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Andrea Capra

Dove Odisseo smarrì la via di casa


Angeli, naufragi e favolose tempeste a Capo Malea*

Il faut dans la plaine salée


Avoir lutté contre Malée,
Et près du naufrage dernier
S’être vû dessous les Pleyades
Eloigné des ports et des rades,
Pour être cru bon marinier.
(Malebranche)

«E ormai sano e salvo giungevo nella terra dei padri! Ma doppiando


il Malea, la corrente, le onde, e Borea mi deviarono, m’allontanarono
oltre Citera... al decimo giorno arrivammo alla terra dei Mangiatori di

* La ricerca si muove temerariamente fra epoche e aree diverse, spesso lontane


dalle mie competenze. Pur fra molte esitazioni, ho voluto arrischiarne una stesura,
che so immatura, per due ragioni, spero buone. Il saggio studia la fortuna di un mo-
tivo omerico nella letteratura greca e latina, ha un taglio in qualche modo ‘geografico’,
si avventura nel tardo-antico, tocca il sincretismo pagano-cristiano: temi e approcci
cari a Isabella Gualandri. Mi fa quindi piacere dedicarle questo studio. La seconda
ragione consegue alla prima: spero nell’aiuto dei colleghi più esperti di me, a partire
dalla ‘festeggiata’, per proseguire una ricerca cui sono molto legato, forse proprio per
il suo carattere un po’ dilettantesco. Ma già ora ho la fortuna di ringraziare alcune
persone care. Anna Benvenuti, Dario Del Corno, Amalia Kolonia, Stefano Martinelli
Tempesta, Lù Rinaldo, Giuseppe Zanetto e ancora i miei genitori nonché amici e
studenti mi hanno consigliato e incoraggiato in occasione di una lezione – pro-
pedeutica a un viaggio di istruzione in Grecia – che tenni sull’argomento nella pri-
mavera del 2006; più di recente Matteo Curti, Cecilia Nobili, Aglae Pizzone e Ni-
cola Stanchi hanno letto e commentato una versione scritta del saggio. Con affetto
pari solo al ritardo ‘odissiaco’ e alla dolcezza del ricordo, ringrazio infine Mario
Geymonat, che ormai vent’anni fa, per mia meraviglia, mi regalò le sue limpide note
sul Capo Malea dall’Enciclopedia virgiliana: nella memoria, quella meraviglia di ragazzo
– attraverso gli inebrianti viaggi in Laconia che ho fatto negli anni – fa tutt’uno con
l’impegno ‘scientifico’ di oggi.
72 Andrea Capra

loto»1. Il capo Malea segna l’ingresso di Odisseo nel mondo della fiaba:
d’un tratto, l’eroe perde la strada per Itaca, e il suo viaggio assume i
contorni errabondi e fantastici di una peripezia fra maghe seduttrici,
mostri sanguinari e luoghi incantati, fino al più straordinario degli ap-
prodi: il regno dei morti. Niente di strano, quindi, se a partire dall’Odissea
il capo Malea si carica di forti suggestioni non solo letterarie, che vale
la pena di ripercorrere. Prima di tutto, però, è bene ricordare brevemente
la posizione e le caratteristiche geografiche del Malea. Per dirla con
Strabone, «Il Peloponneso assomiglia per la sua forma a una foglia di
platano»2, e di questa foglia il capo Malea è l’estrema punta sud-orientale.
Un riferimento fondamentale, dunque: non stupisce che geografi antichi
e moderni ne parlino spesso. Il nome indica primariamente il capo, ma
spesso nelle fonti antiche e moderne si riferisce anche alla montagna
che lo sovrasta3. La costa sud-orientale del Peloponneso è rocciosa e
scoscesa, e capo Malea ancor oggi è un luogo selvaggio e straordina-
riamente suggestivo. Le fotografie aeree o dal mare possono dare un’idea
del carattere maestoso e desolato di questi luoghi: spiccano le rocce
scoscese, la montagna brulla e dirupata, le scogliere a picco sul mare,
l’assenza di approdi e di strade, l’antropizzazione quasi nulla4. A capo
Malea confluiscono venti di direzione diversa, di modo che le tempeste
sono frequenti e talora molto violente5.

Eroi, delfini, vaghe stelle, pescatori e avventurieri

Il carattere inospitale del luogo spiega benissimo perché nelle


fonti antiche il capo Malea sia visto sempre con l’occhio del navigante.
1
Hom. Od. 79 ss.
2
Strab. Geog. 8.2.1
3
Malea è probabilmente nome non greco: per le posizioni dei moderni sulla
sua etimologia, cfr. il Lexikon des frühgriechischen Epos, Band 3, Göttingen 2004, s.v.
4
Va detto, per il mondo antico, che l’area del Malea è «très mal connue des
historiens», come nota J. Christien, Promenades en Laconie, in «DHA» 15, 1, (1989),
pp. 75-105 (p. 87). La studiosa mette a confronto le scarne informazioni di Pausania
con i dati archeologici, per concluderne che al tempo di Pausania gli insediamenti
erano già ben diversi rispetto all’età classica.
5
Per dettagli sui venti del Malea cfr. RE XIV, s.v. Malea, c. 861.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 73

Il tempestoso Malea era un punto di passaggio quasi obbligato per


chiunque volesse navigare dall’Egeo allo Ionio, come fece Odisseo. È
dunque un luogo centrale nell’immaginario dei marinai di tutti i tempi,
e basterà qui qualche esempio per darne un’idea. La pericolosità del
Malea divenne presto un luogo comune, come testimoniano due prover-
bi in versi, rispettivamente antico e moderno6:

Male@av de# ka@myav E doppiato il Malea,


[eèpila@qou tw^n oiòkade [scordati casa tua

Ka@bo Malia@, Ka@bo Malia@, Capo Malea, Capo Malea:


Boh@qa Criste# kai# Panagia@ aiuto, Gesù e Vergine Maria!

In effetti, non soltanto Ulisse, ma anche altri grandi eroi persero


la via del ritorno a capo Malea. Il nostos di Menelao e Agamennone fu
seriamente minacciato dalle tempeste del capo, e anche l’Enea virgiliano
– lo vedremo – fu costretto a misurarsi con le tempeste del Malea.
Perfino gli Argonauti incapparono nelle sue bufere, come narra Erodoto:

E
ò sti de# kai# oçde lo@gov lego@menov. Ih@
è sona, eèpei@te oié eèxerga@sqh
uépo# tw^j Phli@wj hé èArgw@, eèsqe@menon eèv auèth#n aòllhn te eéka-
to@mbhn kai# dh# kai# tri@poda ca@lkeon periple@ein Pelopo@nnhson
boulo@menon eèv Delfou#v aèpike@sqai. Kai@ min, wév ple@onta ge-
ne@sqai kata# Male@hn, uépolabei^n aònemon bore@hn kai# aèpofe@rein
pro#v th#n Libu@hn. pri#n de# katide@sqai gh^n, eèn toi^si bra@cesi
gene@sqai li@mnhv th^v Tritwni@dov.

Si racconta pure che Giasone, dopo che ebbe costruita ai piedi


del Pelio la nave Argo, imbarcatavi un’ecatombe e fra le altre
offerte un tripode di bronzo, imprendesse il periplo del Pelopon-
neso, volendo andare a Delfi. E quando navigando giunse all’al-
tezza del capo Malea lo sorprese un vento del nord e lo trascinò

6
Cfr. p.e. Strab. Geog. 8.6.20; E. Kapetanakis, Lakwnika# peri@erga, eèn Aqh@
è naiv
1911, II, p. 11. Il trimetro, citato da Strabone e da altre fonti, presenta alcune varianti
(Male@an e Malei@av) nella tradizione, e potrebbe provenire da una commedia per-
duta di Aristofane: cfr. R. Janko, Pity the Poor Traveller: A New Comic Trimeter (Ari-
stophanes), in «CQ» 57 (2007), pp. 296-297.
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verso la Libia, e prima di vedere terra si trovò nelle secche del


lago Tritonide (4.179).

Argo è la prima nave costruita dall’umanità e la tempesta di capo


Malea è il suo primo incidente di percorso, che acquisisce così il sa-
pore suggestivo dell’archetipo di ogni tempesta. Di qui in poi i pericoli
del Malea saranno un motivo ricorrente nella letteratura greca e latina,
con una crescente tendenza all’iperbole: il poeta Archia piange un del-
fino ucciso da onde con il volto del Malea, e Stazio arriverà a dire che
il superbo capo dà ricetto soltanto agli astri stanchi del cammino7.
Se è vero che «le tempeste nei libri sono in ogni tempo molto più
frequenti di quel che per fortuna non siano nella realtà»8, nel caso del
Malea il pericolo è un fatto sì letterario, ma anche molto reale e
concreto9. Come chiariscono le fonti bizantine e gli Itinerari in terra
santa dei pellegrini medievali, chi voleva raggiungere lo Ionio dal Mar
Egeo, se poteva, attraversava via terra l’istmo di Corinto, oppure si
fermava in un porto non lontano dal capo in attesa di venti davvero
propizi, per evitare i marosi del Malea. Sostavano perciò lungo la costa
occidentale della Laconia, a Ierakas e Monenvasia, se costeggiavano il
Peloponneso, oppure – se provenivano dalle Cicladi – nell’isola di
Melos; ma tali precauzioni non sempre erano sufficienti a sventare
naufragi o tempeste che portavano i malcapitati naviganti lontanissimi
dalla meta10. Luciano riferisce ad esempio che al Malea colò a picco
una nave di Silla con un prezioso carico che comprendeva le opere del
pittore Zeusi11, e forse anche i bronzi recuperati a inizio ’900 da alcuni
tuffatori di spugne presso Citera12. In tempi molto più recenti, del
7
A.P. 7.214; Stat. Theb. 2.32-36.
8
P. Janni, Il mare degli antichi, Bari 1996, p. 396.
9
Cfr. M. Besnier, Lexique de géographie ancienne, Paris 1914, p. 459.
10
Cfr. p.e. Theophanes Continuatus 309-310 Bekker. Per i viaggi dei pellegrini,
cfr. A.J.B. Wace - F.W. Hasluck, Laconia. II. Topography, in «BSA» 15 (1908-1909), p.
174. Spesso era consigliabile una rotta a sud di Creta, come quella seguita da san
Paolo (Atti, 27.7) e dalla Nave di Luciano (7-10), che a ben guardare si tiene lontano dal
Malea (uépe#r th#n Male@an). Per la corretta interpretazione del passo di Luciano, cfr. L.
Casson, The Isis and Her Voyage, in «TAPhA» 81 (1950), pp. 43-56 (in part. 49).
11
22.3 (Zeuxis).
12
Cfr. P. Kabbadias, The Recent Finds off Cythera, in «JHS» 21 (1901), pp. 205-208.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 75

