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FONDAMENTI ANATOMO
FISIOLOGICI

BELLOMO-GUARIGLIA

RIASSUNTO COMPLETO

TESTI DI RIFERIMENTO:
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
CENTRALE E PERIFERICO DELL’UOMO
(CATTANEO)
FISIOLOGIA DEL COMPORTAMENTO
(CARLSON)
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ANATOMIA DEL SISTEMA


NERVOSO CENTRALE E
PERIFERICO
LUIGI CATTANEO
IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Il sistema nervoso centrale è rappresentato dal nevrasse

Il nevrasse non presenta un colore uniforme MIDOLLO SPINALE ENCEFALO


è costituito in alcune parti da una sostanza accolto nel canale contenuto nella
grigia più delicata e in altre parti da una vertebrale cavità cranica
sostanza bianca più compatta e consistente
La sostanza grigia accoglie le cellule nervose: i neuroni;
la sostanza bianca è formata da fibre nervose mieliniche.

LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE


I neuroni e la glia derivano da cellule della placca neurale.
La BLASTOCISTI (cellula embrionale non ancora insediata) è una cellula che ancora non si è
differenziata, ma è una cellula TOTIPOTENTE, ovvero è in grado di generare ogni tipo di cellula e
tessuto. Non sono ancora noti i meccanismi attraverso i quali una cellula totipotente si evolve in una
cellula nervosa, muscolare, epiteliale ecc…
IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE E LA GLIA SI FORMANO DAL FOGLIETTO ECTODERMICO. IL TUBO
NEUROLE GENERA CINQUE VESCICOLE ENCEFALICHE E IL MIDOLLO SPINALE

3 settimane 6 settimane Alla nascita Cosa generano?

PROENCEFALO Telencefalo TELENCEFALO Corteccia cerebrale, bulbo olfattivo

Diencefalo DIENCEFALO Talamo, ipotalamo

MESENCEFALO Mesencefalo MESENCEFALO Mesencefalo

ROMBOENCEFALO Metencefalo CERVELLETTO E PONTE Cervelletto, ponte

Mielencefalo MIDOLLO ALLUNGATO Bulbo

Il TRONCO CEREBRALE (bulbo, ponte e mesencefalo) non nasce da un’unica vescicola, ma dal
mesencefalo, dal metencefalo e dal mielencefalo.
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Il midollo spinale e il midollo allungato mostrano una struttura segmentaria. I programmi


morfogenerici del midollo spinale e del tronco encefali cono simili, ma la complessità del tronco
encefalico è dovuta alla migrazione dei neuroni in via di sviluppo.
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IL MIDOLLO SPINALE
Il midollo spinale è simile a un lungo stelo cilindrico, un po’ appiattito in senso antero-posteriore. Si
estende nel canale vertebrale, da sotto il foro occipitale fino all’undicesima vertebra lombare,
misurando circa 44 cm.
Superiormente, il midollo spinale si continua con il midollo allungato; inferiormente, il midollo
spinale termina assottigliandosi nel cono midollare.
Il midollo spinale ha un diametro medio che misura circa 10 mm, ma non ha un calibro uniforme:
presenta due rigonfiamenti nei suoi tratti che corrispondono alle emergenze dei nervi spinali più
voluminosi, ossia quelli deputati all’innervazione degli arti superiori e inferiori.
Si tratta del rigonfiamento cervicale e del rigonfiamento lombare.

Comincia all’estremità superiore Inizia al livello della nona


del midollo spinale e si estingue vertebra toracica e termina alla
al livello della seconda vertebra prima vertebra lombare.
toracica.

Il midollo spinale non è rettilineo, ma mostra curvature analoghe a quelle della colonna vertebrale
che lo accoglie. Il midollo spinale non riempie interamente la cavità del canale vertebrale, ma ne
occupa solo la parte centrale. Lo spazio tra il midollo spinale e la colonna vertebrale è chiamato
spazio perimidollare.
Il midollo spinale è mantenuto nella sua normale posizione centrale da diversi mezzi di fissità: la
continuità con il midollo allungato, l’impianto del suo filo terminale sul coccige, le aderenze dei nervi
spinali da esso emergenti e la presenza ai suoi due lati dei legamenti denticolari, che dalla pia madre
spinale vanno all’aracnoide e alla dura madre.
In superficie, il midollo spinare presenta anteriormente un solco che lo percorre per tutta la
lunghezza: è la fessura mediana anteriore; mostra posteriormente, lungo la linea mediana, un altro
solco longitudinale: è il solco mediano posteriore.
Questi due solchi dividono il midollo in due metà: in ciascuna metà del midollo spinale di vedono le
origini appartenenti alle radici anteriori e quelle delle radici posteriori dei nervi spinali. Da ciascuna
metà del midollo spinale emergono 33 radici anteriori e 22 radici posteriori dei nervi spinali.
Dal midollo emergono complessivamente 33 paia di nervi:
 8 paia cervicali
 12 paia toracici
 5 paia lombari
 5 paia sacrali
 3 paia coccigei
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I NERVI SPINALI
Ogni nervo spinale è costituito dall’unione della radice anteriore e della radice posteriore. La radice
anteriore è motrice, la radice posteriore è sensitiva.
 la radice anteriore ha la sua origine in corrispondenza del solco laterale anteriore. Le fibre
radicolari anteriori che formano la radice anteriore del nervo spinale sono di due tipi:
fibre motrici somatiche  innervazione motrice dei muscoli scheletrici
fibre effettrici viscerali  fibre pregangliari
 la radice posteriore ha la sua origine nel solco laterale posteriore, e la sua origine reale è nel
GANGLIO SPINALE

si presenta come un rigonfiamento


posto lungo la radice posteriore del
nervo spinale. È formato da
NEURONI SENSITIVI
comunemente chiamati “neuroni a T”,
perché il loro neurite, divenuto fibra
mielinica, si divide a T dando luogo a una
fibra periferica e a una fibra centrale.
La fibra periferica raccoglie gli impulsi
sensitivi
La fibra centrale reca gli impulsi al midollo
spinale

COSTITUZIONE INTERNA DEL MIDOLLO SPINALE


Il midollo spinale è costituito centralmente da sostanza grigia e perifericamente da sostanza bianca.

SOSTANZA GRIGIA DEL MIDOLLO SPINALE SOSTANZA BIANCA DEL MIDOLLO SPINALE

La sostanza grigia del midollo spinale presenta La sostanza bianca del midollo spinale è costituita
l’aspetto di una H. la sostanza grigia del midollo da fibre nervose mieliniche. Nella grande
spinale è maggiormente sviluppata al livello dei maggioranza queste fibre nervose decorrono
rigonfiamenti cervicale e lombare. Essa termina verticalmente, con direzione ascendente oppure
all’estremità inferiore del midollo spinale, discendente, entro i cordoni del midollo spinale,
assumendo l’aspetto di un anello che circonda la formando i fasci.
parte terminale del canale centrale.
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L’ENCEFALO
L’encefalo, avvolto dalla sue meningi, ha la forma di un grosso ovoide, convesso nella sua faccia
superiore e grossomodo appiattito in quella inferiore. Pesa, in media, 1300 gr nell’uomo e 1200 gr
nella donna.
Da un punto di vista macroscopico, l’encefalo può essere suddiviso in tre parti:
 il TRONCO CEREBRALE (tronco encefalico) comprende il midollo allungato, il ponte e il
mesencefalo;
 il CERVELLETTO è situato dietro al midollo allungato e al ponte ed è congiunto al tronco
cerebrale dalle tre paia di peduncoli cerebellari;
 il CERVELLO costituisce la parte superiore dell’encefalo e quella più voluminosa. Esso
comprende il diencefalo e il telencefalo, quest’ultimo costituito dai due emisferi cerebrali.
Considerata la storia del suo sviluppo, l’encefalo è da suddividersi in tre parti fondamentali:
romboencefalo, mesencefalo e proencefalo.
Entro l’encefalo sono scavati i ventricoli cerebrali, cavità intercomunicanti entro cui scorre il liquido
cefalorachidiano. Essi sono: i due ventricoli laterali, il III ventricolo e il IV ventricolo e l’acquedotto
cerebrale (del Silvio).

Differenze tra cervello adulto e cervello fetale:


tra il cervello adulto e quello fetale ci sono alcune importanti differenze: vi è una differenza nella
distribuzione della sostanza grigia, che nel cervello adulto troviamo esternamente, mentre nel
cervello fetale si trova all’interno.
Nel cervello fetale la popolazione neuronale è situata al centro del cervello.
Man mano che il feto cresce, intervengono gli astrociti, che fungono da supporto ai neuroni e
promuovono la migrazione dei neuroni dal centro del cervello alla corteccia.
Un’ipotesi accreditata sull’autismo sostiene che in questa fase di migrazione, un eccesso di
testosterone materno vada ad agire sui neuroni che stanno migrando al livello corticale, facendoli
morire.
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I NERVI ENCEFALICI
I nervi encefalici (o cranici) sono 12 paia di nervi che, invece di avere origine dal midollo spinale,
partono dall’encefalo. Ad eccezione del I e del II paio, tutti gli altri nervi encefalici fanno emergenza
in corrispondenza del tronco cerebrale.

Nome Sensibilità Origine Funzione

I Olfattivo Sensitivo Telencefalo Trasmette le informazioni olfattive

II Ottico Sensitivo Diencefalo Trasmette le informazioni visive

III Oculomotore Motorio Mesencefalo Innerva i muscoli della palpebra, lo


sfintere dell’iride e i muscoli ciliari

IV Trocleare Motorio Mesencefalo Innerva il muscolo obliquo superiore


che ruota in basso e lateralmente il
bulbo oculare

V Trigemino Misto Ponte Riceve informazioni tattili dal viso e


innerva i muscoli per la masticazione

VI Abducente Motorio Bulbo Innerva il muscolo che determina


l’abduzione laterale dell’occhio

VII Facciale Misto Fossetta Innerva i muscoli del viso che


retrolivare controllano le espressioni facciali;
riceve informazioni sul gusto dalla
lingua e fornisce l’innervazione alle
ghiandole salivari e lacrimali

VIII Vestibolo- Sensitivo Laterale al VII Trasmette informazioni sonore e


cocleare sull’equilibrio

IX Glosso Misto Midollo Riceve sensazioni dalla lingua e


faringeo allungato innerva la ghiandola parotide

X Vago Misto Midollo Innerva faringe e laringe e tutti gli


allungato organi interni

XI Accessorio Motorio Radici craniali Controlla trapezio e sternocleido

XII ipoglosso Motorio Midollo Innerva la lingua, è importante per la


allungato deglutizione
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IL TRONCO CEREBRALE O TRONCO ENCEFALICO


Il tronco cerebrale è la diretta prosecuzione verso l’alto del midollo spinale. Esso consta del midollo
allungato, del ponte e del mesencefalo.
NEL TRONCO ENCEFALICO SI TROVANO I CENTRI DELLA REGOLAZIONE RESPIRATORIA E CARDIACA .

IL MIDOLLO ALLUNGATO
Il midollo allungato è compreso tra il midollo spinale e il ponte. Il midollo allungato è per la gran
parte contenuto nella cavità del cranio, ma viene a sporgere per un brevissimo tratto entro il canale
vertebrale. Dal midollo allungato originano i nervi encefalici VI, VII, VIII; IX; X, XI e XII.
Il NUCLEO OLIVARE INFERIORE, considerate le sue afferenze dall’ipotalamo e la sua proiezione ai
motoneuroni del corno anteriore del midollo spinale, risulta essere un nucleo attinente al sistema
delle VIE EXTRAPIRAMIDALI (pianificazione e coordinazione del movimento) con funzione regolatrice
dell’attività contrattile e del tono muscolare.

IL PONTE
Il ponte è compreso tra il midollo allungato e i peduncoli cerebellari del mesencefalo. Il suo limite con
il midollo allungato è segnato da un piano trasversale passante per il solco bulbo-pontino; quello con
i peduncoli cerebrali è dato da un altro piano che passa per il solco pontino.
Il ponte ha una forma grossomodo cubica.
Mostra nella sua parte supero-laterale, una zona di colorito grigio-azzurro che è indicata con il nome
di LOCUS COERULEUS ed è il centro di produzione della noradrenalina.
I nuclei anteriori del ponte ricevono informazioni motorie e sensoriali
I nuclei posteriori del ponte si occupano della respirazione, della regolazione del sonno e ricevono
informazioni sul gusto.

IL MESENCEFALO
Il mesencefalo consta di due peduncoli cerebrali che ne formano la parte anteriore e della lamina
quadrigemina che ne costituisce la parte posteriore.
PEDUNCOLI CEREBRALI
I peduncoli cerebrali sono due tronchi cilindrici i quali fanno seguito al ponte e si portano in alto ed in
fuori fino a penetrare ciascuno nel corrispondente emisfero cerebrale.
LAMINA QUADRIGEMINA
La lamina quadrigemina è nascosta in profondità tra il cervelletto e gli emisferi cerebrali.
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Nel mesencefalo la sostanza grigia consiste in un agglomerato di neuroni che prende il nome di
SOSTANZA NIGRA. È un nucleo che fa parte del sistema extrapiramidale. Questi nuclei si connettono al
cervelletto attraverso le fibre nigro-striate. Se degenera questa via si verificano: difficoltà nel
movimento, rigidità, tremori muscolari e volto amimico.

CIRCUITO MESO-TELENCEFALICO:
NUCLEO TEGUMENTALE VENTRALE  Producono dopamina. Questi nuclei sono implicati nel
NUCLEO ACCUMBENS  sistema della gratificazione

Nel mesencefalo, i collicoli superiore e inferiore regolano le informazioni uditive, visive, tattili e
motorie.

IL CERVELLETTO
Il cervelletto è situato posteriormente al midollo allungato e al ponte, dai quali è separato
dall’interposizione della cavità del IV ventricolo. Nel suo insieme, il cervelletto appare costituito da
una parte centrale, detta verme, e due espansioni laterali convesse, gli emisferi cerebellari. La
superficie di tutto il cervelletto, al pari del telencefalo, presenta numerosi solchi ad andamento
prevalentemente trasversale che delimitano specifici territori, i lobi e i lobuli. Nel complesso presenta
una faccia superiore, una inferiore e una circonferenza.
La faccia superiore è coperta dai lobi occipitali da cui è separata dal tentorio del cervelletto, un setto
della dura madre che si dispone orizzontalmente. Questa lamina prendendo inserzione sulla squama
dell'osso occipitale, contribuisce a delimitare il seno venoso e continua in avanti per formare un
ampio spazio ovalare che delimita inferiormente la porzione sovratentoriale dell'encefalo. Sulla linea
mediana, la faccia superiore si solleva in un rilievo, la faccia superiore del verme, formata dal verme.
La faccia inferiore è in rapporto con le fosse craniche posteriori e con la cisterna magna (o cerebro-
midollare), una vasta cisterna che contiene liquido cefalorachidiano. Tale cisterna è in comunicazione
con la cavità del IV ventricolo attraverso tre fori: uno centrale, il forame di Magendie, e due laterali,
forami di Luschka. Nella parte centrale della faccia inferiore è presente la vallecula del cervelletto (di
Reil), una depressione che accoglie un altro setto della dura madre, la falce cerebrale.
La circonferenza è percorsa anteriormente da una depressione, l'ilo cerebellare, delimitato dai tre
peduncoli cerebellari diretti verso il tronco encefalico. L'ilo è delimitato superiormente dalla valvola di
Vieussens e dalla valvola di Tarin che si congiungono nell'ilo formando un angolo acuto, il fastigium,
aperto anteriormente e formante l'apice della volta del IV ventricolo. La valvola di Vieussens, in
particolare, è una lamina che congiunge il centro midollare con la lamina tecti (lamina quadrigemina)
ed è formata da due strati: uno superiore di sostanza bianca, il velo midollare superiore (o anteriore),
che occupa lo spazio compreso fra i peduncoli superiori e uno strato più profondo di sostanza
grigia che continua con la faccia inferiore del verme. La valvola di Tarin o velo midollare inferiore (o
posteriore) è una lamina di ependima, continuazione della membrana tectoria, che occupa lo spazio
fra i peduncoli inferiori.

Il cervelletto viene suddiviso in tre parti: l’archicerebello, il paleo cerebello e il neocerebello. Tale
suddivisione ha molta importanza perché alle tre parti corrispondono connessioni differenti, e quindi
funzioni diverse.
 L’ARCHICEREBELLO o vestibolo cerebello corrisponde alla parte anteriore della faccia inferiore
del cervelletto. Esso è costituito dal nodulo e dai due flocculi i quali nell’insieme formano il
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lobo flocculo-nodulare. L’archicerebello è il centro dell’equilibrio, connesso con i recettori del


senso statico dell’orecchio interno.
 Il PALEOCEREBELLO è la parte del cervelletto che si estende al davanti del solco primario e che è
detta lobo anteriore del cervelletto. Esso comprende la lingula, l’ala del lobo centrale, il lobo
quadrangolare, la piramide e il verme inferiore. Il paleo cerebello è il centro della regolazione
del tono muscolare e della postura.
 Il NEOCEREBELLO corrisponde alla parte del cervelletto che si trova dietro al solco primario e
che è denominata lobo posteriore del cervelletto . Comprende il declive del monticello ed il
folium vermis del verme superiore, il lobus simplex e il lobulo semilunare degli emisferi
cerebellari inferiori, il tuber vermis del verme inferiore e il lobulo digastrico. Il neocerebello è
il centro regolatore dei movimenti volontari e automatici.

Il cervelletto è costituito, in superficie, da uno strato di sostanza grigia dello spessore di 1 mm: la
corteccia cerebellare; all’interno è formato da sostanza bianca: il corpo midollare, e all’interno di
quest’ultimo vi sono i nuclei cerebellari, di sostanza grigia.

La corteccia cerebellare appare come uno strato di sostanza grigia che ricopre l’intera superficie del
cervelletto. Essa manca solo in corrispondenza dell’ilo, dove si trovano i peduncoli cerebellari. La
corteccia cerebellare ha come suoi elementi tipici le cellule del Purkinje. In superficie ai pirenofori
delle cellule del Purkinje si estende lo strato molecolare, in profondità lo strato dei grunuli.
 CELLULE DEL PURKINJE: hanno il pirenoforo di forma globosa, dal cui polo superficiale si
staccano due o tre dendriti che entrano nello strato molecolare, dove formano un’ampia
arborizzazione con ramificazioni spinose.
 STRATO MOLECOLARE: possiede le cellule stellate, distinte in esterne ed interne. Le cellule
stellate esterne sono poste nella parte più superficiale dello strato molecolare, mentre le
cellule stellate interne occupano la parte più profonda. Tra le fibre presenti nello strato
molecolare sono da ricordare le fibre rampicanti e le fibre parallele.

Sono fibre pertinenti ai sistemi Provengono dai neuriti dei granuli:


afferenti della corteccia cerebellare, tali neuriti si dividono a T dando
le quali raggiungono lo strato origine a rami che decorrono
molecolare. orizzontalmente.
 STRATO DEI GRANULI: è occupato da un numero enorme di piccole cellule nervose, dette
granuli. Queste sono fornite di pochi e brevi dendriti che ramificano con una modalità che
assomiglia agli artigli di un animale. Hanno poi un sottile neurite che sale nello strato
molecolare e si divide a T dando origine alle fibre parallele.

I nuclei del cervelletto, accolti entro il corpo midollare del cervelletto, sono quattro: il nucleo del
tetto, il nucleo globoso, il nucleo dentato e il nucleo emboli forme.
Il nucleo del tetto appartiene all’archicerebello, i nucleo globoso ed emboli forme sono del paleo
cerebello. Il nucleo dentato fa parte del neocerebello.
I nuclei del cervelletto sono intercalati lungo le vie efferenti del cervelletto; essi ricevono fibre
nervose dalla corteccia cerebellare e da essi nascono poi i fasci e i sistemi di fibre nervose che
fuoriescono dal cervelletto.

CONNESSIONI DEL CERVELLETTO


 CONNESSIONI DELL’ARCHICEREBELLO: all’archicerebello giungono gli stimoli captati dai recettori del
senso statico dell’orecchio interno. I nuclei vestibolari hanno ricevuto a loro volta le fibre
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centrali dei neuroni sensitivi del ganglio vestibolare, le cui fibre periferiche si distribuiscono ai
recettori del senso statico dell’orecchio interno. Questi sistemi afferenti giungono al cervelletto
seguendo il peduncolo cerebellare inferiore e mettono capo alla metà omolaterale della
corteccia cerebellare del lobo flocculo-nodulare del cervelletto.
Dalla corteccia cerebellare del lobo flocculo-nodulare partono fibre nervose che vanno a
terminare nel nucleo del tetto del cervelletto. Da quest’ultimo originano:
o il fascio cerebello-vestibolare, che si reca ai nuclei vestibolari del midollo allungato;
o il fascio uncinato, che si immette nel peduncolo cerebellare superiore;
o il fascio vestibolo-spinale, che porta impulsi che determinano i movimenti della testa e
del braccio al fine del mantenimento dell’equilibrio;
o il fascio vestibolo-spinale laterale, che reca impulsi per il movimento di arti e tronco al
fine del mantenimento dell’equilibrio.

 CONNESSIONI DEL PALEOCEREBELLO: il paleo cerebello riceve numerosi fasci e sistemi di fibre
nervose che gli recano impulsi della sensibilità propriocettiva incosciente proveniente dalle
articolazioni e dai muscoli. Inoltre, impulsi della sensibilità esterocettiva provenienti dal
tegmento, e anche stimoli luminosi e acustici.
o Le fibre olivo-cerebellari costituiscono il secondo tratto della via spino-olivo-
cerebellare, deputata a trasmettere alla corteccia del lobo anteriore del cervelletto
impulsi della sensibilità propriocettiva incosciente del tronco e degli arti.
o Le fibre bulbo-cerebellari mettono capo alla corteccia cerebellare del lobo anteriore del
cervelletto, cui recano impulsi della sensibilità esterocettiva del tronco e degli arti.
o Le fibre reticolo-cerebellari portano alla corteccia cerebellare anteriore impulsi sensitivi
che la formazione reticolare ha ricevuto dalle fibre sensitive.
o Le fibre tetto-cerebellari recano stimoli luminosi e acustici.
Dalla corteccia cerebellare anteriore partono fibre nervose che si portano ai nuclei globoso ed
emboli forme; da tali nuclei hanno origine fibre nervose che entrano nel fascio cerebello-rubro
e raggiungono la calotta del mesencefalo; da lì ha origine il fascio rubro-spinale che discende nel
midollo spinale scomposto nei fasci anteriore e laterale. Questi due fasci recano impulsi che
regolano il tono muscolare e la posture.
 CONNESSIONI DEL NEOCEREBELLO: il neocerebello è connesso con le aree motrici della corteccia
cerebrale.
o La via afferente del neocerebello è la via cortico-ponto-cerebellare, che nasce dalla
corteccia cerebrale dell’area motrice secondaria e arriva ai nuclei basilari del ponte; dai
nuclei basilari del ponte originano le fibre ponto-cerebellari, che giungono alla corteccia
del lobo posteriore del cervelletto.
o La via efferente del neocerebello ha origine dalla corteccia cerebellare del lobo
posteriore del cervelletto. Dal nucleo dentato originano le fibre cerebello-talamiche,
che vanno a terminare nel talamo, nel suo nucleo ventrale-laterale;
 dal nucleo dentato parte inoltre la via cerebello-rubro-talamica, le cui fibre
terminano nel nucleo rosso.
 Il neocerebello esplica un’azione regolatrice e di controllo sull’area motrice primaria della
corteccia cerebrale, nonché sull’area motrice secondaria. Esso è il centro della regolazione e
della coordinazione dei movimenti volontari e autonomi.
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IL CERVELLO
Il cervello costituisce la porzione superiore dell’encefalo ed è quella più voluminosa. Il cervello ha la
forma di un ovoide con l’estremità posteriore più espansa di quella anteriore. Il cervello risulta
costituito dal diencefalo e dal telencefalo. Il telencefalo consta dei due emisferi cerebrali con le
formazioni interemisferiche; il diencefalo sporge solo parzialmente sulla faccia inferiore del cervello,
nella zona interposta tra i due emisferi cerebrali.

IL DIENCEFALO
Il diencefalo è in gran parte nascosto dal telencefalo, essendo quasi interamente inglobato entro gli
emisferi cerebrali. Le formazioni pertinenti al diencefalo sono:
 I corpi mammillari sono due rilievi biancastri di forma emisferica; essi sono posti nella fossa
interpeduncolare, subito davanti alla sostanza perforata posteriore;
 il tuber cinereum è una lamina grigia, convessa inferiormente, che si prolunga in basso con
un cono appiattito detto eminenza mediana, alla quale è congiunta l’ipofisi;
 l’ipofisi è un organo impari e mediano, accolto nella sella turcica dello sfenoide; ha una forma
ovale e dimensioni relativamente modeste (15 mm). Essa consta di due parti: una parte
posteriore, più piccola, che è la neuroipofisi, e di una parte anteriore, più grande,
l’adenoipofisi. La neuroipofisi è di natura nervosa ed è in continuità con l’ipotalamo,
l’adenoiposifi è di natura epiteliale;
 il chiasma ottico è una lamina bianca di forma rettangolare. A ciascuno dei suoi angoli
anteriori giunge il nervo ottico e da ciascuno dei suoi angoli posteriori parte il tratto ottico.
 La lamina terminale è una sottile lamella grigia che dal contorno anteriore del chiasma ottico
si porta verso l’alto per unirsi al rostro del corpo calloso.

L’IPOTALAMO
L’ipotalamo è la parte inferiore del diencefalo, situata al di sotto del talamo. E’ localizzato nel
diencefalo, tra il chiasma ottico, lo stelo infundibolare e i corpi mammillari. L’ipotalamo costituisce il
centro integrativo essenziale per la sopravvivenza di un organismo. È connesso in entrata e in uscita
con il sistema nervoso centrale.
L’ipotalamo comunica per via ematica segnali agli organi periferici e risponde alle loro sollecitazioni.
L’ipotalamo possiede molti nuclei e tratti di fibre; regola il sistema nervoso autonomo e il sistema
endocrino, regola i comportamenti di sopravvivenza e il suo nucleo sovra chiasmatico regola i ritmi
circadiani. L’ipotalamo consta di due parti: l’ipotalamo periventricolare e il sub talamo.
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 I sistemi afferenti dell’ipotalamo periventricolare sono numerosi e hanno diverse origini.


Oltre a fibre provenienti dalla corteccia cerebrale dei lobi frontale e temporale dell’emisfero
cerebrale, dal talamo e dal globo pallido, sono da ricordare:
o i sistemi delle fibre olfattive: rappresentati dai fascetti di fibre che vengono dal
nucleo amigdaloideo e che comprendono il fascio mammillare del fornice;
o il sistema ascendente viscerale: che proviene dai nuclei del fascicolo solitario
recando impulsi viscerali raccolti dai nervi vago, glosso faringeo ed intermedio del
facciale (impulsi gustativi);
o i fascicoli reticolari ascendenti: che sono costituiti da fibre nervose pertinenti a
catene multi simpatiche di neuroni, le quali salgono dal midollo spinale e dal tronco
cerebrale.
 I principali sistemi efferenti dell’ipotalamo periventricolare sono:
o il fascio mammillo-talamico: che dai nuclei del corpo mammillare si reca ai nuclei
anteriori del talamo;
o i fascicoli ipotalamo-talamici: che vanno al nucleo mediale del talamo;
o i fascicoli ipotalamici-tegmentali: che mettono capo alla formazione reticolare del
mesencefalo da cui gli stimoli scendono fino al midollo spinale;
o il fascio ipotalamico-ipofisario: che entra nel peduncolo ipofisario e si porta alla
neuroipofisi.

L’ipotalamo periventricolare è un centro di integrazione delle funzioni viscerali. Esso riceve


impulsi olfattivi e gustativi e stimoli viscerali e somatici di diversa provenienza; scarica poi gli
impulsi nervosi sui nuclei visceroeffettori e somatomotori del tronco cerebrale, stimolando la
secrezione salivare e gastrointestinale e la peristalsi, mettendo in esecuzione i muscoli masticatori
e quelli della deglutizione.

A causa elle sue efferenze dalla corteccia cerebrale e delle sue efferenze ai nuclei visceroeffettori,
l’ipotalamo periventricolare interviene ampiamente nelle espressioni emotive, determinando
modificazioni del ritmo cardiaco, della pressione sanguigna, provocando inoltre midriasi, rossore o
pallore del viso, sudorazione.

L’ipotalamo periventricolare funge anche da centro del bere, regolando l’appetito e la ricerca
discriminata degli alimenti. Interviene poi nella regolazione del sonno e della veglia e influenza
anche il comportamento sessuale.

ASSE IPOTALAMO-IPOFISI E CONTROLLO ENDOCRINO


Ipotalamo e ipofisi sono strutture strettamente connessi tra loro, sia anatomicamente che
funzionalmente. L’asse ipotalamo-ipofisi regola la secrezione della maggior parte degli ormoni.
L’asse ipotalamo-ipofisi rende conto di come le condizioni ambientali registrate dal sistema nervoso
centrale possano influenzare la secrezione ormonale attraverso meccanismi nervosi che vanno ad
interagire con quelli di feedback fisiologici.

L’IPOTALAMO E IL PIACERE
Il sistema di gratificazione per il cervello comprende la sostanza nera, l’ipotalamo, il nucleo
accumbens, il nucleo caudato e la corteccia frontale. I loro neuroni liberano dopamina, responsabile
delle sensazioni di piacere. Il circuito della gratificazione nasce dal mesencefalo, nell’area
tegmentale ventrale, nucleo che produce dopamina e la manda al nucleo accumbens.
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L’IPOTALAMO E IL COMPORTAMENTO ALIMENTARE


L’attivazione dell’ipotalamo dorso-mediale favorisce tutte quelle condizioni fisiologiche che sono
associate al nutrimento, giacchè in esso sono localizzati i centri che controllano la sete, la fame e la
sazietà (leptina -> sazietà; gralina -> fame).
 Aumenta la pressione sanguigna
 Aumenta la motilità intestinale
 Aumenta l’apporto ematico intestinale
 Diminuisce l’apporto ematico ai muscoli

L’IPOTALAMO E IL COMPORTAMENTO DI DIFESA


L’attivazione dell’ipotalamo ventrale determina risposte associate al comportamento di attacco e
fuga:
 aumento della pressione sanguigna
 aumento della frequenza, della forza e della contrazione muscolare
 aumento della velocità di conduzione del cuore
 aumento della profondità del respiro
 aumento dell’apporto sanguigno ai muscoli
 dilatazione della pupilla
 diminuzione dell’apporto ematico alla cute e alla milza
 diminuzione della motilità intestinale
 “fa sudare freddo”

L’IPOTALAMO E LA TERMOREGOLAZIONE
Si ritiene che nell’ipotalamo esista un valore di riferimento (set point9 che ci tiene informati sulla
temperatura corporea, in modo da regolarla.

ALTRE FUNZIONI IPOTALAMICHE


 L’attività ritmica delle secrezioni ormonali è scandita dai neuroni del nucleo sovra
chiasmatico ed è sincronizzata ai ritmi luce-buio, coordinando il ritmo sonno-veglia
 Riceve informazioni dal sistema olfattivo
 Riceve informazioni dal nervo vago e glosso faringeo attraverso il nucleo del tratto solitario e
invia le informazioni ai nuclei mesencefalici
 È coinvolgo nella funzione omeostatica e neuroendocrina
 Attraverso l’eminenza mediana controlla gli organi periferici, mediante la liberazione di
peptidi nei vasi sanguigni

IL TALAMO

Per il talamo passano tutte le informazioni da e per l’encefalo. Ogni sistema percettivo ha una
stazione di relay nel talamo.

Il talamo è costituito da tantissimi nuclei che non sono solo nuclei di strasmissione, ma anche di
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elaborazione, poiché ogni neurone riceve informazioni da più dendriti, quindi le integra.

I nuclei anteriori del talamo proiettano all’ippocampo e ai corpi mammillari, sono quindi implicati
nella memoria e nelle emozioni

I nuclei posteriori del talamo proiettano all’amigdala, al mesencefalo e all’ippocampo; regolano


perciò emozioni, riflessi e memoria

Il talamo è fondamentalmente costituito da sostanza grigia, la quale è organizzata in numerosi nuclei,


i nuclei talamici. Ha inoltre una componente di sostanza bianca, in parte posta perifericamente e in
parte posta all’interno.
I nuclei talamici sono distinti in nuclei specifici e nuclei non specifici

Proiettano le loro fibre efferenti ciascuno Ricevono afferenze dalla formazione


ad un preciso territorio della corteccia reticolare del tronco cerebrale, recanti
cerebrale. Comprendono i nuclei intercalati impulsi sensitivi che seguono vie
sulle vie sensitive. ascendenti multisinaptiche. Inviano poi le
I nuclei specifici del talamo sono collegati loro efferenze alla corteccia cerebrale. Essi
con la corteccia cerebrale in doppio senso. assolvono ad una funzione attivante della
Sono rappresentati dai nuclei anteriori, corteccia cerebrale stessa, così da
laterali e mediali. mantenere lo stato di veglia.

NUCLEI DEL TALAMO


NOME AFFERENZE EFFERENZE FUNZIONE

(da dove arrivano le fibre?) (dove vanno le fibre?)

Nuclei Fascio mammillo-talamico Corteccia del lobo Implicati nel


limbico
anteriori circuito della
NUCLEI VENTRALI

memoria
Nucleo  Fibre globo-pallide Talamo-corticali Sia soppressoria
ventrale  Neuroni del globo pallido e che di
anteriore (aree motrici primarie stabilizzazione dei
putamen
e secondarie) movimenti
volontari
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Nucleo Cervelletto Talamo-corticali Connessione tra


ventrale cervelletto e
laterale (aree motrici) cervello

 Fasci spino-talamici (termica e Talamo-corticale


dolorifica)
Radiazione sensitiva
 Lemnisco mediale (sensibilità
tattile fine) (area sensitiva
Nucleo  Lemnisco trigeminale
ventrale (sensibilità testa) primaria)
 Lemnisco viscerale (sensibilità
posteriore Vie sensitive
viscerale)
 Fibre bulbo-talamiche
(sensibilità gustativa)

Nucleo genicolato Tratto ottico Radiazione ottica Via ottica


laterale

Nucleo genicolato Tratto acustico Radiazione acustica Via acustica


mediale

 Nucleo dorso Nuclei ventrali Area stereognosica


laterale
NUCLEI DORSALI

 nucleo
laterale
Vie sensitive
posteriore
associative
Pulvinar  Nucleo ventrale Aree secondarie
 Nucleo genicolato

Nucleo dorso mediale Doppia connessione con ipotalamo e Sfera emotiva e


corteccia prefrontale vegetativa

Nucleo centro-mediano  Formazione Corteccia Funzione


reticolare cerebrale attivante
Nucleo reticolare
 Nucleo ventrale aspecifica
Linea mediana posteriore

IL TELENCEFALO
Il telencefalo risulta costituito dai due emisferi cerebrali e dalle formazioni interemisferiche.
18

Le scissure cerebrali delimitano sulla superficie dell’emisfero cerebrale ampi territori, che sono i lobi
cerebrali. I solchi cerebrali circoscrivono nell’ambito di uno stesso lobo una serie di rilievi, chiamati
circonvoluzioni cerebrali.

PRINCIPALI SCISSURE DELL’EMISFERO CEREBRALE

 Scissura laterale del Silvio: è la maggiore fra tutte le scissure dell’emisfero cerebrale; separa i
lobi temporale, frontale e parietale e dell’insula. Decorre sul lobo temporale.
 Scissura centrale del Rolando: decorre grossomodo verticalmente sulla faccia laterale
dell’emisfero cerebrale, più o meno sopra l’orecchio. Separa il lobo frontale dal lobo
parietale.
 Scissura interemisferica: decorre sagittalmente lungo la linea mediana del cervello e separa i
due emisferi.
 Scissura calcarina: è disposta orizzontalmente nella faccia infero posteriore dell’emisfero
cerebrale. Separa il lobo parietale dal lobo occipitale.
 Scissura del cingolo: rappresenta la parte superiore della scissura limbica. La scissura del
cingolo ha un andamento parallelo al corpo calloso

PRINCIPALI LOBI DELL’EMISFERO CEREBRALE


 Lobo frontale: si estende al davanti della scissura centrale del Rolando ed è delimitato
inferiormente dalla scissura laterale del Silvio. Sulla superficie inferiore del lobo frontale si
trovano il solco olfattivo e il solco orbitale.
 Lobo parietale: posto dietro alla scissura centrale del Rolando e sopra la scissura laterale del
Silvio. Esso confina in addietro con il lobo occipitale, separato dalla scissura calcarina.
 Lobo temporale: posto al di sotto dei lobi frontale e parietale, dai quali è separato dalla
scissura laterale del Silvio.
 Lobo dell’insula: è situato nella profondità della scissura laterale del Silvio, dove sporge entro
la fossa laterale. Ha una forma grossomodo triangolare, con apice rotondeggiante rivolto
verso il basso.
 Lobo limbico: è rappresentato dalla circonvoluzione del cingolo, che è posta inferiormente
alla scissura del cingolo. È rappresentato, inferiormente, dalla circonvoluzione
dell’ippocampo, che lo completa inferiormente.
ASPETTI MORFO-FUNZIONALI DELLA CORTECCIA CEREBRALE
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LA CORTECCIA CEREBRALE PRESENTA SUA SUPERFICIE DEI SOLCHI E DELLE CIRCONVOLUZIONI. È NOTA ANCHE LA
PRESENZA DI SCISSURE (centrale, laterale, perieto-occipitale, calcarina e limbica) CHE SEPARANO LA SUPERFICIE
EMISFERICA, FORMANDO I DIVERSI LOBI. NELL’AMBITO DI CIASCUN LOBO, QUASI SEMPRE IN CORRISPONDENZA DI
PARTICOLARI CIRCONVOLUZIONI, È STATO POSSIBILE RICONOSCERE LA LOCALIZZAZIONE DI UNA SPECIFICA FUNZIONE
CORTICALE, SENSITIVA, MOTORIA O DI ASSOCIAZIONE. UNA DIFFERENZA MORFOLOGICA FRA DIVERSE REGIONI
CORTICALI RIGUARDA L’ASPETTO ISTOLOGICO. SI DISTINGUE UNA PORZIONE DENOMINATA ALLOCORTEX DA UNA
DENOMINATA ISOCORTEX.
• NELL’ALLOCORTEX, CHE CORRISPONDE ALLE AREE DI PROIEZIONE OLFATTIVA, ALL’IPPOCAMPO, AL GIRO
DEL CINGOLO E ALL’UNCUS, L’ASPETTO MORFOLOGICO È PIUTTOSTO GROSSOLANO ED ELEMENTARE.
• INVECE, LA STRUTTURA DELL’ISOCORTEX, CHE COMPRENDE TUTTO IL RESTO DELLA CORTECCIA
CEREBRALE, APPARE MOLTO PIÙ COMPLICATA. VI SI DESCRIVONO INFATTI SEI STRATI DI CELLULE DI
ASPETTO DIVERSO: ALCUNE CELLULE HANNO FORMA PIRAMIDALE E ALTRE NO; I NEURONI
PIRAMIDALIPROIETTANO I LORO ASSONI AL DI FUORI DELLA CORTECCIA, MENTRE LE ALTRE CELLULE HANNO
IL COMPITO DI COLLEGARE TRA LORO LE CELLULE DEI DIVERSI STRATI, ANCHE ESERCITANDO AZIONI
INIBITORIE, MA RIMANENDO SEMPRE NEL CONTESTO CORTICALE.
LE CELLULE DEI DIVERSI STRATI CORTICALI SONO DISPOSTE MOLTO ORDINATAMENTE SECONDO UNA
DIREZIONE ORTOGONALE ALLA SUPERFICIE E SONO COLLEGATE TRA LORO DAL PUNTO DI VISTA FUNZIONALE.
IN SOSTANZA, LA CORTECCIA CEREBRALE È COSTITUITA DA COLONNE DOVE LE CELLULE COSTITUENTI SONO
TRA LORO INTERCONNESSE. QUESTA ORGANIZZAZIONE HA PORTATO A RITENERE CHE CIASCUNA COLONNA
SVOLGA UN RUOLO DISTINTO DA QUELLO DELLE COLONNE ADIACENTI.
NELLL’ISOCORTEX LA CORTECCIA SI PRESENTA IN FORME DIVERSE SECONDO LE DIVERSE AREE. AD ESEMPIO,
NELLE AREE SOMESTETICA, VISIVA E ACUSTICA LA CORTECCIA È DI TIPO GRANULARE, IN QUANTO QUESTE
REGIONI SONO CARATTERIZZATE DALL’ABBONDANZA DI CELLULEGRANULARI, MENTRE NELLE AREE MOTRICI
LA CORTECCIA È DI TIPO AGRANULARE, IN QUANTO LE CELLULE GRANULARI SONO MOLTO SCARSE E
PREVALGONO I NEURONI PIRAMIDALI.

LA CORTECCIA CEREBRALE è COMPOSTA DA SEI STRATI DI CELLULE (citoarchitettura nelle regioni cerebrali):
1° STRATO: MOLECOLARE;
2° STRATO: CELLULE GRANULARI ESTERNE; CELLULE SENSITIVE
3° STRATO: CELLULE PIRAMIDALI;
4° STRATO: CELLULE GRANULARI INTERNE;
5° STRATO: CELLULE GIGANTI PIRAMIDALI;
6° STRATO: CELLULE POLIMORFE. CELLULE MOTRICI

LOCALIZZAZIONI CORTICALI
BRODMAN FU IL PRIMO A MAPPARE LA CORTECCIA CEREBRALE, SUDDIVIDENDO LE AREE A SECONDA DEL LORO
ASPETTO CITOARCHITETTONICO E ASSEGNANDO UN NUMERO A CIASCUNA AREA DELLA MAPPA. BRODAMAN HA
IDENTIFICATO E NUMERATO 53 AREE CEREBRALI. MALGRADO CON IL PASSARE DEL TEMPO SIANO STATI PROPOSTI
ALTRI CRITERI DI DISTINZIONE TRA LE VARIE REGIONI, LA NUMERAZIONE EFFETTUATA DA BRODMAN CONTINUA
ANCORA OGGI A COSTEGGIARE LE DIVERSE AREE DI PROIEZIONE CORTICALE. VALE IL PRINCIPIO CHE PER CIASCUNA
AREA UN DIVERSO ASSETTO CITOARCHITETTONICO CORRISPONDE A UNA DIVERSA FUNZIONE. TALE
CORRISPONDENZA HA PORTATO A LOCALIZZARE DIVERSE FUNZIONI SULLA SUPERFICIE CORTICALE; SI TRATTA DELLE
COSIDDETTE LOCALIZZAZIONI CORTICALI.

AREE ASSOCIATIVE
ACCANTO ALLE AREE MOTORIE, CHE REGOLANO IL MOVIMENTO, E ALLE AREE SENSORIALI, CHE GOVERNANO LA
PERCEZIONE, SI SONO RITROVATE LE COSIDDETTE AREE ASSOCIATIVE, LE QUALI ELABORANO CERTE INFORMAZIONI
PROVENIENTI DALLA PERIFERIA SENSORIALE, INTEGRANDOLE CON LE ALTRE, E FINISCONO PER REGOLARE IL
COMPORTAMENTO VOLONTARIO. L’INTEGRAZIONE SFRUTTA LE ABBONDANTI CONNESSIONI ANATOMICHE CHE
COLLEGANO TRA LORO LE DIVERSE AREE CORTICALI DI UNO STESSO EMISFERO E LE CONNESSIONI TRA UN EMISFERO
E L’ALTRO.

AREE DEPUTATE AL CONTROLLO DEL LINGUAGGIO


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DUE PARTICOLARI AREE ASSOCIATIVE SONO DEPUTATE AL CONTROLLO DEL LINGUAGGIO. I MOVIMENTI DEI MUSCOLI
IMPEGNATI NELLA FONAZIONE SONO CONTROLLATI DA SPECIFICHE REGIONI SITUATE NELL’AREA MOTRICE PRIMARIA.
TUTTAVIA, AL CONTROLLO DELLA FONAZIONE PARTECIPANO ALTRE DUE AREE CORTICALI, ED ESATTAMENTE L’AREA
DI BROCA E L’AREA DI WERNICKE. NEI SOGGETTI DESTRIMANI ENTRAMBE LE AREE SONO UBICATE NELL’EMISFERO
SINISTRO, CHE È L’EMISFERO DOMINANTE. LA DISTRUZIONE DI UN’AREA DI QUESTO TIPO DETERMINA UN DISTURBO
DENOMINATO AFASIA, CHE CONSISTE NELL’INCAPACITÀ DI IMPIEGARE UN APPROPRIATO LINGUAGGIO O
IMPOSSIBILITÀ DI COMPRENDERE LE PAROLE SCRITTE O PARLATE.
AREA DI BROCA: (AREA 44 DI BRODMAN) È UN’AREA ASSOCIATIVA LOCALIZZATA NEL PIEDE DELLA TERZA
CIRCONVOLUZIONE FRONTALE, PROPRIO DAVANTI ALL’AREA DI RAPPRESENTAZIONE DELLA TESTA
NELL’AREA MOTORIA PRIMARIA. LA DISTRUZIONE DI QUEST’AREA PROVOCA LA COMPARSA DI
AFASIA MOTORIA: INCAPACITÀ VERBALE DI INDICARE DEGLI OGGETTI CON PAROLE ADEGUATE. IL
SOGGETTO È CAPACE DI PARLARE, MA NON RIESCE AD ACCOPPIARE ALLE PAROLE I SIMBOLI CHE
RAPPRESENTANO. EGLI HA PRESENTE L’IDEA DELL’OGGETTO CHE DOVREBBE NOMINARE, MA NON
TROVA LA PAROLA GIUSTA.
AREA DI WERNICKE: (AREA 22 DI BRODMAN) È LOCALIZZATA NEL LOBO TEMPORALE, NELLE AREE 21 E 22
DI BRODMAN. LA SUA LESIONE PROVOCA AFASIA SENSITIVA: IL SOGGETTO COLPITO NON È SORDO, MA
NON RIESCE A CAPIRE IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE ASCOLTATE. VIENE A MANDARE L’ACCOPPIAMENTO
TRA PAROLA UDITA E SIMBOLO CHE ESSA RAPPRESENTA.
L’AREA DI BROCA E L’AREA DI WERNICKE SONO INTERCONNESSE DA UN FASCIO DI FIBRE DENOMINATO
FASCICOLO ARCUATO. LA DISTRUZIONE, TOTALE O PARZIALE DI TALE FASCIO DETERMINA UN’AFASIA DI
CONDUZIONE: IL SOGGETTO PARLA SENZA ALCUN DEFICIT MOTORIO, MA IL SUO LINGUAGGIO RISULTA
INCOMPRENSIBILE.
AREA DI DÉJERINE: È SITUATA NEL GIRO ANGOLARE DEL LOBO PARIETALE, IN CONTIGUITÀ CON L’AREA
VISIVA DEL LOBO OCCIPITALE. LA SUA DISTRUZIONE PROVOCAALESSIA, L’INCAPACITÀ DI COMPRENDERE IL
LINGUAGGIO SCRITTO.
AREA DI EXNER: È UNA PICCOLA AREA SITUATA NEL CONTESTO DELL’AREA MOTORIA PRIMARIA, LA CUI
LESIONE PROVOCA L’INCAPACITÀ DI SCRIVERE IN UN LINGUAGGIO APPROPRIATO AL CONCETTO CHE IL
SOGGETTO INTENDE ESPRIMERE.

AREE SOMESTETICHE
SI TRATTA DI REGIONI CORTICALI NEL LOBO PARIETALE CHE RAPPRESENTANO LA STAZIONE DI ARRIVO DI MESSAGGI
RELATIVI ALLA SENSIBILITÀ SOMATICA. LE DUE REGIONI SONO DENOMINATE AREA SOMATICA PRIMARIA E AREA
SOMATICA SECONDARIA. ENTRAMBE LE AREE PROVVEDONO ALLA RECEZIONE DI MESSAGGI SUPERFICIALI E
PROFONDI ORIGINATI DALLA CUTE E SVOLGONO UN IMPORTANTE RUOLO NELLA SENSIBILITÀ TATTILE FINE
EPICRITICA.
AREA SOMATICA PRIMARIA: L’AREA SOMATICA PRIMARIA CORRISPONDE ALLE AREE 3, 2 E 1 DI BRODMAN,SITUATE
NEL LOBO PARIETALE, NEL GIRO POST-CENTRALE SULLA CIRCONVOLUZIONE DEL SOLCO CENTRALE. LA SUA
STRUTTURA È TIPICAMENTE GRANULARE. LE AREE ASSOCIATIVE CORRISPONDENTI ALL’AREA SOMATICA PRIMARIA
SONO LE AREE 5 E 7 DI BRODMAN. QUEST’AREA RICEVE INFORMAZIONI DALLA METÀ OPPOSTA DEL CORPO E
PRESENTA UNA ORGANIZZAZIONE SOMATOTOPICA; INFATTI, STIMOLANDO LA CUTE DI DIVERSE PORZIONI CORPOREE
E IDENTIFICANDO LE REGIONI RESPONSIVE DELLA CORTECCIA SI SONO POTUTE COSTRUIRE DELLE MAPPE DELLA
RAPPRESENTAZIONE CORPOREA SULLA SUPERFICIE CORTICALE.
IN QUESTE MAPPE LE DIVERSE REGIONI CORPOREE SONO RAPPRESENTATE IN MODO MOLTO ORDINATO, TANTO CHE
È POSSIBILE RICONOSCERVI L’HOMUNCULUS SENSITIVO, LA RAPPRESENTAZIONE DEL CORPO DI UN UOMO, DOVE,
PROCEDENDO DA AVANTI A INDIETRO, VEDIAMO PRIMA IL PIEDE, POI LA BAMBA, LA COSCIA, IL BUSTO, IL BRACCIO,
L’AVAMBRACCIO, LA MANO, LE DITA E POI LA FACCIA E IL RIMANENTE DELLA TESTA. L’HOMUNCULUS APPARE
PIUTTOSTO DEFORME, NEL SENSO CHE DETERMINATE REGIONI CORPOREE PICCOLE (come ad esempio le dita) OCCUPANO
NELLA MAPPA DELLE REGIONI MOLTO PIÙ ESTESE DI ALTRE REGIONI PIÙ GRANDI (tronco e addome). UNA TALE
SPROPORZIONE È A FAVORE DI REGIONI CORPOREE DOVE LA SENSIBILITÀ È PIÙ SPICCATA IN RAPPORTO ALLE ALTRE.
AREA SOMATICA SECONDARIA: SI TRATTA DI UN’AREA LOCALIZZATA ANCH’ESSA NEL LOBO PARIETALE, MA IN
POSIZIONE PIÙ LATERALE E CAUDALE RISPETTO ALL’AREA SOMATICA PRIMARIA. CORRISPONDONO ALLE AREE 5 E 7 DI
BRODMAN. UNA DELLE CARATTERISTICHE CHE CONTRADDISTINGUONO L’AREA SOMATICA SECONDARIA DALL’AREA
SOMATICA PRIMARIA È CHE QUEST’ULTIMA RICEVE INFORMAZIONI PROVENIENTI DA ENTRAMBE LE METÀ DEL CORPO.
LA DISTRIBUZIONE SOMATOTOPICA IN QUEST’AREA È PIUTTOSTO GROSSOLANA, ANCHE SE VI SONO BEN DISTINGUIBILI
LA FACCIA E I DUE ARTI. ALL’AREA SOMATICA SECONDARIA CONVERGONO SIA LE PROIEZIONI LEMNISCALE CHE QUELLE
SPINOTALAMICHE, DAL MOMENTO CHE VI GIUNGONO SIA STIMOLI TATTILI CHE DOLORIFICI. L’AREA SECONDARIA
SEMBRA INOLTRE SVOLGERE UN RUOLO SUBORDINATO RISPETTO A QUELLA PRIMARIA.
AREE MOTORIE
21

LE AREE CON FUNZIONE MOTORIA SONO STATE IDENTIFICATE SOPRATTUTTO OSSERVANDO LA COMPARSA DI
MOVIMENTI A SEGUITO DELLA STIMOLAZIONE ELETTRICA CORTICALE.
AREA MOTORIA PRIMARIA:L’AREA MOTORIA PRIMARIA È SITUATA NEL GIRO PRE-CENTRALE SULLA
CIRCONVOLUZIONE DEL SOLCO CENTRALE, NEL LOBO FRONTALE. QUEST’AREA PRENDE IL NOME DAL FATTO CHE LA
STIMOLAZIONE ELETTRICA EFFETTUATA ANCHE CON SOTTILISSIMI ELETTRODI RIESCE AD EVOCARE MOVIMENTI
MOLTO FINI, APPLICANDO IMPULSI DI MINIMA INTENSITÀ. QUESTA REGIONE È STATA LOCALIZZATA NEL LOBO
FRONTALE E CORRISPONDE ALL’AREA 4 DI BRODMAN, PRESENTANDO LA CARATTERISTICA STRUTTURA AGRANULARE.
L’HOMUNCULUS MOTORIO DELL’AREA MOTORIA PRIMARIA HA UNA RAPPRESENTAZIONE SOMATOTOPICA, DAL
MOMENTO CHE LE VARIE REGIONI DEL CORPO SONO RAPPRESENTATE IN SEQUENZA ORDINATA: LE DITA DEL PIEDE, IL
PIEDE, LA GAMBA, LA COSCIA, IL TRONCO, IL BRACCIO, L’AVAMBRACCIO, LA MANO, LE DITA DELLA MANO E LA
FACCIA. L’HOMUNCULUS MOTORIO È DISARMONICO PER IL FATTO CHE TALUNE PARTI, CHE CORRISPONDONO ALLA
MANO, AL VISO E ALLA LINGUA, COPRONO UNA MAGGIORE SUPERFICIE E CIÒ CONFERMA COME LE REGIONI
CORPOREE CAPACI DI ESEGUIRE MOVIMENTI PIÙ FINI DISPONGONO DI UN CONTROLLO CORTICALE PIÙ ESTESO.
SI È AMPIAMENTE DIMOSTRATO CHE LA CORTECCIA MOTORIA È DOTATA DI UN DISCRETO GRADO DI PLASTICITÀ, NEL
SENSO CHE LA SUA ORGANIZZAZIONE TOPOGRAFICA SI MODIFICA A SEGUITO DI LESIONI O DI APPRENDIMENTO.
DOPO UNA LESIONE CHE HA INTERESSATO UNA PARTE PIÙ O MENO ESTESA DELLA CORTECCIA MOTORIA, SI OSSERVA
UNA PARALISI FLACCIDA DEGLI ARTI DEL LATO OPPOSTO ALLA LESIONE, CHE PERÒ ANDRÀ INCONTRO A UN CERTO
RECUPERO PROGRESSIVO. A COSA SI DEVE IL RECUPERO: SICURAMENTE NON A FENOMENI NEURORIGENERATIVI;
PIUTTOSTO SI TRATTA DI FENOMENI DI POTENZIAMENTO DELLE FUNZIONI RESIDUE, CHE SI INQUADRANO NEL
CONTESTO DELLA NEUROPLASTICITÀ. IN GENERALE, POSSIAMO DIRE CHE TRA I NEURONI SOPRAVVISSUTI C’È STATO
UN RINFORZO DI COLLEGAMENTI SINAPTICI O ADDIRITTURA LA FORMAZIONE DI NUOVI CIRCUITI SINAPTICI; COSÌ SI È
IPOTIZZATO CHE IL MIGLIORAMENTO DEL DEFICIT CONSEGUENTE AD UN ICTUS POSSA ESSERE DOVUTO
ALL’INTERVENTO DELL’AREA MOTORIA DEL LATO OPPOSTO, CHE VA CONNETTENDOSI SEMPRE PIÙ FORTEMENTE
ALL’EMISFERO LESO.
ALTRI ESPERIMENTI SULL’UOMO HANNO DIMOSTRATO COME, FACENDO COMPIERE AD UN SOGGETTO UN
DETERMINATO ESERCIZIO CON UNA MANO E FACENDOGLIELO RIPETERE FINO A QUANDO EGLI NON LO SVOLGA CON
TOTALE DIMESTICHEZZA, LA RAPPRESENTAZIONE DI QUELLA MANO NELL’HOMUNCULUS MOTORIO DIVENTA PIÙ
AMPIA. QUESTO RISULTATO CONTRIBUISCE A SPIEGARE COME L’AFFINAMENTO DI PERFORMANCES MOTORIE
MEDIANTE L’ALLENAMENTO POSSA GIOVARSI NON SOLO DELLE CORREZIONI A FEEDBACK, MA ANCHE DEI FENOMENI
DI NEUROPLASTICITÀ DESTATI DALL’ALLENAMENTO STESSO.
AREE PREMOTORIE
QUESTE AREE SONO ESSENZIALMENTE DUE E SONO STATE IDENTIFICATE COME LE AREE 6 E 8DI BRODMAN. L’AREA 8
CONTROLLA I MOVIMENTI CONIUGATI VOLONTARI DEGLI OCCHI, E PER QUESTO VIENE ANCHE CHIAMATA AREA
OCULO-CEFALO-GIRA.
AREA 6:ANCHE NELL’AREA 6, ANALOGAMENTE A QUANTO AVVIENE NELL’HOMUNCULUS MOTORIO DELL’AREA 4, SI
POSSONO RICONOSCERE DELLE MAPPE RIGUARDANTI IL VISO E GLI ARTI, MA SI POSSONO NOTARE DELLE DIFFERENZE
TRA LE DUE AREE: LE RISPOSTE MOTORIE ALLA MICROSTIMOLAZIONE DELL’AREA 4 COMPAIONO APPLICANDO STIMOLI
ELETTRICI DI BASSA INTENSITÀ E SONO MOLTO ELEMENTARI, NEL SENSO CHE CONSISTONO NELLA CONTRAZIONE DEI
SINGOLI MUSCOLI; NELL’AREA 6LA STIMOLAZIONE DEVE AVVENIRE CON PIÙ FORTE INTENSITÀ DI CORRENTE; INOLTRE,
LE RISPOSTE CONSISTONO IN ATTI MOTORI COMPLESSI CHE COINVOLGONO PIÙ ARTICOLAZIONI E APPAIONO
ORGANIZZATI COME SE FOSSERO MOVIMENTI DI PRENSIONE E DI RAGGIUNGIMENTO. È INTERESSANTE IL FATTO CHE
LE RISPOSTE MOTORIE ALLA STIMOLAZIONE DELL’AREA 6 COMPAIONO CON LA MEDIAZIONE DELL’AREA MOTORIA
PRIMARIA, TANTO È VERO CHE LA STIMOLAZIONE DELL’AREA 6 NON RIESCE PIÙ AD EVOCARLE QUANDO SI
INTERROMPONO LE CONNESSIONI CON LE DUE AREE.
L’ABLAZIONE ISOLATA DELL’AREA 6 NON È IN GRADO DI INDURRE PARALISI, COME INVECE SI OSSERVA DOPO UNA
LESIONE DELL’AREA 4. SI È VISTO PERÒ CHE LA DISTRUZIONE DI ENTRAMBE LE AREE PROVOCA DISTURBI MOTORI PIÙ
GRAVI RISPETTO A QUELLI DIPENDENTI SOLO DALL’AREA 4: LA COMBINAZIONE DELLE DUE LESIONI FA COMPARIRE
FENOMENI DI TIPO SPASTICO.
AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE
ESSA SI TROVA NELLA FACCIA MESIALE DELL’EMISFERO. L’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE È STATA IDENTIFICATA
SULLA BASE DI RISPOSTE MOTORIE ALLA STIMOLAZIONE ELETTRICA. ANALOGAMENTE A QUANTO OSSERVATO PER
L’AREA 6, ANCHE I MOVIMENTI EVOCATI DALLA STIMOLAZIONE DI QUESTA AREA COMPAIONO APPLICANDO
STIMOLAZIONI NERVOSE DI MAGGIORE INTENSITÀ. DEFICIT MOTORI DI UNA CERTA IMPORTANZA COMPAIONO SOLO
SE LA LESIONE DELL’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE VIENE EFFETTUATA BILATERALMENTE. UN’ALTRA ANALOGIA
CON L’AREA 6 CONSISTE NEL FATTO CHE SE SI DISTRUGGONO IN MODO COMBINATO L’AREA 4 E L’AREA MOTORIA
SUPPLEMENTARE LA PARALISI VIENE AGGRAVATA DA FENOMENI DI SPASTICITÀ.

AREE VISIVE
22

LE PROIEZIONI VISIVE PROVENIENTI DALLA RETINA TERMINANO SELETTIVAMENTE NEL LOBO OCCIPITALE. NELLA
CORTECCIA VISIVA SI DISTINGUONO TRE REGIONI CORRISPONDENTI ALLE AREE 17, 18 E 19 DI BRODMAN.
AREA 17, O AREA VISIVA PRIMARIA: È LOCALIZZATA NELLA REGIONE DELLA SCISSURA CALCARINA DEL LOBO
OCCIPITALE. IL SUO ASPETTO MORFOLOGICO È TIPICO: IL QUARTO STRATO APPARE MOLTO RICCO DI GRANULI E
VIENE ATTRAVERSATO DA UN FASCETTO DI FIBRE NERVOSE CHE HANNO UN DECORSO PARALLELO ALLA SUPERFICIE; A
CAUSA DI TALE ASPETTO QUEST’AREA VIENE ANCHE DENOMINATA CORTECCIA STRIATA. L’AREA 17 CONTIENE
NEURONI CHE PROIETTANO I LORO ASSONI AL DI FUORI DELLA CORTECCIA, VERSO CENTRI SOTTOCORTICALI DOTATI
DI FUNZIONE VISIVA; ALTRI NEURONI PROIETTANO INVECE ALL’AREA VISIVA SECONDARIA E ALL’AREA VISIVA
TERZIARIA. L’AREA 17 RICEVE SOPRATTUTTO INFORMAZIONI SULLE IMMAGINI PROVENIENTI DAL LATO OPPOSTO DEL
CAMPO VISIVO: AD ESEMPIO, L’AREA SINISTRA “VEDE” GLI OGGETTI CHE STANNO ALLA DESTRA. DIFATTI, LA
DECOSTRUZIONE MONOLATERALE DELL’AREA 17 PROVOCA LA COSIDDETTA “EMIANOPSIA BILATERALE OMONIMA: IL
DISTURBO È BILATERALE IN QUANTO INTERESSA ENTRAMBI GLI OCCHI, I QUALI PERDONO CIASCUNO METÀ DEL
CAMPO VISIVO; SE LA LESIONE VIENE CONDOTTA BILATERALMENTE, SI AVRÀ CECITÀ COMPLETA.
LE INFORMAZIONI ELABORATE DALL’AREA VISIVA PRIMARIA SI RIFERISCONO ALLE CARATTERISTICHE DI FORMA E DI
COLORE DEGLI OGGETTI OSSERVATI, NONCHÉ ALLE LORO DIMENSIONI, AL LORO ORIENTAMENTO NELLO SPAZIO E
ALLA DIREZIONE DEGLI OGGETTI IN MOVIMENTO. TALI INFORMAZIONI SI DEBBONO ANCHE ALLA FUNZIONALITÀ DI
ALMENO TRE TIPI DI NEURONI RICETTIVI IVI IDENTIFICATI:
• NEURONI SEMPLICI: RISULTEREBBERO SENSIBILI SOLO ALL’ORIENTAMENTO DEGLI OGGETTI NELLO SPAZIO;
• NEURONI COMPLESSI: (presenti anche nelle aree 18 e 19) SENSIBILI ANCH’ESSI ALL’ORIENTAMENTO DEGLI
OGGETTI, MA ANCHE AL LORO MOVIMENTO;
• NEURONI IPERCOMPLESSI: (presenti in numero scarso nell’area 17, ma abbondanti nelle aree 18 e 19) LE
CUI SCARICHE SI MODIFICANO NON SOLO IN RAPPORTO ALL’ORIENTAMENTO E AL MOVIMENTO DEGLI
OGGETTI, MA ANCHE ALLE LORO DIMENSIONI.
AREA 18 (AREA VISIVA SECONDARIA) E AREA 19 (AREA VISIVA TERZIARIA): SI TROVANO ANCH’ESSE NEL LOBO
OCCIPITALEE LA LORO STIMOLAZIONE ELETTRICA DETERMINA MOVIMENTI CONIUGATI DI ENTRAMBI GLI OCCHI, I
QUALI DEVIANO VERSO IL LATO OPPOSTO ALL’EMISFERO STIMOLATO. QUESTE DUE AREE SONO COINVOLTE NEI
MECCANISMI DI INSEGUIMENTO DEGLI OGGETTI CHE SI SPOSTANO NEL CAMPO VISIVO. ESSE GIOCANO ANCHE UN
RUOLO NEL DETERMINISMO DEL NISTAGMO OPTO-CINETICO, CIOÈ IN QUELLA SERIE DI SCOSSE DEL GLOBO OCULARE
NEL CUI CAMPO VISIVO SCORRONO GLI OGGETTI. Un tipico esempio di questa forma di nistagmo è quello che si
presenta quando dal finestrino di un treno osserviamo i pali dell’elettricità che si spostano nel campo visivo: in una
prima fase (di inseguimento) l’occhio tende a seguire i pali e dunque si sposta nella stessa direzione, ma fino ad un
certo punto, oltre il quale esso ritorna alla primitiva posizione (fase di richiamo).

AREE ACUSTICHE
IL LOBO TEMPORALE È LA SEDE DI ARRIVO DELLE PROIEZIONI DELLE VIE ACUSTICHE ORIGINATE NELLA COCLEA, CIOÈ
NELL’APPARATO RECETTORIALE ACUSTICO DELL’ORECCHIO. LE VIE NERVOSE CENTRALI ATTRAVERSANO DIVERSE
STAZIONI SOTTOCORTICALI PRIMA DI GIUNGERE ALLA CORTECCIA: IL COMPLESSO DELL’OLIVA SUPERIORE, IL CORPO
QUADRIGEMINO INFERIORE DEL MESENCEFALO E IL CORPO GENICOLATO MEDIALE DEL TALAMO. LA CORTECCIA
UDITIVA È LOCALIZZATA NEL GIRO TEMPORALE TRAVERSO DI HESCHL E NELLA PROFONDITÀ DELLA SCISSURA
LATERALE DEL SILVIO.
FACENDO RIFERIMENTO ALLA NUMERAZIONE ASSEGNATA DA BRODMAN, SI DISTINGUONO DUE DIFFERENTI REGIONI
DI PROIEZIONE UDITIVA: QUELLA CORRISPONDENTE ALLE AREE 41 E 42,  DOVE ARRIVANO LE INFORMAZIONI DI
ORIGINE COCLEARE, E QUELLA CHE HA SEDE NELLE AREE 21 E 22 DELL’EMISFERO DOMINANTE,  CHE SVOLGE
UN’IMPORTANTE RUOLO NEI PROCESSI DI COMPRENSIONE DEL LINGUAGGIO PARLATO. QUANDO QUESTA SECONDA
REGIONE (21 E 22), DENOMINATA ANCHE AREA PSICO-ACUSTICA, VIENE DISTRUTTA, COMPARE LA COSIDDETTA
AFASIA SENSORIALE: IL SOGGETTO È INCAPACE DI COMPRENDERE IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE ASCOLTATE, ANCHE
SE IL SOGGETTO NON È AFFATTO SORDO; EGLI È INOLTRE BEN CAPACE DI CAPIRE IL SIGNIFICATO DELLA STESSA
PAROLA, QUANDO LA LEGGE.

NUCLEI DEL TELENCEFALO


23

I nuclei del telencefalo sono:: il corpo striato, il claustro ed il nucleo amigdaloideo. Essi, unitamente al
globo pallido ed al talamo del diencefalo, costituiscono i nuclei della base.
 Il CORPO STRIATO: consta di due parti, che sono in continuità tra loro per mezzo di ponti di
sostanza grigia:
o Il NUCLEO CAUDATO ha la forma di una grande virgola. Esso è incurvato su se stesso,
così da formare un anello quasi completo. Nel nucleo caudato si distinguono tre
parti: la testa, il tronco e la coda.
o Il PUTAMEN si trova in una posizione laterale rispetto al caudato. Esso è una spessa
lamina di sostanza grigia convessa all’infuori, applicata lateralmente al globo pallido,
unitamente al quale forma il nucleo lenticolare. La parte anteriore del putamen è
congiunta al caudato mediante un ponte di sostanza grigia e mediante una serie di
strie di sostanza grigia che percorrono il braccio anteriore della capsula interna.
Tra i sistemi afferenti del corpo striato sono da considerarsi in primo luogo le fibre cortico-
striate, che provengono dalla corteccia dell’area motrice secondaria e dell’area soppressi rie.
Un grande sistema afferente del corpo striato è rappresentato dalle fibre nigro-striate
provenienti dalla sostanza nera del somering. Tali fibre costituiscono il fascio pettinato.
Un ultimo sistema afferente del corpo striato è dato dalle fibre ipotalamo-striate che
provengono dal nucleo ipotalamico del Luys del sub talamo.
Tra i sistemi efferenti del corpo striato vi sono innanzitutto molte fibre strio-pallidali, che
vanno al globo pallido.
Altro sistema efferente del corpo striato è l’ansa lenticolare, che dal nucleo lenticolare
raggiunge il campo del Forel, dove mette capo al nucleo rosso.
 Il CLAUSTRO è una sottile lamina di sostanza grigia. È interposto tra il putamen e la corteccia
dell’insula. Il claustro riceve fibre nervose da diversi territori della corteccia cerebrale e ne
invia a diversi territori della stessa.
 Il NUCLEO AMIGDALOIDEO è un nucleo che ha la forma di una mandorla. Si trova in
corrispondenza dell’estremità anteriore della circonvoluzione dell’ippocampo. È intercalato
nella via olfattiva: ha infatti come suo sistema afferente la stria olfattiva laterale. Il principale
sistema efferente del nucleo amigdaloideo è rappresentato dalla tenia semicircolare. Esso dà
luogo al livello del foro interventricolare a un fascetto che passa a costituire la stria midollare
del talamo e mette capo al nucleo dell’abenula.

SOSTANZA BIANCA DELL’EMISFERO CEREBRALE


La sostanza bianca forma una massa continua, la quale è detta centro semiovale. I centri semiovali
dei due emisferi cerebrali sono collegati tra loro dal corpo calloso.
Nella parte basale dell’emisfero cerebrale, invece, la sostanza bianca si interpone tra i nuclei ivi
accolti, formando alcune lamine che sono dette capsule.
 La CAPSULA INTERNA è una lamina di sostanza bianca interposta tra la testa del nucleo
caudato e il talamo.
 La CAPSULA ESTERNA è interposta tra il putamen e il claustro.
 La CAPSULA ESTREMA è compresa tra il claustro e la corteccia dell’insula.
Le capsule appartengono ai sistemi di associazione, sistemi commessurali e sistemi di proiezione.
 Sono SISTEMI DI ASSOCIAZIONE quelli che collegano diverse zone della corteccia cerebrale
appartenenti allo stesso emisfero.
 I SISTEMI COMMESSURALI congiungono tra loro zone della corteccia cerebrali appartenenti ad
emisferi diversi
 I SISTEMI DI PROIEZIONE collegano la corteccia cerebrale ai nuclei dell’encefalo e del midollo
spinale. Tali sistemi di proiezione formano la CORONA RAGGIATA.

FORMAZIONI INTEREMISFERICHE
24

Le formazioni interemisferiche sono strutture interposte tra gli emisferi cerebrali


 Il CORPO CALLOSO è la maggiore tra le commessure del telencefalo. È una spessa lamina di
sostanza bianca, tesa nella profondità della fessura interemisferica, tra le facce mediali dei
due emisferi cerebrali.
 Il FORNICE è una lamina bianca di forma triangolare risposta al di sotto del corpo calloso.
Collega l’ippocampo ventrale di un lato con quello del lato opposto. Il fornice risulta
costituito dal fascio mammillare del fornice, che si porta dall’ippocampo ventrale al corpo
mammillare ipotalamico, e dal fascio olfattivo di Ammone, che collega in doppio senso
l’ippocampo ventrale con il lobo olfattivo.
 La COMMESSUARA ANTERIORE è un cordone bianco teso tra i due emisferi in corrispondenza
della parte anteriore del III ventricolo. Il fascio anteriore collega tra loro i due lobi olfattivi; il
fascio posteriore connette il lobulo dell’ippocampo e il nucleo amigdaloideo di un lato con
quelli dell’altro lato.
 Il SETTO PELLUCIDO è un sottile sepimento verticale mediano che si interpone tra il corpo
calloso e il fornice, laddove queste due formazioni si allontanano tra di loro. Il principale
sistema che mette capo al setto pellucido è la stria olfattiva mediale. Dal setto pellucido
partono fibre che entrano nella stria midollare del talamo e giungono al nucleo dell’abenula
nell’epitalamo.

L’IPPOCAMPO
L’ippocampo consta di un complesso di formazioni che sono poste circolarmente attorno all’ilo
dell’emisfero cerebrale, in profondità e concentricamente al lobo limbico. Si tratta di circonvoluzioni
cerebrali ridotte di volume ed in parte anche atrofiche, le quali rappresentano l’archipallio, ossia la
corteccia cerebrale filogeneticamente più antica che è stata spinta in profondità e ristretta, subendo
un parziale arrotondamento.
 Il CORNO DI AMMONE è un voluminoso rilievo semicilindrico lungo circa 5 cm. È maggiormente
espanso in avanti e via via si assottiglia.
 La FIMBRIA è un nastro bianco costituito dalle fibre nervose efferenti del corno di Ammone e
della fascia dentata; è interposta tra queste due formazioni.
 La FASCIA DENTATA è un nastricino grigio percorso da una serie di incisure trasversali che gli
donano un aspetto increspato.

ippocampo ventrale

lobo

limbico CIRCUITO

DELLA ipotalamo

MEMORIA
25

talamo Tra i sistemi afferenti dell’ippocampo vi è il


fascio temporo-ammonico proveniente dal
lobulo dell’ippocampo. Esso è un fascio
pertinente alla via olfattiva.
Tra i sistemi efferenti vi è il fascio
ippocampo-mammilllare, che
dall’ippocampo ventrale si porta ai nuclei
del corpo mammillare dell’ippocampo; il
fascio olfattivo del corno di Ammone, che
dall’ippocampo ventrale si porta al lobo
olfattivo e al setto pellucido.
L’ippocampo è inserito nel CIRCUITO DELLA
MEMORIA  la corteccia cerebrale
dell’ippocampo ventrale dà origine al fascio ippocampo-mammillare che si porta ai nucleoi del corpo
mammillare dell’ippocampo, i quali inviano il fascio mammillo-talamico ai nuclei anteriori del talamo,
che a loro volta proiettano fibre nervose alla corteccia cerebrale del lobo libico, in particolare a
quella della circonvoluzione del cingolo. La corteccia del lobo limbico manda infine fibre nervose
all’ippocampo ventrale, chiudendo così il circuito della memoria.
I VENTRICOLI CEREBRALI
Il sistema dei ventricoli cerebrali è costituito da canali interconnessi a spazi che si susseguono l'un
l'altro contenuti all'interno dell'encefalo.
Due voluminosi ventricoli laterali, uno in ciascun emisfero, sono connessi al terzo ventricolo
mediante i due forami interventricolari di Monro. Il terzo ventricolo, collocato in posizione mediana
tra i due emisferi, comunica tramite un lungo canale, detto acquedotto di Silvio, con il quarto
ventricolo, in comunicazione con la cisterna magna per mezzo dei fori di Luschka e di Magendie,
prosegue infine inferiormente nel canale ependimale del midollo spinale, un residuo del lume
centrale del tubo neurale.
All'interno del sistema ventricolare cerebrale e degli spazi subaracnoidei scorre il liquido
cefalorachidiano (o liquor), prodotto dai plessi corioidei.

VENTRICOLI LATERALI
I ventricoli laterali sono pari e sono le cavità più voluminose dell'encefalo, hanno un profilo simile a
quello di una "C" allungata orizzontalmente, che nei margini superiori e anteriori ricalca quello
del corpo calloso. La loro forma è dovuta principalmente all'encefalizzazione caratteristica dell'uomo,
che ha portato allo sviluppo dei lobi frontale, parietale ed occipitale, spingendo anteriormente ed
inferiormente il lobo temporale, filogeneticamente più antico. Ciascun ventricolo laterale è costituito
da un corpo, da un corno anteriore interno al lobo frontale, da un corno posteriore interno al lobo
occipitale e da un corno inferiore nel lobo temporale.
Il corno anteriore è una cavità tondeggiante che si trova nel lobo frontale dell'encefalo, continua
superiormente nel corpo del ventricolo laterale ed inferiormente presenta il foro di Monro (o foro
interventricolare) che lo mette in comunicazione con il terzo ventricolo. Il suo pavimento e le pareti
laterali sono costituite dalla testa del nucleo caudato, la parete mediale dal setto pellucido e dalle
colonne del fornice mentre il tetto è costituito dal ginocchio del corpo calloso.
Il corpo del ventricolo laterale è la continuazione posteriore del corno anteriore, è una cavità
allungata e triangolare in sezione che forma una curva a concavità inferiore nei lobi frontale e
parietale per proseguire posteriormente in un restringimento che forma il corno posteriore e
prolungarsi antero-inferiormente nei due corni inferiori. La porzione più posteriore del corpo, che dà
origine ai due corni è chiamata atrio. Il suo pavimento è costituito dal talamo, dal plesso corioideo
(posto nella fessura corioidea, a sua volta collocata tra talamo e corpo del fornice) e più
posteriormente dal corpo del fornice, il tetto dal corpo calloso, le pareti laterali dal nucleo caudato
anteriormente e dal talamo posteriormente, la parete mediale dal corpo del fornice. I due corpi sono
sempre separati dal setto pellucido che si collega posteriormente allo splenio del corpo calloso.
26

Il corno posteriore è una cavità allungata e quadrangolare che si porta posteriormente all'interno del
lobo occipitale. Le sue pareti laterali e il tetto sono formate dal tapetum del corpo calloso, la parete
mediale dallo splenio del corpo calloso.
Il corno inferiore è la porzione più ampia del ventricolo laterale, a partire dall'atrio si porta
anteriormente, lateralmente ed inferiormente nel lobo temporale, lateralmente ed inferiormente al
pulvinar del talamo; esternamente lo si può considerare come posto in profondità rispetto al solco
temporale superiore del lobo temporale. Il suo tetto è formato dal tapetum del corpo calloso, dalla
stria terminale e dalla coda del nucleo caudato, il pavimento dall'ippocampo, dalla fimbria,
dall'eminenza collaterale e dal plesso corioideo (qui la fessura corioidea è posta tra la stria terminale
e la fimbria).
L'acquedotto di Silvio decorre medialmente a ciascuno dei due corni inferiori, da cui è separato dal
talamo mediale, di conseguenza lo stesso terzo ventricolo è più profondo e mediale.

TERZO VENTRICOLO
Il terzo ventricolo, impari e mediano, è contenuto nel diencefalo, comunica superiormente con i due
ventricoli laterali tramite i fori interventricolari (di Monro) ed inferiormente con lo stretto
acquedotto di Silvio che lo mette in comunicazione con il quarto ventricolo.
È una cavità dalla forma complessa, allungata in senso antero-posteriore ed appiattita in senso
trasversale. Le sue pareti laterali, nei due terzi superiori sono costituite dal talamo mediale, nel terzo
inferiore anteriormente dall'ipotalamo e posteriormente dal subtalamo. I due talami sono collegati
da una striscia di sostanza grigia, la commissura intertalamica, che decorre all'interno del terzo
ventricolo. La parete anteriore è formata dalle colonne del fornice e dalla commissura anteriore, il
tetto è formato dalla tela corioidea, mentre il "pavimento" dalla lamina terminale (che congiunge
rostro del corpo calloso e chiasma ottico), dal recesso ottico, dal chiasma ottico, dal recesso
infundibolare, dall'ipotalamo, dal tuber cinereum e dai corpi mammillari. Il margine posteriore è
delimitato dalla commissura posteriore, dal recesso sottopineale, dall'epifisi e dal recesso
sovrapineale.

ACQUEDOTTO DEL SILVIO


L'acquedotto di Silvio è uno stretto canale impari e mediano di 1–2 mm, che mette in comunicazione
il terzo ventricolo (dove origina a livello della commissura posteriore) con il quarto ventricolo. È
circondato dal grigio periacqueduttale e decorre all'interno del mesencefalo.

QUARTO VENTRICOLO
Il quarto ventricolo è una cavità contenuta tra tronco encefalico e cervelletto, superiormente è in
comunicazione con il terzo ventricolo tramite l'acquedotto di Silvio, inferiormente con il canale
ependimale del midollo spinale e possiede tre fori che lo mettono in comunicazione con le cisterne
cerebrali contenenti liquido cefalorachidiano.
In sezione sagittale è descritto come una cavità "a tenda", la cui base è delimitata dal ponte e l'apice
dal cervelletto. In realtà questa cavità a livello del solco bulbopontino presenta due recessi laterali
alle cui estremità sono presenti i fori del Luschka che lo mettono in comunicazione con lo spazio
subaracnoideo dell'angolo cerebellare, laterale ed inferiore al cervelletto, e con la cisterna pontina,
anteriore al ponte e al bulbo.
Il pavimento del quarto ventricolo, costituito dalla fossa romboidale, è prevalentemente costituito da
sostanza grigia, compresi alcuni nuclei dei nervi cranici. La fossa romboidale presenta superiormente
quali pareti laterali i peduncoli cerebellari superiori, mentre l'estremità posteriore è l'obex,
inferiormente i tubercoli gracile e cuneato e i peduncoli cerebellari inferiori. Ciascuna fossa
romboidale è divisa da un solco longitudinale mediano in due metà speculari, ciascuna di queste è
divisa in due parti, una mediale (l'eminenza mediale) e in una laterale (l'area vestibolare) dal solco
limitante. L'eminenza mediale presenta un piccolo rilievo, detto collicolo faciale, superiormente al
quale vi è una fossetta, la fovea superiore, che lo separa dall'area vestibolare. Nella porzione
superiore del solco limitante e leggermente in profondità è collocato il locus coeruleus, così chiamato
per la sua colorazione azzurrina. Se la porzione superiore dell'eminenza mediale è costituita
27

prevalentemente dal collicolo faciale, l'inferiore presenta il trigono dell'ipoglosso, che copre il nucleo
del nervo ipoglosso (XII).
Tra il trigono dell'ipoglosso e l'area vestibolare vi è il triangolo vagale che copre il nucleo motore
dorsale del nervo vago (X). Inferiormente al trigono del vagale vi è il funiculus separans che lo separa
dall'area postrema, un organo circumventricolare appena superiore al tubercolo gracile. Il tetto del
quarto ventricolo è costituito dalla sottile membrana tettoria, costituita a sua volta dal velo midollare
superiore, teso tra i peduncoli cerebellari superiori e dal velo midollare inferiore, teso tra i peduncoli
cerebellari inferiori. La membrana tettoria è costituita da ependima e pia madre. Nel velo midollare
inferiore si apre il foro di Magendie che mette in comunicazione il quarto ventricolo con la cisterna
magna.

LE MENINGI
Le meningi sono un sistema di membrane che, all'interno del cranio e del canale rachidiano,
rivestono il sistema nervoso centrale, e proteggono l'encefalo e il midollo spinale.
Sono involucri connettivali membranosi costituiti di tre lamine concentriche denominate,
dall'esterno all'interno, dura madre (o dura meninge), aracnoide e pia madre (o pia meninge).
Per la loro derivazione embrionale possono anche essere chiamate meninge dura (dura madre) e
leptomeninge la quale è composta dall'aracnoide e dalla pia madre.
Le meningi aderiscono alla scatola cranica, precisamente al tavolato interno a cui la dura è attaccata
e separata soltanto da uno spazio virtuale detto spazio epidurale.

LA DURA MADRE
La dura madre (o pachimeninge) è la parte più esterna e più spessa – da cui il nome – delle
tre meningi, le membrane che avvolgono l'encefalo e il midollo spinale.
La dura madre è spinale ed encefalica. La dura madre spinale riveste il midollo fino al midollo sacrale.
Questa non è adesa alle pareti del canale vertebrale perché c'è lo spazio peridurale ricco di tessuto
adiposo e vasi venosi. La dura madre è composta di tessuto fibroso con fibre elastiche e all'interno è
rivestita da endotelio. La dura madre nella cavità cranica forma dei sepimenti: falce del cervello,
tentorio del cervelletto, falce del cervelletto e diaframma della sella.
Questi sono dei prolungamenti: quello tra cervello e cervelletto è detto tentorio, grande
falce e piccola falce rispettivamente quelli tra i due emisferi cerebrali e tra i due emisferi cerebellari;
inoltre forma un setto al di sopra della sella turcica detta tenda dell'ipofisi. Nello spessore della dura
madre sono scavati alcuni canali in cui circola sangue venoso detti seni della dura madre.
Il sangue venoso viene scaricato principalmente nella giugulare interna o altri vasi extracranici. I seni
della dura madre sono impari e pari. Quelli impari sono il seno sagittale superiore, il seno sagittale
inferiore, il seno retto. Quelli pari sono il seno trasverso, il seno occipitale, il seno petroso superiore e
inferiore, il seno cavernoso e i seni intracavernosi che formano il seno circolare, seno sfenoparietale.

L’ARACNOIDE
L'aracnoide è una delle tre membrane chiamate meningi. Insieme alla dura madre (o pachimeninge)
e alla pia madre, avvolge il sistema nervoso centrale e il tratto iniziale dei nervi; delle tre è la
membrana intermedia, molto sottile e delicata come la tela di un ragno.
Tra la dura madre e l'aracnoide si trova lo spazio subdurale (virtuale), mentre tra l'aracnoide e la pia
madre (che insieme costituiscono la leptomeninge) c'è lo spazio subaracnoideo dove scorre il liquido
cefalo-rachidiano.
28

Al contrario della dura madre e della pia madre, l'aracnoide non è vascolarizzata.
Da questa meninge partono delle trabecole (villi aracnoidei) che riversano il liquido cefalo-
rachidiano all'interno dei seni venosi.

LA PIA MADRE
a pia madre è una membrana sottile che aderisce alla superficie dell'asse nervoso.
L'origine del nome risale al X secolo d.C., quando il medico persiano Ali ibn Abbas al-Majusi utilizzò il
termine arabo al umm per definire le meningi. Il termine letteralmente significa "madre", ma era
usato per denominare qualsiasi materiale avvolgente. La dura membrana esterna fu chiamata al
umm al djafiya, e quella delicata interna al umm al rigiga. Quando gli scritti di Abbas furono tradotti
in latino nell'XI secolo, il traduttore, che probabilmente non aveva familiarità con l'anatomia delle
meningi, tradusse letteralmente il termine al umm, e si riferì alle membrane con "dura madre" e "pia
madre" ("pio" nel senso di "delicata").
Questa membrana, che è la più interna delle meningi (le altre sono l'aracnoide e la dura madre),
riveste i vasi destinati all'encefalo nella parte in cui penetrano nel tessuto nervoso. Contribuisce a
formare la barriera emato-encefalica.
È costituita prevalentemente da due foglietti, uno interno e uno esterno, che delimitano uno spazio
occupato da liquido interstiziale, non in comunicazione con il liquido cefalorachidiano degli spazi
subaracnoidei.

VASI SANGUIFERI DEL CERVELLO


Il Poligono di Willis (o circolo di Willis) è un vasto
sistema di anastomosi arteriose a pieno canale
presente alla base della scatola cranica.
Rappresenta la confluenza di tre arterie principali:
l'arteria basilare, che è formata dalla confluenza
delle arterie vertebrali destra e sinistra (prime
collaterali della succlavia), e le due
arterie carotidi interne (destra e sinistra). Il
Poligono di Willis può essere ricondotto
idealmente ad un eptagono avente come lati:
anteriormente le 2 arterie cerebrali anteriori
(destra e sinistra) che si uniscono attraverso
l'arteria comunicante anteriore; posteriormente le
2 arterie cerebrali posteriori (destra e sinistra); tra
arteria cerebrale anteriore e posteriore di ogni
lato c'è l'arteria comunicante posteriore.
Quindi andando in senso orario troviamo:
1. arteria cerebrale anteriore di sinistra.
2. arteria comunicante anteriore.
3. arteria cerebrale anteriore di destra.
4. arteria comunicante posteriore di destra.
5. arteria cerebrale posteriore di destra.
6. arteria cerebrale posteriore di sinistra.
7. arteria comunicante posteriore di sinistra.

Tutti questi rami, ad eccezione dell'arteria


cerebrale posteriore, ramo dell'arteria basilare,
derivano dall'arteria carotide interna. La
terminologia poligono è tuttavia anatomicamente
poco corretta, e dovrebbe essere abbandonata in
favore del nome più appropriato, ovvero circolo. Difatti la grande variabilità anatomica dell'organismo
29

umano raramente si traduce in forme poligonali (o riconducibili a poligoni) del circolo arterioso, che
comunemente risulta addirittura incompleto per l'assenza dell'arteria comunicante anteriore. Questa vasta
anastomosi garantisce un'equa distribuzione di sangue alle strutture encefaliche, che si realizza attraverso
un continuo compenso pressorio tra le arterie carotidi e le arterie vertebrali.
30
31

IL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO


Il sistema nervoso periferico consta dell’insieme dei nervi. Questi sono cordoni di fibre nervose che
decorrono per tutto il corpo, distribuendosi ad organi e tessuti.
 I NERVI CEREBRO-SPONALI sono deputati alla sensibilità, sia generale che specifica, ed alla
motilità della muscolatura volontaria.
 I NERVI SIMPATICI sono destinati ai visceri, provvedendo alla motilità della muscolatura
involontaria e all’attività eccitosecretrice delle ghiandole.
Per le fibre sensitive, l’origine reale è nei gangli spino-encefalici costituiti dai neuroni a T, ossia dai
neuroni sensitivi, ciascuno dei quali ha un neurite che si divide a T in una fibre periferica che si reca
alla periferia del corpo, dove forma terminazioni sensitive ed in una fibra centrale che si porta al
nevrasse.
Per le fibre motrici somatiche l’origine reale è nei nuclei somatomotori del nevrasse, costituiti da
motoneuroni.
Per le fibre pregangliari l’origine reale è nei nuclei visceroeffettori del nevrasse;
per le fibre postgangliari l’origine è nei gangli simpatici, costituiti dai neuroni gangliari simpatici.
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I NERVI ENCEFALICI

Nome Sensibilità Origine Nuclei Funzione

Nervo Nucleo olfattivo Trasmette il senso dell'olfatto. Situato nel foramen


I Sensorio Telencefalo
olfattivo anteriore olfattivo della lamina cribrosa dell'osso etmoide.

Nervo Cellule gangliari Trasmette l'informazione visiva al cervello. Situato


II Sensorio Diencefalo
ottico della retina nel canale ottico.

Innerva i muscoli elevatore superiore delle


Nucleo
palpebre, retto superiore, retto mediale, retto
oculomotore,
Nervo inferiore e obliquo inferiore, che insieme
Mesencefalo
III oculomot Motorio determinano la maggior parte dei movimenti
anteriore nucleo di
ore dell'occhio. Innerva anche lo sfintere dell'iride e i
Edinger-
muscoli ciliari. Situato nella fessura orbitaria
Westphal
superiore.

Innerva il muscolo obliquo superiore, che ruota in


Nervo Mesencefalo
IV Motorio Nucleo trocleare basso e lateralmente il bulbo oculare. Situato nella
trocleare dorsale
fessura orbitaria superiore.

Nucleo sensorio
trigemino
principale, Riceve le sensazioni tattili dal viso e innerva i
nucleo muscoli della masticazione. Si divide quasi
trigemino immediatamente in tre nervi distinti: il nervo
Nervo Ponte di
V Misto spinale, nucleo oftalmico (V1) situato nella fessura orbitaria
trigemino Varolio
trigemino superiore, il nervo mascellare (V2) nel foramen
mesencefalico, rotundum dell'osso sfenoidale e il nervo
nucleo mandibolare (V3) nel foro ovale.
trigemino
motorio

Innerva il Muscolo retto laterale, che determina


l'abduzione laterale dell'occhio. Situato nella
Margine fessura orbitaria superiore.
craniale
Nervo nucleo
VI Motorio anteriore del
abducente abducente
Bulbo, solco
Bulbo-Pontino
33

Innerva i muscoli pellicciai del viso che controllano


l'espressione facciale, il ventre posteriore
del muscolo digastrico e del muscolo stapedio.
nucleo facciale,
Nervo Riceve anche il senso del gusto dai due terzi
Ponte di nucleo solitario,
VII intermedio Misto anteriori della lingua e fornisce innervazione
Varolio nucleo salivare
facciale secretomotoria alle ghiandole salivari (tranne le
superiore
parotidi) e alle ghiandole lacrimali. Corre attraverso
il canale acustico interno e il canale facciale, ed
esce attraverso il foramen stilomastoideo.

Veicola le sensazioni sonore, dell'equilibrio e della


Laterale al VII
gravità (essenziali per il movimento e la stazione
Nervo nervo cranico nuclei
eretta). Più in dettaglio, la branca vestibolare
VIII vestibolo Sensorio (angolo vestibolari,
trasmette le sensazioni dell'equilibrio, mentre la
cocleare cerebelloponti nuclei cocleari
branca cocleare trasmette quelle uditive. Situato
no)
nel canale acustico interno.

Riceve la sensazione del gusto dal terzo posteriore


nucleo ambiguo,
Nervo della lingua, fornisce innervazione secretomotoria
Midollo nucleo salivare
IX glosso Misto alla ghiandola parotide e innervazione motoria
allungato inferiore, nucleo
faringeo alla faringe. Fornisce anche alcune sensazioni
solitario
dalle tonsille. Situato nel foro giugulare.

Fornisce innervazione branchiomotoria alla


maggior parte dei muscoli laringei e faringei
nucleo ambiguo, (tranne il muscolo stilofaringeo, che è innervato dal
Solco
nucleo dorsale nervo glossofaringeo). Fornisce anche fibre
Nervo posterolateral
X Misto del vago parasimpatiche per tutti i visceri addominali fino
vago e del midollo
motorio, nucleo alla flessura splenica; riceve le sensazioni del gusto
allungato
solitario dall'epiglottide. Una funzione molto importante è il
controllo dei muscoli della voce e dell'intonazione,
e del palato molle. Situato nel foro giugulare.

nucleo ambiguo, Controlla i


Nervo radici craniali e nucleo muscoli trapezio e sternocleidomastoideo,
XI Motorio
accessorio spinali accessorio sovrapponendosi parzialmente con le funzioni del
spinale nervo vago. Situato nel foro giugulare.

Fornisce innervazione motoria ai muscoli della


lingua (tranne il muscolo palatoglosso, innervato
Nervo Midollo Nucleo
XII Motorio dal nervo vago) e altri muscoli glottali. E'
ipoglosso allungato ipoglosso
importante per la deglutizione e l'articolazione
delle parole. Situato nel canale ipoglosso.
34

IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO


Il sistema nervoso autonomo (SNA), conosciuto anche come sistema nervoso vegetativo o viscerale, è
quell'insieme di cellule e fibre che innervano gli organi interni e le ghiandole, controllando le
cosiddette funzioni vegetative, ossia quelle funzioni che generalmente sono al di fuori del controllo
volontario, per questo viene anche definito "sistema autonomo involontario". Il SNA è parte
del sistema nervoso periferico.
Il sistema nervoso autonomo è costituito da porzioni anatomicamente e funzionalmente distinte ma
sinergiche:
 il sistema nervoso simpatico (o ortosimpatico)
 il sistema nervoso parasimpatico
 il sistema nervoso enterico (o metasimpatico), fibre nervose che innervano i visceri.
Ha la funzione di regolare l'omeostasi dell'organismo ed è un sistema neuromotorio non
influenzabile dalla volontà che opera con meccanismi appunto autonomi, relativi a riflessi periferici
sottoposti al controllo centrale.

IL SISTEMA DEL SIMPATICO


L'innervazione simpatica viene tradizionalmente descritta come una componente che svolge una
funzione attacco/fuga (fight or flight). Fa capo a reazioni opposte rispetto all'innervazione
parasimpatica: broncodilatazione, vasocostrizione, tachicardia, costrizione degli sfinteri, contrazione
della muscolatura delle vie spermatiche (quindi contribuisce all'eiaculazione). La componente
simpatica decorre con i rami anteriori dei nervi spinali compresi fra C8 e L2 (alcuni testi possono
riportare T1 ed L3). Attraverso un ramo comunicante bianco le fibre mieliniche pregangliari si
portano ai gangli del sistema toracolombare; da qui le fibre postgangliari si portano ai territori di
innervazione tramite nervi splancnici, rami comunicanti grigi che si riportano ai nervi spinali nonché
rami perivascolari. L'innervazione degli organi è composita; i gangli cervicali innervano la faccia e in
parte il cuore, i gangli toracici poi vanno a innervare la componente polmonare e ghiandolare. Le
regioni inferiori saranno innervate da fibre che fuoriescono da tre gangli prevertebrali: il celiaco, il
mesenterico superiore e il mesenterico inferiore.

IL SISTEMA DEL PARASIMPATICO


Il parasimpatico è dato da quella parte del sistema nervoso autonomo che provvede a funzioni
viscero-sensitive e somato-sensitive, oltre a broncocostrizione, peristalsi della muscolatura
gastroenterica, eccitosecrezione di ghiandole salivari, lacrimali nonché ghiandole extramurarie
annesse al tubo digerente (pancreas e fegato); interviene nell'innervazione del muscolo detrusore
della vescica, la cui contrazione, accompagnata dal rilassamento del muscolo sfintere liscio della
vescica, porta alla minzione. Le fibre parasimpatiche decorrono in molti nervi cranici quali: nervo
oculomotore, nervo faciale, nervo glossofaringeo, nervo vago. Quest'ultimo (uno dei nervi più lunghi)
concorre all'innervazione viscerale di tutto il tratto digerente fino al colon discendente, del cuore e
dei polmoni, nonché della regione faringo-laringea. Le fibre parasimpatiche per l'innervazione della
porzione terminale del tubo digerente e delle porzioni caudali dell'apparato urinario originano dai
nervi S2, S3, S4 ed S5 (più precisamente dal nucleo autonomo del parasimpatico sacrale).
IL SISTEMA NERVOSO ENTERICO
Controlla il tratto intestinale, compreso il pancreas e la cistifellea, tramite i motoneuroni enterici che
vanno ad agire sulla muscolatura liscia, i vasi sanguigni e l'attività secretoria. Il SNA metasimpatico si
divide in: plesso mienterico (di Auerbach), presente nella tonaca muscolare; plesso sottomucoso (di
Meissner), nella tonaca sottomucosa.
35

FISIOLOGIA DEL
COMPORTAMENTO
-1-
INTRODUZIONE

1 – Comprendere la coscienza umana: un approccio fisiologico


La parola “coscienza” può essere usata in riferimento a una varietà di concetti, incluso il semplice stato di coscienza.
Sappiamo che la coscienza può essere alterata da cambiamenti nella struttura o nella chimica del cervello.

Visione cieca
La natura della coscienza è suggerita da diversi fenomeni che coinvolgono il cervello umano. Uno di
questi fenomeni, causato dal danneggiamento di una particolare area cerebrale, è noto come visione cieca.La
visione cieca è la capacità dimostrata da una persona, che non riesce a vedere gli oggetti nel proprio campo
visivo, di raggiungerli con la mano, pur rimanendo inconsapevole di percepirli. I sintomi della visione cieca
indicano che la credenza comune secondo cui le percezioni debbano entrare nella nostra coscienza per
influenzare i comportamenti è errata; il comportamento può essere guidato da informazioni sensoriali di cui
siamo completamente inconsapevoli.
Il cervello contiene non uno, ma numerosi meccanismi coinvolti nella visione. Il più primitivo, che
ricorda il sistema visivo di animali come pesci o rane, si è evoluto per primo, ed è adibito principalmente al
controllo dei movimenti oculari e della testa. Il più complesso, posseduto dai mammiferi, si è evoluto in seguito;
questo secondo sistema “mammifero” sembra essere responsabile della nostra capacità di percepire il mondo
che ci circonda. Se un ictus danneggia il sistema visivo mammifero, vengono danneggiate la corteccia visiva del
cervello e alcune fibre nervose che portano l’informazione agli occhi. A seguito di un danneggiamento del
sistema visivo mammifero, le persone possono utilizzare il sistema visivo primitivo del cervello per guidare il
movimento delle mani verso un oggetto, persino se non sono in grado di vedere quello che stanno afferrando. Il
fenomeno della visione cieca suggerisce che la coscienza non è una proprietà generale di tutte le parti del
cervello; alcune regioni cerebrali giocano un ruolo speciale nella coscienza. Il sistema primitivo non
presenta tali connessioni, quindi, non siamo consci dell’informazione visiva che rileva; ma è connesso con le
regioni cerebrali responsabili del movimento delle mani. Solo il sistema visivo mammifero del cervello umano ha
connessioni dirette con le regioni cerebrali responsabili della coscienza.
Cervelli divisi
Gli studi condotti su esseri umani che hanno subito una particolare operazione chirurgica dimostrano in
modo sensazionale come la sconnessione di certe porzioni del cervello, implicate nella percezione, da altre
porzioni implicate nel comportamento verbale, sconnetta le prima dalla coscienza. La procedura chirurgica di cui
si parla (l’operazione di divisione del cervello) è stata impiegata su individui affetti da gravi forme di epilessia,
non trattabili farmacologicamente. In queste persone, le cellule nervose di un lato del cervello diventano
iperattive in modo incontrollabile, e tale iperattività si trasmette all’altro lato del cervello, attraverso il corpo
calloso.Il corpo calloso è un grosso fascio di fibre che connette fra loro aree corrispondenti dei due emisferi
cerebrali. I neurochirurghi hanno scoperto che la sezione del corpo calloso riduce fortemente la frequenza delle
crisi epilettiche. Il corpo calloso permette agli emisferi di condividere le informazioni; dopo la sua sezione, i due
emisferi sono sconnessi e agiscono indipendentemente l’uno dall’altro.
La porzione più cospicua del cervello consiste di due parti simmetriche, gli emisferi cerebrali, che ricevono
informazioni sensoriali dai due lati opposti del corpo: i nervi motori si incrociano e passano sul lato opposto,
prima di lasciare il cervello, cosicché l’emisfero cerebrale sinistro controlla la parte destra del corpo, e viceversa.
Poiché solo un lato del cervello è in grado di definire verbalmente ciò che sta percependo, parlare con
una persona con il cervello diviso significa parlare solo con uno dei suoi emisferi: quello sinistro. Una delle prime
36

cose che i pazienti riferiscono dopo queste operazioni è che la loro mano sinistra sembra avere una mente
propria; per esempio, i pazienti possono posare un libro con la mano sinistra, anche se lo stavano leggendo con
grande interesse. Questo conflitto si verifica perché l’emisfero destro, che controlla la mano sinistra, non sa
leggere, e quindi trova il libro noioso.
L’area del linguaggio (l’area di Broca) è localizzata nell’emisfero sinistro. Consideriamo che quando si
fissa lo sguardo direttamente in avanti, le immagini della sinistra del punto di fissazione passano attraverso
entrambi gli occhi al lato destro del cervello, mentre le immagini alla destra del punto di fissazione passano al
lato sinistro del cervello.
Ciascun emisfero vede la metà del campo visivo in cui normalmente funziona la mano che controlla: per
esempio, l’emisfero sinistro vede la mano destra, nel campo visivo destro. Mel cervello normale, gli stimoli che
arrivano ad un emisfero sono rapidamente comunicati all’altro e il cervello funziona come un’unità.In soggetti
col cervello diviso, i due emisferi non possono comunicare tra di loro.

Roger Sperry fu pioniere in questo campo e vinse il premio Nobel nel 1981. In una delle situazioni
sperimentali di Sperry, un soggetto con cervello diviso è seduto di fronte a uno schermo che gli nasconde le mani
dalla vista. Il suo sguardo è fisso ad una macchia al centro dello schermo e la parola “noce” viene brevemente
proiettata sulla parte sinistra dello schermo. Ricordiamo che l’immagine visiva va alla parte destra del cervello, che
controlla la parte sinistra del corpo. Con la mano sinistra, il soggetto può facilmente prendere la noce da un insieme
di oggetti nascosti dalla vista, ma non può dire allo sperimentatore quale parola è stata proiettata sullo schermo,
perché il linguaggio è controllato dall’emisfero sinistro e l’immagine visiva “noce” è stata proiettata all’emisfero
destro. Quando viene interrogato, il soggetto sembra ignaro di ciò che la sua mano sinistra stia facendo. Poiché
l’input sensoriale della mano sinistra va all’emisfero destro, quello sinistro non riceve alcuna informazione su ciò
che la mano sinistra stia facendo.
In questo esperimento è importante che la parola sia proiettata sullo schermo per non più di un decimo
di secondo. Se ci rimane più a lungo, il soggetto può muovere gli occhi, cosicché la parola viene proiettata anche
nell’emisfero sinistro. Se il soggetto con cervello diviso può muovere liberamente gli occhi, l’informazione va a
entrambi gli emisferi cerebrali; questa è una delle ragioni per cui le deficienze causate dalla sezione del corpo
calloso non sono subito evidenti, nelle attività quotidiane di una persona. Successivi esperimenti hanno
dimostrato che il soggetto con cervello diviso può comunicare con il linguaggio volontario ciò che ha raggiunto
l’emisfero sinistro.
La parola “hatband” (nastro del cappello) viene proiettata sullo schermo così che “hat” (cappello) vada
all’emisfero destro e “band” (nastro, banda) al sinistro. Quando viene chiesto al soggetto che parola abbia visto,
il soggetto risponde “band”; se gli si chiede che genere di “band”, egli fa tutte le congetture possibili – “rubber
band” (elastico), “rock band”, “band of robbers” (banda di ladri) e così via – e solo per caso indovina “hatband”. I
test con altre parole composte hanno ottenuto gli stessi risultati.
Ciò che viene percepito dall’emisfero destro non passa alla consapevolezza dell’emisfero sinistro,
deputato al linguaggio. Con il corpo calloso tagliato, ogni emisfero sembra ignaro delle esperienze dell’altro.
Se il soggetto con cervello diviso viene bendato e gli si mette nella mano sinistra un oggetto familiare,
l’informazione sensoriale viene trasmessa all’emisfero destro, le cui aree non sono deputate al linguaggio; quindi
il soggetto non sarà in grado di dire cosa ha in mano. Ma se la mano destra del soggetto tocca l’oggetto, allora
sarà in grado di riconoscerlo, poiché l’informazione sensoriale verrà trasmessa all’emisfero sinistro.
Gli studi sui soggetti con cervello diviso dimostrano che i due emisferi funzionano in modo differente.
L’emisfero sinistro determina la nostra capacità di esprimerci attraverso il linguaggio. Esso può eseguire molte
attività logiche complesse ed è specializzato in calcoli matematici.L’emisfero destro può capire solo un linguaggio
molto semplice. Può, per esempio, rispondere a semplici nomi, scegliendo oggetti come una noce o un pettine,
ma non può capire forme linguistiche più astratte. Tuttavia, l’emisfero destro sembra avere un senso dello spazio
e della forma molto sviluppato. È superiore all’emisfero sinistro nel costruire forme geometriche e nel disegnare
prospettive. Quando si chiede a soggetti col cervello diviso di usare la mano destra per assemblare blocchi
secondo un disegno, essi commettono numerosi errori. Talvolta, hanno difficoltà a impedire che la mano sinistra
corregga automaticamente gli errori fatti con la destra.
Gli effetti del taglio del corpo calloso rafforzano la conclusione che diventiamo consapevoli di qualcosa
soltanto se l’informazione può raggiungere le regioni del cervello responsabili della comunicazione verbale,
localizzate nell’emisfero sinistro. Se l’informazione non raggiunge queste regioni cerebrali, essa non può
emergere alla coscienza.
Neglect unilaterale
Il neglect unilaterale è una sindrome in cui le persone ignorano gli oggetti localizzati alla loro sinistra e il
lato sinistro degli oggetti, ovunque si trovino; il più delle volte è causata dal danneggiamento del lobo parietale
destro. il lobo parietale riceve informazioni direttamente dalla cute, dai muscoli, dalle articolazioni, dagli organi
37

interni e dalla porzione dell’orecchio interno coinvolta nell’equilibrio; ma la corteccia parietale riceve anche
informazioni uditive e visive.
Se il neglect unilaterale consistesse semplicemente in cecità sul campo visivo sinistro e anestesia del
lato sinistro del corpo, non sarebbe così interessante; invece, gli individui con neglect unilaterali non sono né
mezzi ciechi, né mezzi insensibili: nelle circostanze adeguate sono in grado di vedere gli oggetti alla loro sinistra,
o di percepire che la parte sinistra del loro corpo viene toccata, ma generalmente ignorano questi stimoli e
agiscono come se la parte sinistra del mondo e del loro corpo non esistesse.
Le persone con neglect unilaterale dimostrano la loro inconsapevolezza della metà sinistra delle cose
anche quando disegnano: per esempio, se gli si chiede di disegnare un orologio, essi tracciano quasi sempre un
cerchio per intero, ma al momento di riportare i numeri sul quadrante, lo ammassano sul lato destro.
Bisiach e Luzzanti hanno dimostrato un fenomeno simile, che suggerisce l’estensione del neglect anche
all’immaginazione visiva. I ricercatori hanno chiesto a un gruppo di individui affetti da neglect unilaterale di
descrivere Piazza del Duomo a Milano, la città in cui vivevano i pazienti. Hanno inizialmente chiesto di descrivere la
piazza immaginando di guardare il Duomo; i pazienti descrivevano dettagliatamente i palazzi presenti alla destra
della piazza, ma ignoravano quelli alla sinistra. Fu quindi chiesto loro di immaginare di dare le spalle al Duomo, quindi
di descrivere nuovamente la piazza; anche questa volta i pazienti sapevano descrivere i palazzi presenti alla loro
destra, ma che in effetti si trovavano alla sinistra del Duomo.È ovvioche conoscessero tutti i palazzi e la loro
localizzazione, ma riuscivano a visualizzare solo quelli situati sul lato destro del loro campo di immaginazione.

Percezione del Sé
Un fenomeno interessante osservato in individui con cervello integro conferma l’importanza del lobo
parietale nel senso di appartenenza al proprio corpo. Spence e Passingham hanno studiato l’illusione della mano
di gomma. Soggetti normali sono stati posizionati in modo che non riuscivano a vedere la propria mano
sinistra. Vedevano una mano sinistra di gomma, molto realistica. Gli sperimentatori passavano un pennellino sia sulla
mano sinistra nascosta del soggetto, sia sulla mano di gomma. Se le due mani erano sfiorate in modo sincrono e nella
medesima direzione, i soggetti comunicavano di sperimentare la mano di gomma come propria. Infatti, se gli si
chiedeva in seguito di utilizzare la mano destra per indicare la propria mano sinistra, i soggetti indicavano la mano di
gomma, e non la loro vera mano. Mentre i soggetti partecipavano all’esperimento, i ricercatori registravano l’attività
del loro cervello con la risonanza magnetica funzionale. Le scansioni hanno dimostrato un incremento dell’attività del
lobo parietale e in seguito, quando i soggetti cominciavano a sperimentare la mano di gomma come appartenente
al proprio corpo, nella corteccia premotoria.I ricercatori hanno concluso che la corteccia parietale analizza la
visione e la sensazione degli sfioramenti con il pennellino.Quando la corteccia parietale rileva la congruenza con i
due stimoli, visivo e sensoriale, l’informazione è trasmessa alla corteccia premotoria, da cui origina la sensazione
di appartenenza della mano di gomma.
Un altro studio effettuato nello stesso modo ha dimostrato che le persone possono sviluppare una
genuina sensazione di appartenenza della mano di gomma. I ricercatori hanno utilizzato la stessa procedura per
stabilire la sensazione di appartenenza e poi hanno minacciato la mano di gomma, fingendo di infilzarla con un ago.
Le scansioni cerebrali hanno mostrato un aumento dell’attività in una regione del cervello che si attiva normalmente
quando una persona anticipa il dolore (corteccia cingolata anteriore), e anche in una regione che si attiva
normalmente quando una persona sente l’urgenza di muovere il braccio (area motoria supplementare).

2 – La natura delle neuroscienze comportamentali

Le neuroscienze comportamentali erano denominate in precedenza psicologia fisiologica. Il primo


manuale di psicologia, scritto da Wundt, era intitolato Principi di Psicologia Fisiologica. Negli ultimi anni, grazie
all’aumento delle conoscenze in biologia sperimentale, scienziati di altre discipline hanno dato contributi
importanti allo studio della fisiologia del comportamento; lo sforzo collettivo degli psicofisiologi, dei fisiologi e
degli altri neuroscienziati si spiega con il fatto che la funzione ultima del sistema nervoso è il comportamento. Ù
La storia moderna della fisiologia del comportamento è stata scritta da psicologi che hanno combinato i
metodi sperimentali della psicologia con quelli della fisiologia e li hanno applicati a problemi che interessano i
ricercatori in molti campi diversi. In questo modo, abbiamo studiato i processi percettivi, il controllo del
movimento, il sonno e la veglia, i comportamenti riproduttivi e quelli alimentari, le emozioni, l’apprendimento, il
linguaggio e i comportamenti patologici di dipendenza da sostanze.

