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Maria Lucia De Nicolò

Barche e vele dipinte


Estratto da “La Comunità delle rive”

Febbraio 2007
Immagine di copertina:
Edward Cooke (1778-1855), Trabaccolo ormeggiato in laguna.
Si notino gli occhi della barca, dipinti di rosso e, sulla ruota di prua, la scultura
lignea del pelliccione.
Si intravvedono poi, disegnati sulla tela delle vele, altri segni simbolici e di prote-
zione: la scala, la croce, il bollo nero.
Barche e vele dipinte

Le barche dipinte 123

Gli elementi decorativi della barca erano costituiti dalla colorazione


dello scafo e delle vele, dalla scultura sull’asta di prua, che spesso raf-
figurava un vello di animale, il cosiddetto “pelliccione” o “parrucco-
ne”1, dagli occhi della barca, collocati a rilievo, o dipinti, sempre a
prua, dalla “gioia”, la ghirlanda sistemata a prua e a poppa e dal
mostravento (penèlo). Il rito antico di collocare, affisso ad un palo
sulle rive del mare perché il dio del mare la vedesse, l’offerta votiva
per propiziarsi la navigazione, si era trasferita simbolicamente nell’u-
sanza, mantenutasi fino ai nostri giorni, di scolpire a prua, un richia-
mo alla pelliccia di agnello, segno dell’avvenuto sacrificio in onore
della divinità per avere una buona navigazione, corna di capra o di
altri animali, a protezione dalle disgrazie. Usi antichi di cui si hanno
testimonianze da vari scrittori in ogni tempo. Bassorilievi, mosaici,
1 Patrignani, Il trabaccolo e la sua
gente cit., pp. 56-57.
decorazioni sulle ceramiche, miniature, modellini in legno conservati
nei musei e nelle chiese offrono un’ampia panoramica di simbologie. 2 P. Gazzotti, La decorazione delle navi
La struttura dei navigli greci e etruschi dipinti su antichi vasi e coppe dall’epoca romana ai nostri giorni, in
ricorda la linea del delfino “sì per la linea slanciata e agile perfetta- “Atti del IV congresso nazionale di arti
e tradizioni popolari” cit., p. 459.
mente adatta alla navigazione, sia per il concetto religioso nel quale
questo cetaceo era tenuto dai primi marinai”2. Una funzione protetti- 3 “Il rostro, dalla primitiva forma di
va, come s’è detto poc’anzi, era assegnata all’ornamento della prora testa di delfino fu variato in quella di
che spesso nelle navi romane assumeva la sembianza del collo di un cinghiale, o di lupo, a seconda della
cigno, a volte sistemato anche a poppa, simbolo del dio Giove, e della religione e del paese. Il cinghiale era
l’insegna dei Frigi; il lupo, dedicato
sua mutazione, appunto in cigno, per sedurre Leda da cui sarebbero
ad Apollo e a Marte, quella dei roma-
nati i divini gemelli Castore e Polluce eletti poi dai marinai a loro ni. I Sanniti avevano per rostro delle
guida durante la navigazione3. Plinio parla di pittori professionisti che loro navi una testa di lupo quando
cercavano una terra sulla quale porre
stabile dimora … in seguito il rostro
per iniziativa degli Etruschi , che già
avevano ideata l’ancora, fu fatto con
acuminate punte di ferro, in forma
del tridente di Nettuno. Al disopra del
rostro, spesso si osserva una testa di
montone o di delfino o d’altro anima-
le, detto “preombulo” o “antirostro”:
specie di ariete che, spinto dall’inter-
no, serviva a percuotere il fianco
della nave nemica per disincagliare il
proprio rostro, quando questo si
fosse conficcato troppo a fondo”, Ivi,
p. 460. Ai gemelli Castore e Polluce si
affidavano gli antichi naviganti per
aver salva la vita durante le tempeste
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avevano come principale occupazione quella di dipingere le navi:


“naves pinxisse” (Plinio, Naturalis Historia, XXXV, 36, 101); Luciano
riferisce di una barca che presentava in poppa un’opera scultorea
raffigurante un’anatra dorata (Storia vera, II, 41)4. Le decorazioni
artistiche erano comunque appannaggio delle classi elevate che
spesso sceglievano simboli che giustificassero il loro ruolo sociale e
politico. Passando al medioevo, tanto per portare un esempio anco-
ra inedito, ne è un chiaro esempio la notizia del 1450, riportata in un
documento di Fano, che informa sulla presenza di decorazioni
lignee applicate in rilievo sulla poppa di un barcoso, “in puppi a
parte posteriori dicte pupis insignitos et sculpos duos flores”5, a rap-
presentare con tutta verosimilità le rose, emblema appunto ed inse-
gna della signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesti. Un’altra descri-
zione si ha per le insegne che identificavano una barca di Chioggia
del 1596, “di tenuta stara cento in circa”:

… ha in cima la palmeta da prova l’arma di messer Bonivento ch’è un penel-


lo e due B. che significano Bonivento Bonivento et nella scaffetta da pope (Alceo, VII sec. a.C.), e credevano nel
gli è depenta un’arma del quondam illustrissimo cardinal Moresini et loro arrivo salvifico quando si accen-
appresso quella di esso messer Bonivento et inoltre di fuori via a pope et a devano sui pennoni della nave le
prova di essa barca gli sono segni come la fu altre volte depenta. fiammelle più tardi attribuite all’inter-
vento di Sant’Elmo, De Nicolò,
Adriatico. Cultura e arti del mare
Gli scafi delle imbarcazioni tradizionali adriatiche avevano per lo più cit., pp. 135-137.
una colorazione scura, nera, dovuta ai materiali di calafataggio, ma fra
Otto e Novecento inizia una moda che porta ad interventi di pittura 4 Janni, Il mare degli Antichi cit., p.
406.
sull’intero scafo. I toni scuri, caratteristici negli scafi fino al XIX seco-
lo, specie dal secondo dopoguerra, vengono soppiantanti da vernicia- 5 SASFano, Notarile di Fano, Giacomo
ture che privilegiavano le tinte grigiastre e azzurrognole con fasce di di Antonio, C (1447-1454).

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colore rosso o verde6. 6 Patrignani, Il trabaccolo e la sua


