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Introduzione a

FREGE
di
Mauro Mariani

Editori Laterza
Mauritius_in_libris
I FILOSOFI

Ogni volume di questa collana co- ~


stituisce un ampio capitolo di storia ~
della filosofia, dedicato a un autore o 0

a una corrente di pensiero. Le singo-


le «Introduzioni» offrono gli strumenti
critici essenziali per intendere lopera
dei filosofi alla luce delle più recenti
prospettive storiografiche.

ISBN 88-420-4389-3

Lire 18000 (i.i.)


I 111 HI
9 788842 043898

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I FILOSOFI
60

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© 1994, Gius. Laterza & Figli

Prima edizione 1994

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettua-


ta, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
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danni della cultura.

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INTRODUZIONE A

FREGE
DI
MAURO MARIANI


EDITORI LATERZA

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Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari

Finito di stampare nel gennaio 1994


nello stabilimento d' arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari
CL 20-4389-0
ISBN 88-420-4389-3

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AVVERTENZA

Nel testo sono usate, saltuariamente, queste poche abbre-


viazioni (per i riferimenti alle altre opere di Frege cfr. la Bi-
bliografia posta alla fine del volume):

Abbreviazione Titolo originale Traduzione italiana


Id. Begri/fsschrift Ideografia
Fond. Die Grundlagen I fondamenti
der Arithmetik del!' aritmetica
Sen. e rif Ober Sinn und Senso e riferimento 1
Bedeutung
Princ. Grundgesetze der I principi
Arithmetik dell'aritmetica
Epist. Wissenschaftlicher Alle origini della
Briefwechsel nuova logica

1 In tedesco Sinn und Bedeutung. La traduzione letterale di Bedeutung

sarebbe "significato" (del resto lo stesso Frege aveva suggerito a Peano l'af-
fine "significazione"), ma "significato" appare più vicino al Sinn freghiano
che alla Bedeutung: abbiamo perciò preferito tradurre con "riferimento" (a
sua volta preferito a "denotazione" per evitare allusioni alla distinzione me-
dioevale tra denotazione e connotazione).

VII

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GOTTLOB FREGE

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I. L' «IDEOGRAFIA» E LA LOGICA

1. Inadeguatezza della logica tradizionale

L'antichità ci ha tramandato sia una teoria che un model-


lo di scienza deduttiva rigorosa, la prima esposta da Aristo-
tele nei suoi Analitici Secondi, ed il secondo rappresentato
dagli Elementi di Euclide. Anche se esistono buone ragioni
storiche per situare l'opera di Euclide in un ambiente cultu-
rale profondamente influenzato dalle idee aristoteliche (e
quindi di pensare che abbia strutturato la sua geometria te-
nendo presente l'ideale aristotelico di scienza deduttiva), c'è
una differenza fondamentale tra teoria e modello. Secondo
Aristotele, infatti, in una scienza deduttiva rigorosa tutti i
teoremi debbono essere derivati da principi primi indimo-
strabili mediante regole di deduzione predeterminate (stu-
diate nella sillogistica, che costituisce quindi uno "strumen-
to" indispensabile della scienza); mentre negli Elementi Eu-
clide specifica sì con notevole cura quali sono i suoi punti di
partenza, ma non quali sono le regole di deduzione utilizzate
- e questo non è un caso, perché appare virtualmente im-
possibile ricondurre a forma sillogistica le dimostrazioni eu-
clidee.
Fu Leibniz, probabilmente, quello che si rese conto in mi-
sura maggiore della discrepanza tra teoria epistemologica e
realizzazione scientifica. Il suo progetto di una "mathesis
universalis", in cui fosse possibile esprimere in forma logica-

3
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mente perspicua tutto lo scibile e le connessioni tra i teoremi
fossero stabilite tramite un particolare tipo di calcolo, mira-
va appunto ad adeguare l'ideale di scienza rigorosa al model-
lo matematico: gli enunciati sarebbero stati trasformati in
equazioni, ed una deduzione nella risoluzione di un proble-
ma algebrico. Il sostanziale fallimento di questo progetto di-
pese senza dubbio dalla sua eccessiva ambizione, ma, in lar-
ga misura, anche dal fatto che Leibniz era, nonostante tutto,
rimasto troppo attaccato alla logica tradizionale, in partico-
lare alla riduzione di tutti gli enunciati alla forma standard
"soggetto-predicato" 1•
In effetti la logica aristotelica era, come strumento della
scienza, inadeguata sotto questo ed anche sotto altri, non
meno importanti, aspetti. In particolare:

(a) privilegiamento della forma "soggetto-predicato"


Un semplice esempio è sufficiente per mostrare quanto
sia poco perspicuo ridurre tutto alla forma "soggetto-predi-
cato". Consideriamo l'enunciato "6 è maggiore di 3 ": per
operare questa riduzione bisogna fare di "maggiore di 3" un
predicato che appartiene al soggetto 6; quindi per dire che 6
è maggiore di 2 sarà necessario introdurre un nuovo predi-
cato "maggiore di 2". Se poi vogliamo dimostrare che da "6
è maggiore di 3" e da "3 è maggiore di 2" segue "6 è mag-
giore di 2" dobbiamo costruire un sillogismo di questo tipo:
Ogni maggiore di 3 è maggiore di 2
6 è maggiore di 3
. . 6 è maggiore di 2

Dunque in corrispondenza di un'unica relazione ("maggio-


re") abbiamo un'infinità di predicati, ed una dimostrazione
basata sulla transitività di "maggiore" diventa un sillogismo
riguardante alcuni membri di questa famiglia di predicati.

' Questo non contraddice il fatto che Leibniz volesse ridurre gli enuncia·
ti a equazioni: uno dei modi (ripreso poi da Boole) in cui egli cercava di for.
mulare "Ogni A è B" era appunto AB=A (dove AB significa, in termini di
classi, l'intersezione di A e B).

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(b) separazione della logica proposizionaleda quella termi-
nistica
Il privilegiamento della forma "soggetto-predicato" com-
porta (insieme con l'idea che la scienza riguarda in primo
luogo gli universali) che la struttura enunciativa standard sia
quella in cui un termine universale si predica - o non si
predica - di ("appartiene - o non appartiene - a" nella
terminologia standard degli Analitici ) un altro universale
"quantificato" universalmente o non universalmente; in pra-
tica gli enunciati presi in considerazione appartengono ad
uno dei seguenti tipi (dove A e B stanno per termini univer-
sali come "uomo", "animale", etc.)
Ogni A è B Nessun A è B Qualche A è B Non ogni A è B.

Le premesse sillogistiche avranno perciò una di queste


forme; e la ragione della validità di un sillogismo andrà ine-
vi ta bilmen te ricercata nella disposizione dei termini che
compaiono nelle premesse stesse (in particolare sarà condi-
zione necessaria della validità che esse abbiano un termine in
comune) e nella qualità e quantità delle stesse 2 • Un esempio
paradigmatico del tipo di inferenza che costituisce l'oggetto
di studio dell'analitica aristotelica è il seguente
Ogni B è A
Ogni C è B
.. OgniC èA (BARBARA)

Per la verità Aristotele prende in considerazione anche


"inferenze" che noi struttureremmo in questo modo
n
a Se a allora ~
(dove n è una catena di sillogismi
che termina con l'enunciato a)

'La qualità può essere affermativa (Ogni A è B - Qualche A è B) o ne-


gativa (Nessun A è B; Non ogni A è B); la quantità universale o particolare.

5
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ricorrendo al Modus Ponens. Aristotele, tuttavia, non men-
ziona mai una regola di questo tipo, ma dice che il passaggio
da a a ~ deve essere garantito dall'accordo, stipulato tra i
partecipanti alla discussione, di ammettere ~ una volta che a
sia stato provato sillogisticamente (cfr. An. Pr. A, 23, 41a,
37b, 1).
Del tutto differente era la teoria dell'inferenza sviluppata
immediatamente dopo la morte di Aristotele dagli Stoici, per
i quali le strutture sintattiche logicamente rilevanti erano i
collegamenti tra enunciati non analizzati (fatta astrazione,
cioè, dalla loro struttura interna), in primo luogo proprio il
nesso "Se ... allora ... " la cui validità, per Aristotele, era og-
getto di stipulazione. Le loro regole d'inferenza riguardava-
no appunto collegamenti di questo tipo: ad esempio il primo
ed il quarto indimostrabili} di Crisippo suonano così (gli
Stoici usavano gli ordinali come "variabili" proposizionali)
- Se il primo, allora il secondo; ma il primo; dunque il se-
condo.
- O il primo, o il secondo; ma il primo; dunque non il se-
condo.

e la loro validità riposa evidentemente sul significato di


"Se ... allora ... " e "O ... o ... " (inteso come disgiunzione
esclusiva, vera cioè solo quando esattamente uno dei due
disgiunti è vero).
La logica aristotelica sopravvisse alla fine del mondo anti-
co e divenne parte integrante della nostra eredità culturale,
mentre quella stoica naufragò pressoché completamente:
tuttavia il Medioevo, che ne recepì solo alcuni echi attraver-
so Boezio e i commentatori tardo-antichi di Aristotele, risco-
prì e sviluppò autonomamente, nella sua teoria delle conse-
quentiae, la "logica proposizionale" degli Stoici. Fino a
Boole (cfr. cap. I, 7) le due tradizioni rimasero tuttavia
sostanzialmente estranee l'una all'altra: si riconosceva l' esi-

' Queste regole erano chiamate "indimostrabili" perché la loro validità


non era riconducibile a quella di altre regole, ma dipendeva dal significato
del connettivo che compariva in una delle premesse.

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stenza di sillogismi ipotetici (le regole d'inferenza degli Stoi-
ci) accanto a quelli categorici (aristotelici), ma non ci si po-
neva seriamente il problema di trovare la sorgente comune
della validità degli uni e degli altri. La dottrina medioevale
delle consequentiae aveva prodotto una definizione (o, per
l'esattezza, più definizioni parzialmente divergenti) di cosa
sia in generale la validità di una regola d'inferenza, ma non
una teoria che riconducesse la validità di tutte le regole d'in-
ferenza ad un'unica causa: la validità dei sillogismi continua-
va a dipendere dalla disposizione dei termini e dalla quantità
e qualità delle premesse, quella delle inferenze non sillogisti-
che dal significato dei connettivi.

(c) trattazione degli enunciati quantificati


Si dice comunemente che la logica tradizionale non dispo-
ne di una trattazione adeguata degli enunciati quantificati.
Questo non è del tutto vero, almeno per quel che riguarda le
premesse aristoteliche, dal momento che la teoria della sup-
positio personalis è in grado di rendere conto abbastanza be-
ne del significato di queste ultime. Per dare un'idea di que-
sta teoria definiamo i più importanti tipi di suppositio perso-
nalis: si ha suppositio personalis
- determinata: quando un termine universale A sta di-
sgiuntivamente per tutti i termini di cui è vero, ed è possibi-
le specificare - in linea di principio - di quali termini si
tratti: ad esempio una particolare come "Qualche A è B"
può essere ridotta ad una disgiunzione "A 1 è B v A2 è B
v ... ", dove gli Ai sono tutti i termini di cui A è vero;
- confusa et distributiva: quando un termine universale A
sta congiuntivamente per tutti i termini di cui è vero, e ciò
che è vero del termine universale "si distribuisce" su tutti i
termini subordinati: ad esempio un universale come "Ogni
A è B" può essere ridotta ad una congiunzione "A 1 è B "A2
è B " ... ", dove gli Ai sono tutti i termini di cui A è vero;
- confusa tantum: quando un termine universale B sta dis-
giuntivamente per tutti i termini di cui è vero, ma non è pos-
sibile specificare - in linea di principio - di quali termini
si tratti; può quindi essere sostituito solo da un cosiddetto
7
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termine disgiunto "B 1 o B2 o ... ", dove i Bi sono tutti i termini
di cui B è vero, senza però che lenunciato di partenza possa
essere ridotto ad una disgiunzione di enunciati aventi i Bi co-
me predicati: ad esempio "Ogni A è B" può essere ridotto a
"Ogni A è B1 o B2 o ... ", ma non a "Ogni A.è B1 v Ogni A è
B2 v ... ".

La seguente tabella mostra qual è la suppositio di un ter-


mine a secondo di come occorre negli enunciati del quadra-
to aristotelico:

enunciato termine soggetto termine predicato


univ. aff. confusa et distributiva confusa tantum
univ. neg. confusa et distributiva confusa et distributiva
part. aff. determinata determinata
part. neg. determinata confusa et distributiva

L'idea che sta alla base di questa teoria è che un termine


universale si riferisce sempre a tutto ciò di cui è vero, ma lo
fa in maniera differente a secondo. dei contesti in cui occor-
re. Ed è questo il punto: non è possibile, infatti, formulare
una regola generale, ma è necessario fornire regole ad hoc
contesto per contesto, come risulta già chiaro dalla tabella;
quando poi abbiamo a che fare con quantificatori "incassa-
ti", ad esempio "Ogni ragazzo ama una ragazza", le regole si
complicano ulteriormente e la teoria mostra la sua inadegua-
tezza 4 •

2. L'«ldeografia»: connettivi e giudizi

Nell'Introduzione all'Ideografia Frege accenna breve-


mente al suo programma scientifico: provare che i giudizi
dell'aritmetica sono dimostrabili in maniera puramente lo-

'Cfr. a questo proposito il primo e il quarto capitolo di Geach [1962];


un'esposizione recente della teoria della suppositio in cui, al contrario, si
cerca di difenderne la plausibilità è Dufour [1989].

8
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gica, facendo cioè ricorso unicamente alle leggi sulle quali si
fonda ogni conoscenza. Questo programma va al di là
dell'ideale scientifico degli Analitici Secondi: non basta in-
fatti ricondurre in maniera logicamente rigorosa tutta l'arit-
metica ad alcuni principi primi intuitivamente evidenti, ma
è necessario che questi principi risultino essi stessi parte
della logica; in termini leibniziani, ciò significa provare che i
giudizi dell'aritmetica sono verità di ragione. La realizzazio-
ne di questo programma richiede ovviamente lunghe catene
deduttive nelle quali non deve inserirsi nulla di intuitivo; e
ciò, a sua volta, richiede, da un lato che le deduzioni siano
condotte in una lingua artificiale (Ideografia appunto, ossia
scrittura di concetti) che non abbia, come quelle naturali, il
doppio difetto della vaghezza e imprecisione di significato
dei segni, e del rischio di travisamento della forma logica da
parte di quella sintattica 5 ; dall'altro una profonda revisione
della logica tradizionale, di cui abbiamo già mostrato l'ina-
deguatezza appunto come logica della matematica. La crea-
zione di una lingua artificiale riprende evidentemente,
come lo stesso Frege non manca di riconoscere, il program-
ma leibniziano di una "mathesis universalis" (almeno li-
mitatamente all'ambito dell'aritmetica); ma nella revisione
della logica tradizionale Frege si spinge molto più in là di
Leibniz.
Innanzi tutto Frege, sovvertendo una tradizione millena-
ria, pone al primo posto la logica proposìzionale di ascen-
denza stoica, e pertanto alla base della logica dell'Ideografia

' L'atteggiamento di Frege nei confronti del linguaggio è ambivalente:


da un lato il suo profondo scetticismo sulla possibilità di cogliere il pensiero
mediante intuizione intellettuale, introspezione e, in generale, riflessione
sull'attività mentale lo porta ad individuare nell'analisi del linguaggio l'uni-
ca via d'accesso alle leggi del pensiero; dall'altro egli avverte in maniera acu-
tissima il pericolo degli irrimediabili fraintendimenti dovuti all'insidia della
forma linguistica. La sintassi di una lingua naturale non rispecchia la forma
logica, tuttavia non è nemmeno vero che la travisi fino al punto da renderla
irriconoscibile (altrimenti le lingue naturali non potrebbero servire per la
comunicazione razionale); un'attenta analisi delle lingue naturali può dun-
que metterne in luce le strutture logiche fondamentali, e rendere così possi-
bile la costruzione di una lingua artificiale in cui sintassi e forma logica
coincidano.

9
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ci sono gli enunciati, o, meglio, i giudizi, che Frege distingue
accuratamente dagli enunciati. Non sempre, infatti, chi si
serve di un enunciato a si impegna sulla sua verità: se a com-
pare come protasi o apodosi di un periodo ipotetico possia-
mo impegnarci sulla verità di quest'ultimo lasciando im-
pregiudicato se a è vero o falso; oppure a può essere pro-
nunciato da un attore sul palcoscenico. Per Frege, allora, a è
un giudizio solo quando è utilizzato per asserire la verità di
ciò che esso esprime.
Vediamo come tutto ciò viene formalizzato nell'Ideo-
grafia. Per Frege i segni della sua lingua simbolica sono
sempre interpretati, ossia devono essere pensati come rife-
rentesi ad un qualche contenuto 6 : tuttavia è possibile cheta-
le contenuto resti totalmente indeterminato, ed in questo ca-
so si utilizzano come segni le lettere latine minuscole
(nell'espressione algebrica a+b = b+a, ad esempio, le lettere
latine esprimono la generalità, mentre i segni = e + hanno un
contenuto determinato). Le lettere greche maiuscole A, B, r,
... costituiscono, invece, abbreviazioni per segni aventi un
contenuto determinato (ad esempio invece del nome "Socra-
te" io posso usare la lettera A) e non vanno assolutamente
confuse con i segni che esprimono generalità. Potremmo di-
re, confrontando l'Ideografia di Frege con le moderne pre-
sentazioni della logica elementare, che le lettere latine minu-
scole corrispondono alle variabili, gli altri segni alle costanti,
e le lettere greche maiuscole alle lettere schematiche per co-
stanti (come le lettere predicative nella logica del primo or-
dine); ma con la differenza che Frege non utilizza segni di-
versi per i diversi tipi di contenuti: le lettere latine, ad esem-
pio, sono variabili proposizionali, individuali, predicative o
funtoriali a secondo dei contesti; e, allo stesso modo, le lette-
re greche sono lettere schematiche per costanti di qualunque
tipo.
Abbiamo detto che la nozione di contenuto è molto vaga.

'La semantica dell'Ideografia è ancora molto primitiva: come vedremo


nel cap. III, la necessità di precisare la nozione di contenuto porterà infi-
ne al suo abbandono ed alla sua sostituzione con la coppia "senso-riferi-
mento".

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In effetti Frege distingue solo tra contenuti giudicabili e non
giudicabili, sulla base del fatto che, se A esprime un conte-
nuto giudicabile, possiamo trasformare A in un giudizio an-
teponendogli il segno di giudizio 1-, in modo appunto da ot-
tenere
I-A

Il segno I- è un segno composto: il segno di giudizio,


propriamente parlando, è costituito solo dal tratto verticale,
e la sua omissione trasforma il giudizio in un puro e sempli-
ce collegamento rappresentativo (-A), che esprimeremo con
parafrasi del tipo "la circostanza che A" oppure "la proposi-
zione che A". Si potrebbe perciò dire, in prima approssima-
zione, che - A è un semplice enunciato, mentre I- A rappre-
senta un giudizio.
Il tratto orizzontale (che Frege nell'Ideografia chiama "se-
gno di contenuto") appare, a prima vista, superfluo: se A
esprime un contenuto giudicabile, tra A e - A non sembra
esserci alcuna differenza; in caso contrario - A risulta sem-
plicemente malformato. In realtà il tratto orizzontale ha una
funzione eminentemente sintattica, quella di collegare tutto
ciò che segue il tratto stesso in un tutto, al quale, eventual-
mente, si riferisce l'asserzione espressa dal tratto verticale
(vedremo più avanti come si esplicherà questa funzione). Se
dunque si prescinde dalle necessità di una corretta sintassi,
potremo dire che A, quando esprime un contenuto giudica-
bile, costituisce un enunciato il quale può essere asserito tra-
mite il segno di giudizio.
La distinzione netta tra giudizio e semplice enunciato è
una novità di Frege. Certo, i logici si sono sempre resi conto
che usare una forma enunciativa non significa, di per sé,
impegnarsi sulla sua verità. Aristotele, ad esempio, caratte-
rizza gli enunciati dichiarativi (apofantici) come quelli cui
appartengono il vero e il falso, ma ammette più volte la pos-
sibilità di utilizzarli come semplici supposizioni: l'apparte-
nenza del vero e del falso significherà allora che, dato un
enunciato dichiarativo, è sempre possibile - in linea di
principio - stabilire se esso è vero o falso, non che è impos-
11
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sibile usarlo senza asserirlo 7 • Kant è anche più esplicito, e di-
stingue i giudizi in problematici, in cui laffermare o il nega-
re sono considerati puramente possibili; assertori, in cui li si
considera reali; apodittici in cui li si considera necessari (nel
senso di riconducibili ad un sistema di leggi). Tuttavia i logi-
ci hanno spesso usato il termine "giudizio" sia per riferirsi
alla formulazione di un puro e semplice collegamento rap-
presentativo, sia per il riconoscimento e l'asserzione della ve-
rità di questo collegamento 8 (un esempio tipico di questa
confusione è Kant, che parla di Urteil - giudizio - riferen-
dosi genericamente all'attività unificatrice dell'intelletto, e di
Urteilskra/t - forza di giudizio - a proposito della capacità
di giudicare correttamente). Frege non ha perciò torto quan-
do asserisce di avere per primo separato la forza assertoria
dalla predicazione (costruzione degli enunciati).
Per esprimere la circostanza che un dato contenuto giudi-
cabile A non ha luogo Frege applica un piccolo tratto verti-
cale (segno di negazione) al segno di contenuto, ottenendo
.-A

Il tratto orizzontale dev'essere idealmente diviso in due, la


parte a destra del segno di negazione è il segno di contenuto
di A, mentre quella a sinistra è il segno di contenuto della
negazione di A: quest'ultima, quindi, collega tutto ciò che
sta alla sua destra in un tutto, al quale, eventualmente, si ri-
ferisce lasserzione espressa dal tratto verticale. Quindi il
giudizio che A non ha luogo sarà
(1) 1-rA
7 In altre parole, per Aristotele la verità consiste nell'unire e separare nel

pensiero così come le cose sono unite o separate nella realtà, la falsità fare il
contrario: questo significa semplicemente che ogni enunciato dichiarativo
esprime di per sé una verità o una falsità, non che chiunque formuli un enun-
ciato dichiarativo non possa farlo se non gli attribuisce un valore di verità.
' Nell'Ideografia giudicare significa sempre asserire un giudizio. In un
inedito del 1906, Introduzione alla logica (dr. Scritti postumi, p. 309) Frege
distingue però tra il riconoscimento della verità di un pensiero (giudicare
propriamente detto), e l'espressione di questo riconoscimento (asserzione):
tale distinzione sarà ripresa nel Pensiero.

12
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Nella teoria tradizionale (basata su De Interpretatione, 6)
c'erano due specie di giudizio, quello affermativo che espri-
meva l'unione del predicato con il soggetto e quello negativo
che ne esprimeva la separazione; per Frege, al contrario, esi-
ste solo un tipo di giudizio, il riconoscimento della verità di
un contenuto giudicabile, ed il segno di negazione entra a
far parte del contenuto giudicabile stesso 9 •
L'altro giudizio fondamentale della logica proposizionale
dell'Ideografia è

(2)

e significa: non ha luogo la circostanza che B viene affermato


e A negato. Si tratta, in pratica, del condizionale com'è defi-
nito da Filone il Megarico, ed attualmente noto come impli-
cazione materiale (il tratto verticale non in grassetto rappre-
senta il segno di condizione, mentre il tratto orizzontale tra il
segno di giudizio e quello di condizione è il segno di conte-
nuto relativo all'intera implicazione). Questo tipo di giudizio
ha sempre avuto la sfortuna di essere considerato la forma-
lizzazione del nesso "Se ... allora ... " e di subire la conseguen-
te accusa di essere una formalizzazione inadeguata; ma, in
realtà, non ha mai avuto una simile pretesa. Certo, per poter
asserire (2) è necessario aver stabilito l'esistenza di un "nesso
concettuale" tra i contenuti giudicabili Be A, ma tale nesso
non fa parte del contenuto giudicabile di (2). La ragione per
cui (2) è un tipo di giudizio fondamentale è, in realtà, un'al-
tra: da (2) e da I- B segue infatti I- A, tramite la regola del
Modus Ponens, che è l'unica regola d'inferenza esplicitamen-
te formulata nel sistema dell'Ideografia. Questo non significa
che nell'Ideografia non è possibile asserire l'esistenza di nes-
si concettuali tra contenuti giudicabili tramite giudizi tipo
(2) - se non fosse possibile il valore dell'Ideografia come

' La nozione aristotelica che più si awicina alla negazione freghiana è


quella di contraddizione: se nella logica aristotelica avessimo un segno, di-
ciamo e, che trasformasse lenunciato A nella sua contraddittoria (e A = la
contraddittoria di A), e sarebbe l'analogo del segno di negazione.

13
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linguaggio scientifico sarebbe nullo; ma, come vedremo, sarà
necessario ricorrere ai quantificatori.
In generale, dati due contenuti giudicabili A e B, esistono
quattro possibilità

A B
affermato affermato
affermato negato
negato affermato
negato negato

ed ognuna delle possibili composizioni A*B significa che


una o più di queste possibilità è ammissibile. Si dimostra fa-
cilmente che le varie combinazioni possibili (che sono
24=16) sono tutte rappresentabili mediante negazione e im-
plicazione; ad esempio

rappresenta la circostanza che solo la prima di queste possi-


bilità è ammissibile (corrisponde quindi alla congiunzione):
l'intera logica proposizionale può cioè essere espressa nel
linguaggio dell'Ideografia.
Veniamo ora all'analisi freghiana dei contenuti concet-
tuali. Frege ha sempre mantenuto un atteggiamento antipsi-
cologista in un senso molto forte: per lui un contenuto men-
tale è sempre la rappresentazione di un dato essere pensan-
te, ed in quanto rappresentazione è del tutto idiosincratico
e incomunicabile (per conoscere una rappresentazione di
un altro bisognerebbe che diventasse una mia rappresenta-
zione, ma questo è impossibile perché allora non sarebbe
più la "sua" rappresentazione); pertanto, se il significato di
un termine dev'essere qualcosa di oggettivo e comunicabile
non può essere un contenuto mentale 10 • Se ora ci chiediamo

10 Per Frege, dunque, non è possibile, per ragioni di principio, nessu-

na forma di "semantica cognitiva".

14
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qual è il significato di un termine A isolato dai contesti lin-
guistici in cui compare, le possibili risposte sembrano essere
due
(a) la "cosa" cui A si riferisce (ad esempio il significato di
"Socrate" è l'uomo Socrate e quello di "cavallo" una
specie zoologica - oppure la classe dei cavalli);
(b) quello che "abbiamo in mente" quando usiamo il termi-
ne A.

La possibilità (a) presenta alcuni inconvenienti che la ren-


dono, almeno a prima vista, poco promettente: in particola-
re, se A è un termine non denotante (è ad esempio "la mon-
tagna d'oro", "la chimera" o "la serie più divergente") la
conseguenza, del tutto inaccettabile, sembra essere che A
non ha significato.
La possibilità (b) appare più promettente. Il locus classi-
cus di questa teoria è la formulazione che ne viene data nei
primi capitoli del De Interpretatione di Aristotele: un' espres-
sione è significativa per convenzione (ossia non c'è nulla in
un dato suono, ad esempio, che di per sé ne faccia un segno
di qualcosa) e si riferisce direttamente a non meglio specifi-
cate "affezioni dell'anima", che sono uguali per tutti (mentre
le parole variano da lingua a lingua) e che hanno una corri-
spondenza naturale con le cose; possiamo poi formare im-
magini di cose non esistenti combinando tra loro le affezioni
che si riferiscono a cose esistenti, dando così un significato
anche ai termini non denotanti O' affezione corrispondente
alla chimera, ad esempio, è ottenuta combinando insieme
quelle corrispondenti al leone, alla capra ed al serpente). La
versione empirista di questo schema di teoria è, semplifican-
do al massimo, che ad un termine corrisponde un'idea, sem-
plice o complessa, e che il significato del termine è appunto
il modo in cui tale idea (rappresentazione, nella terminologia
filosofica tedesca) si forma a partire, in ultima analisi, dalle
impressioni sensibili. Ma per Frege una simile teoria non è
in grado di spiegare il carattere pubblico dei significati, dal
momento che le rappresentazioni sono idiosincratiche e
incomunicabili, mentre il carattere intersoggettivo delle ari-
15
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stoteliche "affezioni dell'animo" viene postulato, ma non
giustificato. Spiegare il significato di un'espressione isolan-
dola dai contesti in cui compare è dunque impossibile; e, di
conseguenza, è errato il tradizionale modo di procedere dei
manuali di logica 11 (prima lo studio dei termini, poi di come
i termini si combinano tra loro nei giudizi, ed infine di come
da più giudizi si forma un sillogismo).
L'unica alternativa praticabile sarà allora partire dai giudi-
zi e cercare di ricavarne, mediante analisi, il significato dei
termini. Si tratta del famoso Principio del Contesto, che,
implicito nell'Ideogra/t'a, viene così formulato nei Fondamen-
ti: "Cercare il significato delle parole considerandole non
isolatamente, ma nei loro nessi reciproci" (Fond. p. 219) 12 •
La principale applicazione di questo principio sarà nella de-
finizione di numero naturale: per il momento notiamo solo
che in questo modo si spiega anche la primarietà della logica
"stoica" rispetto a quella "aristotelica": se il primum sono i
giudizi, le leggi della logica proposizionale sono più fonda-
mentali di quelle basate sulla distribuzione dei termini nelle
premesse.
Il metodo di Frege si basa sulla suddivisione delle espres-
sioni composte in funzione ed argomento:
Se in un'espressione, cli cui non è necessario che il contenuto sia giudica-
bile", un segno semplice o composto ricorre in uno o più posti, e noi pen-
siamo tale segno come sostituibile in tutti o in alcuni cli questi posti da un
altro segno, purché lo stesso in ogni posto, allora chiamiamo funzione la
parte dell'espressione che rimane invariata nelle sostituzioni anzidette, e suo
argomento la parte sostituibile (Id. 9, p. 127).

11 Tradizione già testimoniata dall'ordinamento dato dai primi editori


ali' Organon aristotelico (Categorie - termini; De Interpretatione - giudizi;
Analitici Primi - sillogismo; etc.).
12 Va detto che Dummett distingue il Principio del Contesto propria-

mente detto dal procedimento all'opera nell'Ideografia, che egli chiama


Principio di Estrazione delle Funzioni: anche se questa distinzione è forse
opportuna, mi sembra tuttavia che lo "spirito" che informa entrambi i prin-
cipi sia del tutto analogo.
" Se prendiamo, ad esempio, un'espressione come "la capitale della Sve-
zia" possiamo distinguere la funzione "la capitale cli ... " e l'argomento "Sve-
zia". Tuttavia, per semplicità, parleremo sempre della scomposizione di
un'espressione il cui contenuto è giudicabile, ossia, nella nostra terminolo-
gia, cli un enunciato.

16
Mauritius_in_libris
Il termine "funzione" è chiaramente mutuato dall'analisi
matematica: se esprimiamo il fatto che y è "funzione" di x
nella forma standard y=f(x) ed assegnamo ad x il valore c, il
valore di y sarà f(c). Ora, in f(c) il segno f esprime la regola
in base alla quale vengono determinati i valori di y a partire
da quelli di x, ed è perciò, propriamente parlando, la vera
funzione; d'altra parte f rappresenta ciò che resta invariato
nei diversi valori f(c), f(d), ... che può assumere y, mentre
I' argomento c rappresenta ciò che può essere sostituito con
altri argomenti per ottenere ,-alori diversi. L'idea di Frege è
allora che in una serie di t:11unciati simili

Socrate - è bianco
Platone - è bianco
Aristotele - è bianco
etc.

si possa distinguere una parte comune "è bianco" - la fun-


zione, ed una parte sostituibile (di volta in volta "Socrate",
"Platone", etc.) - l'argomento, esattamente come nella se-
rie dei valori che, nell'esempio precedente, poteva assume-
re y.
Una volta determinato, in un giudizio dato, quale sia la
funzione <I> e quale I' argomento A, la maniera standard per
esprimere tale giudizio sarà allora, in conformità all'uso ma-
tematico
(3) I- <l>(A)

(diremo che A ha la proprietà <I>, o, meglio, che la funzione


<I> è un fatto per l'argomento A). Lo stesso quando gli argo-
menti sono più di uno: ad esempio il giudizio

1-'l'(A, B)

significherà che A è nella relazione 'I' con B.


La distinzione tra funzione e argomento non è però uni-
voca. L'esempio fatto da Frege è abbastanza illuminante.
17
Mauritius_in_libris
Prendiamo l'enunciato

Catone uccise Catone;

il confronto con altri enunciati per un verso o per l'altro si-


mili (ad esempio "Nerone uccise Nerone", "Catone uccise
Cesare", "Cesare uccise Catone") mostra che possiamo con-
siderare sostituibile sia il "Catone" posto più a sinistra, sia
quello posto più a destra, sia entrambi: otteniamo allora, ri-
spettivamente, le seguenti funzioni [dove ( ) indica un posto
vuoto]

(a) ( ) uccise Catone


(b) Catone uccise ( )
(c) ( ) uccise ( )

alle quali corrispondono concetti diversi: ad (a) "uccisore di


Catone", a (b) "ucciso da Catone", a (c) "suicida". Inoltre,
attraverso l'uso dei quantificatori - vedi sotto - è possibi-
le ottenere anche i concetti di "uccisore" e di "ucciso".
Questo esempio costituisce una buona illustrazione della
procedura con cui ricavare il significato dei termini dal-
l'analisi dei giudizi: a partire dall'enunciato "Catone uccise
Catone" abbiamo infatti ottenuto un'intera famiglia di con-
cetti collegati con quello di uccidere, senza dover ricorrere
ai processi psicologici di astrazione o di associazione di
idee.
Frege propone dunque di sostituire l'analisi "soggetto-
predicato" degli enunciati con l'analisi "argomento-funzio-
ne": un enunciato viene pensato come l'applicazione di una
funzione ad uno o più argomenti, non come la predicazione
di qualcosa in relazione ad un soggetto. Nella logica tradi-
zionale erano compresenti due nozioni di soggetto, una on-
tologica (soggetto è ciò cui, in ultima analisi, appartengono
tutte le altre cose, derivante soprattutto dalla nozione di so-
stanza prima nelle Categorie di Aristotele), ed una "lingui-
stica" (soggetto è ciò attorno a cui verte l'enunciato, e che è
normalmente espresso da un termine in posizione di sogget-
18
Mauritius_in_libris
to grammaticale). Frege osserva che la nozione linguistica di
soggetto è priva di contenuto: "Cesare uccise Catone" verte
allo stesso modo sia sul termine che funge da soggetto gram-
maticale sia su quello che funge da complemento oggetto;
non si può pertanto parlare di un soggetto su cui vertono
questi enunciati, tanto più che il passaggio dalla forma attiva
a quella passiva determina lo scambio tra soggetto gramma-
ticale e complemento oggetto, ma non un cambiamento di
contenuto giudicabile. L'argomento, viceversa, non è ciò su
cui verte lenunciato (propriamente parlando un enunciato
non verte su nulla, ma possiede solo un contenuto giudicabi-
le), ma semplicemente ciò che pensiamo sostituibile in di-
pendenza da una data analisi dell'enunciato stesso: non c'è
quindi ragione perché ci debba essere un solo argomento,
sarebbe come dire che le funzioni non ne possono avere più
di uno. In questo modo Frege elimina una delle cause d'i-
nadeguatezza della logica tradizionale, la difficoltà cioè di
formulare giudizi che possiedono un contenuto relazionale:
gli enunciati "6 è maggiore di 3" e "6 è maggiore di 2" ven-
gono ora analizzati come il risultato dell'applicazione della
funzione "maggiore" alle coppie di argomenti rispettiva-
mente <6,3> e <6,2>, e non è quindi più necessario intro-
durre un'infinità di predicati simili.
Dal punto di vista ontologico le cose sono un po' più
complesse. Il privilegiamento della forma linguistica "sog-
getto-predicato" derivava da un'ontologia in cui si distingue-
va tra ciò che è per sé sussistente, ontologicamente fonda-
mentale, e ciò che può sussistere solo "appoggiandosi" ad al-
tro (ad esempio il colore deve essere sempre il colore di
qualche cosa): il soggetto grammaticale corrispondeva ad en-
tità del primo tipo, il predicato ad entità del secondo. Ora,
la sostituzione di "soggetto-predicato" con "argomento-fun-
zione" comporterà inevitabilmente una revisione di questa
ontologia: in termini freghiani, sarà necessario chiedersi qual
è il contenuto delle funzioni, degli argomenti e dei valori.
Tuttavia nell'Ideografia questa questione non viene neppure
sfiorata: solo a partire da una lettera a Marty del 29 agosto
1882 (cfr. Epist. pp. 133-36) Frege comincerà ad affrontare
il problema.
19
Mauritius_in_libris
3. L' «Ideografia»: i quantificatori

Nella logica tradizionale i "quantificatori" erano espres-


sioni sincategorematiche che, unite ad un universale, ne de-
terminavano il modo di riferirsi a ciò di cui esso era vero: in
particolare una locuzione esprimente generalità, come
"ogni" o "tutto", significava che l'universale cui era unita si
riferiva a tutto ciò di cui era vero. Prendiamo però l'enuncia-
to "Tutto è F": certo, si potrebbe introdurre un universale
"formale" tipo "cosa" (ens) cui unire "tutto"; tuttavia appa-
re molto più naturale dire che "Tutto è F" significa che il
predicato F è vero qualunque cosa si prenda come suo sog-
getto. Nella sua trattazione della generalità Frege parte pro-
prio da enunciati di quest'ultimo tipo, più precisamente -
data la sostituzione di "soggetto-predicato" con "argomen-
to-funzione" - cerca il modo di esprimere il giudizio che
una data funzione è un fatto qualunque cosa si consideri co-
me suo argomento. Un simbolismo adeguato per esprimere
giudizi di questo tipo deve però soddisfare due requisiti

(a) determinare su quale argomento della funzione si inten-


de generalizzare (ad esempio, data una funzione a due
argomenti 'I' (A, B), dev'essere possibile esprimere, tra
l'altro, i giudizi che questa funzione è un fatto; (i) qua-
lunque cosa si consideri come suo primo argomento; (ii)
qualunque cosa si consideri come suo secondo argomen-
to; (iii) qualunque cosa si consideri come primo e qua-
lunque cosa si consideri come secondo argomento);
(b) determinare l'ambito su cui si estende la generalizzazio-
ne (ambito d'azione): ad esempio, data la funzione
"composta"
-r-X(A)
L'l'(A)

dev'essere possibile esprimere (tra l'altro) che questa è


un fatto qualunque cosa si consideri argomento: (i) di
entrambe le funzioni X(A) e 'l'(A) contemporaneamente;
(ii) della funzione X(A); (iii) della funzione 'l'(A).

