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eu Stefania Giombini, Flavia Marcacci

Dell’antilogia

aguaplano
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Stefania Giombini, Flavia Marcacci, Dell’antilogia.

Estratto da/Excerpt from:


Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in onore di Livio Rossetti
a c. di Stefania Giombini e Flavia Marcacci. Aguaplano—Officina del libro, Passignano s.T. 2010, pp. 277-294
[isbn/ean: 978-88-904213-4-1].
Stefania Giombini, Flavia Marcacci
Dell’antilogia

Aguaplano
Stefania Giombini, Flavia Marcacci, Dell’antilogia.

Estratto da/Excerpt from:


Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in onore di Livio Rossetti
a c. di Stefania Giombini e Flavia Marcacci. Aguaplano—Officina del libro, Passignano s.T. 2010, pp. 277-294
[isbn/ean: 978-88-904213-4-1].

Proprietà letteraria riservata.

copyright © 2010 by Aguaplano—Officina del libro. www.aguaplano.eu / info@aguaplano.eu

In copertina/Cover: Greece, Athens (Ancient). Erecthion, Caryatide Porch (1860-1890), National Library of Con-
gress, Prints and Photographs Division, Washington, d.c.

Videoimpaginazione/graphic layout by: Raffaele Marciano.


Introduzione

V i sono argomenti, concetti o temi della filosofia antica che non han-
no trovato e non trovano largo spazio nelle analisi degli specialisti:
tra questi ci sembra di poter annoverare l’antilogia, detta anche antilo-
gica come arte di costruire antilogie. La letteratura critica non ha mai
trattato l’antilogia in maniera esauriente, forse per il fatto che vi è una
sostanziale ambiguità su quale tipo di approccio possa essere più atto a
comprenderne la natura profonda. L’antilogia, infatti, come forma re-
torico-argomentativa retta da una stringente struttura logica, si è posta
in bilico tra la logica e la retorica. Si tratta, cioè, di intendere se essa sia
una struttura retorica o se, pur anche tale, abbia una validità nel campo
della logica e indirettamente in quello più generale della conoscenza. A
sottolineare tale presunta dicotomia, non solo nei manuali di retorica
ma anche nei testi di filosofia (tra cui i dizionari), non è raro trovare
l’identificazione tra antilogia e antinomia1.
Non è questione da poco comprendere se è possibile, in relazione
alle nostre conoscenze, collocare in maniera definitiva l’antilogia in un
campo o in un altro o se gode di uno statuto autonomo, dal momento

1. A riprova di questo sarà sufficiente affidarsi a un buon dizionario di retorica (ad


esempio: G.L. Beccaria (a cura di), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, reto-
rica, Torino 1994, v. antinomia) per scoprire che antilogia può non comparire a favore di
antinomia e che quando si va a cercare qualcosa in più circa l’antinomia si è deviati alla
definizione di paradosso. In alternativa è possibile consultare i manuali di retorica dove
addirittura spesso, diremmo sempre, tale figura non appare (cf. ad esempio O. Reboul,
Introduction à la rhétorique. Théorie et pratique, Paris 1991-1994² [tr. it. di G. Alfieri,
Introduzione alla retorica, Bologna 1996] e B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica,
Milano 1988).
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che né la retorica né la logica la comprendono pienamente nella loro


sfera di interesse. In questo nostro contributo andremo a investigare
le origini e gli sviluppi dell’antilogica, collocabili in pieno V secolo, per
provare a raccogliere eventuali elementi risolutivi – o almeno chiarifi-
catori – di questo problema.
È forse utile iniziare circoscrivendo uso e semantica del termine.
L’antilogia è in primis una forma di argomentazione, una modalità di
produrre un discorso attraverso un duplice registro. La sua formalizza-
zione è ‘A et non-A’ dove ‘A’ e ‘non-A’ (che da qui in avanti indicheremo
con ~A) vengono proposte con lo stesso valore epistemico. Infatti co-
struire una antilogia significa costruire intorno allo stesso argomento
due discorsi di natura opposta, ugualmente potenti, ossia persuasivi e
funzionanti, allo stesso modo e con la stessa intensità.
L’effetto dirompente di una tale argomentazione consiste nel fatto
che un ascoltatore (o un lettore) può accettare entrambe le argomenta-
zioni o arrivare a rifiutarle entrambe perdendo, in ogni caso, la possibi-
lità di giudicare vera un’unica argomentazione.

I luoghi dell’antilogia: l’esperienza sofistica

Quando si parla di figure retoriche e arte della persuasione è imme-


diato riportarsi al mondo della Sofistica. È proprio in questo mondo che
la figura dell’antilogia trovò una sua diffusione e uso specifico, tanto
da non lasciare intendere immediatamente la possibilità di una vera e
propria pratica dell’antilogica al di fuori della Sofistica. Per l’appunto
scrive Mortara Garavelli2: «Era la tecnica del contraddire, o antilogia:
l’apporto più scandalosamente innovativo della retorica sofistica».
La Sofistica, fuor di dubbio, trovò grande fortuna nell’antilogia. Era
un vanto per i sofisti sentirsi e dimostrarsi capaci di poter argomenta-
re su tutto e sul contrario di tutto, vantandosi di saper rendere forte
ogni tipo di argomentazione, anche quella apparentemente debole. È
Filostrato a consegnarci un Gorgia che nel teatro di Atene sollecitava
la folla con un “proponetemi un tema”, dimostrando grande abilità
nell’improvvisare discorsi ispirati ad argomenti diversi e sotto diverse
prospettive (Philostr. v.s. I1 = DK 82A1a)3.

2. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, cit., p. 19.


3. DK = H. Diels-W. Kranz, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Bari 1979.
Dell’antilogia 279

Che Gorgia e in generale i sofisti si siano serviti dell’antilogia in


maniera cospicua e programmatica non vi sono dubbi, mentre è più
difficile andare al fondo della questione e capire in maniera non super-
ficiale cosa essa comportasse. Un aiuto in questa direzione proviene
da Protagora, che deve aver codificato l’arte antilogica chiarendone il
terreno logico e linguistico e applicandola alle opposizioni naturali in
maniera decisamente nuova. Un noto episodio, riportato da Apuleio
nei Florida (Flor. 18,19-29 = DK 80A4) e da Aulo Gellio ne Le notti
attiche (Noct. att. V 10 = fr. 1222 Hülser4; inoltre cf. ciò che riportano
Diogene Laerzio e Quintiliano rispettivamente in D.L. IX 50-56 = DK
80A1 e Quintil. Inst. Or. III 1, 12 = DK 80B6), facilita la chiarificazio-
ne della probabile natura dell’antilogica e dell’uso capace che ne fece
Protagora: si tratta del famoso episodio che narra della disputa tra il
sofista e il suo allievo povero Evatlo. Quest’ultimo promette di pagare
l’onorario delle lezioni dopo aver vinto la sua prima causa. A seguito
del mancato pagamento, il maestro lo avverte che intenterà una causa
vincendola sicuramente: infatti se Evatlo vincerà, in virtù dell’accor-
do, dovrà pagare e se perderà, in virtù del giudizio dei giudici, dovrà
versare l’onorario. Evatlo, però, avendo ben appreso l’arte antilogica,
propone un discorso di pari valore: infatti, se vincerà non pagherà, in
virtù del giudizio della giuria, se perderà non pagherà, in virtù dell’ac-
cordo iniziale.
Non abbiamo, purtroppo, molte tracce degli argomenti antilogici di
Protagora. A lui si deve lo scritto intitolato Antilogie, che però è anda-
to perduto: sappiamo però che questo scritto godeva di una fama no-
tevole, se Diogene Laerzio riportando Euforione, Panezio e Favorino
(D.L. III 37 e 57 = DK 80B5), arriva (addirittura) a suggerire un’analo-
gia tra la Repubblica di Platone e l’opera di Protagora quando afferma
che la prima è tutta contenuta nella seconda5.

