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Nell'odierna rinascita degli ~tutti i logica, che interessano un numero sempre pi grande di ~cienziati
ricercatori e Ilosufr., si t:olloca que5to libro .di
A:
Viano inteso a dare una ricostruzione della logica di
Aristotele, non solo storjcmncntc fondata, ma anch
la IL: da poter contribui re n li a soluzionc- dei 1nuhlem i
che irHen::..;sano la scienza c la filosofia cot1tcn1poranca.
La logica aris.totelka i.: considentlu sin da principio
nel suo orizzonte lingui~Lil.:o e t'intero libro rende a
:nostrarc come lo s.copo di essa i.: la lorrnulazione delle
regole di un Jinguaggio unico e lot.ale d1e (; comune
a tutte le scienze in quanto non esprime gli oggetti
specifici delle scienze stcs~o..:, ma J'esst!re nella sua
univcrsalit c necessit. In tal n1odo l'autore n.:i11t.egra
la logica nel quadro dcll'intt:ra enc.:iclopedia at'islotci"lc.1
c la connctt<.: alla n1ctafisica non gi m~l senso di
considerarla con1c foncbta s.u(]a mL~Lalsiea, quasi che
questa ne fosse il presupposto, n1a nel sen:so che essa
si sviluppa di pari passo con la rnelatiska che ,
ad un tc1npo, il presupposto e il fine cklla logica
stessa.
Il libro di Viano eJjmina la pre.tesa che la logica
aristotelica dcscri\'a il procc.~dere naturale dcll'intel1l
genza c che essa sia pcrci(l sen~'altro la logica C"lt":rna;
ma nello stcs~o krnpo raHurz~l il valore storico di questa
logica, pur nelle limitazioni c nelle se d t..: arbi1 rariL~
che l'hanno resa (X~ossible mostrzmdola come una dle
aJ(e,natin: fonUamer1lali che il pensiero um:-.rlo ha inconll'alo sul suo canllllino c che ancora gli si pn)spella
o come ipol~~i vi...-;;J o rome termiue pokmico di

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CARLO AUGUSTO VIANO

LA LOGICA
DI

ARISTOTELE

TAYLOR TORINO
1955

EDITORE

1955

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@COPYRIGHT 1955
PROPRIET LETTERARIA

TAYLOR TORINO
EDITORE

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INTRODUZIONE

Il punto di vista da cui intendiamo prendere le mosse e che ci pare


adatto a permettere un proficuo studio della logica aristotelica pu essere
sufficientemente precisato se messo in rapporto con la tradizione storiagrafica concernente questo argomento. Le non molte pagine che compongono l' Organon hanno suscitato interessi per secoli intieri dal tempo dei
commenti greci fino ai rinnovati studi aristotelici del '500, attraverso gli
studi medioevali, e fino alla logica classica dell' 8oo. Ma una vera e propria indagine storiografica volta non a sviluppare una tecnica logica i cui
principi si considerassero posti da Aristotele, bens a comprendere il
significato delle dottrine dello Stagirita e nei rapporti con gli atteggiamenti di pensiero dci suoi contemporanei e nei rapporti con gli interessi
dello Stagirita stesso, sorse solo all' inizio del secolo scorso e tramont
abbastanza rapidamente: tanto che da cinquant'anni a questa parte poche
e non molto significative sono le opere dedicate alta logica aristotelica.
Le ragioni di ci si possono forse trovare nella impostazione che nella
filosofia contemporanea viene data al problema logico. Infatti, nell' 8oo
da un lato la critica kantiana presenta un'interpretazione della scienza
classica servendosi proprio delle categorie della logie..1. tradizionale come
categorie proprie dell'intelletto umano, categorie di cui si serve ancora
la logica hegeliana che pretende addirittura di assurgere a logica di tutta
la realt ; d'~~ltra parte il positivismo, soprattutto in Inghilterra, tenta di
elaborare una logica empirica servendosi degli schemi che la logica tradizionale aveva mutuato da Aristotele; e la stessa logica formale ottocentesca finisce con il favorire lo studio di quello che i suoi cultori consideravano come il fondatore della loro disciplina. Invece nel '900 l'ideali:;mo neo-hegeliano abbandona l' esigenza panlogistica, almeno quale si
configura nello Hegel, preferendo parlare di una Coscienza assoluta pi
che di un'Idea che si svolga secondo una necessit logica, scoprendo
perci negli schemi cui ancora la T17issenschaft der Logik si era attenuta
contraddizioni insanabili, come il Bradley, o vedendo nella logica che si
attiene agli schemi aristotelici una indebita infiltrazione di schemi verbali
irrigiditi nel campo del pensiero puro, come il Croce, o l'irrigidirsi del
pensiero pensante nell'astratto pensiero pensato, come il Gentile. D'altra
parte anche la logica della scienza tentava di liberarsi degli schemi tradizionali diventati incapaci di intendere i metodi nuovi di cui l' indag-ine
scientifica si serviva o avvicinandosi sempre di pi alla tecnica della matematica, con la logistica, o configurandosi come rigorosa analisi sintat-

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INTRODUZIONE

tica del linguaggio o servendosi delle nuove categorie che il pragmatismo


offriva per l'interpretazione della scienza. In questo orizzonte gli studi
sulla logica aristotelica non trovavano terreno propizio per germogliare.
Infatti gli interpreti idealisti, tra i quali il pitl significativo forse il
Calogero (1), accettavano ben volentieri la qualificazione della logica aristotelica come logica formale, come solidificazione astratta ed artificiosa
dell'opera vivente del pensiero e perci tentavano di mostrare come essa
non fosse essenziale per la comprensione del vero pensiero aristotelico in
quanto ostituisce un'intrusione del dianoetico nella noesi, cio nell'atto
di pensiero puro che determina i suoi contenuti immediatamente e senza
ricorrere allo schema verbale del giudizio, come dimostrerebbe nel modo
pi lampante il libro r della M etaphysim ed il frequente affiorare di
questa esigenza anche nelle pagine dell'Organon, additate con molto acume e con molta perizia nella succitata opera del Calogero. La logistica,
per bocca del Russell, prendeva un netto atteggiamento polemico nei riguardi della logica aristotelica vedendo in essa un insieme di schemi verbali non rispondenti per ad un'autentica tecnica logica, perch inficiati
dal presupposto sostanzialistico, di carattere metafisica, che, riducendo
tutte le enunciazioni a proposizioni della forma soggetto-predicato, preclude ogni considerazione delle relazioni e). Tuttavia proprio nell'ambito
della logistica doveva sorgere un altro atteggiamento verso la logica aristotelica, meno polemico, rappresentato soprattutto dallo Scholz, dal Becker e dal Bochnski. Comune a questi interpreti il presupposto che la
logica di Aristotele sia logica formale, cio volta ad elaborare schemi linguistici aventi rapporti noti ed indipendenti dal valore dato alle incognite
che in essi possono comparire. In questo modo, pur accettando l'osservazione del Russell che la logica aristotelica non va accettata cos com' perch deve essere integrata e sviluppata soprattutto con l'aggiunta della logica delle relazioni, essi non polemizzano pi contro di essa, ma anzi la considerano come il precedente storico della logica fonnale contemporanea
che si presenta appunto come un progresso rispetto a quella. Di conseguenza questi interpreti non mettono in problema le dottrine aristoteliche
e l'impostazione da esse data al problema della logica; ma anzi accettano
che quella dello Stagirita sia la vera impostazione del problema logico, la
soluzione del quale consiste nello sviluppo diretto delle dottrine dell'Organon. Infatti secondo lo Scholz (3) Aristotele avrebbe formulato un'assiomatica che permetteva alla scienza del suo tempo di organizz.o'l.rsi come
un sistema di proposizioni necessariamente connesse; su questa base, da
(l) G. CALOGERO, l /011dameati della logica aristotelica, Firenze, 1927.
( 2) B. RussEr,L, Storia della filosofia occidentale, trad. it. Payolini, Milano,
1948, pp. 27Q-279.
(3) H. SCHOLZ, Geschichte der Logik, Bcrlin, 1931, capp. r" e 2" ed appendice
(pp. 75 segg.), in cui ripreso un tema gi accennato in Die A,domatik der Alten,
Blatter fiir Deutsche Philosophie , 1930-34, pp. 259-278.

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INTRODUZIONE

un lato, il Becker (4 ) ha intrapreso una trascrizione in simboli della dottrina aristotelica della possibilit senza dare ragione delle diverse interpretazioni che di questa categoria lo Stagirita veniva dando, mentre dall'altro il Bochnski (5 ) ha svolto un esame particolareggiato dell'assiomatica di cui parlava lo Scholz e della dottrina linguistica da questa presupposta, senza per vedere i rapporti tra questa e quella. Contro questo
rapporto di derivazione diretta della logica formale contemporanea da
quella aristotelica protestava il Veatch (6 ) facendo per uso di argomenti
non molto persuasivi. Fuori della logistica, frattanto, le difficolt sorgenti
<lal tentativo di interpretare la scienza contemporanea con la logica aristotelica venivano messe in luce dal Reiser (1) in alcuni articoli assai
superficiali e disordinati, ma contenenti alcune buone osservazioni, e
soprattutto dal Dewey che, con un atteggiamento ben pi equilibrato,
notava come la logica aristotelica presupponesse l'antologia della sostanza
alla quale era legata (,c;) ; ma, facendo occasionalmente queste os-servazioni in un'opera teorica, egli lasciava aperto proprio il problema di
trovare i modi precisi di questo rapporto tra antologia e logica e di determinare come l'antologia si modelli attraverso la logica.
Dall'esame delle interpretazioni surriferite si possono trarre alcune
importanti considerazioni che permettono subito di orientarsi di fronte
alla logica aristotelica. Infatti lo studio della logica propria della scienza
contemporanea ci fa subito avvertiti che ad essa non sono pi applicabili gli schemi dell' Organon distruggendo cos la pretesa di vedere in
esso le tavole eterne, sebbene magari ancora incomplete, su cui sono
segnate le leggi del pensiero umano e scoprendo le quali .Aristotele
avrebbe fatto l'uomo razionale, dopo che Dio lo aveva fatto semplice
creatura a due gambe, come disse il Locke (0 ). Ci posto, risulta impossibile giustificare storicamente la logica aristotelica vedendo in essa la
scoperta del procedimento del pensiero in quanto tale, che in fondo
l'interpretazione del Barthlemy Saint-Hilaire (10), o anche solo dell'intelletto che sar poi superato dialetticamente dalla Ragione, come sostiene
lo Hegel (11). Ma allora il problema della logica aristotelica si presenta
( 4)

A.

BECKER,

Die aristotelische Theorie der l'v! oglichkeitsschliisse, Berlin,

1933.
(5)

I. M.

BociiENSKI,

Ancient forma,/ logic, Amsterdam, I95I.

(il) VEATCII, Formalism and/or lntentionalit.v in Logic, Philosophy and Phenomenological Research , XI, I9SI. Questo articolo immediatamente seguito dalla

discussione con il Cori.


( 7 ) O. L. RErsEI{, N on-aristotelian logics, The Monist , 1935; In, M odern
science and 1~on-aristotelian logic, 'fhe Monist , 1936; In., N o1v-aristotelian logic
.and the crsis il~ science, Scientia , 1937.
(8)]. DEWEY, Logic, the Theory of [nquiry, New York, 1939, parte I, cap. V.
(9) J LoCim, Essay of H1tman Understo.nding, libro IV, cap. IT', par. 4".
(10) J. BARTHELEMY SAINT-HII.A.IRE, De lo. logique d'Aristate, Paris, 1838.
(11) G. G. F. HEGEL, Storia dello. filosofia, trad. it., Firenze, 1932, vol. II,
~ap. 3", B, par. 4".

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INTI<ODUZIONf

in tutta la sua gravit. Infatti essa non potr pi essere giustificata come
insieme di regole che reggano il corso del pensiero stesso in quanto tale,
ma bisogner esaminare l'effettivo valore che essa ha per noi, i problemi
che essa ci pone, gli eventuali mezzi per risolverli che essa ci offre. M a
queste sono prospettive di ricerca che ci si offrono solo in quanto alla
logica aristotelica non si attribuisca una validit metastorica e si riconosca in essa un insieme di dottrine storicamente condizionate che storicamente vanno studiate. Da ci consegue che la logica di Aristotele non
potr essere studiata come logica in quanto tale, ma dovr essere studiata
come logica aristotelica: cio svolgere una ricerca su di essa vorr dire
giustificare il suo posto nell' insieme delle opere aristoteliche, mettere
in luce quali problemi il suo autore si proponeva di risolvere e quali
riusciva a risolvere con essa. Perci le interpretazioni idealistiche e logistiche, che sopra abbiamo esaminato, non conducono a fondo l' interpretazione storica della logica aristotelica in quanto lasciano sussistere
dei termini - logica formale, schema verbale - il cui significato non
viene determinato nel corso dell' indagine stessa, ma presupposto ad
essa. vero che la logica di Aristotele costruita di schemi verbali ; ma
l'osservare che quegli schemi verbali sono troppo limitati o che essi oggi
non servono pi e rimproverare ad essi di soffocare la vera vita del pensiero non serve a comprendere storicamente il pensiero dello Stagirita;
piuttosto giova vedere che cosa potesse significare per Aristotele stesso
schema verbale, quale uso di esso egli giustificasse, di quali dimensioni tenesse conto e quali eliminasse per costruire proprio quella nozione.
Ed altrettanto dicasi per la qualificazione della sua logica come logica
formale: in un certo senso questa attribuzione pu essere sostenuta in
quanto almeno gli Analytica priora si occupano di pure forme verbali
in cui i termini sono rappresentati con lettere che prescindono da ogni
eventuale contenuto. Ma il problema che subito si presenta quello di
determinare che significato abbia per Aristotele la forma e l'aggettivo
verbale che ad essa viene attribuito. Perci la cu1nprensione storica
della. logica aristotelica ha come sua condizione la connessione delle dottrine logiche con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita: a questo
modo la lob>ica non verr considerata come la scienza del pensiero in
quanto tale, ma come la logica resa possibile da una ben determinata posizione filosofica, presupponente una ben determinata metafisica, mentre,
d'altra parte, sar aperta la via a considerare con quali mezzi logico-linguistici sia stato possibile costruire quella metafisica.
La connessione delle dottrine logiche con quelle metafisiche nell' interpretazione di Aristotele non nuova e, anzi, costituisce il tema dominante di alcuni studi assai celebri. Essa riscontrabile nelle opere appartenenti alla storiografia francese di ispirazione spiritualistica facente capo

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INTRODUZIONE

al Ravaisson (12), all' Hamelin (1 3) ed al Bergson (14). Carattere comune


di questi studi la presupposizione di una certa interpretazione della metafisica aristotelica, nella quale si cerca un posto per la logica o partendo
dalla quale si discutono questioni pertinenti propriamente alla logica. E
anche l' interpretazione della metafisica caratterizzabile in modo assai
tipico: essa infatti viene spiegata con schemi in prevalenza neoplatonici
in base ai quali si vuole vedere teorizzata l'opera di un universale che
darebbe vita agli individuali senza tuttavia risolversi totalmente in essi,
lasciando cos sussistere quelle aporie che. secondo questi interpreti, sarebbero riscontrabili nel zcoQt<Jf.lO; delle idee platoniche. Di conseguenza
le interpretazioni della logica appartenenti a questa corrente, come quelle
dello Chevalier (1 5 ), deii'Aslan (1 6 ), del Baclareu (17), del Robin (18),
di S. Mansion (1n) rivelano un unico schema nel quale la logica appare come la dottrina dell'universale puro ed assolutamente necessario
che lascia fuori di s il particolare esistente, nel quale la necessit si attenua fino a diventare soltanto il per lo pit: anche qui cio spunta la
difficolt della metafisica per cui da un lato l'universale il solo oggetto
veramente conoscibile, dall'altro il particolare il solo oggetto veramente
e::istente. A questa interpretazione si potrebbe obbiettare che lascia insoluto proprio il problema della logica come logica, ossia come ricerca sulla
possibilit di un discorso rigoroso, in quanto in questi studi non si vede
come lo stesso discorso rigoroso, per potersi costituire come tale, richieda
per Aristotele una certa metafisica. Del resto assai significativo che
questi interpreti si siano cimentati ben poco con gli Analytica priora
esponendone semmai la dottrina, ma accettando implicitamente la tesi
che in essi svolta una trattazione di logica formale. Lo stesso Chevalier, che pi degli altri si addentra nell'analisi di questo trattato, dichiara che esso rappresenta un tentativo di costruire una logica formale (20 ) ;
tentativo fallito perch il sillogismo richiede come fondamento una necessit reale che concepibile solo se le premesse sono immediatamente
intuibili, perch in caso contrario la pura necessit logica diventerebbe
una mera necessit ipotetica. Ma la difficolt sta proprio qui, cio nell'assunzione che il sillogismo sia un mero mezzo di svolgere coerente(12) F. }{AVAISSON, Essai sur lcJ Metaphysique d'/Jristote, Paris, r837-1846;
stato tradotto in italiano dal Tilgher e pubblicato dal Le Monnicr nel 1922.
(13) O. HAMELIN, Le s:ystme d'Aristate, Paris, 1920.
(14) H. Rn:GSON, L't1olution cratrice, Paris, 1948 (77' ed.), pp. 313-23.
( 1 5) ]. 0IEVALIER, La notiMt du ncessaire che.= Aristote et chez ses prdcesseurs particullremmt chez Platon, Paris, 1915.
(!(l) G. AsLAN, Le jugement chez Aristate, Paris, 1908.
(17) BADARF.U, L' individuel chez Aristote, Paris, s. d. (ma 1936).
(li!) L. RoDIN, Aristote, Paris, 1944.
(19) SU ZANNE MANSION, l. e j1~gement d'existence chez Arstote, Louvain-Paris,
1946.
(20) ].

CHEVALIER,

op. cit., parte II, cap.

!0

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INTRODUZIONE

mente un' ipotesi, il cm unico contatto con la realt consista in un' intuizione intellettuale.
Ben pi significativo il modo in cui il Prantl tenta di connettere
la logica con la metafisica nella sua Gcschichte der Logik im Abe-ndlande (21). Il fondamento della mediazione logica un Realprincip immanente alle cose stesse e costituente l'equivalente 011tologico delle categorie
linguistiche di cui fa uso la logica. Il merito del Prantl consiste appunto
nel tentare di definire per quel che gli possibile il principio ntologico
con categorie logiche, mettendo in luce la stretta connessione che per Aristotele sussiste tra questi due aspetti. Senonch anche qui non si vede poi
~ome non solo il Realprincip sia definibile con categorie logiche, ma come
le stesse categorie logiche determinino il Rea!princip costituendosi proprio come categorie logiche. Mentre il Prantl pone al centro della interpretazione il concetto che definibile contemporaneamente con categorie antologiche e con categorie logiche, il Trendelenburg preferisce pmtire dalla considerazione del giudizio nel quale prendono senso le categorie che deriverebbero dalle varie parti del discorso distinte dalla grammatica ( 22 ). Da questa interpretazione prendeva l'avvio una lunga discussione sulla dottrina delle categorie aristoteliche condotta dal Bonitz (2 3 ),
daii'Apelt (24), dal Gercke (25), dal Witte (26), dal Geyser (2 7), dal Gillespie, dal von Fritz (2 8 ), nel corso della quale si tenta eli penetrare sempre meglio i precedenti accademici della dottrina aristotelica e si abbandona anche l'analogia con le categorie kantiane che in un primo tempo
erano state il termine del confronto che tutte le trattazioni si sentivano
in dovere di fare impedendosi cos la comprensione del significato propriamente aristotelico di quella dottrina. Ma il mo~ivo della centralit del
giudizio nella logica aristotelica veniva ripreso ed ampliato dal Maier (2 9 )
che intitolava un'amplissima opera sulla logica aristotelic.a Die S')'lloqi-

(2 1 )

C.

PRANTL,

Geschichte der Logik im Abendlandc, Leipzig, r8ss-r87o, vol. I,

l>P. 87-345,
..(22) A.

TRI\NDF.LENBlJllG, Elementa logices a.ristoteleae, Berolini, 1836; Io.,


Erl<:uterung Z!l dm Elementcn der arislolelisch1J1~ Logill, Berlin, r86r2; In.. Geschtchte der Kategorienlchrc, Berlin, r846 .
. (23) BoNITZ, Ueber die Kategorien des Arstoteles, K. Akademic der Wissenschaften, Wien, !853(24) O. APELT, Kategorienlelzre des Aristoteles, Beitrage zur Geschichte der
Griech. Philosophic , Lcipzig, r89r.
(2 5 ) A. GERCKF., UrsPnmg der aristotelischen Kategorienlehre, Archiv fiir
Geschichte der Philosophic , 189r, 4.
(26) R. wrTTE, Die Kategorien des Aristoteles, Archiv f!ir Geschichte der
Philosophic , 1904, r7.
{27) ]. GEYSER, Die Erkemrtllistlteorie des Ari-stoteles, \1iinster, 1917.
( 211 ) CTT.LESPIE, The aristotelian Categories, Classica! quartcrly , 1925, 2. KuRT
VON FRITZ, Der Ursj>rw~g der aristotclischen Kategorienlehrc, Archiv fiir Geschichte
der Philosophie , I93I, J.
(20) H. MAIER, Die Syllogistik des Aristoteles, Tiibingcn, r8<)6-r900.

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INTRODUZIONE

Il

stik des Aristotelcs, mostrando appunto di voler imperniare tutte le sue


1ndagini sul sillogismo considerato come la base di tutte le dottrine dell' Organon. Il Maier rifiuta nettamente l' interpretazione formalistica
della logica aristotelica sostenendo che per lo Stagirita giudizio e sillogismo hanno sempre un valore logico ed un valore antologico (30) ; ma
poi distingue il significato antologico da quello metafisica considerando
l' intrnsione del metafisica nella logica come un passaggio indebito compiuto in pi punti dallo stesso Aristotele C1). Di conseguenza la logica,
anzich essere interpretata in connessione con le dottrine metafisiche di
Aristotele, viene disgiunta da esse ed irrigidita in una struttura formale
che a quelle estranea: perci solo apparentemente il \laier respinge
l' interpretazione formale della logica aristotelica, in quanto la sua interpretazione si distingue da quella formalistica solo perch non riconosce valore mcramentc linguistico agli schemi logici, ma li trasporta nel
reale stesso pur senza alterare la loro natura. Appunto perci l' interprete non poi in grado di mettere in luce la connessione eli quegli schemi con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita, dalle quali, anzi, pretende di prescindere. Il Maier mette in luce una esigenza che si fa veramente valere nell' indagine sull' Organon - cio il bisogno di precisan
il valore antologico degli schemi logici -, ma non in grado di soddisfarla, in quanto la distinzione cleli'ontologia dalla metafisica non regge,
almeno nell'ambito delle dottrine aristoteliche, perch I per Aristotele
la metafisica si configura appunto come ontologia, in quanto pretende di
essere la teoria dell'essere in quanto tale: z") l'eliminazione della metafisica dalla pura antologia costituita dalle dottrine clell'Organon ha costretto
il Maier ad espungere idealmente dalla logica aristotelica sviluppi non
i rrilevanti.
Poich abbiamo visto che l'autentic.o1. comprensione storica delle dottrine lof,riche dello Stagirita ha come condizione la loro connessione con
le dottrine metafisiche, ci pare di poter affermare che gli interpreti che
si sono messi su questa via e che sopra abbiamo citato, non hanno realizzato appieno il loro proposito in quanto non hanno del tutto realizzato
proprio quella condizione. Infatti o, come il Maier, hanno irrigidito la
logica in una struttura che ha impedito ogni suo ulteriore collegamento
<:on le dottrine metafisiche o, come i! Prantl e, in misura molto maggiore,
gli interpreti spiritualisti francesi, hanno presupposto la metafisica cui
poi la logica si sarebbe dovuta adeguare. Per stabilire un pitt stretto legame tra logic.o1. c metafisica aristoteliche bisogna esaminare la logica con
l'intento di cercarvi gli strumenti con cui Aristotele ha potuto costruire
la metafisica: cio non si deve studiare la logica presupponendo la metafisica, ma considerando_ la metafisica come punto di arrivo della logica.
Ci tuttavia non implica che la logica si svolga senza presupposti metafi0

(:IO) H. MAIER, op. cit., IIa, pagg. 6-12.


H. MAIER, op. cit., II h, pagg. I7I-I83; 242-254; 348-3'58.

(~l)

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INTRODUZIONE

sici ; ch anzi le dottrine logiche si vengono precisando via via con il predelle dottrine metafisiche e presuppongono posizioni metalsiche
dalle quali sono indisgiungibili. La metafisica, perci, si costituisce come
punto di arrivo della logica non perch sia separata da questa, ma perch
queste stesse categorie della metafisica si configurano in modo tale da
determinare anche gli strumenti con cui esse sono usabili ; d'altra parte
dallo studio della logica si vedr appunto come l'uso di certi determinati
strumenti logici, I' impostazione della ricerca su certe determinate dimensioni e l'eliminazione di altre, porti all'elaborazione di una certa determinata metafisica che, a sua volta, giustifica quegli strumenti ed il
loro presupposto. A questo modo possibile trarre dallo studio della
logica l'orizzonte categoriale della metafisica, vale a dire l'unit delle
dottrine metafisiche stabilite in base all'uso degli strumenti ad esse appropriati. Solo dalla indagine delle effettive categorie di cui Aristotele fa
uso e del loro modo di operare potr cos emergere l'unit della filosofia
aristotelica.
Ma per far ci non sar pi possibile considerare la logica aristotelica come dottrina del procedere naturale dell' intelligenza o dottrina della
conoscenza in generale, ma bisogner fare concreto riferimento al modo
preciso in cui Aristotele pens che l' intelligenza lavorasse, cio alla sua
concezione deiia scienza. Infatti la stretta connessione della logica con la
metafisica, nel modo che sopra abbiamo illustrato, diventa la stretta con~
nessione della logica con la scienza, in quanto la metafisica eli Aristotele
si presenta appunto come una scienza che ha la medesima struttura delle
altre scienze. Perci dire che l'oggetto della logica aristotelica il discorso comune, come fa il Kapp (3 2 ), non intieramente vero, in quanto il
discorso comune pu s costituire il punto di partenza ed il materiale
delle considerazioni di Aristotele il cui oggetto, per, la costruzione eli
un discorso scientifico fondato sul reale. Perci se da un lato la metafisica
esige la logica come quella che pu determinare gli strumenti con cui le
categorie metafisiche sono usabili, d'altra parte la logica tende alla metafisica come quella che, dando un fondamento nell' essere alle categorie
logiche, legittima l'uso degli strumenti che quelle presuppongono. F.d appunto perci la logica non sar, come la tradizione con il nome di organon
ha tramandato e come lo Zeller (3 3 ) interpreta, uno strumento essa stessa,
anche se mette in luce gli strumenti con cui certe categorie possono essere
usate: essa, infatti, una struttura che necessaria all'essere perch possa
esserci un discorso che lo enunci e al discorso per potersi costituire come
ci~arsi

( 3 ~) R I<APP, Greek Foundations of tmditional Logic, Ncw York, I942 Il


~pp c anche autore dell'articolo Syllogistik nella Realtmcyklopiidie der AltertumsW1ssenschaftrn, in cui l' unico spunto interessante l'osservazione sul carattere di
necessit come elemento comune della logica scientifica c dialettica di Aristotele.
(83) E. ZEu,ER, flie philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen E11twi.
cklung, Lcipzig, 1921, II, 2, pp. 176-r83.

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INTIWDUZIONE

13

discorso, anche sbagiiato. Perci presentandosi come logica della scienza


quella di Aristotele non si configura come mctodologia, in quanto quest'ultima possibile solo l dove non si presupponga l'esistenza di una
struttura dell'essere gi costituita e gli strumenti per conoscere la quale
&ono stabiliti una volta per tutte e stanno originariamente nelle nostre
mani. Di conseguenza l'unico precetto metodologico che dalla logica aristotelica deriva quello di non falsare gli strumenti che possediamo e di
riconoscere l'essere in quello che veramente . Ma tutto ci potr veramente venire alla luce solo attraverso lo studio dei fondamenti linguistici
della logica aristotelica: infatti per Aristotele, come per Eradito, la ragione
essenzialmente Myo, discorso, cio capacit di cogliere c di indicare con
parole l'essenza stessa dell'essere. Il linguaggio, perci, lo strumento essenziale con il quale le categorie aristoteliche hanno da essere usate; c la
posizione che ad esso Aristotele conferisce c le possibilit che ad esso apre
costituiscono i fondamenti di tutta la costruzione logica e metafisica dello
Stagirita. Del resto questo lato dell' indagine risponde pienamente agli
interessi cui la filosofia odierna dedica la sua attenzione. Infatti, mentre
da un lato la logica e la metodologia delle scienze dedicano sempre maggiore cura all'esame delle scienze in quanto fanno uso di certi determinati
linguaggi e alle possibilit e ai limiti di q,ucsti linguaggi, dall'altro la considerazione dell'elemento linguistico della ricerca filosofica ha assai contriIJllito ad aumentare la cautela critica di quest'ultima e l'interesse per l'indagine sulle sue reali possibilit. Dalla tendenza volta a limitare la filosofia
ad un'attivit critica sull'uso delle parole ad altre pi propense a dare ad
essa un pi vasto significato, le correnti pi significative della filosofia contemporanea si rendono conto dell'importanza che ha la determinazione del
tipo di discorso che la filosofia deve adottare e delle possibilit che ne pu
trarre ; e nella stessa tecnica dell' indagine filosofia l'analisi linguistica
dei termini praticata con sempre maggior frequenza nel tentativo di
eliminare quelle parole o quei significati la cui determinazione non
possibile fare con mezzi il cui comportamento sia noto e, in qualche modo,
controllabile. Il linguaggio cio non un insieme di segni assolutamente
trasparenti, capaci di riprodurre fedelmente il puro pensiero o l'essere
senza nulla pregiudicare di quella ricerca che nelle parole troverebbe solo
la sede adatta alle sue conclusioni, ma interviene attivamente nella ricerca
rischiando di deviarla su direzioni del tutto illusorie. Questo problema
particolarmente importante per la filosofia aristotelica che pretende di
rintracciare, proprio avvalendosi del discorso, una struttura dell'essere
universalmente valida e che nella logica si preoccupa di mettere in luce
la posizione che il linguaggio ha come mezzo per enunciare quella struttura. Dalla soluzione data al problema del linguaggio come mezzo per
enunciare l'essere dipende la configurazione della logica come struttma
necessaria e non come disciplina possibile del discorso ; nel senso che i
mezzi semantici di cui il discorso costituito sono sempre adatti a mettere capo ad un insieme in cui le categorie dell'essere sono adeguatamente

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14

INTIWDUZIONE

enunciate. Ed ammessa la possibilit eli un discorso logicamente valicl(}


in quanto capace di partire dall'essere, colto con l'intuizione intellettuale
o assunto dialetticamente, e di restarvi, chiaro che I' intento della Stagirita sia proprio quello di trovare un discorso che possieda le garanzie di
partire dal principio vero e di mantenersi fedele ad esso. Dati questi
intenti, dati i requisiti che Aristotele ritiene che un simile tipo di discorso debba possedere, dati i mezzi di cui egli ammette che tale discorso
possa disporre per realizzare quei requisiti, ne deriva una dottrina logica
di cui ci proponiamo di esaminare le dimensioni fondamentali, mettendoin luce come, d'altra parte, il suo costituirsi implichi la costant-e eliminazione di altre dimensioni che spesso affiorano all'orizzonte della ricerca.
La comprensione storica della logica e della filosofia aristoteliche esige
che queste eliminazioni vengano prese in considerazione, perch proprio
attraverso esse lo Stagirita credeva di salvaguardare la se1iet ed iT
rigore del discorso scientifico ; ma d'altra parte queste dimensioni assumono nella logica e nella metodologia contemporanea un' import;:~nza che
non conviene celare e sono proprio quelle che fanno del problema del
signific.o"lto della conoscenza, dei suoi limiti c delle sue possibilit un problema umano e, perci, filosofico. Sicch non sar vano discuterne a proposito della logica aristotelic.o"l. La quale, da un lato, ci insegna che un
discorso scientifico un discorso organizzato ed ordinato, implicante
certi criteri ordinatori capaci di regolare ogni passaggio e di giudicare la
sua esattezza, dall'altro, mostrandosi legata ad una determinata concezione dell'essere, rende impossibile la considerazione di prospettive che
un' indagine critica su di essa deve aprire a fondamento della d~finizione
di altri orizzonti categoriali che di quello aristotelico salvino la fondamentale esigenza- render possibile l'intelligibilit del reale - pur non
presumendo di dare garanzie assolute dell'esito di ogni tentativo di comprensione del reale, come si conviene a chi non pretende di partire dall'essere con la certezza di restare in esso.

***
Prima di passare alla trattazione diretta dell'argomento sar bene
dedicare alcuni cenni alla questione degli scritti logici di Aristotele soprattutto in relazione alla loro successione cronologica (34). La questione
della collocazione cronologica cos importante e difficile in tutta l'opera
dello Stagirita si presenta particolarmente oscura a proposito della logica~
(:!4) Le edizioni delle opere aristoteliche di cui ci siamo serviti in questo studio
e da cui abbiamo tradotto le citazioni sono:
AR,ISTOTELIS, Categoriae et liber De interpretai-ione, recognovit L. :MrNIO-PALUBLLO, Oxonii, 1949.
ARISTOTLE's, Prior and posterior Analytics, a revised text with introduction and
commentary by W. D. Ross, Oxford, 1949. Per le altre opere ci siamo serviti dell'edizione dell'opera omtzia aristotelica dell'Accademia delle Scienze di Berlino a cura
del Bckker.

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INTRODUZIONE

15

aggravata dal fatto che sull'autenticit di due opere del corpus lo{licum
si sono sollevati dubbi ( 35). nostro preciso intento trattare questo
problema nella misura richiesta dall' indagine che intendiamo condurre
ed esclusivamente in vista di essa. Ora, del trattato delle Categoriae ci
siamo serviti solo in quanto conteneva dottrine del tutto confermate da
altri scritti di sicura attribuzione, mentre pi largo uso abbiamo fatto
del De interpretatione. Contro le difficolt di natura oggettiva sollevate
fin dall'antichit contro il trattatello ha svolto considerazioni probanti il
Maicr (3 6 ) ; quanto a noi ce ne siamo serviti per studiare dottrine che
trovano sicuro riscontro negli Analytica priora (qualit e quantit dei
giudizi e dottrina della modalit), salvo differenze trascurabili per il
punto di vista da cui ci siamo collocati (p. es. la comparsa dei giudizi
individuali non considerati dagli Analytica). La dottrina della convenzionalit non trova invece riscontro letterale in altri testi aristotelici ;
senonch si pu osservare: I") la nozione di &m'icpavcn come (hrCOwl
di &n:ocpctcrt; e xaTacpwn compare anche negli Analytica posteriora (A,
2, 72a, 11 -14) e la costituzione di un discorso apofantico presuppone appunto l'eliminazione del problema della semanticit, che proprio il
senso in cui abbiamo interpretato la nozione aristotelica di convenzionalit.c1. del linguaggio; 2!') la dottrina del giudizio in tutte le sue enunciazioni presuppone la convenzionalit nel senso sopra specificato ; 3") il cap.
20" della Poetica che parafrasa passi del De interpretatione eliminando la
tesi della convenzionalit stato dimostrato dal Maier (37 ) essere un'interpolazionc tendenziosa. Perci mentre mancano criteri oggettivi sicuri
capaci di sostenere la tesi dell' inautenticit, neppure l'esito dell'esame
condotto sulla concordanza dottrinale pu indurre a pronunciare l'atetesi
del De interpretatione, o almeno delle parti che ci interessano.
Assai pi difficile si presenta la questione della collocazione cronologica, degli scritti logici. Essa fu affrontata dapprima dal Brandis (38)
che sostenne la precedenza dei Topica rispetto alle altre opere aristoteliche, tesi ripresa e completata dal Maier che ritenne di poter dividere i
Topica in parti che non presuppongono la conoscenza del sillogismo e
parti che la presuppongono (rispettivamente libri B-H, 2 e A, H, 3-5,
S); oltre a ci il :Maier ritenne di poter considerare il De interpretati(lne posteriore agli Analytica (39), dando cos un piano completo della

( 35 ) Si tratta delle Ca.tegoriae e del De interpretal'ione; su parte dd primo nutriva gi dubbi Andronico che negava anche l'autenticit del secondo di cui Ammonio
era propenso ad espungere solo l'ultima parte (da 23 a, Zi in poi)
(36) H. MAlER, Die Echthcit der aristotelischen Ermntenti!l, Archiv fiir Gcschichte der Philosophie , I900, 6.

(37) H. MAIF.R, art. cit., pp. 44-50.