20
Mauritius_in_libris
Il requisito (a) potrebbe essere facilmente soddisfatto sta-
bilendo semplicemente di designare l'argomento su cui si ge-
neralizza con un tipo diverso di lettera, ad esempio, come fa
Frege, una lettera gotica (sostituendo alla lettera greca maiu-
scola che designa l'argomento la lettera gotica corrisponden-
te - ad esempio ad alfa maiuscola la "a" gotica); ma questo,
chiaramente, non basta a soddisfare (b). Tuttavia le distin-
zioni d'ambito sono determinate, in un certo senso, dal trat-
to orizzontale: per stabilire l'ambito d'azione della generaliz-
zazione Frege stipula perciò di inserire, nel segno di conte-
nuto che si riferisce alla parte su cui vogliamo far operare la
generalizzazione, una cavità, all'interno della quale porre la
stessa lettera gotica che ha sostituito l'argomento su cui vole-
vamo generalizzare. Nell'esempio precedente, dunque, i tre
giudizi saranno espressi rispettivamente da

~X(n) X(A)
(4) ~X(n)
'l'(n) . L__'l'(B) ~'l'(h)
A partire da ciò non è difficile esprimere anche il giudizio
che una funzione <I> è un fatto per almeno alcuni dei suoi ar-
gomenti, ed introdurre così un quantificatore esistenziale ac-
canto a quello universale; basterà scrivere

~<l>(n)

Una convenzione importante è la seguente: quando, come


nel primo dei giudizi (4), l'ambito della generalizzazione è
l'intero giudizio è possibile sostituire la lettera gotica con la
corrispondente lettera latina ed eliminare la cavità nel segno
di contenuto. Così, invece di scrivere

possiamo scrivere
~X(a)
'l'(a)

21
Mauritius_in_libris
È evidente che le lettere gotiche corrispondono alle varia-
bili vincolate, le lettere latine a quelle libere.
Frege, insomma, getta le basi della moderna teoria della
quantificazione; in quest'ultima però (e si tratta della diffe-
renza più rilevante) il segno di giudizio scompare. Abbiamo
detto, infatti, che la ragione principale per cui Frege aveva
introdotto questo segno era una certa trascuratezza nella
teoria tradizionale del giudizio, dalla quale non risultava
chiaro se per giudizio si doveva intendere la formulazione di
un puro e semplice collegamento rappresentativo oppure
l'asserzione della verità di quest'ultimo. Tuttavia, se si pre-
scinde da questa preoccupazione filosofica, la logica di Fre-
ge può essere sviluppata senza far ricorso al segno di giudi-
zio: è sufficiente costruire le formule senza premettere ad es-
se il segno di contenuto, collegarle direttamente tramite con-
nettivi corrispondenti al segno di condizione ed a quello di
negazione ed introdurre una notazione per i quantificatori
che, pur soddisfacendo i requisiti di quella freghiana, per-
metta di fare a meno della cavità nel segno di contenuto; se
una formula così costruita sia poi un'ipotesi, un'assunzione o
un teorema, viene stabilito "dall'esterno" della formula stes-
sa (ad esempio è un teorema se può essere dimostrata a par-
tire dagli assiomi), ed espresso mediante un enunciato meta-
linguistico. Il segno 1-, infatti, sopravvive, ma solo come una
sorta di predicato metalinguistico, tipo "È un teorema" 14 •

"Nell'Ideografia la distinzione è solo tra contenuto giudicabile asseri-


to e non asserito. In una delle sue opere più tarde, Il pensiero, Frege con-
sidera anche il caso delle interrogative espresse da un enunciato (ad esem-
pio "Socrate è bianco?") ed osserva che il pensiero (per la sostituzione del
contenuto giudicabile con il pensiero, cfr. cap. III) espresso dall'interroga-
tiva coincide con quello espresso dall'enunciato dichiarativo corrispon-
dente: sembra dunque che un enunciato esprimente lo stesso pensiero
possa essere utilizzato con diversa "forza" per fare un'asserzione, un'as-
sunzione, una domanda, etc. La teoria degli atti linguistici di Austin e, so-
prattutto, di Searle potrebbe dunque essere considerata uno sviluppo si-
stematico di questi spunti freghiani, in che misura è difficile dirlo. Lo stes-
so discorso vale per la ripresa della problematica connessa con il segno di
giudizio da parte della recente "teoria dei tipi" di Martin-Léif. Detto en
passant: come una volta si ritrovava tutto in Aristotele, così, attualmente,
c'è spesso la tendenza a ritrovare tutto in Frege.

22
Mauritius_in_libris
Possiamo così tradurre le formule freghiane in una notazio-
ne moderna, ad esempio quella di Hilbert, e stabilire la se-
guente corrispondenza tra i giudizi freghiani e le formule del
moderno calcolo dei predicati

1--r-A -,A

~~ B~A

r---J:,- <I>( ll) (V'x)(Fx) (quantificatore universale)

~<l>(a) (3x)(Fx) (quantificatore esistenziale)


dove il quantificatore (V'x) ha la stessa funzione della cavità
nel segno di contenuto e le parentesi servono per determina-
re l'ambito d'azione dei quantificatori 15 • Così i giudizi (4)
diventeranno rispettivamente
(V'x)(Fx~Gx) Fa~(V'x)(Gx) (V'x)(Fx)~Ga.

Attraverso la teoria della quantificazione è possibile elimi-


nare gli altri due motivi di inadeguatezza della logica classi-
ca. In primo luogo osserviamo che, benché l'implicazione
materiale non sia in grado di esprimere l'esistenza di un nes-
so concettuale tra antecedente e conseguente, è tuttavia pos-
sibile utilizzare il giudizio (V'x)(Fx~Gx) per asserire l'esi-
stenza di un rapporto necessario tra l'essere F e l'essere G.
Questo giudizio, infatti, è vero se e solo se non si dà mai il
caso che qualcosa sia F senza essere G; ed una simile regola-
rità, che si estende ad ogni possibile argomento 16 [anche se,

" Per evidenziare questo uso delle parentesi eviteremo, quando ciò sarà
possibile senza che ne soffra la chiarezza, di mettere tra parentesi gli argo-
menti delle funzioni. D'ora in poi, per ragioni di leggibilità, useremo questa
notazione al posto di quella freghiana.
16 La logica modale di Frege non ha nulla a che fare con i mondi possi-

bili, ma è di tipo kantiano: la modalità di un giudizio non fa parte del suo


contenuto, ma esprime lo status del giudizio in rapporto alla totalità della
conoscenza (ad esempio un giudizio è necessario - o, meglio, apodittico -
quando esistono giudizi generali dai quali può essere dedotto).

23
Mauritius_in_libris
ad esempio, fosse attualmente vero che tutti gli uomm1
sono bianchi, ciò non sarebbe sufficiente per asserire
(Vx)(Uomo x~Bianco x)], non può essere una semplice
coincidenza, ma deve esprimere l'esistenza di un nesso con-
cettuale. Quindi, se vogliamo esprimere il fatto che attual-
mente tutti gli uomini sono bianchi, dobbiamo ricorrere alle
nuove funzioni "uomo a n" e "bianco a n" dove n è una co-
stante temporale, e formulare il giudizio (Vx)(Uomo a n
(x)~Bianco a n (x)). Combinata con i quantificatori l'impli-
cazione materiale è dunque perfettamente adeguata ad espri-
mere nessi concettuali.
Un giudizio come (Vx)(Uomo x~Animale x) esprime
dunque l'essenziale dell'universale aristotelica "Ogni uomo è
animale", tranne che per un punto importante: condizione
necessaria perché un enunciato affermativo sia vero è, per
Aristotele, l'esistenza del soggetto; al contrario (Vx)(Uomo
x~Animale x), se non esistessero uomini, sarebbe un giudi-
zio vero ("Uomo x" sarebbe infatti falso per ogni valore dix
- cfr. la definizione dell'implicazione materiale). In maniera
analoga è possibile esprimere nell'Ideografia anche le restan-
ti premesse aristoteliche.
Si capisce ora in che modo Frege, superando la separazio-
ne tra logica proposizionale (stoica) e terministica (aristoteli-
ca), riesce a ricondurre la seconda alla prima. Per riprendere
infatti un esempio già noto, un sillogismo come Barbara
nell'Ideografia assume questa forma
(Vx)(Fx~Gx)
(Vx)(Hx~Fx)

.. (Vx)(Hx~Gx)

e la sua validità risulta quindi riducibile (tramite le leggi che


governano i quantificatori) a quella della regola (transitività
dell'implicazione materiale)
B~C
A~B

.. A~C

24
Mauritius_in_libris
Detto incidentalmente, non bisogna credere che l'inter-
pretazione condizionale delle universali affermative aristote-
liche sia il punto chiave della questione: un'interpretazione
analoga la troviamo, infatti, tanto per fare un esempio, anche
nella logica di Bradley, il quale non ne trae certo le stesse
conseguenze di Frege. La novità, in realtà, è un'altra, inter-
pretare cioè questo condizionale in termini di implicazione
materiale e quantificatore universale, ed è proprio questo
che permette di fondere in un'unica teoria la tradizione ari-
stotelica e quella stoica 17 •
La teoria della quantificazione, a differenza di quella della
suppositio, non distingue i vari modi in cui un universale si
riferisce a ciò di cui è vero, ma soltanto se ciò di cui è vero
rappresenta la totalità o meno del dominio di interpretazione
(o universo del discorso, per usare l'espressione di Boole). O,
meglio, è la stessa nozione tradizionale di universale a perde-
re di importanza: un universale, infatti, esprime sempre, in
ultima analisi, un aspetto, accidentale o essenziale, degli indi-
vidui che fungono da sostrato; quindi un "universale compo-
sto'', ad esempio "bianco o giallo", pur essendo vero di una
certa classe di individui, non è un autentico universale per-
ché manca di un preciso corrispettivo ontologico - non esi-
ste il colore "bianco o giallo". Le funzioni freghiane costitui-
scono quindi una generalizzazione degli universali tradi-
zionali; anch'esse possono essere definite come ciò che "si
dice" di una pluralità di cose, ma senza le limitazioni ontolo-
giche della nozione tradizionale di universale.
La determinazione dell'ambito d'azione dei quantificatori
sostituisce I' attribuzione di una diversa suppositio ai termini.
Consideriamo ad esempio "Ogni ragazzo ama una ragazza":
questo enunciato può voler dire che tutti i ragazzi amano
una determinata ragazza, oppure (ed è l'interpretazione più
naturale) che tutti i ragazzi ne amano una, ma non necessa-

17 Secondo una notizia di Sesto Empirico (cfr. Adversus Mathematicos,

XI, 9-11; I, 86) gli Stoici leggevano "Ogni A è B" come se significasse "Se
quello è A, allora è B": poiché però non sappiamo se e come utilizzassero
questa lettura per una reinterpretazione delle regole d'inferenza aristoteli-
che, non possiamo dire se e in che misura essi abbiano "anticipato" l'impo-
stazione freghiana.

25
Mauritius_in_libris
riamente tutti la stessa. Nella teoria della suppositio è possi-
bile distinguere le due interpretazioni dicendo che nel primo
caso "ragazza" ha una suppositio determinata, e nel secondo
una suppositio confusa tantum: nel quadro della teoria della
quantificazione, invece, i due enunciati precedenti vengono
formalizzati rispettivamente così
(3y)(Ragazza y" (Vx)(Ragazzo x ~Ama xy))
- (Vx)(Ragazzo x ~ (3y)(Ragazza y "Ama xy))

" significa la congiunzione ed è così definibile:


AAB =di -,(A~....,B)

4. La quantificazione di secondo ordine e la gerarchia delle


funzioni
La teoria della quantificazione contenuta nell'Ideografia
mostra come sia possibile introdurre funzioni di funzioni
(funzioni di secondo grado). Prendiamo infatti (Vx)(Fx): se,
applicando il metodo di Frege per determinare le funzioni,
consideriamo sostituibile F, otteniamo la funzione ('v'x)( ... x)
- dove i puntini indicano il posto di sostituzione; ma, poi-
ché F è essa stessa una funzione 18 , (Vx)( ... x) sarà una fun-
zione di funzioni.
I quantificatori sono un tipico esempio di funzione di se-
condo grado, ed un altro sarà costituito, come vedremo, dal-
la nozione di esistenza; ma è possibile ricavare una funzione
di secondo grado anche da semplici giudizi come "Socrate è
bianco". Infatti nella serie di giudizi simili (espressi in forma
standard)
F (Socrate) G (Socrate) H (Socrate)

F, G, H possono essere considerati gli argomenti e la parte


comune " ... (Socrate)" - da non confondersi con il nome
proprio "Socrate" - la funzione (il cui significato intuitivo è

18 Per la precisione bisognerebbe, quando ci si vuol riferire ad una fun-

zione, indicare sempre quali sono i posti di sostituzione; tuttavia, per sem-
plicità, trascureremo di farlo ogniqualvolta non ci sia rischio di confusione.

26
Mauritius_in_libris
"essere una proprietà di Socrate"). Di conseguenza, se in
"F(Socrate)" l'argomento è F, è anche possibile esprimere il
giudizio che la funzione " ... (Socrate)" è .un fatto qualunque
sia l'argomento - ossia il giudizio (V.'f)(.'fSocrate) - dove
.'f è una variabile predicativa vincolata. La quantificazione
del secondo ordine rientra pertanto nella definizione fre-
ghiana di quantificazione.
È facile mostrare, attraverso la quantificazione del secon-
do ordine, che la gerarchia delle funzioni non si ferma a
quelle di secondo grado. Infatti, come si è detto, (Vx)(Fx) è
una funzione della funzione di primo grado F (in forma
standard 'l'F, dove 'I' è di secondo grado): possiamo perciò
quantificare (al secondo ordine) su F ed ottenere così
(V .'f)('I' .'f) 19 , che è a sua volta una funzione della funzione di
secondo grado 'I', ossia una funzione di terzo grado, allo
stesso modo in cui (Vx)(Fx) era una funzione della funzione
di primo grado F.
In ogni caso a noi qui non interessano tanto gli aspetti
tecnici della costruzione di una gerarchia di funzioni quanto
la fondamentale distinzione tra proprietà e note caratteristi-
che di un concetto. Già i commentatori tardo-antichi di Ari-
stotele si erano trovati in difficoltà a spiegare perché l'uomo
è una specie, ma i singoli uomini ovviamente non lo sono,
mentre, se l'uomo è un animale, i singoli uomini sono
anch'essi animali; saltando a piè pari molti secoli, troviamo
che la confutazione kantiana della prova ontologica si basa
sul fatto che l'esistenza non è una nota caratteristica dei con-
cetti. Da un punto di vista strettamente logico si tratta di un
problema analogo a quello degli antichi commentatori di
Aristotele: perché, nonostante l'analogia della forma lingui-
stica, il predicato "esistere" (come "essere una specie") si
comporta in maniera differente dagli altri? La risposta di
Frege è appunto che, nonostante questa analogia, la forma
logica è del tutto differente: "esistere" è sempre una funzio-
ne di secondo grado, mentre le note caratteristiche di un
concetto (ad esempio "animale" in relazione a "uomo") -

19 Detto en passant, (V' J}('I' J') significa che la funzione 'I' è un fatto

qualsiasi funzione di primo grado si consideri come suo argomento.

27
Mauritius_in_libris
ed anche ciò che appartiene incidentalmente ad un concetto
(ad esempio "correre" sempre in relazione a "uomo") - so-
no funzioni di primo grado, come appare evidente dalla for-
ma logica dei giudizi in cui questi termini compaiono
forma linguistica forma logica
L'uomo è un animale ('v'x)(Uomo x~Animale x)
L'uomo corre (3x)(Uomo x A Corre x)
L'uomo esiste (3x)(Uomo x)

Nei primi due giudizi ai predicati linguistici "animale" e


"correre" corrispondono funzioni di primo grado; nel terzo,
viceversa, a "esistere" corrisponde la funzione di secondo
grado "(:lx)( ... x)" avente la funzione di primo grado "uo-
mo" come argomento.
C'è però una difficoltà. La costruzione di questa gerarchia
presuppone una definizione delle funzioni di primo grado
che nell'Ideografia è stabilita solo implicitamente: il modo in
cui le funzioni, in generale, sono ricavate dai giudizi suggeri-
sce infatti che si tratta di espressioni incomplete che acqui-
stano un significato determinato solo se completate con gli
opportuni argomenti (se sento dire "cammina ... " mi viene
spontaneo chiedere chi, e se sento dire "la capitale di ... "
chiedo subito di quale stato è la capitale); si potrebbe perciò
pensare che le funzioni di primo grado siano quelle che non
hanno come argomenti espressioni a loro volta incomplete.
Tuttavia, per arrivare a fare chiarezza sulla questione, sarà
ancora una volta necessario chiedersi che cosa corrisponde,
semanticamente, a questi diversi tipi di espressione.

5. L'identità e la "semantica" dell'«ldeogra/ia»


Frege introduce anche il segno d'identità = ed i giudizi
d'identità A=B 20 • Ma qual è il significato esatto di questi giu-

20 Per la verità Frege nell'Ideografia utilizza per l'identità il segno=: tut-

tavia, per semplicità, adotteremo anche qui il segno=, come lo stesso Frege
farà nei Principi.

28
Mauritius_in_libris
dizi? La difficoltà è che, se il segno di identità esprimesse un
rapporto tra contenuti, non ci sarebbe nessuna differenza di
contenuto tra A=B e A=A (nel caso, ovviamente, che A=B
sia vero): infatti l'identità tra cose non può che essere quel
rapporto che ogni cosa ha solo con se stessa, e quindi A=B,
se vero, esprimerebbe semplicemente il rapporto con se stes-
sa della cosa denotata da A, esattamente come A=A (cfr.
Sen. e rtf p. 375). Non si capisce allora quale sia la funzione
del segno d'identità, né, soprattutto, perché A=B, a differen-
za di A=A, sia sempre più o meno informativo.
L'altra possibilità è considerare quello d'identità un segno
particolare che si differenzia da quelli di condizione e di ne-
gazione per il fatto di riguardare i segni stessi, non i loro
contenuti: l'identità sarebbe allora quella relazione che inter-
corre tra una coppia di segni che hanno lo stesso contenuto.
Dal punto di vista formale questa soluzione ha un inconve-
niente del quale Frege si rende perfettamente conto, ma che,
evidentemente, considera un prezzo che val la pena pagare.
Prendiamo infatti, il giudizio A=B ~ F(A)~F(B): nell'inter-
pretazione che Frege dà dell'identità il suo significato do-
vrebbe essere qualcosa del genere
- se il segno A ed il segno B hanno lo stesso contenuto, al-
lora esiste una relazione di condizionalità tra i contenuti
giudicabili espressi dal segno F(A) e dal segno F(B);

e quindi, in questo giudizio, tutti i segni non si riferiscono


più ai loro contenuti, ma a se stessi come segni. In generale,
"viene necessariamente a crearsi la scissione nel significato
di tutti i segni, potendo essi figurare ora per il loro contenu-
to [negli enunciati "normali"], ora per se stessi [in quelli
d'identità] "(Id. 8, p.123 ).
Esistono però almeno altre due obiezioni contro questo
modo di intendere l'identità
(I) poiché non sono necessari segni diversi per uno stesso
contenuto, il segno d'identità è inutile;
(II) poiché i segni sono arbitrari ("i nomi significano per
convenzione" diceva Aristotele), un enunciato di iden-
tità esprimerebbe solo una convenzione nell'uso del lin-

29
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guaggio, e non avrebbe comunque nessun reale (ossia
riguardante le cose) valore informativo.

Frege, nell'Ideografia, risponde in maniera adeguata alla


prima di queste obiezioni. Se infatti A denota il punto di in-
tersezione delle altezze di un triangolo equilatero e B il pun-
to di intersezione delle bisettrici, il contenuto di A e B è lo
stesso (i due punti infatti coincidono); lo stesso contenuto
può quindi essere determinato in molte maniere, ed è perciò
necessario disporre di segni diversi in corrispondenza dei di-
versi modi di determinazione, nonché del mezzo per signifi-
care che a questi diversi modi corrisponde lo stesso contenu-
to: tale mezzo è il giudizio d'identità. Questa, però, non è
una risposta a (II). Infatti il collegamento tra un segno ed un
modo di determinare un contenuto è arbitrario tanto quanto
quello tra un segno ed il suo contenuto, e quindi il giudizio
d'identità, se è vero che riguarda i segni, non esprimerà altro
che una convenzione linguistica. Quello che dice Frege a
proposito dei diversi modi di determinare lo stesso contenu-
to è del tutto plausibile, ma la conclusione che se ne dovreb-
be trarre è che il giudizio d'identità non riguarda i nomi, ma
i contenuti, e significa che lo stesso contenuto è determinato
in due modi differenti. Tuttavia Frege non disponeva anco-
ra, al momento in cui scriveva l'Ideografia, degli strumenti
per esprimere ciò; ed uno dei principali motivi che lo spin-
geranno ad introdurre la distinzione tra senso e riferimento
sarà proprio poter spiegare i giudizi di identità senza ridurli
ad asserzioni relative ai segni.
L'Ideografia, dicevamo, manca di una vera e propria se-
mantica. Senza dubbio il linguaggio di Frege è un linguaggio
interpretato, non un puro gioco di segni (Frege polemizzò a
lungo contro il formalismo in genere, ed in particolare con-
tro il formalismo in matematica) 21 , e la nozione di contenuto
mette bene in chiaro questo punto. Tuttavia, come abbiamo

21 Cfr. ad esempio i§§ 86-137 (pp. 96-139) del secondo volume dei Prin-

cipi (trad. parziale in Logica ed aritmetica, pp. 531-52), in cui Frege polemiz-
za contro le teorie dei numeri irrazionali dei matematici formalisti Heine e
Thomae.

30
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ripetutamente sottolineato, si tratta di una nozione poco
chiara che dà adito a molte perplessità. I principali motivi di
insoddisfazione (di alcuni di essi abbiamo già parlato) sono
- manca, in generale, una spiegazione convincente del se-
gno di identità e dell'ambito della sua applicabilità;
- nella discussione sul giudizio di identità Frege ha ricono-
sciuto la necessità di distinguere tra il riferimento di un
termine singolare (identificato con il suo contenuto) ed il
modo in cui tale riferimento viene determinato; d'altra
parte i giudizi di identità riguardano anche segni per
contenuti giudicabili (cfr. ad esempio le proposizioni 67
e 68 dell'Ideografia): ma in che modo è possibile, in que-
sto caso, distinguere tra contenuto e modo di determina-
zione, tanto più che, come Frege stesso esplicitamente ri-
conoscerà (cfr. Princ. I, § 5, p. 9), nel contenuto giudica-
bile pensiero e valore di verità sono indistinti?
- in un'espressione Frege distingue funzione ed argomen-
to: tale distinzione è solo un fatto linguistico, o ad
espressioni di diverso tipo corrispondono contenuti es-
senzialmente diversi?
- se si applica il metodo con cui, in generale, Frege divide
un'espressione in funzione e argomento, sarebbe natura-
le intendere anche i segni di contenuto, di condizione e
di negazione come funzioni: ma qual è il loro significato?
- Frege dice che (V'x)(Fx) significa il giudizio che la fun-
zione F è un fatto qualunque cosa si consideri come ar-
gomento: ora, poiché il termine "argomento" è origina-
riamente introdotto in riferimento ad una (parte di)
espressione, ciò farebbe pensare ad un'interpretazione
sostituzionale della quantificazione 22 ; ma un'interpreta-
zione della quantificazione così dipendente dalle risorse
del linguaggio non sembra molto in sintonia con gli
orientamenti generali di Frege.

22 Nell'interpretazione sostituzionale ('V'x)(Fx) significa, grosso modo, che

Fc è vero per ogni costante c; in quella oggettuale che Fx è soddisfatto per


ogni valore attribuito a x.

31
Mauritius_in_libris
La semantica che Frege elabora in una serie di articoli
pubblicati attorno al 1890 avrà il compito (anche se, forse,
non l'unico compito) di dissipare queste perplessità, ed altre
che emergeranno nella successiva opera I fondamenti del-
!'aritmetica: il risultato di questo lavoro di chiarificazione
sarà una revisione della logica dell'Ideografia, che Frege
esporrà nei primi 52 paragrafi del primo libro dei Principi.

6. I diversi significati di "essere"

La logica dell'Ideografia permette di distinguere accurata-


mente i diversi modi in cui il verbo "essere" viene utilizzato.
Consideriamo infatti i seguenti enunciati in cui compaiono
"essere" o "esistere"
(I) Socrate è bianco
(II)L'uomo è un animale
I rinoceronti esistono (oppure "Ci sono rinoceronti")
(III)
(IV)Socrate esiste
(V) Venere è la stella del mattino.

La forma standard che questi enunciati assumono nel lin-


guaggio logico dell'Ideografia è, come in parte abbiamo già
visto, la seguente
(i) B(A)
(ii) (Vx)(Ux~Ax)
(iii) (3x)(Rx)
(iv) (3x)(x = Socrate)
(v) Venere= la stella del mattino.

La distinzione tra (I) e (II) è, freghianamente, quella tra


"cadere sotto un concetto" 23 e "essere subordinato ad un

" A voler essere precisi, nell'Ideografia non si parla ancora di concetti


ed avremmo dovuto esprimerci in termini di funzioni ed argomenti; d'altra
parte i concetti, come vedremo nel capitolo successivo (cfr. cap. II, 4), risul-
teranno essere i valori semantici delle espressioni funzionali.

32
Mauritius_in_libris
concetto" (in termini estensionali potremmo parlare di di-
stinzione tra "appartenere all'estensione di un concetto" e
"essere incluso nell'estensione di un concetto"): Socrate ca-
de sotto il concetto di bianco, ma il concetto di uomo è su-
bordinato a quello di animale.
Interpretare (III) con (iii) mostra che, come si è detto,
l'esistenza è una funzione di secondo grado, ed inoltre che i
giudizi di esistenza hanno la forma di giudizi particolari: in-
fatti sia (iii) che (3x)(Ax " Cx) [ = Qualche A è CJ sono for-
mati da un quantificatore esistenziale il cui ambito è costitui-
to da una funzione di primo grado.
L'interpretazione di (IV) con (iv) richiede qualche com-
mento. Frege, infatti, discute abbastanza a lungo i giudizi
come (IV) nell'inedito, anteriore al 1884, Dialogo con Punjer
sull'esistenza (cfr. Scritti postumi, pp. 137-55). In questo
scritto Frege osserva, kantianamente, che il predicato di esi-
stenza non aggiunge nulla a ciò di cui viene predicato, e che
asserire l'esistenza di A equivale ad asserire l'identità di A
con se stesso: "A esiste" e "A=A" hanno lo stesso signifi-
cato, ed è impossibile negare uno dei due (qualunque termi-
ne individuale si prenda la verità di entrambi è immediata -
sono cioè enunciati "autoevidenti"). Ne consegue che i ter-
mini singolari privi di riferimento devono essere banditi.
Tuttavia, anche se tutti i termini singolari, usati in quanto
tali, debbono avere un riferimento, niente esclude che si
possa utilizzare un termine singolare privo di riferimento co-
me parte di un termine concettuale. Frege, nel contesto di
una discussione sull'impossibilità che i termini singolari
compaiano in posizione predicativa (cfr. Oggetto e concetto,
p. 362), osserva che "La stella del mattino è Venere" può es-
sere inteso non solo come un giudizio d'identità [cfr. (v)] ma
anche come l'espressione del fatto che la stella del mattino
cade sotto il concetto r essere uguale a Venere, 24 ; inoltre, in
una nota al§ 10 del primo volume dei Principi, troviamo che
24 Se "A" è una data espressione r A, indica il valore semantico del-
l'espressione "A" stessa: la funzione "essere non altro che Venere" ha come
valore semantico il concetto r essere non altro che Venere, . Questo sugge-
rimento freghiano è stato adottato e sviluppato da altri - cfr. ad esempio
Quine [1960], §§ 37-38.

33
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il concetto sotto cui cade il solo oggetto A è r essere uguale
ad A,: se dunque interpretiamo "Venere esiste" come
"Qualcosa è uguale a Venere", "Venere esiste" vorrà dire
che qualcosa cade sotto il concetto r essere uguale a Ve-
nere, . Ora, se il termine singolare A non ha un riferimento,
il concetto r essere uguale ad A, è vuoto, ma Frege non
estende ai termini concettuali vuoti il bando comminato a
quelli singolari privi di riferimento, anzi ritiene i primi
indispensabili anche in una lingua logicamente perfetta. In
conclusione, il predicato di esistenza di primo grado "esiste-
re", che si era rivelato privo di contenuto, viene sostituito
con un predicato di esistenza di secondo grado, dotato inve-
ce di contenuto perché (3x)(x=A) è falso quando A è privo
di riferimento: interpretare (IV) mediante (iv) significa l'eli-
minazione dell'esistenza di primo grado, e la sua sostituzione
con quella di secondo grado.
La distinzione freghiana tra i vari significati di "essere" ha
avuto, al di là di questi dettagli esegetici, un notevole impat-
to sulla successiva filosofia di stampo analitico, al punto che
la necessità di distinguere le varie accezioni di "essere" -
anche se non sempre in accordo con Frege - è diventata un
luogo comune (cfr. ad esempio la proposizione 3.323 del
Tractatus di Wittgenstein). Di riflesso si è cominciato a rim-
proverare i filosofi del passato perché, non avendo compre-
so ciò, erano incappati in una serie di disastrose confusioni:
in particolare questa accusa è stata mossa ai padri fondatori
dell'ontologia, gli antichi filosofi greci. In che misura essa sia
giustificata, è difficile a dirsi: per quel che riguarda Aristote-
le, egli, indubbiamente, non distingue tra (I) e (Il); man-
tiene, almeno nel caso dell'identità accidentale, il paralleli-
smo tra (III) e (V) - nel senso che l'identità di una sostanza
con un paronimo equivale alla predicazione relativa a questa
sostanza dell'universale da cui il paronimo deriva; non di-
stingue tra (III) e (IV), anche se esiste una distinzione tra
"essere" de secundo adiacente [(III) e (IV)] e de tertio adia-
cente [(I) e (II)]. Ma soprattutto non sembra molto sensato
né rivolgere questa accusa ad Aristotele, né difenderlo po-
nendosi sullo stesso piano delle obiezioni che gli vengono
mosse: le distinzioni "aristoteliche" che abbiamo appena
34
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elencato, derivando, con un certo sforzo interpretativo, da
passi sparsi delle sue opere, sembrano più frutto della nostra
volontà di trovarcele che delle intenzioni dello stesso Aristo-
tele; e, comunque, le autentiche distinzioni aristoteliche so-
no altre (l'essere delle dieci categorie, l'essere accidentale,
etc.). È stato anche sostenuto, con motivazioni di tipo lin-
guistico e concettuale (cfr. ad esempio Kahn [1973]), che
nella lingua greca, in generale, non è possibile individuare si-
gnificati distinti del verbo essere senza snaturarne l'uso, e
che il peculiare interesse della filosofia greca risiede proprio
in questa indistinzione: si tratta, comunque, di questioni di
una tale complessità da rendere impossibile affrontarle qui, e
che, in fin dei conti, riguardano Frege solo marginalmente.

7. Il sistema assiomatico del!' «Ideografia»

Nell'Ideografia Frege costruisce la sua logica come un si-


stema assiomatico, formulando alcune leggi dalle quali è
possibile ricavare, tramite l'unica regola di derivazione Mo-
dus Ponens, tutte le altre. Le motivazioni per fare ciò sono
essenzialmente due 25
poiché non è possibile enumerare tutte le leggi logiche, è
opportuno fornirne un piccolo numero che, potenzial-
mente, le comprenda tutte;
è utile stabilire non solo la validità delle leggi logiche, ma
anche le loro interconnessioni deduttive.

Non è naturalmente possibile esprimere tutto all'interno


di un sistema formale così costruito, in particolare non è
possibile esprimere quelle "illustrazioni" sul significato dei
segni utilizzati (da noi esposte, in gran parte, nelle pagine
precedenti) che sono indispensabili per riconoscere la vali-

" Si tratta di motivazioni che, nella loro apparente ovvietà, introducono


temi che avranno una notevole importanza nella filosofia della matematica e
nella semantica freghiane, ossia che l'analiticità di un giudizio consiste nella
sua derivabilità dalle leggi del pensiero, e che le condizioni di dimostrabilità
fanno parte del senso di un giudizio. Torneremo più avanti su questi punti.

35
Mauritius_in_libris
dità degli assiomi e della regola d'inferenza [ad esempio è
solo la spiegazione informale stÙ significato del segno di con-
dizione che ci permette di riconoscere la validità del primo
assioma freghiano a~(b ~a)].
Nelle presentazioni attualmente standard dei sistemi as-
siomatici di logica ciò che corrisponde alle illustrazioni fre-
ghiane rientra nel metalinguaggio, una parte in quello sintat-
tico, come regole di formazione o come regole di derivazio-
ne; un'altra parte in quello semantico. Così, ad esempio, il
modo in cui un giudizio condizionale è costruito farà parte
delle regole di formazione; mentre la definizione del segno
di condizione, essendo, in pratica, una tavola di verità, farà
parte del metalinguaggio semantico, come pure l'espressione
del fatto che a questo segno viene associata questa determi-
nata tavola di verità.
Elenchiamo infine gli assiomi del sistema esposto nel-
1'Ideografia 26 :
(1) a~(b~a)
(2) (a~(b~c))~((a~b)~(a~c))
(3) (a~(b~c) )~(b~(a~c))
(4) (a~b)~(-,b~.....,a)
(5) .....,.....,a~a
(6) a~.....,.....,a
(7) c=d~(fc~fd)
(8) c=c
(9) ('v'x)(fx)~fc

Come già sappiamo, l'unica regola di derivazione è il Mo-


dus Ponens. Questa sembra una svista clamorosa: com'è pos-
26 Ricordiamo che le lettere latine sono variabili proposizionali, indivi-

duali, predicative o funtoriali a secondo dei contesti (dr. cap. I, 2): in (1)-
(6), ad esempio, le variabili sono sempre precedute (nella notazione origina-
ria di Frege) dal segno di contenuto, e quindi non possono stare che per
contenuti giudicabili. In (9) f sta per una funzione qualunque, quindi, poi-
ché le funzioni non sono tutte di primo grado, non è detto che la quantifica-
zione sia sempre del primo ordine: è necessario allora stipulare che la varia-
bile vincolata x, che si usa di solito in una quantificazione del primo ordine,
venga qui utilizzata anche in quantificazioni di ordine superiore.

36
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sibile, infatti, fare a meno della regola di sostituzione, e, so-
prattutto, com'è possibile sviluppare la teoria della quantifi-
cazione a partire soltanto da (9)? Ma non si tratta di una svi-
sta, perché, in realtà, la regola di sostituzione e quelle per i
quantificatori sono implicite nel fatto che l'uso delle lettere
latine comporta un'interpretazione di generalità. Infatti
- fc ha lo stesso significato di ('v'x)(fx), purché si quantifi-
chi su ogni occorrenza di e: quindi la regola
1-fc
1-('v'x)(fx)
è ovviamente valida;
- quindi da I- d~fc segue I- ('v'x)(d~fc) - sempre se si
quantifica su ogni occorrenza di c; tuttavia, se c non
compare in d, nulla impedisce di restringere l'ambito
della quantificazione alla sola fc: ne consegue che anche
la regola (con le relative condizioni)
1-d~fc
I- d~('v'x)(fx)
è valida;
- infine le lettere latine minuscole possono essere sostituite
da espressioni convenienti (ad esempio, dopo il segno di
contenuto una lettera latina minuscola può essere sosti-
tuita solo da un segno che si riferisca ad un contenuto
giudicabile), e questo ci dà la regola di sostituzione.

8. Frege e l'algebra della logica

Il programma leibniziano (cfr. cap. I,1) prevedeva la co-


struzione di un calcolo logico in cui operazioni struttural-
mente simili alle usuali operazioni algebriche (addizione,
moltiplicazione, etc.) fossero applicate ai (segni di) concetti:
da questo punto di vista, dunque, leredità leibniziana fu rac-
colta, più che dalla logica di Frege, dall'algebra della logica

37
Mauritius_in_libris
(iniziata dall'inglese Boole 27 , sviluppata in Inghilterra da De
Morgan, Venn ed altri; negli Stati Uniti soprattutto da Peirce;
ed in Germania soprattutto da Schroder). Semplificando al
massimo, l'algebra di Boole può essere considerata una sorta
di calcolo universale in cui i segni sia delle operazioni che di
ciò cui esse si applicano sono suscettibili di interpretazioni
diverse, ma regolate quasi dalle medesime leggi:

interpretazioni
simboli
numerica terministica 28 proposizionale
X, y, ... numeri classi proposizioni
+ somma unione disgiunzione 29
X prodotto intersezione congiunzione
1 1 universo vero
o o classe vuota falso
= ident. num. ident. di classi equivalenza

Un solo esempio, ma abbastanza illuminante, mostra, da


un punto di vista diverso da quello di Frege, l'interconnes-
sione tra universale affermativa e implicazione materiale: la
formula xxy=x nell'interpretazione terministica significa che
l'intersezione delle classi x e y coincide con x, ossia
che x è inclusa in y; in quella proposizionale, poiché
(xHxAy)H(x-ty) [dove H indica l'equivalenza], significa in-
vece che x implica materialmente y.
In risposta ad una recensione all'Ideografia dello stesso
Schroder, in cui si valutava positivamente il lavoro di Frege,
ma solo perché aveva ottenuto per altra via parte dei risultati
già ottenuti nell'algebra della logica (e lo si accusava di non
averne fatto menzione), Frege sottolinea, in una serie di

27 Non entro qui nella questione - tutto sommato scarsamente interes-


sante - di quanto Boole conoscesse di Leibniz.
28 Come si vede i termini sono interpretati in maniera puramente esten-

sionale.
" Esclusiva: infatti la somma di due proposizioni vere sarebbe 2, e que-
sto ci porterebbe fuori dall'algebra a due valori.

38
Mauritius_in_libris
scritti rimasti in buona parte inediti 30 , le differenze tra la
"logica calcolistica" di Boole e la sua Ideografia (e la supe-
riorità di quest'ultima)
l'Ideografia è un mezzo per esprimere un contenuto in
maniera più esatta che non nelle lingue naturali, mentre
l'algebra di Boole è una tecnica per la risoluzione dei
problemi logici: il programma di Boole concorda quindi
con quello di Leibniz solo per quel che riguarda la co-
struzione di un calcolo, non per quel che riguarda il pro-
getto di una "lingua caratteristica";
l'algebra di Boole rappresenta solo un metodo di combi-
nare insieme, tramite equazioni ed operazioni, concetti
già dati, ma non è in grado di introdurre, in maniera pu-
ramente formale, concetti realmente nuovi (certamente,
dati "uomo" e "bianco", è possibile formare il concetto
"uomo bianco", ma i concetti realmente importanti non si
ottengono in questa maniera puramente combinatoria 31 );
l'algebra di Boole è inadatta a dimostrare che l'aritmetica
si basa sulle pure leggi del pensiero, dal momento che
presuppone sia la notazione sia i concetti dell'aritmetica:
è necessario invece escogitare segni per le relazioni logi-
che che non si confondano con quelli degli enunciati
aritmetici;

'° Cfr. gli inediti freghiani, rispettivamente del 1880/81 e del 1882, La lo-
gica calcolistica di Boole e l'Ideografia e Il formulario logico di Boole e la mia
Ideografia (in Scritti postumi, rispettivamente pp. 77-128 e pp. 129-36). La
recensione di Schroder che costituì loccasione per questi scritti era apparsa
nel 1880 in "Zeitschrift fur Mathematik und Physik", XXV, pp. 81-94. Si
tratta di scritti che Frege aveva a più riprese tentato, invano, di far pubbli-
care: un primo assaggio del modo in cui la comunità scientifica avrebbe ac-
colto la sua opera!
"Il metodo tradizionale per formare concetti nuovi era, o combinare in-
sieme concetti già dati, oppure ottenere concetti più generali a partire da
concetti dati, mediante eliminazione di alcune delle note caratteristiche.
Frege ritiene questo metodo sostanzialmente sterile: nell'Ideografia sottoli-
nea la fruttuosità di operare attraverso la scomposizione dei giudizi (cfr.
cap. I, 2) e, nella terza parte, ne dà un saggio definendo in termini pura-
mente logici la nozione di "seguire in una successione". Vedremo nel capi-
tolo successivo come funziona, in pratica, il metodo di Frege.

39
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la logica di Boole non realizza la fusione tra logica dei
giudizi (stoica) e logica dei concetti (aristotelica), ma si
limita a fare dell'una l'immagine speculare dell'altra 32 •

La seconda e la quarta di queste osservazioni, abbastanza


calzanti come argomento ad personam contro Boole, lo so-
no assai meno se riferite all'algebra della logica in generale.
Peirce, infatti, sviluppando la logica delle relazioni di De
Morgan (a sua volta un'estensione dell'algebra di Boole, la
quale, invece, prendeva in considerazione solo la struttura
"soggetto-predicato"), arrivò a costruire, verso la fine del-
1'800, un calcolo abbastanza simile, da un punto di vista
sintattico, all'attuale calcolo dei predicati - detto en pas-
sant, lo stesso termine "quantificatore" risale a Peirce: in
questo sistema si realizza la fusione tra le due tradizioni lo-
giche, stoica ed aristotelica, dal momento che le proposizio-
ni sono introdotte come predicati medadici (dal greco
µTJOÉV - nulla), ossia privi di posti; inoltre la maniera di
combinare i relativi proposta da Peirce, senza dubbio piut-
tosto complicata, va comunque molto oltre la combinatoria
booliana.
Il punto chiave è però un altro. L'algebra di Boole può es-
sere intesa in due modi, o come un'estensione della matema-
tica al di là del suo ambito tradizionale, fino a comprendere
in essa le leggi del pensiero; oppure come una riduzione di
quest'ultime ad un calcolo matematico già dato. In altre pa-
role o la matematica è una sorta di calcolo universale dei
simboli suscettibile di varie interpretazioni, tra cui quella al-
gebrica in senso tradizionale (come nella breve presenta-
zione che ne abbiamo fatto); oppure le operazioni algebriche
tradizionali sono il modello cui le leggi del pensiero debbo-

"Nell'Indagine sulle leggi del pensiero Boole avanza un'altra interpreta-


zione della logica proposizionale, in cui x, y, ... sono interpretati come le
classi dei tempi in cui gli enunciati x, y, ... sono veri, e gli altri simboli come
nella precedente interpretazione terministica. Un enunciato tipo "Se p, allo-.
ra q", ad esempio, sarà quindi interpretato come un'inclusione tra classi (la
classe dei tempi in cui p è vero è inclusa in quella in cui q è vero); e la logica
proposizionale sarà ridotta a quella terministica. Esattamente il contrario di
quello che Frege avrebbe fatto nell'Ideografia.

