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Fenomenologia (Padre Herman L. Van Breda) PDF
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1. Introduzione
Nato nella città ceca di Prostějov (Moravia) l'8 aprile 1859 da famiglia
ebraica di lingua tedesca, Edmund Husserl ricevette nelle università di
Lipsia e di Berlino, nel periodo 1876-1881, una formazione essenzialmente
matematica. A Berlino seguì, tra l'altro, i corsi di L. Kronecker e di K.
Weierstrass e di quest'ultimo fu assistente per due semestri (v. Osborn,
19492, p. 14). A Vienna, dove ottenne il dottorato nel 1883 con una
dissertazione matematica, prese la decisione di consacrare la sua vita di
ricercatore non già alle matematiche, ma alla filosofia. Lo determinò in
questa scelta l'impressione profonda e decisiva che, tra il 1884 e il 1886,
fecero su di lui la personalità e l'insegnamento di Franz Brentano, di cui
seguì alcuni corsi a Vienna (v. Husserl, 1919). Di questo maestro Husserl
farà proprio, oltre alla dottrina dell'intenzionalità, un insegnamento
fondamentale e cioè che, per essere valida, la spiegazione filosofica di un
dato deve chiarirne la genesi e, da un punto di vista formale, deve essere
costruita come ‛una scienza rigorosa' (v. Husserl, 1911). Inoltre, Brentano
gli instillò una grande stima per i classici inglesi (Locke, Hume), come
anche una certa avversione per le tesi e i metodi filosofici di Kant e dei
grandi idealisti tedeschi (v. de Boer, 1966, pp. 127-148).
Nel 1887, Husserl iniziava la sua carriera accademica come Privatdozent
all'Università di Halle. Qui trovò ad accoglierlo Carl Stumpf, che doveva
anch'egli a Brentano la propria vocazione filosofica (v. Spiegelberg, 19652,
vol. I, pp. 53-72), e fino al 1901 vi insegnò soprattutto logica e filosofia
della matematica. I risultati delle sue ricerche in questi campi trovarono
espressione nel volume Philosophie der Arithmetik, pubblicato nel 1891, e
in una serie di articoli molto apprezzati (v. Van Breda, Bibliographie...,
1959, pp. 290-291).
Verso il 1895, indagando sui fondamenti filosofici della logica, Husserl
scopre l'insufficienza radicale dello ‛psicologismo' e riscopre invece il
valore della ‛logica pura', proposta nel 1837 da Bernhard Bolzano nella sua
Wissenschaftslehre. Nel 1900 Husserl presenterà un'elaborazione di questi
due temi nel primo volume delle Logische Untersuchungen. Continuando in
seguito le sue ricerche sulla fondazione ultima delle strutture di questa
logica pura, egli intravede, per la prima volta verso il 1890, alcuni dei
principî essenziali di ciò che fin da allora chiama ‛il metodo
fenomenologico'. Nel 1901 pubblica una versione molto elaborata di questi
risultati nelle sei ricerche logiche, apparse come secondo volume delle
Logische Untersuchungen.
La risonanza di questo primo gruppo di sue pubblicazioni ebbe come
conseguenza che nel 1901 la Facoltà di filosofia di Gottinga - e in
particolare i matematici e i fisici di fama che la controllavano (F. Klein, D.
Hilbert, H. Minkowski, W. Nernst, ecc.) - si rivolsero a Husserl perché vi
insegnasse filosofia della matematica e vi introducesse la logica matematica,
delle cui basi, in Germania, solamente G. Frege stava occupandosi. Ma,
contrariamente alle attese dei matematici, che, vincendo l'opposizione dei
filosofi ‛patentati' della facoltà, lo avevano chiamato a Gottinga, Husserl
durante i sedici anni di permanenza in questa università dedicherà quasi tutti
i suoi sforzi a sviluppare la propria fenomenologia. Fino al 1907 i suoi corsi
e le sue ricerche vertono principalmente sulle possibilità offerte dal ‛metodo
fenomenologico' come tale per chiarire e spiegare diversi problemi
filosofici, in particolare quelli che scaturiscono dalla logica. Ma a partire dal
1904, certamente anche per l'influenza che ebbe su di lui la lettura di Kant,
portata assiduamente avanti nel corso degli ultimi dieci anni (v. Kern, 1964,
pp. 12-33), egli è preso sempre di più da una nuova preoccupazione, quella
di trovare ‛tramite' e soprattutto ‛nella' fenomenologia una filosofia
generale.
