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ARMANDO BISANTI
manna dell’Italia meridionale: secc. XI-XII, «Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto
di Bologna. Classe di Scienze morali. Rendiconti» 71, 1976/1977, 59-91; M. OLDONI,
Mentalità ed evoluzione della storiografia normanna fra l’XI e il XII secolo, in Ruggero il Gran
Conte e l’inizio dello stato normanno. Atti delle seconde Giornate Normanno-Sveve (Bari, 19-
21 maggio 1975), cur. G. Musca, Bari 1977, 143-178; N. CILENTO, La “coscienza del Regno”
nei cronisti meridionali, in Potere, società e popolo tra età normanna e sveva. Atti delle quinte
Giornate Normanno-Sveve (Bari - Conversano, 26-28 ottobre 1981), cur. G. Musca, Bari
1983, 165-184; P. DELOGU, Idee sulla regalità: l’eredità normanna, in Potere, società e popo-
lo, 185-214.
2 Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico francese, ed. V. De
Bartholomaeis, Roma 1935. Su di lui, per un primo approccio: W. SMIDT, Die Historia
Normannorum von Amatus. Eine Hauptquelle für die Geschichte der süditalienischen Politik
Papst Gregors VII, «Studi Gregoriani» 3, 1948, 173-231; A. LENTINI, Ricerche biografiche su
Amato da Montecassino, «Benedictina» 9, 1955, 183-196; A. LENTINI, Il ritmo Cives caele-
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Guiscardi Ducis fratris eius, ed. E. Pontieri, Bologna 1928. Si vedano: E. PONTIERI, Goffredo
Malaterra storico del Gran Conte Ruggero, in E. P., Tra i Normanni nell’Italia meridionale,
Napoli 1948, 211-282; E. D’ANGELO, Ritmica ed ecdotica nel testo di Goffredo Malaterra, in
Poesia dell’Alto Medioevo europeo. Manoscritti, lingua e musica dei ritmi latini, cur. F. Stella,
Firenze 2000, 383-394; E. D’ANGELO, Committenza artistica del conte Ruggero I, in Ruggero
I e la provincia melitana, cur. G. Occhiato Reggio Calabria 2001, 31-35; E. D’Angelo.
4 Della Ystoria Rogerii regis di Alessandro di Telese esiste un’edizione critica abbastan-
za recente: Alexandri Telesini Abbatis Ystoria Rogerii regis Sicilie Calabrie atque Apulie, ed.
L. De Nava, commento storico cur. D. Clementi, Roma 1991. La nuova ediz. approntata
dalla De Nava (di cui si veda anche Alessandro di Telese primo storiografo del Regnum Sicilie,
«Atti della Accademia Peloritana dei Pericolanti» 68, 1992, 123-129) ha tenuto ovviamen-
te conto dei capp. 6-10 del libro IV, fortunosamente trovati a Barcellona oltre un quaran-
tennio fa e pubblicati, per la prima volta, da D. CLEMENTI, Alexandri Telesini Ystoria sere-
nissimi Rogerii primi regis Sicilie, lib. IV, 6-10. Twelfth Century political Propaganda,
«Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano» 77,
1965, 105-126; cfr. A. MARONGIU, I capitoli ritrovati della Ystoria Serenissimi Rogerii di
Alessandro di Telese, in Atti del IV Congresso Storico Calabrese, Napoli 1969, 107-117. Sullo
scrittore e la sua opera esiste una buona bibliografia specifica: A. PAGANO, Alessandro di
Telese e la sua Historia de rebus gestis Rogerii Siciliae regis, in A. P., Studi di letteratura latina
medievale, Nicotera 1931, 134-176; E. PARATORE, Virgilio in Alessandro di Telese, in Studi
medievali in onore di Antonino De Stefano, Palermo 1956, 425-427; M. FUIANO, La fonda-
zione del “Regnum Siciliae” nella versione di Alessandro di Telese, «Papers of the British
School at Rome», 11, 1956, 65-77 (poi in M. F., Studi di storiografia medievale, Napoli
1960, 307-335); M. REICHENMILLER, Bisher unbekannte Traumerzählungen Alexanders von
Telese, «Deutsches Archiv» 19, 1963, 339-352; E. SIPIONE, Ipotesi sulla Vita di Ruggero II
dell’abate Alessandro di Telese, «Siculorum Gymnasium» 20, 1967, 227-285; OLDONI,
Realismo e dissidenza nella storiografia su Ruggero II: Falcone di Benevento e Alessandro di
Telese, in Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II. Atti delle III Giornate Normanno-
Sveve (Bari, 23-25 maggio 1977), cur. G. Musca, Bari 1979, 259-283 (ripreso, col titolo
Difesa della libertà ed esegesi del potere nella storiografia su Ruggero II, «Vichiana» 8, 1979,
94-127); C. LAVARRA, Spazio, tempi e gesti nell’Ystoria Rogerii di Alessandro di Telese,
«Quaderni Medievali» 35, 1993, 79-100; E. D’ANGELO, L’immagine del mondo classico
nell’Ystoria Rogerii regis di Alessandro di Telese, ne Gli Umanesimi medievali. Atti del II
Congresso dell’Internationales Mittellateinerkomitee (Firenze, 11-15 settembre 1993), cur. C.
Leonardi, Firenze 1998, 77-84.
5 Anche del Chronicon Beneventanum di Falcone esiste un’edizione critica recente:
Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum. Città e feudi nell’Italia dei Normanni, cur.
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COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
E. D’Angelo, Firenze 1998 (su cui, bene: F. DELLE DONNE, Coscienza urbana e storiografia
cittadina. A proposito del Chronicon di Falcone di Benevento, «Studi Storici» 40, 1999, 1127-
1141). Lo stesso D’Angelo ha fornito alcuni studi preparatori alla sua edizione: Studi sulla
tradizione del testo di Falcone di Beneventano, «Filologia Mediolatina» 1, 1994, 129-181;
Giuseppe Del Re’s “Critical” Edition of Falco of Benevento’s Chronicle, in Anglo-Norman
Studies. XVI, cur. M. Chibnall, Woodbridge 1994, 75-81; si vedano inoltre A. PAGANO, Di
Falcone Beneventano e della sua Cronaca, in A. P., Studi, 177-230; E. GERVASIO, Falcone
Beneventano e la sua Cronaca, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e
Archivio Muratoriano» 54, 1939, 1-129; G.A. LOUD, The Genesis and Context of the
Chronicle of Falco of Benevento, in Anglo-Norman Studies. XV, cur. M. Chibnall,
Woodbridge 1993, 177-193.
6 Buoni i profili delineati da VISCARDI, Le Origini, 131-133; e da BERTINI, Letteratura
latina medievale, 97-98; si vedano inoltre H. HOFFMANN, Hugo Falcandus und Romuald von
Salerno, «Deutsches Archiv» 23, 1967, 116-170 (in particolare 16-141); e D.J.A.
MATTHEW, The Chronicle of Romuald von Salerno, in The Writing of History in the Middle
Ages, cur. R.C.H. Davis - J.M. Wallace Hadrill, Oxford 1981, 239-274.
7 Hugonis Falcandi Liber de Regno Sicilie. Epistola ad Petrum Panormitane ecclesie the-
saurarium, ed. G.B. Siragusa, Roma 1897, 3-165 (Liber), 169-186 (Epistola). Si vedano: E.