40
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no uniformarsi. Non è possibile discutere qui quale sia il
modo storicamente più corretto di intendere Boole; in ogni
caso è chiaro che Frege propende per la seconda di queste
interpretazioni, e, di conseguenza, rimprovera Boole per
aver fatto della logica una parte della matematica, riducendo
le leggi del pensiero a semplici tecniche di calcolo, la logica
all'aritmetica. Per Frege, al contrario, l'aritmetica è logica:
mostrare la plausibilità di questa tesi sarà lo scopo della se-
conda delle sue grandi opere, I fondamenti dell'aritmetica.

II. LA DEFINIZIONE DI NUMERO NATURALE 1

L'opera dei matematici tedeschi della seconda metà del-


l'Ottocento porta a termine il processo, sviluppatosi a partire
dall'inizio del secolo, noto come aritmetizzazione dell'analisi.
Schematicamente, tre ne sono gli aspetti principali:
progressiva eliminazione, dallo studio analitico delle fun-
zioni, di considerazioni più o meno intuitive basate sulla
geometria e sulla fisica, e loro sostituzione con metodi fa-
centi riferimento ai soli numeri reali;
riduzione degli altri tipi di numero ai numeri reali (ad
esempio tramite la rappresentazione dei numeri com-
plessi, già interpretati geometricamente da Gauss come
vettori uscenti dall'origine di un piano cartesiano, come
coppie ordinate di numeri reali - le coordinate del-
l'estremità del vettore);
definizione dei numeri irrazionali in termini di numeri
razionali, e, tramite quest'ultimi, di numeri naturali
(Weierstrass, Cantor, Dedekind)2.

1 Poiché per Frege le definizioni riguardano le espressioni (cfr. cap. II,

9), per essere precisi dovremmo parlare di "definizione dei numerali (o


espressioni numeriche)"; tuttavia, per semplicità, ci atterremo al "modo di
parlare materiale" e parleremo di definire i numeri.
2 Si può dire, in un certo senso, che ogni teorema riguardante i numeri

reali può così essere trasformato in un teorema riguardante i numeri natura-


li, ma ciò non significa la totale riduzione dell'analisi ali' aritmetica (anche se

41
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È quasi inevitabile, se ci si mette da un punto di vista in-
fluenzato dalle successive indagini fondazionali, interpretare
questo come un processo motivato dall'ideale epistemologi-
co di rigorizzare i concetti fondamentali della matematica, il
cui naturale completamento avrebbe quindi dovuto essere
una definizione rigorosa della base di tutto, cioè dei numeri
naturali.
Se così fosse, però, non si spiegherebbe l'assoluta man-
canza d'interesse con cui la comunità scientifica accolse sia il
tentativo freghiano di definire i numeri naturali, sia quello
successivo di Dedekind, per quanto di impostazione meno
"filosofica": ed è, per contrasto, significativo che la defini-
zione dedekindiana di numero irrazionale abbia avuto inve-
ce una vasta notorietà ed in seguito sia stata largamente ac-
cettata. In realtà tra il programma di aritmetizzazione del-
1' analisi e i tentativi di definire i numeri naturali esisteva una
differenza di fondo: definire infinitesimi, numeri irrazionali,
etc. in termini di oggetti matematici più semplici e meno
problematici aveva il duplice scopo di evitare brutte sorpre-
se (del tipo appunto di quelle causate da un uso troppo di-
sinvolto degli infinitesimi) e di trovare nuovi metodi per ri-
solvere vecchi e nuovi problemi "interni" alle varie discipli-
ne matematiche 3 • Al contrario i numeri naturali erano con-
siderati enti matematici sicuri ed una loro definizione rigoro-
sa non era in grado, né pretendeva di esserlo, di fornire solu-
zioni a questioni strettamente matematiche; tanto più che
pareva inevitabile, data la basilarità della nozione di numero
naturale, dover fare appello, nel definirli, a considerazioni
estranee alla matematica stessa: in breve, la definizione dei

matematici come Kronecker la pensavano probabilmente così): infatti i me-


todi usati nell'analisi vanno al di là dei metodi elementari usati nell' aritmeti-
ca, ed esistono perciò teoremi riguardanti i numeri reali che non sono
equivalenti a nessun teorema elementare riguardante i numeri naturali (cfr.
Tarski [1939]).
' Ad esempio Cauchy affronta problemi connessi alle serie infinite e
Weierstrass è spinto a perfezionare i metodi di Cauchy dal fatto che, in al-
cuni casi, essi davano risultati dimostrabilmente falsi; la stessa definizione
non geometrica di numero reale data da Dedekind permette di dimostrare
rigorosamente l'esistenza di limiti proprio nei casi in cui il ricorso alle ana-
logie geometriche si era rivelato erroneo.

42
Mauritius_in_libris
numeri naturali non faceva parte del programma di aritme-
tizzazione dell'analisi.

1. Analitico e sintetico: critica alla filosofia kantiana della


matematica

In realtà l'obiettivo di Frege era d'altro genere: mostrare


quale fosse la ragione della quasi unanimemente riconosciu-
ta universalità e necessità dell'aritmetica. I modelli che gli si
presentavano erano naturalmente quelli di Leibniz e di
Kant, ossia, rispettivamente, la riduzione di tutte le verità di
ragione (quindi anche quelle dell'aritmetica) a giudizi anali-
tici, e l'interpretazione di tutti i giudizi della matematica co-
me giudizi sintetici a priori. Il programma di Frege, tuttavia,
appare più vicino al modello leibniziano (anche per Frege,
infatti, i giudizi dell'aritmetica 4 sono analitici e a priori), ma
se ne discosta per il diverso significato attribuito all'analiti-
cità.
Dopo Leibniz (almeno nell'ambiente filosofico tedesco) la
classificazione standard delle verità, in base ai vari punti di
vista, può essere così schematizzata

punto di vista
verità
logico epistemologico ontologico
di ragione analitica a priori necessaria
di fatto sintetica a posteriori contingente

Le verità di ragione, dunque, sono analitiche perché il


predicato può essere ridotto a nota caratteristica del sogget-
to; a priori perché la scomposizione logica del concetto non
richiede nessun ricorso all'esperienza; necessarie perché sa-
rebbe contraddittorio supporre l'esistenza di uno stato di

' Non della geometria. In diversi punti dei Fondamenti (cfr. § 13, pp.
240-41 e§ 89, p. 330) Frege dichiara esplicitamente che le opinioni di Kant
sulla geometria sono sostanzialmente corrette.

43
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cose in cui esse fossero false. Al contrario le verità di fatto
sono sintetiche perché il predicato non rientra nella nozione
del soggetto; a posteriori perché, in tal caso, solo l'esperien-
za ci può dire se il predicato è congiunto o meno al soggetto;
contingenti perché ciò che è solo di fatto vero può risultare
falso in uno stato di cose differente.
Kant rompe il parallelismo fra questi tre punti di vista in-
troducendo la classe dei giudizi sintetici a priori. Lasciando
da parte la fisica e la geometria, ciò cui siamo qui interessati
è la tesi kantiana sul carattere sintetico a priori delle leggi
dell'aritmetica, in particolare delle identità numeriche.
L'identità 7+5=12 - dice Kant (cfr. Crit. Rag. Pura, 2• ed.
Introd. V) - non è analitica perché "il concetto della som-
ma di 7 e 5 non racchiude altro che l'unione di due numeri
in uno solo, senza che perciò venga assolutamente pensato
quale sia questo numero unico ... ". Nella Logica di Kant tro-
viamo (cfr. § 6) che i concetti sono prodotti dall'intelletto a
partire da rappresentazioni date, operando su di esse me-
diante comparazione, riflessione ed astrazione: così il con-
cetto di un dato numero sarà la rappresentazione di ciò che
è comune a più aggregati (ad esempio ciò che hanno in co-
mune 7 mele e 7 serpenti), ed il concetto della somma di
7+5 la rappresentazione di ciò che è comune agli aggregati
formati a partire da coppie di aggregati rispettivamente di 7
e 5 elementi. Ma nulla ci dice che questa rappresentazione
abbia qualcosa a che vedere con quella di ciò che è comune
agli aggregati composti di 12 elementi 5, a meno che non si
faccia la costatazione empirica che due mucchietti, di 7 e 5
elementi rispettivamente, messi insieme ne danno regolar-
mente uno di 12. Questa deroga dal carattere a priori della
matematica non è tuttavia necessaria. Se infatti il numero
non viene inteso come concetto, ma (cfr. il capitolo sullo
schematismo trascendentale) nel senso di una "rappresenta-

'Tutto ciò non è circolare come sembra. Il concetto di un dato numero


si ottiene confrontando tra loro diversi aggregati; una volta ottenutolo po-
tremo dire che si tratta della rappresentazione comune a tutti gli aggregati
composti da quel numero di elementi. I problemi connessi con questo tipo
di definizione sono piuttosto legati alla nozione stessa di aggregato, e Frege
li metterà acutamente in luce.

44
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zione che comprende la successiva addizione di uno ad uno"
(cfr. Crit. Rag. Pura, 2' ed. Anal. Trasc. II, 1), ossia, si po-
trebbe dire, come indice delle volte che loperazione di ag-
giungere un elemento ad una successione è stata applicata, la
somma di 7 e 5 indica allora che questa operazione di ag-
giunzione successiva è stata compiuta prima 7 e poi 5 volte.
Ma questo è esattamente ciò che indica anche il numero 12:
nella costruzione di 12 mediante loperazione di aggiunzione
successiva è compreso (anche) il fatto che prima ripeto
l'operazione 7 volte, poi altre 5. Per Kant, tuttavia, questo
modo di intendere i numeri non è "concettuale": non è in-
fatti il risultato di operazioni su rappresentazioni date, ma la
costruzione di una pura (non empirica) successione, ossia
una sintesi che avviene nell'intuizione pura del tempo. In
conclusione: l'identità 7+5=12 è sintetica perché solo la co-
struzione dei numeri come sintesi pura secondo il tempo ne
garantisce la verità a priori.
È facile fraintendere Kant: se ci si limita alla Sezione V
dell'Introduzione, sembra infatti che per "provare" 7+5=12
sia necessario avere un'intuizione a priori di 12 puntini in fi-
la (o qualcosa del genere). Lo stesso Frege intende Kant in
questo modo, ed osserva quindi - giustamente, date le pre-
messe - che ciò ha un minimo di plausibilità solo se si trat-
ta di numeri piccoli e che "è chiaro che Kant ha tenuto con-
to soltanto dei numeri piccoli" (Fond. § 5, p. 227). Peccato
che Kant scriva espressamente che il carattere sintetico di un
enunciato dell'aritmetica "si fa tanto più manifesto, quanto
più alte sono le cifre che si prendono" (Crit. Rag. Pura, 2'
ed. Introd. V)! Questo vuol dire confondere lo schema con
l'immagine: i 12 punti in fila, o le dita della mano, sono
un'immagine del numero, ma il numero in sé è lo schema
puro della quantità, la rappresentazione di un'operazione.
In un altro passo dei Fondamenti (§ 88, pp. 328-29) Fre-
ge mostra però di rendersi conto che il vero punto della que-
stione è la formazione dei concetti: se il metodo è quello de-
scritto da Kant nella sua Logica, la tesi che le identità aritme-
tiche non sono analitiche appare piuttosto ben fondata. Se il
numero è una rappresentazione dell'iterazione di un'opera-
zione, è essenziale, per la sua definizione, disporre del con-
45
Mauritius_in_libris
cetto (in senso kantiano) di "seguire in una successione", ma
appunto il modo in cui secondo Kant si formano i concetti
rende impossibile ridurre questa nozione a concetto: nel
quadro della filosofia kantiana l'unica alternativa praticabile
è spiegarla in termini di sintesi a priori dell'intuizione pura.
Frege, da parte sua, ha già mostrato nell'Ideografia che co-
struire i concetti per astrazione è solo uno dei modi, e dei
meno fecondi, di fare ciò, e che un metodo realmente pro-
duttivo è invece ricavarli dalla scomposizione degli enuncia-
ti. Ma questo comporta una revisione della nozione stessa di
analiticità. Infatti un concetto ricavato tramite una simile
scomposizione è difficilmente riducibile ad un prodotto lo-
gico (per dirla in termini di algebra della logica) di note ca-
ratteristiche: pertanto, se si vuole mantenere la nozione di
analiticità come verità su basi puramente logiche, è inevita-
bile abbandonare la definizione di giudizio analitico in ter-
mini di predicato contenuto nel soggetto (che aveva il suo
fondamento nell'analisi "soggetto-predicato" dei giudizi).
Per Frege, in fin dei conti, quelli analitici restano sempre i
giudizi veri su basi puramente logiche, ma laccertamento di
ciò non passa più attraverso il semplice esame delle note ca-
ratteristiche dei concetti occorrenti nel giudizio, richiede
piuttosto la dimostrazione che un dato giudizio è una conse-
guenza delle leggi fondamentali del pensiero.
Come si è detto all'inizio del paragrafo, lo scopo di Frege
era dimostrare appunto lanaliticità dell'aritmetica, ossia -
ora è chiaro perché - la riconducibilità dei giudizi aritmeti-
ci alle leggi fondamentali del pensiero. Nella terza parte
dell'Ideografia Frege aveva già compiuto un primo passo di-
mostrando che "seguire in una successione" poteva, in gene-
rale, essere definito facendo ricorso alla nozione di proprietà
ereditaria in una successione determinata da una relazione f
(proprietà f-ereditaria) cfr. cap. II, 7. Ma questo era solo un
primo passo: nulla escludeva ancora, infatti, che fosse im-
possibile definire in termini puramente logici quella partico-
lare relazione f da cui la successione dei numeri naturali era
determinata, e che quindi il ricorso a qualcosa come l'intui-
zione pura di Kant si sarebbe alla fine rivelato necessario.
Compito dei Fondamenti sarà dimostrare (in maniera infor-
46
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male - cioè senza esporre tutti i passaggi nel linguaggio ri-
goroso dell'Ideografia) che una simile definizione in termini
puramente logici era invece possibile.
Frege non esclude il sintetico a priori dal campo della ma-
tematica, ma lo confina nell'ambito delle verità geometriche.
Per capire le ragioni di questa tesi freghiana bisogna tener
presente che, mentre la riduzione dell'aritmetica alle leggi
fondamentali del pensiero significa che è contraddittorio as-
sumere la negazione di un enunciato aritmetico, al contrario,
come le geometrie non euclidee avevano dimostrato, è perfet-
tamente possibile negare il postulato delle parallele senza in-
correre in una contraddizione, e quindi il contenuto della
geometria, pur essendo a priori, non può essere totalmente
logico (cfr. Fond. §§ 13 e 89). Una verità, dunque, è sintetica
a priori quando ciò di cui parla non è definibile con mezzi
puramente logici, ma la sua conoscenza non si fonda, in linea
di principio, sull'esperienza. Questa, tutto sommato, può es-
sere un'interpretazione accettabile delle motivazioni che ave-
vano indotto Kant ad introdurre la nozione di sintetico a
priori: se è così, Frege concorda con Kant sul significato ge-
nerale di questa nozione, ma è in disaccordo sulla sua esten-
sione perché ritiene la possibilità di definire in termini pura-
mente logici molto più ampia di quanto credesse Kant.
Un'ultima osservazione: le sue opinioni sulla geometria dimo-
strano chiaramente che, contrariamente a quanto spesso si
sostiene, per Frege analitico e a priori non coincidono: l'ana-
litico è sempre a priori, ma il contrario non è vero.

2. La critica alle altre definizioni di numero naturale


Prima di accingersi a dimostrare l'analiticità dell'aritmeti-
ca Frege passa in rassegna le principali opinioni di altri filo-
sofi e matematici sulla natura delle leggi aritmetiche (cap. 2)
e dei numeri naturali (cap. 3 ). Schematicamente queste opi-
nioni possono essere così raggruppate
(A) le leggi aritmetiche sono sintetiche a priori (Kant);
(B) le leggi aritmetiche sono leggi naturali ed i numeri sono
proprietà delle cose esterne (Mili);
47
Mauritius_in_libris
(C) i numeri sono qualcosa di soggettivo, nel senso che la
loro essenza ci è data quando ci è dato il modo in cui es-
si sorgono in noi (Lipschitz);
(D) i numeri costituiscono un insieme o una molteplicità
(Thomae).

Del gruppo (A) abbiamo già parlato nel paragrafo prece-


dente. Quanto al gruppo (B) le obiezioni di Frege sono fon-
damentalmente di tre tipi
(B.1) se i numeri fossero proprietà delle cose esterne (o, per
lo meno, ricavate dall'esperienza delle cose esterne 6),
come sarebbe possibile definire lo O e l' 1? Mili, tanto
per citare un filosofo il cui nome ricorre spesso nelle
pagine di Frege, ritiene che la definizione di un nu-
mero enunci sempre un fatto osservabile (ad esempio
5 = df 2+3 significa che un aggregato di cinque elementi
può essere scomposto in due parti comprendenti ri-
spettivamente 2 e 3 elementi}; ma, con ogni evidenza,
le definizioni di O e di 1 non possono significare nulla
di questo genere (Fond. §§ 7-8, pp. 230-33);
(B.2) se i numeri fossero proprietà delle cose esterne, qualo-
ra le cose stesse non abbiano subito modificazioni fisi-
che il loro numero dovrebbe restare immutato: tuttavia
noi possiamo considerare lo stesso oggetto, ad esempio
l'Iliade, una volta come 1 poema, un'altra come 24 can-
ti, un'altra ancora come tante migliaia di versi, etc.
Qual è allora il numero dell'Iliade? In realtà solo sussu-
mendo le cose sotto un concetto è possibile numerarle
univocamente - per fare un altro esempio, lo stesso
aggregato di oggetti corrisponde sia a 20 scarpe che a
10 paia di scarpe (Fond. §§ 22-23, pp. 249-52);
(B.3) il numero è qualcosa che, per la sua generalità di ap-
plicazione (tutto può essere contato), corrisponde ai
"trascendentali" della filosofia medioevale (come ens),

6 Frege non intende negare che la formazione empirica della nostra rap-

presentazione del numero passi attraverso l'esperienza sensibile, ma solo


che il riferimento alle cose esterne faccia parte del concetto di numero.

48
Mauritius_in_libris
ma una simile generalità non può essere spiegata se il
numero è qualcosa di ricavato dall'esperienza delle co-
se esterne (Fond. § 24, pp. 252-54).

L'opposizione di Frege alle opinioni del gruppo (C) è al-


trettanto decisa. Scrive infatti:
Una descrizione dei processi mentali che precedono l'enunciazione di
un giudizio numerico non può mai, anche se esatta, sostituire una vera de-
terminazione del concetto di numero ... il numero non costituisce un oggetto
della psicologia, né può considerarsi come un risultato di processi psichici,
proprio come non può considerarsi tale, per esempio, il mare del Nord
(Fond. § 26, p. 255)

Frege distingue accuratamente tra


immagini interne o rappresentazioni, che sono puramente
soggettive, individuali, in linea di principio non comuni-
cabili (per comunicare ad un altro una mia rappresenta-
zione bisognerebbe che questa divenisse la sua rappre-
sentazione, ma con ciò stesso cesserebbe di essere la mia
- cfr. Il pensiero, pp. 14-16);
oggettivo, che risulta conforme a leggi e afferrabile me-
diante concetti, e che è indipendente dalle nostre rappre-
sentazioni, ma non dalla ragione;
reale, che non solo è oggettivo ma occupa anche uno
spazio 7 •

Se dunque i giudizi dell'aritmetica debbono essere qual-


cosa di comunicabile e che possa essere riconosciuto inter-
soggettivamente valido, il numero non può essere una nostra
rappresentazione; poiché, d'altra parte, non è neppure atti-
nente a qualcosa di spaziale il numero è oggettivo senza esse-
re reale.

7 Nel Pensiero (cfr. pp. 24-29) Frege distinguerà piuttosto tra il soggetti-

vo ed il reale, distinguendo, all'interno di quest'ultimo, il dominio di ciò


che è temporale e soggetto alla causalità reciproca (che corrisponde al reale
nella precedente tripartizione) e ciò che non lo è, come il pensiero, il quale,
non soggetto a mutamento se non per le sue proprietà inessenziali (come
quella di venire conosciuto o meno da qualcuno), agisce unicamente per
mezzo dell'essere ritenuto vero.

49
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Si tratta del ben noto antipsicologismo di Frege. Nei Fon-
damenti la polemica antipsicologistica viene per lo più man-
tenuta su linee molto generali; ne troviamo invece un saggio
molto più particolareggiato nella recensione (del 1894) alla
Filosofia dell'aritmetica di Husserl, recensione nella quale il
ricorso alla psicologia viene interpretato da Frege come la
via d'uscita dalle inevitabili aporie in cui si cade intendendo
i numeri come proprietà delle cose (tesi del gruppo (B), ora
qualificate come "concezione ingenua del numero"). Aveva-
mo già osservato (cfr. cap. I, 2) che la formazione dei con-
cetti per astrazione è una tipica mossa psicologistica, che ri-
duce il concetto ad una rappresentazione contenente solo i
tratti comuni alla pluralità di items da cui si astrae: se però si
procede all'eliminazione anche di questi tratti comuni ci si
forma, infine, la rappresentazione astratta di moltitudine -
in tedesco Inbegri/f (ossia la rappresentazione di una plura-
lità di items che differiscono tra loro per il solo fatto di esse-
re differenti), la cui forma generale è appunto "questa cosa e
questa cosa e questa cosa, etc." 8 . Se poi, in questa forma ge-
nerale, si toglie l'indeterminazione contenuta nell"'etc." (os-
sia, in parole povere, si particolarizza la forma generale ripe-
tendo un tot di volte "questa cosa"), si ottengono i concetti
dei vari numeri. La via d'uscita dalle aporie di una concezio-
ne ingenua dei numeri è dunque interpretarli non come una
pluralità di oggetti, ma come rappresentazione di una plura-
lità: in questo modo, osserva sarcasticamente Frege, le diffi-
coltà connesse all'intrattabilità degli oggetti reali scompaio-
no, e, se può far scandalo parlare di un cestino di mele come
di un numero, sembra abbastanza innocente considerare nu-
meri gli Inbegri/fe.

'Un'idea parzialmente adeguata potrebbe essere quella di 10 monete


dello stesso conio - dico "parzialmente adeguata" perché nel caso delle
monete resta pur sempre la differenza della materia di cui sono composte,
anche se si tratta di una differenza non esprimibile tramite proprietà. Per
poter considerare insieme una molteplicità i cui elementi non possono avere
nessuna relazione tra loro (se non quella della diversità) Husserl ritiene ne-
cessario il ricorso ad un "atto unificante" della coscienza: la molteplicità è
quindi il risultato della duplice attività psicologica dell'astrazione e dell'uni-
ficazione.

50
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La concezione di Husserl rientra dunque, tramite una
mossa psicologistica, nelle opinioni del gruppo (D). Al di là
della questione dello psicologismo, la tesi secondo cui il nu-
mero è un qualche tipo di pluralità deve affrontare il proble-
ma della natura degli items che ne fanno parte; in base alle
difficoltà connesse alle tesi del gruppo (B) appare d'altra
parte improbabile che possa trattarsi di una pluralità di og-
getti fisici: sarà piuttosto una pluralità di items che, come·
per Husserl, differiscono tra loro per il solo fatto di essere
distinti tra loro, ossia una pluralità di unità.
Secondo Frege, tuttavia, questa nozione di "molteplicità
di cose totalmente indistinte" è incoerente perché la molte-
plicità degli elementi comporta la loro distinguibilità (Fond.
§ 39, p. 273): si tratta di una questione non ignota ai filosofi
(si pensi al leibniziano "principio dell'identità degli indiscer-
nibili" - ed anche alla sezione "Essere per sé" della logica
hegeliana, il cui movimento dialettico mette capo alla defini-
zione dell'unità come "medesimo di molti uni" - cfr. Enc.
§§ 96-100), ma di cui i matematici, con qualche eccezione,
non sembravano preoccuparsi troppo. Dopo aver passato in
rassegna diversi tentativi di superare questa difficoltà e aver-
ne mostrato il fallimento, Frege propone infine la sua solu-
zione.

3. Il Prinàpio del Contesto

Del resto, al di là dei punti deboli delle varie tesi esami-


nate, la via seguita dai filosofi e dai matematici era, secondo
Frege, metodologicamente scorretta perché, ostinandosi ad
analizzare separatamente la nozione di numero, non teneva
conto del Principio del Contesto: il fallimento delle soluzio-
ni proposte non fa altro che confermarne l'intrinseca difet-
tosità.
Questo principio - il secondo dei tre canoni fondamen-
tali (Grundsi.itze) che compaiono nell'Introduzione ai Fonda-
menti (p. 219) - suona così: «cercare il significato delle
parole, considerandole non isolatamente ma nei loro nessi
reciproci» e risulta strettamente connesso con il rifiuto della
51
Mauritius_in_libris
teoria classica secondo cui il significato 9 di un termine consi-
ste nella rappresentazione che ci formiamo del suo contenu-
to. Una ragione di questo rifiuto l'abbiamo già vista (cfr..
cap. I, 2 e cap. II, 2), e consiste nel fatto che le rappresenta-
zioni sono puramente soggettive, non comunicabili; un'altra
è che, in ogni caso, esistono termini, come appunto "nume-
ro", o "infinitesimo", sicuramente dotati di significato, ma ai
quali appare impossibile associare una qualsiasi rappresenta-
zione (Fond. §§ 58-60, pp. 294-98).
Non è tuttavia agevole determinare l'esatta portata di
questo principio. È una facile tentazione, soprattutto alla lu-
ce degli sviluppi successivi, interpretarlo come il preannun-
cio di una sorta di olismo semantico o teorico (in parole po-
vere la teoria per cui il significato di un termine è dato o
dall'intero linguaggio di cui fa parte o, nel caso di un termi-
ne "scientifico", da un'intera teoria); oppure come un prean-
nuncio dell'interpretazione hilbertiana dei sistemi assiomati-
ci come definizioni implicite dei termini che in essi compaio-
no. Contro queste interpretazioni stanno però due fatti; il
primo che Frege polemizzò a lungo con Hilbert proprio sul-
la sua concezione del metodo assiomatico (cfr. cap. II, 9); il
secondo che egli adotta, almeno a partire da Senso e riferi-
mento, un "Principio di Composizionalità" per cui il senso
ed il riferimento di un'espressione composta sono determi-
nati a partire da quelli delle parti componenti (cfr. cap. III,
2, 4 e 7). Un simile principio sembra addirittura implicare
un successivo rifiuto del Principio del Contesto, anche se

'Quando Frege parla di "significato" nei Fondamenti intende qualcosa


di simile al contenuto concettuale dell'Ideografia: la distinzione tra Sinn e
Bedeutung è ancora da venire, come dimostra un passo del§ 60, in cui l'in-
distinzione tra Sinn, Bedeutung e contenuto non potrebbe essere maggiore:
"Solo nelle proposizioni le parole hanno Bedeutung ... è sufficiente che la
proposizione nella sua totalità abbia un Sinn; da esso si ricava il contenuto
(lnhalt) delle sue parti" (p. 297). Tuttavia la "lettera" di questo passo (rife-
rimento al "contenuto" a parte) potrà essere mantenuta anche dopo che la
distinzione sarà stata fatta: per determinare il riferimento (Bedeutung) di un
termine che compare in un enunciato, infatti, noi dobbiamo prima ricavar-
ne il senso (Sinn) attraverso quello dell'enunciato stesso (non è certo suffi-
ciente il suo riferimento, ossia il valore di verità), poi, mediante il senso così
ricavato, determinarne il riferimento.

52
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appare strano che Frege, dopo aver così enfatizzato questo
principio nei Fondamenti, passi sotto silenzio un cambia-
mento di idee in proposito.
La questione è dunque assai complicata. Tuttavia,
piuttosto che discutere questo principio in astratto 10 ,
sembra opportuno cercare di comprenderne la portata a
partire dall'uso che ne fa Frege nella definizione di numero
naturale.

4. Un tentativo di definizione contestuale

Quale che sia l'esatta portata del Principio del Contesto,


adottarlo nella definizione dei numeri naturali significa sen-
za dubbio partire dalla considerazione dei giudizi numerici.
Per Frege una (se non la) funzione fondamentale dei numeri
naturali è quella di numerare; pertanto i giudizi da cui si do-
vrà prendere le mosse avranno la forma "Gli F sono n" (op-
pure "Ci sono n F", o qualcosa del genere), dove F sta, di
solito, per un count name del tipo "uomini" (ossia un termi-
ne concettuale che permette, in linea di principio, di dire
quanti oggetti cadono sotto il concetto) e n per un termine
numerico u.
Prima di procedere è necessario dire qualcosa della
distinzione freghiana tra concetto e oggetto. Tra i pro-
blemi lasciati aperti dall'Ideografia figurava anche quello

10 Tanto più che una discussione di questo tipo è pressoché del tutto as-

sente nelle opere di Frege: quanto abbiamo appena riportato è virtualmente


tutto quello che ci viene detto da Frege sul Principio del Contesto in gene-
rale.
11 Come la funzione dei numeri naturali è quella di contare, così il ruolo

dei numeri reali è quello di misurare (quindi di rispondere alla domanda


"Quanto grande?"), ed è da qui che Frege (in Principi, II, §§ 160-245)
prenderà le mosse per la definizione dei numeri reali. Noi non ce ne occu-
peremo qui perché un'esposizione chiara ed elementare risulterebbe ecces-
sivamente prolissa, ed anche perché, per quanto interessante, non si tratta
di un argomento centrale nella filosofia di Frege: per la definizione freghia-
na dei numeri reali cfr., in ogni caso, Kutschera [1967] e [1989], cap. 7 (ab-
bastanza accessibile, ma, sfortunatamente, in tedesco); ed inoltre Dummett
[199lb], capp. 19-22, Currie [1986] e Simons [1987].

53
Mauritius_in_libris
di stabilire quali fossero i contenuti delle funzioni e de-
gli argomenti (cfr. cap. I, 5). Nella lettera del 29 agosto
1882 a Marty Frege distingue tra oggetto e concetto: egli
scrive che "il concetto è insaturo in quanto richiede che
qualcosa cada sotto di esso, non può perciò reggersi di per
se stesso. Ora, che un individuo cada sotto di esso, è un
contenuto giudicabile, e il concetto appare perciò come pre-
dicato ed è sempre predicativo" (Epist. p. 135). Anche se in
questa lettera Frege non lo dice espressamente, possiamo
supporre che l'oggetto sia invece definito, per contrapposi-
zione, come ciò che è saturo e non è mai predicativo. Poiché
nell'Ideografia Frege ha analizzato i giudizi in termini di "ar-
gomento-funzione", il carattere predicativo dei concetti si-
gnificherà che essi sono il contenuto delle funzioni, mentre il
contenuto degli argomenti dovrebbe essere dato dagli ogget-
ti 12 • Questo è il significato del terzo canone fondamentale
dei Fondamenti (p. 219): "Tenere presente in ogni caso la
differenza tra concetto ed oggetto".
Torniamo ora all'esempio dell'Iliade, ed al fatto che può
essere numerata come 24 canti oppure come n versi (noi di-
ciamo infatti "Questo è un poema", "Questi sono 24 canti",
etc.). La "cosa Iliade" (usiamo questo modo di esprimerci in
mancanza di meglio) non ha con ciò subito mutamenti, ma è
cambiata solo la denominazione; ed il cambio della denomi-
nazione mostra che è avvenuto il rimpiazzamento di un con-
cetto con un altro 13 : poiché le diverse attribuzioni numeriche
dipendono dalla diversità dei concetti, appare plausibile sup-
porre che "le attribuzioni di un numero contengono un'as-
serzione riguardante un concetto", ossia l'asserzione che sot-

12 Questo è vero nel caso delle funzioni di primo grado, ma non per gli

argomenti di funzioni di grado superiore. Nella lettera a Marty è chiaro che


Frege ha in mente funzioni di primo grado, dal momento che parla sempre
di individui che cadono sotto un concetto.
" "Das [scilicet il cambio della denominazione] ist aber nur das Zeichen
der Ersetzung eines Begriffes durch einen andern" (Ma questo è solo il se-
gno del rimpiazzamento di un concetto con un altro). La traduzione in Lo-
gica ed aritmetica suona invece così: "Dunque in tale passaggio non è awe-
nuto altro che questo: ad un concetto (cui si attribuisce un nome), ne è sta·
to sostituito un altro (cui spetta un nome diverso)", e rende l'argomen-
tazione del tutto incomprensibile (cfr. Fond. § 46, p. 282).

54
Mauritius_in_libris
to un dato concetto cade un certo numero di oggetti. Biso-
gna tener presente che in questa argomentazione la "cosa
Iliade" dev'essere intesa come un "oggetto fisico", non come
il riferimento del nome "Iliade": infatti il riferimento di que-
sto nome è un poema, e non può essere denominato median-
te "24 canti" più di quanto l'uomo Aristotele (riferimento
del nome "Aristotele") possa essere denominato "mucchio di
molecole". In altre parole, in base ai count names utilizzati
(poema, canto, verso), lo stesso oggetto fisico può essere in-
teso come un'unità o com-: molteplicità diverse tra loro; ma,
in quanto semplicemerile oggetto fisico, non è, a voler essere
precisi, il riferimento di nulla, ed in effetti Frege, nei suoi
esempi, si riferisce all'oggetto fisico in quanto tale attraverso
dimostrativi (Fond. § 46, pp. 281-83). Il fatto che le attribu-
zioni numeriche contengano un'asserzione relativa ai concet-
ti, infine, non comporta una soggettivizzazione del numero
(come in effetti era stato sostenuto - cfr. le tesi del gruppo
(C)), dal momento che i concetti sono altrettanto oggettivi
degli oggetti fisici (che, in più, sono reali - cfr. nel cap. II,
2 le spiegazioni dei termini "oggettivo" e "reale").
Se è vero che le attribuzioni numeriche contengono un'as-
serzione riguardante un concetto, appare allora del tutto na-
turale cercare di definire i numeri contestualmente, ossia tra-
mite una o più clausole che, invece di dirci esplicitamente
cosa sono i numeri e qual è il significato di un'espressione
numerica, ci permettano di eliminare le espressioni numeri-
che stesse, dandoci, per ogni enunciato in cui ne compare
qualcuna, un altro equivalente che non ne contiene nessuna.
Un esempio classico di definizione contestuale è quella rus-
selliana delle descrizioni definite

F[ (tx)( Gx)] =df (3z)( Gz " (\iy )( GyHy=z) " Fz)

che ci permette di eliminare un termine singolare del tipo


(tx)(Gx) - il G - dandoci un equivalente per tutti gli
enunciati in cui esso compare. Nella fattispecie gli enunciati
di cui trovare un equivalente in cui non compaiano le
espressioni numeriche saranno evidentemente le attribuzioni
numeriche, del tipo "Al concetto F spetta il numero n".
55
Mauritius_in_libris
Nel § 55 Frege prende appunto in considerazione l'idea
di una definizione contestuale di questo tipo
(1) Al concetto F spetta il numero O =d1 --,(3x)(Fx);
(2) Al concetto F spetta il numero 1 df
(3x)(Fx) " (Vx)(Vy)(Fx"Fy--?x=y);
(3) Al concetto F spetta il numero n+ 1 =df
(3x)(Fx" x=a) " a F. spetta il numero n;
(dove, per un dato a che cade sotto F, F. è il concetto resse-
re un F diverso da a , 14 )

ma solo per avanzare delle critiche che, almeno dal suo pun-
to di vista, ne mostrano l'inadeguatezza (Fond. § 56, p. 293).
Per Frege, infatti, un concetto F risulta ben definito se e
solo se esiste un criterio che, per ogni cosa, permette di deci-
dere, almeno in linea di principio, se cade o non cade sotto
F: quindi (1)-(3) non costituiscono una definizione adeguata
del concetto di numero naturale. Certo, potremmo dire "x è
un numero naturale se e solo se esiste un concetto F cui
spetta x": ma allora, per stabilire l'evidente verità che Giulio
Cesare non è un numero naturale, dovremmo dimostrare
che, per ogni F, "Al concetto F spetta Giulio Cesare" è fal-
so; e ciò è impossibile perché (1)-(3) ci danno un equivalente
per (e, di conseguenza, ci permettono di valutare solo) que-
gli enunciati, del tipo "Al concetto F spetta n", dove
"n" è un numerale in notazione standard, ad esempio
"l+l+l+ ... ".
Inoltre la stessa espressione "il numero naturale che spet-
ta al concetto F" non è giustificata. Grammaticalmente si
tratta, infatti, di un termine singolare (come appare chiaro
dal fatto che è introdotto dall'articolo determinativo), che ri-
sulta giustificato solo quando si può mostrare che si riferisce
esattamente ad un oggetto; ma, poiché sulla base di (1)-(3),
non esiste modo di provare che, se a F spettano sia il nume-

14 Ricordiamo che se "A" è una data espressione r A, indica il valore

semantico dell'espressione "A" stessa.

56
Mauritius_in_libris
ro m che il numero n, vale m=n, non sappiamo se l'e-
spressione "il numero naturale che spetta a F" si riferisce ad
un solo oggetto.

5. Identità e Principio del Contesto

Come abbiamo accennato alla fine del paragrafo prece-


dente, una condizione sufficiente perché un'espressione, se
denota qualcosa, denoti un oggetto è che tale espressione sia
introdotta dall'articolo determinativo (cfr. Fond. §§ 51, 66 e
68): pertanto l'espressione "il numero che spetta al concetto
F", se denota qualcosa, denota un oggetto. L'attribuzione
numerica standard "Al concetto F spetta il numero n", d'al-
tra parte, equivale a "Il numero che spetta al concetto F è
n", dove "è" esprime la relazione di identità (cfr. cap. I, 6):
quindi, dal momento che possiamo esprimere le attribuzioni
numeriche sotto forma di identità tra espressioni numeriche,
possiamo capovolgere la fallimentare impostazione del para-
grafo precedente, e prendere le mosse dall'identità (Fond. §
57, p. 294).
Si tratta, per la verità, di una via obbligata. Nel momento
in cui si riconosce che un dato segno A denota un oggetto, è
necessario avere una regola che ci permetta di stabilire, per
un qualunque segno B, se Be A denotano la stessa cosa (os-
sia se vale l'identità A=B 15 ): infatti i diversi segni esprimono
i diversi modi di identificazione; ed un oggetto nel vero sen-
so della parola, un oggetto indipendente, deve poter essere
riconosciuto come lo stesso, indipendentemente dal modo in
cui ci si riferisce ad esso 16 • La regola in questione deve, in al-

" Nei Fondamenti l'identità continua ad essere una relazione tra segni
come nell'Ideografia. La diversa concezione dell'identità nell'opera successi-
va di Frege lascia però questo argomento sostanzialmente inalterato: del re-
sto anche nell'Ideografia l'uso di segni diversi era giustificato dal fatto che
essi esprimevano (per usare la successiva terminologia) sensi diversi; ed an-
che qui la centralità dell'identità si giustificava con il fat!o che segni diversi
esprimevano diversi modi di riconoscimento dell'oggetto.
16 Un esempio di distinzione tra oggetto indipendente e oggetto "dipen-

dente" è quella tra sostanza prima e paronimo in Aristotele. Ad esempio

57
Mauritius_in_libris
tre parole, permetterci di stabilire la validità o meno delle
identità in cui compaiono termini che si riferiscono ai nume-
ri, ossia fornire le condizioni di verità di tali enunciati, deter-
minandone così il senso. Ne consegue che una definizione
adeguata di numero naturale sarà quella che renderà possi-
bile formulare ed applicare una regola di questo tipo in rela-
zione ai numeri stessi.
Questa è dunque l'applicazione che Frege fa, nei Fonda-
menti, del Principio del Contesto: selezionare, in relazione
al tipo di espressioni di cui dobbiamo stabilire il significato,
una classe di enunciati opportuni e determinarne le condi-
zioni di verità, in maniera da poterne ricavare una definizio-
ne esplicita. È perciò evidente che il Principio del Contesto
non ha nulla a che fare con l'olismo (in nessuna delle sue
forme), e nemmeno con l'idea che un sistema assiomatico
costituisca una definizione implicita: la definizione di nume-
ro naturale non è infatti data dagli assiomi dell'aritmetica,
ma ricavata dall'analisi delle semplici identità numeriche;
anzi Frege, proprio a partire dalla definizione esplicita di
numero naturale, dimostrerà, nei §§ 73-78 dei Fondamenti,
qualcosa di molto simile agli assiomi di Peano (cfr. cap. II,
7). Inoltre anche il contrasto con il Principio di Com-
posizionalità viene appianato: una volta che, a partire da-
gli enunciati selezionati, abbiamo ottenuto il significato di
un'espressione, possiamo servircene per determinare il si-
gnificato di altre espressioni composte in cui essa compare.
Certamente, è necessario che il significato degli enunciati se-
lezionati sia dato in maniera non composizionale (anche se
ciò non esclude la possibilità di ricostruirlo composizional-
mente una volta determinato a partire da essi il significato
delle parti componenti); ma questo è un problema da risol-
vere caso per caso.

