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FREGE
di
Mauro Mariani
Editori Laterza
Mauritius_in_libris
I FILOSOFI
ISBN 88-420-4389-3
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I FILOSOFI
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© 1994, Gius. Laterza & Figli
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INTRODUZIONE A
FREGE
DI
MAURO MARIANI
•
EDITORI LATERZA
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Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
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AVVERTENZA
sarebbe "significato" (del resto lo stesso Frege aveva suggerito a Peano l'af-
fine "significazione"), ma "significato" appare più vicino al Sinn freghiano
che alla Bedeutung: abbiamo perciò preferito tradurre con "riferimento" (a
sua volta preferito a "denotazione" per evitare allusioni alla distinzione me-
dioevale tra denotazione e connotazione).
VII
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GOTTLOB FREGE
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I. L' «IDEOGRAFIA» E LA LOGICA
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mente perspicua tutto lo scibile e le connessioni tra i teoremi
fossero stabilite tramite un particolare tipo di calcolo, mira-
va appunto ad adeguare l'ideale di scienza rigorosa al model-
lo matematico: gli enunciati sarebbero stati trasformati in
equazioni, ed una deduzione nella risoluzione di un proble-
ma algebrico. Il sostanziale fallimento di questo progetto di-
pese senza dubbio dalla sua eccessiva ambizione, ma, in lar-
ga misura, anche dal fatto che Leibniz era, nonostante tutto,
rimasto troppo attaccato alla logica tradizionale, in partico-
lare alla riduzione di tutti gli enunciati alla forma standard
"soggetto-predicato" 1•
In effetti la logica aristotelica era, come strumento della
scienza, inadeguata sotto questo ed anche sotto altri, non
meno importanti, aspetti. In particolare:
' Questo non contraddice il fatto che Leibniz volesse ridurre gli enuncia·
ti a equazioni: uno dei modi (ripreso poi da Boole) in cui egli cercava di for.
mulare "Ogni A è B" era appunto AB=A (dove AB significa, in termini di
classi, l'intersezione di A e B).
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(b) separazione della logica proposizionaleda quella termi-
nistica
Il privilegiamento della forma "soggetto-predicato" com-
porta (insieme con l'idea che la scienza riguarda in primo
luogo gli universali) che la struttura enunciativa standard sia
quella in cui un termine universale si predica - o non si
predica - di ("appartiene - o non appartiene - a" nella
terminologia standard degli Analitici ) un altro universale
"quantificato" universalmente o non universalmente; in pra-
tica gli enunciati presi in considerazione appartengono ad
uno dei seguenti tipi (dove A e B stanno per termini univer-
sali come "uomo", "animale", etc.)
Ogni A è B Nessun A è B Qualche A è B Non ogni A è B.
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ricorrendo al Modus Ponens. Aristotele, tuttavia, non men-
ziona mai una regola di questo tipo, ma dice che il passaggio
da a a ~ deve essere garantito dall'accordo, stipulato tra i
partecipanti alla discussione, di ammettere ~ una volta che a
sia stato provato sillogisticamente (cfr. An. Pr. A, 23, 41a,
37b, 1).
Del tutto differente era la teoria dell'inferenza sviluppata
immediatamente dopo la morte di Aristotele dagli Stoici, per
i quali le strutture sintattiche logicamente rilevanti erano i
collegamenti tra enunciati non analizzati (fatta astrazione,
cioè, dalla loro struttura interna), in primo luogo proprio il
nesso "Se ... allora ... " la cui validità, per Aristotele, era og-
getto di stipulazione. Le loro regole d'inferenza riguardava-
no appunto collegamenti di questo tipo: ad esempio il primo
ed il quarto indimostrabili} di Crisippo suonano così (gli
Stoici usavano gli ordinali come "variabili" proposizionali)
- Se il primo, allora il secondo; ma il primo; dunque il se-
condo.
- O il primo, o il secondo; ma il primo; dunque non il se-
condo.
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stenza di sillogismi ipotetici (le regole d'inferenza degli Stoi-
ci) accanto a quelli categorici (aristotelici), ma non ci si po-
neva seriamente il problema di trovare la sorgente comune
della validità degli uni e degli altri. La dottrina medioevale
delle consequentiae aveva prodotto una definizione (o, per
l'esattezza, più definizioni parzialmente divergenti) di cosa
sia in generale la validità di una regola d'inferenza, ma non
una teoria che riconducesse la validità di tutte le regole d'in-
ferenza ad un'unica causa: la validità dei sillogismi continua-
va a dipendere dalla disposizione dei termini e dalla quantità
e qualità delle premesse, quella delle inferenze non sillogisti-
che dal significato dei connettivi.
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gica, facendo cioè ricorso unicamente alle leggi sulle quali si
fonda ogni conoscenza. Questo programma va al di là
dell'ideale scientifico degli Analitici Secondi: non basta in-
fatti ricondurre in maniera logicamente rigorosa tutta l'arit-
metica ad alcuni principi primi intuitivamente evidenti, ma
è necessario che questi principi risultino essi stessi parte
della logica; in termini leibniziani, ciò significa provare che i
giudizi dell'aritmetica sono verità di ragione. La realizzazio-
ne di questo programma richiede ovviamente lunghe catene
deduttive nelle quali non deve inserirsi nulla di intuitivo; e
ciò, a sua volta, richiede, da un lato che le deduzioni siano
condotte in una lingua artificiale (Ideografia appunto, ossia
scrittura di concetti) che non abbia, come quelle naturali, il
doppio difetto della vaghezza e imprecisione di significato
dei segni, e del rischio di travisamento della forma logica da
parte di quella sintattica 5 ; dall'altro una profonda revisione
della logica tradizionale, di cui abbiamo già mostrato l'ina-
deguatezza appunto come logica della matematica. La crea-
zione di una lingua artificiale riprende evidentemente,
come lo stesso Frege non manca di riconoscere, il program-
ma leibniziano di una "mathesis universalis" (almeno li-
mitatamente all'ambito dell'aritmetica); ma nella revisione
della logica tradizionale Frege si spinge molto più in là di
Leibniz.
Innanzi tutto Frege, sovvertendo una tradizione millena-
ria, pone al primo posto la logica proposìzionale di ascen-
denza stoica, e pertanto alla base della logica dell'Ideografia
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ci sono gli enunciati, o, meglio, i giudizi, che Frege distingue
accuratamente dagli enunciati. Non sempre, infatti, chi si
serve di un enunciato a si impegna sulla sua verità: se a com-
pare come protasi o apodosi di un periodo ipotetico possia-
mo impegnarci sulla verità di quest'ultimo lasciando im-
pregiudicato se a è vero o falso; oppure a può essere pro-
nunciato da un attore sul palcoscenico. Per Frege, allora, a è
un giudizio solo quando è utilizzato per asserire la verità di
ciò che esso esprime.
Vediamo come tutto ciò viene formalizzato nell'Ideo-
grafia. Per Frege i segni della sua lingua simbolica sono
sempre interpretati, ossia devono essere pensati come rife-
rentesi ad un qualche contenuto 6 : tuttavia è possibile cheta-
le contenuto resti totalmente indeterminato, ed in questo ca-
so si utilizzano come segni le lettere latine minuscole
(nell'espressione algebrica a+b = b+a, ad esempio, le lettere
latine esprimono la generalità, mentre i segni = e + hanno un
contenuto determinato). Le lettere greche maiuscole A, B, r,
... costituiscono, invece, abbreviazioni per segni aventi un
contenuto determinato (ad esempio invece del nome "Socra-
te" io posso usare la lettera A) e non vanno assolutamente
confuse con i segni che esprimono generalità. Potremmo di-
re, confrontando l'Ideografia di Frege con le moderne pre-
sentazioni della logica elementare, che le lettere latine minu-
scole corrispondono alle variabili, gli altri segni alle costanti,
e le lettere greche maiuscole alle lettere schematiche per co-
stanti (come le lettere predicative nella logica del primo or-
dine); ma con la differenza che Frege non utilizza segni di-
versi per i diversi tipi di contenuti: le lettere latine, ad esem-
pio, sono variabili proposizionali, individuali, predicative o
funtoriali a secondo dei contesti; e, allo stesso modo, le lette-
re greche sono lettere schematiche per costanti di qualunque
tipo.
Abbiamo detto che la nozione di contenuto è molto vaga.
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In effetti Frege distingue solo tra contenuti giudicabili e non
giudicabili, sulla base del fatto che, se A esprime un conte-
nuto giudicabile, possiamo trasformare A in un giudizio an-
teponendogli il segno di giudizio 1-, in modo appunto da ot-
tenere
I-A
pensiero così come le cose sono unite o separate nella realtà, la falsità fare il
contrario: questo significa semplicemente che ogni enunciato dichiarativo
esprime di per sé una verità o una falsità, non che chiunque formuli un enun-
ciato dichiarativo non possa farlo se non gli attribuisce un valore di verità.
' Nell'Ideografia giudicare significa sempre asserire un giudizio. In un
inedito del 1906, Introduzione alla logica (dr. Scritti postumi, p. 309) Frege
distingue però tra il riconoscimento della verità di un pensiero (giudicare
propriamente detto), e l'espressione di questo riconoscimento (asserzione):
tale distinzione sarà ripresa nel Pensiero.
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Nella teoria tradizionale (basata su De Interpretatione, 6)
c'erano due specie di giudizio, quello affermativo che espri-
meva l'unione del predicato con il soggetto e quello negativo
che ne esprimeva la separazione; per Frege, al contrario, esi-
ste solo un tipo di giudizio, il riconoscimento della verità di
un contenuto giudicabile, ed il segno di negazione entra a
far parte del contenuto giudicabile stesso 9 •
L'altro giudizio fondamentale della logica proposizionale
dell'Ideografia è
(2)
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linguaggio scientifico sarebbe nullo; ma, come vedremo, sarà
necessario ricorrere ai quantificatori.
In generale, dati due contenuti giudicabili A e B, esistono
quattro possibilità
A B
affermato affermato
affermato negato
negato affermato
negato negato
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qual è il significato di un termine A isolato dai contesti lin-
guistici in cui compare, le possibili risposte sembrano essere
due
(a) la "cosa" cui A si riferisce (ad esempio il significato di
"Socrate" è l'uomo Socrate e quello di "cavallo" una
specie zoologica - oppure la classe dei cavalli);
(b) quello che "abbiamo in mente" quando usiamo il termi-
ne A.
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Il termine "funzione" è chiaramente mutuato dall'analisi
matematica: se esprimiamo il fatto che y è "funzione" di x
nella forma standard y=f(x) ed assegnamo ad x il valore c, il
valore di y sarà f(c). Ora, in f(c) il segno f esprime la regola
in base alla quale vengono determinati i valori di y a partire
da quelli di x, ed è perciò, propriamente parlando, la vera
funzione; d'altra parte f rappresenta ciò che resta invariato
nei diversi valori f(c), f(d), ... che può assumere y, mentre
I' argomento c rappresenta ciò che può essere sostituito con
altri argomenti per ottenere ,-alori diversi. L'idea di Frege è
allora che in una serie di t:11unciati simili
Socrate - è bianco
Platone - è bianco
Aristotele - è bianco
etc.
1-'l'(A, B)
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Il requisito (a) potrebbe essere facilmente soddisfatto sta-
bilendo semplicemente di designare l'argomento su cui si ge-
neralizza con un tipo diverso di lettera, ad esempio, come fa
Frege, una lettera gotica (sostituendo alla lettera greca maiu-
scola che designa l'argomento la lettera gotica corrisponden-
te - ad esempio ad alfa maiuscola la "a" gotica); ma questo,
chiaramente, non basta a soddisfare (b). Tuttavia le distin-
zioni d'ambito sono determinate, in un certo senso, dal trat-
to orizzontale: per stabilire l'ambito d'azione della generaliz-
zazione Frege stipula perciò di inserire, nel segno di conte-
nuto che si riferisce alla parte su cui vogliamo far operare la
generalizzazione, una cavità, all'interno della quale porre la
stessa lettera gotica che ha sostituito l'argomento su cui vole-
vamo generalizzare. Nell'esempio precedente, dunque, i tre
giudizi saranno espressi rispettivamente da
~X(n) X(A)
(4) ~X(n)
'l'(n) . L__'l'(B) ~'l'(h)
A partire da ciò non è difficile esprimere anche il giudizio
che una funzione <I> è un fatto per almeno alcuni dei suoi ar-
gomenti, ed introdurre così un quantificatore esistenziale ac-
canto a quello universale; basterà scrivere
~<l>(n)
possiamo scrivere
~X(a)
'l'(a)
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È evidente che le lettere gotiche corrispondono alle varia-
bili vincolate, le lettere latine a quelle libere.
Frege, insomma, getta le basi della moderna teoria della
quantificazione; in quest'ultima però (e si tratta della diffe-
renza più rilevante) il segno di giudizio scompare. Abbiamo
detto, infatti, che la ragione principale per cui Frege aveva
introdotto questo segno era una certa trascuratezza nella
teoria tradizionale del giudizio, dalla quale non risultava
chiaro se per giudizio si doveva intendere la formulazione di
un puro e semplice collegamento rappresentativo oppure
l'asserzione della verità di quest'ultimo. Tuttavia, se si pre-
scinde da questa preoccupazione filosofica, la logica di Fre-
ge può essere sviluppata senza far ricorso al segno di giudi-
zio: è sufficiente costruire le formule senza premettere ad es-
se il segno di contenuto, collegarle direttamente tramite con-
nettivi corrispondenti al segno di condizione ed a quello di
negazione ed introdurre una notazione per i quantificatori
che, pur soddisfacendo i requisiti di quella freghiana, per-
metta di fare a meno della cavità nel segno di contenuto; se
una formula così costruita sia poi un'ipotesi, un'assunzione o
un teorema, viene stabilito "dall'esterno" della formula stes-
sa (ad esempio è un teorema se può essere dimostrata a par-
tire dagli assiomi), ed espresso mediante un enunciato meta-
linguistico. Il segno 1-, infatti, sopravvive, ma solo come una
sorta di predicato metalinguistico, tipo "È un teorema" 14 •
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Possiamo così tradurre le formule freghiane in una notazio-
ne moderna, ad esempio quella di Hilbert, e stabilire la se-
guente corrispondenza tra i giudizi freghiani e le formule del
moderno calcolo dei predicati
1--r-A -,A
~~ B~A
" Per evidenziare questo uso delle parentesi eviteremo, quando ciò sarà
possibile senza che ne soffra la chiarezza, di mettere tra parentesi gli argo-
menti delle funzioni. D'ora in poi, per ragioni di leggibilità, useremo questa
notazione al posto di quella freghiana.
16 La logica modale di Frege non ha nulla a che fare con i mondi possi-
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ad esempio, fosse attualmente vero che tutti gli uomm1
sono bianchi, ciò non sarebbe sufficiente per asserire
(Vx)(Uomo x~Bianco x)], non può essere una semplice
coincidenza, ma deve esprimere l'esistenza di un nesso con-
cettuale. Quindi, se vogliamo esprimere il fatto che attual-
mente tutti gli uomini sono bianchi, dobbiamo ricorrere alle
nuove funzioni "uomo a n" e "bianco a n" dove n è una co-
stante temporale, e formulare il giudizio (Vx)(Uomo a n
(x)~Bianco a n (x)). Combinata con i quantificatori l'impli-
cazione materiale è dunque perfettamente adeguata ad espri-
mere nessi concettuali.
Un giudizio come (Vx)(Uomo x~Animale x) esprime
dunque l'essenziale dell'universale aristotelica "Ogni uomo è
animale", tranne che per un punto importante: condizione
necessaria perché un enunciato affermativo sia vero è, per
Aristotele, l'esistenza del soggetto; al contrario (Vx)(Uomo
x~Animale x), se non esistessero uomini, sarebbe un giudi-
zio vero ("Uomo x" sarebbe infatti falso per ogni valore dix
- cfr. la definizione dell'implicazione materiale). In maniera
analoga è possibile esprimere nell'Ideografia anche le restan-
ti premesse aristoteliche.
Si capisce ora in che modo Frege, superando la separazio-
ne tra logica proposizionale (stoica) e terministica (aristoteli-
ca), riesce a ricondurre la seconda alla prima. Per riprendere
infatti un esempio già noto, un sillogismo come Barbara
nell'Ideografia assume questa forma
(Vx)(Fx~Gx)
(Vx)(Hx~Fx)
.. (Vx)(Hx~Gx)
.. A~C
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Detto incidentalmente, non bisogna credere che l'inter-
pretazione condizionale delle universali affermative aristote-
liche sia il punto chiave della questione: un'interpretazione
analoga la troviamo, infatti, tanto per fare un esempio, anche
nella logica di Bradley, il quale non ne trae certo le stesse
conseguenze di Frege. La novità, in realtà, è un'altra, inter-
pretare cioè questo condizionale in termini di implicazione
materiale e quantificatore universale, ed è proprio questo
che permette di fondere in un'unica teoria la tradizione ari-
stotelica e quella stoica 17 •
La teoria della quantificazione, a differenza di quella della
suppositio, non distingue i vari modi in cui un universale si
riferisce a ciò di cui è vero, ma soltanto se ciò di cui è vero
rappresenta la totalità o meno del dominio di interpretazione
(o universo del discorso, per usare l'espressione di Boole). O,
meglio, è la stessa nozione tradizionale di universale a perde-
re di importanza: un universale, infatti, esprime sempre, in
ultima analisi, un aspetto, accidentale o essenziale, degli indi-
vidui che fungono da sostrato; quindi un "universale compo-
sto'', ad esempio "bianco o giallo", pur essendo vero di una
certa classe di individui, non è un autentico universale per-
ché manca di un preciso corrispettivo ontologico - non esi-
ste il colore "bianco o giallo". Le funzioni freghiane costitui-
scono quindi una generalizzazione degli universali tradi-
zionali; anch'esse possono essere definite come ciò che "si
dice" di una pluralità di cose, ma senza le limitazioni ontolo-
giche della nozione tradizionale di universale.
La determinazione dell'ambito d'azione dei quantificatori
sostituisce I' attribuzione di una diversa suppositio ai termini.
Consideriamo ad esempio "Ogni ragazzo ama una ragazza":
questo enunciato può voler dire che tutti i ragazzi amano
una determinata ragazza, oppure (ed è l'interpretazione più
naturale) che tutti i ragazzi ne amano una, ma non necessa-
XI, 9-11; I, 86) gli Stoici leggevano "Ogni A è B" come se significasse "Se
quello è A, allora è B": poiché però non sappiamo se e come utilizzassero
questa lettura per una reinterpretazione delle regole d'inferenza aristoteli-
che, non possiamo dire se e in che misura essi abbiano "anticipato" l'impo-
stazione freghiana.
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riamente tutti la stessa. Nella teoria della suppositio è possi-
bile distinguere le due interpretazioni dicendo che nel primo
caso "ragazza" ha una suppositio determinata, e nel secondo
una suppositio confusa tantum: nel quadro della teoria della
quantificazione, invece, i due enunciati precedenti vengono
formalizzati rispettivamente così
(3y)(Ragazza y" (Vx)(Ragazzo x ~Ama xy))
- (Vx)(Ragazzo x ~ (3y)(Ragazza y "Ama xy))
zione, indicare sempre quali sono i posti di sostituzione; tuttavia, per sem-
plicità, trascureremo di farlo ogniqualvolta non ci sia rischio di confusione.
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"essere una proprietà di Socrate"). Di conseguenza, se in
"F(Socrate)" l'argomento è F, è anche possibile esprimere il
giudizio che la funzione " ... (Socrate)" è .un fatto qualunque
sia l'argomento - ossia il giudizio (V.'f)(.'fSocrate) - dove
.'f è una variabile predicativa vincolata. La quantificazione
del secondo ordine rientra pertanto nella definizione fre-
ghiana di quantificazione.
È facile mostrare, attraverso la quantificazione del secon-
do ordine, che la gerarchia delle funzioni non si ferma a
quelle di secondo grado. Infatti, come si è detto, (Vx)(Fx) è
una funzione della funzione di primo grado F (in forma
standard 'l'F, dove 'I' è di secondo grado): possiamo perciò
quantificare (al secondo ordine) su F ed ottenere così
(V .'f)('I' .'f) 19 , che è a sua volta una funzione della funzione di
secondo grado 'I', ossia una funzione di terzo grado, allo
stesso modo in cui (Vx)(Fx) era una funzione della funzione
di primo grado F.
In ogni caso a noi qui non interessano tanto gli aspetti
tecnici della costruzione di una gerarchia di funzioni quanto
la fondamentale distinzione tra proprietà e note caratteristi-
che di un concetto. Già i commentatori tardo-antichi di Ari-
stotele si erano trovati in difficoltà a spiegare perché l'uomo
è una specie, ma i singoli uomini ovviamente non lo sono,
mentre, se l'uomo è un animale, i singoli uomini sono
anch'essi animali; saltando a piè pari molti secoli, troviamo
che la confutazione kantiana della prova ontologica si basa
sul fatto che l'esistenza non è una nota caratteristica dei con-
cetti. Da un punto di vista strettamente logico si tratta di un
problema analogo a quello degli antichi commentatori di
Aristotele: perché, nonostante l'analogia della forma lingui-
stica, il predicato "esistere" (come "essere una specie") si
comporta in maniera differente dagli altri? La risposta di
Frege è appunto che, nonostante questa analogia, la forma
logica è del tutto differente: "esistere" è sempre una funzio-
ne di secondo grado, mentre le note caratteristiche di un
concetto (ad esempio "animale" in relazione a "uomo") -
19 Detto en passant, (V' J}('I' J') significa che la funzione 'I' è un fatto
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ed anche ciò che appartiene incidentalmente ad un concetto
(ad esempio "correre" sempre in relazione a "uomo") - so-
no funzioni di primo grado, come appare evidente dalla for-
ma logica dei giudizi in cui questi termini compaiono
forma linguistica forma logica
L'uomo è un animale ('v'x)(Uomo x~Animale x)
L'uomo corre (3x)(Uomo x A Corre x)
L'uomo esiste (3x)(Uomo x)
tavia, per semplicità, adotteremo anche qui il segno=, come lo stesso Frege
farà nei Principi.