H. llRANDJS, U e ber di~ Reihenfo_lye der Biicher des a.rstotelischen Oryanons,,


Abhandlw1gen der K. Akadem1e der W1ssenschaften zu Berlin, r833.
( 39 ) H. MAIER, op. cit., II b, p. 78 n. 3; pp. 359-366; cfr. poi art. ci t.
(38)

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INTRODUZIONE

successione 'delle opere logiche aristoteliche, dai pi accettato e confermato recentemente, con uno studio sui rinvii reciproci delle singole opere,
dal Tielscher (40 ). Mentre la considerazione dei libri B e H (nei capitoli sopra citati) come le parti pi antiche dell' Organon sembra del
tutto pacifica, maggiori riserve si potrebbero sollevare di fronte alla collocazione nello stesso periodo dei libri a-Z che eseguono un progetto
tracciato all'inizio del A (r, r2oh, 12-15) s da costituire un corpo abbastanza unitario nel quale si trova un rinvio ben netto alla dottrina
della dimostrazione di Analytica. posteriora (Top. Z, 4, 141a, 29-30); se
questo indizio non affatto sufficiente per posticipare i libri in questione,
esso rivela tuttavia il tentativo di trovare, attraverso un' interpolazione,
un inserimento della dialettica dei Topica nella sillogistica degli Analytica.. Quanto alla posticipazione del De interpretatione, le ragioni pi importanti addotte dal Maier - la mancanza di citazioni in altri scritti e la
giustificazione del cap. 9 come polemica contro Diodoro Crono - non
sono del tutto probanti.
L'opera iniziata dal Maier portava innanzi il Solmsen (41 ) che, partendo dagli studi del Jiger, suo maestro, dava un ordinamento del tutto
nuovo al corpus logicum accettando quasi integralmente le tesi del Maier
per i Topica ma facendo precedere gli Analytca posteriora ai priora;
ordinamento che, accettato dallo Stocks (42), veniva criticato con considerazioni ragionevoli del Ross (43). D'altra parte il Gohlke ( 44), prendendo
in esame le dottrine della quantit e della modalit dei giudizi tentava di
individuare strati diversi di composizione delle opere dell' Organon; tentativo parzialmente condotto anche dal Becker ( 45 ). In realt nessuno di
questi tentativi ha dato finora un ordine cronologico fornito di un grado
apprezzabile di probabilit e stabilito su basi puramente oggettive, cio
tale da non implicare un'interpretazione filosofica della logica aristotelica.
Vista l'estrema difficolt di stabilire un ordine cronologico filologicamente fondato in maniera soddisfacente, abbiamo preferito rinunciare

( 4o) TrELSCHER Die relative Chronologie der crhaltenen Schriften des Aristoteles, Philologus ;, 1948; i risultati raggiunti in questo scritto non sono per0
abbastanza probativi in quanto s fondano sull'espunzione di alcuni rimandi interni
riscontrabili nelle opere aristoteliche. Dall'ordine di successione cronologica del
Maier il WE1L (La place de la logique da11s la pense ari.stotliciemu, Revuc e
Mtaphysique et de Mora!, 1951, 3) ha tratto risultati interpretativi per nulla rispondenti al pensiero aristotelico.
(41) F. SoulSEN, Die Entuicklung der aristotelischen Logik und Rltetorik,
Berlin, 1929.
( 42) ] . L. STOCKS, The composition of Aristotle's logica/ works, Classica!
Quarterly , 1933.

( 43 ) W. D. Ross, The discovcry of the syllogism, The philosophical Revrcw >>, 1939, J. Dello stesso argomento si occupa P. SHOREY The origitl of the syllogism, Classica! philology , 1924, I.
'
( 44 ) P. Gonr.KE, Die Entstehung der aristotclischen Log1:k, Bcrlin, 1936.
( 4 ") BECKER, op. cit.

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INTRODUZIONE

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all'ordine cronologico (che sarebbe stato ben malsicuro), pttr tenendo


conto, dove ci ci parso indispensabile, dei nessi di priorit che ci sono
sembrati indiscutibili. Ma, d'altra parte, abbiamo cercato di non irrigidire le dottrine di Aristotele in un sistema che non fosse il sistema stesso
di Aristotele, tentando piuttosto di mettere in luce l'orizzonte in cui tutte
quelle dottrine si impostano e sforzandoci di non impacciare le loro movenze pur cercando la loro unit: unit consistente appunto nel problema
di rintracciare una struttura linguistica universalmente necessaria. Se essa
precisa i suoi tratti con particolare evidenza nel De intetpretatione e
negli Analytica priora, tuttavia sta gi alla base della dottrina del giudizio e del ragionamento rintracciabile nei Topica e costituisce uno dei
tratti tipici dell'aristotelismo; quell'aristotelismo che gi riscontrabile nel
platonismo del giovane Aristotele.

C. A.

VIANO, La logica di Aristotele.

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CAPITO,LO

L'ORIZZONTE LINGUISTICO
DELLA LOGICA ARISTOTELICA

I. - LA SEMANTICITA DEL LINGUAGGIO. Partire dalla considerazione delle dottrine linguistiche per svolgere un'indagine sulla logica
di Aristotele non un'arbitraria imposizione dei nostri interessi a testi
non in grado di rispondere ad essi, ma si fonda sulla stessa dottrina professata dallo Stagirita che proprio in una prima delimitazione del campo
di studio della logica afferma la natura linguistica dell'oggetto di essa (1).
Infatti con una distinzione che ricorda molto strettamente i tre termini
del I!Egt -rov 1-L~ ov-ro di Gorgia (2 ), Aristotele esclude che le cose ed i
pensieri, che costituiscono l'oggetto proprio degli studi sull'anima, possano essere oggetto della indagine, che ha in animo di intraprendere: il
linguaggio, allora, che accanto alle cose ed ai pensieri il terzo termine
di quella distinzione, sar il campo entro il quale dovr essere cercato
l'oggetto della logica. Ed Aristotele non si cela la difficolt sollevata da
questa impostazione, riconoscendo che le parole, che debbono essere segni delle cose e dei pensieri - che sono uguali per tutti - sono caratterizzate in proprio dal diverso configurarsi presso i diversi individui (3 ).
Il problema che si presenta ora , perci, quello di recuperare la possibilit che le parole, attraverso la loro disparit, significhino ci che
identico per tutti. Si profila cos la questione del senso delle parole isolatamente prese e del valore dci nessi di congiunzione tra esse. A proposito delle parole, isolatamente prese, le tesi di Aristotele sono assai
chiare: 1 ") ogni parola significa qualcosa che rientra in una delle categorie; 2) ogni parola, presa di per s, non n vera n falsa (4). Senon-

(1) I suoni emessi con la voce sono simboli delle passioni che sono nell'anima,
ed i segni scritti sono simboli dei suoni emessi con la voce. E come le lettere, cos
neppure i suoni sono uguali per tutti; invece lo sono ci di cui essi sono essenzialmente segni, cio le passioni dell'anima, cos come le cose, di cui esse sono immagini.
Intorno a queste ultime si parlato negli scritti sull'anima; appartengono infatti ad
un'altra trattazione (De int., r, 16 a, 3-9).
(2) DIELS, 82, B, 3, 17-21.
(3) De int., r, r6a, 3-9.
( 4) Delle cose dette senza alcuna connessione ciascuna sig-nifica o la sostanza
o il quanto o il quale o il relativo o il dove o il quando o il giacere o l'essere in una

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20

L'ORIZZONTE LINOUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

ch queste affermazioni, prescindendo per ora dall'eventuale significato


metafisica delle categorie, paiono portare alla discussione di un altro
problema cio al problema della natura del significato delle parole e
della loro possibilit di significare.
Tuttavia la chiave per capire la struttura sen1antica del discorso
gi data, in fondo, dalla seconda delle tesi che abbiamo sopra enunciate,
ch tutte le indagini verteranno ora sul modo di intendere l'indifferenza
delle parole per la determinazione di vero e di falso. Anche a guesto
proposito il pensiero di Aristotele espresso con chiarezza. Infatti tre
sono i punti che dobbiamo tenere presenti : a) la semanticit delle parole
consiste nel loro essere simboli dei pensieri (5 ); b) le parole sono semantiche per convenzione (6 ); c) la convenzionalit deve essere intesa
come ci che, non essendo per natura, stato stabilito (7). Ora, mentre
non troviamo pi alcun cenno ulteriore al concetto di simbolo linguistico,
eccetto l' interpretazione dei nomi come mimesi nella Rhetorica, dettata
del resto da altri motivi (8 ), la semanticit come convenzionalit viene
chiarita in alcuni punti assai importanti.
Pare strano a tutta prima che le parole, pur collocandosi con il loro
riferimento semantico nelle categorie, siano considerate convenzionali, in
contrapposizione a ci che per natura, cio stabile, perch razionale. Ma
Aristotele ha dinanzi agli occhi ci che costituisce il carattere differenziale delle parole rispetto ai pensieri ed alle cose e le avvicina alle lettere :
la loro diversit da persona a persona e la loro natura di formazioni fonetiche con la conseguente analogia, pur nella diversit, con i versi degli animali, dai quali si distinguono, appunto, solo per essersi fissate in
simboli (9 ). D'altra parte le parole, come certi noemi, possono riferirsi
ad oggetti del tutto immaginari, pur senza asserirne l'esistenza o la non
esistenza, cio senza collocarsi sul piano del vero e del falso (1). Il non
condizione o il fare o il patire (Cat., 4, 1 b, 25-27). Sul non essere n vere n false
delle parole : nessuna delle cose dette senza alcuna connessione non n vera n
falsa, come p. es. uomo, bianco, corre, vince (CcJf., 4, 2 a, 8-10).
(5) De int., r, 16a, 3-4; ibid., 16a, 28 dove si dice che un suono una parola
solo quando diventato un simbolo .
(6) Il nome dunque una voce semantica secondo convenzione (De int., 2,
16 a, 19).
(7) Dopo aver detto che i nomi sono per convenzione, Aristotele precisa: Per
convenzione nel senso che nessuno dci nomi tale per natura, ma solo quando
diventato un simbolo (De int., 2, 16 a, 26-28).
(8) I nomi infatti sono delle immagini (Rhet., III, 2, 1404 a, 20).
(9) De it~t., I, 16a, 5-6; indicano qualcosa anche i suoni non trascrivibili in
lettere, come quelli degli animali, dei quali nessuno nome (De il~t., 2, 16a, 28-29).
( 1 0) Accade anche nelle parole ci che avviene nell'anima, che talora vi sia un
pensiero che non n vero n fabo, talaltra ve ne sia uno cui spetti proprio, di necessit, un delle due attribuzioni : infatti il vero ed il falso concernono l'unione e la
separazione. I nomi dunque di per s ed i verbi sono simili acl un pensiero senza
unione e separazione, come ' uomo ' o ' bianco ', quando non si aggiunga un qualcosa:
allora non mai n vero n falso. E ne fa fec.le il fatto che anche l''ircocetvo indica

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LA SEMANT!CITA DCL LINGUAGGIO

21

essere n vere n false, proprio delle parole, significa esattamente il loro


riferirsi a oggetti reali ed immaginari senza asserirne l'essere n reale
n immaginario; c appunto perci, cio in quanto semplici segni e non
asserzioni, esse sono suoni convenzionali. Ma allora, in ultima analisi,
semanticit e convenzionalit sono la stessa cosa perch, appunto, non si
formano delle voci convenzionali se non per indicare qualcosa e d'altra
parte ogni voce convenzionale non ha, in quanto tale, un'intrinseca verit, essendo semplicemente un suono diventato simbolo e potendo ogni
suono diventare un simbolo, sebbene non ogni suono lo sia (11).
Con il che siamo giunti alla conseguenza pi importante che Aristotele ricava da tutta questa sua trattazione sulla semanticit: Ogni
discorso semantico, non come uno strumento, ma, come si detto, per
convenzione (1 :.). Ogni parola, perci, in quanto tale, significativa ed
adempie al suo compito, cos come ogni insieme di parole, cio ogni discorso, che si proponga solo di segnalare qualcosa. Aristotele non dice
che tutte le parole c tutti i discorsi vadano ugualmente bene, ch c' modo
e modo anche di fare le convenzioni, ma soltanto vuole mostrare come
questi problemi non debb:mo pi inter~ssare il logico che si occupa del
discorso vero, sul quale non si tratta di mettersi d'accordo, ma che si
deve accettare nel suo essere quello che e che non pu essere diversamente. Ci che convenzionale, gi si visto, non n vero n falso e
come tale non pu co~tituire l'oggetto della logica. Procedendo a questo
modo, Aristotele sgombra il campo dallo studio di tutti i discorsi che
non si propongano di significare l'essere, assegnandoli ad altre discipline (13); ma, d'altra parte, se con la semanticit egli si libera di molte diftcolt, deve pure ammettere che ogni proposizione significativa, il che
sar di non poco momento nell'ulteriore corso dell' indagine. Comunque
fm da ora appare chiaramente che le ricerche aristoteliche verteranno su
i un tipo solo dei discorsi semantici e cio su queJii che possono essere
':eri o falsi, ma trascurando anche in questi il lato propriamente scmantico; ch la scienza si occupa eli ci che qnicra e non di ci che f: xuT
<ruv{)l)xyt v.
.
. ''
Con queste tesi Aristotele ha preso nettamente posizione rispetto
alle dottrine sulla natura del linguaggio sorte gi con l'eraclitismo, l'eleaqualcosa, ma non ancora come vero o falso, se non si sia aggiunto l'essere o il nonessere o semplicemente o coniugato secondo un tempo (De int., r, r6a, 9-18).
(11) De i1~t., 2, r6a, 28-29 dove importante l'u~o dell'aoristo yvrp;m indicante
appunto la convenzione gi stabilita come l' unica differenza tra le parole e gli
.yQU!lf!O.'tOt 'ljlocpot dei quali proprio il &tjJ,oilv, non il <Hlfl<ttvEtV.
( 12 ) De int., 4, r6 b, 33 - T7 a, 2. Qui Aristotele parla di Myoc; e non di ovOJLU.
o di Qfi~tu., ma il primo non si distingue dagli altri se non per essere costituito da
parti a loro volta significative, anche se prese da sole (ibid., 4, r6 b, 26-27): anche il
Myoc; qJcovlj <fYJJ.l.<lV'tl"ft e come tale n vero n falso.
( 1 8) Gli altri discorsi dunque siano messi da parte, ch l'indagine su di
essi pi propria della retorica e della poetica, - il discorso apofantico ~petta invece al nostro studio di ora (De int., 4, 17 a, 4-7).

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22

L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

tismo e l'atomismo, ma sviluppatesi poi con gran rigoglio al tempo della


sofistica e discusse criticamente da Platone nel Cratilo. Ora proprio contro le conclusioni di quel dialogo si dirige la concezione della semanticit
come convenzione. Infatti Platone aveva sostenuto che le parole sono per
natura, nel senso che sono, nella loro essenza, strumenti della operazione
del denominare. Di conseguenza non tutti i nomi sono uguali nel loro valore, ma alcuni sono pi giusti ed altri meno ; con il che non si negano le
differenze fonetiche delle parole e delle lingue diverse, che costituiscono il
materiale con cui le parole vengono costruite e nel cui ambito si introduce la sola convenzionalit che si possa ammettere nel linguaggio. L' esser per natura delle parole significa riferirsi all'essenza dell'oggetto, nel
senso che l'uso di nomi diversi non indifferente, ma implica modi diversi,
migliori o peggiori, di compiere l'operazione del dire (14). Aristotele
non considera, invece, come l'uso di un certo discorso implichi un certo
atteggiamento di fronte all'oggetto di esso, sicch oggetti diversi e<>igano
tipi di discorso diversi; non lo esclude, ma non pensa che di questo si
possa occupare il logico, perch l'essere o non essere appropriato di un
discorso non ancora la sua verit o la sua falsit_ Queste risiedono in
una struttura comune a tutti i discorsi che hanno per oggetto un essere e
che di volta in volta si esprime in un mezzo convenzionale che nulla aggiunge per alla verit o alla falsit di questa struttura: solo di questa
struttura si pu asserire che qn!creL. e vedremo in che senso. Comunque si pu dire fin da ora che la logica di Aristotele si propone lo studio
del discorso vero nel senso pi pieno della parola e che crede di poter
rintracciare una struttura comune a tutti i discorsi veri, a prescindere
dai mezzi semantici di cui si serve ogni tipo di discorso.
2. - L'APOFAN'l'ICIT DEr, UXGUAGGIO. Abbiamo visto come dall'analisi della semantieit del linguaggio esca gi delineato in alcuni tratti
abbastanza precisi l'oggetto proprio della logica; si tratter ora di vedere

(14) S. - Ora del dh-c parte il denominare; infatti assegnando nomi si fanno
i discorsi. E. - Cos mi sembra, come dici. S. - E il denominare non anch'esso

un'azione, dal momento che abbiamo ammesso che anche il dire sia un'azione riguardante le cose? E. - S. S. - Ma ci result chiaro che le azioni non dipendono da noi
bens hanno una loro propria natura indipendente? E. - SL S. - Nori bisogna dun~
que anche denominare, nel modo e col mezzo con cui natura vuole che le cose si
denominino e siano denominate, e non secondo l'arbitrio nostro, se dobbiamo essere
coerenti anche qui su quanto dicemmo prima? E soltanto cos avremo successo e
denomineremo, e non altrimenti? E. - Mi pare chiaro (Crat., 387 c-d); S. - Il
nome dunque come uno strumento didascalico e sceverativo dell'essen:r.a come la
spola del tessuto (ibid., 388 b); S. - Dunque, ottimo. uomo, anche il !{ome, ch'
adatto per sua natura a un dato lavoro, quel nostro legislatore deve saper fare di
suoni ~ di sillabe; e, guardando a ci che il nome in s, fare c porre tutti i nomi,
se egh vuoi essere un autorevole istitutore di nomi. Che se poi ogni legislatore non
adopera le medesime sillabe di un altro, non bisogna perci stupirsene, perch neppure ogni fabbro adopera lo stesso ferro, pur facendo lo stesso strumento e per lo
stesso scopo; e comunque, pur che dia a questo strumento la forma ideale che gli
spetta, o lo faccia in altro ferro, o lo faccia qui in Grecia o tra stranieri, sar pur
sempre questo lo strumento che va bene :~o (ibid., 389 d, 390 a).

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L'APOFANTICITA DEL LINOUAOGIO

23

-quali sono i caratteri che gli appartengono in proprio. La logica si occupa dei discorsi apofantici, ch li quelli semantici si occupano altre discipline (15). Se i discorsi semantici non sono suscettibili di essere giudicati
veri o falsi, apofantici sono quelli cui queste valutazioni si addicono (1 6),
Stabilito questo punto, non resta che andare alla ricerca dei modi con
cui si possono distinguere i discorsi apofantici dai semantici esaminando
la loro struttura linguistica. Ora le parole, prese da sole, sono segni n
veri n falsi, se non si aggiunge ad esse qualcosa che significhi la loro
unione o la loro separazione e, precisamente, il verbo essere coniugato in uno dei suoi tempi (17). 1\fa, poich al verbo essere possono
essere ricondotti tutti gli :cltri predicati, discorso apofantico quello
ccstituito da un nome e da un verbo (1 8 ), il quale non indica una cosa
(ngyf.Lu), ma u11'unione (19 ). Ora, dallo studi0 del verbo essere, come
di ogni altro verbo, risultano possibili solo due forme di rapporto fra i
termini della proposizione, l' affermazione (xuni<puat) e la negazione
( m)lpum.), che sono le due sole unit minime ed indivisibili del discorso
.apofantico (20).
Senonch l'apofantico pur un 6yo anch'esso e, come tale, costituito di parole connesse ad indicare qualcosa, secondo convenzione. Aristotele non ha difficolt ad ammetterlo, dichiarando apertamente che il
discorso apofantico quello che indica (mwa(vEL) lo vrc&QI(Blv (2 1). Ma
ci che interessa qui non la semanticit della proposizione, per la quale
questa non potrebbe essere n vera n falsa, bens il suo essere affermativa o negativa, unione o separazione, perch proprio il suo configurarsi come xa"CdtpctcrL o notpacrt che la mette ipso facto in relazione
all'essere offrendo la possibilit di dirla vera o falsa. Proprio qui infatti
si manifesta l' importanza dell'ammissione che tutti i discorsi sono significativi: infatti essendo ogni discorso significativo ed essendo l'affermazione c la negazione discorsi significanti l'essere ed il non-essere, ogni affermazione ed ogni negazione saranno vere o false, cio si riferiranno
all'essere (22). Om1ai Aristotele in possesso dell'oggetto della sua in(15) De int., 4, r7a, 4-7.
(16) Non ogni discorso apofantico, ma solo quello in cui si dice il vero o il
falso: ch non in tutti lo si dice, p. es. la preghiera un discorso, ma non n vera

n falsa (De int., 4, 17a, 2-4).


(17) De int., r, r6a, 16-rS; 2, r6b, 3-4; 5, r7a, II-12.
( 1 8) Non c' infatti nessuna differenza tra il dire che l'uomo cammina o che
un uomo camminante (De int., 12, 21 b, 9-10). necessario che ogni discorso
apofantico sia costituito da un verbo o da una voce di esso (ibid., 5, 17 a, 910).
(l\1) L'essere cd il non-essere non sono infatti segni di una cosa, a meno che
non si dica l'essere da solo. Di per s infatti non nulla, ma consignifica una unione,
<:he non possibile pensare senza i suoi elementi (De int., 3, r6 b, 22-25).
(20) Una orima forma di discorso apofantico l'affermadonc, poi la negazione (De int., 5, 17 a, 8-9).
(~1) La semplice enunciazione una voce scmantica dell'esserci qualcosa o del
non esserci, secondo la distinzione dei tempi (De i1~t., 5, 17 a, 23-24).
(22) Sembra infatti che O!,>ni affermazione sia o vera o falsa (Cat., 4, 2 a, 7-8).

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24

L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

dagine, che si occuper soltanto dei discorsi nei quali sia possibile rintracciare un'affermazione od una negazione, lasciando cadere i modi in
cui queste strutture linguistiche di volta in volta si manifestano, come
facenti parte della semanticit dello stesso discorso apofantico e sempre
riducibili, come abbiamo gi visto, allo schema soggetto . copula e predicato.
In realt cos facendo Aristotele prende ad oggetto dei suoi studi
un particolare tipo di discorso, anch'esso in fondo semantico, e lo considera come la struttura necessaria di tutti i discorsi che possono essere
veri o falsi. Uno dei cardini della logica aristotelica sta proprio qui, nella eliminazione della semanticit come problema
I o g i c o con il conseguente tentativo di rintracciare un tipo di discorso
unico ed universalmente valido. Aristotele sa bene che i campi di ricerca
diversi dispongono di termini linguistici diversi ; ma questo non importa,
ch unendo questi termini in affermazioni e negazioni, si otterranno proposizioni vere o false, ma, comunque, aventi nn senso.
Queste precisazioni permettono subito alcune considerazioni assai
importanti con le quali si possono stabilire le relazioni tra Aristotele ed
alcune delle pitt significative dottrine del linguaggio correnti al suo tempo, s da appurare con maggiore precisione la direzione in cui propriamente egli cammina. Sostenendo la tesi della convenzionalit del ling-uaggio
egli si pone nella tradizione eleatica che al contrario di quella eraclitea
non vede nelle parole delle portatrici originarie di verit ( 23 ). Questa
tradizione ha condotto da un lato alla dottrina di Democrito sull'assoluta
convenzionalit dei nomi (2-1) che appartengono al mondo soggettivo e
rinviano al mondo degli atomi come vera realt, dall'altro alle conclusioni estreme di Gorgia che nel linguaggio vede una delle ragioni della
radicale impossibilit di riferirsi, parlando, ad un oggetto comun<' o a
quelle dei Megarici intessute delle tesi pi contrastanti: per essi, infatti,
il linguaggio propriamente il regno delle contraddizioni, sicch da un
lato le parole sono senza senso in quanto tradiscono l'originaria unit
dell'essere (25 ), dall'altro ogni parola ha senso, in quanto, appunto, tutte
sono assolutamente estranee alla realt (2 6 ). Ma in tutte queste correnti
la tesi della convenzionalit serve a negare una struttura logica autonoma
al discorso. Infatti per Democrito il linguaggio entra nella sfera eli ci
che per convenzione, mentre la vera scienza non pu occuparsi che di
quanto oggetto di conoscenza chiara, cio gli atomi ed il vuoto ( 27 ); per
(23) DIELS, 28 B, I9, 3.
(24) DIELS, 68 B, 26.
(2il) Questi [Euclide] asseriva che uno il bene, chiamato con molti nomi. A

volte infatti lo si chiama saggezza, a volte dio, a volte intelletto e con altri termini
ancora. Ci che opposto al bene espungeva dalla realt considerandolo come non
essere (Dio.Q., II. 106).
(2G) Questa tesi, comune a molta parte della Sofistica, giustifica la pratica dell' eristica.
(27) DIELS, 68 B, 9 e II.

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L'APOfANTICITA DEL LINGUAGGIO

25

Gorgia esso addirittura uno schermo alla comunicazione dell'essere,


wpposto che questo ci sia e sia conoscibile; infine per i Megarici il linguaggio il terreno dell'eristica di cui essi sono i pi sconcertanti campioni nell'antichit (2 8). Questa eristica si fonda proprio sull'ammissione
dell'assoluta assurdit del linguaggio e della convinzione della sua intrinseca impossibilit di riferirsi all'essere. Il compito che Aristotele, con la
teoria del giudizio, cio del linguaggio apofantico, si propone di fronte a
queste correnti, lo sfruttamento dei vantaggi connessi con l'accettazione della tesi della convenzionalit;, e l'esclusione dei pericoli da essa
resi possibili. Cio la convenzionalit del linguaggio deve permettere di
liberarsi dalle insidie tese da quest'ultimo per raggiungere direttamente
una struttura reale, sulla via di Parmenide e di Democrito; ma, d'altra
parte. il linguaggio non deve poi insorgere a minacciare l'enunciahilit
di questa struttura che stata scoperta a prescindere da esso, ma che in
esso deve essere enunciata, come era avvenuto con Gorgia. Qui Aristotele traeva i frutti da quella che potremmo chiamare la tradizione eraclitea che Platone gi nel Crat,ilo in fondo non aveva respinto e che anzi
era venuto approfondendo soprattutto nel Sofisla. Proprio secondo Platone dalle parole non si pu prescindere nella conoscenza dell'essere, ma
anzi solo attraverso esse possibile enunciare l'essere dal momento che
ne rispecchiano le relazioni: il discorso, come discorso dell'essere essenzialmente giudizio (2J). Per evitare le estreme difficolt che possono sorgere dalla tesi della convenzionalit Aristotele si rif ai testi del So fista
le cui analisi segue passo passo. A questo modo egli elimina il pericolo
che la capacit enunciativa del giudizio venga del tutto assorbita nella
stm foneticit, come sosteneva Gorgia o che il ragionamento sia negato
alle radici, come gi sostenevano i Cinici e come presto avrebbero sostenuto, con Stilpone, anche i I\fegarici (30), 1\-fa neppure si pu dire che la
posizione di Aristotele coincida del tutto, a questo proposito, con quella
di Platone: infatti la dottrina del giudizio, cio la considerazione delle
parole riunite nei nessi predicativi, non implica, per quest'ultimo, l'abbandono delle considerazioni sulla semanticit delle parole fatte nel Cratilo ; giacch ancora sempre possibile che i rapporti enunciati dalle proposizioni siano meramente apparenti, per una cattiva scelta delle parole.
Cio il discorso per Platone ci che pu sempre essere falso. Invece
Aristotele ha eliminato ogni semanticit dal giudizio facendone una
struttura indipendente dalla semanticit e perfettamente isolabile in essa;
cio facendone proprio quella struttura che, con la tesi della convenzionalit del linguaggio, Parmenide e Democrito avevano reso accessibile alla
conoscenza pura. Perci da un lato possiamo dire che questa struttura

(28) I suoi di Euclide] seguaci Cl"allO chiamati lfegarici, poi Eristici e infine
Dialettici, perch conduc~vano le argomentazioni per domande e risposte (Diog. II

100).

. '

(29) Soph., 262 d.


(30) Soph., zsr a-c.

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'

26

L'ORIZZONTE L!NOU!ST!CO DELLA LOGICA AR!STOTr:L!cA

la trasposizione nel reale di un discorso semantico individuato in tutti


i suoi nessi e le sue parti, dall'altro che per Aristotele essa la struttura
dell'essere che si configura come perfettamente enunciabile da un discorso ad essa appropriato e qualificabile con le determinazioni che Parmenide e Democrito avevano riservato all'essere. Messa in luce la posizione di Aristotele di fronte ai suoi predecessori e contemporanei, risulta
assai chiaramente come suo intento sia la g i u s t i f i c az i o n e d i un
discorso scientifico che sia in grado di enunciare
l'intelligibilit dell'essere costituendosi come dis ci p l i n a d i o g n i p ossi bi l e i n d agi n e sci e n t i fica. D'altra parte la struttura dell'essere non verr pi illustrata con categorie
che pretendano di prescindere da ogni considerazione linguistica, ma anzi
con determinazioni che avranno sempre anche un valore linguistico, cio
tali che il loro significato in relazione all'essere metta immediatamente in
luce la loro posizione nel discorso, dando luogo ad una possibile enunciazione. L'unit minima di questo discorso - unit su cui si fonda per
1a possibilit di tutto il discorso compiuto - appunto il giudizio che
possibile in quanto l' unione dei suoi termini corrisponde all' unione
degli aspetti del reale ; e in quanto il giudizio si configura come rapporto
di una cosa con ci che in quella cosa o con la totalit di ci che in
essa (31 ), il giudizio funge anche da fondamento alla possibilit di un
discorso che enunci delle sostanze.
3 - LE ALTlt.RNA'l'IVB DELL' APOFAN'l'rcrT. - Ogni discorso apofantico si colloca immediatamente in tre alternative: una affermazione o
una negazione; vero o falso; indica un essere o un non-essere (82). Le
relazioni fra i termini della prima alternativa e quelli dell'ultima si possono cogliere prendendo in esame la seconda : ch, appunto, vera
quella proposizione che afferma ci che o nega ci che non e falsa
quella in cui non si d questa corrispondenza (3 3 ); senonch resta il pro(3 1 ) Delle cose che sono alcune si predicano di un termine come del loro soggetto, senza che siano comprese in un soggetto, p. es. ' uomo ' si predica di ' qualche
uomo ' come del suo soggetto, ma non compreso in un soggetto; altre cose invece
sono in un soggetto, ma non si predicano di nessun soggetto - c dico che in un soggetto ci che compreso in qualcosa, non come sua parte, e che non pu esistere
separatamente da ci in cui - p. es. una nozione grammaticale nell'anima come
suo soggetto, ma non si predica di nessun soggetto ed una qualche specie di bianco
compresa nel corpo che funge da suo soggetto - perch ogni colore in un corpo ma non si predica di nessun soggetto (Ca t., 2, r a, 20-29). La predicazione di ci che
v VrtO~ELftV) inserisce una propriet in una sostanza considerata come suo soggetto, mentre la predicazione di ci che xo:W vrtoxEtf.ufvou include una sostanza in
una specie, cio attribuisce ad una sostanza quei principi grazie ai quali sostanza
in Quanto da essi possibile dedurre la totalit delle sue propriet sostanziali a quei
principi essenziali necessariamente connesse.
(32) De int., 5, 17a, 8-9; ibid., 4, I7 a, 2-3; ibid., 5, r7a, 23-24.
(33) Se infatti c' un uomo, vero il discorso con cui diciamo che c' nn uomo;
e viceversa, se vero il discorso con cui diciamo che c' un uomo, nn uomo c'~
(Cat., 12, 14 b, 15-23).

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LE ALTERNATIVE DELL'APOfANTICITA

blema di intendere che cosa propriamente sia la corrispondenza tra la


proposizione e l'essere. Tutte le proposizioni apofantiche sono vere o
false e, se false, possono diventare vere mutandosi nelle loro contrarie,
cio da affermazioni in negazioni o viceversa; infatti, in caso contrario,
avremmo un discorso apofantico senza la seconda alternativa. Se ora
ci chiediamo come mai le proposizioni apofantiche debbano essere vere o,
passando subito all'altro estremo, false, una sola risposta plausibile si
fa innanzi: due sole sono le fom1e in cui si pu presentare l'oggetto, come
essere o come non-essere e due sole sono le forme linguistiche di cui
dispone il discorso apofantico, 1:affermazione e la negazione. Con il che
le difficolt si sono tutt'altro cl)e appianate, ch, anzi, sorge subito la
domanda: come si pu affermare che due sole sono le forme in cui si pu
presentare l'oggetto? Abbiamo visto come Aristotele abbia rintracciato
nell'esame dei discorsi semantici un particolar tipo di discorso, che ha
creduto di poter dire apofantico, nel senso che in grado di indicare l'essere, e di cui ha stabilito le due sole possibili forme linguistiche. Queste
forme prescindono del tutto dalla particolare configurazione semantica
delle parole con cui sono espresse ed indicano semplicemente l'esser in
ci che ha di universale e perci riscontrabile nelle singole forme di essere. Aristotele ammette che il linguaggio delle scienze sia un linguaggio
apofantico, che pure semanticamente diverso presso le singole scienze;
ora I'apofanticit di quel linguaggio sta appunto nel fatto che le scienze
studiano, sotto aspetti diversi, le configurazioni universali dell'essere c
perci si servono del linguaggio con cui si enuncia l'essere nella sua universalit. Poich le ricerche condotte fin qui hanno permesso di trovare
le fom1e linguistiche di questo discorso, che enuncia l'essere nella sua
universalit, le forme possibili di quest'ultimo appariranno a loro volta
dallo studio delle forme del linguaggio apofantico.
A questo punto si potrebbe obiettare che Aristotele ha commesso
1111 diallele passando dall'essere al linguaggio e da questo all'essere; e
forse si coglierebbe nel segno. Ma sarebbe stolto credere di aver cos
confuta.to Aristotele, mentre in realt non si fatto altro che mettere in
luce il presupposto che Aristotele ammette senz'altro per giungere alla
fondazione del linguaggio scientifico che gli sta a cuore.
Tnfatti l' importante presupposto che guida tutta la ricerca aristotelica I' immediato passaggio dal piano linguistico a quello dell'essere e
da questo al primo, per cui i m p o s s i b i I e d i s t i n g u e r e t r a
l'essere della copula e l'essere dell'oggetto (3 4).
vero che Aristotele insiste spesso sull'anteriorit dell'oggetto rispetto alla
conoscenza di esso ed al discorso in cui detta conoscenza si formula, ma
(34) Il vero infatti consiste nel prontmciare una affermazione per ci che connesso ed una negazione pei" ci che separato, mentre il falso la contraddizione di
questa pai"tizionc (M et., E, 4, 1027 b, 20-23). Come si vede qui l'cssei"e cui il giudizio deve adeguai"si proprio l'essere unito o l'essere separato (<ruV%EC!11WOV o lh1]Qt)].tevov ), cio la chiara trasposizione della sintesi e della dieresi del giudizio indicata
dal verbo essere.

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28

L'ORIZZONTE LINGUISTICO Df.LLA LOGICA ARISTOTELICA

del pari vero che all'oggetto non si riconoscono che le forme dell'essere
e del non essere ricavate dall'affermazione e dalla negazione (3 5).
Dato l'immediato trasparsi delle strutture linguistiche nelle strutture
dell'essere, passano in secondo piano i mezzi di accertamento dei veri singoli o di singoli tipi di proposizioni: ci che conta formulare un lingttaggio che ripeta la struttura razionale del reale, sicch possa anelar
bene per ogni tipo di ricerca. Ecco perch Aristotele abbandona il problema della semanticit che implica l'elaborazione di linguaggi di volta
in volta diversi cd usabili con i mezzi di accertamento di cui si dispone
in ogni campo di ricerca e mai trasferibili ad un c.1.mpo nuovo, se, anche
ir. questo, non esiste la possibilit di verificare con tecniche apposite ci
che si afferma. In questo senso la logica studia ci che cpuoH c non la
semanticit che r..ac cruv{h'jxrp, in quanto cio c' una verit comune a
tutte le scienze consistente nella enunciazione della struttura intelligibile
del reale, struttura che, a sua volta, una sola, attingibile direttamente
dal pensiero; la logica non la scoperta di strutture comprensibili via
via diverse, attinte con mezzi diversi e movendo da interessi diversi. Aristotele non nega che la verit di proposizioni diverse si scopra in modi
diversi implicanti l'uso di termini linguistici diversi, ma non ammette
che l'uso di termini appositi implichi anche la costruzione di un linguaggio ad hoc; anzi l'esito di una ricerca non pu essere detto rigorosamente
vero se non si enuncia nel linguaggio apofantico unico. Se si tiene presente questo punto, si vede come sia infondata l' interpretazione della
logica aristotelica come logica formale, analoga a quella svolta nel Medioevo e continuata nella tradizione fino al secolo scorso. Per di~corso,
infatti, Aristotele non intende una forma simile ad un recipiente cui qualunque contenuto si adatti, ma la trascriLione in termini linguistici di un
ben determinato contenuto: l'essere in quanto tale, la realt in quanto intelligibile. Che poi tutte le scienze dispongano delle forme linguistiche
apofantiche, non vuoi dire se non che esse studiano sempre il medesimo
essere, sia pur astraendone aspetti particolari, in ognuno dei quali per
vale ancora sempre la stessa struttura razionale e perci lo stesso linguaggio. Per questo Aristotele non sottoscriverebbe mai l'asserzione che
un discorso sbagliato pu essere logicamente vero, perch non conosce
che un solo criterio di verit e cio l'adeguazione del discorso all'essere.
Se lgica formale ha da essere, la logica di Aristotele, Io sar in senso
tutto aristotelico, per il quale l a s o s t a n z a s t e s s a f o r m a , sicch l'espressione logica formale sar immediatamente sostituibile con
quella di logica sostanziale. Nostro compito sar ora quello di se(llu) Poich possibile enunciare l'essere come non-essere ed il non-essere come
essere e l'essere come essere cd il non-essere come non-essere, anche pe1 i tempi diversi dal presente, chiunque potrebbe negare ci che afferm c affermare ci che
neg (De int., 6, 17 a, 26-31). Dove chiaro che presupposto che la realt non
possa presentarsi che come u:niQX.EW o !!J urcciQX.Etv, che per non risultano che
dalla rc6rpao:n e dalla ~o.,;<i.<pct<Jt.