Corisco è una sostanza prima; se Corisco è coraggioso, r quel coraggioso,


è un paronimo e coincide con Corisco finché questi resta coraggioso: tutta-
via, mentre Corisco resta Corisco indipendentemente da come lo identifi-
chiamo, non è possibile riferirsi al paronimo r quel coraggioso, se non tra-
mite il coraggio ("quel coraggioso è uguale a quel musico", infatti, significa,
nella fattispecie, che Corisco è coraggioso e musico).

58
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6. Un esempio: la definizione della direzione di una retta

Frege non affronta però direttamente il problema della


definizione del numero, ma prende le mosse da un esempio
geometrico (Fond. §§ 64-67, pp. 301-305), la definizione di
direzione di una retta: in base al Principio del Contesto si
tratta di definire le condizioni di verità degli enunciati di
identità in cui compaiono espressioni che denotano una di-
rezione, ad esempio "la direzione della retta a = la direzione
della retta b". Una possibile risposta è che un enunciato di
questo genere è vero quando la retta a e la retta b sono pa-
rallele: infatti noi possediamo, almeno secondo Frege (che,
come sappiamo, condivideva le tesi kantiane sulla geome-
tria), l'intuizione di cosa siano due rette parallele e quindi
sappiamo cosa significa l'enunciato "La retta a è parallela al-
la retta b"; d'altra parte un enunciato di questo tipo esprime
una relazione di equivalenza, il cui modulo è appunto la di-
rezione di tutte le rette parallele tra loro (in parole povere la
direzione è ciò che un fascio di rette parallele hanno in co-
mune). Possiamo perciò porre

(i) la retta a è parallela alla retta b se e solo se la dire-


zione di a = la direzione di b
dove ciò che sta a sinistra del "se e solo se" è la spiegazione
di ciò che sta a destra.
Una condizione necessaria per ladeguatezza di (i) è che
sia soddisfatta la "definizione" dell'identità di Leibniz:

(ii) Gli identici sono quelli che possono essere sostituiti


l'uno all'altro, fatta salva la verità.
Questo significa che quando le rette a e b sono parallele
dobbiamo poter sostituire ovunque "la direzione di a" con
"la direzione di b"; ma, osserva Frege, dimostrare ciò non è
difficile.
La difficoltà è piuttosto un'altra: (i) non ci fornisce ancora
le condizioni di verità di un'identità tra (segni di) direzioni,
ed infatti è destinato a soccombere, come la definizione
contestuale del cap. Il, 4, al problema di "Giulio Cesare".
59
Mauritius_in_libris
Supponiamo infatti di chiederci se

(iii) Giulio Cesare = la direzione della retta a


sia vero o falso. La risposta, owiamente, è no, perché "Giu-
lio Cesare" non è il nome di una direzione. Ma questo non si
ricava da (i), come si vede con un ragionamento analogo a
quello esposto nel cap. II, 4: per sapere se Giulio Cesare è la
direzione di una retta, è necessario che valga "Giulio Cesare
= la direzione di r" per qualche retta r, ma (i) ci permette di
valutare solo identità in cui entrambi i termini abbiano la
forma "la direzione dir" per qualche retta r. Il problema di
"Giulio Cesare" ci mostra che (i) non costituisce ancora una
definizione adeguata delle condizioni di verità degli enuncia-
ti di identità tra direzioni di rette.
A questo punto Frege fa la sua mossa chiave, quella che,
alla fine, lo porterà al disastro del paradosso di Russell. Le
poche righe del § 68 non ne chiariscono la piena portata, per
cui cercheremo, anche a costo di una certa pedanteria, di
esplicitarne tutti i passaggi. La mossa di Frege consiste dun-
que nell'identificare la direzione di una retta a con l'esten-
sione (Um/ang) del concetto r parallela ad a, - in breve
est( r parallela ad a, ), ossia con la classe di tutti gli oggetti
che cadono sotto questo concetto

. { est( r parallela ad a,) = la direzione di a


(tv) est( r parallela a b, ) = la direzione di b

Questa identificazione è possibile solo se


- le estensioni dei concetti (di tutti i concetti, visto che
non esistono ragioni per cui r parallela ad a, debba co-
stituire un caso particolare) sono oggetti alla stessa stre-
gua di tutti gli altri: infatti "la direzione di a" denota un
oggetto, come dimostra la presenza dell'articolo deter-
minativo;
- per tali oggetti, come per tutti gli altri, vengono determi-
nate le condizioni di verità degli enunciati di identità che
li riguardano.
60
Mauritius_in_libris
La successiva dimostrazione di (vi) mostrerà che la condi-
zione di verità in questione dev'essere
(v) est(F)=est( G) se e solo se ('v'x)(FxHGx) 17

dove "est(F)" denota, in generale, l'estensione del con-


cetto F.
Abbiamo detto infatti che (i) resta una condizione neces-
saria di adeguatezza: pertanto bisogna dimostrare che (i) se-
gue dalla definizione proposta (iv). Per fare ciò basta dimo-
strare
(vi) est(/I a ) = est(//b ) se e solo se a//b
(dove //r è, in generale, un'abbreviazione per il concetto
r parallela alla retta r,; e a//b un'abbreviazione di "la retta
a è parallela alla retta b")
perché da (vi) e da (iv) segue immediatamente (i). Dimo-
striamo ora (vi) 18 :
[da destra a sinistra]
(1) x//a ipotesi
(2) a//b ipotesi
(3) x//b da (1) e (2) per la transitività del
parallelismo
(4) x//a -n//b scarico (1)
(5) ('v'x)(x//a ~ x//b) da (4) - cfr. cap. I, 7.

Analogamente, partendo da x//b come ipotesi e utilizzan-


do la simmetria del parallelismo, si ottiene
(6) ('v'x)(x//b ~ xlI a)
(7) est(//a) = est(//b) da (5) e (6) per (v)

17 Frege, in realtà, non utilizza un segno speciale come H, ma esprime


l'equivalenza di enunciati tramite il segno d'identità (cfr. cap. I, 5). In vista
delle dimostrazioni immediatamente successive abbiamo però preferito, in
questo caso, ricorrere alla notazione moderna.
" Questa dimostrazione che utilizza le ipotesi non è in stile freghiano,
ma la cosa non è rilevante.

61
Mauritius_in_libris
Abbiamo così dimostrato che da a//b segue est(//a) =
est(//b).
[da sinistra a destra]
(1) est(/!a) = est(//b) ipotesi
(2) (Vx){x//a -H//b) da (1) per (v)
(3) a/I a -t a//b da (2) e assioma (9) dell'Ideografia
per Modus Ponens
(4) al/a per la riflessività del parallelismo
(5) a//b da (3) e (4) per Modus Ponens.

Abbiamo così dimostrato che da est(//a) = est(//b) segue


a//b.
(iv) permette di risolvere il problema di "Giulio Cesare":
(iii), infatti, risulta falso perché la direzione di a, essendo
l'estensione di un concetto, è una classe, mentre Giulio Ce-
sare non lo è 19 • Si potrebbe obiettare che questo non basta
ad escludere che la direzione di una retta sia l'estensione di
un concetto come quello di uomo, ma si tratterebbe di
un'obiezione mal posta: se est(r uomo,) fosse una direzione,
dovrebbe essere la direzione di una data retta, diciamo a; per
(iv) la direzione di a è est(//a), quindi, per le leggi dell'ugua-
glianza, dovremo avere est(ruomo,) = est(//a). Per (v) gli
uomini dovrebbero essere allora delle rette, ma questo è
escluso dalla nostra intuizione geometrica.
Il concetto r direzione di una retta, risulta dunque ben
definito solo nel momento in cui, partendo dalle condizioni
di verità dei giudizi di identità, abbiamo definito esplicita-
mente la natura degli oggetti che cadono sotto questo
concetto: le definizioni contestuali, che nei Principi (cfr. II,
§ 66, p. 79) verrano criticate su base generale, si mostrano
già qui incapaci di determinare un concetto in maniera che
le difficoltà esposte alla fine di § 4 siano superate.

19 È opportuno sottolineare che il problema di "Giulio Cesare" non ha

nulla a che vedere con larbitrarietà dei segni: si tratta infatti di stabilire se il
condottiero romano possa essere la direzione di una retta, non se "Giulio Ce-
sare" possa essere utilizzato come nome della direzione di una retta Oa possi-
bilità di un uso deviante del linguaggio resta sempre aperta, ma è innocua).

62
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7. La de/inizio ne di numero naturale

Si tratta ora di estendere questo tipo di soluzione alla de-


finizione di numero che spetta ad un concetto F, per passa-
re poi a quella di numero naturale: si tratta cioè di trovare le
condizioni di verità di un enunciato tipo. "il numero che
spetta a F = il numero che spetta a G", utilizzando lo stesso
metodo con cui nel paragrafo precedente abbiamo trovato
quelle per "la direzione della retta a = la direzione della ret-
ta b". Ma, dal momento che non possediamo - secondo
Frege - un'intuizione aritmetica analoga a quella geometri-
ca, quale sarà la nozione che farà, in questo caso, la parte
del parallelismo? L'equinumerosità dei concetti, è la rispo-
sta di Frege.
Vediamone dunque la definizione. Se F e G sono concetti
(vii) F è equinumeroso a G se e solo se (3<j>)(cj> è una corri-
spondenza biunivoca tra le classi est(F) e est(G)), ossia <j> è
una funzione dall'intera classe est(F) all'intera classe est(G),
che ad elementi diversi di est(F) associa elementi diversi di
est(G). Tutto ciò può essere espresso formalmente nel lin-
guaggio dell'Ideografia, integrato con la relazione E di ap-
partenenza ad una classe: la corrispondenza biunivoca tra le
estensioni dei concetti F e G è definita come quella funzione
<I> tale che

(V'x)(xe est(F) ~ (3y )(ye est( G) /\


y=<j>x /\ (V'z)((zeest(G) /\ z=cj>x)~z=y)))

(V'x)(V'y)((x,ye est(F) /\ x:;ty) ~ cj>x:;t(j>y)


(V'y)(yeest(G) ~(3x)(xeest(F) /\ y=cj>x)).

Abbiamo dunque sostituito una nozione intuitiva a prio-


ri, il parallelismo, con una definibile su basi puramente logi-
che, l'equinumerosità. Non ci rimane dunque altro da fare
che ripercorrere la stessa via seguita per definire la direzio-
ne di una retta, attribuendo alla nozione di equinumerosità
lo stesso ruolo di explicans sostenuto, nell'esempio geome-
trico, da quella di parallelismo (i numeri tra parentesi qua-
63
Mauritius_in_libris
dre indicano gli enunciati corrispondenti nell'esempio geo-
metrico)
(viii)= [i] F equinumeroso a G se e solo se il numero
che spetta a F =il numero che spetta a G.

(viii) non è però in grado di escludere che Giulio Cesare


sia il numero che spetta ad un concetto. Stabiliamo allora
(ix) = [iv]
est( r equinumeroso a F, )=il numero che spetta a F
{
est( r equinumeroso a G ,)=il numero che spetta a G

dove, però, r equinumeroso a F, e r equinumeroso a G,


sono di secondo grado, dal momento che sotto di essi cado-
no concetti e non oggetti. Le condizioni che rendevano pos-
sibile (iv) vanno ora ampliate fino a riguardare anche i con-
cetti di secondo grado: anche la loro estensione dovrà essere
un oggetto, e dovrà valere
(x) = [ v] est( r equinumeroso a F,) = est( r equinumeroso a
G ,) se e solo se (VJ{)(J{è equinumeroso a F +-+ J{
è equinumeroso a G).
Per giustificare (ix), infine, dobbiamo dimostrare (utiliz-
zando (x) ed il fatto che anche quella di equinumerosità è
una relazione di equivalenza) che
(xi) = [vi] est( r equinumeroso a F ,)=est( r equinumeroso a
G ,) se e solo se F è equinumeroso a G;
da (xi) e da (ix), infatti, segue immediatamente (viii).

Sappiamo ora, grazie a (ix), che cos'è il numero che spetta


ad un concetto. Se, a partire da questa nozione, vogliamo
definire la serie dei numeri naturali finiti2° O, 1, 2, ... , n, ... ,
dovremo trovare, per ogni numero n, un concetto F tale che

20 L'aggiunta "finiti" non è oziosa: per Frege, infatti, accanto ai numeri

naturali finiti esistono anche quelli infiniti, corrispondenti ai cardinali trans-


finiti della teoria degli insiemi.

64
Mauritius_in_libris
n sia il numero che spetta a F: n sarà allora l'estensione del
concetto r equinumeroso a F,.
Per lo O la cosa è presto fatta. O è il numero che spetta ad
ogni concetto vuoto (ossia sotto cui non cade nulla), ed in
particolare ai concetti che sono vuoti per ragioni puramente
logiche 21 , come r diverso da se stesso, (è importante che sia
così, se avessimo scelto, ad esempio, r satellite di Venere,,
la definizione dello O sarebbe dipesa dal fatto empirico che
Venere non ha satelliti); avremo allora
(xii) O= est(r equinumeroso a 'diverso da se stesso',).
Bisogna ora mostrare che questa definizione non dipende
dal concetto scelto, che cioè ogni altro concetto vuoto sareb-
be andato altrettanto bene. Infatti se F è vuoto, allora si di-
mostra facilmente che è equinumeroso a r diverso da se stes-
so,; per (xi) le estensioni di r equinumeroso a 'diverso da
se stesso', e di r equinumeroso a F, sono uguali: perciò,
per (xii)
(xiii) O= est(r equinumeroso a F,).

Il passo successivo consisterà nel definire la nozione di


successore di un numero naturale. Lo strumento principale
sarà la nozione generale di successione che Frege aveva già
studiato nel terzo capitolo dell'Ideografia (pp. 169-206), pro-
prio allo scopo di fornire un saggio di come eliminare, trami-
te il nuovo strumento logico esposto nei primi due capitoli,
ogni ricorso all'intuizione. In generale avremo dunque
se cp(x,y) è una relazione a due posti (diremo che y è un
cp-successore immediato dix), il concetto F è cp-ereditario

21 Grazie a Frege, parlare di un concetto logicamente vuoto, ossia auto-

contraddittorio, ci sembra ormai una cosa perfettamente naturale; ma, se i


concetti fossero intesi come il prodotto di un'attività mentale e ad essi do-
vesse accompagnarsi una qualche rappresentazione, ci sarebbe da risolvere
il non facile problema di come potremmo rappresentarci qualcosa di auto-
contraddittorio. Per Frege, invece, un concetto è perfettamente determina-
to, e quindi ammissibile, quando risulta determinato se ogni oggetto cade o
meno sotto di esso: e questo è evidentemente il caso anche per i concetti lo-
gicamente vuoti.

65
Mauritius_in_libris
(o ereditario nella $-successione) se e solo se tutti i <!>-
successori immediati di un x che cade sotto F cadono
anch'essi sotto F - in simboli
(j) (Vx)(Fx~(Vy)(<1>(x,y)~Fy));

attraverso (j) è possibile definire la nozione <+"seguire


nella <!>-successione"
(jj) t <+ u =d1 (V.'TH<1>-ereditario{.1)~{(Vy)(<1>(t,y)~.'Ty)~.'Tu)).

È opportuno iOttolineare che la relazione <!>(x,y) non è ne-


cessariamente uno-uno, ma è possibile anche che x abbia più
di un <!>-successore immediato [questo spiega il quantificato-
re universale in (j)], oppure che due elementi abbiano lo
stesso <!>-successore immediato: la <!>-ereditarietà di F significa
allora che la proprietà di essere F si trasmette da un nodo
della successione a tutto quello che viene immediatamente
dopo. Inoltre il significato di t <+ u è, intuitivamente, che u
può essere raggiunto a partire da t attraverso un numero fi-
nito di successive applicazioni di <1>: ossia, se scriviamo t 1 ~• t~
per esprimere il fatto che t2 è un <!>-successore immediato d1
t 1, che u può essere raggiunto a partire da t attraverso un nu-
mero finito di frecce~ •. Questa esposizione intuitiva, tutta-
via, fa ricorso alla nozione di numero, e quindi la definizione
dei numeri attraverso la nozione di f-successione diventereb-
be circolare: (jj) ha appunto lo scopo di evitare questa circo-
larità 22 • L'idea che sta alla base di (jj) è semplicemente che,
qualora u sia raggiunto da t attraverso un certo numero di
frecce ~., ogni concetto <!>-ereditario F che si trasmetta ai~­
successori immediati di t arriva fino a u.
Definiamo ora la relazione f{m,n)
(xiv) {3.1){3x)(x è un oggetto che cade sotto .'T /\ n è il nume-
ro che spetta a .'T /\ m è il numero che spetta al concet-
to .'Tx 23),

22 Per risolvere un problema analogo Dedekind introdurrà nella sua defi ·

nizione dei numeri naturali la nozione di "classe semplicemente infinita"


(cfr. cap. Il, 8).
" Per la definizione di F x cfr. (3) del cap. Il, 4.

66
Mauritius_in_libris
e, mediante l'equivalenza
(xv) x appartiene alla f-successione che termina con m se e
solo se x <r m v x=m,
il concetto r appartenere alla f-successione che termina con m,.
Naturalmente tutto ciò non ci dà ancora la f-successione,
dal momento che non sappiamo se esistono concetti e oggetti
che rendono vero (xiv): ad esempio, sappiamo che esiste il nu-
mero O, ma non sappiamo se esiste qualche n per cui vale
f(O,n). Tuttavia sappiamo già che f(m,n) è una relazione 1-1 e
che vale m=M. Supponiamo infatti che f(m,n) e f(m,q): allora
esisteranno due concetti F e G e due oggetti rispettivamente a
e b tali che n spetta a F e q spetta a G, mentre m spetta sia a
F. sia a Gb, che saranno perciò equinumerosi; di conseguenza
saranno equinumerosi anche F e G, e perciò n=q. D'altra par-
te, se f(m,n), allora m;t:n: se infatti m=n, e n spetta al concetto
F, allora, per qualche oggetto a, F e F. dovrebbero essere
equinumerosi; ma questo, trattandosi di concetti finiti, è im-
possibile. Sappiamo inoltre che se f(m,n) e f(q,n), allora m=q.
Infatti, se n spetta al concetto F e valgono f(m,n) e f(q,n), allo-
ra esisteranno concetti F. e Fb cui spettano rispettivamente m
e q: quindi m=q. In conclusione, per usare le parole di Frege,
la relazione f(m,n) è univoca in entrambe le direzioni (Fond.
§ 78, p. 319). Possiamo perciò dire che, qualora esista un n ta-
le che f(m,n), n è l'f-successore immediato di m.
Per dimostrare l'esistenza dell'f-successore immediato di
un dato numero m ci serviremo del concetto r appartenere
alla f-successione che termina con m, e dello stesso numero
m. Osserviamo in primo luogo che, qualora la successione
<0, ... ,m> sia stata definita, varrà che, se
(xvi) il numero che spetta al concetto r appartenere alla
f-successione che termina con m, (in breve al concetto
f<O,m>) è l'f-successore immediato di m (diciamo m'),

allora
(xvii) il numero che spetta al concetto r appartenere alla
f-successione che termina con m', è l'f-successore
immediato di m' (diciamo m").
67
Mauritius_in_libris
Infatti la validità di (xvii) significa, in base a (xiv), che
vale
(xviii) (3.'T)(3x)(x è un oggetto che cade sotto 'FA il numero
che spetta al concetto f<O,m'> spetta a 'FA m' è il nume-
ro che spetta al concetto .'T).

Per dimostrare (xvii) bisogna allora trovare un concetto


ed un oggetto che rendano vero (xviii): il concetto è, ov-
viamente, f<O,m'>, la cui esistenza è garantita da (xvi) - dal
momento che (xvi), definendo l'f-successore immediato di
m, ci permette di costruire, a partire dalla successione da-
ta <0, ... ,m>, la successione <0,. .. m,m'>; mentre l'oggetto
sarà m'. Infatti i concetti F ;o,m'> e f<O,m> sono equinume-
rosi 24 : quindi, poiché per (xvi) m' è il numero che spetta
a f<O,m>, m' spetterà anche a F ;o,m'>. (xvii) deriva perciò da
(xvi).
È facile ora costruire la successione dei numeri naturali. O
è già stato definito, e, di conseguenza, anche la successione
<0>. Ora O, f< 0>, il numero che spetta al concetto r apparte-
nere a <0>, soddisfano (xiv), e quindi il numero che spetta
al concetto r appartenere a <0>, è l'f-successore immediato
di O; ossia
(xix) il numero che spetta al concetto r appartenere alla
f-successione che termina con O, è l'f-successore
immediato di O, ossia 1.

(xix) è un caso particolare di (xvi); quindi, poiché da (xvi)


segue (xvii), otteniamo
(xx) il numero che spetta al concetto r appartenere alla
f-successione che termina con 1, è l'f-successore
immediato di 1, cioè 2.

24 Questo potrebbe essere falso solo se la successione <0, .. .,m,m'> conte-

nesse qualche "ripetizione" di m' compresa tra O e m: in questo caso, infatti,


se si toglie m' da <0, .. .,m,m'>, si toglie più di un elemento. Che ciò si possa
verificare è però escluso dal fatto che nessun oggetto appartenente ad una
successione così costruita può seguire se stesso.

68
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In base a (ix) avremo
(xxi) 1 = est(r equinumeroso al concetto 'appartenere alla
f-successione che termina con O', );
(xxii) 2 = est(r equinumeroso al concetto 'appartenere alla
f-successione che termina con 1', ).

Iterando la procedura qui descritta, possiamo costruire la


successione dei numeri naturali, ognuno dei quali, tranne lo
O, è l'f-successore di qualche numero, ed ognuno dei quali
ha la forma
(xxiii) est( r equinumeroso al concetto 'appartenere alla
f-successione che termina con n', )
per qualche numero n.

È opportuno notare che la nozione freghiana di numero


naturale si estende anche all'aritmetica transfinita (Fond.
§§ 84-86, pp. 324-26). Possiamo infatti definire il concetto
r essere un numero naturale finito, attraverso le equivalen-
ze: x è un numero naturale finito se e solo se x appartiene al-
la successione di numeri naturali che inizia con O se e solo se
O<r x. A questo concetto spetterà un numero naturale infini-
to, corrispondente a ~o di Cantor, che Frege contrassegna
con 00 1: questo numero non è finito - osserva Frege -
perché è il successore di se stesso. Infatti anche al concet-
to r essere un numero naturale finito, ma essere diverso da
O,, dal momento che è equinumeroso a r essere un numero
naturale finito,, spetta il numero 00 1: pertanto 00 1 è il succes-
sore di se stesso 25 •
Ricapitolando, abbiamo dunque dimostrato, tra laltro, i
seguenti fatti
(A) O è un numero naturale finito(= (xii));
(B) per ogni numero naturale finito n esiste il suo f-succes-
sore immediato, diverso da n;

" Come si vede, l'infinità di un numero dipende dal fatto che le estensioni
dei concetti cui spetta sono in corrispondenza biunivoca con un loro sottoin-
sieme proprio: in maniera analoga Dedekind definirà l'infinità di una classe.

69
Mauritius_in_libris
[la procedura descritta nei passaggi (xix)-(xxii) ci dà
l'esistenza dell'f-successore immediato per ogni numero
naturale n - se n è finito il successore è diverso da n]
(C) O non è l'f-successore di nessun numero naturale finito;
[basta considerare il modo in cui è definito lo O]
(D) se due numeri naturali finiti hanno f-successori uguali,
sono anch'essi uguali;
[cfr. le osservazioni, poste dopo (xv), sulle caratteristi-
che della relazione f (m,n)].

Inoltre vale
(E) se F è f-ereditario e O cade sotto F, allora tutti i numeri
naturali finiti cadono sotto F.

Supponiamo infatti che n sia un numero naturale finito.


Avremo allora
(1) O <r n cfr. le osservazioni dopo (xxii)
(2) FO ipotesi
(3) ('v'y)(f(O,y)-tFy) da (2) per (j), dato che F è f-ereditario
(4) Fn da (1) e (3) per (jj)

Frege, dunque, attraverso la sua definizione di numero


naturale finito, è in grado di dimostrare gli assiomi di
Peano 26 • È importante sottolineare il "dimostrare": la suc-
cessione dei numeri naturali finiti non è qualcosa di dato,
che si cerca di descrivere attraverso un certo numero di as-
siomi (le cui uniche giustificazioni sono appunto l'adegua-
tezza descrittiva e la possibilità di dedurre le proposizioni

26 (E) non è altro che una versione del principio di induzione completa:

infatti, data l'univocità di f, la f-ereditarietà di F consiste nella validità di


(ìtx)(Fx~Fx') - versione semplificata di (j), dove x' indica l'f-successore
di x. È opportuno ricordare che la nozione di f-ereditarietà è molto più
comprensiva, e che l'induzione completa rappresenta, per così dire, un caso
panicolare.

70
Mauritius_in_libris
vere dell'aritmetica), ma deriva dalle pure leggi del pensiero.
Le sue proprietà fondamentali non sono allora formulate co-
me assiomi, ma dimostrate come teoremi logici: alla descri-
zione si sostituisce la dimostrazione.

8. Frege e Dedekind

Esiste una terza alternativa: invece di considerare la suc-


cessione dei numeri naturali una struttura data da descrivere
mediante assiomi, è possibile definire astrattamente un certo
tipo di successione ed intendere come numeri naturali sem-
plicemente ciò che soddisfa le regole che determinano que-
sto tipo di successione. Questa è, grosso modo, la via seguita
da Dedekind nel saggio del 1888 (quattro anni dopo i Fon-
damenti), Was sind und was sollen die Zahlen? 27 •
Il punto di partenza di Dedekind per la definizione dei
numeri naturali è la nozione di "classe semplicemente infini-
ta". Una classe N è semplicemente infinita se esistono una
funzione f definita su tutto N ed un elemento b tali che:
(1) beN;
(2) ('v'y)(ye N~f(y)e N);
(3) ('v'y )(ye N ~htf(y));
(4) f è iniettiva (cioè ad argomenti diversi corrispondono
valori diversi);
(5) N = n{Z I beZA('v'y)(yeZ~f(y)eZ)).

Si vede subito che (1)-(4) corrispondono ad (A)-(D) del


paragrafo precedente, purché la relazione f(m,n) di Frege
sia intesa come una funzione f(m)=n - non ci sono diffi-
coltà perché si tratta di una relazione uno-uno - ed "essere
un numero naturale" venga sostituito con "e N''.

27 Di questo saggio esistono due traduzioni italiane, una del 1926 a cura

di Oscar Zariski (Roma 1926), e l'altra, molto più recente, con il titolo Che
cosa sono e a cosa seroono i numeri? in Dedekind Scritti sui fondamenti del-
la matematica, a cura di Francesco Gana (Napoli 1982): nella nostra esposi-
zione faremo riferimento a quest'ultima edizione.

71
Mauritius_in_libris
(5), d'altra parte, corrisponde a (E), ma qui il discorso si
fa più complesso. La ragione per introdurre (5) è, innanzi-
tutto, garantire che N non contenga altro che l'elemento ini-
ziale b e ciò che si ottiene da b mediante un numero finito di
applicazioni di f. Le prime 4 condizioni, infatti, sono suffi-
cienti a stabilire che N contiene una successione di elementi
b, f(b), f(f(b)), f(f(f(b))), etc. tutti diversi tra loro, ma non
escludono che N possa contenere elementi x diversi da b e
dal risultato di applicare n volte fa partire da b: ad esempio
due elementi c, d tali che f(c)=d e f(d)=c; oppure un b' che
origina una successione parallela a quella originata da b. Il
compito di (5) è proprio escludere queste ed altre simili
eventualità: la presenza in N della successione b, f(b), f(f(b)),
f(f(f(b))), etc. è la condizione minima su N perché (1)-(4)
siano soddisfatte, e (5) ci assicura che N non "va al di là" di
questa condizione minima. Da (5), inoltre, segue il principio
di induzione, nella forma (beMA('v'y)(yeM.-+f(y)eM))
.-+Nç;1F8: M è infatti uno degli Z dalla cui intersezione è co-
stituito N.
È ora evidente che (5) ha la stessa funzione della nozione
freghiana di f-ereditarietà: dato un elemento iniziale b ed
una funzione f che soddisfa (1)-(4) ed è f-ereditaria, possia-
mo intendere la dedekindiana classe semplicemente infinita
come la f-successione iniziante da b. Esiste però una diffe-
renza di fondo (a parte la maggior generalità della nozione
di f-ereditarietà): Frege definisce una f-successione di oggetti
logici strutturalmente analoga alla classe semplicemente infi-
nita di Dedekind (ed infatti è possibile dimostrare (A)-(E)),
ma non ritiene che qualunque classe semplicemente infinita
possa rappresentare la successione dei numeri naturali. Al
contrario Dedekind definisce così i numeri naturali:
se in una classe semplicemente infinita N si fa astrazio-
ne 29 dalla natura degli elementi, mantenendo solo la loro

28 L'appartenenza ad una classe M sostituisce il cadere sotto un concetto:

poiché ad ogni classe corrisponde il concetto di essere un elemento di que-


sta classe, questa nuova formulazione è equivalente alla precedente.
29 In questa definizione si parla di "astrazione", tuttavia non si tratta

esattamente della stessa pratica definitoria la cui applicazione F rege aveva

72
Mauritius_in_libris
distinguibilità e le loro relazioni reciproche determinate
da f, allora questi elementi sono detti numeri naturali
(§ 7, 73 - pp. 101-102).

In altre parole, per Dedekind i numeri naturali non sono


altro che la legge che definisce una classe semplicemente in-
finita, ed è irrilevante quale sia la natura degli elementi che
realizzano questa legalità.
Questa definizione dei numeri naturali, per essere accetta-
bile, richiede che si dimostri l'esistenza di classi semplice-
mente infinite, cioè l'esistenza di un modello di (1)-(5): se in-
fatti, come in questo caso, gli assiomi non costituiscono la
descrizione di una struttura matematica che si considera da-
ta, nulla ci garantisce a priori che stiamo effettivamente de-
scrivendo qualcosa.
Dimostrare l'esistenza di un modello corrispondente ad
un gruppo di assiomi significa provarne la coerenza. Il pro-
blema delle dimostrazioni di coerenza, che la scoperta dei
paradossi renderà ben presto drammatico, comincia già ad
acquistare importanza crescente, da un lato con la nascita
delle geometrie non euclidee, dall'altro con lo sviluppo del
processo di rigorizzazione della matematica: nell'un caso e
nell'altro, infatti, nessuna forma di evidenza intuitiva è in
grado di garantirci che le nozioni introdotte non siano al-
trettanto inconsistenti di "cerchio quadrato", ed è quindi
necessario dimostrare la coerenza delle costruzioni propo-
ste. Come risulta chiaro dalla corrispondenza tra Keferstein
e Dedekind 30 , questi si rende perfettamente conto del pro-

aspramente criticato nei Fondamenti (cfr. cap. Il, 2): infatti il risultato
dell'astrazione di Dedekind non è una classe di unità qualitativamente indif-
ferenti, ottenute eliminando da una certa classe di items tutto ciò che li dif-
ferenzia tra loro, ad eccezione della pura diversità l'uno dall'altro; piuttosto
una classe di items relazionalmente, anche se non qualitativamente, deter-
minati dalla posizione occupata nella successione. Contro questa nozione
sofisticata di astrazione le critiche dei Fondamenti non sono immediata-
mente applicabili.
'°Cfr. Dedekind [1982), p. 152: " ... finché non si fornisce una dimo-
strazione del genere [che esiste una classe semplicemente infinita] è lecito
temere che la definizione precedente di N contenga una contraddizione in-
terna ... ".

73
Mauritius_in_libris
blema, e cerca di· dimostrare la coerenza della sua defini-
zione di N provando che esistono classi infinite e che
ogni classe infinita contiene una sottoclasse semplice-
mente infinita (rispettivamente§ 5, 66, pp. 98-99 e§ 6, 72 -
p. 101).
La dimostrazione che esistono classi infinite è la seguente.
Per Dedekind una classe è infinita, per definizione, se può
essere messa in corrispondenza biunivoca con una sua sotto-
classe propria JI. Ora, se S è la classe dei miei pensieri, f(s) =
il pensiero che s può essere oggetto del mio pensiero e S' è la
classe delle f-immagini di S, allora si vede facilmente che esi-
ste una corrispondenza biunivoca tra S ed il suo sottoinsie-
me proprio S' (infatti "il mio proprio lo" è un pensiero che
non è la f-immagine di nessun pensiero, dal momento che
l'Io non può essere il pensiero di un pensiero): quindi S è
una classe infinita, in base alla precedente definizione di "in-
finito". Ora, prendendo come b "il mio proprio lo" e come f
la funzione appena definita, possiamo costruire una sotto-
classe infinita di S che soddisfi le condizioni (1)-(5). Si dimo-
stra poi facilmente che ogni classe infinita possiede una sot-
toclasse semplicemente infinita.
Frege non esamina per esteso la definizione di numero
naturale proposta da Dedekind (i Fondamenti precedono
di quattro anni il lavoro di Dedekind), ma si limita, in una
nota ad un passo della Logica del 1897 (cfr. Scritti Postumi,
pp. 243-44), ad osservare che la dimostrazione dell'esistenza
di una classe infinita proposta da Dedekind richiede, per
essere corretta, che con pensiero si intenda un oggetto
astratto indipendente dal pensare dell'uomo, dal momento
che è evidente che non esiste nessuna infinità attuale di co-
gitationes.
Questa semplice osservazione richiede a sua volta qual-
che ulteriore considerazione. Frege e Dedekind sono d'ac-

" Che le classi infinite avessero questa proprietà era stato osservato da
tempo, ma Dedekind è il primo ad assumere esplicitamente questa pro-
prietà come una definizione dell'infinito (e a dimostrarne la correttezza ri-
cavandone le usuali proprietà dell'infinito). Per Frege, come si è visto, 00 1 è
infinito perché segue se stesso, ma per dimostrarlo è necessario servirsi
dell'equivalenza di una classe infinita con una sua sottoclasse propria.

74
Mauritius_in_libris
cordo sul fatto che l'aritmetica è espressione delle leggi del
pensiero, e che il ricorso ad una qualsiasi forma di intuizio-
ne spaziale o temporale è o superfluo o dannoso 32 • Tuttavia
esiste una differenza sostanziale nel modo di intendere le
"leggi del pensiero": per Dedekind esse sono le leggi del
pensare umano (cfr. p. 80 "i numeri sono libere creazioni
dello spirito umano" - la scienza dei numeri "si basa sulla
capacità di mettere in rapporto cose con cose, di far corri-
spondere una cosa ad un'altra ovvero di rappresentare una
cosa mediante un'altra cosa"), mentre per Frege sono le leg-
gi che governano un mondo di entità oggettive, non prodot-
te dall'attività raziocinante dell'uomo, ma che l'uomo può
comprendere (in questo consiste il pensare). La concezione
delle leggi del pensiero di Dedekind appare dunque più vi-
cina a Kant di quanto lo sia quella di Frege. Questi, infatti,
rifiuta, qui come altrove, di prendere in considerazione una
"terza via" tra il puro e semplice psicologismo e la sua teo-
ria degli oggetti logici, ossia di ammettere lesistenza di una
facoltà trascendentale (non empirica), la quale, determinan-
do le condizioni di possibilità di ogni effettivo atto di pen-
sare, ne stabilisca il carattere oggettivo, non importa se tale
atto venga realmente compiuto. Nella fattispecie si po-
trebbe dire che la riflessività del pensiero è una caratteristi-
ca trascendentale che determina l'esistenza di un'infinità di
atti di pensiero "astratti", indipendentemente dalla loro ef-
fettuabilità empirica. Frege mette perciò Dedekind di fron-
te al dilemma tra assurdità e irrilevanza: assurdità, se si ac-
cetta l'esistenza di un'infinità attuale di cogitationes, irrile-
vanza se si ammette l'oggettività (in senso freghiano) del
pensiero, dal momento che quando abbiamo a che fare con
il pensiero oggettivo il ricorso ad un "io" pensante non di-
mostra nulla.

" Cfr. l'inizio della prefazione alla prima edizione di Che cosa sono e a
che cosa servono i numeri? in cui Dedekind espone la sua concezione del
numero (pp. 79-80): "Già il fatto che io parli dell'aritmetica (algebra, ana-
lisi) solo come di una parte della logica mostra che considero il concetto di
numero del tutto indipendente dalle rappresentazioni o intuizioni dello spa-
zio e del tempo, e che lo ritengo piuttosto un'emanazione diretta delle pure
leggi del pensiero".

75
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9. Frege e Hilbert

La concezione freghiana del metodo assiomatico era so-


stanzialmente quella tradizionale. Alla base di ogni teoria
matematica vi sono assiomi, definizioni e delucidazioni: gli
assiomi rappresentano verità ovvie ed autoevidenti la cui
giustificazione è esterna alla teoria in questione (ad esempio
gli assiomi della geometria euclidea stabiliscono le proprietà
fondamentali dello spazio e la loro giustificazione risiede
nell'intuizione a priori kantiana); le definizioni devono
soddisfare i requisiti di non-creatività ed eliminabilità (in pa-
role povere servono solo ad introdurre, per brevità, un nuo-
vo segno al posto di una combinazione di altri segni il cui si-
gnificato è previamente noto); infine, poiché non è evidente-
mente possibile definire esplicitamente tutto, è necessario
spiegare il significato di alcuni termini per mezzo di spiega-
zioni informali (delucidazioni). Ed altrettanto tradizionale
era, come si è visto, la sua concezione della geometria, del
tutto coerentemente, del resto, perché furono proprio le
geometrie non euclidee uno dei principali fattori di crisi del
metodo assiomatico tradizionale.
Era perciò inevitabile che proprio sulla questione del me-
todo assiomatico applicato in primis alla geometria Frege si
trovasse in profondo disaccordo con Hilbert. Quest'ultimo,
per cercare di spiegare lo status logico delle geometrie non
euclidee, proponeva infatti (cfr. Hilbert [1899]) di interpre-
tare in generale un insieme di assiomi, preso nella sua tota-
lità, come una definizione implicita dei termini primitivi, la
quale determinava perciò tutti quei "modelli" i cui elementi,
posti in corrispondenza biunivoca con i termini non definiti
contenuti negli assiomi, soddisfacessero le relazioni espresse
dagli assiomi stessi; e l'unica garanzia richiesta per l' am-
missibilità di un insieme di assiomi era la dimostrazione del-
la loro coerenza, garanzia tuttavia indispensabile dal mo-
mento che gli assiomi non rappresentavano più la descrizio-
ne di una presunta "realtà" preesistente (come gli assiomi di
Euclide in relazione allo spazio "euclideo").
In una sua lettera a Hilbert (cfr. lettera del 6 gennaio
1900, Epist. pp. 55-57), e poi anche, più diffusamente, nelle
76
Mauritius_in_libris
due serie di articoli Uber die Grundlagen der Geometrie, ri-
spettivamente del 1903 e del 1906 (cfr. [20) e [22)), Frege
interpreta il metodo hilbertiano come un tentativo di stacca-
re la geometria dall'intuizione spaziale e di ridurla alla logi-
ca: gli assiomi A costituiscono le condizioni contenute impli-
citamente in ogni teorema T, e la dimostrazione di quest'ul-
timo consiste, in realtà, nel dimostrare il condizionale A~T.
Restano comunque i problemi connessi con l'esistenza e
l'unicità di un modello che soddisfi questi assiomi. Per Fre-
ge, infatti, in primo luogo Hilbert sopravvaluta l'importanza
delle dimostrazioni di coerenza: l'unico modo di dimostrare
la coerenza di un insieme di assiomi è infatti mostrare qual-
cosa che li soddisfa, ma, allora, che cosa impedisce di consi-
derarli come una descrizione di ciò che appunto li soddisfa?
Un'altra argomentazione è più complessa e si basa sulla di-
stinzione tra concetti di primo e secondo grado. Consideria-
mo, ad esempio, l'assioma hilbertiano "Ci sono almeno due
punti su ogni linea retta": se gli assiomi definiscono implici-
tamente i primitivi che compaiono in essi, a prima vista sem-
brerebbe che l'esistenza di questi punti fosse stabilita per
definizione (un po' come l'esistenza di Dio nella prova onto-
logica). Un più attento esame mostra però che questa assur-
dità non può essere imputata ad Hilbert: l'assioma in que-
stione, infatti, non attribuisce una proprietà agli oggetti
"punti", ma stabilisce una proprietà del concetto ,.. essere un
punto, (ossia la proprietà espressa da "(Vx)(3y)(3z)(z:ry"
Retta x "Punto y" Punto z "y, z sono su x)" - cfr. cap. I,
4). Così, in generale, gli assiomi hilbertiani esprimeranno
proprietà di secondo grado dei primitivi che compaiono in
essi: pertanto tali assiomi saranno eventualmente soddisfatti
da concetti, non da oggetti. Poiché però nulla garantisce che
vi sia un solo insieme di concetti che soddisfa un dato siste-
ma di assiomi, ciò significa che quest'ultimo descriverà am-
biti concettuali disparati, nella fattispecie geometrie in ognu-
na delle quali vi sarà un diverso concetto (di primo grado) di
punto 33 •

" Viceversa non e' è nulla di male se diversi sistemi di oggetti soddisfano
uno stesso insieme di assiomi esprimente proprietà di primo grado: si tratta,

77
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Le critiche di Frege a Hilbert mostrano la consueta luci-
dità e la consueta attenzione per il rigore logico, tant'è vero
che lo stesso Hilbert, anche se interruppe ben presto lo
scambio epistolare con Frege ed in seguito rifiutò la sua pro-
posta di pubblicare il loro carteggio, finì per tenerne conto.
Tuttavia a Frege sfuggì sempre la fecondità matematica e lo-
gica del metodo hilbertiano: da un lato, infatti, questo meto-
do permetteva una grande libertà nella costruzione di nuove
teorie matematiche, svincolandole da limitative considera-
zione di carattere ontologico, e ne consentiva un'applicazio-
ne molto vasta (ad ogni struttura che soddisfaceva appunto
gli assiomi delle suddette teorie); dall'altro, poiché il posses-
so di certi requisiti formali da parte di una teoria, in primis
quello della coerenza, non poteva essere garantito da consi-
derazioni di tipo ontologico (o, come nel caso dell'aritmetica
freghiana, da una presunta corrispondenza con le leggi del
pensiero) la concezione della matematica hilbertiana contri-
buì molto alla nascita e allo sviluppo dello studio metamate-
matico dei sistemi formali.