resto, non lontano da Malea fu travolto dalla tempesta – per poi af-
fondare presso Citera – il «Mentore», la nave di cui si serviva Lord El-
gin per trasportare Gran Bretagna i marmi del Partenone13. Chi invece
riusciva a superare il Malea indenne aveva ragione di vantarsene, come
emerge ad esempio da un’iscrizione tombale in cui un commerciante
di Hierapolis frigia si vanta di aver doppiato il Malea ben 72 volte14. Il
superamento del temibile capo, d’altra parte, doveva ispirare anche
sentimenti di devozione religiosa: su un isolotto non lontano dal Malea
sono stati di recente rinvenuti i resti di un piccolo santuario di età clas-
sica, che ospitano una grande quantità di monete apparentemente
ammucchiate alla rinfusa. Secondo l’ipotesi dell’archeologo Aris Tsaravo-
poulos, queste monete sono un ex voto che i marinai gettavano nel san-
tuario per ringraziare Posidone di aver superato indenni capo Malea15.
Ancora oggi, i pericoli del Malea sono vivi nella tradizione del Pe-
loponneso meridionale. Il bel libro sul Mani di Patrick Leigh Fermor,
un inglese che nel 1942 partecipò alla resistenza cretese e si trasferì a
guerra finita a Kardamyli nel dito centrale del Peloponneso, riporta le
parole di ringraziamento di un pescatore sopravvissuto al Malea16, e
motivi ‘odissiaci’ legati al Malea sono presenti nella tradizione popolare
e nella letteratura locale fino ai giorni nostri17.
13
Cfr. N. Lianos, òEreuna sto@ naua@gio MENTWR - The Shipwreck of the Mentor,
in «Archaiologia» 8 (1983), pp. 24-28. Curiosamente, il testo greco parla di capo Tenaro,
il sunto inglese di Malea, la realtà essendo nel mezzo: il Mentore superò il Malea, ma
subito dopo, nei pressi del Tenaro, fu travolto e sospinto verso Citera, dove affondò.
14
Sylloge 3 1229. Il testo dell’iscrizione è riportato anche in R. Baladié, Le Pé-
loponnèse de Strabon, Paris 1980, p. 263. Doppiare Malea appare motivo di vanto ma-
rinaro anche in Flav. Phil. 3.23.
15
Da un colloquio privato. L’isolotto, presso la costa orientale di Citera, prende
il nome di Mikrh@ Dragona@ra, sede di un culto a Posidone. Aris Tsaravopoulos,
membro della Ellhnikh@ Arcaiologikh@ Uphresi@a, dirige per conto del governo gli
scavi a Citera e Anticitera.
16
P.L. Fermor, Mani. Travels in the Southern Peloponnese, London 1958, trad. it.
Mani. Viaggi nel Peloponneso, Milano 2004, pp. 56-57.
17
Una canzone del Mani parla dell’attesa di una donna per il ritorno in patria
del suo amore, minacciato dalle tempeste, la sua nave che «lotta presso Capo Malea»:
Kara@bi kinduneu@ei ston Ka@bo Malia@, dal CD Mania@tika tragou@dia, Alpha Mi records
1999 (non so a quando risalgano le incisioni, ma la qualità sonora lascia credere che
siano vecchie di decenni). Per il recente romanzo di E. Saranditi, vedi sotto.
76 Andrea Capra

Tempeste e naufragi poetici: Malea come topos letterario

Il pericolo è la prima cifra del capo Malea, e questo dato geografico


apparentemente si traduce in modo tutto sommato fedele – tutt’al più
iperbolico – in diverse forme di testi letterari o paraletterari. A ben
guardare, tuttavia, le cose non stanno esattamente così, come emerge
già dagli itinerari di ritorno degli eroi troiani. Quello di Odisseo, evi-
dentemente il nostos più importante, appare del tutto ragionevole: per
raggiungere Itaca da Troia il capo Malea è un passaggio obbligato, ma
della tempesta che qui travolse Odisseo parleremo più avanti. Una
tempesta ancora più violenta colpì Menelao:

aèll è oçte dh# kai# kei^nov ièw#n eèpi# oiònopa po@nton


eèn nhusi# glafurh^jsi Maleia@wn oòrov aièpu#
i§xe qe@wn, to@te dh# stugerh#n oédo#n euèru@opa Zeu#v
eèfra@sato, lige@wn d è aène@mwn eèp è aèuìtme@na ceu^e
ku@mata@ te trofo@enta pelw@ria, iùsa oòressin.
eònqa diatmh@xav ta#v me#n Krh@thj eèpe@lassen,
h§ci Ku@dwnev eònaion èIarda@nou aèmfi# rée@eqra.
eòsti de@ tiv lissh# aièpei^a@ te eièv açla pe@trh
eèscatih^j Go@rtunov eèn hèeroeide@iì po@ntwj.
eònqa no@tov me@ga ku^ma poti# skaio#n réi@on wèqei^,
eèv Faisto@n, mikro#v de# li@qov me@ga ku^m èaèpoe@rgei.
aié me#n aòr è eònq è hùlqon, spoudhj^ d è hòluxan oòleqron
aòndrev, aèta#r nh^a@v ge poti# spila@dessin eòaxan
ku@mat è. aèta#r ta#v pe@nte ne@av kuanoprwei@rouv
Aiègu@ptwj eèpe@lasse fe@rwn aònemo@v te kai# uçdwr.
Ma quando lui pure, andando sul livido mare
con le concave navi, il capo Malea dirupato
raggiunse correndo, allora mala via Zeus vasta voce
gli preparò, dei venti urlanti gli rovesciava contro il soffiare,
onde enormi s’alzavano, come montagne.
E tagliata la flotta, alcune navi sbatté contro Creta,
dove vivono i Cidoni, sulle correnti del Giardano.
C’è una rupe liscia a picco sull’acque
all’entrata del porto di Gortina, nel mare nebbioso.
E il Noto vi spinge gran flutti sulla punta sinistra
verso Festo, ma piccola rupe gran flutti trattiene.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 77

Qui corsero le navi e a stento evitarono morte


gli uomini; ma fracassarono contro gli scogli le navi
le ondate; però cinque navi prua azzurra
l’acque e il vento, spingendole, in Egitto portarono. (3.286-300)

Menelao doveva raggiungere Sparta, e la via migliore era proba-


bilmente quella che – superato il Malea – lo avrebbe fatto approdare
nel golfo laconico, da cui poi sarebbe risalito fino alla città lungo la
piana dell’Eurota. Anche il suo itinerario, pur sfortunato, appare dunque
ragionevole. Lo stesso non si può invece dire del tragitto tempestoso di
Agamennone:

aèll è oçte dh# ta@c è eòmelle Maleia@wn oòrov aièpu#


içxesqai, to@te dh@ min aènarpa@xasa qu@ella
po@nton eép è iècquo@enta fe@ren bare@a stena@conta,

Ma quando già stava per giungere al capo Malea


dirupato, allora lo rapì una tempesta,
lo trascinò pel mare pescoso, che grave gemeva. (4.514-516)

Se la sede di Agamennone è l’Argolide, non si capisce davvero


perché egli, da Troia, debba passare per il capo Malea. A proposito di
questa incoerenza, che ha inevitabilmente suscitato accese discussioni18,
Momigliano osservava che «il naufragio a Capo Malea è un luogo co-
mune dei no@stoi... Potrà essere immaginato ora più a proposito, ora
meno, ma insomma è evidente che l’aedo, quando voleva introdurre un
naufragio, lo collocava di preferenza in quella località, perché là soltanto,
nella scena classica di tanti naufragi, gli riusciva facile vederlo e farlo
vedere agli uditori»19. Già nell’Odissea, dunque, il Capo Malea comincia
a vivere una sua vita letteraria parzialmente svincolata dal dato geogra-
18
Per un primo orientamento, cfr. A. Heubeck - S. West (a cura di), Omero,
Odissea, I, Milano 1982, p. 377, ad v. 514. Alla bibliografia qui citata andranno
aggiunte le considerazioni – ragionevoli perché mettono in guarda da eccessi di ra-
zionalismo filologico-geografico – di C. Powers Bill, The Location of the Palace of the
Atridae in Greek Tragedy, in «TAPhA» 61 (1930), pp. 111-129.
19
A. Momigliano, Zeus Agamennone e il Capo Malea, in «SIFC» 8 (1930), pp.
317-319, vd. p. 318. Cfr. anche Eur. Cycl. 18; Aristot. fr. 609 R.
78 Andrea Capra