4. K. Hülser (Hg.), Die Fragmente zur Dialektik der Stoiker, 4 Bd., Stuttgart-Bad
Cannstatt 1986-1987.
5. Non è questa la sede per approfondire ulteriormente tale rilievo, ma è innegabile
che sia stimolante pensare che, se l’analogia esiste, probabilmente le Antilogie protago-
ree ebbero un contenuto politico inerente la vita della città. D’altronde Protagora, come
risulta dalle testimonianze, era profondamente esperto di politica e diritto dal momento
che gli fu commissionata la stesura della costituzione di Turi (D.L. IX 50-56 = DK 80A1.
Cf. I. Lana, Protagora, Torino 1950, p. 32 ss.).
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Diogene Laerzio si spinge ancora oltre quando afferma che Prota-


gora «fu il primo a dire che su ogni oggetto ci sono due ragionamenti
contrapposti» (D.L. IX 51 = DK 80A1); e ancora, il sofista sarebbe stato
il primo a riconoscere e utilizzare le antilogie6 applicandole al dialogo,
strumento che sarà reso celebre da Socrate: «Anche da lui prese le mos-
se la forma di discorso cosiddetta socratica. E quel ragionamento con
cui Antistene cercava di dimostrare che la contraddizione non è possi-
bile, è stato lui a sostenerlo […]» (D.L. IX 53 = DK 80A1).
Quest’ultima testimonianza ci indirizza verso qualcosa che è più di
un semplice sospetto: sembra chiaro, infatti, che per Protagora non sus-
sista contraddizione qualora si afferma ‘A et ~A’ perché A e ~A sono
entrambi validi. E altre fonti antiche, da Platone e Aristotele a Seneca e
Clemente Alessandrino, confermano questa conclusione7.
Se e quale fosse il presupposto teoretico sul quale la tecnica di Pro-
tagora si basava è chiarito da Aristotele in Metaph. Γ 4.1007 b 18 (=
DK 80A19):

6. È necessario, comunque, sottolineare che precedentemente la filosofia aveva ri-


flettuto sulla possibilità di discorsi opposti. Ne è un lieve indizio (piuttosto labile) in Alc-
meone di Crotone, fisiologo e allievo di Pitagora, così come testimonia lo stesso Diogene
Laerzio, D.L. VIII 8 = DK 24A1: «Anche costui fu discepolo di Pitagora. Per lo più tratta
di medicina. E tuttavia parla qualche volta della natura, come quando dice: “La gran parte
delle cose umane è duplice”»; e come più nello specifico testimonia Aristotele, Metaph. A
5.986 a 22 e ss., = DK 24A3: «[…] Parlando in modo simile a quello dei Pitagorici, [Alcme-
one] diceva che duplici sono per lo più le cose riguardanti l’uomo. Ma, diversamente da
essi, egli non definiva quali fossero le contrarietà, ma nominava quelle che gli capitavano,
bianco nero, dolce amaro, buono cattivo, grande piccolo». Alcmeone si troverebbe sulla
linea delle opposizioni pitagoriche e delle opposizioni naturali di cui si è fatto bandiera
anche Eraclito.
7. Pl. Euthd. 286b-c = DK 80A19: «[Socrate]: Sebbene io abbia sentito molte volte e
da molti cotesto ragionamento [che non è possibile la contraddizione], sempre ne provo
meraviglia. Se ne serviva spesso Protagora e la sua scuola, e anche altri più antichi»; Arist.
Metaph. Γ 4. 1007 b 18 = DK 80A19: «E ancora, se su ciascuna cosa sono vere nello stesso
tempo tutte le proposizioni contraddittorie, è chiaro che tutte quante le cose saranno
una. Per esempio se di ogni cosa si può affermare o negare alcunché, saranno lo stesso un
trireme, un muro e un uomo; come necessariamente deve ammettere chi fa suo il ragio-
namento di Protagora». Clem. Al. Strom. VI 65 (II 464, 14) = DK 80A20: «I Greci affer-
mano, e per primo Protagora, che si può a ogni argomento contrapporre un argomento».
Senec. ep. 88, 43 = DK 80A20: «Dice Protagora che di ogni cosa si può discutere con pari
attendibilità da punti di vista opposti; e anche di questo stesso principio, se cioè ogni cosa
si possa discutere da opposti punti di vista».
Dell’antilogia 281

[…] Per esempio, se di ogni cosa si può affermare o negare alcunché, saran-
no lo stesso una trireme, un muro e un uomo; come necessariamente deve
ammettere chi fa suo il ragionamento di Protagora. Poiché se a qualcuno
pare che un uomo non sia una trireme, è chiaro che, perciò, non è una trire-
me; ma allora, anche è, dato che la proposizione contraria è vera.

E in Metaph. Γ 5.1009 a 6 (= DK 80A19):

Da questa opinione deriva anche il ragionamento di Protagora […] Se tutte


le opinioni e tutte le apparenze sono vere, segue necessariamente che cia-
scuna è insieme vera e falsa. Poiché si danno spesso tra gli uomini opinioni
contrarie, e chi non la pensa come noi, reputiamo che s’inganni; sicché per
forza la stessa cosa insieme è e non è. Ammesso questo, si deve ammettere
anche che tutte le opinioni sono vere. Per esempio chi mentisce e chi dice
il vero sostengono due cose opposte; ma se la realtà è così [quale afferma
Protagora], tutti dicono il vero.

Ancora in Metaph. I 1.1053a35 (= DK 80A19), quando contestua-


lizza il rimando al sofista inquadrandolo nella più ampia discussione
sull’unità e i suoi molteplici significati; e poiché l’uno è misura si parla
più in generale di misure:

Protagora afferma che l’uomo è misura di tutte le cose, non intendendo dire
se non che è misura colui che sa o colui che percepisce; e questi, perché
hanno l’uno la percezione sensibile, l’altro la scienza, le quali noi diciamo
esser misura del loro oggetto. Nulla dunque dice d’eccezionale, pur aven-
done l’aria.