Antichissimo risulta l’uso di inserire l’occhio apotropaico, presente già gente cit., pp. 49-53.
sulle imbarcazioni degli Egizi (occhio del dio Horus), dei Fenici, dei 7 F. Maroi, Roma antica sul mare
Greci, dei Romani, assunto a simbolo universale per scongiurare i attraverso le epigrafi e le arti figura-
malefici e reviviscenze degli antichi oftalmici si trovano ovunque tive in “Atti del IV congresso naziona-
lungo le coste del Mediterraneo. Già nelle antiche civiltà rappresenta- le di arti e tradizioni popolari”, I,
va l’occhio buono che contrastava il malocchio e si ritrova disegnato Roma 1942, p. 124; si ritrovano “gli
occhi scaramanziaci su maioliche egi-
anche nel fondo o nell’esterno delle tazze e dei vasi da vuotare in zie, su ceramiche greche romane
segno benaugurante7. La forma dell’occhio, pur conservando nel etrusche e rodiesi, su talismani copti
tempo il suo costante attributo magico, a seconda delle regioni e dei ecc.”, Ragusa, Figure, simboli e motti
popoli, prende aspetti diversi, venendo raffigurato a volte con sem- nelle barche catanesi cit., p. 633.
bianze antropomorfe, cioè del tutto simile all’occhio umano, altre con Oltre agli “oftalmici” altri elementi
decorativi erano gli “epotidi”, che raf-
un disco colorato o in forma di triangolo o di stella, o semplicemente figuravano le orecchie ed erano
indicato con un punto, bianco e più spesso rosso, per aumentarne la “costituiti da due travi sporgenti obli-
potenza apotropaica. Simboleggiava l’accortezza dell’imbarcazione quamente ai due lati del naviglio,
che, resa magicamente viva, doveva essere in grado di scrutare il cam- dalla parte di prora, posti a difesa dei
mino evitando i pericoli. La figura della ballerina rilevata sulla prua di colpi di rostro delle navi nemiche, e
servivano anche a sospendervi le
barche siciliane e venete ripropone un’iconografia antica, offerta sia ancore”, Gazzotti, La decorazione
da alcune lapidi funerarie dei primi secoli dell’era cristiana, sia da un delle navi dall’epoca romana ai
codice miniato del VI secolo8. nostri giorni cit., p. 460.
Il colore e i simboli utilizzati per abbellire lo scafo richiamavano dun-
que antichissime tradizioni propiziatorie e gli occhi, che dovevano
8 Toschi, Perusini, Importanza del fol-
klore marinaro cit., p 181.
caricare la barca di una forza magica, erano resi più espressivi grazie
all’inserimento di altre figure che avevano lo scopo di ingraziarsi la 9 Vd. supra.
protezione degli dei prima dell’avvenuta cristianizzazione, dei Santi o
della Madonna poi. S’è fatto cenno ai cavalli di Poseidone e ai leoni9, 10 Ragusa, Figure, simboli e motti nelle
ma, specie sulle barche siciliane, a questi si aggiungeva in una fanta- barche catanesi cit., p. 633.
smagorica profusione di colore tutta una serie di altre decorazioni:
11 “Poiché la Dea egizia, nel caos di reli-
“festoni di frutti (pere, mele, pesche) e fiori (rose, girasoli, margheri- gioni e di misteri generato dalle con-
te) alternati a semicerchi concentrici sovrapposti o a losanghe dai lati quiste romane d’oltremare e nel suc-
ricurvi, forme geometriche determinate dal disegno a zig-zag e dal cessivo periodo di decadenza della
capriccio delle tinte vivaci e contrastanti (rosso, turchino, giallo, vita tradizionale, venne confusa con
verde, nero), sottili ghirlande dalle foglioline stilizzate, processioni di la Demetra greca e la Cerere romana,
è probabile che talune forme del sim-
cherubini intercalati da riquadri multicolori”10. Nell’ultima striscia dal- bolismo e del rituale egiziano siano
l’alto, soprastante l’opera viva, di solito a fondo unito con cesti di fiori penetrate in seguito nei culti cristiani
e frutta, alcuni studiosi hanno ravvisato sopravvivenze dell’antico e in manifestazioni religiose popolari,
culto di Iside11. quali il varo di una barca e la sua
Sono il retaggio del consistente apporto nella cultura popolare mari- decorazione”, Ragusa, Figure, simbo-
li e motti nelle barche catanesi cit., p.
nara dei riti religiosi della cultura greca ed egizia a cui però si sovrap- 635; J. G. Frazer, Il ramo d’oro,
pone la devozione cristiana con le figure dei santi che nel tempo Torino 1950, pp. 625 e ss.
erano andate a sostituire gli dei dell’olimpo pagano, cambiamenti cul-

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turali che comunque non vanno ad inficiare l’antica impostazione 126


rituale e scaramantica. Nel primo Novecento si ricordavano per i
tempi addietro anche sulle tartane di Chioggia le raffigurazioni di
Poseidone armato di tridente12, soppiantato poi da elementi cristiani
quali l’immagine di uno o due angeli ad ali aperte nell’atto di suona-
re la tromba o in quella dello Spirito Santo sotto forma di colomba
bianca infiorata tutt’intorno da ghirlande verdi e corolle bianche e
rosse. Sempre sulle barche chioggiotte, a prua erano inserite all’inter-
no dei bòli che andavano a rimpiazzare gli occhi disegnati sulle bar-
che di altre marinerie, le cosiddette pesséte che rappresentavano i
Santi Felice e Fortunato, patroni della città, la Madonna della
Navicella, il Cristo miracoloso conservato nella chiesa di San
Domenico, la Passione di Gesù, San Giorgio. Ulteriori decorazioni
erano presenti all’interno dello scafo, sia a prua che a poppa. A prua
faceva bella mostra una scena abbastanza composita, mentre sui para-
petti dei boccaporti prendevano corpo disegni di fantasia a soggetto
vario. Erano decorati anche i burchi e le piccole barche (burcieli da
Buseti) dei pescatori di Pellestrina. Da ambedue le parti della prora
era dipinto o semplicemente disegnato un disco con al centro una
12 E. Ninni, Le decorazioni sulle barche
stella a varie punte, o l’Occhio Divino racchiuso nel triangolo, i cui e sulle vele dei pescatori veneti, in
angoli significavano Padre, Figliolo e Spirito Santo, contornato da “Atti del IV congresso di arti e tradi-
raggi dorati, oppure, a rappresentare quest’ultimo, una colomba bian- zioni popolari” cit., II, pp. 495-496.

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ca con la palmetta nel becco o appoggiata su un ramo di olivo. Sui
fianchi di poppa era sempre dipinto a grandi lettere il nome del pro-
prietario della barca, spesso incorniciato da arabeschi multicolori o da
linee rette contenenti nel campo piccoli triangoli o fasce ondeggianti.
Nei parapetti del boccaporto erano inserite pitture di vario soggetto,
perfino versetti biblici, o anche una fascia rossa che da prua a poppa
cingeva i fianchi della barca.
In caso di lutto familiare questa fascia veniva tolta dipingendovi sopra
la tinta nera che era la stessa del corpo dello scafo; a lutto ultimato,
dopo sei mesi o un anno, si ripristinava la fascia colorata.
Sulla poppa campeggiavano a volte due vasi di fiori mentre tutto
intorno correva una fascia tricolore con l’insegna: “Noi stiamo alla
Divina Provvidenza” ed il nome del naviglio, ma potevano essere
inseriti anche disegni geometrici quali il pentacolo, la stella a 5 punte
con raggi convergenti al centro oppure un cerchio che inscrive una

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stella, un crocifisso, altre immagini e fantasiose cornici. A seconda del 129


tipo di barca mutava anche la decorazione. Sulle barche del golfo di
Catania “la smagliante policromia della sardara” era notevolmente
ridotta “nel grosso ragnu a vela e si esauriva quasi del tutto nella pic-
cola lampadara grigio-nera”13. Campeggiavano spesso le immagini
dei santi Cosma e Damiano, i santi medici che nell’universo cristiano
erano andati a sostituire i Dioscuri. La Vergine Maria, San Giuseppe,
San Francesco di Paola14, Santa Rosalia ed altri santi patroni dell’arte e
delle città costiere, erano raffigurati accanto a simboli di passate civil-
tà. S’è detto dei cavalli, neri e bianchi galoppanti, e dei leoni, ma sul-
l’opera morta di prua figuravano anche delfini, tonni ed altri pesci in
processione alternati a disegni geometrici, sirene di varie specie15 e
spesso San Giorgio e San Michele Arcangelo, il primo in atto di ucci-
dere il drago con la lancia, il secondo con la spada sguainata pronto
ad affrontare il serpente infernale con la destra e al contempo a tene-
re sospesa con la sinistra la bilancia per pesare le anime. Questi due
santi avevano assunto le funzioni che nella religione pagana erano 13 “Quando la decorazione si estende
riconosciute a Perseo e ad Ercole, uccisori rispettivamente di Medusa su larga scala, da prua a poppa, inter-
e dell’Idra di Lerna, che impersonavano nella fantasia popolare le namente ed esternamente, è tutto un
forze del bene e della luce vincitrici su quelle del male e delle tene- incrociarsi di forme e di tinte, opera
non solo del pitturi, ma anche dei
bre. La figura del delfino era considerata un efficace amuleto fin dal- marinai, i quali non usano pennello e
l’antichità e la superstizione marinara vedeva anche in questo socie- colori sulla superficie liscia del legno,
vole mammifero marino la reincarnazione di anime di pescatori con- ma legano nastri alle sporgenze o
introducono fiori entro le cubie”,
Ragusa, Figure, simboli e motti nelle
barche catanesi cit., p. 629.

14 L’immagine di San Francesco da


Paola veniva dipinta, a vigilare, sulla
poppa delle barche catanesi, perché
la tradizione attribuiva a questo santo
“il miracolo di avere attraversato lo
Stretto di Messina sul suo mantello
disteso sulle onde appoggiandosi al
bastone come all’albero della mai-
stra; la sua immancabile presenza a
poppa spinge quindi la barca in
tempi di bonaccia e la preserva da
improvvise bufere in alto mare”, Ivi,
p. 630.