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dizi? La difficoltà è che, se il segno di identità esprimesse un
rapporto tra contenuti, non ci sarebbe nessuna differenza di
contenuto tra A=B e A=A (nel caso, ovviamente, che A=B
sia vero): infatti l'identità tra cose non può che essere quel
rapporto che ogni cosa ha solo con se stessa, e quindi A=B,
se vero, esprimerebbe semplicemente il rapporto con se stes-
sa della cosa denotata da A, esattamente come A=A (cfr.
Sen. e rtf p. 375). Non si capisce allora quale sia la funzione
del segno d'identità, né, soprattutto, perché A=B, a differen-
za di A=A, sia sempre più o meno informativo.
L'altra possibilità è considerare quello d'identità un segno
particolare che si differenzia da quelli di condizione e di ne-
gazione per il fatto di riguardare i segni stessi, non i loro
contenuti: l'identità sarebbe allora quella relazione che inter-
corre tra una coppia di segni che hanno lo stesso contenuto.
Dal punto di vista formale questa soluzione ha un inconve-
niente del quale Frege si rende perfettamente conto, ma che,
evidentemente, considera un prezzo che val la pena pagare.
Prendiamo infatti, il giudizio A=B ~ F(A)~F(B): nell'inter-
pretazione che Frege dà dell'identità il suo significato do-
vrebbe essere qualcosa del genere
- se il segno A ed il segno B hanno lo stesso contenuto, al-
lora esiste una relazione di condizionalità tra i contenuti
giudicabili espressi dal segno F(A) e dal segno F(B);
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guaggio, e non avrebbe comunque nessun reale (ossia
riguardante le cose) valore informativo.
21 Cfr. ad esempio i§§ 86-137 (pp. 96-139) del secondo volume dei Prin-
cipi (trad. parziale in Logica ed aritmetica, pp. 531-52), in cui Frege polemiz-
za contro le teorie dei numeri irrazionali dei matematici formalisti Heine e
Thomae.
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ripetutamente sottolineato, si tratta di una nozione poco
chiara che dà adito a molte perplessità. I principali motivi di
insoddisfazione (di alcuni di essi abbiamo già parlato) sono
- manca, in generale, una spiegazione convincente del se-
gno di identità e dell'ambito della sua applicabilità;
- nella discussione sul giudizio di identità Frege ha ricono-
sciuto la necessità di distinguere tra il riferimento di un
termine singolare (identificato con il suo contenuto) ed il
modo in cui tale riferimento viene determinato; d'altra
parte i giudizi di identità riguardano anche segni per
contenuti giudicabili (cfr. ad esempio le proposizioni 67
e 68 dell'Ideografia): ma in che modo è possibile, in que-
sto caso, distinguere tra contenuto e modo di determina-
zione, tanto più che, come Frege stesso esplicitamente ri-
conoscerà (cfr. Princ. I, § 5, p. 9), nel contenuto giudica-
bile pensiero e valore di verità sono indistinti?
- in un'espressione Frege distingue funzione ed argomen-
to: tale distinzione è solo un fatto linguistico, o ad
espressioni di diverso tipo corrispondono contenuti es-
senzialmente diversi?
- se si applica il metodo con cui, in generale, Frege divide
un'espressione in funzione e argomento, sarebbe natura-
le intendere anche i segni di contenuto, di condizione e
di negazione come funzioni: ma qual è il loro significato?
- Frege dice che (V'x)(Fx) significa il giudizio che la fun-
zione F è un fatto qualunque cosa si consideri come ar-
gomento: ora, poiché il termine "argomento" è origina-
riamente introdotto in riferimento ad una (parte di)
espressione, ciò farebbe pensare ad un'interpretazione
sostituzionale della quantificazione 22 ; ma un'interpreta-
zione della quantificazione così dipendente dalle risorse
del linguaggio non sembra molto in sintonia con gli
orientamenti generali di Frege.
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La semantica che Frege elabora in una serie di articoli
pubblicati attorno al 1890 avrà il compito (anche se, forse,
non l'unico compito) di dissipare queste perplessità, ed altre
che emergeranno nella successiva opera I fondamenti del-
!'aritmetica: il risultato di questo lavoro di chiarificazione
sarà una revisione della logica dell'Ideografia, che Frege
esporrà nei primi 52 paragrafi del primo libro dei Principi.
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concetto" (in termini estensionali potremmo parlare di di-
stinzione tra "appartenere all'estensione di un concetto" e
"essere incluso nell'estensione di un concetto"): Socrate ca-
de sotto il concetto di bianco, ma il concetto di uomo è su-
bordinato a quello di animale.
Interpretare (III) con (iii) mostra che, come si è detto,
l'esistenza è una funzione di secondo grado, ed inoltre che i
giudizi di esistenza hanno la forma di giudizi particolari: in-
fatti sia (iii) che (3x)(Ax " Cx) [ = Qualche A è CJ sono for-
mati da un quantificatore esistenziale il cui ambito è costitui-
to da una funzione di primo grado.
L'interpretazione di (IV) con (iv) richiede qualche com-
mento. Frege, infatti, discute abbastanza a lungo i giudizi
come (IV) nell'inedito, anteriore al 1884, Dialogo con Punjer
sull'esistenza (cfr. Scritti postumi, pp. 137-55). In questo
scritto Frege osserva, kantianamente, che il predicato di esi-
stenza non aggiunge nulla a ciò di cui viene predicato, e che
asserire l'esistenza di A equivale ad asserire l'identità di A
con se stesso: "A esiste" e "A=A" hanno lo stesso signifi-
cato, ed è impossibile negare uno dei due (qualunque termi-
ne individuale si prenda la verità di entrambi è immediata -
sono cioè enunciati "autoevidenti"). Ne consegue che i ter-
mini singolari privi di riferimento devono essere banditi.
Tuttavia, anche se tutti i termini singolari, usati in quanto
tali, debbono avere un riferimento, niente esclude che si
possa utilizzare un termine singolare privo di riferimento co-
me parte di un termine concettuale. Frege, nel contesto di
una discussione sull'impossibilità che i termini singolari
compaiano in posizione predicativa (cfr. Oggetto e concetto,
p. 362), osserva che "La stella del mattino è Venere" può es-
sere inteso non solo come un giudizio d'identità [cfr. (v)] ma
anche come l'espressione del fatto che la stella del mattino
cade sotto il concetto r essere uguale a Venere, 24 ; inoltre, in
una nota al§ 10 del primo volume dei Principi, troviamo che
24 Se "A" è una data espressione r A, indica il valore semantico del-
l'espressione "A" stessa: la funzione "essere non altro che Venere" ha come
valore semantico il concetto r essere non altro che Venere, . Questo sugge-
rimento freghiano è stato adottato e sviluppato da altri - cfr. ad esempio
Quine [1960], §§ 37-38.
33
Mauritius_in_libris
il concetto sotto cui cade il solo oggetto A è r essere uguale
ad A,: se dunque interpretiamo "Venere esiste" come
"Qualcosa è uguale a Venere", "Venere esiste" vorrà dire
che qualcosa cade sotto il concetto r essere uguale a Ve-
nere, . Ora, se il termine singolare A non ha un riferimento,
il concetto r essere uguale ad A, è vuoto, ma Frege non
estende ai termini concettuali vuoti il bando comminato a
quelli singolari privi di riferimento, anzi ritiene i primi
indispensabili anche in una lingua logicamente perfetta. In
conclusione, il predicato di esistenza di primo grado "esiste-
re", che si era rivelato privo di contenuto, viene sostituito
con un predicato di esistenza di secondo grado, dotato inve-
ce di contenuto perché (3x)(x=A) è falso quando A è privo
di riferimento: interpretare (IV) mediante (iv) significa l'eli-
minazione dell'esistenza di primo grado, e la sua sostituzione
con quella di secondo grado.
La distinzione freghiana tra i vari significati di "essere" ha
avuto, al di là di questi dettagli esegetici, un notevole impat-
to sulla successiva filosofia di stampo analitico, al punto che
la necessità di distinguere le varie accezioni di "essere" -
anche se non sempre in accordo con Frege - è diventata un
luogo comune (cfr. ad esempio la proposizione 3.323 del
Tractatus di Wittgenstein). Di riflesso si è cominciato a rim-
proverare i filosofi del passato perché, non avendo compre-
so ciò, erano incappati in una serie di disastrose confusioni:
in particolare questa accusa è stata mossa ai padri fondatori
dell'ontologia, gli antichi filosofi greci. In che misura essa sia
giustificata, è difficile a dirsi: per quel che riguarda Aristote-
le, egli, indubbiamente, non distingue tra (I) e (Il); man-
tiene, almeno nel caso dell'identità accidentale, il paralleli-
smo tra (III) e (V) - nel senso che l'identità di una sostanza
con un paronimo equivale alla predicazione relativa a questa
sostanza dell'universale da cui il paronimo deriva; non di-
stingue tra (III) e (IV), anche se esiste una distinzione tra
"essere" de secundo adiacente [(III) e (IV)] e de tertio adia-
cente [(I) e (II)]. Ma soprattutto non sembra molto sensato
né rivolgere questa accusa ad Aristotele, né difenderlo po-
nendosi sullo stesso piano delle obiezioni che gli vengono
mosse: le distinzioni "aristoteliche" che abbiamo appena
34
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elencato, derivando, con un certo sforzo interpretativo, da
passi sparsi delle sue opere, sembrano più frutto della nostra
volontà di trovarcele che delle intenzioni dello stesso Aristo-
tele; e, comunque, le autentiche distinzioni aristoteliche so-
no altre (l'essere delle dieci categorie, l'essere accidentale,
etc.). È stato anche sostenuto, con motivazioni di tipo lin-
guistico e concettuale (cfr. ad esempio Kahn [1973]), che
nella lingua greca, in generale, non è possibile individuare si-
gnificati distinti del verbo essere senza snaturarne l'uso, e
che il peculiare interesse della filosofia greca risiede proprio
in questa indistinzione: si tratta, comunque, di questioni di
una tale complessità da rendere impossibile affrontarle qui, e
che, in fin dei conti, riguardano Frege solo marginalmente.
35
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dità degli assiomi e della regola d'inferenza [ad esempio è
solo la spiegazione informale stÙ significato del segno di con-
dizione che ci permette di riconoscere la validità del primo
assioma freghiano a~(b ~a)].
Nelle presentazioni attualmente standard dei sistemi as-
siomatici di logica ciò che corrisponde alle illustrazioni fre-
ghiane rientra nel metalinguaggio, una parte in quello sintat-
tico, come regole di formazione o come regole di derivazio-
ne; un'altra parte in quello semantico. Così, ad esempio, il
modo in cui un giudizio condizionale è costruito farà parte
delle regole di formazione; mentre la definizione del segno
di condizione, essendo, in pratica, una tavola di verità, farà
parte del metalinguaggio semantico, come pure l'espressione
del fatto che a questo segno viene associata questa determi-
nata tavola di verità.
Elenchiamo infine gli assiomi del sistema esposto nel-
1'Ideografia 26 :
(1) a~(b~a)
(2) (a~(b~c))~((a~b)~(a~c))
(3) (a~(b~c) )~(b~(a~c))
(4) (a~b)~(-,b~.....,a)
(5) .....,.....,a~a
(6) a~.....,.....,a
(7) c=d~(fc~fd)
(8) c=c
(9) ('v'x)(fx)~fc
duali, predicative o funtoriali a secondo dei contesti (dr. cap. I, 2): in (1)-
(6), ad esempio, le variabili sono sempre precedute (nella notazione origina-
ria di Frege) dal segno di contenuto, e quindi non possono stare che per
contenuti giudicabili. In (9) f sta per una funzione qualunque, quindi, poi-
ché le funzioni non sono tutte di primo grado, non è detto che la quantifica-
zione sia sempre del primo ordine: è necessario allora stipulare che la varia-
bile vincolata x, che si usa di solito in una quantificazione del primo ordine,
venga qui utilizzata anche in quantificazioni di ordine superiore.
36
Mauritius_in_libris
sibile, infatti, fare a meno della regola di sostituzione, e, so-
prattutto, com'è possibile sviluppare la teoria della quantifi-
cazione a partire soltanto da (9)? Ma non si tratta di una svi-
sta, perché, in realtà, la regola di sostituzione e quelle per i
quantificatori sono implicite nel fatto che l'uso delle lettere
latine comporta un'interpretazione di generalità. Infatti
- fc ha lo stesso significato di ('v'x)(fx), purché si quantifi-
chi su ogni occorrenza di e: quindi la regola
1-fc
1-('v'x)(fx)
è ovviamente valida;
- quindi da I- d~fc segue I- ('v'x)(d~fc) - sempre se si
quantifica su ogni occorrenza di c; tuttavia, se c non
compare in d, nulla impedisce di restringere l'ambito
della quantificazione alla sola fc: ne consegue che anche
la regola (con le relative condizioni)
1-d~fc
I- d~('v'x)(fx)
è valida;
- infine le lettere latine minuscole possono essere sostituite
da espressioni convenienti (ad esempio, dopo il segno di
contenuto una lettera latina minuscola può essere sosti-
tuita solo da un segno che si riferisca ad un contenuto
giudicabile), e questo ci dà la regola di sostituzione.
37
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(iniziata dall'inglese Boole 27 , sviluppata in Inghilterra da De
Morgan, Venn ed altri; negli Stati Uniti soprattutto da Peirce;
ed in Germania soprattutto da Schroder). Semplificando al
massimo, l'algebra di Boole può essere considerata una sorta
di calcolo universale in cui i segni sia delle operazioni che di
ciò cui esse si applicano sono suscettibili di interpretazioni
diverse, ma regolate quasi dalle medesime leggi:
interpretazioni
simboli
numerica terministica 28 proposizionale
X, y, ... numeri classi proposizioni
+ somma unione disgiunzione 29
X prodotto intersezione congiunzione
1 1 universo vero
o o classe vuota falso
= ident. num. ident. di classi equivalenza
sionale.
" Esclusiva: infatti la somma di due proposizioni vere sarebbe 2, e que-
sto ci porterebbe fuori dall'algebra a due valori.
38
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scritti rimasti in buona parte inediti 30 , le differenze tra la
"logica calcolistica" di Boole e la sua Ideografia (e la supe-
riorità di quest'ultima)
l'Ideografia è un mezzo per esprimere un contenuto in
maniera più esatta che non nelle lingue naturali, mentre
l'algebra di Boole è una tecnica per la risoluzione dei
problemi logici: il programma di Boole concorda quindi
con quello di Leibniz solo per quel che riguarda la co-
struzione di un calcolo, non per quel che riguarda il pro-
getto di una "lingua caratteristica";
l'algebra di Boole rappresenta solo un metodo di combi-
nare insieme, tramite equazioni ed operazioni, concetti
già dati, ma non è in grado di introdurre, in maniera pu-
ramente formale, concetti realmente nuovi (certamente,
dati "uomo" e "bianco", è possibile formare il concetto
"uomo bianco", ma i concetti realmente importanti non si
ottengono in questa maniera puramente combinatoria 31 );
l'algebra di Boole è inadatta a dimostrare che l'aritmetica
si basa sulle pure leggi del pensiero, dal momento che
presuppone sia la notazione sia i concetti dell'aritmetica:
è necessario invece escogitare segni per le relazioni logi-
che che non si confondano con quelli degli enunciati
aritmetici;
'° Cfr. gli inediti freghiani, rispettivamente del 1880/81 e del 1882, La lo-
gica calcolistica di Boole e l'Ideografia e Il formulario logico di Boole e la mia
Ideografia (in Scritti postumi, rispettivamente pp. 77-128 e pp. 129-36). La
recensione di Schroder che costituì loccasione per questi scritti era apparsa
nel 1880 in "Zeitschrift fur Mathematik und Physik", XXV, pp. 81-94. Si
tratta di scritti che Frege aveva a più riprese tentato, invano, di far pubbli-
care: un primo assaggio del modo in cui la comunità scientifica avrebbe ac-
colto la sua opera!
"Il metodo tradizionale per formare concetti nuovi era, o combinare in-
sieme concetti già dati, oppure ottenere concetti più generali a partire da
concetti dati, mediante eliminazione di alcune delle note caratteristiche.
Frege ritiene questo metodo sostanzialmente sterile: nell'Ideografia sottoli-
nea la fruttuosità di operare attraverso la scomposizione dei giudizi (cfr.
cap. I, 2) e, nella terza parte, ne dà un saggio definendo in termini pura-
mente logici la nozione di "seguire in una successione". Vedremo nel capi-
tolo successivo come funziona, in pratica, il metodo di Frege.
39
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la logica di Boole non realizza la fusione tra logica dei
giudizi (stoica) e logica dei concetti (aristotelica), ma si
limita a fare dell'una l'immagine speculare dell'altra 32 •
40
Mauritius_in_libris
no uniformarsi. Non è possibile discutere qui quale sia il
modo storicamente più corretto di intendere Boole; in ogni
caso è chiaro che Frege propende per la seconda di queste
interpretazioni, e, di conseguenza, rimprovera Boole per
aver fatto della logica una parte della matematica, riducendo
le leggi del pensiero a semplici tecniche di calcolo, la logica
all'aritmetica. Per Frege, al contrario, l'aritmetica è logica:
mostrare la plausibilità di questa tesi sarà lo scopo della se-
conda delle sue grandi opere, I fondamenti dell'aritmetica.
41
Mauritius_in_libris
È quasi inevitabile, se ci si mette da un punto di vista in-
fluenzato dalle successive indagini fondazionali, interpretare
questo come un processo motivato dall'ideale epistemologi-
co di rigorizzare i concetti fondamentali della matematica, il
cui naturale completamento avrebbe quindi dovuto essere
una definizione rigorosa della base di tutto, cioè dei numeri
naturali.
Se così fosse, però, non si spiegherebbe l'assoluta man-
canza d'interesse con cui la comunità scientifica accolse sia il
tentativo freghiano di definire i numeri naturali, sia quello
successivo di Dedekind, per quanto di impostazione meno
"filosofica": ed è, per contrasto, significativo che la defini-
zione dedekindiana di numero irrazionale abbia avuto inve-
ce una vasta notorietà ed in seguito sia stata largamente ac-
cettata. In realtà tra il programma di aritmetizzazione del-
1' analisi e i tentativi di definire i numeri naturali esisteva una
differenza di fondo: definire infinitesimi, numeri irrazionali,
etc. in termini di oggetti matematici più semplici e meno
problematici aveva il duplice scopo di evitare brutte sorpre-
se (del tipo appunto di quelle causate da un uso troppo di-
sinvolto degli infinitesimi) e di trovare nuovi metodi per ri-
solvere vecchi e nuovi problemi "interni" alle varie discipli-
ne matematiche 3 • Al contrario i numeri naturali erano con-
siderati enti matematici sicuri ed una loro definizione rigoro-
sa non era in grado, né pretendeva di esserlo, di fornire solu-
zioni a questioni strettamente matematiche; tanto più che
pareva inevitabile, data la basilarità della nozione di numero
naturale, dover fare appello, nel definirli, a considerazioni
estranee alla matematica stessa: in breve, la definizione dei
42
Mauritius_in_libris
numeri naturali non faceva parte del programma di aritme-
tizzazione dell'analisi.
punto di vista
verità
logico epistemologico ontologico
di ragione analitica a priori necessaria
di fatto sintetica a posteriori contingente
' Non della geometria. In diversi punti dei Fondamenti (cfr. § 13, pp.
240-41 e§ 89, p. 330) Frege dichiara esplicitamente che le opinioni di Kant
sulla geometria sono sostanzialmente corrette.
43
Mauritius_in_libris
cose in cui esse fossero false. Al contrario le verità di fatto
sono sintetiche perché il predicato non rientra nella nozione
del soggetto; a posteriori perché, in tal caso, solo l'esperien-
za ci può dire se il predicato è congiunto o meno al soggetto;
contingenti perché ciò che è solo di fatto vero può risultare
falso in uno stato di cose differente.
Kant rompe il parallelismo fra questi tre punti di vista in-
troducendo la classe dei giudizi sintetici a priori. Lasciando
da parte la fisica e la geometria, ciò cui siamo qui interessati
è la tesi kantiana sul carattere sintetico a priori delle leggi
dell'aritmetica, in particolare delle identità numeriche.
L'identità 7+5=12 - dice Kant (cfr. Crit. Rag. Pura, 2• ed.