BESTA, Il Liber de Regno Sicilie e la storia del diritto siculo, in Miscellanea di Archeologia,
Storia e Filologia dedicata al prof. A. Salinas nel XL anniversario del suo insegnamento,
Palermo 1907, 283-306; E. JAMISON, Admiral Eugenius of Sicily, his Life and Work and the
Authorship of the Epistola ad Petrum, and the Historia Hugonis Falcandi Siculi, London 1957,
177-191; FUIANO, Studi di storiografia medievale, 103-197; HOFFMANN, Hugo Falcandus und
Romuald von Salerno, 142-170; A. DE LELLIS, Il Liber de Regno Sicilie e la Epistola ad
Petrum del cosiddetto Ugo Falcando. Stato degli studi, «Archivio Storico Siciliano», 33, 1974
491-572; S. TRAMONTANA, Lettera a un tesoriere di Palermo sulla conquista sveva di Sicilia,
Palermo 1988; A. BISANTI, L’Epistola ad Petrum dello Pseudo-Falcando tra pubblicistica poli-
tica ed ars dictandi, «Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani» 16,
1990, 227-236; E. D’ANGELO, Intellettuali tra Normandia e Sicilia (per un identikit lettera-
rio del cosiddetto Ugo Falcando, in corso di stampa in Cultura cittadina e documentazione: for-
mazione e circolazione di modelli, cur. A.L. Trombetti Budriesi, Bologna, propone una
nuova teoria per quanto riguarda l’identificazione biografica del misterioso scrittore.
8 Cfr. M. CATALANO, La venuta dei Normanni in Sicilia nella poesia e nella leggenda,
Catania 1903; E. JORANSON, The Inception of the Career of the Normans in Italy. Legend and
History, «Speculum» 23, 1948, 353-396.
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Non tutti gli storici, cronisti e poeti che si sono occupati dell’argo-
mento hanno evidentemente palesato la medesima visione apertamente e
scopertamente filo-normanna degli avvenimenti e degli eventi mostrata da
un Amato di Montecassino o da un Goffredo Malaterra (si pensi, per
esempio, ad un Falcone di Benevento, che dipinge i Normanni a tinte
fosche e cupe, come belve sanguinarie e lussuriose)9, né tutti gli storici,
cronisti e poeti che, in un modo o nell’altro, hanno scritto sui Normanni
di Sicilia e dell’Italia meridionale, hanno trattato gli stessi argomenti
(Amato di Montecassino si è occupato prevalentemente dei fatti della
Campania; Guglielmo il Pugliese degli avvenimenti in Puglia e soprattut-
to delle figure di Roberto il Guiscardo e, in subordine, di suo fratello
Ruggero; Goffredo Malaterra della Sicilia, della Calabria e di Ruggero I;
Alessandro di Telese della figura di Ruggero II d’Altavilla; Falcone della
storia di Benevento nel più ampio contesto dell’Italia meridionale; Ugo
Falcando dell’epoca di Guglielmo I e della reggenza di Margherita di
Navarra), in una produzione storico-letteraria molto vasta e varia, i cui
prodromi possono essere individuati nelle più antiche fonti (spesso bizan-
tine, ma anche mediolatine)10 che ci hanno trasmesso notizie sulla fine
9 Cfr. BERTINI, Letteratura latina medievale, 96.
10 Accenni più o meno puntuali alla conclusione della dominazione musulmana e
bizantina nell’Italia meridionale e all’arrivo dei Normanni in quella zona del Mediterraneo
sono forniti da innumerevoli cronisti bizantini e mediolatini della fine dell’XI secolo: si
vedano, in generale, M. MATHIEU, La Sicile Normande dans la poésie byzantine, «Bollettino
del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani» 2, 1954, 5-37; A. GUILLOU, Grecs
d’Italie du Sud et de Sicile au Moyen Age, «Mélanges d’Archéologie et d’Histoire» 85, 1963,
79-110; M. GALLINA, Il Mezzogiorno normanno-svevo visto da bisanzio, ne Il Mezzogiorno nor-
manno-svevo visto dall’Europa e dal mondo mediterraneo. Atti delle XIII Giornate normanno-
sveve (Bari, 21-24 ottobre 1997), cur. G. Musca, Bari 1999, 197-223; e soprattutto F.
BURGARELLA, I Normanni nella storiografia bizantina, in Miscellanea di Studi Storici
[Università della Calabria], Cosenza 1981, 103-122; F. BURGARELLA, Echi delle vicende nor-
manne nella storiografia bizantina dell’XI secolo, in Categorie linguistiche e concettuali della sto-
riografia bizantina. Atti della Quinta Giornata di studi bizantini (Napoli, 23-24 aprile 1998),
cur. U. Criscuolo - R. Maisano, Napoli 2000, 177-231; e S. CARUSO, Politica “gregoriana”,
latinizzazione della religiosità bizantina in Italia meridionale, isole di resistenza greca nel
Mezzogiorno d’Italia tra XI e XII secolo, in Cristianità d’Occidente e cristianità d’Oriente (seco-
li VI-XI), Spoleto 2004, I 463-541 (in particolare 464-470); S. CARUSO, La Sicilia nelle fonti
storiografiche bizantine (IX-XI sec.), in ?????????.?Studi in onore di Rosario Anastasi, II,
Napoli 1994, 41-87). Cecaumeno, che scrive il suo Strategikon fra il 1071 ed il 1078, allude
al progetto di Roberto il Guiscardo di invadere l’Italia del sud (cap. 173); Michele Psello
(anche lui prima del 1078), pur non menzionando esplicitamente i Normanni nella sua
Chronographia, riferisce della rivolta del generale Giorgio Maniace (VI 78); Michele
Attaliates, autore fra il 1079 ed il 1080 di una Historia, accusa il catepano Michele Dochiano
di aver procurato danni all’Impero Bizantino, brigando per togliere ad esso l’alleanza con
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gli altri territori d’Italia (Michaelis Attaliotae Historia, ed. W. Prunet De Presle - I. Bekker,
Bonnae 1853, 9); Giovanni Skylitzes (che compone anch’egli una cronaca dell’Impero
Bizantino dopo il 1057) ci fornisce un quadro più dettagliato riguardo alle rivolte di Melo
(del 1011) e dei cinquecento mercenari (del 1041) contro Michele Dochiano in Sicilia (V.
VON FALKENHAUSEN, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo,
trad. ital. Bari 1978, 93; ediz. orig. 1967), soffermandosi anch’egli sulla ribellione di Giorgio
Maniace (Ioannis Scylitzae Synopsis Historiarum, ed. I. Thurn, Berolini et Novi Eboraci
1973, 398-399, 403, 405-406, 416-417, 425-426; cfr. BURGARELLA, Echi delle vicende nor-
manne, 179-181; J. SHEPARD, Byzantium’s Last Sicilian Expedition: Skylitzes’ Testimony,
«Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici» 14-16, 1977/1979, 145-159; CARUSO, Politica
“gregoriana”, 467-468), mentre il suo anonimo Continuatore si occupa a più riprese della
figura di Roberto il Guiscardo (Ioannes Skylitzes Continuatus, ed. E.Th. Tsolakis,
Thessalonicae 1968, 167-170: ma si veda anche infra). Passando alla produzione in lingua
latina, altri riferimenti all’intricato e tormentato periodo concernente l’invasione dell’Italia
meridionale da parte dei Normanni possono leggersi nel Chronicon di Ademaro di
Chabannes (III 55), nelle Historiae di Rodolfo il Glabro (III 1,3), nella Chronica monasterii
Casinensis di Leone Marsicano (detto anche Leone Ostiense: Leonis Ostiensis Chronica
Monasterii Casinensis, ed. W. Wattenbach, MGH, SS VII, 551-884), in alcuni carmi di Alfano
da Salerno (assai vicino al principe salernitano Gisulfo II, che egli «accompagnò in missio-
ne a Costantinopoli, nell’estremo tentativo di stringere una valida alleanza con i Bizantini
contro i Normanni»: BERTINI, Letteratura latina medievale, 75) e soprattutto, già nel XII
secolo, nella Historia Ecclesiastica di Orderico Vitale (VII 11-30) e nel Chronicon di Roberto
di Torigny (The Chronicle of Robert of Torigny, ed. R. Howlett, London 1889, 115-116).
