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LINGUA INGLESE ANTICA

L'inglese antico o anglosassone (anche anglo-sassone e antico inglese, calchi dagli inglesi Anglo-


Saxon e Old English), Ænglisc nell'originale anglosassone, è la più antica forma conosciuta della lingua
inglese, parlata tra il V e il XII secolo in zone geografiche che costituiscono parti dell'odierna Inghilterra e
della Scozia meridionale. È una lingua appartenente al sottoceppo dell'anglo-frisone (a sua volta parte del
più vasto ceppo del germanico occidentale o germanico del nord-ovest), simile proprio all'antico frisone e
all'antico sassone. È legata anche al norreno e quindi al moderno islandese (che fa parte però
del germanico settentrionale).

L'antico inglese fu parlato di fatto per un periodo di circa 700 anni, partendo dalle popolazioni anglosassoni
nord-germaniche e dello Jutland che arrivarono in Inghilterra. Prima della conquista dei Normanni del 1066,
l'inglese antico adottò diversi aspetti di altre lingue parlate da popoli confinanti o conquistatori, come
i Celti e i Vichinghi. Con la conquista da parte dei Vichinghi del Danelaw (in italiano "legge danese", la zona
in cui i Vichinghi avevano fondato una vasta colonia), il norreno diede molti vocaboli all'inglese antico. Le
parlate celtiche preesistenti nel territorio britannico, diversamente dal norreno e dal latino, non hanno
avuto un grande impatto sulla lingua.

1. Storia
1.1. Influenza latina

Un gran numero di persone colte conosceva il latino, che in quel periodo era lingua di cultura dell'Europa. Ci
furono principalmente tre ondate di introduzione di latinismi nella storia inglese. La prima si verificò prima che i
Sassoni lasciassero il continente per stabilirsi nell'odierna Inghilterra. La seconda avvenne quando gli Anglo-
Sassoni si convertirono al Cristianesimo, grazie a sacerdoti che parlavano la lingua latina. La terza, e più
consistente, introduzione di latinismi si verificò in seguito alla conquista dei Normanni del 1066, quando un gran
numero di parole francesi (e quindi di origine romanza) entrarono nel vocabolario inglese. I Normanni erano una
popolazione in origine proveniente dalla Scandinavia, e di lingua norrena, ma essendosi stabiliti
in Normandia avevano assimilato molte parole del vocabolario francese, e di conseguenza re-introdussero sia
latino che norreno (anche se alterato e non in forma originale) in Inghilterra. La conquista normanna ha
praticamente posto fine all'era della lingua inglese antica, tanto che la fase linguistica del periodo intermedio che
si colloca tra l'anglosassone e la fase successiva dell'inglese medio (la lingua di Geoffrey Chaucer, l'autore
dei Canterbury Tales) è detta propriamente anglo-normanno, ed è molto più vicina all'inglese medio che
all'inglese antico, praticamente aprendo la strada per l'inglese di Shakespeare, che fa parte invece del periodo
cronologico più antico della fase moderna dell'inglese.
La lingua venne alterata molto quando cadde in disuso l'alfabeto runico chiamato Fuþorc, che venne rimpiazzato
dall'alfabeto latino. Inoltre, le lettere "silenti" dell'inglese moderno erano pronunciate. Per esempio la 'c-dura'
in cniht, l'equivalente antico di knight, era pronunciata. Le parole inoltre cambiavano pronuncia in base al
dialetto locale, per esempio and si poteva pronunciare sia ænd che ond. La pronuncia dell'inglese antico quindi è
considerata più confusa rispetto a quella dei giorni d'oggi, anche se può riflettere alcune pronunce esistenti,
mentre il moderno inglese non può farlo in molti casi.
1.2. Influenza vichinga
La maggior parte delle parole semplici del vocabolario dell'inglese antico vennero introdotte durante l'età
dei Vichinghi, tramite le invasioni del nono e decimo secolo, specie nella zona del Danelaw. In aggiunta a
molti toponimi, le parole introdotte erano quelle relative ad oggetti, animali, e cose semplici in generale. I
Vichinghi parlavano norreno, una lingua che era imparentata con l'inglese antico e che derivava dallo
stesso ceppo proto-germanico. Il norreno antico ha avuto un profondo impatto sull'inglese, con parole
tramandate fino ai giorni nostri come sky, leg e la forma moderna they.
1.3. Influenza celtica
Tradizionalmente molti linguisti ritengono che l'influenza delle lingue celtiche, parlate dagli abitanti
originari dell'isola britannica, sia stata scarsa. Il numero di parole prese in prestito dalle lingue celtiche è
molto minore rispetto a quelle prese dalle lingue germaniche settentrionali e dal latino. Alcuni sono
dell'opinione però che certi tratti celtici siano chiaramente visibili dal periodo seguente alla decadenza
della lingua inglese antica nella sintassi.[1]