Introd. V) - non è analitica perché "il concetto della som-
ma di 7 e 5 non racchiude altro che l'unione di due numeri
in uno solo, senza che perciò venga assolutamente pensato
quale sia questo numero unico ... ". Nella Logica di Kant tro-
viamo (cfr. § 6) che i concetti sono prodotti dall'intelletto a
partire da rappresentazioni date, operando su di esse me-
diante comparazione, riflessione ed astrazione: così il con-
cetto di un dato numero sarà la rappresentazione di ciò che
è comune a più aggregati (ad esempio ciò che hanno in co-
mune 7 mele e 7 serpenti), ed il concetto della somma di
7+5 la rappresentazione di ciò che è comune agli aggregati
formati a partire da coppie di aggregati rispettivamente di 7
e 5 elementi. Ma nulla ci dice che questa rappresentazione
abbia qualcosa a che vedere con quella di ciò che è comune
agli aggregati composti di 12 elementi 5, a meno che non si
faccia la costatazione empirica che due mucchietti, di 7 e 5
elementi rispettivamente, messi insieme ne danno regolar-
mente uno di 12. Questa deroga dal carattere a priori della
matematica non è tuttavia necessaria. Se infatti il numero
non viene inteso come concetto, ma (cfr. il capitolo sullo
schematismo trascendentale) nel senso di una "rappresenta-
44
Mauritius_in_libris
zione che comprende la successiva addizione di uno ad uno"
(cfr. Crit. Rag. Pura, 2' ed. Anal. Trasc. II, 1), ossia, si po-
trebbe dire, come indice delle volte che loperazione di ag-
giungere un elemento ad una successione è stata applicata, la
somma di 7 e 5 indica allora che questa operazione di ag-
giunzione successiva è stata compiuta prima 7 e poi 5 volte.
Ma questo è esattamente ciò che indica anche il numero 12:
nella costruzione di 12 mediante loperazione di aggiunzione
successiva è compreso (anche) il fatto che prima ripeto
l'operazione 7 volte, poi altre 5. Per Kant, tuttavia, questo
modo di intendere i numeri non è "concettuale": non è in-
fatti il risultato di operazioni su rappresentazioni date, ma la
costruzione di una pura (non empirica) successione, ossia
una sintesi che avviene nell'intuizione pura del tempo. In
conclusione: l'identità 7+5=12 è sintetica perché solo la co-
struzione dei numeri come sintesi pura secondo il tempo ne
garantisce la verità a priori.
È facile fraintendere Kant: se ci si limita alla Sezione V
dell'Introduzione, sembra infatti che per "provare" 7+5=12
sia necessario avere un'intuizione a priori di 12 puntini in fi-
la (o qualcosa del genere). Lo stesso Frege intende Kant in
questo modo, ed osserva quindi - giustamente, date le pre-
messe - che ciò ha un minimo di plausibilità solo se si trat-
ta di numeri piccoli e che "è chiaro che Kant ha tenuto con-
to soltanto dei numeri piccoli" (Fond. § 5, p. 227). Peccato
che Kant scriva espressamente che il carattere sintetico di un
enunciato dell'aritmetica "si fa tanto più manifesto, quanto
più alte sono le cifre che si prendono" (Crit. Rag. Pura, 2'
ed. Introd. V)! Questo vuol dire confondere lo schema con
l'immagine: i 12 punti in fila, o le dita della mano, sono
un'immagine del numero, ma il numero in sé è lo schema
puro della quantità, la rappresentazione di un'operazione.
In un altro passo dei Fondamenti (§ 88, pp. 328-29) Fre-
ge mostra però di rendersi conto che il vero punto della que-
stione è la formazione dei concetti: se il metodo è quello de-
scritto da Kant nella sua Logica, la tesi che le identità aritme-
tiche non sono analitiche appare piuttosto ben fondata. Se il
numero è una rappresentazione dell'iterazione di un'opera-
zione, è essenziale, per la sua definizione, disporre del con-
45
Mauritius_in_libris
cetto (in senso kantiano) di "seguire in una successione", ma
appunto il modo in cui secondo Kant si formano i concetti
rende impossibile ridurre questa nozione a concetto: nel
quadro della filosofia kantiana l'unica alternativa praticabile
è spiegarla in termini di sintesi a priori dell'intuizione pura.
Frege, da parte sua, ha già mostrato nell'Ideografia che co-
struire i concetti per astrazione è solo uno dei modi, e dei
meno fecondi, di fare ciò, e che un metodo realmente pro-
duttivo è invece ricavarli dalla scomposizione degli enuncia-
ti. Ma questo comporta una revisione della nozione stessa di
analiticità. Infatti un concetto ricavato tramite una simile
scomposizione è difficilmente riducibile ad un prodotto lo-
gico (per dirla in termini di algebra della logica) di note ca-
ratteristiche: pertanto, se si vuole mantenere la nozione di
analiticità come verità su basi puramente logiche, è inevita-
bile abbandonare la definizione di giudizio analitico in ter-
mini di predicato contenuto nel soggetto (che aveva il suo
fondamento nell'analisi "soggetto-predicato" dei giudizi).
Per Frege, in fin dei conti, quelli analitici restano sempre i
giudizi veri su basi puramente logiche, ma laccertamento di
ciò non passa più attraverso il semplice esame delle note ca-
ratteristiche dei concetti occorrenti nel giudizio, richiede
piuttosto la dimostrazione che un dato giudizio è una conse-
guenza delle leggi fondamentali del pensiero.
Come si è detto all'inizio del paragrafo, lo scopo di Frege
era dimostrare appunto lanaliticità dell'aritmetica, ossia -
ora è chiaro perché - la riconducibilità dei giudizi aritmeti-
ci alle leggi fondamentali del pensiero. Nella terza parte
dell'Ideografia Frege aveva già compiuto un primo passo di-
mostrando che "seguire in una successione" poteva, in gene-
rale, essere definito facendo ricorso alla nozione di proprietà
ereditaria in una successione determinata da una relazione f
(proprietà f-ereditaria) cfr. cap. II, 7. Ma questo era solo un
primo passo: nulla escludeva ancora, infatti, che fosse im-
possibile definire in termini puramente logici quella partico-
lare relazione f da cui la successione dei numeri naturali era
determinata, e che quindi il ricorso a qualcosa come l'intui-
zione pura di Kant si sarebbe alla fine rivelato necessario.
Compito dei Fondamenti sarà dimostrare (in maniera infor-
46
Mauritius_in_libris
male - cioè senza esporre tutti i passaggi nel linguaggio ri-
goroso dell'Ideografia) che una simile definizione in termini
puramente logici era invece possibile.
Frege non esclude il sintetico a priori dal campo della ma-
tematica, ma lo confina nell'ambito delle verità geometriche.
Per capire le ragioni di questa tesi freghiana bisogna tener
presente che, mentre la riduzione dell'aritmetica alle leggi
fondamentali del pensiero significa che è contraddittorio as-
sumere la negazione di un enunciato aritmetico, al contrario,
come le geometrie non euclidee avevano dimostrato, è perfet-
tamente possibile negare il postulato delle parallele senza in-
correre in una contraddizione, e quindi il contenuto della
geometria, pur essendo a priori, non può essere totalmente
logico (cfr. Fond. §§ 13 e 89). Una verità, dunque, è sintetica
a priori quando ciò di cui parla non è definibile con mezzi
puramente logici, ma la sua conoscenza non si fonda, in linea
di principio, sull'esperienza. Questa, tutto sommato, può es-
sere un'interpretazione accettabile delle motivazioni che ave-
vano indotto Kant ad introdurre la nozione di sintetico a
priori: se è così, Frege concorda con Kant sul significato ge-
nerale di questa nozione, ma è in disaccordo sulla sua esten-
sione perché ritiene la possibilità di definire in termini pura-
mente logici molto più ampia di quanto credesse Kant.
Un'ultima osservazione: le sue opinioni sulla geometria dimo-
strano chiaramente che, contrariamente a quanto spesso si
sostiene, per Frege analitico e a priori non coincidono: l'ana-
litico è sempre a priori, ma il contrario non è vero.
6 Frege non intende negare che la formazione empirica della nostra rap-
48
Mauritius_in_libris
ma una simile generalità non può essere spiegata se il
numero è qualcosa di ricavato dall'esperienza delle co-
se esterne (Fond. § 24, pp. 252-54).
7 Nel Pensiero (cfr. pp. 24-29) Frege distinguerà piuttosto tra il soggetti-
49
Mauritius_in_libris
Si tratta del ben noto antipsicologismo di Frege. Nei Fon-
damenti la polemica antipsicologistica viene per lo più man-
tenuta su linee molto generali; ne troviamo invece un saggio
molto più particolareggiato nella recensione (del 1894) alla
Filosofia dell'aritmetica di Husserl, recensione nella quale il
ricorso alla psicologia viene interpretato da Frege come la
via d'uscita dalle inevitabili aporie in cui si cade intendendo
i numeri come proprietà delle cose (tesi del gruppo (B), ora
qualificate come "concezione ingenua del numero"). Aveva-
mo già osservato (cfr. cap. I, 2) che la formazione dei con-
cetti per astrazione è una tipica mossa psicologistica, che ri-
duce il concetto ad una rappresentazione contenente solo i
tratti comuni alla pluralità di items da cui si astrae: se però si
procede all'eliminazione anche di questi tratti comuni ci si
forma, infine, la rappresentazione astratta di moltitudine -
in tedesco Inbegri/f (ossia la rappresentazione di una plura-
lità di items che differiscono tra loro per il solo fatto di esse-
re differenti), la cui forma generale è appunto "questa cosa e
questa cosa e questa cosa, etc." 8 . Se poi, in questa forma ge-
nerale, si toglie l'indeterminazione contenuta nell"'etc." (os-
sia, in parole povere, si particolarizza la forma generale ripe-
tendo un tot di volte "questa cosa"), si ottengono i concetti
dei vari numeri. La via d'uscita dalle aporie di una concezio-
ne ingenua dei numeri è dunque interpretarli non come una
pluralità di oggetti, ma come rappresentazione di una plura-
lità: in questo modo, osserva sarcasticamente Frege, le diffi-
coltà connesse all'intrattabilità degli oggetti reali scompaio-
no, e, se può far scandalo parlare di un cestino di mele come
di un numero, sembra abbastanza innocente considerare nu-
meri gli Inbegri/fe.
50
Mauritius_in_libris
La concezione di Husserl rientra dunque, tramite una
mossa psicologistica, nelle opinioni del gruppo (D). Al di là
della questione dello psicologismo, la tesi secondo cui il nu-
mero è un qualche tipo di pluralità deve affrontare il proble-
ma della natura degli items che ne fanno parte; in base alle
difficoltà connesse alle tesi del gruppo (B) appare d'altra
parte improbabile che possa trattarsi di una pluralità di og-
getti fisici: sarà piuttosto una pluralità di items che, come·
per Husserl, differiscono tra loro per il solo fatto di essere
distinti tra loro, ossia una pluralità di unità.
Secondo Frege, tuttavia, questa nozione di "molteplicità
di cose totalmente indistinte" è incoerente perché la molte-
plicità degli elementi comporta la loro distinguibilità (Fond.
§ 39, p. 273): si tratta di una questione non ignota ai filosofi
(si pensi al leibniziano "principio dell'identità degli indiscer-
nibili" - ed anche alla sezione "Essere per sé" della logica
hegeliana, il cui movimento dialettico mette capo alla defini-
zione dell'unità come "medesimo di molti uni" - cfr. Enc.
§§ 96-100), ma di cui i matematici, con qualche eccezione,
non sembravano preoccuparsi troppo. Dopo aver passato in
rassegna diversi tentativi di superare questa difficoltà e aver-
ne mostrato il fallimento, Frege propone infine la sua solu-
zione.
52
Mauritius_in_libris
appare strano che Frege, dopo aver così enfatizzato questo
principio nei Fondamenti, passi sotto silenzio un cambia-
mento di idee in proposito.
La questione è dunque assai complicata. Tuttavia,
piuttosto che discutere questo principio in astratto 10 ,
sembra opportuno cercare di comprenderne la portata a
partire dall'uso che ne fa Frege nella definizione di numero
naturale.
10 Tanto più che una discussione di questo tipo è pressoché del tutto as-
53
Mauritius_in_libris
di stabilire quali fossero i contenuti delle funzioni e de-
gli argomenti (cfr. cap. I, 5). Nella lettera del 29 agosto
1882 a Marty Frege distingue tra oggetto e concetto: egli
scrive che "il concetto è insaturo in quanto richiede che
qualcosa cada sotto di esso, non può perciò reggersi di per
se stesso. Ora, che un individuo cada sotto di esso, è un
contenuto giudicabile, e il concetto appare perciò come pre-
dicato ed è sempre predicativo" (Epist. p. 135). Anche se in
questa lettera Frege non lo dice espressamente, possiamo
supporre che l'oggetto sia invece definito, per contrapposi-
zione, come ciò che è saturo e non è mai predicativo. Poiché
nell'Ideografia Frege ha analizzato i giudizi in termini di "ar-
gomento-funzione", il carattere predicativo dei concetti si-
gnificherà che essi sono il contenuto delle funzioni, mentre il
contenuto degli argomenti dovrebbe essere dato dagli ogget-
ti 12 • Questo è il significato del terzo canone fondamentale
dei Fondamenti (p. 219): "Tenere presente in ogni caso la
differenza tra concetto ed oggetto".
Torniamo ora all'esempio dell'Iliade, ed al fatto che può
essere numerata come 24 canti oppure come n versi (noi di-
ciamo infatti "Questo è un poema", "Questi sono 24 canti",
etc.). La "cosa Iliade" (usiamo questo modo di esprimerci in
mancanza di meglio) non ha con ciò subito mutamenti, ma è
cambiata solo la denominazione; ed il cambio della denomi-
nazione mostra che è avvenuto il rimpiazzamento di un con-
cetto con un altro 13 : poiché le diverse attribuzioni numeriche
dipendono dalla diversità dei concetti, appare plausibile sup-
porre che "le attribuzioni di un numero contengono un'as-
serzione riguardante un concetto", ossia l'asserzione che sot-
12 Questo è vero nel caso delle funzioni di primo grado, ma non per gli
54
Mauritius_in_libris
to un dato concetto cade un certo numero di oggetti. Biso-
gna tener presente che in questa argomentazione la "cosa
Iliade" dev'essere intesa come un "oggetto fisico", non come
il riferimento del nome "Iliade": infatti il riferimento di que-
sto nome è un poema, e non può essere denominato median-
te "24 canti" più di quanto l'uomo Aristotele (riferimento
del nome "Aristotele") possa essere denominato "mucchio di
molecole". In altre parole, in base ai count names utilizzati
(poema, canto, verso), lo stesso oggetto fisico può essere in-
teso come un'unità o com-: molteplicità diverse tra loro; ma,
in quanto semplicemerile oggetto fisico, non è, a voler essere
precisi, il riferimento di nulla, ed in effetti Frege, nei suoi
esempi, si riferisce all'oggetto fisico in quanto tale attraverso
dimostrativi (Fond. § 46, pp. 281-83). Il fatto che le attribu-
zioni numeriche contengano un'asserzione relativa ai concet-
ti, infine, non comporta una soggettivizzazione del numero
(come in effetti era stato sostenuto - cfr. le tesi del gruppo
(C)), dal momento che i concetti sono altrettanto oggettivi
degli oggetti fisici (che, in più, sono reali - cfr. nel cap. II,
2 le spiegazioni dei termini "oggettivo" e "reale").
Se è vero che le attribuzioni numeriche contengono un'as-
serzione riguardante un concetto, appare allora del tutto na-
turale cercare di definire i numeri contestualmente, ossia tra-
mite una o più clausole che, invece di dirci esplicitamente
cosa sono i numeri e qual è il significato di un'espressione
numerica, ci permettano di eliminare le espressioni numeri-
che stesse, dandoci, per ogni enunciato in cui ne compare
qualcuna, un altro equivalente che non ne contiene nessuna.
Un esempio classico di definizione contestuale è quella rus-
selliana delle descrizioni definite
ma solo per avanzare delle critiche che, almeno dal suo pun-
to di vista, ne mostrano l'inadeguatezza (Fond. § 56, p. 293).
Per Frege, infatti, un concetto F risulta ben definito se e
solo se esiste un criterio che, per ogni cosa, permette di deci-
dere, almeno in linea di principio, se cade o non cade sotto
F: quindi (1)-(3) non costituiscono una definizione adeguata
del concetto di numero naturale. Certo, potremmo dire "x è
un numero naturale se e solo se esiste un concetto F cui
spetta x": ma allora, per stabilire l'evidente verità che Giulio
Cesare non è un numero naturale, dovremmo dimostrare
che, per ogni F, "Al concetto F spetta Giulio Cesare" è fal-
so; e ciò è impossibile perché (1)-(3) ci danno un equivalente
per (e, di conseguenza, ci permettono di valutare solo) que-
gli enunciati, del tipo "Al concetto F spetta n", dove
"n" è un numerale in notazione standard, ad esempio
"l+l+l+ ... ".
Inoltre la stessa espressione "il numero naturale che spet-
ta al concetto F" non è giustificata. Grammaticalmente si
tratta, infatti, di un termine singolare (come appare chiaro
dal fatto che è introdotto dall'articolo determinativo), che ri-
sulta giustificato solo quando si può mostrare che si riferisce
esattamente ad un oggetto; ma, poiché sulla base di (1)-(3),
non esiste modo di provare che, se a F spettano sia il nume-
56
Mauritius_in_libris
ro m che il numero n, vale m=n, non sappiamo se l'e-
spressione "il numero naturale che spetta a F" si riferisce ad
un solo oggetto.
" Nei Fondamenti l'identità continua ad essere una relazione tra segni
come nell'Ideografia. La diversa concezione dell'identità nell'opera successi-
va di Frege lascia però questo argomento sostanzialmente inalterato: del re-
sto anche nell'Ideografia l'uso di segni diversi era giustificato dal fatto che
essi esprimevano (per usare la successiva terminologia) sensi diversi; ed an-
che qui la centralità dell'identità si giustificava con il fat!o che segni diversi
esprimevano diversi modi di riconoscimento dell'oggetto.
16 Un esempio di distinzione tra oggetto indipendente e oggetto "dipen-
57
Mauritius_in_libris
tre parole, permetterci di stabilire la validità o meno delle
identità in cui compaiono termini che si riferiscono ai nume-
ri, ossia fornire le condizioni di verità di tali enunciati, deter-
minandone così il senso. Ne consegue che una definizione
adeguata di numero naturale sarà quella che renderà possi-
bile formulare ed applicare una regola di questo tipo in rela-
zione ai numeri stessi.
Questa è dunque l'applicazione che Frege fa, nei Fonda-
menti, del Principio del Contesto: selezionare, in relazione
al tipo di espressioni di cui dobbiamo stabilire il significato,
una classe di enunciati opportuni e determinarne le condi-
zioni di verità, in maniera da poterne ricavare una definizio-
ne esplicita. È perciò evidente che il Principio del Contesto
non ha nulla a che fare con l'olismo (in nessuna delle sue
forme), e nemmeno con l'idea che un sistema assiomatico
costituisca una definizione implicita: la definizione di nume-
ro naturale non è infatti data dagli assiomi dell'aritmetica,
ma ricavata dall'analisi delle semplici identità numeriche;
anzi Frege, proprio a partire dalla definizione esplicita di
numero naturale, dimostrerà, nei §§ 73-78 dei Fondamenti,
qualcosa di molto simile agli assiomi di Peano (cfr. cap. II,
7). Inoltre anche il contrasto con il Principio di Com-
posizionalità viene appianato: una volta che, a partire da-
gli enunciati selezionati, abbiamo ottenuto il significato di
un'espressione, possiamo servircene per determinare il si-
gnificato di altre espressioni composte in cui essa compare.
Certamente, è necessario che il significato degli enunciati se-
lezionati sia dato in maniera non composizionale (anche se
ciò non esclude la possibilità di ricostruirlo composizional-
mente una volta determinato a partire da essi il significato
delle parti componenti); ma questo è un problema da risol-
vere caso per caso.
58
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6. Un esempio: la definizione della direzione di una retta
61
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Abbiamo così dimostrato che da a//b segue est(//a) =
est(//b).
[da sinistra a destra]
(1) est(/!a) = est(//b) ipotesi
(2) (Vx){x//a -H//b) da (1) per (v)
(3) a/I a -t a//b da (2) e assioma (9) dell'Ideografia
per Modus Ponens
(4) al/a per la riflessività del parallelismo
(5) a//b da (3) e (4) per Modus Ponens.
nulla a che vedere con larbitrarietà dei segni: si tratta infatti di stabilire se il
condottiero romano possa essere la direzione di una retta, non se "Giulio Ce-
sare" possa essere utilizzato come nome della direzione di una retta Oa possi-
bilità di un uso deviante del linguaggio resta sempre aperta, ma è innocua).
62
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7. La de/inizio ne di numero naturale
64
Mauritius_in_libris
n sia il numero che spetta a F: n sarà allora l'estensione del
concetto r equinumeroso a F,.
Per lo O la cosa è presto fatta. O è il numero che spetta ad
ogni concetto vuoto (ossia sotto cui non cade nulla), ed in
particolare ai concetti che sono vuoti per ragioni puramente
logiche 21 , come r diverso da se stesso, (è importante che sia
così, se avessimo scelto, ad esempio, r satellite di Venere,,
la definizione dello O sarebbe dipesa dal fatto empirico che
Venere non ha satelliti); avremo allora
(xii) O= est(r equinumeroso a 'diverso da se stesso',).
