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Febbraio 2007
Immagine di copertina:
Edward Cooke (1778-1855), Trabaccolo ormeggiato in laguna.
Si notino gli occhi della barca, dipinti di rosso e, sulla ruota di prua, la scultura
lignea del pelliccione.
Si intravvedono poi, disegnati sulla tela delle vele, altri segni simbolici e di prote-
zione: la scala, la croce, il bollo nero.
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ca con la palmetta nel becco o appoggiata su un ramo di olivo. Sui
fianchi di poppa era sempre dipinto a grandi lettere il nome del pro-
prietario della barca, spesso incorniciato da arabeschi multicolori o da
linee rette contenenti nel campo piccoli triangoli o fasce ondeggianti.
Nei parapetti del boccaporto erano inserite pitture di vario soggetto,
perfino versetti biblici, o anche una fascia rossa che da prua a poppa
cingeva i fianchi della barca.
In caso di lutto familiare questa fascia veniva tolta dipingendovi sopra
la tinta nera che era la stessa del corpo dello scafo; a lutto ultimato,
dopo sei mesi o un anno, si ripristinava la fascia colorata.
Sulla poppa campeggiavano a volte due vasi di fiori mentre tutto
intorno correva una fascia tricolore con l’insegna: “Noi stiamo alla
Divina Provvidenza” ed il nome del naviglio, ma potevano essere
inseriti anche disegni geometrici quali il pentacolo, la stella a 5 punte
con raggi convergenti al centro oppure un cerchio che inscrive una
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raggi”, nota anche come “sigillo di Salomone”, che rappresentava il 19 Il nodo o sigillo di Salomone era
simbolo magico delle civiltà orientali al quale veniva attribuito un costituito da due triangoli sovrappo-
enorme potere contro ogni disgrazia19. E ancora soli, lune, stelle ed sti in maniera da formare una stella a
altri segni celesti, dai quali il marinaio traeva presagi e dalla cui sei punte, “semplificazione grafica
influenza si credeva dipendesse il destino degli uomini. Infine i santi, del disegno di un nodo”, Toschi,
Perugini, Importanza del folklore
quelli potenti ai quali il marinaio si raccomandava nel momento del- marinaro cit., p. 182; J. Bois, La sor-
l’estremo bisogno e dalla cui protezione si facevano dipendere la con- cellerie au Maroc, Paris s.d.; J. La
servazione e la fortuna della barca e una pesca redditizia. Bolina, Il gruppo di Salomone e il
“Pater noster” verde, in “Rivista delle
tradizioni popolari”, I, 1893, pp. 75-
77; S. Chiarelli, Il segno di Salomone
in alcuni paesi del Veneto, Ivi, p. 317;
G. Nericci, Segno di Salomone; N. de
Colli, Ancora del segno di Salomone,
Ivi, pp. 391-392; G. Nericci, Nodo di
Salomone, Ivi, p. 886; G. Calvia, Il
nodo di Salomone in Sardegna, Ivi,
II, 1894, p. 39. Su “segno, gruppo,
nodo o sigillo di Salomone” vd.
anche Maffei, Gesti parole coltelli cit.,
particolarmente pp. 75-76.
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Il mostravento
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sostituendolo con il nero che rimaneva per tutto il tempo del lutto,
chiamato dai pescatori coròto.
Una volta la costa del medio Adriatico era fatta - mirabile a dirsi - di pezza.
Ci stava più pezza che sabbia, più pezza che acqua. Era pezza spessa e grez-
za, fratesca, quasi sempre gialla, arancione, sanguigna in partite di grossi
scampoli di forma triangolare, issata sulle alberature della flotta di pesca che
popolava il languido lido arenoso che da Cesenatico corre fino a Termoli,
sotto Pescara. Le larghe vele latine imbandieravano pateticamente questo
bordo orientale della Penisola e decoravano gli orizzonti sui quali non man-
cava mai, a nessuna ora del giorno o delle notti di luna, il triangolino isosce-
le così apprezzato, per la sua facilità di disegno dai pittori dilettanti, oleogra-
fico, narrativo e nostalgico come l’obliquo volo del gabbiano. Il vento era il
pane della popolazione costiera; la vita dell’uomo pendeva da scirocco o da
maestro, da greco o da levante, come la banderuola d’un anemometro. Il
contadino, a trecento metri dal mare, aveva la zappa, sul mare il pescatore
la vela. Sulla vela il pescatore fermava i simboli delle sue fatiche e della sua
Fede: l’ancora, il verricello, l’àrgano, il sole, la Madonna, talora il disco divi-
no dell’Eucarestia; sulla vela egli scriveva la sua sapienza e la sua ironia.