fico20. La tendenza sembra operante anche nel viaggio di Giasone ri-


cordato da Erodoto: l’eroe si muoveva dal Pelio, non troppo lontano da
Delfi21. Possiamo certo immaginarlo entusiasta di imbarcarsi sulla prima
nave della storia del mondo, ma il tragitto per Delfi con periplo del Pe-
loponneso sembra veramente un’assurdità, che si giustifica piuttosto
con l’importanza ‘letteraria’ di Capo Malea, un episodio che non poteva
mancare in un’avventura marinara che si rispetti.
La tendenza che abbiamo osservato può essere valutata anche alla
luce della tradizione epica successiva. Se i poemi ‘greci’ di Stazio e Va-
lerio Flacco non mancano di fare omaggi insistiti ed espliciti alla tra-
dizone epica del Malea tempestoso22, Apollonio Rodio, malgrado il
precedente erodoteo, evita – volutamente? – di menzionare il famigerato
capo, anche quando il naufragio africano degli Argonauti, con relativa
perdita del Peloponneso e profezia magica, ricalca per molti versi l’av-
ventura egizia di Menelao, propiziata proprio dalle tempeste del Malea23.
20
Il paesaggio epico, e in ispecie quello del Peloponneso, ubbidisce spesso a
motivazioni affettivo-letterarie: cfr. G. Zanetto, Il Peloponneso nella tradizione epica,
in G. Daverio Rocchi - M. Cavalli, Il Peloponneso di Senofonte, Milano 2004, pp.
143-154 (e in part. p. 148 per considerazioni sul Malea non lontane da quelle di Mo-
migliano). Per un recente inquadramento generale del problema sul piano teorico e
storico, cfr. M. Jakob, Paesaggio e letteratura, Firenze 2005 (e per la letteratura greca
in part. p. 52 ss.).
21
Delfi era fra l’altro uno dei pochi luoghi in Grecia ben collegato per via di
terra. Cfr. p.e. L. Casson, Travel in the Ancient World, Toronto 1974, trad. it. Viaggi e
viaggiatori dell’antichità, Milano 1978, p. 30 ss. Del resto, la cosa trova un suo chiaro
riflesso nel mito, con il celebre trivio di Edipo.
22
Cfr. Stat. Theb. 1.97, 2.33, 4.224, 7.16, 10.537; Achill. 1.408; Val. Fl. Arg. 4.261.
23
Cfr. Ap. Rhod. Arg. 4.1228 ss., un passo che potremmo ascrivere alla categoria
del ‘topos negato’. Una fitta rete di analogie lega l’episodio argonautico a quello odis-
siaco di Menelao (cfr. C. Dufner, The Odyssey in the Argonautica: Reminscence, Revision,
Reconstruction, Dissertation, Princeton University, p. 189 ss.). Tuttavia, il viaggio de-
gli Argonauti mescola diverse tradizioni (cfr. Apollonios de Rhodes, Argonautiques,
texte établi par F. Vian et traduit par par É. Delage, III, Paris 19962, pp. 58-60) e
si muove qui in direzione opposta (da ovest a est) rispetto al nostos di Menelao. So-
prattutto, nel momento topico della tempesta che allontana la nave dal Peloponneso
fino all’Africa, Apollonio evita di nominare il Malea: la tempesta coglie gli Argonauti
nel loro primo accostarsi al Peloponneso, e da questo punto di vista, si direbbe, il
poeta ellenistico ostenta il suo distacco dalla tradizione: contro ogni verosimiglianza,
Erodoto collocava al Malea niente meno che la prima tempesta della nave Argo;
Dove Odisseo smarrì la via di casa 79

E Virgilio, erede di Apollonio e al tempo stesso principale modello


letterario per Stazio e Valerio Flacco? Nell’Eneide il Capo Malea è no-
minato con certezza nel libro V, in occasione di giochi navali in onore
di Anchise. Qui Mnesteo incita così i marinai:

Nunc nunc insurgite remis


Hectorei socii, Troiae quos sorte suprema
delegi comites: nunc illas promite vires,
nunc animos, quibus in Gaetulis Syrtibus usi
Ionioque mari Maleaeque sequacibus undis.

... Ora, ora sorgete


sui remi, ettorei amici, che nell’estrema sorte
di Troia scelsi compagni; ora mostrate il vigore,
ora l’orgoglio che aveste nelle Sirti getule
e nel mare Ionio, e nelle onde incalzanti del Malea.
(5.189-194)

L’omaggio alla tradizione è dunque impreziosito dalla collocazione


quasi miniaturistica nel contesto limitato di una gara navale. Un omaggio
indiretto e raffinato, dunque, di sapore alessandrino, che pur di scorcio
rivela come anche Enea fosse passato per il capo Malea, e anzi ne
segnala implicitamente la superiorità rispetto al modello omerico, dal
momento che la nave troiana affronta la tempesta con successo. Ma
cosa troviamo nella narrazione principale? I manoscritti virgiliani non
recano nessun’altra menzione del Malea, ma c’è un luogo che può ri-
cordarlo. Lasciata Creta alla volta dell’Italia, Enea e i compagni sono
colti da una terribile tempesta:

Postquam altum tenuere rates nec iam amplius ullae


apparent terrae, caelum undique et undique pontus,
tum mihi caeruleus supra caput adstitit imber
noctem hiememque ferens et inhorruit unda tenebris.
Continuo venti volvont mare magnaque surgunt

Apollonio, per converso, evita di menzionare il famoso capo proprio quando sarebbe
più ovvio, quasi a smentire quelle dinamiche della recitazione aedica su cui si sof-
fermava Momigliano.
80 Andrea Capra

aequora, dispersi iactamur gurgite vasto;


involvere diem nimbi et nox umida caelum
abstulit, ingeminant abruptis nubibus ignes.
Excutimur cursu et caecis erramus in undis.
Ipse diem noctemque negat discernere caelo
nec meminisse viae media Palinurus in unda.
Tris adeo incertos caeca caligine soles
erramus pelago totidem sine sidere noctes.
Quarto terra die primum se attollere tandem
visa, aperire procul montis ac volvere fumum.

Dopo che le navi furono al largo, e disparvero


tutte le terre, e dovunque cielo e dovunque acque,
allora mi s’addensò sul capo un livido uragano,
portando notte e tempesta, e rabbrividì l’onda nelle tenebre.
Subito i venti sconvolgono il mare e alti si levano
i flutti; siamo dispersi e agitati dal vasto gorgo;
i nembi avvolsero il giorno, e un’umida notte ci tolse
il cielo; s’infittiscono, squarciate le nubi, i fulmini.
Usciamo sbalzati dalla rotta, ed erriamo sulle cieche onde.
Lo stesso Palinuro dice di non distinguere in cielo
la notte dal giorno, e di non riconoscere la via tra le onde.
Così erriamo sul mare per tre incerti soli
nella cieca caligine, e altrettante notti senza stelle.
Infine il quarto giorno apparve ergersi una terra,
e lontano svelare montagne, e levare fumo. (3.192-206)

La terra raggiunta sono le isole Strofadi, nello Ionio, dunque il


luogo della tempesta potrebbe essere vicino a Malea. D’altra parte,
questa è la prima tempesta che colpisce le navi di Enea, così come il
Malea rappresenta la prima delle tempeste che si abbattono su Odisseo.
Ora, grazie alla successiva descrizione della gara navale, il lettore viene
a sapere che Enea per capo Malea era effettivamente passato, e questo
è l’unico punto del poema in cui possiamo legittimamente immaginare
tale passaggio24: per i conoscitori del modello odissiaco non era difficile
24
Cfr. M.L. Delvigo, Verg. Aen. 3, 204A-C, in «RFIC» 117 (1989), pp. 297-315.
La studiosa ricorda che il passo virgiliano trova il suo modello più diretto in una
tempesta ‘cretese’ dell’Odissea (11.403 ss.), e osserva anche che per certi versi il topos
Dove Odisseo smarrì la via di casa 81

supplire alla mancata menzione del capo. In effetti, uno scolio del Ser-
vio Danielino al v. 204 tramanda tre versi non canonici, che si diceva
fossero stati cancellati e trascritti nel margine inferiore dell’autografo
del poeta:

Hinc Pelopis gentes Maleaeque sonantia saxa


circumstant pariterque undae terraeque minantur.
Pulsamur saevis et circumstitimur undis

Di qui le genti di Pelope e le sonanti rocce del Malea


stanno attorno e parimenti onde e terre ci minacciano.
Siamo sospinti e circondati da onde selvagge.

Non sono mancati studiosi che hanno ritenuto autenticamente


virgiliani questi tre versi, del resto di buona fattura. Se le cose stanno
così, ecco che il tempestoso Malea, scomparso dal testo canonico, di-
verrebbe a sua volta vittima di un curioso naufragio letterario. Tuttavia
la formula dubitativa dello scolio e soprattutto il contesto, che sottolinea
l’impossibilità di ubicare con precisione la rotta, fanno piuttosto pensare
all’opera di un falsario, tesa a colmare un’ellissi – direi paragonabile al
silenzio di Apollonio – nel testo virgiliano25.
Il pubblico di Virgilio, abituato alle convenzioni dell’epica, doveva
essere naturalmente portato a collocare idealmente la tempesta del li-
bro III nei pressi di capo Malea. Mi spingerei a dire che una simile rea-
zione del destinatario poteva essere nelle intenzioni dello stesso Virgilio:
forse già nel libro III egli intende alludere al Capo Malea, per scoprire
poi le carte nel libro V, dove il Malea viene rievocato retrospettivamente.
Come dimostra l’intervento del falsario, la forza del topos letterario do-
veva rendere agevoli simili giochi allusivi, e da questo punto di vista
del Malea non sarebbe del tutto a suo agio in questi versi, ma al tempo stesso nota
che «Malea non poteva trovar posto (lo imponeva la geografia stessa) se non in que-
sto segmento della narrazione virgiliana, tra Creta e le Strofadi» (p. 312).
25
Cfr. M. Geymonat in EncVirg, III, Roma 1987, s.v. Malea. Per un’approfondita
analisi del difficile scolio (‘Erramus pelago’ et reliqua. hinc Pelopis ... undis. hi versus
circumducti inventi dicuntur et extra pagina in mundo) cfr. Delvigo, Verg. Aen. 3. Per ul-
teriori riferimenti bibliografici sulla questione, N. Horsfall, Virgil, Aeneid 3. A Com-
mentary, Leiden-Boston 2006, ad loc.
82 Andrea Capra

penso si possa trovare un parziale precedente in un’elegia di Eveno di


Paro, poeta sofista del V secolo, tramandata nella raccolta teognidea26:

Eiè me#n crh@mat è eòcoimi, Simwni@dh, oi§a@ per hòdh


ouèk aàn aèniw@imhn toi^s è aègaqoi^si sunw@n.
nu^n de@ me ginw@skonta pare@rcetai, eièmi# d è aòfwnov
crhmosu@nhi, pollw^n Ê gnou^san Ê aòmeinon eòti
ouçneka nu^n fero@mesqa kaq è iésti@a leuka# balo@ntev
Mhli@ou eèk po@ntou nu@kta dia# dnoferh@n.
aèntlei^n d è ouèk eèqe@lousin. uéperba@llei de# qa@lassa
aèmfote@rwn toi@cwn. hù ma@la tiv calepw^v
sw@izetai. oié d è eçrdousi. kubernh@thn me#n eòpausan
eèsqlo@n, oçtiv fulakh#n eiùcen eèpistame@nwv.
crh@mata d è aérpa@zousi bi@hi, ko@smov d è aèpo@lwlen,
dasmo#v d è ouèke@t è iòsov gi@netai eèv to# me@son.
forthgoi# d è aòrcousi, kakoi# d è aègaqw^n kaqu@perqen.
deimai@nw, mh@ pwv nau^n kata# ku^ma pi@hi.
tau^ta@ moi hèini@cqw kekrumme@na toi^s è aègaqoi^sin.
ginw@skoi d è aòn tiv kai# kako@n, aàn sofo#v hùi.

Se fossi ricco come un tempo, Simonide,


non proverei tormento in mezzo ai nobili.
Ormai quello che io so non conta, mi fa muto
la povertà: eppure lo vedo – meglio di altri –
che oggi andiamo alla deriva, le vele bianche
abbassate, al largo di Melo, nella notte oscura.
Non vogliono svuotare la stiva, ma le onde
passano le murate: è in pericolo
la vita, così. Il pilota – esperto
e sempre attento – l’hanno cacciato via;
violenti, rubano ogni cosa; non c’è più ordine,
26
L’attribuzione a Eveno di questi come di altri versi teognidei indirizzati a un
certo Simonide è accolta nell’edizione degli Iambi et Elegi Graeci ante Alexandrum
cantati di M. West. Per gli estremi del problema, con bibliografia, cfr. K. Bielohlawek,
Precettistica conviviale e simposiale nei poeti greci (da Omero fino alla silloge teognidea e a
Crizia), in M. Vetta, Poesia e simposio nella Grecia antica. Guida storica e critica, Roma-
Bari 19952, pp. 97-116, in part. 109 ss. Per un ampio profilo di questo poeta, cfr. A.
Garzya, Studi sulla lirica greca. Da Alcmane al primo impero, Messina-Firenze 1963, pp.
75-89. La traduzione del v. 682 presuppone kako@v per kako@n (Brunck).
Dove Odisseo smarrì la via di casa 83

non si fanno più le parti.


Comandano i facchini, il vile atterra il nobile:
la nave affonderà nei flutti – è il mio timore.
Questo il mio nascosto enigma ai nobili:
ma anche l’umile, se non è sciocco, lo capisce. (667-682)

L’elegia è ricca di problemi e spunti interessanti, ed è probabilmente


un modello fondamentale per la famosa pagina della Repubblica in cui
anche Platone si misura con l’illustre tradizione allegorica della nave-
stato27. Qui mi interessa però un particolare: la scena della tempesta so-
no le acque al largo di Melo. Wilamowitz osservava che un simile ri-
ferimento geografico non è affatto usuale, ma «nasconde qualcosa di
specifico»28. Sì, ma che cosa?
Melo è l’ultima delle isole Cicladi in direzione sud-ovest, e come
abbiamo visto fonti più tarde testimoniano che era un porto di scalo
usuale prima di affrontare il non lontano Malea29. Una volta doppiato
il capo, infatti, la tempesta e il temuto vento di Borea potevano scorag-
giare ogni tentativo di contrastare la corrente, costringendo la nave ad
ammainare le vele e sospingendola indefinitamente a sud verso l’ignoto
e la notte, perché Melo era l’ultimo approdo utile. Le tempeste del ca-
po Malea potevano allora risultare fatali, e qui – come sottolinea Virgilio
– occorreva un’eccezionale abilità marinara per non fare naufragio o
rischiare di trovarsi a Creta se non in Africa30. Proprio questa, secondo
la mia ipotesi, è la situazione in cui si trovano i naviganti evocati da
Eveno: l’associazione di idee doveva essere ovvia per il pubblico del
poeta cicladico, che forse era portato a sovrapporre lo scomposto am-

27
Plat. Resp. 488a-489a. Mi propongo di chiarire altrove l’influenza profonda
esercitata da Eveno su questo e altri luoghi platonici.
28
«Theognis 672 redet der Dichter in einer Rätselrede von einem Fahrt durch
den Mh@liov po@ntov: darin verbirgt sich etwas bestimmtes, denn die melische See ist
kein gewöhnlicher geographischer Begriff». U. von Wilamowitz-Moellendorff
(hrsg.), Euripides, Herakles, ad 639.
29
Come ho potuto costatare di persona, il Malea e Melo sono reciprocamente
visibili quando il cielo è terso.
30
Che proprio questo fosse il rischio per chi affrontava Malea provenendo da
nord è dimostrabile sulla base di testimonianze marittime moderne. Cfr. V. Berard,
Les Navigations d’Ulysse, vol. III, Calypso et la mer de l’Atlantide, Paris 1929, p. 16 ss.
84 Andrea Capra

mutinamento di questi marinai alla ribellione e al disordine dei «pazzi


compagni» di Odisseo, responsabili nel poema omerico del naufragio
della flotta. I pericoli del Malea erano al tempo stesso un’ovvia realtà e
un famoso topos letterario, e potevano quindi essere facilmente
sottointesi: così sembra fare Eveno di Paro, e così farà Virgilio, che pe-
rò sentì il bisogno di svelare nel corso del poema l’allusione marinara,
forse non così immediata per un pubblico certo meno avvezzo al pae-
saggio cicladico.

Malea, porta di passaggio verso il soprannaturale

Sin qui abbiamo osservato l’affermarsi di un topos letterario che


ha certamente le sue radici nell’Odissea; resta ora da vedere, con maggior
precisione, quale ruolo il Capo Malea giochi nel poema omerico. Il ca-
po è nominato quattro volte. Lasciamo da parte l’ultima, meno interes-
sante, che è inserita in uno dei finti racconti «cretesi» e riguarda un
episodio inventato del viaggio di andata verso Troia, secondo il quale
Odisseo sarebbe stato sospinto da Malea a Creta, e qui avrebbe ricevuto
ospitalità e splendidi doni31. Ben più rilevanti le prime due menzioni
nei canti III e IV, dove si parla delle tempeste che travolsero Menelao
e Agamennone. Menelao è sospinto contro volere in Egitto, dove però
riuscirà ad accumulare ricchezze e soprattutto avrà la ventura di catturare
e interrogare Proteo, il Vecchio del Mare, che gli farà rivelazioni fonda-
mentali per il suo ritorno in patria e gli predirà una fine lontano da
casa, nella pianura Elisia. Agamennone, invece, nonostante la tempesta
riesce subito a raggiungere la patria, ma qui trova la morte per mano di
Egisto. Quel che pare bene, insomma, paradossalmente si rovescia in
un male, e viceversa, perché alla fine la tempesta di Malea farà la for-
tuna di Menelao.
Su questo sfondo si proietta l’avventura di Odisseo: dopo l’episodio
dei Ciconi, la flotta viene colpita da una tempesta che dura due giorni
e due notti, finché – doppiato capo Malea e spinti dai venti per altri
nove giorni – Odisseo e i compagni improvvisamente si trovano in un

31
Od. 19.187.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 85

regno fiabesco sconosciuto tanto all’Iliade quanto alla prima parte del
suo viaggio di ritorno, che si muove su binari del tutto realistici:

kai@ nu@ ken aèskhqh#v iéko@mhn eèv patri@da gai^an,


aèlla@ me ku^ma réo@ov te perigna@mptonta Ma@leian
kai# bore@hv aèpe@wse, pare@plagxen de# Kuqh@rwn.
eònqen d è eènnh^mar fero@mhn oèlooi^s èaène@moisi
po@nton eèp è iècquo@enta. aèta#r deka@thj eèpe@bhmen
gai@hv Lwtofa@gwn, oiç t è aònqinon eiùdar eòdousin.

E ormai sano e salvo giungevo nella terra dei padri.