Bisogna ora mostrare che questa definizione non dipende
dal concetto scelto, che cioè ogni altro concetto vuoto sareb-
be andato altrettanto bene. Infatti se F è vuoto, allora si di-
mostra facilmente che è equinumeroso a r diverso da se stes-
so,; per (xi) le estensioni di r equinumeroso a 'diverso da
se stesso', e di r equinumeroso a F, sono uguali: perciò,
per (xii)
(xiii) O= est(r equinumeroso a F,).
65
Mauritius_in_libris
(o ereditario nella $-successione) se e solo se tutti i <!>-
successori immediati di un x che cade sotto F cadono
anch'essi sotto F - in simboli
(j) (Vx)(Fx~(Vy)(<1>(x,y)~Fy));
66
Mauritius_in_libris
e, mediante l'equivalenza
(xv) x appartiene alla f-successione che termina con m se e
solo se x <r m v x=m,
il concetto r appartenere alla f-successione che termina con m,.
Naturalmente tutto ciò non ci dà ancora la f-successione,
dal momento che non sappiamo se esistono concetti e oggetti
che rendono vero (xiv): ad esempio, sappiamo che esiste il nu-
mero O, ma non sappiamo se esiste qualche n per cui vale
f(O,n). Tuttavia sappiamo già che f(m,n) è una relazione 1-1 e
che vale m=M. Supponiamo infatti che f(m,n) e f(m,q): allora
esisteranno due concetti F e G e due oggetti rispettivamente a
e b tali che n spetta a F e q spetta a G, mentre m spetta sia a
F. sia a Gb, che saranno perciò equinumerosi; di conseguenza
saranno equinumerosi anche F e G, e perciò n=q. D'altra par-
te, se f(m,n), allora m;t:n: se infatti m=n, e n spetta al concetto
F, allora, per qualche oggetto a, F e F. dovrebbero essere
equinumerosi; ma questo, trattandosi di concetti finiti, è im-
possibile. Sappiamo inoltre che se f(m,n) e f(q,n), allora m=q.
Infatti, se n spetta al concetto F e valgono f(m,n) e f(q,n), allo-
ra esisteranno concetti F. e Fb cui spettano rispettivamente m
e q: quindi m=q. In conclusione, per usare le parole di Frege,
la relazione f(m,n) è univoca in entrambe le direzioni (Fond.
§ 78, p. 319). Possiamo perciò dire che, qualora esista un n ta-
le che f(m,n), n è l'f-successore immediato di m.
Per dimostrare l'esistenza dell'f-successore immediato di
un dato numero m ci serviremo del concetto r appartenere
alla f-successione che termina con m, e dello stesso numero
m. Osserviamo in primo luogo che, qualora la successione
<0, ... ,m> sia stata definita, varrà che, se
(xvi) il numero che spetta al concetto r appartenere alla
f-successione che termina con m, (in breve al concetto
f<O,m>) è l'f-successore immediato di m (diciamo m'),
allora
(xvii) il numero che spetta al concetto r appartenere alla
f-successione che termina con m', è l'f-successore
immediato di m' (diciamo m").
67
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Infatti la validità di (xvii) significa, in base a (xiv), che
vale
(xviii) (3.'T)(3x)(x è un oggetto che cade sotto 'FA il numero
che spetta al concetto f<O,m'> spetta a 'FA m' è il nume-
ro che spetta al concetto .'T).
68
Mauritius_in_libris
In base a (ix) avremo
(xxi) 1 = est(r equinumeroso al concetto 'appartenere alla
f-successione che termina con O', );
(xxii) 2 = est(r equinumeroso al concetto 'appartenere alla
f-successione che termina con 1', ).
" Come si vede, l'infinità di un numero dipende dal fatto che le estensioni
dei concetti cui spetta sono in corrispondenza biunivoca con un loro sottoin-
sieme proprio: in maniera analoga Dedekind definirà l'infinità di una classe.
69
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[la procedura descritta nei passaggi (xix)-(xxii) ci dà
l'esistenza dell'f-successore immediato per ogni numero
naturale n - se n è finito il successore è diverso da n]
(C) O non è l'f-successore di nessun numero naturale finito;
[basta considerare il modo in cui è definito lo O]
(D) se due numeri naturali finiti hanno f-successori uguali,
sono anch'essi uguali;
[cfr. le osservazioni, poste dopo (xv), sulle caratteristi-
che della relazione f (m,n)].
Inoltre vale
(E) se F è f-ereditario e O cade sotto F, allora tutti i numeri
naturali finiti cadono sotto F.
26 (E) non è altro che una versione del principio di induzione completa:
70
Mauritius_in_libris
vere dell'aritmetica), ma deriva dalle pure leggi del pensiero.
Le sue proprietà fondamentali non sono allora formulate co-
me assiomi, ma dimostrate come teoremi logici: alla descri-
zione si sostituisce la dimostrazione.
8. Frege e Dedekind
27 Di questo saggio esistono due traduzioni italiane, una del 1926 a cura
di Oscar Zariski (Roma 1926), e l'altra, molto più recente, con il titolo Che
cosa sono e a cosa seroono i numeri? in Dedekind Scritti sui fondamenti del-
la matematica, a cura di Francesco Gana (Napoli 1982): nella nostra esposi-
zione faremo riferimento a quest'ultima edizione.
71
Mauritius_in_libris
(5), d'altra parte, corrisponde a (E), ma qui il discorso si
fa più complesso. La ragione per introdurre (5) è, innanzi-
tutto, garantire che N non contenga altro che l'elemento ini-
ziale b e ciò che si ottiene da b mediante un numero finito di
applicazioni di f. Le prime 4 condizioni, infatti, sono suffi-
cienti a stabilire che N contiene una successione di elementi
b, f(b), f(f(b)), f(f(f(b))), etc. tutti diversi tra loro, ma non
escludono che N possa contenere elementi x diversi da b e
dal risultato di applicare n volte fa partire da b: ad esempio
due elementi c, d tali che f(c)=d e f(d)=c; oppure un b' che
origina una successione parallela a quella originata da b. Il
compito di (5) è proprio escludere queste ed altre simili
eventualità: la presenza in N della successione b, f(b), f(f(b)),
f(f(f(b))), etc. è la condizione minima su N perché (1)-(4)
siano soddisfatte, e (5) ci assicura che N non "va al di là" di
questa condizione minima. Da (5), inoltre, segue il principio
di induzione, nella forma (beMA('v'y)(yeM.-+f(y)eM))
.-+Nç;1F8: M è infatti uno degli Z dalla cui intersezione è co-
stituito N.
È ora evidente che (5) ha la stessa funzione della nozione
freghiana di f-ereditarietà: dato un elemento iniziale b ed
una funzione f che soddisfa (1)-(4) ed è f-ereditaria, possia-
mo intendere la dedekindiana classe semplicemente infinita
come la f-successione iniziante da b. Esiste però una diffe-
renza di fondo (a parte la maggior generalità della nozione
di f-ereditarietà): Frege definisce una f-successione di oggetti
logici strutturalmente analoga alla classe semplicemente infi-
nita di Dedekind (ed infatti è possibile dimostrare (A)-(E)),
ma non ritiene che qualunque classe semplicemente infinita
possa rappresentare la successione dei numeri naturali. Al
contrario Dedekind definisce così i numeri naturali:
se in una classe semplicemente infinita N si fa astrazio-
ne 29 dalla natura degli elementi, mantenendo solo la loro
72
Mauritius_in_libris
distinguibilità e le loro relazioni reciproche determinate
da f, allora questi elementi sono detti numeri naturali
(§ 7, 73 - pp. 101-102).
aspramente criticato nei Fondamenti (cfr. cap. Il, 2): infatti il risultato
dell'astrazione di Dedekind non è una classe di unità qualitativamente indif-
ferenti, ottenute eliminando da una certa classe di items tutto ciò che li dif-
ferenzia tra loro, ad eccezione della pura diversità l'uno dall'altro; piuttosto
una classe di items relazionalmente, anche se non qualitativamente, deter-
minati dalla posizione occupata nella successione. Contro questa nozione
sofisticata di astrazione le critiche dei Fondamenti non sono immediata-
mente applicabili.
'°Cfr. Dedekind [1982), p. 152: " ... finché non si fornisce una dimo-
strazione del genere [che esiste una classe semplicemente infinita] è lecito
temere che la definizione precedente di N contenga una contraddizione in-
terna ... ".
73
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blema, e cerca di· dimostrare la coerenza della sua defini-
zione di N provando che esistono classi infinite e che
ogni classe infinita contiene una sottoclasse semplice-
mente infinita (rispettivamente§ 5, 66, pp. 98-99 e§ 6, 72 -
p. 101).
La dimostrazione che esistono classi infinite è la seguente.
Per Dedekind una classe è infinita, per definizione, se può
essere messa in corrispondenza biunivoca con una sua sotto-
classe propria JI. Ora, se S è la classe dei miei pensieri, f(s) =
il pensiero che s può essere oggetto del mio pensiero e S' è la
classe delle f-immagini di S, allora si vede facilmente che esi-
ste una corrispondenza biunivoca tra S ed il suo sottoinsie-
me proprio S' (infatti "il mio proprio lo" è un pensiero che
non è la f-immagine di nessun pensiero, dal momento che
l'Io non può essere il pensiero di un pensiero): quindi S è
una classe infinita, in base alla precedente definizione di "in-
finito". Ora, prendendo come b "il mio proprio lo" e come f
la funzione appena definita, possiamo costruire una sotto-
classe infinita di S che soddisfi le condizioni (1)-(5). Si dimo-
stra poi facilmente che ogni classe infinita possiede una sot-
toclasse semplicemente infinita.
Frege non esamina per esteso la definizione di numero
naturale proposta da Dedekind (i Fondamenti precedono
di quattro anni il lavoro di Dedekind), ma si limita, in una
nota ad un passo della Logica del 1897 (cfr. Scritti Postumi,
pp. 243-44), ad osservare che la dimostrazione dell'esistenza
di una classe infinita proposta da Dedekind richiede, per
essere corretta, che con pensiero si intenda un oggetto
astratto indipendente dal pensare dell'uomo, dal momento
che è evidente che non esiste nessuna infinità attuale di co-
gitationes.
Questa semplice osservazione richiede a sua volta qual-
che ulteriore considerazione. Frege e Dedekind sono d'ac-
" Che le classi infinite avessero questa proprietà era stato osservato da
tempo, ma Dedekind è il primo ad assumere esplicitamente questa pro-
prietà come una definizione dell'infinito (e a dimostrarne la correttezza ri-
cavandone le usuali proprietà dell'infinito). Per Frege, come si è visto, 00 1 è
infinito perché segue se stesso, ma per dimostrarlo è necessario servirsi
dell'equivalenza di una classe infinita con una sua sottoclasse propria.
74
Mauritius_in_libris
cordo sul fatto che l'aritmetica è espressione delle leggi del
pensiero, e che il ricorso ad una qualsiasi forma di intuizio-
ne spaziale o temporale è o superfluo o dannoso 32 • Tuttavia
esiste una differenza sostanziale nel modo di intendere le
"leggi del pensiero": per Dedekind esse sono le leggi del
pensare umano (cfr. p. 80 "i numeri sono libere creazioni
dello spirito umano" - la scienza dei numeri "si basa sulla
capacità di mettere in rapporto cose con cose, di far corri-
spondere una cosa ad un'altra ovvero di rappresentare una
cosa mediante un'altra cosa"), mentre per Frege sono le leg-
gi che governano un mondo di entità oggettive, non prodot-
te dall'attività raziocinante dell'uomo, ma che l'uomo può
comprendere (in questo consiste il pensare). La concezione
delle leggi del pensiero di Dedekind appare dunque più vi-
cina a Kant di quanto lo sia quella di Frege. Questi, infatti,
rifiuta, qui come altrove, di prendere in considerazione una
"terza via" tra il puro e semplice psicologismo e la sua teo-
ria degli oggetti logici, ossia di ammettere lesistenza di una
facoltà trascendentale (non empirica), la quale, determinan-
do le condizioni di possibilità di ogni effettivo atto di pen-
sare, ne stabilisca il carattere oggettivo, non importa se tale
atto venga realmente compiuto. Nella fattispecie si po-
trebbe dire che la riflessività del pensiero è una caratteristi-
ca trascendentale che determina l'esistenza di un'infinità di
atti di pensiero "astratti", indipendentemente dalla loro ef-
fettuabilità empirica. Frege mette perciò Dedekind di fron-
te al dilemma tra assurdità e irrilevanza: assurdità, se si ac-
cetta l'esistenza di un'infinità attuale di cogitationes, irrile-
vanza se si ammette l'oggettività (in senso freghiano) del
pensiero, dal momento che quando abbiamo a che fare con
il pensiero oggettivo il ricorso ad un "io" pensante non di-
mostra nulla.
" Cfr. l'inizio della prefazione alla prima edizione di Che cosa sono e a
che cosa servono i numeri? in cui Dedekind espone la sua concezione del
numero (pp. 79-80): "Già il fatto che io parli dell'aritmetica (algebra, ana-
lisi) solo come di una parte della logica mostra che considero il concetto di
numero del tutto indipendente dalle rappresentazioni o intuizioni dello spa-
zio e del tempo, e che lo ritengo piuttosto un'emanazione diretta delle pure
leggi del pensiero".
75
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9. Frege e Hilbert
" Viceversa non e' è nulla di male se diversi sistemi di oggetti soddisfano
uno stesso insieme di assiomi esprimente proprietà di primo grado: si tratta,
77
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Le critiche di Frege a Hilbert mostrano la consueta luci-
dità e la consueta attenzione per il rigore logico, tant'è vero
che lo stesso Hilbert, anche se interruppe ben presto lo
scambio epistolare con Frege ed in seguito rifiutò la sua pro-
posta di pubblicare il loro carteggio, finì per tenerne conto.
Tuttavia a Frege sfuggì sempre la fecondità matematica e lo-
gica del metodo hilbertiano: da un lato, infatti, questo meto-
do permetteva una grande libertà nella costruzione di nuove
teorie matematiche, svincolandole da limitative considera-
zione di carattere ontologico, e ne consentiva un'applicazio-
ne molto vasta (ad ogni struttura che soddisfaceva appunto
gli assiomi delle suddette teorie); dall'altro, poiché il posses-
so di certi requisiti formali da parte di una teoria, in primis
quello della coerenza, non poteva essere garantito da consi-
derazioni di tipo ontologico (o, come nel caso dell'aritmetica
freghiana, da una presunta corrispondenza con le leggi del
pensiero) la concezione della matematica hilbertiana contri-
buì molto alla nascita e allo sviluppo dello studio metamate-
matico dei sistemi formali.
78
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in una serie di articoli apparsi tra il 1891 ed il 1892 (in parti-
colare in Senso e riferimento), Frege introduce, allo scopo -
principale, anche se forse non unico - di superare queste
difficoltà, la sua famosa distinzione tra senso e riferimento
dei vari tipi di espressioni linguistiche.
Iniziamo con i termini singolari, tra i quali rientrano, ol-
tre ai nomi propri ("Aristotele", "Giulio Cesare", "la
Potemkin"), anche tutte quelle espressioni che, alla stregua
dei nomi propri, si riferiscono ad un oggetto, in primo luo-
go le descrizioni definite 1• Il riferimento 2 di un termine sin-
golare è sempre un oggetto (l'oggetto di cui un nome pro-
prio è appunto nome, o l'oggetto descritto da una descrizio-
ne definita). Che cosa sia un oggetto sembra essere intuiti-
vamente chiaro: il computer con cui scrivo, i libri sul mio
tavolo, i miei figli, etc. sono tutti oggetti; tuttavia, mentre è
facile dare esempi di oggetti, più difficile è dire che cosa, in
generale, essi sono. La risposta di Frege chiama in causa an-
che la nozione correlata di concetto, e perciò ne parleremo
nel paragrafo dedicato al senso e riferimento dei concetti
(cfr. cap. III, 2): per il momento sarà sufficiente la nozione
intuitiva.
Nei casi normali, ogni termine singolare si riferisce dun-
que ad un solo oggetto; tuttavia, in generale, diversi termini
singolari possono riferirsi allo stesso oggetto, ed ognuno di
essi indica anche un modo in cui l'oggetto ci viene dato. Ri-
prendiamo l'esempio del cap. I, 5: il punto di intersezione
delle altezze di un dato triangolo equilatero A e quello delle
sue bisettrici coincidono; quindi "il punto di intersezione
delle altezze di A" e "il punto d'intersezione delle bisettrici
di A" sono termini singolari che si riferiscono allo stesso
punto geometrico attraverso diverse caratteristiche possedu-
79
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te da quel punto, ed esprimono perciò due diversi modi in
cui tale oggetto ci è dato 3 • Per ogni termine singolare A,
dunque, distinguiamo tra l'oggetto nominato da A - il ri-
ferimento di A - e quello, tra i vari modi in cui tale oggetto
ci viene dato, che A esprime - il senso di A (cfr. Sen. eri/.,
pp. 376-77).
Questa maniera di presentare le cose non è sbagliata, ma
può trarci in inganqo e farci erroneamente pensare che la
determinazione del senso passi attraverso l'individuazione
del riferimento. Per Frege è invece vero il contrario: dato un
termine singolare A, ne afferriamo il senso ed attraverso
quest'ultimo individuiamo il riferimento di A. Più precisa-
mente, nel senso di A bisogna distinguere (almeno) tre
aspetti; esso rappresenta, infatti
(a) un modo in cui ci viene dato il riferimento di A;
(b) ciò che viene afferrato nel processo di comprensione di
A4;
(c) ciò tramite cui individuiamo il riferimento di A, e che
costituisce la via di accesso al riferimento di A.
80
Mauritius_in_libris
l'espressione "il più grande numero primo" (priva di riferi-
mento perché si dimostra facilmente che, dato un qualsiasi
numero primo, ne esiste uno maggiore che è primo), cioè di
afferrarne il "senso (b)"; ma è ovvio che questa espressione
non può possedere né un "senso (a)" né un "senso (c)". O
meglio, se riformuliamo (c) nel modo seguente:
(c') [il senso rappresenta] ciò che ci permette di individuare
il riferimento di A, qualora tale riferimento esista, ed è
l'unica via di accesso al riferimento.
possiamo dire che i termini singolari privi di riferimento
possiedono solo il "senso (b)" e "il senso (c')".
Frege è ora in grado di fornire una spiegazione convin-
cente del segno di identità. Il giudizio A=B riguarda solo og-
getti (non concetti o funzioni), e significa che i segni A e B
hanno lo stesso riferimento, ma possono esprimere sensi dif-
ferenti. Nell'Ideografia (cfr. cap. I, 5) la distinzione di senso
e riferimento non era disponibile, quindi esistevano solo due
possibilità: dire che A=B esprime un rapporto tra i contenuti
concettuali dei segni; oppure che riguarda i segni stessi. Nel
primo caso il valore cognitivo di A=B (posto che fosse vero)
e di A=A sarebbe stato lo stesso: poiché Frege considerava,
giustamente, una simile conseguenza assurda, non gli restava
che interpretare l'identità come una relazione tra segni. In
Senso e riferimento, invece, diventa possibile interpretare
l'identità come una relazione tra i riferimenti dei segni per-
ché la differenza in valore cognitivo tra A=A e A=B è garan-
tita dalla differenza dei sensi espressi da A e da B 5 •
La tesi che individuare il riferimento dei termini singolari
richiede, sempre e comunque, il tramite del senso, appare,
almeno prima facie, piuttosto plausibile per quel che riguar-
da le descrizioni definite: molto meno per quel che riguarda
i nomi propri. Questi sembrano piuttosto etichette con le
quali contrassegnamo arbitrariamente gli oggetti, prive di
81
Mauritius_in_libris
ogni contenuto descrittivo intrinseco: Socrate può essere
con ragione chiamato "il maestro di Platone" solo se è l'uni-
ca persona con cui Platone ha studiato la filosofia, ma è
chiamato "Socrate" solo perché qualcuno ha deciso di chia-
marlo così. Fino a Frege questa era, più o meno, la teoria
standard: nel tardo Medioevo i logici dicevano che "bianco"
(ad esempio in "Quel bianco cammina") sta per un indivi-
duo e connota una qualità, la bianchezza, posseduta dall'in-
dividuo in questione, mentre un nome come "Socrate" non
ha connotazione (da qui la teoria "milliana" che i nomi pro-
pri hanno denotazione e non connotazione).
Per Frege, invece, la questione del contenuto descrittivo
"intrinseco" è del tutto irrilevante; ciò che importa, invece, è
il modo in cui un termine singolare dev'essere introdotto in
una lingua logicamente completa (cfr. Sen. e rif p. 393 ). In
una lingua di questo genere, infatti, è necessario che:
(i) ogni espressione avente la forma di un termine singolare
e costruita in maniera grammaticalmente corretta a par-
tire da segni già introdotti denoti effettivamente un og-
getto;
(ii) nessun nuovo segno sia introdotto come termine singo-
lare senza che gli sia stato assicurato un riferimento.
La clausola (i) ha lo scopo di evitare espressioni che, co-
me il già citato "il più grande numero primo", hanno la for-
ma di un termine singolare denotante, ma non denotano
nulla. La clausola (ii) riguarda i termini singolari non co-
struiti a partire da elementi già presenti nella lingua, e quin-
di, innanzitutto, i "nuovi" nomi propri: ora, se è vero che
l'accesso agli oggetti è possibile solo attraverso il senso [cfr.