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LE ALTERNATIVE DELL'A POI' ANT!CITA

29

guire il deline.o<rsi di questo linguaggio nel corso dell' indagine di Aristotele ed il disvelarsi, insieme con e, anzi, in esso della struttura intelligibile del reale.
Se ora esaminiamo le tre coppie di contrari elencate all' inizio di
questo paragrafo, ci rendiamo facilmente conto del loro corrispondersi
~-::rmine a termine, che qualche volta diventa un confondersi (:!G) : se il
linguaggio enuncia direttamente l'essere, soltanto due saranno le forme
linguistiche a nostra disposizione e due le forme dell'essere; e tra le prime e le seconde ci potr o no essere corrispondenza, sicch si avranno
soltanto vero o falso. Fin da ora il dilemma si presenta senza intermedi
ed ogni discorso che si proponga di parlare dell'essere deve accettare que1
dilemma, sotto qualunque aspetto poi voglia parlare dell'essere: infatti
esso stesso fatto cos. Qualunque tipo di ricerca si conduca, non si
troveranno mai altre forme della realt al di fuori dell'essere e del nonessere, n ci si potr o dovr mai servire di altre forme linguistiche all' infuori dell'affermazione e della negazione, partendo dall'esame delle
quali la riflessione ha trovato le stesse forme dell'essere.
Questa l'assunzione originaria della quale si serve Aristotele per
gettare le fondamenta del discorso scientifico come discorso controllato
e capace di enunciare il reale, organizzandosi seconqo la stessa struttura
dell'essere. Questa perfetta corrispondenza si fonda appunto sull'eliminazione del problema della semanticit dalla dottrina platonica del giudizio. In quest'ultima, infatti, almeno quale la si trova nel Sofista (3 7).
il permanere della viva preoccupazione per la capacit mimetica ed illusiva del linguaggio fa s che il rapporto tra quest'ultimo c l'essere venga
sempre considerato come un rapporto di possibile coincidenza, anzich
come rapporto di necessa.ria corrispondenza o esclusione: proprio quest'ultima modalit scelta dallo Stagirita per il rapporto linguaggio-realt
fonda la sua pretesa all'elaborazione di un linguaggio che abbia la garanzia di essere valido per ogni forma di essere. D'altra parte, con questa impostazione, Aristotele affronta la questione della possibilit del giudizio negata dai Cinici, da alcuni sofisti e che sarebbe poi stata negata da
Stilpone (38). Infatti non solo il giudizio viene a costituire l'atomo del
<liscorso, ma rivela anche la struttura caratteristica della realt, interpretata non come un qualcosa di inconoscihile o di meramente sensibile o di
(3G) Per es. in Met., E, 4, 1027b, r8-23 dove il vero ed il falso diventano
rispettivamente l' essere ed il non-essere, mentre l' essere ed il non-essere reali diventano il connesso ed il separato. D'altra parte in .'vfet., t., 29, I024b, 17-19 il falso,
considerato come una cosa (w :rcoyfLu 'ljJElo), diventa il non-essere come essere
separato o impossibilit di essere unito: Il falso si dice in un altro modo come una
cosa falsa, e di questo modo un caso il non connettersi o l' impossibilit di connettersi.
(37) S oph., 262 d.
(38) Soph., 251 a-c; Alcuni eliminarono la copula '' come Licofrone (Phys.,
A, 2, 185 b); perci erano quelli che predicano un termine di un altro termine diverso (PLUT.. Adv. Colot ... 2~. II20a).

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30

L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

rozzamente unitario e inorganico, come si era ridotta ad essere pensata


dagli epigoni megarici dell'eleatismo; ma l'essere stesso, al contrario,
viene inteso come una sistematica connessione di aspetti reali (r ()vw)
sistematicamente connessi in rapporti enunciabili con giudizi: struttura
sostanziale del reale e struttura predicativa del discorso si svolgono cos
insieme passo a passo.
4 LA QUALITA E LA QUANTI'I' DEI GIUDIZI. - Abbiamo visto che
l'affermazione e la negazione sono le sole forme linguistiche del discorso
apofantico e come esse si escludano a vicenda. Ora la loro contrappo
sizione costituisce la contrariet antifatica (31l) che non ha termini intermedi e nella quale da un estremo si passa necessariamente all'altro: come
dall'essere si passa necessariamente al non-essere. Ma le cose si complicano quando alla considerazione della qualit dei giudizi si aggiunge la
considerazione della loro quantit. Infatti una prima indagine sui giudizi
quantitativamente considerati fa sorgere delle difficolt, presentando una
apparente trasgressione della contrapposizione delle proposizioni affermative e negative: Aristotele stesso osserva come proposizioni del tipo
qualche A B - qualche A non B non si escludono affatto, ma,
anzi, si implicano (40 ). La considerazione della quantit allora non pu
essere inclusa in quella della qualit, ma esige una ricerca apposita. Senonch quest' ultima possibile solo se la quantit dei giudizi non
connessa alla mera semanticit del discorso, ma entra a far parte della
sua stessa apofanticit, cio se un elemento essenziale della struttura dell'essere: in tal caso sar possibile indagare il suo comportamento direttamente sui rapporti necessari che legano le enunciazioni di rapporti reali
~uantitativamente determinati. Ora i giudizi, considerati dal punto di
vista della quantit, possono essere, per Aristotele, particolari, universali,
indefiniti e individuali (41). Il fondamento di questa divisione reperibile nella stessa realt: infatti le cose su cui i giudizi vertono possono
essere individuali o universali. In altri termini, le realt (n:(lciY~-tara) o
sono tali che per natura ( n<pU?<E) non possono pitt essere predicate di
(89) Ad ogni affermazione opposta una negazione e ad ogni negazione un'affermazione. E si intenda per contraddizione questo, un'affermazione ed una negazione
opposte (De il~t.. 6, 17 a, 32-JA).
(40) Si contrappongono secondo contrariet l'affermazione universale e la negazione universale, p. es. ogni uomo giusto - nessun uomo giusto: perci non possibile che esse siano vere contemporaneamente, mentre possono essere vere dello stesso
soggetto le proposizioni opposte a quelle, p. es. non ogni uomo bianco e qualche
uomo bianco (De in t., 7, 17 b, 20-26).
(41) L'asserzione dell' inerenza di qualcosa a qualcos'altro necessariamente a
volte riguarda degli universali, a volte degli individuali (De int., 7 17 b r-3) intendo ocr asserzione universale riguardante gli universali, p. es. o~ti u~mo bianco,
nessun uomo bianco (ibid., 5-6); intendo per asserzione non universale riguardante
gli universali, p. es. l'uomo bianco, l'uomo non bianco; infatti pur essendo ' uomo '
universale, esso non entra nell'enunciazione come universale: ch l' 'ogni' non indica
l'universale, ma che un termine preso come universale (ibid., 8-12). I giudizi particolari sono presentati qui come negazioni degli universali.

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LA QUALITA E LA QUANTIT DEl GIUD!ZI

31

altre realt oppure possono esserlo di una molteplicit di cose diverse da


esse ( 42 ). Le prime non possono che fungere da soggetti di proposizioni
individuali in cui l'attribuzione del predicato non potr essere accompagnata da nessuna determinazione quantitativa, in quanto il soggetto stesso
non pu che essere unico; la seconda classe di cose d luogo, invece, a
giudizi quantitativamente determinati. Infatti queste cose, in quanto si
riferiscono come predicati ad una molteplicit di termini, comprendono
un insieme, che appunto permette una considerazione quantitativa. Ora
pu darsi che il predicato attribuito alla cosa universale venga attribuito
a tutti i termini dell' insieme cui essa si riferisce, oppure solo ad una
parte di essi oppure che non si specifichi se venga attribuita alla totalit
dei termini dell' insieme o soltanto ad una parte di essi: si hanno cos
i giudizi universali, particolari e indefiniti. Introdotta la considerazione
di una molteplicit di termini, tramite una cosa che ad essa si riferisce,
possibile prendere questa molteplicit nella sua totalit o in una sua
parte o prescindere dalla considerazione di essa : ma, in ogni caso, il fondamento della quantit dei giudizi costituito dal riferimento antologico di una cosa ad una molteplicit di altre cose; riferimento antologico
che sussiste anche quando se ne prescinda, come nei giudizi indefiniti (43).
Ora, anche per i giudizi quantitativamente determinati sussistono i rapporti di esclusione reciproca tra affemmzione e negazione, quando esse
siano totali. Infatti le apparenti eccezioni a questa regola - come quella
della contrapposizione dei giudizi particolari, affermativi e negativi, citata pi sopra - sono dovute al fatto che viene negato il predicato del
soggetto di cui prima era stato affermato, ma non viene negata appunto
la quantit. La contrapposizione ogni A B - nessun A B non implica che necessariamente dal primo membro si arrivi al secondo
potendo anche affermarsi qualche A non B , proprio perch il se~
condo membro semplicemente la negazione di A B , ma non della
quantit che a quella affermazione connessa, nel primo membro della
contrapposizione. Antifasi regolare con esclusione dei membri senza termini intermedi si ha invece nella coppia ogni A B - non ogni
A B dove il non nega contemporaneamente il nesso predicativo e
(-12) Delle cose alcune sono univer5ali altre individuali, intendo per universale ci che per natura pu essere predicato di molti, individuale ci che non pm\
esserlo, p. es. 'uomo' un universale, ' Callia' un individuale (De int., 7, 17 a,
38- I7b, 1).
( 43 ) Il fondamento di una predicazione universale oer Aristotele ontologico in
Quanto ncce."-ario che ci .ia una cosa (:rtQYfL<t.) che entri in raPPorto - ma che entri"
tmtoln.Qicamente in raooorto - con altre cose la cui rnoltenlicit rende possibile la
univ~rsalit_ quantilativa. Il :rt indica che la totalit di questa molteplicit presa inconsJerazwne per e~~ere afferrnata o negata come totalit. mentre la mancanza del
:1t indica soltanto che si prescinde dalla considerazione della totalit. Perch la considerazione della totalit sia possibile bisogna che la molteplicit sia ontolooicamente
data. sebbene si po,sa prescindere dalla considerazione della totalit quando la molteplicit data. In Quanto negazione della totalit della molteplicit i giudizi particolari
si Presentano qui come negazione dei giudizi universali.

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32

L'ORIZZONTe LINGUISTICO DELLA LOO!CA ARISTOTELICA

la quantit di esso. L' indagine sulla quantit dei giudizi, perci, non introduce nella logica di Aristotele nessun principio nuovo, mirando a scoprire rapporti necessari tra le strutture linguistiche che si suppongono
enunciare corrispondenti strutture reali.
Proprio la necessit delle strutture reali e linguistiche il fondamento della logica aristotelica. Infatti poich sono necessarie, le strutture
linguistiche non possono che essere usate da ogni scienza, ch l' tt!:>arnc
diverse sarebbe dire il falso; e poich sono necessarie, le strutture reali,
non possono non essere l'oggetto di ogni scienza della realt, ch lo scoprime diverse sarebbe sicuro segno di fallimento. Ma allora basta svolgere un'analisi delle forme del linguaggio apofantico, dal quale si passa
immediatamente all'essere, per poter cogliere queste strutture necessarie, reali e linguistiche. Se la realt presentasse aspetti diversi, con strutture a volta a volta diverse, allora bisognerebbe elaborare linguaggi diversi ed appropriati, ma se la realt quella che , ovunque la stessa, nella
sua sostanza, allora anche il linguaggio sar unico, pur potendo essere
diversi i metodi per attingere questo reale. In questo senso i rapporti
tra i giudizi sono necessari : in quanto, cio, detti giudizi potranno concernere i triangoli della geometria o gli astri dell'astronomia o i raggi
della luce dell'ottica ma sempre essi si contrapporranno o si collegheranno
allo stesso modo, perch tutti quegli oggetti appartengono pure all'essere.
Ora la contrariet antifatica la manifestazione prima e pi netta
di questa necessit del discorso. Abbiamo gi visto come la proposizione
.apofantica non possa sottrarsi alla necessit di essere o vera o falsa,
perch non pu essere che affermazione o negazione e perch non si d
nulla che non sia essere o non-essere; di conseguenza se l'affermazione
vera, la negazione sar falsa e viceversa, ma non si dar mai una pro
posizione vera e falsa contemporaneamente o n vera n falsa, n si daranno un'affermazione ed una negazione entrambe vere. Cos la necessit
si configura come l' impensabilit di un discorso, avente forma aliermativa o negativa, che sfugga al dilemma di essere o vero o falso o che possa
essere un che di mezzo tra il vero ed il falso, enunciando un che di mezzo
tra l'essere ed il non-essere: cio tutte le affermazioni e negazioni, di
qualsiasi tipo, sono significati?:-e (sono vere o false) e nessuna scienza fa
uso di proposizioni di probabilit, che non possono essere usate da una
scienza rigorosa. Cos la necessit del discorso apofantico si presenta
quale impossibilit eli ammettere per 11essun tipo di discorso dei termini
intermedi tra il vero ed il falso, l'affennazione e la negazione, l'essere ed
il non-essere: nel che consiste il principio del terzo escluso ( 44 ). Proprio
questo principio la molla di tutta la logica di Aristotele ed il sostegno
cui essa legata.
( 44 ) Ma ne!lpure non pu e~serci nulla in meno alla contraddi:done ma necessario affermare o negare di un'unica coa una sola qualunque cosa. E'd chiaro
soprattutto Per Quelli che hanno definito che cosa il vero e che cosa il falso. Falso
. il dire. infatti. che l'essere non o che il non-essere , vero il dire che l'essere ed

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NF.Cf:SS!TA L: PREVISIONE

33

Infatti anche l'elcatico principio di contraddizione visto . alla luce


<li quello del terzo escluso e, tramite questo, diventa il principio della Metafisica. vlentre Parmenide in nome della non-contraddizione aveva condannato il linguaggio ('1 5), Aristotele costruisce un linguaggio che esprima proprio l'essere nella sua purezza e nella sua necessit pi rigorosa;
e ci grazie al principio del terzo escluso che gli permette di sceverare
le fom1e linguistiche perfette eliminando le altre. Infatti abbiamo visto
come, accettando la tesi eleatica della convenzionalit del linguaggio,
Aristotele possa isolare una struttura indipendente dalla natura semantica di quest'ultimo, ma anche come poi precisi questa struttura con categorie non puramente antologiche, ma ontologico-linguistiche, cio suscettibili di esser usate in modo costante in un linguaggio controllato.
D'altra parte, senza questo principio, tra affermazione e negazione
si sarebbe disposta tutta la scala delle affermazioni di probabilit sulle
qua1i non si sarebbe potuto dire nulla a priori, esigendo ogni previsione
una speciale ricerca ed un appropriato linguaggio. Comunque pare assodato fin da ora che la logica di Aristotele un tentativo di trovare i nessi
necessari del linguaggio con i quali enunciare quanto di necessario vi
nell'essere e che la necessit si configura all'uopo come impensabilit del
diverso : infatti, grazie al principio del terzo escluso, il diverso dal vero
senz'altro il falso, il diverso dall'affermazione non pu essere che la
negazione ed il diverso dall'essere necessariamente il non-essere.
5 - NECESSIT :B PRJ,:VISIONE. Che la necessit dcll'antifasi e
l' immediato passaggio dal discorso all'essere siano i cardini della logica
aristotelica, abbiamo visto qui sopra ed ancora potremo vedere leggendo
le prime battute del celebre capitolo 9 del De Interpretatione, dove tutto
l'edificio fin qui costruito sar messo alla prova e correr il rischio di
crollare. Infatti, dopo aver ribadito l' impossibilit che si dia un medio
tra il vero e il falso e, per il solito immediato passaggio tra l'essere ed il
non essere ( 46), Aristotele prospetta il problema delle proposizioni che
riguardano eventi futuri ( 47 ). Ritoma cos la questione molto importante
<lei rapporto tra linguaggio ed essere cui abbiamo accennato nel par. ~o
e che abbiamo poi trattato seguendo le argomentazioni di Aristotele; ma.
mentre in un primo tempo il problema si prospettava senza che l'essere
il non-essere non , sicch chi dir che o non dir il vero o il falso (M et.,
7, IOII b, 23-28).

68 B, 8, 4-S.
Ch se ogni affemm:done vera o falsa,
o non sia (De in t., 9, 18 a, 34-35).

(45) DIELS,

( 46)

c necessario

che ogni cosa o sia

(47) Se infatti l'uno dir che una cosa sar e l'altro negher proprio questa
cosa, chiaro che necessariamente uno di essi nel vero se ogni affermazione
vera o falsa: tutte c due infatti non potranno avverarsi in'siemc (De i11t., 9, 18 a,
35-39). Le parole che abbiamo sottolineato mettono bene in luce la concezione aristotelica della verit: ogni affermazione e negazione fin da ora vera o falsa, anche se
concerne il futuro, perch ricalca le forme stesse che la realt non pu not: prendere

C. A.

VIANO, La logica di Aristotclt!.

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34

L'ORIZZONTE LJNOUIST!CO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

venisse collocato nel tempo, ora esso viene situato nel futuro. Ci fa s:
che Aristotele approfondisca la soluzione di cui si era accontentato in un
primo momento, ammettendo il passaggio immediato dall'essere del predicato all'essere delle cose: infatti fino a che non si prende in esame la
collocazione temporale facile considerare il discorso come un'enunciazione dell'essere senza mettere in luce i problemi che questa enunciazione
implica ; ma quando il futuro pone dinanzi un essere delle cose che non
ancora, allora non pi possibile invocare il passaggio immediato dall'essere del predicato che si possiede gi all'essere delle cose che non .~i
conosce ancora. Di fronte a questa difficolt lo stesso rapporto di coincidenza tra il dire e l'essere viene proiettato nel futuro e rivelato nella sua
vera natura di rapporto necessario : proposizione vera allora queila che
enuncia un essere che necessariamente accadr, cio che non pensabile
che non accada. D'altra parte, se una proposizione enuncia un essere che
necessario che accada, vera (48 ). Uno stato futuro uno stato che non
ancora, cio tale che non se ne pu dire l'essere, che ancora non , ma
solo tutt'al pi prevedere che si configurer in questo o quest'altro modo,
aspettando poi che il futuro stesso, facendosi presente, confermi o smen
tisca o in parte confermi c in parte smentisca le previsioni. Ma per Aristotele una proposizione probabile non una proposizione vera: quest'ultima, infatti, non si accontenta di prevedere l'essere, ma pretende eli enunciarlo quale e non potrebbe non essere. Anche per il futuro, perci, la
proposizione vera quella che enuncia gi l'essere che ancora non :
pare un paradosso eppure questa la formulazione pi radicale della necessit, che tende sempre a ridurre il futuro al passato, considerandolo
equivalente ad esso. Sicch non a caso abbiamo detto che si tratta dello
stesso rapporto di coincidenza, sia pure proiettato nel futuro, e che l' intima natura del rapporto di concidenza la necessit: il problema della
previsione del futuro ha costretto Aristotele a chiarire in modo significativo le sue posizioni.
Del resto t1n' implicita conferma di ci si ptt anche trarre dalle
dottrine di Diodoro Crono, che potrebbe anche essere l'oggetto di riferimento delle argomentazioni di Aristotele. Per il maestro megarico il
rapporto che lega la proposizione profferita su di un evento futuro al suo
oggetto di stretta necessit: anzi pu dirsi uno spiegarsi nel tempo di
una coincidenza perfetta. Infatti la stessa testimonianza di Cicerone ( 111)
( 48) Se infatti vero dire che bianco o non bianco, necessario che sia
bianco o non-bianco, e se bianco o non-bianco, era Yero affermare o negare (ne
int., 9, 18 a, 39 b, z).
( 4 0) Ma torniamo a q nella disputa di Diodoro, che chiamano rrf(.l t luvu:ttov in
cui si indaga che effettiva validit abbia ci che potrebbe avvenire. Pensa dunque Diodoro che solo ci che o vero o sar vero pu avvenire. La quale asserzione solleva
questa questione: nulla pu avvenire che non fosse necessario che avvenisse, e che
tutto ci che potrebbe avvenire o gi o sar, n si pu mutare il vero in falso pi
nel futuro che nel passato, ma nelle cose gi avvenute l'immutabilit si pu facilmente scorgere, mentre pare che neppure ci sia in certe cose future, dal momento che

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NECESSITA f. PREVISIONE

35

asserisce esplicitamente la riduzione dell proposizioni sul futuro alle


proposizioni sul passato.
Ma chi d il possesso di queste proposizioni vere sul futuro? Qui
Aristotele fa perno sulla necessit antifatica: infatti le analisi precedenti
sulla struttura del linguaggio apofantico e, corrispondentemente, dell'essere non erano valide solo per il passato o per il presente, ma per la
struttura intelligibile del reale che non conosce limitazioni temporali, in
quanto d essa stessa senso al tempo, essendone fuori. Perci le proposizioni concernenti il futuro n potranno eludere l'alternativa vero-falso
n presentarsi in forme diverse dall'affermazione o dalla negazione, come
il futuro non potr presentarci che l'essere o il non-essere; ma allora, date
un'affermazione ed una negazione, una di esse sar necessariamente vera,
nel senso che ci che essa predice accadr necessariamente (5).
Il tentativo di riconoscere il futuro nella sua peculiarit servendosi
della categoria della necessit gravido di pericoli, come Aristotele stesso ammette. Infatti partendo dai presupposti sopra messi it1 luce, si giunge senz'altro all'ammissione che tutto ci che avviene, avviene necessariamente e nulla dovuto al caso (51); non solo, ma si giunge a negare il
futuro come tale, riducendolo direttamente al presente (" 2 ). Tutto ci non
deriva da una necessit inerente solo al discorso, ma dalla necessit stessa
dell'essere che sussisterebbe anche se nessuno esprimesse proposizioni (C'B);
perch proprio a fondare una tale necessit mirano i precisi presupposti
della logica di Aristotele tutta volta alla ricerca di una necessit reale e
non solo verbale.
Ma anche qui il principio del terzo escluso, serrando entro le sue
maglie il futuro, lo costringe alla necessit, dalla quale non pu evadere
se anche gli eventi futuri appartengono all'essere: infatti, proprio perch
il futuro non far sorgere nessuna forma nuova tra l'essere ed il nonnon la si scorge (De fato, r;). Sul riferimento a Diodoro Crono cfr. H. MAIER, Die
lichthcit der aristotelischen Ermmeutik, Archiv fiir Geschichte der Philosophie >>,
r9Qo, 6, pagg. 28-35
(50) Se di ogni affermazione e negazione opposte necessario che l'una sia vera
e l'altra falsa, nulla accade a caso nelle cose che divengono, ma tutto e diviene necessariamente (De int., 9, r8b, z8..3r); ibid.,' 18a, 35-39.
(51) Nulla dunque n n diviene n a caso n con indifferente accadere, n
sar o llO!l sar, ma necessariamente tutte le cose sono, c non per sorte (De int., 9,
r8b, S-7); ibid., 15-16; ibid., 29-31.
e<~) K ulla vieta che ad innumerevoli anni di distanza l'uno ali ermi che qualcosa sar e l'altro lo neghi, sicch necessariamente avverr quel giudizio che allora
cr<. vew a dir.i (De int.. o, r8 b .3-3-36).
(53) Ma dunque questo non muta, se qualcuno ha pronunciato o no la contraddizione: chiaro, infatti, che cos stanno le cose anche se non avviene che l'uno affermi
e l'altro neghi : non, infatti, per l'affermare o il negare sar o non sar, n tra diecimila anni pi che in un altro qualsiasi tempo. Sicch se in ogni tempo le cose stanno
in modo tale che una delle alternative nel vero, necessario che essa avvenga, ed
ognuna delle cose che divengono sempre tale da divenire per necessit: perch
quando era nel vero chiunque dicesse che sarebbe stato, non era possibile che non
avvenisse c di ci che avvenuto era sempre vero dire che sarebbe avvenuto (De
int., 9, 18 b, 36 - 19 a, 6).

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36

L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

essere, l'affermazione o la negazione deve essere vera. D'altra parte, se


questa struttura non fosse gi stata trasposta come struttura di ogni possibile futuro, non avrebbe senso parlare di legame necessario tra la proposizione vera e l'evento futuro da essa enunciato: in realt si tratta della
proiezione nel futuro del comune valore del principio del terzo escluso per
l'essere delle cose c per l'essere del predicato, nel senso che l'essere del
predicato pu enunciare che l'essere delle cose necessariamente sar solo
in quanto entrambi obbediscono alla stessa legge. Aristotele, con il solo
proporsi di studiare le proposizioni sul futuro si precludeva la possibilit
di concepirne la sua imprevedibilit rispetto al presente, dal momento che
intendeva per proposizione vera quella che enuncia l'essere che gi o
per proposizione che si proponga di esprimere una realt quella che non
pu essere che vera o falsa: sicch il futuro veniva contratto nel presente,
l'essere delle cose nell'essere del predicato ed ogni tentativo di dare pro. spettiva al rapporto tra i due termini, avvenendo sotto il segno della necessit, doveva riuscire fittizio: una proposizione vera pronunciata cento
anni prima, contemporaneamente o cento anni dopo l'evento che enuncia,
sempre la stessa e sempre lo stesso rapporto di necessit la lega all'evento. Cos resta assodato che il principio del terzo escluso, nel suo immediato passare dal linguaggio all'essere c da questo al primo, il vero foudamento della logica aristotelica.
L'esigenza di salvare la libert dell'uomo e di riconoscere il futuro in
ci che ha di proprio induce Aristotele al tentativo di aprire una breccia
nella necessit ( 54). Il che non vuoi dire che Aristotele si serva del modo
che avrebbe fatto crollare i suoi presupposti: ammettere tra l'essere ed il
non-essere la possibilit e considerare il futuro partendo non dalla certezza che sar cos o non cos, ma dalla reale incertezza sul suo conto. La
possibilit non s sarebbe lasciata ingabbiare in strutture onnipresenti,
trasformandosi di nuovo in necessit, ma avrebbe richiesto ricerche apposite con le quali soltanto si sarebbe riusciti a cogliere andamenti tali da
permettere previsioni sull'esito del futuro. Ma allora le proposizioni sul
futuro non sarebbero pi state vere o false, ma solo piit o meno probabili,
presupponendo davvero un essere delle cose distinto dall'essere del predicato. Ma con ci sarebbe caduto il principio del terzo escluso, che permette
ad Aristotele di ridurre il futuro al presente, non ammettendo uno stato di
reale indecisione presente tra l'essere ed il non-essere; stato dal quale,
soltanto, il futuro poteva prendere senso. Se infatti parlando del tempo
che far domani si usa il verbo al futuro, per indicare che oggi non si
pu ancora essere sicuri se domani piover o ci sar il sole; cio oggi c'
uno stato di reale incertezza che permette solo una previsione che potr
essere domani ci sar il sole o domani piover a catinelle o domani il cielo rester coperto e perci continuer lo stato di indecisione di
(~4) <<: manifesto dunque che non tutte le co~e n sono n divengono necessariamente, ma alcune secondo il caso (De iut., 9, 19 a, 18-19).

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NECESSTT A J: PREVISIONE

37

oggi e cos via, con tutte le sfwnature che l'osservazione del cielo consiglier di usare. Ma per Aristotele la realt conosce solo l'essere od il
non-essere e non qualcosa di mezzo tra essi, sicch lo stato in cui si trova
chi indaga sul futuro scrutando I' incertezza presente non viene considerato ; ci si trasferisce invece al futuro gi compiuto, sul quale la proposizione potr essere o vera o falsa fin da ora.
Come esce Aristotele da queste strettoie? Egli crede di poter riconoscere il futuro nella necessit facendo una distinzione tra la necessit
dell'alternativa antifatica e la necessit di ciascun membro dell'antifasi,
preso di per s (";;). Per le cose che non sempre sono, infatti, non si
pu dire vero che avverr cos ma solo che avverr cos o vero
o falso oppure avverr cos o non cos. Come si vede il principio
del terzo escluso non caduto, perch ancora il futuro non potr che
essere o non-essere e la proposizione non pu che essere vera o falsa,
sebbene non si possa dire se sia falsa. Futuro e necessit, perci, diventano
compatibili, perch l'ignoranza sull'esito di un evento non toglie che esso
necessariamente avvenga entro forme gi stabilite e non trova un corrispettivo reale: insomma destinata a rimanere senza peso nell' indag-ine logica, a non figurare come la molla di ogni ricerca la cui presenza
essenziale perch la ricerca stessa continui. Aristotele parla, vero, di
proposizioni che sono pi o meno vere a seconda che dicono o meno ci
che in passato accaduto per lo pi (G 6 ), ma questa categoria di giudizi
non ha nessun fondamento in tutto ci che venuto finora dicendo. Infatti
ammettere proposizioni pi o meno vere vuol dire ammettere termini intermedi tra il vero ed il falso con la conseguenza che detti termini dovrebbero poi comparire anche tra l'essere ed il non-essere ed infirmare la validit del principio del terzo escluso. Invece la contingenza del futuro
vista, anch'essa, nell'orizzonte della necessit dell'antifasi, anzi la stessa
necessit dell'antifasi, in quanto il futuro contingente proprio perch
necessario che sia o che non sia: non c' infatti una realt indecisa tra
l'essere ed il non-essere che possa diventare l'uno o l'altro di essi o qualche altra cosa ancora, ma solo una realt che necessariamente sar o non
sar. Dopo di che parlare di proposizioni pi o meno vere un dire cose
infondate, perch anche i giudizi sulle cose non necessarie debbono essere veri o falsi, dovendo enunciare un futuro che sar o non sar. Se
(55) Che, dunque, l'essere sia quando ed il non-essere non sia quando non ,
necessario; ma non necessariamente invece ogni essere n ogni non-essere non :
non infatti la stessa cosa che ogni essere sia necessariamente quando e l'essere
necessariamente in senso assoluto; analogamente dicasi per il non-essere. Lo stesso
discorso si pu fare per la contraddizione: ogni cosa necessariamente o non . sar
o non sar; ma non necessario dire una delle alternative separatamente (De int., 9,
19 a, 23-29).
(ilO) Per le cose non necessarie alcune avvengono a caso e non affatto pi ver:J,
l"affermazione o la negazione, per altre invece pi vero ed accade per lo pi uno dei
membri ell'antifasi, ma nori tanto che non possa avverarsi anche l'altro c non il primo (De int., 9, 19 a, 19-22); ibid., 38-39.

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38

L'ORIZZONTE LfNGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

infatti Aristotele avesse voluto sviluppare il motivo dell' indagine sul


passato per prevedere il futuro, avrebbe dovuto ammettere che lo stato
di incertezza presente non la necessit dell'alternativa, ma la possibilit
di esiti che non posso limitare a priori, dovendo cercare con tecniche appropriate le forme che essi accennano a prendere. In realt ad Aristotele
preme salvaguardare la costruzione di un linguaggio universalmente necessario, in quanto enunciazione di una struttura reale necessariamente
onnipresente: per ottener ci riduce il futuro alle forme dell'essere e del
non-essere ed il linguaggio a quelle dell'affermazione e della negazione.
Allora le forme di probabilit sono destinate a restar fuori del linguaggio
propriamente logico, il quale non pu che affermare o negare il futuro,
non asserime la probabilit~.. Ci perch Aristotele si posto dal punto di
vista del futuro gi compiuto e non da quello della concreta ricerca sul
futuro che si fa.
Tuttavia bisogna tenere presente che se anche il futuro viene ridotto
sotto la necessit che caratterizza il rapporto tra i membri di una contraddizione, non per questo ogni evento futuro viene considerato necessario :
la necessit non sempre propria di ogni singolo aspetto dell'essere isolatamente preso, ma della struttura stessa dell'essere in cui i singoli aspetti
sono compresi. Proprio in questo la dottrina di Aristotele differisce da
quella di Diodoro Crono: per il primo si pu parlare di necessit degli
aspetti delle cose solo in quanto essi fanno parte di una struttura che li
comprende, per il secondo, invece, la necessit non appartiene ad una
struttura, che neppure dato pensare, ma direttamente ad ogni aspetto
singolo del reale.
6. - CARA'l"l'ER!t VER.BALISTICO DELLA NECESSIT. - Abbiamo visto
fin qui come Aristotele si sia sbrigato del problema della semanticit ammettendo che tutte le parole, in quanto tali, sono significative, accogliendole cos tutte quante nel patrimonio del rigoroso linguaggio scientifico.
L'ulteriore analisi ha condotto alla scoperta delle due forme semantiche
che costituiscono il discorso apofantico, ossia il discorso proprio del sapere scientifico, che in grado di enunciare l'essere. Ci che contraddistingue il discorso apofantico da quello meramente semantico il suo essere
necessario e non solo convenzionale. Questa necessit, che si configura
come impossibilit di sottrarsi alle tre alternative a:ffennazione-negazione,
vero-falso, essere-non-essere, si riscontra nel discorso perch c' nella realt che esso enuncia; ma d'altra parte la struttura di questa realt non traspare se non dal discorso che la enuncia: di fronte a ci avevamo concluso ar1m1ettendo un immediato trasparsi delle forme linguistiche sul
piano dell'essere (cfr. par. 3 e segg.). Dopo di che Aristotele ha potuto
serrare nelle maglie della necessit tutto il futuro, proprio perch aveva
operato la suddetta trasposizionc, in virt della quale il futuro stesso veniva a farsi reale entro forme gi note.
Abbiamo detto che il principio del terzo escluso con la sua validit

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CARATTERE VERBALISTICO Df:LLA NECESSITA

39

sul piano del dire e dell'essere il sostegno cui legata tutta la logica
aristotelica; si tratta ora di giungere al cuore stesso di questo principio
per cogliere il suo irradiarsi nell'essere e nel dire. Ora se volessimo dare
l'enunciazione pi comprensiva di esso potremmo dire: tra e non
non si d medio. Infatti e non significano: a) l'affermazione
e la negazione, in quanto indicano l'unione o la separazione dei termini di
una proposizione (" 7 ); b) il vero ed il falso, in quanto indicano l'essere
o il non-essere della corrispondenza tra la proposizione e la realt (58) ;
c) l'essere ed il non-essere reale (5 9 ). Ma, a guardar bene, l' >> ed il
non non sono altro che due forme della copula, alla quale, secondo
Aristotele, si possono ricondurre tutti i tipi di predicazione (60). Proprio
<!alla copula si sono iniziate le indagini sulle forme dell'essere che si rivelano attraverso il discorso, per scoprire le strutture necessarie di quest'ultimo; infatti l'affermazione e la negazione sono state considerate le
forme ultime del discorso apofantico. Ora la forma cui si pu ricondurre
ogni affermazion~ cd ogni negazione proprio quella del tipo A ...
'0 A non ... . Come ci sono l' ed il non del discorso cos ci
sono l' ed il non della realt in armonia con i quali bisogna
usare quelli del discorso: ma I' ed il non del reale non possono essere conosciuti se non dall'esame di quelli del discorso e cio delle
<:opule. Il problema del futuro pareva che dovesse spezzare questo trasporsi della copula, ma non vi riuscito, perch Aristotele ha proiettato
nel futuro la copula del giudizio, supponendo che il futuro non possa
evadere dall'essere o non-essere, che non sono poi altro che le copule dei
giudizi pronunciati sul futuro, considerato come una cosa gi compiuta:
proprio in questo consiste la proiezione, ch, fatto questo passaggio, le
forme ii! cui il futuro si realizzer non sono pi future esse stesse ed il
giudizio che si deve formulare sul futuro non pi un giudizio volto a
prevedere un essere che non ancora, ma si adegua a ci che gi presente. Perci il tentativo di Aristotele di trovare un linguaggio che enunci
l'essere nelle sue strutture necessarie assume come presupposto che le
categorie di cui quel linguaggio si serve abbiano sempre anche un signifi<:ato antologico e che in realt quell'essere consista di strutture linguisti<:amentc enumerabili pressuposte al linguaggio stesso. Esaminata a fondo,
questa trasposizione di strutture prende l'aspetto di una generalizzazione
verbale consistente nell'unificazione di pi significati (l'essere reale, l'essere vero e l'essere come predicato) in base alla considerazione della comune forma verbale in cui essi trovano espressione, ritenuta sufficiente
a far s che essi siano sottoposti ad una medesima legge.
(57) De int., 3, r6b, ~'2-25.
(58) Inoltre l'essere e l' significano che vero, cd il non-essere che non
vero ma falso, indifferentemente per l' affermazione e la negazione (Met., A , 7,
.1017 a, 31-33) e passim.
(59) De int., 9, 18b, 37- 19a, I.
(60)

De int.,

12, 21

b,

<)-IO.

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40

L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

Il presupposto della necessit dell'essere e, con esso, della ricerca di


un linguaggio apofantico universalmente valido proprio questa r i d uz i o n e v e r b a 1 e d i t u t t e le a ff e r m a z i o n i e l e n e g a z i o n i ,
di qualsiasi tipo, all'essere e non-essere copulat i v i ( 61 ), nei quali gi si trovano implic..1.ti i tre significati messi in
luce poco fa. Che anche la copula possa essere diversa a seconda che gli
interessi di chi la usa sono diversi, o diversi sono i metodi di ricerca attraverso i quali egli giunto a poterla formulare, non interessa Aristotele,
per il quale l'essenza. del linguaggio comune a tutte le forme di esso.
Di conseguenza che I' sia riferito ad un oggetto della geometria o ad
uno della fisica o ad un fatto storico sempre lo stesso che sar sempre nello stesso rapporto necessario con il non ; non importa che i
mezzi di ricerca siano diversi, n che per le cose che non sempre sono
si pervenga all'affermazione o alla negazione dopo ripetute osservazioni
sul passato, perch le proposizioni cui queste esperienze mettono capo
hanno la stessa fanna di quelle delle scienze esatte (62 ). Ad esse mancher
la validit universa.le di queste, ma cic) perch a volte sar valido uno a
volte l'altro dei corni dell'antifasi, ma sempre uno di essi ; n il fatto che
su certi oggetti non si possano ottenere conclusioni universali fa s che
per essi si elabori un linguaggio speciale, perch il linguaggio non dispone
che dell' e del non , i cui rapporti necessari valgono per ogni
asserto, di qualunque specie esso sia. D'altra parte il giudizio che lo s1;orico pronuncia dicendo ad es. nell'anno x ci fu una battaglia navale
uguale a quello che poteva pronunciare uno degli osservatori contemporanei dicendo c' una battaglia navale o a quello di chi, avendo previsto giusto, aveva detto alla vigilia domani ci sar una battaglia navale . N importa che l'ultima proposizione al momento in cui fu pronunciata non fosse assolutamente vera, come le altre due, ma solo pi
~1era della contraddittoria, perch presa forma di affermazione. sia pure
del futuro, essa cadeva ipso facto entro la necessit dell'alternativa apofantica, che non conosce dei pi o dei meno e, accaduto l'evento,
tanto ne enuncia l'essere il sar quanto il fu e I' .
Ma la generalizzazione verbale operata da Aristotele sulle copule e
poi proiettata nella realt pu essere vista assai pi chiaramente nell'eliminazione dei vari significati impliciti nell' e non delta contraddizione antifatica.
Aristotele avverte espressamente che il principio del terzo escluso
e quello di contraddizione, che valgono sempre tra i contraddittori, non
(61) L' pu valere come copula stricto sensu ed allora aggiunto come terzo
elemento alla predicazione ('tQhov lt(>Ocrxm:'l}yo(.l'l}tnj) come in De int. 10 19 b 19 o
come predicato esistenziale (ibid., II. 21 a, 25-28): comunque queste' no;1 son~, per
Aristotele, che accidentalit che nulla toccano della sua struttura.
(62) Le cose nor: necessarie non possono non essere enunciate anch'esse che in
affermazioni o negazioni particolari o universali, tra le quali vi sono semp1-e gli stessi
rapporti necessari: ci perch, secondo Aristotele, una sola la struttura dell'essere
che quelle forme verbali ripetono.