11 Sull’argomento: G. FERRAÙ, La storiografia come ufficialità, ne Lo spazio letterario
del Medioevo. I, Il Medioevo latino, cur. G. Cavallo - C. Leonardi - E. Menestò, III, La rice-
zione del testo, Roma 1995, 661-693.
12 Per uno studio su alcune caratteristiche linguistiche degli autori interessati, si veda
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2.1. Nell’ambito di questo quadro vasto e variegato (di cui qui non si
sono tracciate altro che le coordinate essenziali, sia riguardo alla consi-
stenza dei testi sia in merito alla metodologia di approccio ad essi), la linea
evolutiva riguardante l’interpretazione ideologico-politica delle vicende
dei Normanni di Sicilia già proposta, per esempio, da un Goffredo
Malaterra (per il quale la cifra distintiva che ideologicamente connota la
sua visione dei Normanni – e di Ruggero I in particolare – è costituita
dalla garanzia reciproca esistente fra la strenuitas politico-militare da un
lato, con le sue ineliminabili appendici di ferocitas, calliditas e prudentia, e
la pietas religiosa dall’altro) trova nei Gesta Roberti Wiscardi di Guglielmo
il Pugliese la sua codificazione epico-retorica13.
I Gesta sono, infatti, l’unica opera in versi (2833 esametri14 suddivisi
in cinque libri, con un prologo ed un epilogo) all’interno di un panorama
che prevede e presenta esclusivamente opere in prosa (o tutt’al più, come
nel caso di Goffredo Malaterra, miste di prosa e versi). Guglielmo, nei cui
confronti la critica letteraria è sempre stata in genere assai benevola15, si
inserisce, con questo suo poema, in quel vasto ambito di poesia epico-sto-
Avverto che tutte le citazioni dal poema che ricorrono in questo lavoro sono tratte da que-
sta edizione. Fra le edizioni precedenti del poema, segnalo Guillielmi Apuliensis Rerum in
Italia ac Regno Neapolitano Normannicarum libri quinque, a Joanne Tiremaeo editi, Rouen
1582 (si tratta dell’editio princeps dell’opera); Guillielmi Apuliensis Rerum in Apulia,
Campania, Calabria et Sicilia Normannicarum libri quinque, ed. G.B. Caruso, Panormi 1723
(su queste due vetuste edizioni, si veda MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 85-90; M.
MATHIEU, Le ms. 162 d’Avranches et l’édition princeps des Gesta Roberti Wiscardi,
«Byzantion» 24, 1954, 116 ss.); Guillermi Apuliensis Gesta Roberti Wiscardi, ed. R.
Wilmans, MGH, SS IX, Hannoverae 1851.
14 Per quanto riguarda le caratteristiche metrico-prosodiche del poema: R. LEOTTA,
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gesta di Roberto il Guiscardo, introd. di E. Castorina, testo, trad. ital. e note di R. Leotta,
Catania 1977, 5-17. Nell’evidente impossibilità di fornire una sia pur indicativa bibliogra-
fia su tutti i poemi mediolatini or ora menzionati, mi limito a rimandare, per una quadro
complessivo, a D. SCHALLER, La poesia epica, ne Lo spazio letterario del Medioevo. I. Il
Medioevo latino, I 2: La produzione del testo, Roma 1993, 9-42.
17 VISCARDI, Le Origini, 140.
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25; M. MATHIEU, Sur la date des Gesta Roberti Wiscardi, in Mélanges Henri Grégoire [=
«Annuaire de l’Institut de Philologie et d’Histoire Orientales et Slaves» 11, 1951], 269-
282; e a CASTORINA, in Guglielmo il Pugliese, Le gesta di Roberto il Guiscardo, 11-12.
19 Sul problema delle fonti di Guglielmo, ha scritto OLDONI (Mentalità ed evoluzione,
163): «Chalandon, Wilmans, Hirsch, Mathieu, Déer hanno tutti inventato la fonte giusta di
Guglielmo. Così ci siamo trovati fra mano gli Annales Barenses, una Relatio sulla battaglia di
Civitate, la presunta Vita Roberti d’un Giovanni, arcidiacono barese, nonché la possibilità di
una discendenza comune dei Gesta Roberti e dell’Alexiades di Anna Comnena da un altro
testo perduto; e la lista potrebbe allungarsi ancora»: si vedano inoltre R. WILMANS, Über die
Quellen der Gesta Roberti Wiscardi des Guillermus Apuliensis, «Archiv der Gesellschaft für
älteste deutsche Geschichtskunde» 10, 1849, 87-121; F. CHALANDON, Histoire de la domi-
nation normande en Italie et en Sicile, Paris 1907, I 286-308 (dell’opera esiste ora una trad.
ital: F. CHALANDON, Storia della dominazione normanna in Italia ed in Sicilia, Napoli 1999-
2002, sulla cui imperfetta realizzazione vedi però la recensione di L. RUSSO, negli «Studi
Medievali» 47, 2006, 187-191); M. FUIANO, Una fonte dei Gesta Roberti Wiscardi di
Guglielmo di Puglia, la presunta opera di Giovanni arcidiacono, in Convivium. Raccolta nuova,
Torino 1950, 249-271; MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 26-46.
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COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
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22 MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 98. Il prologo dei Gesta può leggersi, con trad.
ital. a fronte, in Scritture e scrittori del secolo XII, cur. A. Viscardi - G. Vidossi, Torino 19772,
124-125; e in Guglielmo il Pugliese, Le gesta di Roberto il Guiscardo, 18-19. Per un’analisi
del testo in questione, si veda il recente contributo di M. LAULETTA, Allusioni intertestuali
nel Prologus dei Gesta Roberti Wiscardi di Guglielmo il Pugliese, «Annali dell’Istituto
Universitario Orientale di Napoli» 35, 2003, 179-183 (di cui tornerò a discorrere fra
breve).
23 Cfr. G. POLARA, Ricerche sul proemio nella poesia latina, «Rendiconti dell’Ac-
cademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli» 49, 1974, 135-153 (poi, col titolo
Precettistica retorica e tecnica poetica nei proemi della poesia latina, in G. P., Undici studi di
letteratura latina, Napoli 2000, 27-40).
24 LAULETTA, Allusioni intertestuali, 79-80, scrive giustamente che Guglielmo, «quasi
a segnalare l’attenta e “dosata” costruzione del passo», fa iniziare il suo prologo «con un
verso in cui si accumulano un omoteleuto, un poliptoto con conseguente allitterazione e
una disposizione chiastica dei termini (sostantivo-aggettivo / aggettivo-sostantivo) che, pur
spezzata dal verbo, coinvolge l’intera frase […]. L’inizio del poema, dunque, viene segna-
lato al lettore come momento di particolare tensione stilistica, ma si articola, anche, agli
occhi del più attento esegeta, in sintagmi ulteriormente significativi».
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COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
positio (vv. 3-5 Dicere fert animus, quo gens Normannica ductu / venerit
Italiam, fuerit quae causa morandi, / quosve secuta duces Latii sit adepta
triumphum) e l’invocatio, arricchita dalla consueta captatio benevolentiae
(vv. 6-9a Parce tuo vati pro viribus alta canenti, / clara, Rogere, ducis Roberti
dignaque proles, / imperio cuius parere parata voluntas / me facit audacem).