L’accento critico di Aristotele è teso a banalizzare l’homo mensura,


nucleo della dottrina protagorea. Al di là del giudizio dello Stagirita, ov-
viamente improntato sulla sua propria gnoseologia, dal testo si evince
che Protagora avrebbe comunque avuto un pensiero dominante e fon-
dante la sua sofistica e in particolare l’uso antilogico delle contraddi-
zioni.
Costituiscono altri esempi di antilogie le opere di Gorgia di Lentini
(Encomio di Elena, Apologia di Palamede, Peri tou mē ontos) in quan-
to possono essere intese come discorsi opposti a quelli dell’opinione
comune; il dialogo dei Meli di Tucidide (V 85-110), l’Eracle al bivio di
Prodico (dove l’eroe è attratto sia dalla Virtù sia dal Vizio, in Senofonte,
Mem. II 1.21-34 = DK 84A2) e le orazioni epidittiche contrapposte di
282 Stefania Giombini, Flavia Marcacci

Antistene, l’Aiace e l’Ulisse (sez. V A 53 e 54 delle Socratis et Socrati-


corum Reliquiae)8. Più di Protagora e dei sofisti a lui vicini, però, oggi
costituiscono per noi repertori emblematici esempi di antilogie le Te-
tralogie antifontee e i Dissoi Logoi: in queste opere l’uso delle antilogie
è strutturale.
Le Tetralogie di Antifonte sono costituite da tre gruppi di quattro di-
scorsi che concernono tre eventi giudiziari9 in cui viene ripetuto lo stes-
so schema argomentativo: il primo discorso è l’accusa, il secondo è la
difesa, il terzo e il quarto sono le repliche ai due precedenti. Quest’opera
si caratterizza per essere non tanto una narrazione, quanto piuttosto
una vera e propria messa in opera delle argomentazioni: entrambe le
posizioni di accusa e di difesa con le relative obiezioni si propongono al
pubblico con la stessa forza epistemica e persuasiva, secondo la forma
tipica degli esercizi antilogici.
I Dissoi Logoi, i Ragionamenti duplici, sono un testo anonimo tra-
mandatoci da un manoscritto di Sesto e attribuibile a un allievo di Pro-
tagora che probabilmente li compose come esercitazioni scolastiche.
Si tratta di quattro antilogie complete a cui seguono altri 5 testi meno
strutturati ma sempre di carattere antilogico10.

8. Cf. S. Giombini, v. antilogia, in Dizionario delle scienze e delle tecniche di Grecia e


Roma, Pisa-Roma 2010.
9. I contenuti delle Tetralogie sono i seguenti. La prima tetralogia tratta dell’assas-
sinio di un uomo ricco e del suo servo al rientro da un banchetto. Di questo omicidio è
accusato l’acerrimo nemico del nobile che in tribunale si difende. La seconda tetralogia
concerne l’omicidio di un giovane da parte di un amico che lanciando un giavellotto lo col-
pisce. Il padre del ragazzo morto accusa il giovane lanciatore che deve difendersi dall’ac-
cusa della volontarietà e della responsabilità dell’azione (questa tetralogia è avvicinabile
alla discussione tra Pericle e Protagora circa la morte di Epitimo di Farsalo tramandataci
da Plutarco; Plut. Per. 36=DK 80A10). La terza tetralogia riguarda la discussione tra un
giovane e un vecchio che sfocia in una zuffa e in cui ha la peggio il vecchio che muore in
seguito a un colpo del giovane. Un anonimo accusa il giovane di omicidio ma questi si
difende affermando che si è trattato di legittima difesa. Per un’edizione delle Tetralogie
con commento cf. F. Decleva Caizzi (a cura di), Antiphontis Tetralogiae, Milano-Varese
1969.
10. Il primo ragionamento si sviluppa sul rapporto tra il bene e il male, il secondo si
muove tra il bello e il brutto, il terzo concerne il giusto e l’ingiusto, mentre il quarto tratta
del vero e del falso. I successivi ragionamenti riguardano il linguaggio, la sapienza e la
virtù (la loro insegnabilità), l’elezione casuale dei politici, la capacità dialogica, il valore
della memoria. Oltre che per il loro valore intrinseco, i Dissoi logoi hanno ottenuto un
decisivo successo dal pubblico contemporaneo in virtù della loro collocazione a chiusura
dei frammenti dei Presocratici di Hermann Diels e Walther Kranz.
Dell’antilogia 283

Zenone di Elea nella testimonianza platonica

La ricchezza dell’esperienza sofistica in merito all’antilogica è indi-


scussa. Per questo motivo suscita più che una curiosità l’attribuzione
della paternità dell’antilogica a Zenone di Elea, per la prima volta sug-
gerita e sostenuta da Platone nel Fedro. È qui che Platone si riferisce a
Zenone come il “Palamede di Elea” e lo propone come colui che utiliz-
zava l’arte del contraddittorio:

Socrate – E non sappiamo, allora, che il Palamede di Elea parlava con una
tale arte da fare apparire a quelli che lo ascoltavano le medesime cose simili
e dissimili, una e molte, ferme e in movimento?
Fedro – Si certo!
Socrate – Dunque, c’è l’arte del contraddire non solo nei tribunali e
nell’assemblea popolare; ma, come sembra, c’è, per tutti i discorsi, una sola
arte, se pure c’è, mediante la quale uno sarà capace di rendere ogni cosa
simile a ogni cosa in tutti i casi possibili nella misura del possibile, e di met-
tere in luce quando un altro sa fare la stessa cosa e sa nasconderla.11

Socrate prosegue sostenendo che da questa possibilità antilogica


nascono e si possono attuare gli inganni. Cosa induca Platone a defi-
nire Zenone un pensatore dedito all’antilogica è un quid tutto da defi-
nire dal momento che Zenone ha dovuto la sua fama all’esser ricono-
sciuto padre della dialettica (per lo meno dagli antichi che si adeguano
all’opinione di Aristotele, DK 29A10 e 29A9) o padre della dimostra-
zione per assurdo (immagine quest’ultima assunta da filosofi, logici e
matematici nel mondo moderno, così tanto diffusamente che appare
inutile darne un listato bibliografico); forse proprio da qui conviene
ripartire.
La dialettica è notoriamente il metodo filosofico che procede per
alternanza di domanda e risposta, e che da Socrate a Platone fu iden-
tificato con la filosofia stessa, mentre Aristotele ne fece un tipo di ragio-
namento dimostrativo successivamente largamente usato: i paradossi
zenoniani non hanno direttamente a che fare con tale struttura. Dio-
gene Laerzio è fonte piuttosto autorevole, sebbene può offrire un certo
margine di perplessità quando allude alla presenza di dialoghi nel nove-