Facendo uso della terminologia dello stesso Husserl, i suoi recenti
commentatori (v. Schuhmann, 1973) sostengono che la trasformazione della
fenomenologia cosiddetta pura (v. sotto, cap. 3) in fenomenologia filosofica
o trascendentale (v. sotto, cap. 4) fu avviata in questo periodo. In
quest'ultima Husserl cerca e crede di trovare una nuova spiegazione
filosofica del mondo nella sua totalità. Ben presto raggiunge la convinzione
che tale spiegazione è la sola realmente valida, e quindi la sola che possa
attuare pienamente le intenzioni fondamentali di tutte le generazioni di
filosofi da Platone in poi. Dal 1905-1906 Husserl afferma che per arrivare ai
problemi e alle soluzioni ultime è strettamente necessario effettuare
preliminarmente la riduzione fenomenologica. Dopo aver elaborato, tra il
1910 e il 1917, tutta una serie di riduzioni differenziate, dopo il 1920 esigerà
che sempre, prima di accingersi ad una spiegazione veramente filosofica di
un qualsiasi dato della coscienza, questo sia anzitutto sottoposto alla
riduzione detta ‛trascendentale'. Solo in questo modo può risultare che il
dato è effettivamente costituito nella sua totalità dall'io trascendentale. Ed è
proprio la sua genesi ‛in' e ‛per' questo Ego che dovrà essere chiarita dal
fenomenologo. Se ad un certo punto la riduzione diventa per Husserl la via
di accesso obbligata alla problematica propriamente filosofica, l'analisi
intenzionale in tutte le sue forme (v. sotto, capp. 3 e 4) è per lui il metodo
essenziale per identificare le diverse fasi di tale genesi, che bisogna
ricostruire. Questa fenomenologia concepita come filosofia universale,
professata in vari corsi di lezioni già dal 1907 (v. Schuhmann, 1973), trovò
la sua prima formulazione scritta nelle Ideen I, pubblicate nel 1913 con il
sottotitolo di ‛introduzione generale'. In effetti in quest'opera Husserl vuole
proporre anzitutto un ‛discorso sul metodo' e poi un programma dettagliato
della nuova filosofia da lui elaborata. Ma, proprio come nelle Logische
Untersuchungen, la sua particolare forma mentis lo porta a inframmezzare
continuamente l'esposizione sistematica con sottili analisi che, pur aprendo
sempre nuovi orizzonti, spesso rendono oscure, ora più ora meno, le
intenzioni dell'autore.
È noto che nel 1913, con Ideen I, Husserl inaugurò il primo volume di uno
‟Jahrbuch für Philosophie und phanomenologische Forschung", nel quale,
sotto la sua direzione, un gruppo di pensatori, che avevano adottato i suoi
metodi e che presero il nome di fenomenologi, si proponevano di pubblicare
periodicamente i risultati delle loro ricerche.
Sotto l'influenza dell'insegnamento e degli scritti di Husserl, tra il 1903 e il
1913 si era infatti formata e sviluppata in Germania (dapprima a Gottinga
tra i suoi uditori) una ‛scuola fenomenologica'. A partire dal 1907, i seguaci
di Husserl cominciarono a incontrarsi regolarmente, costituendo una società
filosofica molto attiva. Tra i suoi membri più celebri possiamo ricordare A.
Reinach, W. Schapp, H. Martius, D. von Hildebrand, J. Hering, A. Koyré, E.
Stein e R. Ingarden. Fu per questa società che nel 1910-1911 - del resto
all'insaputa di Husserl - Max Scheler, allora dimissionario a Monaco, tenne
a Gottinga i famosi ‛discorsi al caffè' (v. Spiegelberg 19652, vol. I, pp. 169-
171 e 218-227).
Dal 1904 un secondo gruppo di proseliti della nuova fenomenologia si era
formato a Monaco tra i discepoli di Theodor Lipps (1859-1914), che si
occupava spesso degli stessi problemi di Husserl. Per molti di loro le
Logische Untersuchungen erano divenute ben presto un livre de chevet. I
principali sostenitori delle idee husserliane furono A. Pfänder, J. Daubert,
M. Geiger e M. Beck.
Con stupore di Husserl, la maggior parte dei suoi discepoli della prima ora
furono visibilmente sorpresi e persino sconcertati da certe tesi sostenute
nelle Ideen I, in particolare dalla svolta radicalmente idealistica e dalla
venatura di solipsismo che essi credevano di scorgervi. Da allora in poi,
anche tra i collaboratori dello ‟Jahrbuch", una netta linea di demarcazione
separa i pochi fenomenologi che condividono la filosofia trascendentale e
genetica di Husserl, o almeno le sue implicazioni essenziali, e il numero ben
più vasto di coloro che consapevolmente si attengono ad una fenomenologia
puramente descrittiva e eidetica. Negli ambienti fenomenologici questa
divisione non doveva più scomparire.
