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IMMAGINE
INTRODUZIONE
1
ORIGINI
Anticamente i Greci, e tra i barbari quelli che occupavano la costa del continente e le isole,
appena cominciarono con maggior intensità a viaggiare con le navi l'uno verso il territorio
dell'altro, si diedero alla pirateria sotto la guida degli uomini più potenti, che avevano lo
scopo di procurare guadagno per sé stessi e sostentamento per i deboli. Attaccavano
città prive di mura e che consistevano di villaggi, le saccheggiavano, e da questo traevano
la maggior parte dei loro mezzi di sussistenza: questa attività non aveva ancora niente
di vergognoso, ma recava anzi una certa gloria. Lo dimostrano ancora oggi alcuni
degli abitanti del continente, presso i quali è un onore praticarla con successo; e anche gli
antichi poeti, che ovunque fanno la stessa domanda ai viaggiatori che approdano,
chiedendo loro se sono pirati, segno che coloro ai quali è fatta la domanda non
ripudiano tale attività come indegna, e che coloro che desiderano essere informati non la
condannano. Si depredavano a vicenda anche sulla terra (…). L'usanza di portare le armi
è rimasta a questi abitanti del continente dall'antica abitudine della pirateria.2
«Di dove navigate i sentieri dell'acqua? / Forse per qualche commercio, o andate errando
così, senza meta / sul mare, come i predoni, che errano / giocando la vita, danno agli altri
portando?»
«Quale rotta marina vi ha condotto qui? / Viaggiate per commercio, o vagabondate alla
ventura / per il mare, come fanno i pirati, che vagano / rischiando la vita e procurano danni
agli altri?»3
1 Tucidide 1.4. Nelle citazioni tutte le sottolineature e tutti i grassetti sono miei.
2 Ivi, 1.5.
3 Omero: Odissea 3.71 – 74, 9.252 – 255 (parole uguali in ambo i canti, che sono
rispettivamente: Nestore nel banchetto con Telemaco; Polifemo ai compagni di Ulisse);
Inno ad Apollo 452 – 455 (parla Apollo). A questi passi si rimanda in Tucidide 1.5.2, n. 1:
«Sono i poeti a fare la domanda, poiché nelle recitazioni dei poemi i loro personaggi
parlano attraverso i poeti stessi».
2
Stando a Omero, gli eroi si misurano dalle imprese e dai relativi bottini. Si
torna così a quanto anticipato sull'originaria confondibilità fra guerra e
pirateria, cui corrispondono rispettivamente gesta e saccheggi. Esempi: «Le
schiave, che Achille e Patroclo s'erano conquistati»; «“le greggi, poi, che i
pretendenti superbi mi hanno mietuto, / per gran parte io stesso ne andrò a
far preda; altre gli Achei / ne daranno, finché mi riempiano tutte le stalle”».4
Fenici, Elleni ed Etruschi sono elementi di spicco nel Mediterraneo in età
arcaica; i sovrani equipaggiano navi per espandere domini e indebolire rivali.
In particolare i Fenici sono soliti entrare in porti greci fingendosi mercanti,
attirare persone a bordo per le merci e salpare, trasformando i clienti in
mercanzie. Le cronache però sono parziali, e i nemici sono chiamati pirati.5
Praticata o combattuta, d'immagine positiva o negativa, la pirateria risulta una
forma di commercio, di guerra e di egemonia. Ad esempio il mito del
Minotauro troverebbe corrispettivo storico nella potenza di Creta e nella sua
fiscalità nel liberare l'Egeo dai predoni, per cui Teseo avrebbe fatto trionfare
Atene sui Minoici determinandone il reciproco scendere a patti.6 Altro caso
notevole è il tiranno Policrate di Samo, che nel VI secolo a.C. «“rapinava
e depredava tutti, senza far distinzioni per nessuno”».7 Agli inizi del secolo
venturo il satrapo Istieo di Mileto cerca di catturare i natanti che, provenendo
da Est e traversando i Dardanelli, non gli si dichiarino fedeli. 8 Con i traffici e
le colonizzazioni, il commercio si sviluppa insieme al peso economico –
sociale dei mercanti; allora il brigantaggio è sempre più visto come parassita
per la crescita e per la floridezza, e inizia a essere percepito in modo distinto
rispetto all'attività bellica e mercantile. Del resto la pòlis e la guerra si
'istituzionalizzano' reciprocamente, per così dire.
4 Omero: Iliade 18.28; Odissea 23.356 – 358 (Ulisse a Penelope). A questi versi si
rimanda in de Souza, Piracy in the Graeco – Roman World, p. 19 n. 17.
5 Gosse, Storia della Pirateria, p. 319; Cavarretta – Revelli, Pirati, pp. 65 – 66.
6 Plutarco, Vita di Teseo 16 – 19, cit. in de Souza, Piracy in the Graeco – Roman World,
p. 15 n. 3.
