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Τὰ βιβλία πάντα: una riconsiderazione della storia della biblioteca di

Aristotele a Scepsi narrata da Strabone e Plutarco1

Federico Minzoni

Strabone (Str. XIII 1, 54) e Plutarco (Plu. Sull. 26) tramandano una storia secondo cui, alla morte
di Teofrasto, la biblioteca di Aristotele, lasciata in eredità dall'Eresiano al peripatetico Neleo,
sarebbe stata trasferita da quest'ultimo nella natia Scepsi, dove i suoi discendenti l'avrebbero
tenuta nascosta per quasi due secoli, fino a poco prima dell'edizione andronicea del corpus
aristotelicum. La testimonianza di Strabone e Plutarco è stata oggetto di interpretazioni discordanti
e spesso fantasiose che, soprattutto in tempi recenti, l'hanno rifiutata come inattendibile. L'intento
di questo contributo è quello di sottoporre la questione al vaglio delle fonti, per stabilire se la
testimonianza di Strabone e Plutarco ne risulti confutata o avvalorata.

I. La biblioteca di Aristotele come problema di storia della filosofia e di storia evenemenziale


Lo speciale rapporto di Aristotele con i libri ci è tramandato in forma storica e aneddotica fin
dall'antichità. Lo Stagirita – ci informano le fonti 2 – fu fra i primi a raccogliere e collezionare libri 3
e questa pratica, oltre che accidentale dato biografico, è senz'altro un tratto costitutivo della sua
metodologia filosofica.
Numerosi sono i loci delle opere acroamatiche che tradiscono più o meno esplicitamente una
dipendenza da repertori scritti: l'esempio più evidente è forse quello delle rassegne dossografiche
tematiche dedicate ai predecessori, che Aristotele sovente svolge prima di affrontare sul piano
teoretico il problema filosofico indagato. Queste storie della filosofia ante litteram – preziose in
particolare per la nostra conoscenza dei physiologoi – si appoggiano molto probabilmente su

1 Le abbreviazioni usate sono, per autori e opere greche, quelle di Liddell, Scott, Jones 1996; per autori e opere latine,
quelle di Glare 1982. Le fonti riportate in bibliografia (cfr. infra, p. 18) non sono tutte le fonti citate nel testo, ma
soltanto quelle di diretta pertinenza per la storia della biblioteca di Aristotele a Scepsi.
2 Aulo Gellio e Diogene Laerzio raccontano che Aristotele comprò le opere di Speusippo per tre talenti. Cfr. Gel. III 17
(= Düring 1957 T42b); DL IV 5 (= Düring 1957 T42c). Già Strabone, in un locus che sarà presto al centro della nostra
attenzione, affermava che – a sua conoscenza – Aristotele fu il primo a raccogliere libri (πρῶτος συναγαγὼν βιβλία) e
che insegnò inoltre ai Tolemei come organizzare una biblioteca (διδάξας τοὺς ἐν Αἰγύπτῳ βασιλέας βιβλιοθήκης
σύνταξιν: notizia quest'ultima chiaramente falsa). Cfr. Str. XIII 1, 54. Per una rassegna e un commento delle fonti che ci
informano sull'attitudine aristotelica di raccogliere libri, cfr. Düring 1957, pp. 22-3.
3 Ma va ricordato almeno l'importante precedente di Euripide, schernito da Aristofane proprio per la qualità libresca
delle sue tragedie. Cfr. Ar. Ra. v. 943. Che Euripide possedesse una biblioteca è ricordato anche in un locus di Ateneo su
cui avremo occasione di tornare più avanti. Cfr. Ath. I 3a (= Düring 1957 T42d) e infra, §§ 2 II e III.

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appunti e compilazioni scritte4. Se la filosofia platonica si colloca, con la sua opzione metodologica
per la dialettica e la sua opzione letteraria per il dialogo, su un piano testuale ancora eminentemente
orale (per quanto problematicamente pervaso da un rapporto irrisolto fra parola detta e parola
scritta)5, la filosofia aristotelica è già decisamente una filosofia del libro.
In un certo senso poi Aristotele stesso è una biblioteca. A partire dall'editio andronicea6 il profilo
filosofico dello Stagirita, sussumendo quello biografico, va a identificarsi sempre più con un corpus
circoscritto e altamente integrato di scritti, con una biblioteca insomma. Se questo vale già per
l'Aristotele dei commentatori tardoantichi (Alessandro di Afrodisia e Temistio, ultimi peripatetici di
stretta osservanza, e i neoplatonici), è vero a maggior ragione per l'Aristotele arabo e latino che –
per felice metonimia – si identifica con l'insieme dei suoi scritti tanto da diventare, con le parole di
G. Endress, un «Aristotele virtuale»7. L'Aristotele del commento medievale, «maestro di color che
sanno», non è più un uomo, ma un corpus testuale.
Se l'Aristotele dei commentatori ha dato vita con i suoi scritti a una biblioteca oltremodo astratta,
che in ultima analisi è una struttura di organizzazione del sapere, è su di una biblioteca aristotelica
invece assolutamente materiale che vorrei richiamare qui l'attenzione. Si tratta della biblioteca che,
secondo la testimonianza di Strabone (F1) e Plutarco (F2) 8, Teofrasto di Ereso avrebbe lasciato in
eredità al peripatetico Neleo di Scepsi9. Questa biblioteca, oltre ai libri dello stesso Eresiano,
avrebbe contenuto anche quelli di Aristotele10; se si trattasse di libri di paternità o di proprietà di
4 È lo stesso Aristotele a suggerirlo in Arist. Top. I 14, 105b12-8. Per un esame della questione, cfr. Natali 1991, pp.
121-46.
5 Locus classicus dell'invettiva socratico-platonica contro la scrittura è il mito di Theuth narrato nel Fedro. Cfr. Pl. Phd.
274c5-275b1. Sul rapporto fra oralità e scrittura nella grecità arcaica e classica, cfr. Havelock 1982 e Havelock 1986;
utile anche il contributo di Canfora 1981. Sulla tensione fra oralità e scrittura in Platone, cfr. Vegetti 2003, pp. 53-65.
6 È l'edizione dei testi acroamatici aristotelici approntata da Andronico di Rodi intorno alla metà del I sec. a.C., che ha
istituito il corpus aristotelicum così come lo conosciamo oggi. Su Andronico e sulla sua attività editoriale, cfr. Moraux
1973, pp. 45-94 e Gottschalk, 1987 pp. 1089-97.
7 Così G. Endress designa l'Aristotele letto e commentato dagli esegeti medievali, intendendo sottolineare la presenza
nel corpus aristotelicum arabo-latino di testi spuri, come il Liber de causis, ottenuti dalla rielaborazione di trattati
neoplatonici tardoantichi, fra cui soprattutto le Enneadi IV, V e VI e l'Elementatio theologiae di Proclo. Mi pare che
implicitamente la locuzione 'Aristotele virtuale' segnali l'avvenuta identificazione dell'uomo Aristotele con l'insieme dei
suoi scritti. Cfr. Endress 1997.
8 Cfr. Str. XIII 1, 54 (= Düring 1957 T66b); Plu. Sull. 26 (= Düring 1957 T66c). La storia trasmessa da Strabone e
quella trasmessa da Plutarco si assomigliano molto nella trama e talora anche nelle scelte lessicali, anche se la
narrazione del secondo è molto più ellittica di quella del primo, suggerendoci che Plutarco stia sunteggiando secondo le
sue esigenze una testimonianza altrui. Sulla dipendenza di Plutarco da Strabone, o sulla dipendenza di entrambi da una
fonte perduta, cfr. infra, § III.
9 Cfr. Str. XIII 1, 54: Νηλεύς [...] διαδεδεγμένος δὲ τὴν βιβλιοθήκην τοῦ Θεοφράστου; ibidem: Θεόφραστος δὲ [τὴν
ἑαυτοῦ βιβλιοθήκην, scilicet] Νηλεῖ παρέδωκεν; Plu. Sull. 26: Νηλέως τοῦ Σκηψίου [...] ᾧ τὰ βιβλία κατέλιπε
Θεόφραστος. Neleo – ci informa Strabone – era figlio del socratico Corisco e aveva frequentato le lezioni di Aristotele e
Teofrasto. Cfr Str. XIII 1,54: ὁ τοῦ Κορίσκου υἱὸς Νηλεύς, ἀνὴρ καὶ Ἀριστοτέλους ἠκροαμένος καὶ Θεοφράστου.
10 Cfr. Str. XIII 1, 54: Νηλεύς [...] διαδεδεγμένος δὲ τὴν βιβλιοθήκην τοῦ Θεοφράστου, ἐν ᾗ ἦν καὶ ἡ τοῦ
Ἀριστοτέλους. Plutarco ci dice che la biblioteca che – come vedremo a breve – Apellicone di Teo acquistò dagli eredi di
Neleo conteneva tutti i libri di Aristotele e Teofrasto. Cfr. Plu. Sull. 26: τὴν Ἀπελλικῶνος τοῦ Τηΐου βιβλιοθήκην, ἐν ᾗ
τὰ πλεῖστα τῶν Ἀριστοτέλους καὶ Θεοφράστου βιβλίων ἦν. Strabone chiarisce che fu lo stesso Aristotele a lasciare in
eredità la sua biblioteca a Teofrasto, a cui aveva affidato anche la scuola. Cfr. Str. XIII 1, 54: ὁ γοῦν Ἀριστοτέλης τὴν
ἑαυτοῦ [βιβλιοθήκην, scilicet] Θεοφράστῳ παρέδωκεν, ᾧπερ καὶ τὴν σχολὴν ἀπέλιπε.

