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Università degli Studi Roma Tre

Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo


Esame di Storia della Filosofia dell’Illuminismo
Prof. Marco Piazza

PROSPETTIVE SULLA CATASTROFE:


DIALOGO TRA VOLTAIRE, LEOPARDI E ROUSSEAU

Fiamma Tarola Anno accademico 2022/2023


Introduzione
Il problema del male è una questione filosofica che risale alle prime riflessioni,
in ambito filosofico, di Socrate e Platone e che, nel corso dei secoli, è stato
oggetto di disputa, dall’ambito teologico a quello antropologico. L’Illuminismo
costituisce un momento chiave per un cambio di paradigma sull’analisi del male
nell’essere umano e nella natura, e in particolare sul fenomeno della catastrofe.
Quest’ultima, nella modernità, infatti assume una connotazione di spettacolo, in
parte ereditata dalla antica concezione drammaturgica dell’evento, come
accadimento puntuale e irreversibile, grazie al quale si impara tramite il dolore da
esso provocato (ovvero la cosiddetta catarsi), dall’altra, dal tema dell’apocalisse,
sentito particolarmente nel Medioevo e nel Barocco, come fenomeno collettivo di
cui Dio è l’autore del dramma e il mondo il luogo in cui ha sede. 1

La spettacolarizzazione dovuta al formarsi di una opinione pubblica e ai mezzi


di comunicazione più efficienti (giornali, pamphlet, riviste…) ha dato la possibilità
ai filosofi moderni di compiere una riflessione più ampia e rinnovata della
catastrofe, che vi ricerca un senso al di là delle tradizionali argomentazioni di
stampo teologico, che comunque sono state analizzate e riprese in occasione del
noto terremoto di Lisbona del 1755. Tale evento difatti scosse la collettività, che
ebbe una notevole partecipazione emotiva, e diede origine ad un dibattito
stimolato certamente dalla prossimità spaziale e temporale che gli intellettuali
dell’epoca percepirono riguardo il terremoto.2

Dal conflitto tra filosofi ottimisti e pessimisti, nasce una prospettiva


antropologica della catastrofe, nella quale essa non è solo la conseguenza di una
giustizia divina che avrebbe ucciso per un bene maggiore migliaia di innocenti, ma
un sintomo del male che risiede nell’agire dell’essere umano, dunque delle scelte
egoistiche di cui poi soffre, o nella natura. In particolare, la discussione della
1
Cfr. Voltaire, Rousseau, Kant, 2022, Filosofie della catastrofe, Introduzione a cura di A. Tagliapietra pp. 31-41
2
Cfr. Voltaire, Rousseau, Kant, 2022, Filosofie della catastrofe, Introduzione a cura di A. Tagliapietra pp. 18-23
catastrofe è polarizzata tra due punti di vista: quello del pessimista Voltare e
dell’ottimista Rousseau, di cui analizzeremo di seguito le loro argomentazioni.

La ricezione di tale dibattito è evidente; difatti abbiamo l’esempio di Leopardi e


del suo razionalismo critico, in cui coniuga il pessimismo e la ribellione contro
l’assurdità della natura indifferente di Voltaire con la critica di Rousseau al
progresso e all’orgoglio umano, che vorrebbe scavalcare i limiti della natura
allontanandosi dalla condizione originale di armonia con essa stessa, per la vita
civilizzata. 3

“Tutto è bene?”: la risposta di Voltaire

Sia Voltaire che Rousseau discutono sulla veridicità dall’affermazione “Tutto è


bene”, che fu sostenuta dai cosiddetti filosofi ottimisti quali Leibnitz e Pope.
Ricordiamo infatti che Leibniz elaborò la teoria del migliore dei mondi, nella quale
egli affermò che il nostro è il migliore mondo possibile, logicamente, creato da
Dio, onnipotente e buono. In tale mondo il male metafisico e non, è previsto in
funzione di un bene maggiore, quello dell’universo. In quest’ottica la catastrofe è
inevitabile perché provvidenziale e dunque necessaria.