(c) o (c')], per assicurare il riferimento di un nuovo nome
proprio è necessario collegarlo ad un dato senso (al quale si
sappia già che corrisponde un riferimento) 6 • Una volta fatto
82
Mauritius_in_libris
ciò, il senso ed il riferimento del nuovo nome restano piena-
mente determinati per tutti i parlanti della lingua in cui il
nome è stato introdotto. Frege, dunque, non nega che i no-
mi propri siano arbitrari e privi di contenuto descrittivo in-
trinseco; ma, per lui, essi sono arbitrariamente collegati ad
un senso e non direttamente ad un oggetto, perché è solo
tramite i sensi che abbiamo accesso al riferimento. Tuttavia,
una volta che un dato segno A sia stato collegato ad un sen-
so, ne consegue che
- se P esprime il senso di A, "A è P" è un enunciato vero su
basi puramente logiche, ossia analitico (un esempio chia-
ro è "7t è il rapporto tra la circonferenza ed il diametro");
- qualora si scoprisse che A non è stato introdotto corret-
tamente, A diventerebbe un termine privo di riferimen-
to: se si scoprisse, tanto per fare un esempio assurdo, che
il rapporto tra circonferenza e diametro non è costante, 7t
non denoterebbe più nulla.
83
Mauritius_in_libris
p. 377, nota). Per Frege questo non costituisce un problema,
almeno finché alle variazioni di senso non si accompagnano
anche quelle di riferimento, ed è un'ulteriore testimonianza
dell'imperfezione logica del linguaggio naturale: ma questo
vuol dire peccare per sottovalutazione. In poche parole, la
difficoltà è che, in questo caso, il senso che un parlante attri-
buisce ad un nome proprio non è altro che una delle tante
caratteristiche accidentali che appartengono al riferimento
del nome. Il modello freghiano di nome proprio entra allora
in crisi; infatti (cfr. il capoverso precedente)
- un enunciato come "Aristotele è il maestro di Alessandro
Magno" non è analitico nemmeno agli occhi di quel par-
lante che attribuisce ad "Aristotele", come (parte del)
senso, l'essere maestro di Alessandro Magno;
- la scoperta che Aristotele non è mai stato maestro di
Alessandro Magno non indurrebbe il parlante di cui so-
pra, almeno nella maggior parte dei casi, a ritenere che
Aristotele non sia mai esistito.
85
Mauritius_in_libris
(e) sono segno delle cose che sono dette di un altro (ossia i
verbi debbono anche esprimere lappartenenza ad altro
di ciò che, per se stessi, significano).
riempie i posti vuoti nelle espressioni funzionali con lettere greche minusco-
le, il che comporta una notevole semplificazione notazionale quando gli ar-
gomenti sono più di uno. A secondo dei casi ci atterremo a quest'uso, op-
pure indicheremo la funzione con una sola lettera (maiuscola o minuscola).
' Si tratta del Principio di Composizionalità. Nel corso del capitolo ritor-
neremo spesso su questo importante argomento.
87
Mauritius_in_libris
tale operazione è essa stessa insatura, dal momento che dà
luogo ad un riferimento compiuto solo quando è applicata
ad un argomento, e Frege la chiama funzione (r A, sarà l'ar-
gomento della funzione e rf(A), sarà il suo valore).
Due funzioni sono uguali quando ad argomenti uguali
fanno corrispondere valori uguali (cfr. Riflessioni su senso e
significato, pp. 223-24). Più precisamente: la vera e propria
relazione di identità vale solo tra oggetti, dal momento che
un enunciato che esprimesse un'identità tra entità insature,
ad esempio f(!;) = g(!;), sarebbe esso stesso bisognoso di
completamento, e non sarebbe quindi, in realtà, un enuncia-
to ; tuttavia (Vx)(fx = gx) esprime una relazione analoga tra
funzioni, relazione che costituisce, per così dire, un'identità
di secondo grado. Ora, dal Principio di Composizionalità
deriva il seguente Principio di Sostitutività
(PS) sia C un'espressione che contiene una o più occorren-
ze dell'espressione B e C' si ottenga da C per sostitu-
zione di una o più occorrenze di B con B': allora, se il
riferimento di B e di B' è lo stesso, anche quello di C e
di C'è lo stesso.
Se la precedente definizione dell'identità tra funzioni
è corretta, allora dev'essere possibile sostituire in questo
principio "il riferimento di f(!;) e g(!;) è lo stesso" con
"(Vx)(fx = gx)". Ed in effetti è possibile. Due espressioni C
e C', infatti, che differiscono tra loro solo per le occorrenze
delle espressioni f(!;) e g(!;) denotanti funzioni per cui vale
(Vx)(fx = gx), differiscono in realtà solo per le occorrenze di
qualche espressione tipo f(A) e g(A); ma f(A) e g(A) sono
termini singolari che hanno lo stesso riferimento, quindi, se
il Principio di Sostitutività vale per i termini singolari, anche
e e C' hanno lo stesso riferimento.
Passiamo ora ai termini concettuali. Abbiamo visto che, in
generale, le funzioni di primo grado hanno come valori og-
getti; inoltre il riferimento di un termine concettuale, il con-
cetto, è una funzione di primo grado e quindi, per analogia,
sarà una funzione da oggetti ad oggetti. D'altra parte i termi-
ni concettuali, applicati ad un dato segno d'argomento, dan-
no luogo ad un enunciato: il risultato dell'applicazione di un
88
Mauritius_in_libris
concetto ai suoi argomenti sarà dunque il riferimento di un
enunciato, il quale sarà perciò un oggetto. Come vedremo
nel prossimo paragrafo, gli oggetti che costituiscono i possi-
bili riferimenti degli enunciati sono, per Frege, il Vero ed il
Falso (detti, appunto perché costituiscono il valore dei con-
cetti per un qualsiasi argomento, valori di verità). Un concet-
to è dunque una funzione il cui valore è, per ogni argomen-
to, un valore di verità.
Torniamo un momento alla teoria classica della predica-
zione. I verbi aristotelici hanno in comune con i termini con-
cettuali freghiani il fatto di essere espressioni incomplete,
poiché anch'essi acquistano un significato compiuto solo
quando viene specificato il soggetto. Tuttavia gli items intro-
dotti dai verbi aristotelici sono, da un punto di vista freghia-
no, oggetti: il bianco che inerisce a Socrate è infatti lo stesso
oggetto che cade sotto concetti come r inerire a Socrate,
oppure r essere il colore preferito da Pietro,. Riassumendo,
Frege ed Aristotele dividono gli enunciati (almeno quelli
aventi la più semplice forma "soggetto-predicato") alla stes-
sa maniera; la differenza consiste nel fatto che, per Aristote-
le, i verbi introducono un oggetto (in senso freghiano) e ne
asseriscono I' appartenenza al soggetto. Schematicamente:
89
Mauritius_in_libris
forma "soggetto-predicato" in termini di soggetto e di un
item linguistico, l'asserzione, che corrisponde al verbo di
Aristotele (IV,§ 52 e VII).
È necessario distinguere le funzioni dal loro decorso di va-
lori. Il decorso di valori di una funzione f (!;) - che Frege
denota con Èf(E) - può essere inteso come la classe di tutte
le coppie ordinate il cui primo elemento è un argomento di
f(!;) ed il cui secondo elemento è il valore di questa funzione
per tale argomento. Se la funzione ha due argomenti, ad
esempio la somma ç+ç, si definisce dapprima la funzione
È(!;+e), ossia la funzione che ad ogni argomento A associa il
decorso di valori della funzione A+ç; e poi il decorso di va-
lori della funzione È(!;+E), cioè fi(È(rt+E)); e così via per fun-
zioni di più di due argomenti: tutto si riduce ai decorsi di va-
lori delle funzioni ad un solo argomento. Ora, i secondi ele-
menti delle coppie che fanno parte del decorso di valori di
un concetto sono tutti valori di verità: e Frege chiama esten-
sione di un concetto il suo decorso di valori 11 • Perché non
identificare la funzione con il decorso di valori? La risposta
è implicita in quanto abbiamo detto finora: il decorso di va-
lori è un oggetto ed è saturo, mentre il riferimento di
un'espressione funzionale dev'essere insaturo. Solo così, in-
fatti, si spiega perché una tale espressione, unita ai segni de-
gli argomenti, produca qualcosa avente un riferimento satu-
ro (in particolare, nel caso dei termini concettuali, solo così
si spiega l'unitarietà del giudizio).
In realtà Frege non prende mai in considerazione questa
possibilità, ma, piuttosto, quella, correlata ma non coinci-
dente, di considerare un termine concettuale come un nome
90
Mauritius_in_libris
comune, differente dai termini singolari solo per il fatto di
essere nome di più oggetti invece che di uno solo (cfr. la let-
tera a Husserl del 24 maggio 1891, Epist. p. 79). In questo
caso il ruolo del concetto sarebbe analogo a quello del senso
di un termine singolare, perché sarebbe ciò attraverso cui
potremmo cogliere il riferimento (multiplo) del termine con-
cettuale. Nella lettera citata Frege attribuisce questo punto
di vista allo stesso Husserl, e lo rifiuta perché i termini
concettuali sotto il cui concetto non cade nulla diventereb-
bero allora del tutto analoghi a quelli singolari privi di riferi-
mento, e dovrebbero perciò, alla stregua di questi ultimi, es-
sere banditi da una lingua logicamente perfetta: ma ciò non
è possibile perché i termini concettuali "vuoti" sono invece
indispensabili.
Chi invece questa possibilità l'ha presa seriamente in con-
siderazione è stato Carnap. In Significato e necessità egli at-
tribuisce ad ogni item linguistico una coppia di valori se-
mantici, l'estensione e l'intensione, mettendoli in relazione,
rispettivamente, con il riferimento ed il senso freghiani.
Mentre per i termini singolari e, come vedremo, per i giudi-
zi, estensione carnapiana e riferimento freghiano sono so-
stanzialmente coincidenti, lo stesso non vale, ovviamente,
nel caso dei termini concettuali. Per quel che riguarda
l'equiparazione intensione e senso è meno facile dare unari-
sposta precisa: per Carnap, infatti, l'intensione di un item
linguistico è, semplificando un po', la funzione che ne defi-
nisce I'estensione in ogni situazione possibile; e perciò, in ge-
nerale, l'intensione corrisponde all'aspetto (c) del senso, os-
sia al senso come mezzo per determinare il riferimento. In
altre parole, l'idea carnapiana sembra essere che noi affer-
riamo il senso di qualcosa se siamo sempre in grado di de-
terminarne il riferimento (ad esempio conosciamo il senso di
"il presidente degli U.S.A." se sappiamo non solo che attual-
mente il presidente è Clinton, ma anche come fare ad indivi-
duare il presidente degli U.S.A. in circostanze diverse dal-
1' attuale).
Torniamo ai decorsi di valori. Come per ogni oggetto,
condizione necessaria per poter parlare dei decorsi di valori
è avere determinato cosa vuol dire che due decorsi di valori
91
Mauritius_in_libris
sono uguali: sulla base delle precedenti spiegazioni informa-
li appare chiaro che i decorsi di valori di due funzioni sono
uguali se le due funzioni hanno gli stessi valori per gli stessi
argomenti, ossia se vale
(I) (Vx)(fx = gx).
93
Mauritius_in_libris
stata duramente criticata [cfr. Schirn [1990]), senza, peral-
tro, che venisse fornita una spiegazione alternativa. Si tratta
comunque di pure congetture di scarso interesse storico e di
dubbio interesse teorico.
Per quel che riguarda le altre due "stranezze" è interes-
sante notare che r- essere un concetto, ed r- essere un ogget-
to, diventeranno, nel T ractatus di Wittgenstein, concetti
formali, dei quali egli scrive (4.126):
Che qualcosa cada sotto un concetto formale, quale suo oggetto, non
può essere espresso da una proposizione, ma mostra sé nel segno stesso di
quest'oggetto. (Il nome mostra di designare un oggetto; il segno numerico,
di designare un numero, etc.).
con forza assertoria (ossia, come abbiamo detto prima, deve avere la forma
dell'enunciato assertorio): per Frege, anche se le parti componenti di una
battuta detta sul palcoscenico da un attore hanno riferimento, la battuta stes-
sa non è né vera né falsa perché manca l'intenzione di fare un'asserzione.
96
Mauritius_in_libris
con il riferimento delle sue parti componenti: questo sugge-
risce (non si tratta, ovviamente, di una vera e propria dimo-
strazione) che il riferimento di un enunciato dichiarativo
consista proprio nella verità o falsità, mentre il pensiero
espresso ne costituisce il senso (cfr. Sen. e ri/. p. 386). Chie-
dersi se un pensiero è vero significherà dunque chiedersi se
il riferimento corrispondente è la verità, non se il predicato
"vero" si predica del pensiero dato.
Tutto ciò si accorda bene con quanto dicevamo nel cap.
III, 1 sulla relazione tra senso e riferimento dei termini sin-
golari: il pensiero espresso da un enunciato A è infatti sia ciò
che viene afferrato nel processo di comprensione di A, sia
ciò la cui comprensione permette di determinare la verità o
la falsità di A, e che costituisce quindi la via d'accesso al rife-
rimento di A. Comprendere il senso di un enunciato signifi-
ca dunque sapere quali sono le sue condizioni di verità 15 •
Come proprietà dei pensieri, la verità era dunque ridon-
dante, una "ruota che girava a vuoto" senza aggiungere nulla
al pensiero stesso; come riferimento, invece, è ciò che sanci-
sce il valore conoscitivo del pensiero. Per Frege, dunque, la
verità, anche se ridondante come predicato, è essenziale co-
me riferimento degli enunciati dichiarativi: "la parola 'vero'
indica l'indirizzo della logica" (cfr. Il pensiero, p. 3 ).
D'altra parte il riferimento di un enunciato dichiarativo
dev'essere un oggetto. Infatti, in primo luogo, gli enunciati
dichiarativi sono espressioni sature, il cui riferimento de-
v'essere perciò saturo; in secondo luogo il carattere funzio-
nale dei concetti richiede che il loro valore sia un oggetto:
quindi, poiché un termine concettuale unito al segno di ar-
gomento produce un enunciato, il riferimento di quest'ulti-
mo dev'essere allora un oggetto (cfr. cap. III, 2). La verità e
la falsità sono dunque quegli oggetti, il Vero ed il Falso, che
costituiscono i riferimenti possibili di un enunciato e che
" Quest'idea avrà una lunga fortuna nella filosofia del '900 e sarà sogget-
ta a molte interpretazioni. Nella semantica dei mondi possibili, ad esempio,
l'intensione di un enunciato (corrispondente al "senso" freghi ano) è una
funzione dai mondi possibili ai valori di verità che l'enunciato ha in questi
mondi: conoscere le condizioni di verità di un enunciato vorrà dire, allora,
conoscere in quali situazioni tale enunciato sarebbe vero ed in quali falso.
97
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Frege chiama, in quanto valori di un concetto, valori
di verità.
Gli enunciati che contengono termini indicali, ossia dimo-
strativi, pronomi personali, alcuni awerbi di tempo e luogo
(ora, qui, etc.) presentano un problema. Infatti è evidente
che questi enunciati non hanno, in generale, sempre lo stes-
so valore di verità: se dunque esprimessero un pensiero de-
terminato, tale pensiero sarebbe ora vero ora falso (ricordia-
mo che la verità e la falsità riguardano in primo luogo i pen-
sieri), ma ciò è impossibile, se è vero che i pensieri sono eter-
ni, atemporali, immutabili. Frege si occupa di questo proble-
ma soprattutto in Il pensiero: la sua soluzione è che gli enun-
ciati che contengono termini indicali esprimono un pensiero
solo dopo che il contesto ha determinato ciò cui, di volta in
volta, si riferiscono gli indicali; i pensieri così determinati
hanno un valore di verità stabile, ma gli enunciati in se stessi
non lo hanno 16 •
98
Mauritius_in_libris
può essere così parafrasata:
- due espressioni B e B' sono identiche se e solo se, per
ogni enunciato A, la sostituzione in A di una delle due con
l'altra non altera la verità (o la falsità) di A,
unendo insieme "indiscernibilità degli identici" (da sinistra a
destra) e "identità degli indiscernibili" (da destra a sinistra).
Da parte sua (PS) appare come una versione più generale
dell'indiscernibilità degli identici, nella quale la relazione
d'identità vige non tra le espressioni ma tra i loro riferimenti
(ricordiamo che i valori di verità sono particolari tipi di rife-
rimento):
se due espressioni hanno lo stesso riferimento, la sostitu-
zione di una di esse con l'altra in una terza espressione
non ne altera il riferimento.
Nonostante la sua apparente plausibilità, il Principio di
Sostitutività sembra soffrire di vistose eccezioni già a livello
di enunciati. Se, in quelli che in seguito saranno chiamati
atteggiamenti proposizionali (i contesti, cioè, in cui un enun-
ciato dichiarativo è retto da verbi come "credere", sapere",
"sperare", etc. - ad esempio "Pietro crede che gli ornito-
rinchi siano rettili"), si sostituisce l'enunciato introdotto da
"che" con un altro avente lo stesso valore di verità (ossia lo
stesso riferimento), il valore di verità dell'intero contesto
può cambiare 17 • Ad esempio, anche se "Pietro crede che gli
ornitorinchi siano rettili" è vero, non ne consegue che Pietro
debba credere a tutto ciò che è falso come è falso che gli or-
nitorinchi sono rettili.
Frege, tuttavia, non abbandona per questo né il Principio
di Sostitutività né quello di Composizionalità, ma cerca di mo-
strare che, in realtà, gli atteggiamenti proposizionali non costi-
tuiscono una vera eccezione. La sua tesi è che non in tutti i
contesti le parole hanno come riferimento il loro riferimento
ordinario: ad esempio, nei contesti dove abitualmente usiamo
le virgolette, le espressioni tra virgolette hanno come riferi-
17 Altri contesti in cui ciò accade sono, tipicamente, quelli modali: tutta-
via, data la scarsa rilevanza che essi hanno per Frege, non ce ne occuperemo.
99
Mauritius_in_libris
mento le espressioni stesse. Ora nel discorso indiretto e, in ge-
nerale, negli atteggiamenti proposizionali, succede una cosa
per certi versi analoga: ciò che è in questione, infatti, non è il
valore di verità della clausola retta da "che", ma, piuttosto, il
suo senso. Il senso di un enunciato, infatti, è ciò che afferria-
mo nel processo di comprensione di questo enunciato; e, d'al-
tra parte, nel discorso indiretto noi facciamo riferimento pro-
prio a ciò che "ha in testa" (il lettore è pregato di eliminare
ogni connotazione psicologica da questa espressione) un dato
parlante: in "Pietro dice che gli ornitorinchi sono rettili" non
si fa questione se gli ornitorinchi siano veramente rettili, quel-
lo che conta, per stabilire il valore di verità dell'intero enun-
ciato, è solo se Pietro ha o non ha proferito un enunciato che
abbia lo stesso senso di "Gli ornitorinchi sono rettili" (non
dimentichiamo che nel discorso indiretto non vengono ripor-
tate le esatte parole del parlante). Il Principio di Sostitutività e
quello di Composizionalità sono dunque salvi: il valore di ve-
rità di "Pietro dice - o crede - che gli ornitorinchi sono ret-
tili" dipende ancora dal riferimento di "Gli ornitorinchi sono
rettili", ma in questo contesto il riferimento di quest'ultimo
enunciato non è più un valore di verità, ma un pensiero 18 •
Questa "sostituzione" del riferimento con il senso non ri-
guarda solo gli enunciati del discorso indiretto, ma anche le
loro parti componenti. In effetti vale per i sensi un Principio
di Composizionalità analogo a quello che vale per i riferi-
menti (cfr. l'inizio del saggio del 1923 La composizione dei
pensieri): il senso di un'espressione è costituito a partire da
quello delle parti componenti, e, in particolare, vale l' analo-
go del Principio di Sostitutività
sia C un'espressione che contiene una o più occorren-
ze dell'espressione Be C' si ottenga da C per sostitu-
zione di una o più occorrenze di B con B': allora, se il
senso di B e di B' è lo stesso, anche quello di C e di
C' è lo stesso;
18 Camap sostiene la tesi di tipo freghiano che ogni espressione possiede
100
Mauritius_in_libris
se dunque il senso di un enunciato costituisce, in un dato
contesto, il suo riferimento, anche il senso delle parti
dell'enunciato costituirà il loro riferimento nello stesso con-
testo.