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Aristotele non ci è dato sapere, ma si assume generalmente – su implicito suggerimento di
Strabone11 – che la biblioteca contenesse soprattutto redazioni pre-andronicee delle pragmateiai.
Secondo Strabone e Plutarco, Neleo, dopo avere ricevuto in eredità i libri di Aristotele e di
Teofrasto, lasciò Atene e il Liceo retto da Stratone, portandosi appresso la biblioteca nella natia
Scepsi. Qui i libri passarono alla sua morte nelle mani dei suoi discendenti, uomini incolti (ἰδιώται
ἄνθρωποι)12, i quali, avendo saputo che gli Attalidi cercavano libri per l'istituzione di una biblioteca
a Pergamo, li nascosero in un cunicolo sotterraneo (ἐν διώρυγί τινι)13, dove essi vennero
considerevolmente danneggiati da umidità e insetti14. La biblioteca venne poi acquistata per una
somma considerevole da Apellicone di Teo 15, che la riportò ad Atene, dove poco dopo, avendo
messo a ferro e fuoco la città nel corso della prima guerra mitridatica, Lucio Cornelio Silla se ne
impadronì e la portò a Roma16. Qui i testi vennero consultati e riordinati dal grammatico Tirannione
di Amiso, simpatizzante dei peripatetici (φιλαριστοτέλης),17 che, secondo la testimonianza del solo
Plutarco18, ne approntò delle copie utilizzate poi da Andronico di Rodi per la sua edizione e i suoi
cataloghi (pínakes) delle pragmateiai aristoteliche.
Sia Strabone che Plutarco propongono la storia della traslazione della biblioteca a Scepsi come
spiegazione della decadenza intellettuale del Liceo post-teofrasteo: secondo questa interpretazione, i
peripatetici ellenistici non sarebbero riusciti a filosofare correttamente in quanto privi dei testi di

11 Cfr. infra, nota 19.


12 Cfr. Str. XIII 1, 54: ὁ δ᾿ εἰς Σκῆψιν κομίσας τοῖς μετ᾿ αὐτὸν παρέδωκεν, ἰδιώταις ἀνθρώποις, οἳ κατάκλειστα εἶχον
τὰ βιβλία, οὐδ᾿ ἐπιμελῶς κείμενα; Plu. Sull. 26: διὰ τὸ τὸν Νηλέως τοῦ Σκηψίου κλῆρον, ᾧ τὰ βιβλία κατέλιπε
Θεόφραστος, εἰς ἀφιλοτίμους καὶ ἰδιώτας ἀνθρώπους περιγενέσθαι. Sia Strabone che Plutarco designano gli eredi di
Neleo come ἰδιώται ἄνθρωποι: su questa curiosa affinità lessicale avremo occasione di ritornare più avanti. Cfr. infra, §
III.
13 Questa parte della vicenda ci è narrata dal solo Strabone. Cfr. Str. XIII 1, 54: ἐπειδὴ δὲ ῄσθοντο τὴν σπουδὴν τῶν
Ἀτταλικῶν βασιλέων, ὑφ᾿ οἷς ἦν ἡ πόλις, ζητούντων βιβλία εἰς τὴν κατασκευὴν τῆς ἐν Περγάμῳ βιβλιοθήκης, κατὰ γῆς
ἔκρυψαν ἐν διώρυγί τινι. La διῶρυξ in cui gli eredi di Neleo nascosero i libri può essere un cunicolo o – traducendo più
liberamente – una cantina; etimologicamente il termine rimanda a διορύσσω, scavare attraverso (dig through, cfr.
Liddell Scott Jones 1996 s.v. διορύττω).
14 Cfr. Str. XIII 1, 54: ὑπὸ δὲ νοτίας καὶ σητῶν κακωθέντα.
15 Ibidem: ὀψέ ποτε ἀπέδοντο οἱ ἀπὸ τοῦ γένους Ἀπελλικῶντι τῷ Τηίῳ πολλῶν ἀργυρίων τά τε Ἀριστοτέλους καὶ τὰ
τοῦ Θεοφράστου βιβλία. Plutarco ci informa semplicemente che la biblioteca ereditata da Neleo era ai tempi di Silla di
proprietà di Apellicone, senza spiegare come questi ne fosse entrato in possesso. Cfr. Plu. Sull. 26: τὴν Ἀπελλικῶνος
τοῦ Τηΐου βιβλιοθήκην, ἐν ᾗ τὰ πλεῖστα τῶν Ἀριστοτέλους καὶ Θεοφράστου βιβλίων ἦν. Apellicone di Teo, ricco
bibliofilo, fu un politico dell'entourage di Atenione: la sua controversa e pittoresca figura è tratteggiata da Posidon.
apud Ath. V 214d-e (= Düring 1957 T66a), ma un abbozzo se ne trova anche in Strabone, che, con elegante gioco di
parole, ci informa che Apellicone fu più bibliofilo che filosofo (e per questo non seppe colmare correttamente le lacune
dei testi aristotelici acquistati). Cfr. Str. XIII 1, 54: ἦν δὲ ὁ Ἀπελλικῶν φιλόβιβλος μᾶλλον ἢ φιλόσοφος· διὸ καὶ ζητῶν
ἐπανόρθωσιν τῶν διαβρωμάτων εἰς ἀντίγραφα καινὰ μετήνεγκε τὴν γραφήν, ἀναπληρῶν οὐκ εὖ, καὶ ἐξέδωκεν
ἁμαρτάδων πλήρη τὰ βιβλία.
16 Cfr. Str. XIII 1, 54: εὐθὺς γὰρ μετὰ τὴν Ἀπελλικῶντος τελευτὴν Σύλλας ἦρε τὴν Ἀπελλικῶντος βιβλιοθήκην ὁ τὰς
Ἀθήνας ἑλών; Plu. Sull. 26: [Σύλλας, scilicet] ἐξεῖλεν ἑαυτῷ τὴν Ἀπελλικῶνος τοῦ Τηΐου βιβλιοθήκην. Si noti che il
solo Strabone puntualizza che Silla si impadronì della biblioteca subito dopo la morte di Apellicone.
17 Cfr. Str. XIII 1, 54: δεῦρο δὲ κομισθεῖσαν Τυραννίων τε ὁ γραμματικὸς διεχειρίσατο φιλαριστοτέλης ὤν; Plu. Sull.
26: λέγεται δὲ κομισθείσης αὐτῆς εἰς Ῥώμην Τυραννίωνα τὸν γραμματικὸν ἐνσκευάσασθαι τὰ πολλά.
18 Cfr. Plu. Sull. 26: καὶ παρ᾿ αὐτοῦ [Τυραννίωνος, scilicet] τὸν Ῥόδιον Ἀνδρόνικον εὐπορήσαντα τῶν ἀντιγράφων εἰς
μέσον θεῖναι καὶ ἀναγράψαι τοὺς νῦν φερομένους πίνακας.