11. Pl. Phd. 261 d-e, tr. it. di G. Reale, in Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale,
Milano 2000.
284 Stefania Giombini, Flavia Marcacci

ro delle opere dell’Eleate12; analogamente si potrebbe giudicare scarsa-


mente eloquente il brano dialogico riportato da Simplicio in cui Zenone
discute con Protagora esponendo quello che per alcuni è un paradosso,
ma che ci appare più una sorta di ragionamento deduttivo, reso debole
dalla mancata esplicitazione del significato dei termini coinvolti (Phys.
1108, 18 = DK 29A29):

Con ciò risolve anche il ragionamento di Zenone l’eleata che domandò a Pro-
tagora il sofista: «Dimmi, Protagora, un sol grano o la decimillesima parte di
grano fanno rumore cadendo?». Protagora rispose di no. «E un medimmo
di grani, – disse, – fa rumore cadendo o no?». Protagora rispose che il me-
dimmo faceva rumore. «E che – disse Zenone – non c’è una proporzione tra
un medimmo di grani e un grano solo o la decimillesima parte di un grano
solo?». Questi rispose che c’è. «e che – disse Zenone – non ci sarà anche tra
i suoni la stessa proporzione? Infatti la proporzione che c’è tra i corpi sonori
ci deve anche essere tra i suoni. Se così è, dato che un medimmo di grano
fa rumore, farà rumore anche un sol grano e la decimillesima parte di un
grano». Tale è l’impostazione che dava Zenone al ragionamento.

Eppure anche Aristotele13 sembra suggerire che Zenone abbia utiliz-


zato il dialogo.
A occuparsi della questione in maniera più doviziosa è stato Geor-
ge B. Kerferd14 che ha provato a capire perché proprio Platone, che ha
sempre legato l’arte antilogica15 al mondo sofistico, abbia attribuito a
Zenone questa stessa metodologia. Per lo studioso la difficoltà inter-
pretativa del passo e, dunque, della posizione platonica, deriva da una
carenza terminologica e una scarsa chiarificazione della semantica della

12. D.L. III 48 = DK 29A14: «Il primo a scrivere dialoghi dicono che sia stato Zenone
eleata; Aristotele invece, nel primo libro del Sui poeti [fr. 55 Rose] dice Alessandro di
Stiria o di Teo».
13. SE 10 170b19 = DK 29A14: «Se si ritiene, sia da parte dell’interrogante che dell’in-
terrogato, che un nome che ha più significati ne abbia uno solo – l’essere e l’uno, per
esempio, hanno certo molti significati, ma sia l’interrogato che Zenone interrogante pon-
gono la questione pensando che ne abbiano uno solo e il risultato del discorso è che tutto
è uno –, in questo caso il discorso segue tanto la parola quanto il pensiero».
14. G.B. Kerferd, The sophistic movement, Cambridge 1981 [ed. it. a cura di C. Muso-
lesi, I sofisti, Bologna 1988, pp. 79-89].
15. Kerferd si riferisce all’antilogia sempre come tecnica antilogica, sottintendendo
sempre non solo la forma logica di un’argomentazione ma la capacità tecnica, l’arte di
costruire antilogie.
Dell’antilogia 285

tecnica in esame, carenza che ha posto in contraddizione anche gran-


di studiosi come Francis Macdonald Cornford16, Hermann Fränkel17 e
Gregory Vlastos18. È necessario, per Kerferd, distinguere tra antilogi-
ca, dialettica ed eristica. L’eristica è l’arte di proporre un discorso per
prevalere sull’avversario: si tratta di un “gioco” linguistico e retorico in
senso strettamente tecnico che non ha pena di relazionarsi con la verità;
il vero passa in secondo piano a favore della lotta verbale. Circa il rap-
porto antilogica-eristica Kerferd sottolinea che: «L’antilogica – intesa
in senso tecnico, come l’impiega Platone – differisce dall’eristica in due
aspetti principali: anzitutto il suo significato è diverso, poi l’atteggia-
mento di Platone nei suoi confronti è diverso da quello che egli dimo-
stra verso l’eristica. Consiste nell’opporre un logos a un altro, oppure
nello scoprire o porre in risalto la presenza di una simile opposizione in
un ragionamento, in una cosa o situazione […] consiste nel procedere,
muovendo da un determinato logos (diciamo l’opinione di un avversa-
rio), a formulare un logos che lo esclude o che lo contraddice, cosicché
quello sia costretto o ad accettarli entrambi o – per lo meno – ad ab-
bandonare la sua posizione originaria»19. Kerferd cerca di capire la reale
posizione di Platone nei confronti dell’antilogica leggendo questo passo
congiuntamente a quelli del Fedro, del Fedone (89d1-90c7) e del Liside
(261a). Viene così a delinearsi una distinzione sostanziale tra antilogica
e dialettica in relazione alla discussione filosofica, che non può reggersi
sulla prima e necessita invece della seconda. Infatti la dialettica procede
sulla base della classificazione delle cose in specie e generi, mentre l’an-
tilogica poggia sulle sole contraddizioni verbali. Socrate usa in maniera
involontaria l’antilogica (come è testimoniato dal Teeteto, 164c2-d8) e
la sua “buona fede” fa sì che non possa dirsi vicino all’eristica20. Inoltre,

16. F.M. Cornford, Plato and Parmenides, New York 1964: secondo Cornford Platone
considera Parmenide un vero e proprio sofista dedito, dunque, all’antilogia.
17. H. Fränkel, Zeno of Elea’s Attacks on Plurality, «American Journal of Philology»,
63, 1942, pp. 1-25 e pp. 193-206: Fränkel ritenne plausibile l’immagine platonica di uno
Zenone dedito a ingannare i suoi lettori.
18. G. Vlastos, Plato’s Testimony Concerning Zeno of Elea, «Journal of Hellenic
Studies», 95, 1975, pp. 150-155. Vlastos si oppose alla tesi di Fränkel ritenendo assoluta-
mente infondata l’immagine sofistica di Zenone, fondando la sua tesi anche sul rispetto
che Platone mostra per Parmenide e, di logica, anche per l’allievo che lo difende.
19. Kerferd, op. cit., pp. 83-84.
20. In contrapposizione a Kerferd e alla maggior parte della letteratura critica, Narcy
prospetta la possibilità di un Socrate molto più vicino all’eristica di quanto ci si sia mai
286 Stefania Giombini, Flavia Marcacci