Gli scopi della ricerca


Lo scopo di ogni scienziato è quello di spiegare i fenomeni che studia. La spiegazione scientifica può
prendere due forme: generalizzazione e riduzione.
Tutti gli scienziati hanno a che fare con la generalizzazione, ovvero una modalità di spiegazione
scientifica consistente in una conclusione generale scaturita da numerose osservazioni di fenomeni simili. Per
esempio, gli psicologi spiegano particolari tipi di comportamento come esempi di leggi generali, dedotte dai loro
esperimenti. Ma molti psicologi usano la riduzione: una modalità di spiegazione scientifica per cui un fenomeno
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è descritto nei termini dei processi più elementari che lo sottendono. Essi spiegano i fenomeni complessi in
termini di fenomeni semplici. Per esempio, potrebbero spiegare il movimento di un muscolo in termini di
cambiamenti nella membrana delle cellule muscolari, ingresso di particolari agenti chimici e interazioni tra
molecole in tali cellule. Ma essi non possono essere semplicemente riduzionisti: non basta osservare un
comportamento e correlarlo agli eventi fisiologici che hanno luogo nello stesso momento. Comportamenti
identici possono verificarsi per ragioni differenti e possono perciò essere scatenati da differenti meccanismi
fisiologici. Dunque, è necessario comprendere in termini psicologici perché un dato comportamento si verifica,
prima di poter comprendere quali eventi fisiologici lo hanno prodotto.

Le radici biologiche delle neuroscienze comportamentali


Lo studio della fisiologia del comportamento affonda le sue radici nell’antichità: molte antiche civiltà,
come gli egizi, gli indiani o i cinesi, erano convinte che il cuore fosse la sede del pensiero e delle emozioni. Anche
gli antichi Greci la pensavano così, tuttavia, Ippocrate, arrivò alla conclusione che tale funzione dovesse essere
assegnata al cervello. Non tutti i filosofi greci concordavano con Ippocrate, ma Galeno si appassionò tanto allo
studio del cervello da sezionare e studiare cervelli di gatti, pecore, scimmie inferiori e scimmie antropomorfe.
Cartesio è stato definito il padre della filosofia moderna. Sebbene non fosse un biologo, le sue
speculazioni sul controllo esercitato dalla mente e dal cervello sul comportamento offrono un buon punto di
partenza per la storia moderna delle neuroscienze comportamentali. Secondo Cartesio, gli animali sono
organismi meccanici: il loro comportamento sarebbe controllato dagli stimoli ambientali. Come osservò Cartesio,
alcuni movimenti del corpo umano sono automatici e involontari, per esempio, se un dito tocca un oggetto
incandescente, il braccio immediatamente si ritrae; reazioni simili non richiedono la partecipazione della mente:
esse avvengono automaticamente. Cartesio chiamò queste azioni “riflessi”. Come molti filosofi del suo tempo,
Cartesio era un dualista: egli pensava che ogni persona possedesse una mente, un attributo unicamente umano,
non soggetto alle leggi dell’universo. Egli fu il primo a suggerire l’esistenza di un legame tra la mente umana e la
sua dimora puramente fisica, il cervello. Egli pensava che la mente controllasse i movimenti del corpo, e
ipotizzava che questa interazione avvenisse presso la ghiandola pineale.
Una delle figure più importanti nello sviluppo della fisiologia sperimentare è stata Johannes Muller, un
autorevole sostenitore dell’applicazione delle tecniche sperimentali alla fisiologia. Muller era convinto che
sarebbero stati raggiunti ulteriori sviluppi nella conoscenza del corpo umano soltanto rimuovendo e isolando
sperimentalmente organi animali, mettendo alla prova le loro risposte. Il suo contributo più rilevante allo studio
della fisiologia del comportamento fu la sua dottrina delle energie nervose specifiche, la conclusione di Muller
che, siccome tutte le fibre nervose veicolano lo stesso tipo di messaggio, l’informazione sensoriale deve essere
specificata dalle particolari fibre nervose che sono attive. Come è possibile che un messaggio di base sempre
uguale produca sensazioni differenti? La risposta sta nel fatto che i messaggi passano attraverso canali diversi.
Poiché differenti zone del cervello ricevono messaggi da nervi differenti, il cervello deve essere funzionalmente
suddiviso in parti: alcune zone svolgono una certa funzione mentre altre zone svolgono funzioni diverse.
Flaurens rimuoveva parti del cervello di animali e ne osservava quindi il comportamento. In base a ciò
che l’animale era o non era più in grado di fare dopo la lesione, egli poteva inferire la funzione della parte
mancante del cervello. Questo metodo è chiamato ablazione sperimentale, un metodo di ricerca in cui la
funzione di una parte del cervello è inferita osservando quale comportamento un animale non è più in grado di
emettere, dopo che quella parte è stata asportata.
Poco dopo gli esperimenti di Flourens, Paul Broca applicò il principio della lesione sperimentale al
cervello umano. Nel 1861 egli seguì l’autopsia del cervello di un uomo che aveva avuto un ictus, con
conseguente perdita della capacità di parlare. Le sue osservazioni lo spinsero ad attribuire a una porzione della
corteccia cerebrale dell’emisfero sinistro le funzioni necessarie per il linguaggio, quell’area oggi chiamata,
appunto, AREA DI BROCA.
Gli sviluppi della fisiologia sperimentale durante il ventesimo secolo includono molte invenzioni
importanti, come amplificatori sensibili per rilevare segnali elettrici deboli, tecniche neurochimiche per
analizzare i cambiamenti chimici all’interno delle cellule e tra esse, nonché tecniche istologiche per visualizzare
le cellule e i loro costituenti.

3 – Selezione naturale ed evoluzione


Charles Darwin ha formulato i principi di selezione naturale ed evoluzione della specie, che
rivoluzionarono il campo della biologia.
Il funzionamento dell’ereditarietà dei tratti
La teoria di Darwin sottolineò che qualunque caratteristica degli organismi racchiude un significato
funzionale. Per esempio, i robusti artigli e il becco affilato dell’aquila le permettono di cacciare e mangiare la
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preda. Ovviamente, il comportamento in sé non è ereditario; ciò che è effettivamente ereditario è un dato
cervello, che fa sì che un dato comportamento si verifichi. In tal modo, la teoria di Darwin ha dato origine al
funzionalismo, il principio secondo cui il miglior modo per comprendere un fenomeno biologico è tentare di
capire quale funzione utile svolge per l’organismo. Un buon esempio di analisi funzionale di un tratto adattivo è
quello contenuto in certe specie di falene e di farfalle, che hanno delle macchie sulle ali che somigliano a degli
occhi di uccelli predatori come i gufi. Questi insetti normalmente si affidano al loro mimetismo per proteggersi:
quando le loro ali sono ripiegate, la parte posteriore ha lo stesso colore della corteccia di un albero; tuttavia,
all’avvicinarsi di un uccello, le ali dell’insetto si aprono e mostrano le macchie a forma di occhio disegnate su di
esse. L’uccello quindi tenderà a volare via spaventato, piuttosto che a catturare l’insetto.
Darwin propose la teoria dell’evoluzione per spiegare il modo in cui le specie acquisiscono le loro caratteristiche
adattive. Il fulcro della sua teoria è il principio della selezione naturale,un processo tramite il quale i tratti
ereditari che conferiscono un vantaggio selettivo, cioè un aumento della probabilità dell’animale di sopravvivere
e riprodursi, diventano più frequenti in una data popolazione. Se una caratteristica di un individuo gli permette
di riprodursi con più successo, alcuni dei suoi piccoli erediteranno tale caratteristica favorevole ed essi stessi
genereranno più prole. Alla fine, quella caratteristiche diventerà molto frequente, nella specie in questione.
Qualunque organismo multicellulare che si riproduca sessualmente è composto da un gran numero di
cellule, ognuna delle quali contiene cromosomi. I cromosomi contengono i progetti per la costruzione di un
particolare membro di una particolare specie; se il progetto è alterato, sarà prodotto un organismo diverso. Le
mutazionisono cambiamenti nell’informazione genetica contenuta nei cromosomi che può essere sviluppata alla
prole di un individuo; la mutazione fornisce la base della variabilità genetica. La maggior parte delle mutazioni è
deleteria, e quindi i piccoli non riescono a sopravvivere; tuttavia, una piccola percentuale di mutazioni è utile a
conferire un vantaggio selettivo, cioè la caratteristica di un organismo che gli permette di generare un numero
di discendenti superiore alla media della propria specie, così l’animale avrà maggiori probabilità di vivere più a
lungo e riprodursi di più, passando i suoi cromosomi alla prole. Dopo migliaia e migliaia di simili mutazioni, i
membri di una specie possiederanno una certa varietà di geni e saranno almeno in parte diversi gli uni dagli altri.
La variabilità è certamente un vantaggio per una specie: ambienti differenti, infatti, assicurano habitat ottimali
per differenti tipi di organismi; se l’ambiente va soggetto a cambiamenti, le specie devono adattarsi per non
correre il rischio di estinguersi. Se allora almeno alcuni membri di una specie possiedono l’assortimento di geni
che assicura le caratteristiche necessarie ad adattarsi al nuovo ambiente, la prole potrà sopravvivere e la specie
continuerà ad esistere.

l’evoluzione della specie umana


Evolversi significa svilupparsi gradualmente. Il processo dell’evoluzione è un cambiamento graduale
nella struttura e nella fisiologia delle specie vegetali e animali, che generalmente porta a organismi più
complessi, in conseguenza alla selezione naturale.
I primi vertebrati che emersero dagli oceani furono gli anfibi. Settanta milioni di anni dopo apparvero i primi rettili. I rettili avevano un vantaggio importante sugli
anfibi: le loro uova potevano essere deposte sulla terraferma. I mammiferi primitivi erano piccoli predatori notturni che si nutrivano di insetti. Essi
rappresentarono soltanto un modesto successo dell’evoluzione per molti milioni di anni: dominavano i dinosauri, e i mammiferi dovevano rimanere piccoli e
invisibili per evitare quella grande varietà di predatori. Poi si verificò un’estinzione di massa. Il vuoto lasciato dall’estinzione di così tanti erbivori e carnivori diede
l’opportunità ai mammiferi di espandersi verso nuove nicchie ecologiche. Le foreste tropicali ricoprivano gran parte delle terre emerse, e in queste foreste
ebbero origine i primati. I primati ancestrali erano minuti e si nutrivano di insetti e piccoli vertebrati a sangue freddo. Essi possedevano mani capaci di afferrare,
che gli permettevano di arrampicarsi fino ai rami più alti della foresta. Con il tempo si svilupparono specie più grosse, con occhi frontali sempre più grandi che
facilitavano la locomozione tra gli alberi e la cattura delle prede. L’evoluzione degli alberi da frutto rese possibile la conservazione di quella specie di primati che
si nutrivano di frutta. I primi ominidi apparvero in Africa. Essi divennero capaci di costruire strumenti che potevano essere usati per la caccia, per la produzione di
indumenti e per la costruzione di rifugi; scoprirono i molteplici impieghi del fuoco e addomesticarono il cane, cosa che aumentò l’efficienza delle tecniche di
caccia e costituì un aiuto nella difesa dai predatori. La nostra specie, Homo Sapiens, si è evoluta in Africa orientale; i membri di questa specie migrarono verso
altre regioni dell’Africa, e dall’Africa si spostarono in Asia, in Polinesia, Australia, Europa e Americhe.

l’evoluzione del cervelli voluminosi


I primi esseri umani possedevano caratteristiche utili per competere con le altre specie: le loro mani
permettevano di costruire e usare strumenti; la loro visione a colori li aiutava a individuare frutti maturi; la
padronanza del fuoco consentiva loro di cuocere i cibi e di spaventare i predatori notturni; la postura eretta e
l’andatura bipede rendevano possibile percorrere lunghe distanze, e con i loro occhi ben sollevati dal terreno
potevano scrutare lontano nelle pianure. Tutte queste caratteristiche richiedevano cervelli più voluminosi.
Un grosso cervello ha bisogno di un grosso cranio, e la postura eretta dei bipedi pone dei limiti alle
dimensioni del canale del parto di una donna. La testa di un bambino alla nascita è già molto grossa, e quindi il
parto per gli esseri umani è molto più difficoltoso che per qualunque altro mammifero. Poiché il cervello di un
bambino non è sufficientemente voluminoso o complesso per eseguire le funzioni fisiche e intellettuali tipiche
dell’adulto, esso deve continuare a crescere dopo la nascita.
Il fatto che i giovani mammiferi possano contare su una prolungata esposizione agli adulti che si
prendono cura di loro implica che è possibile un lungo periodo di apprendimento. Di conseguenza, l’evoluzione
non ha dovuto produrre un cervello dotato di circuiti specializzati per eseguire compiti specifici. Al contrario,
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essa ha potuto limitarsi a produrre cervelli più grandi, con un’abbondanza di circuiti neuronali, suscettibili alle
modificazioni dell’esperienza. Gli adulti avrebbero così dovuto nutrire e proteggere i piccoli e fornirgli le abilità
che sarebbero servite loro, una volta cresciuti.
Ma in termini di grandezza assoluta, i nostri cervelli sono di gran lunga separati da quelli degli elefanti o
delle balene. Tuttavia, ciò che è importante, se parliamo di facoltà intellettive, è possedere un cervello con una
quantità di cellule nervose non direttamente dedicate al movimento dei muscoli o all’analisi dell’informazione
sensoriale: ovvero, cellule disponibili per apprendere, ricordare, ragionare e fare progetti.

Oltre alle variazioni di dimensioni, i cervelli variano per numero di neuroni in ciascun grammo di
tessuto. I ricercatori hanno rilevato che il cervello dei primati contiene molti più neuroni per grammo rispetto a
quello dei roditori. La mutazione genetica che è stata fondamentale nell’evoluzione del cervello umano sembra
essere un certo rallentamento nel processo di maturazione cerebrale, che lascia più tempo per la crescita. Dopo
la nascita, il cervello continua a crescere; la produzione di nuovi neuroni cessa quasi del tutto, ma quelli già
esistenti crescono e cominciano a stabilire connessioni tra loro, proliferando altre cellule cerebrali, che
proteggono e sostengono i neuroni. Il cervello umano raggiunge le dimensioni adulte di circa 1,400 Kg in tarda
adolescenza: un peso più o meno quattro volte superiore a quello di un c neonato. Questo rallentamento del
processo di maturazione, che allunga il tempo di crescita di un individuo, è noto come neotenia.
41

-2-
STRUTTURA E FUNZIONI DELLE CELLULE DEL SISTEMA NERVOSO

Tutto quello che siamo in grado di fare è reso possibile dall’attività integrata delle cellule del sistema
nervoso. Le informazioni – sotto forma di luce, onde sonore, odori, sapori o contatto con gli oggetti, sono
raccolte nell’ambiente circostante da cellule specializzate chiamate neuroni sensoriali. Un neurone sensoriale è
un neurone che rileva i cambiamenti nell’ambiente interno o esterno e invia al sistema nervoso centrale le
informazioni riguardo questi cambiamenti. I movimenti sono resi possibili della contrazione dei muscoli,
controllati dai motoneuroni, neuroni all’interno del sistema nervoso centrale che controllano la contrazione dei
muscoli o la secrezione di una ghiandola. Interposti tra i neuroni sensoriali e quelli motori si trovano gli
interneuroni, localizzati completamente all’interno del sistema nervoso. Gli interneuroni locali formano circuiti
con i neuroni circostanti e analizzano piccoli pezzi di informazione; gli interneturoni di relay connettono i circuiti
di interneuroni locali di una regione cerebrale con quelli di altre regioni. Nel nostro sistema nervoso sono
presenti circa 100 milioni di neuroni.

1 – Le cellule del sistema nervoso

I neuroni
 Struttura fondamentale
Il neurone è l’elemento di elaborazione e trasmissione dell’informazione del sistema nervoso. È formato
da quattro strutture, o regioni:
Soma: il soma è il corpo cellulare del neurone, contiene il nucleo e gran parte degli organelli necessari per i
processi vitali della cellula.
Dendriti: i dendriti di un neurone somigliano molto ad alberi. Sono delle strutture ramificate, attaccate al soma di
un neurone, che conversano gli uni con gli altri. I messaggi che passano da un neurone all’altro sono
trasmessi attraverso la sinapsi, la giunzione tra il bottone terminale di un assone e la membrana di un altro
neurone. La comunicazione a livello della sinapsi procede in una sola direzione: dal bottone terminale alla
membrana dell’altra cellula.
Assone:l’assone è una lunga e sottile struttura cilindrica, spesso ricoperta da guaina mielinica, che trasporta
l’informazione dal corpo cellulare ai bottoni terminali. Il messaggio fondamentale trasportato dall’assone è
chiamato potenziale d’azione. Un potenziale d’azione è un breve evento elettrochimico che inizia
all’estremità dell’assone più prossima al corpo cellulare e viaggia in direzione dei bottoni terminali. Gli
assoni e le loro ramificazioni possono presentarsi in varie forme: il neurone multipolare è un neurone con
un solo assone e molti dendriti attaccati al soma; il neurone bipolare è un neurone con un solo assone e un
solo dendrite attaccati al soma (i neuroni bipolari sono quelli sensoriali: i loro dendriti rilevano gli eventi
che si verificano nell’ambiente e comunicano al sistema nervoso centrale le informazioni relative a questi
eventi); il neurone unipolare è un neurone con un sono assone attaccato al soma; questo assone si divide
in due porzioni, di cui una riceve l’informazione sensoriale e l’altra trasmette l’informazione al sistema
nervoso centrale.
Il sistema nervoso centrale comunica con il resto del corpo attraverso i nervi attaccati al cervello e al
midollo spinale. I nervi sono fasci composti da svariate migliaia di singole fibre, tutte avvolte in una
membrana protettiva.
Bottoni
Terminali: la maggior parte degli assoni si ramifica molte volte, e all’apice delle propaggini più sottili si trovano dei
piccoli rigonfiamenti chiamati bottoni terminali. I bottoni terminali svolgono una funzione speciale:
quando un potenziale d’azione che viaggia lungo l’assone raggiunge un bottone terminale, questo secerne
una sostanza chimica chiamata neurotrasmettitore, un agente chimico rilasciato dal bottone terminale che
possiede un effetto eccitatorio o inibitorio su di un altro neurone. Un singolo neurone riceve le
informazioni dai bottoni terminali degli assoni di svariati altri neuroni, e i bottoni terminali del suo assone
formano sinapsi con altri neuroni.

 Struttura interna
La membrana: la membrana rappresenta i confini della cellula ed è composta da un doppio strato di cellule
lipidiche. Incastrate nella membrana ci sono molte proteine, che svolgono importanti funzioni: alcune di
esse rilevano la presenza di certe sostanze al di fuori della cellula e ne passano l’informazione all’interno di
questa; altre proteine controllano l’ingresso delle sostanze all’interno della cellula, lasciandone passare
alcune, ma tenendone fuori altre.
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LA MEMBRANA NON PUÒ ESSERE CONSIDERATA SOLO UN SEMPLICE CONTENITORE CHE IMPEDISCE LA DISPERSIONE DEI
MATERIALI INTRACELLULARI. ESSA CONSENTE DEGLI ATTRAVERSAMENTI SELETTIVI TRA IL CITOPLASMA E IL LIQUIDO INTERSTIZIALE,
ATTRAVERSAMENTI CHE SONO ESSENZIALI ALLA SOPRAVVIVENZA DELLA CELLULA E ALLO SVOLGIMENTO DELLE SUE FUNZIONI.
LA MEMBRANA È COMPOSTA DA PROTEINE E LIPIDI DISPOSTI IN 3 STRATI: UNO STRATO LIPIDICO, RIVESTITO PER CIASCUN LATO
DA UNO STRATO PROTEICO. LE MOLECOLE LIPIDICHE SONO ORIENTATE IN MODO CARATTERISTICO: CON LE CODE IDROFOBE
CHE SI PRONTEGGIANO TRA LORO ALL’INTERNO E LE TESTE IDROFILE CHE SI LEGANO CON LO STRATO PROTEICO LIMITROFO.
LO STRATO LIPIDICO COSTITUISCE UNA BARRIERA IMPERMEABILE, NECESSARIA PER LA PRESERVAZIONE DEL PATRIMONIO
CITOPLASMATICO. L’ATTRAVERSAMENTO È CONSENTITO SOLO ALLE MOLECOLE MINUSCOLE (O 2, CO2etc); LE MOLECOLE
IDROFILE, ANCHE SE DI PICCOLE DIMENSIONI, RIESCONO AD ATTRAVERSARE LA MEMBRANA AD UNA SOLA CONDIZIONE: CHE
SIANO PRESENTI DELLE SPECIFICHE PROTEINE CHE SI INCARICANO DEL TRASPORTO, FACENDO SI CHE QUESTE MOLECOLE
POSSANO BYPASSARE LA COMPONENTE IDROFOA DELLO STRATO LIPIDICO.
PROTEINE TRANSMEMBRANARIE:
LA SPECIFICITÀ DELLE PROTEINE TRANSMEMBRANARIE CONSENTE UN TRASPORTO SELETTIVO, E PERTANTO ALLA FINE DIVERSI
MATERIALI SI RITROVERANNO DISPOSTI IN MODO ASIMMETRICO AI DUE LATI DELLA MEMBRANA.
È BENE PRECISARE CHE LE PROTEINE PRESENTI NELLE MEMBRANE CELLULARI NON PROMUOVONO SOLTANTO IL TRASPORTO DI
MATERIALI, MA ESERCITANO FUNZIONI DIVERSE: FUNZIONE DI CANALE, FUNZIONE DI CARRIER, FUNZIONE ENZIMATICA,
FUNZIONE RECETTORIALE, FUNZIONE DI COMPONENTE STRUTTURALE (costituiscono le connessione intercellulari e
contribuiscono alla costruzione e al mantenimento della struttura cellulare).
PER QUANTO RIGUARDA IL TRASPORTO DI SOSTANZE ATTRAVERSO LA MEMBRANA CELLULARE, SONO RESPONSABILI TRE TIPI DI
PROTEINE TRASNMEMBRANARIE: PROTEINE CANALE, PROTEINA CARRIER E PROTEINE CON FUNZIONI DI POMPA.
PROTEINE CANALE: CONSENTONO IL COSIDDETTO TRAPOSTO PASSIVO, DAL MOMENTO CHE FACILITANOIL MOVIMENTO DI SOLUTI CHE
SEGUONO IL GRADIENTE DI CONCENTRAZIONE. COSÌ, UN SOLUTO SI SPOSTERÀ DA UNA ZONA A MAGGIORE
CONCENTRAZIONE VERSO UNA ZONA A MINORE CONCENTRAZIONE. IN TALI CASI I SOLUTI PERCORRERANNO I CANALI
ACQUOSI INTERNI ALLA MOLECOLA, EVITANDOIL CONTATTO CON LO STRATO LIPIDICO. TUTTAVIA, QUANDO UN
SOLUTO SI TROVA IN FORMA DI IONE (cioè dotato di carica elettrica) LO SPOSTAMENTO NON DIPENDERÀ SOLTANTO
DAL GRADIENTE DI CONCENTRAZIONE, MA VERRÀ CONDIZIONATO ANCHE DAL GRADIENTE ELETTRICO: uno ione
carico positivamente verrà attratto da un ambiente elettronegativo, mentre tenderà ad essere respinto da un
ambiente in cui prevalgono ioni dello stesso segno.
LE PROTEINE CANALE CONSENTONO RAPIDI SPOSTAMENTI IONICI E HANNO PARTICOLARE IMPORTANZA NELLA GENESI
DI EVENTI RAPIDI COME IL POTENZIALE D’AZIONE E LA TRASMISSIONE SINAPTICA.
ESSE POSSIEDONO UN ALTO GRADO DI SELETTIVITÀ, NEL SENSO CHE UN TIPOI DI CANALE Può LASCIAR PASSARE IONI
Na+ (sodio) MA ESCLUDE IONI K+ (potassio), MENTRE UN ALTRO TIPO DI CANALE FA PASSARE K + ESCLUDENDO Na+. MA
QUESTA SELETTIVITÀ È ASSOLUTA SOLO DI RADO, NEL SENSO CHE UN ALTRO TIPO DI CANALE, MOLTO RAPPRESENTATO
MA POCO SELETTIVO, SU 100 IONI K+ NE LASCIA PASSARE 85 Na+.
ALCUNI CANALI PRESENTANO IL CANALE ACQUOSO SEMPRE APERTO, MENTRE ALTRI DISPONGOLO DI UN
MECCANISMO DI APERTURA E CHIUSURA A PORTA, CHE QUINDI FACILITA O OSTACOLA L’ATTRAVERSAMENTO.
CANALI A PORTA MECCANICA: CHE SI APRONO PER DEFORMAZIONI MECCANICHE DELLA MEMBRANA;
CANALI A PORTA DI POTENZIALE: CHE SI APRONO E SI CHIUDONO QUANDO AI DUE LATI DELLA MEMBRANA
SI INTAURANO PARTICOLARI DIFFERENZE DI POTENZIALE ELETTRICO;
CANALI A PORTA CHIMICA: I QUALI SI APRONO QUANDO UNA PARTICOLARE SOSTANZA, AD ESEMPIO UN
MEDIATORE CHIMICO, SI LEGA A UNA SUB-STRUTTURA DEL CANALE. ESSI PRENDONO IL
NOME DAL TIPO DI MEDIATORE CHE LI ATTIVA (acetilcolina; GABA etc).
PROTEINE CARRIER: LE PROTEINE CARRIER CONSENTONO IL SUPERAMENTO DELLO STRATO LIPIDICO IN QUANTO SONO CAPACI DI
STABILIRE UN LEGAME SPECIFICO CON IL SOLUTO DA TRASPORTARE. LA COSTITUZIONE DEL LEGAME CARRIER-SOLUTO
PUÒ ANCHE ESSERE INIBITA DA MOLECOLE CHE FINISCONO PER OSTACOLARE IL TRASPORTO.
IL TRASPORTO VERREBBE FACILITATO DAL FATTO CHE IL CARRIER PUÒ TROVARSI CON I SITI LEGANTI ESPOSTI VERSO
UNO O VERSO L’ALTRO DEI DUE VERSANTI DELLA MEMBRANA. PERTANTO, SE I SITI SONO ESPOSTI VERSO LA ZONA DI
MAGGIORE CONCENTRAZIONE DEL SOLUTO, IL LEGAME SARÀ PIÙ FACILE. SE INVECE I SITI VENGONO A TROVARSI
VERSO LA ZONA DI MINORE CONCENTRAZIONE, VERRÀ FACILITATA LA ROTTURA, CIOÈ IL RILASCIO DEL SOLUTO. A
QUESTO PARTICOLARE TIPO DI TRASPORTO, CHE È PUR SEMPRE PASSIVO, È STATO PERCIÒ DATO IL NOME DI
“DIFFUSIONE F”CILITATA".
PROTEINE POMPA: QUANDO LA SOSTANZA DEVE MUOVERSI CONTRO ENTRAMBI I GRADIENTI È NECESSARIO RICORRERE A UNA
FORMA DI TRASPORTO, LA QUALE DEVE INMPEGNARE ENERGIA PER AVVIARE UN MOVIMENTO DIFFICOLTOSO.
QUESTO È IL CASO DEL SODIO, UNO IONE ABBONDANTISSIMO NEL LIQUIDO EXTRACELLULARE, IL QUALE TENDE AD
ENTRARE DENTRO LA CELLULA SEGUENDO NON SOLO IL GRADIENTE DI CONCENTRAZIONE, MA ANCHE QUELLO
ELETTRICO, IN QUANTO VIENE ATTIVATO DALL’AMBIENTE INTRACELLULARE. UNA VOLTA ENTRATO, IL SODIO, VIENE
ESTRUSO DALLA CELLULA. DAL CANTO SUO, IL POTASSIO TENDE AD USCIRE PROFITTANDO ESCLUSIVAMENTE DEL
GRADIENTE DI CONCENTRAZIONE. GLI SPOSTAMENTI DI QUESTI DUE IONI VENGONO PERÒ OSTACOLATI DA UN
TRASPORTO IN SENSO CONTRARIO DA PARTE DI UN MECCANISMO DI POMPA, LA COSIDDETTA POMPA SODIO-
POTASSIO; COSÌ IL SODIO VIENE RICACCIATO FUORI E IL POTASSIO RICHIAMATO DENTRO, ENTRAMBI
CONTROGRADIENTE.
RESPONSABILE DI QUESTO DOPPIO TRASPIRTO è UNA PARTICOLARE PROTEINA TRANSMEMBRANARIA. TRALE PROTEINA
FUNZIONA COME UN ENZIMA DENOMINATO Na+ - K+ - ATPasi. L’ATP VIENE IDROLIZZATO E SI LIBERA ENERGIA.
PER CIASCUNA MOLECOLA ATP IDROLIZZATA, 3 IONI Na+ VENGONO ESTRUSI E 2 IONI K+ VENGONO RICHIAMATI. LA
POTENZIALITÀ DI TRASPORTO DI UNA SINGOLA POMPA È ENORME: PER CIASCUNA DI ESSE È POSSIVILE CHE OGNI
SECONDO VENGANO TRASPORTATI 200 IONI Na+ E 13° K+.
ALTRI MECCANISMI DI POMPA SFRUTTANO L’IDROLISI ATP PER TRASPORTARE ALTRI IONI:
POMPE PER IL Ca++ (calcio), PRESENTI NELLE MEMBRANE CITOPLASMATICHE E NELLE CISTERNE DEL SISTEMA RETICOLO.
SARCOPLASMATICO;
POMPER PER L’H+ (idrogeno), PRESENTI NELLE MEMBRANE DELLE VESCICOLE SINAPTICHE, AL CUI INTERNO
ASSICURANO UN’ELEVATA CONCENTRAZIONE IDROGENIONICA CHE PROMUOVE IL TRASPORTO DEI
NEUROTRASMETTITORI NELLE VESCICOLE STESSE.
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Il nucleo: il nucleo è una struttura presente nella regione centrale della cellula, è sferico o ovoidale ed è ricoperto
dalla membrana nucleare. Il nucleolo e i cromosomi sono contenuti al suo interno: il nucleolo è
responsabile della produzione dei ribosomi, piccole strutture implicate nella sintesi delle proteine. I
cromosomi, una striscia di DNA, con le proteine ad essa associate, contengono informazioni genetiche
dell’organismo. Quando sono attivi, porzioni particolari del cromosoma (dette geni) causano la produzione
di un’altra molecola complessa, l’mRNA messaggero, una macromolecola che trasporta l’informazione
genetica riguardante la sintesi di una proteina da una porzione di un cromosoma a un ribosoma. Oltre a
fornire struttura, le proteine servono da enzimi, molecole che controllano una reazione chimica,
combinando insieme due sostanze oppure rompendo una sostanza in due parti.
Il citoplasma: il citoplasma è una sostanza complessa e può variare considerevolmente da un tipo di cellula all’altro,
ma può essere rappresentato come una sostanza gelatinosa semiliquida che riempie lo spazio delimitato
dalla membrana. Esso contiene minuscole strutture specializzate, chiamate “organelli”.
I mitocondri: i mitocondri sono organelli responsabili dell’estrazione dell’energia dagli elementi nutritivi. Hanno
una forma simile a un fagiolo e sono costituiti da una doppia membrana; la membrana interna è ripiegata
più volte su se stessa, e le pieghe formano una serie di creste che riempiono l’interno della struttura. I
mitocondri svolgono un ruolo vitale nell’economia della cellula: molti degli stadi biochimici necessari per
l’estrazione dell’energia dal catabolismo degli elementi nutritivi si svolgono proprio sulle pieghe della
membrana interna, sotto il controllo di enzimi ivi localizzati.
Il reticolo endoplasmatico: il reticolo endoplasmatico è composto da strati paralleli di membrana, che si trovano
all’interno del citoplasma della cellula. Il reticolo endoplasmatico rugoso contiene i ribosomi ed è implicato
nella produzione delle proteine secrete dalla cellula; il reticolo endoplasmatico liscio è il sito di sintesi dei
lipidi e produce i canali per la segregazione delle molecole implicate in vari processi cellulari. Entrambi i tipi
sono composti da strati paralleli di membrana, disposti a coppie.
L’apparato del Golgi: l’apparato del Golgi è un sistema complesso di membrane parallele all’interno del citoplasma,
che avvolge i prodotti di una cellula secretoria. Qui sono assemblate alcune molecole complesse.
L’apparato del Golgi serve anche come apparato di immagazzinamento e impacchettamento: le cellule
secretorie avvolgono i loro prodotti in uno strato di membrana prodotto dall’apparato del Golgi.
L’apparato del Golgi produce anche i lisosomi, piccole sacche contenenti enzimi che demoliscono i
prodotti di scarto della cellula.
Il citoscheletro: un tempo si pensava che gli organuli cellulari galleggiassero liberamente all’interno del fluido
citoplasmatico. In seguito si è rilevata l’esistenza del citoscheletro, una rete di fibre estesa in tutto il
citoplasma. Le strutture filamentose che compongono il citoscheletro sono di più tipi.
I microtubuli sono tubi cavi e dritti che servono a conferire rigidità, forma e organizzazione alla
cellula; sono costituiti da proteine e possono allungarsi o accorciarsi per aggiunta o sottrazione di
sub-unità proteiche. I microtubuli funzionano anche da “binari” lungo i quali scorrono gli organuli.
I microfilamenti sono bastoncini proteici non cavi e più sottili, che consentono alla cellula di
muoversi e di cambiare forma in seguito allo scorrimento delle sub-unità proteiche l’una sull’altra.

Il trasporto: LA CELLULA NERVOSA è ANCHE SEDE DI TRASPORTO DI MOLECOLE E ORGANELLI CHE SI SPOSTANO NEL
CITOPLASMA SENZA USCIRE ALL’ESTERNO.
TRASPOSTO ANTEROGRADO: TALUNE SOSTANZE (molti neurotrasmettitori) VENGONO A FORMARSI IN CORRISPONDENZA
DEL SOMA CELLULARE PER POI SPOSTARSI LUNGO L’ASSONE FINO A RAGGIUNGERE LE TERMINAZIONI PERIFERICHE
TERMINALI. QUESTO TIPO DI TRASPORTO È REALIZZATO DA MOLECOLE DI UNA PROTEINA CHIAMATA CHIENESINA;
TRASPORTO RETROGRADO: CONSISTE NELLO SPOSTAMENTO LUNGO L’ASSONE DI MATERIALI CHE VENGONO VEICOLATI
DALLA PERIFERIA AL CORPO CELLULARE. IL TRASPORTO RETROGRADO RIGUARDA I FATTORI NEUROTROFICI, I
QUALI GIOCANO UN IMPORTANTE RUOLO NEI FENOMENI DI MATURAZIONE E DI PLASTICITÀ DEL SISTEMA
NERVOSO. QUESTO TIPO DI TRASPORTO È REALIZZATO DA MOLECOLE DI UNA PROTEINA CHIAMATA DINEINA.

Le cellule di sostegno
I neuroni costituiscono solo la metà del volume del sistema nervoso centrale, mentre il resto consiste di
una vasta gamma di cellule di sostegno. Il ruolo svolto dalle cellule che sostengono e proteggono i neuroni è
assolutamente fondamentale per la nostra sopravvivenza.

 La glia
Le cellule di sostegno più importanti del sistema nervoso centrale sono chiamare neuroglia, ovvero
“collante dei nervi”. La glia di fatto tiene insieme il sistema nervoso centrale, ma fa anche molto altro. Queste
cellule circondano i neuroni e li mantengono al loro posto, controllando il loro approvvigionamento di energia e
di alcune sostanze chimiche che essi richiedono per scambiare messaggi con altri neuroni; inoltre, li isolano gli
uni dagli altri, facendo in modo che i messaggi nervosi non siano mischiati, e agiscono persino come
“governanti”, rimuovendo e distruggendo gli scheletri dei neuroni morti. Esistono tre tipi di cellule gliali:
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Astrociti: gli astrociti forniscono il supporto fisico ai neuroni e ripuliscono il cervello dai detriti. Essi producono
alcuni agenti chimici che servono ai neuroni per adempire le loro funzioni; inoltre, aiutano a controllare la
composizione chimica del fluido che circonda i neuroni, assorbendo attivamente o rilasciando quelle
sostanze la cui concentrazione deve essere mantenuta entro limiti precisi.
Alcuni dei processi degli astrociti avvolgono i vasi sanguigni, mentre altri avvolgono porzioni dei neuroni; in
tal modo, le membrane somatiche e dendritiche dei neuroni sono in gran parte circondate da astrociti.
Sebbene i neuroni ricevano parte del glucosio direttamente dai capillari, la maggior parte delle sostanze
nutritive viene dagli astrociti. Gli astrociti ricevono glucosio dai capillari e lo degradano in lattato, la
sostanza chimica prodotta durante le prime fasi del metabolismo del glucosio. Dopodiché, rilasciano il
lattato nel fluido extracellulare in cui sono immersi i neuroni; questi catturano il lattato, lo trasportano ai
loro mitocondri e lo usano per estrarre energia.
Oltre al trasporto di elementi chimici a favore dei neuroni, gli astrociti costituiscono la matrice strutturale
di sostegno che mantiene i neuroni al loro posto. Queste cellule circondano e isolano anche le sinapsi,
limitando la dispersione dei neurotrasmettitori rilasciati dai bottoni terminali.
Quando i neuroni del sistema nervoso centrale muoiono, alcuni tipi di astrociti assumono il compito di
eliminarne i resti: quando entrano in contatto con i resti di un neurone morto, questi astrociti li
circondano, li inglobano e alla fine li digeriscono letteralmente. Dopo che i resti del neurone sono stati
fagocitati, lo spazio vacante è riempito da una matrice di astrociti, mentre una categoria specializzata di
astrociti formerà uno strato di tessuto cicatriziale, per isolare l’area.
Oligodendrociti: la funzione principale degli oligodendrociti è quella di fornire un sostegno agli assoni e produrre la
guanina mielinica, che isola gli assoni gli uni dagli altri. La mielina, costituita all’80% da lipidi e al 20% da
proteine, è prodotta dagli oligodendrociti sotto forma di un tubo che contiene l’assone. Questo tubo non
costituisce un rivestimento continuo, bensì è formato da una serie di segmenti di circa 1 mm di lunghezza,
interrotti da un breve spazio di membrana assonale nuda. La porzione di assone senza guaina mielinica è
chiamata nodo di Ranvier.
Microglia: è la categoria più piccola delle cellule gliali. Come danno anche alcuni tipi di astrociti, le cellule della
microgliaagiscono da fagociti, inglobando e digerendo neuroni morti o danneggiati, ma in più esse
svolgono una funzione immunitaria all’interno del cervello, proteggendolo dall’invasione di microrganismi.
La microglia è la principale responsabile delle reazioni infiammatorie conseguenti alle lesioni cerebrali.

 Le cellule di Schwann
Le cellule di Schwannsvolgono la stessa funzione degli oligodendrociti: sostengono gli assoni e
producono la mielina, ma, mentre gli oligodendrociti svolgono tale funzione nel sistema nervoso centrale, le
cellule di Schwann la svolgono nel sistema nervoso periferico. La gran parte degli assoni del sistema nervoso
periferico è mielinizzata; la guaina mielinica si presenta in segmenti, come nel sistema nervoso centrale, e ogni
segmento è costituito da una singola cellula di Schwann attorcigliata più volte intorno all’assone.
Le cellule di Schwann differiscono per un altro aspetto importante rispetto agli oligodendrociti. Se un
nervo subisce qualche danno, le cellule di Schwann contribuiscono alla digestione degli assoni danneggiati o
morti, dopodiché, le cellule di Schwann si dispongono in una serie di cilindri che guidano la ricrescita di nuovi
assoni. Le porzioni distali degli assoni sezionati muoiono, ma l’apice di ogni assone danneggiato dà luogo a
numerose nuove propaggini, che si estendono in tutte le direzioni. Se una di questa nuove propaggini incontra
un cilindro fornito da una cellula di Schwann, essa si svilupperò velocemente lungo la direzione stabilita dalla
serie di cilindri, mentre le altre propaggini non produttive moriranno.
Le cellule gliali del sistema nervoso centrale non cooperano tra di loro come fanno quelle del sistema
nervoso periferico: se un assone del cervello o del midollo spinale viene danneggiato, si formeranno nuove
propaggini – così come avviene nel sistema nervoso periferico – ma gli assoni in crescita incontreranno il tessuto
cicatriziale prodotto dagli astrociti, e non potranno penetrare questa barriera. Liuzzi e Lasek hanno scoperto che,
anche quando gli astrociti non producono tessuto cicatriziale, sembra che emettano un segnale chimico che
induce gli assoni in via di rigenerazione a interrompere l’allungamento e iniziare la proliferazione dei bottoni
terminali. Quindi, la differenza tra le proprietà rigenerative del sistema nervoso centrale e del sistema nervoso
periferico dipende da diverse caratteristiche delle cellule di sostegno, e non dalle differenze relative agli assoni.
Esiste un’altra differenza tra gli oligodendrociti del sistema nervoso centrale e le cellule di Schwann del
sistema nervoso periferico: la composizione chimica della proteina mielinica che producono. Il sistema
immunitario delle persone affette da sclerosi multipla attacca solo la proteina mielinica prodotta dagli
oligodendrociti, perciò la mielina del sistema nervoso periferico è risparmiata.
La barriera ematoencefalica
Tra il sangue e il fluido che circonda le cellule del cervello si trova uno sbarramento: la barriera
ematoencefalica. Alcune sostanze possono passare la barriera ematoencefalica, mentre altre no; quindi si può
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dire che essa è selettivamente permeabile. In gran parte del corpo, le cellule che rivestono i capillari non
aderiscono fra loro in modo eccessivamente stretto: rimangono aperte delle piccole fessure tra esse, attraverso
le quali può verificarsi un libero scambio di molte sostanze fra il plasma ematico e il fluido all’esterno dei
capillari. Nel sistema nervoso centrale i capillari sono primi di queste fessure, e così molte sostanze non possono
passare direttamente dal sangue alle cellule.
La trasmissione dei messaggi da un punto all’altro del cervello dipende da un delicato equilibrio tra le
sostanze che si trovano all’interno dei neuroni e quelle che si trovano nel fluido extracellulare che li circonda. Se
la composizione del fluido extracellulare cambia anche di poso, la trasmissione di questi messaggi ne sarà molto
disturbata, il che significa che il funzionamento del cervello sarà alterato. La presenza della barriera
ematoencefalica facilita la regolazione della composizione del fluido extracellulare; inoltre, molti dei cibi che
ingeriamo contengono elementi chimici che interferirebbero con la trasmissione delle informazioni tra i neuroni.
La barriera ematoencefalica impedisce a questi elementi chimici di raggiungere il cervello.
La barriera ematoencefalica non è uniforme in tutto il sistema nervoso. In numerosi punti, la barriera è
relativamente permeabile, e lì sostanze altrove respinte possono attraversarla liberamente. Per esempio, l’area
postrema è quella parte del cervello che controlla il vomito; in questo punto la barriera ematoencefalica è più
debole e permette ai neuroni di captare la presenza di sostanze tossiche per il sangue.

NELLA REALTÀ FISIOLOGICA, IL SANGUE DEI CAPILLARI DEI PLESSI COROIDEI (plessi deputati alla produzione di liquor
cefalorachidiano) CEDE EFFETTIVAMENTE DELLE SOSTANZE AL LIQUOR, E QUESTE INTERAGISCONO CON IL TESSUTO NERVOSO.
MA È DA PRECISARE CHE GLI SCAMBI TRA IL SANGUE, IL LIQUOR E IL PARENCHIMA CEREBRALE SONO DEL TUTTO SELETTIVI,
PERCIÒ I TRASPORTI DA UN AMBIENTE ALL’ALTRO RISULTANO MOLTO CONTROLLATI. LA BARRIERA ALLORA RIGUARDA IN
MODO ASSOLUTO SOLO ALCUNE SOSTANZE, LE QUALI NON RIESCONO A PASSARE NÉ NEL LIQUOR (barriera emato-liquorale)
NÉ NEL TESSUTO NERVOSO (barriera ematoencefalica propriamente detta); ALTRE SOSTANZE RIESCONO A PASSARE CON
UNA CERTA DIFFICOLTÀ. IN QUESTA MANIERA I PROCESSI DI TRASPORTO SELETTIVO FARANNO SÌ CHE I NEURONI E LA GLIA
RIMANGANO CIRCONDATI DA UN AMBIENTE EXTRACELLULARE LA CUI COMPOSIZIONE CHIMICA RIMANE COSTANTE,
VENENDO COSÌ PROTETTI DA VARIAZIONI CHE POSSONO RISULTARE DANNOSE, COME NEL CASO DELLE TOSSINE.
STRUTTURALMENTE PARLANDO, LA BARRIERA EMATOENCEFALICA DIPENDE DALLE CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE DELLE
CELLULE ENDOTELIALI DEI CAPILLARI ENCEFALICI. QUESTE CELLULE, A DIFFERENZA DEI CAPILLARI DI ALTRI TESSUTI, NON
PRESENTANO FENESTRAZIONI NÉ VESCICOLE PINOCITOSTICHE, ED INOLTRE LE GIUNZIONI STRETTE CHE UNISCONO TRA LORO LE
CELLULE ENDOTELIALI SONO TALMENTE ANGUSTE E DI SCARSO NUMERO CHE IL LIBERO SCAMBIO DI ACQUA E DI SOLUTI
ATTRAVERSO L’ENDOTELIO VIENE NOTEVOLMENTE OSTACOLATO. L’OSTACOLO RIGUARDA SOLO LE SOSTANZE IDROSOLUBILI
POICHÉ QUESTE NORMALMENTE ATTRAVERSANO LE PARETI DEI CAPILLARI SERVENDOSI PREFERENZIALMENTE DELLE GIUNZIONI
STRETTE; INVECE, LE SOSTANZE LIPOSOLUBILI NON TROVANO ALCUN OSTACOLO NELLE GIUNZIONI STRETTE, POICHÉ ESSE
ATTRAVERSANO LA MEMBRANA CELLULARE, E PIÙ ESATTAMENTE IL SUO STRATO LIPO-PROTEICO.

2 – La comunicazione all’interno del neurone

la misurazione dei potenziali elettrici dell’assone


Per misurare le cariche elettriche prodotte da un assone, abbiamo bisogno di una coppia di elettrodi. Gli
elettrodi sono dei conduttori elettrici che forniscono un mezzo per far entrare o uscire l’elettricità da un
substrato. Poiché l’assone è molto sottile, siamo costretti ad usare un elettrodo sottilissimo: il microelettrodo.
Per condurre la nostra osservazione, poniamo l’elettrodo metallico nell’acqua e inseriamo il
microelettrodo all’interno dell’assone. Non appena lo facciamo, scopriamo che l’interno dell’assone è carico
negativamente rispetto all’esterno, essendo la differenza di carica pari a circa 70 mV; perciò, l’interno della
membrana si trova a -70 mV. Questa carica elettrica è chiamata potenziale di membrana, ovvero la differenza di
carica elettrica che si trova da un lato all’altro della membrana cellulare.
Una volta che abbiamo inserito il microelettrodo nell’assone, l’oscilloscopio (uno strumento che produce una registrazione visibile
sotto forma di un grafico del voltaggio in funzione del tempo) visualizza una linea retta orizzontale in corrispondenza di -70mV, fin quando

l’assone non viene stimolato in qualche modo. Questa carica elettrica a cavallo della membrana è chiamata
potenziale di riposo, il potenziale di membrana di un neurone quando non è attivato da potenziali postsinaptici
eccitatori o inibitori. Cominciando a perturbare il potenziale di riposo con uno stimolatore elettrico con una
carica positiva (poiché l’interno dell’assone è carico negativamente) si produce una depolarizzazione: una
riduzione del potenziale di membrana di una cellula data dalla sottrazione di una parte della carica elettrica a
cavallo della membrana. Quando alteriamo artificialmente il potenziale di membrana in un dato punto, inviamo
dunque una serie di depolarizzazioni. Ciascuno stimolo depolarizza brevemente un po’ di più il potenziale di
membrana, fino a quando uno stimolo non fa invertire improvvisamente il potenziale di membrana, in modo tale
che l’interno diventi carico positivamente. Il potenziale di membrana ritorna normale in pochi istanti, ma
dapprima supera il potenziale di riposo diventando iperpolarizzato, ovvero più polarizzato del normale.
Questo fenomeno, che consiste in una rapida inversione del potenziale di membrana, è chiamato potenziale
d’azione: il breve impulso elettrico che costituisce la base della conduzione dell’informazione lungo l’assone fino
ai bottoni terminali. Il livello di voltaggio che scatena un potenziale d’azione è chiamato soglia di attivazione.
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Il potenziale di membrana: un equilibrio tra due forze


Il potenziale di membrana è il risultato dell’equilibrio tra due forze: la diffusione e la pressione elettrostatica.
La diffusione: Il processo tramite il quale le molecole si distribuiscono in modo uniforme all’interno del mezzo in
cui sono disciolte si chiama diffusione. Se non esistono altre forze o barriere che impediscono la diffusione, le
molecole si diffondono dalle regioni ad alta concentrazione a quelle a bassa concentrazione
La pressione elettrostatica: Quando certe sostanze sono disciolte in acqua si dividono in due parti, ciascuna
dotata di carica elettrica opposta. Sostanze dotate di tali proprietà sono definite elettroliti, e le particelle dotate
di carica in cui esse si scindono si chiamano ioni; esistono due tipi di ioni: i cationi hanno una carica positiva,
mentre gli anioni hanno una carica negativa. Particelle con segno uguale si respingono, e particelle con segno
opposto si attraggono; dunque, gli anioni respingono altri anioni, i cationi respingono altri cationi, mentre anioni
e cationi si attraggono vicendevolmente. La forza esercitata da questa attrazione o repulsione è chiamata
pressione elettrostatica. Proprio come la forza di diffusione spinge le molecole da regioni ad alta concentrazione
verso quelle a bassa concentrazione, la pressione elettrostatica sposta gli ioni da un luogo all’altro: i cationi sono
spinti dalle regioni con eccesso di cationi e gli anioni sono spinti lontano dalle regioni con un eccesso di anioni.

 Gli ioni nel fluido extracellulare e nel fluido intracellulare


Il fluido che si trova all’interno delle cellule e quello che le circonda contengono ioni diversi. La forza di
diffusione e quella di pressione elettrostatica danno origine al potenziale di membrana. Poiché quest’ultimo è
prodotto dall’equilibrio tra la forza di diffusione e quella di pressione elettrostatica, per capire come si produce il
potenziale d’azione bisogna prima capire la concentrazione dei vari ioni, nei fluidi extracellulare ed intracellulare.
- - +
In questi fluidi si trovano diversi ioni importanti: anioni inorganici A , ioni di cloro Cl , ioni di sodio Na e
+
ioni di potassio K . Gli anioni inorganici – proteine cariche negativamente – si trovano soltanto nel fluido
+
intracellulare. Anche se gli altri tre ioni si trovano sia nel fluido extracellulare che in quello intracellulare, K si
+ -
trova prevalentemente nel fluido intracellulare, mentre Na e Cl si trovano soprattutto in quello extracellulare.
-
A , l’anione inorganico, non può passare attraverso la membrana dell’assone; perciò, nonostante la
presenza di questo ione all’interno della cellula contribuisca al potenziale di membrana, il suo essere nel
compartimento intracellulare si spiega con il fatto che la membrana non è permeabile ad esso.
+
Lo ione potassio K si concentra all’interno dell’assone, e la forza di diffusione tende a spingerlo all’esterno
della cellula; tuttavia, l’esterno della cellula è carico positivamente, dunque la pressione elettrostatiche tende a
mantenere il potassio, anch’esso carico positivamente, all’interno.
-
Lo ione del cloro Cl si concentra maggiormente all’esterno: la forza di diffusione lo spinge all’interno;
tuttavia, poiché l’interno dell’assone è carico negativamente, la pressione elettrostatica lo spinge fuori.
+
Anche lo ione del sodio Na è più concentrato all’esterno dell’assone e quindi è sospinto all’interno della
cellula dalla forza di diffusione; ma, diversamente dallo ione del cloro, lo ione del sodio è carico positivamente,
+
perciò la pressione elettrostatica non impedisce a Na di entrare nella cellula; al contrario, la carica negativa
presente all’interno dell’assone lo attrae. Ma un’altra forza, fornita attivamente dalla pompa sodio-potassio,
+
sospinge continuamente Na fuori dall’assone. La pompa sodio-potassio è costituita da un gran numero di
proteine avvolte nella membrana, ed è alimentata dall’energia prodotta dalle molecole di ATP fornite dai
+ +
mitocondri. Queste molecole scambiano Na con K , spingendo tre ioni di sodio fuori dalla cellula per ogni due
ioni di potassio introdotti all’interno.

EQUILIBRIO DI GIBBS-DONMAN
QUANDO UNA MEMBRANA SI TROVA A SEPARARE DUE SOLUZIONI IN CUI SONO CONTENUTI IONI DIFFUSIBILI E IONI NON DIFFUSIBILI,
NON CI SI PUÒ ASPETTARE CHE QUESTI IONI SI DISPONGANO SIMMETRICAMENTE RISPETTO ALLA MEMBRANA; INFATTI, ESSI DEVONO
TENER CONTO ANCHE DEL GRADIENTE ELETTRICO VIGENTE TRA I DUE LATI DELLA MEMBRANA. COSICCHÈ, IONI POSITIVI COME K+
CHE TENDEREBBERO A RIPARTIRSI IN PARTI UGUALI DA UN LATO ALL’ALTRO DELLA MEMBRANA, NON POSSONO FARLO IN QUANTO
RISENTONO ANCHE DELL’ATTRAZIONE ESERCITATA DAGLI IONI NEGATIVI (ANIONI PROTEICI), ED ALLORA FINIRANNO PER ESSERE
PRESENTI IN MAGGIORE QUANTITÀ NELL’AMBIENTE IN CUI STANNO GLI ANIONI INDIFFUSIBILI; ANCHE GLI IONI NEGATIVI COME Cl -
TENDONO A DISPORSI SIMMETRICAMENTE, MA TALE TENDENZA NON PUÒ ESSERE SODDISFATTA IN QUANTO VENGONO RESPINTI
DALL’AMBIENTE DOVE SONO IMPRIGIONATI GLI ANIONI INDIFFUSIBILI; LA CONSEGUENZA È CHE GLI IONI Cl - SI DISPONGONO IN
MAGGIORE QUANTITÀ DAL LATO OPPOSTO A QUELLO DOVE SONO PRESENTI GLI ANIONI INDIFFUSIBILI. SI RAGGIUNGE COSÌ UN
EQUILIBRIO, DENOMINATO EQUILIBRIO DI DIBBS-DONMAN.AD EQUILIBRIO RAGGIUNTO, NON SOLO GLI ANIONI NON DIFFUSIBILI
SONO PIÙ ABBONDANTI DA UN LATO DELLA MEMBRANA, MA ANCHE QUELLI DIFFUSIBILI COME K+ E Cl-.

POTENZIALE DI RIPOSO
LA DISPOSIZIONE DELLE CARICHE ELETTRICHE CHE RAGGIUNGONO L’EQUILIBRIO DI GIBBS-DONMAN SI PUÒ PROVARE A
VERIFICARE IN UN NEURONE VIVENTE, QUANDO QUESTO PERMANE IN CONDIZIONI DI RIPOSO: SI TROVERÀ CHE SUL VERSANTE
ESTERNO DELLA MEMBRANA PREVALGONO LE CARICHE POSITIVE SU QUELLE NEGATIVE, MENTRE SU QUELLO INTERNO SI
RISCONTRA LA SITUAZIONE OPPOSTA. PERTANTO, LA MEMBRANA STESSA APPARE POLARIZZATA: POSITIVA ALL’ESTERNO E
NEGATIVA ALL’INTERNO. SI CHIAMERÀ QUINDI “POTENZIALE DI MEMBRANA” LA DIFFERENZA TRA CARICHE POSITIVE PREVALENTI IN
UN VERSANTE E CARICHE NEGATIVE PREVALENTI NELL’ALTRO VERSANTE. POICHÉ LA POLARIZZAZIONE È TIPICA DELLO STATO DI
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RIPOSO, SI PARLERÀ DI POTENZIALE DI RIPOSO, VOLENDO INDICARE LA DIFFERENZA DI POTENZIALE PERMANENTE FIN QUANDO UN
NEURONE NON ENTRA IN ATTIVITÀ.
COMPORTAMENTO DEGLI ANIONI PROTEICI
LE GRANDI DIMENSIONI DEGLI ANIONI PROTEICI IMPEDISCONO CHE QUESTI SI POSSANO DIFFONDERE ALL’ESTERNO,
ATTRAVERSANDO LA MEMBRANA. PERTANTO QUESTI ANIONI NEGATIVI RIMANGONO ALL’INTERNO DELLA MEMBRANA,
IMPRIMENDOVI UNA CARICA NEGATIVA STABILE.
COMPORTAMENTO DEGLI IONI K+
GLI IONI K+ HANNO LA TENDENZA A DIFFONDERSI DALL’INTERNO ALL’ESTERNO, FAVORITI DAL LORO GRADIENTE DI
CONCENTRAZIONE, MENTRE SONO RICHIAMATI ALL’INTERNO DALLA CARICA NEGATIVA CHE, MAN MANO CHE SI SPOSTANO,
LASCIANO ALL’INTERNO DELLA CELLULA. TALI DUE OPPOSTE TENDENZE NON SI ANNULLANO, POICHÉ PREVALE LA TENDENZA ALLA
DIFFUSIONE VERSO L’ESTERNO DELLA MEMBRANA. NE CONSEGUE CHE GLI IONI K+ PERVENUTI ALL’ESTERNO RIMANGONO
ADDOSSATI ALLA SUPERFICIE ESTERNA DELLA MEMBRANA, COSTITUENDO ATTORNO AD ESSA UNA SPECIE DI ALONE DI POSITIVITÀ. IL
RISULTATO È CHE SI VIENE A CREARE UN POTENZIALE ELETTRICO DI MEMBRANA, CON UNA POSITIVITÀ ESTERNA CHE SI
CONTRAPPONE ALLA NEGATIVITÀ INTERNA DATA SOPRATTUTTO DAGLI ANIONI PROTEICI.
COMPORTAMENTO DEGLI IONI Cl-
GLI SPOSTAMENTI DEGLI IONI Cl - AVVENGONO DALL’ESTERNO VERSO L’INTERNO, MA, CONSIDERANDO CHE LE CARICHE
NEGATIVE INTERNE LI RESPINGONO, IL RISULTATO È SEMPRE UNA SOVRABBONDANZA DI Cl - ALL’ESTERNO.
COMPORTAMENTO DEGLI IONI Na+
LA TENDENZA DEGLI IONI Na+ A DIFFONDERSI ALL’INTERNO DELLA CELLULA È MOLTO FORTE, SOSTENUTA DALL’ESISTENZA DEL
DOPPIO GRADIENTE, SIA DI CONCENTRAZIONE CHE ELETTRICO. ED IN EFFETTI L’INGRESSO DI Na+ È NOTEVOLE, MA, MALGRADO
CIÒ, LA SUA CONCENTRAZIONE INTERNA RIMANE MOLTO BASSA. CIÒ SI DEVE AL FUNZIONAMENTO DELLA POMPA SODIO-
POTASSIO, CHE ESPELLE DALLA CELLULA GLI IONI Na+ E VI POMPA ALL’INTERNO GLI IONI K+. IL POMPAGGIO DI K+ VERSO
L’INTERNO NON FA CHE ATTENUARE LA DIFFUSIONE DI ESSI VERSO L’ESTERNO.

il potenziale d’azione

POLARIZZAZIONE PASSIVA DELLA MEMBRANA


IL POTENZIALE DI RIPOSO PERMANE AL SUO VALORE FINCHÉ IL NEURONE NON ENTRA IL ATTIVITÀ, VENENDOSI A CREARE UNA
NUOVA DIFFERENZA DI POTENZIALE, DENOMINATA POTENZIALE D’AZIONE. MA IL POTENZIALE DI RIPOSO PUÒ ANCHE ESSERE
MODIFICATO MEDIANTE MANOVRE SPERIMENTALI, FACENDO PENETRARE UN MICROELETTRODO ALL’INTERNO DELLA
MEMBRANA ED INVIANDO ATTRAVERSO QUEST’ULTIMO DEI BREVI IMPULSI DI CORRENTE ELETTRICA. RENDENDO NEGATIVO IL
MICROELETTRODO, QUEST’ULTIMO RILASCERÀ CARICHE NEGATIVE ALL’INTERNO DELLA MEMBRANA, FACENDOVI AUMENTARE
LA DIFFERENZA DI POTENZIALE DI RIPOSO: AVREMO COSÌ DETERMINATO UNA IPERPOLARIZZAZIONE PASSIVA DELLA
MEMBRANA, CIOÈ UN AUMENTO DEL POTENZIALE DI RIPOSO. SE INVECE IL MICROELETTRODO VIENE RESO POSITIVO, ESSO
INIETTERÀ CARICHE POSITIVE; IN QUESTO CASO L’INCREMENTATA PRESENZA DI CARICHE POSITIVE ALL’INTERNO FARÀ
DIMINUIRE IL POTENZIALE DI RIPOSO, ESSENDOSI PRODOTTA UNA DEPOLARIZZAZIONE PASSIVA.
IL POTENZIALE D’AZIONE
LO STIMOLO DEPOLARIZZANTE INDUCE UN AUMENTO DELLA PERMEABILITÀ DELLA MEMBRANA, CHE FAVORISCE L’INGRESSO DI
CARICHE POSITIVE ALL’INTERNO. TALE INGRESSO IN UN PRIMO TEMPO VA NEUTRALIZZANDO LE CARICHE NEGATIVE PRESENTI
ALL’INTERNO DELLA MEMBRANA, COSÌ L’AMBIENTE INTERNO FINISCE COL DIVENTARE POSITIVO RISPETTO ALL’ESTERNO. COSÌ,
QUELLA CHE CONVENZIONALMENTE VIENE CHIAMATA DEPOLARIZZAZIONE, CULMINA IN EFFETTI IN UNA VERA E PROPRIA
INVERSIONE DELLA POLARITÀ. IL COMPLETAMENTO DI QUESTA INVERSIONE CORRISPONDE AD UNO STATO DI ECCITAZIONE
DELLA CELLULA, ED APPUNTO PER QUESTO IL POTENZIALE CORRISPONDENTE VIENE CHIAMATO POTENZIALE D’AZIONE.
MAN MANO CHE LE CARICHE POSITIVE ENTRANO ALL’INTERNO DELLA CELLULA, DETERMINERANNO UNA GRADUALE
RIDUZIONE DELLA NEGATIVITÀ IN ESSA PRESENTE, E COSÌ SI RIDUCE LA DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA L’INTERNO E L’ESTERNO;
MA NON APPENA LA DEPOLARIZZAZIONE RAGGIUNGE UN LIVELLO CRITICO, CHE CORRISPONDE A UN POTENZIALE DI -55mV,
LA MEMBRANA SI DEPOLARIZZERÀ COMPLETAMENTE. CONTINUANDO ANCORA AD ENTRARE LE CARICHE POSITIVE, SI
ARRIVERÀ AD UN ECCESSO DI POSITIVITÀ ALL’INTERNO, COSÌ LA POLARITÀ DELLA MEMBRANA A RIPOSO SI INVERTIRÀ
DURANTE L’ATTIVITÀ FINO A UN VALORE DI +30 mV. DUNQUE, QUESTA VARIAZIONE DI POTENZIALE NON RAPPRESENTA SOLO
L’AUMENTO DEL POTENZIALE DI RIPOSO, BENSÌ L’INVERSIONE DEL POTENZIALE STESSO.
IL POTENZIALE D’AZIONE SI PRESENTA DUNQUE COME UN’IMPROVVISA ED ESPLOSIVA DEPOLARIZZAZIONE (ripida, rapida e
fugace). UNA VOLTA RAGGIUNTO IL SUO VALORE MASSIMO, IL POTENZIALE DECRESCE, AVVIANDOSI RAPIDAMENTE A
TORNARE AL VALORE DEL POTENZIALE DI RIPOSO. DURA IN MEDIA CIRCA UN ms E SI ESAURISCE IN BREVE TEMPO.
UNA VOLTA COMPARSO, IL POTENZIALE D’AZIONE MOSTRA UN’AMPIEZZA INDIPENDENTE DALL’INTENSITÀ DELLO STIMOLO CHE
LO HA GENERATO. INFATTI LA SUA AMPIEZZA RIMANE COSTANTE ANCHE SE SI INCREMENTA LA CORRENTE STIMOLANTE. SI DICE
INFATTI CHE IL POTENZIALE D’AZIONE OBBEDISCE ALLA LEGGE DEL TUTTO O NULLA:O NON NASCE O, QUANDO È NATO, LA SUA
AMPIEZZA RIMANE COSTANTE. UN POTENZIALE D’AZIONE RIMANE SEMPRE DELLA STESSA INTENSITÀ, SENZA AUMENTARLA O
DIMINUIRLA. QUANDO IL POTENZIALE D’AZIONE RAGGIUNGE IL PUNTO IN CUI L’ASSONE SI RAMIFICA, SI DIVIDE ANCH’ESSO,
MA NON MODIFICA LA SUA INTENSITÀ NELLE VARIE RAMIFICAZIONI DELL’ASSONE.
UN’ALTRA CARATTERISTICA DEL POTENZIALE D’AZIONE È CHE SI TRATTA DI UN POTENZIALE PROPAGATO, NEL SENSO CHE ESSO
SI PROPAGA LUNGO TUTTA LA MEMBRANA, ANCHE A DISTANZA, LUNGO LA FIBRA NERVOSA, SENZA DECREMENTO SPAZIALE.
VARIAZIONI DELL’ECCITABILITÀ DURANTE L’EVOLVERSI DEL POTENZIALE D’AZIONE
IL PERIODO REFRATTARIO ASSOLUTO SI DEVE AL FATTO CHE MENTRE LA MEMBRANA STA ESPRIMENDO IL PROPRIO POTENZIALE
VENGONO A MANCARE I PRESUPPOSTI BIOFISICI PER OTTENERE UN NUOVO ECCITAMENTO.

FLUSSI IONICI DURANTE IL POTENZIALE D’AZIONE


LA NASCITA E L’EVOLUZIONE DEL POTENZIALE D’AZIONE SONO DIPENDENTI DALLE VARIAZIONI DELLA CONDUTTANZA DELLA
MEMBRANA PER IL SODIO E PER IL POTASSIO. LA CONDUTTANZA PER UN DATO IONE È LA MISURA DELLA PERMEABILITÀ DELLA
MEMBRANA ALLO IONE STESSO. L’AUMENTO DELLA CONDUTTANZA AL SODIO COINCIDE CON LA FASE DI DEPOLARIZZAZIONE,
MENTRE L’ANDAMENTO DELLA CONDUTTANZA AL POTASSIO APPARE ESSERE RESPONSABILE DELLA FASE DI RIPOLARIZZAZIONE.
CONTRIBUTO DEI CANALI Na+ ALLA DEPOLARIZZAZIONE
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I CANALI Na+ SONO TRA QUELLI PIÙ STUDIATI. SI SA CHE QUESTI CANALI:
•NON SI APRONO LENTAMENTE, MA SONO SOGGETTI A RAPIDI CAMBIAMENTI;
•POSSONO ESSERE APERTI O CHIUSI, MA MAI PARZIALMENTE APERTI;
•VI SONO ALMENO DUE DIVERSE CONFORMAZIONI QUASI STABILI: UNA IN CUI POSSONO APRIRSI IN RISPOSTA A UNA
VARIAZIONE DEL POTENZIALE DI MEMBRANA; ALMENO UNA IN CUI POSSONO ESSERE INATTIVATI.
IL FENOMENO DEL POTENZIALE D’AZIONE SI PUÒ SPIEGARE IN QUESTI TERMINI: QUANDO VIENE PARZIALMENTE DEPOLARIZZATA
UNA MEMBRANA CHE POSSEGGA MOLTI CANALI Na+ A PORTA POTENZIALE, ALCUNI DI QUESTI CANALI SI APRONO
RAPIDAMENTE, PERMETTENDO AGLI IONI Na+ DI PASSARE DENTRO LA CELLULA.
L’APPORTO DI CARICHE POSITIVE DEPOLARIZZA ULTERIORMENTE LA MEMBRANA, E TALE ULTERIORE DEPOLARIZZAZIONE NON
FA CHE APRIRE ANCORA PIÙ CANALI, IL CHE CONSENTE UN MAGGIORE INGRESSO DI Na +. QUESTO CIRCOLO VIZIOSO
DEPOLARIZZAZIONE-INCREMENTO DI PERMEABILITÀ-DEPOLARIZZAZIONE, VIENE CHIAMATO CICLO DI HODGKIN. IL CICLO DI
HODGKIN SI PROLUNGHEREBBE SE, SUBITO DOPO L’APERTURA, I CANALI Na+ NON ASSUMESSERO LA CONFORMAZIONE
INATTIVATA. IN EFFETTI QUESTA CONFORMAZIONE PERMANE FINO A QUANDO IL POTENZIALE DI MEMBRANA NON RITORNA AL
SUO VALORE INIZIALE DI RIPOSO.
CONTRIBUTO DEI CANALI K+ ALLA RIPOLARIZZAZIONE
IL RITORNO ALLO STATO DI PIENA RIPOLARIZZAZIONE VIENE ACCELERATO DALLA PRESENZA DI CANALI K + A PORTA DI
POTENZIALE. QUESTI CANALI SI APRONO IN RISPOSTA ALLA DEPOLARIZZAZIONE DELLA MEMBRANA, MA LO FANNO IN
MANIERA RELATIVAMENTE LENTA. QUESTA LENTEZZA FA SÌ CHE IL CONSEGUENTE AUMENTO DELLA PERMEABILITÀ SI VERIFICHI
PROPRIO MENTRE I CANALI PER IL SODIO SI TROVANO INATTIVATI, E TALE COINCIDENZA TEMPORALE FAVORISCE IL RITORNO
AL POTENZIALE DI RIPOSO.
CONTRIBUTO DEI CANALI Na+ E K+ ALLA REFRATTARIETÀ ASSOLUTA E RELATIVA
LO STATO DI INATTIVAZIONE DEI CANALI Na+ ED IL CONTRIBUTO DEI CANALI K+ A PORTA DI POTENZIALE RENDE ANCHE CONTO
DEI PERIODI REFRATTARI CHE SI VERIFICANO DURANTE IL POTENZIALE D’AZIONE. INTATTI, IL PERIODO REFRATTARIO ASSOLUTO SI
SPIEGA CON LO STATO DI INATTIVAZIONE DELLA MAGGIOR PARTE DI QUESTI CANALI; DURANTE QUESTO PERIODO OGNI
ULTERIORE STIMOLO RISULTA INEFFICACE IN QUANTO NON SOLO NON APRE I CANALI, MA ADDIRITTURA NE MANTIENE O NE
RINFORZA L’ATTIVAZIONE.
L’ECCITABILITÀ DELLA MEMBRANA RITORNERÀ AL SUO VALORE DI RIPOSO SOLO QUANDO TUTTI I CANALI Na + RITORNERANNO
NELLA CONFORMAZIONE CHIUSA. MA IL RITORNO ALLA CONFORMAZIONE CHIUSA NON AVVIENE SIMULTANEAMENTE IN TUTTI I
CANALI, MA CON UNA CERTA GRADUALITÀ. CI SARÀ INFATTI UN PERIODO DI TRANSIZIONE IN CUI UN NUMERO RIDOTTO DI
CANALI Na+ SI TROVERÀ IN CONFORMAZIONE CHIUSA; È QUESTA LA SITUAZIONE IN CUI LA CELLULA PRESENTA IL PERIODO
REFRATTARIO RELATIVO: UN PERIODO IN CUI SARÀ NECESSARIO UNO STIMOLO PIÙ FORTE PER FARE DIMINUIRE IL POTENZIALE
LOCALE FINO AL VALORE SOGLIA. DURANTE IL PERIODO REFRATTARIO RELATIVO, ALLA RIPOLARIZZAZIONE DELLA MEMBRANA
CONTRIBUISCE ANCHE UN ALTRO TIPO DI CANALI: I CANALI K+ A PORTA DI POTENZIALE. INFATTI, QUESTI SI APRONO,
FAVORENDO LA CORRENTE DI K+ VERSO L’ESTERNO, LA QUALE, DI PER SÉ, CONTRIBUISCE A RENDERE PIÙ ELEVATO LO STIMOLO
NECESSARIO A GENERARE UN NUOVO POTENZIALE D’AZIONE.
CONTRIBUTO DEGLI IONI Ca++ SULL’ECCITABILITÀ DELLA MEMBRANA
LA CONCENTRAZIONE DEGLI IONI Ca++ NEL LIQUIDO EXTRACELLULARE PRODUCE UN EFFETTO MOLTO IMPORTANTE SUL
LIVELLO DI DEPOLARIZZAZIONE CHE BISOGNA RAGGIUNGERE PER APRIRE I CANALI Na +. LA CONCENTRAZIONE DI Ca++
ALL’INTERNO DELLA CELLULA È MOLTO BASSA RISPETTO AL LIQUIDO EXTRACELLULARE. IL FORTE GRADIENTE DI
CONCENTRAZIONE COMPORTA UN FLUSSO DI Ca++ DALL’ESTERNO DALL’INTERNO, MA SI RITIENE CHE NORMALMENTE UNA
GRANDE ABBONDANZA DI IONI Ca++ RIMANGANO ADDOSSATI ALLA SUPERFICIE ESTERNA DEI CANALI Na+ A PORTA DI
POTENZIALE. A CAUSA DI TALE ADDOSSAMENTO GLI IONI CA++ INNALZEREBBERO LA SOGLIA DI POTENZIALE ALLA QUALI I
CANALI Na+ COMINCIANO AD APRIRSI.
NON APPENA LA CONCENTRAZIONE DEL Ca++ EXTRACELLULARE SI RIDUCE, DIMINUISCE LA SOGLIA PER L’APERTURA E I CANALI
Na+ SI APRONO PIÙ FACILMENTE; NE CONSEGUE CHE LE CELLULE DIVENTANO MOLTO ECCITABILI ED ARRIVANO A GENERARE
POTENZIALI D’AZIONE SPONTANEAMENTE.
L’ADDOSSAMENTO DEGLI IONI Ca++ ALLA SUPERFICIE ESTERNA DEI CANALI Na+ SI DEVE ALL’ELEVATO GRADIENTE CHE ESISTE
TRA ESTERNO E INTERNO, ESSENDO IL Ca++ PIÙ ABBONDANTE ALL’ESTERNO. ANCHE SE GLI IONI Ca++ ENTRANO ALL’INTERNO
SEGUENDO TALE GRADIENTE, QUEST’ULTIMO VIENE MANTENUTO ALTO PER IL FATTO CHE LO IONE, UNA VOLTA ENTRATO, VIENE
POMPATO FUORI MOLTO EFFICACEMENTE.
L’IMPORTANZA DEL CALCIO SULL’ECCITABILITÀ PUÒ RISCONTRARSI AL LIVELLO DELLE SINAPSI, DOVE L’INGRESSO DI Ca ++ NEL
BOTTONE SINAPTICO È RESPONSABILE DELLA LIBERAZIONE DI NEUROTRASMETTITORI NELLO SPAZIO SINAPTICO.
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La Conducibilità delle fibre nervose

LA FUNZIONE DEL NERVO È QUELLA DI CONDURRE L’IMPULSO NERVOSO ALLA SUA DESTINAZIONE PERIFERICA (fibre motrici) O
CENTRALE (fibre sensitive). CIÒ È POSSIBILE IN QUANTO IL POTENZIALE D’AZIONE È UN POTENZIALE PROPAGATO.
LA CONDUZIONE “PUNTO A PUNTO” O “PER CIRCUITI LOCALI
QUESTO TIPO DI PROPAGAZIONE RAPPRESENTA UNA CONDUZIONE CONTINUA DELL’IMPULSO NERVOSO, LA QUALE AVVIENE SOLO
NELLE FIBRE AMIELINICHE. UNA VOLTA CHE LA MEMBRANA SI DEPOLARIZZA, NELLA ZONA INTERESSATA SI INSTAURA UN FLUSSO
CORRENTE DIRETTO DALLE REGIONI SUPERFICIALI IMMEDIATAMENTE ADIACENTI ALLA ZONA DEPOLARIZZATA. INVECE, ALL’INTERNO
DELLA MEMBRANA UN ALTRO FLUSSO DI CORRENTE CORRE VERSO LE REGIONI ADIACENTI. IL RISULTATO È UN RINFORZO DELLA
DEPOLARIZZAZIONE. IN SOSTANZA, QUESTI FLUSSI DI CARICHE IN UN RISTRETTO CIRCUITO LOCALE RIDUCONO IL POTENZIALE NELLE
ZONE ADIACENTI DELLA MEMBRANA, ANCORA INATTIVE. LA VELOCITÀ DELL’IMPULSO DIPENDE DAL FLUSSO DI QUESTE CORRENTI
LOCALI; IL FLUSSO RISULTA MAGGIORE NELLE FIBRE DI MAGGIORE DIAMETRO. NELLE FIBRE MIELINICHE SI RISCONTRA UN ALTRO
TIPO DI PROPAGAZIONE.
LA CONDUZIONE SALTATORIA
LE FIBRE MIELINICHE CONDUCONO A VELOCITÀ MOLTO SUPERIORE. CIÒ AVVIENE PERCHÉ NELLE FIBRE MIELINICHE SI VERIFICA UN
ALTRO MECCANISMO DI CONDUZIONE: LA CONDUZIONE A SALTI.
È NOTO COME NELLE FIBRE MIELINICHE LA GUAINA NON È CONTINUA, ESSENDO INTERROTTA IN CORRISPONDENZA DEI COSIDDETTI
NODI DI RANVIER. I NODI SI TROVANO A DIVERSE DISTANZE, A SECONDA DEI DIFFERENTI TIPI DI FIBRE, MA IN GENERALE LE DISTANZE
INTERNODALI SONO MAGGIORI NELLE FIBRE PIÙ GROSSE RISPETTO A QUELLE PIÙ SOTTILI.
LA TEORIA DELLA CONDUZIONE SALTATORIA È BASATA SUL FATTO CHE L’IMPULSO SI GENERA ATTIVAMENTE SOLO A LIVELLO DEL
NODO DI RANVIER, PERCHÉ È QUESTA LA REGIONE CHE SUBISCE UNA DEPOLARIZZAZIONE. TUTTAVIA, PER LA PRESENZA DELLA
MIELINA, NON PUÒ SVILUPPARSI UNA CORRENTE LOCALE, COME INVECE AVVIENE NELLA FIBRA AMIELINICA. IN EFFETTI, IN
CORRISPONDENZA DELLA GUAINA MIELINICA LA RESISTENZA ALL’ATTRAVERSAMENTO DELLA MEMBRANA È TROPPO ELEVATA, E LA
CORRENTE GENERATA NELLA REGIONE DEPOLARIZZATA DEVE VIAGGIARE LUNGO L’INTERNO DELLA FIBRA, FINCHÈ RAGGIUNGE IL
NODO SUCCESSIVO; QUI LA CORRENTE ESCE DALLA FIBRA E RITORNA ALLA REGIONE DEPOLARIZZATA ORIGINARIAMENTE,
PASSANDO LUNGO L’ESTERNO DELLA GUAINA MIELINICA. IN QUESTO MODO L’IMPULSO SALTA DA UN NODO A QUELLO
SUCCESSIVO, RIDUCENDO LA DURATA DEL PROCESSO DI PROPAGAZIONE.
LEGGI GENERALI DELLA CONDUZIONE NERVOSA
LEGGE DELL’INTEGRITÀ DI STRUTTURA: UN NERVO SEZIONATO CESSA DI CONDURRE L’IMPULSO OLTRE LA SEZIONE, ANCHE SE I DUE
MONCONI VENGONO RIACCOSTATI CON CURA.
LEGGE DELLA CONDUZIONE ISOLATA: LE FIBRE DI UNO STESSO NERVO NON COMUNICANO L’UNA ALL’ALTRA GLI IMPULSI CHE LE
PERCORRONO. I SOLI PUNTI DOVE I NEURONI TRASMETTONO L’IMPULSO SONO LE LORO ESTREMITÀ.
LEGGE DELLA CONDUZIONE INDIFFERENTE: QUANDO UNA FIBRA NERVOSA VIENE ECCITATA PER L’APPLICAZIONE DI UNO STIMOLO
ELETTRICO, L’IMPULSO CHE SI ORIGINA VIENE PROPAGATO IN DOPPIA DIREZIONE. SE IN CONDIZIONI NORMALI
L’IMPULSO VIAGGIA SOLO IN UNA DETERMINATA DIREZIONE, IL MOTIVO CONSISTE NEL FATTO CHE IL NEURONE
PUÒ FARLO NASCERE ESCLUSIVAMENTE IN UNA DELLE SUE ESTREMITÀ. ESISTONO INOLTRE ALTRE RAGIONI
DELLA PROPAGAZIONE UNIDIREZIONALE: NON SOLO IL POTENZIALE D’AZIONE È SEGUITO DA UN PERIODO DI
REFRATTARIETÀ ASSOLUTA, MA VIENE A INSTAURARSI UN FUGACE ABBASSAMENTO DELL’ECCITABILITÀ; QUESTO
EFFETTO RENDE IMPOSSIBILE UNA PROPAGAZIONE RETROGRADA DEL POTENZIALE D’AZIONE.
LEGGE DELLA CONDUZIONE SENZA DECREMENTO: UN POTENZIALE D’AZIONE RIMANE SEMPRE DELLA STESSA INTENSITÀ, SENZA
AUMENTARLA O DIMINUIRLA. QUANDO IL POTENZIALE D’AZIONE RAGGIUNGE IL PUNTO IN CUI L’ASSONE SI
RAMIFICA, SI DIVIDE ANCH’ESSO, MA NON MODIFICA LA SUA INTENSITÀ NELLE VARIE RAMIFICAZIONI.
VELOCITÀ DI CONDUZIONE DEI NERVI
LA VELOCITÀ DI CONDUZIONE È UNA CARATTERISTICA SPECIFICA DI OGNI TIPO DI FIBRA NERVOSA, E PERTANTO ESSA È
INDIPENDENTE DALLA NATURA E DALL’INTENSITÀ DELLO STIMOLO.
• ENTRO CERTI LIMITI DI TEMPERATURA, LE FIBRE CONDUCONO A VELOCITÀ MAGGIORE MAN MANO CHE LA TEMPERATURA SALE;
AL CONTRARIO, LA VELOCITÀ DECRESCE QUANDO LA TEMPERATURA SI ABBASSA. SU QUESTO FENOMENO SI BASA L’USO DEL
FREDDO PER ANESTETIZZARE LA CUTE.
• LE FIBRE MIELINICHE CONDUCONO MOLTO PIÙ VELOCEMENTE RISPETTO ALLE FIBRE AMIELINICHE DI UGUALE CALIBRO.
• LA VELOCITÀ È LEGATA AL DIAMETRO DELLE FIBRE: NELLE FIBRE PIÙ GROSSE LA RESISTENZA ELETTRICA RISULTEREBBE MINORE.
CLASSIFICAZIONE DELLE FIBRE NERVOSE: LE FIBRE NERVOSE SONO STATE CLASSIFICATE A SECONDA DEL LDIAMETRO E DELLE PROPRIETÀ.
UNA PRIMA CLASSIFICAZIONE SI DEVE A ERLANGER E GASSER. LA SECONDA CLASSIFICAZIONE È STATA EFFETTUATA DA LLOYD
ESSA PRENDE IN CONSIDERAZIONE SIA FIBRE MOTORIE CHE E PRENDE IN CONSIDERAZIONE SOLO FIBRE SENSITIVE. LLOYD
SENSITIVE E DISTINGUE TRE TIPI DI FIBRE: A, B E C. RIPARTÌ LE FIBRE SENSITIVE IN 4 GRUPPI: I, II, III E IV.
• LE FIBRE DEL GRUPPO A SONO MIELINICHE. SONO FIBRE • LE FIBRE DEL GRUPPO I SONO MIELINICHE E DI GROSSO
CEREBROSPINALI MOTRICI E SENSITIVE. DIAMETRO. SI TRATTA DI FIBRE PROPRIOCETTIVE (conducono
• LE FIBRE DEL GRUPPO B SONO ANCH’ESSE MIELINICHE. SONO informazioni originate dall’interno del corpo).
LE FIBRE PREGANGLIARI DEL SISTEMA NERVOSO VEGETATIVO • LE FIBRE DEL GRUPPO II SONO FIBRE SIA PROPRIOCETTIVE SIA
(sia ortosimpatico che parasimpatico). ESTEROCETTIVE (conducono impulsi originati da stimoli
• LE FIBRE DEL GRUPPO C SONO AMIELINICHE. SONO LE FIBRE provenienti dall’esterno). LE FIBRE ESTEROCETTIVE DEL GRUPPO
ORTOSIMPATICHE POSTGANGLIARI; ESSE SONO CONTENUTE II ORIGINANO DALLA CUTE E TRASPORTANO INFORMAZIONI
ANCHE NELLE RADICI DORSALI DEL MIDOLLI SPINALE E DELLA SENSIBILITÀ TATTILE E DI PRESSIONE.
CONDUCONO IMPULSI DOLORIFICI, SOPRATTUTTO DI ORIGINE • LE FIBRE DEL GRUPPO III SONO MIELINICHE E TRASPORTANO
CUTANEA. IMPULSI TERMO-DOLORIFICI E SONO RESPONSABILI DEL
RIFLESSO NOCICETTIVO (riflesso che ci fa contrarre un arto
involontariamente, allontanandolo dalla fonte di dolore).
• LE FIBRE DEL GRUPPO IV SONO AMIELINICHE E
TRASPORTANO ANCH’ESSE IMPULSI DOLORIFICI.
LE INFORMAZIONI DOLORIFICHE VENGONO VEICOLATE SIA DALLE FIBRE DEL GRUPPO III CHE DA QUELLE DEL GRUPPO IV, MA È IL
DOLORE PUNGENTE, LANCINANTE VIENE TRASPORTATO DALLE FIBRE DEL GRUPPO III A MAGGIORE VELOCITÀ DI CONDUZIONE,
PERCHÉ MIELINIZZATE, MENTRE IL DOLORE CRONICO VIENE TRASPORTATO DALLE FIBRE DEL GRUPPO IV, A PIÙ BASSA VELOCITÀ DI
CONDUZIONE.
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3 – La comunicazione tra neuroni


Il tipo principale di comunicazione tra i neuroni è la trasmissione sinaptica; lo strumento usato per
trasmettere questi messaggi è il neurotrasmettitore, rilasciato dai bottoni terminali. I neurotrasmettitori si
diffondono nello spazio che si trova tra i bottoni terminali e le membrane dei neuroni con cui questi formano
sinapsi. I neurotrasmettitori esercitano i loro effetti sulle cellule agganciandosi a una regione particolare della
molecola recettore, chiamata sito di legame. Una molecola di un dato agente chimico si adatta al sito di legame
proprio come una chiave alla serratura.
La struttura delle sinapsi
Le sinapsi possono stabilirsi in tre punti di una cellula: sui dendriti, sul soma e sugli assoni; verranno
rispettivamente chiamate: sinapsi assodendritiche, sinapsi assosomatichee sinapsi assoassoniche.
La membrana presinaptica, collocata alla fine del bottone terminale, si contrappone alla membrana
postsinaptica, che si trova sul neurone che riceve il messaggio. Queste due membrane si fronteggiano da una
parte e dall’altra della fessura sinaptica, uno spazio vuoto di dimensioni variabili da sinapsi a sinapsi. La fessura
sinaptica contiene del fluido extracellulare, attraverso il quale si diffonde il neurotrasmettitore.
Le vescicole sinaptiche sono piccole strutture di forma arrotondata o ovoidale. Ciascun bottone
terminale può contenere da poche centinaia a quasi un milione di vescicole sinaptiche. Le vescicole sinaptiche
sono presenti con la massima concentrazione nelle vicinanze della membrana postsinaptica, vicino alla zona di
rilascio, la regione da cui è rilasciato il neurotrasmettitore.

LA RELAZIONE TRA DUE NEURONI AVVIENE ATTRAVERSO DUE TIPI DI COMUNICAZIONE: LE SINAPSI ELETTRICHE E LE SINAPSI CHIMICHE.
SINAPSI DI TIPO ELETTRICO
LE SINAPSI DI TIPO CHIMICO SONO MENO DIFFUSE. ESSE CONSENTONO UNA TRASMISSIONE RAPIDA, MA NON PERMETTONO UNA
MODULAZIONE DELLA TRASMISSIONE, NÉ L’INVIO DI SEGNALI INIBITORI.
LA SINAPSI ELETTRICA VIENE ANCHE INDICATA COL IL TERMINA GAP JUNCTION (giunzione comunicante) E COMPRENDE UN CERTO
NUMERO DI STRUTTURE CHE PERMETTONO LA COMUNICAZIONE TRA MEMBRANA PRE- E POST-SINAPTICA. CIASCUNA DI QUESTE
STRUTTURE È COSTITUITA DA DUE EMI-CILINDRI, APPARTENENTI UNO ALLA CELLULA PRESINAPTICA E UNO ALLA CELLULA
POSTSINAPTICA: LE DUE PORZIONI VENGONO A CONTATTO A LIVELLO DELLA FESSURA SINAPTICA, VENENDOSI A FORMARE UN
CANALE DI COMUNICAZIONE DIRETTA TRA I CITOPLASMI DELLE CELLULE. L’EMI-CANALE IN QUESTIONE È CHIAMATO
“CONNESSIONE” ED È FORMATO A SUA VOLTA DA SEI SUB-UNITÀ CHE CONSENTONO L’APERTURA E LA CHIUSURA DEL CANALE
RUOTANDO IN MODO SIMILE AGLI ELEMENTI DI UN DIAFRAMMA DI UNA CAMERA OSCURA. ATTRAVERSO TALE TIPO DI CANALE
PASSA UNA CERTA QUANTITÀ DI CORRENTE CHE TRASFERISCE CARICHE POSITIVE SULLA FACCIA INTERNA DELLA MEMBRANA
POSTSINAPTICA, DEPOLARIZZANDOLA.
LA MAGGIOR PARTE DELLE TRASMISSIONI SINAPTICHE ELETTRICHE AVVIENE IN ENTRAMBE LE DIREZIONI, E QUESTA È UNA
CARATTERISTICA CHE LE CONTRADDISTINGUE RISPETTO ALLE SINAPSI DI TIPO CHIMICO, CHE TRASMETTONO IN UN’UNICA DIREZIONE.
FUNZIONI DELLE SINAPSI ELETTRICHE: GRAZIE ALL’ALTA VELOCITÀ DI TRASMISSIONE, LE SINAPSI ELETTRICHE HANNO UN RUOLO
PREDOMINANTE IN CERTE AZIONI CHE SI SVOLGONO CON ESTREMA RAPIDITÀ, COME AD ESEMPIO LE REAZIONI DI DIFESA.
SINAPSI DI TIPO CHIMICO
LE GIUNZIONI DELLE SINAPSI DI TIPO CHIMICO POSSEGGONO PARTICOLARI PROPRIETÀ MORFOLOGICHE O FUNZIONALI PER CUI
RISULTANO DIFFERENTI DA QUELLE DELLE SINAPSI DI TIPO ELETTRICO.
FESSURA SINAPTICA: DUE CELLULE NEURONALI CONTIGUE SONO SEPARATE DA UNA FESSURA SINAPTICA PIÙ AMPIA DI QUELLA
DELLE SINAPSI ELETTRICHE.
TERMINAZIONI PRESINAPTICHE: SONO MORFOLOGICAMENTE SPECIALIZZATE: SI PRESENTANO CON ESTREMITÀ APPIATTITE
DENOMINATE BOTTONI SINAPTICI. ALL’INTERNO DEI BOTTONI SINAPTICI STANNO RACCHIUSE LE COSIDDETTE VESCICOLE
SINAPTICHE CONTENENTI IL NEUROTRASMETTITORE. LA FUNZIONE DELLE VESCICOLE È MULTIPLA: PERCORRONO L’ASSONE,
TRASPORTANDO IL NEUROTRASMETTITORE DAL SOMA VERSO IL TERMINALE NERVOSO PRESINAPTICO; LA SINTESI DEL
TRASMETTITORE SI COMPLETA NELLE VESCICOLE; IMMAGAZZINANO I NEUROTRASMETTITORI FINO A QUANDO ESSI NON
VENGONO RILASCIATI; UNA VOLTA RILASCIATO, IL NEUROTRASMETTITORE PUÒ ESSERE RICAPTATO DAL TERMINALE
PRESINAPTICO. LA RICAPTAZIONE RENDE DISPONIBILE UNA CERTA QUANTITÀ DI NEUROTRASMETTITORE, PER CUI IL FENOMENO
DELLA RICAPTAZIONE NE FA RALLENTARE LA NUOVA SINTESI.
RILASCIO DEI NEUROTRASMETTITORI: QUANDO UN NEURONE PRESINAPTICO SI DEPOLARIZZA, LE SUE TERMINAZIONI ASSONICHE
RILASCIANO IL NEUROTRASMETTITORE NELLA FESSURA SINAPTICA. IL RILASCIO AVVIENE PER UN MECCANISMO DI ESOCITOSI. IL
FENOMENO DELL’ESOCITOSI È CALCIO-DIPENDENTE, POICHÉ L’APERTURA DELLE VESCICOLE VIENE PROMOSSA
DALL’INGRESSO DI CALCIO NEL BOTTONE. UNA VOLTA RIVERSATO IL NEUROTRASMETTITORE, LE MEMBRANE VESCICOLARI
VENGONO RECUPERATE INDIETRO PER RICOMPORRE LE VESCICOLE ALL’INTERNO DEL BOTTONE.
RITARDO SINAPTICO: POICHÉ UN POTENZIALE POSTSINAPTICO POSSA GENERARSI SI IMPIEGA UN CERTO TEMPO: DEVE PRIMA
DEPOLARIZZARSI LA MEMBRANA PRESINAPTICA, CUI SEGUE L’APERTURA DEI CANALI CA++, DEVONO POI ROMPERSI LE
VESCICOLE SINAPTICHE PER RIVERSARE IL NEUROTRASMETTITORE NELLA FESSURA SINAPTICA; IL NEUROTRASMETTITORE DEVE
QUINDI LEGARSI A RECETTORI SPECIFICI DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA, PER CULMINARE CON LA DEPOLARIZZAZIONE
POSTSINAPTICA. UNA SEQUENZA DI EVENTI COSÌ NUMEROSI GIUSTIFICA IL RITARDO CHE SI RISCONTRA NELLE SINAPSI DI TIPO
CHIMICO RISPETTO A QUELLE DI TIPO ELETTRICO.
FATICA SINAPTICA: QUANDO UN NEURONE PRESINAPTICO VIENE STIMOLATO CON IMPULSI ELETTRICI, INIZIALMENTE IL NUMERO
DI IMPULSI POSTSINAPTICI CHE NE RISULTA È MOLTO ELEVATO; SE LA STIMOLAZIONE PERSISTE, LA FREQUENZA DELLE RISPOSTE
POSTSINAPTICHE DIMINUISCE QUASI IMMEDIATAMENTE. LA CAUSA PIÙ PROBABILE DELLA FATICA SINAPTICA SAREBBE
L’ESAURIMENTO DELLE RISERVE DEL NEUROTRASMETTITORE.
POTENZIAMENTO POST-TETANICO: SE UNA SINAPSI VIENE STIMOLATA AD ALTA FREQUENZA PER UN CERTO TEMPO, SI OTTIENE
UNA SCARICA DI POTENZIALI POSTSINAPTICI; SE SI FA CESSARE PER BREVE TEMPO LA STIMOLAZIONE, E LA SI RIPRENDE POI CON
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LA STESSA FREQUENZA DI PRIMA, LA RISPOSTA POSTSINAPTICA SARÀ MOLTO MAGGIORE. IL POTENZIAMENTO SAREBBE
DOVUTO AD UN ACCUMULO DI IONI CALCIO NELLE TERMINAZIONI PRESINAPTICHE, IL CHE FAVORISCE UN MAGGIORE
RILASCIO DI NEUROTRASMETTITORE NON APPENA SOPRAGGIUNGE LA SECONDA STIMOLAZIONE.
LEGAME DEL NEUROTRASMETTITORE CON IL RECETTORE DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA: NON APPENA IL
NEUROTRASMETTITORE VIENE RILASCIATO NELLA FESSURA SINAPTICA, ESSO VIENE CAPTATO DA RECETTORI SPECIFICI PRESENTI
NELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA E SI LEGA CON ESSI. IL LEGAME NEUROTRASMETTITORE-RECETTORE DETERMINA A SUA
VOLTA L’APERTURA DI CANALI IONICI NELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA, CON UN EFFETTO FINALE: UNA DEPOLARIZZAZIONE
O IPERPOLARIZZAZIONE DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA.
I RECETTORI DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA CON CUI I NEUROTRASMETTITORI INTERAGISCONO PRESENTANO DUE
IMPORTANTI COMPONENTI STRUTTURALI:
• UN COMPONENTE LEGANTE, CHE PROTRUDE NELLA FESSURA SINAPTICA E CAPTA IL NEUROTRASMETTITORE;
• UN COMPONENTE IONOFORO, CHE INVECE PROTRUDE ALL’INTERNO DEL NEURONE POSTSINAPTICO. A SUA VOLTA LO
IONOFORO È DI DUE TIPI:
• IONOTROPICO, QUANDO È FORMATO DA UN CANALE IONICO ATTIVATO CHIMICAMENTE;
• METABOTROPICO, QUANDO È COSTITUITO DA UN ENZIMA CHE ATTIVA UNA SERIE DI REAZIONI METABOLICHE
ALL’INTERNO DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA.
DISATTIVAZIONE DEI NEUROTRASMETTITORI:DOPO CHE IL NEUROTRASMETTITORE HA INTERAGITO CON IL SUO RECETTORE, VIENE
RILASCIATO INDIETRO NELLA FESSURA SINAPTICA E DA QUI SCOMPARE IN BREVE TEMPO. I MECCANISMI GRAZIE AI QUALI IL
NEUROTRASMETTITORE VIENE RIMOSSO SONO DIVERSI:
• SE SI TRATTA DI NEUROTRASMETTITORI A BASSO PESO MOLECOLARE, LA RIMOZIONE AVVIENE MOLTO RAPIDAMENTE PER
DIFFUSIONE NEI LIQUIDI CIRCOSTANTI, PER RICAPTAZIONE DA PARTE DELL’ELEMENTO PRESINAPTICO O PER DEGRADAZIONE
MEDIANTE ENZIMI SPECIFICI;
• LA DISATTIVAZIONE DEI NEUROPEPTIDI AVVIENE INVECE IN UN TEMPO PIÙ LUNGO ED È DOVUTA PRINCIPALMENTE A
DIFFUSIONE NEI TESSUTI CIRCOSTANTI, SEGUITA DA DISTRUZIONE AD OPERA DI ENZIMI SPECIFICI.
EFFETTI FISIOLOGICI DEI NEUROTRASMETTITORI SULLA MEMBRANA POSTSINAPTICA
ALCUNI RECETTORI POSTSINAPTICI PROVOCANO EFFETTI ECCITATORI NEL NEURONE POSTSINAPTICO, MENTRE ALTRI
INDUCONO EFFETTI INIBITORI.
EFFETTI ECCITATORI: GLI EFFETTI ECCITATORI POSSONO INSTAURARSI NELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA ATTRAVERSO TRE MECCANISMI:
• APERTURA DI CANALI Na+NELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA: TALE MECCANISMO È QUELLO PIÙ COMUNE E
PERMETTE L’ENTRATA DI UN GRAN NUMERO DI CARICHE POSITIVE ALL’INTERNO DELLA MEMBRANA
POSTSINAPTICA.
• DIMINUZIONE DELLA PERMEABILITÀ POSTSINAPTICA AGLI IONI K+ E AGLI IONI Cl-:A CAUSA DI CIÒ GLI IONI
POSITIVI RESTEREBBERO IMPRIGIONATI ALL’INTERNO E QUELLI NEGATIVI RIMARREBBERO BLOCCATI
ALL’ESTERNO. IN ENTRAMBI I CASI IL RISULTATO CONSISTE IN UN AUMENTO DELLA POSITIVITÀ
INTRACELLULARE, CON EFFETTO DEPOLARIZZANTE.
• AUMENTO DEI RECETTORI ECCITATORI E DIMINUZIONE DI QUELLI INIBITORI: IN TAL MODO AUMENTA IL NUMERO DI
SITI DOVE UN NEUROTRASMETTITORE ECCITATORIO PUÒ LEGARSI PER PRODURRE DEPOLARIZZAZIONE DELLA
MEMBRANA POSTSINAPTICA.
EFFETTI INIBITORI: PER GLI EFFETTI ECCITATORI SONO IMPLICATI TRE MECCANISMI AVENTI SEDE NELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA:
• APERTURA DI CANALI Cl-NELLA MEMBRANA POST-SINAPTICA:POICHÉ GLI IONI DI CLORO SONO
PREPONDERANTI ALL’ESTERNO DELLE CELLULE, L’APERTURA DEI CANALI CLORO NE DETERMINA L’IRRUZIONE
VERSO L’INTERNO, CON AUMENTO DELLA NEGATIVITÀ INTERNA.
• AUMENTO DELLA PERMEABILITÀ DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA ALLA IONE K+:ESSENDO IL POTASSIO UNO
IONE PREVALENTEMENTE INTRACELLULARE, TALE AUMENTO FA DIFFONDERE IL POTASSIO VERSO L’ESTERNO,
E CIÒ RENDE PIÙ NEGATIVO L’INTERNO DELLA MEMBRANA.
• AUMENTO DEI RECETTORI INIBITORI E DIMINUZIONE DI QUELLI ECCITATORI: IN TAL MODO AUMENTA IL NUMERO DI
SITI DOVE IL NEUROTRASMETTITORE INIBITORIO PUÒ LEGARSI PER PRODURRE IPERPOLARIZZAZIONE NELLA
MEMBRANA POSTSINAPTICA.
EVENTI ELETTRICI INIBITORI NELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA
INIBIZIONE POST-SINAPTICA:L’INGRESSO DEL CLORO DENTRO LA CELLULA E LA FUORIUSCITA DEL POTASSIO
FANNO AUMENTARE LA NEGATIVITÀ INTERNA, COSICCHÈ IL POTENZIALE DI RIPOSO AUMENTA, CIOÈ DIVENTA PIÙ
NEGATIVO. QUESTO NUOVO EVENTO VIENE CHIAMATO POTENZIALE POSTSINAPTICO INIBITORIO E CORRISPONDE
A UNO STATO DI IPERPOLARIZZAZIONE DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA. IL POTENZIALE POSTSINAPTICO
INIBITORIO È UN POTENZIALE NON PROPAGATO ED HA UNA DURATA LIMITATA, POICHÉ LO VEDIAMO ESTINGUERSI
E DAR LUOGO IN BREVE TEMPO AL RIPRISTINO DEL POTENZIALE DI RIPOSO. LA COMPARSA DI UN POTENZIALE
POSTSINAPTICO INIBITORIO HA L’EFFETTO DI INIBIRE IL NEURONE, POICHÉ ORA LA MEMBRANA È IPERPOLARIZZATA E
PERTANTO IL POTENZIALE DI MEMBRANA RISULTA PIÙ LONTANO DALLA SOGLIA.
INIBIZIONE PRESINAPTICA: L’EFFETTO INIBITORIO PUÒ ESSERE CAUSATO DALL’ATTIVAZIONE DI SINAPSI INIBITORIE
LOCALIZZATE NON SULLA MEMBRANA POSTSINAPTICA, MA SULLA TERMINAZIONE NERVOSA PRESINAPTICA. NELLA
MAGGIOR PARTE DEI CASI IL NEUROTRASMETTITORE INIBITORIO RILASCIATO È IL GABA. QUEST’ULTIMO FA APRIRE
DEI CANALI PER IL CLORO, COSICCHÈ QUESTI PENETRANO ALL’INTERNO DELLA TERMINAZIONE NERVOSA. TALE
INGRESSO DI IONI NEGATIVI INTERFERISCE CON LA POSITIVITÀ INTERNA CHE SI È INSTAURATA NELLA TERMINAZIONE
PRESINAPTICA CON IL SOPRAGGIUNGERE DEL POTENZIALE D’AZIONE; QUEST’ULTIMO VIENE PERCIÒ
ENORMEMENTE RIDOTTO E DIVENTA PIÙ DIFFICILE CHE ESSO POSSA ECCITARE IL BOTTONE PRESINAPTICO.
SOSTANZE CON FUNZIONE NEUROTRASMETTITORIALE
LE SOSTANZE CHIMICHE PER LE QUALI È STATA IPOTIZZATA LA FUNZIONE NEUROTRASMETTITORIALE SONO PIÙ DI UNA
QUARANTINA. TALE NUMERO COSÌ ELEVATO CI INDICA CHE A LIVELLO DELLE GIUNZIONI SINAPTICHE ESISTE UNA GRANDE
COMPLESSITÀ DI MECCANISMI DIFFERENZIATI.
I NEUROTRASMETTITORI SONO MOLECOLE DI DIVERSA NATURA, CHE VENGONO SPECIFICATAMENTE UTILIZZATE DAL SISTEMA
NERVOSO CENTRALE COME MESSAGGERI EXTRACELLULARI: UNA VOLTA LIBERATI DALL’ELEMENTO PRESINAPTICO, E LAGATISI A
RECETTORI DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA, SONO CAPACI DI EVOCARE IN QUEST’ULTIMA RISPOSTE DI TIPO DIVERSO.
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POLIVALENZA FUNZIONALE E UNICITÀ DEI NEURONI TRASMETTITORI


POLIVALENZA FUNZIONALE: UNO STESSO NEUROTRASMETTITORE PUÒ PROVOCARE EFFETTI DIVERSI, TALVOLTA
ECCITATORI, TALVOLTA INIBITORI, A SECONDA CHE TROVI NELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA UN RECETTORE SPECIFICO
CUI LEGARSI.
UNICITÀ: NEL PASSATO SI È RITENUTO CHE UN NEURONE MATURO UTILIZZA UN UNICO MEDIATORE IN TUTTE LE SINAPSI CHE
LE SUE VARIE RAMIFICAZIONI RAGGIUNGONO; OGGI PERÒ SI È DIMOSTRATO CHE MOLTI NEURONI MATURI SONO
CAPACI DI SECERNERE PIÙ DI UN MEDIATORE.
PRINCIPALI NEUROTRASMETTITORI
NEUROTRASMETTITORI A BASSO PESO MOLECOLARE: SONO CARATTERIZZATI DALLA RAPIDITÀ DELLA LORO AZIONE E
SONO RESPONSABILI DELLA MASSIMA PARTE DELLE RISPOSTE IMMEDIATE DEL SISTEMA NERVOSO.
ACETILCOLINA: È PRESENTE IN MOLTI NEURONI DELLA CORTECCIA MOTRICE, DEI GANGLI DELLA BASE, DEI
MOTONEURONI CHE INNERVANO I MUSCOLI SCHELETRICI. GLI EFFETTI SONO QUASI SEMPRE ECCITATORI.
NORADRENALINA: È PRESENTE IN NEURONI DEL LOCUS COERULEUS ED ESERCITA AZIONE DI CONTROLLO
DELL’ATTIVITÀ CEREBRALE E DELL’UMORE, AUMENTANDO IL LIVELLO DI VIGILANZA. DÀ QUASI SEMPRE EFFETTI
ECCITATORI, RARAMENTE INIBITORI.
DOPAMINA: HA UN’ENORME IMPORTANZA NEL SNC; IL SUO EFFETTO È QUASI SEMPRE INIBITORIO.
SEROTONINA: VIENE PRODOTTA IN NEURONI RETICOLARI BULBO-PONTO-MESENCEFALICI, MA SOPRATTUTTO NEI
NUCLEI DEL RAFE. LE PROIEZIONI SEROTONINERGICHE RAGGIUNGONO LE CORNA POSTERIORI DEL MIDOLLO
SPINALE E L’IPOTALAMO. È NOTO IL SUO RUOLO INIBITORIO NELLE AFFERENZE DOLORIFICHE DEL MIDOLLO SPINALE
E SI RITIENE CHE PARTECIPI ANCHE AL CONTROLLO DELL’UMORE E AI MECCANISMI DEL SONNO.
GLUTAMMATO E ASPARTATO: SONO INDICATI COME AMMINOACIDI ECCITATORI, PER IL LORO EFFETTO
PREVALENTE. SONO PRESENTI IN MOLTI CIRCUITI DELLA SFERA MOTORIA E DELLA SENSIBILITÀ IN MOLTE AREE DELLA
CORTECCIA.
GLICINA: AMMINOACIDO PRESENTE IN SINAPSI DEL MIDOLLO SPINALE, CON EFFETTI SEMPRE INIBITORI.
GABA: È RICONOSCIUTO COME IL NEUROTRASMETTITORE INIBITORE PER ECCELLENZA. NEURONI GABAERGICI
SONO PRESENTI NELLA CORTECCIA DELL’IPPOCAMPO E DEL CERVELLETTO E NEL MIDOLLO SPINALE.
OSSIDO NITRICO: È STATO SCOPERTO PIÙ DI RECENTE. RISPETTO AGLI ALTRI NEUROTRASMETTITORI A BASSO PESO
MOLECOLARE NON SI ACCUMULA NELLE VESCICOLE DELLE TERMINAZIONI PRESINAPTICHE, POICHÉ VIENE
SINTETIZZATO QUASI INTERAMENTE SOLO QUANDO È NECESSARIO, E SI DIFFONDE NELLA FESSURA SINAPTICA PER
ALCUNI SECONDI. L’OSSIDO NITRICO NON PROVOCA EVIDENTI DEPOLARIZZAZIONI DELLA MEMBRANA
POSTSINAPTICA, MA INDUCE VARIAZIONI NEL METABOLISMO DEL NEURONE, CHE A LORO VOLTA PORTANO A
PROLUNGATE MODIFICAZIONI DELLA SUA ECCITABILITÀ. È PRESENTE SOPRATTUTTO IN AREE DELL’ENCEFALO
RESPONSABILI DEL COMPORTAMENTO E DELLA MEMORIA.
NEUROPEPTIDI: QUESTO GRUPPO COMPRENDE SOSTANZE DI NATURA PROTEICA E PERCIÒ CON DIMENSIONI MOLTO
MAGGIORI DI QUELLI A BASSO PESO MOLECOLARE. UN’ALTRA CARATTERISTICA CHE DIFFERENZIA I NEUROPEPTIDI DAI
NEUROTRASMETTITORI A BASSO PESO MOLECOLARE È LA LENTEZZA DELLA LORO AZIONE. DI QUESTO GRUPPO FANNO
PARTE ORMONI IPOTALAMICI (tireotropine, lutenizzante, somatostatina), ORMONI PANCREATICI (insulina, glucagone),
PEPTIDI ATTIVI SUL TUBO DIGERENTE E SULL’ENCEFALO. RISPETTO AI NEUROTRASMETTITORI A BASSO PESO MOLECOLARE, I
NEUROPEPTIDI PRESENTANO DUE IMPORTANTI CARATTERISTICHE: SONO DOTATI DI ALTISSIMA ATTIVITÀ, E PER QUESTO
MOTIVO AGISCONO ANCHE SE LIBERATI IN PICCOLE PARTI; AGISCONO LENTAMENTE MA IN MODO PROLUNGATO.
ALCUNI NEUROPEPTIDI SI TROVANO IN REGIONI CEREBRALI COINVOLTE NELLA PERCEZIONE DEL DOLORE E NELLA
EMOTIVITÀ. TRA QUESTI SONO NOTI DUE GRUPPI DI SOSTANZE SIMILI A DERIVATI DELL’OPPIO: ENDORFINE ED ENCEFALINE.
SOSTANZA P: È UN PEPTIDE A 11 AMMINOACIDI. SI TROVA IN ALTE CONCENTRAZIONI IN ALCUNI NEURONI DEI
GANGLI SPINALI, NEI NUCLEI DELLA BASE, NELL’IPOTALAMO E NELLA CORTECCIA CEREBRALE. LA SOSTANZA P È
STATA PROPOSTA COME NEUROTRASMETTITORE DELLE FIBRE SENSITIVE DELLE RADICI DORSALI CHE TERMINANO
NELLA SOSTANZA GELATINOSA DEL MIDOLLO SPINALE E CHE FANNO PARTE DELLE VIE SENSITIVE DEL DOLORE.
NELL’ENCEFALO LA SOSTANZA P SAREBBE IL NEUROTRASMETTITORE DEL SISTEMA STRIATO-NIGRALE, CON FUNZIONE
DI MODULAZIONE DELL’ATTIVITÀ MOTORIA.

gli effetti dei potenziali postsinaptici: l’integrazione neuronale


L’interazione degli effetti delle sinapsi eccitatorie e inibitorie su un particolare neurone è chiamata integrazione neuronale.
Il rilascio del neurotrasmettitore produce potenziali postsinaptici eccitatori nei dendriti del neurone. Questi potenziali
postsinaptici eccitatori sono quindi trasmessi lungo i dendriti e il soma fino al monticolo assonico, localizzato alla base
dell’assone. Se la depolarizzazione è ancora abbastanza forte quando raggiunge questo punto, l’assone scaricherà. I
potenziali postsinaptici inibitori sono iperpolarizzanti, cioè allontanano il potenziale di membrana dalla soglia di attivazione;
perciò essi tendono ad annullare gli effetti dei potenziali postsinaptici eccitatori. La frequenza di scarica di un neurone è
controllata dall’attività relativa delle sinapsi eccitatorie e di quelle inibitorie sui suoi dendriti e sul soma: se l’attività delle
sinapsi eccitatorie aumenta, anche la frequenza di scarica aumenta; se invece aumenta l’attività delle sinapsi inibitorie, la
frequenza di scarica diminuisce. Bisogna porre attenzione al fatto che l’inibizione neuronale non produce
incondizionatamente un’inibizione comportamentale. Per esempio, supponiamo che un gruppo di neuroni inibisca un certo
movimento; se questi neuroni sono a loro volta inibiti, essi non possono più sopprimere il comportamento; perciò
l’inibizione di neuroni inibitori di fatto aumenta la probabilità che il comportamento si verifichi.
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Gli autorecettori
I recettori postsinaptici rilevano la presenza di un neurotrasmettitore nella fessura sinaptica e danno inizio ai potenziali
postsinaptici eccitatori o inibitori. Ma la membrana postsinaptica non è l’unico luogo in cui si trovano i recettori selettivi per
quel neurotrasmettitore: molti neuroni, infatti, possiedono anche recettori che corrispondono al neurotrasmettitore che
essi stessi rilasciano, e sono chiamati autorecettori. Gli autorecettori possono trovarsi in qualsiasi punto della cellula, ma si
trovano più frequentemente sul bottone terminale. Nella maggior parte dei casi gli autorecettori non controllano canali
ionici. Di conseguenza, quando sono stimolati da una molecola di un neurotrasmettitore, non inducono cambiamenti nel
potenziale di membrana del bottone terminale, bensì regolano alcuni processi interni della cellula, compreso la sintesi e il
rilascio del neurotrasmettitore stesso. La maggioranza degli studiosi ritiene che gli autorecettori facciano parte di un
sistema di regolazione che tiene sotto controllo la quantità di neurotrasmettitore rilasciata.