7 Erodoto 3.39.4, cit. in Breglia – Guizzi – Raviola, Storia greca, p. 85.
8 Erodoto 6.5.3.
3
La Lega di Delo (478 – 404 a.C.) segna una pace marittima, salvo che nella
Guerra del Peloponneso (431 – 404) e quindi di fatto solo durante la
pentecontaetìa del 478 – 431. Pirateria e guerra, cui corrispondono
saccheggio e conquista, rimangono sovrapposte: il primo partner nelle due
coppie è parte del secondo. Allora il pirata è definito genericamente chi
attacchi per mare, e le sue azioni in rappresaglie sono sentite alternative o
supplementi di conflitti di scala maggiore. La necessità di frenare il
banditismo è in continuo dissidio con il desiderio di approfittare di vantaggi
economici; effettivamente l'egemonia ateniese e quella macedonica
includono aggressioni atte all'espansione con il pretesto di ripulire le rotte dai
pirati, che tuttavia rimangono una parte dell'economia perché cercano di
smerciare le prede. Aristotele cataloga la predazione quale modus vivendi al
pari di altri, in un elenco dove non sono contemplati giudizi di valore a quanto
sembra:
Ecco, dunque, all'incirca i generi di vita, per quanti almeno hanno un'attività
produttrice autonoma e non si procurano il cibo mediante gli scambi o il commercio:
vita del nomade, del predone, del pescatore, del cacciatore, del contadino. Alcuni, poi,
vivono con piacere combinando questi modi di vita e colmando così le mancanze del
loro, là dove non permette ad essi di raggiungere un'autosufficienza: per es. alcuni vivono
la vita del nomade e del predone, altri quella del contadino e del cacciatore.9
Il tiranno Dionigi II di Siracusa (367 – 344) fonda due città sulle coste pugliesi
per la sicurezza mercantile. Lo stesso vale per la colonia ateniese sorta nel
325 sul litorale adriatico. Roma assume le difese delle sponde tirreniche a
partire dal 396 dopo aver sconfitto gli Etruschi, rinomati per pirateria e
talassocrazia. Quanto ai bottini pirateschi umani, le ciurme: tentano di
ricavare riscatti; fanno schiavi e vendono, se le trattative per i riscatti non
hanno successo.
Il 229 – 219 vede Roma alla conquista dell'Illiria. Il casus belli è determinato
dalle incursioni piratesche appoggiate dalla locale regina Teuta; Polibio
chiama gli Illiri koinoùs echthroùs («comuni nemici»), quasi ad anticipare il
giudizio ciceroniano in merito al pirata «communis hostis omnium» («comune
nemico di tutti»).11 Il predominio romano nel Mediterraneo dà vita a una
maggiore intensificazione commerciale e a una più netta critica nei confronti
del correre il mare.
10 Polibio 4.47.1 e 4.50.3, Diodoro Siculo 20.81.30, citt. in de Souza, Piracy in the Graeco
– Roman World, pp. 49 – 50.
11 Cicerone, De officiis 3.107, e Polibio 2.12.6, citt. in de Souza, Piracy in the Graeco –
Roman World, pp. 78, 132, 150, 195. Cfr. sotto, n. 14.
5
ROMA
12 Strabone 14.3.2, cit. in de Souza, Piracy in the Graeco – Roman World, pp. 58, 97.
13 Catone, De agricoltura, cit. in Prof.ssa Rita Scuderi, lezione 27/02/2017 (traduzione
mia).
14 Cicerone, De officiis 3.107, cit. in de Souza, Piracy in the Graeco – Roman World, pp.
149 – 150. Cfr. sopra, n. 11: «communis hostis omnium».
15 Strabone 14.5.2, cit. in de Souza, Piracy in the Graeco – Roman World, p. 64.
16 Cavarretta – Revelli, Pirati, pp. 67 – 68.
6
Con il 146 a.C., all'indomani della disfatta di Greci e Punici per mano romana,
si ha una recrudescenza del corseggiare; le due popolazioni assoggettate
hanno esperienza marinara e, dopo l'ascesa di Roma, affrontano crisi di
disoccupazione. Per la prima volta vi è una demarcazione tra guerra e
pirateria, dato l'interesse romano per la sicurezza mediterranea di territori
d'oltremare appena conquistati.17 Egitto, Cipro e altri rivali dei Seleucidi
scarsamente si curano di scorribande viste come nemiche del proprio
nemico; è il caso di Diodato Trifone, corsaro a capo di una rivolta
antiselgiuchide nel 145 - 142.18 Un estratto greco della Lex piratica datata 101
– 100 prescrive «opportuno che nessun pirata possa utilizzare i (...) territori
come base delle proprie scorrerie e che nessun magistrato o comandante di
guarnigione da loro prepostovi possa ospitare i pirati».19
Nei secoli I a.C. - II d.C. la pirateria cala drasticamente nel Mare Nostrum
mentre è ancora forte nel Mar Nero e nel Mar Rosso; invece nel III
secolo d.C. questa criminalità torna in auge nel Mediterraneo. Fra i secoli
III e IV si costruisce il Litus Saxonicum (“Costa Sassone”), linea di
fortificazioni sulle sponde della Manica, per la difesa dalle invasioni di
Sassoni e di Scoti.