Ricordo una vela mezzana, sulla quale a caratteri tremanti con le enne e le 21 A.P. Ninni, Giunte e correzioni al
esse rovesciate era scritto: “Chi piglia i pesci non dorme” e una di maestra, dialetto veneziano, Venezia 1890.
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che portava l’ammonimento: “Dopo la burrasca, pesci”. Sulle vele come sui
fogli dei calendari erano sempre stampati una stella o la luna e, come su un
certificato dello stato civile, il numero della barca e il numero del padrone.
I navigli trasportavano sul mare, insomma, spiegata ai quattro venti, una
vera e propria pagina di poesia. Possedere la vela, per queste genti riviera-
sche, era come possedere il lenzuolo del letto, la camicia. Intorno alla vela
viveva la famiglia del pescatore come il reggimento intorno alla bandiera22.
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26 Gli studi sulla marineria e sulla pesca
a Chioggia sono innumerevoli e per
la maggior parte incentrati sulla tradi-
zione orale. Fondamentali rimango-
no gli studi di Angelo Marella, di
Alessadro Pericle ed Ercole Ninni, di
Eugenio Bellemo, le approfondite
analisi condotte da Luigi Divari, Dino
Memmo, Gilberto Penzo per i tipi
navali, le tecniche e la cultura mari-
nara e soprattutto di Sergio Perini che
ha indagato a fondo sulla storia della
città. Proprio sulla scorta delle appro-
fondite ricerche condotte da Perini su
un arco cronologico molto ampio, si
evidenzia il progresso della marineria
di Chioggia sul fronte delle attività
piscatorie, con la conquista del mare
aperto soprattutto nel corso del
Seicento, età in cui si avvia, nei con-
fronti con altre compagini marittime
menti all’uso di simboli cromatici sulle vele almeno dal primo cointeressate alla produzione ittica, il
suo indiscusso protagonismo che tro-
Seicento, epoca in cui l’uso sembra già consolidato, come dimostra la verà conferma anche nei secoli suc-
testimonianza rilasciata da un pescatore che specificava di essere in cessivi, M.L. De Nicolò, Microcosmi
grado di riferire a chi appartenessero le barche riminesi e chioggiotte mediterranei. Le comunità dei pesca-
osservate al largo della costa nell’agosto 1672 perché “tutte si cono- tori nell’età moderna, Bologna 2004,
scono dalla diversità delle vele”28. Dopo la guerra di Candia anche in pp. 177-187.
Adriatico si erano intensificate le azioni corsare dei barbareschi e l’i- 27 Vd. gli studi di M.L. De Nicolò riguar-
dentificazione dei natanti risultava estremamente importante ai fini do alla nascita delle marinerie di
della difesa della navigazione e delle popolazioni costiere. Non a Rimini (De Nicolò 1985) e di Pesaro
sproposito c’è chi ha ipotizzato29 che il ricorso ad elementi di ricono- (De Nicolò 1991, 1996).
scimento a mezzo dell’apparato velico al fine di caratterizzare l’iden- 28 M.L. De Nicolò, Paure e pericoli del
tità dei legni da pesca e di piccolo cabotaggio e i relativi luoghi di pro- mare in Pirati e corsari in Adriatico,
venienza, sia da interpretare, almeno fino al primo Ottocento, come a cura di S. Anselmi, Cinisello
un sistema proprio per riuscire a limitare le incursioni corsare a danno Balsamo 1998, p. 116.
dei legni mercantili e pescherecci. Riuscendo a riconoscere o anche
29 Albi, L’Abruzzo marittimo cit., p. 95:
solo a sospettare da lontano la presenza di navi nemiche, i marinai e
“L’origine delle vele colorate risale a
pescatori potevano tentare di fuggire, anticipandosi rispetto ad un molti secoli e fu imposta dalla poca
eventuale attacco che avrebbe inesorabilmente decretato il saccheg- sicurezza del mare per le scorrerie
gio del carico e la caduta in schiavitù degli uomini, e al contempo dei pirati e dei turchi. Con la colora-
dalla riva sarebbe stato possibile far scattare per tempo l’allerta per la zione della vela era possibile distin-
guere da lontano se tornavano a terra
popolazione, in sentore di avvistamenti sospetti. Erano “maniere di tutte quelle partite e se mancavano
esprimersi per rapporto alle vele” per dirla con Alexandre Saverien che quali fossero quelle perdute”.