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scuola del loro maestro19. Un declino filosofico del Peripato successivo a Stratone è effettivamente
documentato anche da Cicerone20, testimoniato dai frammenti dei peripatetici ellenistici 21 ed
esemplificato paradigmaticamente da Licone, terzo e ultimo scolarca peripatetico del catalogo di
Diogene Laerzio22, noto più per la soavità del suo eloquio (che gli valse il nomignolo di Glicone 23)
che per lo spessore intellettuale; il quadro complessivo sembra essere quello di un Liceo, che –
dimenticate le opere di scuola dello Stagirita – si dedica allo studio delle sole opere pubblicate, cioè
dei dialoghi24.
A partire dal secondo Ottocento, la testimonianza di Strabone e Plutarco è stata oggetto di
discordanti e spesso fantasiose interpretazioni25 che – proponendo ricostruzioni di volta in volta
bilanciate o avventurose, ma comunque sempre ipotetiche – hanno allontanato l'attenzione degli
studiosi dai pochi dati effettivamente traditi dalle fonti: a un'adesione acritica alla storia della
biblioteca a Scepsi26 ha fatto seguito negli studi più recenti un diffuso scetticismo nei confronti della
testimonianza di Strabone e Plutarco, valutata generalmente come inaffidabile27.
A fronte di un orizzonte di indagine ricco di ipotesi difficilmente dimostrabili, l'intento di questo
contributo è quello di riportare il problema della biblioteca perduta di Aristotele al vaglio delle
fonti, accettandone anche, quando necessario, la problematicità e le incolmabili lacune: allargando il
ventaglio delle testimonianze oltre i loci di Strabone e Plutarco e rinunciando a formulare ipotesi
non sostenute dalle fonti, proverò a tratteggiare un nuovo quadro della questione, senz'altro più
19 Cfr. Str. XIII 1, 54; Plu. Sull. 26. Strabone spiega che i Peripatetici antichi, cioè quelli venuti subito dopo Teofrasto
(οἱ ἐκ τῶν περιπάτων οἱ μὲν πάλαι οἱ μετὰ Θεόφραστον), non avevano di Aristotele che pochi libri e soprattutto gli
essoterici (μάλιστα οἱ ἐξωτερικοί), cioè i dialoghi; il che ci induce a pensare per opposizione che la biblioteca di Scepsi
contenesse soprattutto copie degli scritti acroamatici (del resto, essendo i dialoghi aristotelici opere pubblicate già in
vita dallo Stagirita, e quindi diffuse all'esterno del Liceo, per accedervi non serviva disporre di fondi bibliotecari
speciali). Sui dialoghi aristotelici, pervenutici soltanto in frammenti, cfr. infra, nota 24. Plutarco, che pure offre dei
peripatetici antichi (οἱ πρεσβύτεροι Περιπατητικοί) un ritratto più positivo, sottolineando come essi fossero uomini
arguti ed eruditi (χαρίεντες καὶ φιλολόγοι: un riferimento forse agli interessi retorici, tutti rivolti ai dialoghi di
Aristotele, del Peripato di Licone e successori), ricorda anch'egli che essi non ebbero degli scritti del maestro una
conoscenza né estesa né approfondita.
20 Cfr. Cic. Fin. V 4-5 e in particolare V 5, 13, in cui si dice che i peripatetici ellenistici «ita degenerant ut ipsi ex se
nati viderentur», a sottolineare la natura ripetitiva del loro insegnamento.
21 I frammenti dei peripatetici ellenistici sono raccolti in Wehrli 1944-78.
22 Cfr. DL V 65-74.
23 Ivi V 66.
24 Per un esame delle vicende intellettuali e istituzionali del Liceo ellenistico, cfr. Wehrli 1944-78, vol. X, pp. 95-128 e
Lynch 1972, pp. 135-62. Il testo di riferimento sul Liceo come istituzione e luogo fisico è ancora Lynch 1972. La
questione dei dialoghi aristotelici, pubblicati in vita dallo stesso Stagirita ma pervenutici soltanto in forma
frammentaria, e del loro rapporto con i testi acroamatici è un problema complesso. In merito si vedano l'ancora valido
Moraux 1951, pp. 167-72 e, per una rassegna commentata delle fonti antiche sui testi essoterici di Aristotele, Düring
1957, pp. 426-43. I frammenti dei dialoghi aristotelici sono raccolti in Rose 1886.
25 Per una rassegna commentata degli studi, cfr. Moraux 1973, pp. 20-2, nota 52. Gli studi di riferimento sulla storia
della biblioteca di Scepsi sono Moraux 1973, pp. 3-31 e Gottschalk 1987, pp. 1079-1174, in particolare pp. 1083-97.
26 Per un esempio di questa posizione cfr. Usener 1914, pp. 104-162, in particolare pp. 150-4. Usener 1914 sostiene
anche che la fonte di Strabone e Plutarco per la storia della biblioteca a Scepsi sia Andronico di Rodi. Sulla questione
della fonte diretta del locus straboniano, cfr. infra, nota 57.
27 Particolarmente scettico nei confronti della testimonianza di Strabone e Plutarco è Gottschalk 1972, pp. 335-42 e,
con toni più morbidi, Gottschalk 1987.

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scarno ma forse anche meno scivoloso.

II. Strabone e Plutarco confutati


Il rifiuto della testimonianza di Strabone e Plutarco passa nella maggior parte degli studi attraverso
il rifiuto della sua efficacia causale nella spiegazione della decadenza del Peripato post-teofrasteo 28;
i due piani della narrazione straboniano-plutarchea, quello documentario (a. Neleo porta la
biblioteca a Scepsi) e quello interpretativo (b. la traslazione della biblioteca a Scepsi spiega il
declino del Liceo), sono anzi spesso talmente avvicinati da confonderli, appiattendo (a) su (b) e
interpretandolo come poco più che un aneddoto ad hoc.
Secondo questa posizione, due sono i motivi per cui la traslazione della biblioteca a Scepsi non
spiegherebbe, attraverso l'ipotesi dell'inaccessibilità libraria, la decadenza del Peripato:
1) non è ragionevole pensare che, anche nel caso in cui Neleo avesse davvero portato i libri di
Aristotele con sé a Scepsi, il Liceo non disponesse di copie delle opere di scuola del maestro29;
2) a fronte di un generalizzato uso ellenistico, all'esterno e all'interno del Liceo, dei dialoghi
aristotelici, accessibili – in quanto pubblicati – anche a prescindere dal possesso di opere o copie di
opere contenute nella biblioteca privata di Aristotele, abbiamo chiare testimonianze30 di una
presenza ad Alessandria, Rodi e forse ad Atene delle opere acroamatiche dello Stagirita anche nel
periodo in cui esse, secondo Strabone e Plutarco, sarebbero dovute essere nascoste a Scepsi31.
L'idea sottesa a (1) e (2) è che, se in epoca ellenistica esistevano in più luoghi copie delle opere
acroamatiche, la storia di Scepsi perde completamente il suo valore perché, non spiegando più
l'inaccessibilità delle pragmateiai, non spiega nemmeno più la decadenza del Liceo. Se dopo
Teofrasto il Liceo declinò, non fu perché le opere di scuola del maestro fossero nascoste a Scepsi,

28 Cfr. Gottschalk 1972; Lynch 1972, pp. 146-9; Gottschalk 1987; Natali 1991, pp. 121-9.
29 Questo argomento viene utilizzato soprattutto per sostenere la presenza delle opere acroamatiche di Aristotele
nell'Atene ellenistica, che – come vedremo a breve – per quanto altamente plausibile non è completamente dimostrata
dalle fonti. Cfr. Lynch 1972, pp. 147-8: «Despite the implications of Strabo's statement, it is not reasonable to suppose
that the library of Neleus contained the only copies of the pragmateiai written under Aristotle and Theophrastus. Other
members of the school doubtless had copies of esoteric works which interested them and coul have gotten copies of
others if they had some incentive to do so»; Natali 1991, p. 129: «Il giudizio sul Peripato dopo Stratone dato da
Strabone e Plutarco è storicamente esatto, e condiviso dagli storici moderni; ma i particolari di tutta la storia lasciano
molto perplessi e non c'è ragione di ritenere che gli scritti di Aristotele siano del tutto scomparsi dalla faccia della terra
fino all'età di Cicerone».
30 Le esamineremo a breve. Cfr. infra, pp. 6-8.
31 Sull'importanza di queste fonti nella confutazione della testimonianza di Strabone e Plutarco insistono
particolarmente Gottschalk 1972, p. 337, Gottschalk 1987, p. 1085, Natali 1991, p. 127; più morbida la posizione di
Lynch 1972, p. 149, che accetta insieme la diffusione policentrica di testi acroamatici aristotelici nell'ecumene
ellenistica e la storia della biblioteca perduta (sul piano documentario ma non su quello interpretativo): «The loss of the
library was undoubtedly a serious inconvenience and could not help setting back somewhat the workings of a school
which aimed to systematize the whole of human knowledge. But that loss alone cannot, as Strabo would have it,
completely explain the decline of the Peripatos». Le fonti che attestano l'accessibilità ellenistica dei testi di scuola dello
Stagirita sono discusse senza pregiudizi negativi nei confronti della storia di Strabone e Plutarco in Moraux 1973, pp. 5-
8.

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perché sappiamo dalle fonti che esse erano invece reperibili in due città almeno dell'ecumene
ellenistica.
Ma se la narrazione di Strabone e Plutarco è insoddisfacente (b) sul piano interpretativo,
dobbiamo rifiutarne anche la validità (a) sul piano documentario? La storia della biblioteca a Scepsi
è cioè squalificata per il fatto di non spiegare la decadenza del Peripato ellenistico, per la
spiegazione della cui decadenza – sostengono i suoi detrattori – essa sarebbe appunto stata creata 32?
Vedremo a breve che il rifiuto totale della narrazione di Strabone e Plutarco passa per una
confusione logicamente indebita o comunque retorica dei piani (a) narrativo e (b) interpretativo. Per
ora concentriamoci ancora un attimo sui due argomenti che confutano l'efficacia interpretativa della
storia di Scepsi.
L'argomento (1), che si appoggia soltanto su un'ipotesi ragionevole, per quanto plausibile non
può essere di per sé né confermato né smentito; l'argomento (2), che procede da un esame delle
fonti e suffraga in ultima analisi (1), merita invece più attenzione. Quali sono le fonti che
testimoniano una presenza delle opere acroamatiche di Aristotele ad Atene, Alessandria e Rodi in
epoca ellenistica? I testi che supportano l'affermazione sono quattro:
F3) il catalogo delle opere di Aristotele trasmesso da Diogene Laerzio 33: sia che si accetti la
convenzionale attribuzione di questo catalogo (a) all'alessandrino Ermippo 34, sia che lo si voglia
ascrivere invece secondo l'ipotesi di P. Moraux35 (b) allo scolarca peripatetico Aristone, il catalogo
testimonia la presenza (a) ad Alessandria o (b) ad Atene di una ricca biblioteca di testi aristotelici,
comprendente non solo i dialoghi, ma anche molte opere acroamatiche, benché in forma
evidentemente diversa da quella andronicea36;
F4) un frammento di Epicuro tràdito da un papiro di Filodemo di Gadara 37 in cui si citano gli
Analitici (sic: τὰ ἀναλυτικά) e la Fisica (τὰ περὶ φύσεως) di Aristotele: il locus è curioso, perché
32 Cfr. Gottschalk 1987, p. 1088: «Strabo's claim looks like a fiction invented to support his expanation of the decline
and recovery of Aristotle's school. Now this explanation is based on the assumption that serious philosophising must
start from written texts». Gottschalk 1987 continua la sua argomentazione tentando di dimostrare che l'autore della
storia – secondo lui fittizia – della biblioteca a Scepsi è Tirannione di Amiso; Gottschalk 1972 ipotizzava ancora più
fantasiosamente che la storia fosse da attribuirsi ad Apellicone di Teo. Cfr. Gottschalk 1972, p. 339 sgg. Sulla questione
della fonte diretta del locus straboniano, cfr. infra, nota 57.
33 DL V 22-7. Per un commento, cfr. Düring 1957, pp. 67-9 e Moraux 1951.
34 Del catalogo di Ermippo ci dà notizia un scolio della metafisica di Teofrasto (= Düring 1957 T75c), che lo affianca
per autorevolezza a quello di Andronico. L'identificazione di questo catalogo con quello riportato da Diogene Laerzio,
per quanto accettata della maggior parte degli studi, non è certa. Per un esame commentato delle posizioni in causa, cfr.
Moraux 1973, p. 4, nota 2.
35 Moraux 1951, p. 237 sgg. Contro l'ipotesi di P. Moraux si è espresso Düring 1956.
36 La principale differenza fra le opere del catalogo di Diogene Laerzio e quelle pubblicate da Andronico è, a parità di
titolo, il diverso numero di libri che le compongono (ad esempio gli Analitici primi del catalogo ellenistico contano
nove libri contro i due dell'edizione andronicea); sotto titoli autonomi, si trovano inoltre nel catalogo ellenistico testi che
verranno incorporati da Andronico in opere più ampie (ad esempio la Fisica andronicea raccoglie probabilmente i testi
indicati come Περὶ φύσεως, Φυσικόν e Περὶ κινήσεως nel catalogo tràdito da Diogene). Sulle pínakes di Andronico, cfr.
Moraux 1973, pp. 60-3.
37 Epicur. apud Phld. Adversus [Sophistas], Fr. 13 7-14, cit. in Moraux 1973, p. 11, n. 22.