per Platone, l’antilogica può essere pericolosa perché può prestarsi a


un cattivo uso, specialmente in mano ai giovani (rischio corso anche
dalla dialettica che, se appresa e praticata sotto i trent’anni, può spin-
gere alla contestazione politica). Alla fine dell’analisi, Kerferd ammette
che: «[…] Platone non condanna l’antilogica in quanto tale. Per lui il
processo della confutazione è di regola una parte necessaria del metodo
dialettico (cf. Fedone 85c e s.; Repubblica 534b e s.)» 21.
Si tratta, dunque, semplicemente di un metodo, di una tecnica che
può essere giudicata non pregiudizialmente, ma solo in base all’uso
buono o cattivo che se ne fa. La possibilità dell’antilogica scaturisce
dalla costituzione stessa del mondo fenomenico, che è mutevole e mol-
teplice: l’antilogica è propria del linguaggio e della logica ma esprime
le opposizioni concrete della molteplicità empirica. Questa tesi è soste-
nuta, per Kerferd, dalla lettura (a suo modo, corretta) di un passo del
Fedone (89d1-90c7) incentrato sulla “misologia”, ossia l’avversione per
quei logoi ai quali inizialmente ci si affida perché ritenuti veri ma che
poi si dimostrano falsi. L’instabilità dei logoi è di fatto corrisponden-
te alla variabilità della verità fenomenica che, a questo punto, non è
strettamente verità, e che dovrebbe portarci a cercare la verità in una
dimensione ulteriore che Platone colloca nel Mondo delle Idee. Così i
sofisti hanno riconosciuto il carattere antilogico del reale ma, mentre
essi ne hanno preso semplicemente atto, Platone intraprende una “se-
conda navigazione” per giungere nella dimensione della verità unica e
incontrovertibile. Nella sua opinione, infatti, quella dei sofisti è soltanto
una mezza verità, oltre la quale è necessario spingersi ma che resta di
fatto irrinunciabile. Per questo Kerferd conclude che per Platone, «an-
che se non gli piace ammetterlo, l’antilogica è il primo passo sulla via
che conduce alla dialettica»22.
Il risultato raggiunto dalle analisi di Kerferd non può passare inos-
servato. Non solo lo studioso ha colto l’importanza dell’antilogica ten-
tandone una definizione, ma l’ha riscoperta nel pensiero platonico, lad-
dove difficilmente si sarebbe potuto pensare di riscontrare. Se dunque
Platone stesso descrive un labile limite tra antilogica e dialettica, co-

potuti aspettare. Cf. M. Narcy, Che cosa è un dialogo socratico?, in G. Mazzara (a cura di),
Il Socrate dei dialoghi. Seminario palermitano del gennaio 2006, Bari 2007.
21. Kerferd, op. cit., p. 85.
22. Ivi, p. 89.
Dell’antilogia 287

mincia a intravedersi una certa coerenza nella dichiarazione di paterni-


tà dell’antilogica a Zenone di Elea.

Può davvero Zenone essere padre dell’antilogica?

Attestata la congruenza della fonte che fa di Zenone il padre dell’an-


tilogia, proveremo a mostrare la validità di questa attribuzione su di
un piano contenutistico. Circa la presupposizione sull’uso dell’antilogia
nello studio della realtà fenomenica, diviene eloquente il riferimento di
Plutarco a Zenone (Pericl. 4,5 = DK 29A4):

Pericle ascoltò le lezioni anche di Zenone di Elea, il quale si occupava dello


studio della natura come Parmenide, ma che, sviluppando una particolare
capacità di confutare mediante antilogie, imprigionava l’avversario in diffi-
coltà indissolubili.

Questo passaggio conferma i passi platonici, in particolare quello


del Parmenide (127a-c = DK 28A12). Quest’ultimo è stata la pietra fon-
dante per erigere l’immagine di uno Zenone difensore delle dottrine del
maestro:

[…] i miei scritti sono un aiuto alla tesi di Parmenide contro coloro che cer-
cano di ridicolizzarlo sulla base dell’affermazione che, se l’Uno è, da questa
asserzione derivano innumerevoli conseguenze ridicole e contraddittorie. I
miei argomenti, opponendosi a coloro che sostengono il molteplice, rendo-
no la pariglia con gli interessi, dimostrando che, se si accetta la loro ipotesi
che esiste la molteplicità, ne conseguono effetti ancora più ridicoli […]23
(Parm. 128c-d, corsivo nostro).

Ci si concentri ora sul passaggio conclusivo: «[…] dimostrando che,


se si accetta la loro ipotesi che esiste la molteplicità, ne conseguono ef-
fetti ancora più ridicoli […]». Così, da padre dell’antilogia, capace di
sviluppare contraddizioni, Zenone è stato confermato al titolo di padre
della dimostrazione per assurdo, per la quale è indispensabile sapere
che volontà di Zenone era difendere il maestro proprio nel sostenere
l’indivisibilità e l’unità dell’essere. Proviamo ad approfondire questo

23. Tr. it. di M. Migliori, in Platone, Tutti gli scritti, cit.


288 Stefania Giombini, Flavia Marcacci

passaggio. La dimostrazione per assurdo offre la possibilità di avan-


zare una conclusione sfruttando l’impossibilità di una contraddizione.
Generalmente lo schema della dimostrazione si applica in seguito alla
posizione di una generica implicazione ‘se p allora q’: ‘se ~q allora ~p,
ma p, allora q’. A veder bene, la conclusione deriva dall’implicita am-
missione dell’impossibilità di tenere insieme ‘p et ~p’.
Occorre però usare una seria prudenza nel voler rintracciare nei soli
frammenti di Zenone che possediamo lo schema della dimostrazione
per assurdo così come oggi la concepiamo24: si prendano ad esempio i
frammenti 1 e 325, qualora si riferiscano alla negazione della molteplici-
tà. Così recita il fr. 1:

Così, se gli esseri sono molti [~p], è necessario che essi siano, a un tempo, e
piccoli e grandi [r et ~r]: piccoli fino a non aver affatto grandezza, e grandi
fino a essere infiniti.

Ovvero: ‘‘~p’→‘r et ~r’’.


E così il fr. 3:

Se gli esseri sono molteplici, è necessario che essi siano tanti quanti sono
e non di più e neppure di meno [~p’→ s]. Ora, se sono tanti quanti sono,
devono essere finiti. E se sono molteplici, gli esseri sono infiniti [~p’→~s].

Ovvero: ‘‘~p’→‘s et ~s’’26.