FISIOLOGIA GENERALE DEI RECETTORI SENSORIALI


DEFINIZIONI E FUNZIONI GENERALI
I RECETTORI SENSORIALI SONO MICROSTRUTTURE SPECIALIZZATE CHE POSSONO ESSERE ATTIVATE DA ALTERAZIONI ENERGETICHE
DELL’AMBIENTE ESTERNO, OLTRE CHE DA MODIFICAZIONI CHE SI VERIFICANO DENTRO L’ORGANISMO STESSO.
NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI I RECETTORI NON SONO ALTRO CHE TERMINAZIONI PERIFERICHE DI FIBRE SENSITIVE. L’ESTREMITÀ DI
QUESTE FIBRE APPARE TRASFORMATA IN MODO DIVERSO SECONDO IL TIPO DI RECETTORE CONSIDERATO, ED È PROPRIO LA DIVERSITÀ
MORFOLOGICA CHE RENDE UN RECETTORE SENSIBILE SOLO AD UNA DELLE MOLTEPLICI VARIAZIONI ENERGETICHE CHE POSSONO
ESSERE APPLICATE. I RECETTORI FUNZIONANO COME TRASDUTTORI DI ENERGIA, IN QUANDO SONO CAPACI DI TRASFORMARE I PIÙ
DIAPARATI TIPI DI ENERGIA IN ENERGIA ELETTRICA, E PIÙ PRECISAMENTE IN POTENZIALI D’AZIONE CHE VENGONO VEICOLATI VERSO IL
SNC LUNGO LE FIBRE AFFERENTI SENSITIVE. L’INFORMAZIONE FORNITA DAI NERVI SENSORIALI DEL SNC PUÒ AVERE UNA DUPLICE
DESTINAZIONE: DETERMINARE RISPOSTE RIFLESSE; UNA VOLTA DECODIFICATA E ANALIZZATA DAI CENTRI SUPERIORI, DETERMINERÀ UNA
SENSAZIONE.
SPECIFICITÀ DEI RECETTORI
I RECETTORI VENGONO ATTIVATI SOLO DA STIMOLAZIONI ADEGUATE: I RECETTORI VISIVI DALLE ONDE LUMINOSE, QUELLI ACUSTICI
DALLE ONDE SONORE. UN RECETTORE VIENE CONSIDERATO SPECIFICO PER UN DETERMINATO TIPO DI STIMOLO SOLO QUANDO
QUEST’ULTIMO È CAPACE DI ATTIVARLO CON UNA INTENSITÀ PIÙ BASSA RISPETTO AD ALTRI STIMOLI.
RELAZIONI TRA INTENSITÀ DI STIMOLAZIONE E ATTIVAZIONE RECETTORIALE
PER GIUDICARE DEGLI EFFETTI DELLA STIMOLAZIONE DI UN RECETTORE, SI PRENDONO IN ESAME LE SCARICHE DI POTENZIALI D’AZIONE
DA PARTE DELLA SINGOLA FIBRA AFFERENTE CHE PRENDE ORIGINE DAL RECETTORE STESSO. UN MICROELETTRODO REGISTRA
L’ATTIVITÀ DI UNA SINGOLA FIBRA NERVOSA E SI RICERCANO GLI EVENTUALI EFFETTI DI STIMOLI DIVERSI CHE VENGONO APPLICATI
ALLA PERIFERIA RECETTORIALE. NON APPENA UNO STIMOLO SPECIFICO INVESTE IL RECETTORE CUI FA CAPO LA FIBRA STUDIATA, SI
OSSERVA CHE QUEST’ULTIMA VIENE PERCORSA DA UN CERTO NUMERO DI POTENZIALI D’AZIONE. SE SI AUMENTA L’INTENSITÀ DELLA
STIMOLAZIONE NON SI SI PUÒ ASPETTARE UN AUMENTO DELL’AMPIEZZA DEI POTENZIALI, CONSIDERATA LA LEGGE DEL TUTTO O NULLA;
INVECE, QUANDO LO STIMOLO AUMENTA DI INTENSITÀ, SI VEDRÀ AUMENTARE SIA IL NUMERO DI POTENZIALI D’AZIONE CHE
COSTITUISCONO LA RISPOSTA, SIA LA FREQUENZA CON CUI QUESTI ULTIMI SI SUCCEDONO UNO DIETRO L’ALTRO. PER TALI MOTIVI IL
RECETTORE VIENE CONSIDERATO COME UN SISTEMA A MODULAZIONE DI FREQUENZA E NON A MODULAZIONE DI AMPIEZZA.
ADATTAMENTO
IN CERTI CASI SI OSSERVA CHE STIMOLANDO UN RECETTORE PER UN CERTO TEMPO, LA SCARICA SENSORIALE DAPPRIMA COMINCIA
A DIMINUIRE DI FREQUENZA, E POI CESSA, ANCHE SE LA STIMOLAZIONE SI PROTRAE. IN QUESTO CASO SI DICE CHE IL RECETTORE SI È
ADATTATO, E IL FENOMENO VIENE INDICATO CON IL TERMINE ADATTAMENTO.
ESISTONO DEI RECETTORI A LENTO ADATTAMENTO: SONO QUELLI IN CUI PER TUTTO IL TEMPO DI APPLICAZIONE DELLO STIMOLO VIENE
MANTENUTO IL LIVELLO DI SCARICA STABILE. TIPICI RECETTORI A LENTO ADATTAMENTO SONO I FUSI NEUROMUSCOLARI.
ALTRI RECETTORI VENGONO CLASSIFICATI COME RECETTORI A RAPIDO ADATTAMENTO, IN QUANTO DOPO BREVISSIMO TEMPO
DALL’INIZIO DELL’APPLICAZIONE DELLO STIMOLO LA SCARICA CESSA DEFINITIVAMENTE. I PELI SONO RECETTORI A RAPIDO
ADATTAMENTO. L’ADATTAMENTO RAPIDO DEI RECETTORI CUTANEI RISULTA FUNZIONALE NEL DIMINUIRE IL BOMBARDAMENTO DEI
CENTRI SUPERIORI CON SEGNALI SUPERFLUI CHE FINIREBBERO PER DISTURBARE LA NOSTRA ATTENZIONE.
MECCANISMO DI FORMAZIONE DEGLI IMPULSI NEI RECETTORI
QUANDO UN RECETTORE VIENE ATTIVATO EFFICACEMENTE SI PRODUCE UNA PICCOLA VARIAZIONE DEL POTENZIALE DI RIPOSO DELLA
FIBRA NERVOSA CUI ESSO FA CAPO. SI TRATTA DI UNA DEPOLARIZZAZIONE CHE PUÒ ESSERE REGISTRATA SOLO DA REGIONI MOLTO
VICINE AL RECETTORE STESSO: SI TRATTA DI UN POTENZIALE LOCALE. IL POTENZIALE LOCALE È UN POTENZIALE GRADUATO, DAL
MOMENTO CHE L’AMPIEZZA DELLA DEPOLARIZZAZIONE DELLA MEMBRANA DEL RECETTORE AUMENTA MAN MANO CHE AUMENTA LA
FORZA DELLO STIMOLO APPLICATO.
QUANDO LA DEPOLARIZZAZIONE RAGGIUNGE UNA DETERMINATA AMPIEZZA DÀ LUOGO ALLA COMPARSA DI UNO O PIÙ POTENZIALI
D’AZIONE NELLA FIBRA AFFERENTE. LA SUDDETTA DEPOLARIZZAZIONE VIENE CHIAMATA POTENZIALE GENERATORE, IN QUANTO È
RESPONSABILE DELLA NASCITA DI UNA SCARICA AFFERENTE.
LA CONOSCENZA DEL POTENZIALE GENERATORE CI PUÒ FORNIRE UNA SPIEGAZIONE AL FENOMENO DELL’ADATTAMENTO: NEI
RECETTORI A LENTO ADATTAMENTO IL POTENZIALE GENERATORE, UNA VOLTA RAGGIUNTO IL VALORE SOGLIA PER LA COMPARSA DI
POTENZIALI D’AZIONE, SI MANTIENE AL DI SOPRA DI QUESTO VALORE PER TUTTA LA DURATA DELLA STIMOLAZIONE, ED ALLORA LA
SCARICA AFFERENTE PERDURA; INVECE, NEI RECETTORI A RAPIDO ADATTAMENTO IL POTENZIALE GENERATORE, PUR PERSISTENDO LA
STIMOLAZIONE, NON RIESCE A MANTENERSI A LUNGO E CADE RAPIDAMENTE AL DI SOTTO DEL LIVELLO DI SOGLIA, CON
CONSEGUENTE INTERRUZIONE DELLA SCARICA DI POTENZIALI S’AZIONE.
MECCANISMO DI SCARICA RITMICA
NON È ANCORA DEL TUTTO CHIARO IL MOTIVO PER CUI LA SCARICA DI UN RECETTORE È RIPETITIVA, ANCHE SE LO STIMOLO VIENE
APPLICATO IN MANIERA COSTANTE. UNA SPIEGAZIONE DI TALE COMPORTAMENTO POTREBBE ESSERE LA SEGUENTE: UNA VOLTA CHE
IL POTENZIALE GENERATORE HA RAGGIUNTO LA SOGLIA PER LA NASCITA DI POTENZIALI D’AZIONE NELLA FIBRA AFFERENTE, QUESTI
ULTIMI SI PROPAGHEREBBERO NON SOLTANTO VERSO AVANTI, MA ANCHE ALL’INDIETRO, FINO A RAGGIUNGERE LE TERMINAZIONI
RECETTORIALI E A COINVOLGERE LA MEMBRANA DOVE SI È ORIGINATO IL POTENZIALE GENERATORE.
CLASSIFICAZIONE DEI RECETTORI
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I RECETTORI SONO STATI CLASSIFICATI IN VARIO MODO, TENENDO PRESENTE DA UN LATO LE LORO CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE
E DALL’ALTRO I TIPI DI STIMOLO CUI SONO SENSIBILI.
IN BASE ALLE CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE, I RECETTORI SONO STATI DISTINTI IN:
• RECETTORI DI I TIPO: RAPPRESENTATI DALLA TERMINAZIONE DI FIBRE NERVOSE AFFERENTI. DUNQUE, QUESTI RECETTORI SONO
PARTE INTEGRANTE DI UN NEURONE PERIFERICO CHE HA IL SUO CORPO CELLULARE NEL GANGLIO SPINALE.
• RECETTORI DI II TIPO, CHE CONSISTONO IN CELLULE SPECIALIZZATE CHE STABILISCONO UN CONTATTO CON LA FIBRA
AFFERENTE, E PERTANTO SONO STRUTTURE A SÉ STANTI. SONO TIPICI RECETTORI DI II TIPO LE CELLULE NEUROEPITELIALI
ACUSTICHE, VESTIBOLARI E GUSTATIVE.
• RECETTORI DI III TIPO, ANCHE QUESTI CONSISTENTI IN CELLULE SPECIALIZZATE, MA CHE ENTRANO IN CONTATTO SINAPTICO
CON LA FIBRA AFFERENTE MEDIANTE ALTRI DUE NEURONI. RECETTORI DI III TIPO SONO I CONI E I BASTONCELLI DELLA RETINA, I
QUALI SONO DIRETTAMENTE SENSIBILI ALLO STIMOLO, MA CHE TRASFERISCONO ALLA FIBRA AFFERENTE (NERVO OTTIVO) I
SEGNALI GENERATI PER IL TRAMITE DI ALTRI DUE NEURONI.

UNA BUONA CLASSIFICAZIONE È QUELLA BASATA SUL TIPO DI STIMOLI AI QUALI ESSI SONO MAGGIORMENTE SENSIBILI:
• CHEMOCETTORI: RISPONDONO SOPRATTUTTO AL CONTATTO CON SOSTANZE CHIMICHE APPLICATE LOCALMENTE. TRA QUESTI
SONO PRESENTI I CHEMOCETTORI OLFATTIVI, GUSTATIVI E ARTERIOSI;
• MECCANOCETTORI: RISPONDONO PRIMARIAMENTE ALL’APPLICAZIONE DI ENERGIA MECCANICA. ESSI COMPRENDONO I FUSI
MUSCOLARI;
•TERMOCETTORI: SONO ATTIVATI DAL CAMBIAMENTO DI TEMPERATURA; I CORPUSCOLI DI RUFFINI SONO SENSIBILI AL CALDO, I
CORPUSCOLI DI KRAUSE SONO ATTIVATI DAL FREDDO;
• NOCICETTORI: I MECCANISMI PERIFERICI CHE PORTANO ALLA SENSAZIONE DI DOLORE PRESENTANO QUALCOSA DI DIVERSO
RISPETTO ALLE ALTRE SENSAZIONI, GIACCHÈ I RECETTORI IMPLICATI NELL’EVOCARE IL DOLORE NON SONO BEN DEFINITI NÉ
ISTOLOGICAMENTE NÉ FISIOLOGICAMENTE. È RICONOSCIUTO CHE I RECETTORI DOLORIFICI HANNO UN’ELEVATISSIMA SOGLIA
ALLA STIMOLAZIONE.

LA SENSIBILITÀ SOMATICA
IL TERMINE SENSIBILITÀ SOMATICA SI RIFERISCE ALLA CAPACITÀ DI OGNI SOGGETTO DI PERCEPIRE INFORMAZIONI CHE PROVENGONO
DAL PROPRIO CORPO. QUANDO DETTE INFORMAZIONI SONO STATE DESTATE DALL’APPLICAZIONE DI STIMOLI ESTERNI SULLA CUTE SI
PARLA DI SENSIBILITÀ ESTEROCETTIVA; QUANDO INVECE I MESSAGGI SENSITIVI PROVENGONO DA RECETTORI SITUATI NEI MUSCOLI, NEI
TENDINI O NELLE ARTICOLAZIONI SI È NEL CAMPO DELLA SENSIBILITÀ PROPRIOCETTIVA, IN QUANTO IL SOGGETTO PERCEPISCE
INFORMAZIONI CIRCA LA SITUAZIONE SPAZIALE DEL PROPRIO CORPO.
ANCHE I RECETTORI VESTIBOLARI DELL’ORECCHIO INTERNO CONTRIBUISCONO ALLA SENSIBILITÀ PROPRIOCETTIVA, IN QUANTO
FORNISCONO INFORMAZIONI SULLA POSIZIONE E SUI MOVIMENTI DELLA TESTA NELLO SPAZIO.
IN SINTESI, SI RICONOSCONO DIFFERENTI MODALITÀ SENSORIALI, TATTO-PRESSIONE, VIBRAZIONE, POSIZIONE E MOVIMENTO NELLE
DIVERSE PARTI CORPOREE, CALDO E FREDDO, DOLORE E DISTENSIONE VISCERALE.
LE INFORMAZIONI SOMATICHE ORIGINATE ALLA PERIFERIA DEL CORPO VENGONO VEICOLATE VERSO LA CORTECCIA CEREBRALE
NELLE AREE SOMESTETICHE LUNGO SISTEMI NEURONALI ASCENDENTI CHE COMPRENDONO TRE NEURONI DISPOSTI IN SERIE,
DENOMINATI RISPETTIVAMENTE: NEURONI DI PRIMO, DI SECONDO E DI TERZO ORDINE.
• NEURONE DI PRIMO ORDINE: IL SUO CORPO DI TROVA IN UN GANGLIO SPINALE DELLA RADICE POSTERIORE DI UN NERVO SPINALE O
IN GANGLI DI NERVI CRANICI (trigemino, glosso-faringeo e vago). L’ASSONE PERIFERICO DELLA CELLULA A T PROVIENE
DAI RECETTORI SENSITIVI SITUATI NELLA CUTE, NEI MUSCOLI, NEI TENDINI E NELLE ARTICOLAZIONI; L’ASSONE CENTRALE,
DOPO ESSERE PENETRATO NEL MIDOLLO SPINALE, VA A PRENDERE CONTATTO COL NEURONE DI SECONDO ORDINE.
LE FIBRE SENSITIVE CONTENUTE IN UNA SINGOLA RADICE DORSALE PROVENGONO DA TERRITORI CUTANEI BEN DEFINITI E
DELIMITATI, DENOMINATI DERMATOMERI. È STATO POSSIBILE STABILIRE UNA MAPPA DEI DERMATOMERI SULLA SUPERFICIE
CORPOREA UMANA. IN QUESTA MAPPA SI RICONOSCE UNA POSIZIONE METAMERICA: SI TRATTA DI BANDE CHE SI
AFFIANCANO FRA LORO E SI ESTENDONO DALLA COLONNA VERTEBRALE FINO ALLA LINEA MEDIANA. NEGLI ARTI
L’ORGANIZZAZIONE SEGMENTALE È MENO NETTA, MA QUESTA È MEGLIO RICONOSCIBILE SE SI CONSIDERA IL SOGGETTO
IN POSIZIONE QUADRUPEDE. LA TOPOGRAFIA DEI DERMATOMERI È INTERESSANTE SOTTO MOLTI ASPETTI. LA SUA
CONOSCENZA PERMETTE DI DISTINGUERE LESIONI RADICOLARI DA QUELLE DEI NERVI PERIFERICI; ad esempio, il fuoco di S.
Antonio è un’affezione virale piuttosto comune che si localizza nei gangli spinali e provoca dolore molto intenso cui si accompagna
una eruzione di vescicole nel territorio cutaneo innervato dalle fibre afferenti i cui corpi cellulari sono situati nel ganglio colpito.
• NEURONE DI SECONDO ORDINE: È SITUATO NEL MIDOLLO SPINALE, PRECISAMENTE NEL TRONCO ENCEFALICO, E PROIETTA AL
NEURONE DI TERZO ORDINE – SITUATO NEL TALAMO – LE INFORMAZIONI SENSITIVE CHE AD ESSO PROVENGONO DAL
NEURONE DI PRIMO ORDINE. QUASI SEMPRE IL NEURONE DI SECONDO ORDINE PROIETTA AL TALAMO CONTROLATERALE
IN QUANTO LE PROIEZIONI ASCENDENTI ATTRAVERSANO LA LINEA MEDIANA A VARIO LIVELLO DEL NERVASSE; CIÒ RENDE
CONTO DEL FATTO CHE LA CORTECCIA SENSITIVA DI UN LATO, DOVE NORMALMENTE LA SENSAZIONE COMINCIA A
CONFIGURARSI, RICEVE INFORMAZIONI ORIGINATE DAL LATO OPPOSTO DEL CORPO.
• NEURONE DI TERZO ORDINE: È UN NEURONE TALAMO-CORTICALE POICHÉ IL SUO SOMA NEURALE, SITUATO NEI NUCLEI SENSITIVI DEL
ALAMO, PROIETTA IL SUO ASSONE VERSO LA CORTECCIA CEREBRALE. IL PRIMO NEURONE CORTICALE AD ESSERE
INTERESSATO DAI MESSAGGI SENSITIVI È LOCALIZZATO NELL’AREA SOMATICA PRIMARIA, MA IL MESSAGGIO DIVENTA
COSCIENTE ATTRAVERSO UN’ULTERIORE ELABORAZIONE AD OPERA DI ALTRI CIRCUITI INTRACORTICALI CIRCOSCRITTI
ALLA STESSA AREA SOMATICA PRIMARIA O CHE RIGUARDANO ANCHE ALTRE AREE.
RECETTORI CUTANEI
NEGLI STRATI EPIDERMICO E DERMICO VI SONO DEGLI ORGANI RECETTORI; ALCUNI DI QUESTI SI TROVANO ANCHE NEL TESSUTO
SOTTOCUTANEO. NELLE MUCOSE E NELLE SOTTOMUCOSE I RECETTORI HANNO ESSENZIALMENTE LE STESSE CARATTERISTICHE DEI
RECETTORI CUTANEI. LA STRUTTURA MORFOLOGICA DEI RECETTORI CUTANEI È MOLTO VARIA: ALCUNI RECETTORI SONO FORMATI
SEMPLICEMENTE DA TERMINAZIONI NERVOSE NUDE, ALTRI SONO ASSAI PIÙ COMPLESSI, ESSENDO TERMINAZIONI NERVOSE ACCOLTE
DENTRO STRUTTURE NON NERVOSE CHE DANNO AI RECETTORI L’ASPETTO DI CORPUSCOLI.
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• RECETTORI TATTILI: IL TATTO È UNA MODALITÀ SENSORIALE CHIARAMENTE IDENTIFICABILE, CHE SI PRODUCE QUANDO UNA LIEVE
PRESSIONE VIENE APPLICATA SULLA CUTE. I RECETTORI TATTILI SONO PRESENTI SIA NELLA PELLE GLABRA CHE IN QUELLA
FORNITA DA PELI.
OGNI FIBRA SENSORIALE INTERESSATA NELLA SENSAZIONE TATTILE INNERVA UN’AREA DELLA CUTE, CHIAMATA CAMPO
RECETTIVO. I CAMPI RECETTIVI PER LA SENSIBILITÀ TATTILE SONO IN GENERE MOLTO PICCOLI, E NELLA MAGGIOR PARTE
DEI CASI SONO PUNTIFORMI. UNA ESTENSIONE COSÌ LIMITATA DEI CAMPI RECETTIVI IN UNA CERTA ZONA CUTANEA
ESPRIME LA SUA SPICCATA SENSIBILITÀ: PIÙ PICCOLI SONO I CAMPI RECETTIVI, PIÙ FINE SARÀ LA LORO SENSIBILITÀ.
INFATTI, MALGRADO I PUNTI TATTILI SIANO DIFFUSI SU TUTTA LA PELLE, LA SENSAZIONE TATTILE È MEGLIO AVVERTIBILE IN
CERTE AREE COME I POLPASTRELLI DELLE DITA DOVE I CAMPI RECETTIVI SONO PROPRIO PUNTIFORMI.
LE FIBRE DEI POLPASTRELLI NASCONO DAI NUCLEI DELLA SOSTANZA GRIGIA DEL TRONCO ENCEFALICO, PRECISAMENTE
DAL NUCLEO GRACILE E DAL NUCLEO CUNEATO, CHE DANNO VITA AL FASCICOLO GRACILE E AL FASCICOLO CUNEATO,
VIA TATTILE EPICRITICA FINE ALTAMENTE DISCRIMINATIVA.
LA STRUTTURA DEI RECETTORI TATTILI NON È STATA DEL TUTTO DEFINITA: IN ALCUNI CASI ESSI SONO STATI IDENTIFICATI
COME CORPUSCOLI DI MEISSNER E DI MERKEL. IN ALTRI CASI SI TRATTEREBBE DI TERMINAZIONI NERVOSE LIBERE DI FIBRE
MIELINICHE.
• RECETTORI DEI PELI:LE TERMINAZIONI NERVOSE DEI RECETTORI DEI PELI SI TROVANO ALLA BASE DEL FOLLICOLO PILIFERO. SONO
FORMATI DA TERMINAZIONI A CANESTRO CHE INCAPSULANO LA RADICE DEL PELO E FANNO CAPO A FIBRE
AMIELINICHE.
I CAMPI RECETTIVI DEI RECETTORI PILIFERI SONO ASSAI PIÙ LARGHI DI QUELLI DEI RECETTORI TATTILI. INOLTRE, IL RECETTORE
PILIFERO È A RAPIDO ADATTAMENTO: LE FIBRE CHE NE TRAGGONO ORIGINE EMETTONO UNA BREVE SCARICA DI IMPULSI
QUANDO I PELI VENGONO PIEGATI IN UNA DIREZIONE; SE IL PELO VIENE TENUTO PIEGATO LA SCARICA SENSORIALE
CESSA, MA QUANDO IL PELO VIENE RILASCIATO E TORNA NELLA SUA POSIZIONE RICOMPARE UNA BREVE SCARICA.
• RECETTORI TERMICI: VENGONO DISTINTI I RECETTORI PER IL FREDDO E PER IL CALDO, POICHÉ CORRISPONDONO RISPETTIVAMENTE A
DIMINUZIONI O AD AUMENTI DELLA TEMPERATURA. LA SENSIBILITÀ ALLA TEMPERATURA HA UNA DISTRIBUZIONE
PUNTIFORME: ALCUNE PICCOLE AREE RISPONDONO AL FREDDO MA NON AL CALDO, E VICEVERSA. I RECETTORI PER IL
FREDDO SI ADATTANO LENTAMENTE, QUELLI PER IL CALDO PIÙ RAPIDAMENTE.
LA SENSIBILITÀ PER IL FREDDO SI DEBBA AI CORPUSCOLI DI KRAUSE E QUELLA AL CALDO AI CORPUSCOLI DI RUFFINI.

• RECETTORI DELLA SENSIBILITÀ PROFONDA: LA SENSAZIONE DI PRESSIONE SI VERIFICA APPLICANDO UNA LEGGERA PRESSIONE ALLA
CUTE. I RECETTORI DI PRESSIONE SI TROVANO NEL SOTTOCUTANEO E HANNO UNA SOGLIA RELATIVAMENTE ALTA ALLA
STIMOLAZIONE. I CORPUSCOLI DI GOLGI-MAZZONI SONO STATI INDICATI COME I RECETTORI RESPONSABILI DELLA
SENSAZIONE DI PRESSIONE; TUTTAVIA, SE LA PRESSIONE APPLICATA È SUFFICIENTEMENTE FORTE, ALTRI TIPI DI RECETTORI
POSSONO ESSERE CHIAMATI IN CAUSA. QUINDI, LA SENSAZIONE PROVOCATA DA UNA PRESSIONE PROFONDA PUÒ
DIPENDERE DA UNA COMBINAZIONE DI DIVERSE MODALITÀ SENSORIALI.
• RECETTORI DELLA SENSIBILITÀ VIBRATORIA: LA SENSIBILITÀ VIBRATORIA NON È UNA MODALITÀ SENSORIALE DISTINTA DALLE ALTRE,
POICHÉ UNA VIBRAZIONE MECCANICA PUÒ ATTIVARE RECETTORI SITUATI IN STRATI ED ORGANI DIVERSI. I CORPUSCOLI DI
PACINI SONO CERTAMENTE SENSIBILI ALLA VIBRAZIONE. TUTTAVIA, MOLTI ALTRI RECETTORI, COME I FUSI
NEUROMUSCOLARI, I CORPUSCOLI TENDINEI DI GOLGI E I RECETTORI ARTICOLARI, POSSONO ESSERE STIMOLATI DALLE
VIBRAZIONI, PURCHÈ L’INTENSITÀ DELLA STIMOLAZIONE SIA ABBASTANZA ELEVATA.
• RECETTORI PER IL DOLORE: IN PASSATO SI È RITENUTO CHE NON VI FOSSERO RECETTORI SPECIFICI PER IL DOLORE, MA CHE IL DOLORE
RISULTASSE DALLA STIMOLAZIONE ECCESSIVA DI CERTI TIPI DI RECETTORI CUTANEI. SECONDO TALE INTERPRETAZIONE,
UNO STIMOLO NOCIVO APPLICATO ALLA CUTE AVREBBE PROVOCATO UNA SCARICA AD ALTISSIMA FREQUENZA IN
MOLTE FIBRE SENSORIALI; TALE BOMBARDAMENTO DI IMPULSI PERVENUTI AI CENTRI SUPERIORI SAREBBE STATO
RESPONSABILE DELLA SENSAZIONE DI DOLORE. OGGI, PERÒ, SI È SEMPRE PIÙ CONVINTI CHE IL DOLORE IN REALTÀ SIA
UNA MODALITÀ SENSORIALE AUTONOMA. LE STRUTTURE RECETTRICI RESPONSABILI NON SONO STATE ANCORA
CHIARAMENTE IDENTIFICATE NELLA CUTE; CON OGNI PROBABILITÀ SI TRATTA DI TERMINAZIONI NERVOSE LIBERE.
LE FIBRE AFFERENTI INTERESSATE SONO PICCOLE FIBRE MIELINICHE DEL TIPO III E FIBRE AMIELINICHE DEL TIPO IV. LA
PRESENZA DI DUE TIPI DI FIBRE DOLORIFICHE SEMBRA IN ACCORDO CON L’ESISTENZA DI UN DOLORE RAPIDO E DI UN
DOLORE LENTO: GLI STIMOLI NOCIVI PROVOCANO DAPPRIMA UN DOLORE ACUTO, CHE SCOMPARE RAPIDAMENTE;
QUESTO È SEGUITO DA UNA SENSAZIONE DOLOROSA PIÙ LENTA, CHE PUÒ DURARE PIÙ A LUNGO.
RECETTORI MUSCOLARI
• FIBRE AFFERENTI PER LA SENSIBILITÀ MUSCOLARE: LE FIBRE AFFERENTI POSSONO ESSERE CLASSIFICATE IN DUE CATEGORIE:
QUELLE CHE PROVENGONO DA RECETTORI SPECIFICATAMENTE MUSCOLARI ( fusi neuromuscolari e organi tendinei Golgi);
QUELLE CHE PRENDONO ORIGINE DA RECETTORI CHE SI TROVANO IN ALTRE REGIONI.
• FUSI NEUROMUSCOLARI: I FUSI NEUROMUSCOLARI, PIÙ CHE DEI RECETTORI, SONO DEGLI APPARATI RECETTORIALI, POICHÉ
CONTENGONO PIÙ DI UN RECETTORE. SI TRATTA DI FORMAZIONI MOLTO DIFFERENZIATE SITUATE NELLA PARTE CARNOSA
DEL MUSCOLO. SONO COSTITUITI DA FIBRE MUSCOLARI STRIATE DISPOSTE IN PARALLELO RISPETTO ALLE FIBRE MUSCOLARI
EXTRAFUSALI (fibre muscolari che sviluppano forza). I FUSI SI INSERISCONO ALLE LORO ESTREMITÀ SUI DIAFRAMMI
CONNETTIVALI INTRAMUSCOLARI E PERTANTO SEGUONO MOLTO FEDELMENTE LE VARIAZIONI DI LUNGHEZZA DEL
MUSCOLO DOVE SONO LOCALIZZATI.
CIASCUN FUSO PRESENTA UNA REGIONE EQUATORIALE, PIENA DI NUCLEI, SITUATA TRA DUE REGIONI POLARI, COSTITUITE
DALLE FIBRE MUSCOLARI STRIATE.
LE TERMINAZIONI SENSITIVE SONO DI DUE TIPI:
TERMINAZIONI ANULO-SPINALI: ESISTONO IN UNICO ESEMPLARE IN TUTTI I FUSI. ESSE SONO COSTITUITE DALL’ESTREMITÀ DI
UN ASSONE MIELINICO DI GROSSO DIAMETRO (fibre I della classificazione Lloyd). TALE ESTREMITÀ SI AVVOLGE
A SPIRALE ATTORNO ALL’EQUATORE DEL FUSO. L’ATTIVAZIONE DI QUESTA TERMINAZIONE AVVIENE QUANDO
QUESTA SI DESPIRALIZZA A SEGUITO DI UN ALLUNGAMENTO PASSIVO DEL FUSO, DOVUTO ALLO STIRAMENTO
DEL MUSCOLO. LA SCARICA DELLE TERMINAZIONI ANULO-SPIRALI ESPRIME SIA LA LUNGHEZZA DI UN MUSCOLO
IN UN DETERMINATO MOMENTO (in condizioni statiche), SIA LA VELOCITÀ CON CUI AVVIENE UN
ALLUNGAMENTO (in condizioni dinamiche).
TERMINAZIONI A FIORAME: SONO PRESENTI IN CIRCA DUE TERZI DEI FUSI. QUESTE TERMINAZIONI SI DISTRIBUISCONO NELLA
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PARTE POLARE, AL LIMITE CON QUELLA EQUATORIALE. ESSE FANNO CAPO AD UN ASSONE MIELINICO
APPARTENENTE AL GRUPPO II DELLA CLASSIFICAZIONE LLOYD. LA SCARICA DELLE TERMINAZIONI A FIORAME DÀ
SEMPLICEMENTE IDEA DI UNA LUNGHEZZA MUSCOLARE IN CONDIZIONI STATICHE E NON ESPRIME LA VELOCITÀ
DELLA VARIAZIONE DI LUNGHEZZA.
NELLA REALTÀ FISIOLOGICA, LE VARIAZIONI DI LUNGHEZZA DI UN MUSCOLO POSSONO VERIFICARSI IN DUE SITUAZIONI:
LA LUNGHEZZA DI UN MUSCOLO FLESSORE AUMENTA PASSIVAMENTE QUANDO SI COMPIE UNA ESTENSIONE (se si
estende il gomito per contrazione del muscolo tricipite, il muscolo bicipite viene stirato);
QUANDO UNA CONTRAZIONE MUSCOLARE DETERMINA ACCORCIAMENTO DEL MUSCOLO INTERESSATO. IN QUESTO
CASO LA SCARICA DEL FUSO NEUROMUSCOLARE RALLENTA E PUÒ ANCHE ARRESTARSI COMPLETAMENTE IN QUANTO LA
LUNGHEZZA DEL MUSCOLO È DIMINUITA.
• FIBRE FUSIMOTRICI: SI TRATTA DI FIBRE NERVOSE MOTRICI. LE FIBRE FUSIMOTRICI SONO RAPPRESENTATE DA FIBRE DEL GRUPPO AγE
VENGONO INDICATE SEMPLICEMENTE COME FIBREγ. ESSE NASCONO DAI MOTONEURONI γ, UBICATI NEL CORNO
ANTERIORE DEL MIDOLLO SPINALE, IN ADIACENZA CON I MOTONEURONI α, I QUALI PROVVEDONO ALL’INNERVAZIONE
MOTRICE DELLE FIBRE MUSCOLARI EXTRAFUSALI. L’ATTIVAZIONE DELLE FIBRE γDETERMINA LA CONTRAZIONE DELLE PARTI
POLARI DEL FUSO.
NELLA REALTÀ FISIOLOGICA, L’ATTIVAZIONE DELLE FIBRE γDURANTE LA CONTRAZIONE MUSCOLARE CON
ACCORCIAMENTO SI OPPONE AL RALLENTAMENTO O ALL’ARRESTO DELLA SCARICA CHE PUÒ SEGUIRE
ALL’ACCORCIAMENTO DELLO STESSO MUSCOLO.
• ORGANI TENDINEI DEL GOLGI: SONO SITUATI NEI TENDINI E NEI DIAFRAMMI INTRAMUSCOLARI. UN ORGANO TENDINEO È COSTITUITO DA
UN SUPPORTO TENDINEO AFFUSOLATO, FORMATO DALLA FUSIONE PIÙ O MENO COMPLETA DI POCHE FIBRE TENDINEE.
FUNZIONALMENTE, SONO I TENSOCETTORI, IN QUANTO LA LORO FREQUENZA DI SCARICA CRESCE CON L’AUMENTARE
DELLA TENSIONE DEL TENDINE. LA SOGLIA DI ATTIVAZIONE DEGLI ORGANI TENDINEI DI GOLGI È IN GENERE MOLTO PIÙ
ELEVATA DI QUELLA DEI FUSI NEUROMUSCOLARI. INFATTI, MENTRE I FUSI NEUROMUSCOLARI SONO DISPOSTI IN
PARALLELO CON LE FIBRE MUSCOLARI, GLI ORGANI TENDINEI SONO SITUATI IN SERIE: I TENDINI NON POSSONO MAI
ALLUNGARSI PROPRIO PER LA LORO STRUTTURA ANATOMICA. DURANTE LA CONTRAZIONE, IL MUSCOLO ESERCITA UNA
TRAZIONE SUL TENDINE, CHE SARÀ TANTO MAGGIORE QUANTO MAGGIORE È LA FORZA SVILUPPATA. QUESTI RECETTORI
FUNZIONANO ALLORA COME SEGNALATORI DELLA FORZA CON CUI UN MUSCOLO DI CONTRAE. RISULTA PERTANTO CHE
DURANTE LA CONTRAZIONE DI UN MUSCOLO LA FREQUENZA DI SCARICA DEGLI ORGANI TENDINEI AUMENTA, MENTRE
QUELLA DEI FUSI DIMINUISCE.
• RECETTORI MUSCOLARI NON SPECIFICI: SOTTO LE FASCE DI CERTI MUSCOLI SI TROVANO ALCUNI RARI CORPUSCOLI DI PACINI.
MOLTO FREQUENTI SONO INVECE I CORPUSCOLI PACINIFORMI, SITUATI AI CONFINI TRA MUSCOLO E TENDINE.
TERMINAZIONI LIBERE SONO PRESENTI NELL’AVVENTIZIA DEI VASI SANGUIGNI, NEL CONNETTIVO E NEL GRASSO
INTRAMUSCOLARE.
• SENSIBILITÀ DELLE ARTICOLAZIONI: LE ARTICOLAZIONI SONO RICCAMENTE INNERVATE, SIA DA NERVI ARTICOLARI VERI E PROPRI, SIA
DA BRANCHE DI NERVI MUSCOLARI.
CORPUSCOLI DI RUFFINI: SONO MOLTO ABBONDANTI NELLA CAPSULA ARTICOLARE. QUANDO L’ARTICOLAZIONE È
IMMOBILE ESSI SEGNALANO IL COSIDDETTO ANGOLO DI ATTIVAZIONE, MENTRE QUANDO QUESTA È IN
MOVIMENTO LA LORO SCARICA È FUNZIONE DELLA VELOCITÀ DEL MOVIMENTO.
ORGANI DI GOLGI ARTICOLARI: SONO SITUATI NEI LEGAMENTI ARTICOLARI. ANCH’ESSI SONO CONTINUAMENTE ATTIVI
PER DETERMINARE POSIZIONI ARTICOLARI.
CORPUSCOLI DI PACINI MODIFICATI: SI TROVANO IN SCARSO NUMERO NELLA CAPSULA ARTICOLARE. SONO INATTIVI
QUANDO L’ARTICOLAZIONE È IMMOBILE ED ATTIVI DURANTE I MOVIMENTI ARTICOLARI, A CONDIZIONE CHE
QUESTI MOVIMENTI SIANO ABBASTANZA RAPIDI. SONO CONSIDERATI COME RECETTORI DI ACCELERAZIONE.
• SENSIBILITÀ CINESTETICA: CON QUESTO TERMINE SI INDICA LA CONSAPEVOLEZZA DELLA POSIZIONE RELATIVA AI SEGMENTI
CORPOREI. IN PRATICA LA SENSIBILITÀ CINESTETICA CORRISPONDE AL SENSO DELLA POSIZIONE. AL DETERMINARSI DEL
SENSO DI POSIZIONE CONTRIBUISCONO DIFFERENTI TIPI DI RECETTORI, POSIZIONATI IN DIVERSI TESSUTI DELLE REGIONI
CORPOREE INTERESSATE: MUSCOLI, ARTICOLAZIONI, CUTE ECC…
VIE ASCENDENTI DELLA SENSIBILITÀ SOMATICA:
SENSIBILITÀ TATTILE, MUSCOLARE, ARTICOLARE
I SISTEMI ASCENDENTI ATTRAVERSO I QUALI LE INFORMAZIONI DELLA SENSIBILITÀ SOMATICA VENGONO VEICOLATE VERSO LA
CORTECCIA CEREBRALE SONO DIVERSI, MA FONDAMENTALMENTE SE NE DISTINGUONO DUE: IL SISTEMA LEMNISCALE E IL SISTEMA
EXTRALEMNISCALE. TALE DISTINZIONE DIPENDE PRINCIPALMENTE DAL FATTO CHE ESISTONO DUE TIPI DI SENSIBILITÀ SOMATICA: LA
SENSIBILITÀ TATTILE, DISCRIMINATIVA, LA QUALE CONSISTE IN UNA SENSIBILITÀ FINE, O EPICRITICA, LA QUALE CONSENTE DI PERCEPIRE
COME DISTINTI GLI STIMOLI APPLICATI IN PUNTI MOLTO VICINI DELLA CUTE; LA SENSIBILITÀ TATTILE GROSSOLANA, TERMICA E
DOLORIFICA, O PROTOPATICA.
SENSIBILITÀ EPICRITICA: LE FIBRE SENSORIALI ORIGINATE DALLA PERIFERIA DEI RECETTORI CUTANEI, MUSCOLARI E ARTICOLARI
PENETRANO NEL MIDOLLO SPINALE E SI IMPEGNANO NEI FASCICOLI GRACILE E CUNEATO, INOLTRE EMETTONO DELLE
FIBRE COLLATERALI DI ASSOCIAZIONE CON ALTRI SEGMENTI DEL MIDOLLO SPINALE.. NEI FASCICOLI GRACILE E CUNEATO
È POSSIBILE RICONOSCERE UNA DISPOSIZIONE SOMATOTOPICA DELLE FIBRE ASCENDENTI, IN QUANTO NEL FASCICOLO
GRACILE DECORRONO LE FIBRE NATE NELL’ARTO INFERIORE, MENTRE IL FASCICOLO CUNEATO CONTIENE FIBRE DI
PROIEZIONE DELL’ARTO SUPERIORE.
GIUNTO AL BULBO, E PRECISAMENTE A LIVELLO DEI NUCLEI GRACILE E CUNEATO, IL NEURONE DI PRIMO ORDINE SI
INTERROMPE STABILENDO UN COLLEGAMENTO SINAPTICO CON IL NEURONE DI SECONDO ORDINE: LE FIBRE ORIGINATE
DAI NUCLEI GRACILE E CUNEATO COSTITUISCONO UN FASCIO NASTRIFORME DENOMINATO LEMNISCO MEDIALE, IL
QUALE IMMEDIATAMENTE SI INCROCIA E PASSA DAL LATO OPPOSTO PER POI RAGGIUNGERE IL TALAMO, DOVE ORIGINA
IL NEURONE DI TERZO ORDINE. IL NUCLEO TALAMICO DI PROIEZIONE DEL LEMNISCO MEDIALE È IL NUCLEO VENTRALE
POSTERO.LATERALE. IL NEURONE DI TERZO ORDINE È UN NEURONE TALAMO-CORTICALE, DAL MOMENTO CHE I SUOI
ASSONI VANNO A TERMINARE NELL’AREA SENSITIVA PRIMARIA DEL LOBO PARIETALE, DOVE È RICONOSCIBILE IL
COSIDDETTO HOMUNCULUS SENSITIVO.
SENSIBILITÀ PROTOPATICA: LE FIBRE ORIGINATE DA RECETTORI DELLA SENSIBILITÀ TATTILE GROSSOLANA, DA TERMOCETTORI E DA
RECETTORI DOLORIFICI, DOPO ESSERE PENETRATE NEL MIDOLLO CON LA RADICE POSTERIORE DEL NERVO SPINALE, SI
INTERROMPONO E FANNO SINAPSI CON UN NEURONE SITUATO NEL CORNO POSTERIORE, CHE È IL NEURONE DI
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SECONDO ORDINE. L’ASSONE DEL NEURONE DI SECONDO ORDINE, DOPO ESSERE NATO NEL CORNO POSTERIORE,
ATTRAVERSA LA LINEA MEDIANA E SI INCROCIA, PASSANDO DAL LATO OPPOSTO. QUI SI POSIZIONA IN MODO DIVERSO
TRA I FASCI VENTROLATERALI DEL MIDOLLO, A SECONDO CHE SI TRATTI DI VIE PER LA SENSIBILITÀ TERMICA O DI VIE PER
LA SENSIBILITÀ DOLORIFICA.
IL SECONDO NEURONE DEL SISTEMA DELLA SENSIBILITÀ TERMICA FORMA NEL MIDOLLO IL COSIDDETTO
LEMNISCO SPINALE, IL QUALE RAGGIUNGE IL TALAMO E VI TERMINA SIA NEL COMPLESSO DEL NUCLEO
VENTRALE-POSTEROLATERALE, SIA NEI NUCLEI CENTRALI.
IL SECONDO NEURONE DELLE VIE DELLA SENSIBILITÀ DOLORIFICA, SITUATO NEL CORNO POSTERIORE, EMETTE UN
ASSONE CHE PURE SI INCROCIA E DECORRE NEL CORDONE ANTERIORE DEL MIDOLLO O NELLO STESSO
LEMNISCO SPINALE. NEL CORDONE ANTERO-LATERALE SI RISCONTRA UNA CERTA SOMATOTOPIA, MA CON
ORIENTAMENTO OPPOSTO RISPETTO A QUELLO RILEVATO NEI FASCICOLI GRACILE E CUNEATO: LE REGIONI PIÙ
BASSE DEL CORPO SONO RAPPRESENTATE PIÙ LATERALMENTE RISPETTO A QUELLE ALTE.
LA VIA SPINOTALAMICA DELLA NOCICEZIONE VIENE ATTIVATA DALLE TERMINAZIONI DEI NEURONI DI PRIMO ORDINE NEL
CORNO POSTERIORE TRAMITE LA LIBERAZIONE DI DIVERSI NEUROTRASMETTITORI: IL GLUTAMMATO, LA SPSTANZA P, IL PEPTIDE
DEL GENE DELLA CALCITONINA E IL POLIPEPTIDE INTESTINALE CASOATTIVO.

CONTROLLO ASCENDENTE E DISCENDENTE SULLA NOCICEZIONE


LA TRASMISSIONE DEI MESSAGGI DEL DOLORE SONO SOTTO IL CONTROLLO DI SISTEMI SIA ASCENDENTI CHE DISCENDENTI.
CONTROLLO ASCENDENTE: I NEURONI DEL CORNO POSTERIORE CHE DANNO ORIGINE ALLA VIA SPINOTALAMICA SONO ATTIVATI DA
FIBRE AFFERENTI DOLORIFICHE PROVENIENTI DALLA PERIFERIA. QUESTI NEURONI RICEVONO ANCHE MESSAGGI DA PARTE
DI ALTRE FIBRE, AD ESEMPIO DA FIBRE CHE SI DIPARTONO DA RECETTORI DELLA SENSIBILITÀ SUPERFICIALE E PROFONDA.
PERÒ QUESTE ULTIME FIBRE, INVECE DI ATTIVARE IL NEURONE DI SECONDO ORDINE DELLA VIA DOLORIFICA, LO
INIBISCONO, NEL SENSO CHE LO RENDONO MENO ECCITABILE, ED ALLORA QUEST’ULTIMO DIVENTA INCAPACE DI
RISPONDERE ALLA STIMOLAZIONE DOLORIFICA. COSÌ SUCCEDE CHE UNA STIMOLAZIONE AFFERENTE NON NOCIVA
BLOCCA TEMPORANEAMENTE LA TRASMISSIONE DEL DOLORE.
PARTENDO DA TALI PRESUPPOSTI FISIOLOGICI DEL CONTROLLO DEL DOLORE È STATA PROPOSTA LA TEORIA DEL
CANCELLO, SECONDO LA QUALE LA STIMOLAZIONE TATTILE DELLA STESSA AREA CUTANEA CHE È SEDE DEL DOLORE
ATTIVA IL NEURONE DI PRIMO ORDINE DELLA SENSIBILITÀ EPICRITICA, IL QUALE A SUA VOLTA ATTIVEREBBE IL NEURONE
INIBITORIO SPINALE, CAPACE DI RENDERE MENO ECCITABILE IL NEURONE NOCICETTIVO DEL CORNO POSTERIORE; NE
CONSEGUE CHE IL NEURONE DI SECONDO ORDINE DIVENTA TEMPORANEAMENTE MENO CAPACE DI RECEPIRE I SEGNALI
CHE GLI PROVENGONO DAL NEURONE DI PRIMO ORDINE, PROPRIO COME SE LA STIMOLAZIONE TATTILE ANDASSE A
CHIUDERE UN CANCELLO DI ACCESSO AL NEURONE DI SECONDO ORDINE.
IL DOLORE RIFERITO È INVECE QUELLO CHE INTERESSA I VISCERI: LA LOCALIZZAZIONE DEL DOLORE VISCERALE NON È MAI
MOLTO PRECISA, ANZI IL DOLORE CHE PRENDE ORIGINE IN UN DETERMINATO VISCERE VIENE PERCEPITO COME
PROVENIENTE DA REGIONI DIVERSE. L’IPOTESI PIÙ FONDATA È CHE AL NEURONE DI SECONDO ORDINE DELLA VIA
DOLORIFICA CONVERGANO SIA LE FIBRE PROVENIENTI DALLA ZONA DOLENTE, SIA ALTRE FIBRE ORIGINATE IN UNA
REGIONE DIVERSA, ANCHE LONTANA DA QUELLA INTERESSATA DAGLI STIMOLI DOLORIFICI. NEL CASO DEL DOLORE
RIFERITO, IL NEURONE DI SECONDO ORDINE È IN GRADO DI TRASMETTERE ALLA CORTECCIA SENSITIVA IMPULSI
PROVENIENTI DA DUE NEURONI DI PRIMO ORDINE, UNO DEI QUALI HA LA SUA ORIGINE NELLA ZONA DOLENTE E L’ALTRO
IN UN CAMPO RECETTIVO DIVERSO.
CONTROLLO DISCENDENTE: ESISTE UN SISTEMA ENDOGENO ANTINOCICETTIVO, LOCALIZZABILE NEL GRIGIO PERIACQUEDUTTALE, un
agglomerato di neuroni che circondano l’acquedotto del silvio, NEL LOCUS COERULEUS, nucleo situato nelle porzioni
rostali del ponte, E NEI NUCLEI DEL RAFE, NUCLEI SITUATI NEL BULBO LUNGO LA LINEA MEDIANA, IN GRADO DI AGIRE,
MEDIANTE VIE DISCENDENTI, SULLA TRASMISSIONE DEI MESSAGGI DOLORIFICI CHE SALGONO LUNGO LE VIE DI
TRASMISSIONE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE. DIFATTI, LA STIMOLAZIONE ELETTRICA APPLICATA A QUESTE STRUTTURE
INDUCE UNA NETTA ANALGESIA IN DIVERSI CASI DI DOLORE DURATURO, PROVOCANDO INIBIZIONE DEI NEURONI
NOCICETTIVI DI PROIEZIONE DISCENDENTE.
I FENOMENI INIBITORI CAPACI DI BLOCCARE LA TRASMISSIONE DEI MESSAGGI DOLORIFICI VENGONO DESTATI DA
DIVERSE SOSTANZE LIBERATE PER L’ATTIVAZIONE DEL SISTEMA ENDOGENO ANTINOCICETTIVO. SI CONOSCONO DIVERSE
SOSTANZE LIBERATE DALL’ATTIVAZIONE DEL SISTEMA ENDOGENO, IN PARTICOLARE:
- LA STIMOLAZIONE DEL GRIGIO PERIACQUEDUTTALE PROVOCA LA LIBERAZIONE DI ENDORFINE;
- LA STIMOLAZIONE DEL LOCUS COERULEUS DETERMINA LA LIBERAZIONE DI NORADRENALINA NELLE TERMINAZIONI
DELLE PROIEZIONI DISCENDENTI AL MIDOLLO SPINALE;
- LA STIMOLAZIONE DEI NUCLEI DEL RAFE PROVOCA I SUOI EFFETTI ANTIDOLORIFICI MEDIANTE LIBERAZIONE DI
SEROTONINA.
ALTRI SISTEMI DISCENDENTI PROVENGONO DALLA CORTECCIA CEREBRALE, DALL’IPOTALAMO E DALLA FORMAZIONE
RETICOLARE. ANCHE LO STRESS PROVOCA ANALGESIA, MEDIANTE ATTIVAZIONE DI VIE DISCENDENTI E DI CIRCUITI
INTRASPINALI.
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-3-
LA STRUTTURA DEL SISTEMA NERVOSO

1 – Struttura di base del sistema nervoso

una visione d’insieme


Il sistema nervoso è composto dal cervello e dal midollo spinale, che insieme costituiscono il sistema nervoso
centrale, e dai nervi cranici, i nervi spinali e i gangli periferici, che insieme formano il sistema nervoso periferico.
Il sistema nervoso centrale è incastrato in strutture ossee: il cervello è contenuto nella scatola cranica e
il midollo spinale nella colonna vertebrale.
Il cervello è composto da una grande massa di neuroni, glia e altre cellule di sostegno. È l’organo più
protetto del corpo, poiché è racchiuso in una resistente scatola cranica e galleggia nel liquor cerebrospinale. Esso
riceve un abbondante apporto ematico ed è chimicamente protetto dalla barriera ematoencefalica. Il cervello
riceve ininterrottamente dal cuore circa il 20% del flusso ematico. Altre parti del corpo, come i muscoli e
l’apparato digerente, ricevono quantità sanguigne variabili, in base alle loro necessità e in relazione a quelle
delle altre regioni, ma il cervello riceve sempre il suo quantitativo. Il cervello può immagazzinare piccole quantità
di combustibile, e non può estrarre provvisoriamente energia in assenza di ossigeno, come fanno i muscoli;
pertanto, è essenziale un consistente afflusso di sangue.

Le meningi
L’intero sistema nervoso è ricoperto da un resistente tessuto connettivo. I rivestimenti intorno al
cervello e al midollo spinale sono chiamati meningi. Le meningi consistono di tre strati: lo strato esterno è
spesso, resistente, flessibile ma non allungabile: il suo nome è dura madre. Lo strato intermedio delle meningi è
l’aracnoide, soffice e spugnosa, si trova sotto la dura madre. Strettamente attaccata al cervello e al midollo
spinale, e che ne segue ogni circonvoluzione, è la pia madre. Questa meninge contiene i più piccoli vasi sanguigni
cerebrali e spinali di superficie. Tra la pia madre e l’aracnoide c’è uno spazio chiamato spazio subaracnoideo, che
contiene il liquor cefalorachidiano: un fluido limpido, simile al plasma sanguigno, che riempie il sistema
ventricolare cerebrale e lo spazio subaracnoideo circostante il cervello e il midollo spinale.

Il sistema ventricolare e la produzione di LCS


Il cervello è un organo molto delicato e gelatinoso. Il considerevole peso di un cervello umano e la sua
delicata costituzione rendono necessaria la protezione da traumi. Fortunatamente, il cervello umano è ben
protetto: sso galleggia nel liquor cefalorachidiano.
Poiché il cervello è completamente immerso nel liquido, il suo peso netto si riduce
approssimativamente a 80 gr e la pressione alla base del cervello è considerevolmente diminuita. Inoltre, il
liquor che circonda il cervello e il midollo spinale riduce i traumi al sistema nervoso centrale che potrebbero
essere causati da movimenti improvvisi del capo.
Il cervello contiene una serie di cavità o camere interconnesse chiamate ventricoli, che contengono il
liquor. Le cavità più grandi sono i ventricoli laterali, localizzati nel centro del telencefalo, entrambi connessi con
il terzo ventricolo, localizzato nel centro del diencefalo. Un ponte di tessuto neurale chiamato massa intermedia
attraversa da una parte all’altra il centro del terzo ventricolo e serve da punto di riferimento convenzionale.
L’acquedotto cerebrale, uno stretto tubo localizzato al centro del mesencefalo, mette in connessione il terzo
ventricolo con il quarto ventricolo, localizzato tra il cervelletto e la porzione dorsale del ponte, nel centro del
mesencefalo.
Il liquor cefalorachidiano è estratto dal sangue e somiglia, nella sua composizione, al plasma sanguigno.
È prodotto da uno speciale tessuto chiamato plesso coroideo, che protrude in tutti e quattro i ventricoli. Questo
fluido è prodotto continuamente; il suo volume totale è pari approssimativamente a 125 ml e la sua emivita (il
tempo necessario per il ricambio) è di circa tre ore. Di conseguenza, il volume totale di liquor si ricambia
parecchie volte al giorno. La continua produzione di liquor vuol dire che deve esistere un meccanismo per il suo
riassorbimento.
Il liquor cefalorachidiano è prodotto dal plesso coroideo dei ventricoli laterali e da qui defluisce verso il
terzo ventricolo. Qui è prodotta una maggiore quantità di liquor che, scorrendo attraverso l’acquedotto
cerebrale, giunge nel quarto ventricolo, dove ne viene prodotto ancora. Il liquor fuoriesce dal quarto ventricolo
attraverso piccoli forami che si connettono con lo spazio subaracnoideo, quindi circola intorno al sistema
nervoso centrale, dove è riassorbito dalla circolazione sanguigna attraverso le granulazioni aracnoidee, piccole
proiezioni della membrana aracnoide attraverso la dura madre, fino al seno sagittale superiore.
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ASPETTI MORFO-FUNZIONALI DEL LIQUOR CEFALORACHIDIANO

PRODUZIONE, CIRCOLAZIONE E RIASSORBIMENTO DEL LIQUOR


ALL’INTERNO DELLE CAVITÀ VENTRICOLARI E DEI CANALI DEL NERVASSE, COME ANCHE NEGLI SPAZI TRA I RIVESTIMENTI
MENINGEI ARACNOIDE E PIA MADRE, È PRESENTE UN LIQUIDO LIMPIDO E INCOLORE, DENOMINATO LIQUOR
CEFALORACHIDIANO. QUESTO LIQUIDO VIENE PRODOTTO A LIVELLO DEI PLESSI COROIDEI, CHE CONSISTONO IN CIUFFETTI DI
VASI SANGUIGNI CAPILLARI ADAGIATI SULLA SUPERFICIE INTERNA DEL QUARTO VENTRICOLO E DEI DUE VENTRICOLI LATERALI.
NELLE 24 ORE VENGONO PRODOTTI CIRCA 550 ML DI LIQUOR, CHE CIRCOLA LUNGO I CANALI E LE CAVITÀ INTERNE
DELL’ENCEFALO E DEL MIDOLLO SPINALE: ESSO FLUISCE LUNGO IL CANALE MIDOLLARE CHE STA ALL’INTERNO DEL MIDOLLO
SPINALE E NEL QUARTO VENTRICOLO, NELL’ACQUEDOTTO DEL SILVIO, NEL TERZO VENTRICOLO E NEI VENTRICOLI LATERALI. A
LIVELLO DEL QUARTO VENTRICOLO,I FORI DI LUSCHKA E DI MEGENDIEPERMETTONO LA COMUNICAZIONE TRA LE CAVITÀ
INTERNE DEL NERVASSE CON LO SPAZIO SUBARACNOIDEO CHE CIRCONDA IL NERVASSE.
IL LIQUOR VIENE ASSORBITO A LIVELLO DEI VILLI ARACNOIDEI, PASSA QUINDI NEI SENI VENOSI DELLA DURA MADRE E SI
RIVERSA NEI VASI VENOSI DELL’ENCEFALO PER RITORNARE INFINE NEL CIRCOLO SISTEMICO. LA QUANTITÀ DI LIQUOR CHE
RIENTRA NEL SANGUE VENOSO, DOPO AVER CIRCOLATO NEGLI SPAZI INTRA ENCEFALICI E PERIENCEFALICI È CIRCA
430ML/24H: LA QUANTITÀ DI LIQUOR EFFETTIVAMENTE PRESENTE È DI 120 ML.
LA PRESSIONE LIQUORALE È DI NORMA 5-15 MM HG, MA ESSA È SOGGETTA AD AUMENTI FISIOLOGICI IN TUTTI QUEI CASI IN CUI
AUMENTA LA PRESSIONE DEL SANGUE VENOSO, DOVE IL LIQUOR SI RIVERSA. CIÒ AVVIENE, AD ESEMPIO, QUANDO SI COMPIE
UNA ESPIRAZIONE FORZATA A GLOTTIDE CHIUSA (manovra di Valsava), COME AVVIENE NELLA TOSSE O NELLO STARNUTO. IN
QUESTI CASI IL RIASSORBIMENTO DEL LIQUOR DIVENTA PUÒ DIFFICOLTOSO PERCHÉ È AUMENTATA LA PRESSIONE NEI VASI
VENOSI DOVE ESSO DEVE RIVERSARSI. LA PRESSIONE DEL LIQUOR PUÒ TROVARSI AUMENTATA ANCHE IN CASI PATOLOGICI, IN
CUI SI VENGA A DETERMINARE UN OSTACOLO ALLE VIE DI DEFLUSSO (in casi di tumori encefalici); IN CERTI ALTRI CASI
L’OSTACOLO PUÒ CREARSI NELL’ACQUEDOTTO DEL SILVIO ED ALLORA IL LIQUIDO, PIUTTOSTO CHE NEI VENTRICOLI LATERALI,
PUÒ PENETRARE NEL TERZO VENTRICOLO, MA NON SCENDERE NEL QUARTO. POICHÉ LA PRODUZIONE DI LIQUOR NON SI
ARRESTA, SI VIENE A DETERMINARE UN ACCUMULO NEL QUARTO VENTRICOLO E NEI VENTRICOLI LATERALI; QUESTO
ACCUMULO FA AUMENTARE LA PRESSIONE LIQUORALE E FA DILATARE I VENTRICOLI STESSI, CAUSANDO UN IDROCEFALO.
COMPOSIZIONE DEL LIQUOR
IL LIQUOR VIENE PRODOTTO A LIVELLO DEI PLESSI COROIDEI. IL MECCANISMO DI SECREZIONE NON CONSISTE IN UNA PURA E
SEMPLICE FILTRAZIONE PASSIVA: PREVALE LA SECREZIONE ATTIVA, CHE AVVIENE CONTROGRADIENTE E RICHIEDE PERTANTO UN
DISPENDIO DI ENERGIA. IL SODIO, SECRETO ATTIVAMENTE, PER OSMOSI SI TRASCINA DIETRO L’ACQUA. LE SOSTANZE
TRASPORTATE DAL SANGUE AL LIQUOR DISPONGONO DI MECCANISMI DI TRASPORTO ATTIVO, GRAZIE AI QUALI TALUNE
SOSTANZE SONO PRESENTI NEL LIQUOR IN MAGGIORI QUANTITÀ RISPETTO CHE NEL SANGUE (creatinina), MENTRE ALTRE IN
MINORI QUANTITÀ (amminoacidi, proteine).
FUNZIONE DEL LIQUOR CEFALORACHIDIANO
GRAZIE AI MECCANISMI DI TRASPORTO, IL LIQUOR MANTIENE COSTANTE L’AMBIENTE CHE CIRCONDA E GLI ELEMENTI NERVOSI
QUALI NEURONI E GLIA. ESSO CONTRIBUISCE A STABILIZZARE LA PRESSIONE ENDOCRANICA, IN MODO CHE IL TESSUTO
NERVOSO – IN CASO DI AUMENTO DI QUESTA – NON RISULTI SCHIACCIATO CONTRO LE PARETI DEL CRANIO. IL LIQUOR
RAPPRESENTA UN IMPORTANTE FATTORE DI PROTEZIONE DELL’ENCEFALO CONTRO TRAUMI MECCANICI. GRAZIE ALLA PRESENZA
DEL LIQUOR, L’ENCEFALO GALLEGGIA, E CIÒ FA SÌ CHE IL SUO PESO REALE SI RIDUCA NOTEVOLMENTE QUANDO ESSO È
NORMALMENTE CONTENUTO NELLA SCATOLA CRANICA. IL LIQUOR POSSIEDE UN IMPORTANTE POTERE TAMPONE E
CONTRIBUISCE ALLA REGOLAZIONE DELLA VENTILAZIONE POLMONARE, INFLUENZANDO L’ATTIVAZIONE DI CHEMIOCETTORI
BULBARI CHE STIMOLANO I CENTRI RESPIRATORI. IL LIQUOR, INFINE, FUNGE DA VEICOLO DI TRASPORTO DI SOSTANZE ATTIVE
COME NEUROTRASMETTITORI E ORMONI.

2 – Il sistema nervoso centrale

Lo sviluppo del sistema nervoso centrale

Lo sviluppo del sistema nervoso ha inizio intorno al diciottesimo giorno dopo il concepimento. Parte
dell’ectoderma (il foglietto embrionale più esterno) si ispessisce e forma una placca. I bordi di questa placca
formano creste che si arricciano longitudinalmente. Dal ventunesimo giorno queste creste si toccano fino a
fondersi e formano il tubo neurale, da cui derivano il cervello e il midollo spinale. Dal ventottesimo giorno il tubo
neurale si differenzia in tre vescicole interconnesse: da tali vescicole si formano i ventricoli e dal tessuto
circostante le tre parti principali del cervello: proencefalo, mesencefalo e romboencefalo. Con il procedere dello
sviluppo, la vescicola del proencefalo si differenzia in tre parti separate, da cui derivano i ventricoli laterali e il
terzo ventricolo. La regione intorno ai ventricoli laterali va a formare il telencefalo, mentre la regione intorno al
terzo ventricolo il diencefalo. Nella sua forma finale, la vescicola al centro del mesencefalo si restringe, formando
l’acquedotto cerebrale.
 Lo sviluppo cerebrale post-natale
Lo sviluppo cerebrale prosegue anche dopo la nascita: il cervello umano continua a svilupparsi per
almeno due decenni e alcune modificazioni sottili, come quelle conseguenti alle esperienze di apprendimento,
continuano a prodursi per tutta la vita.
Differenti regioni cerebrali svolgono funzioni specializzate, pertanto, differenti regioni corticali ricevono
informazioni diverse e contengono circuiti neuronali diversi. Quali sono i fattori che controllano questo sviluppo?
Alcune forme di specializzazione sono senza dubbio programmate geneticamente. Un altro fattore che influisce
sullo sviluppo cerebrale è l’esperienza. Evidenze sperimentali indicano che un certo grado di rimodellamento
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neuronale può realizzarsi anche nel cervello adulto. Per molti anni i ricercatori hanno creduto che la
neurogenesi, la produzione di nuovi neuroni attraverso la divisione delle cellule germinative cerebrali (si verifica
nell’ippocampo e nel bulbo olfattivo), non ha luogo in cervelli completamente sviluppati. Tuttavia, studi più
recenti hanno dimostrato che questa credenza è falsa: il cervello adulto contiene alcune cellule germinative che
possono dividersi e produrre nuovi neuroni. Questi studi hanno rilevato evidenze di neurogenesi solo in due
parti del cervello adulto: l’ippocampo, principalmente coinvolto nell’apprendimento, e il bulbo olfattivo,
implicato nella percezione degli odori. Le prove empiriche indicano che l’esposizione a nuovi odori può
aumentare la percentuale di sopravvivenza dei neuroni dei bulbi olfattivi, mentre l’addestramento relativo a un
compito di apprendimento può rafforzare la neurogenesi nell’ippocampo.

Il proencefalo
Il proencefalo circonda l’estremità rostale del tubo neurale. Le sue componenti sono il telencefalo e il diencefalo.

 Telencefalo
Il telencefalo comprende la maggior parte dei due emisferi cerebrali simmetrici che costituiscono il
cervello. Le scissure presenti sulla corteccia del telencefalo sono: la scissura centrale (di Rolando), divide il lobo
frontaledal lobo parietale; la scissura laterale (di Silvio), separa il lobo frontale ed il lobo parietalee il lobo
temporale, che viene a trovarsi in posizione inferiore rispetto alla scissura stessa; la scissura parietoccipitale,
delimita un confine tra il lobo parietaleed il lobo occipitale; la scissura calcarina divide il lobo parietale da quello
occipitale; la scissura limbica segue il decorso del corpo calloso: originata inferiormente al rostro, descrive una
curva e termina al di sotto del corpo calloso; essa divide i lobi frontale e parietaledal lobo limbico.
Gli emisferi cerebrali sono ricoperti dalla corteccia cerebrale e contengono il sistema limbico e i gangli
della base. Queste ultime due strutture sono principalmente localizzate nelle regioni sottocorticali del cervello:
quelle localizzate in profondità, sotto la corteccia cerebrale.
Corteccia cerebrale: la corteccia cerebrale circonda gli emisferi cerebrali come la corteccia di un albero. Nell’uomo, la corteccia
cerebrale è profondamente ripiegata: le circonvoluzioni, consistenti in solchi, scissure e giri, aumentano
enormemente l’area della superficie corticale, così che due terzi della superficie della corteccia sono
nascosti nelle piegature; pertanto, la presenza dei giri e dei solchi triplica l’area della corteccia cerebrale.
La corteccia cerebrale è perlopiù composta da glia, corpi cellulari, dendriti e assoni di neuroni che si
connettono fra loro. Poiché prevalgono i corpi cellulari, il che le conferisce un’apparenza grigiastra, ci si
riferisce alla corteccia come materia grigia. Al di sotto della corteccia cerebrale decorrono milioni di assoni
mielinizzati; la grande concentrazione di mielina fornisce a questo tessuto un aspetto bianco opaco, da cui
il termine sostanza bianca.
Ad eccezione dell’olfatto e del gusto, l’informazione sensoriale dal corpo o dall’ambiente è trasmessa alla
corteccia sensoriale primaria dell’emisfero controlaterale; pertanto, è la corteccia somatosensitiva
primaria dell’emisfero sinistro a rendersi conto di cosa la mano destra sta afferrando, e viceversa.
La corteccia cerebrale è divisa in quattro aree, o lobi, visibili – più altri due lobi presenti all’interno delle
scissure (lobo limbico e lobo dell’insula) – che prendono il nome delle ossa craniche sovrastanti: lobo
frontale, lobo parietale, lobo temporale e lobo occipitale.
Nonostante i due emisferi cerebrali cooperino l’uno con l’altro, essi non svolgono identiche funzioni.
Alcune funzioni sono lateralizzate, cioè localizzate principalmente in un emisfero. In generale,
L’emisfero sinistro partecipa all’analisi L’emisfero destro è specializzato nella sintesi: è
dell’informazione, estraei singoli elementi che infatti particolarmente abile nel mettere insieme
costituiscono la totalità di un’esperienza. Questa elementi isolati al fine di percepirli come un
abilità rende l’emisfero sinistro particolarmente tutt’uno. Per esempio, le abilità di disegnare,
abile nel riconoscere gli eventi seriali, cioè gli leggere mappe e costruire oggetti complessi
eventi i cui elementi si susseguono l’uno dopo partendo dagli elementi più piccoli dipende
l’altro: le funzioni seriali includono le attività fortemente dai circuiti neuronali localizzati
verbali. Queste attività sono distrutte da un nell’emisfero destro. I danni all’emisfero destro
danno alle diverse regioni dell’emisfero sinistro. compromettono queste abilità.
Non siamo consapevoli del fatto che ogni emisfero percepisca il mondo in modo diverso; infatti, sebbene i
sue emisferi cerebrali svolgano funzioni differenti, le nostre percezioni sono unificate. Questa unificazione
è resa possibile dal corpo calloso, un grande fascio di assoni, la maggiore commissura del cervello, che
connette regioni corrispondenti alla corteccia associativa di ciascun lato del cervello. Grazie al corpo
calloso ogni regione della corteccia associativa conosce quello che si sta svolgendo nella regione
corrispondente nell’emisfero opposto.
La corteccia cerebrale che ricopre la maggior parte della superficie degli emisferi cerebrali è chiamata
neocorteccia (neocortex), la corteccia filogeneticamente più recente, che comprende la corteccia
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somatosensitiva primaria, la corteccia motoria primaria e la corteccia associativa; un’altra corteccia


cerebrale, la corteccia limbica, è la corteccia filogeneticamente più antica, localizzata sul bordo mediale
degli emisferi cerebrali e appartiene al sistema limbico. Il giro del cingoloè una striscia di corteccia limbica
che si estende lungo le pareti laterali della scissura che separa gli emisferi cerebrali, sopra al corpo calloso.
Sistema limbico: un neuroanatomista suggerì nel 1937 che un insieme di strutture cerebrali interconnesse fra loro
formasse un circuito la cui funzione principale era la motivazione e l’emozione. Questo sistema includeva
diverse regioni della corteccia limbica e un insieme di strutture connesse fra loro che circondavano la parte
centrale del proencefalo. Il lobo limbico si può vedere solo effettuando un tagli sagittale dell’encefalo; si
trova nel diencefalo, al di sotto del corpo calloso.
Oltre alla corteccia limbica, le parti più importanti del sistema limbico sono l’ippocampo(una struttura
proencefalica del lobo temporaleche risiede nella piega corticale del lobo temporale e che costituisce
un’importante parte del sistema limbico e include l’ippocampo, il giro dentato e il subiculum; è implicato
nel consolidamento della memoria) e l’amigdala (una struttura all’interno della porzione rostale del lobo
temporale, che contiene un complesso di nuclei; è implicata nelle emozioni: sensazioni ed espressioni delle
emozioni, ricordi collegati con le emozioni e riconoscimento dei segni delle emozioni in altre persone).
Il fornice è un fascio di fibre che connette l’ippocampo con altre parti del cervello, inclusi i corpi
mammillaridell’ipotalamo (una protrusione della base del cervello che contiene alcuni nuclei ipotalamici).
Lobo dell’insula: Il lobo dell’insula è una porzione della corteccia cerebrale che si trova profondamente all'interno della
scissura laterale del Silvio tra il lobo temporale e il lobo frontale. Il lobo dell'insula gioca un ruolo in diverse
funzioni legate all'emotivitàe alla regolazione dell'omeostasi. Queste funzioni sono:percezione, controllo
motorio, auto-consapevolezza, funzioni cognitive, ed esperienza interpersonale.
Consapevolezza enterocettiva: La parte anteriore destra dell'insula interviene nella consapevolezza degli
stati corporei fornita dagli enterocettori, come la capacità di percepire il proprio battito cardiaco. L'insula è
coinvolta anche nel controllo della pressione arteriosa, particolarmente durante e dopo l'esercizio
fisico.L'area del lobo limbico viene attivata anche quando il cervello percepisce un maggiore sforzo fisico.
• Dolore:Nella corteccia insulare viene quantificata e spesso localizzata la sensazione dolorosa. Inoltre,
l'insula è la zona corticale che si attiva quando una persona immagina il dolore quando osserva
immagini di eventi dolorosi mentre pensa che possano capitare al proprio corpo.
• Temperatura: Un'altra percezione della corteccia insulare anteriore destra è quella dell'entità del calore
non doloroso oppure del freddo non doloroso delle sensazioni ricevute dalla pelle.
• Sistema vestibolare, equilibrio: La corteccia cerebrale che processa sensazioni vestibolari si estende nel
lobo dell'insulae piccole lesioni nella corteccia insulare anteriore possono causare la perdita
dell'equilibrio e causare vertigini.
• Controllo motorio: La ricerca sul linguaggio lo collega alla capacità di avviare le giuste pause e respiri che
precedono e permettono lunghe e complesse frasi parlate.
• Omeostasi:Nell'omeostasi, l'insula controlla le funzioni autonome attraverso una fine regolazione dei
sistemi simpatico e parasimpatico. Ha un ruolo non ben definito nella regolazione del sistema
immune (forse attraverso la risposta allo stress mediata dal cortisolo)
• Emotività sociale:La parte anteriore dell'insula elabora il senso di disgusto provato da una persona sia
agli odoriche alla vista di una contaminazione omutilazione — attivandosi anche soltanto quando
si immagina quest'esperienza.
• Emozioni: La corteccia insulare viene considerata un'area associata alla corteccia limbica. L'insula viene
sempre più studiata per il suo ruolo nella rappresentazione corporea e nell'esperienza emozionale
soggettiva. Dal punto di vista funzionale, si pensa che l'insula processi informazioni convergenti
per produrre un contesto emozionale rilevante in risposta all'esperienza sensoriale. Più
specificamente, l'insula anteriore correla di più alle funzioni olfattive, gustative, viscerali-
autonome, e alla funzione limbica, mentre l'insula posteriore correla di più alla funzione uditiva-
somato-estesica-scheletrica-motoria. Alcuni esperimenti di risonanza magnetica funzionale hanno
rivelato che l'insula ha un ruolo importante nel regolare l'esperienza dolorosa e l'esperienza di un
certo numero di emozioni di base, includendo ira,paura, ansia, disgusto,felicità etristezza.
Studi di imaging funzionale hanno dimostrato un coinvolgimento dell'insula nei desideri consci, come lo
smodato desiderio per il cibo e la droga. Il denominatore comune di questi stati emotivi è che essi
modificano l'organismo in qualche modo e sono associati a qualità soggettive molto rilevanti. L'insula si
trova in una posizione molto adatta per poter integrare l'informazione relativa agli stati corporei in modo
di eseguire processi cognitivi ed emozionali di elevato processo: riceve informazioni dalle vie sensoriali
afferenti omeostatiche attraverso il talamo e manda segnali ad un certo numero di altre strutture correlate
al lobo limbico, come l'amigdala, lo striato ventrale e la corteccia orbitofrontale.
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L'insula anteriore riceve proiezioni dirette dalla parte basale del nucleo ventro-mediale del talamo e un
particolarmente grosso input dal nucleo centrale dell’ amigdala. L'insula posteriore si connette
reciprocamente con la corteccia sensoriale secondaria e riceve afferenze dal nucleo ventro-postero-
inferiore del talamo. Alcuni ricerche più recenti mostrano che questa regione riceve afferenze dal nucleo
ventro-mediale del talamo, che sono altamente specializzate per convogliare informazione
emozionali/omeostatiche come il dolore, la temperatura, il prurito, la condizione locale di saturazione
dell'ossigeno e il toccamento sensuale.
Afasia progressiva non-fluente:L'afasia progressiva non-fluente consiste nel deterioramento delle normali
funzioni del linguaggio, che provoca la perdita dell'abilità di comunicare fluentemente, pur
mantenendo la capacità di comprendere le singole parole udite e la capacità di comprendere altre
percezioni non linguistiche come il tono emotivo del discorso. Si trova in un buon numero di
condizioni neurologiche degenerative, che includono vari tipi di malattia del motoneurone, la
demenza frontotemporale e la malattia di Alzheimer. Si associa spesso all'ipometabolismo dello
stesso lobo e all'atrofia della corteccia insulare anteriore sinistra.
Comportamento additivo e di dipendenza:"L'insula si incarica anche di interpretare stati corporei come la
fame e le voglie particolari ed aiuta a spingere le persone ad attivarsi per raggiungere il prossimo
panino, sigaretta o striscia di cocaina." Un certo numero di studi di risonanza magnetica
funzionale ha mostrato che la corteccia insulare viene attivata quando tossicodipendenti e altre
persone con vari tipi di addittività vengono esposti a stimoli o indizi ambientali che scatenano le
voglie. Questo è stato mostrato per una varietà di droghe di abuso, che includono la cocaina,
l'alcool, gli oppiacei e la nicotina. Recenti ricerchehanno mostrato che i fumatori di sigaretta che
subiscono un danno nella corteccia insulare, ad esempio da un ictus, mostrano la pratica
eliminazione della loro dipendenza dalle sigarette.
Alcuni ricercatori hanno proposto che la corteccia insulare abbia un ruolo nei disordini d'ansia e nella
difettosa regolazione delle emozioni.
Gangli della base: i gangli della base sono un raggruppamento di nuclei sottocorticali localizzati nel proencefalo, sotto la
porzione anteriore dei ventricoli laterali. I nuclei principali dei gangli della base sono: il nucleo caudato, il
putamen e il globo pallido.
I gangli della base sono coinvolti nel controllo del movimento. Per esempio, il morbo di Parkinson è
causato dalla degenerazione di alcuni neuroni localizzati nel mesencefalo, che inviano i loro assoni al
nucleo caudato e al putamen. I sintomi di questa malattia sono debolezza, tremore, rigidità degli arti,
disturbi dell’equilibrio e difficoltà a iniziare i movimenti.

ASPETTI MORFO-FUNZIONALI DELLA CORTECCIA CEREBRALE


LA CORTECCIA CEREBRALE PRESENTA SUA SUPERFICIE DEI SOLCHI E DELLE CIRCONVOLUZIONI. È NOTA ANCHE LA PRESENZA
DI SCISSURE (centrale, laterale, perieto-occipitale, calcarina e limbica) CHE SEPARANO LA SUPERFICIE EMISFERICA,
FORMANDO I DIVERSI LOBI. NELL’AMBITO DI CIASCUN LOBO, QUASI SEMPRE IN CORRISPONDENZA DI PARTICOLARI
CIRCONVOLUZIONI, È STATO POSSIBILE RICONOSCERE LA LOCALIZZAZIONE DI UNA SPECIFICA FUNZIONE CORTICALE,
SENSITIVA, MOTORIA O DI ASSOCIAZIONE. UNA DIFFERENZA MORFOLOGICA FRA DIVERSE REGIONI CORTICALI RIGUARDA
L’ASPETTO ISTOLOGICO. SI DISTINGUE UNA PORZIONE DENOMINATA ALLOCORTEX DA UNA DENOMINATA ISOCORTEX.
• NELL’ALLOCORTEX, CHE CORRISPONDE ALLE AREE DI PROIEZIONE OLFATTIVA, ALL’IPPOCAMPO, AL GIRO DEL
CINGOLO E ALL’UNCUS, L’ASPETTO MORFOLOGICO È PIUTTOSTO GROSSOLANO ED ELEMENTARE.
• INVECE, LA STRUTTURA DELL’ISOCORTEX, CHE COMPRENDE TUTTO IL RESTO DELLA CORTECCIA CEREBRALE, APPARE
MOLTO PIÙ COMPLICATA. VI SI DESCRIVONO INFATTI SEI STRATI DI CELLULE DI ASPETTO DIVERSO: ALCUNE CELLULE
HANNO FORMA PIRAMIDALE E ALTRE NO; I NEURONI PIRAMIDALIPROIETTANO I LORO ASSONI AL DI FUORI DELLA
CORTECCIA, MENTRE LE ALTRE CELLULE HANNO IL COMPITO DI COLLEGARE TRA LORO LE CELLULE DEI DIVERSI STRATI,
ANCHE ESERCITANDO AZIONI INIBITORIE, MA RIMANENDO SEMPRE NEL CONTESTO CORTICALE.
LE CELLULE DEI DIVERSI STRATI CORTICALI SONO DISPOSTE MOLTO ORDINATAMENTE SECONDO UNA DIREZIONE
ORTOGONALE ALLA SUPERFICIE E SONO COLLEGATE TRA LORO DAL PUNTO DI VISTA FUNZIONALE. IN SOSTANZA, LA
CORTECCIA CEREBRALE È COSTITUITA DA COLONNE DOVE LE CELLULE COSTITUENTI SONO TRA LORO
INTERCONNESSE. QUESTA ORGANIZZAZIONE HA PORTATO A RITENERE CHE CIASCUNA COLONNA SVOLGA UN
RUOLO DISTINTO DA QUELLO DELLE COLONNE ADIACENTI.
NELLL’ISOCORTEX LA CORTECCIA SI PRESENTA IN FORME DIVERSE SECONDO LE DIVERSE AREE. AD ESEMPIO, NELLE
AREE SOMESTETICA, VISIVA E ACUSTICA LA CORTECCIA È DI TIPO GRANULARE, IN QUANTO QUESTE REGIONI SONO
CARATTERIZZATE DALL’ABBONDANZA DI CELLULEGRANULARI, MENTRE NELLE AREE MOTRICI LA CORTECCIA È DI TIPO
AGRANULARE, IN QUANTO LE CELLULE GRANULARI SONO MOLTO SCARSE E PREVALGONO I NEURONI PIRAMIDALI.
LA CORTECCIA CEREBRALE è COMPOSTA DA SEI STRATI DI CELLULE (citoarchitettura nelle regioni cerebrali):
1° STRATO: MOLECOLARE;
2° STRATO: CELLULE GRANULARI ESTERNE; CELLULE SENSITIVE
3° STRATO: CELLULE PIRAMIDALI;
4° STRATO: CELLULE GRANULARI INTERNE;
5° STRATO: CELLULE GIGANTI PIRAMIDALI;
6° STRATO: CELLULE POLIMORFE. CELLULE MOTRICI
LOCALIZZAZIONI CORTICALI
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BRODMANFU IL PRIMO A MAPPARE LA CORTECCIA CEREBRALE, SUDDIVIDENDO LE AREE A SECONDA DEL LORO ASPETTO
CITOARCHITETTONICO E ASSEGNANDO UN NUMERO A CIASCUNA AREA DELLA MAPPA. BRODAMAN HA IDENTIFICATO E
NUMERATO 53 AREE CEREBRALI. MALGRADO CON IL PASSARE DEL TEMPO SIANO STATI PROPOSTI ALTRI CRITERI DI DISTINZIONE
TRA LE VARIE REGIONI, LA NUMERAZIONE EFFETTUATA DA BRODMAN CONTINUA ANCORA OGGI A COSTEGGIARE LE DIVERSE
AREE DI PROIEZIONE CORTICALE. VALE IL PRINCIPIO CHE PER CIASCUNA AREA UN DIVERSO ASSETTO CITOARCHITETTONICO
CORRISPONDE A UNA DIVERSA FUNZIONE. TALE CORRISPONDENZA HA PORTATO A LOCALIZZARE DIVERSE FUNZIONI SULLA
SUPERFICIE CORTICALE; SI TRATTA DELLE COSIDDETTE LOCALIZZAZIONI CORTICALI.
AREE ASSOCIATIVE
ACCANTO ALLE AREE MOTORIE, CHE REGOLANO IL MOVIMENTO, E ALLE AREE SENSORIALI, CHE GOVERNANO LA
PERCEZIONE, SI SONO RITROVATE LE COSIDDETTE AREE ASSOCIATIVE, LE QUALI ELABORANO CERTE INFORMAZIONI
PROVENIENTI DALLA PERIFERIA SENSORIALE, INTEGRANDOLE CON LE ALTRE, E FINISCONO PER REGOLARE IL
COMPORTAMENTO VOLONTARIO. L’INTEGRAZIONE SFRUTTA LE ABBONDANTI CONNESSIONI ANATOMICHE CHE COLLEGANO
TRA LORO LE DIVERSE AREE CORTICALI DI UNO STESSO EMISFERO E LE CONNESSIONI TRA UN EMISFERO E L’ALTRO.
AREE DEPUTATE AL CONTROLLO DEL LINGUAGGIO
DUE PARTICOLARI AREE ASSOCIATIVE SONO DEPUTATE AL CONTROLLO DEL LINGUAGGIO. I MOVIMENTI DEI MUSCOLI
IMPEGNATI NELLA FONAZIONE SONO CONTROLLATI DA SPECIFICHE REGIONI SITUATE NELL’AREA MOTRICE PRIMARIA.
TUTTAVIA, AL CONTROLLO DELLA FONAZIONE PARTECIPANO ALTRE DUE AREE CORTICALI, ED ESATTAMENTE L’AREA DI
BROCA E L’AREA DI WERNICKE. NEI SOGGETTI DESTRIMANI ENTRAMBE LE AREE SONO UBICATE NELL’EMISFERO SINISTRO,
CHE È L’EMISFERO DOMINANTE. LA DISTRUZIONE DI UN’AREA DI QUESTO TIPO DETERMINA UN DISTURBO DENOMINATO
AFASIA, CHE CONSISTE NELL’INCAPACITÀ DI IMPIEGARE UN APPROPRIATO LINGUAGGIO O IMPOSSIBILITÀ DI
COMPRENDERE LE PAROLE SCRITTE O PARLATE.
AREA DI BROCA: (AREA 44 DI BRODMAN) È UN’AREA ASSOCIATIVA LOCALIZZATA NEL PIEDE DELLA TERZA
CIRCONVOLUZIONE FRONTALE, PROPRIO DAVANTI ALL’AREA DI RAPPRESENTAZIONE DELLA TESTA
NELL’AREA MOTORIA PRIMARIA. LA DISTRUZIONE DI QUEST’AREA PROVOCA LA COMPARSA DI AFASIA
MOTORIA: INCAPACITÀ VERBALE DI INDICARE DEGLI OGGETTI CON PAROLE ADEGUATE. IL SOGGETTO È
CAPACE DI PARLARE, MA NON RIESCE AD ACCOPPIARE ALLE PAROLE I SIMBOLI CHE RAPPRESENTANO.
EGLI HA PRESENTE L’IDEA DELL’OGGETTO CHE DOVREBBE NOMINARE, MA NON TROVA LA PAROLA GIUSTA.
AREA DI WERNICKE: (AREA 22 DI BRODMAN) È LOCALIZZATA NEL LOBO TEMPORALE, NELLE AREE 21 E 22 DI
BRODMAN. LA SUA LESIONE PROVOCA AFASIA SENSITIVA: IL SOGGETTO COLPITO NON È SORDO, MA NON
RIESCE A CAPIRE IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE ASCOLTATE. VIENE A MANDARE L’ACCOPPIAMENTO TRA
PAROLA UDITA E SIMBOLO CHE ESSA RAPPRESENTA.
L’AREA DI BROCA E L’AREA DI WERNICKE SONO INTERCONNESSE DA UN FASCIO DI FIBRE DENOMINATO FASCICOLO
ARCUATO. LA DISTRUZIONE, TOTALE O PARZIALE DI TALE FASCIO DETERMINA UN’AFASIA DI CONDUZIONE: IL
SOGGETTO PARLA SENZA ALCUN DEFICIT MOTORIO, MA IL SUO LINGUAGGIO RISULTA INCOMPRENSIBILE.
AREA DI DÉJERINE: È SITUATA NEL GIRO ANGOLARE DEL LOBO PARIETALE, IN CONTIGUITÀ CON L’AREA VISIVA DEL
LOBO OCCIPITALE. LA SUA DISTRUZIONE PROVOCAALESSIA, L’INCAPACITÀ DI COMPRENDERE IL
LINGUAGGIO SCRITTO.
AREA DI EXNER: È UNA PICCOLA AREA SITUATA NEL CONTESTO DELL’AREA MOTORIA PRIMARIA, LA CUI LESIONE
PROVOCA L’INCAPACITÀ DI SCRIVERE IN UN LINGUAGGIO APPROPRIATO AL CONCETTO CHE IL
SOGGETTO INTENDE ESPRIMERE.
AREE SOMESTETICHE
SI TRATTA DI REGIONI CORTICALI NEL LOBO PARIETALE CHE RAPPRESENTANO LA STAZIONE DI ARRIVO DI MESSAGGI RELATIVI
ALLA SENSIBILITÀ SOMATICA. LE DUE REGIONI SONO DENOMINATE AREA SOMATICA PRIMARIA E AREA SOMATICA
SECONDARIA. ENTRAMBE LE AREE PROVVEDONO ALLA RECEZIONE DI MESSAGGI SUPERFICIALI E PROFONDI ORIGINATI DALLA
CUTE E SVOLGONO UN IMPORTANTE RUOLO NELLA SENSIBILITÀ TATTILE FINE EPICRITICA.
AREA SOMATICA PRIMARIA: L’AREA SOMATICA PRIMARIA CORRISPONDE ALLE AREE 3, 2 E 1 DI BRODMAN,
SITUATE NEL LOBO PARIETALE, NEL GIRO POST-CENTRALE SULLA CIRCONVOLUZIONE DEL SOLCO CENTRALE.
LA SUA STRUTTURA È TIPICAMENTE GRANULARE. LE AREE ASSOCIATIVE CORRISPONDENTI ALL’AREA
SOMATICA PRIMARIA SONO LE AREE 5 E 7 DI BRODMAN.
QUEST’AREA RICEVE INFORMAZIONI DALLA METÀ OPPOSTA DEL CORPO E PRESENTA UNA ORGANIZZAZIONE
SOMATOTOPICA; INFATTI, STIMOLANDO LA CUTE DI DIVERSE PORZIONI CORPOREE E IDENTIFICANDO LE
REGIONI RESPONSIVE DELLA CORTECCIA SI SONO POTUTE COSTRUIRE DELLE MAPPE DELLA
RAPPRESENTAZIONE CORPOREA SULLA SUPERFICIE CORTICALE.
IN QUESTE MAPPE LE DIVERSE REGIONI CORPOREE SONO RAPPRESENTATE IN MODO MOLTO ORDINATO,
TANTO CHE È POSSIBILE RICONOSCERVI IL COSIDDETTO HOMUNCULUS SENSITIVO, CIOÈ LA
RAPPRESENTAZIONE DEL CORPO DI UN UOMO, DOVE, PROCEDENDO DA AVANTI A INDIETRO, VEDIAMO
PRIMA IL PIEDE, POI LA BAMBA, LA COSCIA, IL BUSTO, IL BRACCIO, L’AVAMBRACCIO, LA MANO, LE DITA E
POI LA FACCIA E IL RIMANENTE DELLE REGIONI DELLA TESTA. BISOGNA SOTTOLINEARE CHE L’HOMUNCULUS
APPARE PIUTTOSTO DEFORME, NEL SENSO CHE DETERMINATE REGIONI CORPOREE PICCOLE (come ad
esempio le dita) OCCUPANO NELLA MAPPA DELLE REGIONI MOLTO PIÙ ESTESE DI ALTRE REGIONI PIÙ
GRANDI (tronco e addome). UNA TALE SPROPORZIONE È A FAVORE DI REGIONI CORPOREE DOVE LA
SENSIBILITÀ È PIÙ SPICCATA IN RAPPORTO ALLE ALTRE, GRAZIE AL FATTO CHE LA RECEZIONE DEI MESSAGGI
CUTANEI DISPONE DI UN MAGGIOR NUMERO DI NEURONI CORTICALI.
AREA SOMATICA SECONDARIA: SI TRATTA DI UN’AREA LOCALIZZATA ANCH’ESSA NEL LOBO PARIETALE, MA IN
POSIZIONE PIÙ LATERALE E CAUDALE RISPETTO ALL’AREA SOMATICA PRIMARIA. CORRISPONDONO ALLE AREE
5 E 7 DI BRODMAN. UNA DELLE CARATTERISTICHE CHE CONTRADDISTINGUONO L’AREA SOMATICA
SECONDARIA DALL’AREA SOMATICA PRIMARIA È CHE QUEST’ULTIMA RICEVE INFORMAZIONI PROVENIENTI DA
ENTRAMBE LE METÀ DEL CORPO. LA DISTRIBUZIONE SOMATOTOPICA IN QUEST’AREA È PIUTTOSTO
GROSSOLANA, ANCHE SE VI SONO BEN DISTINGUIBILI LA FACCIA E I DUE ARTI. ALL’AREA SOMATICA
SECONDARIA CONVERGONO SIA LE PROIEZIONI LEMNISCALE CHE QUELLE SPINOTALAMICHE, DAL MOMENTO
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CHE VI GIUNGONO SIA STIMOLI TATTILI CHE DOLORIFICI. L’AREA SECONDARIA SEMBRA INOLTRE SVOLGERE UN
RUOLO SUBORDINATO RISPETTO A QUELLA PRIMARIA.
AREE MOTORIE
LE AREE CON FUNZIONE MOTORIA SONO STATE IDENTIFICATE SOPRATTUTTO OSSERVANDO LA COMPARSA DI MOVIMENTI A
SEGUITO DELLA STIMOLAZIONE ELETTRICA CORTICALE.
AREA MOTORIA PRIMARIA:L’AREA MOTORIA PRIMARIA È SITUATA NEL GIRO PRE-CENTRALE SULLA
CIRCONVOLUZIONE DEL SOLCO CENTRALE, NEL LOBO FRONTALE. QUEST’AREA PRENDE IL NOME DAL FATTO
CHE LA STIMOLAZIONE ELETTRICA EFFETTUATA ANCHE CON SOTTILISSIMI ELETTRODI RIESCE AD EVOCARE
MOVIMENTI MOLTO FINI, APPLICANDO IMPULSI DI MINIMA INTENSITÀ. QUESTA REGIONE È STATA
LOCALIZZATA NEL LOBO FRONTALE E CORRISPONDE ALL’AREA 4 DI BRODMAN, PRESENTANDO LA
CARATTERISTICA STRUTTURA AGRANULARE.
L’HOMUNCULUS MOTORIO DELL’AREA MOTORIA PRIMARIA HA UNA RAPPRESENTAZIONE
SOMATOTOPICA, DAL MOMENTO CHE LE VARIE REGIONI DEL CORPO SONO RAPPRESENTATE IN SEQUENZA
ORDINATA: LE DITA DEL PIEDE, IL PIEDE, LA GAMBA, LA COSCIA, IL TRONCO, IL BRACCIO,
L’AVAMBRACCIO, LA MANO, LE DITA DELLA MANO E LA FACCIA. L’HOMUNCULUS MOTORIO È
DISARMONICO PER IL FATTO CHE TALUNE PARTI, CHE CORRISPONDONO ALLA MANO, AL VISO E ALLA
LINGUA, COPRONO UNA MAGGIORE SUPERFICIE E CIÒ CONFERMA COME LE REGIONI CORPOREE CAPACI
DI ESEGUIRE MOVIMENTI PIÙ FINI DISPONGONO DI UN CONTROLLO CORTICALE PIÙ ESTESO.
SI È AMPIAMENTE DIMOSTRATO CHE LA CORTECCIA MOTORIA È DOTATA DI UN DISCRETO GRADO DI
PLASTICITÀ, NEL SENSO CHE LA SUA ORGANIZZAZIONE TOPOGRAFICA SI MODIFICA A SEGUITO DI LESIONI O
DI APPRENDIMENTO.
DOPO UNA LESIONE CHE HA INTERESSATO UNA PARTE PIÙ O MENO ESTESA DELLA CORTECCIA MOTORIA, SI
OSSERVA UNA PARALISI FLACCIDA DEGLI ARTI DEL LATO OPPOSTO ALLA LESIONE, CHE PERÒ ANDRÀ
INCONTRO A UN CERTO RECUPERO PROGRESSIVO. A COSA SI DEVE IL RECUPERO: SICURAMENTE NON A
FENOMENI NEURORIGENERATIVI; PIUTTOSTO SI TRATTA DI FENOMENI DI POTENZIAMENTO DELLE FUNZIONI
RESIDUE, CHE SI INQUADRANO NEL CONTESTO DELLA NEUROPLASTICITÀ. IN GENERALE, POSSIAMO DIRE
CHE TRA I NEURONI SOPRAVVISSUTI C’È STATO UN RINFORZO DI COLLEGAMENTI SINAPTICI O ADDIRITTURA
LA FORMAZIONE DI NUOVI CIRCUITI SINAPTICI; COSÌ SI È IPOTIZZATO CHE IL MIGLIORAMENTO DEL DEFICIT
CONSEGUENTE AD UN ICTUS POSSA ESSERE DOVUTO ALL’INTERVENTO DELL’AREA MOTORIA DEL LATO
OPPOSTO, CHE VA CONNETTENDOSI SEMPRE PIÙ FORTEMENTE ALL’EMISFERO LESO.
ALTRI ESPERIMENTI SULL’UOMO HANNO DIMOSTRATO COME, FACENDO COMPIERE AD UN SOGGETTO UN
DETERMINATO ESERCIZIO CON UNA MANO E FACENDOGLIELO RIPETERE FINO A QUANDO EGLI NON LO
SVOLGA CON TOTALE DIMESTICHEZZA, LA RAPPRESENTAZIONE DI QUELLA MANO NELL’HOMUNCULUS
MOTORIO DIVENTA PIÙ AMPIA. QUESTO RISULTATO CONTRIBUISCE A SPIEGARE COME L’AFFINAMENTO DI
PERFORMANCES MOTORIE MEDIANTE L’ALLENAMENTO POSSA GIOVARSI NON SOLO DELLE CORREZIONI A
FEEDBACK, MA ANCHE DEI FENOMENI DI NEUROPLASTICITÀ DESTATI DALL’ALLENAMENTO STESSO.
AREE PREMOTORIE
QUESTE AREE SONO ESSENZIALMENTE DUE E SONO STATE IDENTIFICATE COME LE AREE 6 E 8DI BRODMAN. L’AREA 8
CONTROLLA I MOVIMENTI CONIUGATI VOLONTARI DEGLI OCCHI, E PER QUESTO VIENE ANCHE CHIAMATA AREA
OCULO-CEFALO-GIRA.
AREA 6:ANCHE NELL’AREA 6, ANALOGAMENTE A QUANTO AVVIENE NELL’HOMUNCULUS MOTORIO DELL’AREA 4,
SI POSSONO RICONOSCERE DELLE MAPPE RIGUARDANTI IL VISO E GLI ARTI, MA SI POSSONO NOTARE DELLE
DIFFERENZE TRA LE DUE AREE: LE RISPOSTE MOTORIE ALLA MICROSTIMOLAZIONE DELL’AREA 4 COMPAIONO
APPLICANDO STIMOLI ELETTRICI DI BASSA INTENSITÀ E SONO MOLTO ELEMENTARI, NEL SENSO CHE
CONSISTONO NELLA CONTRAZIONE DEI SINGOLI MUSCOLI; NELL’AREA 6LA STIMOLAZIONE DEVE AVVENIRE
CON PIÙ FORTE INTENSITÀ DI CORRENTE; INOLTRE, LE RISPOSTE CONSISTONO IN ATTI MOTORI COMPLESSI
CHE COINVOLGONO PIÙ ARTICOLAZIONI E APPAIONO ORGANIZZATI COME SE FOSSERO MOVIMENTI DI
PRENSIONE E DI RAGGIUNGIMENTO. È INTERESSANTE IL FATTO CHE LE RISPOSTE MOTORIE ALLA
STIMOLAZIONE DELL’AREA 6 COMPAIONO CON LA MEDIAZIONE DELL’AREA MOTORIA PRIMARIA, TANTO È
VERO CHE LA STIMOLAZIONE DELL’AREA 6 NON RIESCE PIÙ AD EVOCARLE QUANDO SI INTERROMPONO LE
CONNESSIONI CON LE DUE AREE.
L’ABLAZIONE ISOLATA DELL’AREA 6 NON È IN GRADO DI INDURRE PARALISI, COME INVECE SI OSSERVA
DOPO UNA LESIONE DELL’AREA 4. SI È VISTO PERÒ CHE LA DISTRUZIONE DI ENTRAMBE LE AREE PROVOCA
DISTURBI MOTORI PIÙ GRAVI RISPETTO A QUELLI DIPENDENTI SOLO DALL’AREA 4: LA COMBINAZIONE DELLE
DUE LESIONI FA COMPARIRE FENOMENI DI TIPO SPASTICO.
AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE
ESSA SI TROVA NELLA FACCIA MESIALE DELL’EMISFERO. L’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE È STATA IDENTIFICATA SULLA
BASE DI RISPOSTE MOTORIE ALLA STIMOLAZIONE ELETTRICA. ANALOGAMENTE A QUANTO OSSERVATO PER L’AREA 6,
ANCHE I MOVIMENTI EVOCATI DALLA STIMOLAZIONE DI QUESTA AREA COMPAIONO APPLICANDO STIMOLAZIONI
NERVOSE DI MAGGIORE INTENSITÀ. DEFICIT MOTORI DI UNA CERTA IMPORTANZA COMPAIONO SOLO SE LA LESIONE
DELL’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE VIENE EFFETTUATA BILATERALMENTE. UN’ALTRA ANALOGIA CON L’AREA 6
CONSISTE NEL FATTO CHE SE SI DISTRUGGONO IN MODO COMBINATO L’AREA 4 E L’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE LA
PARALISI VIENE AGGRAVATA DA FENOMENI DI SPASTICITÀ.
AREE VISIVE
LE PROIEZIONI VISIVE PROVENIENTI DALLA RETINA TERMINANO SELETTIVAMENTE NEL LOBO OCCIPITALE. NELLA CORTECCIA
VISIVA SI DISTINGUONO TRE REGIONI CORRISPONDENTI ALLE AREE 17, 18 E 19 DI BRODMAN.
AREA 17, O AREA VISIVA PRIMARIA: È LOCALIZZATA NELLA REGIONE DELLA SCISSURA CALCARINA DEL LOBO
OCCIPITALE. IL SUO ASPETTO MORFOLOGICO È TIPICO: IL QUARTO STRATO APPARE MOLTO RICCO DI
GRANULI E VIENE ATTRAVERSATO DA UN FASCETTO DI FIBRE NERVOSE CHE HANNO UN DECORSO
PARALLELO ALLA SUPERFICIE; A CAUSA DI TALE ASPETTO QUEST’AREA VIENE ANCHE DENOMINATA
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CORTECCIA STRIATA. L’AREA 17 CONTIENE NEURONI CHE PROIETTANO I LORO ASSONI AL DI FUORI DELLA
CORTECCIA, VERSO CENTRI SOTTOCORTICALI DOTATI DI FUNZIONE VISIVA; ALTRI NEURONI PROIETTANO
INVECE ALL’AREA VISIVA SECONDARIA E ALL’AREA VISIVA TERZIARIA. L’AREA 17 RICEVE SOPRATTUTTO
INFORMAZIONI SULLE IMMAGINI PROVENIENTI DAL LATO OPPOSTO DEL CAMPO VISIVO: AD ESEMPIO,
L’AREA SINISTRA “VEDE” GLI OGGETTI CHE STANNO ALLA DESTRA. DIFATTI, LA DECOSTRUZIONE
MONOLATERALE DELL’AREA 17 PROVOCA LA COSIDDETTA “EMIANOPSIA BILATERALE OMONIMA: IL
DISTURBO È BILATERALE IN QUANTO INTERESSA ENTRAMBI GLI OCCHI, I QUALI PERDONO CIASCUNO METÀ
DEL CAMPO VISIVO; SE LA LESIONE VIENE CONDOTTA BILATERALMENTE, SI AVRÀ CECITÀ COMPLETA.
LE INFORMAZIONI ELABORATE DALL’AREA VISIVA PRIMARIA SI RIFERISCONO ALLE CARATTERISTICHE DI
FORMA E DI COLORE DEGLI OGGETTI OSSERVATI, NONCHÉ ALLE LORO DIMENSIONI, AL LORO
ORIENTAMENTO NELLO SPAZIO E ALLA DIREZIONE DEGLI OGGETTI IN MOVIMENTO. TALI INFORMAZIONI SI
DEBBONO ANCHE ALLA FUNZIONALITÀ DI ALMENO TRE TIPI DI NEURONI RICETTIVI IVI IDENTIFICATI:
• NEURONI SEMPLICI: RISULTEREBBERO SENSIBILI SOLO ALL’ORIENTAMENTO DEGLI OGGETTI NELLO SPAZIO;
• NEURONI COMPLESSI: (presenti anche nelle aree 18 e 19) SENSIBILI ANCH’ESSI ALL’ORIENTAMENTO DEGLI
OGGETTI, MA ANCHE AL LORO MOVIMENTO;
• NEURONI IPERCOMPLESSI: (presenti in numero scarso nell’area 17, ma abbondanti nelle aree 18 e 19) LE
CUI SCARICHE SI MODIFICANO NON SOLO IN RAPPORTO ALL’ORIENTAMENTO E
AL MOVIMENTO DEGLI OGGETTI, MA ANCHE ALLE LORO DIMENSIONI.
AREA 18 (AREA VISIVA SECONDARIA) E AREA 19 (AREA VISIVA TERZIARIA): SI TROVANO ANCH’ESSE NEL LOBO
OCCIPITALEE LA LORO STIMOLAZIONE ELETTRICA DETERMINA MOVIMENTI CONIUGATI DI ENTRAMBI GLI
OCCHI, I QUALI DEVIANO VERSO IL LATO OPPOSTO ALL’EMISFERO STIMOLATO. QUESTE DUE AREE SONO
COINVOLTE NEI MECCANISMI DI INSEGUIMENTO DEGLI OGGETTI CHE SI SPOSTANO NEL CAMPO VISIVO.
ESSE GIOCANO ANCHE UN RUOLO NEL DETERMINISMO DEL NISTAGMO OPTO-CINETICO, CIOÈ IN QUELLA
SERIE DI SCOSSE DEL GLOBO OCULARE NEL CUI CAMPO VISIVO SCORRONO GLI OGGETTI. Un tipico esempio
di questa forma di nistagmo è quello che si presenta quando dal finestrino di un treno osserviamo i pali dell’elettricità
che si spostano nel campo visivo: in una prima fase (di inseguimento) l’occhio tende a seguire i pali e dunque si sposta
nella stessa direzione, ma fino ad un certo punto, oltre il quale esso ritorna alla primitiva posizione (fase di richiamo).
AREE ACUSTICHE
IL LOBO TEMPORALE È LA SEDE DI ARRIVO DELLE PROIEZIONI DELLE VIE ACUSTICHE ORIGINATE NELLA COCLEA, CIOÈ
NELL’APPARATO RECETTORIALE ACUSTICO DELL’ORECCHIO. LE VIE NERVOSE CENTRALI ATTRAVERSANO DIVERSE STAZIONI
SOTTOCORTICALI PRIMA DI GIUNGERE ALLA CORTECCIA: IL COMPLESSO DELL’OLIVA SUPERIORE, IL CORPO QUADRIGEMINO
INFERIORE DEL MESENCEFALO E IL CORPO GENICOLATO MEDIALE DEL TALAMO. LA CORTECCIA UDITIVA È LOCALIZZATA NEL
GIRO TEMPORALE TRAVERSO DI HESCHL E NELLA PROFONDITÀ DELLA SCISSURA LATERALE DEL SILVIO.
FACENDO RIFERIMENTO ALLA NUMERAZIONE ASSEGNATA DA BRODMAN, SI DISTINGUONO DUE DIFFERENTI REGIONI DI
PROIEZIONE UDITIVA: QUELLA CORRISPONDENTE ALLE AREE 41 E 42,  DOVE ARRIVANO LE INFORMAZIONI DI ORIGINE
COCLEARE, E QUELLA CHE HA SEDE NELLE AREE 21 E 22 DELL’EMISFERO DOMINANTE,  CHE SVOLGE
UN’IMPORTANTE RUOLO NEI PROCESSI DI COMPRENSIONE DEL LINGUAGGIO PARLATO. QUANDO QUESTA SECONDA
REGIONE (21 E 22), DENOMINATA ANCHE AREA PSICO-ACUSTICA, VIENE DISTRUTTA, COMPARE LA COSIDDETTA AFASIA
SENSORIALE: IL SOGGETTO È INCAPACE DI COMPRENDERE IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE ASCOLTATE, ANCHE SE IL SOGGETTO
NON È AFFATTO SORDO; EGLI È INOLTRE BEN CAPACE DI CAPIRE IL SIGNIFICATO DELLA STESSA PAROLA, QUANDO LA LEGGE.
LA MAGGIOR PARTE DEI NEURONI LOCALIZZATI NELLE AREE 41 E 42 SI MOSTRA RESPONSIVA A STIMOLI PROVENIENTI DA
ENTRAMBE LE ORECCHIE, TUTTAVIA, CIASCUN SOGGETTO È IN GRADO DI RICONOSCERE FACILMENTE LA DIREZIONE DA CUI
PROVIENE IL SUONO; CIASCUN ORECCHIO È CAPACE DI ATTIVARSI IN MODO DIVERSO IN RAPPORTO A MINIME DIFFERENZE DI
INTENSITÀ DELLO STIMOLO CHE LO COLPISCE. Ad esempio, uno stimolo proveniente da destra colpisce con maggiore
intensità l’orecchio destro, e con minore intensità l’orecchio sinistro.
LA CORTECCIA UDITIVA, COSÌ COME LE AREE ACUSTICHE ASSOCIATIVE, INVIANO DELLE PROIEZIONI DISCENDENTI CHE
RAGGIUNGONO DIVERSE STAZIONI ACUSTICHE SOTTOCORTICALI, AL FINE DI ESERCITARE UN CONTROLLO A FEEDBACK SULLA
TRASMISSIONE ASCENDENTE DELLE INFORMAZIONI ACUSTICHE. QUESTO TIPO DI CONTROLLO IMPLICA CHE LA CORTECCIA, LA
QUALE RICEVE MESSAGGI CHE SALGONO DAI RECETTORI ACUSTICI, ESERCITI UN CONTROLLO DISCENDENTE SUI MESSAGGI
ORIGINATI DAGLI STESSI RECETTORI. IN TAL MODO, LA CORTECCIA RIESCE AD ESALTARE O ATTENUARE LA SENSIBILITÀ UDITIVA.