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CARATTERE VERBALISTICO [)J:LLA NECI:SSITA

41

sempre possono essere invocati tra i contrari: infatti tra le proposizioni


Socrate sano e Socrate ammalato si pu trovare il medio Socrate non esiste, che sarebbe invece incluso nella contraddittoria Socrate non sano (63). Allora il non ddl'antifasi pu avere molti
significati, pur mantenendo la stessa forma verbale : infatti nella proposizione Socrate non musico il non nega semplicemente la attribuzione di unn qualit ad un soggetto, in l'ippogrifo non cattivo
invece significa la non esistenza del soggetto e, infine, in l'ossigeno non
bello significa che non ha senso attribuire il bello all'ossigeno. Eppure
per Aristotele tutte c tre sono proposizioni negative vere del tutto analoghe, malgrado che il non >> vi assuma tre significati diversi.
Il fondamento ultimo di questa generalizzazione verbale sta nell'eliminazione del problema delJa semanticit, operata con l'ammissione che
tutte le affermazioni e tutte le negazioni sono signiftcativc, perch tutte
le parole hanno un senso. Infatti il problema del significato del discorso
avrebbe scisso i vari sensi che l' ed il non >> prendono a seconda
che indicano l'affermazione o la negazione, il vero o il falso, l'essere ed il
non-essere reali, o fanno parte di un giudizio su di un fatto avvenuto o
su di uno futuro e cos via: in ognuno dei casi che abbiamo analizzato
precedentemente la copula viene ad assumere un valore diverso, che
Aristotele non esamina proprio perch considera questa questione pertinente solo alla semanticit che convenzionale, salvo poi ad includere
l' asserzione o la negazione che una proposizione ha senso nell' o
non di un giudizio affermativo o negativo. lVIa il problema della
semanticit sarebbe stato esiziale per la logica aristotelica, perch avrebbe fatto spuntare un medio nell'antifasi: tra l' A B e l' A non
B si sarebbe collocato il non ha senso parlare di B a proposito di A .
Cos un chimico, a proposito dell'esempio che abbiamo sopra usato, potrebbe dire : per me l'ossigeno non n bello n non bello : non ha
senso parlare di be.llezza a proposito di esso. Ma allora la necessit dell" alternativa an ti fatica non sarebbe pi stata un primo assoluto, perch
prima di essa sarebbe sorto il problema se essa abbia senso o meno per
il discorso che ci si accinge a fare: cio :-arebbc salita in primo piano la
convenzionalit. Essa, come dice Aristotele, non cpvan, cio non accettazione di strutture gi fatte, ma elaborazione di linguaggi convenienti
alle ricerche per le quali vengono usati, non un parlare senza regole, ma
(63) Che l'uno sia vero e l'altro falso panehbc avvenire soprattutto nei contrari
detti in connessione - ' Socrate sano ' infatti contrario a ' Socrate l! ammalato'
- ma neppure in questi necessario che sempre l'uno sia vero e l'altro fals); perch
se Socrate c', uno vero e l'altro falso, ma se non c', sono entrambi falsi: n, infatti,
che Socrate sia sano n che ~ia ammalato vero di esso se Socrate non esiste per
nulla (Cat., ro, I3 h, I2-I9); Per l'affermazione e la negazione, per, sempre, sia
che esist sia che non esista, l'uno sar vero c l'altro falso: tra ' Socratc ammalato '
e ' Socrate non ammalato' se esso esiste, chiaro che l'uno vero c l'altro falso,
ed altrettanto se non esiste; perch che sia ammalato, se non esiste, fals0, ma che
non sia ammalato vero (ibid., 27-32).

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42

L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

un escogitare regole nuove, quando ricerche nuove vengono avviate. Dopo


di che chiaro che il segnare all' inizio della ricerca il problema della
semanticit avrebbe significato per Aristotele rinunciare al tentativo di
rintracciare un linguaggio che enunciasse l'essere nella sua struttura immutabile, perch appunto non pi l'essere avremmo avuto dinanzi, ma
vari significati del termine essere adatti ciascuno ad un metodo diverso di attingere il reale e, perci, usati in linguaggi diversi, su ognuno
dei quali si sarebbe dovuto indagare distintamente.
Avevamo detto nel par. 5 che la necessit dell'antifasi e l' immediato passaggio dal discorso all'essere costituiscono i cardini della logic.o1.
aristotelica ; ma ora appare come in realt questi due presupposti siano
uno solo e cio la generalizzazione verbale, per cui dai vari predicati e
dai diversi significati dell'essere si perviene all' ed al non della
copula, che non ammettono termini medi.

7 - LE CATEGORll,; DBL-LA POSSIBILI'l' F. Dl~LLA NECESSIT. - Dopo


che entro l' orizzonte della necessit antifatica si svolto lo studio di
tutti i problemi inerenti al linguaggio, presentatisi finora, non si pu
rinunciare al tentativo di dare un senso, entro questo orizzonte, anche
alle altre categorie che compaiono nel discorso. La domanda, dunque, alla
quale ora Aristotele non pu sfuggire : anche per le proposizioni che
enunciano la necessit o la possibilit vale l'alternativa antifatica? . Le
trattazioni sulla necessit e sulla possibilit si trovano in molti passi della
sua opera, ma nel De inlerpretatione queste categorie sono trattate dal
punto di vista strettamente linguistico, come esame delle proposizioni che
enunciano una possibilit od una necessit (fH) ed in connessione con il
problema che ora ci occupa, cio in relazione all'alternativa antifatica; del
resto proprio qui si determina il senso in cui queste categorie saranno
usate in tutta la logica nei modi che esamineremo.
Quattro sono le categorie modali di cui tratta Aristotele: il possibile,
il necessario, ci che pu darsi ( T v6cx6~-tcvov ) e l'impossibile, delle
quali per, solo le prime due sono le pi importanti, poich le altre si
possono ridurre ad esse. Ora queste categorie vengono prese in considerazione in quanto vi sono delle proposizioni che enunciano una possibilit,
altre che enunciano una necessit, ecc. : bisogna vedere se queste prop0sizioni siano sottoposte all'alternativa antifatica. Quanto in questi giudizi
interessa non ci che possibile o ci che necessario, ma l'asserzione
che possibile, che necessario ; in questo modo, per, i giudizi di modalit possono essere ridotti a comuni giudizi assertori, per la sostituibilit di qualsiasi predicato con il verbo essere (65) ; sicch si pu dire
(Gol.) Definite queste cose, bisogna indagare in quali rapporti reciproci siano le
affermazioni c le negazioni che riguardano il possibile che sia ed il non possibile, cd
il 'pu darsi' ed il 'non pu darsi', e quelle dell'impossibile e dc! necessario: vi
sono infatti alcune difficolt (De int., rz, 21 a, 34-37).
(65) In quelle proposizioni in cui non si aggiunge il verbo 'essere', ci che
vien detto in luogo eli esso si comporta allo stesso modo'> (De ili-f., 12, 2I h, 6-7).

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LE CATEGORIE DELLA POSSII3IL!TA E DELLA NECESSITA

43

che tra possibile e non possibile come tra necessario e


non necessario non solo non si d medio, ma l'un termine vero e
l'altro falso (66). Se perci parlare di necessit e di possibilit ha da
avere un semo, questo non pu trovarsi che nell'ambito dell'alternativa
antifatica, alla quale quelle determinazioni necessariamente sottostanno.
Abbiamo per visto che ogni determinazione verbale deve avere un corrispondente reale, pena la non validit del principio fondamentale della
logica aristotelica che si fonda appunto sull' immediato passaggio dall' essere al conoscere e viceversa.
Come possibilit e necessit reale queste determinazioni trovano il
1oro contenuto entro l'antifasi, in quanto la possibilit appunto possibilit di essere e di non-essere senza che l'un termine escluda a priori l'altro, mentre la necessit la determinazione a priori del termine della contraddizione che non pu non essere vero (G 7) : come si vede, ci si riporta
alla distinzione, fatta in De int. 9, tra cose necessarie e cose non necessarie (68 ). Non solo perci ci che possibile cade, in quanto tale, sotto
l'antifasi, ma le stesse possibilit sono determinate necessariamente, possono essere quelle sole e non altre. Cos anche attraverso le categorie madali Aristotele ha l"ahato il fondamento della sua logica - il principio del
terzo escluso - in quanto la possibilit e la necessit non l'hanno costretto ad ammettere altre forme di essere oltre l'essere ed il non-essere o altri
tipi di proposizioni oltre l'affermazione e la negazione.
Impostata a questa maniera la trattazione della modalit, si introduce
la possibilit di considerare le cose sotto due punti di vista: dal punto
di vista della loro modalit, qualificandole, cio, come necessarie o come
possibili, e dal punto di vista del loro essere, cio esaminando come, in
base a quelle modalit, si riferiscano ad esse i predicati che sono loro
propri ; tuttavia in nessuno di questi casi esse deflettono dalla struttura
razionale alla quale il reale non pu sottrarsi. Infatti nella considerazione
modale le categorie modali diventano predicati in giudizi con copula ,
(;he, come abbiamo visto, rappresenta una stntttura immutabilmente ne(GG) Ma il possibile che sia ed il non possibile che sia non stanno mai insieme:
-perch si oppongono. Del resto neppure il possibile che non sia ed il non possibile
che non sia non stanno mai insieme. Analogamente anche la negazione del necessario
che sia non il necessario che non sia, ma il non necessario che sia; del necessario
che non sia, il non necessario che non sia. E dell' impossibile che sia non l' impossibile che non sia, ma il non impossibile che sia; dell' impossibile che non sia il non
impossibile che non sia. - Ed in generale pertanto bisogna porre, come si detto,
l'essere cd il non-essere come fondamenti ai quali vanno ricondotte tutte quelle cose
"Che determinano un'affermazione o una negazione. Ed d'uopo ritenere che le seguenti
siano proposizioni opposte, possibile - non possibile, pu darsi - non pu darsi, impossibile - non impossibile, necessario - non necessario, vero - non vero (De int., 12,
2I b, 37 22 a, IJ).
(67) MAIER, TJie Syllogistih des Aristoteles, Tubingcn, 1896, vol. I, pagg. 199-200.
(68) Sembra infatti che la stessa cosa possa essere e non essere (De il1t., 12,
21 b, 12); perci si direbbe che si conseguono reciprocamente possibile che sia - possibile che non sia: la stessa cosa infatti pu essere c non essere; ch queste non sono
contraddizioni reciproche (ibid., 3.S-37).

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L'ORIZZONTE LJNOUJSTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

cessaria, qualunque sia il tipo di proposizione in cui si presenta. Senonch, considerate come determinazioni delle cose, cio come determinazioni dei modi in cui gli oggetti si comportano entro il dilemma della
contraddizione antifatica, le categorie modali, che prima sembravano nettzmente distinte, si intrecciano in mutui rapporti.
II possibile si presenta, dal primo punto di vista, come il diverso dal
necessario, in quanto ammette l' indecisione nell'alternativa (69 ): in que-sto senso nella tavola delle categorie modali (7) troviamo il possibile
che sia distinto vuoi dall' impossibile che sia vuoi dal necessario
che sia; con il che da una parte si asserisce la possibilit dell'essere e,
dall'altra, la non soppressa possibilit del non-essere. D'altra parte il
non-possibile passa immediatamente nel necessario e nell' impossibile,
sicch in realt I' alternativa an ti fatica si , quando le categorie modali
sono considerate come predicati in una proposizione, tra il possibile ed
il necessario, tra cui non si hanno medi.
Ma a questo punto entra in gioco il secondo punto di vista che considera i modi in cui le cose possibili e necessarie sono o non sono. Infatti
mentre se ci fermiamo ai giudizi x possibile e x necessario ,
possibile e necessario ci paiono contraddittorii, in quanto il possibile propriamente il non-necessario, secondo la nota tavola; se passiamo ai giudizi x possibile che sia e x necessario che sia, allora la contraddizione pu anche venir meno. Infatti tra necessario che non sia
e non necessario che sia non c' contraddizione ( 11 ): eppure questi
giudizi corrispondono, nella tavola di De int. 13 rispettivamente a non
possibile che sia ed a possibile che sia i quali, invece, sono contraddittorii tra loro. Se ci vero, vuoi dire che il possibile che sia
sar il necessario che non 'Sia e che il non possibile che sia sar
il non necessario che sia, dove il possibile ed il necessario, anzich
essere contraddittorii coincidono senz'altro, facendo venir meno il presupposto di considerare possibilit e necessit come aspetti assolutamente
distinti del reale. Il termine di passaggio dalla possibilit alla necessit
(69) La ragione per cui ogni cosa che possibile a questo modo non sempre
in atto che di essa sar vera anche la negazione: pu infatti anche non camminare
chi ne ha la possibilit e pu anche non vedere chi pur potrebbe vedere (De int .
12, 21 b, 14-17).
(70) Possibile che sia
Non possibile che sia
Pu darsi che sia
Non pu darsi che sia
Non impossibile che sia
Impossibile che sia
Non necessario che sia
Necessario che non sia
Possibile che non sia
Non possibile che non sia
Pu darsi che non sia
Non pu darsi che non sia
Non impossibile che non sia
Impossibile che non sia
Non necessario che non sia
Necessario che sia
(De int., 13, 22 a, 24-31).
( 71 ) II non necessario che sia non infatti la negazione del necessario che non
sia ; ch possono essere veri entrambi dello stesso soggetto: infatti il necessario che
non sia non necessario che sia (De int. 13, 22 a, 39-b, 2).

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45

LE CA Tf.GOR.IE DELLA POSSIBILIT E DELLA NECESSlT A

l' impossibilit che legata alla necessit:.', ma ne rappresenta il vers (12) :


necessit ed impossibilit appartengono alla stessa modalit, ma l'una
volta verso l'essere che afferma e l'altra verso il non-essere che nega o
viceversa; sono contrarie, ma non contraddittorie. Allora ogni necessario
un impossibile, ma l'impossibile <lel contrario, e cio, il possibile di
se stesso, se il non-impossibile il possibile, come stabilisce la tavola dei
giudizi. Cio il necessario che sia sar l' impossibile che non sia
ma il non impossibile che sia e cio il possibile che sia ; il che
contraddice a ci che la tavola stabilisce ammettendo che il possibile
{;he sia corrisponda al non necessario che sia (7 3 ). Il tentativo eli
Aristotele di inserire sotto il possibile che sia almeno il non necessario che non sia come adatto anche al necessario che sia , considerandolo contraddittorio al << necessario che non sia conseguente al
non possibile che sia ('"'), non fa che complicare i nessi gi intricati
tra le varie categorie modali, non risolvendosi che in un rimando al
possibile che sia in quanto il non-necessario uguale al possibile che
ammette la sostitttibilit immediata di essere e non-essere. Stabilendo
questi nessi, in realt, Aristotele ha ridotto quello che egli stesso aveva
chiamato il possibile al necessario, o almeno al non-possibile; il che per
lui lo stesso. Infatti l'equazione necessario che non sia
non necessario che sia vuoi dire possibile che sia = non possibile che
sia e l'equazione << necessario che sia = possibile che sia vuoi
dire possibile che sia = non possibile che non sia.
Queste confusioni sono sorte quando si esaminata non pi la modalit, ma l'essere secondo una m~dalit, non pi l' essere possibile,
ma la possibilit di essere o non-essere. Nel primo caso le modalit manifestavano un ordine implicando il possibile la negazione del necessario e dell'impossibile e viceversa; nel secondo esse si sono confuse, implicando il necessario il possibile ed il possibile l' impossibile (il possibile che sia il non possibile che non sia). A ben considerare, queste implicazioni delle categorie modali hanno inizio quando non si bada
pi all' possibile o all' necessario , quanto piuttosto al che

(72) L'impossibile si d in senso contrario al necessario, pur sortendo lo


stesso effetto: se infatti qualcosa impossibile che sia, necessario non che sia, ma
che non sia; ma se impossibile che non sia, necessario che sia... in vero la stessa
cosa significano il necessario e l' impossibile, ma come si detto, inversamente l'uno
rispetto all'altro (De int. 13, 22 b, 4-10).
( 7 3) Il necessario che sia infatti possibile che sia: ch se non lo fosse sarebbe negato; perch necessario affermare o negare: sicch se non possibile
che sia, impossibile che sia: sar dunque impossibile il necessario che sia, il che
assurdo. Ma al possibile che sia segue il non impossibile che sia, ed a questo il
non necessario che sia : sicch accade che il necessario che sia sia il non necessario, il
che as~urdo (De int., 13, 22b, II-17).
(74) Resta allora che il non necessario che non sia segua al possibile che sia :
questo infatti vero anche del necessario che sia. E questa la contraddizione di ci
che consegue al non possibile che sia: a quello infatti conseguono l' impossibile che
sia ed il non necessario che non sia, la cui negazione il non necessario che non
sia:> (De int., 13, 22 b, 22-26).

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46

L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

sia 0 al che non sia. Allora si nota che ci che necessario deve
anche essere possibile, ch altrimenti sarebbe impossibile; d'altra parte,
per, un possibile coincidente con il necessario perderebbe tutto il suo
carattere peculiare, in quanto vedrebbe esclusa appunto la possibilit del
contraddittorio (7 5 ). Fino a che si resta alla considerazione della moda
lit poco importa che sia la possibilit che la necessit siano dell'essere o
del non-essere; ma quando si passa a considerare questi ultimi, allora si
vede che il necessario deve essere anche possibile, perch possa essere. Con
ci Aristotele non intende asserire la.priorit della possibilit rispetto alla
necessit, sicch questa risulti iscritta in quella. Se cos fosse, la necessit,
essendo anch'essa semplicemente un possibile, dovrebbe non escludere il
contrario; invece ci non avviene, perch la possibilit di ci che necessario diventa essa stessa esclusiva del contrario (7 6 ). Il che vuoi dire che
il possibile riceve significato e contenuto dal necessario del quale solo
una specie di proiezione retrospettiva: il vero principio il necessario (1 7).
Allora la possibilit o del necessario o del non-necessario. Nel primo.
caso perde il suo carattere specifico di possibilit facendosi, come la necessit aristotelica, esclusiva del contrario, tanto da diventare un semplice modo di enunciare un necessario che in quel momento non c'
ancora, perch necessariamente non deve esserci, ma che pu esserci, perch necessariamente ci sar in un altro momento dato, sicch queste possibilit sono tali solo per omonimia (7 8 ) : al necessario perci nulla aggiunge la possibilit.
Se poi la possibilit del non-necessario, vuoi dire che ci che, appunto, solo possibile, pu essere aftermato o negato (79 ), senza che si
possa determinare quale delle due alternative sia la vera; ma affermare e
negare che cosa? Ci che gi in atto o che stato in atto (BO) ; cio an(7 5) Qualcuno potrebbe essere in dubbio se al necessario che sia consegua il
possibile che sia. Che se non consegue, conseguir il contraddittorio, il non possibile
che sia; e se qualcuno dicesse che questa non contraddizione, sarebbe poi costrettoa dire che lo il possibile che non sia : entrambi sono falsi del necessario che sia.
Ma, di nuovo, pare che la stessa cosa possa tagliarsi e non tagliarsi, essere e non
essere, sicch il necessario sar tale che potr anche non essere; il che falso. Pertanto chiaro che non tutto ci che pu o essere o camminare pu anche le cose opposte, ma vi sono dei possibili di cui questo non vero (De i11t., 13, 22 b, 29-37).
(76) Le potenze dotate di ragione possono pi cose ed anche contrarie, pur restando identiche a se medesime; le irrazionali non tutte, ma come si detto, il fuoco
non pu riscaldare e non riscaldare, n hanno la possibilit dei contrari le altre coseche sono sempre in atto; tuttavia anche alcune tra le potenze irrazionali possono
contemporaneamente gli opposti (De int., 13, 23 a, 1-4).
(77) Ed forse il principio di tutti gli essere e non-essere il necessario ed il
non necessario, e bisogna indagare tutte le altre cose come conseguenti a questi
(De int., 13, 2,3 a, 18-20).
(78) Alcune possibilit sono omonime (De int., 13, 23 a, 6-7).
(70) Ecco infatti ci che accade alle cose che non sempre sono o non sempre
non sono: di queste infatti t: necessario che l'uno o l'altro dei membri della contraddizione sia vero o falso, non questo o quest'altro, ma quello che capita (De int., 9,
19 a, 35c38).
(80) Il possibile non si dice in un modo solo, ma in un sens<?

;;i dice possib!l<;


ci di cui si pa predicare con verit l'essere in atto, p. es. possibile che cammuu
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LI: CATEGORIE Dt:LLA POSSIBILIT l~ DI:LLA NeCI:ssrrA

47

cora il necessario d il contenuto al possibile, perch appunto l'essere, in


quanto , necessario ( 81 ). Ci che la possibilit aggiunge all'essere
la negazione, tissia la condizione che non sempre tale atto deve ripetersi, ma qualche volta potrebbe non ripetersi, sebbene debba o avverarsi o non avverarsi. Tirando le somme allora, non ci resta che concludere che per ci che necessario del possibile non dobbiamo occuparci,.
perch esso non modifica nulla, in quanto un tal possibile che ha climinato il contrario ; nel non-necessario il possibile solo la negazione di ci
che in atto, in quanto potrebbe anche non esserlo o soltanto la proiezione
tetrospettiva di ci che in atto, in quanto cio c'era un momento in
cui non lo era, sebbene potesse esserlo; sicch la possibilit considerata
da un punto di vista strettamente logico, appare come la collocazione
dei contrari sullo stesso piano, d'onde un ritorno all'alternativa untifatica, e, con ci, una riduzione della possibilit alla necessit. Non a
ragione perci il Maier sostiene che la possibilit la negazione del
principio del terzo escluso, entro il quale, invece, del tutto rinchiusa (82). vero che Aristotele (8 a) parla di una possibilit come probabilit, ma il lato propriamente possibile qui la negazione dell'attnale essere (non cammina chi pure potrebbe camminare, perch ha cammimto altre volte), mentre ci che ad esso si deve sostituire un'altra
attualit, cio un altro essere. Il possibile appare perci come negazione
del necessario o come momento negativo di esso, dal quale soltanto
prende senso. Proprio a questo proposito il Prantl asseriva che v~:::x6
f.tf''V0\
e f\'Uvrn6v cio possibilit logica e possibilit metafisica non si
possono distinguere in quanto traggono il loro essere dalla forza creativa
del concetto, nell'ambito del quale essi sono il non-essere. ma il non-essere di ben determinate attualit (8 4). Del resto anche il Maier, che in
un primo tempo cerca di distinguere la necessit antologica da quelh
metafisica ( 8 ~), finisce poi con il non poter riconoscere certi sviluppi
delle dottrine aristoteliche che considera come introduzione della metafisica nell'antologia (8G). Aristotele non nega che ci siano delle cose possibili, ch anzi nemico dell'asserzione che tutto necessario, dalla quale
1

perch cammina, c, in breve, possibile che sia in quanto gi in atto ci che si dice
possibile, in un altro senso si dice possibile ci r.he potrebbe essere in atto, p. es. pu
camminare in quanto potrebbe camminare (Dt int., 13, 23 a, 7-TI).
(Rl) De int., 9, I9a, 23~24: : chiaro da ci che si detto che ci che necessariamente, in atto, sicch se le cose eterne prece<lono, anche l' atto precede la
pctenza (ibid., 13, 23 a, 21 -22).
(82) H. MAIF.R, op cit., v. I, pagg, 202-210.
(8~) De int., 13, 23a, IO~TI.
(84) C. PRANTL, Geschichte der Logik im Abendlaude, Leipzig, 1855, pagg.
r64-182.
(85)

H.

MAIER,

(S6) H. MA.IER,

op. cit., v. I, pag. 187.


op. cit., v. l, pagg. I9J-I99.

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48

L' OI~IZZONTI: LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

si vuole salvare con l'ammissione dell'accidentale (~ 7 ) e di potenze ragionevoli (SS), ma solo non ammette che il possibile come tale possa
avere un peso nella scienza che non elabora per esso un linguaggio apposito ; essa anzi si serve del linguaggio del necessario e perviene a conclusioni dall'aspetto identico a quelle del necessario, accompagnate dalla
sola avvertenza che ci che stato affermato potrebbe anche non essere.
Un'indagine su oggetti solo possibili non dispone di mezzi linguistici
Diversi da quelli di un' indagine su oggetti necessari e se ne distingue
soltanto perch tiene esplicitamente conto che a volte ci che stato
dedotto pu non avvenire, per lasciar posto al contrario. L' impossibilit
di riconoscere la possibilit nel suo proprio essere deriva dall'ammettere
che solo c necessariamente due siano le forme della realt, l'essere ed
il non-essere,. sicch ci che possibile sia sospeso tra un termine ed il
suo immediato contrario, l'asserire o il negare: in questo senso il possibile non pu fondare nessuna ricerca, ch appunto, non c' bisogno di
indagine per dire che una qualsiasi cosa o non . Appena poi
questo possibile tende a diventare il probabile allora deve prendere la
forma dell'affermazione o della negazione e con questo cadere entro le
strutture del necessario, con la sola condizione che prima dicevamo.
Ma che la possibilit si possa articolare in forme via via nuove che
debbano essere indagate con mezzi appropriati e con linguaggi adatti
~i mezzi impiegati, questo Aristotele non ammette, cos come non ammette che la necessit sia un ordine trovato indagando con certi mezzi
ed enunciato in un certo linguaggio : per lui la necessit , appunto.
un ordine solo, enunciate in un linguaggio solo che ripete le strutture
necessarie del reale.
8. - L'AT'l'UAL,E. E IL N~CESSARIO. - Il tentativo eli Aristotele
stato quello di interpretare anche la necessit e la possibilit delle cose
entro l'orizzonte della necessit, entro il quale soltanto si spiega, secondo
lui, la conoscenza del reale. A prima vista certo una grave difficolt
che Aristotele parli di una necessit dell'alternativa antifatica e di una
necessit delle cose, che pare distinta da quella. Infatti, come nota il
Maier ( 89), tutti i giudizi di esistenza cadono sotto il dominio del principio del terzo escluso, che si presenta come una legge necessaria, sicch
tutti i giudizi dovrebbero gi di per s essere necessari, senza che si
introduca un'altra categoria di giudizi necessari, che non si distinguereb,
(87) Poich non tutte le cose sono secondo necessit n sempre o sono o divea
gono secondo forme costanti, ma la maggior parte sono per lo pi, necessario che
ci sia l'accidentale:; (lvi et., E, 2, 1027 a, 8-rr). Pi sotto Aristotele ammette l'accidente perch tutte le cose sarebbero necessarie, se necessariamente di ci che nasce
e di ci che si corrompe ci fosse una qualche causa non accidentale (ibid., 3, 1027 a,
JI-32),
(8S) De int., 13, 22b, 39-23a, 2.
(89) H. MAIER, op. cit., v. I, pagg. 210-212.

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L'ATTUALE E IL NECESSARIO

49

bero pi dai giudizi di esistenza in genere. Per risolvere la questione allora il :Maier ricorre ai giudizi sul futuro come ai soli che sfuggano alla
necessit e di fronte ai quali abbia ancor~t senso distinguere una categoria
particolare di giudizi necessari. Anche per il Calogero, del resto, assolutamente fuori di posto una dottrina della modalit nella logica aristotelica che o si riduce alla percezione noetica, in cui il necessario non si di~
stingue pi dall'attuale, o si riduce ad uno studio delle forme del linguaggio che nulla hanno a che fare con la modalit delle cose, servendo ugualmente bene per le cose possibili e per le necessarie (90 ). Ma le difficolt
trovate da questi due interpreti derivano dal fatto che essi non hanno
sufficientemente indagato le categorie modali presupposte dalla stessa logica di Aristotele, sicch pensano che il loro intricarsi derivi dalla confusione della necessit logica con la necessit antologica (91 ) o per la presupposizione realistica di oggetti gi costituiti (92 ), che poi la stessa cosa.
Non si considera per come per Aristotele non si tratti di confusione di
determinazioni reali con determinazioni logiche, ma di ritrovamento di
una struttura comune alla realt ed al discorso entro cui solo hanno
senso le detem1inazioni modali che appartengono alle cose e, perci,
anche ai discorsi che quelle cose enunciano. La logica cio ha messo
in luce un orizzonte entro cui compreso tutto il reale. E questo orizzonte costituito dall'alternativa antifatica dell'essere e del non-essere.
La necessit di quest'ultima consiste nella imprescindibilit dell'assoluta
esclusione dei due membri di cui costituita. Ora tutto ci che reale
determina uno dei suoi comi e, quando , necessariamente, nel senso
che esclude, assolutamente, il corno contrario a quello che ha determinato. Tutte le cose che sono, perci, cadono entro questa alternativa,
collocandosi in uno dei suoi membri: questo essere un che di determinato che esclude il contrario l'essere in atto (93). Se tutte le cose che
sono, sono in atto, c' per modo e modo di essere e, cio, di essere in
atto : non perch l'attualit muti la sua struttura antifatica, ma perch
diverse sono le cose in cui questa struttura si manifesta. Vi sono, infatti,
cose necessarie e cose possibili per le une e per le altre delle quali l'attualit per sempre la stessa: senonch necessarie sono quelle cose che
entro l'alternativa antifatica si collocano sempre dal medesimo lato, sicch
o sono sempre in atto o di esse si pu sempre predire quale sar l'atto,
possibili sono quelle che non permettono mai predizione certa di quale
( 90 )

G.

CAI,OGERO,

I fondamenti della logica aristotelica, Firenze, Le Monnier,

1927, pagg. 268-270.


(91) H. IvlAIER, op. cit., v. I, pagg. 208-209.
(92) G. CALOGERO, ap cit., .pag. 269.
(93) Infatti le cose possibili o sono tali per omonimia c perci sono gi in atto
o sono possibili perch saranno un certo atto; ora le prime sono in realt necessari~
c, come tali, collocate in un membro dell'antifasi esclusivo dell'altro; le seconde, reali~.zando la loro possibilit, cio passando in atto, mettono capo ad un membro dell'antifasi esclusivo dell'altro.

C. A.

VIANO,

La logica di Aristotele.

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50

L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA AR.ISTOTELICA

sar il loro atto, restando sempre sospese nel dilemma (94 ). Come si vede,
perci, la necessit dell'alternativa antifatica il vero principio delle categorie modali (95 ) : infatti necessarie sono quelle cose che possono essere spiegate sulla base dell'opposizione contraddittoria di essere e nonessere, nella quale si detenninano subito per un corno, mentre possibili
sono quelle cose che in essa non ricevono totale spiegazione. In questo
senso abbiamo detto che il possibile solo il non-essere del necessario.
Mentre infatti la categoria della necessit l'affermazione dell'attualit (come determinazione di un'antifasi) in ogni tempo, quella della possibilit la negazione dell'antifasi come principio che sia in grado di dar
conto di certi aspetti del reale. Ma, poich la contraddizione la struttura stessa dell'attuale, cio dell'essere, del reale, l possibile sar la negazione di certi aspetti che, in quanto sono soltanto possibilit di certi
esseri, non sono reali. Tuttavia se l'orizzonte della necessit antifatica
non d conto di certi aspetti delle cose non si deve dire che l'orizzonte
stesso vada mutato, perch esso una struttura necessaria, sicch una eliversa da essa impensabile: piuttosto bisogner limitarsi ad enunciare
scientificamente delle cose possibili quel tanto che cade sotto la necessit.
Se l'orizzonte della necessit non d conto delle cose possibili, non l'orizzonte non , almeno per quelle cose, ma quelle cose non sono.
A rigore chiamare orizzonte quello in cui soltanto si pu dar conto
deli' intelligibilit del reale, quale si venuto chiarendo dallo studio del
De interpretatione, improprio, perch un orizzonte implica la possibilit di collocamento che, perci, pu anche essere mutato qualora il
primo non abbia assicurato una sufficiente visibilit delle cose che avevamo in animo di studiare e scrutare; invece l'orizzonte della necessit
qui si rivelato tale che impossibile abbandonarlo e, cio, si riveIato non pi come un orizzonte, ma come una struttura imprescindibile del reale e del linguaggio. Per Aristotele chi enuncia l'essere gi
in questo orizzonte perch vi l' essere o, meglio, usa queste strutture
perch queste sono le strutture dell'essere; chi vuoi mutare orizzonte non
corre il rischio di enunciare peggio l'essere, come non ha la probabilit di
enunciarlo meglio: semplicemente cade nel non-essere, nel nulla apofantico, cio o non parla o non enuncia nulla. Ecco perch la possibilit,
che non pu essere pienamente indagata entro questo orizzonte diventa

(94) Ed alcune cose sono in atto senza potenza, come le sostanze prime. altre
ancora con potenza, della quale l'atto anteriore per natura, pur essendo posteriore
~ronologicamcntc, altre ancora non sono mai in atto ma solo sempre in potenza (De
tnt., I3, 23 a, 23-26). Questa appunto la formulazione rigorosa delle distinzioni cui
ha messo capo l'analisi degli eventi futuri condotta in De int., 9 dove, appunto,
apparso che di alcune cose si pu sempre predire l'atto, di altre invece no.
( 05) De int., 13, 23 a, r8-2o. Qui I\'O.y)4a.tov significa t'atto che necessario in
quanto gi : ma questa necessit rinvia, in ultima analisi, alla alternativa an ti fatica
con la conseguente esclusione del medio nella quale perci si pu additare il vero
principio clelia modalit.

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L'ATTUALE E IL

N~CESSARIO

51

il non-essere della necessit. Tuttavia ancora nel suo non-essere essa


compresa nell'orizzonte della necessit, appunto in quanto que<;to suo
non-essere necessaria pur comprensibile; d'altra parte le cose possibili sono pure reali anch'esse e come tali non sfuggono alla struttura di
tutto il reale, cio all'alternativa di essere e non-essere, sebbene questa
alternativa non possa dar conto di esse in modo esauriente; ma proprio ci che non spiegato da quell'orizzonte la possibilit, cio il nonessere della necessit.
Le attribuzioni di modalit entrano in questo orizzonte perch sono
semplicemente dei giudizi che enunciano un o un non , un
reale, come reale che alc11ne cose non si spieghino con la struttura antifatica; ma non la possibilit come tale. Infatti Aristotele non conosce che
un essere ed un non-essere che si escludono a vicenda, sicch ci che li
ammette entrambi non una realt, ma ci che sta per risolversi in una
realt, e cio un non-essere. Il necessario consiste nell'integrale spiegabilit er,tro la struttura della realt, cio la totale e piena realt, l'attualit
che ha il suo culmine nell'eternit, ove la possibilit non ha luogo.

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CAPITOLO

II

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

I. IL SIL.LOGISMO. Lo studio del De interpretatione mette in


luce come a proposito della logica aristotelica si possa parlare di strutture linguistiche necessarie, indicando anzi quelle fondamentali ricavabili
dall'esame del rapporto tra i giudizi; vogliamo qui studiare lo sviluppo
completo di queste strutture che Aristotele ha indagato nei loro minimi
particolari. Ma il loro vero senso rimarrebbe del tutto inaccessibile, se
non si tenesse presente il fondamento che, solo, d ad esse il loro carattere proprio e rende la loro ricerca inconfondibile con imprese tentate da
altri e che superficialmente si possono presentare analoghe, se non uguali,
a quella di Aristotele, mentre in realt ne sono ben diverse.
Va tenuto presente che ogni discorso apofantico si colloca necessariamente entro alcune alternative, corrispondenti termine a termine, che l'analisi delle forme fondamentali del linguaggio apofantico riuscita ad individuare e che in dette alternative ogni discorso occupa subito uno dei
corni, non essendo pensabili proposizioni che appartengano contemporaneamente ad entrambi i termini del dilemma, n proposizioni che occupino una posizione intermedia tra di essi. Affem1ativit e negativit, universalit e particolarit appaiono come le determinazioni pi significative,
inerenti al discorso, cui quelle analisi abbiano messo capo (1), sebbene queste distinzioni traggano dietro eli s una folla di altri concetti ora sottaciuti. Proprio perch sottoposto alla necessit antifatica il discorso deve
scegliere un corno della contraddizione per poter svilupparsi secondo ve
rit. Ch non pu scegliere tutti e due i corni, se deve vigere la legge
dell'antifasi, che appunto esclusione dei contraddittorii; infatti anche nel
caso dell'assoluta casualit permane l'alternativa, in quanto ci si deve
limitare a dire che una certa cosa sar o non sar, ma si ha appunto una
somma e non un prodotto logico. Il pronunciare una qualunque proposizione, dunque, gi un collocarsi da un lato della contraddizione, un prendere l'affermazione o la negazione, qualunque sia poi il carattere del di-

{ 1 ) Una premessa dunque un discorso affermativo o negativo che attribuisce


qualcosa a qualcos'altro; essa o universale o particolare o indefinita (An. pr.
A, I, 24a, 16-17).