Considerando le variabili proposizionali p = ‘l’essere è uno’, r = ‘l’es-


sere è piccolo’, s= ‘l’essere è di numero finito’, si può vedere che dalla
negazione di p si ottengono le congiunzioni ‘r et ~r’ e ‘s et ~s’27. Assu-
mendo questo dato e volendo leggere i soli frammenti di Zenone senza

24. Ci permettiamo di rimandare a F. Marcacci, Alle origini dell’assiomatica: gli


Eleati, Aristotele, Euclide, Roma 2009, pp. 72-78, dove il problema è stato più ampia-
mente affrontato.
25. Per Zenone ci riferiamo all’edizione H. Diels-W. Kranz, I Presocratici, a cura di
G. Reale, Milano 2006.
26. In questo caso, infatti, vale l’equivalenza tra le espressioni ‘‘~p→s’ et ‘~p→~s’’
e ‘‘~p’→‘s et ~s’’, ovvero la congiunzione delle due implicazioni di opposti è equivalente
all’implicazione della congiunzione di opposti.
27. Vedi nota precedente. Inoltre sull’opposizione di affermazione-negazione cf. Ari-
st., Top. A 2.109b18 ss.
Dell’antilogia 289

ricorrere al passo platonico, non ci sono motivi per risalire alla falsità di
~p e dunque alla verità di p28.
Se si prosegue in questo modo, ossia facendo a meno del passo pla-
tonico e basando l’argomentazione sulla struttura puramente logica del
ragionamento, si vede bene che, con il solo principio di non contraddi-
zione, la congiunzione di proposizioni opposte, ‘r et ~r’ e ‘s et ~s’, non
può essere dichiarata vera. Questa consapevolezza non ci dice nulla,
però, neanche sulla conclusione di tutto il ragionamento (ovvero sul va-
lore di verità dell’implicazione ‘‘~p’→‘r et ~r’’ o ‘‘~p’→‘s et ~s’’): infatti,
nel nostro caso, conosciamo solo la falsità di ‘r et ~r’ e ‘s et ~s’, ma non
quella della premessa (‘p’ o ‘~p’). Le implicazioni da vero a falso (V→F)
e da falso a falso (F→F) sono rispettivamente F e V. Non conoscendo il
valore di verità della premessa ‘~p’, vi si potrebbe risalire conoscendo
il risultato dell’implicazione e quello della seconda proposizione del ra-
gionamento. In altre parole, se si sa che l’implicazione ‘x→F’ è F dedu-
ciamo che x è V. Mentre se l’implicazione di ‘x→V’ è F deduciamo che
x è F. Ma, nel nostro caso specifico, almeno nei frammenti che ci sono
stati tramandati, il valore di verità dell’implicazione non viene espli-
citato. Nei frammenti, infatti, non viene dato né il valore di verità di p
né quello del ragionamento complessivo: non possiamo, quindi, dire di
riscontrare lo schema della dimostrazione per assurdo.
Compiuto questo sforzo, si può tornare ora al Parmenide, dove si
nota sorprendentemente che la risposta di Zenone a Socrate va nella
stessa direzione del nostro ragionamento: Zenone dichiara di aiutare il
maestro non perché ottiene dai suoi paradossi che l’essere è uno (p), ma
solo che dall’essere molteplice (~p) si ottengono troppe contraddizioni
(128d).
La stessa ambiguità sembra espressa in altri brani, come quando il
Socrate platonico nei passi seguenti al 261d del Fedro ammonisce che,
per scegliere la verità o la falsità di una qualsiasi cosa, bisognerebbe
avere la conoscenza di cosa siano gli esseri in ogni somiglianza e disso-
miglianza (262a), poiché non si può risalire dalla verità di una impli-
cazione a quella delle sue premesse in maniera automatica: l’inganno
nasce proprio quando colui che conduce il discorso passa da un “essere”
a un “non essere” sfruttando piccole somiglianze che non hanno a che

28. Nei frammenti l’unica ammissione esplicita è, di fatto, quella relativa alla non
esistenza dello spazio (fr. 5).
290 Stefania Giombini, Flavia Marcacci

fare con la verità dell’essere (262b). Ancora più esplicito questo concet-
to nell’attacco ai protagorei, che per ciò che concerne

del giusto e dell’ingiusto, del santo e dell’empio, vogliono insistere a dire che
nessuna di queste cose esiste per natura e con una sostanza propria, accetta
toma è ciò che sembra alla comunità che diventa vero, nel momento in cui
sembra e per tutto il tempo in cui sembra. (Theaet. 172b)29

L’invito sottinteso è quello a ricordare che la verità deve essere stabi-


lita con un altro metodo, che – si sa – volgerà in Platone all’ottenimento
delle forme ideali come fonti della verità.
Anche i paradossi, letti in questa direzione, diventano l’esplorazione
delle contraddizioni che emergerebbero tenendo per buona la divisi-
bilità dell’essere (e, di rimando, dello spazio o del tempo). In un certo
senso avrebbero potuto offrire agli avversari delle tesi eleatiche l’invito
a raffinare le loro stesse idee di divisibilità, perché non sufficienti per
sfuggire del tutto alle maglie del diallelo (e dalle quali di fatto si potrà
uscire solo una volta compreso chiaramente che non può ottenersi una
vera dimostrazione se non all’interno di un sistema).
Sostenuti da queste considerazioni, si può attribuire a Zenone, al
pari che ai sofisti, l’invenzione dell’antilogica, dal momento che egli
usava elabo­rare ragionamenti per porre contraddizioni, senza ottener-
ne insegna­menti positivi30.

L’antilogia: verso la logica formale e/o verso la logica materiale?

Zenone ci offre una retrospettiva sull’arte antilogica e ci colloca sul


fronte dell’ontologia eleatica: proprio questa fornì il passo allo svi-
luppo di una logica più matura, che da Platone raggiunse ancor più
compiutezza in Aristotele. Occorre, però, comprendere questa retro-
spettiva in relazione all’esplorazione dell’antilogia messa in atto dai

29. Tr. it. di C. Mazzarelli in Platone, Tutti gli scritti, cit.


30. Cf. L. Rossetti, L’Achille di Zenone: logica e retorica, «Criterion», 1, 1988, pp. 67-
76; Id., Sull’intreccio di logica e retorica in alcuni paradossi di Zenone di Elea, «Archiv
für Geschichte der Philosophie», 74, 1992, pp. 1-25; Id., Oltre il demonstrandum. La di-
mensione metacognitiva dei testi paradossali nell’età dei Sofisti, «Méthexis», 19, 2006,
pp. 125-138.
Dell’antilogia 291

sofisti. Tale confronto serve per provare a rispondere all’interrogativo


inizialmente posto circa la posizione dell’antilogia tra filosofia, retori-
ca e logica.
Possono venire in aiuto alcune riflessioni che Vittorio Sainati svolge-
va nel 1965 in proposito: «La storia della dialettica platonica è la storia
di un laborioso e travagliatissimo confronto con la filosofia sofistica del
linguaggio e con l’ontologia eleatica, riconosciute per l’appunto, l’una
e l’altra, come le più evidenti formulazioni storiche degli opposti poli
dell’antinomia [tra un’ontologia puramente noetica e trans-linguistica,
di provenienza eleatica, e una linguistica convenzionalistico-pragmatica,
teorizzata dalla Sofistica]»31. Gli stimoli preziosi dell’ontologia eleatica
e della linguistica sofistica costituirono, cioè, le due nervature concet-
tuali/metodologiche che sospinsero un versante della filosofia verso la
logica, confluendo di fatto nelle originali sintesi di Platone e soprattut-
to di Aristotele. Dell’Eleatismo i due maestri ereditarono la vocazione
ontologica della filosofia, tale da far poggiare il cognosco sull’esse, ma
cercando di superare la fissità dell’essere eleatico, che rendeva la realtà
soffocata e soffocante, proprio quella realtà a cui, per loro tendenza spe-
culativa, i Greci non rinunciarono mai. Zenone presta gli strumenti per
far emergere questa asfissia, ottenendo di riferirla anche alla negazione
della realtà monolitica dell’essere eleatico: i paradossi non conducono
inevitabilmente a preferire l’unità o la molteplicità dell’essere, ma im-
prigionano coloro che volevano sfuggire a un essere monolitico nelle
contraddizioni di un essere plurale.
La reazione sofistica, per nulla attratta dalla fissità ontologica e at-
tenta piuttosto alla mutevolezza della realtà, non fa che dar voce alla
dimensione linguistica e dialettica del logos. Socrate, e dopo di lui
Platone e Aristotele, vorranno raccogliere la sfida di contenere anche
questa dimensione nella ricerca filosofica, senza però rinunciare alla
possibilità di qualcosa di immutabile. Ne è prova la permanenza di ele-
menti antilogici sia nella diairesis platonica sia nell’opera logica dello
Stagirita. La divisione tra le idee che fonda il meccanismo di risalita alle
essenze dell’Iperuranio si avvale proprio della struttura affermazione-
negazione; così anche in Aristotele troviamo discussa l’antilogia in sede
retorica, sottolineando che il bravo oratore deve saper produrre sia sil-