1.4. Dialetti e lingue derivate


L'inglese antico non dovrebbe essere considerato come una singola entità di linguaggio, così come non
lo è l'inglese moderno. Esistevano diversi sistemi fonetici per la lingua. Per esempio la lingua parlata
nel Wessex al tempo di Æthelwold di Winchester, chiamata primo sassone occidentale, o sassone di
Æthelwold, è significativamente diversa dalla lingua parlata durante il tempo di Alfredo il Grande,
chiamata tardo sassone occidentale o sassone alfrediano. Inoltre la differenza tra le due lingue fa sì
che il tardo sassone non sia discendente diretto del primo sassone.
I quattro dialetti principali dell'inglese antico erano il merciano, il northumbriano, il kentese, e il tardo
sassone.[2] Ognuno di questi dialetti era associato a un regno indipendente sull'isola. Di queste regioni,
la Northumbria e gran parte della Mercia vennero conquistate dai Vichinghi nel IX secolo mentre le
rimanenti parti della Mercia e tutto il Kent venivano incorporati nel Wessex.
Dopo l'unificazione dei vari regni anglosassoni, favorita da Alfredo il Grande nell'878, vi fu un declino
nell'importanza dei dialetti regionali, anche se non scomparvero.
La gran parte dei documenti pervenutici del periodo anglosassone sono scritti nel dialetto del Wessex, il
regno di Alfredo. Con la centralizzazione del potere diventò necessario unificare e stabilire una lingua
comune nel governo.
Alfredo iniziò un programma che riguardò la traduzione di testi scritti in lingua latina in inglese. Per
assicurare la diffusione dei materiali tradotti i monaci e i sacerdoti lavorarono scrivendo nel dialetto di
Alfredo. Alfredo stesso sembra che abbia tradotto libri latini in inglese, come la Cura Pastoralis di papa
Gregorio I.
A causa delle invasioni vichinghe e della centralizzazione del potere, non è rimasta traccia dello
sviluppo di dialetti non appartenenti al ceppo di Wessex dopo l'unificazione dei regni.
La pronuncia ricevuta non è discendente diretta del dialetto maggiormente conosciuto, il tardo sassone
occidentale. Proviene invece da un dialetto della Mercia - probabilmente merciano orientale o sud-
orientale. Il tardo sassone non ebbe una grande influenza sullo sviluppo del medio inglese e dell'inglese
moderno.
2. FONOLOGIA
Inventario dell’antico inglese comunemente ricostruito:

3. MORFOLOGIA
Differentemente dall'inglese moderno, l'inglese antico è una lingua sintetica ed è, in generale,
pronunciato come scritto. Mantiene quattro casi
dell'indoeuropeo: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, e sopravvivono tracce di altri due
casi: vocativo e strumentale.

3.1. Il nome

In tutte le lingue conosciute si fa distinzione fra nome (ciò di cui si parla, tema dell'enunciato) e verbo
(azione o stato, ciò che viene predicato, rema), con possibilità di reciproca derivazione. Ogni parola
semplice indoeuropea si può scomporre in tre elementi: radice, suffisso tematico e desinenza; radice e
suffisso tematico costituiscono il tema (morfologico) della parola. La radice dà il significato di base alla
parola, il suffisso ne determina il valore semantico, la desinenza indica i rapporti della parola con gli altri
membri della frase, e spesso, il genere e il numero (sostantivi) o la persona e il numero (verbo).