Ma doppiando il Malea, la corrente, le onde,
e Borea mi deviarono, m’allontanarono oltre Citera.
Per nove giorni fui trascinato da venti funesti
sul mare pescoso: al decimo arrivammo
alla terra dei Mangiatori di loto, che mangiano cibi di fiori.
(IX 79-84)

Proprio da qui cominciano le avventure «magiche» di Odisseo,


certo la parte più celebre del poema. Abbastanza di recente, gli studiosi
hanno chiarito che il loro succedersi non è affatto casuale, ma risponde
a una stupefacente simmetria compositiva che è bene illustrare con l’a-
iuto di uno schema, proposto alla pagina seguente.
Come si vede, le avventure magiche di Odisseo, in una geografia
improvvisamente immaginaria32, sono inquadrate da due tempeste che
diremmo simboliche, precedute e seguite da un episodio di raccordo e
32
Com’è noto, fin dall’antichità i lettori di ogni epoca si sono cimentati nell’impresa
di identificare i luoghi delle avventure di Odisseo, con i risultati più disparati, fino
ai recenti approdi nel Baltico. Ma qualunque sia il modello geografico che ‘Omero’
aveva in mente, il fatto ineludibile è che i toponimi omerici, doppiato il Malea e fino
ai Feaci, sono fantastici. Di conseguenza, l’unico punto di riferimento davvero concreto
sono i venti e le costellazioni menzionati da Omero, e in questo senso le identificazioni
proposte dagli antichi, basate su leggende locali ed esperienza marinara, appaiono
spesso più ‘plausibili’ di quelle dei moderni. Cfr. p.e. S. ALEXIOU, èApo@ to@n ko@smo tou^
é mh@rou. Qru@lov kai@ aèlh@qeia sth@ gewgrafi@a th^v Odussei@av, in «NEA ESTIA» 1807
O
(2008), pp. 64-81, che ricostruisce – attribuendolo già a Omero – un modello
geografico basato sulle menzioni di venti e costellazioni, e dunque assai vicino –
non per caso – alle identificazioni antiche.
86 Andrea Capra
Dove Odisseo smarrì la via di casa 87

quindi dal luogo di partenza (Troia) e dalla meta di arrivo (Itaca). All’in-
terno di questa sorta di «cordone sanitario», dopo la prima tempesta
che si scatena a capo Malea, le avventure sono organizzate in una strut-
tura molto compatta33. Esse rientrano tutte in tre tipi ben definiti. Cir-
ce, Calipso, Lotofagi e Sirene cercano di trattenere Odisseo attraverso
forme varie di seduzione: ecco dunque la categoria delle tentazioni, tut-
te volte a indurre l’oblio del ritorno. Ciclopi, Lestrigoni, Scilla e Cariddi
attaccano fisicamente e cercano di mangiare Odisseo, e formano dunque
la categoria delle aggressioni antropofagiche. Negli episodi dell’otre e di
Trinachia non ci sono pericoli esterni, ma i compagni approfittano del
sonno di Odisseo per commettere un’infrazione (aprono l’otre dei venti
e sgozzano le vacche del Sole), e configurano quindi la categoria dei ta-
bù infranti. In entrambi i casi l’infrazione impedisce a Odisseo di arrivare
a Itaca e lo costringono a riprendere a ritroso il suo cammino attraverso
aggressioni e tentazioni, modellando così la mirabile simmetria delle
sue avventure. Come si vede dallo schema, le tre categorie di episodi
sono disposte in una forma perfettamente simmetrica, che ruota attorno
all’episodio degli Inferi.
Il passaggio a Malea, dunque, proietta Odisseo in un mondo go-
vernato da una ferrea logica del simbolo. In questo contesto, l’episodio
dell’Ade, come si vede, non rientra in nessuna delle categorie precedenti,
ma funge piuttosto da perno dell’intera sequenza, e acquisisce così –
per la sua unicità e per la sua posizione centrale – uno straordinario ri-
lievo strutturale, che peraltro il poeta sottolinea con enfasi interrom-
pendo eccezionalmente la narrazione di Odisseo proprio a metà per-
corso34. Ora, Odisseo visita l’Ade con lo scopo dichiarato di interrogare
Tiresia e ricavarne informazioni essenziali sul suo ritorno35. In effetti,

33
Mi rifaccio qui alla nitida esposizione di M. Curti (a cura di), Omero, Odis-
sea, Libro XII, Bologna 1999, p. 13. Il merito di avere riconosciuto la struttura delle
avventure di Odisseo va a J.D. Niles, Patterning in the Wanderings of Odysseus, in
«Ramus» 7 (1978), pp. 46-60. La tesi è stata ripresa e sviluppata da G.W. Most, The
Structure and Function of Odysseus’ Apologoi, in «TAPhA» 119 (1989), pp. 15-30; cfr. ora
F. Ferrari, La fonte del cipresso bianco. Racconto e sapienza dall’Odissea alle lamine
misteriche, Torino 2007, capp. IV e V.
34
Od. 11.333 ss.
35
Od. 10.539-540.
88 Andrea Capra

Tiresia gli predirà le condizioni del ritorno, la situazione che regna


nella sua casa, e il modo della morte, che avverrà lontano dalla patria
fra popoli beati36.
La costruzione stessa dei racconti di Odisseo, come si è visto, ne
individua il centro e il perno nelle rivelazioni di Tiresia. Ora, come gli
studiosi non hanno mancato di riconoscere37, nell’Odissea la figura di
Tiresia presenta forti analogie con quella di Proteo, il Vecchio del
Mare, autore di profezie a beneficio di Menelao. Tali analogie, rese fra
l’altro più evidenti dalla ripresa identica di due versi38, si possono così
schematizzare, sia dal punto di vista degli eroi erranti (Meneleao e
Odisseo) che da quello dei rispettivi «aiutanti» profetici (Proteo e Tiresia):

– Sia Menelao che Odisseo hanno bisogno di una rivelazione che riguarda il
loro ritorno in patria.
– Sia Menelao che Odisseo apprendono un analogo rituale da una divinità
femminile (Eidotea e Circe).
– Sia Proteo che Tiresia devono essere indotti alla rivelazione attraverso un
complesso rituale.
– Sia Proteo che Tiresia rivelano le condizioni del ritorno, in particolare come
vincere l’ira divina.
– Sia Proteo che Tiresia predicono agli eroi una fine lontano dalla patria,
circondati da genti beate.
– Sia Proteo che Tiresia rivelano agli eroi la difficile situazione che troveranno
in patria.

Infine, un elemento centrale del discorso di Proteo riguarda la tri-


ste fine di Agamennone e di altri protagonisti della guerra di Troia. Eb-

36
Od. 11.100 ss.
37
Cfr. A. Heubeck (a cura di), Omero, Odissea, III, Milano 1983, p. 256, ad 539-
40. Le considerazioni e la bibliografia qui proposte vanno integrate con il celebre
libro di A.B. Lord, The Singer of Tales, New York 1965, che più di altri ha messo in
luce le analogie tra le vicende di Odisseo e Menelao, nonché con il prezioso contributo
di B.B. Powell, Narrative Pattern in the Homeric Tale of Menelaus, in «TAPhA» 101
(1970), pp. 419-431, il quale riprende analiticamente le osservazioni di Lord fino a
mettere in luce una rete di analogie fittissima (compendiata nella tabella di p. 431
in ben 11 fra punti e sottopunti).
38
Od. 4.389-90 = 11.539-40.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 89

bene, queste vicende non le troviamo narrate da Tiresia, per la semplice


ragione che Odisseo nell’Ade incontra direttamente i protagonisti, e in
particolare Agamennone, che gli racconta in prima persona le sue scia-
gure con accenti molto simili a quelli che troviamo nel discorso di Pro-
teo39.
Ho lasciato per ultima l’analogia che più mi interessa: in ultima
analisi, le rivelazioni offerte a Menelao e Odisseo sono rese entrambe
possibili dalla fatale tempesta di capo Malea, che li proietta improv-
visamente in mondi lontani e misteriosi. Tali rivelazioni sono il coro-
namento di un percorso di sofferenza e dolore, ma si rivelano fonte di
salvezza e prosperità, se è vero che entrambi gli eroi tornano in patria
carichi di ricchezze. Al contrario, Agamennone supera indenne capo
Malea, però – privo com’è di quella conoscenza che solo una rivelazione
avrebbe potuto offrirgli – giunge in patria ignaro e va incontro a una
fine atroce. La sua vicenda tragica, evocata con grande enfasi nel corso
delle rivelazioni offerte a Menelao e Odisseo, funge così da sfondo di
contrasto per l’esperienza di questi eroi, che sopravvivono tenacemente
assicurandosi una vecchiaia sicura in un mondo ormai vagamente
crepuscolare40. Ma sarà casuale questo nesso fra il Malea e il sopranna-
turale, che si manifesta nella rivelazione di una divinità collocata in un
mondo altro? Io credo di no, sulla base di elementi a carattere sia let-
terario che cultuale.
Un primo indizio viene dalla vicenda degli Argonauti narrata da
Erodoto: dopo essere incappati nella tempesta di capo Malea, gli eroi
otterranno una rivelazione, decisiva per il loro ritorno, da Tritone, una
divinità marina in qualche modo affine a Proteo41. Ancora nell’Oreste di
39
Per ulteriori analogie, cfr. Powell, Narrative Pattern.
40
I nostoi riusciti sono in certo modo un ponte fra il mondo dei semidèi e il
presente degli uomini: cfr. p.e. B. Graziosi - J. Haubold, Homer: The Resonance of
Epic, London 2005. Il carattere speculare delle vicende di Agamennone e Menelao
è consapevolmente riproposto da Eschilo nell’Agamennone: cfr. N. Stanchi, La presenza
assente. L’attesa del personaggio fuori scena nella tragedia greca, Milano 2007, p. 65 ss.
41
La rivelazione offerta da un dio metamorfico in vista di un viaggio verso
terre remote pare essere un motivo folklorico ricorrente, trattato con ogni probabilità
anche nella Gerioneide di Stesicoro. Cfr. C. Brillante, Un frammento della Gerioneide
di Stesicoro, in «QUCC» 41 (1982), pp. 17-20. Inoltre M. Davies, attraverso un ricorso
molto ampio a materiali comparativi, suggerisce che anche quella trattata nella Ge-
90 Andrea Capra

Euripide, del resto, Menelao riceve la profezia di Glauco «mentre ac-


costava la prora al capo Malea»42, e nell’Eneide – non diversamente –
Enea riceve la profezia dell’Arpia Celeno nelle Strofadi, ossia – lo ab-
biamo visto – subito dopo aver superato capo Malea. Questa tradizione
sembra poi ripresa anche da autori più tardi: Apollonio di Tiana, nel
racconto di Flavio Filostrato, riceve a Malea un sogno profetico (ovvia-
mente veritiero!), e un episodio non dissimile è raccontato anche nelle
Etiopiche, il romanzo di Eliodoro che per più versi esibisce una matrice
odissiaca43.
Al di là delle fonti letterarie, una conferma più importante è forse
offerta dal culto e dal mito. Se si escludono malcerti riferimenti a Pan
e ai Centauri, le uniche figure del mito che hanno un chiaro legame
cultuale con il capo Malea sono Apollo e Sileno44. A Malea era venerato
un Apollo Lithesios o della pietra, collocato sulla roccia, al quale era de-
dicata una speciale festa, i Litheia45. Per quanto riguarda Sileno, Pausania
ricorda una tradizione che lo vedeva nato e cresciuto a Malea46, e in
proposito riporta due versi di Pindaro:

oé zamenh#v d è oé coroitu@pov,
o°n Male@av oòrov eòqreye, Nai_dov aèkoi@tav Silhno@v

Il potente, il danzatore, che il monte di Malea


allevò, lo sposo di Naide, Sileno. (fr. 156 Sn.-Maehl.).