24 Ivi, p. 143.
25 Tacito, Annali 1.2, cit. in Prof.ssa Chiara Carsana, lezione 18/11/2014.
26 Res Gestae divi Augusti 25.1, cit. in Prof.ssa Chiara Carsana, lezione 12/11/2014.
27 De Souza, Piracy in the Graeco – Roman World, pp. 203 – 204.
9
EPOCA PATRISTICA
10
Sant'Agostino sembra dare alla criminalità una giustificazione apparente, una
ratio:
E chi, data la proporzione degli avvenimenti, potrebbe parlare delle tante e orribili razzie
operate dai pirati e delle loro coraggiose guerre?28
Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di
ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? E'
pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un
patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda
malvagia aumenta con l'aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori,
stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di
Stato che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell'ambizione di
possedere ma da una maggiore sicurezza nell'impunità. Con finezza e verità a un tempo
rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese
che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: «La
stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo
faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta».29
Bella itaque dicuntur interna, externa, servilia, socialia, piratica. Nam piratica bella sunt
sparsa latronum per maria mioparonibus levibus et fugacibus, non solum navibus
commeatus, sed etiam insulas provinciasque vastantibus. Quos primum Gnaeus
Pompeius post multam vastationem, quam terra marique diu egerant, mira celeritate
conpressit ac superavit.31
Piratae sunt praedones maritimi, ab incendio navium transeuntium quas capiebant dicti.
Nam pyrà ignis est.32
Praedo est qui populando alienam provinciam invadit: praedo ab abigendo praedas dictus;
et praedo qui praedam habet. Praedator, hoc est cui de praeda debetur aliquid.33
31 Isidoro, Etymologiae 18.1.5: «Le guerre, inoltre, possono essere interne, esterne,
servili, sociali o di pirateria. Queste ultime sono portate qua e là sui mari da ladroni che
si servono di brigantini leggeri e veloci non solo per rapinare le navi di passaggio, ma
anche per saccheggiare isole e province intere. Fu Gneo Pompeo chi, alla fine, con
incredibile rapidità, schiacciò e vinse i pirati che, durante lungo tempo, avevano
provocato grandi devastazioni in terra ed in mare».
32 Ivi, 10.220: «Pirati sono predoni di mare, così chiamati con riferimento all'incendio delle
navi di passaggio di cui si impadronivano: pyr significa, infatti, fuoco».
33 Ivi, 10.219: «Predone è colui che invade una provincia altrui mettendola a sacco: il
nome deriva dall'azione di portare via delle prede. Predone è pertanto chi ha in proprio
potere una preda. Predatore, colui al quale “de praeda debetur aliquid”, ossia spetta
una parte della preda».
12
CONCLUSIONI34
− Come altre fonti d'epoca arcaica, tali poemi NON sembrano suggerire
grandi differenze fra pirateria e guerra nel Mediterraneo.
14
− Definizione semplificata e un po' di Storia: «Un pirata era, ed è, chi
ruba e saccheggia in mare»; «La pirateria non è che una rapina a mano
armata condotta in alto mare, ed è sempre stata accompagnata da
crudeltà ed efferatezza». DAVID CORDINGLY, 2003.
15
Etimi e lessico: “pirata” (Greco peiratès, Latino pirata) è dal Greco pèira =
“tentativo”, “assalto”, di radice indoeuropea pèir (“esPERienza” e
corradicali; Latino PERiculum = “esperienza”, “tentativo”, secondariamente
“pericolo”; Greco pèiro = “attraversare”, pòros = “passaggio”; Latino portus =
“porto”, porta = “porta” specie di città o “ingresso”, porto = “portare” o
“sopportare” vox media come fero), meno probabile dal Greco pràsso =
“fare” con radice prag affine a pèra(n) = “oltre” e a perào = “percorrere”
collegato a pèrnemi = “vendere” o “esportare”. In breve, l'idea è
“attraversare” e “affrontare” in senso letterale, figurato ed etimologico
(“passare attraverso” e “trovarsi di fronte”, voces mediae). In Greco “pirata”
è pure lestès (la prima sillaba ha iota sottoscritto) = “ladro” e “brigante”,
corradicale di leìs = “bottino” o “saccheggio”, di radice indoeuropea lau
/ lav (digamma finale). Polibio è il primo scrittore pervenuto che introduce
peiratès accanto a lestès e corradicali. Analogamente in Latino si ha
originariamente il più generale praedo = “predone” connesso a praeda =
“preda” o “bottino”, mentre a partire da Cicerone si affianca il più
specifico pirata dal Greco. SI TORNA A QUANTO INTRODOTTO
SULL'INDETERMINATEZZA E SUL CARATTERE COMPOSITO, elementi
fra cui peraltro spicca una parziale eccezione che conferma la regola: il
Latino hostis ( = “altro”, vox media) è eminentemente negativo (“nemico”)
in ambito nautico, ma non per questo corrisponde necessariamente a
“pirata”.
16
BIBLIOGRAFIA (IN ORDINE DI COMPARSA; NON FIGURANO
FONTI CITATE IN STUDI)
17
− Aristotele, Politica, a c. di Renato Laurenti, Bari, Laterza, 1989.