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l'Aristotele conosciuto e avversato da Epicuro è solitamente quello, familiare ai lettori ellenistici,
dei dialoghi38. Si badi però che il testo del papiro è corrotto e ne sono state offerte due ricostruzioni
discordanti39: E. Bignone40 lo interpreta come se Epicuro stesse chiedendo in consultazione delle
opere aristoteliche che non conosce, mentre secondo P. Moraux41 il filosofo starebbe parlando di
testi già letti. Comunque si voglia leggere il problematico locus, esso attesta, se non la conoscenza
epicurea delle due pragmateiai, almeno la loro effettiva reperibilità in epoca ellentistica, anche al di
fuori del Liceo;
F5) un locus di Ateneo42 in cui si dice che Tolemeo Filadelfo acquistò per la biblioteca di
Alessandria collezioni peripatetiche provenienti da Atene e Rodi: il passo è particolarmente
generoso di informazioni, perché attesta la presenza di testi aristotelici non solo ad Alessandria, ma
anche ad Atene e a Rodi. La questione del rapporto fra il Peripato e i Tolemei merita qualche parola
in più: le fonti antiche testimoniano le buone relazioni fra il Liceo e la corte tolemaica,
informandoci che Stratone di Lampsaco fu precettore di Tolemeo II 43 e che Demetrio del Falero
aiutò il Filadelfo nell'organizzazione della biblioteca di Alessandria 44. Quest'ultima testimonianza, a
cui fa eco la falsa notizia data da Strabone45 secondo cui a curare l'istituzione della biblioteca
alessandrina sarebbe stato lo stesso Stagirita, testimonia fra l'altro lo stretto legame – avvertito già
dagli antichi – fra il Peripato aristotelico e post-aristotelico, promotore di una metodologia
filosofica ed epistemica fondata sul libro, e la cultura ellenistica della biblioteca. Su di un altro
piano, segnalo incidentalmente che il passo di Ateneo confonde ulteriormente la storia della
biblioteca di Neleo perché narra – in contraddizione con quanto detto da Strabone e Plutarco 46 –
che, ai libri acquistati ad Atene e Rodi, Tolemeo aggiunse una collezione peripatetica ottenuta da
Neleo. Sulla questione torneremo a breve, vedendo se sia possibile sciogliere il conflitto fra le
fonti47;

38 Sulla ricezione dell'Aristotele essoterico nel pensiero di Epicuro, cfr. Bignone 1936. La corposa e ben documentata
monografia di E. Bignone risente purtroppo, per ovvi motivi cronologici, di una lettura genetica del pensiero aristotelico
chiaramente improntata alle tesi di W. Jäger. Questa cornice teorica porta E. Bignone alla discutibile scelta di ricondurre
i dialoghi di Aristotele esclusivamente a una fase giovanile e perciò platonica del suo pensiero – una ricostruzione che
oggi risulta sbilanciata e fuori fuoco.
39 Si tratta di una questione filologica nel cui specifico non entro; mi limito a rimandare in merito alle indicazioni
fornite da E. Bignone e P. Moraux. Cfr. infra, note 40 e 41.
40 Cfr. Bignone 1936, vol. II, p. 106 sgg.
41 Cfr. P. Moraux 1973, p. 11, nota 22.
42 Ath. I 3a (= Düring 1957 T42d): παρ᾿ οὗ [Νηλέως, scilicet] πάντα [τὰ βιβλία Ἀριστοτέλους καὶ Θεοφράστου,
scilicet] πριάμενος ὁ ἡμεδαπὸς βασιλεὺς Πτολεμαῖος, Φιλάδελφος δὲ ἐπίκλην, μετὰ τῶν Ἀθήνηθεν καὶ τῶν ἀπὸ Ῥόδου
εἰς τὴν καλὴν Ἀλεξάνδρειαν μετήγαγε.
43 Cfr. DL V 58: [Στράτων, scilicet] καθηγήσατο Πτολεμαίου τοῦ Φιλαδέλφου.
44 Le fonti sono riportate e discusse da Wehrli 1944-78, vol. IV T63 sgg.
45 Cfr. Str. XIII 1, 54: [Ἀριστοτέλης, scilicet] διδάξας τοὺς ἐν Αἰγύπτῳ βασιλέας βιβλιοθήκης σύνταξιν.
46 Cfr. supra, § I.
47 Cfr. infra, § III.

7
F6-61) un locus nel Commento alla Metafisica di Asclepio48 e un locus nel Commento alla Fisica
di Simplicio49 da cui emerge rispettivamente che Eudemo possedeva a Rodi una redazione primitiva
della Metafisica e una copia della Fisica: Asclepio narra che, conclusa la stesura della Metafisica,
Aristotele ne spedì una copia a Rodi affinché Eudemo la rivedesse, ma la storia è poco attendibile,
perché Asclepio la introduce per spiegare il carattere eterogeneo e composito della Metafisica e il
valore documentario dell'aneddoto potrebbe risolversi tutto in questo suo uso eziologico (lo stesso
utilizzo del titolo Metafisica, riferito ai tempi di Eudemo, è anacronistico) 50; Simplicio ci informa
invece che Eudemo, temendo che la sua copia della Fisica fosse poco accurata, scrisse a Teofrasto
per avere un riscontro su alcuni loci del quinto libro – e la notizia pare più attendibile.
Proviamo ora a delineare il quadro che emerge da una lettura incrociata delle fonti: se F4 e F6-6 1
ci danno notizia della reperibilità e dell'utilizzo solo di alcuni testi specifici (Analitici, Fisica,
Metafisica) e non del corpus delle opere acroamatiche nel suo complesso, il catalogo di F3 ci
fornisce invece l'immagine di una biblioteca peripatetica compiutamente articolata, anche se
organizzata secondo modelli ed esigenze in parte diversi da quelli che ci sono familiari attraverso
l'editio di Andronico. Anche se volessimo rifiutare la paternità ermippea del catalogo di F3,
l'esistenza di una collezione peripatetica nella grande biblioteca di Alessandria ci è confermata da
F5, che attesta altresì la presenza di testi acroamatici ad Atene e a Rodi, in conformità con quanto
sostenuto da F6-61.
La probabile presenza delle pragmateiai ad Atene (verosimilmente nella biblioteca del Liceo)
suggerita da F5 può essere però definitivamente accolta solo da chi sottoscriva l'opzione esegetica
di P. Moraux51, secondo cui il catalogo di F3 sarebbe stato stilato dallo scolarca Aristone; altrimenti,
resta ipotetica. Sulla presenza di opere acroamatiche a Rodi e Alessandria possiamo invece
pronunciarci affermativamente con ragionevole certezza, grazie alle testimonianze di F3, F5 e F6-
61.
A fronte di una generalizzata preferenza ellenistica per i dialoghi aristotelici, che fa sì che, nel
dibattito filosofico e dossografico predomini, a scapito delle opere acroamatiche, l'Aristotele delle
opere pubblicate, la reperibilità delle pragmateiai è attestata per almeno due centri ellenistici (Rodi
e Alessandria) e fortemente suggerita per un terzo (Atene); il che ci assicura che, se le opere di
scuola di Aristotele furono poco lette dai lettori ellenistici – fossero essi esterni o interni al Liceo –

48 Ascl. in Metaph. 4.4-16 (= Wehrli 1944-78, vol VIII T3).


49 Simp. in Ph. 923.7-16 (= Wehrli 1944-77, vol. VIII T6).
50 È risaputo che i testi che Andronico di Rodi raccolse sotto il titolo di Metafisica (τὰ μετὰ τὰ φυσικά, un conio
androniceo volto forse a indicare l'argomento del trattato, forse la sua collocazione nell'ambito del corpus aristotelicum)
erano in origine opere autonome; Asclepio, che concepisce invece la Metafisica come unitaria, tenta di spiegarne il
carattere composito attraverso l'intervento redazionale di Eudemo. Contro l'ipotesi che il termine 'metafisica' sia di
paternità andronicea si esprime Moraux 1951, p. 314 sgg.
51 Cfr. supra, nota 35.