Nel 1916 Husserl accetta l'invito rivoltogli dall'Università di Friburgo in
Brisgovia, dove succede a H. Rickert, allora capo incontrastato della scuola
neokantiana del Baden. Ma se a Gottinga un gruppo rilevantissimo di
giovani e valenti filosofi aveva adottato i principî del metodo da lui allora
professato, a Friburgo solo pochi di coloro che, tra il 1916 e il 1929,
seguirono in gran numero i suoi corsi divennero convinti adepti della
fenomenologia trascendentale che formò quasi costantemente l'oggetto dei
corsi. La diffusione europea che le sue pubblicazioni ebbero in quegli anni,
così come il rispetto sempre crescente che gli ambienti internazionali gli
tributarono, non servirono a cancellare in lui l'impressione che il suo ultimo
messaggio filosofico solo in qualche raro discepolo incontrasse un'adesione
completa. Molte e promettenti ‛speranze' della nuova generazione si
affollarono attorno alla sua cattedra; tra gli altri D. Mahnke, M. Heidegger,
H. Tanabe, O. Becker, Fritz Kaufmann, T. Otaka, Felix Kaufmann, G.
Miyake, H. Pos, J. Gaos, M. Farber e infine E. Lévinas. Ma, oltre ai due suoi
ultimi assistenti, L. Landgrebe e E. Fink, solo pochi - come A. Schutz, A.
Gurwitsch e D. Cairns - s'impegnarono senza esitazioni con Husserl in
ricerche genetiche sulla costituzione, sull'intersoggettività, sulla temporalità
o su altri temi che egli allora studiava. Inoltre, dopo la pubblicazione di Sein
und Zeit (1927), e soprattutto dopo che nel 1928-1929 Heidegger gli fu
subentrato a Friburgo, la problematica e le soluzioni del nuovo titolare
influirono profondamente sul pensiero dei discepoli di Husserl, anche di
quelli a lui più vicini. Da allora Husserl lavorò in una condizione di sempre
maggiore isolamento, e questa situazione non subì cambiamenti né con la
pubblicazione della Formale und transzendentale Logik (1929), né con
quella delle Méditations cartésiennes (1931). E se dopo essere stato
nominato professore emerito nel 1929, egli riprese con sorprendente vigore
le sue ricerche personali su molteplici problemi concernenti la costituzione
trascendentale, nella Germania stessa il suo ascendente diretto sulla filosofia
diminuì sempre più e, dopo l'avvento al potere dei nazisti nel 1933, ogni
traccia della sua influenza scomparve quasi completamente. Benché, durante
tutta la sua carriera accademica, Husserl si fosse tenuto lontano dagli
ambienti e movimenti dichiaratamente ebraici, e benché con l'andar del
tempo il suo senso di appartenenza a una comunità ebraica s'indebolisse
sempre più, le leggi antisemite lo colpirono duramente. Dopo un primo
momento di sbigottimento, egli accettò tutte le conseguenze della sua
ascendenza etnica, sopportandole da vero filosofo. Abbandonato dalla
maggior parte dei suoi amici e conoscenti tedeschi, morì a Friburgo,
nell'indifferenza più totale, il 27 aprile 1938.
Non pochi suoi discepoli ed alcuni intimi sapevano che, oltre le opere
pubblicate, Husserl aveva lasciato morendo un gran numero di inediti
filosofici - più di 45.000 pagine autografe stenografate - che contenevano
ricerche intraprese durante un periodo di oltre 45 anni. Come egli stesso
ripeteva continuamente negli ultimi anni di vita, parti essenziali delle sue
concezioni fenomenologiche si trovavano, in uno stato di più o meno
compiuta elaborazione, in questa sua eredità spirituale, il suo Nachlass.
Poiché nella Germania nazista tutto quanto egli aveva lasciato rischiava una
distruzione immediata, fu deciso nel settembre del 1938 di portare ogni cosa
a Lovanio (Belgio). E in questa città, poco dopo, furono creati gli Husserl-
Archives, con lo scopo di promuovere lo studio degli inediti e di preparare
l'edizione dei testi più importanti (v. Van Breda, Geist..., 1959 e Le
sauvetag..., 1959).