Nel Poema sul terremoto di Lisbona di Voltaire, come in altre opere note
dell’autore, ad esempio Il Candido, vi è una forte ironia su tale rassegnata
accettazione del male, che colpisce indifferentemente anche gli innocenti, senza
apparentemente un senso agli occhi degli spettatori. Famoso è il verso: “Lisbona è
distrutta, e a Parigi si balla”. (v.23) 4Il suo poema è un poema di rivolta contro il
fatalismo e le sue assurdità in nome della ragione, ed è un attacco alla
affermazione “Tutto è bene”. Nel mondo esiste il male e la natura è muta; per
Voltaire anche i più dotti dei filosofi non conoscono i principi primi che regolano il
3
Cfr Voltaire, Rousseau, Kant, Filosofie della catastrofe, Introduzione a cura di A. Tagliapietra 2022, pp. 58
4
Cfr Voltaire, Poema sul territorio di Lisbona, cit. v. 23,
mondo, perciò egli invoca un Dio che risponda alle domande dell’uomo.
L’esistenza di un male a cui non può essere dato un senso nega la presenza di un
Dio buono in questo universo; Voltaire dunque critica la teodicea, analizzando le
varie ipotesi sul male ma senza accettarne nessuna, come quella della necessità
del male derivante dalle leggi divine o quella della vendetta e punizione di Dio
per un male morale. Dall’ambito teologico si passa a quello estetico, nel quale ha
un ruolo fondamentale il cosiddetto spettatore razionale, invenzione concettuale
di Adam Smith, il quale dovrebbe essere imparziale ed etico.5

Voltaire non esitò a descrivere il male che afflisse la collettività nella catastrofe
e il lamento degli innocenti davanti ad una morte così improvvisa, legittimando
quest’ultimo in contrasto con l’illusione della speranza che tutto sia bene. Per il
filosofo francese tale speranza, prettamente laica, è da riservare ad un futuro
lontano. Pur non manifestando in modo esemplificativo il deismo a cui egli aderì,
è evidente la denuncia contro la natura indifferente, che sarà ripresa poi da
Leopardi.

Quest’ultimo ne farà della protesta contro la Natura uno dei topos maggiori
delle sue opere, non solo disfacendo la teodicea leibniziana e criticando
l’ottimismo razionalista del suo secolo, ma rovesciando il “Tutto è bene” in “Tutto
è male”, come già in parte fece, nel noto Dialogo tra il filosofo e la Natura,
Voltaire, nel quale si reclama che la non esistenza sarebbe meglio dell’esistenza,
essendo i viventi messi al mondo solo per soffrire. Nel Dialogo la Natura, muta,
rimanda a Dio una possibile richiesta di spiegazione su tale argomento.

Di seguito analizzeremo le similitudini del pensiero leopardiano con quello di


Voltaire, per poi esaminare invece i temi in comune con l’altro filosofo che prese
parte al dibattito, Rousseau.

5
Cfr. Voltaire, Rousseau, Kant, 2022, Filosofie della catastrofe, Introduzione a cura di A. Tagliapietra, pp. 58
Leopardi e Voltaire, in rivolta contro l’assurdo

Leopardi ereditò dunque da Voltaire, la propensione alla rivolta metafisica, la


cui forza è evidente, ad esempio, nell’opera Il Dialogo della Natura e
dell’Islandese, nella quale si interroga sul perché gli uomini sono “gettati” nel
mondo senza consenso.6 Tale considerazione ha probabilmente preso ispirazione
dal Voyage du jeune Anacharsis en Grèce (1788) di Barthélemy, che fu a sua volta
ispirato dal pensiero di D’Holbach. Nel Dialogo la Natura non può più riferirsi ad
un fato per quanto riguarda le risposte metafisiche sul male cercate
dall’Islandese, perciò è costretta essa stessa a mostrarsi seppur raramente.

In quest’opera la Natura indifferente si spiega per quello che è, una


mostruosità, tuttavia appartenente all’essere umano stesso, che è Natura. Essa, in
forme quasi umane, come quella di una matrigna malvagia, perseguita l’Islandese
senza dargli occasione di sfuggirle davvero. L’Islandese è ovunque fuori posto,
data l’incapacità, o la volontà stessa, della Natura di ospitarvi gli esseri umani,
come sottolinea il protagonista del Dialogo, paragonando quest’ultima a dei
possessori di una villa lasciata incolta e invivibile, in cui viene invitato lo
sfortunato ospite che, in questa analogia, corrisponde al genere umano. 7

L’uomo è dunque un piccolo ingranaggio nella macchina che costituisce il


mondo, è una “piccola parte” della Natura come afferma Voltaire, e ne è l’unico
punto sensibile. L’assurdità di questo processo alla Natura è portata a
compimento nel finale del Dialogo, in cui la morte stessa, più che essere solo
tragica, è ironica. Con la morte dell’Islandese, causata forse da due leoni o dalla
sabbia del deserto che lo ricoprì, muoiono anche gli ultimi resti del senso
dell’esistenza in quanto essere umano, e dunque limitato.