Anche in questo caso, al di là dell’evidente e smaccato proposito encomia-
stico e cortigiano professato dal poeta mediolatino, non si può non osser-
vare il raffinato ornatus che caratterizza il passo, dal ricorso alle reiterate
ed insistenti allitterazioni (v. 6 parce … vati pro viribus, a schema ABAB;
vv. 6-7 canenti, / clara, bimembre in chiusura ed apertura di esametro; v. 7
Rogere, ducis Roberti dignaque, anch’essa a schema ABAB) all’utilizzo
della paronomasia (v. 7 parere parata). Guglielmo, a questo punto, inseri-
sce un altro motivo topico dei proemi, quello della modestia delle proprie
capacità letterarie (vi aveva fatto ricorso, pur in maniera e con scopi diffe-
renti, anche Goffredo Malaterra)25, alla quale, però, sopperisce la forza
della propria devozione (vv. 9b-10 quia vires quas labor artis / ingeniumque
negat, devotio pura ministrat), chiudendo quindi il prologo con la conclusi-
va menzione del pontefice, cui non è possibile dire di no (vv. 11-13 Et
patris Urbani reverenda petitio segnem / esse vetat; quia plus timeo peccare
negando, / tanti pontificis quam iussa benigna sequendo).
Passando dall’impostazione retorico-stilistica complessiva all’indivi-
duazione delle relazioni intertestuali che è possibile enucleare all’interno
del prologo, occorre dire che già Marguerite Mathieu, in una nota all’in-
troduzione della sua edizione dei Gesta, pubblicata nell’ormai lontano
1961, aveva rilevato come il v. 3 (Dicere fert animus, quo gens Normannica
ductu) fosse vagamente ispirato a Lucano, Phars. I 67 («Fert animus cau-
sas tantarum expromere rerum») e ad Ovidio, met. I 1 («In nova fert ani-
mus mutatas dicere formas»), evidenziando altresì come il v. 8 (imperio
cuius parere parata voluntas) rivelasse alcuni spunti tratti da Virgilio, Aen.
IV 238 («Dixerat. Ille patris magni parere parabat»), ma senza approfon-
dire l’argomento e, soprattutto, senza trarre dall’individuazione di tali
somiglianze (più o meno condivisibili, come si può ben vedere) conclusio-
stiae, si scusa infatti di essere stato costretto ad adottare uno stile semplice e disadorno
(«plano et facili sermoni»), in maniera che i lettori possano comprendere ciò che egli dice.
Ma sul Prologo, anzi sui “due Prologhi” alla cronaca malaterrana si veda E. D’ANGELO, Un
“doppio” prologo al De rebus gesti Roberti et Rogerii di goffredo Malaterra?, in E. D’A.,
Storiografi e cronologi, 134-142.
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26 MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 61, nota 4. Sull’imitatio lucanea nei Gesta, cfr.
e passim.
28 LAULETTA, Allusioni intertestuali, 180.
29 LAULETTA, Allusioni intertestuali, 180.
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COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
afferma giustamente che «la conoscenza del poeta latino nell’XI e nel XII secolo è cosa
assai labilmente attestata».
33 LAULETTA, Allusioni intertestuali, 182.
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34 Lauletta aggiunge anche la menzione di SIL. ITAL. Pun. XI 293; XII 346, ma, come
e più di quanto si è detto poco più sopra per Lucrezio, si tratta di paralleli improponibili,
ché la conoscenza di Silio Italico durante tutto il Medioevo è praticamente inesistente.
35 LAULETTA, Allusioni intertestuali, 182-183.
36 LAULETTA, Allusioni intertestuali, 182.
37 LAULETTA, Allusioni intertestuali, 183.
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COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
Ciò che immediatamente balza agli occhi del lettore attento soprat-
tutto ai fatti squisitamente tecnici e retorico-compositivi dei testi letterari
è non tanto la laus del potente da parte del poeta che ha concluso il suo
labor, quanto il fatto che, ormai giunto alla fine della sua fatica,
Guglielmo, che ha composto tutto il testo (ed anche il prologo) dei suoi
Gesta in esametri “classici” (a parte qualche rima, più o meno casuale),
opta, nei cinque versi di cui consta l’epilogo, per l’utilizzo dell’esametro
leonino39, come, forse, a voler conferire maggiore dignità alla sua materia
e a far sì che i versi terminali si scolpiscano meglio nella memoria di chi
legge (è noto infatti che la rima possiede una indubbia valenza mnemotec-
38 MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 258. La chiusa del poema è cursoriamente
menzionata anche da D. COMPARETTI, Virgilio nel Medio Evo, cur. G. Pasquali, I, Firenze
19814, 182, nota 15; e da BERTINI, Letteratura latina medievale, 89.
39 Sull’esametro leonino (che, come è noto, deve probabilmente la propria denomi-
nazione al cursus leoninus, cioè allo stile epistolare di Leone Magno): De nuntio sagaci, cur.
G. Rossetti, in Commedie latine del XII e XIII secolo, II, Genova 1980, 11-125 (in partico-
lare 47-48). Definizioni ed esemplificazioni di versus leonini forniscono i trattatisti: EBER.
ALEM. Labor. 705-710 («sunt inventoris de nomine dicta Leonis / carmina, quae tali sunt
modulanda modo: / Pestis avaritiae durumque nefas simoniae / regnat in Ecclesia liberiore
via. / Permutant mores homines, cum dantur honores: / corde stat inflato pauper honore
dato»: E. FARAL, Les arts poétiques du XIIe et XIIIe siècle. Recherches et documents sur la tech-
nique littéraire du Moyen Age, Paris 1924, 362); PAUL. CAMALD. Introductiones de notitia ver-
sificandi 4,10 («Leonini dicuntur ad similitudinem leonis, qui totam fortitudinem et pulch-
ritudinem specialiter in pectore et in cauda videtur habere»: V. SIVO, Le Introductiones de
notitia versificandi di Paolo Camaldolese (testo inedito del secolo XII ex.), «Studi e Ricerche
dell’Istituto di Latino. Università degli Studi di Genova. Facoltà di Magistero» 3, 1982,
119-149, in particolare 147). E. D’ANGELO, Indagini sulla tecnica versificatoria nell’esame-
tro del Waltharius, Catania 1992, 44-51.
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Armando Bisanti
40 Si veda J.-Y. TILLIETTE, Insula me genuit. L’influence de l’Énéide sur l’épopée latine du
e
XII siècle, in Lectures médièvales de Vergile. Actes du Colloque organisé par l’École Française
de Rome (Rome, 25-28 octobre 1982), Rome 1985, 121-142 (in particolare 131-139).
41 Cfr. M. DE MARCO, Epos e ritmi dell’età comunale, Bari 1983, 381-382; BERTINI,
Letteratura latina medievale in Italia, 89; SCHALLER, La poesia epica, 30; TATEO, Le allocu-
zioni al potere pubblico, 153-154.
42 PAGANO, Il poema Gesta Roberti Wiscardi, 67.
43 CASTORINA, in Guglielmo il Pugliese, Le gesta di Roberto il Guiscardo, 14.
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COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
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Armando Bisanti
48 BURGARELLA, Echi delle vicende normanne, 205; anche E. CUOZZO, “Quei maledet-
Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani» 10, 1966, 5-21; B. PAGNIN, Roberto
(Ruberto) Guiscardo, sub voce, in Enciclopedia Dantesca, IV, Roma 1973, 1006-1007.