Abbiamo già detto che il metodo fenomenologico, quale viene esposto nelle
Logische Untersuchungen, fu scoperto ed elaborato da Husserl in occasione
di ricerche intraprese per fondare filosoficamente la logica pura. È ormai
noto come il procedimento essenziale di questo metodo consista nell'analisi
e nella descrizione ‛discorsiva' di fenomeni, cioè di dati coscienti o
‛intenzionali', così come ci si presentano. Del pari è noto come quest'analisi
debba essere compiuta in atteggiamento riflessivo e debba in primo luogo
tendere a identificare le strutture caratteristiche del ‛tipo' dei fenomeni, cioè
della loro ‛essenza' (Eidos, Wesen). Nel linguaggio contemporaneo, con
descrizione fenomenologica non si intende nient'altro che un processo
verbale minuziosamente redatto di ciò che l'analisi di un'esperienza
‛significante' rivela come ‛originano' a uno sguardo riflessivo: quindi,
prioritariamente, la descrizione delle sue caratteristiche ‛eidetiche'. Queste
ultime, così come le essenze stesse, aggiunge Husserl, sono colte da un atto
conoscitivo sui generis che egli chiama ‛intuizione eidetica' (eidetische
Anschauung, Wesensanschauung) o ‛ideazione' (ideation, Wesensschau).
Come è noto, tale intuizione è mediata dal procedimento metodico, divenuto
celebre, che Husserl chiama ‛variazione eidetica' (eidetische Variation).
Poiché nel suo processo verbale dovrà redigere la descrizione esatta delle
cose stesse nella loro originarietà (secondo il motto: zu den Sachen selbst!),
il fenomenologo dovrà, nella redazione, astrarre scrupolosamente da ogni
prenozione teorica. Da ciò deriva l'atteggiamento antiteorico e asistematico
della fenomenologia pura.
Di quest'ultima, così come l'abbiamo delineata, un filosofo francese dà
un'eccellente definizione: è una ‟descrizione che mira a un essenza, essa
stessa definita come significato immanente al fenomeno e data con esso" (v.
Dufrenne, 1953, vol. I, pp. 4-5).
La fenomenologia professata e applicata da Husserl a partire dal 1901
implica, tuttavia, varie tesi e presupposti filosofici, che questa definizione
non menziona e di cui non tiene sufficientemente conto.
In primo luogo, la fenomenologia così definita e concepita passa sotto
silenzio la continua attenzione che a partire dal 1901 Husserl dedica agli atti
intenzionali stessi nelle sue analisi e descrizioni eidetiche e non eidetiche.
Mentre Husserl sottolinea costantemente l'incidenza dell'attività della
coscienza in ogni oggettivazione, coloro che procedono con un metodo
concepito nella prospettiva della definizione sopra citata presuppongono,
evidentemente, che i fenomeni e le essenze siano già presenti alla coscienza
in uno stato di compiutezza. Non resta dunque che considerarli attentamente
secondo un atteggiamento riflessivo, ‛leggerne' per così dire il contenuto ed
esprimerne quindi discorsivamente il significato. D'altra parte i dati
immanenti che costituiscono l'oggetto della loro analisi sono generalmente
considerati dai fenomenologi di questo tipo come riflessi del mondo
inanimato, animato e umano che ci circonda. In altri termini, i fenomeni da
descrivere rivelano, secondo loro, l'universo esistente alla coscienza. Se
quest'ultima, grazie ai dati della sensazione e della percezione, può mettersi
in contatto, sia pure indirettamente, con la fatticità e con ogni esistente
legato alla materia, l'ideazione le assicura dal canto suo un accesso al mondo
delle essenze. Ritornare alle cose stesse significa, per la maggior parte degli
aderenti a questo tipo di fenomenologia, volgersi immediatamente ai
fenomeni intenzionali, pur mirando attraverso questi ultimi sia alla realtà di
ciò che è percepito sensibilmente, sia alla realtà delle essenze oggettive. Se,
in linea generale, essi presuppongono di fatto una gnoseologia che si può
definire come ‛realismo mediato', prima del 1913 e anche più tardi non
pochi di loro - e non dei minori - pongono alla base della loro
interpretazione dell'eidetica husserliana una metafisica d'ispirazione
nettamente neoplatonica.