III. LA SEMANTICA DI FREGE ED IL SISTEMA DEI «PRINCIPI»

1. La distinzione tra senso e riferimento: i termini singolari

Nel cap. I, 5 abbiamo elencato alcuni problemi che la no-


zione, poco chiara ed insufficientemente elaborata, di conte-
nuto concettuale non riusciva a risolvere in maniera soddi-
sfacente; abbiamo altresì costatato la necessità, nel definire il
concetto di numero naturale, di introdurre oggetti come le
estensioni corrispondenti ai termini concettuali, ma non era
chiaro quale potesse essere il posto di questi nuovi oggetti
nella, chiamiamola così, "semantica del contenuto concet-
tuale". Alcuni anni dopo la pubblicazione dei Fondamenti,

in questo caso, di varianti inessenziali (com'è inessenziale, per uno zoologo,


esaminare questo o quell'esemplare della stessa specie).

78
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in una serie di articoli apparsi tra il 1891 ed il 1892 (in parti-
colare in Senso e riferimento), Frege introduce, allo scopo -
principale, anche se forse non unico - di superare queste
difficoltà, la sua famosa distinzione tra senso e riferimento
dei vari tipi di espressioni linguistiche.
Iniziamo con i termini singolari, tra i quali rientrano, ol-
tre ai nomi propri ("Aristotele", "Giulio Cesare", "la
Potemkin"), anche tutte quelle espressioni che, alla stregua
dei nomi propri, si riferiscono ad un oggetto, in primo luo-
go le descrizioni definite 1• Il riferimento 2 di un termine sin-
golare è sempre un oggetto (l'oggetto di cui un nome pro-
prio è appunto nome, o l'oggetto descritto da una descrizio-
ne definita). Che cosa sia un oggetto sembra essere intuiti-
vamente chiaro: il computer con cui scrivo, i libri sul mio
tavolo, i miei figli, etc. sono tutti oggetti; tuttavia, mentre è
facile dare esempi di oggetti, più difficile è dire che cosa, in
generale, essi sono. La risposta di Frege chiama in causa an-
che la nozione correlata di concetto, e perciò ne parleremo
nel paragrafo dedicato al senso e riferimento dei concetti
(cfr. cap. III, 2): per il momento sarà sufficiente la nozione
intuitiva.
Nei casi normali, ogni termine singolare si riferisce dun-
que ad un solo oggetto; tuttavia, in generale, diversi termini
singolari possono riferirsi allo stesso oggetto, ed ognuno di
essi indica anche un modo in cui l'oggetto ci viene dato. Ri-
prendiamo l'esempio del cap. I, 5: il punto di intersezione
delle altezze di un dato triangolo equilatero A e quello delle
sue bisettrici coincidono; quindi "il punto di intersezione
delle altezze di A" e "il punto d'intersezione delle bisettrici
di A" sono termini singolari che si riferiscono allo stesso
punto geometrico attraverso diverse caratteristiche possedu-

1 Frege, per la verità, li chiama tutti nomi propri (Eigennamen): per

evitare confusioni abbiamo però preferito usare l'espressione "termini sin-


golari".
2 Per il momento parleremo sempre del riferimento e del senso di

un'espressione nei casi normali, ossia, in primissima approssimazione, nel


discorso diretto (buona parte di Senso e riferimento sarà appunto dedicata
a distinguere i contesti in cui le espressioni hanno un senso ed un riferimen-
to diversi da quelli standard).

79
Mauritius_in_libris
te da quel punto, ed esprimono perciò due diversi modi in
cui tale oggetto ci è dato 3 • Per ogni termine singolare A,
dunque, distinguiamo tra l'oggetto nominato da A - il ri-
ferimento di A - e quello, tra i vari modi in cui tale oggetto
ci viene dato, che A esprime - il senso di A (cfr. Sen. eri/.,
pp. 376-77).
Questa maniera di presentare le cose non è sbagliata, ma
può trarci in inganqo e farci erroneamente pensare che la
determinazione del senso passi attraverso l'individuazione
del riferimento. Per Frege è invece vero il contrario: dato un
termine singolare A, ne afferriamo il senso ed attraverso
quest'ultimo individuiamo il riferimento di A. Più precisa-
mente, nel senso di A bisogna distinguere (almeno) tre
aspetti; esso rappresenta, infatti
(a) un modo in cui ci viene dato il riferimento di A;
(b) ciò che viene afferrato nel processo di comprensione di
A4;
(c) ciò tramite cui individuiamo il riferimento di A, e che
costituisce la via di accesso al riferimento di A.

Nei casi normali questi tre aspetti sono tutti armonica-


mente presenti: dato A, se conosciamo sufficientemente la
lingua cui A appartiene, afferriamo il senso di A - (b), e, per
suo tramite, individuiamo il riferimento di A - (c); ma pos-
siamo fare ciò perché il senso di A è un modo in cui ci viene
dato il riferimento di A stesso - (a).
Ma vi sono casi in cui è necessario distinguere i vari aspet-
ti del senso, ad esempio quello dei termini singolari privi di
riferimento. Chiunque sappia l'italiano e possegga un mi-
nimo di nozioni aritmetiche è in grado di comprendere

' È opportuno sottolineare che i modi in cui un oggetto ci viene dato si


basano tutti su caratteristiche effettivamente possedute dall'oggetto.
• Anche se ormai dovrebbe essere superfluo, è opportuno sottolineare
ancora una volta che (b) non ha nessun risvolto psicologico. I sensi, per
Frege, sono qualcosa di oggettivo (nell'accezione che questo termine ha nei
Fondamenti), non rappresentazioni: il processo di comprensione sarà an-
che soggettivo, ma quello che conta è l'oggettività del senso che viene affer-
rato in questo processo.

80
Mauritius_in_libris
l'espressione "il più grande numero primo" (priva di riferi-
mento perché si dimostra facilmente che, dato un qualsiasi
numero primo, ne esiste uno maggiore che è primo), cioè di
afferrarne il "senso (b)"; ma è ovvio che questa espressione
non può possedere né un "senso (a)" né un "senso (c)". O
meglio, se riformuliamo (c) nel modo seguente:
(c') [il senso rappresenta] ciò che ci permette di individuare
il riferimento di A, qualora tale riferimento esista, ed è
l'unica via di accesso al riferimento.
possiamo dire che i termini singolari privi di riferimento
possiedono solo il "senso (b)" e "il senso (c')".
Frege è ora in grado di fornire una spiegazione convin-
cente del segno di identità. Il giudizio A=B riguarda solo og-
getti (non concetti o funzioni), e significa che i segni A e B
hanno lo stesso riferimento, ma possono esprimere sensi dif-
ferenti. Nell'Ideografia (cfr. cap. I, 5) la distinzione di senso
e riferimento non era disponibile, quindi esistevano solo due
possibilità: dire che A=B esprime un rapporto tra i contenuti
concettuali dei segni; oppure che riguarda i segni stessi. Nel
primo caso il valore cognitivo di A=B (posto che fosse vero)
e di A=A sarebbe stato lo stesso: poiché Frege considerava,
giustamente, una simile conseguenza assurda, non gli restava
che interpretare l'identità come una relazione tra segni. In
Senso e riferimento, invece, diventa possibile interpretare
l'identità come una relazione tra i riferimenti dei segni per-
ché la differenza in valore cognitivo tra A=A e A=B è garan-
tita dalla differenza dei sensi espressi da A e da B 5 •
La tesi che individuare il riferimento dei termini singolari
richiede, sempre e comunque, il tramite del senso, appare,
almeno prima facie, piuttosto plausibile per quel che riguar-
da le descrizioni definite: molto meno per quel che riguarda
i nomi propri. Questi sembrano piuttosto etichette con le
quali contrassegnamo arbitrariamente gli oggetti, prive di

' La differenza di segno non ha come conseguenza inevitabile la diffe-


renza di senso: nelle definizioni, ad esempio, che sono per Frege identità, i
due segni hanno lo stesso senso, ed in effetti l'introduzione di un nuovo se-
gno tramite definizione non fa aumentare la nostra conoscenza.

81
Mauritius_in_libris
ogni contenuto descrittivo intrinseco: Socrate può essere
con ragione chiamato "il maestro di Platone" solo se è l'uni-
ca persona con cui Platone ha studiato la filosofia, ma è
chiamato "Socrate" solo perché qualcuno ha deciso di chia-
marlo così. Fino a Frege questa era, più o meno, la teoria
standard: nel tardo Medioevo i logici dicevano che "bianco"
(ad esempio in "Quel bianco cammina") sta per un indivi-
duo e connota una qualità, la bianchezza, posseduta dall'in-
dividuo in questione, mentre un nome come "Socrate" non
ha connotazione (da qui la teoria "milliana" che i nomi pro-
pri hanno denotazione e non connotazione).
Per Frege, invece, la questione del contenuto descrittivo
"intrinseco" è del tutto irrilevante; ciò che importa, invece, è
il modo in cui un termine singolare dev'essere introdotto in
una lingua logicamente completa (cfr. Sen. e rif p. 393 ). In
una lingua di questo genere, infatti, è necessario che:
(i) ogni espressione avente la forma di un termine singolare
e costruita in maniera grammaticalmente corretta a par-
tire da segni già introdotti denoti effettivamente un og-
getto;
(ii) nessun nuovo segno sia introdotto come termine singo-
lare senza che gli sia stato assicurato un riferimento.
La clausola (i) ha lo scopo di evitare espressioni che, co-
me il già citato "il più grande numero primo", hanno la for-
ma di un termine singolare denotante, ma non denotano
nulla. La clausola (ii) riguarda i termini singolari non co-
struiti a partire da elementi già presenti nella lingua, e quin-
di, innanzitutto, i "nuovi" nomi propri: ora, se è vero che
l'accesso agli oggetti è possibile solo attraverso il senso [cfr.
(c) o (c')], per assicurare il riferimento di un nuovo nome
proprio è necessario collegarlo ad un dato senso (al quale si
sappia già che corrisponde un riferimento) 6 • Una volta fatto

6 Finora abbiamo sempre parlato di sensi delle espressioni; ora avremmo

il caso di un senso "in cerca" di un'espressione. È difficile stabilire se, per


Frege, tale senso, prima di essere collegato con il nuovo nome proprio, deb-
ba avere già avuto un'espressione linguistica, presumibilmente una descri-
zione definita, e quindi se il nuovo nome proprio sia semplicemente !'ab-

82
Mauritius_in_libris
ciò, il senso ed il riferimento del nuovo nome restano piena-
mente determinati per tutti i parlanti della lingua in cui il
nome è stato introdotto. Frege, dunque, non nega che i no-
mi propri siano arbitrari e privi di contenuto descrittivo in-
trinseco; ma, per lui, essi sono arbitrariamente collegati ad
un senso e non direttamente ad un oggetto, perché è solo
tramite i sensi che abbiamo accesso al riferimento. Tuttavia,
una volta che un dato segno A sia stato collegato ad un sen-
so, ne consegue che
- se P esprime il senso di A, "A è P" è un enunciato vero su
basi puramente logiche, ossia analitico (un esempio chia-
ro è "7t è il rapporto tra la circonferenza ed il diametro");
- qualora si scoprisse che A non è stato introdotto corret-
tamente, A diventerebbe un termine privo di riferimen-
to: se si scoprisse, tanto per fare un esempio assurdo, che
il rapporto tra circonferenza e diametro non è costante, 7t
non denoterebbe più nulla.

Paradigmi di nomi propri in una lingua logicamente per-


fetta sono appunto 7t o e - la base dei logaritmi neperiani.
Anche al di fuori della matematica si possono trovare esempi
paradigmatici sufficientemente convincenti: Frege stesso im-
magina il caso di due esploratori che, all'insaputa l'uno
dell'altro, da due diverse vallate scoprono lo stesso monte e
lo chiamano il primo "Afla" ed il secondo "Ateb"; il senso di
questi nomi propri sarà dato dal modo in cui i due esplora-
tori hanno determinato le coordinate geografiche del monte
(cfr. lettera a Jourdain n. XXI/12, Epist. p. 106). Nelle lin-
gue naturali, tuttavia, le cose non vanno sempre così lisce, e
diverse persone possono (anche al di là dei casi di omoni-
mia) associare allo stesso nome proprio sensi differenti:
nell'esempio di Frege, per alcuni il senso di "Aristotele" è
costituito dall'essere quello scolaro di Platone che è anche
maestro di Alessandro Magno, per altri dall'essere quel mae-
stro di Alessandro Magno che è nato a Stagira (cfr. Sen. eri/.

breviazione di una descrizione definita; oppure se, come ritiene Dummett,


una tale esplicitazione in termini descrittivi non sia sempre necessaria.

83
Mauritius_in_libris
p. 377, nota). Per Frege questo non costituisce un problema,
almeno finché alle variazioni di senso non si accompagnano
anche quelle di riferimento, ed è un'ulteriore testimonianza
dell'imperfezione logica del linguaggio naturale: ma questo
vuol dire peccare per sottovalutazione. In poche parole, la
difficoltà è che, in questo caso, il senso che un parlante attri-
buisce ad un nome proprio non è altro che una delle tante
caratteristiche accidentali che appartengono al riferimento
del nome. Il modello freghiano di nome proprio entra allora
in crisi; infatti (cfr. il capoverso precedente)
- un enunciato come "Aristotele è il maestro di Alessandro
Magno" non è analitico nemmeno agli occhi di quel par-
lante che attribuisce ad "Aristotele", come (parte del)
senso, l'essere maestro di Alessandro Magno;
- la scoperta che Aristotele non è mai stato maestro di
Alessandro Magno non indurrebbe il parlante di cui so-
pra, almeno nella maggior parte dei casi, a ritenere che
Aristotele non sia mai esistito.

Frege è d'accordo su ciò? Non è facile rispondere: nella


già citata nota a p. 377 egli osserva che l'enunciato "Aristo-
tele era nato a Stagira" ha un senso diverso per chi associa
ad "Aristotele" il senso di essere quello scolaro di Platone
che è anche maestro di Alessandro Magno, e per chi associa
a questo nome il senso di essere quel maestro di Alessandro
Magno che è nato a Stagira. Questa potrebbe essere una
semplice istanza della regola generale che il senso di un com-
posto è costituito a partire da quello dei componenti (cfr.
cap. III, 4), ma la scelta dell'esempio suggerisce che la diffe-
renza sia più radicale, e che per il secondo parlante, ma non
per il primo, "Aristotele era nato a Stagira" sia un enunciato
analitico: se è così Frege non sarebbe d'accordo almeno sul
primo punto.
Queste considerazioni, ed altre analoghe, hanno spinto
molti a riprendere la "teoria milliana" sostenendo che i nomi
propri possiedono solo un riferimento, il quale, di conse-
guenza, viene colto direttamente senza essere mediato dalla
comprensione di un senso. Il principale e più noto sostenito-
84
Mauritius_in_libris
re di questa tesi è Kripke (cfr. [1972]), al quale si è opposto
con particolare vigore Dummett (cfr. [1973], pp. 110-51 e
[1981], pp. 557-603). Quest'ultimo ritiene che il nucleo di
verità incontestabile contenuto nella teoria freghiana sia che
cogliere il riferimento di un'espressione è possibile solo af-
ferrando un senso; e che modificare la teoria freghiana
"rimpiazzando un singolo criterio rigido per identificare il
riferimento con un "grappolo" di criteri alternativi, di cui
siamo disposti ad abbandonare una parte sufficientemente
piccola" ([1973], p. 135) permette di respingere le obiezioni
di Kripke.

2. La distinzione tra senso e riferimento: i termini concettuali

Già nell'Ideografia Frege aveva distinto tra espressione


funzionale e segno dell'argomento 7, ma non aveva detto nul-
la sul loro contenuto (cfr. cap. I, 2); nella già citata lettera a
Marty del 29 agosto 1882 aveva però già parlato del concetto
come "qualcosa d'insaturo", incapace di reggersi per se stes-
so, ed il contesto lasciava capire che i concetti rappresenta-
vano il contenuto di espressioni funzionali (cfr. cap. II, 4).
Esaminiamo ora la questione più da vicino. Alla base della
distinzione freghiana tra oggetto e concetto sta la difficoltà
di giustificare l'unitarietà dell'enunciato. Questo problema
risale almeno a Platone, che ne abbozza una soluzione di-
stinguendo tra verbi, che significano un'azione, e nomi, che
significano chi compie l'azione; e stabilendo che un enuncia-
to può essere dato solo come una combinazione di nome e
verbo (cfr. Sofista, 262a-d).
L'analisi platonica viene poi ripresa e approfondita da Ari-
stotele, che caratterizza così i verbi (cfr. De Interpretatione, 3)
(a) per se stessi sono nomi;
(b) significano il tempo;

7 Per la verità nell'Ideografia Frege parla di funzione e argomento, ma

negli scritti più tardi funzione ed argomento diventano il riferimento rispet-


tivamente di un'espressione funzionale e di un segno di argomento.

85
Mauritius_in_libris
(e) sono segno delle cose che sono dette di un altro (ossia i
verbi debbono anche esprimere lappartenenza ad altro
di ciò che, per se stessi, significano).

Ad esempio in "Socrate sta bene" il verbo "sta bene" (a) è


nome della salute: (c) significa l'appartenenza della salute ad
un soggetto; (b) significa che questa appartenenza ha luogo
nel tempo presente. Quindi il verbo, in generale, non intro-
duce nessuna nuova entità rispetto alle sostanze seconde ed
agli items appartenenti alle categorie diverse dalla sostanza,
ma dichiara l'esistenza di una composizione tra questi ultimi
ed il soggetto. Poiché il risultato di una composizione di que-
sto genere è un paronimo (cfr. cap. II, 5, nota 16), si potreb-
be anche dire che un enunciato (apofantico) esprime l'esi-
stenza di un determinato paronimo. In "sta bene" le varie
funzioni del verbo sono accorpate tra loro; esiste tuttavia un
modo standard di formulare un enunciato elementare in cui
queste funzioni sono, in parte, separate, dividere cioè il verbo
in una parte nominale, o predicato [funzione (a)] e in una co-
pula [funzioni (b) e (c)]: nell'esempio precedente "sta bene"
viene allora analizzato come "è (copula) in salute (predicato)".
Quest'ultimo tipo di analisi, già prefigurato in Aristotele,
diventa tradizionale a partire almeno da Abelardo. La copu-
la finisce per apparire come un terzo elemento che non può
essere posto sullo stesso piano degli altri due: non introduce
infatti nessuna entità, ed ha una natura puramente relaziona-
le costituendo un legame tra items (soggetto e predicato)
che, in caso contrario, resterebbero irrelati; ciò che garanti-
sce l'unitarietà del giudizio è dunque la copula. L'analisi tra-
dizionale in termini di copula, però, portava con sé diversi
inconvenienti, tra cui il privilegiamento della forma "sogget-
to-predicato" e la difficoltà nella trattazione degli enunciati
quantificati (cfr. cap. I, 1), e Frege la sostituisce con un tipo
di analisi nella quale la copula viene "accorpata" con il pre-
dicato "bianco" dando luogo all'espressione " ... è bianco"
(cfr. cap. I, 2). Come la copula e per la stessa ragione, que-
st'ultima espressione non può essere messa sullo stesso pia-
no delle altre parti del giudizio (nella fattispecie "Socrate"):
deve, per così dire, avere delle cavità il cui riempimento dia
86
Mauritius_in_libris
luogo ad un tutto, unitario e completo, costituito dal giudi-
zio stesso.
Frege esprime questo fatto logicamente basilare (e perciò
non suscettibile di definizione precisa) mediante metafore di
questo tipo: un'espressione come " ... è bianco" è insatura
(ungesiittigt), bisognosa di completamento (ergiinzungs-
bedur/tig), incompleta (unvollstiindig). Si tratta dello stesso
fenomeno che accade nel caso delle espressioni funzionali
della matematica: ciò che è comune alle espressioni numeri-
che della serie f(O), f(l), f(2), ... è l'espressione funzionale
f(I;) 8, dove la I; indica semplicemente il posto che deve essere
occupato dal segno di argomento; quindi f(I;) è incompleta
perché, per ottenere un'espressione che abbia un significato
compiuto (abgeschlossene), bisogna unirla con un segno di
argomento.
Le espressioni funzionali hanno, come i termini singolari
un senso ed un riferimento? Né in Senso e riferimento né in
Funzione e concetto Frege parla esplicitamente del riferi-
mento di un'espressione funzionale; ma gli inediti (cfr. Ri-
flessioni su senso e significato, in Scritti postumi, pp. 221-29)
e le lettere (cfr. la lettera a Husserl del 24 maggio 1891,
Epist. pp. 77-79) non lasciano dubbi che la risposta a questa
domanda deve essere affermativa. D'altronde si può giunge-
re alla stessa conclusione anche sulla base di considerazioni
puramente teoriche. Se infatti f(I;) è un'espressione funzio-
nale matematica, allora, unita al numerale A (termine indivi-
duale che si riferisce ad un numero), dà luogo ad un'espres-
sione, f(A), che è ancora un numerale. Il riferimento di f(A),
d'altra parte, sarà determinato dal riferimento delle parti che
compongono questa espressione 9 : ne consegue che il riferi-
mento di f(I;) dovrà essere quell'operazione che, applicata
al numero r A,, dà come risultato il numero r f(A),. Una

8 A differenza di quanto aveva fatto in precedenza, Frege, nei Principi,

riempie i posti vuoti nelle espressioni funzionali con lettere greche minusco-
le, il che comporta una notevole semplificazione notazionale quando gli ar-
gomenti sono più di uno. A secondo dei casi ci atterremo a quest'uso, op-
pure indicheremo la funzione con una sola lettera (maiuscola o minuscola).
' Si tratta del Principio di Composizionalità. Nel corso del capitolo ritor-
neremo spesso su questo importante argomento.

87
Mauritius_in_libris
tale operazione è essa stessa insatura, dal momento che dà
luogo ad un riferimento compiuto solo quando è applicata
ad un argomento, e Frege la chiama funzione (r A, sarà l'ar-
gomento della funzione e rf(A), sarà il suo valore).
Due funzioni sono uguali quando ad argomenti uguali
fanno corrispondere valori uguali (cfr. Riflessioni su senso e
significato, pp. 223-24). Più precisamente: la vera e propria
relazione di identità vale solo tra oggetti, dal momento che
un enunciato che esprimesse un'identità tra entità insature,
ad esempio f(!;) = g(!;), sarebbe esso stesso bisognoso di
completamento, e non sarebbe quindi, in realtà, un enuncia-
to ; tuttavia (Vx)(fx = gx) esprime una relazione analoga tra
funzioni, relazione che costituisce, per così dire, un'identità
di secondo grado. Ora, dal Principio di Composizionalità
deriva il seguente Principio di Sostitutività
(PS) sia C un'espressione che contiene una o più occorren-
ze dell'espressione B e C' si ottenga da C per sostitu-
zione di una o più occorrenze di B con B': allora, se il
riferimento di B e di B' è lo stesso, anche quello di C e
di C'è lo stesso.
Se la precedente definizione dell'identità tra funzioni
è corretta, allora dev'essere possibile sostituire in questo
principio "il riferimento di f(!;) e g(!;) è lo stesso" con
"(Vx)(fx = gx)". Ed in effetti è possibile. Due espressioni C
e C', infatti, che differiscono tra loro solo per le occorrenze
delle espressioni f(!;) e g(!;) denotanti funzioni per cui vale
(Vx)(fx = gx), differiscono in realtà solo per le occorrenze di
qualche espressione tipo f(A) e g(A); ma f(A) e g(A) sono
termini singolari che hanno lo stesso riferimento, quindi, se
il Principio di Sostitutività vale per i termini singolari, anche
e e C' hanno lo stesso riferimento.
Passiamo ora ai termini concettuali. Abbiamo visto che, in
generale, le funzioni di primo grado hanno come valori og-
getti; inoltre il riferimento di un termine concettuale, il con-
cetto, è una funzione di primo grado e quindi, per analogia,
sarà una funzione da oggetti ad oggetti. D'altra parte i termi-
ni concettuali, applicati ad un dato segno d'argomento, dan-
no luogo ad un enunciato: il risultato dell'applicazione di un
88
Mauritius_in_libris
concetto ai suoi argomenti sarà dunque il riferimento di un
enunciato, il quale sarà perciò un oggetto. Come vedremo
nel prossimo paragrafo, gli oggetti che costituiscono i possi-
bili riferimenti degli enunciati sono, per Frege, il Vero ed il
Falso (detti, appunto perché costituiscono il valore dei con-
cetti per un qualsiasi argomento, valori di verità). Un concet-
to è dunque una funzione il cui valore è, per ogni argomen-
to, un valore di verità.
Torniamo un momento alla teoria classica della predica-
zione. I verbi aristotelici hanno in comune con i termini con-
cettuali freghiani il fatto di essere espressioni incomplete,
poiché anch'essi acquistano un significato compiuto solo
quando viene specificato il soggetto. Tuttavia gli items intro-
dotti dai verbi aristotelici sono, da un punto di vista freghia-
no, oggetti: il bianco che inerisce a Socrate è infatti lo stesso
oggetto che cade sotto concetti come r inerire a Socrate,
oppure r essere il colore preferito da Pietro,. Riassumendo,
Frege ed Aristotele dividono gli enunciati (almeno quelli
aventi la più semplice forma "soggetto-predicato") alla stes-
sa maniera; la differenza consiste nel fatto che, per Aristote-
le, i verbi introducono un oggetto (in senso freghiano) e ne
asseriscono I' appartenenza al soggetto. Schematicamente:

Aristotele e Frege Soggetto verbo


Aristotele sostanza Iappartenenza Iaccid. (= ogg.) I
F rege oggetto concetto

La teoria della predicazione aristotelica viene ripresa (per


questo aspetto) dal Russell dei Principi della matematica: egli
infatti, da un lato ritiene insostenibile ogni teoria di tipo fre-
ghiano, in cui un predicato (come "bianco") e la sua nomi-
nalizzazione ("bianchezza") abbiano significati diversi (IV,
§ 49) 10 ; dall'altro analizza gli enunciati della più semplice

10 La ragione è proprio che, altrimenti, tutti gli enunciati concernenti i

predicati sarebbero falsi perché trasformerebbero questi ultimi in sostantivi:


quindi quello che per Frege è, come vedremo, un limite della lingua diventa
per Russell una delle principali ragioni per respingere la teoria che i concet-
ti siano insaturi.

89
Mauritius_in_libris
forma "soggetto-predicato" in termini di soggetto e di un
item linguistico, l'asserzione, che corrisponde al verbo di
Aristotele (IV,§ 52 e VII).
È necessario distinguere le funzioni dal loro decorso di va-
lori. Il decorso di valori di una funzione f (!;) - che Frege
denota con Èf(E) - può essere inteso come la classe di tutte
le coppie ordinate il cui primo elemento è un argomento di
f(!;) ed il cui secondo elemento è il valore di questa funzione
per tale argomento. Se la funzione ha due argomenti, ad
esempio la somma ç+ç, si definisce dapprima la funzione
È(!;+e), ossia la funzione che ad ogni argomento A associa il
decorso di valori della funzione A+ç; e poi il decorso di va-
lori della funzione È(!;+E), cioè fi(È(rt+E)); e così via per fun-
zioni di più di due argomenti: tutto si riduce ai decorsi di va-
lori delle funzioni ad un solo argomento. Ora, i secondi ele-
menti delle coppie che fanno parte del decorso di valori di
un concetto sono tutti valori di verità: e Frege chiama esten-
sione di un concetto il suo decorso di valori 11 • Perché non
identificare la funzione con il decorso di valori? La risposta
è implicita in quanto abbiamo detto finora: il decorso di va-
lori è un oggetto ed è saturo, mentre il riferimento di
un'espressione funzionale dev'essere insaturo. Solo così, in-
fatti, si spiega perché una tale espressione, unita ai segni de-
gli argomenti, produca qualcosa avente un riferimento satu-
ro (in particolare, nel caso dei termini concettuali, solo così
si spiega l'unitarietà del giudizio).
In realtà Frege non prende mai in considerazione questa
possibilità, ma, piuttosto, quella, correlata ma non coinci-
dente, di considerare un termine concettuale come un nome

11 L'estensione di un concetto sarebbe in realtà una classe di coppie or-

dinate: tuttavia possiamo semplificare ed intendere come estensione di un


concetto la classe degli argomenti ai quali il concetto associa il valore Vero
(ossia la nozione standard di estensione). In realtà la nozione di decorso di
valori era necessaria per fornire una trattazione unificata delle funzioni in
genere e dei concetti, dal momento che !"'estensione" di una funzione
numerica può essere data solo come una classe di coppie ordinate <argo-
mento, valore>, oppure, ma è la stessa cosa, come la sequenza ordinata dei
valori indicizzati dagli argomenti. In ogni caso, quando si parlerà del decor-
so di valori di un concetto faremo riferimento alla sua estensione intesa in
senso usuale.

90
Mauritius_in_libris
comune, differente dai termini singolari solo per il fatto di
essere nome di più oggetti invece che di uno solo (cfr. la let-
tera a Husserl del 24 maggio 1891, Epist. p. 79). In questo
caso il ruolo del concetto sarebbe analogo a quello del senso
di un termine singolare, perché sarebbe ciò attraverso cui
potremmo cogliere il riferimento (multiplo) del termine con-
cettuale. Nella lettera citata Frege attribuisce questo punto
di vista allo stesso Husserl, e lo rifiuta perché i termini
concettuali sotto il cui concetto non cade nulla diventereb-
bero allora del tutto analoghi a quelli singolari privi di riferi-
mento, e dovrebbero perciò, alla stregua di questi ultimi, es-
sere banditi da una lingua logicamente perfetta: ma ciò non
è possibile perché i termini concettuali "vuoti" sono invece
indispensabili.
Chi invece questa possibilità l'ha presa seriamente in con-
siderazione è stato Carnap. In Significato e necessità egli at-
tribuisce ad ogni item linguistico una coppia di valori se-
mantici, l'estensione e l'intensione, mettendoli in relazione,
rispettivamente, con il riferimento ed il senso freghiani.
Mentre per i termini singolari e, come vedremo, per i giudi-
zi, estensione carnapiana e riferimento freghiano sono so-
stanzialmente coincidenti, lo stesso non vale, ovviamente,
nel caso dei termini concettuali. Per quel che riguarda
l'equiparazione intensione e senso è meno facile dare unari-
sposta precisa: per Carnap, infatti, l'intensione di un item
linguistico è, semplificando un po', la funzione che ne defi-
nisce I'estensione in ogni situazione possibile; e perciò, in ge-
nerale, l'intensione corrisponde all'aspetto (c) del senso, os-
sia al senso come mezzo per determinare il riferimento. In
altre parole, l'idea carnapiana sembra essere che noi affer-
riamo il senso di qualcosa se siamo sempre in grado di de-
terminarne il riferimento (ad esempio conosciamo il senso di
"il presidente degli U.S.A." se sappiamo non solo che attual-
mente il presidente è Clinton, ma anche come fare ad indivi-
duare il presidente degli U.S.A. in circostanze diverse dal-
1' attuale).
Torniamo ai decorsi di valori. Come per ogni oggetto,
condizione necessaria per poter parlare dei decorsi di valori
è avere determinato cosa vuol dire che due decorsi di valori
91
Mauritius_in_libris
sono uguali: sulla base delle precedenti spiegazioni informa-
li appare chiaro che i decorsi di valori di due funzioni sono
uguali se le due funzioni hanno gli stessi valori per gli stessi
argomenti, ossia se vale
(I) (Vx)(fx = gx).

Possiamo quindi assumere (I) come spiegazione dell'iden-


tità tra i decorsi di valori delle funzioni f(!;) e g(!;), ossia assu-
mere (I) come spiegazione di:
(II) ~f(11) = Èg(E).

Naturalmente dobbiamo affrontare, anche in questo caso,


il problema di "Giulio Cesare" (cfr. cap. II, 6): noi siamo in
grado di riconoscere un oggetto come un decorso di valori
solo se viene contrassegnato in un certo modo (alla luce di
cap. III, 1, solo attraverso un unico senso), più precisamente
come decorso di valori di una determinata funzione. Vedre-
mo più avanti (cfr. cap. III, 7) come Frege risolverà questo
problema nei Principi.
Sul senso dei termini concettuali Frege non dice pratica-
mente nulla. Ragionando per analogia con il caso dei termini
singolari, possiamo supporre che il senso di un termine
concettuale (di un'espressione funzionale in genere) rappre-
senti, innanzitutto, la via d'accesso al suo riferimento. Tutta-
via avere accesso al riferimento, poiché in questo caso si trat-
ta di una funzione, vuol dire essere in grado, almeno in linea
di principio, di "calcolare" questa funzione: il senso di
un'espressione funzionale sarà dunque una procedura per
calcolare la funzione cui l'espressione si riferisce. Due
espressioni funzionali aventi lo stesso riferimento possono
dunque avere sensi differenti, perché possono esprimere di-
versi modi di calcolare la stessa funzione.
La teoria freghiana del riferimento dei termini concettuali
ha però delle conseguenze che possono apparire controin-
tuitive. Consideriamo il giudizio "Il concetto r satellite di
Venere, è vuoto": esso sembra dire qualcosa di un concetto,
tuttavia lespressione che funge da soggetto, "il concetto
r satellite di Venere, " è satura (come dimostra la presenza
92
Mauritius_in_libris
dell'articolo determinativo) e pertanto il suo riferimento de-
ve essere un oggetto. Di conseguenza anche l'enunciato "Il
concetto r- satellite di Venere, non è un concetto", lungi
dall'essere autocontraddittorio, risulta invece vero. Questo,
naturalmente non significa che non è possibile fare as-
serzioni riguardanti un concetto, ma solo che in queste as-
serzioni il termine concettuale non può fungere da soggetto
grammaticale: come abbiamo ripetutamente osservato, pos-
siamo esprimere il pensiero contenuto nel giudizio "Il con-
cetto r- satellite di Venere, è vuoto" mediante il giudizio
-,(3x)(Satellite di Venere x), dove il quantificatore è una fun-
zione di secondo grado che ha come argomento la funzione
di primo grado r- essere un satellite di Venere, 12 • Così F rege
in Oggetto e concetto. Restano comunque alcune difficoltà e
stranezze, tra cui:
che genere di oggetto è, in ogni caso, il riferimento di un
termine singolare come "il concetto r- satellite di Ve-
nere,"?
sotto r- essere un concetto, non cade nulla, dal momen-
to che si tratta di un concetto di primo grado che non
può essere predicato con verità di nessun oggetto;
(Vx)(x è un oggetto) è vero: quindi " ... è un oggetto" di-
venta una sorta di predicato di esistenza del primo ordine.
Frege non parla mai della prima difficoltà: è stato suppo-
sto (cfr. Burge [1984]) che espressioni come "il concetto F"
si riferiscano all'estensione del concetto 13 , ma questa tesi è

12 Più precisamente: in moltissimi casi non possiamo fare a meno di usa-

re espressioni scorrette e riferirci ad un concetto tramite "il concetto ... ";


ma questo non provoca inconvenienti gravi, purché ci si renda conto che si
tratta di espressioni scorrette. Frege parla, a questo proposito, di imperfe-
zione della lingua.
" Principalmente sulla base del fatto che, in una nota al § 68 dei Fonda-
menti, F rege osserva che, nella definizione di "il numero naturale che spetta
a F" si potrebbe sostituire "lestensione del concetto I"' equinumeroso a
F, " con "il concetto r equinumeroso a F, ''. Inoltre, in Oggetto e concetto
(p. 366), Frege, in polemica con Kerry (che lo aveva accusato, sulla base di
questa osservazione, di identificare concetto ed estensione) fa notare che in
"il concetto r equinumeroso a F," l'intera espressione è retta dall'articolo
determinativo.

93
Mauritius_in_libris
stata duramente criticata [cfr. Schirn [1990]), senza, peral-
tro, che venisse fornita una spiegazione alternativa. Si tratta
comunque di pure congetture di scarso interesse storico e di
dubbio interesse teorico.
Per quel che riguarda le altre due "stranezze" è interes-
sante notare che r- essere un concetto, ed r- essere un ogget-
to, diventeranno, nel T ractatus di Wittgenstein, concetti
formali, dei quali egli scrive (4.126):
Che qualcosa cada sotto un concetto formale, quale suo oggetto, non
può essere espresso da una proposizione, ma mostra sé nel segno stesso di
quest'oggetto. (Il nome mostra di designare un oggetto; il segno numerico,
di designare un numero, etc.).

In effetti anche per Frege che un'espressione sia un nome


proprio appare dalla sua forma grammaticale (ad esempio se
è preceduta da un articolo determinativo), e che un'espres-
sione si riferisca ad un concetto appare dal suo occupare una
posizione predicativa in un giudizio (opportunamente ana-
lizzato); tuttavia Frege non evita le difficoltà connesse con
questi predicati "metalinguistici" mettendoli, come fa Witt-
genstein, al bando. Si potrebbe dire: per Frege il me-
talinguaggio non è separato dal linguaggio, per Wittgenstein
il metalinguaggio si mostra nel linguaggio.