50 Stefano di Rouen, Draco Normannicus I 317-324 (Le Dragon le Normand et autres
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passo più significativo, in tal direzione, è quello relativo alla spiegazione del nome dei
105
Armando Bisanti
Normanni, in Gesta Roberti Wiscardi I 6-10 Hos quando ventus, quem lingua soli genialis /
Nort vocat, advexit boreas regionis ad oras / a qua digressi fines petiere latinos, / et man est apud
hos, homo quod perhibetur apud nos, / Normanni dicuntur, id est homines boreales (MATHIEU,
in Guillaume de Pouille, 98; si veda anche il commento al passo a 261). Sull’interpretatio
nominis nella tradizione letteraria classica e medievale, si leggano, per un primo approccio:
FARAL, Les arts poétiques, 66-68; E.R. CURTIUS, Letteratura europea e Medioevo latino, trad.
ital., Firenze 1992, 553-559; A. SCHIAFFINI, Tradizione e poesia nella prosa d’arte italiana
dalla latinità medievale a Giovanni Boccaccio, Roma 19432, 63-70; G. PETRONE, La funzio-
ne dei nomi dei personaggi nella commedia plautina e nella tragedia senecana, in Seneca e lo
spettacolo nell’antichità. Atti del Convegno di studio, cur. L. De Finis, Trento 1988, 233-252;
G. PETRONE,“Nomen/omen”: poetica e funzione dei nomi (Plauto, Seneca, Petronio),
«Materiali e Discussioni per l’Analisi dei Testi Classici» 20-21, 1988, 33-70. In questi ulti-
mi anni, io stesso mi sono occupato della questione in tre contributi: L’interpretatio nomi-
nis nella tradizione classico-medievale e nel Babio, «Filologia Mediolatina» 10, 2003, 127-
218; Metafore, tòpoi, procedimenti retorici e motivi novellistici in alcune commedie mediolati-
ne, «Studi Medievali» 45 2004, 1-78; L’interpretatio nominis nel Geta, nell’Aulularia,
nell’Alda e nella Lidia (e in altre commedie elegiache), «Maia» 59, 2007, 83-149.
56 Interessante, al v. 129, la clausola calliditatis, pentasillabica e, quindi, abbastanza
rara nel poema, anche se non del tutto isolata: LEOTTA, L’esametro di Guglielmo il Pugliese,
294, ha calcolato che le clausole pentasillabiche, nei Gesta Roberti Wiscardi, assommano al
5,6% del totale (rispetto al 3,7% delle quadrisillabiche ma, soprattutto, rispetto al 47,8% e
al 42,3% delle bisillabiche e delle trisillabiche). Superfluo insistere, al v. 130, sulla qualifi-
ca di Ulisse come versutus, epiteto classico già applicato all’eroe di Itaca fin dal celebre inci-
pit dell’Odusia di Livio Andronico («Virum mihi, Camena, insece versutum»).
57 W. MEYER-LÜBKE, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1924, 730;
106
COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
60 Sulla data precisa della battaglia non vi è accordo fra gli storici: M. FUIANO, La bat-
taglia di Civitate (1053), «Archivio Storico Pugliese» 2, 1949, 124-133; CARUSO, Politica
“gregoriana”, 504, nota 153 (ove è indicata la bibliografia di riferimento).
61 MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 142-144 (anche per le successive citazioni).
62 LEOTTA, in Guglielmo il Pugliese, Le gesta di Roberto il Guiscardo, 72.
63 La MATHIEU (in Guillaume de Pouille, 145 nota 2) rileva giustamente trattarsi di
un topos epico, che si può trovare applicato a Guglielmo il Conquistatore nella narrazione
della battaglia di Hastings in Guill. Pict. Hist. Guill. II 18: «equi tres ceciderunt sub eo
confossi. Ter ille desiluit intrepidus, nec diu mors vectoris inulta remansit» (ed. R.
Foreville, Paris 1952, 198). Le cadute e le risalite da e a cavallo sono, d’altra parte, tipiche
delle chansons de geste oitaniche: J. RYCHNER, La Chanson de geste. Essai sur l’art épique des
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Armando Bisanti
dall’ira (II 222-227 Cuspide perforat hos, gladio detruncat et illos, / et validis
manibus horrendos incutit ictus; / pugnat utraque manu, nec lancea cassa, nec
ensis / cassus erat, quocumque manum deducere vellet. / Ter deiectus equo, ter
viribus ipse resumptis, / maior in arma redit; stimulos furor ipse ministrat). A
questo punto, secondo una tecnica a lui congeniale e frequentemente
ricorrente nel poema, Guglielmo introduce una similitudine (II 228-235a
Ut leo, cum frendens animalia forte minora / acriter invadit, si quid reperire
quod obstet / coeperit, insanit, magis et maioribus ira / accensa stimulat; nil
iam dimittit inultum; / hoc trahit, hoc mandit, quod mandi posse negatur / dis-
sipat, affligens pecus exitialiter omne: / taliter obstantes diversa caede Suevos /
caedere non cessat Robertus) evidentemente ispirata (come già da gran
tempo e da più parti è stato rilevato)64 a Virgilio (Aen. IX 339-341
«Inpastus ceu plena leo per ovilia turbans / (suadet enim vaesana fames)
manditque trahitque / molle pecus mutumque metu, fremit ore cruen-
to»)65, anche se occorre dire che il poeta mediolatino, secondo un modu-
lo di imitatio tipico degli autori medievali di poemi epico-storici (e soprat-
tutto nelle similitudini), tende ad una notevole amplificatio del modello
virgiliano, diluendo un po’ troppo la mirabile concisione dell’originale66.
Ma la descrizione degli atti di valore compiuti da Roberto non è certo
terminata. Con una insistenza per i particolari della strage che, in alcuni
tratti, rasenta apertamente il macabro, e riprendendo (dopo la parentesi
rappresentata dalla similitudine col leone) una condotta descrittiva forte-
mente contrassegnata dai parallelismi, Guglielmo si sofferma sul fatto che
jongleurs, Genève-Lille 1955 (il cap. 5, in trad. ital. e col titolo I mezzi d’espressione nelle can-
zoni di gesta: i motivi e le formule, è stato ripubblicato ne L’epica, cur. A. Limentani - M.
Infurna, Bologna 1986, 235-266).
64 Si vedano: RONCA, Cultura medievale e poesia latina d’Italia, 402-409;
honorem Hludowici di Ermoldo Nigello: M. DONNINI, L’ars narrandi nel Carmen in honore
Hludowici di Ermoldo Nigello, «Studi Medievali» 47, 2006, 111-176 (in particolare 134-
135, 138-140, 144-146).
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COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
il suo eroe trancia il piede ad uno, ad altri mozza le mani, ad uno sfracel-
la il capo e tutto il corpo, ad un altro fa a pezzi il ventre, ad uno trapassa
le costole, ad un altro tronca di netto il capo, aggiungendo addirittura (con
una connotazione volutamente iperbolica)67 che egli, tagliando ed ampu-
tando a destra e a manca, come un novello Procuste, riesce a rendere i
corpi dei nemici tutti di eguali dimensioni (II 235b-239 et hos pede truncat,
/ et manibus quosdam; caput huic cum corpore caedit; / illius ventrem cum pec-
tore dissecat, huius / transadigit costas absciso vertice; magna / corpora corpo-
ribus truncata minoribus aequat) e concludendo, significativamente, con la
considerazione che nessuno in questa battaglia, né fra i vinti né fra i vin-
citori, si era distinto per forza e potenza di colpi come Roberto (II 242-
243 Nullus in hoc bello, sicut post bella probatum est, / victor vel victus tam
magnos edidit ictus).