A seconda del tema si determina il tipo di flessione del sostantivo. Le varie categorie di temi sono così
ordinate nel germanico e nell'inglese antico:
 a) declinazione di temi in vocale, in -a, -ō, -i, -u; questa declinazione è detta forte;
 b) declinazione di temi in consonante nasale -n; questa declinazione è detta debole;
 c) declinazione di temi in consonante con resti di temi in *-er/*-or, *-et/*-ot, *-nt, *-es/*-os;
 d) declinazione di temi in consonante con temi radice, cioè forme a suffissi zero: dove le desinenze si
aggiungono direttamente alla radice.

La flessione nominale distingue tre generi:

 maschile;
 femminile;
 neutro.

Due numeri:

 singolare;
 plurale.

Quattro casi:

 nominativo;
 genitivo;
 dativo;
 accusativo (rare tracce di vocativo e strumentale).

Le classi di declinazione più frequenti sono tre:

 Nomi maschili e neutri con tema in -a. Questa classe corrisponde ai nomi indoeuropei in -o-s, germ. -a-z,
lat. -u-s)
 Nomi femminili con tema in -ō (corrispondenti all'IE -a-, germ -u, lat. -a)
 Nomi maschili, femminili e neutri in nasale (ted. Name, Friede).

Altre
declinazioni
meno frequenti
sono la
atematica,
quella in -r-,
quella dei neutri
con plur. in -ru.

I sostantivi atematici,
masch. e femm.,
cambiano al plurale la vocale tematica in conseguenza di una metafonia palatale: fôt, masch. "piede",
plur. fêt.

3.2. Il pronome

Le lingue indoeuropee hanno, oltre alla declinazione nominale, una declinazione speciale per i pronomi. Tutti i
pronomi hanno la categoria del caso. I pronomi personali sono indifferenti al genere ed esprimono il plurale con
mezzi semantici, cioè con radicali diversi, e conservano anche il duale.
Si osservano le seguenti regole:

 pronomi personali; si distingue con radicale diverso la 1ª, la 2ª e la 3ª persona.;


 pronomi di terza persona;
 pronomi possessivi;
 pronomi dimostrativi;
 pronomi interrogativi;
 pronomi relativi;
 pronomi indefiniti;
3.3. L’articolo definito
L'articolo definito si presenta nella forma sê per il maschile, sêo per il femminile, ðæt per il neutro.
Quest'ultima forma sopravvive negli articoli inglesi moderni the e that.

3.4. L’aggettivo
Le lingue germaniche hanno per gli aggettivi due tipi di flessione: una debole e una forte. Si tratta di
una innovazione del germanico rispetto all'indoeuropeo, in cui esiste un'unica flessione nominale, sia
per i sostantivi che per gli aggettivi. Accanto alla declinazione forte, ogni aggettivo ha una declinazione
debole modellata interamente sui sostantivi con tema in nasale (deboli).
Per la declinazione forte si osservano:
 temi in -a/-ō;
 temi in -ja/jō;
 temi in -wa/-wō.
Il participio presente si flette come un aggettivo in -ja/-jō, e può avere sia flessione forte che debole. Il
participio preterito è declinato come un comune aggettivo in -a/-ō, sia forte che debole.
Il comparativo degli aggettivi si forma aggiungendo il suffisso -ra, il superlativo aggiungendo il
suffisso -est/-ost. (Es. lēof «caro» - lēofra - lēofost).
Ci sono quattro aggettivi che per il comparativo e il superlativo ricorrono a un altro radicale:
 gōd «buono» - betera - betst;
 yfel «cattivo» - wyrsa - wyrst;
 micel «grande» - māra - mǣst;
 lytel «piccolo» - lǣssa, - lǣsest.
Esistono alcuni aggettivi di forma comparativa e superlativa tratti da avverbi o preposizioni, cioè senza
un corrispondente aggettivo positivo.