nel suo dizionario riporta appunto il detto “Far tutte le vele bianche”
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che due almeno delle sue fregate fossero dipinte d’un color verde che ten-
desse al bianco in modo che assomigli al mare quanto più si potesse arriva-
re et non meno il corpo dal di fuori che i remi, gli arbori, le antenne et etian-
dio le vele, et similmente dello stesso colore i marinai i loro panni avessero.
Et questo non per altro che per adoperar quelle in mandarle a spiare et rico-
noscere l’armate nemiche et ogni altra cosa più vicina a nemici che si potes-
se. Il che potrebbono senza esser scoperto et per rispetto del colore confor- Paris 1848, II, 946.
me al mare et massimamente in sul far del giorno, tempo più che altro dei
loro viaggi, et tanto più trovandosi vicino al terreno. La qual astutia è anco- 38 Vd., a titolo di esempio, l’affresco
ra meravigliosamente usata dalla natione inglese che queste fregate pitte le tombale pubblicato da M. Vocino, La
addimandano, et perché la bianchezza delle vele non li facciano di lontano nave nel tempo, Milano 1942, p. 14.
ai nemici manifesti le tingono di colore più simile al mare et con la medesi-
ma cera, con la quale ongere le dette sogliono , ungono parimenti le funi et 39 C.G. Zeni, Con i remi e con le vele,
gli albori et così usano vestire li uomini che sopra vi mandano dell’istesso Milano 1963, p. 231.
colore acciocché agevolmente si possano occultare non solo di notte, ma di 40 Procopio, De bello vandalico, I, 13;
giorno all’occhi de riguardanti. Due tali fregate adunque habbia sempre el M. Bonino, Archeologia e tradiziona-
mio Capitano, l’altre dipinger facendo di qualunque altro colore li piace42. le navale tra la Romagna e il Po,
Ravenna 1978, p. 45. Sulle navi bizan-
Le considerazioni di strategia militare proposte da Cristoforo da Canal tine si veda ora A. Carile, S.
non appaiono comunque originali, dal momento che erano state già Cosentino, Storia della marineria
bizantina, Bologna 2004.
anticipate da Vegezio (IV-V sec. d.C.)43 nei Praecepta belli navalis da
cui risulta aver tratto ispirazione Canal per il passo testè citato. 41 F.G. Galli, Istruzioni militari o sia
Vegezio consigliava appunto di tingere le vele di colore veneto, corso elementare di tattica, evoluzio-
riprendendo le tonalità delle onde marine per mimetizzare le mano- ni, architettura militare, artiglieria e
vre di esplorazione marittima (exploratoriae naves) in tempo di guer- marina divise in quattro libri. Libro
quarto che contiene l’artiglieria e la
ra. Il colore definito venetus (verde marino, azzurro) derivava dal marina, Roma 1794, p. 275.
nome della fazione Azzurri (formata appunto da Veneti) che gareg-
giava nelle corse del circo44. Il volgarizzamento di Bono Giamboni 42 Cristoforo Canale, Della militia
(sec. XIII) così restituisce il passo del capitolo 37 (Del modo delle navi marittima, a cura di M. Nani
Liburne): Mocenigo, Roma 1930, p. 273.
Sull’autore del trattato vd. A. Tenenti,
Cristoforo da Canal. La marine véni-
… acciocché le navi che spiando vanno, per bianchezza non si manifestino, di tienne avant Lépant, Paris 1965.
colore veneto, il quale è all’acqua del mare assomigliante, le vele, e le funi si
tingono, e tignesi ancora la pece, colla quale congiungonsi le navi, ed i noc- 43 De re militari, IV, cap. 37.
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chieri, e combattitori di vestimento di cacciatore si vestono, acciocché non 44 Sul venetus color, G.S. Fabbri,
solamente la notte, ma il die possono fare i loro spiamenti45. Armamenti individuali. La forza
d’urto della fanteria marina, in M.