4.4. Strenuus e ferox, Roberto è però, per il poeta mediolatino (come
d’altra parte, prima di lui, era stato per Amato di Montecassino), l’uomo
della Provvidenza, l’uomo su cui la Provvidenza divina ha impresso il suo
indelebile stampo. Vi è un episodio abbastanza noto, con il quale si conclu-
de il libro secondo dei Gesta, che risulta particolarmente significativo ed
indicativo di questa visione dell’eroe da parte del suo poeta, quello, cioè,
relativo al tentato omicidio del duca (Gesta II 543-573)68. Non solo, ma,
poiché tale episodio è narrato anche da Goffredo Malaterra, è possibile
effettuare un breve confronto tra i due scrittori, per meglio rilevare le dif-
ferenze intercorrenti fra di essi, non solo a livello di tecnica narrativa e/o di
particolari compositivi, ma anche a livello di ideologia e di mentalità69.
Stefano Paterano, governatore di Bari in qualità di vicario imperia-
le70, viene presentato dal poeta come uomo probo e generoso, degno di
lode in ogni sua azione (II 545 vir probus et largus, studio laudabilis omni),
tranne che per il fatto che si macchiò del tentativo di eliminare il duca.
67 Cfr. MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 54. L’“iperbole del colpo” (o “colpo iper-
bolico”) è una delle distintive costanti della poesia epica, antica e medievale. Nell’ambito
della produzione epica mediolatina essa ricorre a più riprese, fra l’altro, nel Waltharius (A.
BISANTI, Il Waltharius fra tradizioni classiche e suggestioni germaniche, «Pan» 20, 2002, 175-
204, in particolare 198). Per la poesia cavalleresca, e principalmente per il poema del Pulci,
tale motivo è stato studiato in modo molto approfondito da R. ANKLI, Morgante iperboli-
co. L’iperbole nel Morgante di Luigi Pulci, Firenze 1993, 233-354.
68 MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 162. Esso può leggersi, con trad. ital. a fronte,
nuovo catepano Avartutele: Anon. Bar. ad ann. 1069: «venit Stephano Patriano cum
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Armando Bisanti
stolo»; Amato di Montecassino, V 27: «Et manda li impereor un qui se clamoit Stephane
Patrie, home religiouz et adorné de toutes bones costumes; et manda avuec lui Avartutele
achatepain» (p. 248 ed. De Bartholomaeis): VON FALKENHAUSEN, La dominazione bizanti-
na, 99-100.
71 Gaufredus Malaterra, II 40. Anche Amato di Montecassino narra il medesimo epi-
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no, consiste nella calliditas. Una calliditas i cui effetti vengono rimarcati da
Guglielmo in svariati episodi (che evidentemente qui non posso passare in
rassegna in maniera esaustiva) e che rifulge in modo particolare nella nar-
razione dell’avventurosa presa di una piazzaforte calabrese a prima vista
inespugnabile.
Ci troviamo ancora nel libro II del poema, un po’ dopo la battaglia di
Civitate. La conquista della Calabria, che impegnò il Guiscardo a partire
dal 1055, non si rivela certo né facile né immediata, e in quest’occasione
maggiormente può risplendere la virtus del condottiero normanno, che in
tale conquista può fare le sue più splendide prove. Una cittadella
calabrese, più delle altre, si mostra refrattaria a qualsiasi assalto, anzi, sem-
bra apparentemente inattaccabile. Essa, infatti, è popolata da parecchi
abitanti che, insieme ai monaci di un convento ivi compreso, non lasciano
entrare alcuno sconosciuto o straniero all’interno delle mura (II 333b-337
sed eius / difficilis conscensus erat, quia plurimus huius / accola, grex habitans
etiam monasticus illic, / non alienigenam quemvis intrare sinebant)73. È
necessario, a questo punto, escogitare un espediente utile all’occupazione
di quel luogo fortificato. Evidentemente, il Guiscardo non manca di astu-
zia ed ordisce uno stratagemma abbastanza ingegnoso per conseguire il
suo scopo (II 338a Utile figmentum versutus adinvenit, dove ricorre, anco-
ra una volta, l’utilizzo dell’aggettivo versutus, come nella prima presenta-
zione del condottiero normanno, in Gesta II 130). Egli, pertanto, ordina
ai suoi compagni di dichiarare che uno di loro è morto e che deve essere
sepolto secondo il rito (II 338b-340a atque / mandat defunctum quod quem-
libet esse suorum / gens sua testetur). Egli stesso, quindi, si fa deporre come
morto in una bara, col volto ricoperto di cera e avvolto in un panno,
secondo gli usi funebri normanni, ma nascondendo delle spade dietro la
schiena (II 340b-344 Qui cum, quasi mortuus, esset / impositus feretro, pan-
nusque obducere cera / illitus hunc facie iussus latitante fuisset, / ut
Normannorum velare cadavera mos est, / conduntur feretro sub tergo corporis
enses). Il feretro così predisposto viene condotto davanti all’ingresso del
monastero, come per seppellire il cadavere. I pii monaci, ignari di tutto,
consentono ai nemici (in apparenza disarmati) l’ingresso entro le mura (II
345-346a ad monasterii subhumandum limina corpus / fertur), facendo in
modo – come osserva il poeta – che i Normanni potessero catturare con
l’astuzia e con la finzione “del morto” ciò che non erano riusciti a sconfig-
gere “da vivi” (II 346b-347 et ignaros fraudis quos fallere vivi / non poterant
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COMPOSIZIONE STILE E TENDENZE DEI GESTA ROBERTI WISCARDI
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Armando Bisanti
ghe), si veda in generale, quanto raccolto da E. D’ANGELO, Indagini sulla tecnica versifica-
toria, 26. Una clausola esasillabica si legge, per es. (caso unico nel poema), in Waltharius
644 (metropolitanus): la clausola in oggetto è ovviamente registrata da D’Angelo, il quale,
in nota, aggiunge «i soli esempi dalle origini a Giovenale: ENNIO, ann. 181 sapientipoten-
tes; 280 Carthaginiensis; nel De rerum natura di Lucrezio i vv. I 829 e 834 homoemeriam; II
932 mutabilitate; Iuv. III 7,218 acoenonoetus […]. Max Manitius ne rileva un caso nel
Carmen de figuris, presso Paolino di Pella e presso Cipriano Gallo; due presso Fortunato e
Beda […]. Clausole esasillabiche sono presenti anche in Guglielmo il Pugliese: LEOTTA,
L’esametro di Guglielmo il Pugliese, 294 (i riferimenti bibliografici sono a M. MANITIUS,
Über Hexameterausgänge in der lateinischen Poesie, «Rheinisches Museum» 46, 1891, 622-
626, qui 625, e a LEOTTA, L’esametro di Guglielmo il Pugliese, 294, in cui viene registrato
Gesta IV 27 evangeliorum). Un paio di clausole esasillabiche sono riscontrabili nei carmina
minora di Ildeberto di Lavardin: carm. min. 38,3 (superstitiosas) e 39c,16 (satisfaciebat). Nel
Milo (o De Afra et Milone), commedia elegiaca di Matteo di Vendôme, si legge poi una
clausola ottosillabica, un vero e proprio monstrum metrico, che da sola occupa tutto il
secondo emistichio dell’esametro (che, fra l’altro, è un esametro leonino: v. 5 «De Milone
cano Constantinopolitano»: MATHEI VINDOCINENSIS Opera. II. Piramus et Tisbe. Milo.
Epistulae. Tobias, ed. F. Munari, Roma 1983, 59).