3.5. L’avverbio

Gli avverbi di modo si formano normalmente con l'aggiunta al tema dell'aggettivo della desinenza -e.
Frequentemente si formano avverbi da aggettivi in -līc, ne consegue che la finale -līce viene sentita come
formante avverbiale e si formano avverbi in -līce anche da aggettivi che non hanno la forma in -līc.
(Es. heard «duro» - heardlīce).
I più importanti avverbi di stato in luogo, moto a luogo, moto da luogo sono:

 feor «lontano» - feorr - feorran.
 (be) foran «davanti» - forþ - foran.
 hēr «qui» - hider - hionan.

3.6. I numerali
I nomi dei numerali cardinali dall'uno al dieci sono tutti di origine indoeuropea:
 1-3 si declinano come gli aggettivi forti;
 4-19 non si flettono se precedono il nome, mentre se lo seguono o sono usati come nome si declinano
secondo i temi in -i. (Es. fīf «cinque» - gen. fīfa - dat. fīfum);
 20-90 sono formati dalla unità + la sillaba -tig. (Es. þrītig «trenta»);
 100-120: il prefisso hund- precede le decine. (Es. hundælleftig «centodieci»);
 200-900: si formano con l'unità + il suffisso -hund;
 1000 þūsend, nt. in -a, regolarmente declinato.
La flessione degli ordinali è quella degli aggettivi deboli. Vediamone alcuni:
 (dal 1º al 5º) forma, ōþer, þridda, fēorþa, fīfta.
I moltiplicativi si formano aggiungendo al numerale cardinale il suffisso -feald.
(Es. ānfeald «semplice/unico»).
I distributivi:
 be... tweonum, «fra due»;
 þrinna, «ogni tre»;
 twæm ond twæm, «a due a due»;
 þrim ond þrim, «a tre a tre».

3.7. Il verbo
Come in genere nelle lingue germaniche i verbi si dividono in due categorie: forti e deboli. Nei forti la
vocale tematica muta passando dal presente al preterito al participio passato e dal singolare al plurale.
P.es. da singan (cantare) si ha pret. sang, pret. plur. sungon, part. pass. gesungen. I verbi deboli formano il
preterito mediante le desinenze -ede, -ode, -de, -te. Esistono varie ipotesi sull'origine di questa desinenza
in dentale tipicamente germanica. Secondo alcuni autori deriverebbe dall'agglutinazione del verbo
germanico per "fare" (qualcosa del tipo I did change, I change-did, I changed), secondo altri dalla
particella tô, "to".
I verbi forti, molto numerosi in AI, tenderanno, col passare dei secoli, in gran parte a scomparire o a
confluire nella più "regolare" declinazione forte. Quelli che si sono mantenuti sono in effetti i verbi di uso
più frequente, quindi meno propensi a venir "regolarizzati".
I caratteri formali del verbo sono:
 l'aspetto o la qualità dell'azione (puntuale, ripetuta, duratura, conclusa);
 la diatesi o posizione (attiva, media, passiva);
 il modo (realtà, possibilità, desiderio, comando);
 il tempo (presente, passato, futuro);
 il numero (singolare, duale, plurale);
 la persona (prima, seconda, terza);
gli ultimi due sono collegati con morfemi unici.
I verbi dell'inglese antico si dividono in due grandi categorie: verbi forti e verbi deboli, e due categorie più
piccole: verbi perfetto-presenti e verbi atematici.
I verbi forti sono soggetti alle regole seguenti:
 i verbi che formano il preterito cambiando il timbro della vocale radicale (alternanza vocalica);
 i verbi che formano il preterito con il raddoppiamento.
I verbi deboli sono soggetti alle regole seguenti:
 i verbi denominativi, derivati da sostantivi o aggettivi (fēdan «nutrire», fōd «cibo»);
 i verbi deverbativi, tratti da altri verbi (fandian «esplorare», findan «trovare»).
hanno inoltre i seguenti caratteri:
 mantengono invariata la vocale radicale per tutta la coniugazione;
 formano il tema verbale con l'aggiunta del suffisso vocalico;
 formano il preterito con l'aggiunta di un suffisso dentale (-de, -te);
 formano il participio preterito con l'aggiunta del suffisso dentale -d e con il prefisso ge-, salvo rare
eccezioni.
I verbi perfetto-presenti costituiscono una piccola categoria con queste caratteristiche:
 forma verbale di tipo forte alternante;
 hanno forma preteritale e significato presente, il che indica la conseguenza di un'azione già compiuta;
 presentano una metafonia palatale all'ottativo (durran «presumere», sculan «dovere»);
 a seconda del tipo di radice possono rientrare nelle sei classi dei verbi forti alternanti.
I verbi atematici sono resti di un tipo verbale indoeuropeo molto arcaico. Sono coniugati senza vocale di
congiunzione tra radice e desinenza. Tra questi verbi ricordiamo:
 bēon «essere» (radici: *es-, *bheu-, *wes-);
 willan «volere»;
 dōn «volere»;
 gān «andare».