15 C. Simiani, Usi, leggende e pregiudizi


popolari trapanesi, in “Archivio per
lo studio delle tradizioni popolari”,
VII, 1889, pp. 481 e ss.
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dannati a scontare i peccati commessi in vita. Con la sua raffigurazio- 131


ne sulla barca si era convinti di poter evitare i danni che il delfino arre-
cava alle reti secondo il principio similia similibus, perchè ricono-
scendo nella barca un suo simile, l’animale non avrebbe attaccato il
sacco. Lo stesso succedeva inserendo le figure di altri pesci che, “per
un principio opposto di omeopatia”, dovevano venire attratti dalle
loro stesse immagini rendendo più facile e fruttuosa la pesca16.
A volte, a titolo di ornamento, si ripiegava anche su interventi più
semplici che si limitavano a lunghe strisce di colore rosso, verde, gial-
lo o bianco, con diversi disegni regolari e simmetrici. A prua solita-
mente troneggiava la figura del santo protettore, mentre al “campiu-
ni” di poppa più in basso ed all’esterno venivano dipinti l’ostensorio
oppure sirene o pesci. All’intorno, lungo l’opera morta della barca, si
dava spazio a festoni di fiori, frutti, uccelli ecc. sia a poppa che a prua
mentre verso il tagliamare si preferiva raffigurare angioletti in vari
atteggiamenti.
Lo stesso si riscontrava anche sulle barche pugliesi dove, accanto alle
rappresentazioni di Sant’Andrea protettore dei pescatori, San Nicolò
patrono della città da quando venne portato da Mira a Bari, San
Francesco di Paola, che passò il mare sul suo mantello disteso sulle
onde servendosi nel proprio bastone per vela, si ritrova spessissimo
anche l’immagine della Madonna dei Martiri venerata a Molfetta, 16 Ivi, p. 633.
dipinta da sola, insieme a San Nicola o anche con le Anime del
Purgatorio per le quali i pescatori, e non solo quelli pugliesi, nutriva- 17 A.A. Bernardy, Arti popolari nelle
isole italiane dell’Egeo, in “Lares”, 3,
no una grande devozione ed invocavano a tutte le ore. Era assai dif-
1933, pp. 6-9; Eadem, Il valore della
fusa la credenza che Dio le avesse in speciale predilezione e che tradizione a Malta, in “Lares”, 1-2,
ascoltasse la loro preghiera. Appunto per questo a poppa o a prua si 1935, pp. 85 e ss; Eadem, Forme e
vedevano dipinte scene del Purgatorio con fiamme e lingue di fuoco colori della tradizione maltese, in
in mezzo a cui emergevano figure di anime imploranti con le braccia “Lares”, 4-5, 1940. L’influenza della
tradizione mediterranea giunge
alzate verso la Vergine o San Nicola. anche nell’Atlantico, vd. Eadem, Usi e
Nelle decorazioni delle barche tradizionali, come in altre espressioni costumi mediterranei nell’Atlan-tico,
culturali delle società marinare, si scopre dunque la persistenza di ele- in “Lares”, 5, 1942.
menti arcaici assorbiti nel tempo da varie civiltà. Nella struttura com-
18 Ragusa, Figure, simboli e motti nelle
plessiva le barche tradizionali dell’Adriatico mostravano somiglianze
barche catanesi cit., p. 629. Scrive
e affinità con quello dello Jonio, del Tirreno, dell’Egeo, perché ispira- P.K. Bock: “Nella maggior parte degli
te ad una radice comune che affondava nell’ulissidimo omerico17, tra- attuali villaggi di pescatori, ogni anno
sformato sulla scorta degli apporti delle civiltà orientali, greca, latina si svolge la benedizione delle barche
e cristiana18. e su tutto il Mediterraneo si possono
ancora trovare delle barche con dei
I disegni, i colori, i simboli, come s’è visto, erano ispirati ai più vari grandi occhi dipinti per guardarsi dal
motivi religiosi, magici, propiziatori. Si pensi anche solo alla tradizio- mare”, Antropologia culturale
ne di dipingere, insieme ai segni della fede cristiana, “la stella a sei moderna, Torino 1978, p. 326.

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raggi”, nota anche come “sigillo di Salomone”, che rappresentava il 19 Il nodo o sigillo di Salomone era
simbolo magico delle civiltà orientali al quale veniva attribuito un costituito da due triangoli sovrappo-
enorme potere contro ogni disgrazia19. E ancora soli, lune, stelle ed sti in maniera da formare una stella a
altri segni celesti, dai quali il marinaio traeva presagi e dalla cui sei punte, “semplificazione grafica
influenza si credeva dipendesse il destino degli uomini. Infine i santi, del disegno di un nodo”, Toschi,
Perugini, Importanza del folklore
quelli potenti ai quali il marinaio si raccomandava nel momento del- marinaro cit., p. 182; J. Bois, La sor-
l’estremo bisogno e dalla cui protezione si facevano dipendere la con- cellerie au Maroc, Paris s.d.; J. La
servazione e la fortuna della barca e una pesca redditizia. Bolina, Il gruppo di Salomone e il
“Pater noster” verde, in “Rivista delle
tradizioni popolari”, I, 1893, pp. 75-
77; S. Chiarelli, Il segno di Salomone
in alcuni paesi del Veneto, Ivi, p. 317;
G. Nericci, Segno di Salomone; N. de
Colli, Ancora del segno di Salomone,
Ivi, pp. 391-392; G. Nericci, Nodo di
Salomone, Ivi, p. 886; G. Calvia, Il
nodo di Salomone in Sardegna, Ivi,
II, 1894, p. 39. Su “segno, gruppo,
nodo o sigillo di Salomone” vd.
anche Maffei, Gesti parole coltelli cit.,
particolarmente pp. 75-76.

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Il mostravento

In cima all’albero di maestra, intorno a un’asta di ferro erano colloca-


ti i penèli, che erano mostravento artistici, piuttosto elaborati, realiz-
zati a traforo. In un primo scompartimento erano rozzamente rappre-
sentati i santi protettori, in un altro gli strumenti della passione di
Cristo ed ancora diverse figure bizzarre con bandiere e pezzuole di
vario colore e con sonagli che, seguendo l’ondeggiamento della
barca, erano praticamente in continua attività con un tintinnio inces-
sante. Questi pennelli servivano ad indicare il vento rivolgendosi dalla
parte opposta a quella da cui spira, ma la cura nella loro fattura, la
presenza del colore rosso ed anche i pendagli sonori parrebbero voler
unire a questo elemento di servizio, non indispensabile, anche l’effet-
to di talismano contro i malefici. Poteva essere di diverse dimensioni
e veniva sfarzosamente addobbato. Ogni barca solitamente ne espo- 135
neva due, uno sull’albero di poppa e l’altro più piccolo su quello di
prua. L’altezza media del penelo grande era di circa 80 cm., ma sulle
barche romagnole erano montati anche con dimensioni più ridotte20.
Veniva assicurato all’albero per mezzo di un ferro lungo e rotondo sul
quale poteva girare con facilità a seconda del vento ed era costruito
con due scomparti, l’uno sovrapposto all’altro. Nello scomparto infe-
riore erano rappresentati i protettori della città, con gli elementi che
aiutavano a riconoscerli, la spada, le piume, le palme. Nello scompar-
to superiore era invece raffigurata la croce con tutti gli strumenti della
20 Una descrizione dei pennelli roma-
passione: la scala, la lancia, la pertica con la spugna, le colonne con il
gnoli viene proposta da S. Ricca
gallo ecc. La parte superiore si arricchiva poi di altre decorazioni. Alla Rosellini, Navigatori e navigazione
sommità della croce partiva un’asticella che sosteneva il lato interno in Aa. Vv., Mestieri della terra e delle
di un quadrilatero spostato in fuori rispetto all’albero della barca, raf- acque, Milano 1979, pp. 240-241. A
figurante in traforo altri soggetti contenuti nel rettangolo sottostante. proposito di quelli presenti sulle bar-
che marchigiane Giovanni Crocioni
La preferenza era per i temi sacri, la colomba rappresentante lo Spirito riferisce: “I pennelli (o banderuole
Santo, San Michele Arcangelo, la Madonna, ma ad essi si univano girevoli; ogni paese ha il suo pennel-
anche soggetti profani come due galline che beccano il sole, un lo particolare), a sommo degli alberi,
omino che si regge su una gamba sola, nel tempo poi rimpiazzati da indici del vento, diversi da marina a
marina, avendo, ognuno, riprodotto
segni patriottici.
un santo romano (S. Paolo, S. Pietro
Il penèlo oltre a questi intagli era ornato anche di bandierine multico- ecc.) o altro santo, come S. Andrea
lori, di frange, stelle, fiocchi, festoni e sonagli. Il primo pezzo del pescatore, S. Francesco di Paola che
penelo stava verso l’albero di poppa e si chiamava sgura de soto, quel- attraversò il mare sopra un mantello,
lo soprastante sgura de sora. Al di sotto di questo grande telaio se ne o il glorioso leone di S. Marco e, fissi
sul vertice, una crocetta, una ruota,
trovava un altro detto penelèto che assumeva il nome di mazzo e una bestia caudata, un gallo, o altro”,
sgura. L’ultimo telaio al basso compresa la bandiera si chiamava Crocioni, La gente marchigiana nelle
aloco21. In caso di morte di un familiare si eliminava il colore rosso sue tradizioni cit., p. 14.

