mauri: difficile dire se, sul filo della
memoria, si trattava di una semplice allusione a quelle che erano state le rotte tradizionali
del commercio barese, ovvero il sintomo di una effettiva volontà di rivitalizzazione delle
attività portuali, da abbinare all’indubbio fermento urbanistico innescato, in città, dall’ar-
rivo della intraprendente duchessa. Qualche grattacapo quel molo dovette provocarlo: nel
1527, la cittadinanza barese chiedeva cento ducati annui per la manutenzione e la pulizia
del porto, avendo speso «più centinari et migliari de ducati in la refuctione et reparatione
del molo de dicta cità, talmente che dicto molo è molto assecurato et nobilito quanto qual-
sivoglia altro molo de questa provintia»204.
Di fatto, la strutturazione urbanistica conferita da Isabella d’Aragona a Bari si con-
serverà sostanzialmente inalterata fino alla realizzazione del borgo murattiano, nel XIX
secolo. La figlia Bona, sposa di Sigismondo re di Polonia, nel processo di liquidazione cui
andava incontro il ducato barese, ebbe un atteggiamento differente dalla madre: lo si intu-
isce guardando a come la duchessina-regina negasse ai Baresi l’uso di un piccolo magaz-
zino, utile per lo stivaggio del sale e degli attrezzi per la manutenzione del molo che si
dipartiva dal Fortino di Sant’Antonio205. Il disinteresse di Bona Sforza per un titolo ducale
che non avrebbe potuto trasmettere, e il pensiero che i beni baresi sarebbero automatica-
mente caduti nelle mani dell’imperatore Filippo II, cagionava probabilmente l’ineluttabile
noncuranza nei confronti di una città e di uno scalo che, pure, avevano filtrato millenni di
storia e storie fatte da vascelli e naviganti.
204
Sull’episodio cfr. Porsia, Bari aragonese cit., p. 178.
205
Ivi, p. 177.
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INDICE
Tabula gratulatoria
Massimiliano Ambruoso
Il castello federiciano di Gravina in Puglia: castrum o domus?
Vito Attolini
La Passion Béatrice di Bertrand Tavernier: metamorfosi di un noir cinquecentesco
Vito Bianchi
Santi, guerrieri e mercanti al porto di Bari
Antonio Brusa
Internet e la Rete degli stereotipi sul medioevo
Franco Cardini
Dante e le “magiche frode”
Annastella Carrino
Stato, individui e “corpi” di fronte alla fame urbana. Il conflitto attorno alla carestia
napoletana del 1764
Giovanni Cherubini
Il ragionare storico
Pasquale Cordasco
L’altra metà del Medioevo. Storie di donne nei documenti di Terra di Bari (secc. XI-XV)
Alfio Cortonesi
Ser Giovanni di Barna, notaio montalcinese del Quattrocento. Una nota biografica
con osservazioni storico-agrarie in margine ai protocolli
Pasquale Favia
Abbandoni e perpetuazioni d’uso degli insediamenti medievali della Puglia
centro-settentrionale
Salvatore Fodale
Un ignobile cavaliere catalano nella Sicilia di metà Trecento: Francesco Valguarnera
Jean-Marie Martin
Les massarie royales et la crise des Vêpres
Angelo Massafra
Dall’università d’élite all’università di massa: studenti e docenti nell’ateneo barese
tra dopoguerra e anni Settanta del Novecento
Massimo Miglio
Storia e storici, oggi
Tommaso Montefusco
La mia scuola
Francesco Panarelli
Una contea normanna a Matera?
Adriana Pepe
Sull’insediamento dei Cavalieri di Calatrava in Capitanata: l’abbazia di S. Angelo
a Orsara di Puglia
Giulia Perrino
Santa Margherita e la studiosa (piccolo vademecum ad uso di una guida turistica)
Corrado Petrocelli
Logos e logos. Scienze e Lettere a confronto
Gabriella Piccinni
La voce dei contadini. Suppliche di mezzadri e sui mezzadri al governo di Siena
(XIV e XV secolo)
Franco Porsia
Una reliquia tira l’altra
Vito Ricci
Presenza giovannita in Puglia tra XII e XIII secolo: espansione territoriale e rapporti
con la monarchia normanno-sveva
Luigi Russo
La Croce e la spada: una rilettura dei massacri di Gerusalemme del 1099
Saverio Russo
Paesaggio e produzioni agricole pugliesi nelle descrizioni di frati ed abati viaggiatori
tra Cinque e Seicento
Biagio Salvemini
Alla ricerca del “negoziante patriota”. Mercantilismi e culture del commercio
nel XVIII secolo
Giuseppe Sergi
La storia come scienza sociale del passato e il medioevo come laboratorio
Vito Sivo
I sermones de tempore di Paolo Camaldolese (Pisa, Archivio di Stato, Miscell.
Manoscritti 73)
Angelantonio Spagnoletti
Formare l’opinione, far rinascere lo spirito pubblico, far predominare l’interesse generale:
l’istituzione della provincia nel Mezzogiorno continentale
Marilena Squicciarini
Dante e la parodia. La Commedia del nostro tempo
Francesco Tateo
Umanesimo cortigiano: nota su Francesco Filelfo
Kristjan Toomaspoeg
«Quod prohibita de Regno nostro non extrahant». Le origini medievali delle dogane
sulla frontiera tra il regno di Sicilia e lo Stato pontificio (secc. XII-XV)
Pierre Toubert
La Peste noire (1348) entre Histoire et biologie moléculaire
Maurizio Triggiani
Il castello di Ceglie del Campo ed i castella rurali del territorio di Bari
Francesco Violante
Città costiere pugliesi nel Kitāb-ı Baḥriyye di Pīrī Re’īs
Giovanni Vitolo
I tedeschi nella Napoli del Rinascimento. La confraternita dei fornai
Giuliano Volpe
L’apporto dell’archeologia alla conoscenza dei paesaggi altomedievali dell’Apulia