Mauro, a cura, I porti antichi di
Vele realizzate con ferzi alternati bianchi e celesti verranno comunque Ravenna. Il porto romano e le flotte,
adottate dalla marina veneziana, tant’è che nel tardo Settecento risul- I, Ravenna 2005, p. 160; Ivi, M.
tano ancora in uso46. Bonino, Le navi da guerra, p. 104.
La casistica a cui fin qui si è fatto riferimento riguardava però fonda-
45 Vegezio Flavio, Dell’arte della guer-
mentalmente la velatura di navi importanti, mercantili, militari o che
ra. Volgarizzamento di Bono
trasportavano figure mitiche o divine, per la cui colorazione necessi- Giamboni, Firenze 1815. Si veda ora
tava l’utilizzo di materie tintorie preziose, quali per esempio la porpo- Vegezio, L’arte della guerra, a cura di
ra. Nel rilievo marmoreo raffigurante il porto di Ostia, oltre all’oculus L. Canali, M. Pellegrini, Milano 2001.
apotropaicus è rappresentata una nave che mostra sul càrbaso47, la
46 Atlante velico cioè piani e tariffe dele
scena della lupa in atto di allattare i gemelli fondatori di Roma, a
occorrente di tele, cordami, spago,
rimarcare l’identità romana, messa a doppio sulla vela per essere ben merlini catrame ed altro per ogni
vista da ogni lato nella stessa maniera48. Un simbolo della vita civile si sorte di vela possibile adattate agli
ripete sulle vele delle navi veneziane che ostentavano l’alato Leone di armi dei pubblici bastimenti dalla
San Marco, su quelle genovesi che esibivano lo stemma cittadino sor- nave di primo rango sino al più
minuto caicchio. Opera comandate
retto da grifoni rampanti o anche sulla vela delle barche di Catania del
dagli illustrissimi ed eccellentissimi
primo Novecento “con l’emblema ed i colori della città: il maestoso signori Inquisitori all’Arsenale, 1785,
Elefante e il vessillo rosso-blu”49. La vela era fabbricata unendo insie- Ms. PD 2804, Biblioteca Museo
me numerosi “ferzi”, ossia strisce di tela ricavate dalla tessitura di Correr, Venezia.
diverse fibre vegetali (papiro, sparto, canapa e soprattutto lino), le cui
dimensioni erano determinate dalle capacità lineari dei telai50. Le tinte 47 Carbasus era la vela realizzata con
tela di lino.
delle tele da vela dei pescatori erano ricavate dalle cosiddette “terete”,
come le chiamavano a Chioggia, polveri terrose che mescolate all’ac- 48 A. Guglielmotti, Delle navi romane
qua insieme a farina o resina di pino che fungevano da collante, per- scolpite sul bassorilievo portuense,
mettevano di giocare su effetti cromatici che rimanevano comunque Roma 1866, p. 24 e ss.
limitati alla gamma dei rossi e dei gialli con qualche stacco dato dal
49 Ragusa, Figure, simboli e motti nelle
ricorso al nero. Nelle vele delle marinerie venete e del Mediterraneo barche catanesi cit., p. 634. Lo stem-
occidentale si ritrova però anche qualche spunto di blu e di verde. Lo ma della città di Spalato è richiamato
scopo era, come s’è detto, di riconoscere la barca, ma occorre rimar- dalla vela a scacchiera con quadri
care che la tinta contribuiva a dare maggiore compattezza e consisten- bianchi e rossi del modello di galea
za alla tela prolungandone quindi anche la durata nel tempo. Le raffi- realizzato alla fine del sec. XVI a
ricordo della partecipazione di una
gurazioni più semplici si limitavano a puri interventi di colore su gran- squadra navale spalatina alla batta-
di disegni geometrici precedentemente delineati sul tessuto con un glia di Lepanto del 1571 e conservato
carboncino. A prima vista queste rudimentali opere pittoriche parreb- nel Museo Navale di Spalato.
bero prive di spinte culturali e indirizzate solo a far risaltare la barca
sull’acqua con un effetto di spicco. Con questo linguaggio visivo cifra-
50 Janni, Il mare degli Antichi cit. p. 90;
D. Celletti, Fustagni e “canevazze”
to la barca veniva personalizzata e resa riconoscibile anche da lonta- per le vele della marina veneta tra
no, dunque lo scopo era raggiunto. Analizzando meglio i disegni però ‘500 e ‘700, estr. da “Atti dell’Istituto
riaffiorano le impronte arcaiche del substrato culturale di cui era infar- Veneto di Scienze Lettere Arte”, t.