3. La distinzione tra senso e riferimento: gli enunciati

"Un enunciato assertorio [apofantico o dichiarativo] con-


tiene, com'è noto, un pensiero" - questo è il punto di par-
tenza di Frege, il quale osserva subito che con "pensiero"
non intende "l'atto soggettivo del pensiero, ma il suo conte-
nuto oggettivo che può costituire il possesso comune di mol-
ti" (Sen. e ri/. p. 383). Con ciò il pensiero viene distinto dalla
rappresentazione mentale, che è, come sappiamo, stretta-
mente privata, personale ed incomunicabile: la possibilità di
una conoscenza che sia opera comune dell'umanità dipende
dall'esistenza di qualche cosa di oggettivo che possa essere
afferrato da più persone, ossia di ciò che Frege chiama ap-
punto pensiero. L'antipsicologismo di Frege è radicale: i
94
Mauritius_in_libris
pensieri appartengono ad un "terzo regno" distinto da quel-
lo dei processi mentali e da quello degli oggetti materiali, ed
esistono atemporalmente, indipendentemente dal fatto che
qualcuno li abbia mai effettivamente pensati; essi sono al-
trettanto indipendenti da noi quanto lo sono gli oggetti ma-
teriali, dai quali si distinguono per il fatto di essere atempo-
rali ed immutabili. Noi non creiamo i pensieri, siamo solo in
grado di entrare in contatto con loro e di afferrarli: com-
prendere un enunciato, in effetti, significa afferrare il pensie-
ro che esso esprime.
Una caratteristica fondamentale dei pensieri è che ci si
può sempre chiedere se essi sono veri (cfr. Il pensiero, p. 6).
Questo induce a credere che l'essere vero e l'essere falso sia-
no proprietà dei pensieri stessi (nel senso che si tratta di pre-
dicati che hanno come soggetti i pensieri); ma le cose non
stanno così. Se P è un autentico predicato di A, dire "A è P"
è diverso dal semplice dire "A" ("Socrate è bianco" dice di
più che non il semplice "Socrate"); al contrario, nel caso de-
gli enunciati, A e "È vero che A" hanno esattamente lo stes-
so significato (concezione ridondantista della verità). In en-
trambi i casi l'asserzione della verità consiste nella forma
dell'enunciato assertorio: se un enunciato non possiede la
sua abituale forza assertoria, ad esempio se viene pronuncia-
to da un attore sul palcoscenico, non è possibile conferirglie-
la predicando la verità del pensiero corrispondente. Nel lin-
guaggio formale dell'Ideografia potremmo dire: ciò che con-
ta, ai fini dell'asserzione della verità, è che ad A sia premesso
il segno di asserzione I-; il fatto che in "Il pensiero che A è
vero" compaia "è vero" non è sufficiente, se manca questo
segno, a trasformare A in un'asserzione. Dunque la verità e
la falsità non si predicano dei pensieri come dei loro soggetti
(cfr. Sen. eri/. pp. 385-86).
Che cos'è dunque la verità? Le teorie del filone Platone-
Aristotele-Tommaso vedevano nella verità un accordo tra la
mente e la realtà, ma questo urta contro il rigoroso antipsi-
cologismo di Frege, dal momento che la verità andrebbe ri-
cercata in una congruenza tra rappresentazioni e cose. Tut-
tavia la verità non va neppure ricercata in una congruenza
tra i pensieri e le cose, dal momento che non esistono "fat-
95
Mauritius_in_libris
ti" appartenenti al regno degli oggetti materiali con i quali i
pensieri veri possano essere confrontati: un fatto non è altro
che un pensiero vero. Parlando grossolanamente, in rerum
natura non esiste, accanto a Socrate bianco e distinto da es-
so, il fatto che Socrate sia bianco; ma, nel "terzo regno" dei
pensieri esisterà il pensiero vero che Socrate è bianco.
D'altra parte una concezione metalinguistica della verità,
dire cioè che la verità è una proprietà degli enunciati, non fa
che spostare il problema: per Frege quando diciamo che un
enunciato è vero intendiamo propriamente dire che è vero il
pensiero espresso.
Consideriamo dunque le cose da un altro punto di vista.
Gli enunciati, come tutte le altre espressioni, hanno un rife-
rimento, ma tale riferimento non può essere il pensiero
espresso: infatti, in base al Principio di Sostitutività (cfr. cap.
III, 2), "Socrate è bianco" e "Il maestro di Platone è bian-
co", che esprimono evidentemente pensieri diversi, debbono
avere invece lo stesso riferimento. Inoltre si osserva che:
(i) ciò che due enunciati differenti tra loro solo per l' occor-
renza di termini singolari equireferenziali hanno in co-
mune è il fatto di essere entrambi veri o entrambi falsi;
(ii) un enunciato dichiarativo 14 è vero o falso se e solo se
tutte le sue parti componenti hanno un riferimento, e
determinare la verità o la falsità di un enunciato richiede
che si determini il riferimento delle sue parti componen-
ti (in particolare dei termini singolari).
(ii) è molto importante. Per Frege ciò che ci fa avanzare
dal senso al riferimento è la ricerca della verità: noi non ci
accontentiamo che le espressioni abbiano solo un senso, ma
vogliamo che abbiano anche un riferimento perché quello
che ci interessa è la verità dei nostri enunciati. La verità o la
falsità di un enunciato appare dunque strettamente connessa

14 È importante sottolineare il fatto che lenunciato dev'essere utilizzato

con forza assertoria (ossia, come abbiamo detto prima, deve avere la forma
dell'enunciato assertorio): per Frege, anche se le parti componenti di una
battuta detta sul palcoscenico da un attore hanno riferimento, la battuta stes-
sa non è né vera né falsa perché manca l'intenzione di fare un'asserzione.

96
Mauritius_in_libris
con il riferimento delle sue parti componenti: questo sugge-
risce (non si tratta, ovviamente, di una vera e propria dimo-
strazione) che il riferimento di un enunciato dichiarativo
consista proprio nella verità o falsità, mentre il pensiero
espresso ne costituisce il senso (cfr. Sen. e ri/. p. 386). Chie-
dersi se un pensiero è vero significherà dunque chiedersi se
il riferimento corrispondente è la verità, non se il predicato
"vero" si predica del pensiero dato.
Tutto ciò si accorda bene con quanto dicevamo nel cap.
III, 1 sulla relazione tra senso e riferimento dei termini sin-
golari: il pensiero espresso da un enunciato A è infatti sia ciò
che viene afferrato nel processo di comprensione di A, sia
ciò la cui comprensione permette di determinare la verità o
la falsità di A, e che costituisce quindi la via d'accesso al rife-
rimento di A. Comprendere il senso di un enunciato signifi-
ca dunque sapere quali sono le sue condizioni di verità 15 •
Come proprietà dei pensieri, la verità era dunque ridon-
dante, una "ruota che girava a vuoto" senza aggiungere nulla
al pensiero stesso; come riferimento, invece, è ciò che sanci-
sce il valore conoscitivo del pensiero. Per Frege, dunque, la
verità, anche se ridondante come predicato, è essenziale co-
me riferimento degli enunciati dichiarativi: "la parola 'vero'
indica l'indirizzo della logica" (cfr. Il pensiero, p. 3 ).
D'altra parte il riferimento di un enunciato dichiarativo
dev'essere un oggetto. Infatti, in primo luogo, gli enunciati
dichiarativi sono espressioni sature, il cui riferimento de-
v'essere perciò saturo; in secondo luogo il carattere funzio-
nale dei concetti richiede che il loro valore sia un oggetto:
quindi, poiché un termine concettuale unito al segno di ar-
gomento produce un enunciato, il riferimento di quest'ulti-
mo dev'essere allora un oggetto (cfr. cap. III, 2). La verità e
la falsità sono dunque quegli oggetti, il Vero ed il Falso, che
costituiscono i riferimenti possibili di un enunciato e che

" Quest'idea avrà una lunga fortuna nella filosofia del '900 e sarà sogget-
ta a molte interpretazioni. Nella semantica dei mondi possibili, ad esempio,
l'intensione di un enunciato (corrispondente al "senso" freghi ano) è una
funzione dai mondi possibili ai valori di verità che l'enunciato ha in questi
mondi: conoscere le condizioni di verità di un enunciato vorrà dire, allora,
conoscere in quali situazioni tale enunciato sarebbe vero ed in quali falso.

97
Mauritius_in_libris
Frege chiama, in quanto valori di un concetto, valori
di verità.
Gli enunciati che contengono termini indicali, ossia dimo-
strativi, pronomi personali, alcuni awerbi di tempo e luogo
(ora, qui, etc.) presentano un problema. Infatti è evidente
che questi enunciati non hanno, in generale, sempre lo stes-
so valore di verità: se dunque esprimessero un pensiero de-
terminato, tale pensiero sarebbe ora vero ora falso (ricordia-
mo che la verità e la falsità riguardano in primo luogo i pen-
sieri), ma ciò è impossibile, se è vero che i pensieri sono eter-
ni, atemporali, immutabili. Frege si occupa di questo proble-
ma soprattutto in Il pensiero: la sua soluzione è che gli enun-
ciati che contengono termini indicali esprimono un pensiero
solo dopo che il contesto ha determinato ciò cui, di volta in
volta, si riferiscono gli indicali; i pensieri così determinati
hanno un valore di verità stabile, ma gli enunciati in se stessi
non lo hanno 16 •

4. Senso e riferimento indiretti e il Principio di Composizio-


nalità

Ripetiamo per comodità il Principio di Sostitutività


(PS) sia C un'espressione che contiene una o più occorren-
ze dell'espressione B e C' si ottenga da C per sostitu-
zione di una o più occorrenze di B con B': allora, se il
riferimento di B e di B' è lo stesso, anche quello di C e
di C' è lo stesso.
La legge di Leibniz dice: "Eadem sunt quorum unum po-
test substitui alteri, salva veritate" e, con ogni probabilità,

16 Un caso speciale è quello di "io", perché questo pronome esprime, se-

condo Frege, il peculiare modo in cui ognuno è dato a se stesso e non è


quindi, propriamente parlando, rimpiazzabile con un'espressione non indi-
cale (ad esempio, con un nome del parlante). Questa, in realtà, è una carat-
terizzazione dell'"io" del soliloquio: Frege distingue però anche un uso
pubblico di "io" (quando parliamo agli altri in prima persona), dove il si-
gnificato di "io" sarà invece qualcosa come "colui che in questo momento
vi parla" (cfr. Il pensiero, pp. 12-13).

98
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può essere così parafrasata:
- due espressioni B e B' sono identiche se e solo se, per
ogni enunciato A, la sostituzione in A di una delle due con
l'altra non altera la verità (o la falsità) di A,
unendo insieme "indiscernibilità degli identici" (da sinistra a
destra) e "identità degli indiscernibili" (da destra a sinistra).
Da parte sua (PS) appare come una versione più generale
dell'indiscernibilità degli identici, nella quale la relazione
d'identità vige non tra le espressioni ma tra i loro riferimenti
(ricordiamo che i valori di verità sono particolari tipi di rife-
rimento):
se due espressioni hanno lo stesso riferimento, la sostitu-
zione di una di esse con l'altra in una terza espressione
non ne altera il riferimento.
Nonostante la sua apparente plausibilità, il Principio di
Sostitutività sembra soffrire di vistose eccezioni già a livello
di enunciati. Se, in quelli che in seguito saranno chiamati
atteggiamenti proposizionali (i contesti, cioè, in cui un enun-
ciato dichiarativo è retto da verbi come "credere", sapere",
"sperare", etc. - ad esempio "Pietro crede che gli ornito-
rinchi siano rettili"), si sostituisce l'enunciato introdotto da
"che" con un altro avente lo stesso valore di verità (ossia lo
stesso riferimento), il valore di verità dell'intero contesto
può cambiare 17 • Ad esempio, anche se "Pietro crede che gli
ornitorinchi siano rettili" è vero, non ne consegue che Pietro
debba credere a tutto ciò che è falso come è falso che gli or-
nitorinchi sono rettili.
Frege, tuttavia, non abbandona per questo né il Principio
di Sostitutività né quello di Composizionalità, ma cerca di mo-
strare che, in realtà, gli atteggiamenti proposizionali non costi-
tuiscono una vera eccezione. La sua tesi è che non in tutti i
contesti le parole hanno come riferimento il loro riferimento
ordinario: ad esempio, nei contesti dove abitualmente usiamo
le virgolette, le espressioni tra virgolette hanno come riferi-

17 Altri contesti in cui ciò accade sono, tipicamente, quelli modali: tutta-

via, data la scarsa rilevanza che essi hanno per Frege, non ce ne occuperemo.

99
Mauritius_in_libris
mento le espressioni stesse. Ora nel discorso indiretto e, in ge-
nerale, negli atteggiamenti proposizionali, succede una cosa
per certi versi analoga: ciò che è in questione, infatti, non è il
valore di verità della clausola retta da "che", ma, piuttosto, il
suo senso. Il senso di un enunciato, infatti, è ciò che afferria-
mo nel processo di comprensione di questo enunciato; e, d'al-
tra parte, nel discorso indiretto noi facciamo riferimento pro-
prio a ciò che "ha in testa" (il lettore è pregato di eliminare
ogni connotazione psicologica da questa espressione) un dato
parlante: in "Pietro dice che gli ornitorinchi sono rettili" non
si fa questione se gli ornitorinchi siano veramente rettili, quel-
lo che conta, per stabilire il valore di verità dell'intero enun-
ciato, è solo se Pietro ha o non ha proferito un enunciato che
abbia lo stesso senso di "Gli ornitorinchi sono rettili" (non
dimentichiamo che nel discorso indiretto non vengono ripor-
tate le esatte parole del parlante). Il Principio di Sostitutività e
quello di Composizionalità sono dunque salvi: il valore di ve-
rità di "Pietro dice - o crede - che gli ornitorinchi sono ret-
tili" dipende ancora dal riferimento di "Gli ornitorinchi sono
rettili", ma in questo contesto il riferimento di quest'ultimo
enunciato non è più un valore di verità, ma un pensiero 18 •
Questa "sostituzione" del riferimento con il senso non ri-
guarda solo gli enunciati del discorso indiretto, ma anche le
loro parti componenti. In effetti vale per i sensi un Principio
di Composizionalità analogo a quello che vale per i riferi-
menti (cfr. l'inizio del saggio del 1923 La composizione dei
pensieri): il senso di un'espressione è costituito a partire da
quello delle parti componenti, e, in particolare, vale l' analo-
go del Principio di Sostitutività
sia C un'espressione che contiene una o più occorren-
ze dell'espressione Be C' si ottenga da C per sostitu-
zione di una o più occorrenze di B con B': allora, se il
senso di B e di B' è lo stesso, anche quello di C e di
C' è lo stesso;
18 Camap sostiene la tesi di tipo freghiano che ogni espressione possiede

un'intensione ed un'estensione, ma rifiuta di attribuire estensioni ed inten-


sioni diverse alla stessa espressione, in dipendenza dal contesto in cui essa
occorre.

100
Mauritius_in_libris
se dunque il senso di un enunciato costituisce, in un dato
contesto, il suo riferimento, anche il senso delle parti
dell'enunciato costituirà il loro riferimento nello stesso con-
testo.
Frege, tuttavia, non costruisce una vera e propria teoria
del riferimento indiretto; sviluppare in maniera sistematica i
suoi spunti presenterebbe infatti non pochi problemi
(a) per Frege non esistono espressioni che hanno un riferi-
mento senza avere un senso (si può dare solo il caso con-
trario): dunque, se un'espressione in un dato contesto ha
come riferimento il suo senso, dovrà possedere un senso
indiretto (cfr. Sen. eri/. p. 379), ma è piuttosto difficile
dire in che cosa quest'ultimo consista (dovrebbe essere
qualcosa come "un modo di cogliere un determinato ri-
ferimento");
(b) le cose peggiorano negli atteggiamenti proposizionali
iterati ("Mauro crede che Pietro crede che gli ornitorin-
chi siano rettili"), che richiederebbero un senso ed un
riferimento di secondo livello: poiché non c'è un limite
al numero delle iterazioni, non c'è nemmeno limite al
numero dei livelli di senso e riferimento;
(c) si potrebbe sostenere che l'essere un mammifero fa parte
del senso di "ornitorinco": se le cose stanno così, com'è
possibile che Pietro creda che gli ornitorinchi siano retti-
li, e, nello stesso tempo, che "ornitorinco" si riferisca qui
al suo senso? In generale, quello che appare rilevante nei
contesti di credenza non è tanto il senso pubblico delle
espressioni, quanto il senso privato (e, spesso, parziale)
che esse possono assumere per ciascuno di noi (come ac-
cade per gli usuali nomi propri - cfr. cap. III, l);
(d) i sensi sono molto più elusivi dei riferimenti: in partico-
lare, quand'è che si può parlare di uguaglianza di senso?

Si tratta di difficoltà forse non insormontabili in una teo-


ria di tipo freghiano, ma che hanno, in ogni caso, rappre-
sentato il banco di prova di ogni successivo tentativo di for-
nire un'interpretazione semantica degli atteggiamenti pro-
101
Mauritius_in_libris
posizionali (basti pensare all'isomorfismo intensionale di
Carnap 19 ).
Qui ci occuperemo solo di una possibile risposta a (d).
Nel paragrafo precedente avevamo osservato che il riferi-
mento di un'espressione numerica f(A) dipendeva da quello
delle parti componenti l'espressione; ma questo non signifi-
ca che il riferimento di queste ultime sia parte di quello di
f(A): se, ad esempio, f(A) significasse il più piccolo numero
primo minore di r A, , sembrerebbe strano dire che un nu-
mero più grande, r A, , è parte di uno più piccolo r f(A) , .
Tuttavia, in Senso e riferimento, Frege a proposito dei valori
di verità si esprime proprio in questo modo: formulare un
giudizio significa distinguere le parti entro il valore di verità
(p. 386). Evidentemente perché la struttura del pensiero
espresso da un giudizio dipende dalla struttura del giudizio
stesso, ossia perché il rapporto che sussiste tra il pensiero e
le sue parti corrisponde a quello che intercorre tra il giudizio
e le sue parti: così, quando, formulando un giudizio, afferria-
mo un pensiero afferriamo con ciò anche il senso espresso
dalle parti componenti, e, attraverso quest'ultimo determi-
niamo i riferimenti dalla cui combinazione risulta il valore di
verità (riferimento) dell'intero giudizio. Ad esempio, se è ve-
ro che Socrate è bianco, nel riferimento Vero di "Socrate è
bianco" possiamo distinguere come parti Socrate e il concet-
to r essere bianco, mediante i sensi che compongono il
pensiero espresso da "Socrate è bianco". In generale, dun-
que, possiamo distinguere le parti all'interno di un riferi-
mento solo passando attraverso uno dei sensi corrispondenti
a questo riferimento 20 • Già in Senso e riferimento, tuttavia,
Frege si rende conto che parlare di parti è, nel caso del rife-
rimento, un modo di esprimersi assai discutibile; tant'è vero
che in seguito (cfr. Appunti per Ludwig Darmstaedter, Scritti
postumi, p. 400) finirà per rifiutarlo, argomentando che la
sua accettazione avrebbe, ad esempio, la conseguenza assur-

19 Cfr. Santambrogio [1992] capp. II e IX.


'° Come abbiamo fatto, implicitamente, discutendo il riferimento di f(A):
in se stesso r f(A), è un numero; solo in quanto f(A) esprime un senso cor-
rispondente a questo numero noi distinguiamo in r f(AP i riferimenti di A
e di f(!;).

102
Mauritius_in_libris
da che la Svezia dovrebbe far parte della capitale della Sve-
zia, ossia della città di Stoccolma.
I sensi, dunque, hanno una struttura corrispondente a
quella degli enunciati che li esprimono. Questo fa pensare a
qualcosa di analogo all'isomorfismo intensionale di Camap,
e potrebbe costituire una risposta (parziale) al problema (d)
sollevato in precedenza: due sensi composti sono uguali se e
solo se sono composti nello stesso modo a partire da sensi
uguali. Queste conclusioni, però, contrastano con quanto
Frege stesso scrive in alcune lettere a Husserl (in quella del
30 ottobre -1 novembre 1906 - cfr. Epist. p. 82 - ed in
quella del 9 dicembre 1906 - cfr. Epist. pp. 85-86): in que-
st'ultima lettera viene infatti detto chiaramente che due
enunciati A e B esprimono lo stesso pensiero quando è logi-
camente contraddittorio assumere che il contenuto dell'uno
sia vero e quello dell'altro falso, il che significa quando i due
enunciati sono logicamente equivalenti. Ma è chiaro che due
enunciati possono essere logicamente equivalenti pur aven-
do strutture diversissime: non è quindi vero che due sensi
composti sono uguali se e solo se sono composti nello stesso
modo a partire da sensi uguali. La questione non è però
molto chiara: da un lato in Funzione e concetto troviamo che
"24 = 42 " e "4.4 = 42 " non hanno lo stesso senso, pur essendo
logicamente impossibile che abbiano valori di verità diversi;
dall'altro lo scopo di Frege, nelle lettere a Husserl, sembra
semplicemente essere, al di là della formulazione, quello di
eliminare dalla questione dell'equivalenza degli enunciati
tutto ciò che non rientra nel pensiero espresso dagli enuncia-
ti stessi (come intonazione, forza assertoria, etc.). Si tratta
evidentemente di uno di quei problemi, non infrequenti, che
Frege ha avuto il merito di mettere in evidenza, ma sui quali
ha fornito solo pochi cenni sparsi (spesso in lettere o inedi-
ti), non una trattazione completa e coerente.

5. I termini singolari privi di riferimento

Abbiamo visto (cfr. cap. III, 3) che, per Frege, un enun-


ciato dichiarativo è vero o falso se e solo se tutte le sue parti
103
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componenti hanno un riferimento. Questo contrasta sia con
la tesi aristotelica che un enunciato affermativo il cui sogget-
to non esiste è sempre falso (cfr. Cat. 10, 13b, 27-35), sia con
la successiva teoria russelliana delle descrizioni definite.
Secondo Russell, se A è un autentico nome proprio, Fre-
ge ha ragione nel ritenere che per determinare il valore di
verità di un enunciato in cui A compare è necessario deter-
minare il riferimento di A, e che quindi, se A non denotasse
nulla 21 , lenunciato sarebbe privo di valore di verità; tuttavia
le descrizioni definite, ed anche gli usuali nomi propri, come
"Aristotele", non sono autentici nomi propri e la forma logi-
ca degli enunciati in cui compaiono è diversa da quella ipo-
tizzata da Frege. Per Russell, infatti, un enunciato come "Lo
scopritore della penicillina è inglese" ha la seguente forma
logica:
(R) (3x)(x è uno scopritore della penicillina /\ (V'y)(y è uno
scopritore della penicillina-7y=x) /\ x è inglese).

Le descrizioni definite, infatti, non si riferiscono diretta-


mente a qualcosa, ma introducono un concetto: un enuncia-
to che ne contiene una asserisce allora che sotto tale concet-
to cade esattamente un oggetto (quindi che la descrizione
definita è corretta), e che tale oggetto, a sua volta, gode della
proprietà espressa dal predicato dell'enunciato.
Ma questo era proprio quello che Frege non accettava: in
Senso e riferimento (pp. 391-93) argomenta che, se il pensie-
ro che lo scopritore della penicillina esiste facesse parte del
pensiero espresso da "Lo scopritore della penicillina è ingle-
se", la negazione di quest'ultimo enunciato dovrebbe essere
"O nessuno ha mai scoperto la penicillina, oppure lo scopri-
tore non è inglese" 22 , il che sarebbe assurdo. Russell replica
ricorrendo alla distinzione di ambito della descrizione. È
possibile infatti negare (R) in due modi

21 Periodo ipotetico dell'irrealtà: i nomi logicamente propri non possono

non essere denotanti.


22 Frege, nei suoi esempi, non considera il caso delle descrizioni cui cor-

risponde più di un oggetto, ma si tratta di un dettaglio in questa circostanza


irrilevante.

104
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(i) -,(3x)(x è uno scopritore della penicillina" (V'y)(y è uno
scopritore della penicillina~y=x) " x è inglese)
[ambito largo]
(ii) (3x)(x è uno scopritore della penicillina " (V'y)(y è uno
scopritore della penicillina~y=x) " x non è inglese)
[ambito stretto]

quindi la parafrasi mediante (R) di "Lo scopritore della


penicillina è inglese" non esclude la possibilità di negarlo
mediante "Lo scopritore della penicillina non è inglese"
[= (ii)]. Per F rege, però, il pensiero che il soggetto di un
enunciato esiste non può far parte del pensiero espresso dal-
1'enunciato stesso, perciò il solo fatto che anche la negazione
(i) sia possibile è sufficiente a mostrare l'inadeguatezza della
parafrasi (R).
La presenza di enunciati né veri né falsi rende assai più
complicata la metateoria dei sistemi che ne ammettono
l'esistenza, ed è forse anche per questa ragione che la teo-
ria di Russell ha avuto più seguito di quella di Frege; tutta-
via vi sono notevoli eccezioni, tra le più significative delle
quali la teoria dei riferimenti di Strawson (cfr. [1950]) e,
su un piano più strettamente formale, le logiche non biva-
lenti e la teoria delle supervalutazioni di van Fraassen (cfr.
[1966]).
In ogni caso la successiva discussione sulle descrizioni
definite non ha riguardato solo lo status degli enunciati in
cui le descrizioni risultano prive di riferimento, ma, più in
generale, i loro meccanismi di riferimento. Di particolare
interesse, perché connessa con la tesi generale anti-freghia-
na di un riferimento dei termini singolari indipendente dal
loro senso (cfr. cap. III, 1), è la distinzione di Donnellan
(cfr. [1967]) tra uso attributivo ed uso referenziale delle de-
scrizioni definite: in quest'ultimo caso il successo dell'atto
di riferirsi dipende non solo dal senso della descrizione, ma
anche - ed a volte quasi esclusivamente - dalle intenzioni
del parlante e dalle circostanze. In altre parole, nell'uso at-
tributivo intendiamo riferirci esclusivamente a chi (o cosa)
soddisfa la descrizione; mentre in quello referenziale inten-
105
Mauritius_in_libris
diamo riferirci ad un determinato individuo, ed il riferimen-
to può avere successo anche se, in realtà, l'individuo in que-
stione non soddisfa la descrizione. Il western di J. Ford
"L'uomo che uccise Liberty Valance" fornisce un esempio
particolarmente calzante di uso puramente referenziale di
una descrizione definita: nel film tutti, credendo erronea-
mente che sia stato l'avvocato Stoddard ad uccidere il ban-
dito Liberty Valance, usano la descrizione "l'uomo che uc-
cise Liberty Valance" per riferirsi a Stoddard, ed il riferi-
mento ha successo appunto perché basato su credenze uni-
versalmente condivise.

6. Il sistema dei «Principi» e la contraddizione

Nel cap. I, 5 avevamo elencato alcuni motivi, dovuti in


generale all'assenza di una precisa semantica, per cui la lo-
gica dell'Ideografia risultava insoddisfacente; nel capitolo
II avevamo visto l'importanza della nozione di estensione
di un concetto nella definizione dei numeri naturali. Negli
articoli attorno al 1890 Frege, attraverso la distinzione di
senso e riferimento e la piena equiparazione dei concetti
alle funzioni (con la distinzione di queste ultime dal loro
decorso di valori), getta le basi per la costruzione di un si-
stema di logica in cui i motivi d'insoddisfazione presenti
nell'Ideografia sono eliminati ed in cui trovano posto, co-
me oggetti logici, le estensioni dei concetti. T aie sistema
viene esposto nella prima parte (Esposizione dell'Ideo-
grafia) del primo volume dei Principi, la cui seconda parte
è dedicata appunto ad una trattazione completamente for-
male, basata su questo sistema, della definizione di nume-
ro naturale (Dimostrazioni delle leggi fondamentali del
numero).
Alla base del sistema dei Principi c'è la nozione di funzio-
ne: in termini di funzione, infatti, Frege reinterpreta molte
delle nozioni fondamentali dell'Ideografia, in particolare
quelle di contenuto, di negazione, di condizione. Nell'Ideo-
grafia il tratto orizzontale era chiamato segno di contenuto
e, applicato ad un'espressione A il cui contenuto fosse giudi-
106
Mauritius_in_libris
cabile, indicava "la circostanza che A"; ora diventa una fun-
zione così definita:

{ - A = Vero se A è il Vero,
-A= Falso altrimenti

Il tratto orizzontale, dunque, ha sempre un valore di ve-


rità per valore: dovendo essere definito per ogni argomento,
quando l'argomento non è un valore di verità, la scelta più
naturale sarà assegnare il Falso come valore.
La negazione ed il segno di condizione hanno definizioni
più "normali", dal momento che assumono come argomenti
sempre i valori del tratto orizzontale, ossia valori di verità 23 :
la loro definizione coincide quindi con le definizioni stan-
dard dei connettivi ..., e ~; tuttavia, sulla base della defini-
zione del tratto orizzontale, avremo, ad esempio, che -,- 2
= Vero. Queste funzioni sono dette /unzioni di verità ap-
punto perché hanno sempre, come argomenti e come valori,
valori di verità. Il tratto verticale di giudizio non è una fun-
zione: I- A esprime l'asserzione che il valore del tratto oriz-
zontale applicato ad A è il Vero; ma anche in questo caso,
dal momento che -r-2 =Vero, siamo costretti ad accettare
l-r-2.
I quantificatori sono introdotti in una maniera analoga a
quella dell'Ideografia. Tuttavia la distinzione tra senso e ri-
ferimento e, soprattutto, il modo in cui è definito il tratto
orizzontale mostrano in maniera più chiara, rispetto
all'Ideografia, il carattere oggettuale dei quantificatori fre-
ghiani. Infatti nei Principi il quantificatore universale è in-
trodotto così:

---J!.,- <l>(a) significa il Vero quando il valore della funzio-


ne <I> è il Vero per ogni argomento; altrimenti il Falso

" Questo non contraddice quanto abbiamo appena detto sul fatto che
tutte le funzioni sono totali: tanto per fare un esempio, la negazione ed il
tratto orizzontale formano una funzione composta, ed è quest'ultima che
dev'essere, come effettivamente è, totale.

107
Mauritius_in_libris
dove sappiamo che gli argomenti della funzione <I> sono i ri-
ferimenti delle espressioni, e non le espressioni stesse.
Anche l'identità è ora una relazione che riguarda gli og-
getti: in particolare osserviamo che l'equivalenza tra enun-
ciati è esprimibile come l'identità dei loro referenti, e questo
spiega perché Frege, contrariamente a quanto è diventato in
seguito usuale, non riconosca nell'equivalenza una funzione
di verità.
I decorsi di valori relativi ad ogni funzione correttamente
definita fanno parte del sistema dei Principi: Frege osserva
giustamente che, anche se <I> è un concetto sotto cui cade un
solo oggetto A, bisogna comunque distinguere tra questo
oggetto e lestensione del concetto; e, di conseguenza, intro-
duce una nuova funzione \ che, in casi del genere, associa al
decorso di valori È<l>(E) l'oggetto A, mentre in tutti gli altri
casi (ossia quando <I> non è un concetto, oppure non è vero
che sotto <I> cade esattamente un oggetto) assume come valo-
re l'argomento stesso 24 • È abbastanza evidente che questa
funzione ha dei punti in comune con loperatore russelliano
(ix): le differenze principali sono che si tratta appunto di
una funzione che assume oggetti come argomenti, e non
d'un operatore che forma termini singolari a partire da pre-
dicati; ma, soprattutto, che (ix)F(x) non denota nulla quan-
do sotto F non cade esattamente un oggetto, mentre la fun-
zione freghiana è, come sempre, totale.
Le leggi fondamentali (assiomi) sono le seguenti (useremo
per semplicità, quando ciò è possibile, la notazione hilbertia-
na - cfr. cap. I, 3)
(I) a.-+(b.-+a) [cfr. Assioma (1) dell'Ideografia]
(II) (Vx)(fx) --+ fc [cfr. Assioma (9) dell'Ideografia]

Quando la quantificazione non è di primo ordine, (II) vie-


ne scritto in questo modo [dove MP(<I>(~)) indica una qual-

24 La funzione \ sembrerebbe dunque definita solo per i decorsi di valori;

tuttavia Frege, prima di introdurre questa funzione (§ 11) ha già mostrato che
è possibile ridurre i valori di verità a decorsi di valori (§ 10 - cfr. cap. III, 7):
poiché non sono stati ancora introdotti oggetti di altro genere, la limitazione
ai decorsi di valori non pregiudica la corretta definizione della funzione.

108
Mauritius_in_libris
siasi funzione di secondo grado avente come argomento la
funzione di primo grado <I>]
(Ilb) ('v' .1)MP(1(~) )~M/1(~))
(III) g(a=b)~g(('v'1)(Jb~.'fa))

Per comprendere (III) bisogna non dimenticare che il ri-


ferimento di un enunciato è un valore di verità: (III) signifi-
ca allora che non si dà mai il caso che il valore di g sia il Ve-
ro con il riferimento di a=b e il Falso con il riferimento di
('v'J)(Jb~.'fa) come argomenti. (Ili) appare quindi una ge-
neralizzazione dell'assioma (7) dell'Ideografia.
(IV) ....,(-a= -,- b)~(- a= - b)

Il significato di (IV) è questo: poiché - a è sempre un va-


lore di verità e poiché -,- b e - b sono valori di verità op-
posti, - a dovrà coincidere con uno di questi ultimi. (IV)
equivale, nel calcolo proposizionale usuale, a (pHq)v
(pH-,q), ed esprime la bivalenza della logica freghiana.
(V) itf(T1) = Èg(E)H('v'x)(fx = gx)

Questo principio non è altro che l'equivalenza (*) tramite


cui sono stati introdotti i decorsi di valori come oggetti. A
questo proposito sono opportune alcune osservazioni
- i decorsi di valori sono necessari per poter definire i nu-
meri naturali, che sono appunto estensioni di concetti;
una definizione di questo tipo è indispensabile perché la
nozione di numero naturale risulti completamente deter-
minata (nel senso che per ogni oggetto si possa stabilire
se cade o non cade sotto il concetto di numero naturale):
quindi l'adozione di (V) è necessaria per garantire il ri-
gore logico del sistema;
(V) ha come conseguenza che per ogni funzione ben de-
finita esiste il decorso di valori corrispondente (assioma
di comprensione): infatti da ('v'x)(fx = fx) - ovviamente
vero - segue Èf(E) = Èf(E), ed un'identità vera non può
riguardare che oggetti esistenti.
109
Mauritius_in_libris
La presenza di (V), come vedremo, rende il sistema fre-
ghiano vittima del paradosso di Russell; sulla base di quanto
abbiamo appena detto, mettere in discussione (V) significa
però mettere in discussione la possibilità di introdurre og-
getti come i decorsi di valori, e, quindi, la possibilità stessa
di definire molti concetti, tra cui quello di numero naturale.
(VI) a = \È(a = E)
(VI) esprime il significato della funzione \: poiché r essere
uguale ad a, è, come sappiamo, un concetto sotto cui cade
solo a, la funzione\ applicata al decorso di valori di tale con-
cetto dà come valore lo stesso a.
Nell'Ideografia l'unica regola di derivazione esplicitamen-
te introdotta era il Modus Ponens, ma, come abbiamo visto,
diverse altre regole, tra cui quella di sostituzione, erano im-
plicite nelle convenzioni che definivano l'uso delle lettere la-
tine minuscole. Nei Principi, però, sono necessarie ulteriori
regole (lo si capisce, tra l'altro, dall'assenza degli assiomi
corrispondenti a (2)-(6) dell'Ideografia); ma questa volta Fre-
ge, invece di lasciarle sottintese, le esplicita tutte come rego-
le ausiliarie, giustificandole con considerazioni per lo più di-
pendenti dalle delucidazioni informali con cui sono state in-
trodotte le varie nozioni (in un'esposizione sommaria
possiamo anche non occuparcene - cfr., comunque, Princ.
I, § 48).
L'avere formalmente introdotto i decorsi di valori come
oggetti permette a Frege di rimpiazzare le funzioni di secon-
do con quelle di primo grado. Egli introduce, infatti, una
funzione xny (corrispondente all'appartenenza) così
definita 25
xny è il valore per x della funzione corrispondente a y se
{ y è un decorso di valori;
xny è la classe vuota [o meglio il decorso di valori della
funzione -,-- (x=x)] altrimenti

" Questa è una definizione intuitiva: quella freghiana, che riconduce


questa nuova funzione a quanto è stato precedentemente introdotto, fa uso
della funzione \.

110
Mauritius_in_libris
ed è chiaro che, qualora y sia il decorso di valori di un con-
cetto, xny è il valore di verità del concetto in questione ap-
plicato a x. Come attraverso questa funzione sia possibile
abbassare il livello di una funzione lo si vede da un esempio:
('v'x)(Fx) è una funzione di secondo grado che è equivalente
alla funzione di primo grado ('v'x)(xnÈF(e)). Che quest'ulti-
ma sia di primo grado potrebbe non sembrare subito evi-
dente: infatti ('v'x)(xnÈF(e)) significa che la funzione xnÈF(e)
assume valore Vero per ogni argomento, e questo sembra di-
re qualcosa di una funzione. In realtà, come Frege ci ha inse-
gnato nell'Ideografia, per determinare il tipo di argomenti
bisogna guardare a quella parte che, nelle due espressioni, è
considerata sostituibile: poiché nella prima è un'espressione
funzionale, "F", e nella seconda un termine singolare,
"ff(e)", la seconda, ma non la prima costituisce una funzio-
ne di primo grado.

Il modo più semplice per formulare il paradosso di Rus-


sell è in termini di classi: se y è la classe di tutte le classi che
non appartengono a se stesse, allora:
- se ye y, allora y deve soddisfare la condizione definitoria
di y e quindi non appartiene a se stesso (cioè vale ye:y);
- se ye y, allora y soddisfa la condizione definitoria di y e
quindi yey;
dunque ye y HyE y, il che è contraddittorio.
Russell comunicò questa scoperta a Frege in una lettera del
16 giungo 1902 (cfr. Epist. pp. 183-84), poco prima che fosse
pubblicato il secondo volume dei Principi. Con l'abituale acu-
me Frege comprese subito che il paradosso di Russell minava
alle basi non solo la sua costruzione, ma la possibilità stessa di
definire in termini puramente logici la nozione di numero:
" ... a quanto sembra con l'eliminazione del V principio non
solo è messo in crisi il fondamento della mia aritmetica, ma
l'unico fondamento possibile per l'aritmetica in generale." 26
(lettera di Frege a Russell del 22 giugno 1902, Epist. p. 185).

26 Nei Principi (Il, p. 255) Frege si rende conto che il paradosso di Rus-

111
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Per comprendere la discussione che Frege fa del parados-
so di Russell bisogna tenere presente che, nei Principi, (V)
appariva, in realtà, diviso in due parti
(Va) (V'x)(fx = gx)~F(Èf(E))=F(Èg(E));
(Vb) èf(E) = Ég(E)~(V'x)(fx = gx).

Sulle prime Frege aveva pensato che la scoperta di Russell


avesse come conseguenza che "la trasformazione della gene-
ralità di un'uguaglianza in un'uguaglianza di decorsi di valo-
ri" non era sempre permessa (lettera citata del 22 giugno
1902, Epist, p. 185), ossia che non valeva (Va); ma in seguito
si convinse che il paradosso dipendeva invece solo da (Vb).
In un'appendice al secondo volume dei Principi, pubblicato
nel 1903 (cfr. Nachwort, in Principi II, pp. 253-65), Frege
deriva infatti il paradosso utilizzando solo (Vb) e di conse-
guenza propone, come soluzione alla difficoltà 27 , di sostitui-
re (Vb) con
(V ) { Èf(e)=Ég(e)~(a:;t:Éf(e)~fa=ga)
c Èf(e)=Ég(e)~(a:;t:Ég(e)~fa=ga)

Frege nega dunque non la validità illimitata dell'assioma


di comprensione (questa sarebbe stata, infatti, la conseguen-
za di rifiutare (Va) - cfr. p. 111), ma la possibilità che una
funzione assuma il proprio decorso di valori come argomen-
to. Si tratta di una soluzione di portata molto limitata, e non
è nemmeno in grado di eliminare ogni conseguenza contrad-
dittoria (cfr. Sobocinski [1949] e Quine [1955]); ma è già
sufficiente, come riconosce lo stesso Frege, a mettere in seria
crisi la nozione stessa di decorso di valori: se, infatti, esiste
almeno un oggetto, nella fattispecie il decorso di valori di f,
per cui non è determinabile se cade o meno sotto f, il con -
cetto f non è ben determinato. Il dilemma è dunque se nega-

sell colpisce non solo la sua, ma anche tutte le altre teorie che facevano libe-
ro uso della nozione di classe (o insieme) inteso come oggetto, in primo luo-
go la teoria degli insiemi di Cantor.
27 Si tratta della stessa soluzione che propone a Russell nella lettera del

20 ottobre 1902 (cfr. Epist. p. 204).

112
Mauritius_in_libris
re che i decorsi di valori siano oggetti, oppure modificare la
nozione di definibilità di un concetto.
Negli anni successivi Frege finì per convincersi che fonda-
re l'aritmetica su basi puramente logiche era impossibile e
che l'unica alternativa era fare ricorso alla geometria. In Le
fonti conoscitive della matematica e delle scienze naturali ma-
tematiche, un inedito databile 1924-25 (cfr. Scritti postumi,
pp. 413-22) egli scrive
Una proprietà della lingua, nefasta per la sicurezza del pensiero, è la ten-
denza a creare nomi propri cui non corrisponde alcun oggetto ... Un esem-
pio particolarmente notevole in tal senso lo abbiamo nella formazione di un
nome proprio secondo il paradigma di "l'estensione del concetto a", ad
esempio "l'estensione del concetto stella fissa". A causa dell'articolo deter-
minativo quest'espressione sembra designare un oggetto: ma non v'è alcun
oggetto che può essere così designato senza violare le regole linguistiche. Di
qui sono nati i paradossi della teoria degli insiemi, che hanno annientato
quella teoria (p. 416).