Al Sileno di Malea era pure dedicata una festa allietata da danze


satiresche47.

rioneide fosse una storia originariamente imperniata su un viaggio nell’aldilà: cfr.


Stesichorus’ Geryoneis and Its Folk-Tale Origins, in «CQ» 38 (1988), pp. 277-290.
42
Eur. Or. 362.
43
Flav. Phil. Vit. Apollon. 4.34; Heliod. 4.16.7.
44
RE XIV, s.v. Malea, cc. 863-865.
45
Steph. Byz. s.v. Liqh@siov. Per il sicuro nesso di Apollo Maleata con il
toponimo Malea, malgrado una diversa interpretazione di Isillo di Epidauro e le
speculazioni di qualche moderno, cfr. U. von Wilamowitz-Moellendorff, Der
Glaube der Hellenen, I, Berlin 1931, p. 393 ss.
46
Paus. 3.25.
47
Poll. 4.104.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 91

Ora, Sileno e Apollo sono entrambe divinità fortemente connesse


alla sfera della profezia e della rivelazione. Inutile diffondersi sugli ora-
coli di Delfi, ma vale la pena di ricordare la vicenda narrata nell’inno
omerico ad Apollo48. Dopo avere stabilito la sua sede a Delfi, Apollo
vede dall’alto una nave che si dirige da Creta a Pilo. Improvvisamente,
il dio si manifesta ai marinai nelle forme di un delfino che balza sul
ponte della nave e non si lascia avvicinare. Subito dopo, la nave giunge
a Capo Malea e al Tenaro, e i marinai si accorgono che essa procede da
sola come per magia. La nave li porterà a Delfi, e quei marinai diven-
teranno i primi sacerdoti di Delfi, preposti alle rivelazioni dell’oracolo.
Veniamo ora a Sileno: figlio di Ermes o di Pan, Sileno è un vecchio sa-
tiro dotato di grande saggezza, saggezza che però – pur nelle diverse
varianti del mito – egli rivela soltanto dopo essere stato catturato nel
sonno e quindi liberato. Ebbene, anche Menelao riesce a estorcere la
rivelazione che gli interessa solo dopo aver catturato nel sonno e quindi
liberato il Vecchio del Mare. Quest’ultimo, in certo modo, è chiaramente
un doppio della figura di Sileno, e il suo legame con Capo Malea si ri-
vela dunque strutturale, certo non dovuto al caso. Il culto di Apollo e
Sileno a Malea è dunque strettamente legato al concetto di rivelazione,
e si può perciò concludere che il ruolo giocato dal Malea nell’Odissea
e oltre deve essere messo in relazione con questa realtà cultuale.

Suggestioni di epoche successive

Il Capo Malea ha dunque la funzione di un pericoloso luogo di


passaggio, una porta – si direbbe – che si apre sull’ignoto, la profezia
e l’oltremondo, come premessa di morte o salvazione. Questo ruolo,
attivo nella costruzione poetica dell’Odissea e nei culti di Apollo e Si-
leno, è certamente ispirato dalla natura selvaggia e misteriosa del luogo
e delle sue tempeste.
Leggiamo in proposito l’affascinante descrizione di un viaggiatore
moderno49:
48
387 ss.
49
G. Larroumet, Vers Athènes et Jérusalem, Paris 1898, p. 172, citato in Baladié,
Le Péloponnèse, pp. 263-264 (corsivi miei).
92 Andrea Capra

Le 16 [septembre 1897], nous longeons les côtes du Péloponnèse


jusqu’au cap Malée... Les côtes sont abruptes et nues, sans arbres, à
peine voilées d’une végétation courte et roussie. Des villages blancs
s’éparpillent aux plis des gorges. Mais la fête de lumière est mer-
veilleuse sur la terre changeante et la mer moirée. La côte de Cy-
thère s’allonge avec la majesté d’un double fronton et le cap Malée
se dresse, haut, massif et robuste comme une énorme tour. A la
pointe même du cap, tandis que souffle, comme par une porte brusque-
ment ouverte, le vent du nord, le Vorias, si redouté des anciens, et
que la sirène du navire demande inutilement la bénédiction de l’er-
mite, absent ou mort, le soleil couchant étend sur cette porte de la
mer Egée un manteau triomphal de pourpre changeante.

Il 16 settembre 1897 navighiamo lungo le coste del Peloponneso


fino al capo Malea... Le coste sono nude e scoscese, senza alberi,
appena velate di una vegetazione corta e bruciata. Villaggi bianchi
sono sparpagliati nelle pieghe delle gole. Ma la festa di luce è
meravigliosa sulla terra e il mare dalle tinte cangianti. La costa di
Citera si allunga con la maestà di un duplice frontone e il capo
Malea si leva alto, massicio e robusto come un’enorme torre.
Proprio sulla punta del capo, mentre – come da una porta aperta
bruscamente – soffia il vento del nord, il Borea, così temuto dagli
antichi, e mentre la sirena della nave domanda inutilmente la
benedizione dell’eremita, assente o morto, il sole stende su questa
porta del mar Egeo un manto trionfale di porpora cangiante.

L’idea del capo come di una porta misteriosa parrebbe dunque


suggerita anzitutto dalla natura dei luoghi, e quest’idea fondamentale –
si direbbe – è stata poi elaborata nella poesia e nel culto dell’antica
Grecia nei modi che abbiamo visto. Sarebbe interessante sapere se
Malea continuò a essere percepito e immaginato in termini simili anche
in epoche successive, vuoi per una rinnovata ispirazione del paesaggio
vuoi per una sotterranea continuità culturale. Si esce qui del tutto dalle
mie competenze, e mi limiterò quindi ad alcune notizie in cui mi sono
imbattuto quasi per caso, ma che mi sono parse cariche di suggestione.
Ci spostiamo anzitutto nel IV secolo dopo Cristo, nell’atmosfera
mistica che pervade le Argonautiche Orfiche, il poemetto che ripercorre
dal punto di vista di Orfeo le vicende della nave Argo e degli eroi che
Dove Odisseo smarrì la via di casa 93

vi si imbarcarono. Il poeta per molti versi sunteggia il racconto di Apol-


lonio Rodio, ma al tempo stesso parrebbe rimodellare a modo suo al-
cuni elementi dell’epica omerica50, fra cui anche il Malea:

th@n to@t è eèpoiktei@rousa proshu@dane kai# fa@to Ki@rkh.


«Wù deilh#, ti@ nu@ toi toi@hn Ku@priv wòpase moi^ran;
Ouè ga@r toi lela@qesqe, açper rée@xantev içkesqe
nh^son eèf è hémete@rhn panetw@sion ouçneka patro@v
ghraiou^ ka@sio@v te, to#n eèkpa@glwv. oèle@santev

<. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .>

Ouède# ga#r uòmme pa@trhjsin oiòomai aùsson iéke@sqai,


me@sf è oçtan eèkni@yhsqe mu@sov qei@oisi kaqarmoi^v
èOrfe@wv ièdmosu@nhjsi para# kroka@loisi Malei@hv,
aièe#n aènagni@stoisin aèlitrosu@naiv aèke@ontev.

Circe, presa da pietà, rivolse a Medea queste parole:


«O sventurata, perché mai Cipride t’ha assegnato un tale destino?
So bene cosa avete compiuto verso il vecchio padre e il fratello
[orribilmente
ucciso prima di giungere invano alla mia isola

. . . . . . . . . . . . . . . . . <lacuna> . . . . . . . . . . . . . . . . .

Perché non credo che potrete avvicinarvi alla vostra patria


fino a quando presso le spiagge di Malea non avrete lavato
[l’infamia
compiendo sacre purificazioni grazie alla scienza di Orfeo
sempre serbando il silenzio per le vostre sacrileghe scelleratezze.
(1225-1231)

50
Oggi si comincia a riconoscere a questo poemetto – incerto nella versifica-
zione ma ben inserito nella tradizione epica – una notevole consapevolezza letteraria
(in particolare una netta matrice odissiaca) e una maggiore autonomia dal modello
ellenistico, attraverso il ricorso a fonti precedenti ad Apollonio Rodio. Cfr. rispet-
tivamente R. Hunter, Generic Consciousness in the Orphic Argonautica?, in M. Paschalis
(ed.), Roman and Greek Imperial Epic, Herakleion 2005, pp. 149-168; D.P. Nelis, The
Reading of Orpheus: The Orphic Argonautica and the Epic Tradition, ivi, pp. 69-189.
94 Andrea Capra