8
ciò non avvenne a motivo della loro irreperibilità, invalidando quindi la tesi di Strabone e di
Plutarco secondo cui i peripatetici successivi a Teofrasto furono filosofi mediocri per l'impossibilità
di consultare i testi di scuola del maestro52.
Se la testimonianza di Strabone e Plutarco è quindi senz'altro da respingere sul piano
interpretativo (lo scarso utilizzo delle opere acroamatiche da parte dei peripatetici ellenistici è
motivato da uno scarso interesse, non da una perdita dei fondi librari), ciò non significa
automaticamente che la si debba rifiutare anche sul piano documentario. Come ho accennato, la
confusione fra i due piani è indebita e sottende una fallacia logica o un'argomentazione retorica.
Il fatto che esistessero ad Alessandria, Rodi e forse ad Atene raccolte (o addirittura biblioteche)
di scritti acroamatici non esclude di per sé che la biblioteca originale di Aristotele e Teofrasto,
ricevuta in eredità da Neleo, potesse trovarsi a Scepsi – semplicemente, quest'ultimo fatto perde la
sua efficacia esplicativa nell'esame delle cause del declino del Peripato post-teofrasteo. L'esistenza
di copie (o di intere biblioteche di copie) delle pragmateiai aristoteliche, in conformità a una
distribuzione policentrica di fondi librari peripatetici nell'ecumene ellenistica del tutto ragionevole e
prevedibile, non preclude la possibilità che gli originali (o forse altre copie?) dei libri di Aristotele e
Teofrasto fossero siti a Scepsi. Prima di rifiutare la validità della narrazione di Strabone e Plutarco
sul piano documentario, dobbiamo accertarci se essa sia confermata o confutata da altre
testimonianze – e per farlo è necessario (1) indagare il rapporto che intercorre fra il locus di
Strabone e il locus di Plutarco e (2) allargare il ventaglio delle fonti.

III. Strabone e Plutarco rivalutati


Una riconsiderazione della storia della biblioteca aristotelica di Scepsi passa innanzitutto attraverso
una determinazione del rapporto che lega l'esposizione di Plutarco a quella di Strabone: se infatti la
prima è indipendente dalla seconda, possiamo considerare Plutarco come una testimonianza a
supporto della veridicità della notizia straboniana; se al contrario Plutarco dipende da Strabone, le
due fonti vanno considerate come una fonte sola.
La questione della dipendenza di Plutarco da Strabone è stata lungamente dibattuta 53, ma ha

52 P. Moraux sottolinea che l'interpretazione di Strabone e Plutarco, che spiega una situazione complessa attraverso un
evento accidentale trasfigurato sul piano aneddotico, è tipica delle fonti dossografiche antiche: questo non significa che
il fatto addotto come spiegazione non sia vero in sé, ma soltanto che esso è discutibile in quanto spiegazione. Cfr.
Moraux 1973, p. 25: «Es ist keine seltene Erscheinung in der antiken literarischen Kritik, daß etwa philologische
Anstöße an einem Text oder irgendwelche auffälligen Eigentümlichkeiten eines Werkes auf ein biographisches Ereignis
zurückgeführt werden, das an sich nicht unglaubwürdig ist, eine gültige, ganz befriedigende Kausalerklärung für die
beobachteten Zustände nicht darstellen kann. […] Die Unzulänglichkeit solcher Kausalerklärungen besteht nicht etwa
darin, daß die Historizität dei miteinander kombinierten Tatsachen ausgeschlossen ist, sondern viel mehr in der naiv-
vereinfachenden Weise, in der ein ziemlich unwichtiges biographisches detail als einzige Erklärung für eine
komplizierte, sicher aus sehr vielseitigen Ursachen entstandene Situation in Anspruch genommen wird».
53 Per lo status quaestionis si vedano Moraux 1973, p. 19, nota 51 e Gottschalk 1987, pp. 1086-7.

9
conosciuto in P. Moraux una formulazione di insuperata lucidità54. Attraverso una serrata
comparazione (a) tematica e (b) lessicale, lo studioso francese ha dimostrato in maniera convincente
la dipendenza di Plutarco da Strabone: sulle (a) affinità tematiche fra Plutarco e Strabone tornerò a
breve55, dividendo il racconto dei due autori in nuclei narrativi e comparandolo con un certo numero
di fonti indipendenti, per vedere quali dati ne risultino suffragati e quali smentiti. Sappiamo bene
che sul piano interpretativo Strabone e Plutarco propongono entrambi – e con toni molto simili – la
storia della biblioteca perduta come spiegazione dello scarso spessore filosofico del Peripato
ellenistico, ma questa affinità, su cui P. Moraux molto insiste, a noi interessa invece molto meno,
perché – esclusa la validità di Strabone e Plutarco come fonti per la spiegazione della decadenza del
Liceo post-teofrasteo – vogliamo esaminarne ora il solo valore documentario, per indagare, sul
piano della storia evenemenziale, i fatti accaduti alla biblioteca ereditata da Neleo.
Per quanto riguarda (b) le affinità lessicali, mi limito a indicarne una fra le molte possibili:
quando Neleo morì, i suoi libri vennero ereditati dai discendenti, che tanto Strabone quanto Plutarco
designano come ἰδιώται ἄνθρωποι, uomini incolti56. Al di là della ripresa degli snodi narrativi e
dell'ipotesi interpretativa, sono minuti dettagli lessicali come questo a denunciare una dipendenza
diretta del locus plutarcheo da quello straboniano, evocando quasi l'immagine di una stesura svolta
con la fonte sottomano.
Poiché è ragionevole ritenere con P. Moraux che Plutarco dipenda da Strabone, i due autori
vanno considerati quindi come un'unica fonte57. Dopo averne rifiutato la validità sul piano
interpretativo, abbiamo anche appurato58 che non si dà, stando alle fonti F3, F4, F5 e F6-6 1, alcun
serio motivo per non accettarne la testimonianza sul piano documentario: vediamo ora se,
ampliando la raccolta delle testimonianze in esame, la storia della biblioteca a Scepsi non possa
ottenere invece qualche conferma. Come ho già accennato, cercherò di evitare ricostruzioni
congetturali, attenendomi quanto più possibile alle sole fonti e rinunciando a riempirne le lacune.
Il metodo più semplice e chiaro per analizzare il valore delle testimonianze a favore e contro la
storia della biblioteca a Scepsi è quello di disporle in una tavola sinottica 59: in questo modo, un
semplice colpo d'occhio consentirà al lettore di appurare quali passaggi della narrazione siano
54 Cfr. Moraux 1973, pp. 21-3.
55 Cfr. infra, p. 11 sgg.
56 È un'assonanza che abbiamo già rilevato. Cfr. supra, nota 12.
57 Un problema ulteriore – e difficilmente determinabile – è quello della fonte diretta di Strabone (per una rassegna
degli studi, cfr. Moraux 1973, p. 19, nota 51). In mancanza di specifiche indicazioni nelle fonti, qualsiasi ricostruzione è
destinata a restare puramente ipotetica; fra le ipotesi avanzate, la più plausibile mi sembra essere quella che individua la
fonte prossima della narrazione straboniana nello stesso Tirannione, alle cui lezioni Strabone partecipò. Cfr. Str. XII 3,
16 (= Düring 1957 T74d): γραμματικὸς δὲ Τυραννίων οὗ ἡμεῖς ἠκροασάμεθα. In mancanza di conferme dalle fonti, ci
converrà comunque considerare Strabone come fonte tradente più antica, lasciando aperta la questione di quale fonti
ulteriori essa sottenda – questione che non invalida di per se stessa l'attendibilità della testimonianza straboniana.
58 Cfr. supra, § II.
59 Cfr. infra, pp. 16-7.

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confermati da più testimonianze e quali siano traditi invece dai soli Strabone e Plutarco60.
Vediamo innanzitutto, disponendole in ordine cronologico, quali sono le fonti che si aggiungono
a Strabone (F1) e Plutarco (F2) nella nostra tavola sinottica:
F7) il testamento di Teofrasto tràdito da Diogene Laerzio61;
F8) un frammento delle Storie di Posidonio citato verbatim da Ateneo in cui si narra della
carriera politica di Apellicone di Teo e della sua bibliofilia62;
F5) un locus di Ateneo, che abbiamo già incontrato63, in cui si accenna alle collezioni
peripatetiche acquistate da Tolemeo Filadelfo per la biblioteca di Alessandria.
Per appurare quali passaggi del racconto tràdito da F1 e F2 siano confermati da queste tre fonti
esterne, conviene ora dividere la narrazione in quattro tempi: T1, T2, T3, T4.