LOBO LIMBICO
IL LOBO LIMBICO PROPRIAMENTE DETTO È FORMATO DAL GIRO DEL CINGOLO, DALL’IPPOCAMPO E DALL’UNCUS. DI NORME,
PERÒ, QUESTE REGIONI CORTICALI VENGONO INQUADRATE ASSIEME AD ALTRE STRUTTURE, CORTICALI E SOTTOCORTICALI, A
FORMARE IL COSIDDETTO SISTEMA LIMBICO. LA TENDENZA A QUESTA GENERALIZZAZIONE DIPENDE DAL FATTO CHE L’INTERO
SISTEMA LIMBICO ESERCITA NOTEVOLI INFLUENZE SUL COMPORTAMENTO UMANO.
NEL SISTEMA LIMBICO IN SENSO LATO VENGONO COMPRESE LE SEGUENTI FORMAZIONI: L’AMIGDALA, I NUCLEI DEL SETTO,
L’IPOTALAMO E D IL NUCLEO ANTERIORE DEL TALAMO, COME PURE LA CORTECCIA PIRIFORME, IL BULBO E IL TUBERCOLO
OLFATTIVO, LA CORTECCIA ORBITO-INSULO-TEMPORALE, IL NUCLEO CAUDATO E LA FORMAZIONE RETICOLARE BULBO-
POONTO-MESENCEFALICA. LE FUNZIONI DEL LOBO LIMBICO POSSONO RICONDURSI A DUE ASPETTI: UN’INFLUENZA SULLE
FUNZIONI NERVOSE CENTRALI E UNA PARTECIPAZIONI AL DETERMINISMO DI CERTE FORME GLOBALI DI COMPORTAMENTO.

INFLUENZA DEL SISTEMA LIMBICO SULLE FUNZIONI NERVOSE CENTRALI


SISTEMA LIMBICO E AFFERENZE SENSORIALI:UN’IMPORTANTE PREMESSA È CHE LA RECEZIONE E LA TRASMISSIONE
DELLE INFORMAZIONI SENSORIALI NON SONO PROCESSI CHE L’ORGANISMO SUBISCE IN MANIERA PASSIVA;
AL CONTRARIO, L’ORGANISMO INCORPORA IN MANIERA ATTIVA UNO STIMOLO O UN INSIEME DI STIMOLI
NEL SUO BAGAGLIO DI ESPERIENZE, CONFERENDO MAN MANO AD ESSE UN CERTO SIGNIFICATO. LE
DISCRIMINAZIONI SENSORIALI SEMPLICI NON SONO AFFATTO PERTURBATE DA LESIONI DELL’IPPOCAMPO O
DELL’AMIGDALA, E DA CIÒ SI DEDUCE CHE QUESTE STRUTTURE NON SONO NECESSARIE NELL’ANALISI E
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NELL’INTEGRAZIONE DELLE CARATTERISTICHE OGGETTIVE DELLE INFORMAZIONI. PER CONTRO, IL SISTEMA


LIMBICO PARTECIPA A UN CONTROLLO MODULATORE CENTRALE DELLE AFFERENZE SENSORIALI. ad
esempio, il setto esercita un’ influenza inibitrice sulle risposte della corteccia visiva alla stimolazione fonica.
SISTEMA LIMBICO E VIGILANZA: NUMEROSI STUDI SPERIMENTALI PERMETTONO DI AFFERMARE CHE IL SISTEMA
LIMBICO INTERVIENE NEL COMPLESSO DETERMINISMO DEGLI STATI DI VIGILANZA. LA STIMOLAZIONE
ELETTRICA DELL’AMIGDALA PROVOCA UN AUMENTO SIA DELLA VIGILANZA CORTICALE, che si manifesta
con una desincronizzazione dei ritmi elettroncefalografici, SIA DELLA VIGILANZA COMPORTAMENTALE.
D’ALTRA PARTE, LE FLUTTUAZIONI SPONTANEE DEL LIVELLO DI VIGILANZA SI ACCOMPAGNANO A
MODIFICAZIONI DELL’ATTIVITÀ ELETTRICA DELL’AMIGDALA. LA FASE PARADOSSA DEL SONNO, che si
esprime con una desincronizzazione corticale, SI ACCOMPAGNA ALLA COMPARSA NELL’IPPOCAMPO DI
UN RITMO A BASSA FREQUENZA. IL SONNO PARADOSSO PUÒ ESSERE INDOTTO PER STIMOLAZIONE
ELETTRICA DELL’AMIGDALA E DELL’IPPOCAMPO; QUANDO INVECE SI INTERROMPONO LE CONNESSIONI
AMIGDALO-DIENCEFALICHE, LA DURATA DEL SONNO PARADOSSO IN UN’INTERA NOTTE DIMINUISCE.
ESISTEREBBERO INOLTRE DELLE RELAZIONI TRA ATTIVAZIONE DELL’IPPOCAMPO E DENOMENI DI ATTENZIONE E
DI VIGILANZA SELETTIVA.
SISTEMA LIMBICO E ATTIVITÀ MOTORIA SPONTANEA: LE VARIAZIONI DELL’ATTIVITÀ MOTORIA SPONTANEA NON SI
POSSONO RICONDURRE A FLUTTUAZIONI DI UNA SOLA VARIABILE. ESSA NON SOLO ESPRIME LA RISPOSTA
DEL SISTEMA NERVOSO AD UN LIVELLO ENERGETICO ENDOGENO A SUA VOLTA LEGATO A MODIFICAZIONI
DEL MEZZO INTERNO, MA È ANCHE L’ESPRESSIONE DELLA REATTIVITÀ DELL’ORGANISMO MESSO DI FRONTE A
UN CERTO AMBIENTE E A DATE SITUAZIONI. DA CIÒ SI PUÒ INTUIRE COME IL RUOLO DEL SISTEMA LIMBICO
NEL DETERMINISMO DI UN’ATTIVITÀ MOTORIA SPONTANEA NON SIA NECESSARIAMENTE UNIVOCO: ad
esempio, la lesione sperimentale dell’ippocampo, che nel ratto fa aumentare l’attività locomotoria spontanea, nel gatto
e nella scimmia si presenta aumentata in un’ambiente insolito, mentre è ridotta se l’ambiente rimane quello abituale.
SISTEMA LIMBICO E APPRENDIMENTO: GLI EFFETTI DELLA STIMOLAZIONE LIMBICA SULL’APPRENDIMENTO SONO IN
GENERE PIÙ IMPORTANTI DURANTE IL CORSO DELL’APPRENDIMENTO RISPETTO ALLE FASI PIÙ TARDIVE.
L’IPPOCAMPO E L’AMIGDALA INTERVENGONO VEROSIMILMENTE SUL VERSANTE DELLA MOTIVAZIONE,
GIOCANDO UN RUOLO FONDAMENTALE NELL’ELABORAZIONE E NELLA VALUTAZIONE DEL SIGNIFICATO DI
UNO STIMOLO.
DOPO LESIONI DELL’IPPOCAMPO O DELL’AMIGDALA, SI CONSTATA UNA PERTURBAZIONE DEI MECCANISMI
GRAZIE AI QUALI IL SOGGETTO ELABORA E VALUTA IL SIGNIFICATO SPECIFICO DI UNO STIMOLO O DI UN
INSIEME DI STIMOLI, PERTURBAZIONE CHE PORTA IL SOGGETTO A PERSEVERARE IN UN COMPORTAMENTO
INADEGUATO PER DIFFICOLTÀ A SUPERARE GLI ERRORI.
SISTEMA LIMBICO E MEMORIA: FRA I NUMEROSI DATI SPERIMENTALI RIPORTATI IN LETTERATURA È INTERESSANTE
RILEVARE COME LA STIMOLAZIONE DI UNA REGIONE PREAMIGDALOIDEA PROVOCA UN
COMPORTAMENTO AUTOMATICO CON AMNESIA DI FISSAZIONE. INOLTRE, L’ABLAZIONE BILATERALE
DELL’IPPOCAMPO, DELL’UNCUS E DELL’AMIGDALA DETERMINA LA COMPARSA DELLA SINDROME DI
KORSAKOFF, CHE CONSISTE NELL’INCAPACITÀ DI REGISTRARE L’ESPERIENZA PRESENTE E NELLA PERDITA DI
MEMORIA A LUNGO TERMINE.
SISTEMA LIMBICO E REAZIONI EMOZIONALI: LA DISTRUZIONE BILATERALE DELL’AMIGDALA FA DIMINUIRE LA
REATTIVITÀ EMOZIONALE IN QUANTO CON TALE MANOVRA VENGONO SOPPRESSE LE INFLUENZE
FACILITATRICI SU STRUTTURE IPOTALAMICHE E MESENCEFALICHE RESPONSABILI DELLE REAZIONI EMOZIONALI.
L’ABLAZIONE BILATERALE DELL’IPPOCAMPO FA DIMINUIRE LA REATTIVITÀ EMOZIONALE, MENTRE LA
STIMOLAZIONE NON HA ALCUN EFFETTO.
LA STIMOLAZIONE DELL’AMIGDALA SCATENA REAZIONI DI COLLERA O PAURA.
LESIONI DEL SETTO FANNO COMPARIRE REAZIONI DI RABBIA, CHE VENGONO SOPPRESSE DALL’ABLAZIONE
BILATERALE DELL’AMIGDALA.
LA STIMOLAZIONE DI DIVERSE STRUTTURE LIMBICHE PROVOCA DELLE REAZIONI VEGETATIVE CIRCOLATORIE,
RESPIRATORIE, SUDORALI, DIGESTIVE ED ENDOCRINE.
CARATTERISTICA IN QUEST’AMBITO È LA DIMOSTRAZIONE DEL COSIDDETTO RINFORZO PASSIVO: UN
ANIMALE CUI PREVENTIVAMENTE SI SIANO IMPIANTATI DEGLI ELETTRODI DI STIMOLAZIONE IN ZONE LIMBICHE,
SI AUTOSTIMOLA QUANDO LA STIMOLAZIONE INTERESSA ZONE CHE PRODUCONO EFFETTI PIACEVOLI,
MENTRE EVITA DI AUTOSTIMOLARSI SE L’ETTIVAZIONE EVOCA SENSAZIONI SPIACEVOLI.
PARTECIPAZIONE AL DETERMINISMO DI CERTE FORME GLOBALI DI COMPORTAMENTO
COMPORTAMENTO ALIMENTARE: IL COMPORTAMENTO ALIMENTARE PARTECIPA AI PROCESSI DI CONSERVAZIONE
DELLA VITA. LA DISTRUZIONE, A LIVELLO IPOTALAMICO, DEI CENTRI DELLA FAME E DELLA SAZIETÀ
DETERMINANO ANORESSIA O IPERFAGIA. LA STIMOLAZIONE DELL’AMIGDALA INIBISCE IL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE SE TALE STIMOLAZIONE È COLINERGICA, MENTRE SI HA AUMENTO DELLA INGESTIONE DI CIBO
SE TALE STIMOLAZIONE È ADRENERGICA.
COMPORTAMENTO SESSUALE: IL SISTEMA LIMBICO INTERVIENE IN MODO PIÙ O MENO DIRETTO NELLA MATURAZIONE
PROGRESSIVA DI UN COMPORTAMENTO SESSUALE ADULTO.
NELLA RATTA, LA DISTRUZIONE BILATERALE DELL’AMIGDALA ACCELERA LA PUBERTÀ, MENTRE LA
STIMOLAZIONE RIPETUTA LA FA RITARDARE. QUESTO FENOMENO VERREBBE SPIEGATO DA UNA
SOPPRESSIONE O DA UN RINFORZO DI INFLUENZE ASPECIFICHE NELL’IPOTALAMO, CHE SI ESTRINSECANO
CON UNA MODIFICAZIONE DELLA PRODUZIONE DI GONADOTROPINE IPOFISARIE.
NELL’UOMO, LA LESIONE DI STRUTTURE LIMBICHE DEL LOBO TEMPORALE HA PORTATO ALLA COMPARSA DI
SEGNI DI IPERSESSUALITÀ. GLI STESSI SEGNI SONO STATI OSSERVATI NEL GATTO E CONSISTONO IN UNA
MANCANZA DI DISCERNIMENTO NELLA SCELTA DEL PARTNER.
COMPORTAMENTO AGGRESSIVO: BISOGNA DISTINGUERE DIFFERENTI FORME DI AGGRESSIONE E DIFFERENTI STATI DI
MOTIVAZIONE CHE NE SONO RESPONSABILI. IN CERTI CASI LA FINALITÀ IMMEDIATA DI UN’AGGRESSIONE È
EVIDENTE, IN ALTRI CASI MOLTO MENO. L’ESPERIENZA INTERVIENE IN MODO DETERMINANTE NELLO
SVILUPPO DELL’AGGRESSIVITÀ, MA È SPESSO DIFFICILE DEFINIRE L’APPORTO RISPETTIVO DEL GENOMA E
DELL’ESPERIENZA. IN OGNI CASO, LA REATTIVITÀ SOCIALE È STRETTAMENTE LEGATA ALLA REATTIVITÀ
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EMOZIONALE, ED ALLORA QUALUNQUE INTERVENTO SPERIMENTALE CAPACE DI AGIRE SULLA REATTIVITÀ


EMOZIONALE COLPISCE ANCHE LE RELAZIONI SOCIALI DEL SOGGETTO CON IL SUO AMBIENTE.
SI È OSSERVATO CHE LESIONI DELL’AMIGDALA E DELL’IPPOCAMPO, CHE PROVOCANO UNA IPOREATTIVITÀ
EMOZIONALE, RIDUCONO L’AGGRESSIVITÀ. AL CONTRARIO, LESIONI A CARICO DEL SETTO AUMENTANO
L’AGGRESSIVITÀ. QUESTI EFFETTI SEMBRANO ESSERE MEDIATI DALLE CONNESSIONE EFFERENTI DIRETTE
ALL’IPOTALAMO.
AREE DEL LOBO TEMPORALE
GIRO SUPERIORE DEL LOBO TEMPORALE: AREE SENSITIVE DELL’UDITO (41 E 42) E DELLA COMPRENSIONE DEL DISCORSO (21 E 22).
GIRO MEDIO DEL LOBO TEMPORALE: AREA DEPUTATA AL RICONOSCIMENTO DEGLI OGGETTI;
AREA 37 DI BRODMAN: DEPUTATA AL RICONOSCIMENTO DI NUMERI, LETTERE E VOLTI.
GIRO FUSIFORME DEL LOBO TEMPORALE: AREA DEPUTATA AL RICONOSCIMENTO DI VOLTI FAMILIARI; la distruzione di tale area
causa prosopagnosia.

Aree 3, 1 e 2 - Corteccia somestesica primaria (vengono elencate nella sequenza: Area 28 - Corteccia entorinale, parte posteriore
"aree 3, 1, 2" per convenzione) Area 29 - Giro cingolato, parte retrosplenica
Area 4 - Corteccia motoria primaria (M1) Area 30 - Parte del giro cingolato
Area 5 - Corteccia associativa somatosensoriale Area 31 - Corteccia cingolata posteriore, parte dorsale.
Area 6 - Corteccia premotoria e corteccia motoria supplementare (corteccia Area 32 - Corteccia cingolata anteriore, parte dorsale
motoria secondaria) (area motoria supplementare) Area 33 - Parte della corteccia cingolata anteriore
Area 7 - Corteccia associativa somatosensoriale Area 34 - Corteccia entorinale anteriore (nella circonvoluzione paraippocampale)
Area 8 - Include i campi oculari frontali Area 35 - Corteccia peririnale (nella circonvoluzione paraippocampale)
Area 9 - Corteccia prefrontale dorsolaterale Area 36 - Area ectorinale, adesso parte della corteccia peririnale (solco rinale)
Area 10 - Corteccia anteriore prefrontale (la parte più rostrale della circonvoluzione Area 37 - Circonvoluzione fusiforme
frontale superiore e media) Area 38 - Area temporopolare (è la parte più rostrale delle circonvoluzioni temporale
Area 11 - Area orbitofrontale superiore e media)
Area 12 - Area orbitofrontale Area 39 - Giro angolare, considerata da alcuni come parte dell'area di Wernicke
Area 13 e Area 14* - Parte del lobo dell'insula Area 40 - Circonvoluzione sopramarginale considerata da alcuni come parte dell'area
Area 15* - Lobo temporale, parte anteriore di Wernicke
Area 16 Aree 41 e 42 - Corteccia uditiva
Area 17 - Corteccia visiva primaria(V1) Area 43 - Corteccia gustativa, area subcentrale (tra l'insula e la circonvoluzione post
Area 18 - Corteccia visiva secondaria(V2) precentrale)
Area 19 - Corteccia visiva associativa(V3, V4, V5) Area 44 - Opercolo, parte della circonvoluzione frontale inferiore e parte dell'area di
Area 20 - Circonvoluzione temporale inferiore Broca
Area 21 - Circonvoluzione temporale media Area 45 - Parte triangolare, parte della circonvoluzione frontale inferiore e parte
Area 22 - Circonvoluzione temporale superiore, la sua parte caudale viene considerata dell'area di Broca
come la sede dell'area di Wernicke Area 46 - Corteccia prefrontale dorsolaterale
Area 23 - Corteccia posteriore del giro cingolato, parte ventrale. Area 47 - Porzione orbitale, parte della circonvoluzione frontale inferiore
Area 24 - Corteccia cingolata anteriore, parte ventrale Area 48 - Area retrosubiculare (piccola parte della superficie mediale del lobo
Area 25 - Corteccia subgenuale (coinvolta nella depressione, è parte della corteccia temporale)
prefrontale ventrocentrale)[4] Area 49 - Area parasubiculare nei roditori
Area 26 - Area ectosplenica della regione retrosplenica della corteccia cerebrale Area 52 - Area parainsulare (nella giunzione del lobo temporale con il lobo dell'insula)
Area 27 - Corteccia piriforme L'area 52 si trova soltanto in primati non umani.
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 Diencefalo
È situato tra il telencefalo e il mesencefalo e circonda il terzo ventricolo. Le sue strutture principali sono il talamo e l’ipotalamo.
Talamo: il talamo è la più grande porzione del diencefalo, localizzata sopra l’ipotalamo; contiene i nuclei che proiettano le
informazioni a specifiche aree della corteccia cerebrale e ricevono da essa informazioni. Il talamo ha due lobi,
connessi da un ponte di sostanza grigia chiamata massa intermedia, che perfora la metà del terzo ventricolo.
La maggior parte degli input neurali che arrivano alla corteccia cerebrale proviene dal talamo; in realtà, buona
parte della superficie corticale può essere divisa in regioni che ricevono proiezioni da specifiche parti del talamo, in
quanto dal talamo passano la maggior parte dei neuroni di secondo ordine della sensibilità somatica.
Il talamo è diviso in parecchi nuclei. Alcuni nuclei talamici ricevono l’informazione sensoriale dai sistemi sensoriali e
le inviano alle aree di proiezione sensoriale specifiche della corteccia. Per esempio, il nucleo genicolato
lateralericeve fibre dalla retina e proietta alla corteccia visiva primaria, mentre il nucleo genicolato medialericeve
fibre dal sistema uditivo e proietta alla corteccia uditiva primaria. Il nucleo ventrolateralericeve invece informazioni
dal cervelletto e le proietta alla corteccia motoria primaria.
Ipotalamo: l’ipotalamo è un complesso di nuclei diencefalici situato sotto il talamo; è coinvolto nella regolazione del sistema
nervoso autonomo, nel controllo dell’ipofisi anteriore e posteriore e nell’integrazione dei comportamenti specie-
specifici. Nonostante sia una struttura relativamente piccola, l’ipotalamo è molto importante. L’ipofisi si trova
attaccata alla base dell’ipotalamo mediante un peduncolo, detto infundibolo.
Esattamente davanti all’infundibolo si trova il chiasma ottico, connessione crociata tra i due nervi ottici localizzata
sotto la base del cervello, anteriormente all’ipofisi, dove metà degli assoni dei nervi ottici si incrociano da un lato
all’altro del cervello.
La maggior parte del sistema endocrino è controllato dagli ormoni prodotti dalle cellule ipotalamiche. Un sistema
speciale di vasi sanguigni connette direttamente l’ipotalamo con l’ipofisi anteriore. Gli ormoni ipotalamici sono
secreti da neuroni specializzati chiamati cellule neurosecretrici, localizzati vicino alla base dell’infundibolo. Questi
ormoni stimolano l’ipofisi anteriore a secernere i suoi ormoni. Per esempio, il fattore di rilascio della gonadotropina fa sì
che l’ipofisi anteriore secerna gli ormoni gonadotropici, che giocano un ruolo chiave nella fisiologia del comportamento
riproduttivo. La maggior parte degli ormoni secreti dall’ipofisi anteriore controlla altre ghiandole endocrine. Grazie a
questa funzione, l’ipofisi anteriore è stata soprannominata la “ghiandola principale” del corpo.
L’ipotalamo produce anche gli ormoni dell’ipofisi posteriore e ne controlla la secrezione. Questi ormoni includono
l’ossitocina, che stimola l’emissione di latte e le contrazioni uterine durante il parto, ma che è anche considerato
l’ormone chiave dell’attaccamento materno, e la vasopressina, che regola la produzione di urina nei reni. Questi
ormoni sono prodotti da neuroni ipotalamici, i cui assoni decorrono lungo l’infundibolo e terminano nell’ipofisi
posteriore.

Il mesencefalo
Il mesencefalo circonda l’acquedotto cerebrale e consiste di due parti principali: il tetto e il tegmento.
Tetto: il tetto è localizzato nella porzione dorsale del mesencefalo. Le sue strutture principali sono i collicoli superiori, che
appartengono al sistema visivo, e i collicoli inferiori, che appartengono al sistema uditivo. Nei mammiferi, sono
implicati principalmente nei riflessi visivi e nelle reazioni agli stimoli in movimento.
Tegmento: il tegmento è la pozione ventrale del mesencefalo; include la sostanza grigia periacquedottale, la formazione
reticolare, il nucleo rosso e la sostanza nera.
 La formazione reticolare è un’estesa rete di tessuto neurale localizzata nelle regioni centrali del tronco
dell’encefalo, dal bulbo al diencefalo. Consiste di più di novanta nuclei e riceve l’informazione sensoriale
mediante molte vie e proietta gli assoni alla corteccia cerebrale, al talamo e al midollo spinale. Essa gioca
un ruolo importante nel ritmo sonno-veglia,nell’attenzione, nel tono muscolare, nel movimento e nel
controllo dei vari riflessi vitali.
 La sostanza grigia periacquedottale è la regione del mesencefalo che circonda l’acquedotto cerebrale;
contiene i circuiti neurali coinvolti nei comportamenti specie-specifici, come il combattimento e
l’accoppiamento.
 Il nucleo rosso – grande nucleo mesencefalico che riceve afferenze dal cervelletto e dalla corteccia
motoria e spedisce assoni ai motoneuroni del midollo spinale – e la sostanza nera – regione nerastra del
tegmento che contiene neuroni connessi con il nucleo caudato e con il putamen dei gangli della base –
sono componenti importanti del sistema motorio. Un fascio di assoni che nasce dal nucleo rosso
costituisce uno dei due maggior sistemi di fibre che trasportano il comando motorio alla corteccia
cerebrale e dal cervelletto al midollo spinale; la sostanza nera contiene i neuroni i cui assoni proiettano al
nucleo caudato e al putamen.

Il romboencefalo
Il romboencefalo circonda il quarto ventricolo ed è formato da due importanti divisioni: il metencefalo
(che comprende il ponte e il cervelletto) e il mielencefalo (che comprendo il midollo allungato).
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 Metencefalo
Cervelletto: il cervelletto, con i suoi due emisferi, ricorda una versione in miniatura del cervello. È ricoperto dalla corteccia
cerebellare ed ha alcuni nuclei cerebellari profondiche ricevono proiezioni dalla corteccia cerebellare e spediscono
proiezioni fuori dal cervelletto, alle altre regioni del cervello. Ogni emisfero cerebellare è attaccato alla superficie
dorsale del ponte da un fascio di assoni, i peduncoli cerebellari, superiore, medio e inferiore.
Una lesione al cervelletto danneggia la postura eretta, la deambulazione o l’esecuzione di movimenti coordinati. Il
cervelletto riceve informazioni visive, uditive, vestibolari, somatosensoriali e anche informazioni sui singoli
movimenti muscolari diretti dal cervello. Il cervelletto integra tutte queste informazioni e modifica la risposta
motoria, esercitando un effetto di coordinamento fine dei movimenti. Il danno cerebellare provoca movimenti a
scatti, poco coordinati ed esagerati; un estero danno cerebellare rende impossibile persino la postura eretta.
Ponte: il ponte si trova tra il mesencefalo e il bulbo. Esso contiene, al suo interno, parte della formazione reticolare,
inclusi alcuni nuclei che sembrano importanti nel sonno e nell’arousal. Il ponte, inoltre, contiene un grande nucleo
che trasmette informazioni dalla corteccia cerebrale al cervelletto.

 Mielencefalo
Il mielencefalo contiene un’importante struttura, il midollo allungato, comunemente chiamato bulbo. Il
bulbo contiene parte della formazione reticolare, inclusi i nuclei che controllano le funzioni vitali come la
regolazione del sistema cardiovascolare, la respirazione e il tono dei muscoli scheletrici.

Il midollo spinale
Il midollo spinale è il cordone di tessuto nervoso che si estende caudalmente al bulbo. La sua funzione
principale è distribuire le fibre motorie agli organi effettori del corpo e di trasmettere l’informazione
somatosensitiva ai centri cerebrali superiori. Il midollo spinale ha anche un certo grado di autonomia dal
cervello, infatti, i vari circuiti del controllo dei riflessi, sono proprio localizzati a livello midollare.
Il midollo spinale è protetto dalla colonna vertebrale, che è composta da 24 singole vertebre e da un
gruppo di vertebre fuse che compongono la porzione sacrale e coccigea. Il midollo spinale passa attraverso un
foro presente in ogni vertebra, il forame spinale. Il midollo corrisponde soltanto a circa due terzi della lunghezza
della colonna vertebrale: il resto dello spazio è riempito da una massa di radici spinali che compongono la cauda
equina, un fascio di radici spinali localizzato caudalmente, nella porzione finale del midollo spinale. Nelle prime
fasi dello sviluppo embrionale, la colonna vertebrale e il midollo spinale hanno la stessa lunghezza; con il procedere dello
sviluppo, la colonna vertebrale cresce più rapidamente del midollo spinale, e questa crescita differenziata fa sì che le radici
spinali si dispongano verso il basso; le radici più caudali si estendono il più lontano possibile, prima di emergere dai forami
intervertebrali e formare la cauda equina. Per ottenere l’anestesia sacrale, l’anestesia e la paralisi della parte bassa
del corpo, si può iniettare un anestetico locale nel liquido cerebrospinale contenuto nel sacco della dura madre
che circonda la cauda equina; il farmaco blocca così la conduzione assonale nella cauda equina.
Piccoli fasci di fibre emergono da ogni lato del midollo spinale, in due direzioni parallele lungo la
superficie dorsolaterale e ventrolaterale.
Come il cervello, il midollo spinale è composto da sostanza bianca e sostanza grigia, ma, a differenza del
cervello, la sostanza bianca del midollo spinale si trova nella porzione esterna, mentre la sostanza grigia del
midollo spinale si trova nella parte interna con una particolare forma “a farfalla”, che forma le radici anteriori
(motrici) e le radici posteriori (sensitive).

3 – Il sistema nervoso periferico


Il cervello e il midollo spinale comunicano con il resto del corpo attraverso i nervi cranici e i nervi spinali. Questi
nervi fanno parte del sistema nervoso periferico, che trasmette l’informazione sensitiva al sistema nervoso
centrale e allo stesso tempo trasmette i messaggi del sistema nervoso centrale ai muscoli e alle ghiandole.

I nervi spinali
I nervi spinali iniziano nel punto di giunzione tra le radici anteriori e posteriori del midollo spinale. I nervi
lasciano la colonna vertebrale e arrivano ai muscoli o ai recettori sensoriali che innervano. I corpi cellulari che
danno origine agli assoni che trasportano l’informazione somatosensitiva al midollo spinale risiedono nei gangli
delle radici posteriori, mentre i corpi cellulari che danno origine agli assoni che trasportano l’informazione
somatomotrice dal midollo spinale risiedono nei gangli delle radici anteriori.

I nervi cranici
Dodici paia di nervi cranici sono attaccati alla superficie del cervello. La maggior parte di questi nervi
svolge funzioni sensoriali e motorie per la regione della testa e del collo. Uno di essi, il nervo vago, il maggiore
dei nervi cranici, veicola le fibre afferenti della divisione parasimpatica del sistema nervoso autonomo e gli
organi della cavità toracica addominale.
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Il sistema nervoso autonomo


Il sistema nervoso autonomo è implicato nella muscolatura liscia, nella muscolatura cardiaca e nelle
ghiandole. La muscolatura liscia si trova nella cute, nei vasi sanguigni, negli occhi e nelle pareti degli sfinteri di
intestino, cistifellea e vescica. La semplice descrizione degli organi innervati dal sistema nervoso autonomo
suggerisce la sua funzione di regolatore dei processi vegetativi dell’organismo.

 Divisione simpatica del sistema nervoso autonomo


La divisione simpatica è quella porzione del sistema nervoso autonomo che controlla le funzioni che
accompagnano l’arousal e il dispendio di energia. I corpi cellulari dei neuroni motori simpatici sono localizzati
nella sostanza grigia delle regioni toraciche e lombari del midollo spinale. Le fibre di questi neuroni escono
attraverso le radici anteriori e, dopo l’unione nei nervi spinali, le fibre si diramano ed entrano nei gangli
simpatici spinali, rigonfiamenti che contengono le sinapsi tra i neuroni pregangliali e postgangliali del sistema
nervoso simpatico.
Gli assoni che lasciano il midollo spinale attraverso la radice anteriore appartengono ai neuroni
pregangliari, il neurone efferente del sistema nervoso autonomo, il cui corpo cellulare è localizzato in un nucleo
dei nervi cranici o nel corno intermedio della sostanza grigia spinale, e i cui bottoni terminali contraggono sinapsi
con i neuroni postgangliari. Gli assoni pregangliari simpatici entrano nei gangli della catena simpatica, dove la
maggior parte di essi fa sinapsi; altri, invece, passano attraverso questi gangli e raggiungono i gangli simpatici
localizzati tra gli organi interni. Con un’eccezione, tutti gli assoni pregangliari simpatici formano sinapsi con i
neuroni localizzati nei gangli. I neuroni con cui essi contraggono sinapsi sono chiamati neuroni postgangliari,
neurone del sistema nervoso autonomo che contrae sinapsi direttamente con gli organi bersaglio. A loro volta, i
neuroni postgangliari spediscono gli assoni agli organi bersaglio, come l’intestino, lo stomaco, i reni o le
ghiandole sudoripare.
Il sistema nervoso simpatico controlla la midollare del surrene, la porzione interna della ghiandola
surrenale localizzata in cima al rene e controllata da fibre nervose simpatiche; secerne adrenalina e
noradrenalina. Essa è innervata dalle fibre pregangliari e le sue cellule secretorie sono molto simili ai neuroni
simpatici postgangliari; infatti, quando sono stimolate, secernono adrenalina e noradrenalina. Questi ormoni
funzionano principalmente in aggiunta agli effetti neurali diretti dell’attività simpatica; per esempio,
incrementano il flusso sanguigno nei muscoli e fanno sì che le sostanze immagazzinate siano degradate in
glucosio nelle cellule dei muscoli scheletrici, incrementando in questo modo l’energia disponibile.
I bottoni terminali degli assoni pregangliari simpatici secernono acetilcolina; i sugli organi bersaglio
secernono noradranalina.

 Divisione parasimpatica del sistema nervoso autonomo


La divisione parasimpatica del sistema nervoso autonomo si occupa delle attività coinvolte
nell’incremento delle forniture energetiche all’organismo. Queste attività includono la salivazione, la motilità
gastrica e intestinale, la secrezione dei succhi digestivi e l’incremento del flusso sanguigno al sistema
gastrointestinale.
I corpi cellulari che danno origine alle fibre pregangliari nel sistema nervoso parasimpatico sono
localizzati in due regioni: i nuclei di alcuni nervi cranici e le corna intermedie della sostanza grigia, nella regione
sacrale del midollo spinale. Quindi, la divisione parasimpatica del sistema nervoso autonomo è spesso definita
sistema craniosacrale. I gangli parasimpatici sono localizzati nell’intermedia vicinanza degli organi bersaglio; le
fibre postgangliari sono perciò relativamente corte. I bottoni terminali sia dei neuroni pregangliari, sia di quelli
postgangliari del sistema nervoso parasimpatico secernono acetilcolina.
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73

-4-
PSICOFARMACOLOGIA, NEUROTRASMETTITORI E NEUROMODULATORI

1 – Principi di psicofarmacologia
La psicofarmacologia è lo studio degli effetti dei farmaci sul sistema nervoso e sul comportamento. I
farmaci sono composti chimici esogeni non necessari per il normale funzionamento cellulare che, assunti in dosi
relativamente basse, alterano in maniera significativa le funzioni di alcune cellule del corpo. I farmaci hanno
effetti fisiologici e comportamentali, e hanno siti d’azione: molecole con le quali interagiscono per produrre i
loro effetti.
La farmacocinetica è il modo in cui un farmaco è assorbito dal corpo, circola nell’organismo e raggiunge
i suoi siti d’azione. I farmaci possono essere somministrati per iniezione endovenosa, intraperitoneale,
intramuscolare e sottocutanea. Inoltre, possono essere somministrati per via orale, sottolinguale,intrarettale,
per inalazione e per via topica. Infine, possono essere iniettati per via intracerebrale o intracerebroventricolare. I
farmaci liposolubili passano facilmente attraverso la barriera ematoencefalica, mentre gli altri oltrepassano
questa barriera lentamente, o non la oltrepassano affatto. Gli andamenti temporali di differenti vie di
somministrazione sono diversi. Alla fine, i farmaci sono eliminati dal corpo; alcuni sono degradati dagli enzimi,
soprattutto nel fegato, mentre altri sono semplicemente espulsi.
La curva dose-risposta rappresenta l’efficacia di un farmaco: correla la quantità somministrata
all’effetto risultante. La maggior parte dei farmaci ha più di un sito d’azione e quindi più di un effetto. La
sicurezza di un farmaco è misurata dalla differenza tra le dosi che producono effetti desiderabili e quelle che
producono effetti collaterali. I farmaci variano nella loro efficacia a causa della natura dei loro siti d’azione e
dell’affinità tra le molecole del farmaco e questi siti.
La somministrazione ripetuta di un farmaco può causare tolleranza, spesso risultante in sintomi di
astinenza, oppure sensibilizzazione. La tolleranza può essere causata da una diminuita affinità del farmaco con i
suoi recettori, della riduzione del numero di recettori o da un ridotto numero di legami tra i recettori e i passaggi
biochimici che controlla. Alcuni degli effetti di un farmaco possono mostrare tolleranza, mentre altri no.
Il processo di trasmissione sinaptica comprende la sintesi del neurotrasmettitore, il suo
immagazzinamento nelle vescicole sinaptiche, il suo rilascio nella fessura sinaptica, la sua interazione con i
recettori postisinaptici e la conseguente apertura dei canali ionici della membrana postsinaptica. Gli effetti del
neurotrasmettitore hanno quindi termine a causa della ricaptazione nel bottone terminale o della disattivazione
enzimatica. Ciascuno dei passaggi necessari per la trasmissione sinaptica può subire l’interferenza di farmaci
che funzionano come antagonisti, e alcuni possono essere stimolati da farmaci che funzionano come agonisti.
Quindi, i farmaci possono aumentare la disponibilità di precursore utilizzabile, bloccare la biosintesi dell’enzima,
impedire l’immagazzinamento del neurotrasmettitore nelle vescicole sinaptico, stimolare o bloccare il rilascio del
neurotrasmettitore, ritardare la ricaptazione, oppure disattivare gli enzimi che distruggono il
neurotrasmettitore.
Un farmaco che attiva i recettori postsinaptici ha una funziona agonista, mentre uno che attiva gli
autorecettori presinaptici ha una funzione antagonista. Un farmaco che blocca i recettori
postsinaptici ha funzione antagonista, mentre uno che blocca gli autorecettori ha funzione agonista.

3 – Neurotrasmettitori e neuromodulatori
Dal momento che i neurotrasmettitori esercitano due effetti generali sulle membrane post-sinaptiche
(depolarizzazione e iperpolarizzazione), ci si potrebbe aspettare l’esistenza di due tipi di neurotrasmettitori:
eccitatori e inibitori. Invece, ce ne sono tanti diversi tipi, almeno qualche dozzina. La maggior parte della
comunicazione sinaptica nel cervello è eseguita da due neurotrasmettitori: uno con effetti eccitatori, il
glutammato, e uno con effetti inibitori, il GABA. La maggior parte dell’attività dei circuiti neurali locali implica il
bilanciamento tra gli effetti eccitatori e quelli inibitori. Con l’eccezione dei neuroni che rilevano gli stimoli
dolorosi, tutti gli organi sensoriali trasmettono informazioni al cervello attraverso assoni i cui bottoni terminali
rilasciano glutammato (i neuroni che rilevano il dolore secernono un peptide).
Tutti gli altri neurotrasmettitori, in generale, hanno effetti modulatori piuttosto che di trasmissione
dell’informazione. Cioè, il rilascio di neurotrasmettitori diversi dal glutammato e dal GABA tende ad attivare o
inibire interi circuiti neurali, che sono coinvolti in particolari funzioni cerebrali. Ad esempio, la secrezione di
acetilcolina attiva la corteccia cerebrale e facilita l’apprendimento; la secrezione di norepinefrina aumenta la
vigilanza; la secrezione di serotonina sopprime alcune categorie di comportamenti specie-specifici e riduce la
probabilità di una reazione impulsiva; la secrezione di dopamina, in alcune zone del cervello, generalmente
attiva i movimenti volontari, mentre il altre regioni rinforza i comportamenti in corso e aumenta la probabilità
che tali comportamenti si ripresentino in seguito.
Acetilcolina
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L’acetilcolina è il principale neurotrasmettitore secreto dagli assoni efferenti dal sistema nervoso
centrale. Tutti i movimenti muscolari sono compiuti grazie al rilascio di acetilcolina, che si trova anche nei gangli
del sistema nervoso autonomo e negli organi bersaglio della branca parasimpatica. Poiché l’acetilcolina si trova
al di fuori del sistema nervoso centrale, questo neurotrasmettitore è stato il primo ad essere scoperto e ha
ricevuto molta attenzione da parte dei neuroscienziati.
Gli assoni dei bottoni terminali di neuroni acetilcolinergici sono distribuiti ampiamente in tutto il
cervello. I tre sistemi che hanno ricevuto maggiore attenzione sono i sistemi che hanno origine dal ponte
dorsolaterale, il proencefalo basale e il setto mediale. Gli effetti del rilascio di acetilcolina nel cervello sono
generalmente facilitatori: i neuroni acetilcolinergici localizzati nel ponte dorsolaterale sono responsabili
dell’induzione della maggior parte delle caratteristiche del sonno REM, quelli localizzati nel proencefalo basale
sono coinvolti nella facilitazione dell’apprendimento, quelli localizzati nel setto mediale controllano i ritmi
elettrici dell’ippocampo e modulano le sue funzioni, quali la formazione di particolari tipi di memorie.

Monoamine
Adrenalina, norepinefrina, dopamina e serotonina sono quattro composti chimici che appartengono alla
famiglia delle monoamine. Dopamina, norepinefrina e adrenalina appartengono alla sottoclasse di monoamine
detta catecolamine. Le monoamine sono prodotte da molti sistemi di neuroni cerebrali. La maggior parte di
questi sistemi consiste in un numero relativamente piccolo di corpi cellulari localizzati nel tronco encefalico, i cui
assoni si diramano ripetutamente e danno origine a un numero enorme di bottoni terminali, distribuiti in tutte le
regioni del cervello. I neuroni monoaminergici servono così a modulare la funzione di ampie regioni del cervello,
aumentando o diminuendo le attività di particolari funzioni cerebrali.

 Dopamina
La dopamina produce potenziali postsinaptici sia eccitatori che inibitori, a seconda del recettore
postsinaptico cui si lega. La dopamina è uno dei neurotrasmettitori più interessanti, perché è implicata in molte
funzioni importanti, incluso il movimento, l’attenzione, l’apprendimento e gli effetti del rinforzo di alcune droghe
di abuso. Il cervello contiene molti sistemi di neuroni dopaminergici; i tre più importanti originano nel
mesencefalo, nella substanzanigrae nell’area tegmentale ventrale.
I corpi cellulari dei neuroni del sistema nigrostriatale sono localizzati nella substanzanigra e proiettano i
loro assoni al neostriato, cioè al nucleo caudato e al putamen. Il neostriato è un’importante parte dei gangli della
base, coinvolta nel controllo del movimento. La degenerazione dei neuroni dopaminergici che connettono la
substanzanigra con il nucleo caudato causa il morbo di Parkinson, un disturbo neurologico caratterizzato da
tremori, rigidità degli arti, scarso equilibri, mancanza di mimica facciale e difficoltà nell’iniziare i movimenti. Alle
persone affette da morbo di Parkinson è somministrata l’ L-DOPA, il precursore della dopamina. Una volta che la
sostanza raggiunge il cervello, è catturata dai neuroni dopaminergici e convertita in dopamina. Nei pazienti con il
morbo di Parkinson, l’aumentata sintesi di dopamina causa un maggior rilascio del neurotrasmettitore da parte
dei rimanenti neuroni dopaminergici; come conseguenza, i sintomi del morbo di Parkinson sono alleviati.
I corpi cellulari del sistema mesolimbico sono localizzati nell’area tegmentale ventrale e proiettano i
loro assoni in molte parti del sistema limbico, tra cui il nucleo accumbens, l’amigdala e l’ippocampo. Il nucleo
accumbens gioca un ruolo importante negli effetti gratificanti di alcune categorie di stimoli, inclusi quelli delle
droghe di abuso.
Anche i corpi cellulari dei neuroni del sistema mesocorticale sono localizzati nell’area tegmentale
ventrale e proiettano i loro assoni alla corteccia frontale. Questi assoni hanno un effetto eccitatorio sulla
corteccia frontale e influenzano alcune funzioni come la formazione delle memorie a breve termine, la
pianificazione e la preparazione di strategie in funzione della risoluzione dei problemi.

 Norepinefrina(noradrenalina)
Poiché la norepinefrina si trova nei neuroni del sistema nervoso autonomo, questo neurotrasmettitore
ha ricevuto moltissima attenzione sperimentale.
L’epinefrina(adrenalina) è un ormone prodotto dalla midollare del surrene, il nucleo centrale delle
ghiandole adrenergiche, localizzata proprio sopra il rene. L’adrenalina agisce anche da neurotrasmettitore al
cervello, ma è meno importante della noradrenalina.
La maggior parte dei neurotrasmettitori è sintetizzata nel citoplasma del bottone terminale e poi
immagazzinata in vescicole sinaptiche di nuova formazione; tuttavia, il passaggio finale della sintesi della
norepinefrina avviene all’interno delle vescicole stesse: le vescicole sono prima riempite dalla dopamina, in
seguito la dopamina si converte in norepinefrina attraverso l’azione dell’enzima β-idrossilasi, localizzato
all’interno delle vescicole.
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Quasi tutte le regioni del cervello ricevono input dai neuroni noradrenergici. I corpi cellulari della
maggior parte di questi neuroni sono localizzati in sette regioni del ponte e del midollo e in una regione del
talamo. I corpi cellulari del più importante sistema noradrenergico originano dal locus coeruleus, un gruppo di
corpi cellulari localizzato nel ponte, vicino alla parte rostrale del pavimento del IV ventricolo. Questi assoni
proiettano al cervelletto, al midollo spinale, al talamo, ipotalamo, amigdala, neocorteccia e bulbo olfattivo.
L’effetto primario dell’attivazione di questi neuroni è l’aumento della vigilanza.
La maggior parte dei neuroni che rilasciano noradrenalina non lo fanno attraverso i bottoni terminali,
bensì tramite varicosità assonali,una regione allargata lungo l’assone che contiene le vescicole sinaptiche e
rilascia il neurotrasmettitore. Queste varicosità conferiscono alle branche assonali dei neuroni noradrenergici
l’aspetto di catene di chicchi di grano. I recettori adrenergici producono effetti sia eccitatori che inibitori; in
generale, gli effetti comportamentali del rilascio di noradrenalina sono eccitatori.

 Serotonina
La serotonina gioca un ruolo nella regolazione dell’umore, nel controllo dell’appetito, del sonno,
dell’arousal e del dolore; inoltre, i neuroni serotoninergici sono in qualche modo implicati nel controllo dei sogni.
I corpi cellulari dei neuroni serotoninergici sono raggruppati in nove siti, la maggior parte dei quali è
localizzata nei nuclei del rafe del mesencefalo, del ponte e del bulbo. I due gruppi più importanti di corpi cellulari
serotoninergici si trovano nei nuclei del rafe dorsale e mediale. Entrambi i nuclei del rafe dorsale e mediale
proiettano assoni alla corteccia cerebrale; inoltre, i neuroni del rafe dorsale innervano i gangli della base, e quelli
del rafe mediale innervano il giro dentato, una parte della formazione ippocampale.
Come la noradrenalina, anche la serotonina è rilasciata da varicosità piuttosto che da bottoni terminali. i
ricercatori hanno identificato almeno nove diversi recettori della serotonina.

 Istamina
L’istamina è prodotta a partire dall’istidina, un aminoacido. I corpi cellulari dei neuroni istaminergici si
trovano esclusivamente nel nucleo tuberomammillare, localizzato nell’ipotalamo posteriore. I neuroni
istaminergici inviano i loro assoni ad ampie regioni della corteccia cerebrale e del tronco encefalico. L’istamina
gioca un ruolo importante nello stato di veglia; infatti, l’attività di neuroni istaminergici è fortemente correlata
con gli stati di sonno e di veglia. L’istamina gioca un ruolo importante anche nel controllo dei sistemi digestivo e
immunitario, ed è essenziale per lo sviluppo dei sintomi dell’allergia.

Aminoacidi
Nel sistema nervoso centrale dei mammiferi vi sono almeno otto aminoacidi che possono funzionare da
neurotrasmettitori. Tra di loro sono importanti soprattutto perché sono i più comuni neurotrasmettitori del
sistema nervoso centrale: il glutammato, il GABA e la glicina.

 Glutammato
Il glutammato è il principale neutotrasmettitore eccitatorio del cervello e del midollo spinale. È prodotto
in abbondanza dai processi metabolici delle cellule. Non esiste alcun modo efficace di impedire la sua sintesi.

 GABA
Il GABA è un neurotrasmettitore inibitorio e sembra ampiamente distribuito in tutto il cervello e il
midollo spinale. Senza l’attività delle sinapsi inibitorie, le interconnessioni tra i neuroni renderebbero il cervello
instabile e iperattivo: è quello che succede nelle crisi epilettiche; normalmente, i neuroni secernenti GABA, che
sono presenti in gran numero nel cervello, forniscono un’influenza inibitoria. Alcuni studiosi ritengono che una
delle cause dell’epilessia sia un’anomalia nella biochimica dei neuroni secernenti GABA o dei recettori GABA.

 Glicina
L’aminoacido glicina sembra essere il neurotrasmettitore inibitorio del midollo spinale e delle strutture
cerebrali inferiori. Il recettore della glicina è ionotropico e controlla i canali del cloro; quindi, quando è attivo,
produce sinapsi inibitorie.
I ricercatori hanno scoperto che nel cervello alcuni bottoni terminali rilasciano sia glicina che GABA.
L’evidente vantaggio del co-rilascio di questi due neurotrasmettitori è la produzione di potenziali postsinaptici
rapidi e durevoli: la glicina stimola i recettori ionotropici rapidi e il GABA stimola i recettori metabotropici a lunga
azione. Ovviamente, la membrana postsinaptica contiene recettori sia per la glicina che per il GABA.

Peptidi
Studi recenti hanno dimostrato che i neuroni del sistema nervoso centrale rilasciano un’ampia varietà di
peptidi; i peptidi consistono di due o più aminoacidi legati insieme da un legame peptidico.
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I peptidi sono rilasciati da tutte le parti del bottone terminale, e non solo dalla sua zona attiva; quindi,
solo una parte della molecola è rilasciata nella fessura sinaptica. Il resto, probabilmente, agisce sui recettori che
appartengono al altre cellule nelle vicinanze. Una volta rilasciati, i peptidi sono degradati dagli enzimi e non
esiste alcun meccanismo di ricaptazione e riciclaggio dei peptidi.
Una delle più importanti famiglie di peptidi conosciuti è quella degli oppiodi endogeni, che
comprendono le endorfine e le encefaline.
Molti sistemi neurali differenti si attivano stimolando i recettori per gli oppiacei. Un tipo induce
analgesia, un altro inibisce le funzioni difensive come fuggire o nascondersi, e un altro stimola un sistema di
neuroni coinvolto nella gratificazione: questo ultimo effetto spiega perché gli oppiacei sono spesso abusati.

Lipidi
Varie sostanze derivate dai lipidi sono in grado di trasmettere messaggi all’interno della cellula stessa o
tra più cellule. Quelle più conosciute, e probabilmente le più importanti, sono gli endocannabinoidi, ligandi
naturali dei recettori responsabili degli effetti fisiologici del principio attivo della marijuana: il THC stimola i
recettori cannabinoidi localizzati in regioni specifiche del cervello (tronco encefalico, cervelletto, nucleo
caudato/putamen, substanzanigra, nucleo entopeduncolare, nucleo globopallido, ippocampo). Il THC produce
analgesia e sedazione, stimola l’appetito, riduce la nausea, allevia gli attacchi d’asma, diminuisce la pressione
all’interno degli occhi e riduce i sintomi di alcuni disturbi motori; d’altra parte, il THC interferisce con i processi di
concentrazione e memoria, altera la percezione visiva e quella acustica e distorce la percezione del tempo.
Nucleosidi
Un nucleoside è un composto che consiste di una molecola di zucchero legata con una base purinica o
pirimidinica. Uno di questi composti, l’adenosina, p una combinazione di ribosio e adenina; è noto che
l’adenosina è rilasciata sia dalle cellule gliali che dai neuroni, quando le cellule stanno esaurendo il combustibile
o l’ossigeno; il rilascio di adenosina attiva i recettori sui vasi sanguigni vicini e ne causa la dilatazione,
aumentando il flusso di sangue e aiutando il trasporto di maggiori quantità di sostanze necessarie.
L’adenosina si comporta anche da neuromodulatore, agendo su almeno tre tipi di recettori. Dal
momento che i recettori dell’adenosina sopprimono l’attività neurale, l’adenosina e gli altri agonisti del suo
recettore hanno effetti generalmente inibitori sul comportamento; infatti, molte evidenze empiriche indicano
che i recettori dell’adenosina siano coinvolti nel controllo del sonno. Per esempio, la quantità di adenosina nel
cervello aumenta durante la veglia e diminuisce durante il sonno; l’accumulo di adenosina a seguito di un
periodo prolungato di veglia può essere la causa della successiva sonnolenza. La caffeina blocca i recettori
dell’adenosina, quindi produce effetti eccitatori.

Gas solubili
Recentemente, i ricercatori hanno scoperto che i neuroni usano almeno due gas solubili semplici per
comunicare l’uno con l’altro. Uno di questi, l’ossido di azoto, è usato come messaggero di molte pareti del corpo;
per esempio, è coinvolto nel controllo dei muscoli delle pareti addominali, dilata i vasi sanguigni delle regioni del
cervello e stimola i cambiamenti sanguigni che inducono l’erezione. L’ossido di azoto è prodotto in molte regioni
della cellula nervosa, compresi i dendriti, ed è rilasciato subito dopo la sua sintesi.
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-5-
METODI E STRATEGIE DI RICERCA

1 – Ablazione sperimentale
Uno dei più importanti metodi di ricerca utilizzati nello studio delle funzioni cerebrali prevede la
distruzione di una parte del cervello e la valutazione del successivo comportamento dell’animale. Tale procedura
è denominata ablazione sperimentale. L’ablazione sperimentale è il metodo più antico utilizzato in neuroscienze,
e resta uno dei più importanti anche al giorno d’oggi.
Gli esperimenti in cui si danneggia una parte del cervello e si osserva successivamente il
comportamento dell’animale sono chiamati studi di lesione. L’idea di fondo per questi studi è che la funzione
della regione cerebrale in questione può essere inferita dai comportamenti che l’animale non riesce più a
mettere in atto dopo la lesione.
In generale, si desidera distruggere regioni cerebrali nascoste nelle profondità del cervello. Le lesioni
cerebrali delle regioni sottocorticali sono generalmente prodotte passando la corrente elettrica attraverso un
filo di acciaio inossidabile rivestito da un manicotto isolante, ad eccezione della punta. Le lezioni prodotte in
questo modo distruggono qualsiasi cosa si trovi in prossimità della punta dell’elettrodo, inclusi i corpi cellulari
dei neuroni e gli assoni che passano in quella regione. Un metodo più selettivo per produrre lesioni cerebrali
implica l’utilizzo di un aminoacido che stimola i neuroni fino ad ucciderli; le lesioni prodotte in questo modo si
definiscono lesioni eccitotossiche. Bisogna notare che, quando si producono lesioni sottocorticali passando
radiofrequenze attraverso un elettrodo o somministrando una neurotossina con una cannula si causa sempre un
danno cerebrale addizionale; perciò, non è possibile limitarsi semplicemente al confronto del comportamento
degli animali cerebrolesi con quelli sani, utilizzati come gruppo di controllo. Nella maggior parte dei casi i
ricercatori producono lesioni cerebrali permanenti; talvolta, però, può essere vantaggioso alterare solo
temporaneamente l’attività di una particolare regione cerebrale. Il modo più facile per fare ciò consiste
nell’iniezione di un anestetico locale o di un farmaco nell’area di interesse; l’anestetico blocca i potenziali
d’azione degli assoni che entrano in quella regione, producendo di conseguenza una lesione temporanea.
L’apparato stereotassico è costituito da un fermatesta, che fissa in posizione standard il cranio
dell’animale, e un reggielettrodo, che sposta l’elettrodo o la cannula nelle tre dimensioni spaziali, secondo
distanze misurate. Tuttavia, per eseguire un simile intervento, è necessario studiare prima l’atlante
stereotassico. L’atlante stereotassico contiene fotografie o disegni che corrispondono alle sezioni frontali prese a
varie distanze. Una volta trovate le coordinate, si anestetizza l’animale, si posiziona l’apparato stereotassico e si
incide lo scalpo. Dopo la localizzazione dell’area da studiare, si perfora il cranio con il trapano e si inserisce il
reggielettrodo nel cervello alla corretta profondità; in questo modo, la punta dell’elettrodo è portata
esattamente nell’area desiderata e si può procedere con la lesione.
Dopo la produzione di una lesione cerebrale su un modello animale e l’osservazione dei suoi effetti
comportamentali, è necessario sezionare e colorare il tessuto cerebrale in modo da esaminarlo al microscopio e
verificare l’effettiva localizzazione della lesione. Le lesioni cerebrali spesso non risultano nel sito desiderato,
quindi è necessario controllare la precisa localizzazione del danno cerebrale. A questo fine, bisogna fissare,
sezionare, colorare ed esaminare il cervello con metodi istologici. Prima della fissazione, cioè dell’immersione in
un bagno fissatore, il tessuto cerebrale viene generalmente sottoposto a perfusione. La perfusione tessutale
consiste nella rimozione del sangue, che è sostituito con un altro liquido. Il tessuto cerebrale dell’animale è
sottoposto a perfusione perché, in assenza di sangue, si ottengono risultati istologici migliore. Dopo aver fissato
il cervello, è necessario sezionarlo finemente e colorare le varie strutture cellulari, quindi montare il tessuto su
dei vetrini e immergerlo in soluzioni chimiche. Si può dunque procedere all’analisi al microscopio.
Una volta stabilito che una particolare regione cerebrale è coinvolta in una funzione specifica, possiamo
chiederci quali siano le strutture che inviano e ricevono impulsi da questa regione. A questo fine, possiamo
utilizzare il metodo di marcatura anterograda, che marca gli assoni e i bottoni terminali dei neuroni i cui corpi
cellulari sono localizzati in una particolare regione cerebrale. Per quanto riguarda le regioni cerebrali a monte del
circuito neurale, bisogna individuare gli impulsi che raggiungono le sue connessioni afferenti. A questo fine, si
potrà utilizzare un metodo di marcatura anterograda.
Ci sono molte buone ragioni per studiare le funzioni cerebrali in modelli animali e non umani, in primo
luogo, possiamo confrontare i risultati di studi effettuati su specie diverse e fare qualche inferenza
sull’evoluzione dei diversi sistemi neurali. Se l’interesse primario riguarda le funzioni del cervello umano, non si
può chiedere alla gente di sottoporsi a interventi neurochirurgici a fini di ricerca; ma le malattie, gli incidenti
talvolta danneggiano il cervello umano, e possiamo riuscire a individuare dove si verifica il danno e studiare il
comportamento degli individui colpiti. Negli anni passati un ricercatore poteva studiare il comportamento di
individui cerebrolesi solo dopo la morte di questi ultimi, ma spesso questo non risultava possibile, o perché i
pazienti sopravvivevano ai medici, o perché i familiari non acconsentivano all’autopsia. I recenti sviluppi delle
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tecniche radiografiche e computerizzate hanno portato all’introduzione di diversi metodi di studio dell’anatomia
del cervello in vivo. Questi progressi consentono ai ricercatori di esaminare la localizzazione e l’estensione del
danno cerebrale quando il paziente è ancora vivo. La prima modalità sviluppata è quella della tomografia assiale
computerizzata, o TAC. Un quadro ad alta risoluzione e più dettagliato è quello fornito dalla risonanza
magnetica, che non utilizza raggi X. Le scansioni RM distinguono la materia grigia dalla sostanza bianca, il che
rende possibile la visualizzazione dei fasci di fibre più grandi; tuttavia, i fasci di fibre più piccoli non sono visibili in
queste scansioni. La risonanza magnetica con tensione di diffusione sfrutta il fatto che il movimento delle
molecole d’acqua nei fasci di sostanza bianca non è casuale, ma tende ad essere parallelo alla direzione degli
assoni. Gli scanner RM utilizzano le informazioni sul movimento delle molecole d’acqua per determinare la
localizzazione e l’orientamento dei fasci di assoni nella sostanza bianca.

2 – Registrazione e stimolazione dell’attività


Quando i circuiti neurali sono impegnati nelle loro normali funzioni, l’attività elettrica e quella
metabolica aumentano. Quindi, osservando questi processi in un animale esposto a vari stimoli o impegnato in
diversi comportamenti, è possibile fare alcune inferenze sulle funzioni eseguite da varie regioni cerebrali. Si
possono utilizzare microelettrodi per registrare l’attività elettrica dei neuroni. Le registrazioni croniche
richiedono la connessione dell’elettrodo a una presa miniaturizzata, fissata al cranio con un adesivo plastico. I
macroelettrodi registrano, invece, l’attività di gruppi di numerosi neuroni. In tali casi, i macroelettrodi possono
essere posizionati nelle profondità del cervello umano, ma generalmente si montano sullo scalpo e l’attività è
registrata da un poligrafo (elettroencefalogramma).
L’attività metabolica può essere misurata iniettando nell’animale 2-DG radioattivo, che si accumula nei
neuroni metabolicamente attivi. La presenza di radioattività è rilevata da un’autoradiografia. L’attività
metabolica delle varie aree del cervello umano in vivo può essere evidenziata con il metodo della tomografia ad
emissione di positroni. Gli scanner di risonanza magnetica funzionale rilevano l’attività cerebrale localizzata
misurando i livelli regionali di ossigeno nel sangue. Le scansioni di risonanza magnetica funzionale hanno una
risoluzione spaziale e temporale molto migliore delle scansioni PET.
I ricercatori possono stimolare varie regioni cerebrali impiantando un macroelettrodo e applicando una
lieve stimolazione elettrica. In alternativa, possono impiantare una cannula guida nel cervello; quando l’animale
si è ripreso dall’intervento, inseriscono una cannula di calibro minore all’interno della guida e iniettano una
soluzione diluita di un aminoacido eccitatorio. Il vantaggio di questa procedura è che garantisce la stimolazione
solo dei neuroni i cui corpi cellulari sono localizzati nelle vicinanze. La stimolazione magnetica transcranica
utilizza una bobina di fili metallici, solitamente disposti a forma di un otto, per stimolare i neuromi della
corteccia cerebrale umana. Si posizione la bobina di stimolazione sulla sommità del cranio, in modo che il punto
di incrocio al centro dell’otto sia localizzato immediatamente sopra la regione da stimolare. Gli impulsi elettrici
inviano campi magnetici che attivano i neuroni della corteccia.

3 – Metodi neurochimici
I metodi neurochimici possono essere utilizzati per individuare un’enorme varietà di sostanze nel
cervello. Possono identificare i neuroni che secernono particolari neurotrasmettitori o neuromodulatori e quelli
che possiedono recettori che rispondono alla presenza di queste sostanze. I peptidi e le proteine possono essere
localizzati direttamente, tramite i metodi immunocitochimici. Altre sostanze possono essere rilevate tramite la
localizzazione immunocitochimica dell’enzima necessario alla loro sintesi. I recettori delle sostanze
neurochimiche possono essere localizzati in due modi: il primo metodo utilizza l’autoradiografia per rilevare la
distribuzione del ligando radioattivo cui è stato esposto il tessuto; il secondo si serve dell’immunocitochimica per
evidenziare gli stessi recettori. Le secrezioni di neurotrasmettitori e neuromodulatori possono essere misurate
impiantando la punta di una sonda da microdialisi in una particolare zona del cervello. Per effettuare
osservazioni simili sull’uomo, si può utilizzare la PET. Si iniettaun marcatore radioattivo, come una sostanza che
si lega ad un tipo specifico di recettore o un composto chimico, e lo scanner PET rileva la localizzazione del
marcatore all’interno del cervello.

4 – Metodi sui gemelli


Dal momento che i geni dirigono lo sviluppo dell’organismo, i metodi genetici sono molto utili in
fisiologia del comportamento. Gli studi sui gemelli raffrontano le percentuali di concordanza tra gemelli
monozigoti e dizigoti relativamente a un tratto particolare. Una percentuale di concordanza più elevata nei
gemelli dizigoti prova che il tratto in questione è influenzato dall’ereditarietà. Le mutazioni mirate permettono ai
neuroscienziati di studiare l’effetto dell’assenza di una particolare proteina sulle caratteristiche fisiologiche e
comportamentali dell’animale.
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LA VISIONE

Il cervello deve essere informato costantemente di ciò che accade nell’ambiente esterno e all’interno
del corpo; tale informazione è raccolta dai sistemi sensoriali.
Noi riceviamo le informazioni sull’ambiente mediante i recettori sensoriali: neuroni specializzati nella
rilevazione di una vasta gamma di eventi fisici. Gli stimoli arrivano ai recettori e, attraverso alcuni meccanismi,
alterano il loro potenziale di membrana. Questo processo è chiamato trasduzione sensoriale. Tali cambiamenti
elettrici sono chiamati potenziali di recettore. La maggior parte dei recettori sensoriali è priva di assoni: una
porzione della membrana del corpo cellulare forma sinapsi con i dendriti di altri neuroni. I potenziali di recettore
influenzano il rilascio dei neurotrasmettitori e così facendo modificano la frequenza di scarica dei neuroni con cui
stabiliscono sinapsi. Alla fine, l’informazione raggiunge il cervello.
Approssimativamente, il 20% della corteccia cerebrale gioca un ruolo diretto nell’analisi dell’informazione visiva.

1 – Lo stimolo
I nostri occhi captano la presenza della luce. Per gli esseri umani, la luce consiste di una ristretta banda
dello spettro delle radiazioni elettromagnetiche: una radiazione elettromagnetica con lunghezza d’onda
compresa tra 380 e 760 nm è visibile per noi, mentre altri animali possono essere sensibili a una gamma di
radiazioni a lunghezza d’onda più vasta.
Il colore della luce che percepiamo è determinato da tre dimensioni: la tinta, la saturazione e la
luminosità. La lunghezza d’onda determina la prima delle tre dimensioni percettive della luce: la tinta. Lo spettro
visibile racchiude la gamma di tinte rilevabili all’occhio umano. La luce può variare anche in intensità, il che
corrisponde alla seconda dimensione percettiva della luce: la luminosità. Se l’intensità della radiazione
elettromagnetica aumenta, aumenta anche la luminosità apparente della luce. La terza dimensione, la
saturazione, si riferisce alla purezza relativa alla luce percepita. Se tutta la radiazione si concentra in una sola
lunghezza d’onda, il colore percepito è puro, ovvero è pienamente saturato. Al contrario, se la radiazione
contiene tutte le lunghezze d’onda, non si produce nessuna saturazione della tonalità, ovvero la luce appare
bianca. I colori caratterizzati da una saturazione intermedia sono prodotti da una differente mescolanza di
lunghezze d’onda.

2 – Anatomia del sistema visivo


Perché un individuo possa vedere, un’immagine deve essere messa a fuoco sulla retina, lo strato più interno
dell’occhio. Questa immagine produce dei cambiamenti nell’attività elettrica di milioni di neuroni della retina.

Gli occhi
Gli occhi si trovano nelle orbite, cavità ossee nella parte anteriore del cranio. Essi sono tenuti al loro
posto e mossi grazie all’azione di sei muscoli extraoculari. Normalmente, non possiamo guardare dietro ai nostri
globi oculari e vedere questi muscoli, perché i loro punti di attacco all’occhio sono mascherati dalla congiuntiva.
Gli occhi possono compiere vari tipi di movimenti: movimenti di convergenza, movimenti saccadici e
movimenti di inseguimento. I movimenti di convergenzasono movimenti coordinati che tengono entrambi gli
occhi fissi su uno stesso obiettivo: mantengono le immagini dell’oggetto osservato sui punti corrispondenti delle
due retine. I movimenti saccadicisono dei movimenti rapidi e improvvisi dell’occhio, impegnato nell’esame
accurato di una scena visiva. I movimenti di inseguimentosono i movimenti compiuti dall’occhio per mantenere
sulla fovea l’immagine di un oggetto in movimento.
Lo strato più esterno che ricopre gran parte dell’occhio, la sclera, è opaco e quindi non permette
l’ingresso della luce; tuttavia, la cornea, lo strato più esterno situato nella parte interiore dell’occhio, è
trasparente e lascia passare la luce. La quantità di luce che entra nell’occhio è regolata dalle dimensioni della
pupilla, che è un’apertura dell’iride, un anello pigmentato di muscoli posto dietro la cornea. Il cristallino, che si
trova immediatamente dietro l’iride, consiste di una serie di strati trasparenti, come una cipolla. La forma del
cristallino può essere alterata dalla contrazione dei muscoli ciliari; questi cambiamenti di conformazione
permettono all’occhio di mettere a fuoco sulla retina le immagini di oggetti vicini e lontani, un processo
chiamato accomodamento.
Dopo aver oltrepassato il cristallino, la luce attraversa la parte principale dell’occhio, che è piena di
umor vitreo, una sostanza gelatinosa e trasparente. Infine, dopo essere passata attraverso l’umor vitreo, la luce
colpisce la retina, il tessuto comporto da neuroni e fotorecettori che si trova sulla superficie interna della parte
posteriore dell’occhio. Sulla retina sono localizzate le cellule recettrici: i coni, sensibili soprattutto a una delle tre
lunghezze d’onda principali della luce e quindi codifica la percezione del colore, e i bastoncelli, sensibili alla luce
di bassa intensità, che vanno sotto il nome di fotorecettori.
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La retina umana contiene circa 120 milioni di bastoncelli e 6 milioni di coni. Sebbene siano in numero
largamente inferiore ai bastoncelli, i coni ci forniscono la gran parte dell’informazione relativa al nostro
ambiente: soprattutto ad essi dobbiamo la nostra visione diurna. La fovea, ovvero la regione centrale della
retina, che ci consente la visione più precisa ed accurata, contiene soltanto i coni. I coni sono anche responsabili
della visione del colore. Anche se i bastoncelli non sono sensibili al colore, essi sono più sensibili alla luce: in un
ambiente poso illuminato, usiamo la visione che ci è consentita dai bastoncelli. Quindi, in condizioni di ridotta
illuminazione, non vediamo i colori e non abbiamo una visione foveale.
Un’altra sezione della retina è il disco ottico, il punto dove gli assoni che veicolano l’informazione visiva
si raccolgono per uscire dall’occhio e formare il nervo ottico. Il disco ottico produce una macchia cieca, perché in
esso non vi è alcun fotorecettore.
Un attento esame della retina mostra che essa è composta da numerosi strati che contengono i corpi
cellulari dei neuroni, i loro assoni e dendriti e i fotorecettori. È interessante notare che i fotorecettori si trovano
sul fondo della retina: la luce deve attraversare tutti gli altri strati cellulari prima di arrivare ad essi.
I fotorecettori formano sinapsi con le cellule bipolari, le cui ramificazioni mettono in comunicazione lo
strato più superficiale a quello più profondo della retina. A loro volta, questi neuroni formano sinapsi con le
cellule gangliari, neuroni dotati di assoni che decorrono lungo il nervo ottico e trasportano l’informazione visiva
fino al resto del cervello. Inoltre, la retina contiene anche le cellule orizzontali, che mettono in connessione tra
loro i fotorecettori adiacenti e i processi più esterni delle cellule bipolari, e le cellule amacrine, che mettono in
connessione tra loro le cellule gangliari adiacenti e i processi più interni delle cellule bipolari.

I fotorecettori
Il primo stadio della sequenza di eventi che porta alla percezione visiva implica l’azione di una
particolare sostanza chimica chiamata fotopigmento. I fotopigmenti sono speciali molecole inglobate nella
membrana delle lamelle di coni e bastoncelli; un solo bastoncello umano ne contiene circa 10 milioni. Tali
molecole consistono di due parti: una di opsina (una proteina) e una di retinale (un lipide). Esistono diverse
varietà di opsina: per esempio, il fotopigmento dei bastoncelli umani, la rodopsina, consiste di opsina legata a un
retinale. Se una molecola di rodopsina è esposta alla luce, essa si scinde nei suoi due costituenti. La scissione del
fotopigmento produce l’iperpolarizzazione della membrana del fotorecettore; di conseguenza, il fotorecettore
rilascia meno neurotrasmettitore. Poiché il neurotrasmettitore normalmente iperpolarizza la membrana della
cellula bipolare, la riduzione del rilascio provoca la depolarizzazione della cellula bipolare. Questa
depolarizzazione fa sì che la cellula bipolare rilasci una maggiore quantità di neurotrasmettitore, che a sua volta
eccita la cellula gangliare.

Le connessioni tra occhio e cervello


Gli assoni delle cellule gangliari della retina trasportano l’informazione verso il resto del cervello; essi
viaggiano attraverso i nervi ottici e raggiungono il nucleo genicolato dorsolaterale del talamo, un gruppo di
corpi cellulari all’interno del corpo genicolato laterale del talamo; riceve gli input dalla retina e proietta le sue
fibre alla corteccia visiva primaria. Esso contiene sei strati di neuroni, ciascuno dei quali riceve input da un occhio
soltanto. I neuroni che si trovano negli strati più interni possiedono corpi cellulari più grandi di quelli che si
trovano nei quattro strati più esterni; per questo motivo, i due strati interni sono chiamati strati magnocellulari(i
due strati di neuroni più interni del nucleo genicolato dorsolaterale del talamo; trasmettono alla corteccia visiva
primaria le informazioni necessarie per la percezione della forma, del movimento e della profondità e anche
delle piccole differenze di luminosità), mentre i quattro esterni sono chiamati strati parvicellulari(i quattro strati
di neuroni più esterni del nucleo genicolato dorsolaterale del talamo; trasmettono alla corteccia visiva primaria
le informazioni necessarie alla percezione dei dettagli più fini e del colore). Un terzo insieme di neuroni sono
localizzati nei sottostraticoiniocellulari, che si trova al di sotto di ciascuno degli strati magnocellulare e
parvicellulare; trasmettono le informazioni provenienti dai coni a lunghezza d’onda corta (blu) alla corteccia
visiva primaria. I neuroni del nucleo genicolato dorsolaterale inviano i loro assoni lungo una via nervosa
chiamata radiazione ottica. La corteccia visiva primaria è spesso chiamata corteccia striata poiché contiene strati
che appaiono scuri nelle colorazioni istologiche.
I nervi ottici si uniscono insieme alla base del cervello, formando una struttura a forma di X chiamata
chiasma ottico. In questo punto, gli assoni provenienti dalle cellule gangliari che innervano le due metà interne
della retina si incrociano a livello del chiasma ottico e procedono verso il nucleo genicolato dorsolaterale del lato
opposto del cervello. Gli assoni provenienti dalle altre due metà della retina, invece, rimangono nello stesso lato
del cervello. Il cristallino capovolge l’immagine proiettata sulla retina: perciò, ciascun emisfero riceve
informazioni riguardanti la metà controlaterale della scena visiva. Se una persona guarda fisso davanti a sé,
l’emisfero destro riceve le informazioni riguardanti la metà sinistra del campo visivo, mentre l’emisfero sinistro
riceve le informazioni riguardanti la parte destra del campo visivo.
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A parte la via principale retino-genicolo-corticale, dalla retina partono anche altre fibre nervose. Per
esempio, una via diretta all’ipotalamo sincronizza i cicli di attività di un animale su ritmi di luce/buio di 24 ore.
Altre vie nervose coordinano i movimenti oculari, controllano i muscoli dell’iride e le dimensioni della pupilla e i
muscoli ciliari, contribuendo a dirigere la nostra attenzione verso i cambiamenti repentini che possono avere
luogo alla periferia del nostro campo visivo.

3 – La codifica dell’informazione visiva nella retina


Le cellule gangliari retiniche codificano l’informazione relativa alla quantità di luce che le colpisce nel
centro o alla periferia del loro campo recettivo e anche l’informazione riguardante la lunghezza d’onda della
sorgente luminosa, quindi il colore.

La codifica della luce e del buio


Il campo recettivo di un neurone del sistema visivo è quella parta di campo visivo che il neurone in un certo
senso “vede”: ovvero sia, la parte del campo visivo in cui deve cadere la luce affinchè il neurone ne sia stimolato.
Alla periferia della retina, parecchi recettori convergono ciascuno su una singola cellula gangliare,
riportando le informazioni provenienti da un’area della retina relativamente vasta e, dunque, da una porzione
relativamente ampia del campo visivo. Tuttavia, la fovea contiene approssimativamente lo stesso numero di
cellule gangliari e coni. Questa relazione tra recettori e assoni spiega perché la visione foveale (centrale) è così
acuta, mentre quella periferica è meno precisa.
Più di sessanta anni fa, Hartline scoprì che la retina di rana conteneva tre tipi di cellule gangliari. Le
cellule ON rispondevano con una scarica eccitatoria quando veniva illuminata la retina, le cellule OFF
rispondevano quando la luce veniva spenta e le cellule ON/OFF rispondevano brevemente sia quando la luce si
accendeva che quando si spegneva.
Le due principali categorie di cellule gangliari e l’organizzazione dei loro campi recettivi in un centro e
una periferia con sensibilità opposta offrono informazioni molto utili al resto del sistema visivo. Le cellule
gangliari scaricano normalmente con una frequenza relativamente bassa; quindi, quando aumenta o diminuisce
il livello di stimolazione nel centro del loro campo recettivo (per esempio, quando un oggetto si muove), le
cellule segnalano il cambiamento. In particolare, le cellule ON segnalano l’aumento e le cellule OFF la
diminuzione della stimolazione.
Numerosi studi hanno dimostrato che le cellule ON e quelle OFF, di fatto, segnalano categorie diverse di
informazione. Alcuni ricercatori iniettarono nelle scimmie una sostanza che blocca selettivamente la
trasmissione sinaptica delle cellule ON. Questi ricercatori hanno rilevato che gli animali non riuscivano più a
percepire dei puntini proiettati in modo da essere più luminosi dello sfondo, ma non avevano difficoltà a
percepire dei punti che invece erano più scuri dello sfondo.
La seconda caratteristica dei campi recettivi delle cellule gangliari (la loro organizzazione centro-
periferica) aumenta la nostra capacità di rilevare i bordi degli oggetti, quando il contrasto tra l’oggetto e lo
sfondo è basso.
La nostra sensibilità all’intensità della luce è determinata da bastoncelli e coni. Ci sono tre differenze
fondamentali tra questi recettori, che spiegano un certo numero di fenomeni relativi alla percezione
dell’intensità ella luce.
La prima è che coni e bastoncelli sono attivati da differenti livelli di luce. Alla luce del giorno, solo i coni sono
attivi e i bastoncelli non inviano segnali nervosi significativi. Di notte al chiaro di luna sono attivi invece solo i
bastoncelli.
La seconda differenza è che i coni e i bastoncelli sono specializzati in compiti diversi. Se un cono è esposto
alla luce, aumenta l’attività della corrispondente cellula gangliare. Ciascuna cellula gangliare è connessa a
quella adiacente ed è anche collegata all’area visiva del cervello tramite un lungo assone. Tutti questi assoni
formano un nervo ottico.
La terza differenza è che i bastoncelli e i coni hanno localizzazioni diverse, nella retina.

Adattamento al buio
Quando entriamo in una sala cinematografica buia da una strada illuminata, all’inizio non riusciamo a
vedere quasi niente. In pochi minuti, però, riusciremo a vedere abbastanza bene e a trovare un posto a
sedere. Infine, saremo in grado di riconoscere i volti, nonostante la scarsità dell’illuminazione.
Questa modificazione della capacità di vedere al buio si chiama adattamento al buio. Dopo un po’ che
siamo al buio, la pupilla si dilata. Cosa più importanti, le modificazioni fotochimiche dei recettori aumentano
la loro sensibilità alla luce.
I coni risultano completamente adattati nell’arco di 5 minuti. Mentre si adattano i coni, lo stesso fanno i
bastoncelli, ma più lentamente. Infine, l’adattamento dei bastoncelli eguaglia quello già completato dei
coni, ma il processo continua all’incirca per altri 25 minuti.
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La codifica del colore


Gli oggetti nel nostro ambiente assorbono selettivamente alcune lunghezze d’onda e ne riflettono altre,
e questo, ai nostri occhi, da sì che essi acquistino un colore. La retina degli esseri umani contiene tre diversi tipi
di coni. Che ci forniscono la più sofisticata forma di percezione dei colori.
Nel corso degli anni sono state proposte varie teorie della visione a colori, molto tempo prima che fosse
possibile confermarle o smentirle dal punto di vista fisiologico. Nel 1802 Thomas Young ipotizzò che l’occhio
rilevasse i differenti colori perché conteneva tre tipi diversi di recettore, ciascuno sensibile selettivamente a una
certa tonalità. La sua teoria divenne nota anche come teoria tricromatica e scaturì dall’osservazione che, per
l’occhio umano, ogni colore può essere riprodotto mischiando varie quantità di tre colori, opportunamente
selezionati da punti diversi dello spettro elettromagnetico.
Un altro fatto relativo alla percezione dei colori suggerì al fisiologo EwaldHering che la tonalità potrebbe
essere rappresentata, nel sistema visivo, mediante l’opponenza cromatica: il rosso/verde e il giallo/blu. Gli
studiosi interessati alla percezione del colore hanno considerato a lungo il giallo, il blu, il rosso e il verde come
colori primari, ovvero colori che appaiono unici e pure e non sembrano derivare da miscele di altri colori. Tutti gli
altri colori possono essere descritti come miscele di questi colori primari. Il sistema tricromatico non può
spiegare perché il giallo sia incluso in questo gruppo, ossia perché esso sia percepito come un colore puro.
Inoltre, alcuni colori sembrano sfumare l’uno nell’altro: per esempio, si può parlare di un verde bluastro o di un
verde giallastro, ma non si può immaginare un verde rossastro o un giallo bluastro: questi colori sembrano
essere l’uno l’opposto dell’altro.
Il sistema visivo impiega sia il sistema tricromatico, sia quello dell’opponenza cromatica per decodificare
l’informazione relativa ai colori.
Le osservazioni fisiologiche condotte sui fotocettori retinici nei primati superiori hanno dimostrato che
Young aveva ragione: tre diversi tipi di fotocettori sono responsabili della visione dei colori. Gli studiosi hanno
analizzato le proprietà di assorbimento dei singoli fotocettori e hanno determinato la quantità di luce a varie
lunghezze d’onda che è assorbita dai fotopigmenti. I picchi di sensibilità dei tre tipi di coni si trovano a circa 420
nm (per il blu-violetto), 530 nm (per il verde) e 560 nm (per il giallo-verde). Per convenzione, i coni sensibili alle
lunghezze d’onda corte sono chiamati coni blu, quelli sensibili alle lunghezze medie sono chiamati coni verde e
quelli sensibili alle lunghezze d’onda lunghe sono chiamati coni rossi.
Difetti genetici della visione dei colori sembrano la conseguenza di anomalie di uno o più dei tre tipi di coni.
Le persone affette da protanopiaconfondono il rosso e il verde. Esse vedono il mondo in sfumature di
giallo e blu; sia il rosso che il verde appaiono giallastri ai loro occhi.
Anche le persone affette da deuteranopiaconfondono il rosso e il verde e possiedono un’acuità visiva normale.
La tritanopia è un disturbo raro. Questo disturbo è l’effetto di un gene difettoso che non è localizzato
sul cromosoma X. Gli individui affetti da tritanopia incontrano difficoltà con le tinte di lunghezza d’onda più
corta, e quindi vedono il mondo in verde e rosso. Per loro, un cielo azzurro è di un verde chiaro, mentre il giallo
appare rosa: la loro retina, infatti, manca dei coni blu.
A livello delle cellule gangliari della retina, il codice dei tre colori è tradotto nel sistema a opponenza
cromatica. Questi neuroni rispondono selettivamente a coppie di colori primari, con il rosso in opposizione al
verde e il blu in opposizione al giallo. Pertanto, la retina contiene due gruppi di cellule gangliari sensibili al
colore: le cellule rosso-verde e le cellule blu-giallo.
La rilevazione e la codifica della pura luce rossa, blu o verde è facile da comprendere: per esempio, la
luce rossa eccita i coni rossi, il che provoca l’eccitazione delle cellule gangliari rosso-verde. La luce verde eccita i
coni versi, quindi provoca l’inibizione delle cellule rosso-verde. Ma poiché la lunghezza d’onda che produce la
sensazione del giallo è intermedia tra quella rossa e quella verde, essa stimolerà altrettanto bene sia i coni rossi
che i coni verdi. Le cellule gangliari giallo-blu sono eccitate sia dai coni rossi che dai coni verdi, perciò la loro
frequenza di scarica aumenta; tuttavia, le cellule gangliari rosso-verde sono eccitate dal rosso e inibite dal verde,
di conseguenza la loro frequenza di scarica rimane invariata. Il cervello in tal modo riceve l’informazione di un
incremento nella frequenza di scarica delle cellule gangliari giallo-blu, e la interpreta come giallo. La luce blu
inibisce semplicemente l’attività delle cellule gangliari giallo-blu.
Il sistema dell’opponenza cromatica realizzato dalle cellule gangliari spiega perché non possiamo
percepire un verde rossastro o un giallo bluastro: un assone che segnala il rosso o il verde può solo aumentare o
diminuire la sua frequenza di scarica, ma non può farle entrambe nello stesso momento.
Un’immagine postuma negativa è l’immagine che viene percepita dopo che una porzione della retina è
esposta a uno stimolo visivo intenso, e che è comporta da colori complementari a quelli presenti nello stimolo
reale. La causa principale delle immagini postume negative consiste nell’adattamento della frequenza di scarica
delle cellule gangliari retiniche. Quando tali cellule sono eccitate o inibite per lungo tempo, in seguito sviluppano
un effetto rimbalzo, cioè scaricano in modo più rapido o più lento del normale.
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4 – L’analisi dell’informazione visiva: il ruolo della corteccia striata


Le cellule gangliari retiniche codificano l’informazione relativa alla quantità di luce che le colpisce nel
centro o alla periferia del loro campo recettivo e anche l’informazione riguardante la lunghezza d’onda della
sorgente luminosa, quindi il colore. La corteccia striata elabora ulteriormente queste informazioni e le trasmette
alla corteccia visiva associativa.

l’anatomia della corteccia visiva striata


La corteccia striata consiste di sei strati principali disposti in bande parallele alla superficie. Questi strati
contengono i nuclei cellulari e gli alberi dendritici e somigliano a strisce chiare e scure di tessuto.
Se consideriamo la corteccia striata di un emisfero, troveremo che essa contiene una mappa della metà
controlaterale del campo visivo. Questa mappa è distorta: quasi il 25% della corteccia striata è dedicato
all’analisi dell’informazione proveniente dalla fovea, che rappresenta solo una piccola parte del campo visivo.
Hubel e Wiesel hanno rilevato che i neuroni della corteccia visiva non rispondono soltanto alle macchie
di luce: essi rispondono invece a caratteristiche più cospicue del campo recettivo di una singola cellula gangliare.

l’orientamento e il movimento
Quasi tutti i neuroni della corteccia striata sono sensibili all’orientamento; alcuni neuroni rispondono
meglio a una linea verticale, alcuni ad una linea orizzontale e altri ancora a linee orientate secondo angoli
intermedi.
Hubel e Wiesel li hanno definiti cellule semplici. Per esempio, una linea a un particolare orientamento
potrebbe eccitare una cellula se venisse posta al centro del suo campo recettivo, ma potrebbe anche inibirla, se
fosse spostata dal centro verso la periferia.
Anche un altro tipo di neuroni, che i ricercatori hanno chiamato cellula complessa, risponde bene a una
linea orientata in modo particolare, ma non sembra possedere una periferia inibitoria: in altre parole, questo
neurone continua a rispondere quando la linea è spostata all’interno del suo campo recettivo. Infatti, molte
cellule complesse aumentano la loro frequenza di scarica quando la linea è spostata perpendicolarmente al suo
angolo di orientamento; in tal modo, esse svolgono anche la funzione di rilevatrici del movimento.
Infine, le cellule ipercomplesse rispondono sempre a linee con un orientamento specifico, ma
possiedono una regione inibitoria all’estremità della linea, il che significa che la cellula percepisce la posizione
delle estremità di una linea orientata secondo un angolo definito.
Neuroni semplici: risulterebbero sensibili solo all’orientamento degli oggetti nello spazio;
Neuroni complessi: (presenti anche nelle aree 18 e 19) sensibili anch’essi all’orientamento degli oggetti, ma
anche al loro movimento;
Neuroni ipercomplessi: (presenti in numero scarso nell’area 17, ma abbondanti nelle aree 18 e 19) le cui
scariche si modificano non solo in rapporto all’orientamento e al movimento degli
oggetti, ma anche alle loro dimensioni.

La frequenza spaziale
Siamo abituati a considerare le frequenze in termini di tempo o spazio, ma poiché la dimensione
dell’immagine di uno stimolo che cade sulla retina varia a seconda di quanto esso è vicino all’occhio, si usa
l’angolo visivo invece della distanza fisica; perciò, la frequenza spaziale è la larghezza relativa alle bande di una
griglia sinusoidale misurata in cicli per grado di angolo visivo. La maggior parte dei neuroni della corteccia striata
risponde meglio quando nel suo campo recettivo viene posta una griglia con frequenza spaziale definita.
A che serve possedere circuiti neuronali che analizzano la frequenza spaziale? Consideriamo che tipo di
informazione è fornita dalla frequenze spaziali alte e da quelle basse: gli oggetti piccoli, o i dettagli all’interno di
un oggetto più grande, rappresentano uno stimolo ricco di frequenze spaziali alte, laddove vaste aree di luce e
buio consistono di basse frequenze. Un’immagine che offre scarse informazioni ad alta frequenza sembra sfocata
o confusa. Un’immagine come questa offre, comunque, molte informazioni riguardo le forme e gli oggetti
dell’ambiente: perciò, l’informazione visiva più importante è quella contenuta nelle frequenze spaziali basse.
Numerosi esperimenti hanno confermato l’idea che la frequenza spaziale gioca un ruolo fondamentale
nella percezione visiva, e alcuni modelli matematici hanno dimostrato che l’informazione presente in una scena
può essere efficientemente rappresentata se essa viene prima di tutto decodificata in termini di frequenza
spaziale. Perciò, forse anche il cervello si rappresenta l’informazione in questo modo.
I bordi sottili contengono frequenze spaziali alte, perciò una simile trasformazione li elimina
selettivamente. Presumibilmente, le alte frequenze prodotte dai bordi dei riquadri stimolano i neuroni della
corteccia striata che sono sintonizzati sulle alte frequenze spaziali. Quando la corteccia visiva associata riceve
questa informazione sul rumore di fondo, essa incontra delle difficoltà a percepire l’immagine sottostante.
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La disparità retinica
Per sapere dove si trovano gli oggetti dobbiamo conoscere la loro distanza e la loro profondità. Benché percepire
la profondità di un oggetto sembri un’azione priva di sforzo, essa è una notevole conquista, perché non abbiamo
un accesso diretto alla dimensione della profondità: la retina è una superficie bidimensionale, su cui si proietta
un mondo tridimensionale. La retina quindi riflette direttamente l’altezza e l’ampiezza, ma l’informazione sulla
profondità si perde e deve essere ricostruita sulla base degli indici di profondità.
- Indici binoculari
La capacità dei due occhi di inferire congiuntamente la profondità è dovuta al fatto che gli occhi sono separati,
nella testa, e ciascun occhio riceve un’immagine leggermente differente della stessa scena.
Il termine disparità retinica si riferisce alla differenza tra le immagini retiniche, nei due occhi. Questa disparità è
maggiore per gli oggetti vicini, e va diminuendo per gli oggetti lontani.
Nell’uomo e in altri animali con visione binoculare, la regione visiva del cervello utilizza la disparità binoculare
per assegnare gli oggetti in varie localizzazioni spaziali.
Oltre ad aiutarci a vedere la profondità, la disparità binoculare può ingannare gli occhi, facendo percepire una
profondità che non esiste realmente.
- Indici monoculari
Gli indici binoculari sono efficaci per gli oggetti relativamente vicini. Per il caso degli oggetti lontani, gli indici
binoculari sono relativamente inefficaci, ed è necessario fornirsi di altri indici, detti monoculari.
Sovrapposizione relativa gli oggetti più piccoli sono percepiti più lontani
Sovrapposizione oggetti collocati al di sopra di altri oggetti sono più vicini
Altezza relativa oggetti collocati più in alto sono percepiti più lontani
Prospettiva lineare linee parallele convergenti = la sensazione di profondità
Movimento relativo più gli oggetti sono lontani, più lentamente si muovono
PARALLASSE DI MOVIMENTO
Il colore
Nella corteccia striata, l’informazione proveniente dalle cellule gangliari sensibili al colore è trasmessa,
passando per gli strati parvicellulari e coniocellulari del nucleo genicolato dorsolaterale del talamo, a speciali
gruppi di cellule inclusi nei blob di citocromo ossidasi, la regione centrale di un modulo della corteccia visiva
primaria che contiene neuroni sensibili alle lunghezze d’onda; fa parte del sistema parvicellulare.
Fino a poco tempo fa, i ricercatori pensavano che il sistema parvicellulare trasmettesse alla corteccia
striata tutta l’informazione riguardante il colore. Al contrario, è oggi noto che il sistema parvicellulare riceve
informazioni soltanto dai coni rossi e da quelli versi, mentre l’informazione proveniente dai coni blu è trasmessa
al sistema coniocellulare.

l’organizzazione modulare della corteccia striata


La maggior parte dei ricercatori sostiene che il cervello sia organizzato in moduli che possiedono
dimensioni variabili da poche centinaia di migliaia ad alcuni milioni di neuroni. Ciascun modulo riceve
informazioni dagli altri moduli, esegue alcune specifiche analisi e poi ritrasmette l’informazione ad altri moduli.
La corteccia striata è suddivisa in circa 2.500 moduli, ciascuno dei quali contiene circa 150.000 neuroni
deputati all’analisi di varie proprietà contenute in ogni piccola parte del campo visivo. Gli input provenienti dagli
strati parvocellulari, coniocellulari e magnocellulari del nucleo genicolato dorsolaterale del talamo sono
trasmessia strati specifici della corteccia striata: l’input parvocellulare arriva allo strato 4Cβ, quello
magnicellulare arriva allo strato 4Cα e quello coniocellulare arriva agli strati 2 e 3.
I neuroni che si trovano all’interno dei blob svolgono una funzione speciale: la maggior parte di essi è
sensibile al colore e tutti alle basse frequenze spaziali. Tuttavia, sono relativamente insensibili alle caratteristiche
dello stimolo visivo: non rispondono selettivamente a diversi orientamenti e hanno campi recettivi
relativamente ampi, il che significa che non veicolano informazioni utili alla percezione della forma. Inoltre, i loro
campi recettivi sono monoculari, cioè ricevono informazioni visive da un solo occhio.
All’esterno dei blob, i neuroni si mostrano sensibili all’orientamento, al movimento, alla frequenza
spaziale e alla disparità retinica, ma per lo più non rispondono al colore. Ciascuna metà di un modulo riceve
input da un solo occhio, ma i circuiti presenti all’interno del modulo integrano l’informazione proveniente da
entrambi gli occhi. Se registriamo l’attività elettrica dei singoli neuroni all’interno di un modulo, possiamo
osservare che tutti i loro campi recettivi si sovrappongono; dunque, tutti i neuroni di un dato modulo analizzano
le informazioni provenienti dalla stessa regione del campo visivo.
I neuroni del blob rispondono alle basse frequenze spaziali ma sono sensibili a minime differenze di
luminosità; all’esterno dei blob, la sensibilità alla frequenza spaziale varia con la distanza dal centro del blob più
vicino. Le frequenze più alte sono associate a distanze maggiori. Tuttavia, i neuroni all’esterno dei blob sono
meno sensibili al contrasto; la differenza tra le aree chiare e quelle scure di una griglia deve essere più
consistente per essere rilevata da questi neuroni, rispetto a quelli all’interno dei blob.
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5 – L’analisi dell’informazione visiva: il ruolo della corteccia visiva associata


Sebbene la corteccia striata sia necessaria per la percezione visiva, la percezione degli oggetti e della
scena visiva nella sua interezza non è realizzata a questo stadio anatomico del sistema. Ciascuno dei migliaia di
moduli del sistema della corteccia striata vede solo una piccola parte di ciò che avviene nel campo visivo; quindi,
per percepire completamente gli oggetti e le scene visive bisogna integrare le informazioni provenienti da questi
moduli separati. Tale integrazione avviene nella corteccia visiva associativa.

i due canali dell’analisi visiva


L’informazione prodotta dalla corteccia striata è analizzata dalla corteccia visiva associativa. I neuroni
della corteccia striata inviano assoni alla corteccia extrastriata, che consiste di numerose regioni, ciascuna delle
quali contiene una o più mappe indipendenti del campo visivo. Ciascuna regione è specializzata nelle sue
funzioni e contiene neuroni che rispondono a una particolare caratteristica dell’informazione visiva come
l’orientamento, il movimento, la frequenza spaziale, la disparità retinica o il colore. Queste regioni sono
organizzate gerarchicamente: gran parte dell’informazione aumenta di complessità, man mano che si sale nella
gerarchia: ciascuna regione riceve gli input da quelle localizzate a livello inferiore, elabora questi input e li
trasmette alle regioni superiori, affinchè li elaborino ulteriormente.
I campi recettivi dei neuroni dell’area associativa della corteccia visiva (V2) hanno un diametro diverse
volte maggiore di quelli della corteccia striata (V1), il che suggerisce che le cellule dell’area V2 ricevano
informazioni da più cellule dell’area V1.
Ungerleider e Mishkin hanno proposto l’esistenza, nella corteccia visiva associativa, di due canali di analisi:
 la via dorsale, un sistema di regioni interconnesse della corteccia visiva, implicato nella percezione della
localizzazione spaziale, che comincia a livello della corteccia striata e termina nella corteccia parietale
posteriore, coinvolta nella percezione del movimento e della localizzazione spaziale.
 la via ventrale, un sistema di regioni interconnesse della corteccia visiva, implicato nella percezione della
forma, che comincia a livello della corteccia striata e termina nella corteccia temporale inferiore, coinvolta nella
percezione degli oggetti, inclusi i corpi e i volti delle persone.
Ricerche condotte in seguito hanno confermato questa teoria. La via ventrale riconosce cos’è un
oggetto e che colore ha, mentre il canale dorsale localizza dov’è l’oggetto e, se si muove, rileva la velocità e la
direzione del movimento. I canali dorsale e ventrale della corteccia visiva associativa giocano ruoli molto diversi
nell’elaborazione visiva. La funzione comportamentale della via dorsale consiste nel fornire informazioni visive
che guidano il movimento finalizzato, mentre quella della via ventrale consiste nel fornire informazioni visive su
dimensioni, forma, colore e tessitura degli oggetti, incluse le persone.
I sistemi parvicellulare, coniocellulare e magnocellulare (NEURONI DEL NUCLEO GENICOLATO)veicolano tipi diversi di informazione.
Colore Sensibilità Rilevare Risoluzione • Il sistema magnocellulare è presente nel cervello
contrasto dettagli temporale di tutti i mammiferi, laddove i sistemi parvicellulare
fini e coniocellulare sono tipici soltanto dei primati. I
neuroni del sistema magnocellulare sono insensibili
Sistema NO ALTA BASSA VELOCE
(risposta
ai colori, non sono in grado di rilevare i dettagli, ma
magnocellulare
transitoria) possono rilevare il più piccolo contrasto tra luce e
buio; sono, inoltre, particolarmente sensibili al
Sistema SI (verdi BASSA ALTA LENTA movimento.
parvocellulare e rossi) (risposta
prolungata)

Sistema SI (blu) BASSA BASSA LENTA • Le cellule del sistema parvocellulare mostrano
coniocellulare (risposta un’elevata risoluzione spaziale e una bassa
prolungata)
risoluzione temporale, ovvero esse sono in grado di
rilevare pure i dettagli più fini degli stimoli visivi,
ma la loro risposta è lenta e prolungata.
• Il sistema coniocellulare, che riceve informazioni solo dai coni blu, non rileva informazioni relative ai dettagli
più minimi.
Solo le cellule dei sistemi parvocellulare e coniocellulare ricevono informazioni riguardo la lunghezza
d’onda dai coni, perciò questi due sistemi analizzano le informazioni relative al colore.
Il canale dorsale riceve soprattutto l’input magnocellulare, quindi è implicato nell’elaborazione del
contrasto e del movimento, mentre il canale ventrale riceve all’incirca la stessa quantità di informazioni dai
sistemi magnocellulare, parviccellulare e coniocellulare.
I neuroni sensibili alla disparità retinica, localizzati nel canale dorsale, che è coinvolto nella percezione
spaziale, rispondono a superfici visive ampie ed estese, mentre quelli situati nel canale ventrale, che è coinvolto
nella percezione degli oggetti, rispondono ai contorni degli oggetti tridimensionali.
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La percezione del colore


Nel cervello della scimmia, i neuroni sensibili al colore dei blob della corteccia striata inviano le
informazioni sul colore alle bande sottili dell’area V2. I neuroni dell’area V2, a loro volta, inviano le informazioni
a una zona adiacente alla corteccia extrastriata, chiamata area V4.
Il modo in cui ci appaiono i colori degli oggetti resta più o meno lo stesso, sia che li osserviamo sotto
una luce artificiale, sotto un cielo nuvoloso o alla luce del sole. Questo fenomeno è noto come costanza di
colore. Il nostro sistema visivo compensa le variazioni dipendenti dalla sorgente della luce; questa
compensazione sembra prodursi mediante la comparazione simultanea della composizione cromatica di ciascun
punto del campo visivo con il colore medio dell’intera scena.
Una lesione dell’area V4 impedisce la costanza di colore. I ricercatori hanno trovato che, sebbene una
scimmia sia ancora in grado di discriminare differenti colori dopo una lesione dell’area V4, la sua performance è
disturbata se si altera il colore dell’illuminazione generale. Tuttavia, il fatto che la scimmia possa ancora svolgere
il compito di discriminazione dei colori in condizioni di illuminazione costante significa che qualche altra regione
deve essere implicata nella visione dei colori, a parte l’area V4.
Una ricerca suggerisce che una porzione della corteccia temporale inferiore appena anteriore all’area V4, spesso
definita come area TEO, giochi un ruolo fondamentale nella discriminazione visiva. Dopo aver lesionato l’area
TEO, lasciando però intatta l’area V4, è stato osservata una grave alterazione della discriminazione del colore.
La lesione di una precisa regione della corteccia extrastriata dell’uomo può provocare la perdita della
visione del colore, senza tuttavia comportare anche una perdita dell’acuità visiva. I pazienti descrivono la loro
percezione come fosse un film in bianco e nero, e perdono persino la capacità di immaginare i colori o di
ricordare il colore degli oggetti che avevano visto prima di subire il danno cerebrale. Questa condizione è nota
come acromatopsia cerebrale ed è provocata da una lesione dell’area V8 della corteccia visiva associativa.

l’analisi della forma


L’analisi dell’informazione visiva che ci porta alla percezione della forma ha inizio con i neuroni della
corteccia striata, sensibili all’orientazione e alla frequenza spaziale. Questi neuroni inviano informazioni all’area
V2, quindi alle sottoregioni della corteccia associativa visiva che costituiscono il canale ventrale.
Nei primati, il riconoscimento di pattern visivi e l’identificazione di oggetti particolari ha luogo nella
corteccia temporale interiore; questa regione della corteccia visiva associativa è situata alla fine del canale
ventrale.
Gli studi su persone che hanno subito un danno cerebrale alla corteccia visiva associativa ci hanno
permesso di scoprire molte cose sull’organizzazione del sistema visivo umano.
Le lesioni della corteccia associativa umana possono provocare una categoria di deficit nota come
agnosia visiva, un deficit della percezione visiva in assenza di cecità. L’agnosia visiva è causata dal
danneggiamento di parti della corteccia visiva associativa che contribuiscono alla via ventrale. Molteplici regioni
del canale ventrale sono attivate alla vista di particolari categorie di stimoli; per esempio, i ricercatori hanno
identificato regioni della corteccia temporale inferiore e occipitale laterale specificatamente attivate da
categorie come animali, automobili, fiori, lettere, parole, corpi, facce e scene.
Tuttavia, uno studio di imaging funzionale suggerisce che esistono poche regioni della corteccia visiva
associativa specializzate nell’analisi di specifiche categorie di stimoli. I ricercatori hanno presentato immagini di
oggetti appartenenti a diciannove differenti categorie a soggetti normali, rilevando la presenza di solo tre regioni
che mostrano un’attivazione massima alla vista di specifiche categorie: facce, corpi e scene. Nel cervello, sia
dell’uomo che della scimmia, le regioni che rispondono alle facce e alle parti del corpo sono congiunte, così
come quelle che rispondono agli oggetti e alle scene di luoghi.
La capacità di riconoscere i volti tramite la vista dipende da una regione specifica del giro fusiforme. Un
comune sintomo di agnosia visiva è la prosopagnosia, l’incapacità di riconoscere i volti di certe persone. Il
soggetto affetto da prosopagnosia riesce normalmente a riconoscere che sta guardando un volto, ma non è
affatto in grado di dire a chi appartenga quella faccia, anche se si tratta di un parente stretto. Per il
riconoscimento della persona si affidano all’analisi di altri particolari, come il riconoscimento della voce, il modo
di vestire, i movimenti compiuti, l’acconciatura.
Indagini condotte su pazienti cerebrolesi suggeriscono che i circuiti specializzati nel riconoscimento dei
volti si trovano nell’area fusiforme della faccia, una regione della corteccia visiva associativa localizzata nel giro
fusiforme, alla base della corteccia temporale inferiore. Alcune persone soffrono di prosopagnosia congenita:
l’incapacità di riconoscere i volti in assenza di un ovvio danneggiamento dell’area fusiforme della faccia. Le
persone affette da prosopagnosia congenita presentano un giro fusiforme anteriore più piccolo del normale, e
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uno studio di imaging ha rilevato che le persona affette da prosopagnosia congenita mostrano una quantità
minore di connessioni cerebrali all’interno della corteccia occipitotemporale.
Un’altra regione interessante della via ventrale è l’area extrastriata del corpo, una regione della
corteccia visiva associativa localizzata nella corteccia occipitotemporale laterale. Questa regione è implicata nella
percezione del corpo umano e di parti del corpo diverse dai volti; è attivata in modo specifico da fotografie,
sagome o disegni stilizzati di corpi umani o da parti del corpo.
L’ippocampo e le regioni adiacenti della corteccia temporale mediale sono coinvolti nella percezione
spaziale e nella memoria. Diversi studi hanno identificato un’area paraippocampale delle placecell, una regione
della corteccia limbica implicata nella percezione di particolari posti e scenari.
Alcune prove empiriche indicano che i neonati preferiscono osservare stimoli che ricordano i volti, il che suggerisce la presenza di
circuiti innati nel cervello umano che dispongono i neonati a guardare i volti, imparando di conseguenza a riconoscerli. Una
rassegna della letteratura suggerisce che la preferenza dei bambini piccoli per i volti è controllata da un circuito sottocorticale
veloce che è già presente nei neonati; questo circuito sopravvive in molti adulti con prosopagnosia causata da un danno
corticale, che riescono a realizzare che stanno osservando un volto benchè non siano in grado di riconoscerlo. La via
sottocorticale garantisce che i neonati guardino i volti, il che aumenta il legame sociale con gli altri esseri umani, oltre a facilitare
lo sviluppo dei circuiti sensibili alle facce, nella corteccia cerebrale. Le persone con disturbo autistico mostrano un deficit nella
capacità di riconoscimento delle facce: quando osservano dei volti, il giro fusiforme non si attiva. È stato ipotizzato che l’assenza
di interesse per le altre persona si traduce nella mancanza della motivazione che normalmente promuove l’acquisizione di
esperienza nel riconoscimento delle facce, a mano a mano che il bambino cresce.

La percezione del movimento


Alle persone è utile sapere non solo cosa sono le cose che stanno osservando, ma anche dove si trovano
e dove stanno andando. Senza la capacità di percepire il movimento degli oggetti non avremmo alcun modo di
prevedere dove si troveranno in un dato momento: saremmo incapaci di afferrarli o di evitare che ci afferrino.
Una delle regioni della corteccia extrastriata, l’area V5, anche nota come mediotemporale, contiene
neuroni che rispondono al movimento: una lesione di quest’area interferisce gravemente con la capacità di una
scimmia di percepire stimoli in movimento. L’area medio temporale riceve input direttamente dalla corteccia
striata e da numerose altre regioni della corteccia extrastriata.
Una regione adiacente all’area V5, l’area medio temporale superiore, riceve informazioni riguardo al
movimento dall’area V5, e su queste informazioni esegue delle analisi supplementari. I neuroni dell’area medio
temporale superiore rispondono a movimenti piuttosto complessi, circolari o spiraliformi. Una funzione
importante di questa regione sembra essere l’analisi del flusso ottico, il movimento complesso dei punti del
campo visivo che è provocato dal movimento relativo dell’osservatore rispetto all’ambiente. Il flusso ottico
fornisce informazioni riguardo alla distanza relativa degli oggetti rispetto all’osservatore e alla direzione relativa
di movimento.
Gli studi di imaging funzionale suggeriscono che l’area V5 sia localizzata nella corteccia occipitale
laterale, tra il solco occipitale laterale e il solco occipitale inferiore. La lesione bilaterale del cervello umano, che
includa anche l’area V5, produce un’incapacità di percepire il movimento, detta acinetopsia.
I neuroni dell’area medio temporale superiore del cervello della scimmia rispondono al flusso ottico.
Uno studio di imaging funzionale ha rilevato che quest’area si attiva quando le persone giudicano in che
direzione stanno andando, mentre osservano il flusso ottico mostrato su uno schermo. Le persone con lesioni
che includono l’area medio temporale o medio temporale superiore sono in grado di percepire il movimento, ma
non riescono a discernere la direzione dal flusso ottico.
La percezione del movimento può anche aiutarci a percepire forme tridimensionali. La percezione della
forma dal movimento può sembrare un fenomeno privo di importanza; in realtà si tratta di un fenomeno che si
verifica normalmente, e sembra dare leva su meccanismi cerebrali diversi da quelli implicati nella semplice
percezione degli oggetti. Per esempio, le persone che soffrono di agnosia visiva riescono ancora a percepire le
azioni, anche se non sanno riconoscere gli oggetti alla base della vista. Questi pazienti possono riconoscere gli
amici in base al modo di camminare, anche se i loro volti non dicono loro nulla.
Se una persona muove gli occhi o tutta la testa, l’immagine che cade sulle retine si muoverà, anche se
tutti gli oggetti dell’ambiente restano immobili. Un problema che il sistema visivo deve risolvere è determinare
quali di queste immagini sono prodotte dal movimento degli oggetti e quali derivano invece dai movimenti degli
occhi. La compensazione coinvolge la corteccia extrastriata localizzata a livello della giunzione tra i lobi parietale
e temporale, vicino alla regione coinvolta nell’analisi del segnale proveniente dal sistema vestibolare.

La percezione della localizzazione spaziale


Il lobo parietale è implicato nella percezione spaziale e somatosensoriale, e riceve informazioni visive,
uditive, somatosensoriali e vestibolari per eseguire questi compiti. Una lesione dei lobi parietali, perciò,
impedisce la corretta esecuzione di una varietà di compiti che richiedono di percepire e di ricordare la posizione
di oggetti nello spazio e controllare i movimenti di occhi e arti. Il canale dorsale della corteccia visiva associativa
termina a livello della corteccia parietale posteriore.
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La maggior parte della corteccia visiva associativa all’estremità del canale dorsale è localizzata nel solco
intraparietale: le aree LIP e VIP sono coinvolte nell’attenzione visiva e nel controllo dei movimenti saccadici; VIP
e MIP nel controllo visivo delle capacità di raggiungere gli oggetti e indicare; AIP nel controllo visivo dei
movimenti delle mani per afferrare e manipolare e CIP nella percezione della profondità.
Goodale e colleghi hanno suggerito che la funzione principale della via dorsale della corteccia visiva
associativa è meglio caratterizzata da “come” piuttosto che “cosa”; il ruolo della corteccia parietale posteriore
nel controllo delle capacità di raggiungere, afferrare e manipolare richiede informazioni visive sul movimento,
profondità e localizzazione.

V1 Corteccia visiva PICCOLI MODULI CHE ANALIZZANO ORIENTAMENTO, MOVIMENTO, FREQUENZA


primaria SPAZIALE, DISPARITÀ RETINICA E COLORE

V2 Corteccia visiva ULTERIORE ANALISI DELL’INFORMAZIONE PROVENIENTE DA V1


associativa

Via ventrale

V3+VP ULTERIORE ANALISI DELL’INFORMAZIONE PROVENIENTE DA V2

V3A ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI VISIVE ATTRAVERSO L’INTERO


CAMPO VISIVO DELL’OCCHIO CONTROLATERALE

V4d/V4v ANALISI DELLA FORMA

ELABORAZIONE DELLA COSTANZA DI COLORE

V4D = CAMPO VISIVO INFERIORE;

V4V = CAMPO VISIVO SUPERIORE

V8 PERCEZIONE DEL COLORE

LO Complesso occipitale laterale RICONOSCIMENTO DEGLI OGGETTI

FFA Area fusiforme della faccia RICONOSCIMENTO DEI VOLTI, RICONOSCIMENTO DI OGGETTI DA PARTE DI
ESPERTI

PPA Area paraippocampale delle RICONOSCIMENTO DI POSTI PARTICOLARI


placecell

EBA Area extrastriata del corpo RICONOSCIMENTO DI PARTI DEL CORPO DIVERSE DAL VOLTO.