F rege scrive queste righe parecchi anni dopo che Zermelo


aveva proposto la sua assiomatizzazione della teoria degli in-
siemi e Russell la teoria dei tipi: ma per lui, evidentemente,
si trattava di rimedi che evitavano le contraddizioni all'inac-
cettabile prezzo di scendere a patti con il rigore logico.
In effetti, tanto per fare un esempio, i tentativi "logicisti"
di Russell, al di là dei loro meriti intrinseci, non potevano
soddisfare Frege, come risulta chiaro dai problemi connessi
con l'assioma dell'infinito. L'impossibilità di introdurre i de-
corsi di valori come oggetti a pieno titolo rende infatti pro-
blematico trovare il "materiale" necessario per costruire la
successione infinita dei numeri naturali: una possibilità sa-
rebbe quella di partire dalla classe vuota (che indichiamo
con O) e, attraverso la costruzione reiterata dell'insieme po-
tenza, di ottenere una classe infinita
o
0+2°+220 +2 22 +... all'infinito
composta di classi, classi di classi, classi di classi di classi, e
così via. Già si potrebbe obiettare a questa proposta che
l'uso di "all'infinito" è una petitio principi; ma, in ogni caso,
la difficoltà più grave è un'altra: la classe così composta non
sarebbe omogenea dal punto di vista del tipo dei suoi com-
113
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ponenti. Dobbiamo perciò postulare con un assi.orna l'esi-
stenza di un'infinità di cose (Assioma dell'infinito): ma per
Frege un simile assioma non può rientrare nell'ambito della
pura logica 28 • In generale, mentre per Russell, Hilbert e mol-
ti altri la scoperta dei paradossi costituiva una minaccia
all'intero edificio matematico, Frege non dà mai l'impressio-
ne di considerarla tale, piuttosto un attentato alla possibilità
di una fondazione logica della matematica: per lui, quindi,
avrebbe avuto interesse solo una (purtroppo impossibile) eli-
minazione dei paradossi che soddisfacesse i suoi requisiti di
rigore logico.

7. Principio di Composizionalità e Principio del Contesto

Avendo delineato i tratti fondamentali del sistema dei


Principi, siamo ora in grado di valutare il ruolo assunto in
quest'opera dal Principio del Contesto e la sua relazione con
il Principio di Composizionalità.
Il Principio di Composizionalità per i sensi ha l'impor-
tantissima funzione di spiegare com'è possibile che chi par-
la una data lingua sia in grado di afferrare un insieme po-
tenzialmente infinito di pensieri. Il parlante ci riesce per-
ché esiste il parallelismo tra struttura dell'enunciato e strut-
tura del pensiero espresso e perché "se si considera il pen-
siero come composto di parti semplici e se si fanno inoltre
corrispondere a esse certe parti semplici dell'enunciato, di-
viene comprensibile come si possa costruire una grande
molteplicità di enunciati cui corrisponda, di nuovo, una
grande molteplicità di pensieri" (cfr. il già citato La compo-
sizione dei pensieri), Frege, dunque, sembra dare per scon-
tato il fatto che la competenza linguistica consiste nella
capacità di produrre composizionalmente (cioè dal più
semplice al più complesso) un'infinità potenziale di enun-
ciati grammaticalmente corretti, e che da ciò derivi, assu-
mendo il parallelismo strutturale di enunciati e pensieri

28 Si pensi anche ali' assioma di riducibilità necessario per poter ricostrui-

re la matematica all'interno della teoria ramificata dei tipi.

114
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espressi, la capacità di comprendere un'infinità potenziale
di pensieri 29 •
Come avevamo già accennato, il Principio di Composi-
zionalità sembra contrastare con il Principio del Contesto:
nel cap. II, 5 avevamo proposto una soluzione "pratica"
del contrasto osservando che Frege utilizza, di fatto, il
Principio del Contesto solo relativamente agli enunciati d'i-
dentità: noi comprendiamo il significato di una classe di
termini singolari quando conosciamo le condizioni di verità
degli enunciati di identità in cui essi possono comparire.
Avevamo anche visto, nell'esempio della "direzione di una
retta", che non è possibile fare ciò limitatamente agli ele-
menti della classe in questione che hanno forma standard, e
che quindi
la direzione di a = la direzione di b se e solo se a//b
non determina a sufficienza le condizioni di verità degli
enunciati in cui compaiono termini singolari che si riferisco-
no alle direzioni delle rette.
Un problema analogo si presenta, nei Principi, a proposito
dei decorsi di valori. Essi sono stati introdotti mediante (cfr.
cap. III, 2)
(*) Tif(11) = Èg(E) se e solo se (Vx)(fx = gx)

dove la parte destra dovrebbe costituire una definizione


dell'identità che compare a sinistra. "Ma - osserva Frege -
noi non possiamo finora decidere se un oggetto che non ci è
dato come tale [ossia attraverso un termine tipo H(e)] sia un
decorso di valori, e quale sia la funzione corrispondente 30 ,

29 Il Principio di Composizionalità ha assunto un ruolo centrale nella lin-

guistica e nella semantica moderne: basti pensare alla logica intensionale di


Montague, dove, per ogni espressione, viene costruita l'intensione struttu-
ralmente corrispondente (per un'esposizione elementare della grammatica
di Montague cfr. Santambrogio [1992), cap. VIII).
'"Se il segno con cui denotiamo un decorso di valori è del tipo "tif(T\)" la
funzione corrispondente, ossia quella che l'ha generato, è f; se è di tipo di-
verso, allora non è ovviamente possibile risalire alla funzione corrispon-
dente.

115
Mauritius_in_libris
né possiamo, in generale, decidere se un dato decorso di va-
lori possiede una data proprietà, se non sappiamo che que-
sta proprietà è collegata con una proprietà della funzione
corrispondente". In particolare, se X(ç) è una funzione che
non assume mai lo stesso valore per argomenti differenti, ab-
biamo [in conseguenza di(*)] che
(**) X(iif(ri)) = X(Èg(E)) se e solo se (Vx) (fx = gx)

ma resta impregiudicato se X(i1f(11)) e X(Èg(E)) siano o meno


decorsi di valori (cfr. Princ. I, § 10, p. 16). In altre parole,
non siamo in grado di reidentificare un decorso di valori
quando non ci viene dato in maniera standard.
In questo caso, tuttavia, la soluzione non può ovviamente
essere quella dei Fondamenti, e sarà invece di tipo, per così
dire, composizionale: in altre parole sarà necessario defini-
re, per ogni funzione che viene man mano introdotta, quali
valori assume per ogni possibile argomento. Fino al mo-
mento in cui Frege affronta questo problema nei Principi
sono state introdotte tre funzioni, identità 31 , tratto orizzon-
tale e negazione, e due tipi di oggetti, i decorsi di valori e i
valori di verità. Ora, la negazione, assumendo come argo-
menti solo i valori di verità, non entra qui in discussione,
mentre la funzione "tratto orizzontale" può essere ridotta
alla funzione identità (infatti ç=(ç=ç) assume valore Vero
solo per largomento Vero, e Falso negli altri casi, esatta-
mente come ---ç): quindi è solo dell'identità che dobbiamo
occuparci, e stabilire il suo valore per ogni possibile argo-
mento. Il caso problematico è quando uno degli argomenti
è un valore di verità e laltro un decorso di valori, dal mo-
mento che non sappiamo ancora se un valore di verità può
coincidere con un decorso di valori; ma, se riusciamo a de-
cidere questa questione generale, il problema è risolto. In-
fatti: (i) se la risposta è negativa, un'identità tra un decorso
di valori ed un valore di verità sarà sempre falsa; (ii) se la ri-
sposta è affermativa, siamo in grado di stabilire se si tratta

" Ci si può fare un'idea della funzione identità pensando ad un giudizio


di identità in cui entrambi i termini singolari sono considerati sostituibili.

116
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dello stesso decorso di valori 32 • Frege risponde affermativa-
mente, identificando il Vero con È(-E) ed il Falso con È(E =
--,(Vx)(x=x)) 33 , e con ciò il problema della reidentificazione
dei decorsi di valori è risolto.
Poiché un riferimento è determinato solo se siamo in grado
(almeno in linea di principio) di riconoscere questo riferimen-
to nei diversi modi in cui ci viene dato, dalla precedente di-
scussione si ricava che il riferimento di un termine è stabilito
se e solo se viene stabilito quello di tutte le espressioni in cui
compare. Dummett chiama quest'ultimo Principio del Conte-
sto Generalizzato, ma lo considera un passo indietro rispetto
al Principio del Contesto formulato nei Fondamenti perché
viene meno la primarietà degli enunciati rispetto agli altri tipi
di espressioni. Tuttavia non bisogna dimenticare che il Princi-
pio del Contesto ed il problema di "Giulio Cesare" sono que-
stioni diverse, anche se correlate tra loro: in base al primo ri-
sulta preliminarmente necessario stabilire le condizioni di ve-
rità degli enunciati d'identità, mentre il secondo mostra che
per fare ciò non sono sufficienti né (*) di questo paragrafo
(per i decorsi di valori), né (i) del cap. II, 6 (per le direzioni
delle rette). Ora, anche la discussione di Principi I, § 10 ha
come presupposto la necessità di stabilire le condizioni di ve-
rità di enunciati come ìif(11) = Èg(E), e la diversità rispetto ai
Fondamenti consiste nel diverso modo di risolvere il proble-
ma di "Giulio Cesare"; o, meglio, nel fatto che anche i decorsi
di valori (di cui le estensioni dei concetti costituiscono una ge-
neralizzazione), se da un lato risolvono il problema di "Giulio
Cesare" per i numeri, dall'altro richiedono che il medesimo
problema sia risolto in relazione a loro stessi.

32 Questa può sembrare una petitio principi, visto che il problema da cui

eravamo partiti era proprio quello di riconoscere lo stesso decorso di valori


in diversi modi di presentazione; ma non dobbiamo dimenticare il carattere
composizionale della soluzione freghiana. Infatti i decorsi di valori sono ori-
ginariamente introdotti in maniera standard (come Èg(e) per qualche funzio-
ne g), ed il problema nasce con espressioni del tipo "X(Èg(e))" in cui
un'espressione funzionale è applicata ad un nome standard di un decorso di
valori: ma la soluzione di Frege consiste proprio nel determinare progressi-
vamente i valori delle funzioni per i decorsi di valori come argomenti.
" Infatti le classi di tutti gli argomenti per cui le funzioni -{, e ç =
~('11'x)(x=x) assumono valore Vero sono, rispettivamente, {Vero} e {Falso}.

117
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CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

1848 Gottlob Frege nasce 1'8 novembre 1848 a Wismar nel Meck-
lenburg (Germania del Nord, non lontano da Lubecca); il
padre, Alexander, era direttore della locale scuola superiore
femminile.
1869 Consegue la Maturità (Rez/eprufung).
1869-1873 Studia dapprima per due anni all'Università di Jena,
poi per cinque semestri all'Università di Gottingen, dove se-
gue corsi di matematica, fisica e filosofia (con Lotze); nel
~~73 ottiene il dottorato a Gi.ittingen con la dissertazione
Uber eine geometrische Darstellung der imaginiiren Gebilde
in der Ebene (Su una rappresentazione geometrica delle forme
immaginarie nel piano).
1874 Ottiene l'abilitazione (libera docenza) in matematica a Jena
con la dissertazione Rechnungsmethoden, die sich auf eine
Erweiterung des Groftenbegril/es grunden (Metodi di calcolo
basati sopra un'estensione del concetto di grandezza).
1879 Pubblica la Begril/sschrzft (Ideografia); viene nominato pro-
fessore straordinario a J ena.
1879-1883 L'Ideografia va incontro ad una quasi totale indiffe-
renza da parte di filosofi e matematici: tra le poche eccezio-
ni una recensione di Schroder, il maggiore studioso tedesco
di algebra della logica, il quale, pur mostrando un generico
apprezzamento per il lavoro di Frege, ne dà un giudizio so-
stanzialmente negativo. Frege pubblica alcuni articoli in cui
illustra scopo ed applicazioni dell'Ideografia, ma non rie-
sce a far pubblicare né la sua risposta alla recensione di
Schri.ider, né un articolo in cui illustra la differenza tra il
suo calcolo logico e l'algebra della logica.
1884 Pubblica Die Grundlagen der Arz'thmetik (I fondamenti del-
l'aritmetica) che non ottiene maggiore successo dell'Ideogra-
fia, tanto è vero che persino matematici come Cantor e De-

119
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dekind, impegnati in analoghe ricerche sulla possibilità di
definire rigorosamente la nozione di numero naturale, mo-
strano scarsa conoscenza ed insufficiente comprensione di
quest'opera.
1885-1886 Pubblica una recensione del libro di Cohen sulla "filo-
sofia" e la storia del calcolo infinitesimale, ed un articolo in
cui vengono rinnovate le critiche, già presenti nei Fonda-
menti, all'aritmetica formalista, Ober formale Theorie der
Arithmetik (Sulle teorie formaliste dell'aritmetica).
1891-1893 Pubblica i fondamentali articoli Funktion und Begriff
(Funzione e concetto), Ober die Triigheitsgesetz (Sul principio
di inerzia), Ober Sinn und Bedeutung (Senso e riferimento) e
Ober Begrif/ und Gegenstand (Concetto e oggetto), in cui espo-
ne la sua ."filosofia del linguaggio"; pubblica inoltre una re-
censione al lavoro di Cantor Zur Lehre von Trans/initen, dove
critica l'introduzione cantoriana degli insiemi come semplici
aggregati, e non come estensioni di concetti definiti in manie-
ra logicamente rigorosa.
1893 Pubblica il primo volume dei Grundgesetze der Arithmetik
(1 principi dell'aritmetica), in cui da un lato sviluppa e perfe-
ziona il sistema di logica già esposto nell'Ideografia, dall'al-
tro espone in maniera rigorosamente formale la fondazione
del concetto di numero naturale contenuta nei Fondamenti.
1894 Recensione del libro di Husserl Philosophie der Arithmetik,
in cui Frege critica violentemente lo psicologismo del primo
Husserl: le critiche di Frege saranno uno dei principali moti-
vi della conversione dello stesso Husserl all'antipsicologi-
smo, del quale anzi diverrà strenuo e prolisso campione (cfr.
le oltre 200 pagine dei Prolegomeni ad una logica pura, che
costituiscono l'introduzione alle sue Ricerche Logiche).
1896 Viene nominato professore ordinario onorario (penultimo
grado della gerarchia accademica tedesca). ·
1893-1899 Rapporti epistolari con Peano, uno dei pochi che, no-
nostante l'impostazione di fondo radicalmente diversa, di-
mostra di saper apprezzare il lavoro di Frege. In questi anni
Frege lavora alla preparazione del secondo volume dei Prin-
cipi, dedicato alla teoria dei numeri reali.
1899-1906 Polemizza con la concezione della matematica risul-
tante dai lavori di Hilbert sui fondamenti della geometria:
scambio epistolare con Hilbert e proposta, da parte di Fre-
ge, di pubblicare il loro carteggio; rifiuto di Hilbert. Frege
pubblica allora, rispettivamente nel 1903 e nel 1906, due se-
rie di articoli, entrambe intitolate Uber die Grundlagen der

120
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Geometrie (Sui/ondamenti della geometria), in cui riprende i
temi della polemica con Hilbert e discute gli scritti in mate-
ria di Korselt, un sostenitore delle tesi hilbertiane.
1902 Inizio dello scambio epistolare con Jourdain (fondatore del-
la rivista «The Monist») e, soprattutto, con Russell: il 16 giu-
gno 1902 quest'ultimo comunica a Frege la scoperta del suo
celebre paradosso. Lo scambio epistolare con Russell conti-
nua per diversi anni: di particolare interesse le lettere scritte
tra il 1902 ed il 1904, in cui i due filosofi discutono, tra l'al-
tro, sulla possibilità di eliminare il paradosso e sulle obiezio-
ni russelliane alle tesi contenute in Senso e riferimento.
1903 Pubblica il secondo volume dei Principi, dove, alla fine, dà
notizia del paradosso di Russell e del suo tentativo (che si ri-
velerà purtroppo del tutto insufficiente) di risolverlo. La pri-
ma parte del volume contiene una polemica (dal tono talvol-
ta piuttosto astioso) contro le concezioni rivali di "numero
reale", in particolare quelle di Cantor, Dedekind, Weier-
strass e dei matematici formalisti.
1906-1908 Riprende, in tono sempre più astioso, la polemica con-
tro l'aritmetica formalista di Thomae: nel 1906 pubblica
Antwort au/ die Ferienplauderei des He"n Thomae (Risposta
alla "chiacchierata" del signor Thomae) e nel 1908 Die Unmo-
glichkeit der Thomaeschen /ormalen Arithmetik au/s Neue
nachgewiesen (L'impossibilità dell'aritmetica formalista di
Thomae dimostrata di nuovo).
1908-1918 In questi anni Frege non pubblica praticamente nulla.
In seguito alla scoperta dei paradossi va lentamente convin-
cendosi dell'impossibilità di un logicismo rigoroso, ma non
per questo viene meno il suo interesse per la logica: di que-
sto periodo ci restano infatti brevi scritti inediti che appunto
appaiono come abbozzi di un'opera sulla logica. Alle sue le-
zioni assiste Carnap; contatti con il giovane Wittgenstein.
1917 Chiede di essere messo a riposo e ritorna nella città natale.
1918 Frege diventa professore emerito.
1918-1925 Pubblica le Logische Untersuchungen (Ricerche logi-
che) su temi generali di filosofia della logica.
1925 Il 26 luglio 1925 muore a Bad Kleinen (località a sud di Wi-
smar), lasciando i suoi inediti al figlio adottivo Alfred; viene
seppellito nel cimitero di Wismar.

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STORIA DELLA CRITICA

Durante la sua vita Frege non ebbe la soddisfazione di ve-


der riconosciuta l'importanza del suo lavoro scientifico. Sen-
za dubbio Peano e Russell non gli fecero mancare attestati di
stima, e Wittgenstein scrisse, nella prefazione del Tractatus,
" ... io devo alle grandiose opere di F rege ed ai lavori del mio
amico Bertrand Russell gran parte dello stimolo ai miei pen-
sieri"; tuttavia il giudizio della grande maggioranza del mon-
do filosofico e scientifico doveva essere quello ricordato ne-
gli anni '30 da Husserl, e cioè che Frege era un tipo sagace,
ma poco fecondo sia come matematico che come filosofo.
A partire dagli anni '30 le cose cominciarono a cambiare.
Da un lato la logica matematica, o simbolica, si era ormai af-
fermata come disciplina autonoma, di grande importanza
scientifica e filosofica, ed aveva ormai quasi ovunque sop-
piantato la tradizionale logica "aristotelica"; dall'altro l' ope-
ra più strettamente logica di Frege, ossia l'Ideografia, appari-
va come il primo e decisivo passo in questo cambiamento di
paradigma concettuale. Il logico e storico della logica Scholz
dichiarava nel 1934: "Il 1879 è un anno storico, della massi-
ma importanza per l'economia della logica occidentale; poi-
ché è l'anno in cui apparve l'Ideografia di Frege e quindi
l'anno di nascita dell'esatto calcolo delle proposizioni e di
un calcolo dei predicati che su di esso si fonda ... "; e questa
idea rimase sostanzialmente alla base delle valutazioni nelle
successive storie della logica di Bochenski [1956] e dei co-
niugi Kneale [1962]. Questo giudizio rappresenta forse
un'ipersemplificazione, che, da un lato, sottovaluta il ruolo
dell'algebra della logica (si pensi alla parallela scoperta dei
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quantificatori da parte di Peirce - cfr. cap. I, 8); dall'altro
non tiene conto dei diversi aspetti, su cui hanno insistito al-
cuni autori recenti, tra cui, in particolare, Baker - Hacker
[1984] e Tichy [1988], per cui l'opera di Frege appare lonta-
na da noi. Frege, infatti, credeva nell'esistenza di una sola lo-
gica - esattamente come credeva in quella di una sola
geometria - perché non è possibile che esistano leggi del
pensiero valide e, nello stesso tempo, mutualmente incom-
patibili; inoltre gli mancava una netta distinzione tra aspetto
sintattico ed aspetto semantico di una teoria, e, di conse-
guenza, la possibilità di impostare questioni metateoriche
come quella della completezza (a differenza del suo "rivale"
Hilbert - cfr. cap. II, 9). Tuttavia il giudizio di Scholz ap-
pare sostanzialmente esatto: anche se altrove se ne possono
trovare delle anticipazioni, la nostra logica del primo ordine
è sostanzialmente, almeno per quanto concerne la sintassi,
quella dell'Ideografia.
Il difetto di questa valutazione dell'opera di Frege era piut-
tosto un altro, e cioè che tendeva a limitarne l'importanza al
solo ambito strettamente logico-matematico 1• Tuttavia lo svi-
luppo della semantica formale, soprattutto ad opera di Car-
nap e Church (cfr. in particolare Carnap [1947] e Church
[1951]), portò ad una ripresa d'interesse anche nei confronti
della filosofia del linguaggio freghiana, in particolare dell'ab-
bozzo di teoria contenuta in Senso e riferimento: sia "il meto-
do dell'intensione e dell'estensione" di Carnap, sia "la logica
del senso e della denotazione" di Church si presentavano
esplicitamente (soprattutto la seconda) come sviluppi dell'im-
postazione freghiana. Naturalmente il contributo propriamen-
te esegetico di questi autori risultava piuttosto modesto; e lo
stesso si può dire per molti altri filosofi della tradizione anali-
tica che si sono trovati a fare i conti con Frege (ad esempio
Quine nella sua demolizione del paradigma carnapiano - e
quindi, almeno in parte, anche freghiano - culminata con
Parola e oggetto). A loro, infatti, interessava pressoché esclusi-

1 Il che non toglie che lo stesso Scholz avesse intrapreso, prima della se-

conda guerra mondiale, i lavori preparatori per la pubblicazione degli ine-


diti freghiani e dell'epistolario scientifico.

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vamente confrontare le teorie freghiane con le proprie, per ri-
levarne i punti di contatto e quelli di dissenso, e si davano così
poco pensiero dell'accuratezza storica e dell'effettiva articola-
zione delle tesi in questione: l'essenziale era costruire, con ele-
menti freghiani, un paradigma che potesse servire come stru-
mento di confronto. In altre parole, quanto dicono di Frege
questi logici e filosofi risulta, nella maggioranza dei casi, mol-
to più utile per comprendere le loro teorie piuttosto che quel-
le dello stesso Frege, anche se, naturalmente, è spesso possibi-
le ricavare dai loro scritti nuovi punti di vista da cui ripensare
seriamente l'opera di questo autore.
In ogni caso l'interesse teorico per la "semantica" freghia-
na portò ad una parallela fioritura di lavori di tipo più stret-
tamente esegetico, caratterizzati tuttavia, almeno nella mag-
gior parte dei casi, da una non sempre adeguata conoscenza
dei testi freghiani e da una tendenza ad interpretare Frege
alla luce degli sviluppi successivi. La colpa di ciò non deve
però essere totalmente ascritta agli interpreti, dal momento
che i numerosi scritti inediti di Frege furono pubblicati solo
nel 1969 e l'importante epistolario scientifico nel 1976 - ed
entrambi risultano fondamentali per la precisazione di molte
tesi freghiane 2 • Così, tanto per fare un esempio particolar-
mente significativo, Marshall [1953) e Grossmann [1961),
evidentemente influenzati dalla tendenza, presente in Car-
nap e Church, di spostare i concetti dall'ambito del riferi-
mento a quello del senso, negano che Frege abbia applicato
la distinzione tra senso e riferimento anche ai predicati,
mentre, come abbiamo visto, l'epistolario e gli scritti inediti
non lasciano dubbi sul fatto che questa distinzione si appli-
casse ad ogni categoria di espressioni 3 .
La monumentale opera di Dummett - soprattutto i due
volumi sulla filosofia del linguaggio, [1973) e [1981) 4 -

2 Per la storia della pubblicazione degli inediti freghiani cfr. Veraart


[1976] ed anche le introduzioni dei curatori a [33] e [34] nella sezione I
della Bibliografia.
'Le antologie Klemke [1968] e Schirn [1976] forniscono un pano-
rama abbastanza completo della critica freghiana precedente i lavori di
Dummett.
• Oltre a questi volumi Dummett ha dedicato a Frege diversi articoli ed

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costituisce senza dubbio il punto di svolta negli studi dedi-
cati a Frege (insieme alla pubblicazione, tra il 1969 e il
1976, degli inediti e dell'epistolario, che Dummett è uno tra
i primi a utilizzare estesamente e sistematicamente). Ben
lungi dal limitare l'importanza dell'opera di Frege ad un
ambito strettamente logico (o anche all'aver in qualche mi-
sura anticipato le successive e più sviluppate semantiche
formali), Dummett attribuisce alla sua filosofia un'impor-
tanza addirittura epocale. La filosofia moderna era nata in-
fatti dalla "svolta epistemologica" cartesiana, ossia dall'aver
posto, per la prima volta, come problemi fondamentali della
filosofia, la cui soluzione condiziona quella di tutti gli altri,
le questioni: "Che cosa conosciamo?" e "Come si giustifica
la nostra conoscenza?". In ambito empirista queste que-
stioni verranno poi distorte in senso descrittivo: per rispon-
dere alle precedenti domande sarà necessario spiegare in
che modo si forma la nostra conoscenza. Ora Frege, secon-
do Dummett, è all'origine di una seconda svolta che in
qualche misura annulla la precedente: il problema fon-
damentale della filosofia non è più quello della conoscenza,
ma quello del significato, perché una spiegazione filosofica
del pensiero può essere raggiunta soltanto attraverso una
spiegazione filosofica dei meccanismi attraverso cui si costi-
tuisce il significato linguistico. La teoria del significato non
dipende da altre parti della filosofia, mentre la soluzione di
qualsiasi problema filosofico dipende dal possesso di una
teoria del significato adeguata, come risulta chiaro dalla
stessa definizione freghiana di numero naturale: per poter
risolvere la questione filosofica di che cosa sono i numeri
naturali, infatti, è innanzi tutto necessario sapere qual è il si-
gnificato degli enunciati in cui compaiono i termini numeri-
ci, e per sapere ciò bisogna sapere, in generale, cos'è il si-
gnificato di un enunciato. Per Dummett, dunque, la rivolu-
zione freghiana è, in larga misura, legata all'adozione si-
stematica del Principio del Contesto: si capisce perciò che
quanto appare in contrasto con quest'ultimo (ad esempio il

un libro sulla sua filosofia della matematica (Dummett [ 1991]); inoltre lo


stesso Dummett [1988] è dedicato per buona parte a Frege.

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trattamento degli enunciati come "nomi propri" dei valori
di verità) costituisca un irreparabile disastro 5 • Nonostante
la presenza di questo aspetto "disastroso" (e di altri ugual-
mente inaccettabili, come la reificazione dei sensi), le opere
della maturità, ed in particolare Senso e riferimento, conten-
gono idee fondamentali per ogni adeguata teoria del signifi-
cato, soprattutto la distinzione tra senso e riferimento. Que-
sta distinzione, infatti, veicola l'idea, cara a Dummett, che
(contrariamente a quanto pensa Davidson) parte integrante
di una teoria del significato sia una teoria della comprensio-
ne del significato, e che una teoria del significato non può
in alcun modo ridursi ad una teoria del riferimento non me-
diato (conie, almeno per alcune importanti categorie di
espressioni, nelle teorie di Kripke, Putnam, Donnellan, tan-
to per fare qualche nome).
Anche Dummett, dunque, interpreta Frege alla luce dei
successivi sviluppi della filosofia, in particolare della filosofia
analitica (che in [1988] dichiara appunto contraddistinta dal
"convincimento che in primo luogo una spiegazione filosofi-
ca del pensiero possa essere conseguita attraverso una spie-
gazione filosofica del linguaggio, e che ... possa essere conse-
guita solo in questo modo"); tuttavia, a differenza degli altri
filosofi di stampo analitico ricordati in precedenza, si impe-

' A differenza di quanto abbiamo fatto nelle pagine precedenti, Dum-


mett distingue il Principio del Contesto propriamente detto (che viene for-
mulato e utilizzato nei Fondamenti) da quello che chiama Principio di
Estrazione di Funzioni, già all'opera nell'Ideografia. Mentre quest'ultimo ri-
mane esplicitamente ali' opera anche nei Principi, del primo non se ne trova
più esplicita menzione, anche se Dummett ritiene che abbia continuato ad
essere "una guida al suo pensiero". Più precisamente, nei Principi Frege ri-
solve il problema di Giulio Cesare identificando i valori di verità con parti-
colari decorsi di valori (cfr. cap. III, 7), ma tale identificazione è una solu-
zione ammissibile solo se è possibile determinare il valore di ogni funzione
applicata ai decorsi di valori; generalizzando - si pensi al ruolo delle
espressioni funzionali nella costruzione sia dei termini singolari che degli
enunciati - possiamo dire che il riferimento di un termine è stabilito se e
solo se viene stabilito quello di tutte le espressioni in cui compare. Dum-
mett chiama quest'ultimo Principio del Contesto Generalizzato, ma lo con-
sidera un passo indietro rispetto al Principio del Contesto formulato nei
Fondamenti perché viene meno la primarietà degli enunciati rispetto agli
altri tipi di espressioni.

127
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gna in una vasta, fin troppo minuziosa (e spesso complicata
dalla contemporanea discussione di punti di vista rivali), ma
spesso convincente esegesi dei testi freghiani 6 • Il sospetto di
un'eccessiva attualizzazione, che talvolta ci sfiora leggendo i
lavori di Dummett, dipende perciò non tanto dall'ana-
cronistica attribuzione a Frege di teorie elaborate in epoca
successiva (colpa di cui Dummett può essere in larghissima
misura considerato innocente) quanto dall'aver troppo ac-
centuato l'importanza di elementi indubbiamente presenti
nell'opera freghiana, ma forse non in posizione così centrale
come vuole Dummett, e dall'aver troppo nettamente separa-
to gli elementi ritenuti validi da quelli ritenuti superati (ad
esempio l'esistenza di un "terzo regno" dei pensieri).
L'aver considerato quella compiuta da Frege una svolta
epocale porta naturalmente Dummett a ritenere pressoché
nulli i debiti di Frege nei confronti dei suoi predecessori, e fa-
tica sprecata la ricerca delle fonti del suo pensiero: questo
non significa, ovviamente, che Frege non avesse presenti le
opere di Leibniz, Kant e altri filosofi e matematici (molte del-
le quali egli discute nei Fondamenti dell'aritmetica), ma solo
che poco o nulla di tutto ciò è passato nella filosofia freghia-
na. Una simile posizione si pone in netto contrasto con prece-
denti tentativi (dei quali il più completo e maggiormente so-
stenuto da conoscenze storiche è quello di Angelelli [1967])
di trovare antecedenti delle tesi freghiane nella lunga tradizio-
ne "razionalista" del pensiero occidentale, a partire dalla logi-
ca e metafisica antiche e medioevali per arrivare fino a Leib-
niz e Kant 7: dal punto di vista di Dummett, infatti, la presen-
za di simili pretese anticipazioni non è altro che una con-
gruenza puramente verbale, priva di significato profondo.
' In realtà è questa la parte più interessante del lavoro di Dummett, e
quella che ha dato l'impulso alla rigogliosa fioritura delle interpretazioni
successive. Purtroppo però, per evidenti limiti di spazio, non è qui possibile
seguire Dummett nelle sue intricate discussioni.
7 Non bisogna confondere queste ricerche storiche con le ricostruzioni

ideali, come quella di Geach [1972], il quale interpreta l'intera storia della
logica come una progressiva "caduta" da un primitivo stato di (quasi) inno-
cenza, in cui era netta la distinzione tra nome e verbo, caduta fortunata-
mente seguita dalla "redenzione" rappresentata appunto dall'opera di Fre-
ge Oa metafora biblica è dello stesso Geach).

128
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Nella copiosa letteratura successiva al 1973 questo aspetto
della posizione di Dummett è stato violentemente criticato
soprattutto da Sluga [1980], il quale accusa lui - e, in gene-
re, l'intera filosofia analitica - di assoluta mancanza di sen-
so storico, e di aver eccessivamente attualizzato Frege. Al
contrario Sluga cerca di dimostrare che l'opera di Frege,
lungi dall'essere priva di debiti nei confronti dei suoi prede-
cessori e dal costituire la svolta epocale di cui parla Dum-
mett, deve molto non solo al progetto leibniziano di una
mathesis universalis 8 , ma anche al criticismo kantiano (un
accostamento, detto tra parentesi, che troviamo già sviluppa-
to in Trinchero [1967] - cfr. anche Gabriel [1986]). Innan-
zi tutto Sluga sottolinea che, contrariamente a quanto asseri-
to da Dummett, non è vero che Frege abbia reagito contro
l'idealismo di matrice hegeliana predominante nell'ambiente
culturale tedesco, dal momento che, già da parecchi anni,
l'influenza hegeliana in ambiente tedesco era praticamente
nulla; al contrario si riscontrava una prevalenza di teorie di
tipo materialistico ed empiristico, e la filosofia di Frege può,
più verosimilmente, essere intesa nel quadro della reazione a
questo tipo di teorie. Fin qui Sluga ha sostanzialmente ra-
gione, e lo stesso Dummett lo riconosce, ammettendo il suo
errore. Ma egli va ben oltre, e ritiene che Frege debba essere
accostato, e non in maniera marginale, alla rinascita kantiana
(della quale in effetti è contemporaneo) e alla sua polemica
contro lo scientismo materialista; secondo Sluga, infatti, nel-
la filosofia di Frege si possono evidenziare molti tratti ricon-
ducibili a Kant (spesso attraverso la mediazione della Logica
di Lotze). In particolare: la primarietà del giudizio rispetto al
concetto e la nozione di oggettivo come valido universal-
mente e necessariamente (cfr. cap. II, 2); e Sluga si sforza an-
che di dimostrare come il supposto realismo di Frege debba

8 Il che, alla luce di quanto dichiarato ripetutamente dallo stesso Frege,

appare abbastanza owio, almeno se ci si riferisce al progetto, non alla sua


frammentaria (e "algebrica", non dimentichiamolo) realizzazione da parte
di Leibniz. Comunque Sluga ha ragione nel mettere Leibniz tra i predeces-
sori ideali di F rege; va però sottolineato che il non avere evidenziato le no-
tevoli differenze tra Leibniz e Kant sulla funzione della logica porta Sluga a
soprawalutare l'influenza kantiana su Frege.

129
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essere reinterpretato ricorrendo a questa nozione kantiana di
oggettività. Ora, la presenza di un linguaggio kantiano (so-
prattutto nei Fondamenti) è innegabile: tuttavia resta da sta-
bilire se si tratta, prevalentemente, di semplici riprese termi-
nologiche, dovute alla Kant-renaissance caratteristica del pe-
riodo storico, oppure di effettive affinità concettuali. Sluga,
però, non sembra porsi nemmeno il problema: per lui la pre-
senza di asserzioni che suonano abbastanza simili è suffi-
ciente per stabilire un rapporto di derivazione concettuale,
senza tenere conto delle profonde diversità intercorrenti tra
l'impresa kantiana e il programma freghiano (a cominciare
dal ruolo della logica formale e dall'assenza in Frege di una
qualsiasi idea di una logica trascendentale distinta da quella
formale) 9 •
Sluga [ 1980] - e gli articoli dello stesso autore che lo
precedono - costituiscono un tentativo di confutazione dei
fondamenti stessi dell'interpretazione di Dummett; ma an-
che la maggior parte delle opere su Frege apparse dopo il
1973 si trovano costrette a fare i conti con questa "epocale"
interpretazione (per quanto il dissenso, di solito, non appaia
così radicale come nel caso di Sluga). Tali opere si possono
dividere, molto approssimativamente, in due tipi predo-
minanti.
Il primo è quello dei lavori che discutono dettagliatamen-
te singoli punti della filosofia di Frege, e che si rifanno quasi
sempre, per confermarle, smentirle o correggerle più o meno
ampiamente, alle analisi dummettiane: descrivere in poche
pagine tutte queste discussioni è praticamente impossibile,

' A mio avviso appare più interessante il confronto tra le tesi di Frege ed
alcuni risultati della logica e della metafisica antica e medioevale, ovviamen-
te a livello di ricostruzione ideale, non storica in senso stretto (un'influenza
diretta su Frege può essere tranquillamente esclusa). Infatti, anche se la me-
tafisica antica non può essere ridotta - come talvolta si tende a fare
nell'ambito della filosofia analitica - ad una filosofia del linguaggio ignara
di se stessa, è indubbio che considerazioni su ciò che è necessario postulare
per giustificare la significatività del linguaggio costituissero spesso il filo
conduttore per determinare la struttura ontologica della realtà: ne consegue
che nella metafisica e nella logica antica e medioevale si possono trovare
frammenti di teorie che appaiono idealmente confrontabili con quelli di
Frege.

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per apprezzare i diversi punti di vista sarebbe infatti neces-
sario ritornare sulla maggior parte delle questioni già esposte
nei capitoli precedenti e sviscerarle nei minimi dettagli, dato
che le varie posizioni, per quanto accanitamente difese, spes-
so non differiscono che per sfumature. Anche se in parecchi
casi si tratta di interpretazioni di secondo grado (cioè in-
terpretazioni delle interpretazioni) 10 , questi lavori sono spes-
so molto interessanti e contribuiscono alla comprensione di
molti punti del pensiero freghiano; tuttavia, a differenza di
quelli di Dummett e di Sluga, non ne costituiscono un'inter-
pretazione complessiva.
Il secondo tipo raggruppa gli esponenti del, per così dire,
"revisionismo freghiano", ossia quegli autori che ritengono
che la filosofia di Frege contenga tesi ed intuizioni molto
profonde e tuttora valide, mescolate però con errori più o
meno gravi; e che cercano, di conseguenza, di costruire delle
teorie di stampo freghiano in cui questi errori vengano elimi-
nati. L'idea di una sostanziale validità ed attualità della filo-
sofia freghiana deriva senza dubbio, almeno in larga misura,
dai lavori di Dummett, come pure l'idea di distinguere al
suo interno ciò che è vivo e ciò che è morto; ma, a differenza
di Dummett, i "revisionisti" cercano di costruire teorie "fre-
ghiane" che inglobino quanto di buono ritengono d'aver rin-
venuto scavando nelle opere di Frege.
Un paio di esempi saranno utili per chiarire di cosa si trat-
ta. Uno è Bell [1979], dedicato alla teoria del giudizio di
Frege, dove, tra le molte altre, viene ripresa la questione del
riferimento dei termini concettuali: Beli infatti, non potendo
più seguire Grossmann e Marshall nel negare che la tesi se-
condo cui i concetti costituiscono il riferimento di siffatti

10 Talvolta chi scrive libri su Frege ha il curioso vezzo di lamentare che

libri su Frege se ne scrivono troppi (cfr. ad esempio Kutschera [1989], ed


anche lo stesso Dummett): il senso di disagio, tuttavia, è giustificato, non
tanto dalla quantità dei lavori quanto piuttosto dal fatto che a forza di inter-
pretare le interpretazioni si perde di vista l'originale. Quello di Frege non è
però un caso isolato, soprattutto nella letteratura in lingua inglese: basta
pensare alla quantità di pubblicazioni dedicate, almeno in parte, a spiegare
qual è il vero significato dell'interpretazione del "Terzo Uomo" aristotelico
che Owen ha proposto una trentina di anni fa.

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termini sia autenticamente freghiana, cerca invece di dimo-
strarne l'insostenibilità teorica. Il suo argomento (che è piut-
tosto complesso e che viene ripreso in diverse parti del libro)
è, in parte, il seguente:
(i) supporre che le espressioni appartenenti ad una data
categoria abbiano riferimento è significativo solo se è
possibile stabilire quando una tale espressione ha senso,
ma non riferimento;
(ii) nel caso dei termini concettuali quest'ultima circostanza
potrebbe verificarsi solo in due casi, se il termine in
questione (a) non è definito per alcuni possibili argo-
menti 11 , (b) contiene un termine individuale privo di ri-
ferimento;
(iii) ma, nel caso (a) l'enunciato in cui il termine compare
con uno degli argomenti per cui non è definito non ha
neppure un senso ("Aristotele è un numero primo" è
per Bell privo di senso); nel caso (b) l'enunciato in cui
compare un termine concettuale contenente un nome
proprio privo di riferimento può avere un valore di ve-
rità ("Aristotele non è un fratello di Ulisse" è per Bell
vero);
(iv) ne consegue - per (iii) e (ii) - che non si dà mai il ca-
so che un termine concettuale abbia senso ma non rife-
rimento, e quindi - per (i) - non è significativo
distinguere tra senso e riferimento dei termini concet-
tuali.
(v) Se le cose stanno così, la nozione di senso come modo
in cui è dato il riferimento non può essere corretta -
Bell conclude alla necessità di utilizzare una nozione in
qualche modo wittgensteiniana (del secondo Wittgen-
stein) di senso.