77 Cfr. H. HAUVETTE, La “morte vivante”. Étude de littérature comparée, Paris 1933.
78 Su questo tema novellistico, mi permetto di rinviare a due miei contributi specifi-
ci: I temi del “doppio” e del “morto che parla”. Vitale di Blois, Giovanni Sercambi, Poggio
Bracciolini, «Quaderni Medievali» 29, 1990, 39-64; Motivi e schemi fabliolistici nelle
Facezie di Poggio, «Interpres» 20, 2001, 107-157 (in particolare 146-157). Gabriella
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Albanese ha osservato che si tratta di un motivo «che risaliva proprio al romanzo greco,
all’archetipo fascinoso di Senofonte Efesio, da cui si era diramato nella narrativa bizanti-
na e basso-medievale con vastissima diffusione tra Italia e Francia nei secoli XIII e XIV»
(G. ALBANESE, Da Petrarca a Piccolomini: codificazione della novella umanistica, in Favole
parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Rinascimento. Atti del
Convegno di Pisa [26-28 ottobre 1998], cur. G. Albanese - L. Battaglia Ricci - R. Bessi, Roma
2000, 257-308, in particolare 307).
79 Cfr., in generale, Le storie di Giulietta e Romeo, cur. A. Romano, Roma 1993 (in
rilevare tale spunto virgiliano: così RONCA, Cultura medioevale e poesia latina, 372-373;
PAGANO, Il poema Gesta Roberti Wiscardi, 116; MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 51.
81 Polien. strat. II 27.
82 Si veda quanto scrive la MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 46-52 (che qui seguo
assai da presso).
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83 Cfr. Guill. Jum. Gesta Normannorum ducum I 9 (ed. J. Marx, Rouen-Paris 1914,
15-16).
84Cartulaire de l’Abbaye de Saint Père de Chartres, éd. M. Guérard, Paris 1840, 6-8.
85Stefano di Rouen, Draco Normannicus, I 1101 ss.
86 Wace, Roman de Rou, éd. H. Andresen, I, Heilbroon 1877, 28-30; cfr. M. DE
BOÜARD, Á propos des sources du Roman de Rou, in Recueil offert à Clovis Brunel, Paris 1955,
178-182.
87 Benoît de Sainte-Maure, Chronique des ducs de Normandie, ed. C. Fahlin, Uppsala
Hannoverae 1888, 150). Su tutte le redazioni qui citate, si veda comunque la panoramica
proposta dalla MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 48-50.
90 Ottonis et Rahewini Gesta Friderici I imperatoris, I 34 (ad ann. 1147: ed. G. Waitz,
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(éd. J. Lair, Caen 1865, 132-135: da questa edizione, il cui testo è in parte trascritto anche
in MATHIEU, in Guillaume de Pouille, 46-47, nota 3, traggo tutte le citazioni che qui ricor-
rono). Per un moderno approccio allo scrittore mediolatino, si vedano gli studi raccolti in
Dudone di San Quintino, cur. P. Gatti - A. Degl’Innocenti, Trento 1995; e i brevi ma medi-
tati cenni di FERRAÙ, La storiografia come ufficialità, 666, 676-677 e passim. Per i rapporti
con Guglielmo di Jumièges, cfr. poi A. PLASSMANN, Der Wandel des normannischen
Geschichtsbildes in 11. Jahrhundert. Eine Quellenstudie zu Dudo von St. Quentin und Wilhelm
von Jumièges, «Historisches Jahrbuch» 115, 1995, 188-207.
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questo è tutt’un altro discorso, che qui non è certo il caso di affrontare.
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19582, 64-67, 68-69 e 52-57. Il Planctus de obitu Karoli ed i Versus de Herico duce si leg-
gono anche (con trad. ital. a fronte) in Scritture e scrittori dei secoli VII-X, cur. A. Viscardi
- G. Vidossi, Torino 19772, 160-163 e 132-135.
101 Cfr. C. COHEN, Les élements constitutifs de quelques planctus du Xe et XIe siècles,
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cle, Paris 1843 [rist. anast., Bologna 1969], 280-285; poi anche G. VECCHI, Il Planctus di
Gudino di Luxeuil: un ambiente scolastico, un ritmo, una melodia, in G. V., Due studi sui ritmi
latini del Medio Evo, Bologna 1967, 7-30. Alcune osservazioni sul componimento in ques-
tione anche in THIRY, La plainte funèbre, 63-65; e in BISANTI, L’interpretatio nominis nella
tradizione classico-medievale, 141-142.
103 L. HAVET, Adelmannus Leodensis, Poéme rithmique sur plusieurs savants du XIe siè-
di Leone di Vercelli. Con una revisione critica del testo, in “Tenuis scientiae guttula”. Studi in
onore di Ferruccio Bertini in occasione del suo 65° compleanno, cur. M. Giovini - C.
Mordeglia [= «FuturAntico» 3, 2006], Genova 2006, 11-55.
106 R. AVESANI, Il primo ritmo per la morte del grammatico Ambrogio e il cosiddetto Liber
1951. Uno studio assai importante su uno di tali planctus è quello di P. DRONKE, The
Lament of Jephta’s Daughter: Themes, Traditions, Originality, «Studi Medievali» 12, 1971,
819-863 (poi in DRONKE, Intellectuals and Poets, 345-388).
108 Su questo sottogenere esiste un’importante bibliografia specifica: G. CREMASCHI,
Planctus Mariae. Nuovi testi inediti, «Aevum» 29, 1955 393-468; S. STICCA, The Literary
Genesis of the Planctus Mariae, «Classica & Mediaevalia» 27, 1966, 296-309; S. STICCA, Il
Planctus Mariae nella tradizione drammatica del Medio Evo, Sulmona 1984; P. DRONKE,
Laments of the Maries: from the Beginnings to the Mystery Plays, in Idee, Gestalt, Geschichte.
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Festschrift für Klaus von See, cur. G.W. Weber, Odense 1988, 89-116 (poi in DRONKE,
Intellectuals and Poets, 457-489); T. PÀROLI, Il Lamento di Maria tra lauda e dramma, in
Spiritualità e lettere nella cultura italiana e ungherese del Basso Medioevo, cur. S. Graciotti -
C. Vasoli, Firenze 1995, 231-293.
109 Fra questi, il più celebre è probabilmente quello che inizia con le parole Pergama
flere volo, confluito nei Carmina Burana (n. 101: Carmina Burana, ed. A. Hilka - O.
Schumann - B. Bischoff, I 2, Heidelberg 1941, 139-160) e dubbiosamente attribuito ad
Ildeberto di Lavardin (ma cfr. già A. BOUTÉMY, Le poème Pergama flere volo et ses imitateurs
du XIIe siècle, «Latomus» 5, 1946, 139-160, che ne negava la paternità ildebertiana); si
ricordi anche il planctus per la morte di Ettore pubblicato da M. DE MARCO, Un planctus
sulla morte di Ettore, «Aevum» 29, 1955, 119-122 (poi anche P. DRONKE, Hector in
Eleventh-Century Latin Lyrics, in Scire litteras. Forschungen zum mittelalterlichen
Geistesleben, cur. S. Krämer - M. Bernhard, München 1988, 137-148, poi in DRONKE,
Intellectuals and Poets, 407-429).
110 Cfr., rispettivamente, V. SIVO, Il Planctus Evandri de morte Pallantis, «Studi
Medievali» 20, 1979, 303-312 (saggio utilissimo, questo, dal quale ho desunto buona parte
delle indicazioni bibliografiche che ricorrono nelle note precedenti); e P. DRONKE, Dido’s
Lament: from Medieval Latin Lyrics to Chaucer, in Kontinuität und Wandel. Lateinische Poesie
von Naevius bis Baudelaire. Franco Munari zum 65. Geburtstag, Hildesheim 1986, 364-390
(poi in DRONKE, Intellectuals and Poets, 431-456). Fra le altre tipologie di planctus, si può
ricordare la lamentazione monastica (cfr. A. HOSTE, Aelred of Rievaulx and the Monastic
Planctus, «Cîteaux» 18, 1967, 385-398).