3.8. I suffissi
I suffissi più comuni per la formazione di sostantivi maschili sono:

 -ing, -ling: appartenenza (cynn «stirpe», cyning «re»);


 -els: sostantivo concreto (gyrdels «cintura»);
 -bora: colui che porta (wæþenbora «guerriero»);
 -end, -ond, -ere: agente (fēond «nemico», sellend «datore», scipere «marinaio»);
 -aþ, oþ: sostantivo astratto (fiscaþ «pesca», huntoþ «caccia»);
 -dōm, -hād: stato o condizione (cynedōm «regno», werhād «virilità»);
 -scipe: fare, creare (burgscipe «cittadinanza»);
 -stafas: dal plurale di staæf «asta» (ārstafas «gentilezza»).

4. SINTASSI

4.1. Ordine delle parole


L'ordine delle parole in antico inglese è in genere (SVO) come nell'inglese moderno e nella maggior parte
delle lingue germaniche, ma non ha una particolare importanza, considerando il fatto che si trattava di una
lingua flessa. Finché la declinazione era corretta, era irrilevante che si dicesse "Mīn nama is..." o "Nama
mīn is..." per My name is... ("il mio nome è...).

4.2. Domande
Per la sua similitudine con l'antico norreno, si crede che l'ordine delle parole cambia nelle domande, da SVO
a VSO; ad es.
"Io sono..." diventa "Sono io...?"
"Ic eom..." diventa "Eom ic...?"

5. ORTOGRAFIA
Dopo un uso primitivo della scrittura con le rune (Fuþork) si adottò l'alfabeto latino, introdotto da
missionari cristiani irlandesi. Successivamente, si usò la scrittura insulare, una versione in corsivo
della semionciale che fu usata fino al finale del XII secolo, quando venne sostituita dalla scrittura
carolina.
La lettera yogh fu presa dall'irlandese. La lettera ðæt < ð > (chiamata edh o eth) è una modifica del latino
< d >, mentre le lettere runiche thorn e wynn furono prese dal Fuþarc. Esisteva inoltre un simbolo per
la congiunzione and, simile al numero sette (< ⁊ >, una nota tironiana), un'altra per il pronome
relativo þæt, un thorn con una barra trasversale nell'asta ascendente (<   >). Sporadicamente si
trovano macron sulle vocali per segnalare che sono lunghe, o abbreviazioni che indicano
una m o n seguenti.
Consonanti
 c rende i suoni [k] (cynn, stirpe) e [tʃ] (c di cena) (spræc [sprætʃ], discorso).
 g può indicare i suoni [j] (gêar, anno) o [ɣ] (gh) (dagas, giorni).
 h rende i suoni [h], [x] (fricativa sorda velare) o [ç] (ted. ich).
 ð e þ possono rendere indifferentemente i suoni [ð] o [θ], esattamente come th nell'inglese moderno.
 sc si legge [ʃ] (sc di scena) (wascan ['waʃan], lavare).[4]

6. ESEMPI
Un esempio di antico inglese, il Padre Nostro:
Fæder ûre,
þû þe eart on heofonum,
sî þîn nama gehâlgod.
Tôbecume þîn rîce.
Gewurþe ðîn willa on eorðan swâ swâ on heofonum.
Ûrne gedæghwâmlîcan hlâf syle ûs tô dæg.
And forgyf ûs ûre gyltas, swâ swâ wê forgyfað ûrum gyltendum.
And ne gelæd þû ûs on costnunge,
ac âlys ûs of yfele.
Sôþlîce.

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