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IL SILLOO!SMO

53

scorso che si intenda fare e). N importa, per ora, che ci sia modo e
modo di prendere un membro dell'antifasi, ossia interrogando - che vuoi
dire tenendo presente anche l'altro membro - ed assumendo senz'altro direttamente - che vuol poi dire escludendo senz'altro l'altro membro da
ogni considerazione - , perch in un caso come nell'altro il prendere
sempre prendere un membro rifiutando l'altro, a prescindere poi dal proposito e dalla possibilit di istituire costanti raffronti tra di essi (3) ; n
importa che l'assunzione sia di ci che vero o di ci che solo probabile,
ch anche il secondo non potr non presentarsi che come affermazione o
negazione di un essere o di un non-essere ; con il che anche la premessa
interrogativa sar ricaduta nelle braccia della necessit antifatica. Proprio
dall'esame della forma verbale dell'asserzione e dell'interrogazione Aristotele giunto all' individuazione di altre due forme di proposizioni, le dialettiche e le apodittiche, delle quali le prime scelgono un membro dell'antifasi dopo aver rivolto una domanda su entrambi, cio dopo aver sollevato il dubbio che anche l'altro fosse da prendere e, quando ne hanno
scelto uno, Io considerano tale che appare vero e probabile, in quanto
la scelta stata preceduta da un dubbio e l'alternativa scelta non era vera
in modo tale da imporsi assolutamente, come nelle proposizioni apodittiche. Siamo dinnanzi ad una aporia di tutto l'edificio aristotelico, a quanto
pare, perch troviamo delle proposizioni che non potendo che essere affermazioni o negazioni dell'essere o del non-essere, non sono vere o false,
ma solo probabili. Ma, forse ad un esame pi approfondito potr apparire
che anche le determinazioni di vero e di falso, necessariamente connesse
con le altre, sono presenti in queste proposizioni, sebbene con l'ulteriore
nozione di probabile; comunque accettiamo, per ora, con Aristotele, la
distinzione cos come vien fatta e consideriamola, per i fini dell'argomento
che ci interessa, come irrilevante, tenendo per fermo che le proposizioni,
non potendo che affermare o negare, non possono presentarsi che come
vere o false. Basta. infatti sapere che ogni proposizione si colloca in un'alternativa, della quale deve scegliere un corno, per la sola sua struttura linguistica, sia poi essa vera o solo probabile. Ora un discorso completo deve,
secondo Aristotele, sviluppare l'alternativa scelta con nessi necessari. Il

(2) Sicch una premessa sillogistica sar semplicemente un'affermazione o una


.negazione di qualcosa rispetto a qualcos'altro (An. pr. A, I, 24a, :28-29).
(3) C' differenza tra la premessa apodittica e la dialettica, perch la prima
assunzione di uno dei membri dell'antifasi (chi dimostra, infatti, non interroga, ma
assume), mentre la seconda un' interroga;done sull'antifasi stessa. !via nessuna
conseguenza deriva per il compiersi del sillogismo dall'un tipo e datl'altro di premessa : ed infatti sia chi dimostra che chi interroga sillogizza assumendo che qualCilsa inerisce o non incriscc a qualcos' altro. Sicch una premessa sillogistica >ar
semplicemente un'affermazione o una negazione di quakosa rispetto a qualcos'altro,
nel modo gi detto, ma apodittica se vera e derivata attraverso assunzioni risalenti
al principio, dialettica se un' interrogazione su entrambi i corni clell'antifasi, quando si tratti di chi si proponga di interrogare, o se l'assunzione di ci che appare o
di ci che probabile, quando si tratti di chi si proponga di sillogizzare, come <stato detto nei Topki (An. frr. A, 1, 24a, zz-b, 3).

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54

LA STRUTTURA NECeSSARIA DI!L LINOUAOOIO

sillogismo infatti proprio un trarre conseguenze necessarie da premesse,


e, anzi, la compiutezza del sillogismo sta nell'essere in grado di mostrare
la necessit del processo senza bisogno dell'intervento di termini estranei
al sillogismo stesso (<1). Esso perci una struttura necessaria del discorso
che voglia essere concludente e non solo limitarsi all'enunciazione di una
vuota alternativa; anzi di essa sviluppa una parte, traendo la conclusione
che quella implicitamente contiene. Qualunque discorso non pu non emmciare un essere o un non-essere e cio predicare qualcosa di qualcos'altro,
sia poi vero o solo probabile che questo attributo spetti a questo soggetto ;
cio non pu presentarsi che come assunzione di un corno dell'antifasi :
ne deriva che il corno scelto pu essere svolto nei suoi contenuti, sia poi
tutto il discorso solo probabile o addirittura vero. Sillogismo perci vuoi
dire discorso controllato, compiuto, avente un senso ed una coerenza, costituita dalla sua stessa necessit. Il fondamento di questa necessit costituito dall'essere le cose dette dopo, contenute in quelle dette prima:
infatti nel sillogismo perfetto il legame di necessit delle varie proposizioni
dovuto all'essere ~v o.qJI'nn dell'altro dei tre termini che lo costituiscono.
Tenendo presente questi punti si potrebbe affermare che la sillogistica di Aristotele logica formale in quanto appunto prescinde dal contenuto di probabilit o di verit delle proposizioni per preoccuparsi solo
della loro coerenza c non-contraddittoriet; che essa, per, nulla garantisce
circa il contenuto della proposizione, in quanto Aristotele stesso ammette
che ci possa essere un sillogismo con premesse false. Senonch si potrebbe
osservare contro queste asserzioni che Aristotele chiama questo sillogismo, sillogismo falso. La logica formale presuppone che la forma del discorso sia un qualcosa di applicato al discorso stesso dall'esterno, per verificame l' intrinseca giustezza, estranea per al contenuto, escogitata da
apposite ricerche e tale da non essere indispensabile al discorso stesso, che,
come potrebbe essere sostanzialmente falso, pur essendo formalmente
vero, cos potrebbe essere vero, pur non essendo in forma; tanto che la
logica formale conobbe appunto i ragionamenti in forma come discorsi
messi in una forma, senza la quale sarebbero stati per sostanzialmente
veri. Invece per Aristotele un sillogismo falso un sillogismo del tutto
falso, di cui non si salva neppure la forma, che per s non n vera n
(4) Un sillogismo un discorso in cui, poste alcune cose, accade necessariamente qualcosa di diverso da ci che stato posto, ma proprio perch ci che
stato posto . Intendo per 'proprio perch ci che stato posto ' il derivare attraverso ci che stato posto, e per ' il derivare attraverso ci che stato posto
il non esserci bisogno di nessun termine preso dal di fuori per il compimento della
necessit del legame sillogistico. Chiamo sillogismo perfetto quello che non ha bisogno di null'altro oltre ci che stato assunto per manifestare la necessit del
legame sillogistico, imperfetto quello che ha bisogno di una o pi cose che sono necessarie, dati i termini che si sono supposti, ma che non sono state assunte attraverso le premesse (.!111. pr. A, 1, :24b, 18-26).
Il rapporto tra il sillogismo e l'antifasi messo in luce anche dal Gohlke in
Die Entsteh1mg der aristotelischen Logik, Berlin, 1936, p. 21, sebbene in riferimento
ai soli ToPictJ.

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SILLOOISMO E DICOTOMIA

55

falsa. I presupposti della sua logica, che Aristotele ha chiariti nel De


interpretalione, basterebbero di per s a far cadere ogni tentativo di interpretare detta logica come logica formale, in quanto mostrano la necessaria corrispondenza di linguaggio ed essere, per cui la forma del linguaggio corrisponde sempre per lo meno ad una forma dell'essere; ora
neppure il sillogismo si sottrae a questa impostazione. Esso non una
forma del discorso, ma la sua struttura necessaria, nel senso che og-ni discorso apofantico che voglia andare oltre la semplice proposizione per
trovarne le conseguenze deve essere un sillogismo, la cui struttura la
condizione imprescindibile perch un discorso abbia senso, cio pos~a essere vero o falso. Un sillogismo con premesse false giunge a conclusioni
false, salvo casi che vedremo e che non infirmano la regola, ma non con
questo esso possiede una parziale verit, nel senso che sia formalmente
vero in quanto sillogismo corretto; infatti il suo esser parzialmente vero o
formalmente vero solo la sua possibilit di essere detto falso, cio il suo
esser discorso procedente da premesse sviluppate secondo necessit. Perch
un sillogismo pervenuto ad una conclusione falsa possa essere detto formalmente vero bisogna chE' la forma sia un qualcosa che ci si industriati
di dare ad esso, trovata da noi, alla quale esso da solo non si uniformetebbe: in questo caso l'esser vero formalmente significherebbe la riuscita
del tentativo di dare al discorso la forma che ci si era proposti di conferirgli. Ma se la struttura sillogistica necessaria al discorso perch esso
possa dirsi discorso, allora chiaro che, mancando essa, non si avr pi
un discorso formalmente falso ma ttn non-discorso. Si comprende cos
anche come il discorso solo dialettico possa servirsi del sillogismo, anzi
debba essere sillogismo, perch appunto anch' esso un discorso e non
dispone che delle forme proprie del linguaggio apofantico, dalle quali il
sillogismo direttamente deriva: il discorso dialettico sar s solo probabile, ma probabile intorno all'essere. N difficolt il fatto che Aristotele
parli di sillogismi eristici come sillogismi apparenti (='), ch appunto ci
che abbiamo detto non mette in pericolo la possibilit di discorsi apparenti.
N astro compito ora vedere come il sillogismo sia una struttura del discorso ed il senso in cui esso necessario.
2. SILLOGISMO ARISTOTELICO lt DICOTOMIA PLATONICA. Per ben
comprendere che cosa significhi il sillogismo per Aristotele conviene forse
tener subito presente la critica che egli rivolge contro il metodo della dicotomia, gloria dell'Accademia platonica. Che affinit ci sia tra il metodo
platonico ed il suo Aristotele non nega, ch anzi tende a dimostrare come
la dicotomia sia solo una piccola parte del metodo che abbiamo illustra-

(li) Sillogismo eristico quello che deriva da premesse che paiono probabili,
ma non lo sono, ed il sillogismo solo apparente derivante da premesse probabili o
apparentemente probabili>> (Top. I, r, roob, 23-25).

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56

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LIKOUAGOIO

t o (6) 0 , addirittura, un sillogismo impotente ( &a6Ev~); tanto che pro-

prio basandosi su queste affermazioni alcuni interpreti (7), hanno voluto


sostenere che il sillogismo di Aristotele deriverebbe da un tentativo di perfezionare la dicotomia ; il che vero solo se si aggiunge che il perfezionamento della dicotomia portava con s la modificazione dei presupposti metafisici sui quali quella si basava.
La colpa principale della dicotomia , per Aristotele, quella di non
dimostrare nulla o di presupporre ci che vuole dimostrare (s), in quanto
pu solo dire che ogni idea si divide in due parti senza poter aggiungere
quale di esse spetti necessariamente a ci che stato assunto sotto l' idea
stessa: cos dell'uomo pu solo dire che mortale o immortale, ma non
se l'uno o l'altro. La superiorit del sillogismo consiste allora proprio in
questo, che, avendo esso escogitato il medio (9 ), l'attribuzione di un predicato a un soggetto risulta in modo necessario : cos non ci si deve pi
limitare ad enunciare l'alternativa, perch vien determinato quale membro di essa si addica all'oggetto in questione, senza presupporlo. Ma il
presupposto errato della dicotomia sarebbe la pretesa di dimostrare la
sostanza e l'essenza che sono indimostrabili (1); sicch si pu arguire che
il presupposto del sillogismo sia appunto l' indimostrabilit dell'essenza e
della sostanza, che sarebbero i suoi stessi fondamenti.
Questa critica a Platone utilissima per capire gli intenti di Aristotele stesso e, nella fattispecie, il significato della sua sillogistica. Infatti
sono ora apparsi chiari alcuni dei requisiti essenziali del sillogismo: a)
deve essere un discorso con nessi necessari; b) questa necessit risiede nel
medio; c) presuppone la sostanza e l'essenza; d) deve adattarsi ad ogni
tipo di ricerca (11). La condizione c) mostra quale fosse il disaccordo pitt
profondo tra Aristotele e Platone ed indica che il sillogismo non ha solo
l' importanza di un mezzo di esprimere i nostri pensieri, sempre sostitubile con un altro, avendo invece un ben chiaro presupposto metafisico e
dovendo secondo il punto tf) aQ~-t6sH v con ogni tipo di ricerca. Anche la

{6) Che la divisione per generi sia solo una piccola parte del metodo cl1c abbiamo descritto, facile a vedersi: infatti questa divisione una specie di sillogismo
impotente>> (A1~. pr. A, 31, 46a, 31-33).
(7) RoBIN, Aristate, Paris, 1944, pag. so.
(S) La dicotomia presuppone sempre come dato ci che deve dimostrare, e
sillogizza sempre qualcosa di troppo ampio (An. pr. A, 31, 46a, 33-34).
(9) Nelle dimostrazioni dunque, quando si deve concludere che qualcosa inerisce a qualcos'altro, necessario il medio attraverso il quale si compie il sillogismo
e che dtve essere meno esteso e meno universale del primo dei termini; la dicotomia
fa esattamente il contrario: assume come medio l'universale (An. pr. A, 31, 46a,
39b, 3).
( 10 ) Uno degli errori capitali dei sostenitori della dicotomia sta nel fatto che
tentavano di sostenere la possibilit di dimostrare la sostanza e l'essenza (An. pr.
A, 31, 46a, 35-3i).
( 11 ) <d! allora evidente che questo metodo di ricerca non si adatta ad ogni tipo
di indagine n utile in quella cui maggiormente pare convenire (An. {w. A, 31,

46b, 35-37).

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LE TRE fiGURE SILLOC.lSTJCliE

57

dicotomia platonica pretende di valere per ogni tipo di ricerca, ma non


esclude di modellarsi a nuovo nelle sempre nuove ricerche in cui via via
usata perdendo a volte anche il suo ritmo rigorosamente dicotomico,
come negli esempi del Sofista.: gli che a suo fondamento non c' la necessaria alternativa antifatica, ma la dialettica dei sommi generi del Solista. Proprio in questa diversa struttura della dicotomia dal sillogismo
da cercare la ragione per cui l'una pretende di dimostrare la sostanza,
mentre l'altro la presuppone: infatti la dicotomia non porta chiuso in ogni
suo passaggio tutti i passaggi successivi collegati ai primi con nessi analitici. Per questa ragione essa non serve a sviluppare principi sostanziali
che contengono gi in s tutta una serie eli comcguenze che si spiega dinanzi a noi quando si disponga di un mezzo linguistico adeguato. Il sillogismo, che procede appunto secondo necessit e che in ogni conclusione
gi racchiude le conclusioni dei sillogismi che saranno compiuti, prendendo
per premessa appunto quella conclusione, deve segnare a capo della serie
un principio che non sia pi contenuto in altro (cio che sia indimostrabile)
e che contenga in s tutta la serie delle conseguenze che esso gi in grado
di sviluppare : in questo senso il sillogismo presuppone e non dimostra la
sostanza, concepita come necessit, per la quale la dicotomia sarebbe inservibile. Quest'ultima, infatti, pretende di dimostrare la sostanza nel senso
che non ammette che ci sia qualcosa che si dia all'uomo in una intuizione
intellettuale rivelante tutta la verit, ma presuppone che tutto e sempre
sia sottoposto al pensiero discorsivo ed alla ricerca.

J. LE TRE FIGURI.\ SILLOGISTICH.Ii. - Tre sono i compiti che Aristotele si propone nell'indagine sul sillogismo: a) studiarne la genesi e le
modalit (12 ); b) indagare come possiamo facilmente comporre dei siltogismi. affinch non sappiamo solo come sorgano, ma possediamo anche la
capacit ( lhlvu!u) di farne (1 3 ); c) ricondurre tutte le specie di sillogismi
a certi tipi risultati da un'indagine rigorosa come i soli possibili (14). Il
primo e l'ultimo compito impostano subito la ricerca sul piano della necessit, perch appunto presuppongono che tanti e non pi possano essere
(12) Come dunque sorga ogni sillogismo ed attraverso quanti termini e proposizioni, ed in quali rapporti reciproci essi stiano, ed ancora quale problema possa
essere dimostrato in ciascuna figura e quale in un maggiore e quale in un minorenumero di figure possa essere dimostrato, chiaro da ci che si detto (An. pr.
A, 26, 43a, 16-19).
( 1 3) Ch forse non bisogna solo indagare la genesi del sillogismo, ma anche
possedere la capacit di farne (An. pr. A, 27, 43a, 22-24).
(14) Dopo di che bisognerebbe dire come potremo ricondurre i sillogismi alle
predette figure: ch resta ancora questa parte della ricerca. Qualora infatti abbiamo
indagato la genesi del sillov,ismo cci abbiamo avuto la capacit di trovarla cd inoltre
abbiamo risolto i sillogismi via via sorti nelle figure gi illustrate, allora avrebbe
compimento il proposito da cui siamo partiti. Attraverso ci che diremo accadr e
che le cose dette precedentemente siano riconfermate e che diventi pitt evidente che
stanno proprio cos: perch h1tto ci che vero dcvC' concorclarc completamente con
se stesso (An. Pr. A, 32, 4fjb, 4o-47a, 9).

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58

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINOUAOOIO

i tipi di sillogismo, essendo contraddittorio, cio impossibile, pensarne altri


realmente diversi ; sicch un esame delle strutture linguistiche onnipresenti
potr appunto rivelarci la genesi del sillogismo e le sue forme. N il secondo compito in contraddizione con gli altri due, perch proprio conoscendo i presupposti del sillogismo potremo pi facilmente fare un discorso sillogistico, che gi prima facevamo senza conoscerne la natura.
La contraddizione non solo il punto di partenza del sillogismo, ma
anche il suo punto di arrivo, che sempre costituito da una proposizione
affermativa o negativa, particolare o universale (H>). Entro queste alternative si svolge tutto il sillogismo che si propone di dimostrare che qualcosa deve essere affermato o negato di qualcos'altro (1 6 ) ; ma per ottenere
il suo scopo deve assumere a sua volta che qualcosa deve essere affennato
o negato di qualcos'altro (17). Questa prima premessa non deve essere gi
la proposizione che bisogna dimostrare, come accade nella petitio principii,
ma, d'altra parte, non pu essere un qualcosa di assolutamente estraneo
alla conclusione, alla quale si deve riferire con uno solo dei suoi termini,
pena l'assoluta identit della premessa con la conclusione o il fallimento
del sillogismo ; il riferimento all'altro termine della proposizione viene
-completato con una seconda premessa, un tennine della quale deve riferirsi
alla prima premessa ed un altro alla conclusione. Di qui il medio (18). Esso
non pu essere che: a) una volta soggetto e l'altra predicato; b) sempre
predicato; c) sempre soggetto. Di qui le tre figure del sillogismo (19 ). Con
ci Aristotele ha soddisfatto ad un tempo al compito di mostrare come
sorga il sillogismo e come ogni discorso che voglia raggiungere una conclusione debba cadere in una delle tre figure: ma quest'ultimo argomento
sar ripreso e trattato con indagini particolari. Comunque, l'esposizione
del siltogismo che abbiamo test riassunta una delle pi importanti, perch, da un lato, pare che in essa Aristotele dia davvero una giusti_ficazione
(lu) necessario che ogni dimostrazione cd ogni sillogismo dimostri che qualcosa inerisce o non inerisce, e questo universalmente o particolarmente, ed ancora
dimostrativamente o per ipotesi {An. pr. A, 23, 40b, 23-25).
(16} Qualora si dovesse concludere che A inerisce o non inerisce a B, bisognerebbe assumere qualcosa di qualcos'altro (An. pr. A, 23, 40b, 3o-31).
(17) A1~. pr. A, 23, 4ob, 31.
(18) Abbiamo compiutamente detto che non vi sar mai nessun sillogismo che
conduca all'attribuzione di qualcosa a qualcos'altro se non si :;ia assunto un qualctte
medio che abbia certi legami predicativi con entrambi i termini : infatti il sillogismo
in senso assoluto consta di premesse, il sillogismo che riguarda una certa cosa di
premesse che riguardino quella certa cosa, quello che riguarda l'attribuzione di una
certa cosa ad tma cert'altra cosa delle premesse che riguardino l'attribuzione di una
certa cosa ad una cert'altra cosa (An. pr. A, 23, 41 a, 2-7); Sicch bisogna assu
mere un termine intermedio tra gli altri due, che connetta le due predicazioni, se si
dovr avere un sillogismo che metta. capo all'attribuzione di una certa cosa ad una
cert'altra (ibid. II-I3).
(Hl) Se dunque necessario assumere qualcosa di comune ad entrambi i termini, ci pu avvenire in tre modi (o predicando A di C e C di n, o C di entrambi,
o entrambi di C), e queste sono le figure di cui abbiamo parlato, evidente che
ogni sillogismo avviene necessariamente attraverso una i queste figure (An. frr. A,
23, 41 a, 13-18).

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LF. TRE f!OURE SILLOOISTIC!iE

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solo formale della struttura del discorso, elencando forme di propostz10ni


e loro combinazioni ricavate da una induzione e da un calcolo di tutte le
combinazioni possibili, dall'altro egli si serve delle forme linguistiche del
linguaggio apofantico che si suppongono modellate sulla struttura dell'essere. E questa seconda osservazione acquister maggiore importanza,
quando si sar ricordato come l'esposizione del sillogismo che abbiamo citata segua la dimostrazione di ciascuna delle tre figure, fungendo quasi
da sguardo retrospettivo sul loro complesso : comunque essa stata utile
perch ha mostrato, come continuano a mostrare i capitoli successivi dedicati al medesimo argomento (2), che il sillogismo non pu che servirsi degli ingredienti che l'analisi del fondamento del linguaggio ha messo a disposizione di Aristotele, legandolo cos al presupposto su cui quell'analisi
si reggeva.
I sillogismi sono in connessione con i problemi in quanto ne trovano
la soluzione o confutano quella che era stata proposta come soluzione di
essi (2 1 ) e perci devono dare a volta a volta conclusioni affennativc o
negative, universali o particolari : comunque compito del sillogismo sempre quello di giustificare una conclusione, apoditticamente o dialetticamente. Ora una conclusione una proposizione che, come gi abbiamo
visto, si configura immediatamente come un membro di un'antifasi ; ma
il problema sussiste appunto perch non di per s perspicuo se il membro che si propone come soluzione sia davvero quello da scegliere. Il sillogismo allora interviene prendendo in considerazione quella stessa alternativa a proposito di un termine (il termine medio) per il quale essa si
pu determinare con assoluta verit (apodittica) o con probabilit (dialettica) : la necessit sillogistica sta nel mostrare come quel membro dell'alternativa risulti determinato non solo per il medio, ma anche, tramite il
medio, per il termine in problema. Non staremo ad esaminare l'esattezza
delle osservazioni di Aristotele a proposito delle tre figure, ma solo cercheremo di cogliere attraverso ad esse il configurarsi della necessit sillogistica e l'operare di quei fondamenti che noi abbiamo trovato nel De
interpretatione e che abbiamo visto essere presenti anche qui.
Se esaminiamo il Barbara di Ia figura, che sempre apparso come il
sillogismo tipico, e di esso teniamo presente uno degli esempi pi comuni,
vediamo che l'assunto da provare (Socrate mortale) la negazione del
corrispondente Socrate non mortale che sarebbe vero se appunto il
primo fosse falso, sicch la prova deve decidere solo tra quelle due proposizioni; ma l'alternativa mortale - non mortale pi facilmente determinabile rispetto al termine uomo del quale appunto si pu dire ogni
uomo mortale. Supposto ora che Socrate non possa essere che uomo,
anche per lui l'alternativa in problema risulter senz'altro determinata.
(20) An. pr. A, 24, 25.
(21) Poich sappiamo intorno a che cosa vertano i sillogismi e quali siano in

eiascuna figura ed in quanti modi si dimostri, ci risulter evidentemente anche quale


tlroblema sia difficile e quale facile da risolversi (An. pr. A, 26, 42b, 27-Zt:)).

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60

LA STRUTTURA NECeSSARIA DEL LINGUAOO!O

Altrettanto pu dirsi per le altre figure che non sfuggono all'alternativa antifatica. Infatti la 2" figura che pu solo avere conclusioni negative (22), cercando di stabilire come un certo termine non competa ad un
certo altro, parte dalla considerazione che rispetto ad una certa antifasi
l'un termine deve appartenere ad un corno c l'altro all'altro; ragion per
cui deve avere una premessa affermativa e l'altra negativa. Ci posto,
poich i corni di un'antifasi si escludono immediatamente, i termini che
appartengono a corni opposti potranno essere negati l'un dell'altro. Nella
3a figura poi, dovendosi dimostrare che alcuni termini si possono predicare
di alcuni altri, si parte dalla considerazione che detti termini, pur appartenendo ad alternative antifatiche diverse, possono essere entrambi predicati di uno stesso terzo termine che si colloca, appunto, in entrambe le
alternative cui essi appartengono. Tuttavia, in tutte e tre le figure, perch
ci sia passaggio necessario dalle premesse alla conclusione, bisogna che,
a quanto appare dall'esame della configurazione linguistica delle proposizioni, vi sia un termine comune almeno a due di esse, sia che si configuri
come soggetto in una e predicato in un'altra (1a figura), sia come predicato
in entrambe (2 8 figura) o ancora soggetto in entrambe (3" figura). Proprio
qui sta il nocciolo della necessit sillogistica che si configura come eliminazione di tutta una serie di comi di antifasi successive, considerate rispetto ad un soggetto, al quale, perci, necessariamente non ineriranno i
corni esclusi. Ma, d'altra parte, l'eliminazione di questi corni non potr
avvenire se, fatta la prima assunzione, non poi dato trovare il termine
comune che permetta di passare da essa alle altre antifasi contenute in
essa. Senza il principio del terzo escluso non ci potrebbe essere nessuna
necessit sill9gistica. perch non si potrebbe parlare di esclusione assoluta
e necessaria del contraddittorio ; ma !'enza termine medio non si avrebbe
passaggio necessario da un'antifasi all'altra. Questi dunque sono i poli
che ad uno. studio della configurazione linguistica del sillogismo appaiono
irriducibili e sui quali si impernia tutta la sua necessit: l'indagine successiva ci dir se siano davvero irriducibili.
Muovendosi tutto entro alternative antifatiche, legate l'una con l'altra
da termini comuni, il sillogismo si configura come un vero e proprio organismo sorretto da legami di necessit ; date cio certe premesse, non possono derivarne che certe conclusioni e non altre, e introdotti certi mutamenti in queste premesse, non possono derivarne che certi altri mutamenti
nelle conseguenze. Ora i mutamenti che si possono fare senza che il sillogismo muti e quelli che, invece, lo mutano nel suo contrario - e sempre
i mutamenti sono nel contrario, dal momento che non esistono termini
intermedi - sono studiati sul fondamento dei rapporti tra i giudizi contraddittorii e contrari e della conversione. Per conversione Aristotele intende la possibilit di passare da un giudizio ad un altro equivalente, ma
(22 ) Non si d sillogismo affermativo in questa figura la 2", ma in essa tutti
sono negativi, e gli universali ed i particolari (An. pr. A, 5, 28a, 7-9).

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LE TRI: F!OURE SILLOOIST!CHF.

61

con i termini scambiati ; in cui, cio, il predicato sia diventato soggetto ed


il soggetto predicato. Il fondamento di questa ricerca la stessa necessit
dei rapporti tra i giudizi: infatti se l'esclusione di ogni possibile rapporto
tra i termini, enunciata in una proposizione universale negativa, totale,
cio quella proposizione incompatibile con una proposizione che affermi
quel rapporto, allora chiaro che non potr mai darsi che la proposizione
negativa trasformandosi dia luogo ad altra prbposizione con i termini reciprocati che non sia ancora una proposizione universale negativa. Altrettanto dicasi per gli altri casi : l'ammissione di un rapporto tra la totalit
di certi termini e alcuni altri termini non pu dar luogo al riconoscimento
di questo rapporto tra questi termini (che non si pu dire che debbano
essere presi nella loro totalit) e la totalit dei primi, sicch l'universale
affermativa si converte nella particolare affemmtiva. Per la conversione
della particolare affermativa in una particolare affermativa (ch un rapporto tra alcuni termini non presi nella loro totalit pu essere riconosciuto
da qualunque parte lo si guardi) e per l'inconvertibilit della particolare
negativa (ch la negazione di rapporti tra alcuni termini di un gruppo ed
alcuni di un altro non esclude che termini diversi degli stessi gruppi siano
in rapporto tra loro) si possono fare le stesse considerazioni (23 ). Allora
se si muta il sillogismo col solo spostarnento delle premesse e della conclusione e con la conversione delle premesse, non si passa da un corno all'altro dell'antifasi ma si resta nell'ambito del sillogismo precedente: a
questo modo assumendo come premessa successivamente la conclusione ed
una delle premesse convertita si pu dimostrare la premessa restante (2 4)
Oppure, invece di mutare le premesse solo per conversione, si pu addirittura invertire la conclusione sia nel contrario che nel contraddittorio, nel
qual caso avremo un sillogismo diverso per l'avvenuto passaggio da un
corno all'altro dell'antifasi ( 25 ). Lo studio minuto di questi passaggi e di
questi mutamenti, compiuto da Aristotele nel libro B degli Analytica
priora, non deve far pensare ad uno studio di logica formale, perch que(23) necessario che la proposizione universale negativa che indica un essere
possa invertire i suoi termini, p. es. se nessun piacere bene, nessun bene sar piacere; necessario che anche l'affermativa converta i suoi termini, ma dando luogo
ad una proposizione non universale, ma particolare, p. es. se ogni piacere bene,
anche qualche bene sar piacere; tra le proposizioni particolari l'affermativa si con
verte necessariamente in una particolare (perch se qualche piacere bene, anche
qualche bene sar piacere), mentre non necessario che si converta la negativa : se,
infatti, qualche animale non uomo non eletto che anche qualche uomo non sia
animale (An. pr. A, 2, ZSa, 5-IJ).
( 2 4) Dimostrare in circolo e reciprocamente dimostrare, attraverso la con
elusione ed una delle premesse invertita riguardo alla predicazione, la restante pre
messa, che assumevamo nel precedente sillogismo (An. pr. 5, 57b, 18-21).
(215) Convertire provare con un sillogismo che un estremo non inerisce al
medio o questo non inerisce all'ultimo estremo, facendo l' inverso della conclusione.
Infatti se la ccnclusione viene convertita ed una delle premesse rimane quale , ne<:essariamente la restante premessa viene negata: infatti se quest'ultima restasse quale
, anche la conclusione non sarebbe convertita. C' differenza nel convertire per contraddizione o per contrariet la conclusione : perch non si ha lo stesso sillogismo
convertendo nell'uno o nell'altro modo (An.. pr. B, 8, 59 b, I-8).

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62

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

ste indagini sono condotte tutte sul presupposto che i giudizi entrino m
rapporti fondati sul principio del terzo escluso, che per Io Stagirita non
ha solo il valore di un fondamento della coerenza del discorso, essendo il
principio che regge tutto il reale. Questi processi di reciprocazione e di
inversione del sillogismo costituiscono perci tutta una rete di rapporti
necessari di implicanza o di esclusione in cui ogni sillogismo automaticamente entra : con i primi si trova tutto ci che da un sillogismo si pu
ricavare oltre la sua naturale conclusione, con i secondi tutto ci che un
sillogismo necessariamente esclude. Proprio su questi ultimi si fonda la
prova per l' impossibile tanto usata da Aristotele. Se infatti ogni sillogismo stabilisce un che di necessario, stabilir anche ipso facto che qualcosa
impossibile, cio che impossibile l' inverso del necessario - sempre
per l'immediato passag-gio da un membro all'altro dcll'antifasi - sicch~,
trovata una conclusione che non collimi con ci con cui doveva collimare,
baster fare l'inverso - secondo contrariet o contraddizione - di una
delle premesse per trovare una conclusione soddisfacente. Ma appunto lo
studio dell'inversione dei sillogismi deve aver messo in luce precedentemente quali rapporti intercorrano tra i sillogismi inversi (2 6) : rapporti
sempre fondati sull'esclusione immediata dei contraddittori. Il sillogismo
cio stabilisce rapporti necessari determinando alcuni membri di antifasi
contenentisi l'una nell'altra ed escludendo i membri opposti, sicch l'inversione del sillogismo la scelta di questi ultimi, invece dei primi.
In tutti questi passaggi il sillogismo considerato non come una concatenazione da stabilire tra i termini, ma come un nesso gi stabilito l"f!UO'H
e che ora si tratta solo di riconoscere; d'altra parte, una volta riconosciutolo, possibile mutare i rapporti tra i termini nelle maniere pi varie
concesse appunto da quella relazione che oggettivamente intercorre tra
essi e scopribili secondo le leggi della conversione dei giudizi. La stessa
riduzione all' impossibile presuppone il sillogismo come struttura oggettiva
gi data ed indubitabile, tanto che in base ad essa vengono esclusi gli eventuali termini che in essa generassero una contraddizione, senza che mai,
per, essa stessa corra il rischio di apparire inusahile proprio perch incapace di dar conto di certi termini : appunto perch questa struttura
necessaria, nel senso che abbiamo detto, una contraddizione in essa im-
possibile e il termine che la genera deve senz'altro essere espunto.
4 I SILLOGISMI NON CONCLUDttN'l'I. Alcune proposizioni, pur
avendo termini comuni come le premesse di un sillogismo, non sono in
grado di dare una conclusione per la loro qualit o la loro quantit : infatti dopo di esse potrebbero venire come conclusioni due proposizioni con(26) Il sillogismo per l' impossibile si ha quando si assumono il contraddittorio della conclusione ed un'altra premessa; si trova in tutte le figure: , infatti,
simile alla conversione, senonchc ne differisce in quanto si converte un precedente
sillogismo le cui premesse siano entrambe espressamente assunte, mentre si riduce
all'impossibile senza che sia stato precedentemente ammesso t'opposto della conclusione, ma perch esso appare manifestamente vero (An. (>r. B, I J, 6r a, 18-25).

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I SILLOGJSMI NON CONCLUDENTI

63

traddittorie, che rivelerebbero l'incapacit di quelle pretese premesse di


determinare l'antifasi, come sarebbe pur compito del sillogismo. Ora lo
studio di questi casi interessante, perch mette in luce certi aspetti della
concezione che ha guidato Aristotele nella composizione della sillogistica
c che sono indispensabili per comprenderne il significato. Perch la determinazione dell'antifasi contenuta nella premessa maggiore possa valere
anche per la conclusione attraverso il medio, necessario che, nella Ia.
figura, la premessa maggiore sia universale affermativa o negativa e la
premessa minore sia affennativa universale o particolare; ne consegue che
i modi non validi di questa figura saranno quelli in cui una delle condizioni
poste sopra non sar verificata. Ora il non verificarsi della prima vuol
dire che il sillog1smo viene meno alla sua funzione di avere un medio
che possa determinare l'alternativa in modo utile per la conclusione, in
quanto, appunto, inerendo un termine solo della contraddizione soltanto.
parzialmente al medio, non si dice se in quella parte cui inerisce sia compresa anche la minore: p. es. quando si dice che alcune abitudini sono
buone senza per che si possa determinare se la prudenza, che sempre
un'abitudine, e l'ignoranza, che anch'essa sempre un'abitudine, siano
buone o cattive (27 ). Non che si stabilisca che le abitudini possano essere
buone e cattive contemporaneamente, ma si dice solo che possono essere
o buone o cattive, nel senso che alcune di esse sono buone ed altre cattive,
potendo per la prudenza essere inclusa in una classe piuttosto che in
un'altra. Il non verificarsi della seconda condizione significa, invece, che
il medio non serve per il problema in questione, perch, pur essendo in
grado di determinare l'antifasi, non pu poi far valere questa determinazione nella conclusione. Se la negativa universale, il medio totalmente
inservibile, perch nessuno dei termini intorno ai quali si svolge il problema pu ammettere quel medio ; se invece particolare, il medio non serve
solo per alcuni termini, ma di nuovo non si determina quali, sicch si deve
rinunciare ad usarlo. Che questi modi di sillogismo non siano validi Aristotele dimostra servendosi di esempi in cui le stesse premesse servono
per proposizioni contraddittorie : il caso pi patente di fallimento del
sillogismo che appunto dovrebbe separare i corni della contraddizione,
anzich ammetterli come coesistenti. Ora nei modi non validi per la particolarit della premessa maggiore possiamo notare come il fallimento del
sillogismo sia dovuto al fatto che esso, da solo, non basta a determinarf>
l'antifasi in cui si dibatte il problema, non strumento abbastanza acuminato per dare il risultato che .si pretende da esso ; cio per fornire la nuova
proposizione che sar la soluzione cercata dal momento che la sua premessa maggiore autorizza due conclusioni contraddittorie. Perch, partendo dalla premessa che alcune abitudini sono buone, si pu dire che la
prudenza buona o cattiva, in quanto appunto quella premessa non nega
che vi siano delle abitudini cattive; si direbbe, insomma, che questo sillo( 27 )

An. pr. A, 4, 26a, 34-35.

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LA STRUTTURA Nt:CESSARIA DI::L LINGUAOGIO

gismo ha bisogno di qualche ricerca successiva che determini se quell'abitudine che la prudenza sia da sussumere sotto le abitudini buone o le
cattive e che cerchi nuove propriet comuni alle abitudini buone ed alla
prudenza, per poter procedere alla scoperta dei loro rapporti. Ma questa
nuova ricerca per Aristotele si configurerebbe come un nuovo sillogismo,
avente, questa volta, premesse universali e perci pienamente soddisfacente.
Diverso pare essere il caso del sillogismo non concludente per la negativit della premessa minore. Qui, infatti, nella negazione del medio
implicito il rifiuto di esso, la constatazione della sua inservibilit per il
processo sillogistico in atto : mentre il caso sopra esaminato dava ragione
di due conclusioni contraddittorie, questo le ammette entrambe, ma appunto perch non ne giustifica nessuna. Se, infatti, dopo che si trovato
che tutti gli uomini sono animali si deve constatare che nessun cavalo
uomo, non si potr con quella premessa e con questo medio giungere a
dimostrare l'asserto che tutti i cavalli sono animali; ma neppure la negazione del medio costringer ad affermare che nessun ca.vallo animale: a
rigore essa dice, insieme con l'osservazione che nessun cavallo uomo,
che con il termine medio uomo non si potr mai mettere a confronto
l'antifasi animale - non animale con cavallo che appunto
il termine che interessa. Lo strano carattere di questa negazione che, invece di determinare un corno della contraddizione, respinge la contraddizione della premessa maggiore, ha fatto dire al Calogero (2S) che qui la
negazione aristotelica perde il suo consueto aspetto di contrariet per assumere quello dell'alterit noetica. Ma, anche cos facendo, la negazione
non si sottrae affatto, per Aristotele, alla contraddizione con l'affermazione, perch anche la premessa minore negativa un membro di un'antifasi,
sia pure necessariamente determinata. Piuttosto da notare come in questo
caso la negazione oltre il solito scopo di determinare quali siano le qualit,
anche negative, proprie di una data cosa, mette in evidenza come in questo
momento quelle qualit non possano interessare, non diano senso per la
ricerca che si intrapresa: la proposizione potrebbe essere nessun cavallo bipede ed avrebbe senso per un biologo quale Aristotele ; eppure,
nell'esempio citato, non si sarebbe potuta inserire nella ricerca: per aver
senso la proposizione dovrebbe apparire alla fine di un sillogismo o come
premessa valida di esso.
L'esame dei modi inconcludenti del sillogismo importante, perch
rappresenta il riconoscimento, da parte di Aristotele, di proposizioni vere,
ma inutili per la ricerca in cui appaiono. La ricerca. richiede, appunto, un
discorso strutturato in un certo modo, che poi unico per tutte le ricerche
possibili ; e le proposizioni che in questa struttura non possono comparire
non possono affatto essere accettate. Tuttavia ci non significa. che venga

(~S)

G.