Via dorsale

V7 AREA VISIVA

CONTROLLO DEI MOVIMENTI OCULARI

MT/ Medio temporale PERCEZIONE DEL MOVIMENTO


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MST Medio temporale superiore PERCEZIONE DEL MOVIMENTO BIOLOGICO E FLUSSO OTTICO

LIP Area intraparietale laterale CONTROLLO DELL’ATTENZIONE VISIVA A PARTICOLARI LOCALIZZAZIONI

VIP Area intraparietale ventrale CONTROLLO DEI MOVIMENTI OCULARI

CONTROLLO VISIVO DELLA CAPACITÀ DI INDICARE

AIP Area intraparietale anteriore CONTROLLO VISIVO DEI MOVIMENTI DELLE MANI: AFFERRARE,
MANIPOLARE

MIP Area intraparietale media CONTROLLO VISIVO DELLA CAPACITÀ DI RAGGIUNGERE GLI OGGETTI

CIP Area intraparietale caudale PERCEZIONE DELLA PROFONDITÀ


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91

-7-
L’UDITO, I SENSI CORPOREI E I SENSI CHIMICI

1 – Il sistema uditivo
Per la maggior parte delle persone, l’udito è il secondo senso più importante. Gli stimoli acustici ci
forniscono informazioni anche su cose che sono nascoste alla visione, e le nostre orecchie funzionano bene al
buio come alla luce.

Lo stimolo
Siamo in grado di sentire i suoni prodotti da oggetti che vibrano e inducono un movimento delle
molecole d’aria. Quando un oggetto vibra, i suoi movimenti causano la condensazione e la rarefazione dell’aria
che lo circonda, producendo delle onde che viaggiano lontano dall’oggetto. Se la vibrazione è
approssimativamente compresa tra 30 e 20.000 unità al secondo, tali onde stimoleranno le cellule recettive delle
nostre orecchie e saranno percepite come suoni.
I suoni variano in tono, ampiezza e timbro. La percezione del tono di uno stimolo uditivo è determinata
dalla frequenza delle vibrazione, misurata in Hertz. L’ampiezza è una funzione dell’intensità: il grado in cui le
condensazioni e le rarefazioni dell’aria differiscono tra loro. Il timbro fornisce informazioni sulla natura di un
particolare suono e sulla sua complessità.

l’anatomia dell’orecchio
L’orecchio è composto fondamentalmente dall’orecchio esterno (padiglione auricolare), dall’orecchio
medio e dall’orecchio interno.
Il suono è incanalato nel padiglione auricolare e attraversa il meato acustico, fino alla membrana
timpanica, che vibra con il suono. Dietro al timpano si trovano tre ossicini, le ossa più piccole del corpo umano,
che sono il martello, connesso alla membrana timpanica, l’incudine e la staffa. La base della staffa preme sulla
finestra ovale, l’apertura della struttura ossea che circonda la coclea, che è la struttura contenente i recettori. La
coclea fa parte dell’orecchio interno. È piena di liquido e quindi i suoni trasmessi attraverso l’aria devono essere
trasferiti a un mezzo liquido. La catena degli ossicini è un mezzo estremamente efficace di trasmissione
dell’energia. Le ossa forniscono un vantaggio meccanico: la base della staffa fa delle escursioni contro la finestra
ovale più piccole ma più energiche delle vibrazioni della membrana timpanica sul martello.
La coclea è divisa longitudinalmente in tre sezioni: la scala vestibolare, la scala media e la scala
timpanica. L’organo recettore, conosciuto come organo del Corti, è costituito dalla membrana basilare, dalle
cellule ciliate e dalla membrana tettoria. Le cellule recettrici uditive sono le cellule ciliatee sono ancorate alla
membrana basilare attraverso le cellule di Deiters, a forma di pilastro. Le stereociglia delle cellule ciliate passano
attraverso la membrana reticolare, e l’estremità di alcune di esse si fissa in modo abbastanza rigido alla
membrana tettoria. Le onde sonore producono un movimento congiunto della membrana basilare e della
membrana tettoria, che flette le stereociglia delle cellule ciliate. Tale flessione produce potenziali recettoriali.

le cellule ciliate uditive e la trasduzione dell’informazione uditiva


All’interno e all’esterno della spirale cocleare si trovano due tipi di cellule recettrici, le cellule ciliate
uditive interne ed esterne. Le cellule ciliate contengono le stereociglia, che sono delle appendici simili a capelli
sottili, disposte in fina a seconda dell’altezza. Le cellule ciliate fanno sinapsi con i dendriti dei neuroni bipolari, i
cui assoni trasportano le informazioni uditive al cervello.
Le onde sonore producono la flessione verso il basso e verso l’alto sia della membrana basilare che della
membrana tettoria; tali movimenti piegano le stereociglia delle cellule ciliate. Le stereociglia adiacenti sono
collegate tra loro da filamenti elastici detti giunzioni di collegamento tra le punte. Ogni giunzione è attaccata
all’estremità finale di una stereociglia e al lato della stereociglia adiacente. Normalmente, le giunzioni di
collegamento tra le punte sono lievemente estese.
La flessione del fascio di stereociglia produce i potenziali recettoriali. Il liquido che circonda le cellule
ciliate uditive è ricco di potassio; quando il fascio di muove nella direzione dell’estensione, l’aumento di tensione
sulle giunzioni di collegamento apre tutti i canali ionici, aumenta il flusso di potassio e di calcio nelle stereociglia
e la membrana si depolarizza, aumentando di conseguenza il rilascio di neurotrasmettitore. Quando il fascio si
muove nella direzione opposta, il rilassamento delle giunzioni fa chiudere i canali ionici aperti. Il flusso di
potassio e calcio diminuisce, la membrana si iperpolarizza e diminuisce il rilascio di neurotrasmettitore.
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La via uditiva
L’organo del Corti invia le informazioni uditive al cervello attraverso il nervo cocleare, che è un ramo del
nervo uditivo (VIII nervo cranico).I neuroni che danno origine agli assoni afferenti sono di tipo bipolare. I loro corpi
cellulari risiedono nel ganglio del nervo cocleare. I potenziali postsinaptici eccitatori generano i potenziali
d’azione nell’assone del nervo uditivo, che fa sinapsi con i neuroni del bulbo.
Ogni nervo cocleare contiene approssimativamente 50.000 assoni afferenti; circa il 95% dei dendriti di
questi assoni fa sinapsi con le cellule ciliate interne, e questi assoni sono spessi e mielinizzati; il restante 5% fa
sinapsi con un maggio numero di cellule ciliate esterne, e questi assoni sono sottili e privi di mielina.
Il nervo cocleare contiene anche assoni efferenti, oltre a quelli afferenti. L’origine degli assoni efferenti
è nel nucleo dell’oliva superiore, un gruppo di neuroni del bulbo; le fibre efferenti costituiscono il fascio
olivococleare. Le fibre formano sinapsi direttamente sulle cellule ciliate esterne e sui dendriti delle cellule ciliate
interne.
L’anatomia del sistema uditivo è più complessa di quello visivo. Bisogna notare chegli assoni entrano nel
(1)
nucleo cocleare del bulbo , dove fanno sinapsi. La maggior parte dei neuroni del nucleo cocleare invia assoni al
(2)
complesso dell’oliva superiore , anch’esso localizzato nel bulbo. Gli assoni dei neuroni di tali nuclei si dirigono
(3) (4)
al collicolo inferiore passando attraverso un lungo fascio di fibre detto lemnisco laterale , situato nel
(5)
mesencefalo dorsale. Da qui i neuroni inviano i loro assoni al corpo genicolato mediale del talamo , il quale
(6)
proietta alla corteccia uditiva del lobo temporale . Ogni emisfero riceve informazioni da entrambe le orecchie,
ma soprattutto da quello controlaterale.

VIA UDITIVA = NUCLEO COCLEARE DEL BULBO- COMPLESSO DELL’OLIVA SUPERIORE – COLLICOLO
INFERIORE – CORPO GENICOLATO MEDIALE DEL TALAMO – CORTECCIA UDITIVA DEL LOBO TEMPORALE

La corteccia uditiva sembra essere organizzata in maniera gerarchica, come la corteccia visiva. La
corteccia uditiva primaria è nascosta sul bordo più alto della scissura laterale del lobo temporale. La regione
centrale, che contiene la corteccia uditiva primaria, è costituita da tre sottoregioni, ciascuna della quali riceve
una mappa tonotopica separata delle informazioni uditive della porzione ventrale del corpo genicolato mediale.
Il primo livello della corteccia uditiva associativa, la regione della cintura, circonda la corteccia uditiva primaria
ed è localizzata su un giro della superficie dorsale del lobo temporale. La regione della cintura, che è costituita
almeno da sette divisioni, riceve informazioni sia dalla corteccia uditiva primaria, sia dalle zone dorsale e
medialedel corpo genicolato mediale. Il secondo livello della corteccia uditiva associativa, la regione della
paracintura, riceve informazioni dalla regione della cintura e dalle zone del nucleo genicolato mediale.
Come la corteccia visiva associativa, la corteccia uditiva associativa è organizzata in vie. La via anteriore,
che comincia nella regione anteriore della paracintura, è implicata nell’analisi dei suoni complessi; la via
posteriore, che comincia nella regione posteriore della paracintura, è implicata nella localizzazione dei suoni.

La percezione del tono


La coclea analizza le frequenze in due modi: misura le frequenze alte in base alla codifica della posizione
e quelle basse con la codifica della scarica.
Almeno alcune delle frequenze delle onde sonore sono analizzate attraverso la codifica della posizione,
il sistema tramite il quale l’informazione sulle diverse frequenze è codificata dalla diversa localizzazione sulla
membrana basilare. In tale contesto, la codifica rappresenta un mezzo con cui i neuroni possono rappresentare
l’informazione. Quindi, se i neuroni a una estremità della membrana basilare sono eccitati dalle frequenze più
basse e quelli all’estremità opposta dalle frequenze più alte, si può affermare che la frequenza del suono è
codificata dai particolari neuroni attivati; di conseguenza, la scarica di assoni particolari nel nervo cocleare
fornisce informazioni al cervello sulla presenza di frequenza alte o basse.
Le frequenze più basse sono rilevate da neuroni che scaricano in sincronia con il movimento dell’apice
della membrana basilare. Le frequenze basse sono rilevate attraverso la codifica della scarica, il sistema che
codifica le informazioni sulle diverse frequenza in base alla percentuale di scarica dei neuroni del sistema uditivo.

la percezione dell’ampiezza
Gli assoni del nervo cocleare sembrano dare informazioni al cervello sull’ampiezza di uno stimolo
alternando il loro ritmo di scarica. I suoni alti inducono vibrazioni più intense del timpano e degli ossicini, i quali
producono una forza maggiore sulle stereociglia delle cellule ciliate. Di conseguenza, le cellule rilasciano più
neurotrasmettitore, producendo una maggiore percentuale di scariche negli assoni del nervo cocleare. La
tonalità è rilevata in base a quali neuroni scaricano, e l’ampiezza è rilevata in base al loro ritmo di scarica.
I neuroni all’apice della membrana basilare, che segnalano le frequenze più basse, lo fanno attraverso la
loro frequenza di scarica; se scaricano con maggiore frequenza, segnalano un’intensità più alta. Quindi, la
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maggior parte dei ricercatori ritiene che l’ampiezza dei suoni di bassa frequenza sia rilevata dal numero di assoni
provenienti da questi neuroni, che sono attivi in un certo momento.

La percezione del timbro


Quando la membrana basilare è stimolata dal suono di un clarinetto, parti diverse rispondono. Queste
risposte producono un pattern di attivazione anatomicamente codificato in modo univoco nel nervo cocleare,
che successivamente è identificato dai circuiti della corteccia uditiva associativa. In realtà, il riconoscimento dei
suoni complessi non è così semplice. La maggior parte dei suoni è dinamica; cioè, ogni loro parte, iniziale,
centrale e finale, è diversa dalle altre. Se si stanno riconoscendo suoni diversi, la corteccia uditiva deve analizzare
una sequenza complessa di frequenze multiple che iniziano, cambiano di ampiezza e finiscono. Si può apprezzare
la complessità dell’analisi fatta dal sistema uditivo se si considera il fatto che se si ascolta un’orchestra si
riescono ad identificare molti strumenti suonati contemporaneamente.

La percezione della localizzazione spaziale


Le nostre orecchie hanno un’ottima capacità di determinare se la fonte di un suono è la nostra destra o
la nostra sinistra. Se si è bendati, si può ancora determinare con buona accuratezza la localizzazione di uno
stimolo che produce un rumore. I neuroni del nostro sistema uditivo rispondono selettivamente a diversi tempi
d’arrivo dell’onda sonora all’orecchio sinistro e a quello destro; se la sorgente sonora è a destra o a sinistra,
l’onda sonora raggiungerà un orecchio prima dell’altro e darà inizio prima ai potenziali d’azione. Solo se lo
stimolo è proprio davanti alla testa le orecchie saranno stimolate contemporaneamente.
La sorgente dei suoni continui di bassa intensità si rileva attraverso le differenze di fase. Le differenze di
fasesi riferiscono all’arrivo simultaneo, a ogni orecchio, di parti diverse dell’oscillazione dell’onda sonora.
I neuroni che rilevano le differenza d’ampiezza sono localizzati nel complesso dell’oliva superiore.
Questi neuroni si trovano nella porzione laterale del complesso dell’oliva superiore, mentre i neuroni che
rilevano la differenza di fase o del tempo d’arrivo sono localizzati nella porzione mediale.
Come possiamo stabilire se la fonte è davanti o dietro di noi? Possiamo farlo attraverso l’analisi del
timbro. Questo metodo coinvolge l’orecchio esterno, che contiene molte pieghe e creste. La maggior parte delle
onde sonore che sentiamo, prima di entrare nel canale uditivo, rimbalza sulle pieghe e sulle creste. Frequenze
diversa saranno enfatizzate o attenuate a seconda dell’angolo con il quale le onde sonore colpiscono tali pieghe
e creste. I suoni che provengono da dietro la testa sono sentiti in modo diverso da quelli che provengono
dall’alto o dal davanti, così come risultano diversi suoni provenienti dall’alto rispetto a quelli allo stesso livello
delle orecchie. Le orecchie delle persone hanno forme diverse, inoltre, con la crescita, le dimensioni delle
orecchie dei bambini cambiano. Ciò significa che ogni individuo deve apprendere a riconoscere le sottili
variazioni di timbro dei suoni che provengono da dietro, davanti, sopra e sotto la testa. I circuiti neurali che
svolgono tale compito non sono geneticamente programmati: si tratta, dunque, di una capacità che si acquisisce
con l’esperienza.

La percezione dei suoni complessi


Ascoltare ha tre funzioni principali: rilevare i suoni, determinare la localizzazione delle loro sorgenti e
riconoscere l’identità di queste sorgenti. Come si fa a riconoscere le fonti sonore? Gli assoni del nervo cocleare
contengono un pattern di attività in costante cambiamento, che corrisponde alla variazione costante della
miscela di frequenze che colpisce i timpani. Il compito del sistema uditivo nell’identificare le sorgenti sonore è
quello di riconoscere i pattern. Il sistema uditivo deve saper riconoscere che pattern particolari d’attività
appartengono a sorgenti sonore diverse.
Il riconoscimento dei suoni complessi sembra dipendere da circuiti di neuroni nella corteccia uditiva. Il
riconoscimento dei suoni complessi richiede che il ritmo di variazione delle componenti di questi suoni sia
preservato per tutto il tragitto fino alla corteccia uditiva; infatti, i neuroni che trasportano l’informazione alla
corteccia uditiva hanno caratteristiche speciali, che consentono di condurre accuratamente tale informazione.

La corteccia uditiva è organizzata in due vie: la via dorsale, implicata nella percezione della
localizzazione, e la via ventrale, implicata nella percezione della forma. In uno studio è stato rilevato che
ineuroni “cosa”della via ventrale discriminano le grida di scimmie diverse, mentre i neuroni “dove”della via
dorsale discriminano le differenti localizzazioni di queste grida.
Le vie uditive e visive del sistema di localizzazione, le vie dorsali, si sovrappongono nel lobo parietale.
Questa sovrapposizione è indubbiamente correlata al fatto che le scimmie (ma anche gli uomini) possono
utilizzare la convergenza di vista e udito per riconoscere quale tra diversi oggetti nell’ambiente sta facendo
rumore. Inoltre, possiamo apprendere l’associazione tra la vista di un oggetto e il suono che produce. Le
informazioni da entrambi i sistemi, uditivo e visivo, sono proiettate anche a specifiche regioni dei lobi frontali,
dove si riscontra nuovamente un’area in cui i due sistemi si sovrappongono.
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Le lesioni della corteccia uditiva associativa possono produrre deficit analoghi a quelli prodotti dalla
lesione della via visiva associativa, cioè la compromissione di vari aspetti della percezione uditiva, sebbene i
soggetti non siano sordi.
Una rassegna di 38 studi di imaging funzionale su soggetti umani ha prodotto un risultato coerente: la
percezione dell’identità dei suoni attiva il sistema “cosa” della corteccia uditiva, mentre la percezione della loro
localizzazione attiva il sistema “dove”. La distruzione di una regione del sistema “cosa” compromette la capacità
di riconoscere uno stimolo uditivo, mentre la distruzione di una regione del sistema “dove” compromette la
capacità di riconoscere la localizzazione.
Le superiori capacità uditive dei non vedenti sono note da sempre: la perdita della vista sembra
aumentare la sensibilità del sistema uditivo. Uno studio di imaging funzionale ha rilevato che l’input che
raggiunge la corteccia uditiva è identico nelle persone non vedenti e nelle persone vedenti, ma le connessioni
neurali tra la corteccia uditiva e quella visiva sono più forti nei soggetti non vedenti; inoltre, la corteccia visiva
mostra una responsività maggiore agli stimoli uditivi.
La percezione della musica è una forma speciale di percezione uditiva. Determinate combinazioni di
note musicali suonate simultaneamente possono essere percepite come piacevoli o spiacevoli. La tessa melodia
si percepisce immutata persino se è suonata in diverse tonalità; quindi, la percezione musicale richiede il
riconoscimento della sequenza di note, la loro aderenza alle regole che governano le possibili tonalità, la
combinazione armonica tra le note e la struttura ritmica. Poiché la durata dei pezzi musicali varia da pochi
secondi a diversi minuti, la percezione della musica implica una sostanziale capacità mnestica. Di conseguenza, i
meccanismi musicali richiesti per la percezione della musica devono essere complessi.
Differenti aree del cervello sono coinvolte in diversi aspetti della percezione musicale. Per esempio, la
corteccia frontale interiore sembra essere implicata nel riconoscimento dell’armonia, la corteccia uditiva destra
appare coinvolta nella percezione del tempo sottostante la musica, mentre la corteccia uditiva sinistra sembra
essere coinvolta nella percezione dei pattern ritmici; inoltre, il cervelletto e i gangli della base sono implicati
nella sincronizzazione dei ritmi musicali, così come nella sincronizzazione dei movimenti.
L’addestramento musicale induce dei cambiamenti nel cervello: modificazioni nei sistemi motori
coinvolti nel suonare uno strumento, e cambiamenti nelle aree del sistema uditivo deputate a riconoscere le
sottili variazioni di entità complesse come l’armonia, il ritmo e altre caratteristiche della struttura musicale.
Alcuni degli effetti dell’addestramento si traducono in modificazioni della struttura o dell’attività di parti del
sistema uditivo; per esempio, è stato trovato che le dimensioni della corteccia uditiva primaria dei musicisti sono
maggiori del 130% rispetto a quelle dei non musicisti.
Alcune persone nascono con una amusia congenita: un deficit grave e persistente dell’abilità musicale
che si manifesta in età precoce; le persone con amusia non sono in grado di riconoscere o persino di definire le
differenze tra le armonie, e addirittura tentano di evitare situazioni sociali che implichino la musica; non sono
inoltre capaci di sentire “la musica nella testa”.

2 – Il sistema vestibolare
Il sistema vestibolareha due componenti: l’organo otolitico e i canali semicircolari. Essi rappresentano
la seconda e la terza componente del labirinto dell’orecchio interno e sono situati dopo la coclea.
L’organo otoliticorisponde alla forza di gravità e fornisce al cervello le informazioni sull’orientamento
della testa. I canali semicircolaririspondono all’accelerazione angolare, ovvero le variazioni nella rotazione della
testa; rispondono anche, in modo debole, ai cambiamenti di posizione e all’accelerazione lineare.
Le funzioni del sistema vestibolare includono l’equilibrio e il mantenimento della testa in posizione
eretta, oltre alle modificazioni dei movimenti oculari per compensare quelli del capo. La stimolazione vestibolare
non produce alcuna sensazione realmente definibile; alcune stimolazioni di bassa frequenza dell’organo otolitico
possono produrre nausea, e la stimolazione dei canali semicircolari può causare vertigini e movimenti ritmici
degli occhi (nistagmo).

l’anatomia dell’apparato vestibolare


Il labirinto dell’orecchio interno include la coclea, i canali semicircolari e le due componenti degli organi
otolitici: l’utricolo e il sacculo.
I canali semicircolari sono costituiti da un canale membranoso fluttuante in un canale osseo; il canale
membranoso contiene un liquido detto endolinfa; una dilatazione detta ampolla contiene l’organo, nel quale si
trovano i recettori sensoriali, che sono cellule ciliate simili a quelle presenti nella coclea, le cui stereociglia sono
incastrate in una massa gelatinosa detta cupola.
L’endolinfa in questi canali si oppone al movimento quando la testa inizia a ruotare; tale resistenza
iniziale spinge l’endolinfa contro la cupola, provocando la sua flessione, finchè il fluido inizia a muoversi alla
stessa velocità della testa. Se la testa è ruotata e poi si ferma, l’endolinfa, ancora in movimento nel canale,
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spinge la cupola in senso contrario; quindi, l’accelerazione angolare si traduce nella flessione della cupola, che
esercita una forza meccanica sulle stereociglia delle cellule ciliate.
Il sacculo e l’utricolo lavorano in modo diverso. Tali organi sono approssimativamente circolari e
contengono un pezzo di tessuto recettivo. Quando la testa è dritta, il tessuto recettivo è posizionato sul
pavimento dell’utricolo e sulla parete del sacculo. Il tessuto recettivo contiene cellule ciliate, le cui stereociglia
sono incastrate in una massa gelatinosa sovrastante, che contiene gli otoliti, che sono piccoli cristalli di
carbonato di calcio. Il peso di questi cristalli provoca lo spostamento della massa gelatinosa secondo i
cambiamenti di posizione della testa.

Le cellule recettoriali
Le cellule ciliate dei canali semicircolari e degli organi otolitici sono simili. Ogni cellula ciliata contiene
molte stereociglia di lunghezza gradualmente crescente, dalla più corta alla più lunga. Queste cellule ciliate sono
simili a quelle cocleari ed è simile anche il loro meccanismo trasduttivo: una forza meccanica sulle stereociglia
apre i canali ionici e l’entrata degli ioni potassio depolarizza la membrana delle cellule.

La via vestibolare
I nervi vestibolare e cocleare costituiscono due rami dell’ottavo nervo cranico, il nervo acustico. Il soma
delle cellule bipolari, che danno origine agli assoni afferenti del nervo vestibolare, sono localizzati nel ganglio
vestibolare, che appare come un nodulo del nervo vestibolare.
La maggior parte degli assoni del nervo vestibolare fa sinapsi nei nuclei vestibolari del bulbo, ma alcuni
arrivano direttamente al cervelletto. I neuroni dei nuclei vestibolari inviano i loro assoni a cervelletto, midollo
spinale, bulbo e punte.
La maggior parte dei ricercatori ritiene che le proiezioni corticali siano responsabili delle vertigini;
l’attività delle proiezioni a livello più basso del tronco dell’encefalo può causare la nausea e il vomito che
accompagnano la sindrome da movimento. Le proiezioni ai nuclei del tronco dell’encefalo che controllano i
muscoli del collo sono chiaramente coinvolti nel mantenimento della posizione dritta della testa.
Probabilmente, le proiezioni più interessanti sono quelle ai nuclei dei nervi cranici (terzo, quarto e sesto,
nervi ottici ed oculomotori) che controllano i muscoli oculari. Quando camminiamo o corriamo, tutta la testa
vibra un po’. Il sistema vestibolare esercita un controllo diretto sui movimento oculari, per compensare i
movimenti improvvisi della testa. Tale meccanismo, detto riflesso oculo-vestibolare, mantiene abbastanza
stabile l’immagine retinica. Le persone che hanno subito una lesione e che hanno perso il riflesso oculo-
vestibolare hanno difficoltà a vedere qualsiasi cosa, mentre camminano o corrono.

APPARATO VESTIBOLARE
ORGANI RECETTORIALI DELL’APPARATO VESTIBOLARE
LA FUNZIONE ESSENZIALE DELL’APPARATO VESTIBOLARE È QUELLA DI TRASFORMARE ENERGIA DI TIPO MECCANICO IN SEGNALI
NERVOSI BIO-ELETTRICI, I QUALI VENGONO CONVOGLIATI ALLE STRUTTURE CENTRALI E QUI ELABORATI INSIEME AD ALTRI
SEGNALI CHE VI PERVENGONO DA ATRE SORGENTI PER DAR LUOGO ALLA SENSAZIONE DI POSIZIONE E A REAZIONI MOTORIE
INTESE ALLA CONSERVAZIONE DEL SENSO DELL’EQUILIBRIO. L’ORGANO VESTIBOLARE È SPECIFICATAMENTE SENSIBILE ALLA
GRAVITÀ ED ALLE ACCELERAZIONI LINEARI ED ANGOLARI CHE VENGONO APPLICATE ALLA TESTA, GRAZIE
ALL’ORGANIZZAZIONE DI MICROSTRUTTURE SPECIALIZZATE.
OSSERVAZIONE MACROSCOPICA
LA DISPOSIZIONE SPAZIALE DELLE VARIE PARTI CHE COMPONGONO L’ORGANO VESTIBOLARE È STRATEGICA.
IL LABIRINTO OSSEO, COMPRESO NELLO SPESSORE DELLA ROCCA PETROSA DELL’OSSO TEMPORALE, È COSTITUITO DA UNA
SERIE DI CAVITÀ INTERCOMUNICANTI, ALL’INTERNO DELLE QUALI GALLEGGIA IL LABIRINTO MEMBRANOSO, IMMERSO IN UN
LIQUIDO, LA PERILINFA. UN ALTRO LIQUIDO, L’ENDOLINFA, CONTENUTO ALL’INTERNO DEL LABIRINTO MEMBRANOSO, È
DIRETTAMENTE INTERESSATO NEI FENOMENI DI ATTIVAZIONE RECETTORIALE.
LA PRESSIONE DELL’ENDOLINFA VIENE REGOLATA PER MEZZO DI UNA SACCA DI DECOMPRESSIONE, IL SACCO
ENDOLINFATICO, UBICATO NELLA CAVITÀ CRANICA, NELLO SPAZIO SUBDURALE, IN COMUNICAZIONE CON LE CAVITÀ DEL
LABIRINTO MEMBRANOSO.
IL LABIRINTO MEMBRANOSO RISULTA FORMATO DA DUE ESPANSIONI SACCIFORMI, IL SACCULO E L’UTRICOLO, E DA TRE
CANALI SEMICIRCOLARI, ORIENTATI APPROSSIMATIVAMENTE SECONDO I TRE PIANI DELLO SPAZIO: IL CANALE SUPERIORE,
POSTERIORE E LATERALE; I PRIMI DUE SONO ORIENTATI VERTICALMENTE, MENTRE IL TERZO È ORIENTATO ORIZZONTALMENTE.
OSSERVAZIONE MICROSCOPICA
SONO DISTINGUIBILI DUE TIPI DI ORGANIZZAZIONE DEI SITI RECETTORIALI VESTIBOLARI: LE MACULE OTOLITICHE, CHE SI TROVANO
NEL SACCULO E NELL’UTRICOLO, E LE CRESTE AMPOLLARI, SITUATE NELLE DILATAZIONI AMPOLLARI DELL’ESTREMITÀ DI UNO DEI
DUE BRACCI DI CIASCUN CANALE SEMICIRCOLARE. IN ENTRAMBI I CASI, I RECETTORI SONO RAPPRESENTATI DALLE CELLULE
CILIATE DEL NEUROEPITELIO CHE PRESENTANO NELLA LORO SUPERFICIE UNA SERIE DI CIGLIA, DI CUI UNO, IL CHINOCIGLIO, È
DISPOSTO PERIFERICAMENTE E RISULTA PIÙ ALTO, MENTRE LE RIMANENTI, LE STEREOCIGLIA, PRESENTANO UN’ALTEZZA CHE VA
DIMINUENDO MAN MANO CHE CI SI ALLONTANA DAL CHINOCIGLIO.
TRASMISSIONE TRA RECETTORI E FIBRE DELL’APPARATO VESTIBOLARE
IL SISTEMA RECETTORIALE È INNERVATO DA FIBRE AFFERENTI ED EFFERENTI DEL NERVO VESTIBOLARE.
LE FIBRE AFFERENTISONO RAPPRESENTATE DALLE ESTREMITÀ PERIFERICHE DELLE CELLULE BIPOLARI DEL GANGLIO DI SCARPA,
POSTO NELLA PORZIONE PROFONDA E LATERALE DEL MEATO ACUSTICO INTERNO. QUESTE TERMINAZIONI PERIFERICHE
PRENDONO CONTATTO CON LE CELLULE RECETTORIALI E CONVOGLIANO VERSO IL NEVRASSE LE INFORMAZIONI SENSORIALI.
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LE FIBRE EFFERENTI, AD AZIONE INIBITORIA, ORIGINANO DAI NEURONI SITUATI IN PROSSIMITÀ DEI NUCLEI VESTIBOLARI E
INSTAURANO UN CONTATTO SINAPTICO CON LA TERMINAZIONE AFFERENTE O CON LA CELLULA RECETTORIALE. IL SIGNIFICATO
FUNZIONALE DELL’INNERVAZIONE EFFERENTE SAREBBE QUELLO DI UNA MODULAZIONE DEI MESSAGGI AFFERENTI: L’INIBIZIONE
CENTRALE SULL’ORGANO DI SENSO AVVERREBBE SECONDO SCHEMI INTEGRATIVI USUALI NEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE.
LE CIGLIA DELLE CELLULE RECETTORIALI SONO INGLOBATE IN UNA FORMAZIONE GELATINOSA CHE È DOTATA DI UNA
CONFORMAZIONE STRUTTURALE DIVERSA, A SECONDA CHE SI CONSIDERINO LE MACULE O LE CRESTE;
INFATTI, NELLE MACULELO STRATO GELATINOSO È RICOPERTO DA CRISTALLI DI CARBONATO DI CALCIO, GLI OTOLITI, I QUALI
RIVESTONO UN’IMPORTANZA FONDAMENTALE PER L’ECCITAZIONE RECETTORIALE, POICHÉ HANNO UNA DENSITÀ
DECISAMENTE SUPERIORE A QUELLA DELLA MASSA GELATINOSA.
NELLE CRESTE AMPOLLARI, INVECE, CHE SONO SOLIDALI ALL’OSSO E SPORGENTI VERSO LA CAVITÀ DELL’AMPOLLA, LA MASSA
GELATINOSA CHE RIVESTE LE CIGLIA È PRIVA DI OTOLITI. QUESTA MASSA GELATINOSA PRENDE IL NOME DI CUPOLA.
MODALITÀ DI ATTIVAZIONE DEI RECETTORI VESTIBOLARI
I RECETTORI DEL LABIRINTO POSTERIORE SONO IN GRADO DI TRASFORMARE STIMOLI MECCANICI IN SEGNALI BIO-ELETTRICI. IN
PARTICOLARE, RISULTANO EFFICACI QUEGLI STIMOLI CHE SONO IN GRADO DI PROVOCARE UNA DEFORMAZIONE DELLE
CIGLIA. ANCHE IN UNA CONDIZIONE DI IMMOBILITÀ DELLA TESTA, LE FIBRE AFFERENTI PRESENTANO UNA SCARICA TONICA DI
BASE, CHE VIENE GENERALMENTE ATTRIBUITA AD UNA CONTINUA LIBERAZIONE DI NEUROTRASMETTITORE NELLA SINAPSI TRA LA
CELLULA CILIATA E LA FIBRA AFFERENTE. QUESTA SCARICA DI BASE VIENE RINFORZATA QUANDO LA MEMBRANA RECETTORIALE
VIENE DEPOLARIZZATA, MENTRE VIENE RIDOTTA DA UNA IPERPOLARIZZAZIONE.
STIMOLAZIONE DEI RECETTORI MACULARI
NELLE MACULE, GLI OTOLITI, GRAZIE AL LORO PESO E A CAUSA DELL’ACCELERAZIONE DI GRAVITÀ CUI SONO SOTTOPOSTI,
ESERCITANO UNA COSTANTE STIMOLAZIONE RECETTORIALE ANCHE QUANDO LA TESTA È IMMOBILE; TALE STIMOLAZIONE VIENE
POI MODIFICATA QUANDO LA TESTA ASSUME UNA DIVERSA POSIZIONE NELLO SPAZIO, COME ANCHE QUANDO È
SOTTOPOSTA AD ACCELERAZIONI LINEARI.
IN CONDIZIONI DI IMMOBILITÀ DELLA TESTA, LA STIMOLAZIONE PIÙ FORTE DEL SACCULO E DELL’UTRICOLO SI OTTERREBBE
QUANDO LE CIGLIA VENGONO STIRATE IN DIREZIONE ASSIALE, MENTRE LO STIMOLO PIÙ DEBOLE SAREBBE QUELLO PREMENTE.
STIMOLAZIONE DEI RECETTORI AMPOLLARI
LA SCARICA DI RIPOSO DEI RECETTORI AMPOLLARI VIENE AUMENTATA QUANDO UNO STIMOLO MECCANICO PIEGA LE CIGLIA
IN DIREZIONE DEL CINOCIGLIO; VIENE RIDOTTA QUANDO IL PIEGAMENTO AVVIENE IN DIREZIONE OPPOSTA. LA STIMOLAZIONE
SI HA PER UN’ACCELERAZIONE O PER UNA DECELERAZIONE DELLA TESTA.
IN CASO DI ACCELERAZIONE, L’ENDOLINFA, A CAUSA DELLA SUA INERZIA, SEGUE CON RITARDO IL MOVIMENTO DEL
CANALE SEMICIRCOLARE IN CUI È CONTENUTA, CREANDO COSÌ UNA CORRENTE DI ENDOLINFA CHE AGISCE SULLA CUPOLA
SOLLECITANDOLA IN DIREZIONE OPPOSTA A QUELLA DEL MOVIMENTO. IN CASO DI UNA ROTAZIONE VERSO DESTRA, LA
CORRENTE DI ENDOLINFA AGISCE SULLA CUPOLA, SPINGENDOLA VERSO SINISTRA; LA CUPOLA SI DEFORMERÀ E ALLO STESSO
MODO SI DEFORMERANNO LE CIGLIA IN ESSA INGLOBATE. FINITA LA FASE DI ACCELERAZIONE, AL ROTAZIONE PROCEDE A
VELOCITÀ COSTANTE E L’ENDOLINFA RUOTERÀ CON LA STESSA VELOCITÀ DELLE ALTRE STRUTTURE, E QUINDI CESSERÀ LA
DEFORMAZIONE DELLA CUPOLA, LA QUALE RIACQUISTA LA SUA POSIZIONE DIRITTA. MA APPENA INTERVIENE UNA
DECELERAZIONE, SI DESTANO DEI FENOMENI ESATTAMENTE OPPOSTI.
IL FATTO CHE I TRE CANALI SEMICIRCOLARI SONO DISPOSTI SU TRE PIANI DIVERSI DELLO SPAZIO FA SÌ CHE UNA
ACCELERAZIONE SECONDO UN DETERMINATO PIANO INTERESSI IL CANALE DISPOSTO NELLO STESSO PIANO DI ROTAZIONE.
ALTRE MODALITÀ DI STIMOLAZIONE DEI RECETTORI DEI CANALI
NELLE INDAGINI CLINICHE LA STIMOLAZIONE DEI CANALI SEMICIRCOLARI DI ENTRAMBI I LATI VIENE STUDIATA PONENDO IL SOGGETTO SU UNA
SEDIA ROTANTE; LA SEDIA VIENE FATTA RUOTARE AD UNA VELOCITÀ STANDARD PER PIÙ VOLTE E VIENE QUINDI IMPROVVISAMENTE FERMATA. IN
QUESTO CASO SI HA UNA DECELERAZIONE CHE PROVOCA STIMOLAZIONE IN TALUNE CRESTE AMPOLLARI.
LA STIMOLAZIONE DI UNO SOLO DEI DUE LABIRINTI PUÒ OTTENERSI MEDIANTE LA COSIDDETTA “PROVA CALORICA”: SI INTRODUCE DELL’ACQUA
CALDA O FREDDA NEL MEATO UDITIVO ESTERNO; LA VARIAZIONE DI TEMPERATURA PROVOCHERÀ DEI MOVIMENTI CONNETTIVI DELL’ENDOLINFA
DI UN CANALE, MOVIMENTI CHE SIMULANO QUELLI DI UNA STIMOLAZIONE ROTATIVA.
ADATTAMENTO E ABITUDINE
ADATTAMENTO: LA RIDUZIONE DELLA SCARICA DI UN RECETTORE CHE SI ADATTA SI OSSERVA ANCHE PER ESPOSIZIONE AD UNA
SINGOLA STIMOLAZIONE. LA RIDUZIONE DELLA SCARICA È DA RICONDURRE IN PARTE ALLE PROPRIETÀ DI TRASDUZIONE
RECETTORIALE, CHE PORTANO AD UNA CERTA DIFFICOLTÀ NELLA PRODUZIONE DI POTENZIALE DI AZIONE.
ABITUDINE: CONSISTE IN UNA RIDUZIONE DELLA RISPOSTA, MA DETTA RIDUZIONE È L’EFFETTO NON DI UNA SOLA, MA DI
RIPETUTE STIMOLAZIONI. MENTRE L’ADATTAMENTO È UN FENOMENO RECETTORIALE, L’ABITUDINE DIPENDE DA MECCANISMI
CENTRALI, CAPACI DI PRODURRE EFFETTI INIBITORI IN GRADO DI ATTENUARE LA TRASMISSIONE AFFERENTE DEI MESSAGGI.
VIE CENTRALI DELLE AFFERENZE VESTIBOLARI
LE FIBRE SENSITIVE PROVENIENTI DALL’UTRICOLO, DA SACCULO E DAI TRE CANALI SEMICIRCOLARI ORIGINANO NEI NEURONI
BIPOLARI DEL GANGLIO DI SCARPA. GLI ASSONI CENTRIPETI FORMANO IL NERVO VESTIBOLARE, CHE COSTITUISCE, ASSIEME
ALLA BRANCA COCLEARE, IL NERVO ACUSTICO. IL NERVO ACUSTICO PENETRA NEL TRONCO DELL’ENCEFALO A LIVELLO DEL
PONTE; UNA VOLTA ENTRATE, LE FIBRE PROVENIENTI DALLE MACULE E DALLE AMPOLLE VANNO A TERMINARE E A CONTRARRE
SINAPSI CON NEURONI DEL COMPLESSO NUCLEARE VESTIBOLARE. QUESTO COMPLESSO COMPRENDE I QUATTRO NUCLEI
VESTIBOLARI: SUPERIORE, MEDIALE, LATERALE E DISCENDENTE. UN CONTINGENTE DI FIBRE RAGGIUNGE IL LOBO FLOCCULO-
NODALE DEL CERVELLETTO.
NISTAGMO
RIFLESSO VESTIBOLO OCULARE O NISTAGMO OCULARE
L’ATTIVAZIONE DEL LABIRINTO PROVOCA DELLE RISPOSTE CHE HANNO RIPERCUSSIONI SULLA POSTURA E CHE SONO
FINALIZZATE AL MANTENIMENTO DELL’EQUILIBRIO E DELLE REAZIONI CONIUGATE DEGLI OCCHI CHE VENGONO COMPRESE
SOTTO IL NOME DI RIFLESSO VESTIBOLO-OCULARE.
LE RISPOSTE RIFLESSE SPINALI SI ESPLICANO PER IL TRAMITE DI CONNESSIONI TRA I NUCLEI VESTIBOLARI ED I MOTONEURONI
SPINALI (proiezioni vestibolo-spinali).
LE REAZIONI COMPENSATORIE DEGLI OCCHI UTILIZZANO LE PROIEZIONI CHE DAI NUCLEI VESTIBOLARI RAGGIUNGONO I
MOTONEURONI DEI NUCLEI OCULOMOTORI (proiezioni vestibolo-oculari). GLI ASSONI DI QUESTI MOTONEURONI SONO QUELLI
CHE VANNO A FORMARE I TRE NERVI CRANICI OCULOMOTORI (III, IV e VI paio).
97

IL RIFLESSO VESTIBOLO-OCULARE PRESENTA UN ARCO RIFLESSO TRINEURONALE, IN CUI IL PRIMO NEURONE È RAPPRESENTATO
DALLA CELLULA BIPOLARE DEL NERVO VESTIBOLARE, IL SECONDO DA UN NEURONE DEI NUCLEI VESTIBOLARI ED IL TERZO DA
UN MOTONEURONE DEI NUCLEI OCULOMOTORI.
FASE LENTA E RAPIDA DEL NISTAGMO
IL NISTAGMO OCULARE SI MANIFESTA CON MOVIMENTI CONIUGATI DEGLI OCCHI, CHE CONSEGUONO AD UNA
ACCENTUATA ACCELERAZIONE ANGOLARE; QUESTI MOVIMENTI SONO OSCILLATORI E CONSISTONO IN UNA COMPONENTE
RELATIVAMENTE LENTA, NELLA DIREZIONE OPPOSTA A QUELLA DELL’ACCELERAZIONE, E IN UNA COMPONENTE RAPIDA, NELLA
DIREZIONE DELL’ACCELERAZIONE.
LA VERA REAZIONE COMPENSATORIA ALLA ROTAZIONE SAREBBE COSTITUITA DALLA FASE LENTA, LA QUALE TENDEREBBE A
MANTENERE LO SGUARDO FISSO SU UN DETERMINATO PUNTO DEL CAMPO VISIVO, NEL TENTATIVO DI FAR CADERE
L’IMMAGINE SEMPRE SULLA REGIONE DELLA FOVEA. INVECE, LA FASE RAPIDA SAREBBE UNA SEMPLICE REAZIONE DI RICHIAMO
CHE RIPRISTINA LA SITUAZIONE DI PARTENZA.
IN CONDIZIONI NORMALI, DURANTE LA FASE DI ACCELERAZIONE IL NISTAGMO HA LA STESSA DIREZIONE DEL MOVIMENTO DI
ROTAZIONE; SE L’ACCELERAZIONE ROTATORIA PERSISTE, RICOMPARE UNA NUOVA REAZIONE COMPENSATORIA LENTE E POI
ANCORA UNA FASE RAPIDA DI RICHIAMO, E COSÌ VIA. SE IL MOVIMENTO DI ROTAZIONE PROSEGUE AVENDO RAGGIUNTO
UNA VELOCITÀ COSTANTE, IL NISTAGMO GENERALMENTE SI ESTINGUE QUALCHE DECINA DI SECONDI DOPO LA FINE
DELL’ACCELERAZIONE.
QUANDO POI LA ROTAZIONE VIENE BRUSCAMENTE ARRESTATA, SI HA COME CONSEGUENZA UN’ACCELERAZIONE NEGATIVA,
LA QUALE INDUCE IL NISTAGMO POST-ROTATORIO, CON DIREZIONE OPPOSTA ALLA PRECEDENTE. TALE MUTAMENTO DI
DIREZIONE DEL NISTAGMO SI DEVE AL FATTO CHE LA DEFLESSIONE CUPOLARE NEI CANALI SEMICIRCOLARI AVVIENE IN
DIREZIONE OPPOSTA; E CIÒ AVVIENE PERCHÉ DURANTE LA DECELERAZIONE LA CORRENTE ENDOLINFATICA VIRA IN DIREZIONE
OPPOSTA A QUELLA OSSERVATA DURANTE L’ACCELERAZIONE.
METODICHE DI STUDIO DEL NISTAGMO
IL NISTAGMO OCULARE PUÒ ESSERE VALUTATO SU TRACCIATI NISTAGMOGRAFICI, REGISTRANDO L’ATTIVITÀ ELETTRICA DEI
MUSCOLI ESTRINSECI DELL’OCCHIO MEDIANTE ELETTRODI DI SUPERFICIE DISPOSTI SULLA CUTE DI REGIONI VICINE.
INNERVAZIONE RECIPROCA DEL NISTAGMO OCULARE
IL RIFLESSO VESTIBOLO-OCULOMOTORE PRESENTA UN’ORGANIZZAZIONE TOPOGRAFICA ASSAI DETTAGLIATA: IL MOVIMENTO
CONIUGATO DEGLI OCCHI VIENE ESEGUITO IN MODO BEN COORDINATO, E CIÒ È IN GRAN PARTE DOVUTO ALLA
PARTICOLARE ORGANIZZAZIONE CENTRALE DEL RIFLETTO. COSÌ, AD ESEMPIO, LA STIMOLAZIONE DI UN CANALE ORIZZONTALE
INDURRÀ NELL’OCCHIO IPSILATERALE LA CONTRAZIONE DEL MUSCOLO RETTO MEDIALE E IL RILASCIAMENTO DEL MUSCOLO
RETTO LATERALE; FENOMENI DIAMETRALMENTE OPPOSTI DI OSSERVANO NELL’OCCHIO CONTROLATERALE. IL MOVIMENTO
COMBINATO DEI DUE OCCHI SAREBBE DOVUTO ALLA SIMULTANEA ECCITAZIONE DI MOTONEURONI PER I MUSCOLI AGONISTI
ED ALLA INIBIZIONE PER GLI ANTAGONISTI.

3 – Il sistema somatosensoriale
Il sistema somatosensoriale fornisce informazioni su quello che avviene sulla superficie del nostro corpo
e al suo interno. I sensi cutanei includono diverse sottomodalità, alle quali comunemente ci si riferisce come
tatto. La propriocezione e la cinestesia forniscono informazioni su posizione e movimento. Le sensazioni viscerali
sono prodotte dai recettori localizzati negli organi interni o intorno a essi.

Gli stimoli
I sensi cutanei rispondono a diversi tipi di stimoli: pressione, vibrazione, riscaldamento, raffreddamento
e dolore. Le sensazioni di pressione sono provocate dalla deformazione meccanica della pelle.
Una fonte di cinestesia è data dai recettori sensibili allo stiramento, presenti nei muscoli scheletrici, che
riportano i cambiamenti della lunghezza del muscolo al sistema nervoso centrale. I recettori presenti nelle
articolazioni tra due ossa rispondono alla grandezza e alla direzione del movimento dell’arto. Tuttavia, la fonte di
feedback cinestetico più importante sembra costituita dai recettori che rispondono ai cambiamenti di stiramento
della cute, durante il movimento delle articolazioni o degli stessi muscoli.
Siamo consapevoli di alcune delle informazioni ricevute per mezzo dei sensi organici, che possono darci
sensazioni spiacevoli come il mal di stomaco o il dolore per i calcoli alla cistifellea, oppure sensazioni piacevoli
come quelle conseguenti all’assunzione di una bevanda calda. Di altre informazioni restiamo inconsapevoli,
come quelle fornite dai recettori del sistema digestivo, nei reni, nel fegato, nel cuore e nei vasi ematici.
l’anatomia della pelle e i suoi organi recettivi
La cute è un organo complesso e vitale del corpo, che in genere tendiamo a sottovalutare. Non
possiamo sopravvivere senza cute: ustioni estese della pelle sono infatti fatali. La pelle partecipa alla
termoregolazione producendo sudore oppure riducendo la circolazione sanguigna per conservare il calore. Il suo
aspetto varia ampiamente lungo il corpo: dalle membrane mucose alle superfici irsute, fino alle superfici senza
peli del palmo della mano e delle piante dei piedi, note come cute glabra.
La pelle consiste di tessuto sottocutaneo, derma ed epidermide, e contiene diversi recettori sparsi in
questi strati. I più importanti sono: il disco di Merkel, un organo terminale sensibile al tatto, importante per il
rilevamento di forma e ruvidità, specie con i polpastrelli; il corpuscolo di Ruffini, un recettore cutaneo sensibile
al tatto, importante per il rilevamento dello stiramento o di forze statiche applicate alla cute; il corpuscolo di
Meissner, organo terminale sensibile al tatto, importante per il rilevamento di margini e contorni o di stimoli di
98

tipo Braille, specie a livello dei polpastrelli; il corpuscolo di Pacini, un recettore cutaneo sensibile alla vibrazione,
importante per il rilevamento della vibrazione degli oggetti tenuti in mano.
La cute glabra contiene un insieme denso e complesso di recettori, il che riflette il fatto che usciamo i
palmi delle nostre mani e i polpastrelli delle nostre dita per esplorare attivamente l’ambiente e li usiamo per
tenere e per prendere gli oggetti. Al contrario, il resto del nostro corpo entra più spesso in contatto con
l’ambiente in maniera passiva: sono le altre cose che vengono in contatto con il nostro corpo.

La percezione della stimolazione cutanea


Le caratteristiche più importanti della stimolazione cutanea sono il tatto, la temperatura e il dolore.
 Tatto
Gli stimoli che causano vibrazioni della cute o pressione su di essa sono rilevati dai meccanocettori, dei
neuroni sensoriali che rispondono agli stimoli meccanici. La maggior parte dei ricercatori ritiene che le
terminazioni nervose incapsulate servano solo a modificare lo stimolo fisico trasdotto dai dendriti situati al loro
interno. Come fa il movimento dei dendriti dei meccanocettori a produrre dei cambiamenti nei potenziali di
membrana? Sembra che il movimento induca l’apertura dei canali ionici, e il flusso ionico dentro o fuori i dendriti
causi il cambiamento del potenziale di membrana.
La maggior parte delle informazioni sulle sensazioni tattili è localizzata con precisione: in altre parole,
siamo in grado di percepire con esattezza la localizzazione sulla nostra cute, quando siamo toccati.
 Temperatura
Le sensazioni di calore e freddo sono relative, non assolute. Vi è un livello di temperatura che, per una
regione particolare della pelle, produce una sensazione di temperatura neutrale: né caldo, né freddo. Se la
temperatura di una regione della pelle si alza di pochi gradi, l’iniziale sensazione di calore è sostituita da una di
neutralità. Se la temperatura cutanea torna poi al valore iniziale, vi è una nuova sensazione di freddo. Pertanto,
l’aumento della temperatura abbassa la sensibilità dei recettori per il calore e aumenta la sensibilità dei recettori
per il freddo. Esistono due tipi di recettori termici: uno che risponde al calore e uno che risponde al freddo. I
recettori cutanei per il freddo sono localizzati appena sotto l’epidermide, mentre quelli per il caldo sono
localizzati più in profondità. L’informazione proveniente dai recettori per il freddo è veicolata al sistema nervoso
centrale da fibre di tipo A sottilmente maielinizzate, mentre l’informazione proveniente dai recettori per il caldo
è trasportata da fibre di tipo C non mielinizzate.
 Dolore
La storia del dolore è abbastanza differente da quella della temperatura e della pressione; l’analisi di
questa sensazione è estremamente difficile. Soggettivamente, gli stimoli dolorifici fanno male, e noi cerchiamo in
tutti i modi di evitarli. Comunque, talvolta sopportiamo meglio il dolore e continuiamo a svolgere altri compiti;
infatti, il nostro cervello possiede meccanismi che possono ridurre parzialmente il dolore attraverso l’azione di
oppioidi endogeni.
La percezione del dolore è compiuta da reti di terminazioni nervose libere presenti nella cute. Sembrano
esistere almeno tre tipi di recettori per il dolore, i quali vengono chiamati nocicettori. I meccanocettori ad alta
soglia sono terminazioni nervose libere che rispondono alla pressione intensa, che può essere causata da
qualcosa che penetra, tira o pizzica la pelle.
 Prurito
Un’altra sensazione nocive è il prurito ed è causata dall’irritazione della cute. Il prurito è stato definito
da un medico tedesco del XVII secolo come una sensazione spiacevole, che induce il desiderio o il riflesso di
grattarsi. Grattarsi infatti inibisce l’attività dei neuroni nel tratto spinotalamico, che trasmette la sensazione di
prurito al cervello; grattarsi allevia il prurito perché il dolore sopprime il prurito, e allo stesso modo il prurito
sopprime il dolore. Alcuni esperimenti hanno dimostrato che gli stimoli dolorosi come il calore o le scosse
elettriche possono ridurre le sensazioni di prurito prodotte dall’iniezione cutanea di istamina; d’altro canto, la
somministrazione di un oppiaceo nello spazio epidurale intorno al midollo spinale riduce il dolore, ma può
provocare prurito come effetto collaterale negativo.
Le vie somatosensoriali
Gli assoni somatosensoriali provenienti dalla pelle, dai muscoli o dagli organi interni entrano nel sistema
nervoso centrale attraverso i nervi spinali. Quelli localizzati nel volto e nella testa entrano principalmente
attraverso il nervo trigemino.
Gli assoni che trasmettono precisamente le informazioni localizzate, come il tatto fine,
(1)
ascendonoattraverso le colonne dorsali nella sostanza bianca del midollo spinale, verso i nuclei bulbari
(2) (3)
inferiori ; da lì, gli assoni si decussano e ascendono attraverso il lemnisco mediale ai nuclei posteriori ventrali
(4)
del talamo , i nuclei di relay delle sensazioni somatiche; dal talamo, gli assoni proiettano alla corteccia
(5)
somatosensoriale primaria, che a sua volta invia proiezioni alla corteccia somatosensoriale secondaria.
99

VIA SOMATOSENSORIALE PER LE INFORMAZIONI LOCALIZZATE = COLONNE DORSALI DELLA SOSTANZA BIANCA DEL MIDOLLO
SPINALE – NUCLEI BULBARI INTERIORI – NUCLEI POSTERIORI VENTRALI DEL TALAMO – CORTECCIA SOMATOSENSORIALE

Gli assoni che trasmettono informazioni scarsamente localizzate formano sinapsi con gli altri
(1)
neuroninon appena entrano nel midollo spinale ; gli assoni di questi neuroni decussano verso l’altro lato del
(2) (3)
midollo spinale e ascendono attraverso iltratto spinotalamico ai nuclei posteriori del talamo .

VIA SOMATOSENSORIALE PER LE INFORMAZIONI SCARSAMENTE LOCALIZZATE = IMMEDIATA SINAPSI CON


ALTRI NEURONI NEL MIDOLLO SPINALE – NUCLEI POSTERIORI DEL TALAMO – CORTECCIA SOMATOSENSORIALE

Dykes ha passato in rassegna studi che indicano che le aree corticali somatosensoriali primaria e
secondaria sono divise in almeno cinque mappe diverse di superficie corporea. In ogni mappa, le cellule
rispondono a una particolare sottomodalità dei recettori somatosensoriali. Sono state identificate aree separate
che rispondono ai recettori cutanei a lento adattamento, ai recettori cutanei a rapido adattamento, ai recettori
cutanei che rilevano i cambiamenti della lunghezza del muscolo, ai recettori posti nelle articolazioni.

La percezione del dolore


Il dolore è un fenomeno curioso e può essere modificato dagli oppiacei, dall’ipnosi, dalla
somministrazione di placebo, dalle emozioni. Gli sforzi recenti di ricerca hanno fatto rimarchevoli progressi nella
scoperta delle basi fisiologiche di questo fenomeno. Possiamo ragionevolmente chiederci perché esperiamo
dolore; la risposta è che il dolore ha un ruolo costruttivo e ci salva da lesioni gravi.
Il dolore sembra esercitare diversi effetti percettivi e comportamentali. In primo luogo, c’è la
componente sensoriale: la pura percezione dell’intensità dello stimolo doloroso; il secondo componente è
costituito dalle immediate conseguenze emotive del dolore, la spiacevolezza o il grado in cui l’individuo è
infastidito dallo stimolo doloroso; la terza componente consiste nelle implicazioni emotive a lungo termine del
dolore cronico. Queste tre componenti del dolore sembrano implicare meccanismi cerebrali differenti.
La componente puramente sensoriale del dolore è mediata da una via che va dal midollo spinale al
talamo ventrale posterolaterale, fino alle cortecce somatosensoriali primaria e secondaria.
La componente emotiva immediata del dolore sembra essere mediata da vie che raggiungono la
corteccia cingolata anteriore e la corteccia insulare. La componente emotiva a lungo termine appare mediata
da vie che raggiungono la corteccia prefrontale.
Diversi studi hanno trovato che gli stimoli dolorosi attivano la corteccia insulare a la corteccia cingolata anteriore.
Rainville e collaboratori hanno indotto sensazioni dolorose a soggetti umani, immergendogli le braccia
in acqua ghiacciata. In una condizione fu usata l’ipnosi per diminuire la spiacevolezza del dolore; l’ipnosi
funzionò: i soggetti sostenevano che il dolore era meno spiacevole, anche se intenso; nel frattempo, veniva
misurata con la PET l’attivazione cerebrale; gli stimoli dolorosi aumentavano l’attivazione sia della corteccia
somatosensoriale primaria sia della corteccia cingolata anteriore; quando i soggetti erano ipnotizzati, l’attività
della corteccia cingolata anteriore diminuiva, ma quella della corteccia somatosensoriale primaria rimaneva
elevata. Presumibilmente, la corteccia somatosensoriale primaria è implicata nella percezione del dolore, e la
corteccia cingolata anteriore è implicata nei suoi effetti emotivi immediati, quali la spiacevolezza.
Diversi studi di imaging hanno dimostrato che, sotto determinate condizioni, gli stimoli associati al
dolore possono attivare la corteccia cingolata anteriore, persino se in realtà non viene applicato alcuno stimolo
doloroso. In uno studio eseguito su coppie di innamorati, quando le donne ricevevano una scossa elettrica
dolorosa al dorso della mano, la corteccia cingolata anteriore, la corteccia insulare anteriore, il talamo e la
corteccia somatosensoriale si attivavano, allo stesso modo di quando vedevano infliggere la scossa al
partner.Quindi, la componente emotiva del dolore causa risposte cerebrali simili a quelle del dolore vero e
proprio.

La componente finale del dolore, le conseguenze emotive del dolore cronico, sembra coinvolgere la
corteccia prefrontale. Il danneggiamento della corteccia prefrontale compromette la capacità di fare piani per il
futuro e di riconoscere il significato personale delle situazioni in cui si è coinvolti; le persone con lesione
prefrontale tendono a non preoccuparsi delle implicazioni delle condizioni croniche per il loro futuro, incluso il
dolore cronico.
Per molti anni i ricercatori hanno ritenuto che la percezione del dolore può essere modificata da stimoli
ambientali. Un lavoro recente ha rivelato l’esistenza di alcuni circuiti neurali la cui attività può produrre
analgesia; la maggior parte di questi circuiti causa il rilascio di oppioidi endogeni.
La stimolazione elettrica di zone particolari del cervello può causare analgesia, che nei ratti può essere
tanto profonda da servire come anestetico, negli interventi chirurgici. Le localizzazioni più efficaci sono
all’interno della sostanza grigia periacquedottale e nel midollo rostroventrale. La stimolazione cerebrale
100

analgesica apparentemente attiva i meccanismi neurali che riducono il dolore, principalmente inducendo il
rilascio degli oppioidi endogeni.
Il dolore può essere ridotto, almeno in alcune persone, somministrando un placebo farmacologico.
Quando alcune persone assumono un farmaco che credono ridurrà il dolore, ciò induce il rilascio di oppioidi
endogeni, il che garantisce l’analgesia. L’effetto del placebo può essere mediato da connessioni della corteccia
frontale con la sostanza grigia periacquedottale. Uno studio di imaging funzionale ha rilevato che l’analgesia
indotta da placebo causa il rilascio di oppioidi endogeni. Presumibilmente, l’aspettativa di una riduzione della
sensibilità al dolore ha causato l’incremento dell’attività nella corteccia prefrontale, e le connessioni di questa
regione con la sostanza grigia periacquedottale attivano i meccanismi endogeni di analgesia.

4 – Il sistema gustativo

Gli stimoli
Per gustare una sostanza, le sue molecole devono sciogliersi nella saliva e stimolare i recettori del gusto
sulla lingua. Ci sono sei qualità di gusto: amaro, aspro, salato, umami e grasso.
Il sapore, a differenza del gusto, è un composto di olfatto e gusto. La maggior parte del sapore del cibo
dipende dal suo odore: le persone che hanno perso il senso dell’olfatto hanno difficoltà a distinguere i diversi
cibi solo dal sapore.
La maggior parte dei vertebrati possiede sistemi gustativi che rispondono a tutte e sei le qualità del
gusto. I recettori per il dolce sono rivelatori di cibo: la maggior parte dei cibi dal gusto dolce è commestibile. I
recettori per il salato percepiscono la presenza di cloruro di sodio. Negli ultimi anni i ricercatori hanno
riconosciuto l’esistenza della quinta qualità del gusto: l’umami. “Umami” è una parola giapponese che significa
“gusto buono” e si riferisce al sapore del glutammato monosodico. Il recettore per l’umami rileva la presenza del
glutammato, un amminoacido presente nelle proteine. Presumibilmente, il recettore per l’umami garantisce la
capacità di gustare le proteine, un importante elemento nutritivo.
La maggior parte delle specie animali tende ad evitare sostanze aspre o amare. A causa dell’attività
batterica, molti cibi diventano acidi quando si gustano; inoltre, la maggior parte dei frutti acerbi ha un sapore
acido. L’acidità ha un gusto aspro e causa una reazione di evitamento.
L’amaro è evitato quasi universamente e non può essere migliorato con l’aggiunta del dolce.
Per molti anni, i ricercatori hanno osservato che molte specie animali mostrano una spiccata preferenza
per i cibi ad elevato contenuto di grasso. Poiché non esiste un gusto specifico associato alla presenza di grasso, la
maggior parte dei ricercatori ha concluso che ne rileviamo la presenza grazie all’odore e alla tessitura.

l’anatomia dei bottoni gustativi e delle cellule gustative


La lingua, il palato, la faringe e la laringe contengono approssimativamente 10.000 bottoni gustativi. La
maggior parte di questi organi recettivi sono organizzati intorno alle papille, piccole protuberanze sulla lingua. I
bottoni gustativi contengono gruppi da venti a cinquanta cellule recettrici, neuroni specializzati organizzati come
spicchi di un arancio. Questi recettori formano sinapsi con i dendriti dei neuroni sensoriali che trasportano le
informazioni gustative al cervello, attraverso il settimo, il nono e il decimo nervo cranico (facciale, glosso faringeo e vago).
Il neurotrasmettitore rilasciato dalle cellule recettoriali è l’adenintrifosfato. I recettori hanno una vita che dura
solo dieci giorni: si consumano velocemente, essendo direttamente esposti a un ambiente ostile; quando
degenerano, sono rimpiazzati dalle nuove cellule che si sono sviluppate nel frattempo.

la percezione dell’informazione gustativa


La trasduzione del gusto è simile alla trasmissione chimica che ha luogo nelle sinapsi: la molecola si lega
al recettore e produce i cambiamenti nella permeabilità della membrana che causano i potenziali di azione.
Per percepire un gusto salato, una sostanza deve ionizzare. Sebbene il miglior stimolo per i recettori
salati sia il cloruro di sodio, una varietà di Sali contenete cationi metallici ha un gusto salato. Il recettore per il
salato sembra essere un semplice canale sodio; quando è presente nella saliva, il sodio entra nelle cellule
gustative e le depolarizza, innescando i potenziali d’azione che inducono il rilascio di neurotrasmettitore.
I recettori per l’aspro sembrano rispondere agli ioni idrogeno presenti nelle soluzioni acide.
Ricerche recenti hanno portato a identificare due famiglie di recettori responsabili della trasduzione dei
gusti dolce, amaro e umami.

La via gustativa
Le informazioni gustative sono trasmesse attraverso il nervo facciale (VII nervo cranico), il nervo glosso-
faringeo (IX nervo cranico) e il nervo vago (X nervo cranico).
Le informazioni che provengono dalla parte anteriore della lingua viaggiano attraverso la corda
timpanica, un ramo del settimo nervo cranico che passa al di sotto della membrana timpanica. I recettori
101

gustativi nella parte posteriore della lingua inviano informazioni attraverso il ramo linguale del nono nervo
cranico. Il decimo nervo cranico porta le informazioni dai recettori del palato e dell’epiglottide.
(1)
La prima stazione di relay per il gusto è il nucleo del tratto solitario , un nucleo del bulbo che riceve le
informazioni dagli organi viscerali e dal sistema gustativo. Nei primati, i neuroni sensibili al gusto presenti in
(2)
questo nucleo inviano i loro assoni ai nuclei talamici posteromediali ventrali , che ricevono anche le
informazioni somatosensoriali dal nervo trigemino. I neuroni talamici sensibili al gusto inviano i loro assoni alla
(3)
corteccia gustativa primaria , situata alla base della corteccia frontale e nella corteccia insulare. Diversamente
dalla maggior parte delle altre modalità sensoriali, il gusto è rappresentato ipsilateralmente nel cervello.

VIA GUSTATIVA = NUCLEO DEL TRATTO SOLITARIO – NUCLEI TALAMICI POSTEROMEDIALI VENTRALI –
CORTECCIA GUSTATIVA PRIMARIA

Assaggiare ciascun sapore attiva regioni differenti dell’area gustativa primaria della corteccia insulare.
Sebbene la localizzazione delle regioni che rispondono al gusto sia diversa da soggetto a soggetto, è stato
osservato sempre il medesimo pattern quando un dato soggetto era sottoposto al test in diverse occasioni.
Quindi, la rappresentazione del gusto nella corteccia gustativa è idiosincratica, ma stabile.
Le informazioni gustative raggiungono anche l’amigdala, l’ipotalamo e il proendcefalo basale adiacente. Molti
ricercatori credono che la via ipotalamica giochi un ruolo nel mediare gli effetti del rinforzo del gusto dolce.

5 – Il sistema olfattivo
L’olfatto ci permette di identificare il cibo e di evitare di mangiare alimenti avariati; aiuta i membri di
molte specie a seguire le tracce di una preda o a scoprire i predatori, a identificare amici, nemici e partner.
Gli stimoli per l’olfatto consistono di sostanze volatili con un peso molecolare che va
approssimativamente da 15 a 300.

l’anatomia dell’apparato olfattivo


I nostri sei milioni di cellule recettrici olfattive si trovano in due chiazze della membrana mucosa, aventi
2
ognuna un’area di circa 2,5 cm . L’epitelio olfattivo è situato all’apice della cavità nasale. Meno del 10% dell’aria
che entra nelle narici raggiunge l’epitelio olfattivo; per spostare l’aria verso l’interno della cavità nasale, in modo
che raggiunga i recettori olfattivi, è necessaria un’annusata.
Le cellule recettrici olfattive sono neuroni bipolari, i cui corpi cellulari si trovano nella mucosa olfattiva
che delinea la lamina cibrosa dell’osso etmoidale, un osso alla base della parte rostrale del cervello. Così come le
cellule recettrici gustative, vi è un ricambio costante delle cellule recettrici olfattive, ma il loro ciclo di vita è
considerevolmente più lungo. Approssimativamente, 35 fasci di assoni, rivestiti da cellule gliali, entrano nel
cranio attraverso i piccoli fori della lamina cibrosa.
I bulbi olfattivi si trovano alla base del cervello, sulle terminazioni dei tratti olfattivi. Ogni cellula
recettrice olfattiva invia un singolo assone nel bulbo olfattivo, dove forma sinapsi con i dendriti delle cellule
mitrali. Queste sinapsi hanno luogo in complesse arborizzazioni assonali e dendritiche dette glomeruli olfattivi.
Gli assoni delle cellule mitrali viaggiano verso il resto del cervello attraverso i tratti olfattivi. Alcuni di questi
assoni terminano in altre regioni del proencefalo ipsilaterale; altri decussno e terminano nel bulbo olfattivo
controlaterale. Gli assoni del tratto olfattivo proiettano direttamente all’amigdala e a due regioni della corteccia
limbica: la corteccia olfattiva piriforme, o primaria, e la corteccia entorinale.L’amigdala invia le informazioni
olfattive all’ipotalamo, la corteccia entorinale le invia all’ippocampo e la corteccia piriforme le invia all’ipotalamo
e alla corteccia orbitofrontale. La corteccia orbitofrontale riceve anche le informazioni gustative; sembrerebbe,
pertanto, implicata nel combinare il gusto e l’olfatto, per sentire i sapori. Anche l’ipotalamo riceve una
considerevole quantità di informazioni olfattive, che sono probabilmente importanti per la scelta o il rifiuto del
cibo e per il controllo olfattivo dei processi riproduttivi di molti animali.
Le fibre efferenti provenienti da diverse parti del cervello entrano nei bulbi olfattivi, portando input
acetilcolinergici, noradrenergici, dopaminergici e serotoninergici.

la trasduzione dell’informazione olfattiva


Quando un ligando si lega con un recettore metabotropico, la proteina G apre i canali ionici
direttamente o indirettamente, innescando la produzione di un secondo messaggero. Le ciglia olfattive
contengono i recettori odoranti legati alla proteina G.
La percezione di odori specifici
Per molti anni, il riconoscimento di odori specifici è stato un enigma. Gli esseri umani possono
riconoscere oltre dieci migliaia di odoranti diversi. Anche se abbiamo 339 diversi recettori olfattivi, questo lascia
molti odori inspiegabili. Come possiamo usare un numero relativamente piccolo di recettori per percepire odori
102

così diversi? La risposta è che un particolare odorante si lega a più di un recettore. Pertanto, odoranti diversi
producono pattern diversi di attività, in glomeruli diversi. Riconoscere un odore particolare significa riconoscere
un particolare pattern di attività nei glomeruli. Il compito di riconoscimento chimico è trasformato in un compito
di riconoscimento spaziale.
Sebbene gli odoranti siano categorizzati all’interno del bulbo olfattivo in base alle loro caratteristiche
molecolari, lo schema di codifica cambia a livello della corteccia piriforme. Uno studio di imaging funzionale
sull’uomo ha rilevato che le strutture chimiche degli odoranti sono rappresentate da gruppi di neuroni nella
regione anteriore, ma i gruppi di neuroni nella regione posteriore rappresentano le qualità degli odoranti.
Non sappiamo ancora in che modo le mappe della struttura chimica nel bulbo olfattivo si combinino con
le mappe della qualità percettiva nella corteccia piriforme posteriore; prosumibilmente, l’apprendimento gioca
un certo ruolo in questo processo.
103

-8-
CONTROLLO DEL MOVIMENTO

1 – Muscoli scheletrici

ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL MUSCOLO STRIATO


UN MUSCOLO SCHELETRICO CONSISTE DI DUE TIPI DI FIBRE MUSCOLARI. LE FIBRE MUSCOLARI EXTRAFUSALISONO RESPONSABILI DELLA
FORZA ESERCITATA DALLA CONTRAZIONE DI UN MUSCOLO SCHELETRICO, E SONO INNERVATE DAGLI ASSONI DEI MOTONEURONI
ALFA, UN NEURONE I CUI ASSONI CONTRAGGONO SINAPSI CON LE FIBRE MUSCOLARI EXTRAFUSALI ALLO SCOPO DI CONTRARRE LA
FIBRA. LE FIBRE MUSCOLARI INTRAFUSALI SONO ORGANI SENSORIALI SPECIALIZZATI INNERVATI DA DUE ASSONI, UNO SENSORIALE E
UNO MOTORI, E FUNZIONANO COME UN RECETTORE ALLO STIRAMENTO, IN MODO DA RICONOSCERE I CAMBIAMENTI DELLA
LUNGHEZZA DEL MUSCOLO. QUESTI ORGANI, PER LA LORO FORMA, SONO ANCHE CHIAMATI FUSI NEUROMUSCOLARI.
BASI STRUTTURALI E BIOCHIMICHE DELLA CONTRAZIONE MUSCOLARE
IL MUSCOLO SCHELETRICO È COMPOSTO DA SINGOLE FIBRE MUSCOLARI CHE SONO RAGGRUPPATE IN FASCETTI PIÙ GROSSI DISPOSTI
IN PARALLELO TRA LORO. CIASCUNA FIBRA MUSCOLARE È COSTITUITA DA UNA CELLULA FUSIFORME CON MOLTI NUCLEI, DELLA
LUNGHEZZA DI 2-6 CM E DEL DIAMETRO CHE VA DA 50 A 100 MICRON.
OGNI SINGOLA FIBRA MUSCOLARE HA UN CARATTERISTICO ASPETTO STRIATO, NEL SENSO CHE IN ESSA SI ALTERNANO BANDE CHIARE
E BANDE SCURE. È PROPRIO PER QUESTO ASPETTO CHE IL MUSCOLO SCHELETRICO VIENE ANCHE CHIAMATO MUSCOLO STRIATO.
IN CIASCUNA FIBRA MUSCOLARE SONO PRESENTI:
• UNA MEMBRANA CITOPLASMATICA,  DENOMINATA SARCOLEMMA;
• UN LIQUIDO CITOPLASMATICO,  DENOMINATO SARCOPLASMA;
• MINUSCOLI ELEMENTI FILAMENTOSI PARALLELI TRA LORO,  CHIAMATI MIOFIBRILLE, E RIUNITI IN FASCETTI.
LA MIOFIBRILLA PRESENTA DELLE LINEE SOTTILI E BEN MARCATE, LA MIOFIBRILLA È COSTITUITA A SUA VOLTA
DENOMINATE LINEE Z. TRA DUE LINEE Z CONTIGUE È COMPRESO DA FILAMENTI SOVRAPPOSTI DI ACTINA E MIOSINA.
UN SEGMENTO DENOMINATO SARCOMERO, CHE COSTITUISCE
LA VERA E PROPRIA UNITÀ FUNZIONALE DEL MUSCOLO. I FILAMENTI SOTTILI DI ACTINA SONO I FILAMENTI SPESSI DI
I FILAMENTI DI ACTINA E MIOSINA HANNO DIVERSA DISPOSIZIONE : ANCORATI AI DISCHI Z, MA NON SI MIOSINAOCCUPANO
CONTRAZIONE MUSCOLARE ESTENDONO IN CONTINUITÀ DA UN LA PORZIONE CENTRALE
NELLO STATO DI RILASCIAMENTO MUSCOLARE ACTINA E DISCO ALL’ALTRO, BENSÌ SI DEL SARCOMERO E NON
MIOSINA STANNO IN UNA STAZIONE DI SOVRAPPOSIZIONE INTERROMPONO AL CENTRO DEL TOCCANO DIRETTAMENTE
SOLTANTO PARZIALE. NON APPENA IL MUSCOLO ENTRA SARCOMERO. LE LINEE Z.
IL CONTRAZIONE, SI ASSISTE A UNA DINAMICA CHE RIGUARDA
LA POSIZIONE RECIPROCA CHE ASSUMONO I FILAMENTI SOTTILI E SPESSI DEL SARCOMERO. LA CONTRAZIONE DIPENDE DA
UN’INTERAZIONE FRA UN FILAMENTO SOTTILE DI ACTINA E UNO SPESSO ADIACENTE DI MIOSINA.
DAL PUNTO DI VISTA MECCANICO, LA CONTRAZIONE CONSISTE NELL’ACCORCIAMENTO DEI SINGOLI SARCOMERI, E
L’ACCORCIAMENTO DIPENDE DAL FATTO CHE I FILAMENTI SOTTILI DI ACTINA SCIVOLANO TRA QUELLI DI MIOSINA; IN PRATICA,
MENTRE I FILAMENTI DI MIOSINA NON SI ACCORCIANO, I FILAMENTI DI ACTINA SCIVOLANO SU QUELLI DI MIOSINA SOTTO L’AZIONE
TRAENTE DEI PONTI TRASVERSALI. IN QUESTA INTERAZIONE TRA I DUE FILAMENTI È COMPRESA L’IDROLISI DELL’ATP, ED È IL DISTACCO
DEL RADICALE FOSFORICO DELL’ATP CHE LIBERA L’ENERGIA NECESSARIA AFFINCHÈ I DUE FILAMENTI SCIVOLINO L’UNO SULL’ALTRO,
FACENDONE AUMENTARE LA SOVRAPPOSIZIONE INIZIALE.
ACCOPPIAMENTO ELETTRO-MECCANICO
NEL MECCANISMO DELLA CONTRAZIONE RIVESTE UNA GRANDE IMPORTANZA LA PRESENZA DEGLI IONI CALCIO. QUESTA PRESENZA
COSTITUISCE IL FATTORE CHE AVVIA E REGOLA LA CONTRAZIONE. NELLO STATO DI RILASCIAMENTO, LA PRESENZA DEGLI IONI CALCIO
È BASSA; MA, NON APPENA UN POTENZIALE DI AZIONE INVESTE LA FIBRA MUSCOLARE, GLI IONI CALCIO DIFFONDONO PASSIVAMENTE
TRA I FILAMENTI DELLE MIOFIBRILLE FACILITANDO IL LEGAME TRA MIOSINA E ACTINA, PROMUOVENDO DUNQUE LO SCIVOLAMENTO E
LA SOVRAPPOSIZIONE TRA I FILAMENTI, CHE PORTANO ALL’ACCORCIAMENTO DEI SARCOMERI E QUINDI ALLA LORO CONTRAZIONE.
SCOSSA SINGOLA E TETANO
SE ALLA FIBRA MUSCOLARE ARRIVANO ALTRI POTENZIALI D’AZIONE AD INTERVALLI MOLTO BREVI, CIOÈ PRIMA CHE TUTTI GLI IONI
CALCIO LIBERATI DAL PRECEDENTE POTENZIALE D’AZIONE SIANO SCOMPARSI, LA SOVRAPPOSIZIONE TRA I FILAMENTI SARÀ
MAGGIORE, SVILUPPANDOSI UNA CONTRAZIONE PIÙ ENERGICA E PROLUNGATA. È AVVENUTA UNA SOMMAZIONE SI SCOSSE
SEMPLICI (TETANO INCOMPLETO);
SE ALLA FIBRA GIUNGE UN NUMERO DI POTENZIALI D’AZIONE ANCORA MAGGIORE E CON FREQUENZA PIÙ ELEVATA, SI OSSERVERÀ
UNA CONTRAZIONE CONTINUA PROLUNGATA E ANCORA PIÙ ENERGICA. SI TRATTA DI UN EFFETTO DOVUTO ALLA SOMMAZIONE DI
SCOSSE SEMPLICI, MA LA SOMMAZIONE È COMPLETA PERCHÉ I SINGOLI STIMOLI HANNO COLPITO IL MUSCOLO QUANDO ANCORA
NON AVEVA COMINCIATO A RILASCIARSI E PRENDE IL NOME DI TETANO.
CONTROLLO NERVOSO DELLA CONTRAZIONE MUSCOLARE
LA CONTRAZIONE DI UN SINGOLO MUSCOLO SCHELETRICO VIENE FISIOLOGICAMENTE INDOTTA DA SCARICHE DI POTENZIALI
PROVENIENTI DAI MOTONEURONI ALFA SITUATI NEL CORNO ANTERIORE DEL MIDOLLO SPINALE O NEL TRONCO DELL’ENCEFALO.
CIASCUN MOTONEURONE ALFA EMETTE UN ASSONE CHE EMERGE DAL NEVRASSE E SI DIRIGE VERSO IL MUSCOLO DI CUI CONTROLLA
LA CONTRAZIONE. GIUNTO IN VICINANZA DI QUEST’ULTIMO, L’ASSONE PERDE LA GUAINA MIELINICA E PENETRA ALL’INTERNO DEL
MUSCOLO, DOVE SI RAMIFICA RIPETUTAMENTE.
TRASMISSIONE NEUROMUSCOLARE
I POTENZIALI D’AZIONE CHE PERCORRONO UN NERVO MOTORE GIUNGONO FINO AL MUSCOLO, AL QUALE VENGONO TRASMESSI
TRAMITE UNA STRUTTURA SPECIALIZZATA, DENOMINATA GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE. NEL PUNTO IN CUI L’ASSONE MOTORE
TERMINA, LA FIBRA NERVOSA SI ALLARGA IN MODO DA AUMENTARE LA SUPERFICIE DEL CONTATTO FRA L’ELEMENTO NERVOSO E
L’ELEMENTO MUSCOLARE. A CAUSA DI QUESTA PARTICOLARE MORFOLOGIA APPIATTITA, LA STRUTTURA VIENE COMUNEMENTE
CHIAMATA PLACCA MOTRICEO PLACCA NEUROMUSCOLARE. SI TRATTA DI UNA VERA E PROPRIA SINAPSI DI TIPO CHIMICO, DOVE LA
TERMINAZIONE DELL’ASSONE MOTORIO RAPPRESENTA L’ELEMENTO PRESINAPTICO, MENTRE L’ELEMENTO POSTSINAPTICO È COSTITUITO
DALLA FIBRA MUSCOLARE.
104

UNA CARATTERISTICA CHE DIFFERENZIA LA SINAPSI NEUROMUSCOLARE DALLE SINAPSI CHIMICHE NEURO-NEURONICHE È CHE AL
LIVELLO DELLA PLACCA MOTRICE NON ESISTONO FENOMENI INIBITORI: IL RILASCIAMENTO DEL MUSCOLO È DOVUTO AL MANCATO
ARRIVO DI POTENZIALI D’AZIONE ALLA PLACCA MOTRICE, PER CUI IL MUSCOLO, NON PIÙ DEPOLARIZZATO, ENTRA IN RIPOSO
ELETTRICO, E QUINDI ANCHE MECCANICO. ANALOGAMENTE A QUANTO SI OSSERVA NELLE SINAPSI CHIMICHE NEURO-NEURONICHE,
ALL’INTERNO DELLA PARTE TERMINALE DELL’ASSONE SONO PRESENTI LE VESCICOLE CONTENENTI IL NEUROTRASMETTITORE, CHE IN
QUESTO CASO È SEMPRE COSTITUITO DALL’ACETILCOLINA.
NATURA IONICA DELLE CORRENTI RESPONSABILI DEL POTENZIALE DI PLACCA
DAL LEGAME TRA ACETILCOLINA E RECETTORI POST-SINAPTICI DERIVA L’APERTURA DEI CANALI SODIO E POTASSIO PRESENTI NELLA
MEMBRANA POST-SINAPTICA, LA QUALE APERTURA DI TALI CANALI DÀ LUOGO A UNA DEPOLARIZZAZIONE DELLA MEMBRANA STESSA.
SI VIENE A FORMARE UN VERO E PROPRIO POTENZIALE POST-SINAPTICO ECCITATORIO; TALE POTENZIALE VIENE CHIAMATO
POTENZIALE DI PLACCA. ESSO, A DIFFERENZA DEI POTENZIALI D’AZIONE DELLE SINAPSI NEURO-NEURONICHE, È GRADUATO, PERCHÈ, IN
RAPPORTO AL NUMERO DI POTENZIALI D’AZIONE CHE ARRIVANO ALLA TERMINAZIONE PRESINAPTICA, SI LIBERA UNA PROPORZIONALE
QUANTITÀ DI ACETILCOLINA. INOLTRE, IL POTENZIALE DI PLACCA È UN EVENTO LOCALE: NON È CAPACE DI PROPAGARSI.
NON APPENA IL POTENZIALE DI PLACCA RAGGIUNGE IL VALORE CRITIVO DI -40/-45 mV, SI È GENERATO UNO O PIÙ POTENZIALI
D’AZIONE: DA QUESTO EVENTO ELETTRICO SI INNESCHERÀ IL MECCANISMO CONTRATTILE.
L’ACETILCOLINA LIBERATA DALLE TERMINAZIONI PRESINAPTICHE SCOMPARE RAPIDAMENTE DALLA FESSURA SINAPTICA E CIÒ
DETERMINA LA RAPIDA ESTINZIONE DEGLI EVENTI ELETTRICI POST-SINAPTICI, COSICCHÈ LA FIBRA MUSCOLARE RIDIVENTA SUBITO
PRONTA A RISPONDERE ALL’ARRIVO DI ALTRI POTENZIALI D’AZIONE.
UNITÀ MOTRICI
L’ASSONE DI UN MOTONEURONE ALFA PENETRA NEL MUSCOLO DA ESSO INNERVATO E VI SI RAMIFICA PRENDENDO CONTATTO CON
UN NUMERO VARIABILE DI FIBRE MUSCOLARI. IL NUMERO TOTALE DELLE FIBRE INNERVATE DA UN CERTO MOTONEURONE ALFA,
COMPRESO IL MOTONEURONE STESSO, COMPONGONO L’UNITÀ MOTORIA.
LA VARIABILITÀ DEL NUMERO DI FIBRE MUSCOLARI CHE COMPONGONO L’UNITÀ MOTRICE HA UN GRANDE SIGNIFICATO
FUNZIONALE: NEI CASI IN CUI UN MOTONEURONE ALFA INNERVA UN GRAN NUMERO DI FIBRE MUSCOLARI, LA CONTRAZIONE SARÀ
POTENTE MA POCO MODULABILE; ALL’OPPOSTO, SE UN MOTONEURONE ALFA CONTROLLA SOLO POCHE FIBRE MUSCOLARI,
SARANNO RESI POSSIBILI MOVIMENTI MOLTO FINI, ANCHE SE DEBOLI.
MODULAZIONE NERVOSA DELLA FORZA MUSCOLARE
APPARE OVVIO PENSARE CHE NEI MUSCOLI DOVE UN MOTONEURONE INNERVA SOLO POCHE FIBRE MUSCOLARI LA MODULAZIONE
DEL MOVIMENTO E DELLA SUA FORZA DIPENDERÀ DAL NUMERO DI MOTONEURONI CHE POSSONO ATTIVARSI
CONTEMPORANEAMENTE. SE SI DEVE PROMUOVERE UN MOVIMENTO FORTE BISOGNERÀ COINVOLGERE PIÙ MOTONEURONI.

2 – Controllo riflesso del movimento


Nonostante i comportamenti siano controllati dal cervello, il midollo spinale possiede un certo grado di
autonomia. Particolari stimolazioni somatosensoriali possono suscitare risposte rapide attraverso le connessioni
presenti nel midollo spinale. Questi riflessi costituiscono il livello più semplice dell’integrazione motoria.

RIFLESSI SPINALI
MIDOLLO SPINALE ISOLATO
IL MIDOLLO SPINALE SVOLGE DELLE FUNZIONI MOLTO IMPORTANTI, LE QUALI ASSICURANO LA CORRETTA INTERAZIONE FRA
L’INDIVIDUO E L’AMBIENTE CHE LO CIRCONDA. I RUOLI CHE SPETTANO A QUESTA FORMAZIONE NERVOSA CENTRALE POSSONO
RICONDURSI ESSENZIALMENTE A TRE FUNZIONI FONDAMENTALI: MOTORIA, SENSITIVA E RIFLESSA.
QUANDO SI ESEGUE UNA SEZIONE SPERIMENTALE DEL NEVRASSE AL LIVELLO DEL LIMITE TRA L’ENCEFALO E IL MIDOLLO SPINALE, SI
OTTIENE UN CLASSICO PREPARATO CHIAMATO “ENCEFALO ISOLATO” O “MIDOLLO SPINALE ISOLATO”. LA SEZIONE HA SEPARATO
COMPLETAMENTE LE FUNZIONI ENCEFALICHE E QUELLE SPINALI. ESSA HA INTERROTTO LE VIE DISCENDENTI CHE CONTROLLANO IL
MOVIMENTO VOLONTARIO DEL BUSTO E DEGLI ARTI E LE VIE ASCENDENTI DELLA SENSIBILITÀ CHE VEICOLANO LE INFORMAZIONI
SENSITIVE DAL MIDOLLO SPINALE VERSO LE STRUTTURE ENCEFALICHE, DOVE LE INFORMAZIONI DIVENTANO COSCIENTI.
IN QUESTO MIDOLLO SPINALE ISOLATO, PERÒ, CONTINUA A OSSERVARSI L’ATTIVITÀ RIFLESSA. CIÒ PIÒ AVVENIRE PERCHÉ L’ATTIVITÀ
RIFLESSA SI COMPIE GRAZIE A STRUTTURE E MECCANISMI CHE SI ESPLICANO SOLO ED ESCLUSIVAMENTE NEL RISTRETTO AMBITO DEL
MIDOLLO SPINALE.
ATTIVITÀ RIFLESSA SPINALE
L’ATTIVITÀ SPECIFICA DEL MIDOLLO SPINALE, SE SI ESCLUDONO QUELLE RELATIVE ALLA MOTILITÀ VOLONTARIA E ALLA CONDUZIONE
ASCENDENTE DEL MESSAGGI SENSITIVI, CONSISTE ESSENZIALMENTE NELL’ELABORAZIONE DEL RIFLESSI SPINALI.
PER RIFLESSO SPINALE SI INTENDE UNA RISPOSTA MOTORIA ALL’APPLICAZIONE DI UNO STIMOLO SPECIFICO SENZA L’INTERVENTO DI COSCIENZA E VOLONTÀ.
UNA FIBRA NERVOSA AFFERENTE CHE CORRE LUNGO UNA RADICE DORSALE, ENTRA NEL MIDOLLO SPINALE E NORMALMENTE SI
IMPEGNA NEI SISTEMI ASCENDENTI DELLA SENSIBILITÀ SOMATICA. PERÒ, AL TEMPO STESSO, EMETTE UNA FIBRA COLLATERALE CHE
PENETRA PROFONDAMENTE NELLA SOSTANZA GRIGIA E SI PORTA IN AVANTI PROCEDENDO DAL CORNO POSTERIORE VERSO
QUELLO ANTERIORE. QUESTO TRAGITTO VIENE DENOMINATO ARCO DIASTALTICO, E NEL SUO AMBITO POSSONO ESSERE PRESENTI
UNO O PIÙ COLLEGAMENTI SINAPTICI SUCCESSIVI CON DIVERSI NEURONI DISPOSTI IN SERIE, FINO A CONNETTERSI CON UN
MOTONEURONE ALFA SITUATO NEL CORNO ANTERIORE. L’ARCO DIASTALTICO PUÒ MANTENERSI STRETTAMENTE LIMITATO ALLO
STESSO SEGMENTO MIDOLLARE IN CUI SI È IMPEGNATA LA FIBRA AFFERENTE; QUESTA LIMITATEZZA DARÀ LUOGO A RISPOSTE MOLTO
LOCALIZZATE. OPPURE, PUÒ DISTRIBUIRSI ANCHE A LIVELLI PIÙ ALTI O PIÙ BASSI RISPETTO AL SEGMENTO DI ENTRATA; CIÒ FARÀ SÌ CHE
LA RISPOSTA MOTORIA POSSA INTERESSARE REGIONI CORPOREE PIÙ AMPIE.
IN OGNI RIFLESSO SONO COMPRESE CINQUE STRUTTURE:
 UN RECETTORE, CHE PRODUCE POTENZIALI D’AZIONE ALL’APPLICAZIONE DELLO STIMOLO;
 UNA FIBRA NERVOSA AFFERENTE, CHE VIENE PERCORSA DA POTENZIALI D’AZIONE;
 UN CENTRO RIFLESSO, CHE CONSISTE IN UNA CATENA DI NEURONI COLLEGATI L’UNO ALL’ALTRO DA GIUNZIONI
SINAPTICHE;
 UNA FIBRA NERVOSA EFFERENTE, CHE VEICOLA I MESSAGGI RIFLESSI LUNGO I NERVI MOTORI;
 UN EFFETTORE, CIOÈ IL MUSCOLO O LA GHIANDOLA CHE SONO DESTINATI AI MESSAGGI CHE PRODUCONO L’EFFETTO.
105

CLASSIFICAZIONE DEI RIFLESSI SPINALI


I RIFLESSI SPINALI POSSONO ESSERE CLASSIFICATI IN:
RIFLESSI DA STIRAMENTO: RIFLESSI CUTANEI: RIFLESSI NOCICETTIVI:
IL RIFLESSO MIOTATICO; IL RIFLESSO ADDOMINALE; IL RIFLESSO FLESSORIO IPSILATERALE;
IL RIFLESSO MIOTATICO INVERSO. IL RIFLESSO CREMASTERICO; IL RIFLESSO ESTENSORIO CROCIATO;
IL RIFLESSO PLANTARE; IL RIFLESSO ESTENSORIO BILATERALE.

1) RIFLESSI DA STIRAMENTO
RIFLESSO MIOTATICO (monosinaptico)
SI TRATTA DI UN RIFLESSO MOLTO IMPORTANTE E MOLTO STUDIATO, DOVE LA RISPOSTA CONSISTE NELLA CONTRAZIONE DI UN
MUSCOLO PROVOCATA DALL’ALLUNGAMENTO DELLO STESSO MUSCOLO. LA STRUTTURA RECETTORIALE CHE RILEVA LE
VARIAZIONI DI LUNGHEZZA DEL MUSCOLO È IL FUSO NEUROMUSCOLARE. LE FIBRE AFFERENTI CHE VEICOLANO AL MIDOLLO
SPINALE I POTENZIALI D’AZIONE ORIGINATI NEI RECETTORI SONO LE FIBRE 1A DELLA CLASSIFICAZIONE DI LLOYD; QUESTE FIBRE
AFFERENTI, UNA VOLTA ENTRATE NEL MIDOLLO SPINALE, SI IMPEGNANO NEL CORNO POSTERIORE, POI IN QUELLO ANTERIORE,
PER ENTRARE IN CONNESSIONE SINAPTICA CON IL NEURONE CENTRALE, COSTITUITO DAL MOTONEURONE ALFA. ESISTONO DUE
TIPI DI RIFLESSO MIOTATICO:
RIFLESSO MIOTATICO FASICO: UNO STIRAMENTO BRUSCO E BREVE PROVOCA UNA CONTRAZIONE RIFLESSA DI BREVE DURATA.
TIPICI ESEMPI DI RIFLESSO MIOTATICO FASICO SONO I COSIDDETTI RIFLESSI TENDINEI. LA CONSEGUENZA DELL’ALLUNGAMENTO
MUSCOLARE È CHE VENGONO STIMOLATI UN CERTO NUMERO DI FUSI NEUROMUSCOLARI, I QUALI INVIANO AL MIDOLLO
SPINALE UN CERTO NUMERO DI IMPULSI AFFERENTI, CHE PROVOCANO, A LORO VOLTA, UNA SCARICA DI BREVE DURATA A
CARICO DEI MOTONEURONI ALFA DELLO STESSO MUSCOLO CHE È STATO ALLUNGATO. COSÌ ABBIAMO IL CLASSICO RIFLESSO
ROTULEO, CHE CONSISTE IN UNA CONTRAZIONE DEL MUSCOLO QUADRICIPITE FEMORALE CON ESTENSIONE DELLA GAMBA
SULLA COSCIA CAUSATA DA PERCUSSIONE DEL TENDINE ROTULEO. UN ALTRO RIFLESSO MOLTO CONOSCIUTO È IL RIFLESSO
ACHILLEO, CHE CONSISTE NELL’ESTENSIONE DEL PIEDE DOPO AVER PERCORSO IL TENDINE D’ACHILLE.
RIFLESSO MIOTATICO TONICO: LA FORZA DI GRAVITÀ AGISCE SU UN SOGGETTO IN POSIZIONE ERETTA, TENDENDO A FARLO
PIEGARE. QUESTA TENDENZA PROVOCA UN PIEGAMENTO DI MOLTE ARTICOLAZIONI, CHE SI RISOLVE IN ALLUNGAMENTI PASSIVI
DI CERTI MUSCOLI. IN QUESTO CASO SI HA PURE UN ALLUNGAMENTO MUSCOLARE, MA, A DIFFERENZA COL RIFLESSO
MIOTATICO FASICO, L’ALLUNGAMENTO DOVUTO ALLA FORZA DI GRAVITÀ NON È AFFATTO BRUSCO, BENSÌ SI TRATTA DI
STIRAMENTI MODERATI E DURATURI; COSÌ, ALTRETTANTO MODERATA RISULTERÀ LA RISPOSTA CONTRATTILE RIFLESSA.
LA FUNZIONE DEL RIFLESSO MIOTATICO TONICO È QUELLA DI GARANTIRE UN’ADEGUATA RISPOSTA ANTIGRAVITARIA FINALIZZATA
AL MANTENIMENTO DI UNA ADEGUATA POSIZIONE, SIA MENTRE RIMANIAMO IMMOBILI CHE MENTRE CI MUOVIAMO. IN
SOSTANZA, IL RIFLESSO MIOTATICO TONICO COSTITUISCE LA BASE DEL TONO MUSCOLARE.
INNERVAZIONE RECIPROCA
LO STIRAMENTO DI UN CERTO MUSCOLO DETERMINA NON SOLTANTO L’ATTIVAZIONE DEI MOTONEURONI PER LO STESSO
MUSCOLO, MA ANCHE L’INIBIZIONE DEI MOTONEURONI ALFA CHE INNERVANO IL MUSCOLO ANTAGONISTA. UNA SIFFATTA
INIBIZIONE AVVIENE GRAZIE AL FATTO CHE LE FIBRE 1° AFFERENTI DEI FUSI NEUROMUSCOLARI CON UN RAMO VANNO AD
INNERVARE IL MOTONEURONE ALFA PER IL MUSCOLO AGONISTA, MENTRE CON UN ALTRO RAMO ATTIVANO UN INTERNEURONE
INIBITORIO PER IL MOTONEURONE ALFA CHE INNERVA IL MUSCOLO ANTAGONISTA.
GRAZIE ALL’INNERVAZIONE RECIPROCA, QUANDO I MUSCOLI FLESSORI DEL GOMITO SI CONTRAGGONO, IL MOVIMENTO DI
FLESSIONE SARÀ COMPIUTO EFFETTUANDO UN MINORE LAVORO PER IL FATTO CHE I MUSCOLI ESTENSORI SI RILASCIANO E,
DUNQUE, OPPONGONO MINORE RESISTENZA AL MOVIMENTO DI FLESSIONE.
RIFLESSO MIOTATICO INVERSO O “DEL COLTELLO A SERRAMANICO”
QUESTO RIFLESSO SI METTE FACILMENTE IN EVIDENZA IN UN ANIMALE IN CUI SI SIA ESEGUITA UNA SEZIONE DEL NEVRASSE A
LIVELLO MESENCEFALICO. QUESTO TIPO DI SEZIONE PROVOCA UNA RIGIDITÀ DEI QUATTRO ARTI. SE SI TENDE DI FLETTERE L’ARTO
RIGIDO, SI INCONTRA UNA RESISTENZA CHE È DOVUTA A DUE CAUSE: LA RIGIDITÀ DI BASE DEL MUSCOLO ESTENSORE
PROVOCATA DALLA SEZIONE DECEREBRANTE E IL TENTATIVO DI FLESSIONE CHE STIAMO PRATICANDO. SE SI PROSEGUE NEL
TENTATIVO DI FLETTERE IL GINOCCHIO, LA RESISTENZA SARÀ ANCORA MAGGIORE, MA, A UN CERTO MOMENTO, INSISTENDO
ANCORA, LA RESISTENZA SCOMPARIRÀ IMPROVVISAMENTE PER IL BRUSCO RILASSAMENTO DEL MUSCOLO ESTENSORE.
IN VERITÀ, IL RILASCIAMENTO DI QUESTO MUSCOLO CHE È STATO FORTEMENTE ALLUNGATO SI PRESENTA PIUTTOSTO INATTESO,
POICHÉ CI SI ASPETTEREBBE, AL CONTRARIO, UN ULTERIORE AUMENTO DELLA CONTRAZIONE RIFLESSA; È PROPRIO QUESTO IL
MOTIVO PER CUI IL RIFLESSO VIENE CHIAMATO “RIFLESSO MIOTATICO INVERSO”.
IL MECCANISMO FISIOLOGICO SU CUI SI BASA IL RIFLESSO MIOTATICO INVERSO CONSISTE NEL FATTO CHE I RECETTORI DELLA
STRUTTURA MUSCOLO-TENDINEA SONO COSTITUITI DAI FUSI NEUROMUSCOLARI E DAGLI ORGANI TENDINEI DEL GOLGI, E CHE
MENTRE I FUSI SONO SENSIBILI ALL’ALLUNGAMENTO, GLI ORGANI TENDINEI SONO STIMOLATI DALLA TENSIONE DEL TENDINE. SE
L’ALLUNGAMENTO SI FA ECCESSIVO, AUMENTERÀ CONSISTENTEMENTE LA TENSIONE DEL TENDINE, FINO A RAGGIUNGERE E
SUPERARE LA SOGLIA PER L’ATTIVAZIONE DEGLI ORGANI TENDINEI DEL GOLGI; ALLORA COMINCERANNO A SCARICARE LE FIBRE
1B, A CUI FANNO CAPO GLI ORGANI TENDINEI DEL GOLGI. LE FIBRE 1B ENTRANO NEL MIDOLLO SPINALE E SEGUONO LO STESSO
TRAGITTO DELLE FIBRE 1A, MA SI CONNETTONO CON IL MOTONEURONE ALFA NON IN MODO DIRETTO, MA TRAMITE UN
INTERNEURONE AD ATTIVITÀ INIBITORIA. LA CONSEGUENZA È CHE LA SCARICA DELLE FIBRE 1B ATTIVA L’INTERNEURONE
INIBITORIO E COSÌ IL MOTONEURONE ALFA, FINCHÈ DURA L’INIBIZIONE, NON È IN GRADO DI CONTINUARE AD ESSERE ATTIVATO
DALLE FIBRE 1A . IL RISULTATO FINALE È IL RILASCIAMENTO DEL MUSCOLO ECCESSIVAMENTE STIRATO.
2) RIFLESSI CUTANEI
RIFLESSI ADDOMINALI
STIMOLANDO LA CUTE DELL’ADDOME MEDIANTE LIEVI STRISCIAMENTI SI DETERMINA UNA CONTRAZIONE RIFLESSA DEI MUSCOLI
DELLA PARETE ANTERIORE DELL’ADDOME. QUESTA RISPOSTA È NOTA COME RIFLESSO DEL SOLLETICO. IN QUESTI CASI I RECETTORI
RESPONSABILI DEL RIFLESSO SONO QUELLI CUTANEI, CHE RISPONDONO A LEGGERE DEFORMAZIONI MECCANICHE A CARICO
DELLA PELLE, CON FUNZIONE PROTETTIVA.
RIFLESSO CREMASTERICO
SE, NEL MASCHIO, SI ESERCITA UNA PRESSIONE O UNO STRISCIAMENTO SULLA FACCIA INTERNA DELLA COSCIA, SI OSSERVA UNA
RETRAZIONE DEL TESTICOLO IPSILATERALE. ANCHE IN QUESTO CASO IL RIFLESSO HA FUNZIONE PROTETTIVA.

RIFLESSO PLANTARE
106

SE CON UN OGGETTO SMUSSO SI COMPIE UNO STRISCIAMENTO SULLA PIANTA DEL PIEDE, PROCEDENDO DALLA ZONA DEL
TALLONE VERSO LE DITA, SI OSSERVA UN INARCAMENTO DELLA PIANTA STESSA CON FLESSIONE DELLE CINQUE DITA. IN
CONDIZIONI PATOLOGICHE, PERÒ, COME A SEGUITO DI LESIONI DELLE VIE DISCENDENTI PIRAMIDALI, LA STESSA STIMOLAZIONE
EVOCA UNA RISPOSTA CARATTERISTICA, UNIVERSALMENTE NOTA COME “RIFLESSO DI BABINSKI”: ESTENSIONE DELL’ALLUCE E
SVENTAGLIAMENTO DELLA ALTRE QUATTRO DITA.
3) RIFLESSI NOCICETTIVI
RIFLESSO FLESSORIO IPSILATERALE
SI CHIAMA RIFLESSO FLESSORIO LA CONTRAZIONE RIFLESSA SIMULTANEA DEI MUSCOLI FLESSORI DI UN ARTO, CHE FA SEGUITO
ALL’APPLICAZIONE DI UNO STIMOLO DOLORIFICO SULLA CUTE.
LA CIRCUISTICA DEL RIFLESSO FLESSORIO È PIUTTOSTO COMPLESSA. CONTRARIAMENTE ALL’ORGANIZZAZIONE DELL’ARCO
RIFLESSO MIOTATICO, CHE P MONOSINAPTICO, IL RIFLESSO FLESSORIO È POLISINAPTICO, NEL SENSO CHE LE FIBRE DOLORIFICHE
CHE PENETRANO NEL MIDOLLO SPINALE SI ADDENTRANO NELLA SOSTANZA GRIGIA E QUI ATTIVANO DELLE CATENE DI
INTERNEURONI DISPOSTI L’UNO DIETRO L’ALTRO CHE VEICOLANO GLI IMPULSI AFFERENTI VERSO I MOTONEURONI ALFA CHE
COMANDANO I MUSCOLI FLESSORI DELL’ARTO STIMOLATO.
GRAZIE A QUESTA ORGANIZZAZIONE INTRASPINALE, L’APPLICAZIONE DI UNO STIMOLO DOLORIFICO ALL’ESTREMITÀ DI UN ARTO
PROVOCA LA CONTRAZIONE DEI MUSCOLI FLESSORI DELL’ARTO STESSO, CIOÈ LA RETRAZIONE DELL’ARTO. LA FUNZIONE DI
QUESTO RIFLESSO È QUELLA DI ALLONTANARE L’ARTO DALLO STIMOLO CHE NE MINACCIA L’INTEGRITÀ.
PER STIMOLAZIONI NON INTENSISSIME, IL RIFLESSO FLESSORIO SI MANTIENE IPSILATERALE; PIÙ FORTE È LA STIMOLAZIONE
DOLOROSA, PIÙ LA RISPOSTA SI IRRADIA AL ALTRI MUSCOLI O AD ALTRI GRUPPI MUSCOLARI.
RIFLESSO ESTENSORIO CROCIATO
IL RIFLESSO FLESSORIO IPSILATERALE È SPESSO ACCOMPAGNATO DA UNA CONTRAZIONE GENERALIZZATA DEI MUSCOLI
ESTENSORI DEL LATO OPPOSTO, OLTRE CHE LA RILASCIAMENTO DEI MUSCOLI FLESSORI CONTROLATERALI. QUESTA RISPOSTA
CONTROLATERALE È DOVUTA AL FATTO CHE QUANDO LO STIMOLO DOLORIFICO SI FA ABBASTANZA INTENSO, I POTENZIALI
D’AZIONE CHE PERCORRONO I CIRCUITI POLISINAPTICI DELLA METÀ IPSILATERALE DEL MIDOLLO IMBOCCANO DELLE VIE CHE
PASSANO ALLA METÀ CONTROLATERALE, QUESTA VOLTA RAGGIUNGENDO I MOTONEURONI ALFA CHE INNERVANO I MUSCOLI
ESTENSORI.IN CONDIZIONI FISIOLOGICHE, APPENA UNO DEGLI ARTI, A CAUSA DI UNO STIMOLO DOLOROSO, SI RITRAE, ESSO
NON PUÒ PIÙ PARTECIPARE AL SOSTEGNO DEL PESO DEL CORPO, E IL SOGGETTO CADREBBE A TERRA; PERÒ, IL
CONTEMPORANEO AUMENTO DEL TONO DIE MUSCOLI ESTENSORI DELL’ARTO DEL LATO OPPOSTO PERMETTE IL MANTENIMENTO
DELLA STAZIONE ERETTA POICHÉ L’ARTO CONTROLATERALE SI È TRASFORMATO IN UN PILASTRO RIGIDO CHE FA DA SOSTEGNO
AL CORPO.
4) RIFLESSO ASSONICO
QUESTO TIPO DI RIFLESSO SI DIFFERENZIA DA TUTTI GLI ALTRI PERCHÉ NON COINVOLGE NESSUNA SINAPSI, NÉ IL MIDOLLO SPINALE
O IL TRONCO DELL’ENCEFALO. INFATTI, IL RIFLESSO ASSONICO SI SVOLGE ESCLUSIVAMENTE NEL CONTESTO DELL’ASSONE DI UN
NERVO SENSITIVO. ESSO SI EVOCA APPLICANDO UNO STIMOLO MECCANICO ALLA CUTE, AD ESEMPIO EFFETTUANDO UN FORTE
STRISCIAMENTO CHE COSTITUISCA UNO STIMOLO IRRITANTE. COME RISPOSTA, SI OTTERRÀ UNA DILATAZIONE DELLE ARTERIOLE
NEL TERRITORIO CUTANEO DOVE LO STIMOLO È STATO APPLICATO. QUESTA RISPOSTA VASODILATATORIA SI MANTIENE ANCHE
DOPO AVER SEZIONATO LA RADICE DORSALE, ATTRAVERSO LA QUALE IL NERVO SENSITIVO ENTRA NEL MIDOLLO SPINALE. CIÒ
DIMOSTRA CHE LA RISPOSTA RIFLESSA NON È MEDIATA DAL SNC.