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sostituendolo con il nero che rimaneva per tutto il tempo del lutto,
chiamato dai pescatori coròto.

Il codice cromatico delle vele

Una volta la costa del medio Adriatico era fatta - mirabile a dirsi - di pezza.
Ci stava più pezza che sabbia, più pezza che acqua. Era pezza spessa e grez-
za, fratesca, quasi sempre gialla, arancione, sanguigna in partite di grossi
scampoli di forma triangolare, issata sulle alberature della flotta di pesca che
popolava il languido lido arenoso che da Cesenatico corre fino a Termoli,
sotto Pescara. Le larghe vele latine imbandieravano pateticamente questo
bordo orientale della Penisola e decoravano gli orizzonti sui quali non man-
cava mai, a nessuna ora del giorno o delle notti di luna, il triangolino isosce-
le così apprezzato, per la sua facilità di disegno dai pittori dilettanti, oleogra-
fico, narrativo e nostalgico come l’obliquo volo del gabbiano. Il vento era il
pane della popolazione costiera; la vita dell’uomo pendeva da scirocco o da
maestro, da greco o da levante, come la banderuola d’un anemometro. Il
contadino, a trecento metri dal mare, aveva la zappa, sul mare il pescatore
la vela. Sulla vela il pescatore fermava i simboli delle sue fatiche e della sua
Fede: l’ancora, il verricello, l’àrgano, il sole, la Madonna, talora il disco divi-
no dell’Eucarestia; sulla vela egli scriveva la sua sapienza e la sua ironia.
Ricordo una vela mezzana, sulla quale a caratteri tremanti con le enne e le 21 A.P. Ninni, Giunte e correzioni al
esse rovesciate era scritto: “Chi piglia i pesci non dorme” e una di maestra, dialetto veneziano, Venezia 1890.

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che portava l’ammonimento: “Dopo la burrasca, pesci”. Sulle vele come sui
fogli dei calendari erano sempre stampati una stella o la luna e, come su un
certificato dello stato civile, il numero della barca e il numero del padrone.
I navigli trasportavano sul mare, insomma, spiegata ai quattro venti, una
vera e propria pagina di poesia. Possedere la vela, per queste genti riviera-
sche, era come possedere il lenzuolo del letto, la camicia. Intorno alla vela
viveva la famiglia del pescatore come il reggimento intorno alla bandiera22.

L’affresco sortito dalla penna di Virgilio Lilli in un articolo degli anni


trenta, anche se limitato all’Adriatico, è significativo dell’importanza
che nell’economia del mondo delle marinerie pescherecce aveva
assunto la colorazione delle vele. Fattori storici, etnici, pratici e psico-
logici hanno contribuito al perpetuarsi di un’arte popolare che rac-
chiude nelle decorazioni delle barche e nella colorazione delle vele
eredità di civiltà millenarie. Fra Otto e Novecento, con lo sviluppo
della pesca in alto mare e la crescita del mercato l’identificazione di
una barca era diventato un fattore di grande importanza anche per la
vendita del pesce. A terra infatti ogni equipaggio contava sulla colla-
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22 De Nicolò, Adriatico. Cultura e arti


del mare cit., p. 145.

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23 Questi informatori erano chiamate le


“vedette” a Rimini, Cattolica, Pesaro,
Fano, mentre a Chioggia erano
soprannominati “Vigarioi da Vigo”.
“Tutti gli emblemi usati dai pescatori
veneti oltre che per contraddistingue-
re le barche da pesca, hanno ancora
un altro importante scopo, cioè quel-
lo di informare chi scruta da terra l’ar-
rivo delle barche in porto per poter
avvisare gl’interessati commercianti
di pesce e le famiglie dei pescatori in
borazione di alcuni uomini con vista particolarmente acuta (le vedet- arrivo. Questi avvisatori sono chia-
te)23, che scrutavano l’orizzonte pronti a riconoscere nell’impronta di mati a Chioggia i Vigarioi da Vigo.
colore marcata nelle vele di ritorno il nome del proprietario. Ricevere Prima della guerra mondiale funzio-
navano sistematicamente, ma ora
questa informazione con anticipo permetteva di mettere a punto alcu- sono scomparsi quasi del tutto; sta-
ne strategie di mercato. La vedetta infatti poteva avvisare il parcene- zionavano in permanenza nella cella
vole, un membro effettivo dell’equipaggio, che restava a terra e si campanaria della Torre di San
occupava essenzialmente degli affari e dello smercio del prodotto, in Domenico, affacciata sul mare”,
tempo utile a prendere contatto con i potenziali acquirenti per con- Ninni, Le decorazioni sulle barche e
sulle vele dei pescatori veneti cit., pp.
trattare in anticipo la vendita del pescato in arrivo. Le fonti a cui attin- 495-496. Lungo il litorale pesarese un
gere per la conoscenza dei segnali di riconoscimento espressi dalle luogo particolarmente frequentato
vele e dei loro significati, fino a pochi anni addietro si limitavano agli per scrutare efficacemente l’orizzonte
apporti della tradizione orale, agli ex voto marinari e ai dipinti di arti- era il faro di Casteldimezzo.
sti di varia nazionalità ispirati dai soggetti marinari, abbastanza nume- L’informazione mi è stata fornita da
Elvino De Nicolò (classe 1904) in
rosi soprattutto dal secondo Ottocento. Si sono poi aggiunte le infor- un’intervista sulle consuetudini della
mazioni archivistiche prodotte da studi recenti tesi ad indicare, alme- marineria di Cattolica rilasciatami nel
no per l’Adriatico, la diffusione di questa pratica già durante il perio- 1975 (14 aprile).