CALOGt:RO,

op. cit., pp.

22r-222.

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l SILLOOISMI KON CONCLUO~NTI

65

impostato qui il problema del senso delle proposizioni come preliminare necessario al problema della verit e della falsit di esse, ch anzi si riconosce
come proposizioni inservibili in una ricerca - e quindi, almeno per quella
ricerca, senza senso - possano essere ugualmente vere ; ogni proposizione
ha per Aristotele valore esistenziale e non concerne mai soltanto i mezzi
logici con cui si giunge al reale. Cos nell'esempio citato la premessa minore << nessun cavallo uomo significa direttamente una realt sussistente e solo implicitamente l'avvertimento che per quella via - considerando il rapporto del cavallo con l'uomo - non si giunge alla conclusione desiderata. La negazione di un termine come adatto alla ricerca
sempre solo considerabile se appare sotto le spoglie di una proposizione
esistenziale: ci caratteristico di una logica che muova dal presupposto
che le forme linguistiche di cui dispone siano perfettamente adatte ad enunciare la realt e siano sempre in un rapporto noto e definito con essa.
L'esame dei modi inconcludenti delle altre figure non fa che riconfermare ci che si pu osservare a proposito della prima. N ella 2a figura
infatti non concludono i sillogismi con le premesse della stessa qualit (2 9 )
o con premessa maggiore particolare (30). Nel primo caso la constat.azione
che due termini possono avere per predicato il medesimo membro di
un'antifasi non autorizza pi ad escluderli, mentre ancora non sufficiente
per identificarli; nel secondo l'attribuzione parziale di una propriet al
termine maggiore nella prima premessa non basta a determinare che il
termine minore, cui spetta la propriet contraddittoria, non rientra o in che
misura non rientra nel termine maggiore. Nella 3n figura i sillogismi inconcludenti sono quelli che hanno entrambe le premesse negative o la
premessa maggiore affermativa e la minore negativa (31 ) o entrambe particolari (32 ). Nel primo caso la constatazione che due predicati non ineriscono allo stesso soggetto non significa che quei due predicati non abbiano
nulla in comune, perch potrebbero instaurare un qualche rapporto attraverso qualche altra via che non fosse quella del soggetto che abbiamo
considerato, come avviene proprio nel caso della premessa maggiore affermativa e della minore negativa : qui infatti pu trattarsi dell'attribuzione
(29) Quando le premesse sono universali vi sar il sillogismo quando il medio
inerisce universalmente ad un termine e non inerisce, universalmente, all'altro, qualunque sia la premessa negativa; in casi diversi non si avr mai sillogismo (A11.
pr. A, 5, 27a, 3-5); quando le premesse hanno la stessa qualit, p. es. sono entrambe negative o entrambe affermative, non si avr mai sillogismo (ibid. 27b,
IG-!2).
(~O) Se kf X si predica di ogni X ma non di ogni N, non ci sar sillogismo ...
N6 se si predica di nessun X ma di qualche N>> (An. pr. A, 5, 27b, 46).
(31) Quando le premesse sono negative, non ci sar sillogismo. Quando invece
l'una negativa e l'altra affermativa, se la maggiore negativa c l'altra affermativa,
ci sar un sillogismo con conclusione particolare negativa, se avviene il contrario non
ci sar sillogismo (A11. pr. A, 6, 28a, 9-b, 4).
(~2) r\' se entrambi gli estremi ineriscono o non incriscono al medio particolarmente, o l'uno inerisee e l'altro no, o l'uno inerisec a qualcuno dei medi e l'altro
a non tutti i medi, o se l' inerenza indefinita, non ci sar mai sillogismo >> (An.

pr. A, 6, 29a, 6-9).


5

C. A.

VIANO. La logica di Aristotele.

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66

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINOUAOOIO

del genere ad una sua specie nella prima premessa c della negazione come
esclusione reciproca di due specie sussunte sotto lo stesso genere nella seconda premessa, senza che sia tuttavia possibile una conclusione affermativa quale sarebbe richiesta dalla natura dei termini. Nel secondo caso invece si tratta di una insufficiente determinazione delle premesse per poter giungere ad una conclusione.

5 I PRf:SUPPOS'ri DEL STLLOGISMO. - Finora abbiamo visto come


il sillogismo si svolga tra due coppie di contrari che ne segnano rispettivamente il punto di partenza ed il punto di arrivo o, meglio, nell'ambito
di una sola coppia, ma una volta determinata rispetto ad un termine ed
un'altra volta rispetto ad un altro. 1-ia ci che fonda il passaggio necessario
dalle premesse alla conclusione operato dalla presenza di uno stesso termine in entrambe le premesse, non stato sufficientemente chiarito. Bisogna perci vedere che cosa costituisca il nerbo del sillogismo ed il suo
avayxal'ov, ossia la 11-zediazione vera e propria. Ch proprio il medio del
sillogismo, Aristotele esalta come sua scoperta originale in confronto con
l' impotente dicotomia platonica. Una prima caratterizzazione di questa
necessit espressa con una terminologia che noi non abbiamo finora usato
ma di cui Aristotele spesso si serve a proposito del sillogismo. Il medio
quel termine che, contenuto nel primo, contiene a sua volta l'ultimo, almeno nella prima figura, che per il prototipo di ogni sillogismo (33).
Questa definizione del medio legata alla designazione della predicazione
&cp d va t ( 3 '1). In realt, sebbene Ariuniversale con l'espressione
stotele dica che l'espressione suddetta equivale perfettamente al g-iudizio
universale enunciato nei termini consueti e sebbene nel corso dell'esposizione si trovi l'una e l'altra terminologia, questo uso verbale adatto a
mettere in luce i fondamenti reali della struttura sillogistica. Esso infatti
in grado di additare una direzione in cui bisogna guardare per cogliere
quella struttura reale su1la quale il sillogismo, legandosi ai presupposti
linguistici della logica aristotelica in generale, deve, come essi, fondarsi e
che pu mettere in luce 1' essenza stessa della necessit costituente la
mediazione sillogistica. Ma appunto perci non bisogna fermarsi alla lettera del testo come hanno fatto molti interpreti che si sono messi a parlare
di concezione quantitativa dei concetti come fondamento del sillogismo (3G),
introducendo cos problemi che sono estranei art Aristotele e propri in-

ev

(83) Chiamo medio ci che contenuto in un altro termine c che contiene a


sua volta un altro termine (An. pr. A, 4, 25,b, 35-36).
(34) :L'esser contenuto un termine nell'altro e l'esser predicato universalmente
l'un termine dell'altro, sono la stessa cosa (An. pr. A, 27, 43a, 21-22).
(3:>) JoREN' J6RGENSEN, A Treatise of formai logic, London, 1931, pag. 23, per
il quale per il tentativo di Aristotele di mantenere un punto di vista neutro tra la
comprensione e l'estensione del concetto una delle cause di imperfe:donc della sua
sillogistica; per il MAIER, ()p. cit., II, pagg, 51-56, i rapporti tra i termini del si !lo
gismo sono senz'altro rapporti di comprensione concettuale.

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I PRESUPPOSTI DEL SJLLOOISMO

67

vece di quella logica formale che ben diversa dalla sua; del resto si dica
pure che il sillogismo si regge sulla concezione quantitativa dei concetti,
purch si cerchi di trovare il vero senso che, per Aristotele, questa concezione poteva avere.
Apparentemente Aristotele non ci dice quali siano i fondamenti reali
del sillogismo presentandoci solo sempre catene di proposizioni legate da
irrefragabile necessit e giustificantisi con il solo loro essere necessarie,
come se dinanzi a questa constatazione ogni altra considerazione fosse
superflua. Ma dopo aver esposto gli schemi sillogistici, Aristotele non ritiene di aver compiuto per intero il suo assunto, ch rimangono ancora da
esaminare i modi in cui si pu acquistare la capacit di costruire i sillogismi. Per acquistare questa capacit, infatti, secondo lo Stagirita, non
necessario esercitarsi ad essere coerenti con gli schemi delle varie figure
precedentemente dati, ma bisogna invece disporre di premesse, cio di
proposizioni che enuncino le cose reali e le loro propriet su cui ragionare:
per essere in grad(> di fare sillogismi, bisogna conoscere cose. Proprio qui
sta lo strano : per insegnarci a ragionare con discorsi tutti contesti di
passaggi obbligati e rigorosi e riducibili a schemi, Aristotele non ci parla
pi delle proposizior.i e delle loro combinazioni, ma di cose e della loro
struttura. Infatti la via per avere principi di ragionamento riguardanti le
cose che vogliamo indagare (36) quella di indagare la cosa stessa, trovandone la definizione, le propriet caratteristiche, quelle accidentali, gli antecedenti necessari, ci che di essa si pu dire con opinione e ci che si
pu dire con verit ( 37 ). Con ci Aristotele stesso ha implicitamente messo
in luce il presupposto di questi precetti : se infatti per sillogizzare bisogna
compiere tutte queste operazioni e disporre eli questi dati, evidente che
l'aver le cose questa propriet il presupposto perch si possa sillogizzare.
Allora ecco che la necessit del sillogismo non pi soltanto il risultato di un fortunato chimismo di proposizioni, ma il manifestarsi di
una struttura necessaria delle cose. Infatti il sillogismo si ha quando, volendo vedere se due termini possano essere predicati l'uno dell'altro, si
cercano gli ascendenti del primo e del secondo, per vedere poi se tra questi
termini che si sono spiegati dinanzi ce ne sia uno che appartenga ad

(36) giunto ormai il momento di dire attraverso quale via ci procureremo i


principi intorno a ciascuna cosa (An. pr. A, 27, 4Ja, 21-22).
(37) Bisogna assumere le premesse intorno a ciascuna cosa in questo modo,
assumendo prima la cosa stessa e le dcfini7ioni e tutti i propri della cosa, poi dopo
di ci, tutto quanto consegue alla cosa, c, ancora, ci cui la cosa consegue, e ci
che non pu inerire alla cosa. Non necessario cercare ci cui essa non pu inerire
per la convertibilit della proposizione negativa. Nei conseguenti della cosa bisogna
distinguere quanto appartiene alla essenza e quanto proprio e quanto si predica com<!
accidente, e di questi quali secondo opinione e quali con verit; quanto pi saranno
i dati di questa specie di cui disporremo tanto pi rapidamente raggiungeremo la
conclusione, quanto pi saranno veri tanto pi dimostreremo (An. pr. A, 27, 43 b,
~l

I-II).

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68

LA STRUTTURA Nf.CESSARIA DEL LINGUAGGIO

entrambe le serie: questo sar il medio (3 8 ). Appartenendo ad entrambe


le serie esso riuscir ad effettuare quel legame di necessit tra la maggiore
e la minore in cui consiste appunto il sillogismo, essendo proprio quel
termine comune alle due premesse che permette di passare alla conclusione.
Interpretate a questo modo, le cose si presentano come soggetti delle propriet che da esse derivano e come predicati degli antecedenti da cui esse
stesse derivano : ora una siffatta realt una realt di sostanze con i loro
attributi, che traggono la ragione del loro essere dall'essenza delle sostanze che, appunto in quanto antecedenti di propriet, rientrano in generi
e specie. Tra queste propriet, che non sono mai n soggetti n predicati
ultimi (80), si svolgono i sillogismi. Concepiti i termini del sillogismo
. come soggetti di propriet, queste ultime non potranno che essere negate
o affermate di questi soggetti, secondo quanto ha stabilito l' indagine
precedentemente svolta sul giudizio : ecco perch il sillogismo continua a
svolgersi entro l'mbito del terzo escluso.
Assunto il rapporto predicativo come fondamentale, tutto il reale
appar~ costituito da serie di predicati che partono dalle cose individuali
sussistenti, in quanto sostanze, per giungere fino ai predicati che non possono pi essere soggetti di altre propriet e che, perci, troncano le catene predicative (40 ). Ogni cosa d inizio ad una sequenza di predicati
universali che derivano da essa e, nello stesso tempo, si riferisce immediatamente alle categorie somme cui quei predicati tendono come a limiti
loro propri. Proprio su questo presupposto antologico si regge il sillogismo come nesso necessario di proposizioni : infatti i termini semantici
che compaiono in esso sono disposti in modo tale da orientarsi nello stesso
senso in cui sono orientati i termini antologici corrispondenti nelle serie
reali. Questa osservazione pienamente confermata dall'interpretazione
del giudizio universale data da Aristotele (41 ): il giudizio ogni A B
sarebbe ridttcibile allo schema << tutto ci cui A inerisce, inerisce B . La

(88) chiaro allora quali termini identici si debbano assumere che siano in
accordo con la ricerca e non quali termini diver5i o contrari, inuanzitutto perch la
ricerca volta ai ritrovamento del medio, e per medio bisogna assumere non un
diverso ma un identico (An. pr. A, 28, 44b, 38-45a, 1).
(39) Di tutte le cose che sono alcune sono tali che non si possono predicare
universalmente con verit di nessun'altra (p. es. Cleone e Callia e l' individuale e
sensibile), ma di queste altre cose possono essere predicate (ed infatti uomo ed animale si predicano entrambi delle cose sopra esemplificate); alcune altre sono tali
che esse si predicano di altre cose, ma di esse non si possono precedentemente predicare altre cose; altre, infine, ed esse si predicano di altre ed altre di esse, p. es.
uomo di Callia ed animale di uomo... e si pu dire che i ragionamenti e le ricerche
vertano soprattutto intorno a queste ultime (Au. pr. A, ZJ, 4,_)a, 25-32; 42-43).
(40) E che anche procedendo verso l'alto ci si ferma una buona volta diremo
pi tardi: ora resti stabilito questo. Di questi termini non possibile dimostrare un
altro predicato, se non per opinione, ma essi possono essere dimostrati come predicati
di altri termini (A1~. pr. A, ZJ, 43 a, 36-39)
.( 41) Non la stessa cosa dire che a ci cui jncrisce H, inerisce A in og11i caso
e dire che ci a cui incrisce l3 in ogni caso, A ineriscc in ogni caso: infatti nulla
impedisce che .B incrisca a C, ma non in ogni caso (An. pr. ,A, 41, 49b, 14-17).

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l PRESUPPOSTI DEL SILLOG!SMO

69

serie pu continuare in entrambi i sensi essendo possibile trovare i termini


A', A", A"' ... e B', B", B"' ... fino a giungere, da un lato, al soggetto
ultimo e, dall'altro, al predicato ultimo: come si vede si tratta del corrispettivo linguistico del presupposto ontologico precedentemente illustrato.
Tuttavia questa delucidazione non spiega ancora perch proprio questi
nessi reali di antecedenza-conseguenza debbano essere necessari. Per comprendere su quali basi Aristotele asserisca la necessit loro e del sillogismo
che esse fondano, bisogna porre mente alle dimensioni essenziali della
logica dello Stagirita. Per il quale non si possono trarre rapporti di conseguenza se non con il sillogismo, essendo la semplice implicazione del
tutto insufficiente in quanto mancante del termine medio, vera chiave di
volta di tutto il meccanismo deduttivo: infatti il mero accostamento di due
proposizioni che non abbiano un certo termine comune non produrr mai
nessuna conclusione. D'altra parte la possibilit del sillogismo si fonda,
come abbiamo test visto, sulla presupposizione antologica di termini disposti in serie di antecedenti e conseguenti ; il che richiede appunto che
essi possano essere disposti come termini di sillogismi. Si tratta della
situazione fondamentale della logica aristotelica che passa liberamente dal
linguaggio al reale : il sillogismo presuppone una struttura reale, ma concepita gi sillogisticamente. Che due proposizioni abbiano un termine ho.
comune disposto in modo da autorizzare una conclusione non allora il
risultato di una fortunata combinazione o di una complessa trasformazione
di dati, ma un qualcosa di necessario. Infatti dal punto di vista del discorso, si tratta di due proposizioni, enuncianti nessi di antecedenza-conseguenza, derivanti necessariamente da premesse anteriori e tendenti verso
conseguenze altrettanto necessarie ; dal punto di vista del reale si tratta
di nessi sillogizzabili e tali che con il loro stesso essere fanno essere. fin
da ora, il nuovo nesso c-he si sta per scoprire : in nessun caso si tratta di
qualcosa di casuale, dal momento che la stessa identit del termine medio
tlelle due premesse un qualcosa di dato e che non pu essere inventato
dove non c'. Scoprire uri nesso vuoi dire, perci, per Aristotele, trovare
una proposizione c-he si leghi necessariamente alle proposizioni vere precedentemente accertate e (dal punto di vista antologico) un termine che
possa figurare in una serie di termini tali da poter comparire in formulazioni sillogistiche. Ma appunto perch i rapporti del nuovo termine che si
sta per scoprire con i suoi antecedenti sono necessari e ontologicamente
sussistenti, esso propriamente gi come gi sono i suoi antecedenti con
i rapporti sillogistici che li legano. Senza la presupposizione dell'universale validit del principio del terzo escluso non sarebbe possibile concepire
il sillogismo, perch tra i corni della contraddizione si introdurrebbero dei
termini intermedi che richiederebbero indagini in grado di stabilire delle
misure e di provvedere probabilit ; ma, d'altra parte, dal principio del
terzo escluso non possibile ricavare analiticamente il processo sillogistico necessario che richiede l'intervento di un medio comune a due proposizioni che escludano necessariamente il contraddittorio. Ma la neceswww.scribd.com/Baruch_2013

70

LA STRUTTU~A NECESSARIA DEL LINGUAUOJG

sit di questo medio sostenuta appunto dalla presupposizione che il


reale sia costituito da sostanze che presentano nessi immediatamente enunciabili in sillogismi : cio proprio il reale offre, a chi lo indaghi, termini
comuni che permettono i passaggi sillogistici; e termini comuni necessari,
perch a loro volta ~illogizzabili, cio derivanti da antecedenti reali (-12 ).
Ma che la comunanza di un termine possa fondare un sillogismo dovuto
ancora alla presupposizione che ogni proposizione esclude necessariamente
il suo contraddittorio, senza che siano possibili intermedi : infatti se la
contemporanea appartenenza di B ad A ed a C non escludesse immediatamente la sua non appartenenza ad essi, A e C non potrebbero predicarsi necessariamente l'uno dell'altro. Il sillogismo effettuabile solo perch il reale costituito da serie di termini disposti in modo tale che sempre
due di essi possono essere uniti da un terzo termine che appartiene ad
entrambi, senza che sia concepibile alcun rapporto tra i termini in questione, fuorch la negazione di quello stabilito; negazione appunto esclusa
dalla realt dell'affermazione ad essa contraria. Il merito precipuo di
queste analisi consiste nell'aver messo in luce i rapporti che legano i
presupposti della logica aristotelica : infatti essa ha dimostrato che la
necessit sillogistica non si giustifica (dal punto di vista aristotelico) se
non si ammette il passaggio immediato dal piano del linguaggio a quello
dell'essere e questo passaggio non si giustifica se non perch serve proprio
a fondare ia necessit del discorso logico.
Perch il reale costituito di sostanze si pu e, anzi, si deve sillogizzare e solo considerando gli attributi di queste sostanze si possono enunciare le premesse dei sillogismi: e questa l'unica via di indagine, perch
attraverso di essa si costruiscono tutte e tre le figure oltre le quali non se
ne danno altre (43 ). Dal che Aristotele, non ammettendo evidentemente che
si dia altro discorso scientifico oltre il sillogismo, deduce che una sola
la via che si deve seguire in ogni scienza, si tratti di filosofia o di una qua(42) Se esamtmamo, infatti, lo schema di An. pr. A, 28, 44a, II-19, vediamc.
come il sillogismo con cui dimostriamo che ogni E A pteceduto dall'assunzione
che ogni G A e che ogni E Z, d'onde poi si pu ricavare che ogni E G, essendo Z uguale G. Ora se la conclusione del sil!ogismo che ci interessa, cio che ogni
1:: A, non ha da essere campata in aria, bisogna che le assunzioni con le quali la
si dimostrata siano a loro volta dimostrate - dialetticamente o apoditticamente a
seconda se si sta facendo un discorso dialettico o apodittico - cio che la comunanza
di G o di Z che sono la stessa cosa, ad A ed a E non sia casuale, ma discenda direttamente dalla dimostrazione che ogni C A e che ogni E Z, essendo poi perspicua
l'uguaglianza di G e di Z. Perci mentre la comunanza del termine che media il
sillogismo pare rimandare al reale, dove appunto si trova questo termine comune, il
reale, a sua volta, rimanda al sillogismo che dimostra che proprio questo termine
comune.
(43) evidente da ci che si detto non solo che possibile costruire tutti i
sillogismi per questa via, ma anche che impossibile costruirne attraverso un'altra.
Si infatti dimostrato che ogni sillogi~mo si compie attraverso una delle predette
figure, e queste non possono essere costituite che con i conseguenti di ciascuna cosa
c con ci cui ciascuna co<; a consegue : ch da questi si traggono le premesse e l'assunzione del medio, sicch nessun sillogismo pu derivare d'altronde (An. frr. A, 29,
45b, 36-46a, 2).

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l PgESUPPOST! Df.L S!LLCO!Sfl\0

71

lunque altra arte o disciplina (H). Ecco dunque ripreso ed approfondito


il motivo che si pu riscontrare alla base del De interpretatione : un
tipo di linguaggio unico per un reale che ha una struttura unica. Ma come
si meglio delineato lo snodarsi del linguaggio dalla proposizione al discorso compiuto e conclusivo, cos si precisata la struttura reale che non
-consiste solo in cose unite o separate, ma nel complesso organismo della
sostanza, che, ancor sempre costruita sull'esclusione reciproca dell'unione
e della separazione dei termini, mette tuttavia in luce la necessit di alcune
di queste unioni o la mera possibilit di altre.
La semplice raccolta dci dati, cio delle propriet delle sostanze, non
ancora la scienza n un discorso conclusivo - dimostrativo o eversorio
- che richiede che questi dati siano disposti in proposizioni ordinate secondo lo schema sillogistico e distinte a seconda che enunciano propriet
appartenenti alla sostanza secondo verit o solo per probabilit: nel sillogismo perci da cercare la necessit che nella sostanza unisce queste
propriet, esso essendo il corrispettivo linguistico della sostanzialit. Ed
appunto perch ci che di veramente reale hanno le cose la loro struttura sostanziale, non potendo le loro propriet essere comprese a prescindere dalla sostanza, il si\logismo la vera struttura del discorso organico e compiuto. Ancora una volta, perci, l' interpretazione formalistica della logica aristotelica mostra di non sapere dar conto dei fondamenti stessi di tutta l' indagine condotta dallo Stagirita. Per lui il sillogismo non solo mezzo per non contraddirsi parlando, ma strumento linguistico imprescindibile per la scienza, mezzo di scoperta dei rapporti essenziali delle sostanze, al quale l' indagine empirica e la raccolta dei dati
forniscono solo il materiale per poter costruire e trovare; materiale che
solo nel sillogismo trova quella disposizione necessaria che ha nell'ambito
della sostanza: senza sillogismo le premesse sarebbero solo delle constatazioni empiriche, delle opinioni, e non esprimerebbero delle propriet
essenziali. Certamente il sillogismo deve essere preceduto dalla ricerca
eli questi dati empirici, ma che essi siano proprio delle propriet della
sostanza si dimostra dalla possibilit di usarli efficacemente come premesse sillogistiche; d'altra parte la loro raccolta necessaria perch appunto le sostanze ci sono e su di esse deve lavorare il sillogismo che se
le trova costituite dinanzi cd in qualche modo deve pur prendernc conoscenza. Ma la garanzia che una propriet appartenga ad una sostanza sta
solo nel sillogismo in cui quella propriet compaia.
Con il problema del rapporto dell' indagine empirica con la sistemazione sillogistica connesso quello del rapporto tra la diversit delle
(11) La via di ricerca che si addice a tutte le cose la stessa c riguardo alla
filosofia e riguardo a qualunque arte e disciplina: bisogna infatti considerare intorno
a ciascuna cosa ci che incrisce alla cosa e ci cui la cosa inerisce, ed abbondare
quanto pi si pu di questi dati, e scrutarli disponendoli in tre termini, concludendo
in un modo, conf'ltando in un altro, ragionando secondo verit da premesse che enuncino ci che inerisce con verit, partendo da premesse di opinione se si mira a sii
logismi dialettici (An. j>r. A, 30, 46a, 3-10).

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LA STRUTTURA NIXI:SSARIA DLL L!NOUAOOIO

scienze e l'unicit del mezzo linguistico di cui devono servirsi. Ma l'unicit di quest'ultimo dovuta all'unicit della struttura reale con cui tutte
le scienze hanno da fare i conti. Che queste sostanze abbiano propriet diverse e che perci i ~illogismi di cui si servono le diverse scienze abbiano
premesse diverse, non mai stato messo in dubbio da Aristotele, che,
anzi, sostiene che non si costruiscono sillogismi assumendo come premessa le proprit che sono comuni a tutte le cose ( 45 ); ma, appunto, se
l'esperienza serve a raccogliere i dati che sono propri delle diverse sostanze
studiate dalle diverse scienze, chi poi dimostra e fa la scienza il sillogismo (46). L'esperienza deve raccogliere ci che osserva nelle cose che
si vogliono indagare, ma solo il sillogismo decider che rango queste cose
osservate hanno, mentre l'esperienza per s non potr mai reclamare
mezzi linguistici in cui essere eventualmente meglio enunciata che quelli
modellati sull'essenza stessa del reale: la terminologia pu mutare ed ogni
scienza ha la sua, ma questo semanticit che non implica che ogni scienza
si serva di un linguaggio avente la sua particolare struttura. L'esperienza,
dunque, non potr che raccogliere tutto ci che pare derivare dalla cosa,
che costituisce l'oggetto di studio, ch la ricchezza, anche se ancora indiscriminata., di questi dati buona preparazione per la scienza ed il sillogismo ( 47 ) ; ma solo il sillogismo potr decidere quali di questi dati appartengano necessariamente e quali non appartengano o appartengano non
necessariamente alla sostanza. Le stesse distinzioni dei propri prima e
delle propriet che derivano semplicemente poi e tra propriet essenziali
o solo proprie o accidentali non possono essere date dall'esperienza (48),
che non potrebbe essere esaustiva di tutti i casi, ma derivano, a loro volta,
da definizioni o da precedenti sillogismi.
,
Del resto abbiamo osservato all'inizio del paragrafo come un nesso
di derivazione, qual' quello che l'esperienza deve cogliere, non pu essere
stabilito che con un precedente sillogismo che implica il possesso di due
premesse vere, cio garantite a loro volta da sillogismo precedente: il va( 4 5) Inoltre non bisogna raccogliere ci che consegue a tutte le cose: da esse
infatti non vi sar sillogismo (An. pr. A, 27, 4J h, 36-37). Cfr. ibirJ.. 30, 46a, 12-17.
(46) Perci proprio dell'e>perienza offrire i principi intorno a ciascuna cosa,
cio per es. !"esperienza astronomica della scienza astronomica (perch per aver assunto sufficientemente le apparenze furono trovate le dimostrazioni astronomiche) e
nella stessa situazione sono tutte le altre arti c scienze; sicch se si assunto ci che
inerisce in ciascuna cosa, sar ormai in nostro potere il formulare prontamente la
dimostrazione. Per cui se dall' indagine non stato tralasciato nulla di ci che inerisce con verit alle cose, avremo la possibilit di trovare la dimostrazione c di
dimostrare intorno a quelle cose di cui possibile la dimostrazione. mentre di quelle
per cui essa, di natura, non possibile, potremo render palese appunto questo che
non possibile dimostrazione (An. pr. A, 30, 46a, 17-27). Come si vede l'esperienza in tanto valida in quanto pu mettere capo alla dimostrazione, la cui struttura, per, non ha nulla da imparare dall'esperienza. Che poi un'esperienza completa
e ben fatta ci dia quasi in mano la dimost1azione si pu comprendere solo se si
ricorda come per Aristotele la struttura dell'apodissi sia gi segnata nelle cose.
(H) A1~. Pr- A, 27, 43b, 9-11; ibid. 30, 46a, 6.
(48) A11. pr. l\, 27, 43b, 6-8.

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P~tSlJPPOSTI

DEL SILLOOISMO

73

!ore dell'esperienza, cio, subordinato alla possibilit che i suoi dati


compaiano in catene di anelli necessariamente legati gli uni agli altri. Pu
darsi che a volte la raccolta dei dati che potrebbero riuscire utili ad una
ricerca conduca alla caccia di nozioni che poi dovranno essere scartate,
appunto perch incapaci di dare vita a nuovi sillogismi (49 ) o che da dati
diversi si possa giungere alla stessa conclusione (1' 0 ) essendo sempre possibile considerare ttn termine in relazione alle diverse catene in cui si
trova e potendo un termine trovarsi in catene diverse, in ognuna delk
quali la sua posizione sia necessariamente determinata; sicch spetta poi
alle discipline che si servono dei sillogismi ai loro propri scopi determinare in relazione a quale catena il termine in questione debba essere indagato.
Ma la trattazione del presupposto reale del sillogismo propone ancora
una difficolt. Infatti le raccolte di dati che devono fornire le premesse ai
sillogismi si configurano come giudizi i quali hanno una modalit. Cio
le propriet delle cose che in essi sono asserite possono essere propriet
essenziali, proprie o accidentali, in quanto ineriscono sempre, solo per lo
pi o addirittura casualmente. Ma per ciascun tipo di propriet c' sillogismo apposito (51). La considerazione del reale come un complesso di
sostanze rende imprescindibile la trattazione delle categorie di modalit,
in quanto le propriet delle sostanze possono essere necessarie o possibili.
D' altra parte queste p,ropriet vengono enunciate in proposizioni che
possono fungere da premesse di sillogismi a loro volta caratterizzati da
una modalit: si rende perci necessaria un' indagine sui sillogismi della
necessit e della possibilit e sul loro rapporto con i sillogismi semplicemente assertori. Ora l'unica sede in cui possa essere svolta una dottrina
sulle categorie modali , per Aristotele, la struttura sillogistica. Infatti
l'asserzione fondata di una proposizione di una certa modalit richiede
che essa derivi da dati reali inerenti alle cose ; ma questi dati potranno
fondare quell'asserzione solo se potranno comparire come sue premesse
in un sillogismo con la stessa modalit che dovr poi appartenere anche
( 4!1) evidente che le altre ricerche per la raccolta di dati ono inutilizzabili
per costituire sillogi.>mi, per es. se sono identici i conseguenti di cnt1ambi i termini
o ~e lo sono ci cui consegue A c ci che non consegue a E o, ancora, ci che non
pub inerire a nessuno dei due : infatti attraverso questi termini non si ha sillogismo.
Perch se sono identici i conseguenti, per es. B e Z, si ha la seconda figura con
premesse affermative; se ci cui consegue A e ci che non pu i neri re a E, per es.
C e T, si ha la prima figura con premessa minore negativa. Se identici sono i termini che non possono inerire a nessuno dei due termini in questione, per es. D e T,
si hanno entrambe le premesse negative o tiella prima o nella seconda figura. A questo modo non si avr mai sillogisno (A11. pr. A, z8, 44 b, 25-37).
(50) chiaro che ogni dimostrazione avverr attraverso tre termini e non di
pi, a meno che una stessa conclusione non derivi da due gruppi diversi di termini,
per es. E attraverso AB c C D (An. pr. A, 25, 4J; b, 36-39).
(GI) Bisogna assumere anche ci che consegue per lo pi e ci cui la cosa
consegue per lo pi: perch anche dci problemi del per lo pi\1 c' sillogismo costante
di premesse del per lo pi, o tutte o alcune; infatti la conclusione di ogni sillogismo
simile ai principi (An. pr_ A, Z'J, 43 b, 32-36).

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LA STRUTTuRA Nt.:CESSARIA DEL LINGUAGGIO

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alla conclusione e~). Queste premesse poi non potranno appellarsi, come
abbiamo gi mostrato a proposito delle proposizioni solo assertorie e come
vale a maggior ragione per le modali, alla semplice esperienza (che soprattutto non potr provare l'onnivalidit delle premesse necessarie), ma
avranno appunto valore di dati reali solo se potranno richiamarsi ad altre
premesse a loro volta configurantisi secondo rapporti sillogistici ed aventi
la stessa modalit : come si vede ogni volta che si tenta di passare al reale
si trova un reale configurato nella struttura sillogistica, sicch non resta
che prendere in considerazione quest'ultima nel suo comune valere per le
cose e per il discorso.
Siamo qui nella posizione tipica della logica di Aristotele, che si regge
su di un continuo rimando dalla realt al discorso e da questo a quella,
fondato sulla generalizzazione verbale della copula. Anche qui possiamo
dire che la struttura del reale quella che , perch la strttttura del discorso quella sillogistica, ma, d'altra parte, il discorso ha struttura sillogistica solo perch il reale fatto di sostanze. I sillogismi hanno una
modalit, perch una modalit ha il reale, ma le modalit reali si comportano poi secondo le leggi modali dei sillogismi. Visto allora come la
mediazione non sia solo un artificio verbale, ma si regga sulle propriet
reali delle cose, si potr tornare al discorso per vedere, rivelato in esso,
il modo in cui le propriet reali trovano posto nella sostanza.
6. - LE MODALIT DEL SILT.OGISMO. - Per Aristotele il sillogismo
possibile solo perch ci sono dei nessi di antecedenza e conseguenza c~)
dei quali esso la trascrizione verbale, sia che si tratti di necessit, di possibilit o di semplice inerenza (54). Questo rimando del sillogismo alla
struttura reale delle cose stato necessario per risolvere la difficolt, intrinseca alla stessa tecnica sillogistica, della scelta delle premesse. In quanto la deduzione presuppone un inizio, Aristotele ha dovuto fare ricorso
all'esperienza 5) come quella che in grado di fornire le premesse da cui
possono essere tratte le conseguenze necessarie; ma, dovendo queste premesse, per non compromettere la certezza di ci che da esse si pu trarre,
non essere arbitrarie, Aristotele stato costretto ad ammettere che l'esperienza attinge una realt originariamente sillogizzabile. Perci la risoluzione del problema della scelta delle premesse ha costretto lo Stagirita ad

(5~) Per le cose possibili bisogna assumere anche le cose che pur non essendo
possono essere : si dimostrato infatti che attraverso queste si compie il sillogismo del
possibile. Ed altrettanto dicasi per a-li altri tipi di prekaz;one (An. pr. A. 29,
45 b, 31 -35).
(53) An. pr. A, 29, 45 b, 38-46a, 2.
( 51 ) Ci che vale per le cose che sono vale allo stesso modo anche per le necessarie c per le possibili: il sillogismo del possibile e quello dell'essere, infatti, sono lo
stesso tipo di ricerca c si compiono attraverso gli stessi termini disposti nel mede
.simo ordine (An. pr. A, 29, 45 h, 28-31).
(uu) An. pr. A, 30.

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MODALITA DEL SILLOGISMO

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operare un passaggio dalla considerazione della logica come struttura linguistica alla considerazione dell'oggetto del discorso logico come struttura
della realt; n ci pu essergli rimproverato, dal momento che egli stesso
ha assunto all' inizio la possibilit di questi passaggi.
Ma, fatto questo passaggio, si presenta un'altra difficolt non irrilevante. Passati, infatti, all'essere e considerata l'assunzione di esso - a
prescindere, per ora, dai modi in cui essa sia possibile - , alcune delle
cose sul conto delle quali si fanno assunzioni si presentano come necessarie ed altre come possibili (~~>) e per le une e per le altre ci sono sillogismi
appositi (57 ). Si propone cio il problema della modalit delle premesse.
Dapprima la modalit viene vista dal punto di vista oggettivo come inerente alle cose, senza che si tenti di mettere in luce il significato delle diverse categorie modali usate; ma d' altra parte si ammette che essa d
immediatamente origine a sillogismi appositi, con la conseguente introduzione del problema della modalit anche nella sfera del sillogismo
come struttura linguistica. Anzi mentre la questione della scelta delle
premesse si era risolta con il passaggio dalla considerazione linguistica
all'esame della struttura delle cose, la questione della modalit esige il
passaggio inverso, dalla considerazione delle cose alla struttura linguistica. Infatti il reale in tanto pu risolvere il problema delle premesse in
quanto concepito come originariamente sillogizzabile; ora, questo presupposto non vien meno neppure con l'affacciarsi della considerazione
modale. Infatti le cose rivelano una modalit solo in quanto in esse sono
riscontrabili dei nessi di antecedenza e di conseguenza; ma poich nessi
di antecedenza e di conseguenza non si danno fuori del sillogismo, la modalit non sorge che a proposito delle cose considerate come oggetto di
possibili sillogismi. Da ci si pu subito trarre la conseguenza che la
{ieterminazione del significato delle categorie modali non pu essere fatta
che entro l'ambito del sillogismo fuori del quale esse non possono sussistere. Solo quando si sar visto che significato esse abbiano nel sillogismo
in quanto struttura di discorso, sar possibile vedere che significato esse
abbiano in quanto qualificazioni proprie delle cose. Appunto in questo consiste quel passaggio dalle cose al discorso nel quale abbiamo visto il metodo opportuno per risolvere il problema della modalit, quale si configura
nella logica aristotelica. Nel sillogismo la modalit si configura come determinazione propria del rapporto di antecedenza-conseguenza che costituisce in proprio il sillogismo; ma proprio configurandosi in questa maniera essa sollever un altro problema: cio, in che rapporto sta la mo-dalit con la necessit che propria del sillogismo ed ineliminabile da
esso? Come possibile che un sillogismo deduca una conseguenza necessaria e che sia qualificabile, p. es., con la modalit del possibile? Questa
difficolt non risolubile in una interpretazione formale della logica aristo(o6) An. pr. A, 27, 43b, I-II; ibid. 32-35; ibid. ;!9, 45b, 28-35.
(57) An. pr. A, 27, 43b, 32-36; ibid. 29, 45b, 28-31.