31. V. Sainati, Tra Parmenide e Protagora [1965], in V. Sainati, Logica e filosofia,


Pisa 2000, pp. 13-96, in part. p. 17.
292 Stefania Giombini, Flavia Marcacci

logismi dialettici che sillogismi retorici32. E ancora, l’ontologia eleatica


confluirà nel platonismo che pretenderà di fissare la verità andando a
recuperare i contenuti ontologici dei termini (resi essenze reali nelle
Idee), mentre la logica aristotelica utilizzerà questo fondamento onto-
logico per costruire negli Analitici Primi una vera e propria logica dei
termini (che di fatto diviene una ontologia formale solo parzialmente
formalizzata).
Queste considerazioni ci sembra possano approfondirsi, da un punto
di vista non tanto storico quanto speculativo, introducendo una distin-
zione che aiuta a illuminare ulteriormente il senso del nostro discorso,
andando però ad approfittare di una distinzione di cui il V secolo non
ancora poteva essere consapevole. Siamo soliti introdurre almeno due
dimensioni nella logica, ovvero logica materiale e logica formale: la pri-
ma, detta anche logica dei contenuti o semantica, si riferisce alle rela-
zioni dei segni con i loro oggetti extra o intra linguistici (ovvero con i
referenti) e costituisce lo studio riflesso sulla corrispondenza fra ordine
logico e ordine ontologico; la seconda, invece, studia le relazioni tra i
segni e analizza le diverse forme assunte dalle operazioni logiche pre-
scindendo sia dai contenuti che da coloro che usano tali linguaggi. Tale
distinzione, appunto, nel V secolo non era stata individuata e dunque
usata. Il rapporto tra retorica e logica fatica a chiarirsi nei testi dei pen-
satori di questo tempo, anche perché non si distinguono la declinazione
materiale e formale nella logica e, di conseguenza, la stessa retorica non
è in grado di rapportarsi all’una o all’altra.
Porta in sé il segno di questa indecisione anche l’antilogia, che così
poteva essere utilizzata con riferimento ai contenuti (ovvero in chiave
di logica materiale) o con abile utilizzo della sua struttura formale (ov-

32. Cf. Rh. 1355a4-19. In questo passo della Retorica, Aristotele sostiene che un’argo-
mentazione è una specie di dimostrazione, per cui l’argomentazione retorica deve seguire
le regole della dimostrazione. Ora dal momento che il dimostrare è possibile attraverso
la logica e dunque attraverso il sillogismo, allora la retorica procederà dimostrando at-
traverso l’entimema che è il sillogismo retorico. Un esperto di dialettica sarà, così, anche
un buon “costruttore” di entimemi tanto da possedere l’arte di costruire argomentazioni
retoriche fondate. Colui che attraverso la dialettica mira al vero non troverà problemi a
raggiungere il probabile attraverso la retorica. Infatti, la differenza sostanziale tra il sillo-
gismo scientifico e l’entimema sta nelle premesse: mentre il primo tipo di sillogismo parte
da premesse vere, l’entimema parte da premesse probabili. Cf. S. Giombini, La retorica
dei sofisti e la Retorica di Aristotele, Excerptum theseos ad Doctoratum in Philosophia
[PhD. Thesis], Pontificia Universitas Lateranensis, Romae 2009.
Dell’antilogia 293

vero in chiave di logica formale). Evidentemente si percepiva che essa,


come tutti i sofismi in generale, pretendesse di esibire una logica stret-
tamente materiale, privando la realtà di un valore chiaro e assoluto.
Se i giochi sofistici fossero stati dichiaratamente giochi di tipo formale,
probabilmente non avrebbero destato tanta irritazione. Ma confondere
le carte, disallineando i fatti e le parole o al contrario riprendendo i fatti
nelle parole, era spesso l’intenzione dei sofisti. Con un obiettivo, però,
non necessariamente distruttivo, ma talvolta capace di promuovere la
coscienza delle profonde contraddizioni della realtà, dimostrandone la
mutevolezza nella plasticità delle parole che la descrivono.
La contraddizione fornisce un terreno appropriato dove retorica e
logica si avvicinano. Si potrebbe pretendere di ricomprendere nella lo-
gica il sofisma in generale? E si può anche pretendere che l’antilogia
sia emblematica per conoscere qualcosa di più sull’appartenenza alla
logica del sofisma in generale?
I sofismi in generale sono casi di inosservanza delle regole del ra-
gionamento, per ciò detti anche paralogismi o fallacie, argomentazioni
erronee, che sembrano concludere bene. Essi «si valgono dell’attrattiva
di alcune autentiche verità (ma ambigue e troppo generiche), per poi
deformarle. […] I sofismi sono facilmente smascherabili, ma acquista-
no notevole forza quando vengono inseriti in un contesto sistematico.
[…] Alcuni sofismi si basano su elementi retorici, estetici, sentimenta-
li, oppure su motivi di ordine logico. […] La debolezza dell’intelligenza
umana spiega perché alcuni possano ingannarsi con estrema facilità di
fronte a uno stile letterario elegante che presenta però elementi falsi
[…]»33. In questo senso la logica può chiarire le strutture dei sofismi e
individuare dove si produce l’errore34.
Le antilogie disseminate nella letteratura di V secolo e in quella più
tarda sono numerose, e sono sempre usate con obiettivi e modalità di-
verse: esse si propongono, di fatto, come un modo diverso di leggere la
realtà e né tengono conto di una gnoseologia univoca né vogliono ambi-
re alla conquista di verità universali.
Formalmente l’antilogia pone la contraddizione: non la supera. E
così si colloca deliberatamente tra retorica e logica, tra fatti e discorsi,