15
Barche e vele dipinte

do napoleonico24, e che hanno indotto taluno25 a considerarne piutto-


sto sbrigativamente alla fine del Seicento e l’inizio del Settecento, l’av-
vio, senza apportare alcuna documentazione, e a focalizzare
Chioggia, città ben nota per la sua caratterizzazione peschereccia26 e 24 Il censimento delle vele latine con
per aver alimentato nei secoli dell’età moderna la formazione delle relative simbologie in attività a San
Benedetto del Tronto nel 1813 è stato
marinerie dei porto di sottovento27, come polo di riferimento. pubblicato in U. Poliandri, Due docu-
In realtà, rimanendo all’analisi del naviglio minore, si trovano riferi- menti sulla marineria da pesca sam-
benedettese, in “Cimbas”, 4, 1993, pp.
43-44; Idem, Vele e simboli della
Marineria Sambenedettese,
Ripatransone 1995; disegni di alcune
vele della marineria veneta tratte da
documenti del periodo francese sono
in G. Caniato, Vele predate, vele cor-
sare. Rappresentazioni inedite di
vele decorate chioggiotte nel 1812 in
Aa.Vv., Vele al terzo. I colori della
storia, Riccione 2006, pp. 27-29. Un
elenco delle vele identificative delle
flottiglie di Fano (costituita da 10 bar-
che nel 1809) e di Pesaro (formata da
22 barche nel 1813), con relativi dise-
gni, sono state pubblicate rispettiva-
mente in M.L. De Nicolò, Barche e
marinai nelle carte d’archivio (secc.
XV-XIX), Villa Verucchio 1996, p. 9;
Ead., La Speranza cit., pp. 149-150. Il
disegno della vela di una paranza di
San Benedetto del Tronto, rubata nel
1795 da alcuni giovani marinai del
porto di Fermo (Giorgio Vizzica,
Giovanni Bevicchio, Vincenzo
Ventura, Tommaso Monadi) indicati
come fautori di una sommossa popo-
lare avvenuta nel mese di aprile di
quell’anno, è riportato in un dispac-
cio che ne auspicava l’arresto inviato
da Fermo al Presidente di Urbino,
ASPesaro, Legazione apostolica di
Pesaro e Urbino, Lettere da fuori
Stato, b. 21, 1794-1795. Quest’ultimo
disegno non figura nel censimento
del 1813 sopra citato, vd. l’immagine
a pagina 185.

25 S. Medas, Le vele al terzo dell’Adriatico:


simbologie e funzioni comunicative in
Vele al terzo cit., p. 18.
141

16
Barche e vele dipinte

142
26 Gli studi sulla marineria e sulla pesca
a Chioggia sono innumerevoli e per
la maggior parte incentrati sulla tradi-
zione orale. Fondamentali rimango-
no gli studi di Angelo Marella, di
Alessadro Pericle ed Ercole Ninni, di
Eugenio Bellemo, le approfondite
analisi condotte da Luigi Divari, Dino
Memmo, Gilberto Penzo per i tipi
navali, le tecniche e la cultura mari-
nara e soprattutto di Sergio Perini che
ha indagato a fondo sulla storia della
città. Proprio sulla scorta delle appro-
fondite ricerche condotte da Perini su
un arco cronologico molto ampio, si
evidenzia il progresso della marineria
di Chioggia sul fronte delle attività
piscatorie, con la conquista del mare
aperto soprattutto nel corso del
Seicento, età in cui si avvia, nei con-
fronti con altre compagini marittime
menti all’uso di simboli cromatici sulle vele almeno dal primo cointeressate alla produzione ittica, il
suo indiscusso protagonismo che tro-
Seicento, epoca in cui l’uso sembra già consolidato, come dimostra la verà conferma anche nei secoli suc-
testimonianza rilasciata da un pescatore che specificava di essere in cessivi, M.L. De Nicolò, Microcosmi
grado di riferire a chi appartenessero le barche riminesi e chioggiotte mediterranei. Le comunità dei pesca-
osservate al largo della costa nell’agosto 1672 perché “tutte si cono- tori nell’età moderna, Bologna 2004,
scono dalla diversità delle vele”28. Dopo la guerra di Candia anche in pp. 177-187.
Adriatico si erano intensificate le azioni corsare dei barbareschi e l’i- 27 Vd. gli studi di M.L. De Nicolò riguar-
dentificazione dei natanti risultava estremamente importante ai fini do alla nascita delle marinerie di
della difesa della navigazione e delle popolazioni costiere. Non a Rimini (De Nicolò 1985) e di Pesaro
sproposito c’è chi ha ipotizzato29 che il ricorso ad elementi di ricono- (De Nicolò 1991, 1996).
scimento a mezzo dell’apparato velico al fine di caratterizzare l’iden- 28 M.L. De Nicolò, Paure e pericoli del
tità dei legni da pesca e di piccolo cabotaggio e i relativi luoghi di pro- mare in Pirati e corsari in Adriatico,
venienza, sia da interpretare, almeno fino al primo Ottocento, come a cura di S. Anselmi, Cinisello
un sistema proprio per riuscire a limitare le incursioni corsare a danno Balsamo 1998, p. 116.
dei legni mercantili e pescherecci. Riuscendo a riconoscere o anche
29 Albi, L’Abruzzo marittimo cit., p. 95:
solo a sospettare da lontano la presenza di navi nemiche, i marinai e
“L’origine delle vele colorate risale a
pescatori potevano tentare di fuggire, anticipandosi rispetto ad un molti secoli e fu imposta dalla poca
eventuale attacco che avrebbe inesorabilmente decretato il saccheg- sicurezza del mare per le scorrerie
gio del carico e la caduta in schiavitù degli uomini, e al contempo dei pirati e dei turchi. Con la colora-
dalla riva sarebbe stato possibile far scattare per tempo l’allerta per la zione della vela era possibile distin-
guere da lontano se tornavano a terra
popolazione, in sentore di avvistamenti sospetti. Erano “maniere di tutte quelle partite e se mancavano
esprimersi per rapporto alle vele” per dirla con Alexandre Saverien che quali fossero quelle perdute”.
nel suo dizionario riporta appunto il detto “Far tutte le vele bianche”

17
Barche e vele dipinte

dando la seguente spiegazione: 143


“significa corseggiare e non fare
differenza d’amici e di nemici”30.
D’altro canto il sistema di segni
diversi apposti su stendardi e
velette da collocare bene in vista
“alla penna di maestra” oppure in
poppa, all’ “asta del standardo”,
all’ “antenna di trinchetto”, “alla
timoniera” era un codice per le
comunicazioni in mare già ben
collaudato sulle navi militari31.
Le notizie restituite dai carteggi
di età napoleonica rivelano
invece nel sistema di controllo
incentrato sull’identificazione 30 A. Saverien, Dizionario istorico, teo-
dei legni locali a mezzo della rico, e pratico di marina, Venezia
vela, l’intenzione primaria delle 1769, alla voce vela.
autorità marittime a scongiurare 31 Vd. per esempio Libro de segni da
la possibile diffusione via mare osservarsi su la squadra delle galere
di epidemie. Nel giugno 1813 infatti, riguardo alle marinerie pesche- della Sacra Religione Gerosolimitana
recce dell’Adriatico, si addiviene alla determinazione di autorizzare , ms. sec. XVII, in M.L. De Nicolò,
l’uscita in mare per la pesca solo dopo aver suddiviso i legni presenti Corsari, Rivista del circolo nautico,
Cattolica 1999, pp. 12-22.
in ogni scalo del Regno in squadre di 6 o 8 barche, ognuna con il suo
personale simbolo impresso nella vela e l’assegnazione di un numero 32 Le vele di 8 barche, con indicazione
arabo, sotto scorta di un guardiano. Il delegato di sanità formava il dei relativi proprietari, componenti
ruolo della squadra sulla vela assegnando appunto i numeri, da 1 a 6 una squadra ascritta alla delegazione
o da 1 a 8, con l’immissione su una delle barche di un ulteriore segna- di Ancona nel giugno 1813, inserite a
titolo esemplificativo nell’allegato
le rappresentato da una banderuola rossa che doveva indicare il legno all’ordine prefettizio, riportavano i
sul quale era imbarcato il sorvegliante32. In ogni caso l’attenzione seguenti segnali distintivi: braccio,
riservata dalle autorità governative francesi a questo problema, par- oca, torre, profilo umano, cane, stella
rebbe tradire all’epoca la presenza nei porti adriatici33 di flottiglie a sei punte, triangolo, rosa; ASPesaro,
impegnate nella pesca e nei traffici di cabotaggio abbastanza consi- Regno d’Italia, Sanità, b. 285, 1813.
stenti, o comunque tali da necessitare una divisione in squadre per 33 La delegazione di sanità di Ancona con-
rendere efficace un controllo dei loro movimenti in mare. Si viene poi trollava gli scali di Sirolo, Numana,
anche a sapere che per potenziare la visibilità dei contrassegni velici Portonovo, Montemarciano, Fiumesino,
ai fini di una più facile identificazione dei legni, in alcuni casi si era Falconara. Oltre a questa erano attive le
addivenuti alla decisione di prescrivere simboli nuovi. A Pesaro, per delegazioni a Senigallia, a Fano, a
Pesaro e a Cattolica, che rientrava nel
esempio, il capitano del porto, in una lettera del 28 giugno 1813, pre- Dipartimento del Metauro. A Pesaro nel
cisava: 1813 erano di stanza 22 barche da
pesca, a Fano 8 e a Cattolica 7, Ivi.