T1) Teofrasto lascia i suoi libri a Neleo (F7, F1, F2, F5): questo primo passaggio è confermato da
due fonti esterne, di cui una – F7, il testamento di Teofrasto – è particolarmente importante. La
notizia tràdita da Ateneo (F5) secondo cui Neleo avrebbe ricevuto la biblioteca di Aristotele e
Teofrasto potrebbe in effetti anche dipendere dalla testimonianza di Strabone e Plutarco; il lascito
teofrasteo della biblioteca a Neleo trova però un'importante conferma nel testamento dello stesso
Eresiano conservato da Diogene Laerzio, in cui si dispone esplicitamente che tutti i libri (τὰ δὲ
βιβλία πάντα)64 vadano in eredità a Neleo65.
Sfortunatamente, il testamento di Teofrasto non ci dà nessuna informazione sui titoli della
biblioteca dell'Eresiano, né tanto meno ci informa se essa contenesse i libri di Aristotele (nel
testamento dello Stagirita, tramandato sempre da Diogene Laerzio66, non c'è alcuna menzione di una
biblioteca)67. La questione cruciale se fra i libri di Teofrasto si trovassero anche quelli di Aristotele,
60 Moraux 1973, pp. 22-3, note 53-56, comparando su due colonne alcuni loci dei testi straboniano e plutarcheo,
suggerisce implicitamente la possibilità di una lettura sinottica, ma la tavola da me approntata, che amplia il ventaglio
delle fonti a tutte le testimonianze in causa, è a mia conoscenza il primo tentativo di lettura sinottica completa della
storia della biblioteca a Scepsi.
61 Thphr. apud DL V 51-57.
62 Posidon. apud Ath. V 214d-e (= Düring 1957 T66a).
63 Cfr. supra, § II, p. 7.
64 Cfr. Thphr. apud DL V 52.
65 La questione del perché Teofrasto abbia lasciato i libri a Neleo e non al Peripato è destinata purtroppo a restare
irrisolta. Moraux 1973, p. 12 ipotizza che, destinando i libri a Neleo, Teofrasto volesse indicarlo come suo successore
alla guida del Liceo (ma sappiamo che lo scolarcato passò invece a Stratone di Lampsaco); Gottschalk 1972, pp. 336-7,
crede – su modello del testamento di Licone – che Teofrasto intendesse affidare a Neleo il compito di predisporre i suoi
scritti per la pubblicazione.
66 Cfr. Arist. apud DL V 11-16.
67 Essendo un meteco, Aristotele non poteva possedere terreni o edifici ad Atene, cosicché la sua scuola non era sita in
uno stabile di sua proprietà, ma in locali presi in affitto. Fu solo Teofrasto a ottenere, per concessione di Demetrio del
Falero, la proprietà della scuola, pur essendo meteco egli stesso: per questo motivo nel suo testamento si trovano molte
disposizioni sui locali del Liceo che nel testamento di Aristotele non avevano invece ragion d'essere (e forse il silenzio
dello Stagirita sulla biblioteca va interpretato proprio in questa prospettiva). Per una discussione di questi problemi e in
particolare della questione dello statuto giuridico del Liceo, con confutazione dell'antica tesi di U. von Wilamowitz-
Moellendorf secondo cui le scuole filosofiche ateniesi sarebbero state thíasoi, cfr. Lynch 1972, pp. 106-34.

11
per quanto risolta affermativamente da Strabone, Plutarco e Ateneo, è quindi taciuta dal documento
più affidabile in nostro possesso: in assenza di testimonianze esplicitamente contrarie, possiamo
cautamente accettare la notizia di F1, F2 e F5, secondo cui la biblioteca di Teofrasto avrebbe
contenuto anche i libri di Aristotele – ma il silenzio del testamento di Teofrasto è un silenzio che
non dobbiamo ignorare.

T2) Neleo porta i libri a Scepsi e li lascia in eredità ai suoi discendenti, uomini incolti (F1, F2;
contra F5): questo secondo passaggio è esplicitamente contraddetto da una fonte esterna, il locus di
Ateneo (F5) che abbiamo appena utilizzato a supporto di T1. Ateneo ci informa infatti che, dopo
avere ricevuto i libri di Aristotele e Teofrasto, Neleo li vendette tutti (πάντα)68 a Tolemeo Filadelfo,
che li aggiunse, nella biblioteca di Alessandria, a una collezione peripatetica proveniente da Atene e
da Rodi.
Possiamo provare a sciogliere la contraddizione che oppone F5 a F1 e F2 ipotizzando che il
brano di Ateneo, che stranamente conferma la narrazione di Strabone e Plutarco per quanto riguarda
T1 ma non per quanto riguarda T2, sia il risultato della collazione di due loci diversi, o forse un
tentativo di Ateneo di armonizzare la notizia (ricavata da Strabone e Plutarco, se non dallo stesso
testamento di Teofrasto) secondo cui Neleo avrebbe ricevuto in eredità tutti i libri di Aristotele con
il fatto che ad Atene, Rodi e soprattutto ad Alessandria si trovavano ricche collezioni di testi
aristotelici.

T3) Apellicone di Teo compra la biblioteca di Aristotele (F8, F1, F2): questo terzo passaggio è
supportato da un'importante fonte esterna, probabilmente anteriore a Strabone e sicuramente
indipendente. Si tratta di un frammento delle Storie di Posidonio (F8) in cui l'autore, narrando la
sfortunata impresa militare condotta per conto di Atenione69 da Apellicone di Teo, si diffonde sulla
proverbiale bibliofilia di quest'ultimo70, narrando fra l'altro come Apellicone, essendo assai ricco
(πολυχρήματος)71, avesse acquistato la biblioteca di Aristotele. Il dato della ricchezza di Apellicone
si accorda molto bene con la notizia straboniana secondo cui egli avrebbe comprato la biblioteca di

68 Cfr. Ath. I 3a.


69 Il sofista Atenione, nominato stratego ad Atene durante la prima guerra mitridatica, governò tirannicamente e portò
la polis alla disfatta opponendosi a Roma come alleato di Mitridate VI Eupatore; su sua richiesta, Apellicone guidò una
fallimentare spedizione navale volta a impadronirsi del tesoro di Delo. Unica fonte sulla vita di Atenione è il lungo
frammento di Posidonio citato da Ateneo che tratta anche di Apellicone. Cfr. Posidon. apud Ath. a 211d sgg. Per un
commento, cfr. Moraux 1973, pp. 28-9.
70 La bibliofilia di Apellicone lo spinse, oltre all'acquisto di molte famose biblioteche, anche ad azioni spregiudicate
come il furto degli antichi decreti conservati nel Metroon. Personaggio dalla vita variopinta e scostante (ποικιλώτατος
καὶ ἁψίκορος βίος), Apellicone si interessò anche di filosofia peripatetica (ἐφιλοσόφει τὰ περιπατητικά). Cfr. Posidon.
apud Ath. V 214d-e.
71 Cfr. Posidon. apud Ath. V 214d-e.

12
Scepsi per una cifra considerevole (πολλῶν ἀργυρίων)72.

T4) Silla di impadronisce della biblioteca di Apellicone e la porta a Roma, dove ci lavora
Tirannione di Amiso (F1-F2); Tirannione procura poi copie dei testi ad Andronico di Rodi che ne
cura l'edizione e i cataloghi (F2): questo quarto e ultimo passaggio riveste un particolare interesse
perché è l'unico snodo narrativo in cui Plutarco riporta un'informazione indipendente da Strabone.
Se Strabone termina infatti la storia della biblioteca con il suo arrivo a Roma e l'opera editoriale di
Tirannione di Amiso, Plutarco ci informa in aggiunta che quest'ultimo approntò copie dei testi
aristotelici utilizzate da Andronico di Rodi per redigere i suoi cataloghi e la sua edizione delle
pragmateiai aristoteliche. Il silenzio di Strabone su Andronico è particolarmente curioso
(soprattutto perché Strabone studiò con Boeto di Sidone, che di Andronico fu appunto allievo) 73 e
c'è chi ha ipotizzato infatti che la fonte della testimonianza plutarchea sia un locus perduto degli
Hystorikà hypomnémata (d'altro canto, si è anche pensato che la fonte di Plutarco possa essere lo
stesso Andronico)74. Mi preme qui soprattutto rilevare come la testimonianza di Plutarco non
contraddica affatto la narrazione straboniana, ma piuttosto la completi.
Ulteriori delucidazioni sulla discrepanza fra Strabone e Plutarco non possono che passare
attraverso un esame della questione di Andronico e della sua edizione degli scritti acroamatici 75, ma
l'editio andronicea, punto d'arrivo certo della storia della biblioteca perduta e insieme punto di
partenza della storia del commento peripatetico tardoantico e medievale, è un problema che esula
dalla storia dei libri di Neleo, strettamente legata sul piano cronologico e tematico alla ricezione
ellenistica delle opere aristoteliche.

Cosa emerge in conclusione dalla nostra lettura sinottica della storia della biblioteca di Scepsi,
svolta a partire dalla constatazione che il locus plutarcheo (F2), pur discostandosene in un punto,
dipende nella sua interezza da quello straboniano (F1)?
La narrazione di F1 e di F2 è confermata in due punti diversi (T 1, T3) da due differenti fonti
esterne (F7, F8), di cui una, il testamento di Teofrasto (F7), testimonia al di là di ogni dubbio che
l'Eresiano lasciò in eredità i suoi libri a Neleo (non informandoci nondimeno se della biblioteca di

72 Cfr. Str. XIII 1, 54.


73 Cfr. Str. XVI 2, 24 (= Düring 1957 T75b).
74 Cfr. Gottschalk 1987, p. 1087, a cui rimando anche per ulteriori indicazioni bibliografiche: «Strabo could have told
the story of Tyrannio and Andronicus more fully in his Historika hypomnemata, which Plutarch cites immediately after
this passage as his authority for a different point, or Plutarch could have obtained his information from Andronicus'
book about Aristotle's writings».
75 Su Andronico e sulla sua attività editoriale, cfr. supra, nota 6. Al contrario di Düring 1957, pp. 420-5 e Lynch 1972,
pp. 193-4, che collocano l'attività editoriale di Andronico a Roma, Moraux 1973 e Gottschalk 1987 ritengono che
Andronico sia stato attivo ad Atene, dove fu probabilmente scolarca del Peripato.