Nel frattempo è stato storicamente accertato che, contrariamente
all'interpretazione dei fenomenologi ora citati, Husserl, anche nelle prime
formulazioni del suo nuovo metodo, non professò né presuppose mai un
realismo mediato, nè tantomeno fondò la sua eidetica su di una metafisica di
tipo platonico. Per lui nemmeno l'atto di cogliere intellettualmente ha mai
assunto la struttura di un leggere da spettatore il già presente, per poi
oggettivarlo categorizzandolo. Già dal 1899, quando vuole spiegare la
formazione - dopo il 1907 dirà la ‛costituzione' - di una categoria o di
un'essenza, egli studia sempre correlativamente da un lato l'atto della
coscienza, dall'altro il contenuto che esso coglie. In altri termini, sin dal
1899 tutte le analisi da lui elaborate scompongono parimenti sia quelle che,
dopo il 1910, egli chiamerà le noesi, sia i loro noemi. Del resto è su questa
via che, poco dopo il 1905, egli sarà portato a impegnarsi nella dottrina, il
cui carattere trascendentale fu in seguito sempre più accentuato, della
costituzione universale di ogni dato intenzionale ad opera della coscienza e,
in seguito, dell'io trascendentale. L'idealismo tanto discusso soprattutto dai
suoi discepoli - che dopo il 1910 egli professò con vigore sempre crescente
ne è una conseguenza del tutto naturale.
Husserl stesso, inoltre, ha mosso più volte un altro rimprovero a quei
discepoli le cui ricerche erano improntate ai principî della fenomenologia
così come li abbiamo definiti all'inizio di questo capitolo. Mossi dalla
dialettica interna di tali principî, questi filosofi si limitano ad analizzare e a
descrivere il fenomeno intenzionale quale si presenta immediatamente.
Secondo Husserl, fermandosi in tal modo ad un'analisi da lui più tardi
definita ‛statica', questi autori non si preoccupavano di affrontare e di
risolvere il problema centrale ed essenziale di ogni fenomenologia, cioè
quello di giustificare filosoficamente la genesi del fenomeno in questione. Il
metodo di risoluzione di problemi del genere già abbozzato chiaramente
nelle Logische Untersuchungen, ed elaborato compiutamente da Husserl
verso il 1920 con il nome di ‛analisi intenzionale genetica', non fu da essi
preso in alcuna considerazione, né mai applicato nelle loro ricerche.
Ciononostante per Husserl la descrizione del dato statico non fu e non sarà
mai altro che un avvio per aprire la strada alla sua riscoperta e quindi alla
spiegazione ultima della sua genesi, cioè della sua ‛storia intenzionale'. Al
centro delle preoccupazioni di Husserl c'è dunque sempre il nucleo della
problematica che egli ha derivato, pur con sensibili modifiche, da Brentano
e, per suo tramite, da Locke e dai grandi inglesi. Ne consegue che il
fenomenologo, nella misura in cui non riesce a rendere intelligibile proprio
questa genesi, sfiora senza toccarlo il problema centrale da risolvere e non
può in alcun modo pretendere di giungere ad una fondazione filosofica
valida.
Dato che la problematica genetica è toccata solo incidentalmente nelle loro
ricerche, gli esponenti della fenomenologia troppo succinta sopra definita
non hanno capito nemmeno le ragioni cogenti che spingevano Husserl, fin
dal 1901, a elaborare analisi molto approfondite della temporalità. Questa
mancanza di interesse per la tematica del tempo, che fin dal 1903 è sempre
presente nelle ricerche di Husserl, è il terzo motivo che li tiene lontani
dall'autentica dottrina del maestro, di cui pure si credono seguaci. In effetti
le strutture della temporalità costituiscono per Husserl, fin dalle sue prime
ricerche fenomenologiche, il quadro formale imprescindibile di ogni genesi
intenzionale. Dopo il 1910 tali strutture vengono da lui proclamate come
trama di base dell'io trascendentale, e appunto perciò esse presiedono
universalmente ad ogni ‛coscienza-di' come certo anche ad ogni costituzione
intenzionale. Una fenomenologia non genetica, che, oltretutto, faccia in gran
parte astrazione dall'incidenza della temporalità sulla vita cosciente, potrà
certamente portare ad analisi e descrizioni validissime; bisogna però
concludere che non segue se non in modo parzialissimo il cammino aperto
da Husserl nel 1900.
7. Conclusioni