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Barche e vele dipinte

144
34 Ivi.

35 Maroi, Roma antica sul mare attra-


verso le epigrafi e le arti figurative
cit., pp. 124-125.

36 Omero, Odissea, XII, “le candide vele


al vento aperte”, “issate le bianche
vele”. Sempre a vele bianche fanno
riferimento Ovidio, Fasti, III, 584-590;
Tacito, Historiae, V, 22; Vitruvio, De
Architectura, X, 3 e ancora Apuleio,
Metamorfosi, XI, 16, “la candida vela
di questa nave fortunata recava a let-
tere d’oro il voto augurale di una feli-
ce navigazione per i traffici che si
riaprivano”. La vela rossa è ricordata
da Filostrato, Immagini, I: “Ecco che
al centro della nave [di Dioniso] è
spuntato un tirso e fa da albero,
sostiene una vela di porpora che bril-
la quando è gonfiata dal vento e sulla
La maggior parte delle vele de’ 22 legni preaccennati avevano degli antichi quale sono ricamate in oro le
segnali ch’era impossibile di cancellare. Gli ho fatti quindi tutti rifare o retti- Baccanti sul monte Tmolo e le impre-
ficare per modo che nessuno fosse per nulla rassomigliante ad un altro34. se di Dioniso in Lidia”. Colorate sono
le vele ricordate da Svetonio,
Caligola, 37: “Fabricavit et deceris
Dunque un’altra conferma che la pratica di colorare le vele era in uso
Liburnicas gemmatis puppibus, versi-
anche precedentemente. coloribus velis” (fece costruire anche
Anche dall’archeologia si ricavano dati interessanti sulla cultura dei navi liburniche a dieci file di remi con
naviganti e sul costume già ben radicato fin dall’antichità di affresca- la poppa ornata di gemme, vele dai
re le vele delle navi. Appaiono sfingi e cavalli marini, leoni e leopar- colori cangianti).
di, ancore e tridenti, gigli e croci35 e non sorprende che molti di que- 37 Si issavano nere in sostituzione a
sti simboli antichi, pur perdendo nel corso del tempo il loro origina- quelle ordinarie quando si voleva
rio significato, siano sopravvissuti sulle barche tradizionali fino al comunicare il dolore del lutto che
Novecento. Riguardo ai colori delle vele, e ai simboli preferenziali le colpiva il proprietario della nave, ma
informazioni si ricavano dalle fonti letterarie che, oltre a citare tele la vela nera, chiamata lupo nel
candide o bianche, le ricordano nere, scarlatte con ricami dorati e medioevo, si utilizzava anche per
non essere scoperti da lontano: “Se
multicolori36. Bianca era la leggendaria vela che Teseo di ritorno da vuoi passar nascoso/ Vela bianca pon
Creta avrebbe dovuto alzare al posto della nera37, policrome e deco- gioso;/ Ergi la nera oscura. /Ch’à
rate con uccelli sacri le vele degli Egizi38, le innalzava purpuree la nome lupo”, Francesco da Barberino,
nave polireme della regina Cleopatra in fuga da Azio, erano colorate sec. XIII. Il nome lupo parrebbe giu-
quelle della flotta di Alessandro Magno39, mentre dipinto in rosso era stificarsi “parce que le navire l’emplo-
yait par un stratagème qui donnait à
l’angolo di penna dei dromoni bizantini40. Si dipingevano le vele con sa navigation quelque chose de la
diversi colori per ostentare la bellezza della nave, per comunicare da marche prudente et occulte du loup”,
lontano, per camuffare il naviglio, per risultare il più possibile invisi- citato in A. Jal, Glossaire nautique,

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Barche e vele dipinte

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Barche e vele dipinte

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21
Barche e vele dipinte

bili “per sorprendere l’inimico, celandogli quanto fosse possibile la


vista del vascello” tingendo “perfino con tutti li suoi attrezzi di colore
bleù”41. Azzurre, stagliate nel cielo anch’esso azzurro, erano invece le
vele usate dai pirati per scorrere il mare senza essere scoperti, un’a-
stuzia messa in pratica nel Cinquecento dalle navi inglesi e che a
Venezia si valutava come ottimo strumento tattico per controllare il
nemico da vicino. Era il suggerimento di Cristoforo da Canal per il
capitano delle galere, al quale consigliava di ordinare

che due almeno delle sue fregate fossero dipinte d’un color verde che ten-
desse al bianco in modo che assomigli al mare quanto più si potesse arriva-
re et non meno il corpo dal di fuori che i remi, gli arbori, le antenne et etian-
dio le vele, et similmente dello stesso colore i marinai i loro panni avessero.
Et questo non per altro che per adoperar quelle in mandarle a spiare et rico-
noscere l’armate nemiche et ogni altra cosa più vicina a nemici che si potes-
se. Il che potrebbono senza esser scoperto et per rispetto del colore confor- Paris 1848, II, 946.
me al mare et massimamente in sul far del giorno, tempo più che altro dei
loro viaggi, et tanto più trovandosi vicino al terreno. La qual astutia è anco- 38 Vd., a titolo di esempio, l’affresco
ra meravigliosamente usata dalla natione inglese che queste fregate pitte le tombale pubblicato da M. Vocino, La
addimandano, et perché la bianchezza delle vele non li facciano di lontano nave nel tempo, Milano 1942, p. 14.
ai nemici manifesti le tingono di colore più simile al mare et con la medesi-
ma cera, con la quale ongere le dette sogliono , ungono parimenti le funi et 39 C.G. Zeni, Con i remi e con le vele,
gli albori et così usano vestire li uomini che sopra vi mandano dell’istesso Milano 1963, p. 231.
colore acciocché agevolmente si possano occultare non solo di notte, ma di 40 Procopio, De bello vandalico, I, 13;
giorno all’occhi de riguardanti. Due tali fregate adunque habbia sempre el M. Bonino, Archeologia e tradiziona-
mio Capitano, l’altre dipinger facendo di qualunque altro colore li piace42. le navale tra la Romagna e il Po,
Ravenna 1978, p. 45. Sulle navi bizan-
Le considerazioni di strategia militare proposte da Cristoforo da Canal tine si veda ora A. Carile, S.
non appaiono comunque originali, dal momento che erano state già Cosentino, Storia della marineria
bizantina, Bologna 2004.
anticipate da Vegezio (IV-V sec. d.C.)43 nei Praecepta belli navalis da
cui risulta aver tratto ispirazione Canal per il passo testè citato. 41 F.G. Galli, Istruzioni militari o sia
Vegezio consigliava appunto di tingere le vele di colore veneto, corso elementare di tattica, evoluzio-
riprendendo le tonalità delle onde marine per mimetizzare le mano- ni, architettura militare, artiglieria e
vre di esplorazione marittima (exploratoriae naves) in tempo di guer- marina divise in quattro libri. Libro
quarto che contiene l’artiglieria e la
ra. Il colore definito venetus (verde marino, azzurro) derivava dal marina, Roma 1794, p. 275.
nome della fazione Azzurri (formata appunto da Veneti) che gareg-
giava nelle corse del circo44. Il volgarizzamento di Bono Giamboni 42 Cristoforo Canale, Della militia
(sec. XIII) così restituisce il passo del capitolo 37 (Del modo delle navi marittima, a cura di M. Nani
Liburne): Mocenigo, Roma 1930, p. 273.
Sull’autore del trattato vd. A. Tenenti,
Cristoforo da Canal. La marine véni-
… acciocché le navi che spiando vanno, per bianchezza non si manifestino, di tienne avant Lépant, Paris 1965.
colore veneto, il quale è all’acqua del mare assomigliante, le vele, e le funi si
tingono, e tignesi ancora la pece, colla quale congiungonsi le navi, ed i noc- 43 De re militari, IV, cap. 37.