Frege, tuttavia, non costruisce una vera e propria teoria
del riferimento indiretto; sviluppare in maniera sistematica i
suoi spunti presenterebbe infatti non pochi problemi
(a) per Frege non esistono espressioni che hanno un riferi-
mento senza avere un senso (si può dare solo il caso con-
trario): dunque, se un'espressione in un dato contesto ha
come riferimento il suo senso, dovrà possedere un senso
indiretto (cfr. Sen. eri/. p. 379), ma è piuttosto difficile
dire in che cosa quest'ultimo consista (dovrebbe essere
qualcosa come "un modo di cogliere un determinato ri-
ferimento");
(b) le cose peggiorano negli atteggiamenti proposizionali
iterati ("Mauro crede che Pietro crede che gli ornitorin-
chi siano rettili"), che richiederebbero un senso ed un
riferimento di secondo livello: poiché non c'è un limite
al numero delle iterazioni, non c'è nemmeno limite al
numero dei livelli di senso e riferimento;
(c) si potrebbe sostenere che l'essere un mammifero fa parte
del senso di "ornitorinco": se le cose stanno così, com'è
possibile che Pietro creda che gli ornitorinchi siano retti-
li, e, nello stesso tempo, che "ornitorinco" si riferisca qui
al suo senso? In generale, quello che appare rilevante nei
contesti di credenza non è tanto il senso pubblico delle
espressioni, quanto il senso privato (e, spesso, parziale)
che esse possono assumere per ciascuno di noi (come ac-
cade per gli usuali nomi propri - cfr. cap. III, l);
(d) i sensi sono molto più elusivi dei riferimenti: in partico-
lare, quand'è che si può parlare di uguaglianza di senso?
102
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da che la Svezia dovrebbe far parte della capitale della Sve-
zia, ossia della città di Stoccolma.
I sensi, dunque, hanno una struttura corrispondente a
quella degli enunciati che li esprimono. Questo fa pensare a
qualcosa di analogo all'isomorfismo intensionale di Camap,
e potrebbe costituire una risposta (parziale) al problema (d)
sollevato in precedenza: due sensi composti sono uguali se e
solo se sono composti nello stesso modo a partire da sensi
uguali. Queste conclusioni, però, contrastano con quanto
Frege stesso scrive in alcune lettere a Husserl (in quella del
30 ottobre -1 novembre 1906 - cfr. Epist. p. 82 - ed in
quella del 9 dicembre 1906 - cfr. Epist. pp. 85-86): in que-
st'ultima lettera viene infatti detto chiaramente che due
enunciati A e B esprimono lo stesso pensiero quando è logi-
camente contraddittorio assumere che il contenuto dell'uno
sia vero e quello dell'altro falso, il che significa quando i due
enunciati sono logicamente equivalenti. Ma è chiaro che due
enunciati possono essere logicamente equivalenti pur aven-
do strutture diversissime: non è quindi vero che due sensi
composti sono uguali se e solo se sono composti nello stesso
modo a partire da sensi uguali. La questione non è però
molto chiara: da un lato in Funzione e concetto troviamo che
"24 = 42 " e "4.4 = 42 " non hanno lo stesso senso, pur essendo
logicamente impossibile che abbiano valori di verità diversi;
dall'altro lo scopo di Frege, nelle lettere a Husserl, sembra
semplicemente essere, al di là della formulazione, quello di
eliminare dalla questione dell'equivalenza degli enunciati
tutto ciò che non rientra nel pensiero espresso dagli enuncia-
ti stessi (come intonazione, forza assertoria, etc.). Si tratta
evidentemente di uno di quei problemi, non infrequenti, che
Frege ha avuto il merito di mettere in evidenza, ma sui quali
ha fornito solo pochi cenni sparsi (spesso in lettere o inedi-
ti), non una trattazione completa e coerente.
104
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(i) -,(3x)(x è uno scopritore della penicillina" (V'y)(y è uno
scopritore della penicillina~y=x) " x è inglese)
[ambito largo]
(ii) (3x)(x è uno scopritore della penicillina " (V'y)(y è uno
scopritore della penicillina~y=x) " x non è inglese)
[ambito stretto]
{ - A = Vero se A è il Vero,
-A= Falso altrimenti
" Questo non contraddice quanto abbiamo appena detto sul fatto che
tutte le funzioni sono totali: tanto per fare un esempio, la negazione ed il
tratto orizzontale formano una funzione composta, ed è quest'ultima che
dev'essere, come effettivamente è, totale.
107
Mauritius_in_libris
dove sappiamo che gli argomenti della funzione <I> sono i ri-
ferimenti delle espressioni, e non le espressioni stesse.
Anche l'identità è ora una relazione che riguarda gli og-
getti: in particolare osserviamo che l'equivalenza tra enun-
ciati è esprimibile come l'identità dei loro referenti, e questo
spiega perché Frege, contrariamente a quanto è diventato in
seguito usuale, non riconosca nell'equivalenza una funzione
di verità.
I decorsi di valori relativi ad ogni funzione correttamente
definita fanno parte del sistema dei Principi: Frege osserva
giustamente che, anche se <I> è un concetto sotto cui cade un
solo oggetto A, bisogna comunque distinguere tra questo
oggetto e lestensione del concetto; e, di conseguenza, intro-
duce una nuova funzione \ che, in casi del genere, associa al
decorso di valori È<l>(E) l'oggetto A, mentre in tutti gli altri
casi (ossia quando <I> non è un concetto, oppure non è vero
che sotto <I> cade esattamente un oggetto) assume come valo-
re l'argomento stesso 24 • È abbastanza evidente che questa
funzione ha dei punti in comune con loperatore russelliano
(ix): le differenze principali sono che si tratta appunto di
una funzione che assume oggetti come argomenti, e non
d'un operatore che forma termini singolari a partire da pre-
dicati; ma, soprattutto, che (ix)F(x) non denota nulla quan-
do sotto F non cade esattamente un oggetto, mentre la fun-
zione freghiana è, come sempre, totale.
Le leggi fondamentali (assiomi) sono le seguenti (useremo
per semplicità, quando ciò è possibile, la notazione hilbertia-
na - cfr. cap. I, 3)
(I) a.-+(b.-+a) [cfr. Assioma (1) dell'Ideografia]
(II) (Vx)(fx) --+ fc [cfr. Assioma (9) dell'Ideografia]
tuttavia Frege, prima di introdurre questa funzione (§ 11) ha già mostrato che
è possibile ridurre i valori di verità a decorsi di valori (§ 10 - cfr. cap. III, 7):
poiché non sono stati ancora introdotti oggetti di altro genere, la limitazione
ai decorsi di valori non pregiudica la corretta definizione della funzione.
108
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siasi funzione di secondo grado avente come argomento la
funzione di primo grado <I>]
(Ilb) ('v' .1)MP(1(~) )~M/1(~))
(III) g(a=b)~g(('v'1)(Jb~.'fa))
110
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ed è chiaro che, qualora y sia il decorso di valori di un con-
cetto, xny è il valore di verità del concetto in questione ap-
plicato a x. Come attraverso questa funzione sia possibile
abbassare il livello di una funzione lo si vede da un esempio:
('v'x)(Fx) è una funzione di secondo grado che è equivalente
alla funzione di primo grado ('v'x)(xnÈF(e)). Che quest'ulti-
ma sia di primo grado potrebbe non sembrare subito evi-
dente: infatti ('v'x)(xnÈF(e)) significa che la funzione xnÈF(e)
assume valore Vero per ogni argomento, e questo sembra di-
re qualcosa di una funzione. In realtà, come Frege ci ha inse-
gnato nell'Ideografia, per determinare il tipo di argomenti
bisogna guardare a quella parte che, nelle due espressioni, è
considerata sostituibile: poiché nella prima è un'espressione
funzionale, "F", e nella seconda un termine singolare,
"ff(e)", la seconda, ma non la prima costituisce una funzio-
ne di primo grado.
26 Nei Principi (Il, p. 255) Frege si rende conto che il paradosso di Rus-
111
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Per comprendere la discussione che Frege fa del parados-
so di Russell bisogna tenere presente che, nei Principi, (V)
appariva, in realtà, diviso in due parti
(Va) (V'x)(fx = gx)~F(Èf(E))=F(Èg(E));
(Vb) èf(E) = Ég(E)~(V'x)(fx = gx).
sell colpisce non solo la sua, ma anche tutte le altre teorie che facevano libe-
ro uso della nozione di classe (o insieme) inteso come oggetto, in primo luo-
go la teoria degli insiemi di Cantor.
27 Si tratta della stessa soluzione che propone a Russell nella lettera del
112
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re che i decorsi di valori siano oggetti, oppure modificare la
nozione di definibilità di un concetto.
Negli anni successivi Frege finì per convincersi che fonda-
re l'aritmetica su basi puramente logiche era impossibile e
che l'unica alternativa era fare ricorso alla geometria. In Le
fonti conoscitive della matematica e delle scienze naturali ma-
tematiche, un inedito databile 1924-25 (cfr. Scritti postumi,
pp. 413-22) egli scrive
Una proprietà della lingua, nefasta per la sicurezza del pensiero, è la ten-
denza a creare nomi propri cui non corrisponde alcun oggetto ... Un esem-
pio particolarmente notevole in tal senso lo abbiamo nella formazione di un
nome proprio secondo il paradigma di "l'estensione del concetto a", ad
esempio "l'estensione del concetto stella fissa". A causa dell'articolo deter-
minativo quest'espressione sembra designare un oggetto: ma non v'è alcun
oggetto che può essere così designato senza violare le regole linguistiche. Di
qui sono nati i paradossi della teoria degli insiemi, che hanno annientato
quella teoria (p. 416).
114
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espressi, la capacità di comprendere un'infinità potenziale
di pensieri 29 •
Come avevamo già accennato, il Principio di Composi-
zionalità sembra contrastare con il Principio del Contesto:
nel cap. II, 5 avevamo proposto una soluzione "pratica"
del contrasto osservando che Frege utilizza, di fatto, il
Principio del Contesto solo relativamente agli enunciati d'i-
dentità: noi comprendiamo il significato di una classe di
termini singolari quando conosciamo le condizioni di verità
degli enunciati di identità in cui essi possono comparire.
Avevamo anche visto, nell'esempio della "direzione di una
retta", che non è possibile fare ciò limitatamente agli ele-
menti della classe in questione che hanno forma standard, e
che quindi
la direzione di a = la direzione di b se e solo se a//b
non determina a sufficienza le condizioni di verità degli
enunciati in cui compaiono termini singolari che si riferisco-
no alle direzioni delle rette.
Un problema analogo si presenta, nei Principi, a proposito
dei decorsi di valori. Essi sono stati introdotti mediante (cfr.
cap. III, 2)
(*) Tif(11) = Èg(E) se e solo se (Vx)(fx = gx)
115
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né possiamo, in generale, decidere se un dato decorso di va-
lori possiede una data proprietà, se non sappiamo che que-
sta proprietà è collegata con una proprietà della funzione
corrispondente". In particolare, se X(ç) è una funzione che
non assume mai lo stesso valore per argomenti differenti, ab-
biamo [in conseguenza di(*)] che
(**) X(iif(ri)) = X(Èg(E)) se e solo se (Vx) (fx = gx)
116
Mauritius_in_libris
dello stesso decorso di valori 32 • Frege risponde affermativa-
mente, identificando il Vero con È(-E) ed il Falso con È(E =
--,(Vx)(x=x)) 33 , e con ciò il problema della reidentificazione
dei decorsi di valori è risolto.
Poiché un riferimento è determinato solo se siamo in grado
(almeno in linea di principio) di riconoscere questo riferimen-
to nei diversi modi in cui ci viene dato, dalla precedente di-
scussione si ricava che il riferimento di un termine è stabilito
se e solo se viene stabilito quello di tutte le espressioni in cui
compare. Dummett chiama quest'ultimo Principio del Conte-
sto Generalizzato, ma lo considera un passo indietro rispetto
al Principio del Contesto formulato nei Fondamenti perché
viene meno la primarietà degli enunciati rispetto agli altri tipi
di espressioni. Tuttavia non bisogna dimenticare che il Princi-
pio del Contesto ed il problema di "Giulio Cesare" sono que-
stioni diverse, anche se correlate tra loro: in base al primo ri-
sulta preliminarmente necessario stabilire le condizioni di ve-
rità degli enunciati d'identità, mentre il secondo mostra che
per fare ciò non sono sufficienti né (*) di questo paragrafo
(per i decorsi di valori), né (i) del cap. II, 6 (per le direzioni
delle rette). Ora, anche la discussione di Principi I, § 10 ha
come presupposto la necessità di stabilire le condizioni di ve-
rità di enunciati come ìif(11) = Èg(E), e la diversità rispetto ai
Fondamenti consiste nel diverso modo di risolvere il proble-
ma di "Giulio Cesare"; o, meglio, nel fatto che anche i decorsi
di valori (di cui le estensioni dei concetti costituiscono una ge-
neralizzazione), se da un lato risolvono il problema di "Giulio
Cesare" per i numeri, dall'altro richiedono che il medesimo
problema sia risolto in relazione a loro stessi.
32 Questa può sembrare una petitio principi, visto che il problema da cui
117
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Mauritius_in_libris
CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
1848 Gottlob Frege nasce 1'8 novembre 1848 a Wismar nel Meck-
lenburg (Germania del Nord, non lontano da Lubecca); il
padre, Alexander, era direttore della locale scuola superiore
femminile.
1869 Consegue la Maturità (Rez/eprufung).
1869-1873 Studia dapprima per due anni all'Università di Jena,
poi per cinque semestri all'Università di Gottingen, dove se-
gue corsi di matematica, fisica e filosofia (con Lotze); nel
~~73 ottiene il dottorato a Gi.ittingen con la dissertazione
Uber eine geometrische Darstellung der imaginiiren Gebilde
in der Ebene (Su una rappresentazione geometrica delle forme
immaginarie nel piano).
1874 Ottiene l'abilitazione (libera docenza) in matematica a Jena
con la dissertazione Rechnungsmethoden, die sich auf eine
Erweiterung des Groftenbegril/es grunden (Metodi di calcolo
basati sopra un'estensione del concetto di grandezza).
1879 Pubblica la Begril/sschrzft (Ideografia); viene nominato pro-
fessore straordinario a J ena.
1879-1883 L'Ideografia va incontro ad una quasi totale indiffe-
renza da parte di filosofi e matematici: tra le poche eccezio-
ni una recensione di Schroder, il maggiore studioso tedesco
di algebra della logica, il quale, pur mostrando un generico
apprezzamento per il lavoro di Frege, ne dà un giudizio so-
stanzialmente negativo. Frege pubblica alcuni articoli in cui
illustra scopo ed applicazioni dell'Ideografia, ma non rie-
sce a far pubblicare né la sua risposta alla recensione di
Schri.ider, né un articolo in cui illustra la differenza tra il
suo calcolo logico e l'algebra della logica.
1884 Pubblica Die Grundlagen der Arz'thmetik (I fondamenti del-
l'aritmetica) che non ottiene maggiore successo dell'Ideogra-
fia, tanto è vero che persino matematici come Cantor e De-
119
Mauritius_in_libris
dekind, impegnati in analoghe ricerche sulla possibilità di
definire rigorosamente la nozione di numero naturale, mo-
strano scarsa conoscenza ed insufficiente comprensione di
quest'opera.
1885-1886 Pubblica una recensione del libro di Cohen sulla "filo-
sofia" e la storia del calcolo infinitesimale, ed un articolo in
cui vengono rinnovate le critiche, già presenti nei Fonda-
menti, all'aritmetica formalista, Ober formale Theorie der
Arithmetik (Sulle teorie formaliste dell'aritmetica).
1891-1893 Pubblica i fondamentali articoli Funktion und Begriff
(Funzione e concetto), Ober die Triigheitsgesetz (Sul principio
di inerzia), Ober Sinn und Bedeutung (Senso e riferimento) e
Ober Begrif/ und Gegenstand (Concetto e oggetto), in cui espo-
ne la sua ."filosofia del linguaggio"; pubblica inoltre una re-
censione al lavoro di Cantor Zur Lehre von Trans/initen, dove
critica l'introduzione cantoriana degli insiemi come semplici
aggregati, e non come estensioni di concetti definiti in manie-
ra logicamente rigorosa.
1893 Pubblica il primo volume dei Grundgesetze der Arithmetik
(1 principi dell'aritmetica), in cui da un lato sviluppa e perfe-
ziona il sistema di logica già esposto nell'Ideografia, dall'al-
tro espone in maniera rigorosamente formale la fondazione
del concetto di numero naturale contenuta nei Fondamenti.
1894 Recensione del libro di Husserl Philosophie der Arithmetik,
in cui Frege critica violentemente lo psicologismo del primo
Husserl: le critiche di Frege saranno uno dei principali moti-
vi della conversione dello stesso Husserl all'antipsicologi-
smo, del quale anzi diverrà strenuo e prolisso campione (cfr.
le oltre 200 pagine dei Prolegomeni ad una logica pura, che
costituiscono l'introduzione alle sue Ricerche Logiche).
1896 Viene nominato professore ordinario onorario (penultimo
grado della gerarchia accademica tedesca). ·
1893-1899 Rapporti epistolari con Peano, uno dei pochi che, no-
nostante l'impostazione di fondo radicalmente diversa, di-
mostra di saper apprezzare il lavoro di Frege. In questi anni
Frege lavora alla preparazione del secondo volume dei Prin-
cipi, dedicato alla teoria dei numeri reali.
1899-1906 Polemizza con la concezione della matematica risul-
tante dai lavori di Hilbert sui fondamenti della geometria:
scambio epistolare con Hilbert e proposta, da parte di Fre-
ge, di pubblicare il loro carteggio; rifiuto di Hilbert. Frege
pubblica allora, rispettivamente nel 1903 e nel 1906, due se-
rie di articoli, entrambe intitolate Uber die Grundlagen der
120
Mauritius_in_libris
Geometrie (Sui/ondamenti della geometria), in cui riprende i
temi della polemica con Hilbert e discute gli scritti in mate-
ria di Korselt, un sostenitore delle tesi hilbertiane.
1902 Inizio dello scambio epistolare con Jourdain (fondatore del-
la rivista «The Monist») e, soprattutto, con Russell: il 16 giu-
gno 1902 quest'ultimo comunica a Frege la scoperta del suo
celebre paradosso. Lo scambio epistolare con Russell conti-
nua per diversi anni: di particolare interesse le lettere scritte
tra il 1902 ed il 1904, in cui i due filosofi discutono, tra l'al-
tro, sulla possibilità di eliminare il paradosso e sulle obiezio-
ni russelliane alle tesi contenute in Senso e riferimento.
1903 Pubblica il secondo volume dei Principi, dove, alla fine, dà
notizia del paradosso di Russell e del suo tentativo (che si ri-
velerà purtroppo del tutto insufficiente) di risolverlo. La pri-
ma parte del volume contiene una polemica (dal tono talvol-
ta piuttosto astioso) contro le concezioni rivali di "numero
reale", in particolare quelle di Cantor, Dedekind, Weier-
strass e dei matematici formalisti.
1906-1908 Riprende, in tono sempre più astioso, la polemica con-
tro l'aritmetica formalista di Thomae: nel 1906 pubblica
Antwort au/ die Ferienplauderei des He"n Thomae (Risposta
alla "chiacchierata" del signor Thomae) e nel 1908 Die Unmo-
glichkeit der Thomaeschen /ormalen Arithmetik au/s Neue
nachgewiesen (L'impossibilità dell'aritmetica formalista di
Thomae dimostrata di nuovo).
1908-1918 In questi anni Frege non pubblica praticamente nulla.
In seguito alla scoperta dei paradossi va lentamente convin-
cendosi dell'impossibilità di un logicismo rigoroso, ma non
per questo viene meno il suo interesse per la logica: di que-
sto periodo ci restano infatti brevi scritti inediti che appunto
appaiono come abbozzi di un'opera sulla logica. Alle sue le-
zioni assiste Carnap; contatti con il giovane Wittgenstein.
1917 Chiede di essere messo a riposo e ritorna nella città natale.
1918 Frege diventa professore emerito.
1918-1925 Pubblica le Logische Untersuchungen (Ricerche logi-
che) su temi generali di filosofia della logica.
1925 Il 26 luglio 1925 muore a Bad Kleinen (località a sud di Wi-
smar), lasciando i suoi inediti al figlio adottivo Alfred; viene
seppellito nel cimitero di Wismar.
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STORIA DELLA CRITICA
1 Il che non toglie che lo stesso Scholz avesse intrapreso, prima della se-
124
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vamente confrontare le teorie freghiane con le proprie, per ri-
levarne i punti di contatto e quelli di dissenso, e si davano così
poco pensiero dell'accuratezza storica e dell'effettiva articola-
zione delle tesi in questione: l'essenziale era costruire, con ele-
menti freghiani, un paradigma che potesse servire come stru-
mento di confronto. In altre parole, quanto dicono di Frege
questi logici e filosofi risulta, nella maggioranza dei casi, mol-
to più utile per comprendere le loro teorie piuttosto che quel-
le dello stesso Frege, anche se, naturalmente, è spesso possibi-
le ricavare dai loro scritti nuovi punti di vista da cui ripensare
seriamente l'opera di questo autore.
In ogni caso l'interesse teorico per la "semantica" freghia-
na portò ad una parallela fioritura di lavori di tipo più stret-
tamente esegetico, caratterizzati tuttavia, almeno nella mag-
gior parte dei casi, da una non sempre adeguata conoscenza
dei testi freghiani e da una tendenza ad interpretare Frege
alla luce degli sviluppi successivi. La colpa di ciò non deve
però essere totalmente ascritta agli interpreti, dal momento
che i numerosi scritti inediti di Frege furono pubblicati solo
nel 1969 e l'importante epistolario scientifico nel 1976 - ed
entrambi risultano fondamentali per la precisazione di molte
tesi freghiane 2 • Così, tanto per fare un esempio particolar-
mente significativo, Marshall [1953) e Grossmann [1961),
evidentemente influenzati dalla tendenza, presente in Car-
nap e Church, di spostare i concetti dall'ambito del riferi-
mento a quello del senso, negano che Frege abbia applicato
la distinzione tra senso e riferimento anche ai predicati,
mentre, come abbiamo visto, l'epistolario e gli scritti inediti
non lasciano dubbi sul fatto che questa distinzione si appli-
casse ad ogni categoria di espressioni 3 .