SHOCK SPINALE
I RIFLESSI SPINALI POSSONO ESSERE EVOCATI ANCHE SE SI È ESEGUITA UNA SEZIONE CHE HA INTERROTTO LE CONNESSIONI DEL
MIDOLLO SPINALE CON L’ENCEFALO. TUTTAVIA, BISOGNA RICORDARE CHE NEI MAMMIFERI LE STRUTTURE SOPRASPINALI SI SONO
SVILUPPATE CONSIDEREVOLMENTE RISPETTO AGLI ANIMALI POSTI PIÙ IN BASSO NELLA SCALA ZOOLOGICA, ED ESSE ESERCITANO SUL
MIDOLLO SPINALE UN PIÙ FORTE CONTROLLO. IL RISULTATO È CHE L’ATTIVITÀ RIFLESSA SPINALE È DIVENTATA SEMPRE PIÙ DIPENDENTE
DALL’ENCEFALO. INFATTI, VEDIAMO CHE SUBITO DOPO AVER PRATICATO LA SEZIONE SPINALE COMPARE UNO STATO TEMPORANEO
DI AREFLESSIA TOTALE, DENOMINATA SHOCK SPINALE.
L’IMPORTANZA E LA DURATA DELLO SHOCK VARIANO IN FUNZIONE DEL GRADO DI ENCEFALIZZAZIONE DELL’ANIMALE, NEL SENSO
CHE NELLA RANA LA SOSPENSIONE DEI RIFLESSI DURA APPENA ALCUNI MINUTI, NEL CANE E NEL GATTO QUALCHE ORA E
NELL’UOMO IL RECUPERO TOTALE PUÒ AVVENIRE DOPO MESI.
LO SHOCK SPINALE È DOVUTO ALLA BRUTALE SOPPRESSIONE DEGLI IMPULSI CHE PROVENGONO DA CERTE FORMAZIONI
SOPRAMIDOLLARI E CHE ESERCITANO UN EFFETTO FACILITATORE PERMANENTE SUI MOTONEURONI SPINALI. INFATTI, I CORPI
CELLULARI DEI MOTONEURONI SONO RICOPERTI DA CENTINAIA DI TERMINAZIONI SINAPTICHE, MOLTE DELLE QUALI APPARTENGONO
AD ASSONI DISCENDENTI CHE PROVENGONO DALLE PORZIONI SOVRASPINALI DEL SISTEMA NERVOSO.
IN CIRCOSTANZE NORMALI, LE PORZIONI SOVRASPINALI INVIANO AI MOTONEURONI SPINALI DELLE SCARICHE CONTINUE DI IMPULSI;
MA QUESTE SCARICHE SONO DI COSÌ BASSA FREQUENZA DA DESTARE SUI MOTONEURONI SOLO DEI POTENZIALI POSTSINAPTICI
ECCITATORI, CIOÈ DELLE DEPOLARIZZAZIONI SUBLIMINARI. SEBBENE QUESTE RISPOSTE DEI MOTONEURONI NON SIANO TANTE FITTE DA
PROVOCARE POTENZIALI TUTTO O NULLA, LA LORO FUNZIONE È DI MANTENIMENTO DEI MOTONEURONI STESSI IN CONDIZIONI
PRECARIE DI ELEVATA ECCITABILITÀ PRONTI A RISPONDERE A QUALSIASI IMPULSI PRESINAPTICO, ANCHE DEBOLE. QUANDO QUESTO
IMPULSO ARRIVA, SI VENGONO A VERIFICARE FENOMENI DI SOMMAZIONE SIA SPAZIALE CHE TEMPORALE, CHE RENDONO EFFICACE
LA CONVERGENZA TRA GLI IMPULSI SEGMENTALI SPINALI E QUELLI DISCENDENTI DAI CENTRI SOPRASPINALI.
NON APPENA SI EFFETTUA UNA SEZIONE SPINALE, QUELLA PARTE DEL TONO DI BASE CHE PROVIENE DALLE REGIONI PIÙ ENCEFALICHE
VIENE RIMOSSA, ED ALLORA VIENE NOTEVOLMENTE RIDOTTA L’ECCITABILITÀ A RIPOSO DELLE CELLULE SPINALI. LA CAUSA DELLO
SHOCK SPINALE È L’ABOLIZIONE DEGLI IMPULSI FACILITATORI PROVENIENTI DELL’ENCEFALO.
FENOMENO DI SCHIFF-SHERRINGTON
Le manifestazioni dello shock spinale sono limitate alle regioni caudali rispetto alla sezione praticata: nessun deficit si apprezza
nelle regioni innervate da porzioni più craniali. Una eccezione è rappresentata dal cosiddetto denomeno di Schiff-Scherrington,
che consiste in un leggero aumento del tono estensorio degli arti superiori in conseguenza a una sezione toracica o lombare.
RECUPERO DALLO SHOCK SPINALE

IL RECUPERO DA UNO SHOCK SPINALE INIZIA CON LA RICOMPARSA DEL RIFLESSO MIOTATICO FASICO, SUCCESSIVAMENTE
COMPARE IL RIFLESSO FLESSORIO E POI I RIFLESSI CONTROLATERALI. I RIFLESSI MIOTATICI TONICI SI SVILUPPANO DOPO DIVERSE
SETTIMANE.
107

3 – Controllo cerebrale del movimento


MOVIMENTO VOLONTARIO
DEFINIZIONE E SIGNIFICATO DEL MOVIMENTO VOLONTARIO
IL MOVIMENTO VOLONTARIO PUÒ ESSERE IMMAGINATO COME UNA SEQUENZA DI ATTI MOTORI ORGANIZZATI NEL TEMPO E NELLO
SPAZIO CHE, ATTRAVERSO LA VOLONTÀ, CONSENTONO AD UN ORGANISMO DI MODIFICARE IL SUO RAPPORTO CON L’AMBIENTE
CHE LO CIRCONDA. GENERALIZZANDO, IL MOVIMENTO PUÒ ESSERE CONSIDERATO UN’IMPORTANTISSIMA FORMA ESPRESSIVA E DI
COMUNICAZIONE LA QUALE, ASSIEME ALLA CAPACITÀ DI RISENTIRE DELLE VARIAZIONI AMBIENTALI, GARANTISCE LA
SOPRAVVIVENZA.
DIFFERENZE TRA RISPOSTE RIFLESSE E MOVIMENTI VOLONTARI
I MOVIMENTI VOLONTARI SI DIFFERENZIANO NOTEVOLMENTE DAI MOVIMENTI RIFLESSI. INNANZITUTTO, LA RISPOSTA MOTORIA
RIFLESSA È MARCATAMENTE STEREOTIPATA, CIOÈ SEMPRE LA STESSA, PURCHÈ LO STIMOLO SIA SPECIFICO; INOLTRE, NÉ LA
COSCIENZA NÉ LA VOLONTÀ INTERVENGONO NELLA SUA COMPARSA. ALL'OPPOSTO, IL MOVIMENTO VOLONTARIO È
ORGANIZZATO AL FINE DI ESEGUIRE COMPITI DIRETTI AH UNO SCOPO BEN PRECISO, E PRESENTA UN ELEVATO GRADO DI
ADATTABILITÀ, NEL SENSO CHE LA SUA ESECUZIONE MIGLIORA MAN MANO CHE L’ATTO MOTORIO VIENE RIPETUTO. A CIÒ
PROVVEDONO I CENTRI NERVOSI ENCEFALICI, I QUALI OPERANO UNA SELEZIONE SU QUALI ARTICOLAZIONI E SEGMENTI CORPOREI
UTILIZZARE E SU COME QUESTI EFFETTORI DEL MOVIMENTO DEBBANO ESSERE UTILIZZATI.
IL MOVIMENTO COME RISULTATO DI INTEGRAZIONE SENSITIVO-MOTORIA
I MOVIMENTI, ANCHE I PIÙ COMPLICATI, SI AVVALGONO DEL GRANDE FLUSSO DI INFORMAZIONI SENSITIVE CHE PROVENGONO DAI
RECETTORI SENSORIALI. DUNQUE, IL SOGGETTO NON PUÒ MUOVERSI CORRETTAMENTE SE NON RIESCE A SENTIRE SE STESSO E
L’AMBIENTE DOVE INTENDE MUOVERSI. ISTANTE PER ISTANTE LE STRUTTURE NERVOSE DEPUTATE ALLA PROGRAMMAZIONE DI UN
MOVIMENTO VENGONO INFORMATE SULLA POSIZIONE DEL CORPO, SIA PRIMA CHE IL MOVIMENTO VENGA INIZIATO, SIA MENTRE IL
MOVIMENTO VIENE ESEGUITO. I CENTRI MOTORI DEBBONO PRENDERE ATTO DELLA SITUAZIONE ATTORNO A NOI E DELLA POSIZIONE
DEL NOSTRO CORPO NELLO SPAZIO. LA POSIZIONE DEL NOSTRO CORPO VIENE PERCEPITA MEDIANTE INFORMAZIONI VESTIBOLARI,
PROPRIOCETTIVE ED ESTEROCETTIVE.
QUESTA PRESA D’ATTO SI PROLUNGA DURANTE TUTTA L’ESECUZIONE DEL MOVIMENTO, IN QUANDO LA POSIZIONE DEL CORPO SI
MODIFICA CONTINUAMENTE, ED IN QUESTE CONDIZIONI CERTI PROGRAMMATORI DEVONO ESSERE INFORMATI SULL’ADEGUATEZZA
DELL’ESECUZIONE DELL’ATTO MOTORIO, IN MODO DA POTER CORREGGERE GLI EVENTUALI ERRORI ANCHE MENTRE L’ESECUZIONE È
ANCORA IN CORSO. LE CORREZIONI SI COMPIONO PER MEZZO DI DUE PRINCIPALI TIPI DI MECCANISMI DI RETROAZIONE, DEFINITI DI
FEEDBACK, E MECCANISMIANTICIPATORI, DEFINITI A FEED-FORWARD.
MECCANISMI DI RETROAZIONE A FEED-BACK: NELL’ORGANIZZARE UN MOVIMENTO, IL SISTEMA NERVOSO IMPARA A CORREGGERE
LE EVENTUALI IMPERFEZIONI DELL’ESECUZIONE; CIÒ SUCCEDE PROPRIO MENTRE IL MOVIMENTO VIENE ESEGUITO. DURANTE
L’ESECUZIONE DEL MOVIMENTO PROGRAMMATO POSSONO INTERVENIRE ANCHE DELLE PERTURBAZIONI INATTESE PROVENIENTI
DALL’ESTERNO, ED IL SNC RIESCE ANCHE A CORREGGERE O COMPENSARE TALI PERTURBAZIONI. INFATTI, NELL’EMETTERE UN
COMANDO MOTORIO, LE STRUTTURE CENTRALI TENGONO CONTO DEI SEGNALI SENSORIALI CHE, CON MECCANISMI DI
RETROAZIONE, NORMALMENTE LE INFORMANO CIRCA LA SITUAZIONE MOMENTANEA DELLA PERIFERIA, COSICCHÈ IL COMANDO
POSSA ESSERE MODIFICATO E LE STRUTTURE PROGRAMMATRICI CENTRALI POTRANNO AGIRE OPPORTUNAMENTE SULL’ARTO CHE STA
ESEGUENDO IL MOVIMENTO. SI TRATTA DI UN CONTROLLO CHE FUNZIONA ISTANTE PER ISTANTE, FINO A QUANDO IL MOVIMENTO
NON È CESSATO.
I MECCANISMI DI FEED-BACK VENGONO MEGLIO UTILIZZATI NEI MOVIMENTI LENTI E NEL CONTROLLO DI ATTI MOTORI SEQUENZIALI,
PERCHÉ LA RECEZIONE E L’ANALISI DEI SEGNALI AFFERENTI DA PARTE DEI CENTRI PROGRAMMATORI RICHIEDE UN TEMPO
RELATIVAMENTE LUNGO.
DURANTE UN PERIODO DI ALLENAMENTO, CIOÈ IN UN PERIODO IN CUI L’ATTO MOTORIO VIENE AFFINATO MEDIANTE I MECCANISMI
DI RETROAZIONE, A POCO A POCO I MOVIMENTI VENGONO ESEGUITI IN MODO PIÙ AUTOMATICO, PROFITTANDO SEMPRE MENO
DEL CONTROLLO CORRETTIVO A FEED-BACK. IN PRATICA, NELLA MENTE DEGLI ESECUTORI SI SONO VENUTI A CONFIGURARE DEI
PROGRAMMI DI MOVIMENTO BASATI SULLA PASSATA ESPERIENZA ESPLORATIVA, NONCHÉ SULLA MEMORIZZAZIONE DELLE PROVE
RITENUTE OTTIMALI. IN PARTICOLARE, SI SONO VENUTI A CREARE DEI MECCANISMI ANTICIPATORI A FEED-FORWARD.
MECCANISMI ANTICIPATORI A FEED-FORWARD: SONO IN GRADO DI GENERARE AGGIUSTAMENTI POSTURALI PRIMA DELL’INIZIO DEI
MOVIMENTI VOLONTARI. SI TRATTA DI RISPOSTE PRE-PROGRAMMATE CHE SI BASANO SULL’ESPERIENZA DI MOVIMENTI DAPPRIMA
IMPERFETTI MA CHE, GRAZIE AI MECCANISMI DI RETROAZIONE A FEED-BACK, HANNO TRATTO PROFITTO DA CORREZIONI SEMPRE PIÙ
FINI. E QUI ENTRA IN GIOCO ANCHE L’APPRENDIMENTO: MAN MANO CHE PROSEGUE LA RIPETIZIONE, IL PROGRAMMA DEL
MOVIMENTO CHE SI INTENDE ESEGUIRE VIENE MIGLIORATO E MEMORIZZATO. ALLA FINE, NEL SNC, DIVENGONO ATTIVI DEI CIRCUITI
NEURONALI CHE ORA SONO DIVENTATI CAPACI DI VEICOLARE VERSO IL MIDOLLO SPINALE PROGRAMMI DI MOVIMENTO PRE-
CONFEZIONATI.

ORGANIZZAZIONE DELLA CORTECCIA MOTORIA


AREE MOTORIE
LE AREE CON FUNZIONE MOTORIA SONO STATE IDENTIFICATE SOPRATTUTTO OSSERVANDO LA COMPARSA DI MOVIMENTI A SEGUITO
DELLA STIMOLAZIONE ELETTRICA CORTICALE.
AREA MOTORIA PRIMARIA: L’AREA MOTORIA PRIMARIA È SITUATA NEL GIRO PRE-CENTRALE SULLA CIRCONVOLUZIONE DEL
SOLCO CENTRALE, NEL LOBO FRONTALE. QUEST’AREA PRENDE IL NOME DAL FATTO CHE LA STIMOLAZIONE ELETTRICA
EFFETTUATA ANCHE CON SOTTILISSIMI ELETTRODI RIESCE AD EVOCARE MOVIMENTI MOLTO FINI, APPLICANDO IMPULSI DI
MINIMA INTENSITÀ. QUESTA REGIONE È STATA LOCALIZZATA NEL LOBO FRONTALE E CORRISPONDE ALL’AREA 4 DI
BRODMAN, PRESENTANDO LA CARATTERISTICA STRUTTURA AGRANULARE.
L’HOMUNCULUS MOTORIO DELL’AREA MOTORIA PRIMARIA HA UNA RAPPRESENTAZIONE SOMATOTOPICA, DAL MOMENTO CHE
LE VARIE REGIONI DEL CORPO SONO RAPPRESENTATE IN SEQUENZA ORDINATA: LE DITA DEL PIEDE, IL PIEDE, LA GAMBA, LA COSCIA,
IL TRONCO, IL BRACCIO, L’AVAMBRACCIO, LA MANO, LE DITA DELLA MANO E LA FACCIA. L’HOMUNCULUS MOTORIO È
DISARMONICO PER IL FATTO CHE TALUNE PARTI, CHE CORRISPONDONO ALLA MANO, AL VISO E ALLA LINGUA, COPRONO UNA
MAGGIORE SUPERFICIE E CIÒ CONFERMA COME LE REGIONI CORPOREE CAPACI DI ESEGUIRE MOVIMENTI PIÙ FINI DISPONGONO
DI UN CONTROLLO CORTICALE PIÙ ESTESO.
108

SI È AMPIAMENTE DIMOSTRATO CHE LA CORTECCIA MOTORIA È DOTATA DI UN DISCRETO GRADO DI PLASTICITÀ, NEL SENSO CHE LA
SUA ORGANIZZAZIONE TOPOGRAFICA SI MODIFICA A SEGUITO DI LESIONI O DI APPRENDIMENTO.
DOPO UNA LESIONE CHE HA INTERESSATO UNA PARTE PIÙ O MENO ESTESA DELLA CORTECCIA MOTORIA, SI OSSERVA UNA PARALISI
FLACCIDA DEGLI ARTI DEL LATO OPPOSTO ALLA LESIONE, CHE PERÒ ANDRÀ INCONTRO A UN CERTO RECUPERO PROGRESSIVO. A
COSA SI DEVE IL RECUPERO: SICURAMENTE NON A FENOMENI NEURORIGENERATIVI; PIUTTOSTO SI TRATTA DI FENOMENI DI
POTENZIAMENTO DELLE FUNZIONI RESIDUE, CHE SI INQUADRANO NEL CONTESTO DELLA NEUROPLASTICITÀ. IN GENERALE, POSSIAMO
DIRE CHE TRA I NEURONI SOPRAVVISSUTI C’È STATO UN RINFORZO DI COLLEGAMENTI SINAPTICI O ADDIRITTURA LA FORMAZIONE DI
NUOVI CIRCUITI SINAPTICI; COSÌ SI È IPOTIZZATO CHE IL MIGLIORAMENTO DEL DEFICIT CONSEGUENTE AD UN ICTUS POSSA ESSERE
DOVUTO ALL’INTERVENTO DELL’AREA MOTORIA DEL LATO OPPOSTO, CHE VA CONNETTENDOSI SEMPRE PIÙ FORTEMENTE
ALL’EMISFERO LESO.
ALTRI ESPERIMENTI SULL’UOMO HANNO DIMOSTRATO COME, FACENDO COMPIERE AD UN SOGGETTO UN DETERMINATO ESERCIZIO
CON UNA MANO E FACENDOGLIELO RIPETERE FINO A QUANDO EGLI NON LO SVOLGA CON TOTALE DIMESTICHEZZA, LA
RAPPRESENTAZIONE DI QUELLA MANO NELL’HOMUNCULUS MOTORIO DIVENTA PIÙ AMPIA. QUESTO RISULTATO CONTRIBUISCE A
SPIEGARE COME L’AFFINAMENTO DI PERFORMANCES MOTORIE MEDIANTE L’ALLENAMENTO POSSA GIOVARSI NON SOLO DELLE
CORREZIONI A FEEDBACK, MA ANCHE DEI FENOMENI DI NEUROPLASTICITÀ DESTATI DALL’ALLENAMENTO STESSO.
AREE PREMOTORIE
QUESTE AREE SONO ESSENZIALMENTE DUE E SONO STATE IDENTIFICATE COME LE AREE 6 E 8DI BRODMAN. L’AREA 8 CONTROLLA I
MOVIMENTI CONIUGATI VOLONTARI DEGLI OCCHI, E PER QUESTO VIENE ANCHE CHIAMATA AREA OCULO-CEFALO-GIRA.
AREA 6: ANCHE NELL’AREA 6, ANALOGAMENTE A QUANTO AVVIENE NELL’HOMUNCULUS MOTORIO DELL’AREA 4,
SI POSSONO RICONOSCERE DELLE MAPPE RIGUARDANTI IL VISO E GLI ARTI, MA SI POSSONO NOTARE DELLE DIFFERENZE TRA
LE DUE AREE: LE RISPOSTE MOTORIE ALLA MICROSTIMOLAZIONE DELL’AREA 4 COMPAIONO APPLICANDO STIMOLI ELETTRICI
DI BASSA INTENSITÀ E SONO MOLTO ELEMENTARI, NEL SENSO CHE CONSISTONO NELLA CONTRAZIONE DEI SINGOLI MUSCOLI;
NELL’AREA 6LA STIMOLAZIONE DEVE AVVENIRE CON PIÙ FORTE INTENSITÀ DI CORRENTE; INOLTRE, LE RISPOSTE CONSISTONO
IN ATTI MOTORI COMPLESSI CHE COINVOLGONO PIÙ ARTICOLAZIONI E APPAIONO ORGANIZZATI COME SE FOSSERO
MOVIMENTI DI PRENSIONE E DI RAGGIUNGIMENTO. È INTERESSANTE IL FATTO CHE LE RISPOSTE MOTORIE ALLA STIMOLAZIONE
DELL’AREA 6 COMPAIONO CON LA MEDIAZIONE DELL’AREA MOTORIA PRIMARIA, TANTO È VERO CHE LA STIMOLAZIONE
DELL’AREA 6 NON RIESCE PIÙ AD EVOCARLE QUANDO SI INTERROMPONO LE CONNESSIONI CON LE DUE AREE.
L’ABLAZIONE ISOLATA DELL’AREA 6 NON È IN GRADO DI INDURRE PARALISI, COME INVECE SI OSSERVA DOPO UNA LESIONE
DELL’AREA 4. SI È VISTO PERÒ CHE LA DISTRUZIONE DI ENTRAMBE LE AREE PROVOCA DISTURBI MOTORI PIÙ GRAVI RISPETTO A
QUELLI DIPENDENTI SOLO DALL’AREA 4: LA COMBINAZIONE DELLE DUE LESIONI FA COMPARIRE FENOMENI DI TIPO SPASTICO.
AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE
ESSA SI TROVA NELLA FACCIA MESIALE DELL’EMISFERO. L’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE È STATA IDENTIFICATA SULLA BASE DI
RISPOSTE MOTORIE ALLA STIMOLAZIONE ELETTRICA. ANALOGAMENTE A QUANTO OSSERVATO PER L’AREA 6, ANCHE I MOVIMENTI
EVOCATI DALLA STIMOLAZIONE DI QUESTA AREA COMPAIONO APPLICANDO STIMOLAZIONI NERVOSE DI MAGGIORE INTENSITÀ.
DEFICIT MOTORI DI UNA CERTA IMPORTANZA COMPAIONO SOLO SE LA LESIONE DELL’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE VIENE
EFFETTUATA BILATERALMENTE. UN’ALTRA ANALOGIA CON L’AREA 6 CONSISTE NEL FATTO CHE SE SI DISTRUGGONO IN MODO
COMBINATO L’AREA 4 E L’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE LA PARALISI VIENE AGGRAVATA DA FENOMENI DI SPASTICITÀ.

CONTROLLO CORTICALE DEL MOVIMENTO: LE VIE DISCENDENTI


FASCIO PIRAMIDALE
RAPPRESENTA IL PIÙ GROSSO FASCIO DI PROIEZIONE DISCENDENTE. È COSTITUITO QUASI TUTTO DA FIBRE CORTICO-SPINALI CHE
DECORRONO NELLE PIRAMIDI BULBARI. IL FASCIO PIRAMIDALE PRENDE ORIGINE PER LA MAGGIOR PARTE DAI NEURONI PIRAMIDALI
SITUATI NEL QUINTO STRATO DI DIVERSE AREE CORTICALI: SOLO IL 30% NASCE DALL’AREA MOTRICE PRIMARIA, MENTRE UN ALTRO
30% DALL’AREA PREMOTORIA E UN ALTRO 40% DALL’AREA SOMATICA PRIMARIA DEL LOBO PARIETALE.
A LIVELLO BULBARE, CIRCA I 4/5 DELLE FIBRE DISCENDENTI SI INCROCIANO, MENTRE 1/5 DECORRE IPSILATERALMENTE, MA FINIRÀ
QUASI TUTTO PER INCROCIARSI UNA VOLTA ARRIVATO AL SEGMENTO SPINALE DOVE GIACCIONO I MOTONEURONI CON CUI LE
FIBRE CORTICOSPINALI STANNO PER CONNETTERSI.
FASCIO CORTICO-BULBARE: IL FASCIO PIRAMIDALE NON È COSTITUITO ESCLUSIVAMENTE DA PROIEZIONI CORTICO-SPINALI, CIOÈ
DA FIBRE CHE CONTROLLANO I MUSCOLI DEL TRONCO E DEGLI ARTI E LA CUI DESTINAZIONE È UL MIDOLLO SPINALE; IN
REALTÀ, ALCUNE FIBRE DISCENDENTI SI ARRESTANO A LIVELLO BULBARE. LE FIBRE CORTICO-BULBARI SI CONNETTONO
CON I NUCLEI MOTORI DEL TRONCO DELL’ENCEFALO CHE INNERVANO I MUSCOLI DELLA FACCIA.
FIBRE COLLATERALI DELLE FIBRE CORTICOSPINALI AI CENTRI ENCEFALICI
LE FIBRE CORTICO-SPINALI, MAN MANO CHE SCENDONO VERSO IL MIDOLLO SPINALE, SI BIFORCANO E LASCIANO DELLE FIBRE
COLLATERALI A VARI CENTRI DELL’ENCEFALO. QUESTE FIBRE COLLATERALI RAGGIUNGONO CENTRI MOTORI CHE SI TROVANO
NELTALAMO (nucleo ventrale laterale), NEL MESENCEFALO (nucleo rosso e formazione reticolare) E NEL BULBO (nuclei vestibolari).
LE FIBRE COLLATERALI RAGGIUNGONO ANCHE CENTRI SENSITIVI SPINALI, BULBARI E TALAMICI. LA FUNZIONE DELLE FIBRE
COLLATERALI È QUELLA DI LASCIARE AI SUDDETTI CENTRI UNA “COPIA” DEL COMANDO MOTORIO CHE LA CORTECCIA HA
DESTINATO AI MUSCOLI CHE DOVRANNO ESEGUIRE I MOVIMENTI. IN QUESTO MODO, LE STRUTTURE DESTINATE ALLA COPIA
VENGONO INFORMATE DEL MOVIMENTO CHE LA CORTECCIA A ORGANIZZATO E L’INFORMAZIONE AVVIENE ANCORA PRIMA CHE
IL MOVIMENTO SIA INIZIATO.
SUCCESSIVAMENTE, UNA VOLTA CHE IL MOVIMENTO PROMOSSO DALLA CORTECCIA MOTRICE È GIÀ INIZIATO, UN’ALTRA
INFORMAZIONE RAGGIUNGE GLI STESSI CENTRI MOTORI E SENSITIVI; STAVOLTA, PERÒ, SARANNO I RECETTORI SENSORIALI AD
INFORMARE QUESTI CENTRI SUL MOVIMENTO CHE È GIÀ INIZIATO, IN MODO CHE SI POSSANO REALIZZARE QUELLE CORREZIONI
RICHIESTE PER ESEGUIRE UN MOVIMENTO ADEGUATO.
CONNESSION I TRA LE FIBRE CORTICOSPINALI E I MOTONEURONI
UNA VOLTA GIUNTE AL LIVELLO SPINALE, LE FIBRE PIRAMIDALI SOLO IN PICCOLA PARTE PRENDONO RAPPORTO DIRETTO CON I
MOTONEURONI: NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI LA CONNESSIONE TRA FIBRE CORTICO-SPINALI E MOTONEURONI AVVIENE PER
MEZZO DI INTERNEURONI.
109

LA FUNZIONE SPECIFICA DELLA VIA PIRAMIDALE È IL CONTROLLO DEI MOVIMENTI DISTALI DEGLI ARTI
NON SI DEVE PENSARE CHE NELL’UOMO LA VIA PIRAMIDALE SIA L’UNICA RESPONSABILE DEL CONTROLLO DISCENDENTE DEI
MOVIMENTI VOLONTARI. NEI CASI DI ICTUS CEREBRALE, AD ESEMPIO, LE REGIONI DISTRUTTE COMPRENDONO DIVERSE ALTRE
REGIONI ADIACENTI. ED ALLORA, ANCHE SE IN QUESTI CASI I NEUROLOGI CONTINUANO A PARLARE DI DANNO PIRAMIDALE, LA
PARALISI CHE SI OSSERVA È IN REALTÀ LA CONSEGUENZA DELL’INTERRUZIONE DI VIE SIA CORTICO-SPINALI CHE NON.
È INNEGABILE CHE IL SISTEMA CORTICO-SPINALE RAPPRESENTI LA VIA PRINCIPALE PER IL CONTROLLO DEI MOTONEURONI, MA
ASSIEME A QUESTO SISTEMA DI CONTROLLO DIRETTO NE ESISTONO ALTRI INDIRETTI, ATTRAVERSO I QUALI LA CORTECCIA CONTROLLA
I MOTONEURONI.
SISTEMA EXTRAPIRAMIDALE
QUESTO TERMINE RISALE AI PRIMI ANNI DEL SECOLO SCORSO, MA ANCORA OGGI NON DISPONIAMO DI UNA CHIARA DEFINIZIONE
MORFOLOGICA. CERTAMENTE, IL SISTEMA EXTRAPIRAMIDALE INCLUDE TUTTI QUEI FASCI DISCENDENTI CHE CONNETTONO
L’ENCEFALO CON IL MIDOLLO SPINALE, ESCLUSO IL FASCIO PIRAMIDALE. DUNQUE, NEL SISTEMA EXTRAPIRAMIDALE POSSONO
ESSERE COMPRESE LE PROIEZIONI RUBRO-SPINALI, RETICOLO-SPINALI, VESTIBOLO-SPINALI, TETTO-SPINALI, RAFE-SPINALI E CERULEO-
SPINALI; ANCHE I GANGLI DELLA BASE POSSONO ESSERE INCLUSI FRA LE STRUTTURE MOTORIE EXTRAPIRAMIDALI, ANCHE SE QUESTI
NUCLEI NON PROIETTANO DIRETTAMENTE AL MIDOLLO SPINALE. MOL,TO CONTROVERSA È L’APPARTENENZA DEL CERVELLETTO AL
SISTEMA EXTRAPIRAMIDALE.
CONTRIBUTO DEL CERVELLETTO ALL’ORGANIZZAZIONE DEL COMANDO MOTORIO
IL CERVELLETTO SVOLGE UN RUOLO PRIMARIO NELLA PROGRAMMAZIONE E NEL CONTROLLO DELL’ESECUZIONE DEL MOVIMENTO.
QUESTE FUNZIONI CEREBELLARI SI BASANO SULLE ESTESE CONNESSIONI RECIPROCHE CHE IL CERVELLETTO INTRATTIENE SIA CON LE
AREE MOTORIE DELLA CORTECCIA CEREBRALE, SIA CON LE STRUTTURE MOTORIE DEL TRONCO DELL’ENCEFALO. INFATTI, IL
CERVELLETTO RICEVE INFORMAZIONI DALLA CORTECCIA CEREBRALE E NE INVIA ALTRE A QUEST’ULTIMA, MEDIANTE STAZIONI
INTERMEDIE NEL TALAMO.
IL CERVELLETTO RICEVE I MESSAGGI DALLA PERIFERIA SOMATICA CHE SALGONO DAL MIDOLLO SPINALE; GRAZIE A QUESTI
MESSAGGI IL CERVELLETTO VIENE INFORMATO SULLA POSIZIONE CORPOREA SIA PRIMA CHE IL MOVIMENTO INIZI, SIA MENTRE ESSO
VIENE ESEGUITO. IL CERVELLETTO, PERÒ, NON INVIA AL MIDOLLO SPINALE DELLE PROIEZIONI SIGNIFICATIVE, PUR ESSENDO IN GRADO
DI CONTROLLARE I MOTONEURONI TRONCOENCEFALICI.
I PRINCIPALI DEFICIT DA LESIONE CEREBELLARE SONO L’ATASSIA E IL TREMORE INTENZIONALE. L’ATASSIA SI MANIFESTA CON LA
PERDITA DI COORDINAZIONE E DI ACCURATEZZA DEI MOVIMENTI DEGLI ARTI; IL TREMORE CEREBELLARE SI PRESENTA DURANTE
L’ESECUZIONE DEI MOVIMENTI VOLONTARI, MENTRE SCOMPARE A RIPOSO.
RUOLO DEI GANGLI DELLA BASE NELLA PROGRAMMAZIONE MOTORIA
ANCHE I GANGLI DELLA BASE DANNO UN GROSSO CONTRIBUTO ALL’ORGANIZZAZIONE DEL MOVIMENTO VOLONTARIO. INFATTI,
ANCHE I GANGLI DELLA BASE SONO RECIPROCAMENTE CONNESSI CON LE AREE MOTORIE DELLA CORTECCIA CEREBRALE E CON I
CENTRI MOTORI DEL TRONCO DELL’ENCEFALO E DEL TALAMO. TUTTAVIA, ESISTONO DELLE DIFFERENZE TRA CERVELLETTO E GANGLI
DELLA BASE PER QUANTO RIGUARDA LE CONNESSIONI AFFERENTI ED EFFERENTI CON LA CORTECCIA CEREBRALE E I CENTRI
TRONCOENCEFALICI; LA DIFFERENZA PRINCIPALE RIGUARDA LE CONNESSIONI AFFERENTI ED EFFERENTI: LE DUE STRUTTURE
PROVENGONO DA E SONO DIRETTE VERSO AREE COMPLETAMENTE DISTINTE FRA LORO.
ENTRAMBE LE STRUTTURE SONO CAPACI DI INFLUENZARE L’ATTIVITÀ DEI MOTONEURONI SPINALI, ANCHE SE LE CONNESSIONI CON IL
MIDOLLO SPINALE NON SONO DIRETTE E SI SERVONO DI SISTEMI INTERMEDI.
COSÌ COME OSSERVATO PER IL CERVELLETTO, I GANGLI DELLA BASE FANNO SÌ CHE I MOVIMENTI VOLONTARI SI VERIFICHINO CON
PRECISIONE; D’ALTRA PARTE, SONO BEN CONOSCIUTE LE MANIFESTAZIONI SINTOMATOLOGICHE CHE SI INSTAURANO A SEGUITO DI
ALTERAZIONI PATOLOGICHE DEGENERATIVE A CARICO DEI GANGLI DELLA BASE. INFATTI, LE MALATTIE PIÙ NOTE IN QUESTO AMBITO
(Parkinson e Hurrington), SONO CARATTERIZZATE DA ALTERAZIONI DEL TONO POSTURALE E DALLA COMPARSA DI MOVIMENTI
INVOLONTARI. CARATTERISTICO, A QUESTO PROPOSITO, È IL TREMORE A RIPOSO, CHE SI PRESENTA NEGLI ARTI QUANDO IL
SOGGETTO È FERMO, MENTRE SCOMPARE NEL CORSO DI UN MOVIMENTO VOLONTARIO.
PROGRAMMI DI MOVIMENTO
LA CORTECCIA MOTRICE PRIMARIA PRESIEDE ALL’ESECUZIONE DEL MOVIMENTO VOLONTARIO, MA NON È AUTONOMA
NELL’ALLESTIRE LA SUA PIANIFICAZIONE. INFATTI, QUANDO UN SOGGETTO DECIDE DI AVVIARE UN CERTO ATTO MOTORIO, DEVE
INNANZI TUTTO AVERE UN’IDEA DEL MOVIMENTO CHE VA A COMPIERE, CIOÈ, LA PIANIFICAZIONE DOVREBBE RIGUARDARE DIVERSI
ASPETTI DEL MOVIMENTO: egli prende conoscenza della posizione del suo corpo prima dell’inizio del movimento, quindi decide
quale deve essere la posizione di partenza del movimento; decide dunque quando iniziare il movimento e quale deve essere la
sequenza temporale dei vari atti motori che lo dovranno comporre. Tutte le istruzioni motorie che partono verso i muscoli
dovranno essere amalgamate insieme in una certa armonia, in modo che alla fine il movimento risulti altrettanto armonico.
IDEA DEL MOVIMENTO: MALGRADO SIANO STATI COMPIUTI NUMEROSI STUDI SULLA POSSIBILE UBICAZIONE DELLE STRUTTURE
PIANIFICATRICI, A TUTT’OGGI NON SI RICONOSCE CHIARAMENTE DOVE VENGA CONFORMATA L’IDEA DEL MOVIMENTO.
TUTTAVIA, DIVERSI ELEMENTI CONTRIBUISCONO A RITENERE CHE L’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE DEBBA GIOCARE UN
RUOLO FONDAMENTALE.
GLI ELEMENTI CHE PIÙ FORTEMENTE CI FANNO PROPENDERE PER UN RUOLO PIANIFICATORE DA ASSEGNARE ALL’AREA
MOTORIA SUPPLEMENTARE SONO FONDAMENTALMENTE TRE:
1. L’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE, OLTRE AD INVIARE PROIEZIONI AI CENTRI SOTTOCORTICALI E AL MIDOLLO SPINALE
PER PROMUOVERE I MOVIMENTI, PROIETTA ANCHE ALLA CORTECCIA MOTRICE PRIMARIA; E DUNQUE L’AREA MOTRICE
PRIMARIA POTREBBE RICEVERE DALL’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE DELLE ISTRUZIONI CIRCA IL COMANDO DA
DIRIGERE VERSO I MUSCOLI ESECUTORI;
2. REGISTRANDO L’ELETTROENCEFALOGRAMMA MENTRE UN SOGGETTO STA COMPIENDO UN MOVIMENTO, SI OSSERVA
CHE IN CORRISPONDENZA DELL’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE COMPARE UNA CARATTERISTICA ONDA NEGATIVA.
POICHÉ LA SUDDETTA ONDA COMINCIA A COMPARIRE QUASI UN SECONDO PRIMA DELL’INIZIO DEL MOVIMENTO, ESSA
È STATA CONSIDERATA L’ESPRESSIONE ELETTRICA DELL’ELABORAZIONE DI UN PIANO MOTORIO CHE PRECEDE
L’ESECUZIONE DEL MOVIMENTO. L’ONDA NEGATIVA IN QUESTIONE È STATA DENOMINATA POTENZIALE DI PREPARAZIONE;
3. ADOPERANDO UN’ALTRA TECNICA CHE ILLUSTRA LA VASCOLARIZZAZIONE DELLE DIVERSE AREE CEREBRALI, SI NOTA CHE
IL FLUSSO SANGUIGNO È MAGGIORE NELL’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE SUBITO PRIMA DELL’ESECUZIONE DI
MOVIMENTI COMPLESSI DELLE DITA.
110

LA CONCLUSIONE CHE SI PUÒ TRARRE DA QUESTI ESPERIMENTI È CHE LE SEQUENZE DI ATTI MOTORI COMPLESSI RICHIEDONO
UNA PIANIFICAZIONE DI CUI SAREBBE RESPONSABILE L’AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE, MENTRE I MOVIMENTI SEMPLICI E
RIPETITIVI POTREBBERO ESSERE PROGRAMMATI IN CORRISPONDENZA DELLE AREE MOTRICE PRIMARIA E SENSITIVA PRIMARIA.
NEURONI SPECCHIO:QUÌ SI FA RIFERIMENTO AI MECCANISMI ANTICIPATORI DI FEED-FORWARD, CIOÈ A QUEI FENOMENI CHE
PERMETTONO DI OTTENERE PROGRAMMI PRE-CONFEZIONATI. QUANDO SI PARLA DI PROGRAMMI PRE-CONFEZIONATI È
QUANTO MAI OPPORTUNO CITARE DEGLI ESPERIMENTI EFFETTUATI SULLA CORTECCIA CEREBRALE DELLA SCIMMIA: SI È VISTO
COME CERTI NEURONI EMETTONO DELLE SCARICHE DI POTENZIALE NEL MOMENTO IN CUI L’ANIMALE STA PER COMPIERE UN
CERTO GESTO, COME QUELLO DI PORTARE UNA NOCCIOLINA ALLA BOCCA. QUESTO CI FA PENSARE CHE TALI NEURONI
SIANO PREDISPOSTI ALLA PROGRAMMAZIONE DI QUEL GESTO, MA C’È DI PIÙ: SI È OSSERVATO CHE GLI STESSI NEURONI
SCARICANO ANCHE QUANDO L’ANIMALE STA FERMO MA OSSERVA LO SPERIMENTATORE CHE COMPIE LO STESSO GESTO.
PER QUESTO MOTIVO QUESTI NEURONI SONO STATI INDICATI COME “NERURONI SPECCHIO”. È COME SE I NEURONI IN
QUESTIONE RICONOSCESSERO QUESTO GESTO, INDIPENDENTEMENTE DA CHI LO COMPIE.
UTILIZZANDO LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE, LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA E
L’ELETTROENCEFALOGRAMMA È STATO DIMOSTRATO CHE ANCHE NEL CERVELLO UMANO ESISTE UN SISTEMA ANALOGO,
CAPACE DI ASSICURARE UNA SINCRONIA FRA AZIONE E OSSERVAZIONE.
PER ALCUNI, IL SISTEMA SPECCHIO POTREBBE ESSERE CONSIDERATO L’ARCHIVIO DELLE PRE-PERCEZIONI RELATIVE AD UNA SPECIFICA AZIONE COMPIUTA IN PASSATO: I
CENTRI PROGRAMMATORI POTREBBERO ALLORA SIMULARE LE SUDDETTE AZIONI MEDIANTE LE LORO SCARICHE, IN MODO DA INTERPRETARLE E PREDIRNE GLI EFFETTI,
ALLO SCOPO DI SELEZIONARE L’AZIONE PIÙ APPROPRIATA. ALCUNI RICERCATORI RITENGONO CHE IL SISTEMA SPECCHIO POSSA SIMULARE LA AZIONI OSSERVATE,
PERCIÒ CONTRIBUIRE A UNA TEORIA DELLA CONOSCENZA O, COME QUALCUNO LA CHIAMA, TEORIA DELLA MENTE. ALTRI ANCORA PROPONGONO I NEURONI
SPECCHIO IN RELAZIONE CON LE CARATTERISTICHE DEL LINGUAGGIO: È STATO ANCHE PROPOSTO DI COLLEGARE IL SISTEMA SPECCHIO CON LE PATOLOGIE DELLA
CONOSCENZA E DELLA COMUNICAZIONE, IN PARTICOLARE CON L’AUTISMO.

CONTROLLO POSTURALE
STATICA ED EQUILIBRIO
IL MANTENIMENTO DI UNO STATO DI IMMOBILITÀ DURANTE LA STAZIONE ERETTA VIENE DEFINITO EQUILIBRIO. DA UN PUNTO DI VISTA
STRETTAMENTE FISICO, L’EQUILIBRIO VIENE DEFINITO COME LO STATO DI IMMOBILITÀ DI UN CORPO. LA COMPRENSIONE DEL
FENOMENO DIVIENE PIÙ COMPLESSA SE, INVECE DI CONSIDERARE UN CORPO OMOGENEO IN TUTTE LE SUE PARTI, SE NE PRENDE IN
CONSIDERAZIONE UNO COSTITUITO DA PIÙ ELEMENTI ETEROGENEI, COME IL CORPO UMANO.
NEL CASO DEL CORPO UMANO, DOTATO DI PARTI IN MOVIMENTO, IL CONCETTO DI STATO DI IMMOBILITÀ NON PUÒ ESSERE
ADOTTATO PER UNA IDONEA DEFINIZIONE DELL’EQUILIBRIO. INFATTI, L’UOMO SI SOSTIENE SU UNA BASE DI APPOGGIO PIUTTOSTO
RISTRETTA, SPECIE SE PARAGONATA A QUELLA DEI QUADRUPEDI. CIÒ FA SÌ CHE L’UOMO STIA IN UNA POSIZIONE DI EQUILIBRIO
ALQUANTO PRECARIO E FACILMENTE PERTURBABILE.
OSCILLAZIONI CORPOREE NELLA STAZIONE ERETTA
IL CORPO IN TOTO È SOGGETTO A CONTINUE OSCILLAZIONI DOVUTE A VARIAZIONI COMPENSATORIE DEL TONO DEI MUSCOLI.
QUESTE OSCILLAZIONI VENGONO ACCENTUATE QUANDO SI STA A PIEDI UNITI, QUANDO SI CHIUDONO GLI OCCHI E QUANDO
AUMENTA IL TONO MUSCOLARE. FIN QUANDO L’AMPIEZZA DI DETTE OSCILLAZIONI È ABBASTANZA CONTENUTA E IL BARICENTRO DEL
CORPO CADE ALL’INTERNO DELLA BASE DI APPOGGIO, L’ATTEGGIAMENTO POSTURALE VIENE MODIFICATO IN MODO NON
VISTOSO; SI TRATTA DELLA COSIDDETTE REAZIONI DI ADATTAMENTO STATICO.
INVECE, DELLE MODIFICAZIONI COMPENSATORIE VERAMENTE AMPIE INTERVENGONO ALLORCHÈ IL BARICENTRO, A CAUSA DI
MOVIMENTI ATTIVI O PASSIVI, VIENE SPOSTATO SIGNIFICATIVAMENTE E TENDE A CADERE AL DI FUORI DELLA BASE DI APPOGGIO.
QUESTE AMPIE MODIFICAZIONI VENGONO CHIAMATE REAZIONI DI EQUILIBRAZIONE E CONSISTONO IN UNA REDISTRIBUZIONE DEL
TONO MUSCOLARE OD ANCHE IN MOVIMENTI DI CORREZIONE, IL CUI RISULTATO PUÒ ANCHE COMPORTARE VARIAZIONI DEL
POLIGONO DI APPOGGIO; ad esempio, quando ci sporgiamo in avanti e stiamo per cadere, portiamo avanti un piede,
allargando l’area del poligono di appoggio.
IN TERMINI PIUTTOSTO GENERALI, È DUNQUE LOGICO RITENERE CHE LA CONSERVAZIONE DELL’EQUILIBRIO VIENE AFFIDATA A
MECCANISMI DI CONTROLLO DELLA CONTRAZIONE MUSCOLARE. IL CONTROLLO DELL’EQUILIBRIO SI EFFETTUA ESSENZIALMENTE
MEDIANTE MECCANISMI RIFLESSI, E UNA CONDIZIONE IMPORTANTE PER IL SUO MANTENIMENTO È L’ESATTA COGNIZIONE DEL
CORPO NELLO SPAZIO. QUEST’ULTIMA È ASSICURATA FONDAMENTALMENTE PER MEZZO DELLA COOPERAZIONE FRA I MESSAGGI
SENSORIALI CHE PROVENGONO DAI PROPRIOCETTORI VESTIBOLARI E DA QUELLI DELL’APPARATO LOCOMOTORE. UN CONTRIBUTO
NOTEVOLE PER IL MANTENIMENTO DELL’EQUILIBRIO È COSTITUITO DALLE INFORMAZIONI VISIVE, CHE CONSENTONO L’ESATTA
DEFINIZIONE DELL’AMBIENTE CIRCOSTANTE.
LA POSTURA: DEFINIZIONE
PER POSTURA SI INTENDE LA POSIZIONE COMPLESSIVA DEL CORPO E DEGLI ARTI E IL LORO ORIENTAMENTO NELLO SPAZIO. SIA
POSIZIONE CHE ORIENTAMENTO VARIANO IN DIFFERENTI SITUAZIONI MOTORIE DELLA NOSTRA VITA QUOTIDIANA, SIA STATICHE CHE
DINAMICHE. IN ENTRAMBE QUESTE SITUAZIONI IL CORPO DEVE MANTENERE UNA POSIZIONE STABILE E RESTARE ERETTO CON IL CAPO
DRITTO SUL COLLO.
POSTURA, TONO MUSCOLARE E TONO POSTURALE
LA POSTURA HA STRETTI RAPPORTI CON IL TONO MUSCOLARE, TANTO CHE SI PARLA ANCHE DI TONO POSTURALE. SI PARLA ANCHE
DI TONO ANTIGRAVITATIO, DAL MOMENTO CHE MOLTI TRA QUESTI GRUPPI MUSCOLARI RIMANGONO PROLUNGATAMENTE
CONTRATTI PER CONTRASTARE LA FORZA DI GRAVITÀ, CHE TENDEREBBE A FAR AFFLOSCIARE IL CORPO VERSO TERRA. ALLORA, IL
TONO POSTURALE PUÒ ESSERE DEFINITO IN MODO ANCORA PIÙ SEMPLICE COME UNO STATO DI CONTRAZIONE DEI MUSCOLI
DEPUTATI ALLA CONSERVAZIONE DELLA POSTURA.
IL TONO MUSCOLARE COSTITUISCE UNA BASE PER LA POSTURA. QUANDO SUBENTRA UN MOVIMENTO, SI HA UNA MODIFICAZIONE
DELLA POSTURA, CHE IN REALTÀ VIENE INNESCATA DA ATTI VOLONTARI CHE IMPEGNANO INVECE VIE MOTORIE DI TIPO FASICO. IN
QUESTO CASO, IL MOVIMENTO PROVOCA DEGLI AGGIUSTAMENTI POSTURALI CHE PORTERANNO AD UNA NUOVA DISTRIBUZIONE
DEL TONO MUSCOLARE.
GLI AGGIUSTAMENTI DELLA POSTURA SI COMPIONO PER MEZZO DI DUE PRINCIPALI MECCANISMI, DEFINITI DI RETROAZIONE E
ANTICIPATORI.

IN SINTESI, LE RISPOSTE POSTURALI HANNO UN’ENTITÀ APPROPRIATA AL RAGGIUNGIMENTO DI UNA POSTURA STABILE; SE IN UNA
DETERMINATA SITUAZIONE LA RISPOSTA PIÙ PRECOCE NON È ADEGUATA, VENGONO COMPIUTI ULTERIORI AGGIUSTAMENTI
FINCHÈ LO SCOPO NON VENGA EFFICACEMENTE RAGGIUNTO. GLI AGGIUSTAMENTI POSTURALI VENGONO PERFEZIONATI
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DALL’ESERCIZIO E DALL’APPRENDIMENTO, E CIÒ SI PUÒ DIMOSTRARE NEL CASO DI MOVIMENTI VOLONTARI CHE RICHIEDANO
UN’ESECUZIONE MOLTO PRECISA.
LE RISPOSTE POSTURALI SI AVVALGONO DI INFORMAZIONI PROVENIENTI DA DIVERSI TIPI DI RECETTORI SENSORIALI, PROPRIOCETTIVI,
ESTEROCETTIVI, CUTANEI E VISIVI.
- I PROPRIOCETTORI MUSCOLO-TENDINEI E ARTICOLARI SEGNALANO LA POSIZIONE DEGLI ARTI E LA POSIZIONE DEGLI ARTI
STESSI RISPETTO AL CORPO. FRA I PROPRIOCETTORI VENGONO COMPRESI I RECETTORI VESTIBOLARI, CHE CI
INFORMANO DELLE MODIFICAZIONI DELL’ORIENTAMENTO DELLA TESTA NELLO SPAZIO.
- I RECETTORI CUTANEI SEGNALANO LE DEFORMAZIONI MECCANICHE A CARICO DELLA CUTE IN RAPPORTO ALLA
POSIZIONE DELLE VARIE REGIONI CORPOREE. SE L’AGGIUSTAMENTO HA COME FINE LA STAZIONE ERETTA, RIVESTIRANNO
GRANDE IMPORTANZA LE INFORMAZIONI PROVENIENTI DALLA CUTE DELLE PIANTE DEI PIEDI.
- LE INFORMAZIONI VISIVE CONTRIBUISCONO A SEGNALARE LE IMMAGINI DI OGGETTI COMPRESI NEL CAMPO VISIVO,
IMMAGINI CHE SI SPOSTANO IN RELAZIONE AI MOVIMENTI DELLA TESTA NELLO SPAZIO.
INTEGRAZIONE TRA MECCANISMI RIFLESSI E VOLONTARI NELLA REGOLAZIONE DELLA POSTURA
MOLTE SITUAZIONI O MODIFICAZIONI DELLA POSTURA SONO CONNESSE CON I MOVIMENTI VOLONTARI, I QUALI ALTERANO LA
POSIZIONE DEL CORPO; RISULTA ALLORA NECESSARIO CHE LA POSTURA VENGA MODIFICATA IN MODO ADEGUATO AL
MOVIMENTO CHE HA FATTO CAMBIARE LA POSIZIONE CORPOREA. CIÒ SI OTTIENE MEDIANTE FINI MECCANISMI DI INTEGRAZIONE
TRA LA POSTURA E I MOVIMENTI VOLONTARI, DOVE LE RISPOSTE MUSCOLARI VENGONO INFLUENZATE NON PIÙ SOLTANTO SU BASE
RIFLESSA, MA ANCHE DA INFLUENZE CHE SCENDONO DA FORMAZIONI TRONCOENCEFALICHE E DA PORZIONI ALTE DEL MIDOLLO
SPINALE. IN DIVERSE OCCASIONI VIENE INOLTRE RICHIESTA LA PARTECIPAZIONE DELLA CORTECCIA CEREBRALE. COSICCHÈ,
QUANDO UN ATTEGGIAMENTO POSTURALE SI TROVA A VARIARE PER L’INTERVENTO DI UN MOVIMENTO NUOVO, L’ATTIVAZIONE DEI
RECETTORI SENSORIALI PUÒ GENERARE DELLE INFLUENZE DISCENDENTI, LE QUALI POSSONO AGIRE SUI NEURONI SPINALI APRENDO,
CHIUDENDO O SEMPLICEMENTE MODULANDO I MOVIMENTI RIFLESSI CHE SONO PREPOSTI AL MANTENIMENTO DEL TONO
MUSCOLARE. ED ALLORA, SI COMPRENDE BENE COME LA POSTURA, CHE IN CONDIZIONI DI RIPOSO SI BASA ESCLUSIVAMENTE SU
MECCANISMI RIFLESSI DA STIRAMENTO, VENGA MODIFICATA DALL’INTERVENTO DI CENTRI SUPERIORI, I QUALI AGISCONO SUI CENTRI
RIFLESSI SPINALI CON IL RISULTATO DI UN’ACCENTUAZIONE DELLA RISPOSTA RIFLESSA.
I MECCANISMI PRINCIPALMENTE UTILIZZATI PER IL CONTROLLO E LA REGOLAZIONE DELLA POSTURA POSSONO RICONDURSI
ESSENZIALMENTE A DUE: I RIFLESSI VESTIBOLARI E I RIFLESSI CERVICALI.
RIFLESSI VESTIBOLARI
I RIFLESSI VESTIBOLARI SONO EVOCATI DA CAMBIAMENTI DELLA TESTA NELLO SPAZIO. ANALOGAMENTE AI RIFLESSI CERVICALI, I
RIFLESSI VESTIBOLARI GENERANO RISPOSTE COORDINATE DEI MUSCOLI DELLE BRACCIA E DELLE GAMBE. I MOVIMENTI DEL CAPO
EVOCANO ANCHE RIFLESSI VESTIBOLO-OCULARI, CHE SERVONO A STABILIZZARE LE IMMAGINI VISIVE SULLA RETINA.
I RIFLESSI VESTIBOLARI VENGONO EVOCATI PRINCIPALMENTE DA SEGNALI AFFERENTI PROVENIENTI DAGLI ORGANI OTOLITICI DEL
LABIRINTO: L’UTRICOLO E IL SACCULO. I CANALI SEMICIRCOLARI INTERVENGONO POCO SUI CIRCUITI SPINALI, MENTRE SONO
IMPLICATI SOPRATTUTTO NEL CONTROLLO DEI MOVIMENTI OCULARI IN RAPPORTO A SPOSTAMENTI DEL CAPO.
RIFLESSI VESTIBOLO-SPINALI: I SEGNALI PROVENIENTI DAGLI ORGANI OTOLITICI GIUNGONO AI NUCLEI VESTIBOLARI E DA QUI
VENGONO RITRASMESSI AL MIDOLLO SPINALE, SIA DIRETTAMENTE, ATTRAVERSO I TRATTI VESTIBOLO SPINALI, SIA
INDIRETTAMENTE, ATTRAVERSO CONNESSIONI CON LA FORMAZIONE RETICOLARE PONTINA E BULBARE (TRATTI RETICOLO
SPINALI). SIA I TRATTI VESTIBOLO SPINALI CHE I TRATTI RETICOLO SPINALI VANNO A COLPIRE I MOTONEURONI SPINALI ALFA E
GAMMA CHE INNERVANO I MUSCOLI ASSIALI DEL COLLO E DELLA SCHIENA ED ANCHE DI ALTRE REGIONI CORPOREE.
l’intervento dei riflessi vestibolo-spinali si mette in evidenza durante la caduta, preparando il soggetto al contatto con il
suolo: in questi casi il brusco spostamento in avanti della testa determina estensione degli arti superiori e flessione di quelli
inferiori, in modo da ridurre l’impatto della caduta.
RIFLESSI VESTIBOLO-CERVICALI: LE STRUTTURE BERSAGLIO COLPITE DALL’ATTIVAZIONE VESTIBOLARE NON SONO I MUSCOLI
DEGLI ARTI, BENSÌ QUELLI DEL COLLO, E COSÌ LE REAZIONI COMPENSATORIE DEL COLLO SI OPPONGONO AI MOVIMENTI CHE
TENDONO A FAR SPOSTARE IL CAPO FACENDOGLI PERDERE LA SUA STABILITÀ.
RIFLESSI CERVICALI
IL PIEGAMENTO DEL COLLO E LA ROTAZIONE DELLA TESTA RISPETTO AL CORPO PROVOCA DELLE DEFORMAZIONI NELLE STRUTTURE
CERVICALI, LE QUALI EVOCANO RIFLESSI SIA A CARICO DEI MUSCOLI DEL COLLO CHE DI QUELLI DEGLI ARTI. I RECETTORI
RESPONSABILI DI TALI AZIONI RIFLESSE SONO I FUSI NEUROMUSCOLARI DEI MUSCOLI DEL COLLO ED I RECETTORI ARTICOLARI DELLE
PRIME VERTEBRE CERVICALI.
I RIFLESSI CERVICO-CERVICALI CONSISTONO NELLA CONTRAZIONE DEI MUSCOLI DEL COLLO SOTTOPOSTI A STIRAMENTO. IL
MOVIMENTO PASSIVO DEL CAPO IN UNA CERTA DIREZIONE DETERMINA LO STIRAMENTO DEI MUSCOLI DEL COLLO DEL LATO
OPPOSTO E PROVOCA LA LORO CONTRAZIONE RIFLESSA. PER EFFETTO DI QUESTA CONTRAZIONE RIFLESSA IL CAPO SI RADDRIZZA.
GRAZIE AI RIFLESSI CERVICO-SPINALIIL PIEGAMENTO IN AVANTI DEL COLLO DETERMINA LA FLESSIONE DELL’ESTREMITÀ SUPERIORI.

RUOLO FUNZIONALE DI MECCANISMI TRONCOENCEFALICI E SPINALI NEL CONTROLLO DELLA POSTURA


LA FORMAZIONE RETICOLARE PONTINA FACILITA I MOTONEURONI CHE INNERVANO I MUSCOLI ASSIALI E I MUSCOLI ESTENSORI DEGLI ARTI;
LA FORMAZIONE RETICOLARE BULBARE, INVECE, INIBISCE I MOTONEURONI CHE INNERVANO I MUSCOLI DEL COLLO, DELLA SCHIENA E I
MUSCOLI ESTENSORI DEGLI ARTI.
AL SISTEMA RETICOLO-SPINALE SPETTA LA FUNZIONE DI COORDINARE GLOBALMENTE LA POSTURA EFFETTUANDO UN’INTEGRAZIONE
DEI SEGNALI VESTIBOLARI E SENSORIALI CON I SEGNALI CHE DISCENDONO DALLA CORTECCIA CEREBRALE.
Ad esempio, anche se la contrazione di un arto viene promossa dal tratto cortico-spinale, i relativi aggiustamenti posturali
vengono attuati in modo indiretto per il tramite del sistema cortico-reticolo-spinale.
RIGIDITÀ DA DECEREBRAZIONE
SE IL TRONCO DELL’ENCEFALO VIENE SEZIONATO SPERIMENTALMENTE AL DI SOPRA DEI NUCLEI VESTIBOLARI MA AL DI SOTTO DEL
NUCLEO ROSSO, SI INSTAURA UNA CONDIZIONE DI RIGIDITÀ CHE PREDILIGE I MUSCOLI ESTENSORI DEGLI ARTI, PERCIÒ DETTA
RIGIDITÀ DA DECEREBRAZIONE.
NEI MUSCOLI SONO SITUATI I FUSI NEUROMUSCOLARII QUALI INVIANO AL MIDOLLO SPINALE DEI SEGNALI RELATIVI ALLA LUNGHEZZA
DEL MUSCOLO OVE SONO SITUATI; DETTI SEGNALI VENGONO VEICOLATI VERSO I MOTONEURONI ALFA, I QUALI INNERVANO LE FIBRE
MUSCOLARI EXTRAFUSALI, CIOÈ QUELLE FIBRE MUSCOLARI STRIATE CHE SVILUPPANO LA FORZA MUSCOLARE.
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MA IL TONO MUSCOLARE NON DIPENDE SOLO DALLA LUNGHEZZA DEL MUSCOLO, BENSÌ ANCHE DAL GRADO DI ATTIVAZIONE DEI
MOTONEURONI GAMMA, I CUI CORPI CELLULARI GIACCIONO NEL CORNO ANTERIORE DEL MIDOLLO SPINALE, CHE INNERVANO LE
FIBRE MUSCOLARI INTRAFUSALI, CIOÈ QUELLE FIBRE MUSCOLARI CHE COSTITUISCONO I POLI DEL FUSO. ALLORA, QUANDO UN
MOTONEURONE GAMMA INVIA DELLE SCARICHE AI FUSI, L’EFFETTO SARÀ UNA CONTRAZIONE DELLE FIBRE MUSCOLARI INTRAFUSALI,
CON CONSEGUENTE ACCORCIAMENTO DEI POLI DEL FUSO.
RUOLO DEI NEURONI RETICOLO-SPINALI NELLA RIGIDITÀ DA DECEREBRAZIONE
I NEURONI RETICOLO-SPINALI ESERCITANO UN’AZIONE FACILITANTE TONICA CHE PREDILIGE I MOTONEURONI GAMMA CHE
INNERVANO I FUSI NEUROMUSCOLARI SITUATI NEI MUSCOLI ESTENSORI. CIÒ VUOL DIRE CHE DETTI MOTONEURONI GAMMA STANNO
SOTTO IL BOMBARDAMENTO CONTINUO DI POTENZIALI D’AZIONE PROVENIENTI DAI NEURONI RETICOLO SPINALI. QUINDI, I NEURONI
RETICOLO-SPINALI FACILITANO IL TONO MUSCOLARE ESTENSORIO.
MA COSA SUCCEDEREBBE SE UN SISTEMA FACILITANTE, CHE NORMALMENTE VIENE FRENATO, VENISSE IMPROVVISAMENTE LIBERATO
DALL’INIBIZIONE? CERTAMENTE FACILITEREBBE DI PIÙ, ED È PROPRIO QUESTO CHE AVVIENE DOPO UNA SEZIONE DECEREBRANTE: I
NEURONI RETICOLO-SPINALI, FINALMENTE LIBERATI DAL FRENO INIBITORIO, RIMARREBBERO LIBERI DI ESERCITARE PIENAMENTE IL LORO
RUOLO DI BOMBARDIERI NEI CONFRONTI DEI MOTONEURONI GAMMA. LA FORTE ATTIVAZIONE DEI MOTONEURONI GAMMA CHE NE
CONSEGUE FARÀ CONTRARRE MAGGIORMENTE I POLI DEI FUSI NEUROMUSCOLARI ED ALLORA I RIFLESSI MIOTATICI DEI MUSCOLI
ESTENSORI DIVENTANO IPERATTIVI ED IL TONO DI QUESTI MUSCOLI SI PRESENTA AUMENTATO.
RUOLO DEL CERVELLETTO E DEI NEURONI VESTIBOLO-SPINALI NELLA RIGIDITÀ DA DECEREBRAZIONE
È NOTO CHE IL CERVELLETTO INTRATTIENE STRETTI COLLEGAMENTI CON I NEURONI VESTIBOLARI, ED È IN GRADO DI INFLUENZARE IL
TONO MUSCOLARE MODULANDO L’ATTIVITÀ DI QUESTI NEURONI. IN PARTICOLARE, IL LOBO ANTERIORE DEL CERVELLETTO INIBISCE I
NUCLEI VESTIBOLARI; QUINDI LA STIMOLAZIONE DEL LOBO ANTERIORE DELLA CORTECCIA CEREBELLARE RIDUCE LA RIGIDITÀ DA
DECEREBRAZIONE. QUEST’ULTIMA VIENE INVECE ESALTATA DALLA DISTRUZIONE DEL LOBO ANTERIORE, COSÌ COME DALLA SUA
DISATTIVAZIONE FUNZIONALE. PERTANTO, QUANDO IL LOBO ANTERIORE DEL CERVELLETTO VIENE DISTRUTTO, I NEURONI VESTIBOLO-
SPINALI VENGONO LIBERATI DALL’INIBIZIONE CEREBELLARE E FACILITERANNO I MOTONEURONI ALFA PER I MUSCOLI ESTENSORI.
RUOLO DEL NUCLEO ROSSO NELLA RIGIDITÀ DA DECEREBRAZIONE
SI È DETTO CHE LA CONDIZIONE DI RIGIDITÀ DA DECEREBRAZIONE SI INSTAURA NON APPENA IL TRONCO DELL’ENCEFALO VIENE
SEZIONATO AL DI SOPRA DEI NUCLEI VESTIBOLARI, MA AL DI SOTTO DEL NUCLEO ROSSO. INFATTI, LA POSTURA ESTENSORIA NON SI
OSSERVA SE LA SEZIONE VIENE SEGUITA AL DI SOPRA DEL LIVELLO DEL NUCLEO ROSSO; QUINDI, LA POSTURA VIENE REGOLATA
ANCHE DAI NEURONI DEL NUCLEO ROSSO, I QUALI INIBISCONO I TRATTI VESTIBOLO-SPINALE E RETICOLO-SPINALE, CHE A LORO
VOLTA FACILITANO IL TONO MUSCOLARE ESTENSORIO. PERTANTO, LA SEZIONE DECEREBRANTE CONDOTTA AL DI SOTTO DEL
NUCLEO ROSSO INTERROMPE LE INFLUENZE INIBITORIE SULLE VIE FACILITATORIE, VENENDOSI A CREARE LA RIGIDITÀ.
RUOLO DELLA CORTECCIA CEREBRALE
IL CONTRIBUTO DELLA CORTECCIA CEREBRALE NELLA RIGIDITÀ DA DECEREBRAZIONE È STATO DESUNTO DALL’OSSERVAZIONE CHE
DEI PAZIENTI CON GRAVI LESIONI DEGLI EMISFERI CEREBRALI PRESENTANO UN’ALTERAZIONE DELLA POSTURA, DETTA RIGIDITÀ DA
DECORTICAZIONE. IN QUESTA CONDIZIONE PATOLOGICA SI OSSERVA UNA CONTRAZIONE TONICA DEI MUSCOLI ESTENSORI DEGLI
ARTI INFERIORI. D’ALTRO CANTO, DELLE LESIONI DELLE AREE CORTICALI PREMOTORIE O DELLE LORO VIE EFFERENTI PROVOCANO
SPASTICITÀ. QUESTA È UNA CONDIZIONE CARATTERIZZATA DALL’AUMENTO DEL TONO MUSCOLARE CON UNA DISTRIBUZIONE
ANALOGA A QUELLA OSSERVATA NELLA RIGIDITÀ DA DECORTICAZIONE, ANCHE SE LA SPASTICITÀ È CARATTERIZZATA DA AUMENTO
DELLA RESISTENZA AL MOVIMENTO DEGLI ARTI, MA HA UN CARATTERE PIÙ PLASTICO.

CONTROLLO DEI MOVIMENTI OCULARI


MUSCOLI ESTRINSECI DEL GLOBO OCULARE
GLI SPOSTAMENTI DEI GLOBI OCULARI SONO GARANTITI DALLA PRESENZA DI MUSCOLI ESTERNI AGLI OCCHI STESSI.
POSTERIORMENTE, I MUSCOLI ESTRINSECI SI INSERISCONO QUASI TUTTI SU STRUTTURE FIBROSE SITUATE NEL FONDO DELL’ORBITA E SI
PORTANO IN AVANTI ADERENDO ALLE SUPERFICI LATERALI DEI GLOBI OCULARI. COSÌ, QUANDO UNO O UN GRUPPO DI QUESTI
MUSCOLI SI CONTRAE, L’OCCHIO SI MUOVE IN UNA CERTA DIREZIONE.
I MUSCOLI OCULOMOTORI SONO SEI PER CIASCUN OCCHIO. ABBIAMO IL MUSCOLO RETTO SUPERIORE E IL MUSCOLO RETTO
INFERIORE, I QUALI AZIONANO IL GLOBO OCULARE VERSO L’ALTO E VERSO IL BASSO; IL MUSCOLO RETTO MEDIALE E IL MUSCOLO
RETTO LATERALE FANNO SPOSTARE L’OCCHIO VERSO L’INTERNO E VERSO L’ESTERNO; INFINE, IL MUSCOLO OBLIQUO SUPERIORE E IL
MUSCOLO OBLIQUO SUPERIORE PRODUCONO DEVIAZIONE DELL’OCCHIO INSENSO OBLIQUO, VERSO L’INTERNO E VERSO
L’ESTERNO.

I MUSCOLI ESTRINSECI DELL’OCCHIO SONO INNERVATI DA TRE NERVI CRANICI:


- NERVO OCULOMOTORE COMUNE (III paio): INNERVA I MUSCOLI RETTO SUPERIORE, RETTO INFERIORE, RETTO MEDIALE,
OBLIQUO INFERIORE E IL MUSCOLO ELEVATORE DELLA PALPEBRA.
- NERVO TROCLEARE(IV paio): INNERVA IL MUSCOLO OBLIQUO SUPERIORE.
- NERVO ABDUCENTE (VI paio): INNERVA IL MUSCOLO RETTO LATERALE.
NELLA MASSIMA PARTE DEI CASI GLI OCCHI SI MUOVONO IN MODO
Muscolo oculare Nervo Movimento oculare CONIUGATO, COSÌ SI SPOSTANO NELLA STESSA DIREZIONE. È
cranico INTERESSANTE FAR PRESENTE CHE LA CONTRAZIONE DI UN MUSCOLO
RETTO SUPERIORE, CHE FA SPOSTARE L’OCCHIO VERSO L’ALTO, SI
Retto superiore III In alto e all’interno ACCOMPAGNA ALLA CONTRAZIONE DEL MUSCOLO ELEVATORE DELLA
PALPEBRA SUPERIORE.
Retto inferiore III In basso e all’interno SONO STATI DESCRITTI QUATTRO TIPI DI MOVIMENTI ORGANIZZATI DEI
GLOBI OCULARI:
Retto mediale III All’interno MOVIMENTI SACCADICI: SI TRATTA DI PICCOLI MOVIMENTI CONIUGATI
DEGLI OCCHI. QUESTI MOVIMENTI SONO MOLTO RAPIDI E POSSONO
ESSERE VOLONTARI, MA ANCHE RIFLESSI. DURANTE IL MOVIMENTO
Retto laterale VI All’esterno
SACCADICO LA VISIONE DEGLI OGGETTI NON È NITIDA, E RIMARRÀ
SFOCATA FINO A QUANDO L’OCCHIO SI FERMA PER FISSARE
Obliquo superiore IV In basso e all’esterno L’OGGETTO DESIDERATO. ANCHE SE UN MOVIMENTO SACCADICO È

Obliquo inferiore III In alto e all’esterno


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TERMINATO PERCHÉ SI È GIÀ INSTAURATA LA FASE DI FISSAZIONE DI UN OGGETTO, L’OCCHIO NON RIMANE IMMOBILE IN
SENSO ASSOLUTO: ESSO, INFATTI, CONTINUA A COMPIERE DEI MOVIMENTI SACCADICI INVOLONTARI CHE PERÒ SONO
MOLTO FINI E QUASI IMPERCETTIBILI. QUESTI ULTIMI MOVIMENTI PRENDONO IL NOME DI NISTAGMO FISIOLOGICO.
MOVIMENTI DI INSEGUIMENTO LENTO: QUANDO UN OGGETTO SI SPOSTA LENTAMENTE NEL CAMPO VISIVO, IL NOSTRO
SGUARDO LO SEGUE ALTRETTANTO LENTAMENTE. LA FINALITÀ DI QUESTO MOVIMENTO DI INSEGUIMENTO È MOLTO CHIARA:
ANCHE SE L’OGGETTO È IN MOVIMENTO, LA SUA IMMAGINE CONTINUA A MANTENERSI FISSA SULLA RETINA. IL MOVIMENTO DI
INSEGUIMENTO LENTO È MENO VELOCE DI QUELLO SACCADICO, ANCHE SE INSORGE PIÙ PRONTAMENTE. PER QUANTO
RIGUARDA I MECCANISMI NEUROFISIOLOGICI ALLA BASE DEI MOVIMENTI DI INSEGUIMENTO LENTO SI PUÒ DIRE CHE
DIPENDONO DALL’ARRIVO DELLE INFORMAZIONI VISIVE NELL’AREA VISIVA PRIMARIA, MA NEL LORO CONTROLLO SONO
COINVOLTE ANCHE LE AREE VISIVE SECONDARIE, OLTRE CHE LA STAZIONE MESENCEFALICA DELLA VIA VISIVA PRINCIPALE.
MOVIMENTI DI ORIGINE VESTIBOLARE: (riflesso vestibolo-oculare)
MOVIMENTI DI VERGENZA: I DUE GLOBI OCULARI TENDONO A CONVERGERE QUANDO SI TENTA DI FISSARE UN OGGETTO CHE
SI AVVICINA, MENTRE TENDONO A DIVERGERE NELLA SITUAZIONE OPPOSTA. SONO QUESTI GLI UNICI CASI IN CUI GLI OCCHI
NON COMPIONO MOVIMENTI CONIUGATI, BENSÌ COMPIONO DEI MOVIMENTI DISGIUNTIVI IN QUANTO SI SPOSTANO L’UNO
VERSO DESTRA E L’ALTRO VERSO SINISTRA.
CONTROLLO DEL CERVELLETTO SUI MOVIMENTI OCULARI
ALLA CORTECCIA DEL CERVELLETTO GIUNGONO AFFERENZE DELLA SFERA VISIVA TRAMITE LE FIBRE MUSCOIDI, PROVENIENTI SIA DAL
COLLICOLO SUPERIORE DEL MESENCEFALO, SIA DALL’AREA VISIVA DELLA CORTECCIA CEREBRALE.
IL LOBO FLOCCULO-NODULARE REGOLA LA POSIZIONE DEGLI OCCHI RISPETTO A QUELLA DELLA TESTA E DEL CORPO, PER
CONSENTIRE AL SOGGETTO CHE SI MUOVE DI CONTINUARE A FISSARE GLI OGGETTI CHE RICADONO NEL PROPRIO CAMPO VISIVO.
SI È ANCHE VISTO COME IL VERME SIA IN GRADO DI CONTROLLARE I MOVIMENTI DELL’OCCHIO CHE PROVVEDONO
ALL’ESPLORAZIONE DEL CAMPO VISIVO.
RIFLESSO VESTIBOLO-OCULARE E NISTAGMO
L’ORGANIZZAZIONE MORFO-FUNZIONALE DELLA RETINA UMANA PERMETTE DI VEDERE UN OGGETTO CHE SI PRESENTA ALL’INTERNO
DI UN CAMPO VISIVO PIUTTOSTO AMPIO. PERÒ, L’IMMAGINE DELLO STESSO OGGETTO VIENE PERCEPITA COME NITIDA SOLO
QUANDO ESSA VA A COINCIDERE CON LA REGIONE DELLA FOVEA, CHE HA UN’ESTENSIONE RIDOTTISSIMA; SA CIÒ DERIVA
L’ESIGENZA CHE L’IMMAGINE VENGA A FORMARSI PROPRIO NELLA FOVEA.
QUANDO LA TESTA SI SPOSTA NELLO SPAZIO, LA FISSAZIONE DELL’IMMAGINE NELLA FOVEA VIENE DISTURBATA; TUTTAVIA, LA
ROTAZIONE DELLA TESTA NELLO SPAZIO PROVOCA AL CONTEMPO DELLE REAZIONI MOTORIE (soprattutto oculomotorie) CHE
TENDONO A MANTENERE TALE FISSAZIONE IL PIÙ A LUNGO POSSIBILE. LE REAZIONI OCULOMOTORIE PROVOCATE DA UNA
ROTAZIONE ANGOLARE PRENDONO IL NOME DI NISTAGMO OCULARE.
NISTAGMO DELLA TESTA: SI TRATTA DI UNA FORMA DI NISTAGMO CHE COMPARE IN RISPOSTA ALL’ACCELERAZIONE O ALLA
DECELERAZIONE ANGOLARE DELLA TESTA. AD ESSERE COINVOLTI SONO I MUSCOLI DEL COLLO, I CUI MOVIMENTI SONO
ANCH’ESSI ORGANIZZATI NELLE DUE FASI LENTA E RAPIDA E CON DIREZIONI IDENTICHE ALLE SCOSSE OCULARI: A SEGUITO DI
ACCELERAZIONI LA TESTA BATTERÀ NELLA STESSA DIREZIONE DELLA ROTAZIONE, VICEVERSA DOPO LE DECELERAZIONI. SI
TRATTA DI UN RIFLESSO EVOCATO DALLA STIMOLAZIONE LABIRINTICA, LA QUALE OLTRE AD INFLUENZARE I MOTONEURONI PER
I MUSCOLI OCULARI COINVOLGE ANCHE MOTONEURONI SPINALI CHE INNERVANO I MUSCOLI DEL COLLO.
NISTAGMO CEREBELLARE: SI TRATTA DI UN VERO E PROPRIO TREMORE DEI GLOBI OCULARI CHE SI EVIDENZIA SOPRATTUTTO
QUANDO IL SOGGETTO CERCA DI FISSARE DEGLI OGGETTI POSTI IN REGIONI LATERALI DEL CAMPO VISIVO.
NISTAGMO OPTO-CINETICO: OLTRE CHE DA STIMOLAZIONI LABIRINTICHE, IL NISTAGMO PUÒ ESSERE PROVOCATO ANCHE DA
STIMOLI VISIVI IN MOVIMENTO. SI PARLA IN TAL CASO DI NISTAGMO OPTO-CINETICO. ESSO SI COMPONE DI UNA FASE LENTA
NELLA STESSA DIREZIONE DELL’OGGETTO IN MOVIMENTO (movimenti di inseguimento lento) E DI UNA FASE RAPIDA DI
RICHIAMO IN DIREZIONE OPPOSTA. Questa forma di nistagmo è facile da osservare quando si guarda fuori dal finestrino di
un treno in movimento e si vedono degli oggetti che ci scorrono davanti in successione.
RIFLESSI CERVICALI TONICI SUGLI OCCHI
ESISTE UN TERZO MECCANISMO DI RIFLESSO OCULOMOTORIO, DIVERSO DAL NISTAGMO VESTIBOLO-OCULARE E DA QUELLO OPTO-
CINETICO, CHE CONTRIBUISCE ANCH’ESSO ALLA FISSAZIONE DEL CAMPO VISIVO. QUESTO TERZO RIFLESSO SI ATTIVA QUANDO SI
COMPIONO DEI MOVIMENTI DEL COLLO PER FAR RUOTARE LA TESTA; VENGONO ESERCITATE TRE STIMOLAZIONI: STIMOLAZIONE
LABIRINTICA (conseguente della rotazione della testa), STIMOLAZIONE VISIVA (conseguente dello spostamento degli oggetti nel
campo visivo) E STIMOLAZIONE PROPRIOCETTIVA DEL COLLO IN MOVIMENTO, CON ATTIVAZIONE DI RECETTORI MUSCOLARI,
ARTICOLARI, TENDINEI E CUTANEI.
LA FINALITÀ SPECIFICA DEI RIFLESSI CERVICALI TONICI SUGLI OCCHI SAREBBE QUELLA DI MANTENERE COSTANTE L’ASSE OCULARE
CONTRO LE TORSIONI DEL COLLO, CON LA COOPERAZIONE DI MECCANISMI NISTAGMICI VESTIBOLARI E OPTO CINETICI.
LE REAZIONI OCULOMOTORIE DI COMPENSAZIONE SI FONDANO SULL’INTEGRAZIONE DI MOLTEPLICI INFORMAZIONI CHE
PROVENGONO FONDAMENTALMENTE DAI RECETTORI VESTIBOLARI, VISIVI E PROPRIOCETTIVI. IL PRINCIPALE CENTRO DI
INTEGRAZIONE DELLE INFORMAZIONI AFFERENTI È RAPPRESENTATO DAI NUCLEI VESTIBOLARI, I QUALI RITRASMETTONO IL SEGNALE
GIÀ INTEGRATO AI MOTONEURONI ENCEFALICI PER I NERVI OCULOMOTORI ED AI MOTONEURONI SPINALI PER I MUSCOLI DEL
COLLO.

GANGLI DELLA BASE


ORGANIZZAZIONE MORFO-FUNZIONALE DEI GANGLI DELLA BASE
SI TRATTA DI CENTRI NERVOSI RAGGRUPPATI NELLA PROFONDITÀ DELLA SOSTANZA BIANCA DEGLI EMISFERI CEREBRALI. DI QUESTO
GRUPPO FANNO PARTE TRE CENTRI: IL PUTAMEN, IL NUCLEO CAUDATOE IL GLOBO PALLIDO.
SE DAL PUNTO DI VISTA STRETTAMENTE ANATOMICO QUESTI TRE CENTRI SONO GLI UNICI FACENTI PARTE DEI GANGLI DELLA BASE,
VANNO CONSIDERATE ALTRE DUE STRUTTURE CHE SONO ACCOMUNATE AI GANGLI DELLA BASE DAL PUNTO DI VISTA FUNZIONALE, IL
CORPO DI LUYS (O NUCLEO SUBTALAMICO) E LA SOSTANZA NERA DEL SOMERING.
IL PUTAMEN E IL NUCLEO CAUDATO FANNO PARTE DEL TELENCEFALO E SONO CARATTERIZZATI DA NEURONI DI DIMENSIONI
PIUTTOSTO PICCOLE, I QUALI, INVECE CHE PRESENTARSI AMMASSATI IN NUCLEI GRIGI, SONO ATTRAVERSATI DA FASCETTI DI
FIBRENERVOSE MIELINICHE CHE CONFERISCONO ALL’INSIEME UN ASPETTO STRIATO, TANTO CHE QUESTE STRUTTURE SONO
CONOSCIUTE ANCHE COME “LO STRIATO”. INVECE, IL GLOBO PALLIDO È UNA FORMAZIONE DIENCEFALICA, FILOGENETICAMENTE
PIÙ ANTICA.
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I GANGLI DELLA BASE PRESENTANO DELLE CONNESSIONI NERVOSE MOLTO COMPLESSE, IN QUANTO LE STRUTTURE CHE LI
COSTITUISCONO INTERAGISCONO FRA LORO, CON LA CORTECCIA CEREBRALE E CON LA SOSTANZA NERA.
I NEUROTRASMETTITORI DI CUI SI SERVONO I NEURONI DEL PUTAMEN E DEL NUCLEO CAUDATO SONO DI DIVERSO TIPO; QUELLI PIÙ
IMPORTANTI SONO L’ACETILCOLINA, IL GABA, LA GLUTAMINA, LA NORADRENALINA E LA SEROTONINA. CARATTERISTICA È LA
PRESENZA DI DOPAMINA NELLE TERMINAZIONI DELLE FIBRE CHE DALLA SOSTANZA NERA PROIETTANO AL PUTAMEN E AL
CAUDATO(vie nigro-striate). LO STRIATO PROIETTA ALLA SOSTANZA NERA (vie strio-nigre) MEDIANTE NEURONI CHE IMPIEGANO IL
GABA.
FUNZIONI DEI GANGLI DELLA BASE
LE CONOSCENZE SULLE PRECISE FUNZIONI DEI GANGLI DELLA BASE NON SONO ANCORA BEN DEFINITE. I DATI CHE SI SONO POTUTI
RICAVARE SONO QUELLI DOVUTI ALL’OSSERVAZIONE DI EFFETTI MOTORI CONSEGUENTI ALLA STIMOLAZIONE ELETTRICA OPPURE A
DISTRUZIONI SPERIMENTALI E I DISTURBI CHE CONSEGUONO A PATOLOGIE A CARICO DELLE DIVERSE STAZIONI.
I RISULTATI DELLA STIMOLAZIONE ELETTRICA O DELLA DISTRUZIONE NON SONO MOLTO CHIARI, IN QUANTO NÉ LA STIMOLAZIONE NÉ
LA DISTRUZIONE POSSONO CONSIDERARSI ESCLUSIVE, A CAUSA DELLE NUMEROSE FIBRE NERVOSE CHE ATTRAVERSANO I NUCLEI
DELLA BASE. TUTTAVIA, LE REAZIONI PIÙ COMUNEMENTE OSSERVATE CONSISTONO IN MOVIMENTI DI TORSIONE DEL COLLO,
RIDUZIONE DELL’ATTIVITÀ MOTORIA O VARIAZIONI DEL TONO MUSCOLARE.
I DEFICIT MOTORI DOVUTI A LESIONI PATOLOGICHE DELLO STRIATO SONO RAGGRUPPATI IN DUE FONDAMENTALI MALATTIE
NEUROLOGICHE:
- LA COREA SI PRESENTA SOTTO DUE FORME PRINCIPALI, UNA CONGENITA E UNA ACQUISITA.
LA FORMA CONGENITA VIENE INDIVIDUATA COME COREA MAJOR O COREA DI HUNTINGTON. QUESTA FORMA
CONGENITA È UNA MALATTIA GENETICA CHE SI MANIFESTA QUASI SEMPRE IN ETÀ ADULTA; I DISTURBI CONSISTONO IN
MOVIMENTI MOLTO RAPIDI, INVOLONTARI E INCOERCIBILI, I QUALI INTERESSANO PER LO PIÙ I MUSCOLI DEGLI ARTI,
DELLA LINGUA E DEL VISO, CHE SPESSO SI ESTENDONO AD ALTRI GRUPPI MUSCOLARI, DANDO NELL’INSIEME
L’IMPRESSIONE DI UNA DANZA.
LA FORMA ACQUISITA SI PRESENTA GENERALMENTE IN ETÀ PEDIATRICA, NEL CORSO O DOPO MALATTIE INFETTIVE. A
CAUSA DELLE SCOSSE MUSCOLARI DISORDINATE E SCOMPOSTE, VIENE ANCHE INDICATA COME BALLO DI SAN VITO. È
SOSTANZIALMENTE UNA MALATTIA AD ANDAMENTO BENIGNO.
- I MOVIMENTIATETOSICI SONO PIUTTOSTO LENTI ED INTERESSANO I MUSCOLI DISTALI DEGLI ARTI. SI PRESENTANO COME
FLESSIONI ED ESTENSIONI DEL POLSO E DELLE DITA DELLA MANO, CHE RICHIAMANO IN MENTE I MOVIMENTI
TENTACOLARI DI UN POLIPO.
SIA I MOVIMENTI COREICI CHE QUELLI ATETOSICI SI RINFORZANO NEGLI STATI DI EMOZIONE E SI RIDUCONO DURANTE IL SONNO.
EMIBALLISMO: QUESTA SINDROME COMPARE A SEGUITO DI LESIONI PATOLOGICHE A CARCO DI REGIONI DEL CORPO LUYS
(O NUCLEO SUBTALAMICO). L’EMIBALLISMO SI MANIFESTA COME MOVIMENTI INVOLONTARI ARITMICI, ORA RAPIDI, ORA
LENTI, CHE SI ASSOCIANO A MOVIMENTI DI TORSIONE DEL TRONCO E DEL CAPO ATTORNO ALL’ASSE LONGITUDINALE DEL
CORPO. A DIFFERENZA CON I MOVIMENTI COREICI E ATETOSICI, I MOVIMENTI DELL’EMIBALLISMO NON SI ATTENUANO
DURANTE IL SONNO.
MORBO DI PARKINSON: QUESTA MALATTIA PUÒ AVERE DIVERSE CAUSE E SI DISTINGUONO DUE FORME PRINCIPALI:
- UN PARKINSONISMO SINTOMATICO, SECONDARIO A CAUSE ISCHEMICHE, INFIAMMATORIE O TOSSICHE;
- UN MORBO DI PARKINSON IDIOPATICO DI CUI NON SI RICONOSCE ALCUN FATTORE CAUSALE.
IN QUESTE FORMEL’ESAME AUTOPTICO MOSTRA COMUNEMENTE UN DETERIORAMENTO DELLA SOSTANZA NERA CON
CONSEGUENTE DEGENERAZIONE DELLE PROIEZIONI NIGRO-STRIATE; MA SONO PRESENTI ANCHE ALTERAZIONI DEI VERI E
PROPRI GANGLI DELLA BASE, DEL CORPO DI LUYS, DEI NUCLEI TALAMICI O DEL NUCLEO ROSSO. NEI CASI PIÙ CONCLAMATI
RISULTANO ALTERATE ANCHE LA CORTECCIA CEREBRALE DEL LOBO FRONTALE E LA CORTECCIA CEREBELLARE.
IL FATTORE PATOGENETICO PIÙ IMPORTANTE NEL DETERMINARE IL MORBO DI PARKINSON È LA CARENZA DI DOPAMINA. IN
CONDIZIONI NORMALI, QUESTO NEUROTRASMETTITORE È PRESENTE IN ABBONDANZA A LIVELLO DELLE TERMINAZIONI DELLE
PROIEZIONI NIGRO-STRIATE. I SINTOMI CHE CARATTERIZZANO IL MORBO DI PARKINSON SONO ESSENZIALMENTE TRE: IL
TREMORE, L’IPOCINESIA E L’IPERTONO MUSCOLARE.
- IL PAZIENTE SCUOTE RITMICAMENTE LA MANO E ALTRETTANTO RITMICAMENTE MUOVE LE DITA COME NEL GESTO DI
CONTARE I SOLDI. IL TREMORE DEL MORBO DI PARKINSON È CARATTERISTICAMENTE INDICATO COME TREMORE A
RIPOSO, IN QUANTO SI PRESENTA SOLO MENTRE UN ARTO È FERMO E SI ARRESTA NON APPENA L’ARTO SI METTE IN
MOVIMENTO.
- L’IPOCINESIA SI MANIFESTA COL FATTO CHE IL PAZIENTE PERDE L’INIZIATIVA MOTORIA: FA FATICA AD INIZIARE UN
MOVIMENTO, COSÌ COME FA FATICA AD ARRESTARLO. LA DEAMBULAZIONE DEL SOGGETTO CON PARKINSON È
CARATTERISTICA: ESSA NON È ACCOMPAGNATA DALLE NATURALI OSCILLAZIONI DELLE BRACCIA E IL SOGGETTO
CAMMINA PROIETTATO IN AVANTI. L’IPOCINESIA RIGUARDA ANCHE I MUSCOLI MIMICI, CONFERENDO AL SUO VISO UN
ASPETTO INESPRESSIVO.
- L’IPERTONO MUSCOLARE È SEMPRE PRESENTE ED È MOLTO EVIDENTE ALLA PALPAZIONE. QUANDO SI TENTA DI PIEGARE
L’AVAMBRACCIO SUL BRACCIO SI INCONTRA UNA CERTA RESISTENZA E IL MOVIMENTO DI FLESSIONE PASSIVA PROCEDE
A SCATTI, DANDO L’IMPRESSIONE CHE L’ARTICOLAZIONE DEL GOMITO ABBIA UNA CONFORMAZIONE DENTATA.

CERVELLETTO
SUDDIVISIONE FILOGENETICA
NEL CERVELLETTO SONO PRESENTI TRE PORZIONI DIFFERENTI, CHE SI DISTINGUONO IN RAPPORTO AL LORO SVILUPPO NEGLI ANIMALI
POSTI A VARI LIVELLI DELLA SCALA ZOOLOGICA; CIÒ VUOL DIRE CHE NEGLI ORGANISMI PIÙ PRIMITIVI UNA PARTE ERA GIÀ PRESENTE
E BEN SVILUPPATA (ARCHICEREBELLO), MENTRE UN’ALTRA PARTE HA AVUTO IL SUO SVILUPPO IN EPOCHE SUCCESSIVE
(PALEOCEREBBELLO), L’ULTIMA PARTE, COMPARSA ANCORA PIÙ DI RECENTE, È PRESENTE E BEN SVILUPPATA NEGLI ANIMALI PIÙ
EVOLUTI (NEOCEREBELLO).
L’ARCHICEREBELLO, CHE CORRISPONDE AL LOBO FLOCCULO-NODULARE, È CONNESSO PIÙ STRETTAMENTE CON L’APPARATO
VESTIBOLARE, CHE È ANCHE UNA STRUTTURA FILOGENETICAMENTE PIÙ ANTICA;
IL PALEOCEREBELLO CORRISPONDE AL LOBO ANTERIORE NEL VERME E ALLE REGIONI PARAMEDIANE NEGLI EMISFERI ED È IN
CONNESSIONE PREFERENZIALE CON IL MIDOLLO SPINALE;
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IL NEOCEREBELLO, CHE CORRISPONDE ALLE PORZIONI PIÙ LATERALI DEGLI EMISFERI CEREBELLARI, È IN RELAZIONE PREMINENTE CON
LA CORTECCIA CEREBRALE CHE SI PRESENTA MAGGIORMENTE SVILUPPATA NEGLI ANIMALI PIÙ EVOLUTI.
RUOLO DEL CERVELLETTO NEL CONTROLLO DEL MOVIMENTO
IL CERVELLETTO SVOLGE UN RUOLO PRIMARIO NELLA PROGRAMMAZIONE E NEL CONTROLLO DELL’ESECUZIONE DEL MOVIMENTO. QUESTE FUNZIONI CEREBELLARI SI BASANO
SULLE ESTESE CONNESSIONI RECIPROCHE CHE IL CERVELLETTO INTRATTIENE SIA CON LE AREE MOTORIE DELLA CORTECCIA CEREBRALE, SIA CON LE STRUTTURE MOTORIE DEL
TRONCO DELL’ENCEFALO. INFATTI, IL CERVELLETTO RICEVE INFORMAZIONI DALLA CORTECCIA CEREBRALE E NE INVIA ALTRE A QUEST’ULTIMA, MEDIANTE STAZIONI INTERMEDIE
NEL TALAMO. IL CERVELLETTO RICEVE I MESSAGGI DALLA PERIFERIA SOMATICA CHE SALGONO DAL MIDOLLO SPINALE; GRAZIE A QUESTI MESSAGGI IL CERVELLETTO VIENE
INFORMATO SULLA POSIZIONE CORPOREA SIA PRIMA CHE IL MOVIMENTO INIZI, SIA MENTRE ESSO VIENE ESEGUITO. IL CERVELLETTO, PERÒ, NON INVIA AL MIDOLLO SPINALE
DELLE PROIEZIONI SIGNIFICATIVE, PUR ESSENDO IN GRADO DI CONTROLLARE I MOTONEURONI TRONCOENCEFALICI.
I PRINCIPALI DEFICIT DA LESIONE CEREBELLARE SONO L’ATASSIA E IL TREMORE INTENZIONALE. L’ATASSIA SI MANIFESTA CON LA PERDITA DI COORDINAZIONE E DI ACCURATEZZA
DEI MOVIMENTI DEGLI ARTI; IL TREMORE CEREBELLARE SI PRESENTA DURANTE L’ESECUZIONE DEI MOVIMENTI VOLONTARI, MENTRE SCOMPARE A RIPOSO.
CONNESSIONI AFFERENTI ED EFFERENTI
- CONNESSIONI AFFERENTI:
AL CERVELLETTO PERVIENE UN GRANDE FLUSSO DI INFORMAZIONI PROVENIENTI DALLA PERIFERIA: SEGNALI PROPRIOCETTIVI,
ESTEROCETTIVI, VISIVI E ACUSTICI. LE INFORMAZIONI PROVENGONO ANCHE DA NUMEROSE FORMAZIONI DEL TRONCO
DELL’ENCEFALO E DALLA CORTECCIA CEREBRALE. UN TALE FLUSSO DI INFORMAZIONI CEREBELLIPETE HA COME BERSAGLIO LA
CORTECCIA DEL CERVELLETTO, ED IN PARTICOLARE LE CELLULE DI PURKINJE. I CANALI CHE VEICOLANO LE SUDDETTE
INFORMAZIONI VERSO LE CELLULE DI PURKINJE SONO COMPOSTI DA DUE TIPI DI FIBRE AFFERENTI: LE FIBRE MUSCOIDI (O
PARALLELE) E LE FIBRE RAMPICANTI.
FIBRE MUSCOIDI: RAPPRESENTANO GLI ASSONI AFFERENTI CHE TRASPORTANO INFORMAZIONI SOMATICHE, VESTIBOLARI
E PROVENIENTI DALLA CORTECCIA CEREBRALE E DA ALTRI NUCLEI DEL TRONCO DELL’ENCEFALO. LE FIBRE MUSCOIDI
CHE PENETRANO NEL CERVELLETTO SI DIRIGONO VERSO LA CORTECCIA CEREBELLARE MA SI FERMANO NEL SUO
STRATO PIÙ PROFONDO, STABILENDO UN RAPPORTO SINAPTICO CON I GRANULI; A SUA VOLTA, CIASCUN GRANULO
EMETTE UN ASSONE ASCENDENTE, IL QUALE SALE VERSO LA SUPERFICIE DELLA CORTECCIA CEREBELLARE MA SI
ARRESTA IN CORRISPONDENZA DELLO STRATO MOLECOLARE. QUI SI BIFORCA A T, DANDO ORIGINE A DUE FIBRE
PARALLELE CHE DECORRONO PARALLELAMENTE ALLA SUPERFICIE CORTICALE. CIASCUNA FIBRA PARALLELA FA SINAPSI
CON LE ARBORIZZAZIONI DENDRITICHE DELLE CELLULE DI PURKINJE CHE INCONTRA NEL SUO PERCORSO,
DISTRIBUENDO AD ESSE LE INFORMAZIONI AFFERENTI CHE SONO ENTRATE NEL CERVELLETTO ATTRAVERSO LE FIBRE
MUSCOIDI.
LA DISTRIBUZIONE DEI MESSAGGI CHE ARRIVANO ALLE CELLULE DI PURKINJE PER IL TRAMITE DELLE FIBRE MUSCOIDI
TIENE ANCHE CONTO DELL’AZIONE SVOLTA DA TRE TIPI DI INTERNEURONI: LE CELLULE STELLATE, LE CELLULE A
CANESTRO E LE CELLULE DI GOLGI DEL II TIPO.
SE SI VOGLIONO PRECISARE I RUOLI DEI NEURONI PRESENTI NELLA CORTECCIA CEREBELLARE, SI DEVE DARE PRESENTE
CHE LE FIBRE MUSCOIDI SVOLGONO UN’AZIONE ECCITATORIA SUI GRANULI, I QUALI A LORO VOLTA ECCITANO LE
CELLULE DI PURKINJE. INVECE, LE INFLUENZE DEI TRE TIPI DI INTERNEURONI SONO DI TIPO INIBITORIO E PERTANTO ESSI
SVOLGONO UN RUOLO COMPLESSO NELL’ELABORAZIONE DEI SEGNALI AFFERENTI.
FIBRE RAMPICANTI: PROVENGONO ESCLUSIVAMENTE DA NEURONI DEL NUCLEO OLIVARE INTERIORE DEL BULBO, IL
QUALE VEICOLA AL CERVELLETTO MESSAGGI ASCENDENTI PROVENIENTI DAL MIDOLLO SPINALE. LE FIBRE RAMPICANTI
SI DISTINGUONO DA QUELLE MUSCOIDI PER DUE CARATTERISTICHE PRINCIPALI:
o LE FIBRE RAMPICANTI NON SI FERMANO NELLO STRATO DEI GRANULI, BENSÌ SALGONO FINO ALLO STRATO
DOVE HANNO SEDE I DENDRITI DELLE CELLULE DI PURKINJE; UNA VOLTA GIUNTE LÌ, LE FIBRE RAMPICANTI SI
RAMIFICANO ADERENDO ALL’ALBERO DENDRITICO DELLE CELLULE DI PURKINJE.
o CIASCUNA FIBRA RAMPICANTE CONTRAE NUMEROSE SINAPSI CON I SUDDETTI DENDRITI, MA SOLO CON I
DENDRITI DI UNA SOLA CELLULA DI PURKINJE.
o LE FIBRE RAMPICANTI SONO DI TIPO ECCITATORIO E PERTANTO LA LORO ATTIVAZIONE PROMUOVE LA
SCARICA DELLE CELLULE DI PURKINJE CON CUI FANNO SINAPSI.
- CONNESSIONI EFFERENTI
I MESSAGGI AFFERENTI AL CERVELLETTO VANNO A TERMINARE NELLA CORTECCIA CEREBELLARE; DA QUI VENGONO EMESSE DELLE
SCARICHE DI POTENZIALI D’AZIONE ATTRAVERSO I NEURITI DELLE CELLULE DI PURKINJE. QUESTI NEURITI, CHE RAPPRESENTANO
L’UNICO CANALE DI USCITA DALLA CORTECCIA, SONO INIBITORI E UTILIZZANO IL GABA COME NEUROTRASMETTITORE.
QUESTI NEURITI VANNO A TERMINARE SINAPTICAMENTE SUI TRE NUCLEI CEREBELLARI: NUCLEO DEL TETTO, NUCLEO GLOBOSO ED
EMBOLIFORME E NUCLEO DENTATO.A LORO VOLTA, I NEURONI DEI TRE NUCLEI DANNO ORIGINI ALLE VIE EFFERENTI PROPRIAMENTE
DETTE, LE QUALI VANNO A DISTRIBUIRSI ALLE ALTRE STRUTTURE DEL NEVRASSE. LE PROIEZIONI EFFERENTI DEI NUCLEI CEREBELLARI
RAGGIUNGONO I NUCLEI VESTIBOLARI, VARI NUCLEI DEL TRONCO ENCEFALICO E LA CORTECCIA CEREBRALE, TRAMITE IL TALAMO.
LE PROIEZIONI AFFERENTI ED EFFERENTI SONO RESPONSABILI DEL CONTROLLO CHE IL CERVELLETTO ESERCITA SUL MOVIMENTO
VOLONTARIO. È INTERESSANTE IL FATTO CHE IL CONTROLLO DEL CERVELLETTO SUL MIDOLLO SPINALE È ESCLUSIVAMENTE
IPSILATERALE, INVECE, LE CONNESSIONI CEREBELLARI CON LA CORTECCIA CEREBRALE SONO CROCIATE.
Ad un’analisi superficiale una siffatta organizzazione potrebbe sembrare un paradosso, invece è tutto il contrario: il cervelletto
influenza la corteccia del lato opposto, e la corteccia cerebrale, inviando al midollo fasci discendenti che si incrociano, finisce
per influenzare i movimenti dello stesso lato controllato dal cervelletto.

Controllo dei movimenti di raggiungimento e prensione


La maggior parte del nostro comportamento implica l’interazione con gli oggetti nell’ambiente. Molte di
queste interazioni implicano il raggiungimento di un oggetto per farci qualcosa, come prenderlo, muoverlo o
manipolarlo in altro modo. I ricercatori hanno studiato queste interazioni classificandole in due categorie
principali: movimenti di raggiungimento e movimenti di prensione.
La maggior parte del comportamento di raggiungimento è controllata dalla visione; la via dorsale del
sistema visivo è implicata nel determinare la localizzazione degli oggetti, e le connessioni tra il punto in cui
termina la via dorsale della corteccia visiva associata e il lobo frontale giocano un ruolo critico nel movimento di
raggiungimento. Una regione della corteccia parietale posteriore è stata denominata regione parietale del
raggiungimento. Alcuni ricercatori hanno rilevato che quando le persone stanno per raggiungere un particolare
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oggetto, la corteccia parietale determina la localizzazione dell’obiettivo e fornisce le informazioni a riguardo ai


meccanismi motori nella corteccia frontale.
Un’altra regione della corteccia parietale posteriore, la parte anteriore del solco intraparietale, è
implicata nel controllo dei movimenti della mano e della dita il cui obiettivo è quelli di afferrare un oggetto. Uno
studio di imaging funzionale richiedeva ai soggetti sperimentali di raggiungere gli oggetti di forme differenti; si è
visto che l’attività di prensione attiva la parte anteriore del solco intraparietale. L’informazione alla parte
anteriore del solco intraparietale proviene dal canale dorsale del sistema visivo.

Deficit dei movimenti di precisione: le aprassie


Il danno al corpo calloso, al lobo frontale o a quello parietale del cervello umano produce una categoria
di deficit chiamata aprassia. L’aprassia differisce dalla paralisi o dalla debolezza che si verificano quando le
strutture motorie sono danneggiate: il termine aprassia si riferisce all’incapacità di imitare o produrre movimenti
in risposta a istruzioni verbali, o l’incapacità di dimostrare i movimenti che bisognerebbe effettuare per usare
uno strumento o un utensile familiare. Esistono quattro tipi principali di aprassia: l’aprassia degli arti si riferisce a
problemi nei movimenti delle braccia, delle mani e delle dita; l’aprassia orale a problemi nei movimenti dei
muscoli utilizzati nel linguaggio; l’agrafia aprassica a particolari deficit di scrittura; l’aprassia costruttiva a
difficoltà nel disegnare e nel costruire oggetti.
Aprassia degli arti:l’aprassia degli arti è caratterizzata da movimenti della parte sbagliata dell’arto, da movimenti scorretti
della parte corretta o da movimenti corretti ma eseguiti con una sequenza scorretta. Il deficit si accerta
chiedendo ai pazienti di eseguire dati movimenti, per esempio imitare i gesti fatti con le mani.
Il danneggiamento del lobo parietale sinistro, ma non del destro, causa l’aprassia di entrambe le mani poiché
l’emisfero destro è implicato nello spazio extrapersonale, mentre il sinistro con il proprio corpo. Uno studio di
imaging funzionale suffraga questa interpretazione: i ricercatori chiedevano ai soggetti di guardare un’altra
persona che eseguiva gesti con il braccio e con la mano, per poi imitarli o eseguire gesti diversi con lo stesso
braccio o con l’altro. Sulla base dell’attività osservata nelle scansioni di risonanza magnetica funzionale, gli
autori hanno concluso che le regioni posteriori dell’emisfero destro tracciano i movimenti del modello nello
spazio, mentre il lobo parietale sinistro organizza i movimenti che si ha intensione di effettuare in risposta.
Aprassia costruttiva: l’aprassia costruttiva si verifica in seguito a lesioni dell’emisfero destro. Le persone con questo disturbo
non hanno difficoltà a eseguire la maggior parte dei compiti motori con le braccia e le mani, ad utilizzare
correttamente gli oggetti, a imitarne l’uso o a far finta di utilizzarli; nonostante ciò, i pazienti con aprassia
costruttiva presentano difficoltà nel disegnare figure o nel costruire oggetti a partire da singoli elementi, quali
per esempio i mattoncini giocattolo.
Il principale deficit dell’aprassia costruttiva sembra coinvolgere l’abilità di percepire e immaginare le relazioni
geometriche. A causa di questo deficit, una persona non riesce a disegnare la figura di un cubo e non riesce a
identificarla, poiché non è in grado di immaginare che quelle linee e quegli angoli formano un cubo, e non per la
difficoltà di controllare i movimenti delle braccia.
117

-9-
IL SONNO E I RITMI BIOLOGICI

1 – Una descrizione fisiologica e comportamentale del sonno

Stadi del sonno


La ricerca più attendibile sul sonno negli esseri umani si conduce nei laboratori del sonno. Il ricercatore
prepara il soggetto sperimentale per le misurazioni elettrofisiologiche, montando elettrodi sullo scalpo per
l’elettroencefalogramma e sul mento per controllare l’attività muscolare attraverso l’elettromiogramma; gli
elettrodi attaccati intorno agli occhi controllano i movimenti oculari, registrati come elettrooculogramma.
Durante la veglia, l’EEG di una persona normale mostra due modelli basilari di attività: alfa e beta.
L’attività alfa consiste in onde regolari, di frequenza media, compresa tra gli 8 e i 12 Hz. Sebbene le onde alfa
talvolta si producano a occhi aperti, sono molto più prevalenti tenendo gli occhi chiusi. L’altro tipo di EEG di
veglia, l’attività beta, consiste in onde irregolari, di solito di ampiezza elevata, compresa tra i 15 e i 30 Hz che si
producono quando il soggetto è impegnato in
Lo STADIO 1 DEL SONNOè caratterizzato dalla presenza di attività theta, attività EEG di 3-7 Hz che si
verifica in modo intermittente, che indica che le scariche dei neuroni della neocorteccia stanno divenendo più
sincronizzate. Questo stadio rappresenta in realtà una transizione tra la veglia e il sonno.
Circa dieci minuti dopo si entra nello STADIO 2 DEL SONNO; l’EEG è generalmente irregolare, ma contiene periodi
di attività theta, fusi del sonno e complessi K. I fusi del sonnoconsistono in brevi salve di onde di 12-14 Hz che si
verificano da due a cinque volte al minuto durante gli stadi 1-4 del sonno. I fusi del sonno sembrano implicati nel
consolidamento delle memorie, e un aumento del loro numero è risultato correlato ai punteggi più elevati di un
test di intelligenza. I complessi K consistono in rapide e improvvise deflessioni verso l’alto e verso il basso che si
rilevano quasi esclusivamente durante lo stadio 2 del sonno. Insorgono spontaneamente, alla velocità di circa
uno al minuto, ma possono essere indotti da rumori, specie quelli forti e improvvisi. Il soggetto adesso sta
proprio dormendo, ma se lo svegliassimo potrebbe affermare il contrario.
Circa quindici minuti dopo, inizia lo STADIO 3 DEL SONNO, segnalato dal prodursi di attività delta di elevata
ampiezza. L’attività deltaè caratterizzata da un’attività elettrica cerebrale regolare, sincronizzata, inferiore a 4
Hz.La distinzione tra gli stadi 3 e 4 non è netta: lo stadio 3 contiene dal 20% al 50% di attività delta, mentre lo
stadio 4 ne contiene più del 50%. Poiché l’attività EEG a onde lente predomina durante gli stadi 3 e 4 del sonno,
questi stadi si definiscono collettivamente sonno ad onde lente(sonno non-REM caratterizzato da attività EEG
sincronizzata durante gli stadi più profondi).
Negli ultimi anni i ricercatori hanno cominciato a studiare i gli dell’attività EEG che si verifica durante il sonno a
onde lente e i meccanismi cerebrali responsabili di questa attività. Sembra che la caratteristica più importante
dell’attività ad onde lente durante il sonno sia la presenza di oscillazioni lente inferiori a 1 Hz. Ciascuna
oscillazione consiste in una singola onda bifasica di elevata ampiezza, di appena meno di 1 Hz. La prima parte
dell’onda indica uno stato down – un periodo di inibizione durante cui i neuroni della neocorteccia sono
assolutamente silenti; la seconda parte indica uno stato di up – un periodo di eccitazione durante cui questi
neuroni scaricano brevemente ad alta velocità.
Circa 90 minuti dopo l’addormentamento (approssimativamente, 45 minuti dopo l’inizio dello stadio 4
del sonno), notiamo una brusca modificazione di molte delle misure fisiologiche registrate nel soggetto: l’EEG
improvvisamente diviene desincronizzato, con scariche di onde theta; notiamo anche che gli occhi saettano
avanti e indietro, sotto le palpebre, e che l’elettromiogramma diventa silente: si verifica una profonda perdita
del tono muscolare; le persone sono effettivamente paralizzate durante il sonno REM. Questo particolare stadio
del sonno è piuttosto diverso da quello tranquillo, e generalmente viene denominato SONNO REM, per i
movimenti oculari rapidi che lo caratterizzano; è stato chiamato anche sonno paradosso.

In base alla maggior parte dei criteri, lo stadio 4 del sonno è quello più profondo: soltanto i rumori forti
possono svegliare una persona. Durante il sonno REM, il soggetto può non reagire ai rumori, ma è facilmente
risvegliato da stimoli significativi come il suono del proprio nome; inoltre, se si sveglia un soggetto in fase REM,
la persona appare vigile e attenta. Se svegliamo un soggetto durante la fase REM, probabilmente dirà che stava
sognando. I sogni in fase REM tendono ad assumere una forma narrativa, con una sequenza di eventi.
Durante una notte di riposo, si alternano periodi di sonno REM e sonno non-REM; ciascun ciclo dura
approssimativamente 90 minuti e contiene dai 20 ai 30 minuti di sonno REM; quindi, 8 ore di sonno conterranno
4 o 5 periodi di sonno REM.
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In fase REM diventiamo paralizzati: la maggior parte dei nostri motoneuroni centrali e spinali è inibita.
Nel contempo, però, il cervello è molto attivo: il flusso ematico cerebrale e il consumo di ossigeno sono
accelerati; inoltre, durante la maggior parte dei periodi REM, il pene maschile e il clitoride femminile divengono
almeno parzialmente eretti, e le secrezioni vaginali aumentano.

Attività mentale durante il sonno


Sebbene il sonno sia un periodo durante il quale siamo poco responsivi all’ambiente, non è corretto
definirlo come uno stato di incoscienza. La coscienza durante il sonno è certamente diversa da quella durante la
veglia, ma comunque abbiamo un’attività cerebrale anche mentre dormiamo.
I ricercatori hanno rilevato che la velocità del flusso ematico nel cervello umano, durante il sonno REM,
risulta elevata al livello della corteccia visiva associativa e bassa nella corteccia visiva primaria e nella corteccia
prefrontale. L’assenza di attività nella corteccia visiva primaria riflette il fatto che gli occhi non stanno ricevendo
alcun input visivo, ma l’alto livello di attività nella corteccia visiva associativa probabilmente riflette le
allucinazioni visive che si verificano durante i sogni. La corteccia frontale inferiore è implicata in attività di
pianificazione e organizzazione sequenziale degli eventi nel tempo, oltre che a distinguere l’illusione dalla realtà;
i sogni sono caratterizzati da buone immagini visive, ma sono scarsamente organizzati nel tempo: “il sognatore
frequentemente non ha alcuna sensazione di perseguire obiettivi a lungo termine, ma piuttosto è trasportato dal
flusso del tempo da circostanze che si sviluppano in modo imprevedibile”.
Diversi ricercatori hanno suggerito che i movimenti oculari effettuati durante il sonno REM siano
correlati alle immagini visive che accompagnano i sogni. Inoltre, secondo alcune prove empiriche, i particolari
meccanismi cerebrali che si attivano durante i sogni sono gli stessi che si attiverebbero se gli eventi onirici
stessero accadendo davvero; per esempio, le aree motorie corticali e sottocorticali si attivano durante i sogni
che contengono movimento, come se la persona si stesse muovendo davvero. Inoltre, se la scena onirica
prevede i comportamenti di parlare e ascoltare, le regioni cerebrali del sognatore coinvolte in queste due
capacità divengono particolarmente attive. Sebbene i sogni narrativi, simili a storie, si verificano durante il sonno
REM, un’attività mentale può accompagnare anche il sonno ad onde lente. Alcuni degli incubi più terrificanti si
verificano durante il sonno profondo, specie lo stadio 4.