11 Questo può sembrare strano. Bell, tuttavia, ritiene che una componen-

te della nozione di riferimento sia la proprietà che un'espressione deve pos-


sedere perché gli enunciati in cui essa compare siano valutabili: quindi, se
un termine concettuale non è totalmente definito alcuni enunciati in cui
compare non sono valutabili e quindi il termine in questione non ha riferi-
mento.

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È inutile sottolineare quanto poco di "autentico Frege"
contenga questa argomentazione: se mi sono così dilungato
non è tanto per il suo interesse intrinseco, ma, piuttosto,
perché essa costituisce un esempio abbastanza illuminante
della tendenza a costruire teorie "freghiane" sottoponendo
quanto asserito da Frege ad un esame che ne saggi la vali-
dità, eliminando poi ciò che non supera l'esame e integrando
il rimanente con tesi a giudizio dell'autore più sostenibili.
Esiste una profonda differenza tra le teorie di quest'ultimo
tipo e quelle, ad esempio, di Carnap e Church: quest'ultime,
infatti, non pretendevano di essere delle interpretazioni di
Frege, ma si limitavano ad utilizzare quanto di convincente
trovavano nella sua filosofia; né, soprattutto, avevano la pre-
tesa di costruire quella teoria che avrebbe potuto e dovuto
formulare Frege, se solo ci avesse pensato meglio.
Questo carattere ibrido rende abbastanza difficile valuta-
re lavori di questo tipo: in molti casi il loro valore esegetico
risulta molto modesto (come in Tichy [1988] -vedi sotto) a
causa di un troppo massiccio rifiuto di tesi chiave della filo-
sofia freghiana; in altri (come in Wright [1983] - vedi sot-
to) si riscontra una maggiore aderenza alla problematica ed
alle tesi di fondo freghiane, ed allora il tentativo di ripensare
Frege può tradursi in un approfondimento interpretativo -
nel caso di Wright, come vedremo, soprattutto in relazione
al Principio del Contesto.
Un esempio ancora più spinto - rispetto a Bell - di
"revisionismo" è costituito, appunto, da Tichy [1988]. Il suo
punto di partenza è che il vero soggetto dell'aritmetica sono
le costruzioni aritmetiche e non i numeri o le funzioni (inte-
se in senso insiemistico, o come decorsi di valori freghiani):
ad esempio un termine come "(2.2)-3" dovrebbe essere il
nome non di un numero, ma della costruzione, o meglio, in
questo caso, del calcolo consistente nel moltiplicare 2 per se
stesso e nel sottrarre poi 3. Secondo Tichy, nella logica di
Frege sono compresenti entrambi i punti di vista: da un lato,
infatti, il riferimento di un termine come "(2.2)-3" è il nu-
mero 1; dall'altro Frege distingue tra funzioni e decorsi di
valori. Non solo, ma il Principio di Composizionalità mostra
una tensione irrisolta tra l'intendere il riferimento come una
133
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cosa o come una costruzione: infatti, per quanto il riferimen-
to di un termine sia determinato da quello delle sue parti, il
riferimento delle parti non è elemento costitutivo del riferi-
mento dell'intero (la Svezia non è infatti parte di ciò cui si ri-
ferisce "la capitale della Svezia", ossia Stoccolma). Tichy al-
lora intraprende una complessa ricostruzione di una logica
ispirata a quella di Frege, nella quale però i riferimenti sono
costituiti esclusivamente da costruzioni, e che evita il para-
dosso di Russell ricorrendo ad una versione analogamente
"costruttivista" della teoria dei tipi ramificata dello stesso
Russell.
Pur cedendo spesso alla tentazione di correggerne gli er-
rori 12 , gli interpreti professano in genere una grande ammi-
razione per Frege, ma, naturalmente, non potevano mancare
le stroncature: Baker - Hacker [1984] riempie la lacuna.
Questi autori sostengono infatti una duplice tesi: (A) che,
contrariamente a quanto pensa Dummett (ma non solo lui),
l'opera di Frege non ha nessuna vera affinità né profondi le-
gami con le opere dei logici e dei filosofi venuti dopo di lui;
(B) che, in ogni caso, giudicata per sé, la filosofia di Frege è
irrimediabilmente confusa e incoerente (ossia le difficoltà
che, come ogni filosofia, contiene sono così gravi e fonda-
mentali da rendere l'opera di Frege quasi totalmente priva di
valore). Per giustificare (A) gli autori attaccano alcuni dei
punti di forza dell'interpretazione di Dummett, ad esempio:
che la "semantica" di Frege possa essere considerata una
fondazione della semantica logica nel senso della teoria "tar-
skiana" dei modelli; che, in ogni caso, questa semantica pos-
sa avere un qualsiasi valore in quanto basata sull'indebita
estensione della relazione "nome-portatore del nome" dal-
l'ambito dei termini individuali a quello dei termini concet-

12 "Cedere alla tentazione" non è l'espressione esatta, dal momento che

la maggior parte degli interpreti non considera questo un peccato, anzi ri-
tiene che l'unico modo fruttuoso di accostarsi ai filosofi del passato sia, per
usare le parole di W right, prendere sul serio le questioni che loro hanno
preso sul serio ed argomentare a favore o contro i punti di vista che loro
hanno adottato. È ad asserzioni come queste che Sluga pensava quando
parlava della costituzionale incapacità di lavoro storico che caratterizza i fi-
losofi di tradizione analitica.

134
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tuali. Inoltre sostengono che la stessa logica di Frege, presso-
ché universalmente riconosciuta come un enorme progresso,
non è, in fin dei conti, di grande valore perché esistono di-
versi (almeno sei) aspetti del linguaggio naturale che sono lo-
gicamente rilevanti, ma che l'Ideografia freghiana non riesce
a cogliere. D'altra parte la giustificazione della tesi (B) riposa
principalmente sulle difficoltà della teoria freghiana dei sen-
si. Tra le conseguenze più bizzarre di questa teoria ci sareb-
be, secondo gli autori, niente di meno che la determinabilità
a priori dell'estensione dei concetti: infatti se i concetti sono
funzioni e afferrare il senso di un termine concettuale signifi-
ca possedere una ricetta per calcolare la funzione corrispon-
dente, e se afferrare un senso è una questione che non ri-
guarda il modo in cui stanno le cose, afferrare il senso di un
termine concettuale significa allora essere in grado di de-
terminare a priori l'estensione del concetto. Quest'ultima ar-
gomentazione mostra chiaramente il carattere sofistico di
buona parte delle critiche di Baker e Hacker ("possedere
una ricetta per determinare" non significa "essere in grado
di determinare a priori"); per quel che riguarda la tesi (A) è
sufficiente osservare che molto in essa dipende dal non aver
compreso che il riferimento costituisce il principale valore
semantico in quanto è il contributo di un'espressione alla
determinazione del valore di verità degli enunciati in cui essa
occorre (per determinare le condizioni di verità di un enun-
ciato è senza dubbio necessario afferrare il pensiero che esso
esprime, ma solo perché è attraverso i sensi che ci sono dati i
riferimenti) 13 •
Più interessanti sono le critiche al paradigma freghiano
di chi, al contrario di Baker e Hacker, ritiene che l'influen-
za di Frege sulla semantica moderna sia stata anche troppo
forte e che l'abbia spinta sulla cattiva strada. Facciamo al-

13 Tuttavia le osservazioni di questi autori non vanno totalmente disatte-

se: per molti aspetti, infatti, le nostre concezioni correnti sono effettivamen-
te agli antipodi di quelle freghiane (basta pensare al "principio di tolleran-
za" camapiano, oppure al carattere ipotetico-deduttivo delle moderne teo-
rie matematiche, senza dubbio più hilbertiano che freghiano), e questo lo
stereotipo di Frege come "padre della logica moderna" tende a farlo passa-
re un po' in secondo piano.

135
Mauritius_in_libris
cuni esempi significativi. La cosiddetta "Nuova Teoria del
Riferimento" (i cui esponenti più importanti sono Kripke,
Putnam - in una delle molte fasi del suo pensiero - e
Donnellan) ha messo in discussione uno dei capisaldi della
semantica freghiana, ossia la necessità del senso come tra-
mite per la determinazione del riferimento: la tesi kripkiana
del riferimento diretto dei nomi propri, dei termini-massa
(come acqua) e dei termini generici, e quella putnamiana
dell'irrilevanza dello stato cognitivo del parlante per la de-
terminazione del riferimento delle espressioni, mettono ap-
punto in discussione questo ruolo del senso 14 • Inutile dire
che il confronto tra la "Nuova Teoria del Riferimento" e
quella "freghiana", nonché la valutazione dei loro rispettivi
meriti e demeriti, sono stati oggetto di un'infinità di discus-
sioni, di cui è impossibile, in questa sede, dare un resocon-
to anche solo sommario.
Critiche più radicali (e più recenti} al paradigma freghia-
no sono venute da parte di chi, pur riconoscendone l'ecce-
zionale valore storico, ritiene che l'intero progetto semanti-
co di Frege (e non solo una sua parte) sia fondamentalmen-
te sbagliato. Si tratta, in generale, di filosofi e linguisti che
ritengono la semantica "modellistica" di ispirazione tar-
skiana o kripkiana (semantica dei mondi possibili) inade-
guata in relazione al linguaggio naturale, e che, d'altra par-
te, concordano sostanzialmente con Dummett sul fatto che
l'ispirazione ultima di questo tipo di semantiche si trova in
Frege; essi propongono quindi di sostituirle con altre (tan-
to per fare alcuni esempi la game-theoretical semantics di
Hintikka e le varie forme di semantica cognitiva), nelle
quali la determinazione delle condizioni di verità e l' attri-
buzione composizionale di un valore semantico alle espres-
sioni non abbiano un ruolo così centrale. Ma è evidente
che, per lo più, il riferimento a Frege costituisce, per questi

14 Inutile dire che questi autori (come, del resto, i proponenti di una se-

mantica "freghiana" come Camap o Church) non si pongono il problema di


un'interpretazione fedele dell'opera freghiana: basti pensare che, nono-
stante le numerose divergenze tra la teoria dei termini singolari di Frege e
quella di Russell, Kripke [1972] ne fa un'unica teoria dei nomi propri e la
contrappone alla sua.

136
Mauritius_in_libris
autori, appena un pretesto per proporre le proprie teorie
(una parziale eccezione è rappresentata da Hintikka [1984]
e [1992]).
Finora ci siamo occupati pressoché esclusivamente delle
interpretazioni della filosofia del linguaggio di Frege. La ra-
gione è che questa parte dell'opera freghiana è quella che ha
suscitato le discussioni e le controversie di gran lunga più vi-
vaci. Infatti gran parte del suo lavoro strettamente logico
(sostanzialmente il calcolo dei predicati del primo ordine),
opportunamente sistematizzato e con qualche modifica, è
stato considerato (cfr. sopra) come il nucleo base della logica
matematica e, in quanto tale, mai posto seriamente in di-
scussione (se non in termini di contrapposizione con para-
digmi rivali, come, tanto per fare qualche esempio, la logica
intuizionista o la logica rilevante). Al contrario la filosofia
della matematica di Frege, il logicismo, è stata quasi univer-
salmente ritenuta datata e di interesse meramente storico (e,
come si è visto, non sono moltissimi gli interpreti che si sono
dedicati all'opera di Frege animati da un interesse puramen-
te storico), non solo perché intrinsecamente contraddittoria,
ma anche per la sua pretesa di mostrare una fondazione ex-
tra-matematica della matematica stessa 15 • Tra le pubblicazio-
ni più recenti, un'importante eccezione è costituita da
Wright [1983], un libro che rientra nel filone del "revisioni-
smo freghiano" (di cui dicevamo in precedenza), ed il cui
scopo è esplorare la possibilità di un logicismo che eviti le
difficoltà (in particolare il paradosso di Russell) di quello
originale freghiano 16 • La crux di quest'ultimo consiste infatti
nell'inadeguatezza delle definizioni contestuali a rendere la
nozione di numero naturale perfettamente determinata (il
problema di "Giulio Cesare" - cfr. cap. II, 6) e nella conse-

" Ciò non toglie che molti, pur condividendo questo giudizio sulla filo-
sofia della matematica di F rege, considerino I fondamenti del!'aritmetica
una delle più brillanti opere filosofiche di tutti i tempi, sia per la chiarezza e
la devastante forza della parte critica, sia per i principi metodici utilizzati
nell'analisi della nozione di numero naturale.
16 Un altro esponente (ma meno orientato di Wright verso una puntuale

esegesi dei testi freghiani) di una filosofia della matematica "neo-freghiana"


è D. Bostock (cfr. [1974] e [1979]).

137
Mauritius_in_libris
guente necessità di introdurre le estensioni dei concetti co-
me oggetti; da parte sua Wright si propone di dimostrare
che le definizioni contestuali possono essere adeguate, a pat-
to di intendere "numero naturale" come un concetto sortale.
Seguendo sostanzialmente Wiggins, Wright intende per con-
cetto sortale un concetto la cui comprensione richiede la ca-
pacità non solo di distinguere tra cose cui esso si applica e
cose cui non si applica, ma anche (e soprattutto) di sapere
che cosa significa per due oggetti che cadono sotto di esso
essere lo stesso oggetto. Ora, la definizione "humiana" di
Fond. § 63 (che il numero spettante al concetto F è identico
al numero spettante al concetto G se e solo se esiste una
corrispondenza biunivoca tra questi due concetti) rappre-
senta appunto il criterio d'identità che permette di conside-
rare il numero come un concetto sortale; ed il problema di
"Giulio Cesare" può essere risolto semplicemente osservan-
do che "persona" e "numero naturale" sono concetti sortali
distinti perché un criterio d'identità basato sulla corrispon-
denza biunivoca non è applicabile ad oggetti come le perso-
ne. Secondo Wright diventa allora possibile definire i nume-
ri naturali come numeri spettanti a determinati concetti, sen-
za essere costretti ad identificarli con estensioni; e realizzare
un programma logicista "moderato" consistente in una defi-
nizione su basi puramente logiche dei concetti aritmetici, ta-
le che le trascrizioni in questi termini degli assiomi del-
1'aritmetica risultano essere teoremi della logica. Questo non
significa che tutti i teoremi dell'aritmetica debbano possede-
re una trascrizione in termini puramente logici: infatti è pos-
sibile mostrare che la definizione contestuale dei numeri na-
turali proposta da Wright non permette una simile trascri-
zione di molte identità numeriche.
Al contrario di Wright, Resnik [1980] non mira ad una
versione riveduta e corretta del logicismo freghiano, piutto-
sto ad una riconsiderazione "attualizzata" della parte pole-
mica dei Fondamenti e della controversia tra Frege ed Hil-
bert sulle definizioni in matematica. Resnik concorda con la
stragrande maggioranza degli interpreti sul carattere deva-
stante delle obiezioni freghiane, ma osserva che le posizioni
criticate (lo psicologismo di Mili, il formalismo di Thomae e
138
Mauritius_in_libris
altri, il deduttivismo del primo Hilbert) sono state, nel corso
di questo secolo, riprese e modificate in maniera da sfuggire
alle più evidenti difficoltà messe in luce da Frege (si pensi,
tanto per fare un esempio, al formalismo di Curry). Tuttavia
Resnik ritiene che anche queste nuove versioni delle antiche
posizioni possano essere, in qualche modo, colpite da
considerazioni ancora riconducibili alle osservazioni freghia-
ne, e dedica perciò largo spazio ad una discussione "freghia-
na" di queste nuove versioni.

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BIBLIOGRAFIA

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I. OPERE PRINCIPALI DI fREGE

In questa sezione sono elencate le opere di Frege edite nel corso


della sua vita, nonché le principali raccolte dei suoi scritti edite in
seguito: tuttavia le tesi di dottorato e di abilitazione, i pochi lavori
di tipo strettamente matematico e le recensioni meno important,i
(tutti testi raccolti in [32]) non sono stati inseriti (in ogni caso una
bibliografia comprendente anche questi lavori è contenuta in [33]).
Inoltre sono state elencate tutte le traduzioni italiane delle opere
freghiane, nonché le principali traduzioni in lingua inglese.
Per quel che riguarda gli inediti, ho inserito in bibliografia solo
quelli citati nel testo; un elenco completo si trova in [33] o [39].

[1] Begri/fsschri/t, eine der arithmetischen nachgebildete Formel-


sprache des reinen Denkens (Ideografia, un linguaggio in for-
mule del pensiero puro, a imitazione di quello aritmetico),
Halle 1879. Cfr. [30], [35a], [43], [45], [46].
[2] Anwendungen der Begri/fsschnft (Applicazioni dell'Ideografia),
in <<Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissenschaft», XIII (1879),
Suppl.11, pp. 29-33. Cfr. [30], [32], [46].
[3] Uber die wissenschaftliche Berechtigung einer Begri/fsschri/t
(La legittimità scientifica dell'Ideografia), in «Zeitschrift fiir
Philosophie und philosophische Kritik», LXXXI (1882), pp.
48-56. Cfr. [29], [32], [46].
[4] Uber den Zweck der Begri/fsschnft (Lo scopo dell'Ideografia),
in <<Jenaische Zeitschrift fi.ir Naturwissenschaft», XVI (1883),
Suppl., pp. 1-10. Cfr. [30], [32], [46].
[5] Die Grundlagen der Arithmetik. Eine logisch-mathematische
Untersuchung uber den Begri/f der Zahl (I fondamenti dell'arit-

143
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metica. Un'indagine logico-matematica sul concetto di nume-
ro), Breslau 1884 (la più recente edizione tedesca è a cura di
C. Thiel, Hamburg 1988). Cfr. [35], [35a], [42].
[6] Recensione di H. Cohen, Das Prinzip der Infinitesimal-Metho-
de und seine Geschichte, in «Zeitschrift fiir Philosophie und
philosophische Kritik», LXXXVII (1885), pp. 324-29. Cfr.
[32], [35a], [50].
[7] Ober formale Theorien der Arithmetik (Sulle teorie formaliste
dell'aritmetica), in <<Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissen-
schaft», XIX (1886), pp. 94-104. Cfr. [32], [50].
[8] Funktion und Begriff (Funzione e concetto), Conferenza tenu-
ta il 9/111891 allaJenaische Gesellschaft fiir Medizin und Na-
turwissenschaft,Jena. Cfr. [29], [32], [36], [37], [43], [50].
[9] Ober das Triigheitsgesetz (Sul principio di inerzia), in «Zeit-
schrift fiir Philosophie und philosophische Kritik», XCVIII
(1891), pp. 145-61. Cfr. [32], [35a], [50].
[10] Ober Sinn und Bedeutung (Senso e riferimento), in «Zeit-
schrift fiir Philosophie und philosophische Kritik», C (1892),
pp. 25-50. Cfr. [29], [32], [35], [35a], [36], [37], [43], [50].
[11] Ober Begnff und Gegenstand (Concetto e oggetto), in «Vier-
teljahrsschrift fiir wissenschaftliche Philosophie», XVI (1892),
pp. 192-205. Cfr. [29], [32], [35], [35a], [36], [37], [43], [50].
[12] Recensione di G. Cantor, Zur Lehre von Transfiniten, in
«Zeitschrift fiir Philosophie und philosophische Kritilrn, C
(1892), pp. 269-72. Cfr. [32], [35a], [50].
[13] Grundgesetze der Arithmetik, begriffsschri/tlich abgeleitet (I
principi dell'aritmetica, derivati in forma ideografica), I, Jena
1893; II, Jena 1903 (ristampa anastatica presso G. Olms, Hil-
desheim 1966). Cfr. [35], [35a], [43], [44].
[14] Recensione di E. Husserl, Philosophie der Arithmetik, I, in
«Zeitschrift fiir Philosophie und philosophische Kritik», CII
(1894), pp. 313-32. Cfr. [32], [35a], [43], [50].
[15] Le nombre entier (Il numero intero), in «Revue de Métaphysi-
que et de Moral», III (1895), pp. 73-78. Cfr. [32], [50].
[16] Kritische Beleuchtung einiger Punkte in E. Schroders "Vorle-
sungen uber die Algebra der Logik" (Delucidazione critica
di alcuni punti nelle "Lezioni sul!'algebra della logica" di E.
Schroder), in «Archiv fiir systematische Philosophie», I
(1895), pp. 433-56. Cfr. [31], [32], [43], [50].

144
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[17] Lettera del sig. G. Frege all'editore, in «Revue de Mathémati-
ques», VI (1896-99), pp. 53-59. Cfr. [32], [35a].
[18] Ober die Begri/fsschrzft des Herrn Peana und meine eigene
(Sull'Ideografia del signor Peana e la mia), in «Berichte iiber
die Verhandlungen der Kèiniglich Sachsischen Gesellschaft
der Wissenschaften zu Leipzig. Mathematisch-physische
Klasse», XLVIII (1897), pp. 361-78. Cfr. [32], [50].
[19] Ober die Zahlen des He"n H. Schubert (Sui numeri del signor
H. Schubert),Jena 1899. Cfr. [31], [32], [50].
[20] Ober die Grundlagen der Ceometrie (I fondamenti della geo-
metria), in <<Jahresbericht der Deutschen Mathematiker-Ver-
einigung», XII (1903), pp. 319-24; II, ibidem, pp. 368-75.
Cfr. [32], [50].
[21] Was ist eine Funktion? (Che cos'è una funzione?), in Fest-
schrift fiir Ludwig Boltzmann, Leipzig 1904, pp. 656-66. Cfr.
[29], [32], [43], [50].
[22] Ober die Grundlagen der Geometrie (I fondamenti della geo-
metria), I, in «Jahresbericht der Deutschen Mathematiker-
Vereinigung», XV (1906), pp. 293-309; II, ibidem, pp. 377-
403; III, ibidem, pp. 423-30. Cfr. [32], [50].
[23] Antwort auf die Ferienplauderei des He"n Thomae (Risposta
alla "chiacchierata" del signor Thomae), in <<Jahresbericht der
Deutschen Mathematiker-Vereinigung», XV (1906), pp. 586-
590. Cfr. [32], [50].
[24] Vie Unmoglichkeit der Thomaeschen formalen Arithmetik aufs
Neue nachgewiesen (L'impossibilità dell'aritmetica formalista
di Thomae dimostrata di nuovo), in <<Jahresbericht der Deut-
schen Mathematiker-Vereinigung», XVII (1908), pp. 52-55.
Cfr. [32], [50].
[25] Annotazioni a Jourdain P.E.B., The Vevelopment of the Theo-
ries of Mathematical Logie and the Principles of Mathematics,
in «The Quarterly Journal of Pure and Applied Mathemat-
ics», XLIII (1912), pp. 237-69. Cfr. [32].
[26] Ver Gedanke. Bine logische Untersuchung (Il pensiero. Una ricer-
ca logica), in «Beitrage zur Philosophie des deutschen Idealis-
mus», I (1918-19), pp. 58-77. Cfr. [31], [36], [40], [47], [50].
[27] Vie Verneinung. Bine logische Untersuchung (La negazione.
Una ricerca logica), in «Beitriige zur Philosophie des deut-
schen Idealismus», I (1918-19), pp. 143-57. Cfr. [31], [36],
[40], [43], [47], [50].

145
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[28] Logische Untersuchungen. Dritten Teil: Gedankenge/uge (Ri-
cerche logiche. Terza parte: la composizione dei pensieri), in
«Beitrage zur Philosophie des deutschen Idealismus», III
(1923-26), pp. 36-51. Cfr. [31], [36], [40], [47], [50].
[29] Funktion, Begriff, Bedeutung. Funi logische Studien, a cura di
G. Patzig, Gèittingen 1962 (contiene una nuova edizione di
[3], [8], [10], [11] e [21]).
[30] Begri//sschrzft und andere Au/siitze, a cura di I. Angelelli,
Darmstadt - Hildesheim 1964 (contiene una nuova edizione
di [1]-[4]).
[31] Logische Untersuchungen, a cura di G. Patzig, Gèittingen 1966
(contiene una nuova edizione di [16], [19], [26]-[28]) .
[32] Kleine Schrzften, a cura di I. Angelelli, Darmstadt-Hildesheim
1967 (contiene una nuova edizione di [2], [3], [4], [6]-[12],
[14]-[25], oltre ai testi minori non elencati nella presente bi-
bliografia).
[33] Nachgelassene Schrzften, a cura di H. Hermes, F. Kambartel,
F. Kaulbach (con la collaborazione di G. Gabriel e W. Rodd-
ing), Hamburg 1969, 1983 2 (contiene tutti gli scritti inediti di
Frege).
[33a] Schri/ten zur Logik und Sprachphilosophie aus dem Nachlass,
a cura di G. Gabriel, Hamburg 1971 (si tratta di una versione
ridotta di [33], la cui terza edizione, del 1989, contiene una
vasta, anche se non completa, bibliografia su Frege).
[34] Wissenscha/tlicher Brie/wechsel, a cura di G. Gabriel, H. Her-
mes, F. Kambartel, C. Thiel, A. Veraart, F. Meiner, Hamburg
1976 (contiene quasi tutto quel che resta dell'epistolario
scientifico di Frege). Cfr. [38], [49].

Traduzioni italiane:
[35] Aritmetica e logica, a cura di L. Geymonat, Torino 1948 (con-
tiene [5], [10], parti di [9] e [11] e della prefazione di [13]).
[35a] Logica e aritmetica, a cura di L. Geymonat e C. Mangione,
Torino 1965 (edizione riveduta ed ampliata di [35], conte-
nente [1], [5], [6], [10]-[12], [14], [17], parti di [9] e [13],
alcuni inediti).
[36] Ricerche logiche, a cura di C. Lazzerini, Bologna 1970 (contie-
ne [8], [10], [11], [26]-[28]).

146
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[37] La struttura logica del linguaggio, a cura di A. Bonomi, Milano
1973 (contiene le nuove traduzioni, di S. Zecchi, di [8] par-
ziale, [10], [11]).
[38] Alle origini della nuova logica, a cura di C. Mangione, Torino
1983 (traduzione parziale, a cura di A.M. Obwexer, di [34]).
[39] Scritti postumi, a cura di E. Picardi, Napoli 1986 (traduzione,
a cura di E. Picardi, di [33]).
[40] Ricerche logiche, a cura di M. Di Francesco, Milano 1988
(contiene le nuove traduzioni, di R. Casati, di [26]-[28]).
[41] Gottlob Frege, lettere a Wittgenstein, a cura di C. Penco, in
"Epistemologia", XII (1989), pp. 331-52 (tradotte da "Grazer
Philosophischen Studien'', XXXIII/IV (1989), pp. 8-26).

Principali traduzioni inglesi:


[42] The Foundations o/ Arithmetic, a cura di J.L. Austin, New
York 1950 (traduzione di [5]).
[43] Translations /rom Philosophical Writings o/ Gottlob Frege, a
cura di P. Geach e M. Black, New York 1952 (contiene le tra-
duzioni di [8], [10], [11], [16], [21], [27] e di parti di [l],
[13], [14]).
[44] The Basic Laws o/ Arithmetic, a cura di M. Furth, Berkeley
- Los Angeles 1964 (traduzione parziale di [13]).
[45] Begrzf/sschri/t, a Formula Language, Modelled upon that o/
Arithmetic, /or Pure Thought, traduzione, di S. Bauer-Mengel-
berg, di [l], in Heijenoort J. van (ed.), From Frege to Godei,
Cambridge (Mass.) 1967.
[46] Conceptual Notation and Related Articles, a cura di T.W. By-
num, Oxford 1972 (traduzione di [30]).
[47] Logica! Investigations, New Haven 1977 (traduzione, di
P. Geach e R.H. Stoothoff, di [26]-[28]).
[48] Posthumous Writings, Chicago 1979 (traduzione, di P. Long e
R. White, di [33 ]).
[49] Philosophical and Mathematical Correspondance, Oxford
1980 (traduzione parziale, di H. Kaal, di [34]).
[50] Collected Papers on Mathematics, Logie, and Philosophy,
Oxford, New York 1984 (contiene le traduzioni, di M. Black
e altri, della maggior parte degli scritti raccolti in [32]).

147
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Testi inediti:

[1880-1] Booles rechnende Logik und die Begri/lsschri/t, in [33],


pp. 9-52 (trad. it. La logica calcolistica di Boole e l'Ideografia,
in [39]).
[1882] Booles logische Formelsprache und meine Begri/fsschri/t, in
[33 ], pp. 53-59 (trad. it. Il formulario logico di Boole e la mia
Ideografia, in [39]).
[1884] Dialog mit Punjer uber Existenz, in [33], pp. 60-75 (trad. it.
Dialogo con Punjer sull'esistenza, in [39]).
[1892-95] Ausfuhrungen uber Sinn und Bedeutung, in [33], pp.
128-36 (trad. it. Riflessioni su senso e significato, in [39]).
[1897] Logik, in [33], pp. 137-63 (trad. it. Logica, in [39]).
[1906] Einleitung indie Logik, in [33], pp. 201-18 (trad. it. Intro-
duzione alla logica, in [39]).
[1919] Au/zeichnungen /ur Ludwig Darmstaedter, in [33 ], pp. 273-
77 (trad. it.Appuntiper L.D., in [39]).
[1924-5] Erkenntnisquellen der Mathematik und der mathemati-
schen Naturwissenschaften, in [33], pp. 286-94 (trad. it. Le
fonti conoscitive della matematica e delle scienze naturali mate-
matiche, in [39]).

Il. Scrurn su FREGE

La quantità dei lavori pubblicati su Frege è ormai veramente co-


spicua, al punto che una bibliografia datata 1976 (cfr. Schirn
[1976], III, pp. 170-97) occupava già una trentina di pagine (e la
proliferazione "post-dummettiana" degli studi in materia era appe-
na agli inizi). In effetti, per quanto mi risulta, non esiste a tutt'oggi
una bibliografia freghiana veramente esaustiva: quella, già citata, in
Schirn [1976] è piuttosto esauriente, ma è limitata, ovviamente, al
1975; quella in [33a] è più aggiornata, ma è solo parziale.
Anche questa bibliografia non ha naturalmente nessuna pretesa
di essere esaustiva. La mia scelta dei titoli è stata molto "rapsodi-
ca": per quel che riguarda i libri, ho cercato di elencare tutti quelli
pubblicati, a partire dagli anni '50, in lingua tedesca, inglese, fran-
cese e italiana (ma qualche involontaria omissione sarà stata inevita-
bile); per quel che riguarda gli articoli, la scelta è stata invece basa-
ta su criteri più soggettivi come l'interesse intrinseco o la rilevanza
rispetto ai temi trattati nel testo. I titoli sono stati divisi in tre sezio-

148
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ni, in modo da facilitare l'orientamento del lettore: (Il.1) Opere ge-
nerali; (11.2) Logica e filosofia del linguaggio; (Il.3) Filosofia della
matematica.
Nel testo le opere in bibliografia sono citate tramite autore e da-
ta di pubblicazione: ad esempio, "Angelelli (1967]" si riferisce al
secondo dei titoli elencati nella sezione (11.1). Qualora due lavori
dello stesso autore siano stati pubblicati nello stesso anno, alla data
viene aggiunta una lettera minuscola, in base all'ordine in cui essi
compaiono nella presente Bibliografia.

11.1 Opere generali


A.P.A. Symposium 1987: Husserl und Frege, New York 1987.
Angelelli I., Studies on Gottlob Frege and Traditional Philosophy,
Dordrecht 1967.
Baker G.P. - Hacker P.M.S., Frege. Logica! Excavations, Oxford
1984.
Baker G.P., Wittgenstein, Frege and the Vienna Circle, Oxford,
New York 1988.
Bochefuki J.M., Formale Logik, Freiburg, Miinchen 1956 (trad. it.
La logica formale, Torino 1972).
Currie G., Frege. An Introduction to His Philosophy, Brighton
1982.
De Monticelli R., Dottrine dell'intelligenza. Saggio su Frege e Witt-
genstein, Bari 1982.
Dummett M., Frege. Philosophy o/ Language, London 1973 (2' ed.
riveduta, Cambridge 1981; traduzione italiana parziale Filosofia
del linguaggio. Saggio su Frege, a cura di C. Penco, Casale Mon-
ferrato 1983).
Id., Frege and Wittgenstein, in Block I. (a cura di), Perspectives on
the Philosophy o/ Wittgenstein, Oxford 1981 (trad. it. in Andro-
nico M. - Marconi D. - Penco C. (edd.), Capire Wittgenstein,
Genova 1988).
Id., The Interpretation o/ Frege's Philosophy, London 1981.
Id., Frege and Other Philosophers, Oxford 1991.
Egidi R., Ontologia e conoscenza matematica. Un saggio su G. Frege,
Firenze 1963.
F0llesdal D., Husserl und Frege. Ein Beitrag zur Beleuchtung der
Entstehung der phiinomenologischen Philosophie, Oslo 1958.
Gabriel G., Frege als Neukantianer, in "Kantstudien", LXXVII
(1986), pp. 84-101.
Geach P.T., Frege (capitolo del volume G.E.M. Anscombe - P.T.
Geach, Three Philosophers, Oxford 1961).

149
Mauritius_in_libris
Grossmann R.S., Re/lections on Frege's Philosophy, Evaston 1969.
Haaparanta L. - Hintikka J. (edd.), Frege Synthesized, Dordrecht
1986.
Hrachovec H., Vorbei: Heidegger, Frege, Wittgenstein. Vier Versu-
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raccolgono articoli dedicati, rispettivamente, a "Logica e filoso-
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Wiggins D., Frege's Problem o/ the Morning Star and the Evening
Star, in Schirn [1976], II, pp. 221-56.
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ge's Doctrine and a Piea /or the Copula, in Wright [1984], pp.
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Il.3 Filosofia della matematica


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154
Mauritius_in_libris
III. ALTRI SCRITTI RILEVANTI

In questa sezione della bibliografia ho elencato tutte le opere ci-


tate nel testo che non riguardavano direttamente Frege; nonché al-
tri lavori che potessero risultare utili per un inquadramento storico-
teorico della figura di Frege e per una miglior comprensione di te-
mi ed autori cui si fa cenno nel testo (va da sé che la scelta è stata,
in questo caso, quanto mai soggettiva e limitata). Ho ritenuto però
superfluo inserire i classici della filosofia, da Aristotele a Leibniz e
Kant, cui si fanno sporadici riferimenti nel testo.

Barone F., "Algebra della logica" e "leggi del pensiero", in "Filoso-


fia", XII (1961), pp. 39-86.
Benacerraf P., What Numbers Could not Be?, in "The Philosophi-
cal Review", LXXIV (1965), pp. 47-73.
Blackburn S. - Code A., The Power of Russell's Criticism of Fre-
ge: "On Denoting", pp. 48-50, in "Analysis", XXXVIII (1978),
pp. 65-77. .
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Honour of H.M. Sheffer, New York 1951.
Dedekind J.W.R., Stetigkeit und Irrationale Zahlen? Braunschweig
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Scritti sui/andamenti della matematica, a cura di F. Gana, Napo-
li 1982).
Id., Was sind und was sollen die Zahlen? Braunschweig 1888 (trad.
it. Che cosa sono e a cosa servono i numeri?, in Dedekind, Scritti
sui/andamenti della matematica, cit.).

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157
Mauritius_in_libris
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INDICE

Mauritius_in_libris
Mauritius_in_libris
GoTI1..oB FREGE

AVVERTENZA VII

I. L '«Ideografia» e la logica 3
1. Inadeguatezza della logica tradizionale, p. 3 - 2.
L' «Ideografia»: connettivi e giudizi, p. 8 - 3. L' «Ideogra-
fia»: i quantificatori, p. 20 - 4. La quantificazione di se-
condo ordine e la gerarchia delle funzioni, p. 26 - 5.
L'identità e la "semantica" dell'«Ideografia», p. 28 - 6. I
diversi significati di "essere", p. 32 - 7. Il sistema assio-
matico dell'«Ideografia», p. 35 - 8. Frege e l'algebra del-
la logica, p. 37

II. La definizione di numero naturale 41


1. Analitico e sintetico: critica della filosofia kantiana del-
la matematica, p. 43 - 2. La critica alle altre definizioni
di numero naturale, p. 47 - 3. Il Principio del Contesto,
p. 51 - 4. Un tentativo di definizione contestuale, p. 53 -
5. Identità e Principio del Contesto, p. 57 - 6. Un esem-
pio: la definizione della direzione di una retta, p. 59 - 7.
La definizione di numero naturale, p. 63 - 8. Frege e De-
dekind, p. 71 - 9. Frege e Hilbert, p. 76

III. La semantica di Frege ed il sistema dei «Principi» 78


1. La distinzione tra senso e riferimento: i termini singola-
ri, p. 78 - 2. La distinzione tra senso e riferimento: i
termini concettuali, p. 85 - 3. La distinzione tra senso e
riferimento: gli enunciati, p. 94 - 4. Senso e riferimento

161

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indiretti e il Principio di Composizionalità, p. 98 - 5. I
termini singolari privi di riferimento, p. 103 - 6. Il siste-
ma dei «Principi» e la contraddizione, p. 106 - 7. Princi-
pio di Composizionalità e Principio del Contesto, p. 114

Cronologia della vita e delle opere 119

Storia della critica 123

BIBLIOGRAFIA 141
I. Opere principali di Frege 143
Il. Scritti su F rege 148
III. Altri scritti rilevanti 155

Mauritius_in_libris
Mauritius_in_libris
I FILOSOFI
1. Husserl di Renzo Raggiunti
2. Schopenhauer di lcilio Vecchiotti
3. Berkeley di Mario Manlio Rossi
4. Socrate di Francesco Adorno
5. Lukécs di Giuseppe Bedeschi
6. Weber di Nicola M. De Feo
7. Hume di Antonio Santucci
8. Talete, Anasslmandro, Anasslmene di Renato Laurenti
9. Cusano di Giovanni Santinello
10. Heidegger di Gianni Vattimo
11. Schelling di Giuseppe Semerari
12. Hobbes di Arrigo Pacchi
13. Carnap di Alberto Pasquinelli
14. Moore di Eugenio Lecaldano
15. Whltehead di Massimo A. Bonfantini
16. Tommaso d'Aquino di Sofia Vanni Rovighi
17. Wlttgenstein di Aldo G. Gargani
18. Dewey di Alberto Granese
19. Sartre di Sergio Moravia
20. Pascal di Adriano Bausola
21. Abelardo di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri
22. Aristotele di Giovanni Reale
23. Rousseau di Paolo Casini
24. Gentile di Aldo Lo Schiavo
25. Parmenide di Antonio Capizzi
26. Leibniz di Vittorio Mathieu
27. Ockham di Alessandro Ghisalberti
28. Feuerbach di Claudio Cesa
29. Platone di Francesco Adorno
30. Kant di Augusto Guerra
31. Epicuro di Domenico Pesce
32. Marx di Giuseppe Bedeschi
33. Labriola di Stefano Poggi
34. Locke di Mario Sina
35. Comte di Antimo Negri
36. Klerkegaard di Salvatore Spera
37. Spinoza di Filippo Mignini
38. Plotino di Margherita lsnardi Parente
39. Vico di Nicola Badaloni
40. Croce di Paolo Sonetti
41. Nietzsche di Gianni Vattimo
42. La Scuola di Francoforte di Giuseppe Bedeschi
43. James di Patrizia Guarnieri
44. Ruggero Bacone di Franco Alessio
45. Dllthey di Franco Bianco
46. Anselmo d'Aosta di Sofia Vanni Rovighi

Mauritius_in_libris
47. Il Positivismo di Stefano Poggi
48. Herbart di Renato Pettoello
49. Hegel di Valerio Verra
50. Cartesio di Giovanni Crapulli
51. Proclo di Giovanni Reale
52. Newton di Maurizio Mamiani
53. Russell di Michele Di Francesco
54. Il Tradizionalismo francese di Marco Ravera
55. Lo Storicismo di Fulvio Tessitore
56. Casslrer di Giulio Raio
57. Il Nichilismo di Federico Vercellone
58. Peirce di Rossella Fabbrichesi Leo
59. Lo stoicismo ellenistico di Margherita lsnardi Parente

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