La monumentale opera di Dummett - soprattutto i due
volumi sulla filosofia del linguaggio, [1973) e [1981) 4 -
125
Mauritius_in_libris
costituisce senza dubbio il punto di svolta negli studi dedi-
cati a Frege (insieme alla pubblicazione, tra il 1969 e il
1976, degli inediti e dell'epistolario, che Dummett è uno tra
i primi a utilizzare estesamente e sistematicamente). Ben
lungi dal limitare l'importanza dell'opera di Frege ad un
ambito strettamente logico (o anche all'aver in qualche mi-
sura anticipato le successive e più sviluppate semantiche
formali), Dummett attribuisce alla sua filosofia un'impor-
tanza addirittura epocale. La filosofia moderna era nata in-
fatti dalla "svolta epistemologica" cartesiana, ossia dall'aver
posto, per la prima volta, come problemi fondamentali della
filosofia, la cui soluzione condiziona quella di tutti gli altri,
le questioni: "Che cosa conosciamo?" e "Come si giustifica
la nostra conoscenza?". In ambito empirista queste que-
stioni verranno poi distorte in senso descrittivo: per rispon-
dere alle precedenti domande sarà necessario spiegare in
che modo si forma la nostra conoscenza. Ora Frege, secon-
do Dummett, è all'origine di una seconda svolta che in
qualche misura annulla la precedente: il problema fon-
damentale della filosofia non è più quello della conoscenza,
ma quello del significato, perché una spiegazione filosofica
del pensiero può essere raggiunta soltanto attraverso una
spiegazione filosofica dei meccanismi attraverso cui si costi-
tuisce il significato linguistico. La teoria del significato non
dipende da altre parti della filosofia, mentre la soluzione di
qualsiasi problema filosofico dipende dal possesso di una
teoria del significato adeguata, come risulta chiaro dalla
stessa definizione freghiana di numero naturale: per poter
risolvere la questione filosofica di che cosa sono i numeri
naturali, infatti, è innanzi tutto necessario sapere qual è il si-
gnificato degli enunciati in cui compaiono i termini numeri-
ci, e per sapere ciò bisogna sapere, in generale, cos'è il si-
gnificato di un enunciato. Per Dummett, dunque, la rivolu-
zione freghiana è, in larga misura, legata all'adozione si-
stematica del Principio del Contesto: si capisce perciò che
quanto appare in contrasto con quest'ultimo (ad esempio il
126
Mauritius_in_libris
trattamento degli enunciati come "nomi propri" dei valori
di verità) costituisca un irreparabile disastro 5 • Nonostante
la presenza di questo aspetto "disastroso" (e di altri ugual-
mente inaccettabili, come la reificazione dei sensi), le opere
della maturità, ed in particolare Senso e riferimento, conten-
gono idee fondamentali per ogni adeguata teoria del signifi-
cato, soprattutto la distinzione tra senso e riferimento. Que-
sta distinzione, infatti, veicola l'idea, cara a Dummett, che
(contrariamente a quanto pensa Davidson) parte integrante
di una teoria del significato sia una teoria della comprensio-
ne del significato, e che una teoria del significato non può
in alcun modo ridursi ad una teoria del riferimento non me-
diato (conie, almeno per alcune importanti categorie di
espressioni, nelle teorie di Kripke, Putnam, Donnellan, tan-
to per fare qualche nome).
Anche Dummett, dunque, interpreta Frege alla luce dei
successivi sviluppi della filosofia, in particolare della filosofia
analitica (che in [1988] dichiara appunto contraddistinta dal
"convincimento che in primo luogo una spiegazione filosofi-
ca del pensiero possa essere conseguita attraverso una spie-
gazione filosofica del linguaggio, e che ... possa essere conse-
guita solo in questo modo"); tuttavia, a differenza degli altri
filosofi di stampo analitico ricordati in precedenza, si impe-
127
Mauritius_in_libris
gna in una vasta, fin troppo minuziosa (e spesso complicata
dalla contemporanea discussione di punti di vista rivali), ma
spesso convincente esegesi dei testi freghiani 6 • Il sospetto di
un'eccessiva attualizzazione, che talvolta ci sfiora leggendo i
lavori di Dummett, dipende perciò non tanto dall'ana-
cronistica attribuzione a Frege di teorie elaborate in epoca
successiva (colpa di cui Dummett può essere in larghissima
misura considerato innocente) quanto dall'aver troppo ac-
centuato l'importanza di elementi indubbiamente presenti
nell'opera freghiana, ma forse non in posizione così centrale
come vuole Dummett, e dall'aver troppo nettamente separa-
to gli elementi ritenuti validi da quelli ritenuti superati (ad
esempio l'esistenza di un "terzo regno" dei pensieri).
L'aver considerato quella compiuta da Frege una svolta
epocale porta naturalmente Dummett a ritenere pressoché
nulli i debiti di Frege nei confronti dei suoi predecessori, e fa-
tica sprecata la ricerca delle fonti del suo pensiero: questo
non significa, ovviamente, che Frege non avesse presenti le
opere di Leibniz, Kant e altri filosofi e matematici (molte del-
le quali egli discute nei Fondamenti dell'aritmetica), ma solo
che poco o nulla di tutto ciò è passato nella filosofia freghia-
na. Una simile posizione si pone in netto contrasto con prece-
denti tentativi (dei quali il più completo e maggiormente so-
stenuto da conoscenze storiche è quello di Angelelli [1967])
di trovare antecedenti delle tesi freghiane nella lunga tradizio-
ne "razionalista" del pensiero occidentale, a partire dalla logi-
ca e metafisica antiche e medioevali per arrivare fino a Leib-
niz e Kant 7: dal punto di vista di Dummett, infatti, la presen-
za di simili pretese anticipazioni non è altro che una con-
gruenza puramente verbale, priva di significato profondo.
' In realtà è questa la parte più interessante del lavoro di Dummett, e
quella che ha dato l'impulso alla rigogliosa fioritura delle interpretazioni
successive. Purtroppo però, per evidenti limiti di spazio, non è qui possibile
seguire Dummett nelle sue intricate discussioni.
7 Non bisogna confondere queste ricerche storiche con le ricostruzioni
ideali, come quella di Geach [1972], il quale interpreta l'intera storia della
logica come una progressiva "caduta" da un primitivo stato di (quasi) inno-
cenza, in cui era netta la distinzione tra nome e verbo, caduta fortunata-
mente seguita dalla "redenzione" rappresentata appunto dall'opera di Fre-
ge Oa metafora biblica è dello stesso Geach).
128
Mauritius_in_libris
Nella copiosa letteratura successiva al 1973 questo aspetto
della posizione di Dummett è stato violentemente criticato
soprattutto da Sluga [1980], il quale accusa lui - e, in gene-
re, l'intera filosofia analitica - di assoluta mancanza di sen-
so storico, e di aver eccessivamente attualizzato Frege. Al
contrario Sluga cerca di dimostrare che l'opera di Frege,
lungi dall'essere priva di debiti nei confronti dei suoi prede-
cessori e dal costituire la svolta epocale di cui parla Dum-
mett, deve molto non solo al progetto leibniziano di una
mathesis universalis 8 , ma anche al criticismo kantiano (un
accostamento, detto tra parentesi, che troviamo già sviluppa-
to in Trinchero [1967] - cfr. anche Gabriel [1986]). Innan-
zi tutto Sluga sottolinea che, contrariamente a quanto asseri-
to da Dummett, non è vero che Frege abbia reagito contro
l'idealismo di matrice hegeliana predominante nell'ambiente
culturale tedesco, dal momento che, già da parecchi anni,
l'influenza hegeliana in ambiente tedesco era praticamente
nulla; al contrario si riscontrava una prevalenza di teorie di
tipo materialistico ed empiristico, e la filosofia di Frege può,
più verosimilmente, essere intesa nel quadro della reazione a
questo tipo di teorie. Fin qui Sluga ha sostanzialmente ra-
gione, e lo stesso Dummett lo riconosce, ammettendo il suo
errore. Ma egli va ben oltre, e ritiene che Frege debba essere
accostato, e non in maniera marginale, alla rinascita kantiana
(della quale in effetti è contemporaneo) e alla sua polemica
contro lo scientismo materialista; secondo Sluga, infatti, nel-
la filosofia di Frege si possono evidenziare molti tratti ricon-
ducibili a Kant (spesso attraverso la mediazione della Logica
di Lotze). In particolare: la primarietà del giudizio rispetto al
concetto e la nozione di oggettivo come valido universal-
mente e necessariamente (cfr. cap. II, 2); e Sluga si sforza an-
che di dimostrare come il supposto realismo di Frege debba
129
Mauritius_in_libris
essere reinterpretato ricorrendo a questa nozione kantiana di
oggettività. Ora, la presenza di un linguaggio kantiano (so-
prattutto nei Fondamenti) è innegabile: tuttavia resta da sta-
bilire se si tratta, prevalentemente, di semplici riprese termi-
nologiche, dovute alla Kant-renaissance caratteristica del pe-
riodo storico, oppure di effettive affinità concettuali. Sluga,
però, non sembra porsi nemmeno il problema: per lui la pre-
senza di asserzioni che suonano abbastanza simili è suffi-
ciente per stabilire un rapporto di derivazione concettuale,
senza tenere conto delle profonde diversità intercorrenti tra
l'impresa kantiana e il programma freghiano (a cominciare
dal ruolo della logica formale e dall'assenza in Frege di una
qualsiasi idea di una logica trascendentale distinta da quella
formale) 9 •
Sluga [ 1980] - e gli articoli dello stesso autore che lo
precedono - costituiscono un tentativo di confutazione dei
fondamenti stessi dell'interpretazione di Dummett; ma an-
che la maggior parte delle opere su Frege apparse dopo il
1973 si trovano costrette a fare i conti con questa "epocale"
interpretazione (per quanto il dissenso, di solito, non appaia
così radicale come nel caso di Sluga). Tali opere si possono
dividere, molto approssimativamente, in due tipi predo-
minanti.
Il primo è quello dei lavori che discutono dettagliatamen-
te singoli punti della filosofia di Frege, e che si rifanno quasi
sempre, per confermarle, smentirle o correggerle più o meno
ampiamente, alle analisi dummettiane: descrivere in poche
pagine tutte queste discussioni è praticamente impossibile,
' A mio avviso appare più interessante il confronto tra le tesi di Frege ed
alcuni risultati della logica e della metafisica antica e medioevale, ovviamen-
te a livello di ricostruzione ideale, non storica in senso stretto (un'influenza
diretta su Frege può essere tranquillamente esclusa). Infatti, anche se la me-
tafisica antica non può essere ridotta - come talvolta si tende a fare
nell'ambito della filosofia analitica - ad una filosofia del linguaggio ignara
di se stessa, è indubbio che considerazioni su ciò che è necessario postulare
per giustificare la significatività del linguaggio costituissero spesso il filo
conduttore per determinare la struttura ontologica della realtà: ne consegue
che nella metafisica e nella logica antica e medioevale si possono trovare
frammenti di teorie che appaiono idealmente confrontabili con quelli di
Frege.
130
Mauritius_in_libris
per apprezzare i diversi punti di vista sarebbe infatti neces-
sario ritornare sulla maggior parte delle questioni già esposte
nei capitoli precedenti e sviscerarle nei minimi dettagli, dato
che le varie posizioni, per quanto accanitamente difese, spes-
so non differiscono che per sfumature. Anche se in parecchi
casi si tratta di interpretazioni di secondo grado (cioè in-
terpretazioni delle interpretazioni) 10 , questi lavori sono spes-
so molto interessanti e contribuiscono alla comprensione di
molti punti del pensiero freghiano; tuttavia, a differenza di
quelli di Dummett e di Sluga, non ne costituiscono un'inter-
pretazione complessiva.
Il secondo tipo raggruppa gli esponenti del, per così dire,
"revisionismo freghiano", ossia quegli autori che ritengono
che la filosofia di Frege contenga tesi ed intuizioni molto
profonde e tuttora valide, mescolate però con errori più o
meno gravi; e che cercano, di conseguenza, di costruire delle
teorie di stampo freghiano in cui questi errori vengano elimi-
nati. L'idea di una sostanziale validità ed attualità della filo-
sofia freghiana deriva senza dubbio, almeno in larga misura,
dai lavori di Dummett, come pure l'idea di distinguere al
suo interno ciò che è vivo e ciò che è morto; ma, a differenza
di Dummett, i "revisionisti" cercano di costruire teorie "fre-
ghiane" che inglobino quanto di buono ritengono d'aver rin-
venuto scavando nelle opere di Frege.
Un paio di esempi saranno utili per chiarire di cosa si trat-
ta. Uno è Bell [1979], dedicato alla teoria del giudizio di
Frege, dove, tra le molte altre, viene ripresa la questione del
riferimento dei termini concettuali: Beli infatti, non potendo
più seguire Grossmann e Marshall nel negare che la tesi se-
condo cui i concetti costituiscono il riferimento di siffatti
131
Mauritius_in_libris
termini sia autenticamente freghiana, cerca invece di dimo-
strarne l'insostenibilità teorica. Il suo argomento (che è piut-
tosto complesso e che viene ripreso in diverse parti del libro)
è, in parte, il seguente:
(i) supporre che le espressioni appartenenti ad una data
categoria abbiano riferimento è significativo solo se è
possibile stabilire quando una tale espressione ha senso,
ma non riferimento;
(ii) nel caso dei termini concettuali quest'ultima circostanza
potrebbe verificarsi solo in due casi, se il termine in
questione (a) non è definito per alcuni possibili argo-
menti 11 , (b) contiene un termine individuale privo di ri-
ferimento;
(iii) ma, nel caso (a) l'enunciato in cui il termine compare
con uno degli argomenti per cui non è definito non ha
neppure un senso ("Aristotele è un numero primo" è
per Bell privo di senso); nel caso (b) l'enunciato in cui
compare un termine concettuale contenente un nome
proprio privo di riferimento può avere un valore di ve-
rità ("Aristotele non è un fratello di Ulisse" è per Bell
vero);
(iv) ne consegue - per (iii) e (ii) - che non si dà mai il ca-
so che un termine concettuale abbia senso ma non rife-
rimento, e quindi - per (i) - non è significativo
distinguere tra senso e riferimento dei termini concet-
tuali.
(v) Se le cose stanno così, la nozione di senso come modo
in cui è dato il riferimento non può essere corretta -
Bell conclude alla necessità di utilizzare una nozione in
qualche modo wittgensteiniana (del secondo Wittgen-
stein) di senso.
11 Questo può sembrare strano. Bell, tuttavia, ritiene che una componen-
132
Mauritius_in_libris
È inutile sottolineare quanto poco di "autentico Frege"
contenga questa argomentazione: se mi sono così dilungato
non è tanto per il suo interesse intrinseco, ma, piuttosto,
perché essa costituisce un esempio abbastanza illuminante
della tendenza a costruire teorie "freghiane" sottoponendo
quanto asserito da Frege ad un esame che ne saggi la vali-
dità, eliminando poi ciò che non supera l'esame e integrando
il rimanente con tesi a giudizio dell'autore più sostenibili.
Esiste una profonda differenza tra le teorie di quest'ultimo
tipo e quelle, ad esempio, di Carnap e Church: quest'ultime,
infatti, non pretendevano di essere delle interpretazioni di
Frege, ma si limitavano ad utilizzare quanto di convincente
trovavano nella sua filosofia; né, soprattutto, avevano la pre-
tesa di costruire quella teoria che avrebbe potuto e dovuto
formulare Frege, se solo ci avesse pensato meglio.
Questo carattere ibrido rende abbastanza difficile valuta-
re lavori di questo tipo: in molti casi il loro valore esegetico
risulta molto modesto (come in Tichy [1988] -vedi sotto) a
causa di un troppo massiccio rifiuto di tesi chiave della filo-
sofia freghiana; in altri (come in Wright [1983] - vedi sot-
to) si riscontra una maggiore aderenza alla problematica ed
alle tesi di fondo freghiane, ed allora il tentativo di ripensare
Frege può tradursi in un approfondimento interpretativo -
nel caso di Wright, come vedremo, soprattutto in relazione
al Principio del Contesto.
Un esempio ancora più spinto - rispetto a Bell - di
"revisionismo" è costituito, appunto, da Tichy [1988]. Il suo
punto di partenza è che il vero soggetto dell'aritmetica sono
le costruzioni aritmetiche e non i numeri o le funzioni (inte-
se in senso insiemistico, o come decorsi di valori freghiani):
ad esempio un termine come "(2.2)-3" dovrebbe essere il
nome non di un numero, ma della costruzione, o meglio, in
questo caso, del calcolo consistente nel moltiplicare 2 per se
stesso e nel sottrarre poi 3. Secondo Tichy, nella logica di
Frege sono compresenti entrambi i punti di vista: da un lato,
infatti, il riferimento di un termine come "(2.2)-3" è il nu-
mero 1; dall'altro Frege distingue tra funzioni e decorsi di
valori. Non solo, ma il Principio di Composizionalità mostra
una tensione irrisolta tra l'intendere il riferimento come una
133
Mauritius_in_libris
cosa o come una costruzione: infatti, per quanto il riferimen-
to di un termine sia determinato da quello delle sue parti, il
riferimento delle parti non è elemento costitutivo del riferi-
mento dell'intero (la Svezia non è infatti parte di ciò cui si ri-
ferisce "la capitale della Svezia", ossia Stoccolma). Tichy al-
lora intraprende una complessa ricostruzione di una logica
ispirata a quella di Frege, nella quale però i riferimenti sono
costituiti esclusivamente da costruzioni, e che evita il para-
dosso di Russell ricorrendo ad una versione analogamente
"costruttivista" della teoria dei tipi ramificata dello stesso
Russell.
Pur cedendo spesso alla tentazione di correggerne gli er-
rori 12 , gli interpreti professano in genere una grande ammi-
razione per Frege, ma, naturalmente, non potevano mancare
le stroncature: Baker - Hacker [1984] riempie la lacuna.
Questi autori sostengono infatti una duplice tesi: (A) che,
contrariamente a quanto pensa Dummett (ma non solo lui),
l'opera di Frege non ha nessuna vera affinità né profondi le-
gami con le opere dei logici e dei filosofi venuti dopo di lui;
(B) che, in ogni caso, giudicata per sé, la filosofia di Frege è
irrimediabilmente confusa e incoerente (ossia le difficoltà
che, come ogni filosofia, contiene sono così gravi e fonda-
mentali da rendere l'opera di Frege quasi totalmente priva di
valore). Per giustificare (A) gli autori attaccano alcuni dei
punti di forza dell'interpretazione di Dummett, ad esempio:
che la "semantica" di Frege possa essere considerata una
fondazione della semantica logica nel senso della teoria "tar-
skiana" dei modelli; che, in ogni caso, questa semantica pos-
sa avere un qualsiasi valore in quanto basata sull'indebita
estensione della relazione "nome-portatore del nome" dal-
l'ambito dei termini individuali a quello dei termini concet-
la maggior parte degli interpreti non considera questo un peccato, anzi ri-
tiene che l'unico modo fruttuoso di accostarsi ai filosofi del passato sia, per
usare le parole di W right, prendere sul serio le questioni che loro hanno
preso sul serio ed argomentare a favore o contro i punti di vista che loro
hanno adottato. È ad asserzioni come queste che Sluga pensava quando
parlava della costituzionale incapacità di lavoro storico che caratterizza i fi-
losofi di tradizione analitica.
134
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tuali. Inoltre sostengono che la stessa logica di Frege, presso-
ché universalmente riconosciuta come un enorme progresso,
non è, in fin dei conti, di grande valore perché esistono di-
versi (almeno sei) aspetti del linguaggio naturale che sono lo-
gicamente rilevanti, ma che l'Ideografia freghiana non riesce
a cogliere. D'altra parte la giustificazione della tesi (B) riposa
principalmente sulle difficoltà della teoria freghiana dei sen-
si. Tra le conseguenze più bizzarre di questa teoria ci sareb-
be, secondo gli autori, niente di meno che la determinabilità
a priori dell'estensione dei concetti: infatti se i concetti sono
funzioni e afferrare il senso di un termine concettuale signifi-
ca possedere una ricetta per calcolare la funzione corrispon-
dente, e se afferrare un senso è una questione che non ri-
guarda il modo in cui stanno le cose, afferrare il senso di un
termine concettuale significa allora essere in grado di de-
terminare a priori l'estensione del concetto. Quest'ultima ar-
gomentazione mostra chiaramente il carattere sofistico di
buona parte delle critiche di Baker e Hacker ("possedere
una ricetta per determinare" non significa "essere in grado
di determinare a priori"); per quel che riguarda la tesi (A) è
sufficiente osservare che molto in essa dipende dal non aver
compreso che il riferimento costituisce il principale valore
semantico in quanto è il contributo di un'espressione alla
determinazione del valore di verità degli enunciati in cui essa
occorre (per determinare le condizioni di verità di un enun-
ciato è senza dubbio necessario afferrare il pensiero che esso
esprime, ma solo perché è attraverso i sensi che ci sono dati i
riferimenti) 13 •
Più interessanti sono le critiche al paradigma freghiano
di chi, al contrario di Baker e Hacker, ritiene che l'influen-
za di Frege sulla semantica moderna sia stata anche troppo
forte e che l'abbia spinta sulla cattiva strada. Facciamo al-
se: per molti aspetti, infatti, le nostre concezioni correnti sono effettivamen-
te agli antipodi di quelle freghiane (basta pensare al "principio di tolleran-
za" camapiano, oppure al carattere ipotetico-deduttivo delle moderne teo-
rie matematiche, senza dubbio più hilbertiano che freghiano), e questo lo
stereotipo di Frege come "padre della logica moderna" tende a farlo passa-
re un po' in secondo piano.