2 – Disturbi del sonno


Insonnia
Si ritiene che l’insonnia rappresenti un problema occasionale per circa il 25% della popolazione e
persistente nel 9% dei casi. L’insonnia è definita come la difficoltà ad addormentarsi dopo essere andati a letto o
a seguito di un risveglio durante la notte. L’insonnia rappresenta uno dei pochi problemi medici a essere trattato
senza raccogliere prove cliniche dirette della sua esistenza: gli studi sul sonno di individui che si definiscono
insonni dimostrano che la maggior parte di essi sottostima la quantità di tempo trascorsa a dormire.
Per molti anni, l’obiettivo dei farmaci ipnotici è stato quello di agevolare l’addormentamento; tuttavia,
l’obiettivo finale di questi farmaci dovrebbe essere quello di aiutare la persona a sentirsi più riposata, il giorno
successivo, ma se una sostanza induce immediatamente l’addormentamento, ma lascia una sensazione di
ubriachezza e difficoltà di concentrazione il giorno seguente, il suo effetto è inutile. È solo in tempi molto recenti
che i ricercatori hanno riconosciuto che la vera valutazione di un farmaco ipnotico deve essere effettuata
durante la veglia, il giorno dopo, il che ha portato alla ricerca di composti privi di effetti residui.
Molte persone trascorrono la maggior parte del loro tempo in uno stato di deprivazione del sonno, ma
non perché soffrono di insonnia: il problema sono le richieste della vita quotidiana, che li portano a restare svegli
fino a tardi o a svegliarsi presto la mattina. La deprivazione del sonno cronica può portare allo sviluppo di gravi
problemi di salute, incluso l’aumento di rischio di obesità, diabete e patologie cardiovascolari.
Una particolare forma di insonnia è causata dall’incapacità di dormire e respirare al contempo. I pazienti
con questo disturbo, chiamato apnea morfeica, si addormentano e quindi smettono di respirare. Quasi tutte le
persone, specie quelle che russano, sviluppano occasionalmente episodi di apnea morfeica, ma non al punto di
interferire con il sonno.
Narcolessia
La narcolessia è un disturbo neurologico caratterizzato da sonno in momenti inadeguati.
Il sintomo principale della narcolessia è l’attacco di sonno: si tratta di un bisogno incontrollabile di
dormire, che può svilupparsi in qualsiasi momento, ma si verifica più frequentemente in situazioni monotone o
noiose. Il sonno dura generalmente dai due ai cinque minuti e la persona si sveglia sentendosi riposata.
Un altro sintomo della narcolessia è la cataplessia. Durante un attacco di cataplessia, l’individuo
sviluppa debolezza muscolare di varia entità; in certi casi la persona diviene completamente paralizzata e cade a
terra, giacendo immobile, completamente cosciente, per un periodo variabile da pochi secondi a diversi minuti.
Ciò che sembra accadere è che uno dei fenomeni del sonno REM, la paralisi muscolare, si verifica in un momento
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inadeguato. Questa perdita di tono muscolare è causata dall’inibizione massiccia dei motoneuroni spinali;
quando ciò accade durante la veglia, la vittima dell’attacco di cataplessia perde il controllo dei suoi muscoli.
La cataplessia è molto diversa dagli attacchi narcolettici del sonno; è di solito precipitata da un’emozione forte o
da uno sforzo fisico improvviso. Gli scoppi di ilarità, la rabbia o il tentativo di prendere al volo un oggetto
possono innescare l’attacco cataplettico.
La paralisi del sonno REM talvolta intrude nella veglia, ma in momenti in cui non rappresenta un
pericolo fisico, appena prima o dopo un sonno normale, quando la persona è sdraiata. Questo sintomo
narcolettico è definito paralisi del sonno e consiste nell’incapacità di muoversi appena prima dell’insorgenza del
sonno o al momento del risveglio. Una persona può uscire da questo tipo di paralisi se viene toccata o sente
qualcuno pronunciare il suo nome.
Talvolta, le componenti mentali del sonno REM intrudono nella paralisi del sonno: cioè, la persona
sogna mentre giace sveglia, paralizzata. Questi episodi, denominati allucinazioni ipnagogiche, sono allarmanti o
persino terrorizzanti.
La narcolessia nell’uomo è un disturbo relativamente raro, che colpisce una persona su 2000. Questo
disturbo è ereditario e sembra implicare un gene situato sul cromosoma 6, ma è fortemente influenzato da
fattori ambientali. La ricerca sui cani narcolettici suggerisce che la mutazione di un gene specifico è responsabile
della narcolessia. Il prodotto di questo gene consiste nel recettore di un neurotrasmettitore peptidico
recentemente scoperto, l’orexina. La maggior parte dei pazienti affetti da narcolessia nasce con neuroni
orexinergici, ma durante l’adolescenza il sistema immunitario attacca questi neuroni, con il conseguente
sviluppo dei sintomi narcolettici.

Disturbo comportamentale del sonno REM


Il sonno REM è accompagnato dalla paralisi; sebbene la corteccia motoria e i sistemi motori
sottocorticali siano estremamente attivi durante il sonno REM, le persone sono incapaci di muoversi. Il fatto che
siamo paralizzati mentre sogniamo suggerisce l’ipotesi che ciò accada per evitare di mettere in atto i
comportamenti che sogniamo. Alcune persone non si paralizzano durante la fase REM e sviluppano il disturbo
comportamentale del sonno REM, un disturbo neurologico in cui la persona non sviluppa paralisi durante il
sonno REM e quindi mette in atto i propri sogni. Il comportamento degli individui che esibiscono questo disturbo
sembra corrispondente al contenuto dei loro sogni.
Come la narcolessia, il disturbo comportamentale del sonno REM sembra essere un disturbo
neurologico con almeno una componente genetica; inoltre il disturbo può essere causato da lesioni cerebrali.

Problemi associati con il sonno ad onde lente


Alcuni comportamenti disadattivi possono verificarsi durante il sonno ad onde lente, soprattutto nella
fase più profonda dello stadio 4 del sonno. Questi comportamenti includono enuresi notturna, sonnambulismo
e terrori notturni. Tutti e tre gli eventi si producono più frequentemente nei bambini.
Nessuno di questi fenomeni è correlato al sonno REM: una persona che cammina nel sonno non sta
mettendo in atto un sogni. Il sonnambulismo sembra avere una componente genetica, specie quando si osserva
in età adulta. Talvolta, durante un episodio di sonnambulismo, le persone possono mettere in atto
comportamenti alquanto complessi, come mangiare.

3 – Perché dormiamo?
Sebbene non sia stata detta ancora l’ultima parola, la maggior parte dei ricercatori ritiene che la
principale funzione del sonno ad onde lente sia quella di permettere al cervello di riposare. Il sonno ad onde
lente e il sonno REM sembrano promuovere diversi tipi di apprendimento, mentre il solo sonno REM
agevolerebbe lo sviluppo cerebrale.

Funzioni del sonno ad onde lente


Il sonno è un fenomeno universale tra i vertebrati, tuttavia solo i vertebrati a sangue caldo esibiscono
uno stadio indubbio di sonno REM.
Quando siamo costretti a perdere una notte di sonno, diventiamo molto sonnolenti. Il fatto che la
sonnolenza eserciti una così elevata pressione suggerisce che il sonno sia una necessità vitale.
Gli studi di deprivazione sull’uomo non hanno fornito prove persuasive che il sonno sia necessario a
mantenere normale il funzionamento del corpo. Horne ha passato in rassegna più di cinquanta casi di individui
deprivati di sonno; la maggior parte di essi ha dimostrato che la deprivazione di sonno non interferisce con
l’abilità di eseguire esercizi fisici; inoltre, non sono state riscontrate prove di risposte fisiologiche di stress in
conseguenza alla deprivazione di sonno. Perciò, il ruolo primario del sonno non sembra essere il riposo e il
recupero del corpo. Tuttavia, le abilità cognitive individuali ne sono influenzate: alcune persone riportano
120

distorsioni percettive o persino allucinazioni ed hanno difficoltà a concentrarsi sui compiti mentali. Forse, il
sonno fornisce al cervello l’opportunità di riposarsi.
Alcuni studi hanno prodotto risultati che suggeriscono che lo stadio 4 del sonno ad onde lente e il sonno
REM sono più importanti degli altri stadi. Cosa succede nello stadio ad onde lente, da renderlo così importante?
Sebbene il cervello umano rappresenti solo il 2% del peso corporeo totale, esso consuma il 20%
dell’energia disponibile, durante la veglia. Il metabolismo e il flusso ematico cerebrale diminuiscono entrambi
durante il sonno ad onde lente. In particolare, le regioni che sostengono i più alti livelli di attività durante il
giorno mostrano le percentuali più elevate di onde delta nel sonno ad onde lente; quindi, la presenza di onde
delta in una particolare regione cerebrale sembra indicare che quell’area si sta riposando.
Le prove empiriche disponibili suggeriscono che il cervello abbia bisogno di riposarsi periodicamente per
riprendersi dagli effetti collaterali negativi sulla sua attività di veglia. Siegel ipotizza che uno dei prodotti di rifiuto
conseguenti all’elevato tasso metabolico associato all’attività di veglia del cervello è costituito dai radicali liberi:
sostanze chimiche che contengono almeno un elettrone non appaiato. I radicali liberi sono agenti ossidanti
altamente reattivi; possono legarsi agli elettroni di altre molecole e danneggiare le cellule che li ospitano.
Durante il sonno ad onde lente, il metabolismo rallentato permette ai meccanismo restaurativi delle cellule di
distruggere i radicali liberi e prevenirne i loro effetti nocivi.
Gli studi di deprivazione del sonno sull’uomo suggeriscono che il cervello può necessitare del sonno ad
onde lente per riposarsi dall’attività quotidiana. Un altro modo per determinare se il sonno esplica una funzione
ristorativa sul funzionamento fisiologico consiste nell’osservare gli effetti dell’attività giornaliera sulla successiva
notte di sonno. Se la funzione del sonno è quella di riparare gli effetti sul corpo dell’attività in stato di veglia,
dovremmo aspettarci una relazione tra sonno ed esercizio fisico, cioè, dovremmo dormire di più dopo una
giornata di sforzi fisici intensi. Tuttavia, la relazione tra sonno ed esercizio fisico non è particolarmente stretta:
non si osservano modificazioni nel sonno ad onde lente o nel sonno REM in soggetti sani che hanno trascorso sei
settimane di riposo a letto (se il sonno riparasse i danni provocati dall’attività, questi soggetti avrebbero dovuto
dormire di meno).
Evidenze empiriche dimostrano, invece, che la funzione del sonno sia quella di far riposare il cervello,
piuttosto che il corpo. In uno studio ingegnoso, Horne e MInard hanno trovato un modo per aumentare l’attività
mentale senza influenzare quella fisica o causare stress. I ricercatori chiedevano ai soggetti di partecipare ad un
esperimento in cui sarebbero stati sottoposti ad alcuni test designati a misurare le loro capacità di lettura, ma la
mattina dell’esperimento i soggetti ricevevano la comunicazione che il progetto era stato modificato ed erano
invitati a trascorrere una giornata di svago a spese dei ricercatori. Trascorrevano il giorno visitando una mostra
d’arte, centri commerciali, un museo, uno zoo e una tenuta di interesse storico. Dal momento che erano
accompagnati in macchina da un posto all’altro, certamente non si accaldavano per l’esercizio fisico. Dopo il
cinema, erano ricondotti al laboratorio del sonno, dove dicevano di essere stanchi e si addormentavano subito.
La durata del loro sonno è risultata normale e, al risveglio, i soggetti si sentivano riposati. Tuttavia, la qualità del
sonno ad onde lente, in particolare dello stadio 4, è risultata maggiore. Dopo tutta quell’attività mentale, il
cervello sembra aver bisogno di più riposo del solito.

Funzioni del sonno REM


Il sonno REM rappresenta un periodo di intensa attività fisiologica. Uno dei primi rapporti sulla
deprivazione selettiva del sonno REM osserva che, con il progressivo aumento della deprivazione, i soggetti
dovevano essere svegliati nel sonno REM sempre più frequentemente: la pressione ad entrava in fase REM
continuava ad aumentare. Inoltre, dopo diversi giorni di deprivazione selettiva del sonno REM, i soggetti
sviluppavano un fenomeno di rimbalzo: quando gli era permesso di dormire normalmente, trascorrevano una
percentuale di tempo molto superiore del normale in sonno REM. Questo fenomeno suggerisce che c’è bisogno
di una certa quantità di sonno REM e che il sonno REM è controllato da un meccanismo di regolazione: se la
deprivazione selettiva causa una carenza di sonno REM, tale carenza è recuperata in seguito.
I ricercatori sono stati da tempo colpiti dal fatto che le più elevate proporzioni di sonno REM si
osservano nel corso della fase più attiva dello sviluppo cerebrale. Di conseguenza, il sonno REM è probabilmente
implicato in questo processo. Infatti, gli animali che nascono con un cervello ben sviluppato trascorrono meno
tempo in sonno REM rispetto ai coetanei di altre specie, che nascono con cervelli immaturi, come furetti ed
esseri umani. Ma se la funzione del sonno REM consiste nel promuovere lo sviluppo cerebrale, perché questo
stadio del sonno è presente anche negli adulti? Una possibilità è che il sonno REM facilita le modificazioni
cerebrali massicce che si verificano in età evolutiva, ma anche quelle più modeste responsabili
dell’apprendimento. In età successive.
121

Sonno e apprendimento
Le ricerche sull’uomo e sul modello animale indicano che il sonno fa più che permettere al cervello di
riposare: aiuta anche il consolidamento delle memorie a lungo termine.
Durante il sonno REM, le persone normalmente hanno un livello di coscienza elevato, cosa che non
accade durante il sonno ad onde lente. Alcuni ricercatori si siano chiesti quali delle diverse fasi del sonno
consolidi le memorie procedurali e quali consolidi invece le memorie dichiarative.
In una serie di esperimenti è stato chiesto a dei soggetti di imparare un nuovo compito manuale,
dopodiché è stato loro permesso di schiacciare un pisolino; ma, mentre alcuni di loro venivano lasciati entrare in
fase REM, altri venivano svegliati poco prima dell’insorgenza di questa fase. È stato riscontrato che i soggetti che
erano entrati in fase REM avevano memorizzato e rinforzato meglio il comportamento procedurale appreso.
Allo stesso modo, è stato chiesto ad alcuni soggetti di imparare una serie di parole – un compito di
memoria dichiarativa. È stato loro permesso di schiacciare un pisolino e alcuni di loro sono stati svegliati poco
prima della fase REM. I soggetti svegliati prima della fase REM ricordavano con più facilità la lista di parole
precedentemente appresa, cosa che non successe ai soggetti che erano stati fatti entrare nella fase REM.
Questi studi suggeriscono che il sonno ad onde lente favorisce il consolidamento della memoria
dichiarativa, mentre il sonno REM favorisce il consolidamento della memoria procedurale.

4 – Meccanismi fisiologici del sonno e della veglia

Controllo chimico del sonno


Il sonno è regolato, cioè, se un organismo è deprivato di sonno ad onde lente o sonno REM, tende a
recuperare almeno una parte del sonno perduto, non appena gli è possibile. Questi fatti suggeriscono l’esistenza
di qualche meccanismo fisiologico che controlla la quantità di sonno di un organismo.
La spiegazione più ovvia sarebbe quella secondo cui il corpo produce sia sostanze che promuovono il
sonno durante la veglia, sia sostanze che promuovono la veglia durante il sonno; più a lungo una persona resta
sveglia, più a lungo deve successivamente dormire, per disattivare la sostanza in questione. Inoltre, dal
momento che la deprivazione di sonno REM produce un debito indipendente di questo tipo di sonno,
dovrebbero esistere almeno due sostanze, ciascuna per uno specifico stadio di sonno.
Queste sostanze non sembrano essere presenti nel flusso ematico: se il sonno è controllato
chimicamente, le sostanze responsabili devono essere sintetizzate all’interno del cervello ed espletare lì la loro
azione. È stato dunque ipotizzato che l’adenosina, un neuromodulatore rilasciato da neuroni che sostengono
elevati livelli di attività metabolica, possa giocare un ruolo primario nel controllo del sonno: durante il sonno ad
onde lente, i neuroni del cervello si riposano, e gli astrociti rinnovano la loro riserva di glicogeno; se si prolunga
lo stato di veglia, si accumula più adenosina, il che inibisce l’attività neurale e produce gli effetti cognitivi ed
emotivi che si osservano in associazione alla deprivazione del sonno.

controllo neurale dell’arousal


Il sonno non è una condizione unitaria, bensì consiste di diversi stadi con caratteristiche molto
differenti. Anche la veglia non è uniforme; talvolta siamo attenti e vigili, e altre non notiamo molto quello che
accade intorno a noi. Naturalmente, la sonnolenza influisce sullo stato di veglia.
Comunque, le osservazioni quotidiane suggeriscono che, persino quando non siamo assonnati, il nostro
livello di vigilanza è molto variabile: per esempio, quando ci confrontiamo con qualcosa di molto interessante, o
spaventoso, o sorprendente, diventiamo più attivati e consapevoli dell’ambiente circostante.
I circuiti di neuroni che secernono almeno cinque differenti neurotrasmettitori giocano un ruolo in
alcuni aspetti del livello di vigilanza e veglia, cioè su quello che è comunemente chiamato arousal. I
neurotrasmettitori in questione sono acetilcolina, noradrenalina, serotonina, istamina e orexina.

Localizzazione Veglia Onde REM Risveglio


lente

Acetilcolina Ippocampo, Elevati Bassi Elevati


neocorteccia livelli livelli livelli

Noradrenalina Locus Elevati Bassi Quasi Immediatamente


coeruleus(inviano livelli livelli assente livelli elevati al
assoni a livello della nella ad nel risveglio
neocorteccia,
dell’ippocampo, del
veglia onde sonno
talamo, della corteccia lente REM
cerebellare, del ponte e
122

del bulbo)
• Uno dei più importanti neurotrasmettitori coinvolti
Serotonina Nuclei del Elevati Bassi Quasi Temporaneamente
nell’arousal, specie della corteccia cerebrale, è
rafenelle aree livelli livelli assente molto attivial l’acetilcolina. Alcuni ricercatori hanno utilizzato la
bulbari e pontine nella ad nel risveglio microdialisi per misurare il rilascio di acetilcolina
della formaz. veglia onde sonno nell’ippocampo e nella neocorteccia, due regioni la
reticolare. cui attività è strettamente correlata alla vigilanza e
lente REM
(inviano al talamo,
all’arousal comportamentale dell’animale. I
all’ipotalamo, ricercatori hanno rilevato che i livelli di acetilcolina in
allaneocorteccia, ai
gangli e all’ippocampo)
queste regioni sono elevati sia in stato di veglia, sia
durante il sonno REM; al contrario, sono bassi
Istamina Nucleo Elevati Ridotti Ridotti livelli durante il sonno ad onde lente.
tubercolomammillare(ipotal livelli livelli ad nelsonno REM Se si disattiva un gruppo di neuroni acetilcolinergici
amo ventrale posteriore) nella onde localizzati a livello del proencefalo basale, gli effetti
veglia lente attivanti della stimolazione pontina sono annullati; al
(proiettano alla corteccia cerebrale,
al talamo, ai gangli della base, al contrario, è stato rilevato che le sostanze che
proencefalo basale e all’ipotalamo)
attivano questi neuroni inducono il pieno stato di
Orexina Ipotalamo laterale
veglia. La maggior parte dei neuroni nel proencefalo
basale mostra un’elevata velocità di scarica durante
(Gli assoni di questi neuroni terminano in quasi tutte le regioni implicati nell’aruosal e nella la veglia e durante il sonno REM, contrariamente a
veglia, come i locus coeruleus, i nuclei del rafe, il nucleo tubercolomammillaree i neuroni
acetilcolinergici del ponte dorsale e del proencefalo basale)
quanto accade durante il sonno ad onde lente.
• I neuroni del locus coeruleus, situato nel
ponte dorsale, inviano assoni riccamente ramificati
che rilasciano noradrenalina a livello della neocorteccia, dell’ippocampo, del talamo, della corteccia cerebellare,
del ponte e del bulbo; quindi, essi sono potenzialmente in grado di influenzare ampie e importanti regioni del
cervello. Alcuni ricercatori hanno registrato l’attività dei neuroni noradrenergici del locus coeruleus nel corso del
ciclo sonno-veglia in ratti liveri di muoversi, rilevando una stretta correlazione con l’arousal comportamentale. La
velocità di scarica di questi neuroni è risultata elevata durante la veglia, bassa durante il sonno ad onde lente e
quasi azzerata durante il sonno REM. Inoltre, si osserva un brusco aumento della velocità di scarica non appena
l’animale si sveglia. La maggior parte dei ricercatori ritiene che l’attivazione dei neuroni noradrenergici del locus
coeruleus aumenti la vigilanza dell’animale. Questi risultati sostengono la conclusione che l’attivazione dei
neuroni del locus coeruleus, con il conseguente rilascio di noradrenalina, aumenta la vigilanza.
• Anche la serotonina sembra implicata nell’attivazione comportamentale. Quasi tutti i neuroni
serotoninergici cerebrali si trovano nei nuclei del rafe localizzati nelle aree bulbari e pontine della formazione
reticolare. Gli assoni di questi neuroni inviano proiezioni in molte parti del cervello, incluso talamo, ipotalamo,
gangli della base, ippocampo e neocorteccia. La stimolazione dei nuclei del rafe causa locomozione e arousal
corticale, mentre un farmaco che previene la sintesi della serotonina riduce l’arousal corticale. È stato ipotizzato
che un contributo specifico dei neuroni serotoninergici all’attivazione consiste nella facilitazione dei movimenti
automatici continui, come camminare. Questi neuroni, come quelli noradrenergici, sono più attivi durante la
veglia, la loro velocità dei depolarizzazione declina nel corso del sonno ad onde lente e si azzera nella fase REM;
tuttavia, alla fine del periodo di sonno REM i neuroni tornano ad essere temporaneamente molto attivi.
• Un altro neurotrasmettitore implicato nel controllo dell’arousal è l’istamina. Sappiamo bene che gli
antistaminici, usati per il trattamento delle allergie, causano sonnolenza. I corpi cellulari dei neuroni istaminergici
sono localizzati nel nucleo tubercolomammillare, un nucleo dell’ipotalamo ventrale posteriore, appena rostrale
ai corpi mammillari. Gli assoni di questi neuroni proiettano principalmente alla corteccia cerebrale, al talamo, ai
gangli della base, al proencefalo basale e all’ipotalamo. Le proiezioni corticali, al proencefalo basale, e al ponte
dorsale aumentano l’attivazione e l’arousal della neocorteccia. L’attività dei neuroni istaminergici risulta elevata
durante la veglia r ridotta nel corso del sonno ad onde lente e del sonno REM.
• Ricerche recenti hanno identificato che la causa della narcolessia, nell’uomo, è la degenerazione dei
neuroni orexinergici. I corpi cellulari del neuroni che secernono orexina sono localizzati nell’ipotalamo laterale.
Sebbene nel cervello umano siano presenti solo circa 7000 neuroni orexinergici, gli assoni di questi neuroni
terminano in quasi ogni parte del cervello, inclusa la corteccia cerebellare e tutte le regioni implicati nell’aruosal
e nella veglia, come i locus coeruleus, i nuclei del rafe, il nucleo tubercolomammillare e i neuroni acetilcolinergici
del ponte dorsale e del proencefalo basale. In tutte queste regioni, l’orexina ha un effetto eccitatorio.
123

Controllo neurale del sonno ad onde lente


Il sonno è regolato da tre fattori: omeostatico, allostatico e circadiano. Se non dormiamo per un tempo
prolungato, alla fine svilupperemo sonnolenza e, una volta addormentati, tenderemo a dormire più a lungo del
solito, recuperando almeno in parte il nostro debito di sonno. Questo meccanismo di controllo del sonno è di
natura omeostatica. Ma, in determinate circostanze, è importante riuscire a restare svegli: per esempio se siamo
minacciati o se siamo disidratati e cerchiamo dell’acqua da bere. Questo meccanismo del sonno è di natura
allostatica, un termine che si riferisce alle reazioni agli eventi ambientali stressanti. Infine, i fattori circadiani,
che sono quelli che dipendono dal momento del giorno, tendono a restringere il nostro periodo di sonno in
particolari momenti del ciclo giorno/notte.
Il fattore omeostatico primario che controlla il sonno è la presenza o l’assenza di adenosina, una
sostanza chimica che si accumula nel cervello durante la veglia e viene distrutta durante il sonno ad onde lente.
Il controllo allostatico è mediato principalmente da risposte ormonali e neurali a situazioni stressanti.
Quando siamo svegli e vigili, la maggior parte dei neuroni del nostro cervello è attiva, il che ci permette
di prestare attenzione alla informazioni sensoriali ed elaborarle, recuperare e ripensare ai nostri ricordi e
impegnarci nella varietà di comportamenti che espletiamo nel corso della giornata. Il livello di attività cerebrale è
in larga parte controllato da cinque sistemi neurali dell’arousal (acetilcolina, nordrenalina, serotonina, istamina e
orexina); un livello elevato di attività di questi neuroni ci mantiene svegli, mentre un livello basso ci mette a
dormire. Ma cosa controlla l’attività dei neuroni implicati nell’arousal?
La regione ipotalamica anteriore (area preottica) contiene neuroni i cui assoni formano connessioni
sinaptiche inibitorie con i neuroni cerebrali dell’arousal; quando i nostri neuroni preottici (che potremmo
chiamare neuroni del sonno) divengono attivi, essi sopprimono l’attività dei neuroni deputati all’arousal, sicchè
ci addormentiamo. È stato scoperto che la distruzione dell’area preottica produce insonnia totale nei ratti; gli
animali successivamente entrano in coma e muoiono nel giro di tre giorni.
La maggior parte dei neuroni del sonno è localizzata nell’area preottica ventrolaterale, che contiene un
gruppo di neuroni GABAergici dell’area preottica, la cui attività sopprime la vigilanza e l’arousal
comportamentale e promuove il sonno.Gli esperimenti hanno dimostrato che i neuroni del sonno secernono il
neurotrasmettitore GABA e inviano i loro assoni alle cinque regioni cerebrali implicate nell’arousal; l’attività
dei neuroni in queste cinque regioni causa attivazione corticale ed arousal, mentre l’inibizione di queste regioni
è una condizione necessaria al sonno.
I neuroni del sonno dell’area preottica sono inibiti, a loro volta, da istamina, serotonina e noradrenalina.
Questa mutua inibizione potrebbe fornire le basi per stabilire i periodi di sonno e di veglia. I ricercatori hanno
notato che l’inibizione reciproca caratterizza anche un circuito elettronico noto come flip-flop. Perciò, i neuroni
del sonno possono essere attivi e inibire le regioni che promuovono la veglia, oppure le regioni che promuovono
la veglia possono essere attive e inibire i neuroni del sonno. Poiché queste strutture si inibiscono
reciprocamente, è impossibile che i neuroni di entrambe siano attivi nello stesso momento.
Dal momento che i neuroni orexinergici aiutano a mantenere il flip-flop sonno/veglia in stato di veglia, è
ovvio domandarsi quali siano i fattori che controllano l’attività di questi neuroni. Durante la parte di veglia del
ciclo giorno/notte, i neuroni orexinergici ricevono un segnale eccitatorio dell’orologio biologico che controlla i
ritmi del sonno e della veglia. Questi neuroni ricevono, inoltre, segnali dai meccanismi cerebrali che controllano
lo stato di nutrizione. I segnali correlati alla fame ativano ai neuroni orexinergici, mentre quelli di sazietà li
inibiscono; quindi, i neuroni orexinergici mantengono l’arousal nei periodi in cui l’animale dovrebbe nutrirsi.

Controllo neurale del sonno REM


Il sonno REM consiste in attività EEG desincronizzata, paralisi muscolare, movimenti oculari rapidi e
aumento dell’attività genitale. La velocità del metabolismo cerebrale durante il sonno REM risulta elevata come
durante la veglia. Il sonno REM è controllato da un meccanismo di flip-flop simile a quello che controlla i cicli di
sonno/veglia; una volta addormentati, il flip-flop del sonno REM controlla i nostri cicli di sonno REM e sonno ad
onde lente.
I neuroni acetilcolinergici giocano un ruolo importante nell’attivazione cerebrale durante la veglia vigile.
I ricercatori hanno rilevato anche che sono implicati nell’attivazione neocorticale che accompagna il sonno REM:
diversi studi hanno dimostrato che i neuroni acetilcolinergici del ponte dorsale scaricano a velocità elevata sia
durante il sonno REM sia nel corso della vegli attiva. Questo tipo di neurone aumenta la propria attività circa 80
secondi prima dell’insorgenza del sonno REM. Risultati come questi suggeriscono che i neuroni acetilcolinergici
del ponte dorsale servono da meccanismo di innesco dei periodi di sonno REM.
Sintetizzando le prove empiriche a favore dell’esistenza del flip-flop del sonno REM, possiamo dire che una
regione del ponte dorsale – il nucleo sottolaterodorsale,appena ventrale al locus coeruleus – contiene i neuroni
REM-ON. Una regione del mesencefalo dorsale, la sostanza grigia periacquedottale, contiene neuroni REM-OFF.
124

Le regioni REM-ON e REM-OFF sono interconnesse dai neuroni inibitori GABAergici. La stimolazione
della regione REM-ON elicita la maggior parte degli elementi del sonno REM, mentre la sua inibizione
compromette il sonno REM; allo stesso modo, la stimolazione della regione REM-OFF sopprime il sonno REM,
mentre la lesione di questa regione incrementa in modo estremo il sonno REM.
Durante la veglia, la regione REM-OFF riceve impulsi eccitatori dai neuroni orexinergici dell’ipotalamo
laterale, e questa attivazione spinge il flip-flop del REM in stato off. Quando il flip-flop sonno/veglia si sposta in
stato di sonno, comincia il sonno ad onde lente; l’attività degli impulsi eccitatori orexinergici, noradrenergici e
serotoninergici diretti alla regione REM-OFF inizia a ridursi. Infine, il flip-flop del sonno REM si sposta in stato on,
e il sonno REM comincia.
A questo punto, possiamo comprendere perché la degenerazione dei neuroni orexinergici causa
narcolessia: il rilascio di orexina nella regione REM-OFF normalmente mantiene il flip-flop del sonno REM in stato
off; con la perdita dei neuroni orexinergici, episodi emotivi come una risata o un momento di rabbia, che
attivano l’amigdala, spingono il flip-flop del sonno REM in stato on, persino durante la veglia, e il risultato è un
attacco di cataplessia.
Il sonno REM ha diverse componenti comportamentali, inclusi i movimenti oculari rapidi, attività
genitale e paralisi muscolare. La paralisi muscolare è particolarmente interessate. Abbiamo visto che i pazienti
con disturbo del comportamento in sonno REM non sviluppano paralisi durante questa fase del sonno, e di
conseguenza mettono in atto ciò che sognano. Le lesioni di particolari regioni del mesencefalo distruggono un
gruppo di neuroni responsabili della paralisi muscolare che si verifica durante il sonno REM. Questi neuroni sono
localizzati appena ventralmente all’area che sappiamo appartenere alla regione REM-ON (una regione ventrale al
locus coeruleus). Alcuni degli assoni che lasciano questa regione viaggiano fino al midollo spinale, dove eccitano
gli interneuroni inibitori, i cui assoni formano sinapsi con i motoneuroni; ciò significa che, quando il flip-flop del
sonno REM va in stato on, i motoneuroni del midollo spinale sono inibiti e non possono rispondere ai segnali
provenienti dalla corteccia motoria. La lesione della regione REM-ON rimuove questa inibizione e la persona
mette in atto i propri sogni.

5 – Orologi biologici

Ritmi circadiani e zeitgeber


I ritmi giornalieri del comportamento e dei processi fisiologici esistono nel mondo animale come in
quello vegetale. Questi cicli sono generalmente chiamati ritmi circadiani. Alcuni di questi ritmi consistono in
risposte passive alle variazioni di luminosità; tuttavia, altri ritmi sono controllati da meccanismi interni
dell’organismo, cioè da “orologi interni”.
Esiste un orologio interno free running, con un ciclo di circa 25 ore, che controlla alcune funzioni
biologiche: in questo caso, il sonno e la veglia. Le variazioni giornaliere regolari del livello di luminosità
normalmente mantengono tale orologio regolato sulle 24 ore. La luce serve da zeitgeber – termine tedesco che
significa “datore di tempo” – sincronizzando il ritmo endogeno. Gli studi su animali di specie diverse hanno
dimostrato che, se mantenuti costantemente al buio, un breve periodo di luce intensa basta a modificare la
regolazione dell’orologio interno. Per esempio, se si espone l’animale ad una luce intensa subito dopo il
tramonto, l’orologio biologico si sposta indietro, come se fosse ancora pomeriggio; d’altro canto, se l’esposizione
alla luce arriva in tarda notte, l’orologio biologico si sposta in avanti, come se fosse già l’alba.
Anche l’uomo esibisce ritmi circadiani. Il nostro normale periodo di inattività comincia qualche ora dopo l’inizio del buio e persiste per una
quantità di tempo variabile, nella parte luminosa; senza i benefici della moderna civilizzazione, probabilmente andremmo a dormire prima e
ci sveglieremmo più presto di quando siamo soliti dare. In condizioni di illuminazione costante, i nostri orologi biologici si
desincronizzerebbero, perdendo o guadagnando tempo proprio come un orologio che cammina troppo lento o troppo veloce. La lunghezza
dei cicli varia nelle diverse persone ma, nella maggior parte dei casi, questa situazione si tradurrebbe in un giorno di circa 25 ore.
Normalmente il problema non sussiste perché la luce del mattino, in qualità di zeitgeber, garantisce la regolazione dell’orologio interno.

Nucleo sovrachiasmatico
Due gruppi di ricerca indipendenti hanno scoperto che il principale orologio biologico del ratto è
localizzato nel nucleo sovrachiasmatico dell’ipotalamo, rilevando che la sua lesione altera i ritmi circadiani di
attività motoria, assunzione di liquidi e secrezione di ormoni. Il nucleo sovrachiasmatico garantisce inoltre il
controllo primario dell’alternarsi dei cicli di sonno e veglia; tuttavia, la lesione del nucleo sovrachiasmatico
compromette i ritmi circadiani ma la quantità totale di sonno resta invariata.
Dal momento che la luce è il principale zeitgeber della maggior parte dei cicli di attività nei mammiferi, è
ovvio attendersi che il nucleo sovrachiasmatico riceva proiezioni dal sistema visivo. In realtà, gli studi anatomici
hanno rivelato l’esistenza di una via diretta, dalla retina al nucleo sovrachiasmatico, denominata via
retinoipotalamica. I fotorecettori retinici che inviano informazioni al nucleo sovrachiasmatico non sembrano
essere né i coni, né i bastoncelli; tuttavia, la rimozione chirurgica degli occhi nei ratti abolisce i ritmi circadiani.
Questi risultati suggeriscono l’esistenza di uno speciale fotorecettore responsabile della sincronizzazione dei
125

ritmi circadiani in base al livello ambientale di luce Provencio e collaboratori hanno identificato la sostanza
fotochimica responsabile degli effetti in questione, che hanno denominato melanopsina. La melanopsinaè un
fotopigmento presente nelle cellule gangliari della retina, i cui assoni trasmettono informazioni al nucleo
sovrachiasmatico, talamo e nuclei pretettali dell’oliva.
Diversamente dagli altri fotopigmenti retinici, che si trovano nei coni e nei bastoncelli, la melanopsina è
presente nelle cellule gangliari: neuroni i cui assoni trasmettono informazioni dagli occhi al resto del cervello. Le
cellule gangliari che contengono melanopsina sono sensibili alla luce, e i loro assoni terminano nel nucleo
sovrachiasmatico. Sono le cellule gangliari contenenti melanopsina, e non i coni e i bastoncelli, ad essere
implicate nella risposta pupillare alla luce.
Poiché gli effetti di sincronizzazione della luce sul nucleo sovrachiasmatico sono mediati da cellule gangliari specializzate e non dai coni e
bastoncelli, le persone divenute cieche a causa di una perdita di questi fotorecettori possono mostrare ancora ritmi circadiani normali.
Come fa il nucleo sovrachiasmatico a controllare i cicli di sonno e di veglia?Gli assoni efferenti del nucleo
sovrachiasmatico responsabili dell’organizzazione dei cicli di sonno e di veglia terminano nella zona
sottoparaventricolare, una regione appena dorsale al nucleo sovrachiasmatico. Le lesioni eccitotossiche della
zona sottoparaventricolare aboliscono i ritmi circadiani di sonno e veglia. La zona sottoparaventricolare invia
proiezioni al nucleo dorsomediale dell’ipotalamo, che a sua volta è connesso condiverse regioni del cervello,
incluse due che giocano un ruolo critico nel controllo del sonno e della veglia: l’area preottica ventrolaterale e i
neuroni orexinergici dell’ipotalamo laterale.
Sebbene le connessioni dei neuroni del nucleo sovrachiasmatico con la zona sottoparaventricolare
giochino un ruolo critico nel controllo circadiano del sonno e della veglia, diversi esperimenti suggeriscono che
parte del controllo funzionale esercitato dal nucleo sovrachiasmatico può essere mediato dalla secrezione di
segnali chimici, che si diffondono attraverso il liquor. La prova più convincente della comunicazione chimica tra il
nucleo sovrachiasmatico e altre pari del cervello viene da uno studio di trapianto: i ricercatori hanno dapprima
distrutto il nucleo sovrachiasmatico di un gruppo di criceti, abolendo i loro ritmi circadiani; quindi, qualche
settimana dopo, hanno rimosso il tessuto sovrachiasmatico di alcuni animali donatori, posizionandolo in piccole
capsule semipermeabili, successivamente impiantate nel terzo ventricolo degli animali sperimentali. I trapianti
hanno ristabilito i ritmi circadiani, negli animali riceventi. Alcune prove suggeriscono che il segnale chimico
responsabile di questo effetto potrebbe essere la prokineticina 2, una proteina contenuta in un sottogruppo di
neuroni del nucleo sovrachiasmatico. Presumibilmente, le sostanze chimiche secrete dalle cellule del nucleo
sovrachiasmatico influenzano i ritmi del sonno e della veglia diffondendosi nella zona sottoparaventricolare e
legandosi con i recettori sui neuroni ivi localizzati.
La scansione temporale è assicurata dai singoli neuroni piuttosto che da circuiti neurali. Ciascun ticchettio, che
dura circa 24 ore, consiste nella sintesi e nella scissione di una serie di proteine in due circuiti interagenti, che
esercitano un effetto di retroazione sui geni responsabili della produzione delle proteine in questione.

Controllo dei ritmi stagionali: ghiandola pineale e melatonina


Sebbene il nucleo sovrachiasmatico abbia un ritmo intrinseco di circa 24 ore, esso è implicato anche
nella regolazione di ritmi molto più lunghi; per esempio, negli animali, nei ritmi di secrezione degli ormoni
dell’accoppiamento e della riproduzione, secreti a cicli stagionali.
Il controllo dei ritmi stagionali coinvolge un’altra struttura cerebrale: la ghiandola pineale, situata sulla
sommità del mesencefalo, di fronte al cervelletto. La pineale secerne un ormone denominato melatonina. Nei
mammiferi, la melatonina controlla i ritmi stagionali.
I neuroni del nucleo sovrachiasmatico formano connessioni indirette con quelli del nucleo
paraventricolare dell’ipotalamo; gli assoni di questi neuroni arrivano fino al midollo spinale, dove si connettono
con i neuroni pregangliari del sistema nervoso simpatico, che innervano la ghiandola pineale e controllano la
secrezione di melatonina. In risposta all’impulso del nucleo sovrachiasmatico, la ghiandola pineale secerne
melatonina durante la notte. La sostanza agisce a sua volta su diverse strutture cerebrali e controlla gli ormoni, i
processi fisiologici e i comportamenti che esibiscono variazioni stagionali.
Lesioni a carico del nucleo sovrachiasmatico, del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo o della
ghiandola pineale aboliscono i ritmi stagionali controllati dalla lunghezza del giorno.
Alterazioni dei ritmi circadiani: sindrome dei turnisti e jet lag
Quando le persone modificano bruscamente i loro ritmi giornalieri di attività, i ritmi circadiani interni si
desincronizzano rispetto a quelli dell’ambiente esterno. Per esempio, se un individuo che lavora normalmente di
giorno è spostato al turno di notte, oppure se compie un viaggio da un continente all’altro, in suo nucleo
sovrachiasmatico segnalerà al resto del cervello che è ora di andare a dormire anche durante il turno di lavoro o
durante il viaggio. Questa desincronizzazione tra i ritmi interni e l’ambiente esterno causa distorsioni del sonno e
alterazioni dell’umore e interferisce con il funzionamento individuale nelle ore di veglia. Nelle persone in cui i
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turni di lavoro cambiano frequentemente, si verificano con maggiore frequenza problemi come ulcere,
depressione e incidenti correlati alla sonnolenza.
La sindrome da jet lag è un fenomeno temporaneo; dopo qualche giorno, le persone che hanno
attraversato diversi meridiani si addormentano con maggior facilità al momento appropriato e il loro stato di
vigilanza giornaliera migliora. I turnisti possono sviluppare un problema più persistente, se il cambiamento di
turno è frequente.
127

-11-
EMOZIONE

1 – Emozioni come modelli organizzati di risposta


L’emozione è un episodio complesso, a più componenti. Un’emozione intensa prevede almeno sei
componenti:
• la valutazione cognitiva: è la valutazione del soggetto circa il significato personale delle circostante;
•l’esperienza soggettiva: è lo stato affettivo o il tono sentimentale che colora l’esperienza;
• le tendenze al pensiero e all’azione: è l’urgenza di pensare o agire in modi particolari;
• le modificazioni interne: sono le risposte fisiologiche del SNA (battito cardiaco, pressione sanguigna);
• le espressioni facciali: contrazioni muscolari che muovono i tratti del viso;
• le risposte all’emozione: è il modo in cui le persone reagiscono alle loro emozioni.
Queste sei componenti non costituiscono singolarmente un’emozione; al contrario, si riuniscono per
dare vita a una particolare emozione.
Le valutazioni cognitive sono parzialmente responsabili della differenziazione delle emozioni. Gran parte del
dibattito tra i teorici dell’emozione si è incentrato sullo stabilire se il processo di valutazione si verifiche in modo consapevole
e deliberato. Gli esperimenti sulle fobie semplici hanno messo alla prova l’idea che le emozioni si possano produrre senza
alcun pensiero conscio precedente: con la tecnica del mascheramento retrogrado le fotografie degli oggetti fobici venivano
mostrate solo per 30 millisecondi, poi mascherate da una foto neutrale; i soggetti fobici mostrarono risposte fisiologiche
identiche sia nel caso in cui avessero visto le foto del loro oggetto fobico, sia nel caso in cui tali foto venissero presentate così
rapidamente da non riuscire a prenderne coscienza. La maggior parte delle attuali teorie della valutazione cognitiva riconosce
che tali valutazioni possono verificarsi in modo autonomo, al di fuori della consapevolezza.
Una risposta emozionale è formata da tre diverse componenti: una componente comportamentale, che
consiste in movimenti muscolari appropriati alla situazione stimolo, una componente vegetativa, che facilita
quella comportamentale provvedendo ad una rapida mobilitazione dell’energia per consentire movimenti
vigorosi e una componente ormonale, che potenzia le risposte vegetative. Gli ormoni secreti dalla midollare del
surrene – adrenalina e noradrenalina – aumentano ulteriormente l’afflusso del sangue verso i muscoli e
stimolano la conversione in glucosio delle sostanze nutritive immagazzinate.
La maggior parte delle ricerche sulla fisiologia delle emozioni è focalizzata sulla paura e sull’ansia:
emozioni associate a situazioni che ci inducono a difendere noi stessi o i nostri cari.
Le tre componenti di una risposta emotiva sono controllate da sistemi neurali distinti; l’integrazione
delle componenti della paura sembra dipendere dall’amigdala. FINO A TEMPI RECENTI, SI RITENEVA CHE L’AMIGDALA
RICEVESSE TUTTE LE INFORMAZIONI DALLA CORTECCIA E QUINDI CHE TALI INFORMAZIONI IMPLICASSERO UNA VALUTAZIONE CONSCIA; MA
RECENTI RICERCHE HANNO RIVELATO LA PRESENZA DI CONNESSIONI FRA I CANALI SENSORIALI E L’AMIGDALA, CHE NON PASSANO DALLA
CORTECCIA. QUESTE CONNESSIONI DIRETTE POTREBBERO ESSERE LA CAUSA DELLE VALUTAZIONI COGNITIVE INCONSCE: L’AMIGDALA
RISPONDE PRIMA DELLA CORTECCIA.

Paura
L’amigdala svolge una funzione determinante nelle reazioni, fisiologiche e comportamentali, ad oggetti
e situazioni che rivestono un significato biologico particolare, come quelli che preannunciano dolore o altre
spiacevoli conseguenze, o segnalano la presenza di cibo o di acqua, di nemici o di piccoli da accudire. Numerosi
ricercatori hanno dimostrato che singoli neuroni di vari nuclei dell’amigdala si attivano in presenza di stimoli
emotivamente rilevanti.
L’amigdala è localizzata all’interno dei lobi temporali e consta di diversi gruppi di nuclei, ognuno con
distinte afferenze ed efferenze e differenti funzioni. L’amigdala è stata suddivisa approssimativamente in dodici
regioni, ciascuna contenente diverse sottoregioni; tuttavia, è sufficiente ricordare solamente tre nuclei:
nucleo afferenze efferenze • Il nucleo lateraleè un nucleo dell’amigdala che riceve
informazioni dalla neocorteccia, dal talamo e
Nucleo Neocorteccia, Nucleo basale accessorio e
dall’ippocampo, e invia proiezioni al nucleo basale,
laterale talamo e centrale dell’amigdala,
ippocampo striato ventrale e nucleo
basale accessorio e centrale dell’amigdala, e anche ad
dorsomediale del talamo altre parti del cervello, come lo striato ventrale e il
nucleo dorsomediale del talamo.
Nucleo Nucleo laterale Corteccia prefrontale • Il nucleo basaleè un nucleo dell’amigdala che riceve
basale ventromediale e nucleo informazioni dal nucleo laterale e invia proiezioni alla
centrale corteccia prefontalee al nucleo centrale.
• Il nucleo centraleè quella regione
Nucleo Nuclei basale, Ipotalamo, mesencefalo,
dell’amigdala che riceve informazioni dai nuclei basale,
centrale laterale e basale ponte e bulbo
basale accessorio e laterale, e invia proiezioni a
accessorio
un’ampia varietà di regioni del cervello, come
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l’ipotalamo, il mesencefalo, il ponte e il bulbo, responsabili dell’espressione di diverse componenti delle


risposte emozionali.L’attivazione del nucleo centrale sollecita una varietà di risposte emotive. Il nucleo centrale
dell’amigdala è la regione cerebrale più importante per l’espressione di risposte emozionali a stimoli nocivi. Una
lesione del nucleo centrale riduce, o abolisce del tutto, un’ampia gamma di comportamenti emozionali e di
risposte fisiologiche. In seguito alla distruzione del nucleo centrale, gli animali non mostrano più alcun segno di
paura ad eventi nocivi. Al contrario, se l’amigdala centrale è stimolata, gli animali mostrano i segni fisiologici e
comportamentali della paura e dell’agitazione, e una stimolazione protratta dell’amigdala provoca malattie da
stress.
Regioni Risposte comportamentali Le regioni che ricevono proiezioni dall’amigdala sono:
cerebrali e fisiologiche • l’ipotalamo laterale, centrale, che attiva la componente simpatica della
paura, con aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna e
Ipotalamo Attivazione simpatica: aumento
pallore;
laterale frequenza cardiaca e pressione
sanguigna, pallore
•il nucleo motore dorsale del nervo vago, che attiva la componente
parasimpatica della paura, con minzione, ulcere e defecazione;
Nucleo motore Attivazione parasimpatica: • il nucleo parabrachiale, che aumenta il ritmo della respirazione;
dorsale del vago ulcere, minzione, defecazione • l’area tegmentale ventrale, che aumenta la vigilanza comportamentale
attraverso l’azione della dopamina;
Nucleoparabrachi Aumento della respirazione •il locus coeruleus, che aumenta la vigilanza tramite l’azione della
ale noradrenalina;
• il nucleo tegmentale dorsolaterale, che attiva la corteccia tramite l’azione
Area tegmentale Vigilanza comportamentale
ventrale
dell’acetilcolina;
(dopamina) • il nucleo reticolare ponto-caudale, che aumenta la reazione di allerta;
•la sostanza grigia periacquadottale, che favorisce l’arresto
Locus coeruleus Aumento della vigilanza comportamentale;
• i nuclei motori facciali trigeminali, che favoriscono le espressioni facciali
(noradrenalina)
di paura;
• il nucleo paraventricolare, che secerne glococorticoidi;
Nucleo tegmentale Attivazione corticale
dorsolaterale (acetilcolina) • il nucleo basale, che attiva la corteccia.
Alcuni stimoli attivano automaticamente il nucleo centrale
Nucleo reticolare Aumento della reazione dell’amigdala e producono reazioni di paura: ad esempio i rumori molto
ponto-caudale d’allerta forti e improvvisi; ancora più rilevante, comunque, è il fatto che possiamo
apprendere che una particolare situazione può rappresentare una minaccia
Sostanza grigia Arresto comportamentale o un pericolo. Una volta che l’apprendimento è avvenuto, possiamo
periacquedottale
spaventarci ogni qualvolta ci imbattiamo in quello stimolo o situazione. La
Nuclei motori facciali Espressioni facciali di
forma più basilare di apprendimento emotivo è la risposta emozionale
trigeminali paura condizionata, una risposta indotta mediante condizionamento classico, che
si stabilisce quando uno stimolo neutro è seguito da uno stimolo nocivo;
Nucleo Secrezione di generalmente implica componenti vegetative, comportamentali ed
paraventricolare glucocorticoidi endocrine, quali cambiamenti della frequenza cardiaca, freezing
comportamentale e secrezione di ormoni dello stress.
Nucleo basale Attivazione corticale Le ricerche suggeriscono che i cambiamenti fisici responsabili del
condizionamento classico di una risposta emozionale condizionata hanno
luogo nel nucleo laterale dell’amigdala. I neuroni del nucleo laterale comunicano con quelli del nucleo centrale,
che a loro volta sono interconnessi con regioni dell’ipotalamo, mesencefalo, ponte e bulbo, responsabili delle
componenti comportamentali, vegetative e ormonali.
Anche noi uomini acquisiamo risposte emozionali condizionate. Le evidenze empiriche depongono a favore di un
coinvolgimento dell’amigdala nelle risposte emozionali degli esseri umani. Uno dei primi studi condotti in
proposito analizzava le reazioni di soggetti sottoposti a valutazione prima della rimozione chirurgica di parti del
cervello, finalizzata al trattamento di disturbi epilettici gravi; questi studi hanno evidenziato che la stimolazione
di alcune aree del cervello, ad esempio l’ipotalamo, provoca risposte vegetative spesso associate a paure ad
ansia, ma soltanto la stimolazione dell’amigdala permette alle persone di sentirsi effettivamente spaventate.
Molti studi hanno dimostrato che le lesioni dell’amigdala riducono le risposte emozionali nell’uomo.
La maggior parte delle paure dell’uomo è acquisita socialmente, e non attraverso un’esperienza in
prima persona con degli stimoli dolorosi; le persone possono acquisire una risposta di paura condizionata anche
tramite istruzioni verbali. Gli studi sugli animali da laboratorio indicano che la corteccia prefrontale
ventromedialegioca un ruolo critico nell’estinzione delle risposte emozionali condizionate.
129

Rabbia, aggressività e controllo degli impulsi


Pressoché tutte le specie animali mettono in atto comportamenti aggressivi. I comportamenti aggressivi
sono specie-specifici, ossia, l’insieme dei movimenti, come assumere una determinata postura, mordere colpire,
è organizzato da circuiti neuronali, il cui sviluppo è programmato geneticamente. Molti comportamenti
aggressivi sono legati alla riproduzione, altri sono legati all’autodifesa. Il comportamento aggressivo può
comportare attacchi effettivi o semplicemente minaccia, e l’animale minacciato può mostrare comportamenti
difensivi o di sottomissione.
Il controllo neuronale del comportamento aggressivo è organizzato in senso gerarchico: questo significa
che i particolari movimenti muscolari che un animale compie nell’attaccare o nel difendersi sono programmati
da circuiti neuronali localizzati nel tronco dell’encefalo. L’eventualità che un animale attacchi dipende da
numerosi fattori, fra i quali la natura degli stimoli scatenanti presenti nell’ambiente e l’esperienza pregressa
dell’animale. A sua volta, l’attività dei circuiti troncoencefalici sembra essere controllata dall’ipotalamo e
dall’amigdala, che influenzano anche molti altri comportamenti specie-specifici, e l’attività del sistema limbico è
controllata dai sistemi percettivi, che rilevano le condizioni ambientali, compresa la presenza di altri animali.
Una serie di studi condotti da Siegel e collaboratori ha indagato i circuiti neuronali responsabili del
comportamento di difesa e del comportamento predatorio nei gatti; i ricercatori hanno impiantato degli elettrodi
in varie aree cerebrali, per osservare gli effetti della stimolazione elettrica di queste regioni sul comportamento
degli animali. È stato rilevato che il comportamento difensivo e il comportamento predatorio possono essere
sollecitate dalla stimolazione di diverse regioni della sostanza grigia periacquedottale, e inoltre che l’ipotalamo e
l’amigdala influenzano questi comportamenti attraverso connessioni eccitatorie e inibitorie con la sostanza
grigia periacquedottale. Siegel e collaboratori hanno osservato che tre regioni principali dell’amigdala e due
regioni dell’ipotalamo controllano la rabbia difensiva e la predazione, entrambe apparentemente controllate
dalla sostanza grigia periacquedottale.
LA RABBIA DIFENSIVA È MEDIATA DALLA SOSTANZA GRIGIA PERIACQUEDOTTALE DORSALE, E PUÒ ESSERE ATTIVATA O DA
SEGNALI INIBITORI DA PARTE DEL NUCLEO CENTRALE DELL’AMIGDALA, O DA SEGNALI ECCITATORI DA PARTE DEL NUCLEO
BASALE DELL’AMIGDALA O DELL’IPOTALAMO MEDIALE.
LA PREDAZIONE È MEDIATA DALLA SOSTANZA GRIGIA PERIACQUEDOTTALE VENTRALE E PUÒ ESSERE ATTIVATA DA SEGNALI
ECCITATORI DELL’IPOTALAMO LATERALE, CHE A SUA VOLTA HA RICEVUTO SEGNALI INIBITORI DALL’IPOTALAMO MEDIALE, CHE
ERA STATO PRECEDENTEMENTE ECCITATO DAL NUCLEO MEDIALE DELL’AMIGDALA.
Le esperienze precoci possono certamente favorire lo sviluppo di comportamenti aggressivi, ma gli studi
hanno dimostrato che l’ereditarietà gioca un ruolo significativo; per esempio, dei ricercatori hanno studiato un
gruppo di gemelli dello stesso sesso dall’età di 7 e 9 ani, rilevando una correlazione più elevata tra i monozigoti
rispetto ai dizigoti sulle misure di comportamento antisociale e su quelle di comportamento duro e insensibile, il
che indica l’esistenza di una componente genetica alla base dello sviluppo di questi tratti. Diversi studi hanno
appurato che i neuroni serotoninergici esercitano una funzione inibitoria sull’aggressività umana. Per esempio, la
riduzione del tasso di rilascio della serotonina si associa ad aggressività ed altre forme di comportamento
antisociale. Se i bassi livelli di rilascio di serotonina contribuiscono all’aggressività, forse i farmaci che agiscono da agonisti della serotonina
potrebbero contribuire a ridurre il comportamento antisociale; uno studio dimostra che il Prozac abbassa i livelli di irritabilità e aggressività.
Molti ricercatori ritengono che la violenza impulsiva sia conseguente ad una cattiva regolazione delle
emozioni. Nella maggior parte di noi, la frustrazione sollecita l’urgenza di rispondere emotivamente, ma di solito
riusciamo a calmarci e reprimere questi scatti. La corteccia prefrontale mediale gioca un ruolo importante nella
regolazione delle risposte a situazioni frustranti. L’analisi delle situazioni sociali implica molto più dell’analisi
sensoriale: richiede esperienze e ricordi, inferenze e giudizi. In effetti, le capacità coinvolte comprendono alcune
fra le più complesse del nostro pensiero; queste capacità non sono localizzate in una singola parte della corteccia
cerebrale, sebbene la ricerca suggerisca che, in tale ambito, l’emisfero destro sia più importante del sinistro. Ma
la corteccia prefrontale ventrale, che consiste in corteccia orbitofrontale mediale e corteccia cingolata
subgenuale anteriore, riveste un ruolo speciale.
La corteccia prefrontale ventromediale gioca un ruolo importante nell’inibizione delle risposte
emozionali. La corteccia prefrontale ventromedialericeve afferenzedirette dal talamo dorsomediale,
dalla corteccia temporale, dall’area tegmentale ventrale, dal sistema olfattivo e dall’amigdala;
invia efferenzealla corteccia cingolata, alla formazione ippocampale, alla corteccia temporale,
all’ipotalamo laterale e all’amigdala. In questo modo, le sue afferenze le forniscono informazioni su ciò che
sta accadendo nell’ambiente circostante, e le sue efferenze le permettono di influenzare un’ampia gamma di
comportamenti e di risposte fisiologiche, incluse le risposte emozionali organizzate dall’amigdala.
La prova che la corteccia orbitofrontale giochi un ruolo cruciale nei comportamenti emozionali è fornita
dall’osservazione degli effetti procurati da una lesione di questa regione. Il primo caso risale alla metà del 1800
ed è il caso di Phineas Gage, un operaio ingaggiato per la costruzione delle ferrovie che a causa di un incidente si
ritrova con un tubo di acciaio conficcato nel cranio, che dal mento oltrepassa la guancia, trafigge il cervello ed
esce dalla sommità del capo. L’uomo sopravvisse, ma divenne un altro uomo: prima dell’incidente era serio,
operoso ed energico; in seguito divenne infantile, irresponsabile e irriguardoso nei confronti degli altri. Era
130

incapace di intraprendere o portare a compimento un progetto e le sue azioni apparivano capricciose e


stravaganti. L’incidente gli aveva danneggiato la corteccia orbitofrontale.
Le persone la cui corteccia orbitofrontale è stata danneggiata da una malattia o da un incidentesono ancora in
grado di valutare con precisione il significato di particolari situazioni, ma esclusivamente in modo teorico. Ad
esempio, Damasio ha riferito il caso di un paziente con una lesione bilaterale della corteccia orbitofrontale, che
mostrava un’eccellente capacità di giudizio sociale. Quando erano sottoposte al giudizio di situazioni ipotetiche,
in merito alle quali dovevano valutare le possibili reazioni delle persone in esse coinvolte, i pazienti fornivano
sempre delle risposte sensate, giustificandole con accurati ragionamenti logici; ma la loro vita privata era
tutt’altra faccenda. Perdevano un lavoro dopo un altro a causa dell’irresponsabilità, divenivano incapaci di
distinguere tra decisioni banali e decisioni rilevanti, trascorrendo ore nel cercare di stabilire dove cenare.
La lesione della corteccia prefrontale ventromediale causa compromissioni gravi e spesso debilitanti del
controllo comportamentale e della capacità di prendere decisioni. Queste compromissioni sembrano essere una
conseguenza della disregolazione emotiva. I ricercatori hanno rilevato l’esistenza di una correlazione significativa
tra la disfunzione emotiva e la compromissione delle competenze nel mondo reale. Non è stata osservata alcuna
relazione tra le abilità cognitive e le competenze nel mondo reale, il che suggerisce fortemente che alla base
delle difficoltà nel mondo reale, esibite da persona con lesione della corteccia prefrontale ventromediale, ci
siano dei problemi emotivi.
Un interessante studio di imaging funzionale suggerisce che la corteccia prefrontale ventromediale
gioca un ruolo nei meccanismi cerebrali del coraggio; i ricercatori hanno scansionato il cervello di persone
spaventate o meno dai serpenti. Mentre i soggetti si trovavano nello scanner, potevano premere bottoni per
controllare il movimento di un nastro trasportatore, in modo da avvicinare o allontanare un serpente vivo. Le
persone non spaventate dai serpenti facevano avvicinare l’animale e non mostravano segni di paura; invece,
quelle spaventate, mostravano inequivocabili segnali di paura; alcune di queste persona premevano il bottone
per allontanare il serpente, altre lo lasciavano avvicinare, persino se erano chiaramente spaventate. In altre
parole, mostravano coraggio: riuscivano a superare la paura. La dimostrazione di coraggio è risultata m
dall’attivazione di una regione della corteccia prefrontale ventromediale, la corteccia cingolata anteriore
subgenuale. I soggetti che allontanavano il serpente non mostravano attivazione di questa zona.
L’amigdala gioca un ruolo importante nel provocare rabbia e reazioni emotive violente, e la corteccia
prefrontale gioca un ruolo importante nel sopprimere questi comportamenti, facendoci prevedere le
ripercussioni negative che potrebbero verificarsi. La maturazione dell’amigdala, durante lo sviluppo, è piuttosto
precoce, mentre quella della corteccia prefrontale è molto successiva e avviene solo alla fine dell’infanzia, a
cavallo con l’adolescenza. Quando la corteccia prefrontale matura, gli adolescenti mostrano aumenti della
velocità di elaborazione cognitiva, capacità di ragionamento astratto, capacità di spostare l’attenzione da un
argomento all’altro e capacità di inibire risposte inadeguate.
Raine e collaboratori hanno riscontrato la diminuzione dell’attività prefrontale e l’aumento di quella
sottocorticale, inclusa l’amigdala, nel cervello degli omicidi in prigione. Queste modificazioni sono state
osservate negli assassini emotivi, impulsivi; gli assassini predatori, calcolatori e a sangue freddo, i cui crimini non
erano accompagnati da rabbia, mostravano un’attività prefrontale più normale. Presumibilmente, l’aumento
dell’attivazione dell’amigdala rifletteva l’aumentata tendenza a manifestazioni emotive negative, mentre la
ridotta attivazione della corteccia prefrontale rifletteva la compromissione della capacità di inibire l’attività
dell’amigdala e quindi di controllare le emozioni.

Controllo ormonale del comportamento aggressivo


Molti casi di comportamento aggressivo sono connessi con la riproduzione. I maschi adulti di numerose
specie combattono per il territorio o per l’accesso alle femmine; l’aggressività tra maschi si manifesta anche
intorno al periodo della pubertà, suggerendo che tale comportamento sia controllato da circuiti neuronali
stimolati dagli androgeni. Gli androgeni stimolano il comportamento sessuale maschile attraverso l’interazione
con i recettori per gli androgeni dei neuroni localizzati nell’area preottica mediale. Questa stessa area sembra
determinante anche nel mediare gli effetti degli androgeni nell’aggressività fra maschi. Alcuni studi suggeriscono
che l’effetto primario degli androgeni si verifiche non sull’aggressività, ma sulla dominanza. Se gli androgeni
accrescono la motivazione a dominare gli altri, questa motivazione può condurre talvolta all’aggressività.
2 – Comunicazione delle emozioni
Molte specie animali, inclusa la nostra, comunicano le proprie emozioni agli altri mediante cambiamenti
posturali, espressioni facciali, suoni non verbali. Queste espressioni assolvono vantaggiose funzioni sociali e
comunicano agli altri individui quello che proviamo e, soprattutto, cosa abbiamo intenzione di fare.
131

Espressioni facciali delle emozioni: risposte innate


Darwin affermava che le espressioni emozionali sono innate, vale a dire risposte non apprese, articolate
in una serie complessa di movimenti, in particolare della muscolatura facciale. Egli raccolse evidenze supportanti
la sua ipotesi sulla natura innata delle espressioni emozionali dell’osservazione dei suoi stessi figli e dalla
concordanza delle espressioni osservate in membri di culture sparse per il mondo, anche isolate. Se le persone in
ogni parte del mondo esibiscono le medesime espressioni facciali delle emozioni, allora queste espressioni
debbono avere necessariamente un’origine ereditaria, piuttosto che essere apprese.
Il filone di ricerca portato avanti da Ekman e collaboratori ha aggiunto conferme all’ipotesi prospettata
da Darwin, che l’espressione facciale dell’emozione utilizzi un repertorio innato, specie-specifico, di movimenti
dei muscoli facciali. Ekman e collaboratori hanno analizzato l’abilità degli indigeni di una tribù isolata della Nuova
Guinea di riconoscere le emozioni codificate da espressioni facciali di persone appartenenti alla cultura
occidentale. Gli indigeni non mostravano alcuna difficoltà in questo tipo di compito, ed essi stessi producevano
espressioni facciali facilmente interpretabili dagli occidentali.

Substrato neuronale della comunicazione delle emozioni: riconoscimento


La nostra capacità di esibire stati emotivi è utile solo se la persona con cui interagiamo è in grado di
interpretarli. A tal proposito, alcuni studi hanno osservato che le espressioni di felicità delle persone, quando si
trovano sole, provocano solo piccoli segni di allegria, mentre nel corso di una interazione sociale con altri, le
persone mostrano maggiore tendenza al sorriso. Il riconoscimento dell’espressione facciale delle emozioni di
un’altra persona è in generale automatico, rapido e accurato.
Riconosciamo i sentimenti delle altre persone attraverso la vista e l’udito, osservando le espressioni
facciali e ascoltando il tono di voce e la scelta delle parole. Molti studi hanno rilevato che l’emisfero destro gioca
un ruolo più importante nella decodificazione delle emozioni, rispetto all’emisfero sinistro. Per esempio, è stato
osservato che i pazienti con lesioni dell’emisfero destro hanno difficoltà a produrre o descrivere immagini
mentali delle espressioni facciali delle emozioni.
Diversi studi di imaging funzionale hanno confermato questi risultati. Misurando il flusso ematico
cerebrale, mentre i soggetti erano impegnati nell’ascolto di alcune frasi per identificarne il contenuto emotivo, i
ricercatori hanno prima loro chiesto di prestare attenzione al significato delle parole e stabilire quindi lo stato
d’animo; in una seconda condizione veniva chiesto ai soggetti di prestare attenzione al tono dell’espressione
verbale, e di stabilirne quindi lo stato d’animo, i ricercatori hanno rilevato che il compito dell’interpretazione
dell’emozione in base al significato delle parole aumentava l’attivazione di entrambi i lobi frontali, con
un’attivazione più marcata del sinistro, mentre la comprensione dell’emozione dal tono di voce aumentava
l’attivazione della sola corteccia prefrontale destra.
L’AMIGDALA esercita una funzione cruciale nel produrre risposte emozionali, ma può essere
determinante anche nel riconoscimento delle emozioni. Diversi studi hanno riscontrato che le lesioni
dell’amigdala compromettono la capacità delle persone di riconoscere le espressioni facciali dell’emozione, in
particolare le espressioni di paura. Studi di imaging funzionale hanno rilevato un notevole aumento
dell’attivazione dell’amigdala in persone che osservano fotografie di volti che esprimono paura, ma solo in
piccolo incremento durante l’osservazione di fotografie di volti felici. Sebbene le lesioni dell’amigdala
compromettono il riconoscimento dell’espressione facciale dell’emozione, numerosi studi hanno riscontrato che
la capacità di riconoscere le emozioni dal tono della voce non sembra danneggiata.
Diversi studi suggeriscono che l’amigdala riceve informazioni visive che utilizziamo per riconoscere
l’espressione facciale delle emozioni direttamente dal talamo, e non dalla corteccia visiva di associazione.
L’amigdala riceve afferenze visive da due fonti: una corticale e una sottocorticale. L’impulso sottocorticale,
proveniente dal collicolo superiore e dal pulvinar (nucleo talamico), sembra fornire informazioni più importanti
per il riconoscimento dell’espressione facciale delle emozioni.
La corteccia visiva riceve informazioni da due sistemi di neuroni: il sistema magnocellulare, che fornisce
informazioni su movimento, profondità e sottili differenze di luminosità della scena che stiamo osservando, e il
sistema parvocellulare, che si trova solo in alcuni primati, incluso l’uomo, e garantisce la visione a colori e dei
dettagli fini. La porzione di corteccia visiva di associazione responsabile del riconoscimento dei volti, l’area
fusiforme della faccia, riceve informazioni principalmente dal sistema parvocellulare. L’informazione che arriva
all’amigdala dal collicolo superiore e dal pulvinar origina nel più primitivo sistema magnocellulare.
Vuilleumier e colleghi hanno osservato che l’area fusiforme della faccia dimostra una maggiore
capacità di riconoscere i volti individuali, per cui utilizza le informazioni di frequenza spaziale alta fornite dal
sistema parvocellulare; al contrario, l’amigdala è in grado di riconoscere le espressioni di paura sulla base delle
informazioni di frequenza spaziale bassa, motivo per cui utilizza il sistema magnocellulare.
Perrett e collaboratori hanno scoperto un’interessante funzione cerebrale che può essere collegata al
riconoscimento dell’espressione emozionale, rilevando che i neuroni del solco temporale superiore della
132

scimmia sono implicati nel riconoscimento della direzione dello sguardo di un’altra scimmia, o persino di un
uomo. Alcuni neuroni di questa regione si attivano quando la scimmia osserva fotografie di facce di scimmia o di
volti umani, ma soltanto quando lo sguardo di queste facce è orientato in una particolare direzione. Lo sguardo è
importante nel riconoscimento delle emozioni perché ci permette di comprendere se una persona sta rivolgendo
a noi una certa emozione, e, quindi, quando è arrabbiata, se il suo sguardo è diretto nella nostra direzione,
potrebbe prefigurare una situazione di pericolo.
I neuroni specchio, localizzati nell’area premotoria ventrale del lobo frontale, ricevono impulsi dal solco
temporale posteriore e dalla corteccia parietale posteriore. Il circuito si attiva quando osserviamo un’altra
persona che esegue un’azione finalizzata, e il feedback di questa attività ci aiuta a comprendere cosa sentono gli
altri. Un disturbo neurologico noto come sindrome di Moebius fornisce un sostegno a questa ipotesi. La
sindrome di Moebius è una condizione congenita che implica il deficit di sviluppo dei nervi cranici sesto e
settimo, causando paralisi del volto e incapacità di effettuare movimenti oculari laterali. A causa di questa
paralisi, le persone affette da questa sindrome non riescono ad esprimere le emozioni con le espressioni facciali
e hanno difficoltà a riconoscere le espressioni facciali degli altri.
I neuroni audiovisivi giocano un ruolo anche nella comunicazione delle emozioni. I ricercatori
chiedevano a soggetti di emettere suoni emotivi in risposta a scenari scritti che presentavano situazioni in grado
di evocare trionfo, divertimento, paura o disgusto; successivamente, venivano fatte ascoltare queste
registrazioni a dei soggetti sperimentali, sottoposti a scansione di risonanza magnetica funzionale. Le scansioni
hanno dimostrato che l’ascolto delle vocalizzazioni emotive attiva le stesse regioni del cervello che sono attivate
dalle espressioni facciali delle corrispondenti emozioni. In altre parole, quando sentiamo altre persone emettere
suoni emotivi non verbali, il nostro sistema di neuroni specchio si attiva e il feedback prodotto da questa
attivazione può contribuire al riconoscimento delle emozioni espresse dai suoni in questione.

Disgusto
Diversi studi hanno trovato che il danno della corteccia insulare e dei gangli della base compromette la
capacità delle persone di riconoscere le espressioni facciali di disgusto; inoltre, uno studio di imaging funzionale
ha rilevato che sia annusare un odore disgustoso che osservare un volto che mostra un’espressione di disgusto
attiva la corteccia insulare. Il disgusto è un’emozione suscitata da qualcosa dal sapore o dall’odore sgradevole,
oppure da un’azione che consideriamo di cattivo gusto; l’insula contiene la corteccia gustativa primaria, quindi
potrebbe non essere una coincidenza che questa regione sia anche implicata nel riconoscimento del disgusto.
Substrato neuronale della comunicazione delle emozioni: espressione
Le espressioni facciali dell’emozione sono automatiche e involontarie. Non è facile produrre
un’espressione facciale realistica, quando questa non coincide con lo stato d’animo provato. I sorrisi
genuinamente allegri, in opposizione ai sorrisi simulati, comportano la contrazione di un muscolo in prossimità
dell’occhio.
La paresi dei movimenti facciali volontari è provocata da lesioni nella regione della corteccia motoria
primaria, che sovrintende alla motilità della faccia, o alle fibre che connettono questa regione con il nucleo
motorio del nervo facciale, che controlla i muscoli responsabili dei movimenti volontari del volto. Una
caratteristiche interessante di questo tipo di paresi facciale è che il paziente non può muovere volontariamente i
muscoli facciali, ma è in grado di esprimere un’emozione spontanea con quegli stessi muscoli. Al contrario, la
paresi dei movimenti facciali spontanei, è causata da lezioni della regione insulare della corteccia prefrontale,
della sostanza bianca del lobo frontale o di alcune parti del talamo. Queste strutture sono connesse con le
regioni del bulbo e del ponte responsabili del movimento dei muscoli facciali. Le persone affette da questo
disturbo possono muovere volontariamente la muscolatura facciale, ma non riescono ad esprimere emozioni nel
lato colpito dalla paresi.
Diversi studi si sono occupati dei meccanismi cerebrali implicati nella risata, un’espressione emotiva più
intensa del sorriso. Studiando il caso di un paziente con crisi epilettiche accompagnate da risate meste, in cui il
paziente rideva senza sentirsi felice o divertito, i ricercatori hanno osservato che le registrazioni effettuate con
elettrodi indicavano l’insorgenza degli attacchi nel giro cingolato anteriore sinistro. L’asportazione di una
neoplasia benigna situata nelle adiacenze portò alla risoluzione sia delle crisi epilettiche che delle risate meste.
Gli autori suggeriscono che la corteccia cingolata anteriore può essere coinvolta nei movimenti
muscolari che provocano la risata; la lesione della corteccia prefrontale ventromediale destra compromette la
capacità delle persone di comprendere le barzellette divertenti.
133

3 – Sensazioni emozionali

La teoria di James-Lange
William James e Carl Lange proposero separatamente una spiegazione analoga dell’emozione, cui molti
studiosi fanno riferimento con il nome cumulativo di teoria di James-Lange: è una teoria dell’emozione che
considera i comportamenti e le risposte fisiologiche come direttamente suscitate dalle situazioni, e le sensazioni
emozionali come prodotto del feedback sensoriale di questi comportamenti e risposte.
James afferma che le nostre sensazioni emotive sono basate su ciò che proviamo a fare in risposta a
determinati stimoli e sul feedback sensoriale che riceviamo dall’attività dei muscoli e dei visceri. Dunque, se ci
troviamo tremanti e inquieti, proviamo paura. Ogni qualvolta percepiamo un vissuto emozionale, ciò accade in
virtù del fatto che stiamo osservando noi stessi.
La percezione che abbiamo della nostra attivazione costituisce parte dell’esperienza emozionale?
Per rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno studiato la vita emotiva di individui con lesione
del midollo spinale. Quando il midollo spinale è interrotto o lesionato, le sensazioni che originano al di sotto del
punto danneggiato non possono raggiungere il cervello. In uno studio, alcuni veterani dell’esercito con lesioni spinali
furono divisi in gruppi. In un gruppo le lesioni erano vicine al collo, con la completa eliminazione di feedback del
sistema nervoso autonomo al cervello; in un altro gruppo, la lesione era lombare, che permetteva un feedback
parziale. Tanto più era alta la lezione, quanto meno feedback riceveva il cervello. Ai soggetti vennero chieste le loro
sensazioni di paura, rabbia, ira. Fu chiesto di ricordare un fatto pregno di emozione relativo a prima della lesione, e un
fatto analogo successivo alla lesione, e confrontare l’intensità dell’esperienza emotiva. Quanto più alta era la lesione,
tanto più diminuiva la risposta emotiva a seguito dell’emozione. La riduzione di attivazione del sistema nervoso
autonomo si trasforma in riduzione dell’esperienza emotiva.
L’attivazione dei sistema nervoso autonomo contribuisce all’intensità dell’esperienza. Gli psicologi si
sono chiesti se esiste uno schema di attività fisiologica per l’eccitazione, un altro per l’ira e così via. William
James propose che la percezione dei cambiamenti corporei è in sé l’esperienza soggettiva dell’emozione, e non
possiamo avere l’una senza l’altra. “Ci sentiamo dispiaciuti perché piangiamo, arrabbiati perché ci battiamo,
spaventati perché tremiamo.”
Il fisiologo Carl Langearrivò ad una conclusione simile: poiché la percezione dell’attivazione del sistema
nervoso autonomo costituisce in sé l’esperienza di un’emozione, e poiché differenti emozioni si provano in modo
differenti, deve esistere uno schema di attivazione del sistema nervoso autonomo per ciascuna emozione.
Questa teoria fu attaccata dal fisiologo Cannon, il quale formulò tre critiche principali:
 dal momento che gli organi interni sono strutture poco sensibili, i cambiamenti interni avvengono
troppo lentamente per costituire la fonte primaria di un’emozione;
 l’induzione artificiale dei cambiamenti corporei associati con un’emozione non causa l’esperienza
emozionale vera e propria;
 lo schema di attivazione del sistema nervoso autonomo non sembra differire tra un’emozione e
l’altra: per esempio, l’ira fa accelerare il battito cardiaco, ma anche la vista della persona amata.
Gli psicologi hanno cercato di confutare la terza critica.
Uno studio condotto da Levenson ed Ekman offre una prova sicura dell’esistenza di schemi distinti per emozioni
diverse. I soggetti sperimentali esibivano espressioni diverse per ognuna delle sei emozioni di base, seguendo le
istruzioni su quali muscoli facciali contrarre; mentre mantenevano un’espressione emotiva per dieci secondi, i
ricercatori misuravano il loro battito cardiaco, la temperatura cutanea ed altri indicatori di attivazione. Un certo
numero di queste misurazioni ha rilevato differenze tra le emozioni: il battito cardiaco era più veloce per le emozioni
negative, quali ira, paura e tristezza, di quanto non lo fosse per la felicità; le stesse tre emozioni negative potevano
essere distinte dal fatto che la temperatura cutanea fosse più alta nell’ira che nella paura o nella tristezza. Di
conseguenza, anche se sia l’ira che la vista della persona amata ci fanno battere il cuore, solo l’ira ce lo fa battere
più forte, e sebbene l’ira e la paura abbiano molto in comune, l’ira è calda e la paura è fredda.

Feedback da emozioni simulate


James evidenziò l’importanza di due aspetti delle risposte emozionali: i comportamenti emozionali e le
risposte vegetative. Diversi esperimenti indicano che il feedback sensoriale della contrazione dei muscoli facciali
può influenzare l’umore delle persone e perfino alterare l’attività del sistema nervoso autonomo.
L’idea che le espressioni del viso contribuiscano anche all’esperienza delle emozioni è chiamata ipotesi
del feedback facciale: proprio come riceviamo un feedback dall’atticazione del sistema nervoso autonomo, così
riceviamo un feedback dall’espressione del viso.
In un esperimento, i soggetti classificavano delle vignette a seconda della loro comicità, mentre tenevano una penna
tra i denti o tra le labbra. Tenere una penna tra i denti costringe il viso al sorriso, mentre tenerla tra le labbra impedisce
di sorridere. Coerentemente all’ipotesi del feedback facciale, le vignette furono giudicate più divertenti dai soggetti
che tenevano la penna tra i denti, rispetto a quelli che tenevano la penna tra le labbra. Tale esperimento dimostra
che il fatto di assumere una certa espressione del viso contribuisca alla comparsa di stati emotivi congruenti
all’espressione facciale.
134

La tendenza all’imitazione sembra essere innata. Field e collaboratori hanno richiesto a degli adulti di
mimare espressioni facciali di fronte a bambini molto piccoli. L’espressione facciale dei bambini era filmata e
successivamente sottoposta a valutazione da parte di persone che ignoravano quali espressioni fossero state
mostrate dagli adulti. Field e collaboratori riscontravano che persino neonati di età inferiore alle 36 ore
tendevano ad imitare le espressioni viste. Chiaramente, questo fenomeno insorge in un’età troppo precoce per
essere il risultato di un apprendimento.
Probabilmente l’imitazione costituisce uno dei canali attraverso i quali gli organismi comunicano le
proprie emozioni, evocando sentimenti di empatia. Per esempio, se vediamo qualcuno con un’espressione triste,
anche noi tendiamo ad assumere un’espressione analoga. Il feedback sensoriale della nostra espressione
contribuisce a metterci nei panni delle altre persone e ci rende più disponibili a fornire conforto ed assistenza.
135

-13-
APPRENDIMENTO E MOMORIA

L'apprendimento è un cambiamento relativamente permanente che deriva da nuova


esperienza o dalla pratica di nuovi comportamenti, ovvero una modificazione di un comportamento
complesso, abbastanza stabile nel tempo, derivante dalle esperienze di vita e dalle attività dal soggetto.
Dal punto di vista psicologico, l'apprendimento è dunque una funzione dell'adattamento di un soggetto
risultante dall'esperienza di un problema o contesto nuovo, ovvero un processo attivo di acquisizione di
comportamenti stabili in funzione dell'adattamento ai cambiamenti nell'ambiente, che costituiscono per
il soggetto problemi da risolvere. In sostanza, dunque, apprendere vuol dire acquisire nuove modalità di
agire o reagire, per adattarsi ai cambiamenti dei contesti ambientali, compresi i contesti relazionali.
Esistono due tipi principali di apprendimento: l’apprendimento associativo e l’apprendimento
non associativo. L’apprendimento non associativo è quello relativo a un singolo stimolo e include
l’abituazione e la sensibilizzazione. Sia l’abituazione che la sensibilizzazione sono di breve durate:
permangono da qualche minuto a poche ore. L’abituazione è un tipo di apprendimento non
associativo caratterizzato dalla diminuzione di una risposta comportamentale a uno stimolo innocuo. Al
contrario, la sensibilizzazione è un tipo di apprendimento non associativo caratterizzato dall’aumento
della risposta comportamentale a uno stimolo intenso. La sensibilizzazione di solito si verifica quando si
presenta a un organismo uno stimolo nocivo o dannoso.
L’apprendimento associativo è molto più complesso di quello non associativo, perché implica
l’apprendimento delle relazioni tra gli eventi. Include, tra le altre cose, il condizionamento classico, il
condizionamento operante e l’apprendimento complesso.

1 – La natura dell’apprendimento
L’apprendimento è il processo mediante il quale le esperienze cambiano il nostro sistema nervoso e
quindi il comportamento. Noi chiamiamo questi cambiamenti ricordi. I ricordi cambiano fisicamente le strutture
del sistema nervoso, alterando i circuiti neurali implicati in percezione, azione, pensiero e pianificazione.
L’apprendimento può assumere almeno quattro forme base: apprendimento percettivo,
apprendimento stimolo-risposta, apprendimento motorio e apprendimento associativo.
L’apprendimento percettivoè la capacità di imparare a riconoscere stimoli percepiti in precedenza. La
funzione primaria di questo tipo di apprendimento consiste nella capacità di identificare e categorizzare oggetti
e situazioni. Se non abbiamo imparato a riconoscere qualcosa non possiamo apprendere come comportarci nei
suoi confronti. Ciascuno dei nostri sistemi sensoriali è in grado di apprendere percettivamente. Sembra che
l’apprendimento percettivo si realizzi sostanzialmente mediante cambiamenti della corteccia associativa, per cui
imparare a riconoscere stimoli visivi complessi implica cambiamenti nella corteccia associativa visiva, imparare a
riconoscere stimoli uditivi complessi implica cambiamenti nella corteccia associativa uditiva e così via.
L’apprendimento stimolo-rispostaè la capacità di imparare ad eseguire un determinato
comportamento in presenza di uno specifico stimolo. L’apprendimento stimolo-risposta include due categorie
principali di apprendimento, che gli psicologi hanno studiato a lungo termine: il condizionamento classico e il
condizionamento operante. Più di cinquanta anno fa, Donald Hebb propose un principio che potrebbe spiegare
come l’esperienza cambia i neuroni, causando cambiamenti nel comportamento. La legge di Hebbsostiene che
se una sinapsi si attiva ripetutamente, quasi nello stesso momento in cui scarica un neurone post-sinaptico, la
struttura o la chimica della sinapsi subirà dei cambiamenti, rinforzandosi.Se due eventi avvengono
contemporaneamente, finiscono per essere associati, nel senso che l'attivazione del ricordo di uno dei due induce anche
l'attivazione dell’altro. L'associazione tra neurone pre- e post-sinaptico viene rafforzata quando c’è co-occorrenza
dell’attivazione pre- e post-sinaptica causata da un evento esterno (lo stimolo incondizionato).
L’apprendimento motorioè parte dell’apprendimento stimolo-risposta. Per semplicità, possiamo
considerare l’apprendimento percettivo come lo stabilirsi di cambiamenti all’interno dei sistemi sensoriali del
cervello, l’apprendimento stimolo-risposta come lo stabilirsi di connessioni tra sistemi sensoriali e sistemi
motori, e l’apprendimento motorio come lo stabilirsi di cambiamenti all’interno dei sistemi motori. Ma, nei fatti,
l’apprendimento motorio non può verificarsi senza una guida sensoriale dell’ambiente. Per esempio, molti
movimenti appresi coinvolgono interazioni con gli oggetti; persino l’apprendimento dei movimenti che
riguardano solo noi stessi, come alcuni passi solitari di danza, necessitano di un feedback dalle articolazioni, dai
muscoli, dall’apparato vestibolare, dagli occhi e dal contatto dei piedi con il pavimento. L’apprendimento
motorio differisce da altre forme di apprendimento principalmente per il grado in cui le nuove forme di
apprendimento sono apprese: più recente è il comportamento, tanto più dovranno essere modificati i circuiti
neurali del sistema motorio.
136

Anche la percezione della localizzazione spaziale, l’apprendimento spaziale, implica un apprendimento


di relazioni tra stimoli. Per esempio, quando dobbiamo acquisire familiarità con una stanza nuova, dobbiamo
imparare a riconoscere ogni oggetto, poi dobbiamo imparare le posizioni relative degli oggetti, gli uni rispetto
agli altri. Come risultato, quando siamo in una particolare posizione della stanza, la percezione degli oggetti e
della loro posizione rispetto a noi ci dice esattamente dove siamo.
Altri tipi di apprendimento associativo sono ancora più complessi: la memoria episodica – il ricordo di
sequenze di eventi che abbiamo vissuto – richiede di conservare traccia non soltanto di stimoli singoli, ma anche
dell’ordine nel quale essi si sono presentati.

2 – Plasticità sinaptica: potenziamento a lungo termine e depressione a lungo termine


Basandosi soltanto su considerazioni teoriche, possiamo affermare che l’apprendimento necessita di
plasticità neurale: cambiamenti nella struttura o nella biochimica delle sinapsi che alterano il loro effetto sui
neuroni post-sinaptici.

Introduzione del potenziamento a lungo termine


Con il terminepotenziamento a lungo termine ci si riferisce ad una forma di plasticità sinaptica che consiste in un
aumento a lungo termine della trasmissione del segnale tra due neuroni, ottenuto stimolandoli in maniera sincrona. Si
intende un particolare processo fisiologico caratterizzato da una serie di modificazioni molecolari indotte da una stimolazione
tetanica sulla funzione e sulla microstruttura di una o più giunzioni sinaptiche. Per indurre potenziamento a lungo termine è
necessario che la membrana post-sinaptica sia depolarizzata nell'intervallo di tempo in cui il terminale pre-sinaptico libera
glutammato. Si può ottenere sperimentalmente questa situazione usando la stimolazione tetanica. Il legame con il
glutammato apre i canali dei recettori AMPA(in cui passano ioni sodio e potassio), mentre la depolarizzazione che ne
consegue fa staccare gli ioni magnesio per repulsione elettrostatica dai recettori NMDA consentendo il passaggio (oltre al
sodio e al potassio) anche agli ioni calcio. Il calcioè l'elemento centrale del processo perché, una volta raggiunta una certa
concentrazione nella cellula, è in grado di attivare un processo per cui i recettori AMPA presenti nella cellula vengono trasferiti
sulla membrana e i recettori già presenti lasciano passare una maggiore quantità di ioni.La sinapsi risulta così rinforzata.
Stimolazioni elettriche dei circuiti all’interno della formazione ippocampale possono indurre
cambiamenti sinaptici a lungo termine, che sembrano responsabili dell’apprendimento. Lomo scoprì che
stimolazioni elettriche degli assoni della corteccia entorinale, fino al giro dentato, causano un incremento a
lungo termine nelle entità e nei potenziali post-sinaptici eccitatori dei neuroni post-sinaptici; questo incremento
è stato chiamato potenziamento a lungo termineun aumento a lungo termine nell’eccitabilità di un neurone
ad un particolare input sinaptico, a causa dell’attività ripetuta ad alta frequenza di quell’input.
La formazione ippocampale– una struttura telencefalica del lobo temporale, che costituisce una parte
importante del sistema limbico e include l’ippocampo, il giro dentato e il subiculum – è una regione specializzata
della corteccia limbica, situata nel lobo temporale.
Gli impulsi primari alla formazione ippocampale vengono dalla corteccia entorinale. Gli assoni della
corteccia entorinale passano attraverso la via perforante e formano sinapsi con le cellule granulari del giro
dentato. Si inseriscono un elettrodo di stimolazione nella via perforante e un elettrodo di registrazione nel giro
dentato, vicino alle cellule granulari. Per prima cosa, si invia un singolo impulso elettrico alla via perforante e si
registra nel giro dentato il risultante potenziale post-sinaptico eccitatorio di popolazioneun potenziale evocato
che rappresenta il potenziale post-sinaptico eccitatorio di una popolazione di neuroni. L’ammontare del primo
potenziale post-sinaptico eccitatorio di popolazione indica la forza della connessione sinaptica, prima che si
verifichi il potenziamento a lungo termine. Il potenziamento a lungo termine può essere indotto stimolando gli
assoni nella corteccia perforante, tramite un treno di impulsi di circa un centinaio di stimolazioni elettriche,
somministrate in pochi secondi. Prove del potenziamento a lungo termine sono ottenute somministrando
periodicamente singoli impulsi nella corteccia perforante e registrando la risposta nel giro dentato: se la risposta
è maggiore di quella registrata prima della somministrazione del treno di impulsi, si è verificato un
potenziamento a lungo termine. Il potenziamento a lungo termine può essere prodotto in altre regioni della
formazione ippocampale e in altre aree del cervello; la sua durata può essere di diversi mesi.
Molti esperimenti hanno dimostrato che il potenziamento a lungo termine segue la legge di Hebb; cioè,
quando stimoliamo approssimativamente nello stesso momento sinapsi deboli e forti, che hanno terminazioni
sullo stesso neurone, le sinapsi deboli si rafforzano. Questo fenomeno è chiamato potenziamento associativo a
lungo termine, un potenziamento a lungo termine nel quale la stimolazione concorrente di sinapsi deboli e forti
di un dato neurone rinforza quelle deboli.
137

Ruolo dei recettori NMDA


Il potenziamento a lungo termine non associativo richiede alcuni effetti additivi. Cioè, una serie di
impulsi somministrati ad alta frequenza, tutti in un unico treno, produrranno potenziamento a lungo termine,
ma lo stesso numero di impulsi con frequenza più bassa non produrrà il medesimo risultato.
Un ritmo rapido di stimolazioni fa sì che i potenziali post-sinaptici eccitatori si sommino, poiché ogni
potenziale post-sinaptico eccitatorio successivo si verifica prima che il presedente si sia dissipato; ciò significa
che la stimolazione rapida depolarizza la membrana post-sinaptica molto più della stimolazione lenta.
Diversi esperimenti hanno dimostrato che il rafforzamento delle sinapsi si verifica quando le molecole
del neurotrasmettitore si legano con i recettori post-sinaptici situati su una spina dendritica già depolarizzata.
• I recettori AMPA aprono un canale per il La spiegazione di tale fenomeno, almeno per alcune zone del
sodio quando si legano al glutammato cervello, dipende da alcune caratteristiche di un tipo speciale di
recettore del glutammato: il recettore NMDA, un recettore
• I recettori NMDA hanno uno ione magnesio glutammatergicoionotropico specializzato che controlla un canale
calcio, che normalmente è bloccato dagli ioni magnesio. Questo
che impedisce l’apertura del canale
recettore possiede alcune proprietà particolari: è localizzato nella
• Il canale del recettore NMDA si apre solo formazione ippocampale e prende il nome dalla sostanza che lo
attiva in modo specifico: l’N-metil-D-aspartato. Il recettore NMDA
quando:
controlla un canale per gli ioni calcio, che normalmente è
bloccato da uno ione magnesio che impedisce agli ioni calcio di
– arriva il glutammato dalla cellula pre-
penetrare nella cellula, persino quando i recettori sono stimolati
sinaptica… dai glutammato.
Se la membrana post-sinaptica si depolarizza, il magnesio è
– …ed il magnesio è statoespulso perché la espulso dal canale ionico e il canale è libero di accettare ioni
cellula postsinaptica è già depolarizzata calcio. Perciò, gli ioni calcio entrano nelle cellule attraverso i
canali controllati dai recettori NMDA soltanto quando è presente il
glutammato e le membrane post-sinaptiche sono depolarizzate;
ciò significa che il canale ionico controllato dal recettore NMDA è
un canale neurotrasmettitore e voltaggio dipendente.

Meccanismi di plasticità sinaptica


Qual è il meccanismo responsabile dell’aumento della forza di una sinapsi che ha luogo durante il
potenziamento a lungo termine?
Le spine dendritiche sulle cellule piramidali ippocampali contengono due tipi di recettore per il
glutammato: il recettore NMDA e il recettore AMPA, un recettore glutammatergicoionotropico che controlla un
canale sodio; quando è aperto, produce potenziali post-sinaptici eccitatori.
Le ricerche hanno indicato che il rafforzamento di una sinapsi individuale sembra essere dovuto
all’inserimento di ulteriori recettori AMPA sulla membrana post-sinaptica della spina dendritica. I recettori AMPA
controllano i canali del sodio: quindi, quando sono attivati dal glutammato, producono un potenziale post-
sinaptico eccitatorio nella membrana della spina dendritica. Perciò, con la presenza di più recettori AMPA, il
rilascio di glutammato da parte del bottone terminale causa un potenziale postsinaptico più grande; in altre
parole, la sinapsi diviene più forte.
L’induzione di potenziamento a lungo termine fa
Quando si verificano le condizioni per il
spostare i recettori AMPA nelle membrane post-
potenziamento a lungo termine, gli ioni calcio
sinaptiche delle spine dendritiche dalle regioni
entrano nella spina dendritica attraverso i recettori
adiacenti, non sinaptiche, dei dendriti. Diversi minuti
NMDA. Gli ioni calcio attivano enzimi della spina
dopo si osservano recettori AMPA che, dall’interno
dendritica, che inducono i recettori AMPA a
della cellula, si spostano sull’asse del dendrite, per
muoversi nella spina dendritica. L’incremento del sostituire quelli che erano stati inseriti nella
numero dei recettori AMPAnella membrana post- membrana post-sinaptica delle spine dendritiche.
sinaptica rafforza la sinapsi. Altre due modificazioni associate al
potenziamento a lungo termine consistono in
un’alterazione della struttura sinaptica con produzione di nuove sinapsi. Molti studi hanno rilevato che
l’induzione di un potenziamento a lungo termine include anche modificazioni di dimensioni e forma delle spine
dendritiche: il potenziamento a lungo termine causa l’ingrossamento delle spine più sottili. L’induzione di un
potenziamento a lungo termine causa la crescita di nuove spine dendritiche; dopo un periodo compreso tra 15 e
19 ore, le nuove spine formano connessioni sinaptiche con i bottoni terminali degli assoni adiacenti.
I ricercatori ritengono che il potenziamento a lungo termine possa implicare anche modificazioni presinaptiche
nelle sinapsi esistenti, come un incremento della quantità di glutammato rilasciata dal bottone terminale.
138

Per diversi anni dopo la sua scoperta, i ricercatori ritennero che il potenziamento a lungo termine
implicasse un singolo processo. Da allora, è divenuto chiaro che il potenziamento a lungo termine consiste in
diversi stadi: il potenziamento a lungo termine precoceimplica il processo di depolarizzazione della membrana,
rilascio di glutammato, attivazione dei recettori NMDA, ingresso degli ioni calcio e spostamento dei recettori
AMPA nella membrana post-sinaptica.Il potenziamento a lungo termine di lunga duratanecessita della sintesi
proteica. Frey e i suoi colleghi scoprirono che le sostanze che bloccano la sintesi proteica possono interrompere
il consolidamento a lungo termine di lunga durata. Da molti anni i ricercatori hanno realizzato che un enzima
speciale, il PKM-zeta, gioca un ruolo speciale in questo processo.
Per molti anni i neuroscienziati hanno cercato di comprendere quali meccanismi nel nostro cervello
rendono possibile ai ricordi di animali che vivono per lungo tempo come noi di durare così a lungo. Adesso è
chiaro che il potenziamento a lungo termine di lunga durata è alla base di alcune forme di memoria molto
importanti, il che significa che dobbiamo comprendere cos’è che fa durare così a lungo il potenziamento a lungo
termine di lunga durata. La proteina PKM-zeta è necessaria e sufficiente per il potenziamento a lungo termine di
lunga durata. L’infusione di PKM-zeta nelle cellule piramidali della formazione ippocampale produce
potenziamento a lungo termine persino senza la stimolazione dei recettori NMDA o l’ingresso di ioni calcio, e
l’infusione di un farmaco che blocca la proteina PKM-zeta abolisce sia il potenziamento a lungo termine di lunga
durata che alcune forme di memorie a lungo termine in molte parti del cervello.

Depressione a lungo termine


Per depressione a lungo termine si intende una diminuzione a lungo termine dell’eccitabilità di un
neurone per un particolare input sinaptico, causata dalla stimolazione del bottone terminale mentre la
membrana postsinaptica è iperpolarizzata o debolmente depolarizzata.
La depressione a lungo termine gioca anch’essa un ruolo importante nell’apprendimento. Sembra che i
circuiti neurali che contengono i ricordi si stabiliscano grazie al rafforzamento di alcune sinapsi e
all’indebolimento di altre. I ricercatori hanno rilevato che le frequenze al di sopra dei 10 Hz causano
potenziamento a lungo termine, mentre quelle al di sotto dei 10 Hz inducono depressione a lungo termine.
Entrambi questi effetti sono eliminati dall’applicazione di un bloccante per i recettori NMDA: quindi, entrambi
richiedono l’attivazione dei suddetti recettori.
La depressione a lungo termine sembra coinvolgere una riduzione del numero dei recettori AMPA in
queste spine. E proprio come i recettori AMPA si inseriscono nelle spine dendritiche durante il potenziamento a
lungo termine, essi vengono rimossi dalle spine nelle vescicole durante la depressione a lungo termine.
La depressione a lungo termine implica l’attivazione dei recettori NMDA; ma come può l’attivazione degli
stessi recettori produrre effetti opposti? Una risposta è suggerita da Lisman, che ha notato che la stimolazione
sostenuta a bassa frequenza delle sinapsi sulle cellule piramidali produce depressione a lungo termine e
causerebbe un modesto ma prolungato incremento del calcio, mentre l’intensa stimolazione ad alta frequenza
che produce il potenziamento a lungo termine indurrebbe un incremento molto maggiore di calcio. Forse,
aumenti piccoli e grandi degli ioni calcio intracellulari innescano meccanismi differenti.

3 – Apprendimento percettivo
L’apprendimento ci permette di adattarci al nostro ambiente e di rispondere ai cambiamenti che
avvengono al suo interno. In particolare, ci fornisce la capacità di eseguire un comportamento adatto ad una
specifica situazione.
L’apprendimento percettivo consiste nell’imparare a riconoscere le cose, indipendentemente da cosa
fare quando esse sono presenti. L’apprendimento percettivo può riguardare l’imparare a riconoscere stimoli
completamente nuovi, oppure a riconoscere cambiamenti e variazioni in situazioni familiari.

Apprendere a riconoscere stimoli visivi


Nei mammiferi con cervelli grandi e complessi, i neuroni della corteccia associativa visiva si occupano
del riconoscimento degli oggetti.
La corteccia visiva primaria riceve informazioni dal nucleo genicolato laterale del talamo; dopo il primo
livello di analisi, l’informazione è inviata alla corteccia extrastriata, che circonda la corteccia visiva primaria.
Dopo l’analisi degli specifici attributi della scena visiva, le sottoregioni della corteccia extrastriata inviano il
risultato della loro analisi al livello successivo della corteccia associativa visiva, attraverso due canali, l’uno
ventrale e l’altro dorsale. Il canale ventrale, coinvolto nel riconoscimento degli oggetti, comincia nella corteccia
extrastriata e continua ventralmente nella corteccia temporale inferiore; il canale dorsale, che elabora la
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percezione della localizzazione degli oggetti, comincia nella corteccia exstrastriata del lobo occipitale, ma
continua dorsalmente nella corteccia parietale posteriore.
Molti studi hanno dimostrato che lesione che danneggiano la corteccia temporale inferiore, che fa parte
del canale ventrale, compromettono la capacità di discriminare fra stimoli visivi differenti. Queste lesioni
compromettono la capacità di percepire particolari tipi di informazione visiva.
L’apprendimento percettivo chiaramente implica cambiamenti nelle connessioni sinaptiche nella
corteccia visiva associativa, che stabiliscono nuovi circuiti neurali; in seguito, quando ci si rende conto che lo
stimolo e il pattern di attività è lo stesso di quello appreso in precedenza, si riattivano gli stessi circuiti.
È stato scoperto che, quando viene stimolata la corteccia visiva e la corteccia uditiva di associazione nel
corso di interventi chirurgici contro l’epilessia, i pazienti riportavano ricordi di immagini o suoni: per esempio,
immagini di strade familiari o il suono della voce della loro madre. La lesione delle regioni cerebrali coinvolte
nella percezione visiva non solo compromette la capacità di riconoscere gli stimoli visivi, ma danneggia anche la
memoria individuale sulle proprietà di stimoli familiari.

Memoria percettiva a breve termine


Spesso è sufficiente riconoscere gli stimoli, ma a volte la situazione richiede che emettiamo la risposta
appropriata dopo un intervallo di tempo, addirittura quando lo stimolo non è più visibile. Per esempio,
immaginiamo di dover parcheggiare il più vicino possibile ad un negozio; ci guardiamo alla nostra sinistra, poi alla
nostra destra; dobbiamo comparare mentalmente le distanze dei due parcheggi disponibili a destra e a sinistra,
poi prendere una decisione. In altre parole, dobbiamo confrontare una percezione con la memoria a breve
termine di qualcosa che abbiamo appena percepito. La memoria a breve termine di uno stimolo necessita
l’attivazione di alcuni circuiti che continuano ad essere attivati anche quando lo stimolo non è più percepibile.
Studi di imaging funzionale hanno dimostrato che la ritenzione di specifici tipi di memorie visive a breve
termine richiede l’attivazione di specifiche regioni della corteccia visiva di associazione. Una regione della via
ventrale, l’area fusiforme della faccia, è implicata nel riconoscimento di volti, e un’altra regione, l’area
paraippocampale delle placecell, è responsabile del riconoscimento dei luoghi.
Sebbene i circuiti neurali responsabili dell’acquisizione della capacità di riconoscere stimoli particolari
sembrino risiedere nella corteccia sensoriale di associazione, la memoria percettiva a breve termine coinvolge
anche altre regioni cerebrali, in particolare la corteccia prefrontale. È stato ipotizzato che il ruolo della corteccia
prefrontale nella memoria a breve termine consiste nel manipolare ed organizzare le informazioni da ricordare,
mettere a punto strategie di recupero, e monitorare i risultati di questi processi.

4 – Condizionamento classico
Il condizionamento classico è un processo appreso in cui uno stimolo condizionato (SC) che precede uno
stimolo incondizionato (SI) diventa un segnale per lo SI ed elicita una risposta condizionata (RC) che spesso somiglia
alla risposta incondizionata (RI).
Affinché si verifichi il condizionamento classico, lo SC deve essere un predittore attendibile dello SI; in poche
parole, deve esserci una maggiore probabilità che si presenti lo SI in seguito allo SC, piuttosto che in sua assenza.

- Gli esperimenti di Pavlov


Il primo approccio comportamentista di studio dell'apprendimento fu il cosiddetto apprendimento di tipo
associativo per contingenza temporale (condizionamento classico) di Ivan Pavlov. Questo approccio studia il
processo dell'apprendimento mediante l'associazione stimolo-risposta. Pavlov, un fisiologo, studiò il condizionamento
osservando in laboratorio una reazione di salivazione di un cane, non solo di fronte al cibo, ma anche di conseguenza
del campanello che introduceva il cibo. L'elemento centrale di questo modello è l'associazione di uno stimolo
condizionato SC (per sua natura neutro e non rilevante, come per esempio il suono di un campanello) ad una risposta
riflessa RI (salivazione per il cibo, detta risposta incondizionata, poiché è innata, e non deve essere appresa). Il cibo
rappresenta invece lo stimolo incondizionato, SI poiché è l'elemento che causa la risposta naturale spontanea, non
appresa. Se tale associazione avviene in un breve lasso di tempo, questo porta ad una risposta condizionata RC
(salivazione) anche di fronte allo stimolo condizionato (campanello) e non solo allo stimolo incondizionato (cibo).

I neuroscienziati hanno studiato l’anatomia e la fisiologia del condizionamento classico, ed è stata


studiata soprattutto la risposta emozionale condizionata.
L’amigdala è parte di un importante sistema coinvolto nell’apprendimento di una risposta emozionale
condizionata. Uno stimolo avversivo produce una varietà di risposte comportamentali, vegetative e ormonali:
immobilizzazione, aumento della pressione arteriosa, secrezione di ormoni da parte del surrene e secrezione di
ormoni dello stress. Una risposta emotiva condizionata si stabilisce accoppiando uno stimolo neutrale a uno
stimolo avversivo, e può verificarsi senza la partecipazione della corteccia uditiva.
Le informazioni relative allo stimolo condizionato raggiungono il nucleo laterale dell’amigdala. Questo
nucleo riceve anche le informazioni relative allo stimolo incondizionato dal sistema somatosensoriale; quindi, le
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due fonti di informazione convergono nel nucleo laterale, il che significa che i cambiamenti sinaptici responsabili
dell’apprendimento potrebbero verificarsi in questo sito.
Il nucleo laterale dell’amigdala contiene neuroni i cui assoni proiettano al nucleo centrale. Quando un
ratto entra in contatto con uno stimolo doloroso, si attivano le sinapsi forti del nucleo laterale; di conseguenza, i
suoi neuroni cominciano a scaricare, il che attiva i neuroni del nucleo centrale, evocando una risposta
emozionale incondizionata. Se allo stimolo doloroso si associa un tono, le sinapsi deboli dell’amigdala laterale si
rafforzano per effetto della legge di Hebb.
Le prove empiriche raccolte in molti studi sostengono l’ipotesi secondo cui le modificazioni
dell’amigdala laterale responsabili dell’acquisizione di una risposta emozionale condizionata implicano il
potenziamento a lungo termine. Il potenziamento a lungo termine si realizza, in molte parti del cervello,
attraverso l’attivazione di recettori NMDA e l’inserimento dei recettori AMPA nella membrana postsinaptica.
Il potenziamento a lungo termine nell’amigdala laterale, mediato dai recettori NMDA e mantenuto dalla
proteina PKM-zeta, gioca un ruolo critico nella formazione delle risposte emozionali condizionate.

5 – Condizionamento operante
Il condizionamento operante è il mezzo mediante il quale noi umani (ma anche altri animali) traiamo
profitto dall’esperienza. Se, in una particolare situazione, emettiamo una risposta che produce esiti favorevoli,
tenderemo a produrre nuovamente quella risposta.

Nel condizionamento classico, la risposta condizionata spesso somiglia alla risposta normale allo stimolo
incondizionato. Ma quando si vuole insegnare a un organismo qualcosa di nuovo, non si può usare il
condizionamento classico. Nel condizionamento operante, si apprendono certe risposte perché i soggetti operano
sull’ambiente, cioè lo influenzano. L’organismo non si limita a reagire agli stimoli, ma si comporta in modi designati a
produrre alcuni cambiamenti nel suo ambiente. Questo condizionamento è detto operante perché basato su
operazioni legate ai muscoli volontari. In questo caso infatti l'apprendimento non avviene a livello di riflessi come nel
condizionamento rispondente, ma di operazioni motorie più complesse.

- Gli esperimenti di Skinner


Dei cambiamenti nel modo in cui i ricercatori concettualizzano il condizionamento operante si devono a B. Skinner.
IL SETTING DI RICERCA ENTRO CUI SKINNER HA SVILUPPATO QUESTA TEORIA, PRENDE IL NOME DA QUESTO RICERCATORE, LA SKINNER BOX. NEL SUO INTERNO C'È UN TOPO CHE
NECESSITA DI PREMERE UN TASTO O SPINGERE UNA LEVA PER APRIRE UNA DISPENSA DI CIBO. L'ANIMALE AFFAMATO, IN CONDIZIONE DI ALTA ATTIVAZIONE MOTIVAZIONALE VIENE SPINTO ALLA
RICERCA DEL CIBO. PER PROVE ED ERRORI INAVVERTITAMENTE IL TOPO PREMERÀ IL GIUSTO MECCANISMO PER ARRIVARE AL CIBO, CHE FUNGE DA RINFORZO POSITIVO. QUESTO
COMPORTAMENTO, RINFORZATO, TENDE AD ESSERE SEMPRE PIÙ FREQUENTE, FINO A QUANDO L'ANIMALE ARRIVA A PREMERE DIRETTAMENTE LA LEVA GIUSTA. A QUESTO PUNTO L'ANIMALE HA
APPRESO, ANCHE SENZA COMPRENDERLA, UN'OPERAZIONE (INTERAZIONE VOLONTARIA COMPLESSA) CONDIZIONATA DAL RINFORZO POSITIVO DEL CIBO.
Il condizionamento operante aumenta la probabilità di una risposta, facendo seguire il comportamento da
un rinforzo. Per rinforzo si intende il processo tramite il quale l’offerta di uno stimolo appetitivo o l’eliminazione di uno
stimolo avversivo aumenta la probabilità di un comportamento. La punizione è l’opposto del rinforzo. Si tratta del
processo tramite il quale la somministrazione di uno stimolo avversivo è l’eliminazione di uno stimolo appetitivo riduce
la probabilità di un comportamento.

Gangli della base


Il condizionamento operante richiede il rafforzamento delle connessioni tra i circuiti neurali che rilevano
uno stimolo e i circuiti neurali che producono una particolare risposta. I circuiti responsabili del condizionamento
operante hanno origine in diverse regioni della corteccia associativa sensoriale, dove ha luogo la percezione, e
terminano nella corteccia associativa motoria del lobo frontale, che controlla i movimenti. Ma quali vie sono
responsabili di queste connessioni, e dove avvengono i cambiamenti sinaptici responsabili dell’apprendimento?
Ci sono due vie principali tra la corteccia associativa sensoriale e la corteccia associativa
motoria:connessioni transcorticali dirette e connessioni che passano dai gangli della base e dal talamo.
Entrambe queste vie sono importanti per il condizionamento operante, ma hanno ruoli differenti.
Insieme alla formazione ippocampale, le connessioni transcorticali sono implicate nell’acquisizione di
memorie episodiche: memorie percettive complesse di sequenze di eventi cui abbiamo assistito o che ci sono
state descritte. Le connessioni transcorticali sono coinvolte anche nell’acquisizione di comportamenti complessi
che richiedono ponderazione o istruzioni, come, per esempio, imparare a guidare una macchina. Una serie di
regole a memoria ci fornisce un copione da seguire. Naturalmente, non c’è bisogno che questo processo sia
udibile o coinvolga movimenti attivi dei muscoli che servono per parlare: una persona può pensare in parole, con
un’attività neurale che non dà origine ad un comportamento manifesto.
Inizialmente, un comportamento messo in atto utilizzando l’osservazione o seguendo una serie di regole, risulta
lento e poco accurato; poiché nel recupero delle regole e della loro applicazione al nostro comportamento sono impegnate
molte risorse cerebrali, non possiamo rispondere ad altri stimoli dell’ambiente: dobbiamo ignorarli ed evitare di distrarci.
Successivamente, con la pratica, il comportamento diventa più fluido, fino a quando lo eseguiamo senza pensarci e possiamo
fare altre cose nello stesso momento, come sostenere una conversazione con il passeggero mentre guidiamo in macchina.
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Le prove empiriche suggeriscono che quando i comportamenti appresi diventano automatici sono
trasferiti ai gangli della base. Il processo sembra svolgersi nel modo seguente: quando eseguiamo un
comportamento complesso in modo volontario, i gangli della base ricevono informazioni sugli stimoli presentati
e la risposta che stiamo emettendo, ma all’inizio i gangli della base sono soltanto degli “osservatori” passivi della
situazione; con il continuo ripetersi del comportamento cominciamo ad apprendere cosa fare, fino a che, alla
fine, i gangli della base di fanno carico della maggior parte dei dettagli del processo, lasciando i circuiti
transcorticali liberi di fare qualcos’altro. Non abbiamo bisogno di pensare a quello che stiamo facendo.
Il neostriato, composto dal nucleo caudato e dal putamen, riceve informazioni sensoriali da tutte leregioni della
corteccia cerebrale. Esso riceve informazioni anche dai lobi frontali riguardo i movimenti pianificati o in corso.
Gli output provenienti da nucleo caudato e putamensono inviati a un’altra porzione dei gangli della base: il
globo pallido; da qui, le informazioni passano alla corteccia frontale: alla corteccia premotoria e
motoriasupplementare, dove sono pianificati i movimenti, e alla corteccia motoria primaria, dove sono eseguiti.
Studi con animali da laboratorio hanno evidenziato che lesioni dei nuclei della base disturbano il
condizionamento operante, ma non influenzano altre forme di apprendimento.
Il trasferimento delle memorie dai sistemi cerebrali coinvolti nell’acquisizione delle sequenze comportamentali a
quelli implicati nell’immagazzinamento delle procedure automatiche avviene a livello dei gangli della base: lo
striato dorsomediale del ratto è reciprocamente connesso con la corteccia prefrontale, mentre lo striato
dorsolaterale del ratto è reciprocamente connesso alle regioni sensoriali e motorie della corteccia.
Rinforzo
L’apprendimento è il mezzo che ci permette di trarre profitto dall’esperienza, di produrre risposte che
forniscono esiti piacevoli. Quando si verificano eventi favorevoli, i meccanismi di rinforzo nel cervello si attivano
e facilitano lo stabilizzarsi dei cambiamenti sinaptici.
Il sistema nigrostriale ha origine nell’area tegmentale ventrale,un gruppo di neuroni dopaminergici del
mesencefalo ventrale, i cui assoni formano i sistemi mesolimbico e mesocorticale. Questa regione proietta verso
diverse regioni proencefaliche, inclusi l’amigdala, l’ippocampo e il nucleo accumbens, un nucleo del proencefalo
basale, vicino al setto, che riceve i bottoni terminali che secernono dopamina dai neuroni dell’area tegmentale
ventrale e si ritiene sia coinvolto nei meccanismi di rinforzo e attenzione. I neuroni del nucleo accumbens
inviano proiezioni alla porzione ventrale dei gangli della base, che sono implicati nell’apprendimento.
I ricercatori hanno dimostrato che sia la stimolazione elettrica del fascicolo proencefalico mediale(un
fascio di fibre che decorre in direzione rostro-caudale attraverso il proencefalo basale e l’ipotalamo laterale), sia la somministrazione
di cocaina o anfetamina, causano il rilascio di dopamina nel nucleo accumbens. Studi con microdialisi hanno
dimostrato che anche la presenza di rinforzi naturali come l’acqua, il cibo o il partner sessuale stimolano la
produzione di dopamina nel nucleo accumbens.
Il rinforzo si verifica quando i circuiti neurali rilevano uno stimolo rinforzante e attivano il sistema
dopaminergico nell’area tegmentale ventrale. Uno stimolo che funge da rinforzo in un’occasione può essere
inefficace in un’altra: la presenza di cibo rinforzerà il comportamento di un animale affamato, ma lo lascerà
indifferente quando egli sarà sazio. Quindi, il sistema di rinforzo non si attiva automaticamente in presenza di
uno stimolo particolare: la sua attivazione dipende dallo stato dell’organismo.Il sistema di rinforzo sembra
essere attivato da stimoli inattesi: Schultz e collaboratori hanno ipotizzato che l’attivazione dei neuroni
dopaminergici dell’area tegmentale ventrale comunichi agli altri circuiti cerebrali che un evento porta
informazioni relative ad uno stimolo potenzialmente rinforzante che si è appena verificato. In altre parole,
l’attivazione di questi neuroni segnala che c’è qualcosa da apprendere: se la somministrazione del rinforzo è già
prevista, allora non c’è nulla da apprendere.
Dei ricercatori hanno sottoposto delle scimmie a un apprendimento operante che richiedeva agli
animali di effettuare una risposta quando sentivano uno stimolo uditivo. Durante l’addestramento, i neuroni
dopaminergici dell’area tegmentale ventrale rispondevano rapidamente quando si somministrava lo stimolo
rinforzante, tuttavia, dopo che le scimmie apprendevano il compito, i neuroni dell’area tegmentale ventrale si
attivavano alla presentazione dello stimolo uditivo, ma non quando si somministrava il rinforzo. Inoltre, se lo
stimolo rinforzante non si verificava quando atteso, l’attività dei neuroni dopaminergici subiva un calo
improvviso.
Come il condizionamento classico, il condizionamento operante implica il rafforzamento delle sinapsi
localizzate sui neuroni che si sono appena attivati. Tuttavia, il condizionamento operante coinvolge tre elementi:
uno stimolo discriminante, una risposta e uno stimolo rinforzante.
Alcuni ricercatori hanno insegnato a dei soggetti un vocabolario di parole artificiali. L’apprendimento è
avvenuto gradualmente, nel corso di cinque sessioni giornaliere. Seguendo una procedura a doppio cieco, ad
alcuni soggetti era somministrata L-DOPA 90 minuti prima dell’inizio di ciascuna sessione, mentre gli altri
ricevevano un placebo. I soggetti trattati con L-DOPA imparavano il vocabolario artificiale più velocemente o lo
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ricordavano meglio dei soggetti che ricevevano il placebo. Dunque, la dopamina induce plasticità sinaptica,
facilitando il potenziamento a lungo termine associativo. Le prove empiriche indicano che la dopamina può
facilitare il potenziamento a lungo termine nel nucleo accumbens, nell’amigdala e nella corteccia prefrontale. Il
consolidamento della memoria a lungo termine implica la produzione della proteina PKM-zeta.