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Gesù Salvatore e quindi verso la luce della fede. Ai simboli che assor-
bono e tramandano antiche credenze si aggiungono sulle ultime vele
del Novecento altri elementi portafortuna, quali, per esempio la rap-
presentazione, insieme al cane, di un gobbo52.
Per quanto concerne la tecnica adottata per la personalizzazione della
vela, si abbozzava, come già detto, prima sulla tela il disegno con il
carbone, poi si passava il colore con una spugna, quindi si distende-
va la vela al sole ad asciugare. Quando era asciutta si immergeva allo-
ra nell’acqua per liberarla dalla polvere residua dei colori e si disten-
deva nuovamente al sole.
Il medesimo disegno della vela di poppa era ripetuto in quella di prua
(de trancheto), nel caso però che la moglie del proprietario della
barca fosse appartenuta anch’essa ad una schiatta di pescatori con un
proprio segno araldico, non di rado sulla vela di prua veniva inserito
anche quello53.
Nel caso di barche che pescavano in coppia (a paranza) la colorazio-
ne delle vele di entrambe risultava identica, differenziandosi solamen-
te nell’aggiunta di una pennellata di colore diverso sulla punta della
vela della barca di comando, in cui era presente il capo paròne (paròn
‘d cmand) della muta di barche.
A differenza dei pescatori veneti, romagnoli e marchigiani, quelli
pugliesi preferivano mantenere la vela bianca inserendo il colore solo
per definire un disegno al centro. La preferenza andava alla raffigura-
zione, in nero o in rosso, di delfini, triglie, pescicani, balene, granchi,
aragoste, merluzzi, oppure di stelle, comete, lune, soli raggianti, globi
ed altri simboli propiziatori, come la stella a sei raggi, formata dall’in-
treccio di due triangoli, ritenuta un potente talismano per scongiurare
le disgrazie54.
Le vele abruzzesi invece non erano mai bianche. Predominava il colo-
re rossastro del tannino come fondo, sul quale si sovrapponeva spes-
so un disco giallo rappresentante un sole immaginario, il gallo, l’em-
blema del Santissimo Sacramento, i tre dadi, il globo terracqueo sor-
montato dalla croce, il calice con l’ostia, l’ancora tripode, la mezzalu-
52 Boscolo, F., Gibin, C., Tiozzo, P.G.,
na, la stella, le “immagini dei Santi protettori e le Madonne brune che Un mestiere e un paese. I Sabionanti
apparvero ai pescatori ne l’ira del mare in tempesta e nelle raffiche di Sottomarina, Venezia 1986, p. 42.
dell’uragano”55.
La descrizione della velatura latina adottata dalle barche da pesca 53 Ninni, Le decorazioni sulle barche e
abruzzesi, “ampia e resistente fatta di tela olona56 spesso tessuta nelle sulle vele dei pescatori veneti cit., p.
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case stesse dei marinai, dalle moglie e dalle figlie”, è fornita da Gino
Albi. 54 S. La Sorsa, Folklore marinaro di
Puglia, in “Lares”, 1, 1930, p. 29.
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Era formata da varie ferze di tela cucite fra loro in modo da prendere la
forma di un trapezio irregolare, inferita nella parte superiore ad una lunga
asta o pennone, mentre la parte inferiore era munita ai suoi due angoli di
mura e scotta per la manovra. La vela latina è molto maneggevole e permet-
te a chi ha la direzione del timone di manovrarla a mezzo della scotta, alla-
scando o stringendo il vento. L’esistenza di una o due mani di terzaroli per-
metteva la diminuzione della sua superficie con vento fresco ed agevolava
la navigazione con ogni tempo57.
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E. Cooke (1778-1855), Trabaccoli, bragozzi, topi ormeggiati in laguna (particolari). I dipinti, in cui sono raffigurate le barche
pescherecce adriatiche sono qui riprodotti al fine di evidenziare l'araldica delle vele, caratterizzate dall'uso di segni e simboli
religiosi e scaramantici, bene auguranti: croci di vario tipo, globo con la croce, stelle, sole, gallo, scala, e su una vela è perfino
disegnata l'immagine di una galea.