135
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cuni esempi significativi. La cosiddetta "Nuova Teoria del
Riferimento" (i cui esponenti più importanti sono Kripke,
Putnam - in una delle molte fasi del suo pensiero - e
Donnellan) ha messo in discussione uno dei capisaldi della
semantica freghiana, ossia la necessità del senso come tra-
mite per la determinazione del riferimento: la tesi kripkiana
del riferimento diretto dei nomi propri, dei termini-massa
(come acqua) e dei termini generici, e quella putnamiana
dell'irrilevanza dello stato cognitivo del parlante per la de-
terminazione del riferimento delle espressioni, mettono ap-
punto in discussione questo ruolo del senso 14 • Inutile dire
che il confronto tra la "Nuova Teoria del Riferimento" e
quella "freghiana", nonché la valutazione dei loro rispettivi
meriti e demeriti, sono stati oggetto di un'infinità di discus-
sioni, di cui è impossibile, in questa sede, dare un resocon-
to anche solo sommario.
Critiche più radicali (e più recenti} al paradigma freghia-
no sono venute da parte di chi, pur riconoscendone l'ecce-
zionale valore storico, ritiene che l'intero progetto semanti-
co di Frege (e non solo una sua parte) sia fondamentalmen-
te sbagliato. Si tratta, in generale, di filosofi e linguisti che
ritengono la semantica "modellistica" di ispirazione tar-
skiana o kripkiana (semantica dei mondi possibili) inade-
guata in relazione al linguaggio naturale, e che, d'altra par-
te, concordano sostanzialmente con Dummett sul fatto che
l'ispirazione ultima di questo tipo di semantiche si trova in
Frege; essi propongono quindi di sostituirle con altre (tan-
to per fare alcuni esempi la game-theoretical semantics di
Hintikka e le varie forme di semantica cognitiva), nelle
quali la determinazione delle condizioni di verità e l' attri-
buzione composizionale di un valore semantico alle espres-
sioni non abbiano un ruolo così centrale. Ma è evidente
che, per lo più, il riferimento a Frege costituisce, per questi
14 Inutile dire che questi autori (come, del resto, i proponenti di una se-
136
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autori, appena un pretesto per proporre le proprie teorie
(una parziale eccezione è rappresentata da Hintikka [1984]
e [1992]).
Finora ci siamo occupati pressoché esclusivamente delle
interpretazioni della filosofia del linguaggio di Frege. La ra-
gione è che questa parte dell'opera freghiana è quella che ha
suscitato le discussioni e le controversie di gran lunga più vi-
vaci. Infatti gran parte del suo lavoro strettamente logico
(sostanzialmente il calcolo dei predicati del primo ordine),
opportunamente sistematizzato e con qualche modifica, è
stato considerato (cfr. sopra) come il nucleo base della logica
matematica e, in quanto tale, mai posto seriamente in di-
scussione (se non in termini di contrapposizione con para-
digmi rivali, come, tanto per fare qualche esempio, la logica
intuizionista o la logica rilevante). Al contrario la filosofia
della matematica di Frege, il logicismo, è stata quasi univer-
salmente ritenuta datata e di interesse meramente storico (e,
come si è visto, non sono moltissimi gli interpreti che si sono
dedicati all'opera di Frege animati da un interesse puramen-
te storico), non solo perché intrinsecamente contraddittoria,
ma anche per la sua pretesa di mostrare una fondazione ex-
tra-matematica della matematica stessa 15 • Tra le pubblicazio-
ni più recenti, un'importante eccezione è costituita da
Wright [1983], un libro che rientra nel filone del "revisioni-
smo freghiano" (di cui dicevamo in precedenza), ed il cui
scopo è esplorare la possibilità di un logicismo che eviti le
difficoltà (in particolare il paradosso di Russell) di quello
originale freghiano 16 • La crux di quest'ultimo consiste infatti
nell'inadeguatezza delle definizioni contestuali a rendere la
nozione di numero naturale perfettamente determinata (il
problema di "Giulio Cesare" - cfr. cap. II, 6) e nella conse-
" Ciò non toglie che molti, pur condividendo questo giudizio sulla filo-
sofia della matematica di F rege, considerino I fondamenti del!'aritmetica
una delle più brillanti opere filosofiche di tutti i tempi, sia per la chiarezza e
la devastante forza della parte critica, sia per i principi metodici utilizzati
nell'analisi della nozione di numero naturale.
16 Un altro esponente (ma meno orientato di Wright verso una puntuale
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guente necessità di introdurre le estensioni dei concetti co-
me oggetti; da parte sua Wright si propone di dimostrare
che le definizioni contestuali possono essere adeguate, a pat-
to di intendere "numero naturale" come un concetto sortale.
Seguendo sostanzialmente Wiggins, Wright intende per con-
cetto sortale un concetto la cui comprensione richiede la ca-
pacità non solo di distinguere tra cose cui esso si applica e
cose cui non si applica, ma anche (e soprattutto) di sapere
che cosa significa per due oggetti che cadono sotto di esso
essere lo stesso oggetto. Ora, la definizione "humiana" di
Fond. § 63 (che il numero spettante al concetto F è identico
al numero spettante al concetto G se e solo se esiste una
corrispondenza biunivoca tra questi due concetti) rappre-
senta appunto il criterio d'identità che permette di conside-
rare il numero come un concetto sortale; ed il problema di
"Giulio Cesare" può essere risolto semplicemente osservan-
do che "persona" e "numero naturale" sono concetti sortali
distinti perché un criterio d'identità basato sulla corrispon-
denza biunivoca non è applicabile ad oggetti come le perso-
ne. Secondo Wright diventa allora possibile definire i nume-
ri naturali come numeri spettanti a determinati concetti, sen-
za essere costretti ad identificarli con estensioni; e realizzare
un programma logicista "moderato" consistente in una defi-
nizione su basi puramente logiche dei concetti aritmetici, ta-
le che le trascrizioni in questi termini degli assiomi del-
1'aritmetica risultano essere teoremi della logica. Questo non
significa che tutti i teoremi dell'aritmetica debbano possede-
re una trascrizione in termini puramente logici: infatti è pos-
sibile mostrare che la definizione contestuale dei numeri na-
turali proposta da Wright non permette una simile trascri-
zione di molte identità numeriche.
Al contrario di Wright, Resnik [1980] non mira ad una
versione riveduta e corretta del logicismo freghiano, piutto-
sto ad una riconsiderazione "attualizzata" della parte pole-
mica dei Fondamenti e della controversia tra Frege ed Hil-
bert sulle definizioni in matematica. Resnik concorda con la
stragrande maggioranza degli interpreti sul carattere deva-
stante delle obiezioni freghiane, ma osserva che le posizioni
criticate (lo psicologismo di Mili, il formalismo di Thomae e
138
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altri, il deduttivismo del primo Hilbert) sono state, nel corso
di questo secolo, riprese e modificate in maniera da sfuggire
alle più evidenti difficoltà messe in luce da Frege (si pensi,
tanto per fare un esempio, al formalismo di Curry). Tuttavia
Resnik ritiene che anche queste nuove versioni delle antiche
posizioni possano essere, in qualche modo, colpite da
considerazioni ancora riconducibili alle osservazioni freghia-
ne, e dedica perciò largo spazio ad una discussione "freghia-
na" di queste nuove versioni.
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[6] Recensione di H. Cohen, Das Prinzip der Infinitesimal-Metho-
de und seine Geschichte, in «Zeitschrift fiir Philosophie und
philosophische Kritik», LXXXVII (1885), pp. 324-29. Cfr.
[32], [35a], [50].
[7] Ober formale Theorien der Arithmetik (Sulle teorie formaliste
dell'aritmetica), in <<Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissen-
schaft», XIX (1886), pp. 94-104. Cfr. [32], [50].
[8] Funktion und Begriff (Funzione e concetto), Conferenza tenu-
ta il 9/111891 allaJenaische Gesellschaft fiir Medizin und Na-
turwissenschaft,Jena. Cfr. [29], [32], [36], [37], [43], [50].
[9] Ober das Triigheitsgesetz (Sul principio di inerzia), in «Zeit-
schrift fiir Philosophie und philosophische Kritik», XCVIII
(1891), pp. 145-61. Cfr. [32], [35a], [50].
[10] Ober Sinn und Bedeutung (Senso e riferimento), in «Zeit-
schrift fiir Philosophie und philosophische Kritik», C (1892),
pp. 25-50. Cfr. [29], [32], [35], [35a], [36], [37], [43], [50].
[11] Ober Begnff und Gegenstand (Concetto e oggetto), in «Vier-
teljahrsschrift fiir wissenschaftliche Philosophie», XVI (1892),
pp. 192-205. Cfr. [29], [32], [35], [35a], [36], [37], [43], [50].
[12] Recensione di G. Cantor, Zur Lehre von Transfiniten, in
«Zeitschrift fiir Philosophie und philosophische Kritilrn, C
(1892), pp. 269-72. Cfr. [32], [35a], [50].
[13] Grundgesetze der Arithmetik, begriffsschri/tlich abgeleitet (I
principi dell'aritmetica, derivati in forma ideografica), I, Jena
1893; II, Jena 1903 (ristampa anastatica presso G. Olms, Hil-
desheim 1966). Cfr. [35], [35a], [43], [44].
[14] Recensione di E. Husserl, Philosophie der Arithmetik, I, in
«Zeitschrift fiir Philosophie und philosophische Kritik», CII
(1894), pp. 313-32. Cfr. [32], [35a], [43], [50].
[15] Le nombre entier (Il numero intero), in «Revue de Métaphysi-
que et de Moral», III (1895), pp. 73-78. Cfr. [32], [50].
[16] Kritische Beleuchtung einiger Punkte in E. Schroders "Vorle-
sungen uber die Algebra der Logik" (Delucidazione critica
di alcuni punti nelle "Lezioni sul!'algebra della logica" di E.
Schroder), in «Archiv fiir systematische Philosophie», I
(1895), pp. 433-56. Cfr. [31], [32], [43], [50].
144
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[17] Lettera del sig. G. Frege all'editore, in «Revue de Mathémati-
ques», VI (1896-99), pp. 53-59. Cfr. [32], [35a].
[18] Ober die Begri/fsschrzft des Herrn Peana und meine eigene
(Sull'Ideografia del signor Peana e la mia), in «Berichte iiber
die Verhandlungen der Kèiniglich Sachsischen Gesellschaft
der Wissenschaften zu Leipzig. Mathematisch-physische
Klasse», XLVIII (1897), pp. 361-78. Cfr. [32], [50].
[19] Ober die Zahlen des He"n H. Schubert (Sui numeri del signor
H. Schubert),Jena 1899. Cfr. [31], [32], [50].
[20] Ober die Grundlagen der Ceometrie (I fondamenti della geo-
metria), in <<Jahresbericht der Deutschen Mathematiker-Ver-
einigung», XII (1903), pp. 319-24; II, ibidem, pp. 368-75.
Cfr. [32], [50].
[21] Was ist eine Funktion? (Che cos'è una funzione?), in Fest-
schrift fiir Ludwig Boltzmann, Leipzig 1904, pp. 656-66. Cfr.
[29], [32], [43], [50].
[22] Ober die Grundlagen der Geometrie (I fondamenti della geo-
metria), I, in «Jahresbericht der Deutschen Mathematiker-
Vereinigung», XV (1906), pp. 293-309; II, ibidem, pp. 377-
403; III, ibidem, pp. 423-30. Cfr. [32], [50].
[23] Antwort auf die Ferienplauderei des He"n Thomae (Risposta
alla "chiacchierata" del signor Thomae), in <<Jahresbericht der
Deutschen Mathematiker-Vereinigung», XV (1906), pp. 586-
590. Cfr. [32], [50].
[24] Vie Unmoglichkeit der Thomaeschen formalen Arithmetik aufs
Neue nachgewiesen (L'impossibilità dell'aritmetica formalista
di Thomae dimostrata di nuovo), in <<Jahresbericht der Deut-
schen Mathematiker-Vereinigung», XVII (1908), pp. 52-55.
Cfr. [32], [50].
[25] Annotazioni a Jourdain P.E.B., The Vevelopment of the Theo-
ries of Mathematical Logie and the Principles of Mathematics,
in «The Quarterly Journal of Pure and Applied Mathemat-
ics», XLIII (1912), pp. 237-69. Cfr. [32].
[26] Ver Gedanke. Bine logische Untersuchung (Il pensiero. Una ricer-
ca logica), in «Beitrage zur Philosophie des deutschen Idealis-
mus», I (1918-19), pp. 58-77. Cfr. [31], [36], [40], [47], [50].
[27] Vie Verneinung. Bine logische Untersuchung (La negazione.
Una ricerca logica), in «Beitriige zur Philosophie des deut-
schen Idealismus», I (1918-19), pp. 143-57. Cfr. [31], [36],
[40], [43], [47], [50].
145
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[28] Logische Untersuchungen. Dritten Teil: Gedankenge/uge (Ri-
cerche logiche. Terza parte: la composizione dei pensieri), in
«Beitrage zur Philosophie des deutschen Idealismus», III
(1923-26), pp. 36-51. Cfr. [31], [36], [40], [47], [50].
[29] Funktion, Begriff, Bedeutung. Funi logische Studien, a cura di
G. Patzig, Gèittingen 1962 (contiene una nuova edizione di
[3], [8], [10], [11] e [21]).
[30] Begri//sschrzft und andere Au/siitze, a cura di I. Angelelli,
Darmstadt - Hildesheim 1964 (contiene una nuova edizione
di [1]-[4]).
[31] Logische Untersuchungen, a cura di G. Patzig, Gèittingen 1966
(contiene una nuova edizione di [16], [19], [26]-[28]) .
[32] Kleine Schrzften, a cura di I. Angelelli, Darmstadt-Hildesheim
1967 (contiene una nuova edizione di [2], [3], [4], [6]-[12],
[14]-[25], oltre ai testi minori non elencati nella presente bi-
bliografia).
[33] Nachgelassene Schrzften, a cura di H. Hermes, F. Kambartel,
F. Kaulbach (con la collaborazione di G. Gabriel e W. Rodd-
ing), Hamburg 1969, 1983 2 (contiene tutti gli scritti inediti di
Frege).
[33a] Schri/ten zur Logik und Sprachphilosophie aus dem Nachlass,
a cura di G. Gabriel, Hamburg 1971 (si tratta di una versione
ridotta di [33], la cui terza edizione, del 1989, contiene una
vasta, anche se non completa, bibliografia su Frege).
[34] Wissenscha/tlicher Brie/wechsel, a cura di G. Gabriel, H. Her-
mes, F. Kambartel, C. Thiel, A. Veraart, F. Meiner, Hamburg
1976 (contiene quasi tutto quel che resta dell'epistolario
scientifico di Frege). Cfr. [38], [49].
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tiene [5], [10], parti di [9] e [11] e della prefazione di [13]).
[35a] Logica e aritmetica, a cura di L. Geymonat e C. Mangione,
Torino 1965 (edizione riveduta ed ampliata di [35], conte-
nente [1], [5], [6], [10]-[12], [14], [17], parti di [9] e [13],
alcuni inediti).
[36] Ricerche logiche, a cura di C. Lazzerini, Bologna 1970 (contie-
ne [8], [10], [11], [26]-[28]).
146
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[37] La struttura logica del linguaggio, a cura di A. Bonomi, Milano
1973 (contiene le nuove traduzioni, di S. Zecchi, di [8] par-
ziale, [10], [11]).
[38] Alle origini della nuova logica, a cura di C. Mangione, Torino
1983 (traduzione parziale, a cura di A.M. Obwexer, di [34]).
[39] Scritti postumi, a cura di E. Picardi, Napoli 1986 (traduzione,
a cura di E. Picardi, di [33]).
[40] Ricerche logiche, a cura di M. Di Francesco, Milano 1988
(contiene le nuove traduzioni, di R. Casati, di [26]-[28]).
[41] Gottlob Frege, lettere a Wittgenstein, a cura di C. Penco, in
"Epistemologia", XII (1989), pp. 331-52 (tradotte da "Grazer
Philosophischen Studien'', XXXIII/IV (1989), pp. 8-26).
147
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Testi inediti:
148
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ni, in modo da facilitare l'orientamento del lettore: (Il.1) Opere ge-
nerali; (11.2) Logica e filosofia del linguaggio; (Il.3) Filosofia della
matematica.
Nel testo le opere in bibliografia sono citate tramite autore e da-
ta di pubblicazione: ad esempio, "Angelelli (1967]" si riferisce al
secondo dei titoli elencati nella sezione (11.1). Qualora due lavori
dello stesso autore siano stati pubblicati nello stesso anno, alla data
viene aggiunta una lettera minuscola, in base all'ordine in cui essi
compaiono nella presente Bibliografia.
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INDICE
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GoTI1..oB FREGE
AVVERTENZA VII
I. L '«Ideografia» e la logica 3
1. Inadeguatezza della logica tradizionale, p. 3 - 2.
L' «Ideografia»: connettivi e giudizi, p. 8 - 3. L' «Ideogra-
fia»: i quantificatori, p. 20 - 4. La quantificazione di se-
condo ordine e la gerarchia delle funzioni, p. 26 - 5.
L'identità e la "semantica" dell'«Ideografia», p. 28 - 6. I
diversi significati di "essere", p. 32 - 7. Il sistema assio-
matico dell'«Ideografia», p. 35 - 8. Frege e l'algebra del-
la logica, p. 37
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indiretti e il Principio di Composizionalità, p. 98 - 5. I
termini singolari privi di riferimento, p. 103 - 6. Il siste-
ma dei «Principi» e la contraddizione, p. 106 - 7. Princi-
pio di Composizionalità e Principio del Contesto, p. 114
BIBLIOGRAFIA 141
I. Opere principali di Frege 143
Il. Scritti su F rege 148
III. Altri scritti rilevanti 155
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I FILOSOFI
1. Husserl di Renzo Raggiunti
2. Schopenhauer di lcilio Vecchiotti
3. Berkeley di Mario Manlio Rossi
4. Socrate di Francesco Adorno
5. Lukécs di Giuseppe Bedeschi
6. Weber di Nicola M. De Feo
7. Hume di Antonio Santucci
8. Talete, Anasslmandro, Anasslmene di Renato Laurenti
9. Cusano di Giovanni Santinello
10. Heidegger di Gianni Vattimo
11. Schelling di Giuseppe Semerari
12. Hobbes di Arrigo Pacchi
13. Carnap di Alberto Pasquinelli
14. Moore di Eugenio Lecaldano
15. Whltehead di Massimo A. Bonfantini
16. Tommaso d'Aquino di Sofia Vanni Rovighi
17. Wlttgenstein di Aldo G. Gargani
18. Dewey di Alberto Granese
19. Sartre di Sergio Moravia
20. Pascal di Adriano Bausola
21. Abelardo di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri
22. Aristotele di Giovanni Reale
23. Rousseau di Paolo Casini
24. Gentile di Aldo Lo Schiavo
25. Parmenide di Antonio Capizzi
26. Leibniz di Vittorio Mathieu
27. Ockham di Alessandro Ghisalberti
28. Feuerbach di Claudio Cesa
29. Platone di Francesco Adorno
30. Kant di Augusto Guerra
31. Epicuro di Domenico Pesce
32. Marx di Giuseppe Bedeschi
33. Labriola di Stefano Poggi
34. Locke di Mario Sina
35. Comte di Antimo Negri
36. Klerkegaard di Salvatore Spera
37. Spinoza di Filippo Mignini
38. Plotino di Margherita lsnardi Parente
39. Vico di Nicola Badaloni
40. Croce di Paolo Sonetti
41. Nietzsche di Gianni Vattimo
42. La Scuola di Francoforte di Giuseppe Bedeschi
43. James di Patrizia Guarnieri
44. Ruggero Bacone di Franco Alessio
45. Dllthey di Franco Bianco
46. Anselmo d'Aosta di Sofia Vanni Rovighi
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47. Il Positivismo di Stefano Poggi
48. Herbart di Renato Pettoello
49. Hegel di Valerio Verra
50. Cartesio di Giovanni Crapulli
51. Proclo di Giovanni Reale
52. Newton di Maurizio Mamiani
53. Russell di Michele Di Francesco
54. Il Tradizionalismo francese di Marco Ravera
55. Lo Storicismo di Fulvio Tessitore
56. Casslrer di Giulio Raio
57. Il Nichilismo di Federico Vercellone
58. Peirce di Rossella Fabbrichesi Leo
59. Lo stoicismo ellenistico di Margherita lsnardi Parente
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