13
Teofrasto facesse parte anche quella di Aristotele) e l'altra, il frammento delle Storie di Posidonio
(F8), supporta decisamente l'informazione di F1 e F2 secondo cui la biblioteca di Aristotele sarebbe
stata acquistata da Apellicone di Teo.
L'unico passo di F1-F2 esplicitamente contraddetto da un'altra fonte è T 2, perché – secondo la
testimonianza di Ateneo (F5) – Neleo non avrebbe portato i libri a Scepsi, ma li avrebbe venduti a
Tolemeo Filadelfo. Abbiamo però visto che F5, che oltretutto conferma F1 e F2 in T 1, nasce
probabilmente in Ateneo dall'esigenza di conciliare l'informazione (ricavata da Strabone e Plutarco,
o forse dallo stesso Teofrasto) secondo cui la biblioteca di Aristotele e Teofrasto sarebbe stata di
proprietà di Neleo con l'effettiva presenza ad Atene, Rodi e Alessandria di raccolte di testi
peripatetici.
L'unico punto in cui Plutarco si discosta da Strabone è T4, in cui – a fronte di un curioso silenzio
di F1 – F2 ci narra che Tirannione approntò delle copie dei testi aristotelici portati a Roma da Silla
per inviarle ad Andronico di Rodi, che se ne servì per redigere la sua edizione del corpus
aristotelicum. Il locus plutarcheo non contraddice però la narrazione straboniana e un esame
soddisfacente della questione ci porterebbe troppo lontano dalla storia della biblioteca di Scepsi,
profondamente legata alla ricezione ellenistica dell'opera aristotelica, laddove l'editio andronicea
prelude evidentemente già alla ricezione tardoantica dei testi dello Stagirita e alla tradizione del
commento peripatetico, che si muovono all'interno di un'orizzonte epistemico e di un ventaglio di
testi ormai profondamente mutati.
Possiamo concludere in breve che, stando al solo vaglio delle fonti, la testimonianza di Strabone
e Plutarco non risulta confutata, ma piuttosto avvalorata.

IV. Conclusioni
Due sono le conclusioni sulle vicende materiali delle opere aristoteliche in età ellenistica che
risultano dell'esame delle fonti svolto nei paragrafi II e III:
1) è certo che, a fronte di una generale preferenza all'interno e all'esterno del Liceo per
l'Aristotele dei dialoghi (testimoniata ad esempio da Epicuro e dallo scolarca peripatetico Licone),
le opere acroamatiche, in una redazione beninteso diversa da quella andronicea, erano conservate a
Rodi e Alessandria, e molto probabilmente ad Atene76;
2) stando alle sole fonti, non esistono motivi ragionevoli per rifiutare una presenza di testi
aristotelici anche a Scepsi, in accordo con le testimonianze di Strabone e Plutarco, supportate in
punti decisivi dal testamento di Teofrasto tràdito da Diogene Laerzio e da un frammento delle

76 Cfr. supra, § II.

14
Storie di Posidonio riportato da Ateneo77.
Su conclusioni simili si attestava già il bilanciato P. Moraux di Der Aristotelismus bei den
Griechen78; qualsiasi affermazione ulteriore, per quanto ragionevole, è semplicemente congetturale.
Fra i molti problemi destinati – stante lo stato attuale delle fonti – a rimanere aperti, vorrei
richiamare brevemente la questione, già evocata in apertura 79, se il lascito librario di Aristotele
consistesse in libri di proprietà o di paternità dello Stagirita. L'ambiguità stessa delle fonti, che
volentieri confondono, sotto la generica designazione di biblia aristotelici, i libri appartenenti alle
due categorie, ci segnala l'importanza che il nesso fra raccolta ed elaborazione di testi gioca
nell'economia del pensiero filosofico aristotelico, avvertita con chiarezza già dagli antichi.
A fronte dell'impossibilità di compilare – sul piano della storia evenemenziale – un catalogo
preciso del lascito librario aristotelico, mi pare opportuno sottolineare invece – sul piano della storia
della mentalità – l'inscindibilità del legame fra l'attitudine di Aristotele alla raccolta di fondi librari e
la struttura del suo pensiero filosofico (che sempre si appoggia su rassegne storico-dossografiche e
repertori scritti). Questa bibliofilia dello Stagirita incise senz'altro molto anche sulla ricerca svolta
nel Liceo sotto il suo scolarcato, andando a delineare un symphilosopheîn assai diverso in quanto al
profilo metodologico da quello praticato nell'Accademia platonica80.
Se Platone è ancora filosofo dell'oralità – o meglio, di un'oralità che problematicamente si
confronta con il supporto scritto – Aristotele è il primo filosofo del libro, che prelude alla cultura
della biblioteca ellenistica e implicitamente alla lunga durata del commento peripatetico.
Significativamente gli esegeti peripatetici tardoantichi e medievali andranno sempre più a
immaginare – per metonimia o forse per contrappasso – Aristotele stesso come una biblioteca.

77 Cfr. supra, § III.


78 Cfr. Moraux 1973 pp. 15-6: «Ein halbes Jahrhundert nach Aristoteles' Tod gab es also in der griechischen Welt
mindestens vier Städte, die Lehrschriften des Philosophen besaßen: Skepsis in der Troas, Alexandrien, Rhodos, wo die
von Eudem ins Leben gerufene philosophische Tradition weitergepflegt wurde, und sicher auch Athen, denn es wäre
völlig unvorstellbar, daß nach Neleus' Weggang der Peripatos überhaupt keine Kopien der wichtigsten Werke des
Aristoteles mehr besessen hätte». Abbiamo visto che la presenza di testi acroamatici aristotelici nell'Atene ellenistica,
per quanto altamente probabile, non è sufficientemente supportata dalle fonti (cfr. supra, § II); P. Moraux la può
sostenere solo sulla base della sua tesi per cui l'autore del catalogo aristotelico tràdito da Diogene Laerzio sarebbe lo
scolarca peripatetico Aristone. Cfr. supra, p. 6 e nota 35.
79 Cfr. supra, § I.
80 Se il symphilosopheîn di Platone, come la sua filosofia, si svolge sul piano decisamente orale della dialettica, il
symphilosopheîn e la filosofia di Aristotele, più tecniche e specializzate, hanno sempre il loro punto di partenza e di
arrivo in raccolte e repertori scritti; con contraddizione solo apparente, la filosofia peripatetica non si può praticare
passeggiando (la celebre paraetimologia secondo cui περιπατετικός deriverebbe da περιπατεῖν e non da περίπατος è
riportata in DL V 2). La monografia di riferimento sull'Accademia è Berti 2010; sulla ricerca filosofica condotta nel
Liceo si veda invece Natali 1990, pp. 93-146. Segnalo incidentalmente che il verbo συμφιλοσοφεῖν (che ricorre anche
nel testamento di Teofrasto) è un conio di Aristotele. Cfr. Arist EN IX 12, 1172a1-8.

15
Appendici I. Tavola sinottica

F7. Thphr. F8. Posidon. F1. Str. XIII 1, F2. Plu. Sull. F5. Ath. I 3a
apud DL V 52 apud Ath. V 54 26
214d-e
T1. Teofrasto τὰ δὲ βιβλία Νηλεύς, ἀνὴρ Νηλέως τοῦ καὶ τὸν τὰ
lascia i suoi πάντα Νηλεῖ καὶ Σκηψίου […] τούτων
libri a Neleo Ἀριστοτέλους ᾧ τὰ βιβλία [Ἀριστοτέλους
(F7, F1, F2, ἠκροαμένος κατέλιπε καὶ
F5) καὶ Θεόφραστος Θεοφράστου,
Θεοφράστου, scilicet]
διαδεδεγμένος διατηρήσαντα
δὲ τὴν βιβλία Νηλέα
βιβλιοθήκην
τοῦ
Θεοφράστου,
ἐν ᾗ ἦν καὶ ἡ
τοῦ
Ἀριστοτέλους·
ὁ γοῦν
Ἀριστοτέλης
τὴν ἑαυτοῦ
Θεοφράστῳ
παρέδωκεν [...]
Θεόφραστος
δὲ Νηλεῖ
παρέδωκεν
T2. Neleo porta Ὁ [Νηλεύς, διὰ τὸ τὸν παρ᾿ οὗ
i libri a Scepsi scilicet] δ᾿ εἰς Νηλέως τοῦ [Νηλέως,
e li lascia in Σκῆψιν Σκηψίου scilicet] πάντα
eredità ai suoi κομίσας τοῖς κλῆρον, ᾧ τὰ [τὰ βιβλία,
discendenti, μετ᾿ αὐτὸν βιβλία scilicet]
uomini incolti παρέδωκεν, κατέλιπε πριάμενος ὁ
(F1, F2); ἰδιώταις Θεόφραστος, ἡμεδαπὸς
oppure Neleo ἀνθρώποις, οἳ εἰς βασιλεὺς
vende i libri a κατάκλειστα ἀφιλοτίμους Πτολεμαῖος,
Tolemeo εἶχον τὰ καὶ ἰδιώτας Φιλάδελφος δὲ
Filadelfo, che βιβλία, οὐδ᾿ ἀνθρώπους ἐπίκλην, μετὰ
li aggiunge a ἐπιμελῶς περιγενέσθαι τῶν Ἀθήνηθεν
una collezione κείμενα καὶ τῶν ἀπὸ
peripatetica Ῥόδου εἰς τὴν
proveniente da καλὴν
Atene e da Ἀλεξάνδρειαν
Rodi (F5). μετήγαγε