Se nell’Odissea Circe dà istruzioni a Ulisse per raggiungere l’Ade e


trovarvi la chiave del ritorno, ora la maga indirizza gli Argonauti proprio
al Capo Malea, dove dovrà compiersi un necessario rito di purificazione
che aprirà ai naviganti la via del ritorno. Capo Malea, dunque, sostituisce
addirittura l’Ade come passaggio cruciale sulla via di casa. In effetti il
poema si conclude proprio a Capo Malea: dopo un sacrificio offerto in
loco a Posidone, Orfeo, l’io narrante del poema, accenna al ritorno de-
gli eroi e a una sua sosta a capo Tenaro, ove compie, prima di riguada-
gnare la patria, sacrifici per i sovrani che «tengono le chiavi degli abissi
infernali»51. Se dunque nell’Odissea rappresentava la porta di ingresso
nel mondo del simbolo e del favoloso, ecco che nelle Argonautiche Or-
fiche il Malea offre invece la via d’uscita52.
Il ruolo di Capo Malea come luogo di purificazione e passaggio è
interessante in vista della storia successiva della zona. A quanto pare, il
capo divenne presto luogo di eremitaggio e monachesimo, tanto da
meritarsi il nome popolare di «Piccolo Monte Santo» o anche «Quaranta
santi». Sopravvivono ancora oggi due cappelle dedicate a San Giorgio
e a una Sant’Irene «Kavomalùsa», che presentano anche affreschi molto
rovinati – ai santi mancano gli occhi, tipico sfregio che si attribuisce ai
Turchi. La più antica è San Giorgio, risalente al XIV secolo e costruita
sui resti di un tempio precedente, ha fra l’altro inglobato un capitello
ionico che potrebbe risalire al santuario di Apollo53. La presenza di
eremiti e monaci è inoltre confermata dai resoconti di alcuni pellegrini
diretti in Terra Santa, che attestano fra l’altro l’esistenza di un sacello
dedicato a San Michele Arcangelo54. Veniamo qui alla seconda notizia,
questa volta dai confini cronologici incerti55. Da un certo momento in

51
Vv. 1363 ss.
52
Cfr. F. Vian (éd.), Les Argonautiques Orphiques, Paris 1987, p. 44.
53
Notizie storiche, descrizioni, fotografie e planimetrie in T.K. ARBANITHS,
Odoiporiko@ sta monasth@ria kai tiv ekklhsi@ev tou Mikrou@ Agi@ou O @ rouv, Nea@polh
2005.
54
L’esistenza del quale è p.e. registrata nel Bahriye, un manuale di navigazione
ottomano del 1525. Cfr. P. Wittek, The Castle of Violets: From Greek ‘Monemvasia’ to
Turkish ‘Menekshe’, in «Bulletin of the School of Oriental and African Studies» 20
(1957), pp. 601-613 (in part. p. 611).
55
Cfr. Wace - Hasluck, Laconia, pp. 172-173.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 95

poi, forse a partire dal XII secolo56, il Capo Malea venne chiamato Ca-
po Sant’Angelo o anche – più tardi – Ali di San Michele, nome con cui
figura per esempio nella carta settecentesca disegnata per la Repubblica
di Venezia da Vincenzo Coronelli57, e questo stesso nome in versione
francese è registrato nell’Enciclopedia per eccellenza, quella di Diderot
e D’Alembert58.
Queste denominazioni «angeliche», che convivevano con il nome
antico59, parrebbero collegate a una leggenda diffusa nel folklore forse
da molti secoli, come mi è capitato di leggere nella descrizione topo-
grafica della Laconia redatta dalla British School of Athens ai primi del
’90060, nonché in un piccolo libro su Monemvasia pubblicato ad Atene
nel 1995, che potrebbe però dipendere dal primo61. Lascio la parola a
un pellegrino di lingua germanica del XV secolo che riporta la leggenda
con poche e scarne parole:

Die Leut umb diesen Berg wenen dass so S. Michael sein Flugel in
diesen Ecke erschwinge, so werden die Winde beweget und damit die
Schiffe vertrieben 62.

La gente che abita intorno a questa montagna dice che S. Michele


in questi angoli agitasse le ali in tal modo che i venti ne erano
mossi e quindi le navi disperse.
56
Ibidem.
57
Cfr. E. Armao, In giro per il mar Egeo con Vincenzo Coronelli. Note di topologia,
toponomastica e storia medievali, dinasti e famiglie italiane in levante, Firenze 1951, p. 325.
58
S.v. Malée.
59
Il Bahriye (cfr. Wittek, The Castle of Violets, p. 609), per esempio, riporta sia
la denominazione di «Santa Anjilo» sia quella di «Quavo Maliya», che già denuncia
la forma demotica moderna di Ka@bo Malia@. L’odierno nome di Malea non sembra
quindi un recupero colto, ma fa pensare piuttosto a una continuità con il nome
antico.
60
Wace-Hasluck, Laconia, p. 173.
61
E. Emke, Ekdrome@v apo@ th Monembasi@a, Aqh@na 1995, p. 85.
62
P. 208 di Bernhard von Breydenbach, Beschreibung der Reyse und Wallfahrt
Johann, Graff zu Solms, Herr zu Müntzenberg, &c. in Gesellschaft Herrn Bernharts von
Breitenbachund Herrn Philipsen von Bicken im Jahr nach Christi Geburt 1483 vollnbracht,
Gedruckt zu Franckfort am Mayn: durch Johann Feyerabendt, in Verlegung Sigmundt
Feyerabendts, 1584 (cfr. Wale-Hausluck, Laconia, p. 174, nt. 2).
96 Andrea Capra

Secondo i redattori della Topografia laconica, questa storia si


troverebbe spesso menzionata negli Itinerari dei pellegrini, ma finora
non mi è riuscito di trovare altre versioni.
Gli Itinerari formano una letteratura sterminata e notoriamente in-
fida, perché le notizie venivano di fatto spesso copiate da un testo al-
l’altro, ed è sempre difficile stabilire la veridicità o a maggior ragione
l’originalità delle notizie riportate63. Tuttavia, la coincidenza con la topo-
nomastica farebbe perlomeno credere che non si tratti dell’invenzione
estemporanea di un viaggiatore. La leggenda dovette avere come minimo
una certa diffusione: ma si tratterà di una leggenda locale, come sostiene
il pellegrino tedesco, oppure è un’invenzione dei viaggiatori occidentali,
solo successivamente diffusasi anche fra gli abitanti della regione di
Malea? Ci sarebbe da chiedersi se una leggenda del genere sia più a
suo agio nel mondo ortodosso o in quello occidentale, e non saprei da-
re una risposta, anche se alcuni elementi – però davvero labili – po-
trebbero corroborare la testimonianza del pellegrino.
È curiosa l’affinità della leggenda con un versetto del Vangelo se-
condo Giovanni assente nella migliore tradizione manoscritta, e quindi
generalmente spiegato come una posticcia «spiegazione popolare»64: le
acque della piscina di Betsada – riferisce lo (pseudo?) Giovanni –
hanno la proprietà di guarire qualunque malattia quando sono agitate
da un angelo che talora vi entra65. Di certo, lo stormire delle ali degli
angeli fra le acque è un motivo del folklore greco, e si trova in una can-
zone da ballo molto popolare nel Dodecanneso e quindi nelle Cicladi:

...mes ètou Aigai@ou ta nhsia@ ...fra le isole dell’Egeo


a@ggeloi fterougi@zoun aleggiano angeli
kai me@sa sto fterou@gisma@ touv e nel loro batter d’ali
trianta@fulla skorpi@zoun... spargono rose...

63
Cfr. p.e. F. Cardini, In Terrasanta. Pellegrini italiani tra Medioevo e prima età
moderna, Bologna 2002, in part. p. 186 ss.
64
P. Rossano (a cura di), Vangelo secondo Giovanni, Milano 1984, p. 45, nt. 3.
65
5.[4] (così nell’edizione curata da K. Aland - M. Black - C.M. Martini -
B.M. Metzger - A. Wikgren, The Greek New Testament, Stuttgart 19934: gli editori
non stampano a testo il versetto 4 del textus receptus).
Dove Odisseo smarrì la via di casa 97

Non saprei dire se questo motivo sia anche occidentale. In secondo


luogo, si possono ricordare i due più famosi luoghi di culto di San Mi-
chele, sul Gargano e a Mont Saint Michel au péril de mer in Francia,
entrambi ovviamente connessi con il mare nonché – almeno nel caso
del secondo – con i suoi pericoli. Ebbene, questi due culti sono sì col-
locati in occidente, ma a quanto pare risentono entrambi di forti influssi
greci, anche perché il culto di Michele nasce in Asia Minore per poi
spostarsi progressivamente verso ovest66. Infine, vale forse la pena di ri-
cordare un Arcangelo Michele psicopompo è ben presente nella Laconia
meridionale, per la precisione a capo Tenaro o Matapan, di fronte al
Malea. La tradizione è riportata da un importante studioso greco in un
libro del 1904 che registra per iscritto moltissime tradizioni popolari67:

oé Micah#l oé èArca@ggelov (Ma@nh)


Se# mia# sphlia# pou^ nè ai èv to#n Ka@bo Matapa^ katebai@nei pol-
lai^v forai^v oé Micah#l oé Arca@è ggelov kai# bgai@nei toi^v yucai^v
pou^ tou#v eèsucw@rese oé Qeo#v toi^v aémarti@aiv touv. òAlloi pa@li
le#n pw^v èv auèth# th# sphlia# me@noun bourko@lakev, kai# oé Micah#l
oé Arca@
è ggelov, oçtan parakalestou^n èv auèto#n oié aònqrwpoi, ph-
gai@nei kai# tou#v réhc
@ nei vè ta# Ta@rtara, gia# na glutw@shj to#n ko@smo.
L’Arcangelo Michele (Mani)
In una grotta che sta al capo Matapan discende molte volte
Michele l’Arcangelo e tira fuori le anime cui Dio ha perdonato
i loro peccati. Altri poi dicono che in questa grotta abitano
vampiri, e Michele l’Arcangelo, quando gli uomini si raccoman-
dano a lui, viene e li getta da lì nel Tartaro, per salvare il mondo.