111 Su questa tematica rimando, in generale, a Hélinant de Froidmont, I versi della
Morte, cur. C. Donà, Parma 1988, 7-29, 101-137 e passim (con la mia recens., «Schede
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defunto o, come in questo caso, del morente, gloria, speranza e forza del
suo popolo (V 304b-305a populum, quorum tu gloria solus, / spes et robur
eras), alla presenza del quale nessuno aveva paura di lanciarsi nella pugna
o temeva le minacce del nemico (V 306b-307 Quia te praesente tuorum /
hostis nemo minas, congressus nemo timebat); e, ancora, dal timore di ciò che
potrebbe verificarsi (soprattutto per il figlio Ruggero Borsa, privo del fon-
damentale sostegno paterno) dopo la dipartita del Guiscardo, con l’ado-
zione della vulgata metafora dei lupi predatori (V 312-315 Filius ecce lupis
sinitur rapiendus et uxor / et populus, nunquam sine te securus habendus. / Te
quia, qui populi fueras audacia nostri, / amisso populus non audax esse vale-
bit); dalla preghiera (che si rivelerà dolorosamente inutile) di Sikelgaita
all’impia mors perché il momento estremo del trapasso dello sposo sia
almeno dilazionato a quando egli potrà fare ritorno in patria (V 319-320
expecta saltim dum nos ad nostra reducat, / ut locus excipiat nos post sua fune-
rea tutus).
Sulla tipologia dei planctus mediolatini (o, più largamente, medievali)
si sono soffermati, in due contributi apparsi a un anno di distanza l’uno
dall’altro, il Cohen e lo Zumthor. Il primo, analizzando nel 1958 otto plan-
ctus mediolatini di argomento storico composti fra il X e l’XI secolo (e cioè
i Versus de Herico duce di Paolino di Aquileia, il planctus sulla morte di
Carlo Magno, quello su Ugo di San Quintino, quello su Folco, arcivesco-
vo di Reims, composto da Sigloardo, quello su Enrico II, quello su
Costanzo, composto da Gudino allievo della scuola di Luxeuil, quello su
Corrado II ed, infine, quello su Guglielmo il Conquistatore), riusciva a
distinguere in essi il costante ricorrere di sette thèmes typiques:
1) l’invito al pianto;
2) l’insistenza sulla nobiltà di lignaggio del defunto;
3) il catalogo (spesso lungo e complesso, come nei Versus de Herico
duce e nel planctus per Costanzo) delle città, dei paesi e degli uomini afflit-
ti dal lutto;
4) l’elogio delle virtutes del defunto;
5) il lutto della natura per la scomparsa di siffatto personaggio;
6) la descrizione del cadavere e l’allusione alla tomba;
7) la preghiera finale112.
Medievali» 18, 1990, 133-139); e ad A. BISANTI, Note ed appunti sulla commedia latina medie-
vale e umanistica, «Bollettino di Studi Latini» 23, 1993, 365-400 (in particolare 379-386).
112 COHEN, Les élèments contitutifs, 83-86.
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Armando Bisanti
113 P. ZUMTHOR, Etude typologique sur des “planctus” contenus dans la Chanson de
Roland, in P. Z., La technique littérarie des chansons de geste, Paris 1959, 219-235. Lo studio
in questione, col titolo I “planctus” della Chanson de Roland, è stato ripubblicato in trad.
ital. ne L’epica, 279-293.
114 Chanson de Roland, vv. 2881-2944.
115 P. ZUMTHOR, , «Romania», 84 1963, 61-69. Come si vede, si tratta di cinque delle
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116 Si osservi inoltre che i tre termini all’inizio del v. 318 (parce, precor; precibus)
seguono immediatamente gli ultimi due termini del verso precedente, anch’essi inizianti
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Armando Bisanti
membri (V 318 parce, precor; precibus, anche qui con un diptoto fra precor
e precibus) e a distanza (V 309 tua … tutos; 313 sine … securus; 315 amis-
so … audax); i diptoti e i poliptoti, anche di tipo complesso (oltre ai due
esempi appena citati, cfr. V 303 tui … tuumque e, più sotto, al v. 305, tua
e, ancora al v. 306, te … tuorum; 305-306 praesentia … praesente; 314-315
populi … audacia … / … populus … audax, a doppio schema abab; 319 nos
… nostra; 321 precor … precanti); le ripetizioni a distanza di una medesi-
ma iunctura (V 305 e 309 tua quos); le anafore e i parallelismi più o meno
abilmente dissimulati (V 307 nemo … nemo; 312-313 et uxor / et populus,
in enjambement); appunto i numerosi enjambements, che legano in modo
logico e consequenziale (oltre che morfologico e sintattico) un esametro
al successivo (fra i casi più significativi cfr. V 301-302 vel quo / infelix pote-
ro discedere; 305-306 tua quos praesentia fovit / extremis positos; 306-307
quia te praesente tuorum / hostis nemo minas; 308-309 acies adversa catervis /
obsita non paucis; 309-310 tua quos animatio tutos / fecerat; 321-322 ingrata
precanti / cum semper fuerit); l’insistenza, infine, su una griglia terminologi-
ca selezionata ma non certo schematica e banale, fondata su determinati
e ricorrenti campi semantici, come quello del dolore e dell’infelicità (V
301 dolor … miserrima; 302 infelix; 321 miseram), quello della presenza
del Guiscardo, sufficiente, da sola, ad infondere ardire negli animi e a
condurre le truppe alla vittoria (V 305 praesentia; 306 praesente; 311 te
viso), quello della morte (V 303 morte; 317 impia mors … pereunte peribunt;
320 funera) e quello della preghiera (V 318 parce, precor; precibus; 321 pre-
cor … precanti): tutti questi elementi, insomma (particolarmente notevoli
ove si ricordi che si tratta di un brano di soli 22 versi), contribuiscono a
fare di quello di Sikelgaita sul letto di morte dello sposo un planctus forse
non del tutto coerente con i più diffusi e regolari elementi tipologici del
genere, ma, in tutti i casi, concorrono a realizzare un brano poetico nel
quale le componenti contenutistiche (improntate ad un pathos particolar-
mente acceso e vibrante) si saldano senza difficoltà con i fattori squisita-
mente retorico-stilistici (anzi, si può dire che le une siano in stretto rap-
porto con gli altri, e viceversa, in una sorta di reciprocità tra le forme del
contenuto e le forme dell’espressione), con un risultato che può annove-
rarsi certamente come pienamente positivo e che, ancora una volta, vale a
smentire, se non del tutto almeno in parte, le riserve, avanzate da una
lunga ed inveterata tradizione critica ed esegetica, sulle capacità poetiche
e versificatorie di Guglielmo il Pugliese.
per -p (pereunte peribunt), onde si configura, nel complesso, un’allitterazione addirittura
pentamembre.
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Armando Bisanti
no e mediolatino: G. SCARPAT, Leggendo Rosvita. Appunti sulla lingua dei drammi, in Scritti
in onore di Alberto Grilli [= «Paideia» 45, 1990], Brescia 1990, 349-410 (in particolare
396-397); A. TRAINA, “Hominem exuere”. Postilla a Rosvita, Pafn. 12,5, in Scritti classici e cri-
stiani offerti a Francesco Corsaro, Catania 1994, 727-731.
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