6
Cfr. Capitano, 2010, L’assurdo e la rivolta. Camus alla luce di Leopardi, Dialegesthai
7
Cfr Leopardi, Dialogo della Natura e dell’Islandese
In Leopardi non vi è nessun Dio accusabile del male, e la Natura stessa è solo
male per l’uomo perciò, non vi è possibilità di affermarsi per nessun tipo di
teodicea e nemmeno la speranza per un futuro lontano può avere spazio nell’anti
fatalismo di Leopardi, a differenza di quello più mite di Voltaire. Il primo condivide
con quest’ultimo la denuncia di un male che esiste, ed è inevitabile, l’ironia di chi
non crede che il Bene assoluto può essere la somma di tutti i mali, e la rinuncia ad
un Dio sia onnipotente che buono, appoggiando quindi la soluzione al dilemma di
Epicuro offerta dal filosofo francese.

Tuttavia, il nichilismo di Leopardi si spinge oltre: dove vi era una accusa di


insensatezza da parte del Poema sul terremoto di Lisbona, con il Dialogo della
natura e dell’Islandese, come negli altri presenti nelle Operette morali, vi è
l’affermazione dell’assurdo, in quanto la vita non solo non ha uno scopo, ma non
ha effettivamente senso che esso ci sia. Quella di L. non è rassegnazione
all’insensatezza, ma una rivolta contro l’assurdità8, nella quale il giardino utopico
“individuale” di Voltaire è anch’esso malato e privo di quella speranza a cui il
filosofo francese alludeva. L’assurdo in Leopardi è la mancata risposta della
Natura e di un ipotetico Dio, alla domanda di senso degli uomini: l’utilizzo del
termine fa proprio riferimento all’etimologia di “assurdo”, absurdum, sordo agli
eventi.9

La differenza fra il nichilismo già intravisto in pensatori precedenti quali Pascal


o perfino Lucrezio, è che esso si ferma a descrivere il mondo come non sensato,
quando nell’assurdismo e nel proto-esistenzialismo di Leopardi, è il rapporto
uomo-Natura ad essere dissonante, ovvero la ragionevolezza dell’uomo e
l’irrazionale violenza del mondo che dunque conducono l’uomo ad uno stato di
infelicità. Il pessimismo di Voltaire è difatti il primo che, criticando la teodicea,

8
ne parla Rensi, nella sua opera La filosofia dell’assurdo, il quale si può considerare un erede del nichilismo
leopardiano e un anticipatore dell’assurdismo del Novecento, di cui uno degli esponenti più rilevanti è Camus.
9
Tale definizione è anche utilizzata nello Zibaldone, nel quale viene scritto che la Natura è cieca e sorda
giustifica la frustrazione degli esseri umani, capaci di ragionamento, davanti ad
una morte insensata, che razionalmente non può essere consolata da nessuna
fede nella teodicea, o dalla speranza attuale di un bene assoluto e
dell’immortalità dell'anima.

Tale tematica fu ereditata da tutti gli assurdisti ed esistenzialisti dei secoli


successivi, come Kierkegaard, Nietzsche e soprattutto Camus, che nel Mito di
Sisifo spiega come l’uomo debba vivere, a suo giudizio, l’assurdo, non fuggendo
dalla disperazione con salti di fede, ne accettando speranze consolatorie; Sisifo
può essere felice, nella rivolta. 10 È la chiarezza con cui si vive la propria condizione
a dare un senso all’esistenza di ciascuno e dunque al genere umano, come si
evince dal poema La Ginestra, nel quale all’immagine del fiore, solitario, sui pendii
del vulcano, è atta a manifestare l’aspetto consolatorio della poesia, che con
nitidezza squadra l’angoscia della nullità delle cose, esemplificata dall’aspetto
desertico del paesaggio.

Il Nulla, la non esistenza, di cui accennava Voltaire, è dunque l‘enigma che cela
la Natura e che conduce l’essere umano alla sua innata condizione di fragilità:
l’ultima fase del nichilismo leopardiano si contraddistingue nello scorgere la
speranza di rinascita dopo la distruzione, seppur consapevole di non poter
eliminare la caducità dell’uomo che verrà sempre annientato dalla Natura e dai
suoi mali.

Dunque, dal sospettoso atteggiamento di Voltaire, che sovente porta ad essere


contraddittorio nei suoi scritti, alla denuncia e alle teorie sul male di Leopardi,
nasce una affermazione del grido di protesta verso l’assurdo, cioè, come sostiene
Camus stesso, è possibile essere scettico su tutto ma non sulla mia rivolta, che è la
consapevolezza stessa di essere cosciente.