Si osserva qui, con ogni probabilità, una continuità con il mondo


antico: qui era la porta dell’Ade, e uno psychopompeion pagano divenne
poi una cappella di Michele68.
66
Cfr. M.G. Mara, in Bibliotheca Sanctorum, vol. IX Roma 1967, s.v. Michele,
Arcangelo, santo, cc. 424 e 426
67
N.G. POLITHS, Parado@seiv, eèn Aqh@
è naiv 1904, p. 616. È questa l’unica tra-
dizione riportata nel libro di cui sia protagonista l’Arcangelo Michele.
68
Cfr. R.W.M. Schumacher, Three Related Sanctuaries of Poseidon: Geraistos,
Kalaureia and Tainaron, in N. Marinatos - T. Hägg (eds.), Greek Sanctuaries: New Ap-
proaches, London-New York 1993, pp. 62-87, in part. 73 s.
98 Andrea Capra

Naturalmente, ci sono poi le testimonianze orali e la letteratura


contemporanea. Basta salire su un traghetto fra Citera e Neapolis, non
lontano dal Capo, per ascoltare dai marinai ogni sorta di storia sul Ma-
lea69: oltre a quella sull’Arcangelo Michele, ve ne sono che raccontano
di una «grotta dell’acqua immortale» poi chiamata «dell’omicidio sel-
vaggio», perché in un imprecisato passato mitici marinai, avidi dell’acqua
miracolosa, si sarebbero scannati pur di poterne bere per primi70. Ancora
una volta morte e salvazione, dunque. Infine, un recente romanzo di
Eleni Saranditi, scrittrice originaria di Neapolis, è intitolato proprio Il
Capo di Sant’Angelo, e rievoca in più punti la nostra leggenda71. Continuità
o recupero colto? In casi come questo è sempre difficile dire, e ci vor-
rebbero comunque indagini sul campo ben più approfondite.
Se la leggenda fosse veramente greca, si potrebbe fare qualche ri-
flessione sulla presenza di San Michele al Malea, nel quadro di un fe-
nomeno assai vasto che interessa un po’ tutto il mondo greco: moltissimi
promontori e punti di passaggio del mediterraneo – minaccia e al tem-
po stesso punto di riferimento per marinai di ogni epoca – ebbero culti
pagani successivamente cristianizzati72. Resta da capire se e come i nuo-
vi culti si pongono in continuità con quelli pagani, una questione che natu-
ralmente andrà valutata caso per caso. Il culto di San Michele ha qualche
nesso con i miti e i santuari antichi del Malea? Ed eventualmente quale?

Angelo di morte e salvazione

In diversi luoghi del Mediterraneo, Michele appare in effetti come


una creatura preposta a luoghi scoscesi e desolati, spesso con la funzione

69
Alcune di queste storie sono riferite in A. KATSOULH-SUMEWNOGLOU, Ba@tika,
h patri@da mou, Aqh@na 2002, p. 65 ss. Cfr. anche H.C. CAIDEMENOU, O bra@cov, Aqh@na
1983, in part. p. 20 ss.
70
A. KARKABITSAS, Oié Frega@dev, nella raccolta Lo@gia th^v plw@rhv. Qalassina#
dihgh@mata, eèn èAqh@naiv 1899.
71
E. SARANTITH, O Ka@bov tou Agi@ou Agge@lou, Aqh@na 2000. Vd. in part. p. 135
ss., con una mescolanza di tradizioni popolari e citazioni colte.
72
Ampia panoramica in E. Churchill Semple, The Templed Promontories of the
Ancient Mediterranean, in «Geographical Review» 17 (1927), pp. 353-386.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 99

di offrire una comunicazione con l’oltremondo in veste di psicopompo73.


Più in generale, è notevole che nella cultura popolare tardo-bizantina
e neo-greca sia sopravvissuta la figura di Caronte (Charos), che però vie-
ne in qualche modo a fondersi con gli angeli della tradizione cristiana.
Così «il traghettatore infernale, Caronte, compare con le ali, esattamente
come un angelo», mentre in altri casi – come nei racconti sulla fine di
Digenis Akritas – la morte viene da un angelo di fuoco, che però ha
ben poco di cristiano e somiglia proprio all’infernale Caronte74. Più in
particolare, «l’immagine moderna di Caronte alato probabilmente deriva
in parte dalla fusione di Caronte con l’Arcangelo Michele, che rimonta
alla poesia vernacolare del tardo periodo bizantino»75. In queste figure
di angeli della morte sono ben riconoscibili «residui di concezioni
precristiane dell’oltretomba», nonché una «traccia di quella continuità
tra Grecia pagana e cristiana che fu forte anche tra gli strati inferiori
della popolazione bizantina»76.
Nella prospettiva sincretistica ora accennata, è notevole anche
una vicenda – in qualche modo di segno opposto – narrata nel V-VI se-
colo dal cronografo bizantino Giovanni Malalas77. La vicenda segue
immediatamente l’episodio famoso – perché ricordato da altre fonti –
della trasformazione di un culto per Rea in culto mariano, a seguito di
una profezia in cui Apollo stesso aveva preannunciato agli Argonauti
l’avvento della Vergine78. Su questo racconto si innesta immediatamente
73
Cfr. Mara, Michele, in part. cc. 432-433. Per la cultura popolare greca, cfr.
anche il capitolo aòggeloi yucopompoi@ in N.G. Polithv, Neoellhnikh# muqologi@a, eèn
èAqh@naiv 1874, pp. 302-325.
74
E.V. Maltese, Dimensioni bizantine. Donne, angeli e demoni nel medioevo greco,
Torino 1995, pp. 86-87.
75
M. Alexiou, The Ritual Lament in Greek Tradition, Lanham-Boulder-New
York-Oxford 2002, p. 216, nt. 7.
76
Maltese, Dimensioni, p. 87.
77
4.8.
78
Con variazioni, la vicenda è riportata p.e. da Giovanni di Antiochia (fr.
26.2, p. 62 Roberto) e Teodoro di Ancira (Oratio in S. Mariam Dei Genetricem, 14,
PO 19.3, 333-334 Jugie), né mancano testimonianze epigrafiche che permettono di
retrodatare la vicenda: l’oracolo di Apollo figura in un’iscrizione rinvenuta a Icaria
e risalente al V secolo (IG XII 6.2.1265). Tutto il materiale relativo a questa vicenda
sarà raccolto in uno studio di G. Agosti, di prossima pubblicazione (ed esposto in
anteprima nel corso di una conferenza tenuta a Milano il 17 gennaio 2008).
100 Andrea Capra

un episodio molto meno noto, legato al precedente da un palese rapporto


di analogia79. Racconta dunque Malalas che gli Argonauti, una volta
partiti dall’Ellesponto, cercavano di aprirsi il passaggio per il Mar Nero,
ma furono attaccati da Amico e quindi costretti a riparare in una baia
appartata. Qui ebbero una visione: una creatura celeste, dotata di ali
«come un’aquila», scese dal cielo e profetizzò loro la vittoria contro
Amico. Vinta la battaglia, gli Argonauti per ringraziamento eressero sul
luogo della visione una statua alata, e diedero nome di «Sosthenes»
(poi «Sosthenion», salvamento) al sacrario e al luogo stesso, grati per la
salvezza ricevuta. Più tardi l’imperatore Costantino, divenuto cristiano,
ravvisò nella statua una qualità angelica, ed ebbe a sua volta sogno ri-
velatore che gli permise di riconoscere in quella figura l’Arcangelo
Michele. Così l’imperatore ristrutturò e ridedicò il santuario all’Arcangelo
Michele, e nella tradizione successiva le sue vittorie contro Licinio, co-
stretto a ritirarsi oltre il passaggio del Bosforo, furono attribuite all’influs-
so diretto dell’Arcangelo, che gli si rivelò direttamente in prima persona80.
Lo scontro con Amico, nella forma di un incontro di pugilato
degenerato in rissa collettiva, figura anche in Apollonio Rodio81, come
premessa per il passaggio attraverso alle onde «vorticose» e «simili ad
altissimo monte» del Bosforo, che gli Argonauti superano grazie all’«abile
guida di Tifi», il pilota82. Del tutto nuova è invece la storia della visione
salvifica, che però riflette un effettivo gesto di riappropriazione cristiana
di un culto antico: la statua in questione, insieme al relativo santuario,
esisteva, e probabilmente raffigurava Attis83. Il culto di san Michele non
solo si riappropria di un precedente santuario, come avviene anche per

79
Nel secolo XIII-XIV il racconto sarà ripreso, con alcune varianti, nell’Historia
ecclesiastica di Costantino Callisto (7.50).
80
Ibidem.
81
Arg. 2.1ss. Cfr. Theocr. 22.7ss.
82
Arg., 2.164ss. Cfr. Theocr. 22.1ss., dove la descrizione di una tempesta marina
si chiude nella menzione della «bocca funesta del nevoso Ponto» superata dagli Ar-
gonauti.
83
Cfr. C. Mango, St. Michael and Attis, in «DChAE» 12 (1984), p. 58; J. Beaucamp,
Saint-Michel de Sosthenion ou les Argonautes et l’Archange, in B. Caseau - J.C. Cheynet
- V. Déroche (édd.), Pélerinages et lieux saints dans l’Antiquité et le Moyen Âge. Mélanges
offerts à Pierre Maraval, Paris 2006, pp. 13-23.
Dove Odisseo smarrì la via di casa 101

lo psychopompeion del Tenaro, ma si innesta direttamente sulla mitologia


marinara dei pagani, in questo caso la vicenda degli Argonauti, che
devono aprirsi la via del Bosforo. Di questo pericoloso passaggio San
Michele diventerà il guardiano, con un ruolo paragonabile a quello che
assunse a capo Malea, dove subentra – non diversamente, perché anche
qui un sacrario pagano si cristianizza – a un celebre topos della mitologia
marinara, passaggio di morte o salvazione, snodo di profezie. Con l’avven-
to del cristianesimo – si può credere – l’ambiguo ruolo di passaggio
«magico» del Malea si veste di forme nuove e si incarna nella figura di
San Michele, con le sue funzioni polari di salvatore o – al contrario –
di angelo della morte. Certo, una simile ipotesi rimane molto difficile
da verificare. Rimane però lo straordinario fascino della leggenda e la
speranza, con un po’ di fortuna e l’aiuto di persone più esperte, di tro-
vare nuovo materiale e, se possibile, resoconti più ampi di quello offerto
dal pellegrino tedesco.

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