16
F7. Thphr. F8. Posidon. F1. Str. XIII 1, F2. Plu. Sull. F5. Ath. I 3a
apud DL V 52 apud Ath. V 54 26
214d-e
T3. Apellicone καὶ ὀψέ ποτε τὴν
di Teo compra [Ἀπελλικῶν ὁ ἀπέδοντο οἱ Ἀπελλικῶνος
la biblioteca di Τήιος, scilicet] ἀπὸ τοῦ γένους τοῦ Τηΐου
Aristotele (F8, τὴν [Νηλέως, βιβλιοθήκην, ἐν
F1, F2) Ἀριστοτέλους scilicet] ᾗ τὰ πλεῖστα
βιβλιοθήκην Ἀπελλικῶντι τῶν
καὶ ἄλλας τῷ Τηίῳ Ἀριστοτέλους
συνηγόραζε πολλῶν καὶ
συχνὰς (ἦν γὰρ ἀργυρίων τά τε Θεοφράστου
πολυχρήματος) Ἀριστοτέλους βιβλίων ἦν
καὶ τὰ τοῦ
Θεοφράστου
βιβλία
T4. Silla si πολὺ δὲ εἰς [Σύλλας,
impadronisce τοῦτο καὶ ἡ scilicet] ἐξεῖλεν
della biblioteca Ῥώμη ἑαυτῷ τὴν
di Apellicone e προσελάβετο· Ἀπελλικῶνος
la porta a εὐθὺς γὰρ μετὰ τοῦ Τηΐου
Roma, dove ci τὴν βιβλιοθήκην
lavora Ἀπελλικῶντος [...] λέγεται δὲ
Tirannione di τελευτὴν κομισθείσης
Amiso (F1- Σύλλας ἦρε τὴν αὐτῆς εἰς
F2); Ἀπελλικῶντος Ῥώμην
Tirannione βιβλιοθήκην ὁ Τυραννίωνα
procura poi τὰς Ἀθήνας τὸν
copie dei testi ἑλών, δεῦρο δὲ γραμματικὸν
ad Andronico κομισθεῖσαν ἐνσκευάσασθαι
di Rodi che ne Τυραννίων τε ὁ τὰ πολλά, καὶ
cura i cataloghi γραμματικὸς παρ᾿ αὐτοῦ τὸν
(F2). διεχειρίσατο Ῥόδιον
φιλαριστοτέλης Ἀνδρόνικον
ὤν εὐπορήσαντα
τῶν
ἀντιγράφων εἰς
μέσον θεῖναι
καὶ ἀναγράψαι
τοὺς νῦν
φερομένους
πίνακας

17
Appendici II. Bibliografia di lavoro

1. FONTI

1.1 Edizioni consultate


F1 = Str. XIII 1, 54: S. Radt (a cura di), Strabons Geographika, Göttingen: Vanderhoeck &
Ruprecht, 2004, vol. III, pp. 602-4.
F2 = Plu. Sull. 26: K. Ziegler (a cura di), Plutarchi vitae parallelae, Leipzig: Teubner, 1973, vol.
III.2, pp. 170-1.
F3 = DL V 22-7: M. Marcovich (a cura di), Diogenes Laertius vitae philosophorum, Stuttgart-
Leipzig: Teubner, 1999, vol. I, pp. 319-26.
F4 = Epicur. apud Phld. Adversus [sophistas], Fr. 13 7-14: F. Sbordone (a cura di), Philodemi
Adversus [sophistas] e papyro herculanensi 1005, Napoli: Loffredo, 1947.
F5 = Ath. I 3a: G. Kaibel (a cura di), Athenaeus Dipnosophistae, Stuttgart: Teubner, 1985, vol. I, pp.
4-5.
F6 = Ascl. in Metaph. 4.4-16: M. Hayduck (a cura di), Asclepii in Aristotelis Metaphysicorum libros
A-Z commentaria (CAG VI.2), Berlin: G. Reimer Verlag, 1887.
F61 = Simp. in Ph. 923.7-16: H. Diels (a cura di), Simplicii in Aristotelis Physicorum libros quattuor
posteriores commentaria (CAG X), Berlin: G. Reimer Verlag, 1885.
F7 = Thphr. apud DL V 52: M. Marcovich (a cura di), Diogenes Laertius vitae philosophorum,
Stuttgart-Leipzig: Teubner, 1999, vol. I, pp. 345-9.
F8 = Posidon. apud Ath. V 214d-e: G. Kaibel (a cura di), Athenaeus Dipnosophistae, Stuttgart:
Teubner, 1985 vol. I, p. 475.

1.2 Traduzioni consultate


F1 = Str. XIII 1, 54: H.L. Jones (a cura di), Strabo. Geography: Books 13-14, Cambridge (MA):
Harvard University Press, 1929, pp. 109-12; S. Radt (a cura di), Strabons Geographika,
Göttingen: Vanderhoeck & Ruprecht, 2004, vol. III, pp. 603-5.
F2 = Plu. Sull. 26: B. Perrin (a cura di), Plutarch. Lives: Alcibiades and Coriolanus. Lysander and
Sulla, Cambridge, (MA): Harvard University Press, 1916, p. 407.
F3 = DL V 22-7: R.D. Hicks (a cura di), Diogenes Laertius. Lives of Eminent Philosophers,
Cambridge (MA): Harvard University Press, 1925, vol. I, pp. 465-475.

18
F5 = Ath. I 3a: S. Douglas Olson (a cura di), Athenaeus. The Learned Banqueters, Cambridge
(MA): Harvard University Press, 2007, vol. I, pp. 11-2.
F7 = Thphr. apud DL V 52: R.D. Hicks (a cura di), Diogenes Laertius. Lives of Eminent
Philosophers, Cambridge (MA): Harvard University Press, 1925, vol. I, pp. 503-9.
F8 = Posidon. apud Ath. V 214d-e: S. Douglas Olson (a cura di), Athenaeus. The Learned
Banqueters, Cambridge (MA): Harvard University Press, 2007, vol. II, p. 527.

1.3 Raccolte di fonti


DÜRING 1957: I Düring (a cura di), Aristotle in the Ancient Bibliographical Tradition, Göteborg:
Elanders Boktryckeri Aktiebolag: 1957.
ROSE 1886: V. Rose (a cura di), Aristotelis qui ferebantur librorum fragmenta, Leipzig: Teubner,
1886.
WEHRLI 1944-78: F. Wehrli (a cura di), Die Schule des Aristoteles, Basel-Stuttgart, 1944-78.

2. VOCABOLARI
GLARE 1982: P.G.W. Glare, Oxford Latin Dictionary, Oxford: Clarendon Press, 1982.
LIDDELL, SCOTT, JONES 1996: H.G. Liddell, R. Scott, H.S. Jones, A Greek-English Lexicon.
With a revised supplement, Oxford: Clarendon Press, 1996.

3. STUDI
BERTI 2010: E. Berti, Sumphilosophein. La vita nell'Accademia di Platone, Roma-Bari: Laterza,
2010.
BIGNONE 1936: E. Bignone, L'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, Firenze:
La Nuova Italia, 1936.
CANFORA 1981: L. Canfora, «Questo ucciderà quello», in Id., Una società premoderna. Lavoro
morale scrittura in Grecia, Roma-Bari: Laterza, 1981, pp. 195-208.
DÜRING 1956: I. Düring, Ariston or Hermippus?, in «Classica et Mediaevalia» 56 (1956), pp. 11-
21.
ENDRESS 1997: G. Endress, L'Aristote arabe. Réception, autorité et transformation du Premier
Maître, in «Medioevo» 23 (1997), pp. 1-42.

19
GOTTSCHALK 1972: H.B. Gottschalk, Notes on the Wills of the Peripatetic Scholars, in
«Hermes» 100 (1972), pp. 314-42.
GOTTSCHALK 1987: H.B. Gottschalk, Aristotelian Philosophy in the Roman World from the Time
of Cicero to the End of the Second Century AD, in W. Haase, H. Temporini, Aufstieg und
Niedergang der Römischen Welt, Berlin-New York: Walter de Gruyter, 1987, vol. II.36.2, pp.
1079-1174.
HAVELOCK 1982: E.A. Havelock, The Literate Revolution in Greece and Its Cultural
Consequences, Princeton: Princeton University Press, 1982.
HAVELOCK 1986: E.A. Havelock, The Muse Learns to Write. Reflections on Orality and Literacy
from Antiquity to the Present, New Haven-London: Yale University Press, 1986.
LYNCH 1972: J.P. Lynch, Aristotle's School. A study of a greek educational institution, Berkeley-
Los Angeles-London: University of California Press, 1972.
MORAUX 1951: P. Moraux, Les listes anciennes des ouvrages d'Aristote, Leuven: Publications
universitaires de Louvain, 1951.
MORAUX 1973, Der Aristotelismus bei den Griechen von Andronikos bis Alexander von
Aphrodisias, Berlin-New York: Walter de Gruyter, 1973.
NATALI 1991: C. Natali, Bios theoretikos. La vita di Aristotele e l'organizzazione della sua scuola,
Bologna: il Mulino, 1991.
USENER 1914: H. Usener, Kleine Schriften, Leipzig-Berlin: Teubner, 1914, vol. III.
VEGETTI 2003: M. Vegetti, Quindici lezioni su Platone, Torino: Einaudi, 2003.

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