10
Cfr. Camus, Il mito di Sisifo, cit. pp. 39-58
Un aspetto che rende originale il nichilismo di L. è la contemporanea sfiducia
nel progresso, per cui differisce dalla maggioranza degli illuministi e si accosta a
Rousseau, ma la fiducia in una confederazione o alleanza di uomini che si
oppongano alla Natura, molto differente dal tentativo individuale di felicità
compiuto dal secondo.11

Leopardi e Rousseau: un breve confronto

Nonostante le posizioni polarmente opposte sulla questione del male vi è in


entrambi gli autori una comune critica al progresso, e alla fiducia nella razionalità
e nelle scienze. Se in Leopardi la critica è fatta all’antropocentrismo dell’uomo,
che non vede come ogni sua opera sia caduca ed effimera, dall’altro Rousseau
denunciò l’allontanamento dallo stato di natura, ovvero, l’orgoglio dell’uomo, che
vorrebbe superare i limiti di quest’ultima, costruendo per esempio edifici alti in
zone sismiche, o non evacuando la città in tempo per timore di perdere i propri
oggetti, il denaro, i gioielli…

Vi è dunque in entrambi una conferma dei limiti dell’uomo e del suo ruolo
marginale rispetto alla Natura.

Conclusione

A fronte delle recenti catastrofi che il genere umano sta subendo, e he in parte
sta anche causando, ad es. il riscaldamento globale e la pandemia del Covid-19, è
utile trarne una nuova prospettiva sul fenomeno e su come esso viene vissuto e
giudicato dall’uomo, e come tali accadimenti abbiano una risonanza globale
nell’interrogazione esistenziale degli esseri umani sul male e sul senso della vita,
in rapporto alla natura e agli altri esseri umani. Concetti come speranza, già
indagati in questo scritto, e i loro opposti, ovvero angoscia e disperazione fanno

11
Leopardi, La Ginestra, vv. 111-113
parte di quella branca della filosofia che indaga l’assurdo, e che ha avuto come
predecessori individui singolari ma ancora legati al loro secolo, come Voltaire,
Leopardi, Kierkegaard e Schopenhauer.

Per concludere, se la razionalità di Voltaire, da un lato, non può che constatare


l’infelice stato dell’umanità, e dall’altro il sentimento di Rousseau (il coeur), non
può che aggrapparsi ad una speranza presente, per consolarsi e dunque affidarsi a
Dio e all’anima immortale, ma anche ad individuali scelte di vita più modeste, un
nuovo modo di pensare la felicità del genere umano, in quanto natura ma allo
stesso tempo alieno ad essa, ci viene proposto con le riflessioni di L., nelle quali
emerge che la sola ragione non potrà mai dare risposte sull’agire, anche se
descrive a pieno la mostruosità dell’esistenza individuale, e il sentimento non
deve essere una fede in Dio o simili entità, ma nel genere umano, nella sua
capacità di vicinanza umana, nella catastrofe, un’alleanza o un’amicizia che si
opponga resistendo alla caducità delle opere e delle vita, senza però credere di
travalicare i limiti innati umanità. La finitudine dell’uomo non è cosa che si possa
risolvere o comprendere ad un livello metafisico: a determinare come sia
opportuno agire in un mondo in cui “Tutto è male” è il legame fra gli uomini, sia
nell’aspetto sociale12 come ne La ginestra, che nell’amicizia vera e propria, come
nel Dialogo di Plotino e Porfirio, che aspira ad essere una fraterna convivenza in
quanto “figli del Nulla”.13

BIBLIOGRAFIA DI LAVORO:
12
Tale aspetto è stato indagato da Camus, il quale afferma di aver letto e ammirato Leopardi nei Taccuini, nel romanzo
La Peste.
13

Leopardi, Dialogo di Plotino e Porfirio, pp.250-251. La definizione figli del Nulla è utilizzata da Alberto Folin nel libro
Leopardi, l’amicizia che resta, pp.135-146.
VOLTAIRE, ROUSSEAU, KANT, 2022, Filosofie della catastrofe (a cura di Andrea
Tagliapietra), Raffaello Cortina Editore, collana MINIMA

LUIGI CAPITANO, 2010, L’assurdo e la rivolta. Camus alla luce di Leopardi,


Dialegesthai, rivista di filosofia GIUSEPPE VIRGILIO, 2022, Scritti su Giacomo
Leopardi 2. Leopardi e una disputa culturale nel Settecento tra Rousseau e
Voltaire sul terremoto di Lisbona, Iuncturae, rivista online

IRENE BACCARINI, 2013, Leopardi e Camus: il tempo ultimo dell’amicizia,


Dialegesthai, rivista di filosofia

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