6 – Apprendimento associativo

amnesia anterograda nell’uomo


Uno dei fenomeni più drammatici causati da una lesione cerebrale è l’amnesia anterograda, che sembra
essere l’incapacità di apprendere nuove informazioni. Tuttavia, quando esaminiamo più attentamente il
fenomeno, troviamo che le abilità di base dell’apprendimento percettivo, stimolo-risposta e motorio sono
intatte, ma il complesso apprendimento associativo è compromesso. Il termine amnesia anterograda si riferisce
all’incapacità di apprendere nuove informazioni. Una persona con amnesia anterograda pura può ricordare
eventi avvenuti nel passato, nel periodo precedente al danno cerebrale, ma non può acquisire nuove
informazioni, con cui è a contratto dopo il danno. Al contrario, con amnesia retrograda si fa riferimento
all’incapacità di rievocare eventi che sono accaduti prima del danno cerebrale.
L’amnesia anterograda può anche essere causata da un danno ai lobi temporali: la rimozione bilaterale
del lobo temporale, nell’uomo, produce un deficit di memoria apparentemente identico a quello osservato nella
sindrome di Korsakoff, nella quale i pazienti sembrano incapaci di formare nuove memorie, sebbene possano
ancora ricordare quelle vecchie. Dall’analisi della abilità mnestiche e dall’esame autoptico del cervello di un
uomo al quale erano stati asportati i due lobi temporali, compresa la formazione ippocampale, risulta che:
1. L’IPPOCAMPO NON È IL SITO DELLE MEMORIE A LUNGO TERMINE, NÉ È NECESSARIO PER IL RECUPERO DELLE
MEMORIE A LUNGO TERMINE: se così fosse, il paziente non sarebbe stato in grado di ricordare gli eventi dei suoi primi anni di vita;
2. L’IPPOCAMPO NON È IL SITO DELLE MEMORIE A BREVE TERMINE : se così fosse, il paziente non sarebbe stato in grado di
conversare, poiché non avrebbe ricordato quello che l’altra persona ha detto abbastanza a lungo da poter rispondere;
3. L’IPPOCAMPO È IMPLICATO NELLA CONVERSIONE DELLE MEMORIE A BREVE TERMINE IN MEMORIE A LUNGO
TERMINE: questa conclusione si basa su una particolare ipotesi del funzionamento della memoria: che la nostra memoria immediata di
un evento è conservata mediante un’attività neurale e che le memorie a lungo termine consistono in un cambiamento strutturale o
biochimico dei neuroni relativamente permanente. Questa conclusione sembra una spiegazione ragionevole al fatto che, quand’era
presentata un’informazione nuova al paziente, egli sembrava comprenderla e ricordarla finchè ci pensava, ma non riusciva a registrare
in modo permanente l’informazione.
Quando i pazienti con amnesia anterograda vengono studiati più attentamente, diventa evidente che
l’amnesia non rappresenta un fallimento totale delle capacità di apprendimento. Quando i pazienti sono
appropriatamente addestrati e valutati, si scopre che sono capaci di tre dei quattro tipi principali di
apprendimento: l’apprendimento percettivo, l’apprendimento stimolo-risposta e l’apprendimento motorio. Ma,
sebbene i pazienti possano apprendere ad eseguire questi compiti, non ricordano assolutamente di averli
appresi. Sebbene questi pazienti imparano a riconoscere figure incomplete, o imparano una sequenza di lettere,
essi negano di averle mai apprese; negano di aver conosciuto i ricercatori, la stanza in cui è avvenuto
l’addestramento, gli stimoli presentati.
La distinzione tra quello che le persone con amnesia anterograda possono e non possono apprendere è
importante, perché riflette l’organizzazione di base del processo di apprendimento. Alcuni ricercatori
suggeriscono che i pazienti con amnesia anterograda sono incapaci di formare memorie dichiarative, che sono
state definite come quelle “esplicitamente disponibili al ricordo consapevole come fatti, eventi o stimoli
specifici”; il termine “dichiarativo” riflette il fatto che i pazienti con amnesia anterograda non sono in grado di
parlare delle esperienze avvenute prima del danno. L’altra categoria di memorie, dette memorie non
dichiarative, include apprendimenti di tipo percettivo, stimolo-risposta e motorio. Le memorie non dichiarative
sembrano operare automaticamente, non richiedono tentativi intenzionali di memorizzare qualcosa da parte di
chi apprende e non sembrano includere fatti, ma controllano i comportamenti.
Le memorie percettive coinvolgono le regioni sensoriali della corteccia cerebrale; i gangli della base
sembrano giocare un ruolo essenziale nell’apprendimento stimolo-risposta e motorio. Diversi esperimenti hanno
dimostrato che le persone con malattie a carico dei gangli della base presentano deficit che possono essere
attribuiti alla difficoltà di acquisire risposte automatiche.

anatomia dell’amnesia anterograda


Il fenomeno dell’amnesia anterograda nell’uomo ha portato i ricercatori a studiare questo fenomeno
negli animali da laboratorio.
La formazione ippocampale è costituita da giro dentato, campi CA dell’ippocampo e subiculum. L’input
più importante alla formazione ippocampale proviene dalla corteccia entorinale; i suoi neuroni hanno assoni che
terminano nel giro dentato e nei campi CA1 e CA3. La corteccia entorinale riceve i suoi input dall’amigdala, da
varie aree della corteccia limbica e da tutte le regioni associative della corteccia; inoltre, la formazione
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ippocampale riceve input anche dalle regioni sottocorticali attraverso il fornice. Queste afferenze selezionano e
modulano le funzioni della formazione ippocampale: il fornice porta assoni dopaminergici dall’area tegmentale
ventrale, assoni noradrenergici dal locus coeruleus, assoni serotoninergici dai nuclei del rafe e assoni
acetilcolinergici dal setto mediale. Il fornice, inoltre, connette la formazione ippocampale con i corpi
mammillari, localizzati nell’ipotalamo posteriore. Gli output del sistema ippocampale vengono principalmente
dal campo CA1 e dal subiculum. La maggior parte di essi è ritrasmessa attraverso la corteccia entorinale alle
stesse regioni della corteccia associativa che forniscono gli input.
La più chiara evidenza che un danno alla formazione ippocampale produce amnesia anterograda viene
dal caso di un uomo di 52 anni con una storia medica di disturbi cardiaci, che subì un attacco cardiaco dal quale
fu rianimato con successo, ma il tempo trascorso in anossia procurò un danno cerebrale. Il sintomo principale
della sua lesione cerebrale fu un’amnesia anterograda permanente. Cinque anni dopo l’inizio dell’amnesia,
l’uomo morì e venne fatto un esame istologico del cervello. I ricercatori scoprirono che il campo CA1 della
formazione ippocampale era seriamente danneggiato: i suoi neuroni erano completamente degenerati. Questa
regione è particolarmente ricca di recettori NMDA. Per qualche ragione, i disturbi metabolici di vario tipo
inducono i bottoni terminali glutammatergici a rilasciare glutammato in quantità anormalmente elevate.
L’effetto di questo rilascio del glutammato consiste nella stimolazione dei recettori NMDA, il che permette
l’ingresso del calcio. Entro pochi minuti, la concentrazione eccessiva di calcio intracellulare comincia a
distruggere i neuroni presenti in quella zona.

Ruolo della formazione ippocampale nel consolidamento delle memorie dichiarative


L’ippocampo non è la sede della memoria a breve o a lungo termine. Dopo tutto, i pazienti con lesione
alla formazione ippocampale sono in grado di ricordare gli eventi accaduti prima che il loro cervello fosse
danneggiato, e la loro memoria a breve termine è normale. Ma la formazione ippocampale è chiaramente
implicata nel processo attraverso cui si formano le memorie dichiarative. La maggior parte dei ricercatori ritiene
che il processo funzioni più o meno in questo modo: L’IPPOCAMPO RICEVE INFORMAZIONI SU QUELLO CHE STA ACCADENDO
DALLA CORTECCIA ASSOCIATIVA SENSORIALE E MOTORIA, E DALLE REGIONI SOTTOCORTICALI COME I GANGLI DELLA BASE E
L’AMIGDALA. ELABORA LE INFORMAZIONI RICEVUTE, QUINDI, ATTRAVERSO CONNESSIONI EFFERENTI, MODIFICA LE MEMORIE CHE SI
STANNO CONSOLIDANDO, LEGANDOLE INSIEME IN MODI CHE CI PERMETTANO DI RICORDARE LE RELAZIONI TRA GLI ELEMENTI CHE LE
COSTITUISCONO: AD ESEMPIO, L’ORDINE IN CUI SI SONO VERIFICATI GLI EVENTI, IL CONTESTO IN CUI ABBIAMO IMPARATO UNA
PARTICOLARE COSA E COSÌ VIA. SENZA LA FORMAZIONE IPPOCAMPALE, SAREMMO LASCIATI CON LE MEMORIE ISOLATE, INDIVIDUALI,
SENZA I NESSI CHE RENDONO POSSIBILE RICORDARE EPISODI E CONTESTI.

Memorie episodiche e semantiche


Le prove empiriche suggeriscono che le memorie semantiche ed episodiche sono forme distinte di
memoria dichiarativa. La memoria episodicaimplica un contesto; include informazioni su quando e in quali
condizioni si è verificato un particolare episodio, e sull’ordine in cui hanno avuto luogo gli eventi dell’episodio in
questione. Le memorie episodiche sono specifiche di un particolare tempo e di un particolare luogo. La memoria
semanticaimplica dei fatti, ma non include informazioni sul contesto in cui questi fatti si sono appresi. In altre
parole, la memoria semantica è meno specifica di quella episodica. Per esempio, sapere che il sole è una stella
implica una memoria meno specifica di essere in grado di ricordare quando, dove e da chi si è appresa questa
informazione. L’acquisizione della memoria episodica e della memoria semantica sembra richiedere la
partecipazione dell’ippocampo.
Le memorie percettive sembrano essere localizzate nella corteccia associativa sensoriale, la regione in
cui ha luogo la percezione. Presumibilmente, anche le memorie episodiche, che consistono in una sequenza di
memorie percettive, sono localizzate qui. Un disturbo neurologico degenerativo, noto come demenza semantica,
suggerisce che il lobo temporale laterale gioca un ruolo importante nell’immagazzinamento dell’informazione
semantica. La demenza semantica è causata dalla degenerazione della neocorteccia del lobo temporale laterale;
la formazione ippocampale e il resto del lobo temporale mediale sono intatti.
Memoria spaziale
Le persone con amnesia anterograda sono incapaci di consolidare informazioni sulle localizzazioni di
stanze, corridoi, palazzi, strade ed altri elementi importanti presenti nell’ambiente.
Le lesioni bilaterali del lobo temporale mediale causano la compromissione più profonda della memoria
spaziale, sebbene si possano osservare deficit significativi associati al danneggiamento del solo emisfero destro.
Gli studi di imaging funzionale hanno dimostrato che la formazione ippocampale destra si attiva quando
una persona esegue un compito di orientamento o lo ricorda. L’ippocampo dorsale, nei ratti, contiene placecell,
neuroni direttamente coinvolti nell’orientamento nello spazio.
Lesioni ippocampali distruggono la capacità di tenere a mente e ricordare le localizzazioni spaziali. Molti
studi hanno confermato l’importanza dell’ippocampo nell’apprendimento spaziale. Per esempio, alcuni
ricercatori hanno trovato che lesioni dell’ippocampo distruggono la capacità di orientamento nei piccioni
viaggiatori: le lesioni non distruggono l’abilità degli uccelli di usare la posizione del sole in un particolare
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momento del giorno come punto di riferimento, ma danneggiano la loro abilità di conservare traccia di dove si
trovano, quando si avvicinano alla fine del volo, nel momento in cui gli uccelli iniziano ad usare i punti di
riferimento familiari per determinare dove si trovano.
Uno degli studi più importanti sulla formazione ippocampale è stato eseguito da Dostrovsky, il quale registrò
l’attività di singole cellule piramidali dell’ippocampo, quando un animale si muoveva nell’ambiente circostante.
Fu trovato che alcuni neuroni scaricavano intensamente solo quando il ratto era in una particolare posizione;
neuroni diversi avevano campi recettivi spaziali diversi, cioè, rispondevano quando gli animali erano in posizioni
diverse. Un particolare neurone potrebbe scaricare venti volte al secondo quando l’animale è in una posizione,
ma solo poche volte all’ora quando l’animale è localizzato altrove. Questi neuroni sono stati chiamati placecell.
Quando un ratto è posto in una stanza simmetrica, l’animale mantiene traccia della sua posizione
basandosi sugli oggetti che vede nell’ambiente esterno al labirinto. I cambiamenti in questi item influenzano la
scarica delle placecell dei ratti ed anche la loro abilità di orientarsi: quando i ricercatori muovono gli stimoli come
se fossero un insieme, gli animali semplicemente orientano di conseguenza le loro risposte; tuttavia, quando i
ricercatori scambiano gli stimoli, in modo da disporli in un nuovo ordine, la prestazione degli animali e la scarica
delle loro placecell è disturbata. Prove empiriche indicano che la scarica delle placecell ippocampali sembra
riflettere la posizione in cui l’animale “pensa” di essere.
Dalla scoperta delle placecell, i ricercatori hanno rilevato che la regione ippocampale contiene anche
gridcell, cellule per la direzione della testa, e bordercell, cellule che segnalano la presenza di un margine. Le
gridcell mostrano una copertura uniforme dell’intero ambiente in cui è posto l’animale. Le bordercell scaricano
quando l’animale è vicino a un margine dell’ambiente, come delle pareti.
Le cellule per la direzione della testa scaricano semplicemente quando la testa dell’animale è in una
direzione specifica rispetto agli indizi distanti di un particolare ambiente; quando l’animale si gira, saranno
cellule diverse a scaricare, in base alla direzione in cui l’animale sta guardando.

Apprendimento associativo negli animali


I ricercatori hanno fatto notevoli progressi nel determinare le basi neuroanatomiche del consolidamento. Le
fondamentali strutture cerebrali coinvolte sembrano essere l’ippocampo e la corteccia che lo circonda. Mentre
la perdita globale della memoria, negli uomini, si verifica solo quando sia la corteccia circostante sia l’ippocampo
sono danneggiati, un danno al solo ippocampo può provocare disturbi mnestici. Questo fatto è stato dimostrato
da uno studio iniziato con l’analisi dei problemi di memoria di un particolare paziente e terminato con l’autopsia
del cervello del paziente in seguito al suo decesso. L’ippocampo era la sola struttura cerebrale danneggiata. Uno
studio sulle scimmie offre una prova migliore del fatto che la funzione dell’ippocampo è quella di consolidare i ricordi
relativamente recenti. In questo studio, un gruppo di scimmie ha imparato a discriminare gli item di 100 coppie di
oggetti. Per ogni coppia, sotto ad uno dei due oggetti c’era del cibo, che la scimmia poteva prendere solo se
sceglieva l’oggetto in questione. Dal momento che tutti gli oggetti erano diversi, le scimmie imparavano
sostanzialmente 100 problemi diversi. Venti di questi problemi sono stati appresi 16 settimane prima che i ricercatori
asportassero l’ippocampo delle scimmie; un ulteriore gruppo di venti problemi è stato imparato 12, 8, 4 o 2 settimane
prima dell’asportazione. Due settimane dopo l’intervento i ricercatori hanno verificato la memoria delle scimmie con
una sola prova di ciascuna delle 100 coppie. La scoperta più interessante è stata che le scimmie del gruppo
sperimentale ricordavano le discriminazioni imparate 8, 12 e 16 settimane prima dell’asportazione dell’ippocampo
altrettanto bene delle scimmie normali del gruppo di controllo; invece, il ricordo delle discriminazioni imparate a 2 o 4
settimane dall’asportazione risultava peggiore. Questi risultati suggeriscono che i ricordi devono essere elaborati
dall’ippocampo per un periodo di alcune settimane, dal momento che è solo durante questo lasso di tempo che la
memoria risulta danneggiata dall’asportazione dell’ippocampo. Il magazzino permanente della memoria a lungo
termine è quasi certamente localizzato nella corteccia, in particolare nelle regioni deputate all’interpretazione delle
informazioni sensoriali.
Il sonno ad onde lente facilita il consolidamento delle memorie dichiarative nell’uomo, mentre il sonno
REM facilita il consolidamento delle memorie non dichiarative. Durante il sonno ad onde lente, le placecell del
campo CA1 dei ratti rievocano la sequenza di attività che hanno messo in atto mentre si orientavano in un
ambiente ricreato in laboratorio. Durante i complessi SWR, un periodo di oscillazioni ad alta frequenza che
originano nei campo CA1 e CA3 dell’ippocampo e si propagano alla corteccia cerebrale, le placecell ippocampali
scaricano in sequenze che ricapitolano l’esperienza degli animali nei compiti di apprendimento spaziale e
trasferiscono l’informazione alla corteccia prefrontale.
Le memorie possono essere alterate o connesse a memorie nuove: un processo noto come
riconsolidamento. Quando una memoria a lungo termine è riattivata da stimoli che ricordano l’esperienza
originale, le memorie divengono suscettibili a eventi che interferiscono con il consolidamento, come la terapia
elettroconvulsiva o la somministrazione di un farmaco che inibisce la sintesi proteica. Il periodo di suscettibilità è
in realtà un periodo durante il quale le memorie possono essere modificate da ulteriori esperienze.
Il giro dentato è una delle regioni cerebrali in cui le cellule germinative adulte possono dividersi e dare
origine a nuovi neuroni. Queste cellule stabiliscono connessioni con i neuroni del campo CA3 e sembrano
145

partecipare all’apprendimento. Le prove empiriche suggeriscono che questi neuroni giocano un ruolo
importante nella formazione di nuove memorie.

Attualmente gli psicologi fanno tre distinzioni fondamentali a proposito della memoria.

Stadi della memoria: Tipi di memoria rispetto al tempo: Tipi di informazioni:


codifica; registro sensoriale = -1 sec. memoria esplicita = memoria dei
immagazzinamento; memoria a breve termine = 40 sec. fatti;
recupero. memoria a lungo termine = + 3min. memoria implicita = memoria delle
abilità.

Tre stadi di memoria


Lo stadio della codifica consiste nella traduzione dell’informazione in un’entità significativa, che viene immagazzinata;
l’immagazzinamento consiste nel mantenimento delle informazioni immagazzinate;
il recupero è il ripescaggio dalla memoria di informazioni precedentemente codificate e immagazzinate.

CODIFICA IMMAGAZZINAMENTO RECUPERO


Mette in memoria Mantiene in memoria Riprende dalla memoria

La memoria può fallire in uno qualsiasi dei tre stadi. Molte delle attuali ricerche sulla memoria cercano di descrivere nei
particolari le operazioni mentali che caratterizzano ognuno dei tre stadi della memoria, spiegando perché queste
operazioni possono non riuscire e tradursi in un insuccesso della memoria.
Studi recenti suggeriscono che i diversi stadi della memoria sono mediati da differenti strutture cerebrali. La prova più
sorprendente viene dagli studi di scansione PET: questi esperimenti hanno dimostrato che durante la codifica sono
maggiormente attive le aree cerebrali dell’emisfero sinistro, mentre durante il recupero sono maggiormente attive le aree
dell’emisfero destro.

Tre magazzini di memoria


I tre stadi della memoria non operano allo stesso modo, in tutte le situazioni. Sembra che la memoria agisca in modo
differente, nelle situazioni in cui dobbiamo immagazzinare materiale per meno di un secondo, per una questione di secondi
e per intervalli più lunghi, che variano da minuti ad anni.

La teoria di Atkinson-Shiffrin
Nel 1968 Atkinson e Shiffrin hanno formalizzato le basi per la distinzione tra diverse memorie, corrispondenti a diversi intervalli
di tempo. I principi fondamentali della teoria Atkinson-Shiffrin sono:
1- L’informazione proveniente dall’ambiente è inizialmente immessa nel cosiddetto magazzino sensoriale, che possiede tre
caratteristiche principali:
a) Il magazzino sensoriale contiene tutte le informazioni ambientali catturate dagli organi di senso.
b) Si tratta di un deposito temporaneo: ciò significa che l’informazione contenuta nel magazzino sensoriale decade
in un periodo di tempo che varia da pochi decimi di secondo a pochi secondi.
c) La piccola porzione di informazione contenuta nel magazzino sensoriale cui si decide di prestare attenzione è
trasferita nel successivo compartimento principale del sistema: la memoria a breve termine.
2- Il magazzino a breve termine accoglie le informazioni del registro sensoriale a cui è stata prestata attenzione.
a) Può essere grossolanamente identificato con la coscienza: cioè, si è consapevoli dell’informazione nel magazzino
a breve termine.
b) Questa informazione è facilmente accessibile: può essere utilizzata come base per prendere decisioni o eseguire
compiti nell’arco di poche decine di secondi.
c) Se tutto si mantiene in alterato, l’informazione contenuta nel magazzino a breve termine decade nell’arco di 20
secondi.
d) È possibile impedire il decadimento dell’informazione se continuiamo a ripeterla.
e) L’informazione contenuta nel magazzino a breve termine può essere sottoposta ad altri tipi di processi, noti come
elaborazione, al momento del trasferimento dal magazzino a breve termine al terzo deposito dell’informazione: il
magazzino a lungo termine.
3- Il magazzino a lungo termine è il vasto deposito in cui si mantengono tutte le informazioni di cui si dispone. Il magazzino a
lungo termine presenta tre caratteristiche principali:
a) L’informazione proviene dal magazzino a breve termine ed entra in quello a lungo termine grazie a vari tipi di
processi elaborativi.
b) In base alle attuali scoperte dei ricercatori, la capienza del magazzino a lungo termine è illimitata.
c) Il processo di recupero permette l’acquisizione dell’informazione dal magazzino a lungo termine e il suo
trasferimento in quello a breve termine, dove può essere manipolata e usata per eseguire il compito per cui è
stata recuperata.

Diversi tipi di memoria per diversi tipi di informazioni


Fino a circa vent’anni fa gli psicologi ritenevano che si usasse lo stesso sistema di memoria per tutti i tipi di ricordi. Prove
recenti suggeriscono che non è così. Sembrerebbe che utilizziamo una memoria a lungo termine per immagazzinare i fatti
diversa da quella per immagazzinare le abilità. La prova di questa differenza include reperti psicologici quanto biologici.
Il tipo di memoria che comprendiamo meglio è la memoria esplicita, in cui una persona ricorda consciamente un evento
passato, che si è verificato in un tempo e un luogo particolari. Al contrario, la memoria implicita è quella in cui la persona
ricorda inconsciamente vari tipi di informazioni – per esempio, quella necessaria ad eseguire qualche compito fisico, come
andare in bicicletta.
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Registro sensoriale (codifica = sensoriale)


L’informazione inizialmente acquisita dall’ambiente attraverso gli organi di senso è posizionata in una memoria temporanea
detta memoria sensoriale. La memoria sensoriale è in grado di tenere un’ampia varietà di informazioni, mantiene una
rappresentazione piuttosto fedele dell’informazione sensoriale che arriva agli organi di senso, ed è di breve durata. La
memoria iconica, in particolare, svanisce dopo circa un terzo di secondo.
Uno stimolo visivo presentato brevemente scatena, nel sistema nervoso, una risposta sensoriale. Questa risposta può essere
concettualizzata come l’intensità dell’attività nervosa, che aumenta e poi diminuisce. L’intensità della risposta aumenta alla
presentazione dello stimolo, continua ad aumentare per un breve periodo successivo e quindi si riduce velocemente, fino
ad arrivare a zero.
La quantità di informazione acquisita dallo stimolo è correlata all’area di funzione della risposta sensoriale.
La visibilità dello stimolo è correlata alla velocità con cui l’osservatore acquisisce informazioni dallo stimolo stesso.

Memoria a breve termine (codifica = acustica)


Solo l’informazione a cui si presta attenzione viene trasferita al successivo magazzino mnestico. Atkinson e Shiffrin lo hanno
denominato magazzino a breve termine, ma più recentemente il magazzino a breve termine è stato rinominato memoria di
lavoro e si è associato a un grado di complessità molto più elevato rispetto al ruolo relativamente semplice che gli era stato
assegnato all’inizio.

Codifica
Per codificare le informazioni nella memoria a breve termine, dobbiamo prestare loro attenzione. Dal momento che
l’attenzione è selettiva, la memoria a breve termine conterrà solo ciò che è stato selezionato. Ciò significa che molto di ciò
a cui siamo esposti non entra nemmeno nella memoria a breve termine e, naturalmente, non è disponibile per il recupero
successivo.
- Due sistemi di memoria a breve termine
L’esistenza di codici sia acustici che visivi ha portato i ricercatori a concludere che la memoria a breve termine possiede
due distinti depositi di memoria tampone. Un deposito acustico, che immagazzina per breve tempo le informazioni in un
codice acustico, e un deposito visuo-spaziale, che immagazzina per breve tempo le informazioni in un codice visivo o
spaziale. Alcuni studi recenti di neuroimaging indicano che i due depositi sono mediati da diverse strutture cerebrali.
IN UN ESPERIMENTO, I SOGGETTI VEDEVANO UNA SEQUENZA DI LETTERE, CON VARIAZIONE SIA DELL’IDENTITÀ SIA DELLA POSIZIONE DELLA LETTERA IN CIASCUNA PROVA. IN
ALCUNI CASI, I SOGGETTI DOVEVANO PRESTARE ATTENZIONE SOLO ALL’IDENTITÀ DELLE LETTERE: IL LORO COMPITO ERA STABILIRE SE UNA LETTERA MOSTRATA FOSSE UGUALE
A UN’ALTRA LETTERA MOSTRATA IN PRECEDENZA. IN ALTRE PROVE, I SOGGETTI DOVEVANO BADARE SOLTANTO ALLA POSIZIONE DELLE LETTERE E IL LORO COMPITO ERA DI
STABILIRE SE LA POSIZIONE DI OGNI LETTERA FOSSE IDENTICA A QUELLA DI UNA LETTERA MOSTRATA PRECEDENTEMENTE.
ESSENZIALMENTE, CIÒ CHE VARIAVA ERA L’IMPEGNO RICHIESTO AI SOGGETTI: IMMAGAZZINARE INFORMAZIONI VERBALI (IDENTITÀ DELLE LETTERE) O SPAZIALI (POSIZIONE
DELLE LETTERE). È PRESUMIBILE CHE L’INFORMAZIONE VERBALE FOSSE CONSERVATA NELLA MEMORIA TAMPONE ACUSTICA, MENTRE L’INFORMAZIONE SPAZIALE IN QUELLA
VISUOSPAZIALE. SIA NELLE PROVE DI IDENTITÀ SIA IN QUELLE SPAZIALE, SONO STATE REGISTRATE LE MISURAZIONI PET DI ATTIVITÀ CEREBRALE.
I RISULTATI HANNO INDICATO CHE I DUE DEPOSITI SI TROVANO IN EMISFERI DIVERSI. NELLE PROVE IN CUI I SOGGETTI DOVEVANO IMMAGAZZINARE INFORMAZIONI VERBALI
SULLE LETTERE (DEPOSITO ACUSTICO) LA MAGGIOR PARTE DELL’ATTIVITÀ CEREBRALE SI SVOLGEVA NELL’EMISFERO SINISTRO; AL CONTRARIO, NELLE PROVE IN CUI I SOGGETTI
DOVEVANO IMMAGAZZINARE INFORMAZIONI SPAZIALI (DEPOSITO VISUO-SPAZIALE) LA MAGGIOR PARTE DELL’ATTIVITÀ CEREBRALE SI SVOLGEVA NELL’EMISFERO DESTRO.

Immagazzinamento
Probabilmente, la caratteristica davvero peculiare della memoria a breve termine è la sua capacità molto limitata.
Mediamente, il limite è di sette elementi, più o meno due: alcune persone riescono a ricordare solamente cinque elementi,
mentre altre ne riescono a ricordare fino a nove.
Hermann Ebbinghaus riferì risultati che mostravano come il suo limite personale fosse di sette elementi. Circa 70 anni dopo,
George Miller fu ciì colpito dalla costanza di questo risultato da chiamarlo “magico numero sette”; attualmente, è noto che
il limite vale pure per le culture non occidentali.

- Chunking
La procedura seguita per misurare la capienza mnestica impedisce ai soggetti di collegare gli elementi da ricordare con
informazioni presenti nella memoria a lungo termine. Quando simili collegamenti sono possibili, la prestazione ai compiti di
ampiezza mnestica cambia considerevolmente.
PER ILLUSTRARE QUESTO CAMBIAMENTO, SUPPONIAMO CHE VI SIA MOSTRATA LA SEQUENZA DI LETTERE “SRUOYYLERECNIS”. SICCOME L’AMPIEZZA DELLA MEMORIA A
BREVE TERMINE È DI 7 ± 2, NON SAREMO PROBABILMENTE IN GRADO DI RICORDARE L’INTERA SEQUENZA, POICHÉ È COMPORTA DA 14 ELEMENTI. TUTTAVIA, SE NOTIAMO
CHE QUESTE LETTERE CORRISPONDONO ALLA FRASE “SINCERELY YOURS” IN ORDINE INVERSO, IL NOSTRO COMPITO DOVREBBE ESSERE PIÙ FACILE. USANDO QUESTA
CONOSCENZA, AVREMO DIMINUITO IL NUMERO DEGLI ELEMENTI CHE DEVONO ESSERE CONSERVATI NELLA MEMORIA A BREVE TERMINE DA 14 A 2.
Da dove deriva questa conoscenza? Dalla memoria a lungo termine, dove è immagazzinata la conoscenza delle parole.
IL CHUNKING SI PUÒ VERIFICARE ANCHE CON I NUMERO. LA SEQUENZA 149217762001 È AL DI LÀ DELLE NOSTRE CAPACITÀ, MA SE SUDDIVIDIAMO QUESTI NUMERI IN
DATE SIGNIFICATIVE 1492-1776-2001 RIENTRA CERTO NELLE NOSTRE POSSIBILITÀ.
Il principio generale è che possiamo aiutare la nostra memoria a breve termine raggruppando sequenze di lettere e cifre in
unità che si possono ritrovare nella memoria a lungo termine.
- Oblio
Possiamo conservare sette elementi per breve tempo, ma nella maggior parte dei casi li dimentichiamo presto. L’oblio è
dovuto al decadimento degli item nel tempo o alla loro sostituzione da parte di item nuovi.
L’informazione può semplicemente deperire con il tempo. Possiamo pensare alla rappresentazione di un item come ad una
traccia che scompare nel giro di pochi secondi. Una delle prove migliori di quest’ipotesi è che l’ampiezza della nostra
memoria a breve termine accoglie meno parole, se sono più lunghe da pronunciare.
L’altra causa importante di oblio, per la memoria a breve termine, è la sostituzione dei vecchi elementi con elementi nuovi.
Trovarsi nella memoria a breve termine corrisponde a trovarsi in uno stato di attivazione. Più elementi cerchiamo di
mantenere attivi, meno attivazione è disponibile per ognuno di essi. Forse, solo sette elementi possono essere mantenuti
simultaneamente a un livello di attivazione che permette di ricordarli tutti. Una volta che sono attivi sette elementi, se ne
arriva uno nuovo, l’attivazione che riceve sarà prelevata dagli elementi presentati in precedenza; di conseguenza, questi
elementi precedenti possono scendere al di sotto del livello critico di attivazione necessaria per il ricordo.

Recupero
147

La ricerca ha dimostrato che quanti più elementi si trovano nella memoria a breve termine, tanto più lento diventa il
recupero. Le prove più numerose di un simile rallentamento vengono da un tipo di esperimento introdotto da Sternberg e
denominato compito di scansione mnestica di Sternberg.
IN OGNI PROVA DELL’ESPERIMENTO, SI MOSTRA A UN SOGGETTO UN INSIEME DI CIFRE, LA LISTA DA MEMORIZZARE, CHE EGLI DEVE MOMENTANEAMENTE CONSERVARE
NELLA MEMORIA A BREVE TERMINE. SI TRATTA DI UN COMPITO FACILE, POICHÉ OGNI LISTA CONTIENE DA UNA A SEI CIFRE. QUINDI, SI TOGLIE DI MEZZO UNA LISTA E SI
MOSTRA UNA CIFRA-SONDA. IL SOGGETTO DEVE DECIDERE SE LA SONDA ERA PRESENTE NELLA LISTA. IN QUESTO COMPITO, I SOGGETTI RARAMENTE COMMETTONO
ERRORI; CIÒ CHE INTERESSA, È IL TEMPO DI DECISIONE, CIOÈ IL TEMPO INTERCORSO TRA LA PRESENTAZIONE DELLA SONDA E IL MOMENTO IN CUI IL SOGGETTO PREME IL
PULSANTE SI O NO. CIÒ CHE VA NOTATO CIRCA QUESTI TEMPI DI DECISIONE È CHE SI DISPONGONO LUNGO UNA LINEA RETTA: QUESTO SIGNIFICA CHE OGNI ELEMENTO
AGGIUNTO ALLA MEMORIA A BREVE TERMINE ALLUNGA IL PROCESSO DI UN DATO TEMPO – CIRCA 40 MILLESIMI DI SECONDO.
L’interpretazione più diretta di questi risultati è che il recupero richiede una ricerca seriale da parte della memoria a breve
termine: cioè, una ricerca durante la quale gli elementi sono esaminati uno alla volta. Questa ricerca presumibilmente
lavora a una velocità di 40 millesimi di secondo per elemento, che è un tempo troppo veloce perché il soggetto se ne
accorga. Comunque, immaginare la memoria a breve termine come uno stato di attivazione porta ad una diversa
interpretazione dei risultati. Il recupero di un elemento nella memoria a breve termine può dipendere dall’attivazione di
quell’elemento, che deve raggiungere un livello critico. In altri termini, si decide che la memoria a breve termine contiene
una sonda se la sua rappresentazione è al di sopra del livello critico di attivazione, e quanti più elementi ci sono nella
memoria a breve termine, tanto meno attivazione c’è per ciascuno di loro.

Trasferimento dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine


La memoria a breve termine adempie a due funzioni importanti: immagazzina il materiale necessario per brevi periodi di
tempo e serve come spazio di lavoro per i calcoli mentali. Un’altra possibile funzione è quella di operare come stazione di
transito per la memoria a lungo termine: ossia, le informazioni possono sostare nella memoria a breve termine, prima di
essere codificate o trasferite in quella a lungo termine. Fra i molteplici modo per attuare il trasferimento, la ripetizione è uno
di quelli più comunemente studiati. Ripetere un elemento non solo lo conserva nella memoria a breve termine, ma
determina anche il suo trasferimento nella memoria a lungo termine. Il termine ripetizione di mantenimento si usa in
riferimento agli sforzi attivi per mantenere l’informazione nella memoria di lavoro; la ripetizione elaborativa si riferisce invece
agli sforzi per codificare l’informazione nella memoria a lungo termine.

Basi neurali del comportamento


Divisione del cervello tra la memoria a breve termine e quella a lungo termine
La memoria a breve termine e quella a lungo termine sono implementate da strutture cerebrali diverse. In particolare,
l’ippocampo, una struttura localizzata nella zona centrale del cervello, è essenziale per la memoria a lungo termine, ma non
per quella di lavoro. Molte delle prove empiriche rilevanti vengono da esperimenti su ratti o altre specie non umane.
IN CERTI CASI, SI SOTTOPONE UN GRUPPO DI RATTI ALLA LESIONE DELL’IPPOCAMPO; IN UN SECONDO GRUPPO, SI DANNEGGIA UNA REGIONE COMPLETAMENTE DIVERSA:
LA CORTECCIA FRONTALE. DI SEGUITO, SI SOTTOPONGONO ENTRAMBI I GRUPPI A UN COMPITO DI RISPOSTA RITARDATA: A CIASCUNA PROVA SI PRESENTA DI NUOVO UNO
STIMOLO, SEGUITO DOPO UN BREVE INTERVALLO DA UN SECONDO STIMOLO. L’ANIMALE DEVE RISPONDERE SOLO QUANDO IL SECONDO STIMOLO DIFFERISCE DAL PRIMO.
LA QUALITÀ DELLA PRESTAZIONE DIPENDE DAL TIPO DI LESIONE CHE È STATA PRATICATA AL RATTO E DALLA DURATA DELL’INTERVALLO TRA I DUE STIMOLI.
SE L’INTERVALLO È LUNGO, GLI ANIMALI CON LESIONE ALL’IPPOCAMPO PRODUCONO UNA PESSIMA PRESTAZIONE, MENTRE QUELLI CON LESIONE ALLA CORTECCIA
FRONTALE ESEGUONO IL COMPITO IN MODO RELATIVAMENTE NORMALE. SE IL RITARDO TRA I DUE STIMOLI È BREVE, SI OSSERVA IL RISULTATO OPPOSTO: IN QUESTO CASO,
GLI ANIMALI CON LESIONE ALLA CORTECCIA FRONTALE PRODUCONO PRESTAZIONI PESSIME.
Dal momento che un lungo ritardo tra gli stimoli richiede l’intervento della memoria a lungo termine, questi risultati sono
coerenti con l’idea che l’ippocampo giochi un ruolo critico, nella memoria a lungo termine.
Poiché un breve ritardo tra gli stimoli richiede la memoria a breve termine, questi risultati indicano che le regioni della
corteccia frontale sono coinvolte nella memoria a breve termine.

Memoria a lungo termine (codifica = significato)


La memoria a lungo termine riguarda le informazioni conservate per intervalli di tempo che variano da alcuni minuti a tutta
la vita. Negli esperimenti sulla memoria a lungo termine, gli psicologi generalmente hanno studiato il fenomeno dell’oblio
dopo intervalli di minuti, ore o settimane, ma solo pochi studi hanno abbracciato periodi di anni o addirittura decadi.
Diversamente dalla situazione della memoria a breve termine, in quella a lungo termine intervengono importanti interazioni
fra codifica e recupero. Spesso inoltre è difficile sapere se l’oblio, nella memoria a lungo termine, è dovuto a una perdita di
immagazzinamento o a un mancato recupero.

Memoria implicita
Mentre la memoria esplicita si manifesta nel ricordo o richiamo, laddove noi rievochiamo il passato, la memoria implicita si
manifesta nel miglioramento di un lavoro, percettivo, cognitivo, motorio, senza che vi sia alcun ricordo conscio dei processi
che hanno portato a tale miglioramento.
La memoria esplicita può venire danneggiata e causare amnesia; questo non avviene alla memoria implicita.
I soggetti con lesioni cerebrali alle aree implicate nella memoria, non sono in grado di immagazzinare nuove informazioni,
ma sono in grado di apprendere nuove abilità, e migliorano con la pratica. Ciò ci fa pensare che esistano due tipi di
memoria: una per i fatti, che può essere danneggiata e per la quale non si ha la possibilità di apprendere nuove cose dopo
il danno, e una per le abilità, che consente di apprendere nuove abilità nonostante si subiscano danni.

- Varietà dei sistemi mnestici


Relativamente alla memoria implicita, si fa un’ulteriore distinzione fra abilità percettivo-motorie (leggere le parole capovolte
su uno specchio) e il priming, che si verifica ad esempio nel completamento di radici di parole. La ragione per sostenere
che abilità e priming possano implicare diversi depositi di memoria è che vi sono pazienti con danno cerebrale (Alzheimer)
che apprendono normalmente le attività motorie, ma mostrano un priming inferiore al normale, e altri pazienti con diverso
danno cerebrale (Huntington) che mostrano un priming normale, ma hanno difficoltà ad apprendere abilità motorie.

- Memoria implicita in soggetti normali


Studi effettuati su soggetti senza alcun danno cerebrale suggeriscono anche l’esistenza di depositi separati per la memoria
implicita e quella esplicita. Le evidenze vengono dagli studi di neuroimaging funzionale del cervello.
IN UN ESPERIMENTO, I SOGGETTI STUDIAVANO DAPPRIMA UNA LISTA DI 15 PAROLE, E POI ERANO TRATTATI IN TRE MODI DIVERSI.
IL PRIMO, LA CONDIZIONE DI MEMORIA IMPLICITA, RIGUARDAVA IL COMPITO DI COMPLETAMENTO DI RADICI DI PAROLE. METÀ DELLE RADICI ERA TRATTA DALLE QUINDICI
PAROLE INIZIALMENTE STUDIATA E METÀ ERA NUOVA; AI SOGGETTI ERA DETTO DI COMPLETARE LE RADICI CON LE PRIME PAROLE CHE VENIVANO LORO IN MENTE.
148

LA SECONDA CONDIZIONE SPERIMENTALE RIGUARDAVA LA MEMORIA ESPLICITA. SI PRESENTAVANO ANCORA RADICI DI PAROLE, MA SI CHIEDEVA AI SOGGETTI DI USARLE
PER RICORDARE LE PAROLE DELLA LISTA INIZIALE.
LA TERZA CONDIZIONE ERA QUELLA DI CONTROLLO. SI PRESENTAVANO RADICI DI PAROLE E SI CHIEDEVA DI COMPLETARLE CON LE PRIME PAROLE CHE VENIVANO IN
MENTE; IN QUESTO CASO, PERÒ, NESSUNA DELLE RADICI PROVENIVA DALLE PAROLE STUDIATE INIZIALMENTE. LA CONDIZIONE DI CONTROLLO, QUINDI, NON RICHIEDEVA
ALCUNA MEMORIA.
I SOGGETTI ESEGUIRONO I COMPITI IN TUTTE E TRE LE CONDIZIONI MENTRE I LORO CERVELLI ERANO IN SCANSIONE PET. PER PRIMA COSA, PRENDIAMO IN CONSIDERAZIONE
CHE COSA FA IL CERVELLO DURANTE L’ESECUZIONE DI UN COMPITO CHE IMPEGNA LA MEMORIA ESPLICITA; CI POTREMMO ASPETTARE CHE SIA COINVOLTO L’IPPOCAMPO
E CHE LA MAGGIOR PARTE DELL’ATTIVITÀ CEREBRALE ABBIA LUOGO NELL’EMISFERO DESTRO. QUESTO È ESATTAMENTE QUELLO CHE È STATO NOTATO. PIÙ IN PARTICOLARE, IL
CONFRONTO TRA L’ATTIVITÀ CEREBRALE NELLA CONDIZIONE DI MEMORIA ESPLICITA E QUELLA NELLA CONDIZIONE DI CONTROLLO HA EVIDENZIATO UN’AUMENTATA
ATTIVAZIONE DELLE AREE IPPOCAMPALI E FRONTALI DELL’EMISFERO DESTRO.
ORA CONSIDERIAMO LA PARTE DELL’ESPERIMENTO RELATIVA ALLA MEMORIA IMPLICITA. IN QUESTO CASO, È STATA OSSERVATA LA RIDUZIONE DELL’ATTIVAZIONE PIUTTOSTO
CHE L’AUMENTO. IL PRIMING SI RIFLETTE IN UN’ATTIVITÀ NERVOSA INFERIORE AL NORMALE; LA MEMORIA IMPLICITA, QUINDI, HA LE CONSEGUENZE NERVOSE OPPOSTE DELLA
MEMORIA ESPLICITA, IL CHE DIMOSTRA LA DIFFERENZA BIOLOGICA FRA I DUE TIPI DI MEMORIA.
149

-14-
LA COMUNICAZIONE UMANA

1 – Produzione e comprensione del linguaggio


Le nostra conoscenza della fisiologia del linguaggio sono state ricavate principalmente dall’osservazione
degli effetti di lesioni cerebrali sul comportamento verbale individuale. Un’altra fonte di informazioni sulla
fisiologia del linguaggio deriva dagli studi che usano le tecniche di imaging funzionale; i ricercatori hanno usato
queste tecniche per raccogliere informazioni sull’elaborazione del linguaggio nei soggetti normali. In genere,
questi studi hanno confermato o completato le conoscenza acquisite studiando pazienti con lesioni cerebrali.
Il più importante tipo di disturbo del linguaggio è l’afasia, un deficit primario della comprensione o della
produzione del linguaggio, causato da danno cerebrale. Non tutti i disturbi del linguaggio sono afasie: il paziente
deve avere difficoltà di comprensione, ripetizione o produzione di un linguaggio comprensibile, che non devono
essere causate da semplici deficit sensoriali o motori, oppure dalla mancanza di motivazione. Per esempio, non è
considerata afasia l’incapacità di parlare causata da sordità o da paralisi dei muscoli fonatori.

Lateralizzazione
Il comportamento verbale è una funzione lateralizzata; la maggior parte dei disturbi del linguaggio è
conseguente a lesioni del lato sinistro del cervello.
Sebbene i circuiti principalmente coinvolti nella comprensione e produzione del linguaggio siano
localizzati in un solo emisfero, è un errore concludere che l’altro emisfero non giochi alcun ruolo nel linguaggio.
Quando sentiamo e capiamo le parole, e quando parliamo delle nostre percezioni o dei nostri ricordi, usiamo
circuiti neuronali vicini a quelli coinvolti direttamente nel linguaggio. Quindi, questi circuiti giocano un ruolo
anche nel comportamento verbale. Per esempio, danni all’emisfero destro causano difficoltà a leggere mappe,
percepire relazioni spaziali e riconoscere forme geometriche complesse. L’emisfero destro sembra anche
coinvolto nell’organizzazione del discorso e nell’espressione e registrazione del tono emozionale della voce.

Produzione del linguaggio


Essere capaci di parlare richiede molte abilità. Possiamo parlare di qualcosa che sta succedendo, oppure
di qualcosa che è già accaduta; sia la percezione di eventi presenti, sia il ricordo di eventi passati, coinvolgono
funzioni nelle regioni posteriori degli emisferi cerebrali. Queste aree sono largamente responsabili di cosa
abbiamo da dire.

 Afasia di Broca
La lesione dell’area di Broca compromette la capacità di parlare: causa l’afasia di Broca, una forma di
afasia caratterizzata da agrammatismo, anomia ed estrema difficoltà nell’articolazione delle parole. Quando si
prova a parlare con pazienti affetti da afasia di Broca, la maggior parte delle persone non riesce a fare a meno di
suggerire le parole che il paziente sta faticosamente tentando di produrre. Comunque, sebbene la pronuncia sia
spesso alterata, quello che i pazienti intendono dire è comprensibile. Le regioni posteriori degli emisferi cerebrali
hanno qualcosa da dire, ma il lobo frontale è danneggiato e rende difficile al paziente esprimere questi pensieri.
Le parole che i pazienti con afasia di Broca riescono a produrre sono quasi sempre parole di contenuto, che
esprimono un significato ed includono nomi, verbi, aggettivi ed avverbi.
Le persone con afasia di Broca possono comprendere il linguaggio molto meglio di quanto riescano a
produrlo: la loro comprensione non è danneggiata, ma ciò non è del tutto vero. Broca ipotizzò che questa forma
di afasia fosse prodotta da una lesione della corteccia associativa frontale, anteriormente alla corteccia motoria
primaria. Ricerche successive hanno confermato il coinvolgimento di tale regione, detta area di Broca.
Le lesioni che producono afasia di Broca sono sicuramente localizzate nelle vicinanza dell’area di Broca,
ma un danno ristretto alla corteccia dell’area di Broca non sembra produrre afasia di Broca: la lesione deve
estendersi alle regioni circostanti del lobo frontale e alla materia bianca sottocorticale; inoltre, è stato osservato
anche che lesioni dei gangli della base causano un tipo di afasia simile all’afasia di Broca.
Wernicke ipotizzò che l’area di Broca contenesse le memorie motorie: parlare coinvolge movimenti
rapidi della lingua, delle labbra e della mascella, e questi movimenti devono essere coordinati fra di loro e con
quelli delle corde vocali. Poiché le lesioni dell’area di Broca compromettono la capacità di articolare le parole,
questa regione è quella nella quale con maggior probabilità sono localizzati tali programmi.
L’afasia di Broca è molto più di un deficit della pronuncia delle parole; in genere, una lesione dell’area di
Broca e delle regioni circostanti produce tre deficit principali di linguaggio: agrammatismo, anomia e difficoltà
articolatorie. L’agrammatismo si riferisce alla difficoltà del paziente nell’usare costrutti grammaticali. L’anomia è
la difficoltà a trovare la parola esatta e la difficoltà articolatoria consiste nell’alterare la frequenza dei fonemi.
150

Studi di imaging funzionale hanno rilevato che la pronuncia della parole attiva l’insula anteriore
dell’emisfero sinistro; tuttavia, altri studi suggeriscono che l’area di Broca è implicata nell’articolazione.

Comprensione del linguaggio


La comprensione del linguaggio inizia nel sistema uditivo, che capta ed analizza i suoni. Riconoscere le
parole, però, è una cosa; comprenderle, capire il loro significato, è un’altra. Riconoscere una parola è un compito
percettivo complesso, che si basa sulla memoria delle sequenza di suoni. Sembra che a svolgere questo compito
siano circuiti neuronali localizzati nella porzione media e posteriore del giro superiore temporale sinistro, una
regione nota come area di Wernicke.

 Afasia di Wernicke
Le caratteristiche principali dell’afasia di Wernicke sono la carente comprensione e la produzione di un
linguaggio senza senso. Diversamente dall’afasia di Broca, l’afasia di Wernicke è fluente e non laboriosa; il
paziente non ha difficoltà ad articolare le parole, né sembra essere alla loro ricerca. Quando si ascolta un
soggetto con afasia di Wernicke sembra che il suo linguaggio sia grammaticalmente corretto, ma il paziente usa
poche parole di contenuto e le sequenze di parole che produce non hanno alcun senso. Dati i deficit verbali dei
pazienti con afasia di Wernicke, quando si deve valutare la loro capacità di comprendere il linguaggio bisogna
chiedere loro di usare risposte non verbali.
Un aspetto particolare delle persone con afasia di Wernicke è che spesso appaiono inconsapevoli del
loro deficit: non sembrano riconoscere che il loro linguaggio è insensato e che non capiscono ciò che dicono gli
altri. Forse il deficit di comprensione impedisce loro di rendersi conto che quello che dicono o sentono non ha
senso. Restano sensibili alle espressioni facciali e al tono della voce degli altri, e perciò iniziano a parlare quando
qualcuno pone loro una domanda e si fermano quando aspettano una risposta.
L’afasia di Wernicke è stata definita come un’afasia recettiva. Wernicke riteneva che l’area che ora
porta il suo nome fosse la sede delle memorie delle sequenze dei suoni che costituiscono le parole. Questa
ipotesi è ragionevole: suggerisce che la corteccia associativa uditiva del giro temporale superiore riconosce i
suoni delle parole, così come la corteccia associativa visiva del giro temporale inferiore riconosce le
caratteristiche degli oggetti.
Lesioni al lobo temporale destro possono produrre un disturbo di riconoscimento verbale uditivo senza
che vi siano altri problemi. Questa sindrome è detta sordità verbale pura, e consiste nella capacità di ascoltare,
parlare, leggere e scrivere senza essere in grado di comprendere il significato del linguaggio. Anche se le persone
con sordità verbale pura non sono sorde, non riescono a capire il linguaggio. Questi pazienti possono riconoscere
suoni naturali, come l’abbaiare di un cane o il suono di un citofono, e spesso possono riconoscere l’emozione
espressa nel linguaggio dall’intonazione, anche se non riescono a capire quello che si dice; riescono anche a
leggere e a scrivere, e qualche volta chiedono alle persone di comunicare scrivendo.
La maggior parte degli autori ritiene che l’emisfero sinistro è implicato principalmente nello stimare la
sincronizzazione delle componenti dei suoni complessi che cambiano rapidamente, mentre l’emisfero destro è
coinvolto principalmente nella stima delle componenti che cambiano più lentamente, inclusa la melodia.
Gli altri sintomi dell’afasia di Wernicke – l’incapacità di comprendere il significato delle parole e quella
di esprimere i pensieri in linguaggio comprensibile – sembrano dipendere da lesioni che si estendono oltre l’area
di Wernicke, in una regione che circonda la parte posteriore della scissura laterale e che viene definita area
posteriore del linguaggio.L’area posteriore del linguaggio sembra che serva come punto di interscambio di
informazioni tra la rappresentazione uditiva delle parole e il loro significato. Una lesione della sola area
posteriore del linguaggio produce un disturbo conosciuto come afasia sensoriale transcorticale, un disturbo
linguistico nel quale il paziente ha deficit di comprensione e difficoltà di produzione spontanea di linguaggio
comprensibile, ma non di ripetizione.La differenza tra afasia sensoriale transcorticale e afasia di Wernicke è che i
pazienti con questo disturbo possono ripetere quello che è detto da altre persone, quindi riescono a riconoscere
le parole, ma non riescono a comprendere il significato di quello che sentono e ripetono, né possono produrre
da soli un linguaggio comprensibile. L’afasia sensoriale transcorticale può essere considerata come un’afasia di
Wernicke senza deficit di ripetizione.
Il fatto che le persone con afasia sensoriale transcorticale possano ripetere quello che ascoltano
suggerisce che vi sia una connessione diretta tra l’area di Wernicke e quella di Broca: è il fascicolo arcuato.
Questo fascio di assoni si trova nel cervello umano, ma è assente o molto più piccolo in quello dei primati non
umani. Il fascicolo arcuato sembra trasmettere informazioni sul suono delle parole, ma non sul loro significato.
La migliore prova di questa conclusione viene da un disturbo conosciuto come afasia di conduzione, prodotto da
lesioni al lobo parietale inferiore, che si estendono alla materia bianca sottocorticale e ledono il fascicolo
arcuato.
151

L’afasia di conduzioneè caratterizzata da un linguaggio comprensibile e fluente, comprensione


relativamente buona, ma ripetizione deficitaria; è, in altre parole, l’incapacità di ripetere parole udite. Il paziente
può ripetere parole singole, ma non riesce a ripetere non-parole; il paziente è in grado di ripetere una frase
significativa di tre parole, ma non tre parole non correlate. Le persone con afasia di conduzione riescono a
ripetere le parole che sentono solo se hanno un significato. Qualche volta, quando ad una persona con afasia di
conduzione è richiesto di ripetere una parola, può rispondere con una parola diversa, ma dello stesso significato.
La via diretta attraverso il fascicolo arcuato trasporta i fonemi dall’area di Wernicke all’area di Broca. Si usa
questa via per ripetere parole non familiari: per esempio, quando si sta imparando una lingua straniera o una
parola nuova, o quando si cerca di ripetere una non-parola. La seconda via, tra l’area posteriore del linguaggio e
l’area di Broca, è indiretta e si basa sul significato delle parole e non sul suono che producono. Quando i pazienti
con afasia di conduzione sentono una parola o una frase, il significato di quello che ascoltano viene trasferito,
ma il suono no.
Le parole si riferiscono ad oggetti, azioni o relazioni nel mondo. Il significato di una parole, quindi, è
definito dalle memorie particolari ad essa associate. Per esempio, conoscere il significato della parola albero significa essere
capaci di immaginare le caratteristiche fisiche degli alberi, così come sapere delle cose sugli alberi: su radici, germogli, fiori, frutti, legno. E
parole che implicano un’azione, come tirare, evocano il ricordo di aver visto qualcuno tirare qualcosa e anche l’immaginazione di cosa si
prova a tirare qualcosa. Queste memorie non sono immagazzinate nell’area primarie del linguaggio, ma in altre parti
del cervello, soprattutto nelle aree associative. Diverse categorie di memorie possono essere immagazzinate in
regioni differenti del cervello, ma in qualche modo sono legate le une alle altre, cosicchè ascoltare la parola
“albero” o “tirare” le attiva tutte.
Riflettendo sui meccanismi verbali del cervello coinvolti nel riconoscimento delle parole, e sulla
comprensione del loro significato, si scopre che il concetto di dizionario è un’analogia utile. Il vocabolario
contiene delle parole e delle definizioni; nel cervello ci sono almeno due tipi di entrate: uditive e visiva. In altre
parole, si può cercare una parole a secondo di come suona o di come appare quando è scritta. Considerando
solo il sistema di entrata uditivo, noi sentiamo una parola familiare e capiamo il suo significato. Ma come avviene
ciò? Primo, dobbiamo riconoscere la sequenza di suoni che costituisce la parola: cioè, trovare l’entrata uditiva
per la parola del nostro dizionario, e questo sembra avvenire nell’area di Wernicke. Poi, devono essere attivati i
ricordi che costituiscono il significato della parole, e presumibilmente l’area di Wernicke è connessa, attraverso
l’area posteriore del linguaggio, con i circuiti neurali che contengono questi ricordi.
Il linguaggio veicola molto più di semplici parole che descrivono oggetti o azioni: serve ad esprimere
anche concetti astratti. Gli studi su pazienti cerebrolesi suggeriscono che la comprensione degli aspetti più sottili,
figurativi del linguaggio coinvolge in particolare l’emisfero destro: ciò si applica, per esempio, alla comprensione
del significato dei proverbi. Alcuni studi hanno rivelato che l’alterazione funzionale temporanea della corteccia
temporale superiore destra, attraverso stimolazione magnetica transcranica, compromette la capacità delle
persone di comprendere le metafore letterarie.
 Memoria delle parole: afasia anomica
Il linguaggio dei pazienti con anomia è fluente e grammaticalmente corretto, e la loro comprensione è
eccellente, ma hanno difficoltà a trovare le parole appropriate. Spesso si servono di circonlocuzioni per sostituire
le parole perse. L’anomia è stata descritta come un’amnesia parziale per le parole. Può essere prodotta da
lesioni sia nella parte posteriore, sia in quella anteriore del cervello, ma solo le lesioni posteriori producono
anomia fluente.
Dei ricercatori hanno descritto pazienti con difficoltà a denominare gli oggetti ma non le azioni. Diversi
studi hanno rilevato che l’anomia per i verbi è dovuta a lesioni della corteccia frontale, all’interno e intorno
all’area di Broca. Molti studi di imaging funzionale hanno confermato l’importanza dell’area di Broca e di quelle
che la circondano nella produzione dei verbi. In uno studio, dei pazienti leggevano verbi riferiti al movimento di
diverse parti del corpo; i ricercatori hanno osservato che, quando i soggetti leggevano uno di questi verbi, si
osservava l’attivazione della regione della corteccia motoria che controlla la parte del corpo che dovrebbe
muoversi. Presumibilmente, pensare a particolari azioni attiva le regioni che controllano queste azioni.

l’afasia nei non udenti


La comunicazione tra i membri della comunità dei non udenti coinvolge un altro mezzo: il linguaggio dei
segni, espresso dal movimento delle mani; il linguaggio dei segni è un linguaggio completo, che ha segni per
sostantivi, verbi, aggettivi, avverbi e tutte le altre parti presenti nel linguaggio orale. Si può conversare
rapidamente ed efficacemente usando il linguaggio dei segni, si possono raccontare barzellette e anche fare
giochi di parole basati sulla similarità dei segni.
La grammatica del linguaggio dei segni si basa su caratteristiche visive e spaziali. Per esempio, se una
persona fa il segno che significa John in una posizione e dopo fa il segno che significa Mary in un’altra posizione,
può porre la sua mano nella localizzazione di John e muoverla verso la localizzazione di Mary mentre sta facendo
152

il segno di amore; questa persona sta dicendo “John ama Mary”. I segnanti possono cambiare il significato dei
segni anche attraverso le espressioni facciali o la velocità e il vigore con i quali i segni sono fatti. Il fatto che il
linguaggio dei segni si basi su movimenti tridimensionali delle mani e delle braccia, accompagnati da espressioni
facciali, significa che la sua grammatica è diversa dal linguaggio orale. Per tale motivo, è impossibile una
traduzione parole per parole.
Il fatto che la grammatica del linguaggio dei segni sia spaziale suggerisce che i disturbi afasici dei non
udenti che usano il linguaggio dei segni potrebbero essere prodotti da lesioni all’emisfero destro, essendo
questo principalmente coinvolto nella percezione e nella memoria spaziale; invece, tutti i casi riportati in
letteratura di non udenti con afasia per il linguaggio dei segni mostrano lesioni dell’emisferi sinistro, e studi di
imaging funzionale hanno rilevato che i compiti associati al linguaggio attivano le stesse regioni dell’emisfero
sinistro, nei soggetti udenti e non udenti.Uno studio di imaging funzionale eseguito da Iacoboni ha rilevato
l’attivazione dell’area di Broca quando le persone osservano e imitano i movimenti del linguaggio dei segni.

Prosodia: ritmo, tono ed enfasi del linguaggio


Quando parliamo, non ci limitiamo ad articolare le parole; il nostro linguaggio ha ritmo e cadenza
regolari, diamo enfasi ad alcune parole, e variamo l’intensità della voce per indicare le pause e distinguere tra
affermazioni e domande. Ci si riferisce agli aspetti ritmici, enfatici e melodici del linguaggio con il termine
prosodia. L’importanza di questi aspetti del linguaggio è illustrata dall’uso, nella scrittura, dei segni di
punteggiatura. La prosodia dei pazienti con afasia fluente, causata da lesioni posteriori, suona normale: il loro
linguaggio è ritmico, con pause dopo le frasi e i periodo, e ha una linea melodica; al contrario, le lesioni che
producono afasia di Broca interferiscono con la grammatica e disturbano gravemente anche la prosodia. Nei
pazienti con afasia di Broca, l’articolazione è così laboriosa e le parole sono pronunciate talmente lentamente
che ci sono poche possibilità per il paziente di esprimere qualsiasi elemento ritmico.
Studi su soggetti normali e su pazienti cerebrolesi suggeriscono che la prosodia è una funzione specifica
dell’emisfero destro. Questa funzione è indubbiamente correlata al ruolo può generale di questo emisfero nelle
capacità musicali e nell’esprimere e riconoscere le emozioni.

Riconoscimento della voce delle persone


La prosodia del linguaggio può veicolare informazioni sullo stato emotivo di chi parla o sugli elementi
che desidera enfatizzare. Le persone apprendono precocemente a riconoscere la voce di particolari individui, ma
alcune persone con danno cerebrale localizzato hanno una grande difficoltà a riconoscere le voci: un disturbo
noto come fonagnosia. La maggior parte dei casi di fonagnosia è dovuta a un danno cerebrale. Il riconoscimento
di una voce particolare è indipendente dal riconoscimento delle parole e del loro significato. Alcune persone
perdono l’abilità di riconoscere le parole, ma possono ancora riconoscere le voci, mentre altre persone mostrano
il deficit opposto. I casi di fonagnosia si associano a lesione dell’emisfero destro, in genere al livello del lobo
parietale o della corteccia temporale anterosuperiore. Gli studi di imaging funzionale hanno rilevato
l’implicazione della corteccia temporale anterosuperiore destra nel riconoscimento della voce.

Balbuzie
La balbuzie è un disturbo del linguaggio caratterizzato da frequenti pause, prolungamento dei suoni o
ripetizioni si sillabe o parole che alterano il normale flusso del linguaggio.
La balbuzie occorre raramente quando una persona dice una sola parola è le è chiesto di leggere una
lista di parole; si osserva in genere all’inizio di una frase, specie se si intende pronunciare una frase lunga o
grammaticalmente complessa. Questo fatto suggerisce che la balbuzie è un disturbo di selezione, iniziazione ed
esecuzione delle sequenze motorie necessarie alla produzione di un linguaggio fluente. Forse una persona che
balbetta ha bisogno di più tempo per pianificare i movimenti necessari a pronunciare ciò che intende dire.
La balbuzie non è il risultato di alterazioni nei circuiti neurali che contengono i programmi motori del
linguaggio. Per esempio, la balbuzie si riduce o scompare quando una persona legge ad alta voce insieme a
qualcun altro, canta o legge in cadenza con uno stimolo ritmico. Il problema sembra riguardare i meccanismi
neurali implicati nella pianificazione o iniziazione dell’eloquio.
Le persone che balbettano tendono a mostrare un’eccessiva attivazione dell’area di Broca e dell’insula,
oltre che dell’area motoria supplementare e del verme del cervelletto, insieme all’assenza di attivazione delle
regioni uditive del lobo temporale. Gli autori ipotizzano che il problema possa essere causato da un feedback
uditivo difettoso dei suoni dell’eloquio dei balbuzienti, mostrato dall’assenza di attivazione del lobo temporale.
2 – Disturbi di lettura e di scrittura
Leggere e scrivere sono attività strettamente correlate all’ascoltare e al parlare, quindi le capacità
linguistiche orali e scritte hanno molti meccanismi cerebrali in comune.
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relazione con l’afasia


Le abilità di lettura e scrittura delle persone affette da afasia quasi sempre somigliano alle loro capacità
di parlare e di comprendere il linguaggio. Per esempio, pazienti con afasia di Wernicke hanno le stesse difficoltà
a leggere e scrivere che hanno a parlare e capire il linguaggio orale. I pazienti con afasia di Broca comprendono
ciò che leggono altrettanto bene di quanto capiscono ciò che sentono, ma la loro lettura ad alta voce è
deficitaria; se il loro linguaggio è agrammatico, lo è anche la loro scrittura. I pazienti con afasia di conduzione, in
genere, hanno alcune difficoltà di lettura; quando leggono ad alta voce, producono spesso sinonimi di alcune
parole che leggono, proprio come fanno quando provano a ripetere ciò che ascoltano.

Alessia pura
Dejerine descrisse una sindrome particolare, che oggi è chiamata alessia pura, o cecità pura per le
parole. L’alessia puraè la perdita della capacità di leggere mantenendo però la capacità di scrivere. Il paziente di
Dejerine aveva una lesione nella corteccia visiva del lobo occipitale sinistro e nella parte posteriore del corpo
calloso. Il paziente riusciva ancora a scrivere, sebbene avesse perso la capacità di leggere. Infatti, se gli si
mostravano i suoi stessi scritti, non riusciva a leggerli.
I pazienti con alessia pura, sebbene non possano leggere, riescono a riconoscere le parole che sono
sillabate ad alta voce; quindi, non hanno perduto la loro memoria dello spelling delle parole. L’alessia pura è
ovviamente un disturbo percettivo; è simile alla sordità verbale pura, eccetto per il fatto ha difficoltà con gli
input visivi invece che con quelli uditivi. Il disturbo è dovuto a lesioni che impediscono alle informazioni visive di
raggiungere la corteccia extrastriata dell’emisfero sinistro.
L’informazione dalla parte sinistra del campo visivo è trasmessa alla corteccia striata destra e poi alle
regioni della corteccia visiva associativa destra. Da qui, l’informazione attraversa il corpo calloso posteriore ed è
trasmessa ad una regione della corteccia visiva associativa sinistra, nota come area della forma visiva delle
parole; a questo punto, l’informazione è trasmessa ai meccanismi del linguaggio localizzati nel lobo frontale
sinistro. Perciò, la persona può leggere ad alta voce.

Verso una comprensione della lettura


La lettura coinvolge almeno due processi diversi: il riconoscimento diretto dell’intera parola e la
sillabazione lettera per lettera. Quando vediamo una parola familiare, normalmente la riconosciamo nella sua
forma e la pronunciamo. Questo processo è conosciuto come lettura globale. Il secondo metodo, che usiamo
per leggere le parole non familiari, richiede il riconoscimento delle singole lettere e la conoscenza del loro suono.
Questo processo è conosciuto come lettura fonetica.
la miglior prova che le persone possono leggere le parole senza pronunciarle, usando il metodo globale,
viene dagli studi su pazienti con dislessia acquisita. Dislessia significa difetto di lettura. Le dislessie acquisite sono
quelle dovute a una lesione cerebrale, in persone che già sapevano leggere; invece, le dislessie evolutive sono le
difficoltà di lettura che compaiono quando il bambino impara a leggere.
La dislessia superficiale è un deficit della lettura globale. Il termine superficiale riflette il fatto che le
persone con questo deficit commettono errori relativi all’aspetto visivo della parola e alle regole di pronuncia,
ma non relativi al significato delle parole, che è metaforicamente più profondo dell’aspetto. Poiché i pazienti con
dislessia superficiale hanno difficoltà a riconoscere le parole in modo globale, sono obbligati a sillabarle. Quindi,
possono leggere facilmente parole con una pronuncia regolare, ma hanno difficoltà a leggere parole con
pronuncia irregolare. Non hanno invece difficoltà a leggere non-parole pronunciabili. I soggetti con dislessia
superficiale, poiché non riconoscono le parole in maniera globale, devono ascoltarsi mentre le pronunciano, per
capire cosa stanno leggendo. Molti studi hanno rilevato che la lesione dell’area della forma visiva della parola
causa dislessia superficiale.
I pazienti con dislessia fonologica hanno sintomi opposti a quelli della dislessia superficiale: possono
leggere con il metodo globale, ma non riescono a sillabare le parole. Quindi, possono leggere parole che sono
loro già familiari, ma hanno grandi difficoltà a capire come leggere parole non familiari o non-parole. Le persone
con dislessia fonologica possono essere lettori eccellenti, se hanno già acquisito un buon vocabolario di lettura
prima della lesione cerebrale.
Evidenze empiriche fornite da studi di lesione e studi di imaging funzionale su lettori di lingua inglese,
cinese e giapponese suggeriscono che il processo di lettura globale segue il canale ventrale del sistema visivo
fino a una regione, il giro fusiforme, localizzata alla base del lobo temporale. Gli studi di imaging funzionale
hanno rilevato che la lettura delle parole o dei caratteri cinesi attiva il giro fusiforme sinistro; questa regione è
nota come area della forma visiva della parola.
Parte del giro fusiforme è implicata anche nella percezione dei volti e di altre forme la cui distinzione
richiede esperienza, e certamente il riconoscimento delle parole intere o dei simboli richiede una certa dose di
esperienza. La localizzazione dei circuiti neurali responsabili della lettura fonologica è meno certa. Molti
ricercatori ritengono che essa implichi la regione della corteccia cerebrale che circonda il lobo parietale inferiore
154

e il lobo temporale superiore, e in seguito segua un fascio di fibre da questa regione alla corteccia frontale
inferiore, che include anche l’area di Broca. Tuttavia, la lesione ristretta alla corteccia dell’area della forma visiva
della parola, senza danneggiamento della sottostante sostanza bianca, produce alessia pura. Perciò, sebbene la
lettura fonologica possa implicare la corteccia temporoparietale, l’area della forma visiva della parola sembra
giocare un ruolo essenziale in entrambe le forme di lettura.
La dislessia diretta è simile all’afasia transcorticale sensoriale, eccetto per il fatto che le parole in
questione sono scritte, e non dette. I pazienti con dislessia diretta sono capaci di leggere ad alta voce, anche se
non riescono a capire le parole che stanno dicendo. Alcuni possono leggere sia le parole reali che le non-parole;
quindi, possono essere conservate sia la lettura globale che quella fonetica.

Dislessie evolutive
Alcuni bambini hanno grandi difficoltà ad imparare a leggere e non diventano mai dei lettori fluenti,
anche se sono per altri versi intelligenti. I disturbi specifici di apprendimento e del linguaggio, detti dislessie
evolutive, tendono ad essere ricorrenti nelle stesse famiglie. La percentuale di concordanza nei gemelli
monozigoti varia dall’84 al 100%.
Il fatto che il linguaggio scritto sia un’acquisizione recente significa che la selezione naturale non ci ha
potuto fornire di meccanismi cerebrali il cui unico ruolo sia interpretare il linguaggio scritto. Perciò, non
dobbiamo aspettarci che le dislessie evolutive implichino solo deficit di lettura: i ricercatori hanno individuato
una varietà di deficit del linguaggio che non coinvolgono direttamente la lettura. Un disturbo comune è il deficit
di consapevolezza fonologica. Le persone con dislessia evolutiva hanno difficoltà a distinguere l’ordine delle
sequenze dei suoni. È plausibile che difficoltà come queste diminuiscano la capacità di leggere per via fonetica. I
bambini dislessici tendono ad avere una maggiore difficoltà di scrittura: possono commettere errori ortografici,
hanno una scarsa capacità di disporre le lettere nello spazio, omettono delle lettere e la loro scrittura tende ad
avere un’evoluzione grammaticale lenta. La dislessia evolutiva è un tratto eterogeneo e complesso che ha più di
una causa. La maggior parte degli studi che hanno esaminato con attenzione la natura delle compromissioni
osservate nelle persone con dislessia evolutiva, ha rilevato la maggiore frequenza dei deficit fonologici.
Studi di imaging funzionale riportano che la ridotta attivazione della regione corticale occipitotemporale
e temporoparietale sinistra potrebbe essere implicata nella dislessia evolutiva. I bambini che imparano a leggere
lingue la cui scrittura ha una corrispondenza regolare tra l’ortografia e la pronuncia (come l’italiano) hanno meno
probabilità di diventare dislessici rispetto a quelli che imparano a leggere lingue con ortografia irregolare (come
inglese e francese).
Verso una comprensione della scrittura
Scrivere dipende dalla conoscenza delle parole che si devono usare, insieme all’appropriata struttura
grammaticale della frase che esse formano. Un tipo di disturbo di scrittura coinvolge difficoltà di controllo
motorio: controllare i movimenti della penna o della matita per formare lettere e parole. I ricercatori hanno
descritto tipi specifici di disturbi di scrittura: alcuni pazienti possono scrivere numeri ma non lettere, altri
possono scrivere lettere maiuscole ma non minuscole, altri possono scrivere consonanti ma non vocali, e altri
ancora possono scrivere normalmente le lettere ma hanno difficoltà a posizionarle ordinatamente sulla pagina.
Molte regioni cerebrali sono implicate nella scrittura: per esempio, le lesioni che producono varie forme
di afasia inducono compromissioni nella scrittura simili a quelle osservate nel linguaggio.
Il tipo di disturbo di scrittura più basilare coinvolge problemi nella capacità di sillabare le parole, invece che problemi con
l’esecuzione dei movimenti accurati delle dita. Come la lettura, la scrittura coinvolge più di un sistema, di cui il primo è in relazione con
l’ascoltare; quando i bambini acquisiscono le capacità linguistiche, imparano prima i suoni delle parole, poi imparano a dirle,
successivamente imparano a leggerle e infine a scriverle. Per scrivere molte parole si deve essere capaci di “pronunciarle nella propria testa”.
Un secondo modo di scrivere coinvolge il trascrivere un’immagine di come appare quella particolare parola, copiando un’immagine mentale
visiva. Un terzo modo di scrivere comprende la memorizzazione di una sequenza di lettere e un quarto modo di scrittura comprende la
memoria motoria: si memorizzano le sequenze motorie di molte parole familiari, come il proprio nome. Molti di noi non hanno bisogno di
pronunciare il proprio nome quando firmano, né di dire fra sé e sé la sequenza di lettere o di immaginare visivamente il proprio nome.
Lesioni cerebrali possono danneggiare il primo metodo di scrittura; tale deficit è detto disgrafia
fonologica. Le persone con questo disturbo sono incapaci di sillabare le parole e scriverle foneticamente; non
riescono a scrivere parole non familiari o non-parole; possono comunque immaginare visivamente le parole
familiari e poi scriverle.
La disgrafia ortografica è un disturbo della scrittura su base visiva. Le persone con disgrafia ortografica
possono solo pronunciare le parole, perciò possono scrivere parole che si pronunciano regolarmente e hanno
difficoltà con le parole che si sillabano irregolarmente.
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DISTURBI NEUROLOGICI

2 – Disturbi da crisi epilettiche


Le crisi epilettiche consistono in eventi periodici di attività elettrica cerebrale anomala. Le crisi parziali
sono localizzate e cominciano a livello di un focolaio: in genere, tessuto cicatriziale causato da una lesione
precedente o da un tumore. Proprio all’inizio, spesso producono un’aura, costituita da particolari sensazioni o
alterazioni dell’umore. Le crisi parziali semplici non inducono alterazioni profonde dello stato di coscienza,
contrariamente alle crisi profonde. Le crisi generalizzate possono originare o meno da un singolo focolaio
epilettico, ma finiscono per coinvolgere la maggior parte del cervello. Alcune crisi ai associano ad attività
motoria: gli episodi più gravi sono le convulsioni, che accompagnano le crisi generalizzate. Le convulsioni sono
causate dal coinvolgimento dei sistemi motori cerebrali; il paziente dapprima sviluppa una fase tonica, che
consiste in pochi secondi di rigidità, quindi una fase clonica, caratterizzata da spasmi ritmici. Queste crisi
generalizzate sono caratterizzate da periodi di totale disattenzione e perdita temporanea di consapevolezza. Le
crisi indotte dall’astinenza, dopo un periodo prolungato di pesante consumo di alcol, sembrano essere
conseguenti all’improvviso rilascio di inibizione. Gli attacchi epilettici si trattano con i farmaci anticonvulsivanti;
in caso di disturbo resistente ai farmaci, a causa di un focolaio anomalo, si ricorre alla chirurgia antiepilettica, che
di solito coinvolge il lobo temporale mediale o il corpo calloso.

3 – Ictus
Gli attacchi cerebrovascolari (ictus) danneggiano parti del cervello tramite la rottura o l’occlusione di un
vaso ematico, a causa di un trombo o di un embolo. Un tromboè un coagulo ematico che si forma all’interno di
un vaso; un emboloè un pezzo di detrito trasportato nel flusso sanguigno, che si blocca in un’arteria. Gli emboli
possono staccarsi da infezioni all’interno delle camere cardiache o possono essere costituiti da pezzi di trombi.
L’interruzione del flusso ematico sembra danneggiare i neuroni principalmente stimolando il rilascio massiccio di
glutammato, che causa infiammazione, fagocitosi da parte della microglia attiva, produzione di radicali liberi e
produzione di enzimi calcio-dipendenti. Dopo un ictus, la terapia fisica può facilitare il recupero e minimizzare le
menomazioni del paziente. La terapia basata sul movimento sotto costrizione si è dimostrata particolarmente
utile a restaurare i movimenti finalizzati negli arti, a seguito del danneggiamento unilaterale della corteccia
motoria.

5 – Sindrome di Down
La sindrome di Down è un disturbo congenito che causa lo sviluppo anomalo del cervello, con
conseguente ritardo mentale. La sindrome di Down non è causata dall’ereditarietà di un gene difettoso, ma dalla
presenza di un cromosoma 21 in sovrannumero. Il disturbo è strettamente associato con l’età della madre: nella
maggior parte dei casi, qualcosa non funziona come dovrebbe nei suoi ovociti, con la conseguente presenza di
due cromosomi 21; quando di verifica la fecondazione, il cromosoma 21 portato dal padre fa arrivare il numero
di questi cromosomi a tre, invece che due. Il cromosoma in più presumibilmente causa alterazioni biochimiche
che compromettono il normale sviluppo cerebrale.
La sindrome di Down riguarda circa una nascita su settecento. Gli individui affetti da questo disturbo
presentano una testa rotonda, lingua spessa e protrudente che tende a tenere la bocca aperta per la maggior
parte del tempo, mani tozze, bassa statura, attacco basso delle orecchie e palpebre leggermente oblique. I
bambini con sindrome di Down imparano a parlare tardi, ma generalmente la maggior parte di loro è in grado di
parlare all’età di cinque anni. Il cervello di un individuo con sindrome di Down è approssimativamente il 10% più
leggero di quello di un individuo normotipo, le circonvoluzioni sono più semplici e piccole, con lobi frontali piccoli
e localizzazione dell’area di Wernike sottile.

6 – Disturbi degenerativi

Morbo di Parkinson
Il morbo di Parkinson è causato dalla degenerazione dei neuroni dopaminergici della sostanza nera del
Somering, che inviano assoni ai gangli della base. Lo studio delle rare forme ereditarie del morbo di Parkinson
rivela che la morte di questi neuroni è causata dall’aggregazione di una proteina mal ripiegata, l’alfa-sinucleina.
Una mutazione produce alfa-sinucleina difettosa, mentre un’altra produce parkina difettosa, una proteina che
facilita l’etichettamento delle proteine anomale, in modo che siano distrutte. L’accumulo di alfa-sinucleina può
essere innescato da alcune sostanze tossiche: ciò suggerisce che alcune forme ereditarie della malattia possono
essere causate da sostanze tossiche presenti nell’ambiente.
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Il trattamento del morbo di Parkinson include la somministrazione di L-DOPA, l’impianto di neuroni


dopaminergici fetali nei gangli della base, la distruzione di una porzione del globo pallido o del nucleo
subtalamico, e l’impianto di elettrodi che permettano al paziente di stimolarsi elettricamente la regione del
nucleo subtalamico.

Morbo di Huntington
Il morbo di Huntington, una malattia ereditaria autosomica dominante, produce degenerazione del
nucleo caudato e del putamen. L’huntingtina mutata si ripiega erroneamente e forma aggregazioni che si
accumulano nei nuclei dei neuroni GABAergici del putamen. Sebbene l’effetto primario dell’huntingtina mutata
sia un guadagno tossico di funzione, la malattia sembra implicare anche una perdita di funzione. Le prove
empiriche suggeriscono che i corpi di inclusione hanno una funzione protettiva e che il danno è causato
dall’huntingtina mutata, dispersa nella cellula.
La forma congenita viene individuata come corea major o corea di Huntington. Questa forma congenita
è una malattia genetica che si manifesta quasi sempre in età adulta; i disturbi consistono in movimenti molto
rapidi, involontari e incoercibili, i quali interessano per lo più i muscoli degli arti, della lingua e del viso, che
spesso si estendono ad altri gruppi muscolari, dando nell’insieme l’impressione di una danza.
La forma acquisita si presenta generalmente in età pediatrica, nel corso o dopo malattie infettive. A
causa delle scosse muscolari disordinate e scomposte, viene anche indicata come ballo di san vito. È
sostanzialmente una malattia ad andamento benigno.

Morbo di Alzheimer
La malattia di Alzheimer coinvolge porzioni cerebrali maggiori: il processo patologico finisce per
distruggere la maggior parte dell’ippocampo e della sostanza grigia corticale. Il cervello degli individui affetti
contiene molte placche amiloidi, costituiti da un nucleo di proteina beta-amiloide di forma lunga e mal
ripiegata, circondato da assoni e dendriti in degenerazione composti da neuroni morenti che contengono
accumuli intracellulari di filamenti elicoidali di proteina tau.
In alcuni pazienti trattati con farmaci anticolinergici o sostanze che servono da antagonisti del recettore
NMDA si osserva la riduzione temporanea dei sintomi. L’esercizio fisico e la stimolazione intellettuale sembrano
ritardare l’insorgenza dell’Alzheimer, mentre obesità, ipercolesterolemie e diabete rappresentano importanti
fattori di rischio.
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-16-
SCHIZOFRENIA E DISTURBI AFFETTIVI

1 – Schizofrenia
La schizofrenia prevede sintomi positivi, negativi e cognitivi. I primi consistono nella presenza di
comportamenti insoliti, mentre gli ultimi due riguardano l’assenza o la compromissione del comportamento
normale. Poiché la condizione è fortemente ereditaria, sembra avere una base biologica. Tuttavia, le evidenze
empiriche indicano che non tutti i casi sono associati ad ereditarietà, mentre alcuni individui, portatori del “gene
per la schizofrenia”, non sviluppano il disturbo. Studi recenti suggeriscono che l’età paterna è un fattore
dominante per la schizofrenia, presumibilmente a causa della maggiore probabilità di mutazioni nei cromosomi
nelle cellule che producono spermatozoi. Un’ampia varietà di mutazioni rare o fattori epigenetici può
predisporre gli individui allo sviluppo della schizofrenia, e molti ricercatori sospettano che alcuni dei geni che
influenzano la suscettibilità alla schizofrenia possono essere coinvolti nella produzione di RNA non codificante,
che gioca importanti ruoli regolatori.
L’ipotesi dopaminergica, ispirata dal reperto che gli antagonisti dopaminergici alleviano i sintomi
positivi della schizofrenia, mentre gli agonisti della dopamina incrementano o persino producono questi sintomi,
afferma che i sintomi positivi della schizofrenia sono causati dall’iperattività delle sinapsi dopaminergiche nel
sistema mesolimbico, che colpisce il nucleo accumbens e l’amigdala. Il coinvolgimento della dopamina nel
rinforzo rappresenta una spiegazione plausibile degli effetti positivi osservati nella schizofrenia: pensieri
inadeguatamente rinforzati potrebbero persistere e trasformarsi in deliri. Non esistono prove del rilascio di una
quantità abnorme di dopamina, in condizioni di riposo, sebbene gli studi PET indichino che la somministrazione
di anfetamina causa un maggior rilascio di dopamina nel cervello dei pazienti schizofrenici. Le evidenze
empiriche indicano che il cervello dei pazienti schizofrenici contiene un numero lievemente più elevato di
recettori dopaminergici D2, ma questo incremento non sembra giocare un ruolo primario nell’incidenza della
malattia.
Il fatto che i sintomi negativi e cognitivi di schizofrenia non siano alleviati dai farmaci antipsicotici
classici pone un problema irrisolto nell’ipotesi dopaminergica. Inoltre, queste sostanze causano effetti collaterali
simili a quelli del morbo di Parkinson e spesso, nei pazienti sottoposti a trattamento a lungo termine, discinesia
tardiva. Gli antipsicotici atipici (risperidone, olanzapina, ziprasidone) hanno probabilità molto minori di indurre effetti
collaterali parkinsoniani e apparentemente non causano discinesia tardiva. Inoltre, questi farmaci riducono i
sintomi positivi come quelli negativi, e sono efficaci in alcuni pazienti non sensibili agli antipsicotici tradizionali.
Le scansioni di risonanza magnetica e i segni di compromissione neurologica indicano la presenza di
anomalie cerebrali nel cervello dei pazienti schizofrenici. Secondo gli studi epidemiologici sulla schizofrenia, i
fattori che contribuiscono allo sviluppo della malattia sono la stagione di nascita, le epidemie virali durante la
gravidanza, il clima freddo, la densità di popolazione, la malnutrizione prenatale. Il periodo più sensibile sembra
essere il secondo trimestre di gravidanza. La carenza di vitamina D, causata dall’insufficiente esposizione alla
luce del sole o dall’insufficiente apporto dietetico della vitamina in questione, può spiegare almeno parzialmente
l’effetto della stagione di nascita, clima freddo e malnutrizione materna. Anche le complicazioni ostetriche
incrementano il rischio della schizofrenia, persino nelle persone che non presentano una storia familiare del
disturbo; inoltre, i filmini amatoriali di bambini molto piccoli, che in seguito divengono schizofrenici, indicano la
presenza precoce di anomalie delle espressioni facciali e dei movimenti. Ulteriori conferme sono fornite dal fatto
che il membro schizofrenico di una coppia di gemelli monozigoti, discordanti per il tratto della schizofrenia,
tende a presentare dimensioni maggiori del terzo ventricolo e di quello laterale, mentre le dimensioni
dell’ippocampo risultano ridotte.L’aumento della percentuale di concordanza, nei gemelli monozigoti, è
un’evidenza empirica a favore dell’interazione tra fattori ereditari e fattori ambientali prenatali.
I sintomi di schizofrenia di solito si sviluppano appena dopo la pubertà, in concomitanza con le
importanti modificazioni cerebrali legate alla maturazione. Alcuni ricercatori ritengono che il processo patologico
della schizofrenia cominci prima della nascita, resti quiescente fino alla pubertà e quindi causi un periodo di
degenerazione neurale, a seguito del quale si sviluppano i sintomi schizofrenici.
I sintomi negativi della schizofrenia sembrano essere dovuti all’ipofrontalità, ovvero alla ridotta attività
della corteccia prefrontale dorsolaterale, a sua volta causata dalla diminuzione del rilascio di dopamina in
questa regione.La performance dei pazienti schizofrenici è scarsa nei compiti che richiedono l’attività della
corteccia prefrontale, e studi di imaging funzionale indicano che questa regione resta ipoattiva, quando i pazienti
tentano di eseguire tali compiti.
Le connessioni tra la corteccia prefrontale e l’area tegmentale ventrale sembrano essere responsabili
dell’incremento dell’attività dei neuroni dopaminergici del sistema mesolimbico, producendo di conseguenza i
sintomi positivi della schizofrenia.
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DISTURBI D’ANSIA, DISTURBO AUTISTICO, DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E DISTURBI
DA STRESS

2 – Disturbo autistico
Il disturbo autisticoè un disturbo cronico, i cui sintomi includono incapacità di sviluppare relazioni
sociali normali, compromissione dello sviluppo delle abilità comunicative, mancanza di capacità immaginativa e
movimenti stereotipati e ripetitivi. La maggior parte delle persone con disturbo autistico mostra compromissioni
cognitive. la sindrome è stata denominata e caratterizzata da Kanner nel 1943, che scelse questo termine
particolare – autismo, che significa “condizione di ripiegamento sul sé” – per descrivere l’apparente auto-
assorbimento dei bambini affetti. L’incidenza del disturbo autistico nella popolazione è pari allo 0,6 – 1 %, ed è
quattro volte più frequente nel genere maschile.
Un tempo, i clinici ritenevano che l’autismo avesse maggiore prevalenza nella famiglie di status socio-economico
più elevato, ma studi più recenti hanno rilevato che la frequenza di autismo è la stessa in tutte le classi sociali.
Il disturbo autistico è uno dei disturbi generalizzati dello sviluppo; fanno parte di questi disturbi anche la
sindrome di Asperger, generalmente meno grave i cui sintomi includono il ritardo dello sviluppo delle capacità
linguistiche p la presenza di deficit cognitivi importanti; la sindrome di Rett, una sindrome neurologica genetica
che si osserva nelle bambine e che accompagna un arresto dello sviluppo cerebrale normale, durante l’infanzia.
La diagnosi di disturbo autistico richiede la presenza di tre categorie di sintomi: compromissione delle
interazioni sociali, abilità comunicative assenti o deficitarie, presenza di comportamenti stereotipati.
Le compromissioni sociali sono i primi sintomi che emergono: i bambini piccoli con disturbo autistico
sembrano indifferenti al fatto di essere presi in braccio, oppure arcuano la schiena indietro quando qualcuno li
solleva, come se non volessero essere presi; non guardano e non sorridono alle figure di accudimento; se sono
malati, se si fanno male o sono stanchi, non cercano il conforto degli antri. Quando crescono, non socializzano
con gli altri bambini ed evitano il contatto oculare; nei casi gravi, le persone autistiche sembrano addirittura non
rendersi conto dell’esistenza degli altri. Molti ricercatori hanno ipotizzato che alcuni sintomi del disturbo
autistico siano dovuti ad anomalie cerebrali, che impediscono all’individuo di sviluppare una teoria della mente,
cioè, la persona è incapace di prevedere e spiegare il comportamento degli altri esseri umani in termini di stati
mentali; i pazienti non riescono a inferire pensieri, sentimenti e intenzioni degli altri dalle loro espressioni
emozionali, dal tono della voce o dal comportamento.
Lo sviluppo del linguaggio è anormale o inesistente; spesso ripetono ciò che gli è detto, o possono
riferirsi a se stessi in terza persona. Quelli che acquisiscono capacità di linguaggio ragionevolmente buone,
parlano delle loro preoccupazioni, senza preoccuparsi degli interessi degli altri; di solito, prendono alla lettera ciò
che viene loro detto.
Gli individui affetti da disturbo autistico generalmente mostrano interessi e comportamenti anomali.
Talvolta mettono in atto movimenti stereotipati, come oscillare la mano avanti e indietro o dondolarsi.
Dimostrano un interesse ossessivo nell’esplorare oggetti, annusarli, sentirne la compattezza; possono assorbirsi
completamente nell’attività di allineare degli oggetti per formare specifiche configurazioni, dimenticandosi del
tutto di ciò che li circonda. Frequentemente insistono nel seguire abitudini precise e possono sviluppare attacchi
di ira violenta, se è loro impedito di farlo. Non sviluppano alcun tipo di gioco “come se” e sono disinteressati alle
storie di fantasia.
Sebbene la maggior parte delle persone autistiche sia mentalmente ritardata, alcuni di loro non lo sono;
alcune persone autistiche possono sviluppare capacità enormi in un settore specifico, come ricordare le date,
riuscire ad eseguire compiti matematici mentali o disegnare.

CAUSE POTENZIALI
Quando Kanner descrisse per la prima volta l’autismo, ne ipotizzò l’origine biologica; dopo poco tempo,
però, alcuni clinici influenti affermarono che l’autismo è una condizione acquisita, e più precisamente, a causa di
genitori freddi, insensibili, distanti e introversi. Attualmente, i ricercatori ritengono quesi universalmente che
l’autismo sia causato da fattori biologici e che i genitori di questi bambini dovrebbero essere aiutati e compresi,
non condannati.
Le prove empiriche indicano che l’autismo è fortemente ereditario. Le migliori evidenze relative
all’esistenza di fattori genetici nell’autismo vengono dagli studi sui gemelli, secondo cui la concordanza nei
monozigoti è approssimativamente del 70%. Gli studi genetici indicano che l’autismo può essere causato da
un’ampia varietà di mutazioni rare, specie quelle che interferiscono con lo sviluppo e con la comunicazione tra
neuroni e tra sistemi di neuroni.
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Il fatto che l’autismo sia altamente ereditario potrebbe indicare che il disturbo è il risultato di anomalie
strutturali o biochimiche del cervello. Le evidenze empiriche suggeriscono che circa il 10% dei casi di autismo ha
cause biologiche definibili, come la rosolia durante la gravidanza o l’encefalite causata da herpes virus.
Negli anni ’60 molte donne gravide assumevano un farmaco che sopprimeva i sintomi di nausea
mattutina; sfortunatamente, in seguito è stato scoperto che questo farmaco causava gravi difetti congeniti,
incluso l’autismo. Poiché la maggior parte delle donne sapeva che aveva assunto quel particolare farmaco, è
stato possibile correlare il tempo di esposizione al farmaco con lo sviluppo di autismo nella prole. In questo
modo, è emerso che il periodo sensibile, durante il quale l’esposizione al farmaco aveva la massima probabilità
di causare lo sviluppo di autismo, va dal 20° al 26° giorno dopo il concepimento.
Le prove empiriche raccolte negli ultimi anni indicano significative anomalie di sviluppo nel cervello dei
bambini autistici: sebbene il cervello autistico sia leggermente più piccolo alla nascita, comincia a crescere in
modo anormalmente veloce e all’età di 2-3 anni è circa il 10% più grande di un cervello normale. A seguito di
questo scatto precoce, la crescita del cervello autistico rallenta, sicchè al momento dell’adolescenza è solo
approssimativamente il 2% più largo del normale.
Ma non tutte le parti del cervello autistico mostrano lo stesso modello di crescita: le regioni che
sembrano essere maggiormente implicate nelle funzioni compromesse dall’autismo mostrano la crescita più
veloce in fase precoce e quella più lenta tra la prima infanzia e l’adolescenza. Per esempio, la corteccia frontale e
la corteccia temporale del cervello autistico crescono velocemente nei primi due anni di vita, e quindi mostrano
incrementi di dimensioni scarsi o assenti nei successivi quattro anni, mentre, nei cervelli normali, queste due
regioni crescono rispettivamente del 20% e del 17%.
I cervelli autistici mostrano anche anomalie nella costanza bianca: nel cervello autistico, il volume della
sostanza bianca contenenti assoni corti è aumentato, contrariamente a quello della sostanza bianca contenente
assoni lunghi, che connettono regioni distanti del cervello. La produzione di una quantità eccessiva di neuroni
nelle fasi precoci dello sviluppo può indurre la crescita di un così elevato numero di assoni corti, mentre lo
sviluppo di assoni lunghi è inibito. L’apparente iperconnettività nelle regioni locali della corteccia cerebrale
potrebbe spiegare le doti e le abilità eccezionali isolate dimostrate da alcuni soggetti autistici.
La mancanza di interesse verso gli altri, o di comprensione degli altri, è riflessa dalla risposta del cervello
autistico alla vista del volto umano; uno studio di imaging funzionale ha rilevato la presenza di attività scarsa o
assente nell’area fusiforme della faccia di adulti autistici che osservavano fotografie di volti umani. Gli autistici
sono carenti nel riconoscimento delle espressioni facciali delle emozioni o della direzione dello sguardo di
un’altra persona, e hanno basse percentuali di contatto oculare con gli altri; sembra probabile che l’area
fusiforme della faccia dei soggetti autistici non risponda alla vista del volto umano perché queste persone
passano un tempo molto limitato a studiare le facce della gente e quindi non sviluppano l’esperienza che tutti
noi acquisiamo attraverso le interazioni interpersonali normali. Per quanto riguarda la carenza di legami
significativi, alcuni ricercatori hanno osservato una presenza di livelli inferiori del normale di ossitocina nei
bambini autistici; la somministrazione di ossitocina migliora la socializzazione delle persone autistiche.
Iocoboni e Dapretto suggeriscono che i deficit sociali osservati nell’autismo potrebbero essere
conseguenti allo sviluppo anomalo del sistema dei neuroni specchio. Uno studio di imaging funzionale ha rilevato
la carente attivazione del sistema dei neuroni specchio dei bambini autistici, e uno studio di risonanza magnetica
funzionale ha osservato la riduzione dello spessore della corteccia cerebrale a livello del sistema dei neuroni
specchio, negli autistici.
Baron-Cohen ha notato che le caratteristiche comportamentali delle persone con disturbi dello spettro
autistico sembrano essere un’esagerazione dei tratti tendenzialmente associati al genere maschile, e l’incidenza
di questi disturbi è quattro volte maggiore negli uomini. Baron-Cohen suggerisce che questi disturbi possono
essere il riflesso di un cervello estremamente mascolinizzato. Per esempio, egli ha notato che, in media, le donne
sono più brave degli uomini a inferire i pensieri e le intenzioni altrui, sono più sensibili alle espressioni facciali,
hanno maggior probabilità di rispondere in modo empatico ai bisogni e al disagio degli altri, capacità che, in
media, gli uomini mostrano meno frequentemente. Secondo Baron-Cohen, gli individui con disturbo autistico
mostrano un pattern esagerato di interessi e comportamenti mascolini. La differenziazione sessuale del cervello è in
gran parte controllata dall’esposizione prenatale agli androgeni. Dei ricercatori hanno utilizzato due test che misurano i tratti
autistici per valutare il comportamento di bambini normali, le cui madri si erano sottoposte ad amniocentesi. I ricercatori
hanno rilevato una correlazione positiva significativa, in entrambi i generi, tra i livelli fetali di testosterone e i successivi
punteggi dei bambini nei due test che valutavano il comportamento autistico.
La maggior parte dei ricercatori ha notato che la presenza di comportamento stereotipato ripetitivo e di
preoccupazioni ossessive per particolari oggetti ricorda i sintomi del DOC. I sintomi del DOC sembrano essere
correlati all’incremento dell’attività del nucleo caudato. La ricerca suggerisce che la stessa cosa può essere vera
per i sintomi comportamentali dell’autismo: diversi studi hanno osservato l’aumento del volume del nucleo
caudato in soggetti autistici.
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4 – Disturbi da stress.

FISIOLOGIA DELLA RISPOSTA DA STRESS


Siamo stressati quando si troviamo di fronte ad una situazione minacciosa; dal momento che le
situazioni minacciose generalmente necessitano di un’intensa attività, le risposte autonomiche ed endocrine che
le accompagnano sono di tipo catabolico, cioè, aiutano a mobilizzare le risorse energetiche del corpo. Il ramo
simpatico del sistema nervoso autonomo si attiva e le surrenali secernono adrenalina, noradrenaline e ormoni
steroidei dello stress.
L’adrenalinainfluenza il metabolismo del glucosio, rendendo disponibili le riserve immagazzinate nel
tessuto muscolare, in modo che forniscano l’energia necessaria a sostenere uno sforzo intenso; insieme alla
noradrenalina, l’adrenalina incrementa anche l’irrorazione ematica dei muscoli, aumentando la gittata cardiaca:
in questo modo si produce un rialzo pressorio, che a lungo termine può contribuire allo sviluppo di patologie
cardiovascolari. Oltre a servire da ormone dello stress, la noradrenalina è secreta dal cervello in qualità di
neurotrasmettitore. Alcune delle risposte comportamentali e fisiologiche prodotte dagli stimoli avversivi
sembrano essere mediate dai neuroni noradrenergici. Presumibilmente, il rilascio di noradrenalina nel cervello si
serve di una via che dal nucleo centrale dell’amigdala va alle regioni secernenti noradrenalina nel tronco
encefalico.
L’altro ormone correlato allo stress è il cortisolo, uno steroide secreto dalla corteccia surrenale. Il
cortisolo è denominato glucocorticoide perché influisce profondamente sul metabolismo del glucosio. Inoltre, i
glucocorticoidiagevolano il catabolismo delle proteine e la loro conversione in glucosio, rendendo i lipidi più
facilmente disponibili alla produzione di risposte comportamentali. Quasi ogni cellula del corpo presenta
recettori per i glucocorticoidi, il che significa che solo poche non sono influenzate da questi ormoni.
La secrezione di glucocorticoidi è controllata dai neuroni del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo,
che secernono un peptide chiamato fattore di rilascio delle corticotropine, che a loro volta stimola l’ipofisi
anteriore a secernere l’ormone adrenocorticotropo. L’adrenocorticotropo entra nel circolo generale e stimola la
secrezione di glucocorticoidi da parte della corteccia surrenale.
Il fattore di rilascio delle corticotropine è secreto anche all’interno del cervello, con funzioni di
neuromodulatore o neurotrasmettitore, specie nelle regioni del sistema limbico coinvolte nelle risposte
emozionali. Quindi, alcuni elementi della risposta da stress sembrano essere dovuti al fattore di rilascio delle
corticotropine secreto dai neuroni cerebrali.
La secrezione di glucocorticoidi fa più che agevolare la reazione dell’animale a situazioni stressanti: ne
aumenta la possibilità di sopravvivenza. Se si rimuovono chirurgicamente le ghiandole surrenali di un ratto,
l’animale diviene molto più suscettibile agli effetti dello stress, e una situazione stressante può anche ucciderlo.

EFFETTI A LUNGO TERMINE DELLO STRESS SULLA SALUTE


Molti studi su soggetti umani sottoposti a situazioni stressanti hanno riscontrato uno stato di salute
compromesso. Per esempio, i sopravvissuti dei campi di concentramento presentano generalmente una salute
peggiore rispetto ad altre persone della stessa età.
Hans Selye ha ipotizzato che la maggior parte degli effetti nocivi dello stress sia dovuta alla secrezione
prolungata di glucocorticoidi; sebbene gli effetti a breve termine dei glucocorticoidi siano essenziali, quelli a
lungo termine sono molto dannosi: tali effetti inducono ipertensione, danneggiamento del tessuto muscolare,
diabete da steroidi, infertilità, inibizione della crescita, inibizione delle risposte infiammatorie e depressione del
sistema immunitario.

EFFETTI DELLO STRESS SUL CERVELLO


Le ricerche sul modello animale hanno dimostrato che l’esposizione a lungo termine ai glucocorticoidi
distrugge le cellule del campo CA1 della formazione ippocampale. Gli ormoni sembrano agire riducendo
l’ingresso del glucosio e aumentando quello del calcio, all’interno dei neuroni in questione.
Lo stress prenatale può causare malfunzionamenti a lungo termine dell’apprendimento e della
memoria, interferendo con lo sviluppo normale dell’ippocampo.
Lo stress in età precoce può causare il deterioramento delle normali funzioni ippocampali, in età
successive. Durante la prima settimana dopo il parto, dei ricercatori posizionavano delle femmine di ratto e la
loro prole in gabbie con il pavimento duro e solo una piccola quantità di materiale per costruire il nido. Quando
gli animali erano sottoposti a test, a 4-5 mesi di età, il loro comportamento risultava normale; tuttavia, la
valutazione a 12 mesi di età rilevava una compromissione della prestazione nel labirinto di Morris e un carente
sviluppo del potenziamento a lungo termine ippocampale. I ricercatori hanno osservato anche atrofia dendritica
dell’ippocampo, che potrebbe spiegare i deficit di apprendimento spaziale e di plasticità sinaptica.
Diversi studi hanno confermato che lo stress da dolore cronico ha effetti negativi sul cervello e sul
comportamento cognitivo. Alcuni ricercatori hanno rilevato che ogni anno di intensa lombalgia cronica causa la
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perdita di 1,3 cm di sostanza grigia nella corteccia cerebrale, e la maggiore riduzione si osserva nella corteccia
prefrontale dorsolaterale.

CONTROLLO NEURALE DEL SISTEMA IMMUNITARIO


Le risposte di stress possono aumentare la possibilità di contrarre malattie infettive: lo stress
incrementa la secrezione di glucocorticoidi, e questi ormoni riducono direttamente l’attività del sistema
immunitario. La relazione diretta tra lo stress e il sistema immunitario è stata dimostrata da uno studio che ha
rilevato che i soggetti che si prendono cura di familiari con morbo di Alzheimer, che sono certamente sottoposti
a notevole stress, dimostrano una debolezza maggiore del sistema immunitario.
Diverse ricerche indicano che l’immunodepressione dovuta allo stress è in gran parte mediata dai
glucocorticoidi. Dal momento che la secrezione di glucocorticoidi è mediata dal cervello – attraverso la
secrezione del fattore di rilascio delle corticotropine da parte dell’ipotalamo – il cervello è ovviamente
responsabile degli effetti immunodepressivi di questi ormoni.
I neuroni del nucleo centrale dell’amigdala inviano assoni secernenti il fattore di rilascio delle
corticotropine, a livello del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo; quindi, possiamo ragionevolmente attenderci
che il meccanismo responsabile delle risposte emozionali negative controlli anche la risposta da stress e
l’immunodepressione che l’accompagna.
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ABUSO DI SOSTANZE

1 – Caratteristiche comuni della tossicomania


Le sostanze che inducono dipendenza sono quelle i cui effetti di rinforzo risultano così potenti che
alcuni individui esposto non sono in grado di resistere a lungo senza assumerle, al punto che la loro vita si
organizza intorno alle pressanti richieste della tossicomania che hanno sviluppato. Fortunatamente, la maggior
parte delle persone che assume droga non sviluppa dipendenza.
In origine, tali sostanze erano estratte dalle piante, che le usavano come una difesa naturale contro gli
insetti o gli altri animali, che altrimenti le avrebbero mangiate; attualmente, i laboratori chimici hanno
sintetizzato molti farmaci psicoattivi, con effetti persino più potenti. Se un individuo assume regolarmente una
sostanza che provoca dipendenza, finisce per sviluppare la tolleranza ai suoi effetti, il che si traduce nella
necessità di aumentare progressivamente la dose; se interrompe l’assunzione, si sviluppano sintomi di astinenza,
che sono apposti a quelli primariamente indotti dalla sostanza di abuso. Comunque, la sindrome di astinenza
non rappresenta la causa della tossicodipendenza: l’abuso potenziale di una sostanza è dovuto alla sua capacità
di rinforzare il comportamento di assunzione della stessa.
Il rinforzo positivo si verifica quando un comportamento è regolarmente seguito da uno stimolo
appetitivo, cioè che l’organismo tende ad avvicinare; la maggior parte delle sostanze che inducono dipendenza è
in grado di produrre un rinforzo positivo, che incentiva il comportamento di assunzione. Gli animali di
laboratorio imparano ad effettuare risposte che hanno come conseguenza la somministrazione di queste
sostanze. Più rapidi sono gli effetti prodotti, più velocemente insorgerà la dipendenza. Inoltre, tutte le sostanze
che inducono dipendenza stimolano il rilascio di dopamina nel nucleo accumbens, una struttura che gioca un
ruolo importante nel rinforzo. Le modificazioni neurali che hanno origine nell’area tegmentale ventrale e nel
nucleo accumbens alla fine coinvolgono lo striato dorsale, che gioca un ruolo critico nel condizionamento
operante. L’attività dei circuiti inibitori della corteccia prefrontale promuove la resistenza alla tossicodipendenza.
La suscettibilità degli adolescenti al potenziale di dipendenza delle droghe si può associare alla relativa
immaturità della loro corteccia prefrontale.
Il rinforzo negativo si verifica quando un comportamento è seguito da una riduzione o interruzione di
uno stimolo avversivo. Se, a causa della condizione sociale o delle caratteristiche di personalità, un individui si
sente infelice o ansioso, l’assunzione di una sostanza in grado di ridurre queste sensazioni può essere rinforzata
negativamente. Inoltre, la riduzione degli sgradevoli sintomi di astinenza con una dose della sostanza di abuso
indubbiamente gioca un ruolo nel mantenimento della tossicodipendenza.
Il desiderio smodato di assumere la sostanza d’abuso non può essere spiegato completamente dai
sintomi dell’astinenza, perché può presentarsi persino quando l’individuo si è astenuto dal consumo per un
lungo periodo. Negli animali da laboratorio, una dose libera di cocaina, o la presentazione di stimoli
precedentemente associati ad essa, ristabilisce il comportamento di ricerca della droga. La corteccia prefrontale
ventromediale gioca un ruolo inibitorio sul ristabilimento, mentre la corteccia cingolata anteriore dorsale
esercita un ruolo facilitatorio. Gli studi di imaging funzionale hanno rilevato che il desiderio smodato delle
sostanze che provocano dipendenza aumenta l’attività della corteccia cingolata anteriore, dell’insula e della
corteccia prefrontale dorsolaterale. L’abuso di sostanze a lungo termine riduce l’attività della corteccia
prefrontale ed è persino associato alla perdita della sostanza grigia in questa regione. Ciò può compromettere
le capacità di giudizio individuali e l’abilità di inibire le risposta inappropriate, come l’ulteriore assunzione di
droga.
La schizofrenia si osserva in una proporzione più elevata di tossicodipendenti rispetto alla popolazione
generale. Gli stimoli stressanti, persino quelli che si verificano in età precoce, aumentano la suscettibilità
all’abuso di sostanze. Il rilascio di corticotropine nell’area tegmentale ventrale gioca un ruolo importante in
questo processo.

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