33. J.J. Sanguineti, Logica filosofica, Firenze 1987, p. 151.


34. Non a caso Aristotele tratta le Confutazioni sofistiche proprio in continuità con
le opere logiche.
294 Stefania Giombini, Flavia Marcacci

tra l’essere uno strumento e l’essere un’arte. L’antilogia resta, in effetti,


un luogo particolarissimo dell’argomentare antico, un luogo che perde
spesso i suoi contorni ma senza il quale, inaspettatamente, né la retori-
ca né la logica avrebbero potuto procedere.
Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in onore di Livio Rossetti

Introduzione di Stefania Giombini e Flavia Marcacci 11

Bibliografia degli scritti di Livio Rossetti 29

PHYSIS

Beatriz Bossi, Parménides, DK 28 B 16: ¿el eslabón perdido?, p. 45; Omar D. Álvarez
Salas, Intelletto e pensiero nel naturalismo presocratico, p. 63; Miriam Campolina
Diniz Peixoto, Physis et didachê chez Démocrite, p. 83; Antonietta D’Alessandro,
Democrito: visione e formazione dei colori nel De sensu et sensibilis, p. 101; Carlo
Santini, Democrito, Lucrezio e la poesia delle cose impercettibili (De r.n. 3,370-395),
p. 113; Daniela De Cecco, Anassagora B4 DK (B4a; B4b): esame delle fonti, p. 123;
Serge Mouraviev, L’Exorde du livre d’Héraclite. Reconstruction et Commentaire,
p. 135; Dario Zucchello, Parmenide e la tradizione del pensiero greco arcaico
(ovvero, della sua eccentricità), p. 165; M. Laura Gemelli Marciano, Il ruolo della
“meteorologia” e dei “discorsi sulla natura” negli scritti ippocratici. Alla ricerca di
un “canone” per lo scritto medico?, p. 179; Daniel W. Graham, Theory, Observation,
and Discovery in Early Greek Philosophy, p. 199.

LOGOS

Dmitri Panchenko, The Cultural Florescence of Fifth-Century Athens in Comparative


Perspective, p. 215; Gianfranco Maddoli, L’immagine dell’Umbria nel V secolo
a.C., p. 229; Emidio Spinelli, Presocratici scettici? Assunti genealogici nel Varro
di Cicerone, p. 235; Maria Michela Sassi, Senofane critico dell’antropomorfismo,
p. 247; Giuseppe Mazzara, Aspetti gorgiani e pitagorici nel socratico Antistene, p. 257;
Ksenija Maricki Gadjanski, δισσοι λογοι and Modern Linguistics, p. 269; Stefania
Giombini, Flavia Marcacci, Dell’antilogia, p. 277; Rafael Ferber, Zeno’s
Metrical Paradox of Extension and Descartes’ Mind-Body Problem, p. 295, Marcella
G. Lorenzi, Mauro Francaviglia, Continuo o discreto? Dai paradossi di Zenone alla
meccanica quantistica, p. 311; Diskin Clay, The Art of Platonic Quotation, p. 327;
Tomás Calvo-Martínez, Las hipótesis del Fedón y la dialéctica como arte del diálogo,
p. 339; Franco Ferrari, Equiparazionismo ontologico e deduttivismo: l’eredità di
Parmenide nella gymnasia del Parmenide, p. 357; Michel Narcy, Calliclès est-il un
bon interprète du Gorgias?, p. 369; Graciela E. Marcos de Pinotti, Ser y aparecer en
Protágoras, p. 379; Thomas M. Robinson, Socrates on Soul and Immortality, p. 389.
ETHOS

Delfim F. Leão, The Seven Sages and Plato, p. 403; Gabriele Cornelli, Sulla vita
filosofica in comune: koinonía e philía pitagoriche, p. 415; Mario Vegetti, Il medico
antico fra nomadismo e stanzialità (dal V secolo a.C. al II secolo d.C.), p. 437;
Francesco De Martino, Aspasia e la scuola delle mogli, p. 449; Francisco Bravo,
Entre la euthymía de Democrito a la eudaimonía de Aristóteles, p. 467; Chiara
Robbiano, L’immutabilità come valore morale: da Parmenide (B8, 26-33) a Platone
(Rep. 380d1-383a5), p. 483; Renzo Vitali, Stasis come rivoluzione, p. 493; Walter
O. Kohan, Sócrates en el último curso de Foucault, p. 503; Giovanni Cerri, Tesi di
Platone sulla ragion politica del processo a Socrate e sulla natura della sua attività
propagandistica, p. 519; Christopher Rowe, Boys, Kingship, and Board-games: A
Note on Plato, Politicus 292E-293A, p. 529; Gerardo Ramírez Vidal, Los sofistas
maestros de política en el siglo V, p. 535; Rachel Gazolla, Intorno alla Paideia di
Socrate e dei Cinici, p. 547; Gilbert Romeyer Dherbey, Socrate educateur, p. 563;
Giovanni Casertano, La regina, l’anello e la necessità, p. 587.

PATHOS

Maria de Fátima Silva, Euripides and the Profile of an Ideal City, p. 603; Patrizia
Liviabella Furiani, Il V secolo, tra fiction e realtà, nel romanzo di Caritone, p. 617;
Maria do Céu Fialho, The Rhetoric of Suffering in Sophocles’ Philoctetes and Coloneus:
A Comparative Approach, p. 645; Noburu Notomi, Prodicus in Aristophanes,
p. 655; Enrique Hülsz Piccone, Huellas de Heráclito en tres fragmentos ‘filosóficos’
de Epicarmo, p. 665; Alessandro Stavru, Il potere dell’apparenza: nota a Gorgia,
Hel. 8-14, p. 677; Lidia Palumbo, Scenografie verbali di V secolo. Appunti sulla
natura visiva del linguaggio tragico, p. 689; Nestor L. Cordero, Les fondements
philosophiques de la ‘thérapie’ d’Antiphon. Les vertus thérapeutiques du logos
sophistique, p. 701.

***

Per l’amico Livio

Massimo Capponi, L’originalità e il valore dell’ipertesto dialogico-interattivo tra


creatività e simulazione, p. 715; Chiara Chiapperini, L’incontro con Livio Rossetti,
la nascita di Amica Sofia… e alcune osservazioni sull’arte della “maieutica”, p. 725;
Nestor L. Cordero, D’un citoyen d’Élée à l’autre, p. 735; Gerardo Ramírez Vidal, Omar
D. Álvarez Salas, Livio Rossetti y la UNAM, 25 años de cooperación y amistad, p. 737;
Thomas M. Robinson, Livio Rossetti and the International Plato Society, p. 743; Marian
Wesoły, I Owe so much to Professor and my Friend Livio Rossetti…, p. 745.

***

Tabula gratulatoria 749


panchenko_abstract.indd 231 20/11/2010 11.51.06
aguaplano.eu Stefania Giombini, Flavia Marcacci

Dell’antilogia

aguaplano

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