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-,~--

LA STRUTTURA NECI!SSARIA DEL LINGUAGGIO

76

telica, tanto che alcuni interpreti hanno tentato di espungere idealmente


dalla sillogistica aristotelica proprio la dottrina della modalit ( 5S) ed altri
hanno voluto vedere in essa un segno che Aristotele uscito dalla pura
formalit del ragionamento per riprendere contatto con le cose (5 9 ). A noi,
tuttavia, pare preferibile cercare le ragioni per cui Aristotele ha elaborato
una dottrina della modalit tentando di mostrare come egli si sia proposto
di restare sempre fedele alle cose.

7 - I SILLOGISMI Dl 2\ECESSI'r. - Le proposizioni che enunciano le


cose necessarie si comportano, riguardo alla conversione (U 0), come quelle
che enunciano semplicemente le cose che sono, perch appunto, come
quelle, si collocano sempre dallo stesso lato dell' opposizione antifatica.
Infatti, le proposizioni necessarie sono le stesse proposizioni dell' essere
che riescono a dare pienamente conto delle cose che enunciano ossia ad
essere sempre vere dei loro oggetti. Ci posto, possiamo dire che un sillogismo ha una premessa necessaria quando ha per premessa una proposizione che sempre vera c la cui contraria impensabile come vera al suo
posto; un sillogismo avente conclusioni necessarie un sillogismo tale
che le sue conclusioni sono sempre vere delle cose che enunciano. Ora un
sillogismo pu avere una sola o entrambe le premesse necessarie; si tratta
di vedere in quali casi anche le conclusioni lo saranno. Se lo sono entrambe, la conclusione sempre necessaria in tutte le figure (6 1), anzi nulla fa
differire questi sillogismi da quelli del semplice essere se non l'aggiunta
delle parole di necessit (; vciyxfJ). Il che vuoi dire che, assunta
una premessa maggiore di necessit, sia attraverso un precedente sillogismo, sia perch si tratti di un principio indimostrabile, trovato un medio
altrettanto necessario per la minore, si giunge ad una conclusione che vale
per ogni tempo. Se ora trasferiamo queste notazioni nel linguaggio della
necessit antifatica, in cui si svolge tutto il sillogsmo, vediamo subito che
la premessa maggiore necessaria, almeno per la prima figura, significa che
l'alternativa antifatica si determina sempre per lo stesso corno del dilemma riguardo al medio: p. es. che sempre gli animali sono mortali, dove
appunto animale pu fungere da medio tra mortale e uomo. Infatti, detto
animale, si deve poi dire, tra mortale e non-mortale, mortale perch - e
G. CALOGERO, oP. cit., pagg. 264-.266.
(59) L. RonrN, La pense grecque et les origincs de l'esprit scientifiquc, Paris,
1923, p. 309(60) Allo stesso modo avverr la conversione anche per le proposizioni necessarie_ Infatti si converte uni versai mente l'universale negativa, delle affermative si con
vcrtono particolarmente l'una e l'altra, l'universale e la particolare (A n. pr. A, 3,
25, 27-29).
(61) Per le cose necessarie si pu dire press'a poco ci che si detto per le cose
che sono: infatti tanto ponendo i termini nell'essere o nel non-essere che nell'essere di
necessit o nel non-essere di necessit ci sar o non ci sar sillogismo, l'unica differenza consiste nell'aggiunta ai termini dell'' essere di necessit' o del 'non essere
di necessit' (An. pr. A, 8, zgb, 36-3oa, r).
(58)

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l SILLOOISMI DI NI:Cf.SSITA

77

(lUi passiamo allo schema sostanziale che sta a fondamento del sillogismo
- animale contenuto in mortale, in quanto mortale l'antecedente di
animale: insomma l'alternativa antifatica necessariamente determinata
in uno dei suoi corni, perch un nesso reale necessario c' tra mortale ed
animale. Poich abbiamo supposto che si trat di un sillogismo con
entrambe le premesse necessarie, dobbiamo ammettere che un nesso di
necessit ci sia anche tra animale e uomo, se poniamo che uomo sia b minore del sillogismo in questione. Ancora una volta si pu spiegare questo
nesso dicendo che nell'antifasi animale-non animale, detto uomo, si deve
scegliere sempre animale, perch tra i conseguenti di uomo c' necessariamente animale, come risulta dallo schema di An. pr. A, 28, 44a, I 1-19;
in questo Cc"lSO per uomo come per animale vale la determinazione della
prima antifasi. Ma questa conclusione sar necessaria perch ogni pos5aggio del sillogismo tale che il contrario sarebbe impensabile come
vero, sicch appunto sarebbe impossibile un sillogismo vero diverso da
questo (cio contrario, perch, svolgendosi tutto il sillogismo in alternative, il diverso subito il contrario): il che vuoi dire che quest.:> necessario, perch il verso dell'impossibile, mai disgiunto da quello, appunto il necessario.
Ora possiamo chiederci da che cosa derivi questa necessit ed in che
rapporto stia con la necessit propriamente sillogistica, cio ddla mediazione. Intanto possiamo notare come intervenga la necessit della premessa maggiore che, ottenuta con dimostrazione o con esperienza, rivela
un nesso inerente alla sostanza stessa; altrettanto dicasi della premessa
minore : perci la necessit delle premesse che era presupposta, la necessit stessa delle sostanze intorno alle quali si svolge il sillogismo. Ma la
necessit della conclusione da che cosa deriva? Che l'uomo sia necessariamente mortale noi siamo riusciti a sapere perch abbiamo considerato
il medio animale che contemporaneamente mortale e uomo e
sempre necessariamente. Ma ci non riguarda solo il mio modo di scoprire ci che mi interessa sapere, ma altres la costituzione stessa della realt
dell'uomo che , in s, necessariamente mortale perch non pu non essere animale ; sicch se io non avessi fatto un sillogismo di necessit con
questi tre termini, essi sarebbero stati ugualmente collegati in modo
necessario. La necessit della mediazione si perci tutta risolta nei nessi
reali dei termini del sillogismo, considerati come sostanze o in rapporto alle
sostanze di cui sono propriet; perch questi nessi sono nessi di necessit,
il sillogismo ha conclusione necessaria. Insomma perch questi nessi ci
sono il sillogismo c', perch sono necessari il sillogismo ha conclusione
necessaria. In questo senso vanno interpretate le parole di Aristotele secondo cui il sillogismo di necessit non differisce sostanzialmente da quello
di pura inerenza, in quanto quello stesso sillogismo nel quale i singoli
passaggi acquistano valore in ogni circostanza temporale, sicch di fronte
e contro ad esso non si possa mai costruire un altro sillogismo. Perci nei

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LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

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sillogismi di necessit la necessit sillogistica non si distingue dalla necessit della conclusione: quest'ultima necessaria in quanto stata dedotta
con necessit da premesse necessarie e, d'altra parte, queste stesse premesse, con il loro esserci, hanno reso possibile il sillogismo. Resta per.
ancora un problema assai grave: infatti anche il sillogismo, la cui conclusione non abbia la modalit del necessario, una mediazione necessaria,
un discorso in cui da alcune premesse si traggono conclusioni secondo
necessit; ora se la mediazione sillogistica si fonda sui rapporti propri
delle sostanze, essendo detta mediazione un legame di necessit, rapporti
di necessit dovranno essere anche i rapporti sostanziali su cui essa si
basa. Ma allora come si giustificheranno le propriet delle sostanze che
sono solo possibili e, parallelamente, le conclusioni solo possibili dei sillogismi?
Osservazioni identiche si possono fare per le altre figure del sillogismo. Nella 2' figura infatti - posto che i termini siano mortale-uomodio - mentre, per le sue stesse propriet sostanziali, uomo determina
subito la contrariet antifatica mortale - non mortale per il primo corno, dio determina il secondo: ancora una volta i nessi sostanziali necessari hanno permesso di raggiungere risultati necessari. Altrettanto dicasi per la 3a figura, dove - posti i termini animale-ragionevoleuomo - soltanto il fatto che uomo abbia tra le sue propriet essenziali animale e ragion,evole e perci determini le antifasi nel corno
che afferma queste due propriet, permette di concludere che alcuni animali sono ragionevoli.
La questione si complica assai quando dai sillogismi con tutte c due
le premesse necessarie si passa ai sillogismi con una premessa necessaria
e l'altra di semplice inerenza, nel quale caso la conclusione pu essere necessaria o di semplice inerenza. Qui infatti non solo si ripropone il problema del necessario, perch si possono dare sillogismi che pur non
avendo tutte e due le premesse necessarie, possono avere conclusioni necessarie, ma anche quello dell'essere, perch appunto si apre la questione
dlla mediazione che necessaria anche quando la conclusione non ha i
caratteri della modalit necessaria.
Se, !imitandoci per ora alla 1" figura, supponiamo che una delle premesse non sia necessaria, allora, se necessaria la maggiore, la conclusione sar necessaria, se invece necessaria la minore, la conclusione non
lo sar. Il che vuoi dire che la necessit della minore non contribuisce
affatto alla necessit della conclusione che pu sempre essere necessaria
anche se la minore non lo , come giustamente nota il Ross (6 2). Egli aggiunge poi che in questi sillogismi il predicato della premessa maggiore
B necessariamente A non A , ma necessariamente A :
ora questa osservazione giusta, ma non toglie che rimanga tutta la dif(02) \V. D.

l~oss,

Aristotle's Prior and Posterior Analytics, cit., pag. 319.

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I SILLOGISMI DI NECESSITA

79

fcolt di spiegare perch Aristotele abbia ammesso che proprio questo


predicato cos complesso passi dalla premessa alla conclusione; infatti la
denuncia di un equivoco verbale non spiega ancora i presupposti in base
ai quali esso stato compiuto. Se ora riprendiamo in esame il solito esemf;io, possiamo notare che, ammessa la necessit che l'animale sia mortale,
non abbiamo poi bisogno di sapere se necessariamente o no l' uomo sia
animale per poter concludere che esso necessariamente mortale ; infatti,
elice Aristotele, servendosi delle lettere (C 3), uomo stato detto essere uno
degli animali cui la mortalit necessariamente compete. Ma - si potrebbe
notare - la premessa minore, se non necessaria, pu sempre venire negata e con ci compromettere tutto il sillogismo, cio l'attribuzione della
propriet r.he pare necessaria : questo dovrebbe bastare a far s che si
negasse ai sillogismi non aventi entrambe le premesse necessarie la modalit della necessit, come fece Teofrasto. Infatti un sillogismo necessario
tale che la sua conclusione ha valore in ogni tempo, sicch non pensabile
un sillogismo con conclusione diversa dalla sua ; ma se la premessa minore
non necessaria allora pu ben dirsi che venga negata e che si ahhia perci
un sillogismo diverso. Senonch Aristotele potrebbe notare che un sillogismo con premessa minore negativa non sarebbe affatto un sillogismo, perch sarebbe un modo non valido della 1 figura. Se poi si abbietta che si
potrebbe sempre mutare la premessa minore da universale in particolare,
si potrebbe.rispondere che esse non sono contraddittorie n contrarie, ma,
anzi, compatibili. Non resta allora se non notare che, quando la premessa
maggiore necessaria, a seconda che la minore venga affermata o negata
anche solo come semplice inerenza, o il <;illogismo ha conclusioni necessarie o assolutamente non c'.
Se invece la premessa minore neces!>aria, ma non lo la premessa
maggiore, allora la conclusione non sar necessaria, perch se lo fosse dovrebbe esserlo anche la maggiore (64 ) : ancora una volta dunque si conf""rma che la premessa minore non contribuisce affatto alla necessit della
conclusione. Eppure si direbbe che tutta la necessit della mediazione silhgistica dipenda dalla premessa minore che stabilisce un nesso tra il soggetto della conclusione ed il medio, che deve stabilire la possibilit dell'attribuzione che proprio si desiderava: insomma proprio con essa si dice
quale sia la strada per giungere allo scopo che ci si era proposto. Ma
esattamente questa osservazione pu forse far comprendere la concezione
(63) Se si assunto che A inerisca o non inerisca necessariamente a B, che B
iFerisca semplicemente a C; assunte infatti queste premesse A inerir o non inerir
r;ecessariarnente a C. Poich infatti in ogni B c' o non c' necessariamente A, e C
WJO dei B, chiaro che anche per C varr necessariamente uno dei corni dell'alter
nativa, sar o non sar A (An. pr. A, 9, JOa, 17-23).
(6 4 ) Se AB non necessario, ma lo B C, la conclusione non sar necessaria.
Se infatti lo fosse accadrebbe che A inerirebbe necessariamente a qualcuno dei B
per la prima e la terza figura. !via questo falso; ch B pu anche essere tale che
A possa non inerirgli affatto (An. pr. A, 9, 30a, 23-:28).

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so

LA

ST~UTTURA

Nrc;:SSARIA DEL LINGUAGGIO

aristotelica della necessit; all'uopo consideriamo il processo sillogistico


all' inverso e cio partendo dalla conclusione anzich dalla premessa maggiore. Supponiamo infatti di voler dimostrare che C si pu predicare necessariamente di A : non ci resta allora che andare in cerca di qualche via
che ci permetta di giungere indirettamente al nostro scopo. Si tratter
cio di trovare un B tale che si possa dire A uno dei B e del quale
si possa predicare necessariamente C; trovato questo B si potr tranquillamente dire che A necessariamente C, perch se poi non fosse vero
che A uno dei B non sarebbe necessario che A non fosse C, ma si tratterebbe semplicemente di un errore di ricerca e le cose tornerebhero al
punto di prima, cio ancora non si saprebbe se si possa dire C di A necessariamente. ivla supposto che il sillogismo sia riuscito nel suo intento,
si dovr poi ammettere che non possibile che esso venga meno compromettendo le stesse possibilit dell'attribuzione, ch allora si tratterebbe,
dal punto di vista aristotelico, di una ben fittizia necessit.
A questo punto, sar bene guardare le cose on pi dal lato della
ricerca che noi istituiamo su di esse, ma da quello del loro reale essere,
in base allo schema di An. pr. A, 28. Tenendo presente questo schema vediamo agevolmente che il medio R non solo una escogitazione dell'argomentatore, ma un punto di passaggio reale: cio che C pu essere predicato necessariamente di A proprio perch A uno dei B dei quali C
attributo necessario, cio proprio perch B contiene A ed ha tra le sue
propriet essenziali C, A ha tra le sue propriet essenziali C. Tanti possono essere i contenenti di A, ma tra questi solo B conduce ad affem1are
necessariamente C. Come si vede, allora, la necessit della conclusione
non garantita solo dalla necessit della premessa maggiore, ma dalla
necessit della mediazione che, in un atto solo, trova la necessit della
premessa e la fa passare da questa alla conclusione. In questo schema sillogistico pare infatti che si distinguano nettamente la necessit delle proposizioni singolarmente prese e la necessit della mediazione sillogistica,
in quanto, appunto, la premessa che asserisce il medio del1~ minore pu
non essere necessaria della necessit che compete alle proposizioni di per
s prese. Infatti la necessit sillogistica vera e propria non risiede soltanto
nella premessa minore, perch da A B soltanto non deriverebbe
mai nessun sillogismo, n da B necessariamente C per la stessa ragione ; allora la necessit della mediazione deriva solo dal connettersi necessariamente di quelle due proposizioni. Ma qui siamo tornati al punto
di partenza perch rispuntato un necessariamente che volevamo appunto spiegare : ossia che significa connessione necessaria di due proposizioni? Significa c~e quello che soggetto in una diventa predicato nell'altra. Ma come possibile ci? Non certo per una geniale trovata del
ricercatore, se non nel senso che scopre qualcosa che gi c'era, cio perch
quel B che soggetto di C , nel tempo stesso, quell'aspetto della natura
di A, di cui predicato, per cui questo necessariamente C. Che A sia B

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I SILLOOISMI DI NF.CESSITA

81

non allora frutto di un nostro studiato avvicinamento per dimostrare un


asserto che riteniamo importante, ma la natura stessa di A, quell'aspetto senza il quale gli mancherebbero alcuni tratti della sua natura;
in questo senso la negazione del medio porterebbe al fallimento del sillogismo stesso, perch trascurerebbe alcuni tratti che avrebbero condotto
senz'altro alla conclusione, senza escludere che alla conclusione si pervenga da altri lati. Insomma si pu paradossalmente dire che perch A
necessariamente C esso uno dei B, come infatti si pu dire che perchtS
l'uomo animale mortale, cos come che il suo esser necessariamente
mortale la sua animalit. L'attribuzione del medio al soggetto della
conclusione pu anche non essere necessaria, perci, nel senso che non
si richiede che se ne indaghi la necessit, bastando che la presenza dell'aspetto che funge da medio si riscontri tra le ragioni che possono spiegare
le: propriet necessarie della cosa che ci interessa. Questo essere
legato al suo posto dalla necessit sillogistica o, meglio, fonda, come
abbiamo visto, la necessit sillogistica, in quanto in esso si enuncia il
medio che opera il passaggio dalla premessa alla conclusione. In questo
caso, perci, l' non tanto un necessario attenuato quanto l'affiorare
dell'orizzonte in cui lo stesso necessario acquista senso.
In altri termini: che il soggetto della conclusione sia il medio significa che la na.tu.ra di quel soggetto, ossia la su stessa sostanzialit, tale
da accogliere in s il termine tramite il quale ad essa attribuibile il termine maggiore come propriet necessaria. E poich solo nella sostanzialit di quel soggetto la necessit di quella propriet comprensibile,
abbiamo detto che l'essere della premessa minore costituisce il salire alla
superficie dell' organizzazione in cui la modalit prende senso. Infatti
l'essere della sostanza proprio quello che , solo in quanto la struttura
comune all'essere necessario e all'essere possibile nei quali sempre si
.5pecifica; in questo caso esso affiora senza essere modalmente determinato
e mantenendo il significato di essere per natura , essere sostanzialmente, appropriato all'attribuzione di una propriet necessaria. Questo
affiorare possibile per solo nello studio del sillogismo in quanto tale,
dove si pu appunto prescindere dalla modalit dell'essere, mantenuta incognita ; ma non sar pi possibile quando la scienza far valere i suoi
diritti e pretender che anche la modalit della premessa minore sia determinata (6 5). Ed allora essa si riveler come necessaria confermando
appunto la giustezza dell'interpretazione dell'essere, di cui ora si tratta,
m senso pregnante.
Da un esame dei sillogismi di necessit di altre figure con una pre(IF) Poich se si sa apoditticamente si deve sapere secondo necessit, chiaro
che si deve avere la dimostmzione attraverso un medio necessario; altrimenti non
si sapr n il perch della conclusione n che essa necessaria, ma o si creder non
sapendo, se si prender come necessario ci che non lo , oppure non si creder
E('anche di sapere, sia che si conosca il che attraverso premesse mediate, sia che si
conosca il perch e attraverso premesse immediate (An. post. A, 6, 75 a, I2"I7).

C. A. VIANO, La logica di Aristotele.

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LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

82

messa necessaria e l'altra assertoria si giunge agli stessi risultati. Nella.


2a figura, infatti, in questo caso conclusione necessaria si ha solo quando,
essendo assertoria l'altra premessa, necessaria l'universale neg;:ttiva. Aristotele dimostra questa particolarit con la conversione delle premesse
per la riduzione alla 1" figura (GG); ma noi dobbiamo cercare i motivi
reali di questo comportamento. La necessit delle proposizioni affermative non porta nessun contributo alla necessit della conclusione, perch
in esse, come nella premessa minore della ra figura, si afferma solo ci che
la cosa in s, sebbene poi, per questa sua essenza, di essa possano essere
negate con necessit certe qualit; ma appunto perch esse le possano essere negate, bisogna che la cosa abbia una certa natura, cio sia una certa
X di cui quelle qualit debbano necessariamente essere negate. Se poi a
questa attribuzione di X non si precisa l' eventuale carattere di necessit, non importa: dicendo che non lo si esclude e, comunque, ci si limita a precisare l'organizzazione entro cui si pu parlare della necessit
della negazione di quei certi attributi. Si sa bene che le cose non sono soltanto, ma sono sempre o necessrie o possibili, ma si sa anche che
dicendo che quella cosa X ci si permette di dire che non ha necessariamente le qualit Y: se poi si dice che non X, allora ci si preclude anche
di parlare di Y, perch non si coglie pi un aspetto della cosa: ancora
una volta l'essere precisa qui il suo significato di orizzonte entro cui solo
si pu parlare di necessit o di possibilit delle cose. Ci non toglie che
anche la premessa affermativa possa essere necessaria insieme con la
negativa (67 ), in quanto pu essere considerata come proposizione a s;
del resto, anche nel sillogismo si pu precisare che si pu sempre dire
che vero predicare X del soggetto in ogni momento. Che invece la
proposizione negativa debba essere necessaria si comprende se si tiene
presente che con essa si afferma che una certa cosa non X : ora si deve
precisare che quella cosa non X necessariamente cio che X non si potr
mai dire di essa. Infatti X potrebbe essere un aspetto accidentale di
quella cosa, pur non essendone un aspetto essenziale ; ma in questo caso
non si avr assoluta esclusione dei due termini in questione. Bisogner
allora precisare che Y non sar mai X e perci, tanto meno, ci cui X
attribuibile come aspetto essenziale.
La 3" figura con le due universali affermative facilmente riducibile alla Ia figura per la conversione della seconda premessa nella particolare affermativa: che poi una qualunque delle premesse possa essere
necessaria (68 ), si capisce per la permutabilit delle premesse stesse dovuta alla convertibilit della conclusione particolare affermativa. Comun~66)

An. pr. A,

IO.

(6 7) Nelle parole di An. pr. A, 8, JOa, 4-5 si allude anche, appunto, al sillogismo di 2 11 figura con entrambe le premesse necessarie.
(68) Nell'ultima figura, essendo universali entrambi i mcmhri predicati del
medio ed essendo entrambe affermative le premesse, se una qualunque delle due
necessaria, lo sar anche la conclusione (An. pr. A, rr, JI a, r82I.

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L'ESSERE E IL NECESSARIO

83

que chiaro che, anche qui, con una premessa si, asserisce che necessario che una certa propriet inerisca al medio, mentre con l'altra si
propone che nella natura del soggetto della conclusione ci sia il poter
essere predicato del medio stesso : l' essere di quest'ultima proposizione indica l'orizzonte stesso in cui si svolge il sillogismo.
8. - L'ESSER( E IL NECF.SSARIO. - La discussione del caso in cui una
premessa, pur essendo solo assertoria, pu operare la mediazione di una
conclusione necessaria, apre senz'altro il problema del rapporto tra l' essere necessario e 1' essere e con ci contribuisce sempre di pi ad
illuminare in quali accezioni diverse Aristotele usi la categoria del necessario a proposito della mediazione sillogistica e delle proposizioni necessarie. Per l'asserzione gi citata dello stesso Aristotele, il sillogismo di
necessit e quello dell'essere sono identici, salvo nel fatto che il primo aggiunge l' E~ vayY.rJ alla conclusione ed a qualcuna delle premesse. Ma
che cosa significa l' E~ vayK'Yj aggiunto alla conclusione? Poich quest'ultima una proposizione come tutte le altre, significa soltanto che ci
che asserisce vale sempre per le cose intorno a cui formulata : il sillogismo del necessario perci un sillogismo dell'essere con validit in
ogni tempo. Poich allora il sillogismo di pura inerenza non necessario
nel senso che non ha validit illimitata nel tempo, resta da chiedersi che
!>enso abbia la necessit che regge l'intimo organizzarsi del discorso sillogistico e che rischier di essere coinvolta nella limitata validit l!el sillogismo dell'essere. Ora, questa necessit non pu essere interpretata :;e non
nel senso che, date certe premesse, non si pu pensare che ne derivi altra
conclusione da quella che logicamente ne deriva attraverso il sillogismo;
pu darsi che in un certo momento non sia vero asserire le premesse
che non sono necessarie, ed allora in quel momento sar anche non vero
asserire la conclusione; supposte, invece, le premesse esistenti, sar vero
in ogni momento asserire la loro conclusione. Quando dunque le cose di
cui si parla nelle premesse ci sono, sicch le premesse possono essere
asserite con verit, allora la mediazione avviene, cio si verifica la necessit sillogistica. Cio: perch E-C vera e perch lo anche A-B, vera
sar anche la conclusione A-C: in questo caso la mediazione sillogistica
avviene perch A-B-C sono, cio si possono affermare gli uni degli altri,
supposto che il sillogismo consti di premesse e di conclusione affermative.
Il caso perci perfettamente analogo a quello dei sillogismi di necessit:
l, infatti, la necessit sillogistica coincideva con la necessit delle premesse, qui con l'essere delle premesse. 1\ia, si potrebbe allora chiedere:
come pu l'essere non necessario delle premesse fondare una mediazione
necessaria? Infatti l'essere della conclusione c' quando ci sono le premesse, perch da esse deriva con necessit, cio la necessit stessa delle
mediazione fonda l'essere della conclusione solo assertoria e, perci, non
necessaria. Ecco dunque le complicate trame di rapporti che si sono sta-

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84

LA ST!<Ul TURA

NlCI:SSAI~IA

DCI. L!NOUAOOIO

hiliti: da un Iato l'essere fonda la necessit della mediazione e, dall'altro,


la necessit della mediazione fonda l'essere della conclusione ( 6 r').
Ora tutto sta a chiedersi che cosa sia con precisione questo essere
che non necessario : infatti, sebbene non sia necessario esso non possibile, perch il possibile ha sillogismi suoi appositi. allora una terza
modalit tra il necessario ed il possibile della quale bisogner rintracciare i caratteri distintivi? Abbiamo detto che l'essere si distingue dal
necessario perch l'uno ha omnivalidit temporale l'altro no; ma se
quest'ultimo inteso nel senso che pu essere e non essere, possibile,
come dimostra il capitolo del De interpretatione dedicato alla modalit
la cui dottrina anche qui condivisa da Aristotele; il che contro l' ipotesi che si tratti di essere e non di possibile. N l'essere ci che e
non pu essere nel senso che deve sempre essere, ch allora cadremmo
t!e necessario, di nuovo contro l' ipotesi che si tratti invece di essere.
Resta allora una soluzione: che l'essere sia semplicemente l'attuale che si
adatta tanto al necessario che al possibile, sebbene in modi diversi ; ma
proprio l'attuale necessario anch'esso ( 70 ), anzi il modello stesso della
necessit. Quest'ultima infatti tale solo perch una specie di attualit
sempre in atto, sempre realizzata, sicch in qualunque momento eli essa
potremmo dire che ; e in riferimento all'attualit si determina anche la
possibilit, che, appunto, in base all'attualit precisa i suoi contenuti
(cfr. cap. I, par. 8). L'essere allora la constatazione dell'attualit di una
certa cosa, senza la precisazione se si tratti di cosa possibile o di cosa
necessaria, ma anche il nucleo che permette e d senso, con il suo stabilizzarsi o con il suo negarsi, rispettivamente alla necessit ed alla possibilit. Del resto lo stesso nucleo della necessit sillogistica nei sillogismi di necessit, eliminata la modalit necessaria- tolto, cio, l'~ &vdYX'l'J di cui sopra - , si riduce ai sillogismi di pura inerenza.
Giunti cos al cuore della questione, dobbiamo ora esaminare lo
stretto nesso che lega l'essere alla necessit sillogistica per chiarire quelle
relazioni per cui l'essere fondava la necessit e questa, a sua volta, l'essere e, anzi, come l'essere coincida con questa stessa necessit. Se esaminiamo il caso pi semplice di mediazione sillogistica, vediamo che A
C perch A uno dei B dei quali vero dire che attualmente sono C, sic(6) Per il MAIER, op. ci t., II b, pagg. 244-254, Aristotele avrebbe abbandonato
la pura sfera logico-antologica del sillogismo per scendere al contenuto metafisica
dei concetti, confondendo l'essere della conclusione con l'essere metafisica della cosa.
Questa osservazione mostra come sia rilevante la questione della modalit - che,
per quel che riguarda il necessario, messa particolarmente in luce dal caso del
~illogismo di r" fig. con premessa maggiore necessaria c minore assertoria in
quanto mostra appunto l'affiorare della metafisica nella logica. Senonch quella non
affiora solo a proposito della modalit, anche se in questo caso si fa particolarmente
evidente il suo intervento: infatti anche nei sillogismi asscrtod l'essere della conclusione l'essere metafisica della cosa, in quanto orizzonte metafisica della loro modalit.
(70) De int. 13, 23 a, 21-22: l'attualit infatti l'essere per cui determinato gi
un corno dcll'antifasi c che, perci, esclude necessariammte l'altro.

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L'ESSERE E IL NECESSARIO

85

ch, appunto, anche A attualmente C. Se, al contrario, fosse stato vero


dire B non attualmente C la conclusione sarebbe stata esattamente
la contraddittoria rispetto a quella che abbiamo ottenuto e, cio, sarebbe
~tata A non attualmente C; se invece non fosse stato vero che A
attualmente uno dei B non si sarebbe pi avuto sillogismo, cio non si
sarebbe pi potuto stabilire se A o non attualmente C. Perch dunque
si possa dire se A o non C bisogna che ci sia nel primo un aspetto
tale che si metta in relazione con C ; se questo aspetto manca (cio manca
p. es. l'inclusione in B) non si pu dire in che rapporto A sia con C, non
restando escluso che altri aspetti vi siano, da cui sia possibile passare da
A a C, positivamente o negativamente. Se per es. - sostituendo alle let"tere i termini Socrate-politico-potente - io dico che Socrate potente
nella sua citt perch un uomo politico e gli uomini politici in essa
sono potenti, affermo con un sillogismo impeccabile la potenza di Socrate, perch in esso vi appunto un aspetto - l'essere uomo politico -per cui lo si pu mettere in relazione con la potenza; se, infatti, nella
sua citt gli uomini politici non fossero affatto potenti, potrei sempre affermare che Socrate non potente. Ma se Socrate decadesse dalla sua
carica di uomo politico, aiiora non potrei affatto dire che non potente,
perch egli potrebbe essersi arricchito c rimanere cos potente, cio ci potrebbe essere in lui un altro aspetto sotto il quale ancora potrebbe essere messo in relazione con la potenza. In questo ragionamento la necessit sillogistica consiste propriamente n! fatto che c' un aspetto della
natura di Socrate per cui esso uomo politico e, cio, per il quale egli
pu essere messo in relazione con la potenza ; consiste cio nell'aspetto
che compare e nella prima e nella seconda premessa, tanto vero che negata la sussistenza di questo aspetto comune negato il sillogismo stesso.
Ora abbiamo gi visto che il sillogismo, che si svolge sempre entro l'orizzonte della necessit antifatica, sviluppa uno dei corni della contraddizione per giungere all'attribuzione di qualit che di per s non sarebbero
state evidenti: ci vuoi dire che il sillogismo attribuisce una certa qualit
a:i un soggetto, perch quel soggetto ha un aspetto per cui quella qualit deve inerirgli.
Ora possiamo vedere le cose dal lato dell'oggetto, punto di vista non
illegittimo se pensiamo allo schema di An. pr. A, 28: allora possiamo
dire che una cosa ha una qualit perch ha un aspetto cui quella qualit
inerisce o non inerisce, cio che, perch una cosa abbia o non abbia una
qualit, necessario che essa abbia un aspetto della sua natura cui quella
qualit inerisca o non inerisca. Perch sia potente, Socrate deve necessariamente essere uomo politico - o, almeno, poterlo essere; ma qui entra
in gioco la categoria della possibilit, che per ora non abbiamo in animo
di trattare - e per poter dire che potente io devo avvertire che un
uomo politico. L'essere distinto dalla necessit e dalla possibilit come attualit h.1. rivelato cos la sua struttura necessaria, in quanto l'essere

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l6

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

-di una qualit in un soggetto implica che in questo soggetto ci sia necessariamente un aspetto che dia ragione dell'esserci di questa qualit. Ma
poich l'attualit propria delle cose necessarie come delle possibili e
poich, d'altra parte, le cose sono solo necessarie o possibili, ne consegue
che l'essere non appartiene ad una determinata categoria di cose, ma
solo l'orizzonte entro cui si svolge il discorso sulle cose sia necessarie che
possibili; da un esame pi approfondito sulla natura di questo orizzonte
risultato che esso la necessit sillogistica stessa, entro la quale soltanto acquista un senso parlare di necessit delle cose o della loro possibilit. Questo orizzonte, dunque, un orizzonte della necessit. Che esso
si fondi sulla struttura sostanziale delle cose abbiamo gi visto a proposito del sillogismo in base alle parole stesse di Aristotele, ma la relazione
del sillogismo con questa struttura vedremo nei suoi particolari solo pi
tardi. Quando perci pronuncio un sillogismo dell'essere semplice mi
fondo sull'attualit delle cose che enuncio, senza aggiungere, perch non
lo so, se siano necessarie o possibili, ch altro non potrebbero essere; ma
<:os facendo determino anche l'orizzonte entro cui soltanto potr aver
senso l'eventuale necessit o possibilit delle cose che enuncio.
Mentre nei sillogismi con entrambe le premesse necessarie la necessit sillogistica era compresa nella necessit delle premesse ed indistinguibile da questa, in quelli con premessa minore non necessaria le due necessit si distinguono e la necessit siilogistica mostra bene il suo coincidere
<:on l'essere stesso, con l'attualit. Infatti il nucleo irriducibile di essa
proprio l'essere, perch il possibile, in quanto tale non la giustifica pi,
come vedremo a proposito dei sillogismi di quella modalit. D'altra parte,
per,. sebbene tutte le cose possano essere attuali, nessuna solo attuale
ma sempre o possibile o necessaria. Allora la necessit sillogistica, connessa con l'essere dovrebbe essere una necessit concernente solo il discorso, ma non il reale; e su questo presupposto si fonda tutta l' interpretazione della logica aristotelica come logica formale. In realt si ripete qui il caso gi incontrato con le proposizioni semplici nelle quali, appunto, la necessit dell'alternativa antifatica pareva del tutto distinta dalla
necessit delle cose. Ma anche qui come l, in fondo, la necessit delle
cose dipende essa stessa dalla necessit del sillogismo, che non poi solo
la necessit del discorso, ma la struttura dell'attualit stessa delle cose in
relazione alla quale si determina la loro possibilit o necessit. Infatti
dalla possibilit di affermare sempre la medesima attualit deriva la necessit delle cose, mentre dalla negazione di quella deriva la loro possibilit: l'orizzonte, cio, entro cui acquistano un senso le categorie di
necessit c di possibilit, applicate alle cose, l'orizzonte dell'attualit cui
intrinseca, come imprescindibile struttura, la stessa necessit sillogistica, cos come la necessit antifatica era l'orizzonte in cui solo avesse
senso pronunciare proposizioni sulle cose necessarie o possibili. E come
a seconda che l'orizzonte della necessit antifatica dava o meno conto

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l SlLLOOISMI DELLA POSSIBILIT A

87

'<ielle cose che vi si comprendevano, queste erano dette necessarie o possibili, cos a seconda che esse trovano o meno la loro completa spiegazione
entro l'orizzonte della necessit sillogistica sono dette o necessarie o possibili. Abbiamo parlato della necessit dell'alternativa antifatica e della
necessit sillogistica come se fossero due cose distinte, mentre in realt
sono una cosa sola, perch la prima non che il fondamento della seconda, come gi abbiamo visto ; infatti proprio perch vige la necessit
antifatica si pu sillogizzare e proprio perch essa l' unico possibile
orizzonte della comprensione delle cose, queste non possono essere comprese che entro l'orizzonte della necessit sillogistica. Ma di essa abbiamo
parlato come eli cosa distinta dalla necessit sillogistica, per mostrare
come a proposito della struttura del linguaggio si presentino le stesse
-questioni che si sono gi presentate a proposito dei fondamenti di essa.
Non che l'aver messo in luce quei fondamenti sia stato un lavoro inutile
e perci da ripetere a proposito della struttura compiuta del linguaggio,
ch, anzi, Aristotele ha sempre lavorato tenendo presente ci che l'analisi dei fondamenti gli aveva rivelato: tocca a noi mostrare come appunto
tutto il lavoro di Aristotele si sia orientato lungo le strade che ci sono apparse in quelle analisi. E per far ci dobbiamo riproporre il problema che
allora abbiamo posto e vedere se la risposta sia ancora la stessa e, se s,
in che senso sia ancora la stessa; cio in che modo preciso si siano sviluppate le premesse poste allora. Come allora l'orizzonte della necessit
:antifatica era l'unico in cui si potessero comprendere le cose, cos ora
<iuello della necessit sillogistica, che l'unico in cui si possono comprendere le cose, il diretto sviluppo della necessit antifatica; e come allora
quello che, soggettivamente, si presentava come un orizzonte, oggettivamente, era una struttura delle cose, cos bisog11er vedere come l'esplorazione eli questo orizzonte sia proceduta di pari passo con l' esplorazione della struttura delle cose, sicch ad un precisarsi del primo corrisponda un precisarsi della seconda ; ma il suo preciso delinearsi dopo
queste indagini sar argomento di cui ci occuperemo dopo che avremo
esaminato il senso che vengono ad assumere, nell'analisi del linguaggio,
altre categorie di estrema importanza.
9 - I SILLOGIS:MI DEJ,LA POSSIBILIT. - La trattazione dei sillogismi
con conclusioni possibili si serve eli molte categorie che abbiamo gi in<:ontrato nell'analisi dei capitoli sulle proposizioni modali del De interpretatione alle quali, pertanto, ci si dovr richiamare. Il possibile propriamente il non-impossibile (7 1 ) nella qual condizione esso affine al ne<:essario (72 ) che pure non l' impossibile, sebbene presupponga sempre
(71) Intendo per esser possibile e per possibile ci da cui, non essendo necessario, supposto che sia, nulla deriva, per esser tale, di impossibile (An. pr. A, !3, 32 a,
!8-20).
(72) Per omonimia diciamo che il necessario possibile (A t~. pr. A, 13, 32a,
20-21).