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Barche e vele dipinte

chieri, e combattitori di vestimento di cacciatore si vestono, acciocché non 44 Sul venetus color, G.S. Fabbri,
solamente la notte, ma il die possono fare i loro spiamenti45. Armamenti individuali. La forza
d’urto della fanteria marina, in M.
Mauro, a cura, I porti antichi di
Vele realizzate con ferzi alternati bianchi e celesti verranno comunque Ravenna. Il porto romano e le flotte,
adottate dalla marina veneziana, tant’è che nel tardo Settecento risul- I, Ravenna 2005, p. 160; Ivi, M.
tano ancora in uso46. Bonino, Le navi da guerra, p. 104.
La casistica a cui fin qui si è fatto riferimento riguardava però fonda-
45 Vegezio Flavio, Dell’arte della guer-
mentalmente la velatura di navi importanti, mercantili, militari o che
ra. Volgarizzamento di Bono
trasportavano figure mitiche o divine, per la cui colorazione necessi- Giamboni, Firenze 1815. Si veda ora
tava l’utilizzo di materie tintorie preziose, quali per esempio la porpo- Vegezio, L’arte della guerra, a cura di
ra. Nel rilievo marmoreo raffigurante il porto di Ostia, oltre all’oculus L. Canali, M. Pellegrini, Milano 2001.
apotropaicus è rappresentata una nave che mostra sul càrbaso47, la
46 Atlante velico cioè piani e tariffe dele
scena della lupa in atto di allattare i gemelli fondatori di Roma, a
occorrente di tele, cordami, spago,
rimarcare l’identità romana, messa a doppio sulla vela per essere ben merlini catrame ed altro per ogni
vista da ogni lato nella stessa maniera48. Un simbolo della vita civile si sorte di vela possibile adattate agli
ripete sulle vele delle navi veneziane che ostentavano l’alato Leone di armi dei pubblici bastimenti dalla
San Marco, su quelle genovesi che esibivano lo stemma cittadino sor- nave di primo rango sino al più
minuto caicchio. Opera comandate
retto da grifoni rampanti o anche sulla vela delle barche di Catania del
dagli illustrissimi ed eccellentissimi
primo Novecento “con l’emblema ed i colori della città: il maestoso signori Inquisitori all’Arsenale, 1785,
Elefante e il vessillo rosso-blu”49. La vela era fabbricata unendo insie- Ms. PD 2804, Biblioteca Museo
me numerosi “ferzi”, ossia strisce di tela ricavate dalla tessitura di Correr, Venezia.
diverse fibre vegetali (papiro, sparto, canapa e soprattutto lino), le cui
dimensioni erano determinate dalle capacità lineari dei telai50. Le tinte 47 Carbasus era la vela realizzata con
tela di lino.
delle tele da vela dei pescatori erano ricavate dalle cosiddette “terete”,
come le chiamavano a Chioggia, polveri terrose che mescolate all’ac- 48 A. Guglielmotti, Delle navi romane
qua insieme a farina o resina di pino che fungevano da collante, per- scolpite sul bassorilievo portuense,
mettevano di giocare su effetti cromatici che rimanevano comunque Roma 1866, p. 24 e ss.
limitati alla gamma dei rossi e dei gialli con qualche stacco dato dal
49 Ragusa, Figure, simboli e motti nelle
ricorso al nero. Nelle vele delle marinerie venete e del Mediterraneo barche catanesi cit., p. 634. Lo stem-
occidentale si ritrova però anche qualche spunto di blu e di verde. Lo ma della città di Spalato è richiamato
scopo era, come s’è detto, di riconoscere la barca, ma occorre rimar- dalla vela a scacchiera con quadri
care che la tinta contribuiva a dare maggiore compattezza e consisten- bianchi e rossi del modello di galea
za alla tela prolungandone quindi anche la durata nel tempo. Le raffi- realizzato alla fine del sec. XVI a
ricordo della partecipazione di una
gurazioni più semplici si limitavano a puri interventi di colore su gran- squadra navale spalatina alla batta-
di disegni geometrici precedentemente delineati sul tessuto con un glia di Lepanto del 1571 e conservato
carboncino. A prima vista queste rudimentali opere pittoriche parreb- nel Museo Navale di Spalato.
bero prive di spinte culturali e indirizzate solo a far risaltare la barca
sull’acqua con un effetto di spicco. Con questo linguaggio visivo cifra-
50 Janni, Il mare degli Antichi cit. p. 90;
D. Celletti, Fustagni e “canevazze”
to la barca veniva personalizzata e resa riconoscibile anche da lonta- per le vele della marina veneta tra
no, dunque lo scopo era raggiunto. Analizzando meglio i disegni però ‘500 e ‘700, estr. da “Atti dell’Istituto
riaffiorano le impronte arcaiche del substrato culturale di cui era infar- Veneto di Scienze Lettere Arte”, t.

23
Barche e vele dipinte

148

cito l’immaginario collettivo della gente di mare. Ai tracciati apparen-


temente elementari che proponevano il sole, la luna, la tromba mari-
na51, a rappresentare le forze della natura, si appaiavano le solite
forme geometriche ritenute magiche quali il cerchio o il triangolo
rovesciato, il pentacolo, il segno di Salomone. Si aggiungevano poi le
raffigurazioni di animali quali, per esempio, il cane e il gallo, presen-
CLX, 2001-2003, pp. 795-849. Dello
ti nelle decorazioni delle navi già nell’antichità, ma recuperati nel loro stesso autore si veda ora Il mercato
significato religioso anche nei parametri cristiani. La figura del cane o delle tele da vela nella Venezia dell’e-
del gallo, in nero o rosso, presente sulle vele delle barche tradiziona- tà moderna. Presupposti e risultati di
li di Venezia, Chioggia, Grado, Porto Corsini, Portorecanati, una politica mercantilista, in “Studi
storici Luigi Simeoni”, vol. LV, 2005.
Civitanova, Porto San Giorgio, San Benedetto del Tronto, Ortona,
Vasto ecc.), trasferiva alla barca una funzione psicopompa, di guida 51 Riguardo ai simboli che ripropongo-
verso mete non praticabili senza l’aiuto divino, riproponendo nel no sulla vela la tromba marina (sciòn,
mondo dei vivi il ruolo sacro attribuito a questi animali in molte reli- sione, sion, sionnara, sciunnara, sci-
gonnara ecc. ) vd. M.L. De Nicolò, Il
gioni. Al cane si dava il compito di traghettare i defunti nel regno dei
museo della marineria W.
morti, al gallo, contrassegno solare accolto anche nella simbologia Patrignani di Pesaro, Villa Verucchio
animale cristiana, di richiamare con il suo canto l’attenzione verso 2007, p. 44.

26
Barche e vele dipinte

Gesù Salvatore e quindi verso la luce della fede. Ai simboli che assor-
bono e tramandano antiche credenze si aggiungono sulle ultime vele
del Novecento altri elementi portafortuna, quali, per esempio la rap-
presentazione, insieme al cane, di un gobbo52.
Per quanto concerne la tecnica adottata per la personalizzazione della
vela, si abbozzava, come già detto, prima sulla tela il disegno con il
carbone, poi si passava il colore con una spugna, quindi si distende-
va la vela al sole ad asciugare. Quando era asciutta si immergeva allo-
ra nell’acqua per liberarla dalla polvere residua dei colori e si disten-
deva nuovamente al sole.
Il medesimo disegno della vela di poppa era ripetuto in quella di prua
(de trancheto), nel caso però che la moglie del proprietario della
barca fosse appartenuta anch’essa ad una schiatta di pescatori con un
proprio segno araldico, non di rado sulla vela di prua veniva inserito
anche quello53.
Nel caso di barche che pescavano in coppia (a paranza) la colorazio-
ne delle vele di entrambe risultava identica, differenziandosi solamen-
te nell’aggiunta di una pennellata di colore diverso sulla punta della
vela della barca di comando, in cui era presente il capo paròne (paròn
‘d cmand) della muta di barche.
A differenza dei pescatori veneti, romagnoli e marchigiani, quelli
pugliesi preferivano mantenere la vela bianca inserendo il colore solo
per definire un disegno al centro. La preferenza andava alla raffigura-
zione, in nero o in rosso, di delfini, triglie, pescicani, balene, granchi,
aragoste, merluzzi, oppure di stelle, comete, lune, soli raggianti, globi
ed altri simboli propiziatori, come la stella a sei raggi, formata dall’in-
treccio di due triangoli, ritenuta un potente talismano per scongiurare
le disgrazie54.
Le vele abruzzesi invece non erano mai bianche. Predominava il colo-
re rossastro del tannino come fondo, sul quale si sovrapponeva spes-
so un disco giallo rappresentante un sole immaginario, il gallo, l’em-
blema del Santissimo Sacramento, i tre dadi, il globo terracqueo sor-
montato dalla croce, il calice con l’ostia, l’ancora tripode, la mezzalu-
52 Boscolo, F., Gibin, C., Tiozzo, P.G.,
na, la stella, le “immagini dei Santi protettori e le Madonne brune che Un mestiere e un paese. I Sabionanti
apparvero ai pescatori ne l’ira del mare in tempesta e nelle raffiche di Sottomarina, Venezia 1986, p. 42.
dell’uragano”55.
La descrizione della velatura latina adottata dalle barche da pesca 53 Ninni, Le decorazioni sulle barche e
abruzzesi, “ampia e resistente fatta di tela olona56 spesso tessuta nelle sulle vele dei pescatori veneti cit., p.
497.
case stesse dei marinai, dalle moglie e dalle figlie”, è fornita da Gino
Albi. 54 S. La Sorsa, Folklore marinaro di
Puglia, in “Lares”, 1, 1930, p. 29.

27
Barche e vele dipinte

Era formata da varie ferze di tela cucite fra loro in modo da prendere la
forma di un trapezio irregolare, inferita nella parte superiore ad una lunga
asta o pennone, mentre la parte inferiore era munita ai suoi due angoli di
mura e scotta per la manovra. La vela latina è molto maneggevole e permet-
te a chi ha la direzione del timone di manovrarla a mezzo della scotta, alla-
scando o stringendo il vento. L’esistenza di una o due mani di terzaroli per-
metteva la diminuzione della sua superficie con vento fresco ed agevolava
la navigazione con ogni tempo57.

Completavano l’attrezzatura velica sulle barche abruzzesi un fiocco o


polaccone che si collocava a prua e una trinchettina di fortuna da ado-
perarsi in caso di bisogno per correre a discrezione del vento e del
mare. La colorazione delle vele, secondo l’opinione di Sergio
Marzocchi, assolveva “tre funzioni principali”: “favorire la conserva-
zione del tessuto, facilitare l’avvistamento e consentire l’identificazio-
ne”58. Nel primo caso il tessuto veniva protetto da eventuali fioriture
di muffe, che i pescatori pesaresi chiamavano “pidocchi”. Si formava-
no soprattutto “quando la vela umida restava serrata”. La seconda fun-
zione era quella di “favorire l’avvistamento in navigazione, sia in con-
dizioni di scarsa visibilità o di nebbia, diminuendo così il rischio di
collisione, sia normalmente quando, per vari motivi, barche diverse
dovevano cercarsi in mare”. George L. Faber, uno studioso inglese del
XIX secolo interessato alla fauna ittica e alle tecniche piscatorie in uso
in Adriatico, sulla base delle osservazioni rivolte nella fattispecie alle 55 V. Lanicci, Gli Abruzzi, Milano 1924,
p. 183; Testa, L’Abruzzo nel mio
barche chioggiotte, era dell’opinione che la colorazione delle vele
cuore cit., pp. 122, 175, 177.
fosse utile espressamente come mezzo di comunicazione soprattutto
nello svolgimento della pesca a coppia: “le vele di norma sono di 56 La tela olona, sinonimo di canevazza
colore rosso mattone scuro e decorate con vari disegni più o meno era un tessuto misto di canapa, lino e
fantasiosi, cosicché i pescatori possono riconoscersi durante l’eserci- cotone, Dizionario di Marina medie-
vale e moderno, Roma 1937, p. 131;
zio della pesca, specialmente di notte, dal momento che pescano ottima per la fabbricazione delle vele
sempre a coppia”59. La terza funzione era infine quella di “consentire era anche la tela di viadana, cosiddet-
l’identificazione” di cui si è riferito in precedenza, che avveniva da ta perché prodotta a Viadana, nel
terra e permetteva di avvantaggiarsi nelle contrattazioni per la vendi- Mantovano, Ivi, p. 1200.
ta del pescato.
57 Albi, L’Abruzzo marittimo cit., p. 93.
Nei segni distintivi si scopre talvolta un collegamento al nome o
soprannome del proprietario del legno (una seppia nera o rossa sulla 58 S. Marzocchi, Colori e simboli sulle
vela della barca posseduta da un pescatore soprannominato Seppa, vele adriatiche. Linee di una ricerca,
una pera per quella di un membro della famiglia Perini ecc.), ma più Urbino 1983, p. 41.
spesso si ritrovano oggetti comuni (ancora, botte, martello, incudine, 59 G.L. Faber, The fisheries of the
carro, una spiga, un fiasco, una capra) magari in relazione con lavori Adriatic and the fish thereof, London
e mestieri svolti in altri momenti della vita, disegni con significato reli- 1883, trad. it. La pesca nell’Adriatico,
gioso che richiamavano il martirio dei santi ai quali era intitolata la Trieste 2005, p. 47.

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Barche e vele dipinte

barca, come gli occhi di Santa Lucia, la graticola di San Lorenzo, la


ruota di Santa Caterina, oppure la croce, il monogramma IHS60, la M
di Maria, la Trinità, l’occhio di Dio. Dalla seconda metà dell’Ottocento
cominciano ad apparire anche simboli a soggetto patriottico, quali la
bandiera tricolore, la camicia rossa o il berretto garibaldino, stemmi
cittadini, che trovano peraltro un contraltare nelle intitolazioni delle
barche che celebrano i principali personaggi del Risorgimento:
Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II ecc. Un posto di rilie-
vo però è occupato anche dall’ispirazione amorosa che porta a dare
alla barca il nome della donna amata e a tenere accanto anche in mare
un suo ritratto, magari dipinto sulla vela come espresso nei canti dei
pescatori:

No’ t’ò puodesto avere ti, donzella,


L’arte del mariner m’ò messo a fare:
Depenzarte te vogiu in la mia vela,
E in alto mare te vogiu portare,
E la zente dirà: “Che vela è questa?” –
“Amor de dona e amore de donzella;
No’ amo dona, si no’ amo quela”61.

E’ un indice della laicizzazione della marineria ormai avvenuta che si


completerà con il tramonto della vela e la rivoluzione nautica prodot-
ta dall’introduzione del motore anche sulle barche da lavoro, che farà
scomparire per sempre, per dirla con le parole di Grimaldi e di De 60 Il simbolo “IHS” inserito al centro
Carolis quella quotidiana “rievocazione della scena omerica in cui il della vela, gialla, inscritto in nero in
una fascia circolare rossa contornata
politropo Ulisse, nell’isola di Calipso, vara ‘con possenti leve suppo- da merlature disegnate anch’esse in
ste’ la nave da lui costruita” durata “quasi tre millenni”62. nero è ancora presente su una barca
costruita a Porto San Giorgio nel
1934, vd. G.B. Ponzanetti, I segni del
mare. Vele della marineria sangior-
giose, Acquaviva Picena 1996, p. 147.

61 Garlato, Chioggia e i suoi canti cit.,


pp. 290-293. Altre varianti: “Io ti vor-
rei dipinger ne le bianche vele”; “Te
vogiu depentare in la mia vela”.

62 Grimaldi, I pescatori dell’Adriatico


cit., p. 89.

29
E. Cooke (1778-1855), Trabaccoli, bragozzi, topi ormeggiati in laguna (particolari). I dipinti, in cui sono raffigurate le barche
pescherecce adriatiche sono qui riprodotti al fine di evidenziare l'araldica delle vele, caratterizzate dall'uso di segni e simboli
religiosi e scaramantici, bene auguranti: croci di vario tipo, globo con la croce, stelle, sole, gallo, scala, e su una vela è perfino
disegnata l'immagine di una galea.

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