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88

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

un impossibile; e la differenza tra il possibile ed il necessario, ognuno


dei quali il non-impossibile, che il secondo esclude senz'altro il contrario, cio, rende impossibile il contrario, mentre il primo per definizione ci che non rende impossibile il contrario (1 3 ). A questo punto
erano sorte nel De interpretatione gravissime difficolt per lo strano mescolarsi delle categorie del possibile c del necessario a causa della loro
comune non-impossibilit; qui per ora questo collegarsi delle categorie
modali non viene posto in luce, se deve essere considerato come una interpolazione il passaggio 32a, 21-29. N la distinzione del possibile stricto
sensu dal per lo pi (ro otl -r otol:u) ora nuova, perch essa
gi stata menzionata in De int. 9 a proposito della necessit dei fatti futuri. l\1a come con la menzione di essa si era rivelata col anche l'impossibilit della sua fondazione, dati i presupposti della logica di Aristotele,
cos qui non ripresa la questione dei fondamenti di questa specie di possibile che in realt presupposto (74 ). Data la definizione del possibile
si manifesta subito la difficolt di comprenderlo entro le strutture necessarie del sillogismo, come nell'analisi dei fondamenti del linguaggio si
era manifestata la difficolt di comprenderlo entro le strutture della neces5it antifatica. E questa difficolt non si nasconde lo stesso Aristotele che
nota come del possibile stricto sensu non si possano dare scienza n dimostrazione per la mancanza di un medio determinante (7G), cio di un
medio che stabilisca quale corno dell'alternativa sia valido: infatti in questo caso la possibilit perderebbe la sua natur'l. specifica che proprio
quella di restare indeterminata di fronte all'alternativa antifatica. Tuttavia
(7<~) Accade che tutte le proposizioni del possibile si convertano reciprocamente. Non voglio dire le aiiermative con le negative, ma ~olo che tutte quelle
che hanno configurazione affermativa si convertono secondo contrariet, p. es. l'
possibile che sia con l' posstbile che non sia, e l' possibile che tutti siano con l'
possibile che nessuno sia o che non tutti siano, e l' possibile che qualcuno sia con
l' possibile che qualcuno non sia. Ed altrettante dicasi per gli altri. Poich infatti
il possibile non il necessario cd il non necessario pu anche non essere, evidente
che, se A pu essere B, pu anche non esserlo; c se tutti possono esserlo anche
vero che tutti possono non esserlo. Ed altrettanto dicasi per le affermazioni particolari: vale infatti la stessa dimostrazione. Ma queste sono proposizioni affermative
e non negative: il possibile infatti si configura come l'essere, come si detto prima :1>
(An. pr. A, 13, 32 a, 29-b, 3).
(H) Definite queste cose, ripetiamo che il possibile si dice in due modi, l'uno
l'accadere per lo pi1 che tuttavia non necessario, p. es. che l'uomo incanutisca o
cresca o si corrompa, o in generale ci che per natura (questo non ha una necessit
continua, perch non sempre c' l'uomo e, essendoci, o avviene di necessit o per
lo pi), l'altro indefinito, ci che pu avvenire cos e non cos, p. es. che l'animale
cammini o che mentre cammina avvenga un terremoto, o in generale ci che sorge
per caso : infatti non ha nulla nella sua natura che lo determini ad essere pi cos
che il contrario. L'uno c l'altro tipo di possibile si convertono secondo le opposte
proposizioni, ma non allo stesso modo, perch, mentre nel primo caso ci che per
natura si converte perch non necessario (cos infatti l'uomo pu incanutire), il
possibile indefinito si converte perch non pi in questo modo che in quello (An.
pr. A, 13, 32 b, 4-18).
(7 r.) Del possibile indefinito non c' scienza n sillogismo apodittico, perch
ha il medio disordinato (A11. pr. A, 13, 32b, 18-19).

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I SILLOGISMI DELLA POSSIBILI T A

ci sono delle cose possibili cos come ce ne sono di necessarie; ed il


discorso che riguarda le prime come le seconde deve sottostare alle
medesime strutture. Cio il discorso che riguarda le cose possibili deve
sottostare alle stesse strutture di ogni discorso che riguardi l'essere: insomma anche del possibile ci deve essere sillogisn1o (' 6 ), proprio in
quanto anche il possibile sottost alla necessit dell'alternativa antifatica
sulla quale si fonda il sillogismo. Gi abbiamo visto nel De interpretatione come in pi di un senso il possibile si inquadrasse nella necessit
dell' alternativa antifatica : sensi diversi che qui tornano nelle varie specie di sillogismi. Uno di essi era quello per cui il possibile sottost all'alternativa in quanto si enuncia la possibilit di una cosa in una proposizione del tipo possibile che ... : in questo senso si ha una proposizione regolarissima con copula e predicato che si cmporta proprio come
le proposizioni dell'essere anche a proposito delle regole della conversione (1 7 ).

(76) Di quelle cose [le possibili indefmite) ci pu essere sillogismo, ma non c'
l'abitudine di cercarlo~> (An. pr. l\, 1.3, 32b, 21-22).
Per quel che riguarda l'interpretazione del quelle cose (xLV(t)V), il ::VlAIER, op.
cit., Ila, pagg. 16-37, prospettata la possibilita di un riferimento al 'tcw .-rEqntx6nov,
ammette poi senz'altro che in esse sono da vedersi le cose che hanno possibilit indefinita (iv cioQ(cnoov), la cui menzione precede quella delle cose che hanno po~sibilit
rivelante una tendenza abituale, seguito in ci dal Bccker. Le ragioni per le quali
Aristotele, dopo aver detto che 't<JV ioQ(cn;(t)V no11 si danno n scienza n sillogismo
apodittico, mentre ricerche e ra~io11amc!lti si occupanc, -r&v rrnpmScmv, sarebbe da
vedere, secondo il ~1aier (loc. ci t. e i!Jid. 140), nel fatto che il sillogisrno una pura
legge logico-ontologica che perci(J deve prescindere da ogni riferimento metafisico,
quale sarebbe la considerazi0nc dello m rr. -r: :ta:U. Ora, effettivamente Aristotde
nell'indagine sui sillogismi della possibilit considera solo sempre il possibile - che
non sia la possibilit dell'essere o ciel necessario- come possibile indefinito in quanto
si avvale della conversione che lo caratterizza in proprio senza preoccuparsi del
per lo pi ;'. Ma ci no11 introduce una distinzione di un piano ontologico distinto
da un piano metafisico - di per s poco perspicua - nia semplicemente mostra
come la modalit~- del per lo pi sia la possibilit indefinita, entro la quale soltanto pu
essere compreso il significato di ci che avviene secondo tendenze solite, anche quando
si configura in proposi?:ioni assertorie.
(77) L' ' possibile ' segue le stesse regole dell' ' ', il quale produce sempre
la completa a1T ermazione in tutte quelle proposi?.ioni in cui si predica come copula
(An. pr. A, 3, 2.)b, 21-23). Il BECKER, op. cit., pag. 21, tL II, non precisa in questosenso il significato della possibilit che egli indica con il simbolo E 2 , con la conseguenza che nell' interpretazione dci sillt,gismi con entrambe le premesse possibili ocon la premessa maggiore possibile (pag. 32) non si vede il significato ontologico
dc-gli schemi di An. pr. A, 13, 32b, 23-27 indicati con E~BaE.,A e BaE 2 A. Infatti
la spiegazione del sillogismo con la formula
E 2 DaE~A

aE 2 B
aE 2 A
imped.isc~ di vedere la ragione per cui il ragionamento di Aristotele pu essere messo
propno m quelle formule e come la spiegazione del giudizio con lo schema di An.
f>r. A, 13 mostri che il giudizio pensato appunto in vista del sillogismo in base
alla struttura ontologica che sta alla base di tutta la logica aristotelica,

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'90

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINOUAOOIO

Tenendo presente che in questo senso il possibile si sottomette alla


necessit antifatica, si pu comprendere anche come di esso si possano
dare dei sillogismi, quando sia interpretato appunto nel senso che abbiamo chiarito. Infatti i sillogismi di 1" e di 3" figura con entrambe le prelllesse possibili danno conclusioni possibili in tutti i modi validi nei ~illogi
smi assertori ed anzi anche in qualcuno di pi (" 8 ), mentre non si danno
sillogismi validi con entrambe le premesse possibili nella 2" figura (711 ).
Avevamo distinto a proposito della trattazione del De interpretatione
l' essere del possibile dalla possibilit di essere (cap. I, par. 7) ;
quella distinzione torna molto utile in questo caso, in cui appunto tutta
l'attenzione volta alla possibilit, senza la preoccupazione che essa sia
possibilit. di essere o di non-essere; nel qual caso si profilerebbe:: l'affinit del possibile con il necessario che qui sono tenuti accuratmnente
distinti (ll 0). Appunto questa distinzione mostra come qui l'attenzione
sia tutta al possibile come tale, cio come distinto dal necessario. Ora
nella 111 figura tutti i modi sono validi eccetto quelli con premessa maggiore particolare; ma il pi interessante notare come siano anche validi
i modi con premessa minore negativa (81 ). Eppure Aristotele non ammette che in questo caso vi sia un'eccezione alla struttura sillogistica,
ch, anzi, afferma che il sillogismo di per s, avendo premessa minore
negativa, anche se possibile, non avrebbe conclusione e solo la pu avere
con la conversione della negativa in affermativa, resa possibile dal fatto
stesso che si tratta di proposizioni solo possibili e non necessarie. ln
realt qui la conversione solo fittizia, costituendo un mero artificio per
dimostrare la validit del modo riducendolo ad uno di quelli gi noti come
validi, perch la condizione di questi sillogismi , riguardo al loro conte-

(78) : evidente che quando i termini sono universali nelle proposizioni del
possibile, sempre si ha sillogismo nella I" figura, e con premesse afTermativ:: e con
premesse negative; senonch se le premesse sono affermative il sillogismo perfetto,
se sono negative imperfetto. Ma bisogna assumere non il possibile che conviene
al necessario, ma quello che caratterizzato dalla distinzione che abbiamo test fatto.
Ed a volte ci sfugge (An. pr. A, 14, 33 b, rS-24). Qui ,\ristotele parla solo dei
sillogismi con premesse universali, ma i casi in cui i sillogismi del possibile d ra
figura non sono validi per la particolarit ricadono del tutto entro i casi di invalidit gi riscontrati per i sillogismi dell'essere: cio si tratta di sillogismi con premessa maggiore particolare (ibid. 33a, 34b, 17). <<Nell'ultima figura ci sar sillogismo sia che entrambe le premesse siano del possibile, sia che lo sia una sola
(An. pr. A, 20, 39 a, 4-5).
(79) ~Nella seconda figura, quando entrambe le premesse assumono il possibile,
non ci sar mai sillogisrno, n assumendo premesse affermative, n assumendole negative, n universali, n particolari (An. pr. A, 17, 36b, 26-29).
(80) A11. pr. A, 14, 33b, 21~22.
( 81 ) Quando A possibile d ogni B, e B possibile di nessun C, attraverso
l'assunzione di queste premesse non ci sar mai sillogismo, mentre convertendo la
premessa B C secondo il possibile si avr sillogismo come prima. Infatti, poich
possibile che B sia in nessw1 C, anche possibile che sia in ogni C: questo gi
stato detto prima. Sicch se possibile che B sia in ogni C, ed A in ogni B, si ha
di nuovo il sillogismo di prima (An. pr. A, 14, 33, s-r2).

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l S!LLOGISMI DELLA POSSIBILITA

91

nuto assertorio, la stessa dei sillogismi non concludenti : infatti in un sillogismo del possibile con entrambe le premesse possibili, la conclusione
non pi vera del suo contraddittorio, proprio come nei modi non validi.
La differenza che la contraddizione era tra due esseri supposti attuali,
qui invece nell'ambito della possibilit, cio presuppone la possibilit :
ecco perch anche il sillogismo di 1" figura con premessa minore negativa
valido. Infatti in esso l'affermazione c' in quanto, appunto, affermata
la possibilit, l'essere della possibilit. Si pu affermare che Socrate pu
essere potente perch pu essere un uomo politico e gli uomini politici
possono essere potenti ; ma, a rigore, avrei potuto dire che gli uomini
politici possono non essere potenti ed il sillogismo sarebbe riuscito lo stesso. Esso infatti vuoi solo dimostrare che in Socrate c' la possibilit di
essere - e, per la concezione aristotelica della possibilit, di non-essere
- potente ; si deve allora trovare in lui un aspetto tale che permetta di
asserire questa possibilit. Ma questo aspetto la possibilit di essere f' di non-essere uomo politico: ci che di reale c' in tutto il discorso
quell' che asserisce la possibilit e che vuoi dire che Socrate attualmente tale che in lui pu attuarsi l'uomo politico come anche l' impolitico. Non sono ancora reali le attualit che si dovranno realizzare, dal
momento che, pur escludendosi, sono sullo stesso piano - segno che
ancora non sono -, ma reale l'attualit della cosa che ha in s quella
possibilit, cio l' attualit di Socrate che gli permette di essere e di
non essere, ma comunque di essere, sempre in riferimento di possibilit,
uomo politico e, con ci, potente. Comunque, anche qui la possibilit
trova il suo senso e la sua realt solo nell'attualit di ci che possibile
e nel riferirsi di questa attualit ad un'altra attualit che ancora non .
In questo senso le proposizioni del possibile si trovano nelle stesse condizioni delle proposizioni aventi per predicato tm nome infinito, p. es.
X non-Y , in quanto cio, come quelle, presuppongono un che di esistente, un che in atto, cio un X che anche se non Y o una Z che non
sar in atto T o non- T ma che, in quanto ora, potrebbe essere in atto
T o non-T (82). Solo come atto e come riferimento ad un atto il possibile reale e solo in questo senso anche la premessa minore del sillogismo
di I" figura pu essere negativa, mentre in realt sempre affermativa, in
quanto asserisce che una possibilit c'. L'attualit. si rivela ancora una
(82) Tra ' possibile che cammini ' e ' possibile che non cammini ' intercorre
lo stesso rapporto che passa tra ' bianco ' e ' non bianco ' e tra ' conosce il bene '
e 'conosce il non bene' (An. pr. A, 46, 51 b, ro-13). Il rapporto qui menzionato
chiarito poco oltre a proposito di '(aov >> e di ~ /,~:vx6 . N sono la stessa cosa
l' ' essere non uguale' ed il ' non essere uguale ' : il primo, infatti, cio l' ' essere non
11guale' presuppone un qualcosa, che proprio l' ineguale, mentre il secondo non presuppone nulla. Perci non ogni cosa uguale o ineguale, mentre ogni cosa uguale
o non uguale. Anche ' il legno non bianco ' e ' il legno non bianco ' non si accordano. Se infatti il legno . non bianco, il legno ci sar; se invece il legno non
bianco non necessario che il legno ci sia (ibi<l. 25-31). Cfr. anche Cat. 10, 13b,
12-19;

27-32.

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92

LA STRUTTU~i\ NECESSARIA DEL LINOUi\0010

volta come l'orizzonte entro cui si imposta tutta la ricerca di Aristotele,


per il quale il linguaggio sempre enunciazione di un essere, che per
pu essere necessario o possibile, non essendo l' essere che la struttura,
entro cui il necessario ed il possibile possono essere enunciati : ma esso
la struttura entro cui possono essere enunciati perch la struttura entro
cui soltanto sono reali, nel senso che il necessario reale perch sempre
comprensibile entro questa struttura ed il possibile lo nella misura
in cui comprensibile in essa. Queste strutture che costituiscono il vero
nocciolo del reale ed il cui nucleo costituito dall'esclusione antifatica
dell'essere e del non-essere si preciseranno ora sotto forma di struttura
sostanziale del reale: quest'ultima la struttura stessa dell'attualit,
che pure fa in qualche modo posto a ci che ancora non atto. Ora dire
essere appunto dire in atto , cio piena realizzazione di quelle
strutture ; ma anche il dire non ancora in atto cio in potenza
possibile solo entro quelle strutture e per quelle strutture.
Analoghe considerazioni si possono fare per la 3 figura dove appunto
reali sono le attualit della possibilit stessa, in quanto possibile asserire che alcuni A sono C, perch A e C sono entrambi possibilit attuali
di B, comprensibili solo nell' attualit e nella sostanzialit di B : sorto
quelle attualit che B, in atto, pu ulteriormente realizzare, sebbene non
si possa dire fin da ora se esse o il loro contraddittorio saranno realizzate. Assai interessante , invece, il fatto che la 2" figura non presenti
conclusioni quando ha entrambe le premesse del possibile. La ragione che
ne d Aristotele che non si pu convertire universalmente l'universale
negativa del possibile (83), per il suo immediato passaggio nella universale
affermativa ; sicch non possibile passare per conversione dal sillogismo possibile di 2 9 figura al sillogisino possibile di I" figura (8 4). N
possibile usare la dimostrazione per assurdo visto che nel possibile affermazione c negazione si equivalgono (85 ). Del resto quando il sillogismo ha conclusione affermativa dovrebbe avere invece conclusione negativa, quando ce l'ha negativa dovrebbe averla invece necessaria (SO). A
( S:l) Innanzitutto dunque bisogna dimostrare che non si converte l'asscr?.ionc di
una possibilit negativa, per es. se A possibile pct nessun B, non necessario che
anche B sia possibile per nessun A~ .(An. pr. A, I7, 36b, 35-37).
(84) Si supponga che A sia possibile per nessun B, ma per ogni C. Non c
sar sillogismo per conversione : si detto infatti che una simile proposizione non si
converte (An. pr. A, 17, 37a, 32-35).
{85) N il caso contemplato nella nota precedente potr essere risolto con la
prova per assurdo: posto infatti che B possa inerire ad ogni C, nulla vi sar di
falso: infatti A potrebbe inerire a tutti come a nessun C (A t~. pr. A, 17, 37a,
35-37).
( SG) Comunque chiaro che, se ci fosse sillogismo, sarebbe del possibile perch
non si assunta nessuna premessa dell'essere, e sarebbe affermativo o negativo ; ma
non pu essere n l'una n l'altra cosa. Supposto infatti che abbia conclusione affermativa si pu mostrare con l'esame dci termini che la conclusione non pu essere;
supposto che il sillogismo sia negativo si pu mostrare che la conclusione non possibile, ma necessaria>> (An. pr. A, 17, 37'a, J8-b, 3).

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I S!LLOOISMI D~LLA POSSIB!LITA

93

fondamento di tutte queste argomentazioni sta per il fatto che i sillcgismi di 2 .. figura concludono sempre con l'esclusione reciproca di due
termini, cio che il loro senso dato proprio da questa qualit della conclusione, mentre quelli di I" non hanno particolari conclusioni che li caratterizzino e quelli di 3n sono contraddistinti dalla particolarit rispetto alla quale la possibilit indifferente. Ora quella conclusione perderebbe ogni significato se potesse essere subito convertita in una affermazione, cio se potesse immediatamente passare in una non esclusione:
in questo senso le conclusioni della 2 .. figura sono sempre o assertorie o
necessarie. Ma l'esclusione di due termini fondata sul fatto che, data la
loro natura sostanziale, ad essi non potr mai convenire o attualmente
non conviene una certa X rispetto alla quale si manifesta la loro alterit;
ma, appunto, bisogna che ad essi convenga o non convenga non che possa
soltanto convenire come non convenire. Qui si precisa la concezione aristotelica della possibilit che assoluta indeterminazione non autorizzante
una ricerca di direzione probabile di andamento delle cose possibili, ma
solo un'alternativa sempre aperta, sicch ad ogni possibilit negativa consegue un' identica possibilit positiva; per cui il riscontrare una possibilit
positiva di X in un termine ed una negativa di X in un altro non affatto
indicativo dell'esclusione di essi: per questo l'universale negativa possibile
non convertibile. Infatti una relazione di possibilit tra due termini non
esaurisce mai completamente l'ambito di essi, tanto che, se A pu non
essere B, questo, a sua volta, possa non essere A, perch la possibilit
di B compresa e determinata nell'ambito di essere di B ; perci
l'esclusione di due termini fondata sul loro essere reciproca e piena,
<!uella fondata sulla loro possibilit non tale, perch presuppone l' essere entro cui il possibile riceye un senso. Per questo carattere di indeterminazione del possibile, inoltre, non si pu dare una dimostrazione per
asurdo del sillogismo del possibile di 2" figura, carattere che attribuito
in base al concetto di una scienza rigorosamente deduttiva fondata sulla
presupposizione di un'unica stntttura della realt costru~ta con la categoria
della necessit.
Anche i sillogismi di possibilit si prestano, come quelli di necessit,
. ad avere delle premesse miste, cio assertorie o necessarie, ed anche qui
si possono fare considerazioni analoghe a quelle gi fatte per i sillogismi
di necessit. Ammesso, infatti, che la premessa maggiore sia possibile, la
conclusione, almeno per la I" figura, sar possibile, sia che la prem~ssa
minore sia necessaria o soltanto assertoria: anche qui, dunque, nella
premessa minore essere e necessario si comportano allo stesso modo (87 ).
(87) Se si assume una premessa dell'essere e l'altra del possibile, quando la
premessa maggiore indica il possibile, tutti i sillogismi saranno perfetti c del possibile nell'accezione che abbiamo specificato (A n. pr. A, I S. 33 b, 25-28); Quando
una delle premesse indica l'esser necessario e l'altra l'esser possibile, ci sar sillogismo se i termini avranno i medesimi rapporti e sar perfetto se il necessario sar
~nunciato nella premessa minore; la conclusione se i termini sono affermativi, uni-

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94

LA STRUTTURA NECESSARIA DI'L L!NOUAOOIO

Non solo, ma qui si pu ancora aggiungere una osservazione a quelle


gi fatte precedentemente, e cio che nella premessa minore anche il possibile si rivela perfettamente sostituibile con l'essere ed il necessario;
infatti, ammessa la premessa maggiore possibile, si pu far passare la minore dal possibile all'essere al necessario e la conclusione non muta. Ora
in questi sillogismi, poich la conclusione possibile nel senso della assoluta indeterminatezza, si tratta ancora dell' essere della possibilit
pi che della possibilit di essere . Ma questo essere della possibilit,
poich appunto si tratta di essere, rivela nel sillogismo la struttura propria di ogni essere che in tanto in quanto c' necessariamente un
aspetto che fonda questo essere : cio in tanto c' la possibilit che A sia o
non sia C, in quanto in A c' B o la possibilit che esso sia o non sia B o
la necessit che esso sia B, nel qual B c' la possibilit che sia o non
sia C. Perch insomma ci sia una possibilit ci deve essere un aspetto
cui quella possibilit incrisca, il quale aspetto pu essere asserito sia
sotto forma di possibilit che di attualit o di necessit: basta che ci sia
una di queste modalit. Supposto che B possa essere o non essere C,
basta che in A ci sia la possibilit di B perch esso possa essere o non
essere C: infatti se asserisco B di A sotto forma di attualit la vera relazione pu poi essere di possibilit o di necessit non importa, ch l'attua~
lit si addice ad entrambe ; se lo si asserisce sotto forma di possibilit la
natura di A sar determinata dall'esserci in essa questa possibilit e cos
se ne sapr abbastanza per metterla in relazione con la possibilit di C;
se poi la si asserisce sotto forma di necessit, la cosa sar ancora pi semplice, perch si tratter solo di attualit permanente. Ci che conta nel
ragionamento sillogistico il determinare la natura del soggetto di cui si
parla; al che possono concorrere le possibilit come le necessit e le attualit tutte strette entro il vincolo della necessit sillogistica, cio ridotte
alla struttura necessaria dell'attualit, riscontrabile in esse in quanto sono.
Si profila allora la questione se la premessa minore possibile possa
essere valida anche con premesse maggiori necessarie o assertorie. In
questo caso per si passa alla seconda specie di possibile gi vista nel
De interpretatione, cio al possibile di cui non tanto importa l'essere
della possibilit quando la possibilit dell' essere, cio non tanto l'
possibile che ... quanto l' possibile che sia o l' possibile che
non sia. Infatti con le categorie dell'essere e del necessario non c' ambivalenza, ma nell'atto stesso con cui si determina la modalit si determina anche se si tratti di essere o di non-essere (88); per questo la passi-

versa li o non universali, sar del possibile e 11011 dell'essere (ibid. 16, 35 b, 23-28);
ibid. rs, 35a, 30-35; r6, 36a, 32-b, 2.
(88) Il BECKEP, op. cit., pp. 41-42, osserva a questo proposito che la necessit
si configura in due tipi che potrebbero c~sere enunciati rispettivamente con le forme
necessario che... (N [.EiA]) e l\ necessariamente R (N BeA). In realt per
nella categoria di necessit la determinazione modale non si stacca mai da quella

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l SILLOOISMI DELLA POSSIBILIT A

95

bilit del medio di un sillogismo con conclusione assertoria o necessaria


.deve anch'essa rinunciare all'ambivalenza. Lo studio particolareggiato
degli schemi sillogistici che concernono qusti casi presentato sotto
forma di sillogismi misti del possibile con l' essere e il necessario in cui
la premessa minore sia del possibile. Che questa nuova considerazione
dell'univocit del possibile si affacci qui, prova il modo in cui Aristotele
dimostra la validit dei sillogismi di r figura con una premessa assertoria
(_la maggiore) e l'altra possibile. Egli infatti si avvale della distinzione tra
falso ed impossibile (89 ), dei quali si pu dire che enunciano dei rapporti
reali che non sono, ma la cui differenza risiede nella modalit. Cio falso
ci che non in un dato momento, mentre impossibile ci che necessariarmmte non , cio n ora n sar in un altro momento qualsiasi, in
quanto l'impossibile proprio il verso del necessario (90 ). chiaro, allora,
che il falso si pu dare nel campo delle cose possibili e non in quello delle
cose necessarie : infatti la negazione dei rapporti reali sussistenti tra queste
t1ltime non potr mai realizzarsi, trattandosi appunto di negazione di rapporti necessari, cio tali che non possono mai venir meno, mentre pu sempre realizzarsi la negazione di un rapporto sussistente tra cose possibili,
cio tali che possono anche sempre non essere ci che ora sono. Distinto
il falso dall'impossibile Aristotele ammette che nell'inferenza semplice, se
la premessa impossibile, impossibile sar anche la conseguenza, ma se la
prima soltanto falsa, soltanto falsa sar anche la conclusione (91 ). Non
si introduce qui l' inferenza semplice; essa semplicemente considerata
come uno schema abbreviato del sillogismo, ma rispondente ad esso in
quanto stabilisce un rapporto di necessit tra l'antecedente ed il conseguente (92 ). Tutta questa argomentazione serve per introdurre la dimostrazione per assurdo del sillogismo di I 8 figura con premessa maggiore
assertoria e minore del possibile. Perch la dimostrazione per assurdo
riesca bisogna porre capo ad una impossibilit e non soltanto ad un'asc,ntologica, in quanto la necessit determina sempre subito il predicato antologico cui
essa deve essere legata.
(89) :B evidente che, supposto qualcosa di falso ma non impossibile, anche ci
che deriva dall'ipotesi sar falso, ma non impossibile (An._ pr. A, 15, 34a, 25-27);
Ch non la stessa cosa il falso e l'impossibile: che tu ora sia in piedi falso,
,ma 11011 impossibile (jly[et. EJ, 4, l 047 b, I 2-J4).
(90) Cfr. par. 7 del cap. I.
(91) evidente che se si pone qualcosa di falso, ma non impossibile, anche
ci che deriva dalla supposizione sar falso, ma non impossibile. Per es. se A (_, faiso,
ma non impossibile, essendo A, anche B, e anche B falso, ma non impossibile.
Poich infatti si dimostrato che se A anche B e se A possibile, anche B Io ,
si suppone che A sia possibile ed anche B lo sar: perch se fosse impossibile, la
stessa cosa sarebbe contemporaneamente possibile ed impossibile (Aih pr. A, 15, 34a,
25-33).
(92) Dalla posizione di un solo termine non deriva nulla di necessario, ma occorrono almeno due termini, per es. due premesse disposte nei modi. illus~rati ~ proposito del sillogismo >> (An.. pr. A, IS, 34a, 17-19). H. ScHOLZ, D1e A:nonzattk der
Alten., cit., pp. 259-278.

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LA STRUTTURA NECESSARIA Dl~L L!NOUAOO!O

96

serzione falsa che dimostrerebbe la parziale validit della tesi che si vuole
confutare ; del resto la prova per 1' impossibile vuoi mettere in luce come
una certa conseguenza non possa essere attribuita ad una cert'altra premessa, sicch prende propriamente in esame il rapporto premessa-conseguenza. Ora, questo rapporto, per Aristotele, non pu essere che un
rapporto sillogistico, cio necessario, sicch una riduzione all'assurdo
che non arrivi all' impossibile, non potr dire di aver confutato un rapporto di premessa-conseguenza che era appunto ci che la confutazione
si proponeva di confutare; perch esso, che necessario, richiede una negazione che abbia la modalit dell' impossibilit. La prova per assurdo
si fonda sulla stessa necessit sillogistica che presuppone : essa infatti implica che il sillogismo sia un insieme di nessi univoci che possono essere
percorsi dall'alto al basso o dal basso verso l'alto, senza che nessuno di
essi venga mutato. Se il percorrere l'argomentazione nei due sensi opposti non d lo stesso risultato c' un qualche rapporto che non dovrebbe
esserci, cio manca un rapporto necessario allo svolgimento del sillogismo
in quanto in suo luogo ne stato posto un altro non necessario} cio non
rientrante nel sillogismo, e perci npossibileJ in quanto non avverr mai
che quel sillogismo possa accoglierlo: quel sillogismo potr un giorno non
pi essere vero in quanto vengano meno i rapporti reali che enuncia, ma
non accadr mai che. quel rapporto sia accolto in esso fino a che sussiste ed
ogni volta che sia formulato. Proprio di questa propriet del sillogismo si
serve la prova per l' impossibile che introduca un termine dopo altri due,
che abbiano la struttura di premesse sillogistiche, appunto per esaminare
se detta introduzione permetta la realizzazione di un legame sillogistico
perfetto ; ma perch il termine introdotto possa davvero essere riconosciuto nella sua capacit o incapacit di fungere da termine di quel sillogismo, bisogna che gli altri restino invariati. In caso contrario nulla
garantisce che l'invalidit del sillogismo sia determinata dalla modificnzione di una delle premesse e non dall' introduzione del termine in
questione.
Il caso che si presenta ora ad Aristotele incontra appunto la difficolt di dover modificare una delle premesse. Infatti si suppone che
ogni B sia A e che ogni C possa essere B : la conclusione dovrebbe asserire la possibilit che ogni C sia A. La dimostrazione per assurdo assume
che non ogni C pu essere A (U 3) e che ogni C B, giungendo cos alla
conclusione che non ogni B pu essere A : e qui sta l'assurdo, cio nel fatto
che l'assunzione della conclusione non ogni C pu essere A porta, nel
processo sillogistico inverso, ad una conclusione contraddittoria a quella
di cui sarebbe dovuto essere conseguenza (94 ). Tuttavia pare che ci sia
un'irregolarit, perch la premessa minore che originariamente era ogni
C pu essere B stata mutata, nel corso della dimostrazione per as1

(03) Sull'interpretazione dell' llvMxrra.~ cfr. Ross,

(94) /In, pr. A, rs, .34a, 34-t, z.

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op. cit., p. 338.

l SILLOOISMI DELLA POSSIBILIT

97

surdo, in ogni C B . l\lla la modificazione introdotta, per Aristotele,


non compromette l'argomentazione, perch la trasformazione della premessa minore da possibile ad assertoria non.costituisce un passaggio impossibile, ma solo un passaggio falso; c il ne"rbo dell'argomento sta proprio nel fatto che un passaggio falso ha condotto ad una conclusione impossibile (011 ). A prescindere dalla correttezza di questo passaggio, ci
che ora interessa osservare come la risoluzione della possibilit in un
essere sia da Aristotele considerata legittima, almeno sotto un certo rispetto: infatti essa non involge una radicale impossibilit, non una
risoluzione che non andr mai fatta, ma soltanto l' asserzione di ci
che in questo momento ed in queste circostanze non , ma che in un
altro momento sar, se il possibile ci che ora non e di cui nulla
vieta di dire che in un qualche momento sar. Appunto perch il possibile pu essere considerato semplicemente come possibilit di un' attnalit, cio come potenza di essa, si pu ridurre la premessa del possibile ad una premessa assertoria. L' efficacia del possibile, in quanto
operatore della mediazione, trasferita tutta nella sua realizzazione come
essere: infatti solo falsando la possibilit in un essere - ma si tratta di un
falso che pu diventare vero, dal momento che non impossibile - si
ottiene il sillogismo di 3' figura con cui dimostrare l'assurdo. In questo
caso la possibilit si configura proprio come semplice non-essere della
attualit, come potenzialit, presentandosi appunto come il falso - cio
il non-essere - dell'essere. D'altra parte che di potenzialit si tratti conferma la successiva avvertenza di Aristotele, che bisogna considerare propriet che ineriscano alle sostanze permanentemente e non per un breve
lasso di tempo soltanto (96) : infatti, poich sale in primo piano la considerazione dell'essere di cui la possibilit possibilit, bisogna badare che si
tratti di un essere strettamente legato alla sostanza cui appartiene e non
semplicemente di un essere che si realizzi in essa accidentalmente. In tal
caso non si tratterebbe di una potenzialit ben determinata e procedente
verso mete precise, ma solo di una possibilit indeterminata che meri
terebbe di essere considerata solo in quanto possibilit di essere e di notiessere e non come potenzialit di un essere ben definito.
(O~)

An. pr. A, 15, 34b, r-2 (cfr. nota precedente).


Bisogna assumere ci che incriscc in ogni momento e non limitatamente ad
un certo momento del tempo, per es. ora o in un certo tempo, ma assolutamente;
infatti da premesse di questo tipo noi facciamo i nostri sillogismi, in quanto assumendo
premesse valide solo per il momento in cui si assumono non ci sar sillogismo. Infatti forse nulla impedisce che in un certo momento tutto ci(> che si muove sia uomo,
per es. se null'altro si muovesse; ma l'essere un essere che si muove spetta anche
ad ogni cavallo; eppure nessun cavallo pu essere uomo. Inoltre sia il termine maggiore animale , il medio essere che si muove e l'ultimo termine uomo. E
con le stesse premesse si dovrebbe avere una conclusione necessaria non possibile:
infatti l'uomo necessariamente t!ll animale. dunque evidente che bisogna assumere
premesse assolutamente universali c non con validit temporalmente limitata :> (An.
p r. A, 15, 34 b, 7-18).
(!~U)

C. A. VIANO, La logica di Aristotele.

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98

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL L!NGUAOOIO

Analoghe considerazioni si possono fare sul sillogismo di Ia. figura


con la premessa maggiore necessaria e la minore possibile. Mentre nel
caso in cui la premessa maggiore affermativa Aristotele si limita a rimandare al tipo di ragionamento da noi or ora esaminato (97 ), nel caso in
cui essa negativa egli ricorre ad un altro tipo di dimostrazione per assurdo, nella quale si prende come criterio per mettere in luce l'assurdit
della supposizione proprio la premessa minore. Ora, il risultato di questa
riduzione all'impossibile che il sillogismo di In figura con premessa
maggiore necessaria e minore possibile deve avere conclusione assertoria:
dall' assertoriet si ricava la possibilit univoca della conclusione (> 8 ).
Basta appunto questa osservazione a dimostrare come anche in questo
caso la possibilit sia considerata in relazione ad un essere ben detenninato di cui possibilit e non come reale indeterminazione tra due esseri
contraddittori. Anche qui possibilit significa potenzialit, cio considerazione del non essere di un'attualit che sar, asserzione della sua:
non-impossibilit, ossia della non necessit del suo contraddittorio (99 ).
Questo carattere della possibilit spiega anche perch conclusioni di:
questa modalit possano attenersi con sillogismi di 2" figura, in quanto,
appunto, l'asserzione della possibilit dell'esclusione di due termini non
che l'affermazione della non-impossibilit che si escludano : comunque
l' esame delle altre figure non rivela sostanzialmente nuove prospettive
e nuove concezioni di Aristotele, in quanto egli ne dimostra ia yalidit
non richiamandosi direttamente ai fondamenti della sillogistica e della
logica in genere, 1~1a per conversione alla prima figura.
Con i tipi di sillogismo che finora abbiamo presentato termina l'analisi di Aristotele, che si proposto di esaminare i modelli di tutte le combinazioni sillogistiche che potevano darsi, per discriminare i limiti della
loro validit. In tutte queste argomentazioni, per, non abbiamo trovato
delle definizioni esplicite delle categorie della modalit che paiono presupposte, mentre invece si fatto sempre pi impellente il problema dell'orizzonte entro cui queste categorie sono comprese e della struttura reale
entro cui hanno realt le cose cui dette categorie si addicono.
(97) Che dunque essendo i termini affermativi la conclusione non sia necessaria
evidente. Si supponga infatti che A inerisca necessariamente ad ogni B e B po%a
inerire ad ogni C. Si avr un sillogismo imperfetto che concluder che A pu inerire
ad ogni C. Che sia imperfetto chiaro dalla dimostrazione: lo si dimostrer infatti
allo stesso modo dei casi precedenti .(Aih pr. A, r6, 35 b, 37-36a, 2).
(98) Se le premesse non sono identiche, sia la prima negativa necessaria e A
non incrisca a nessun B, ma B possa inerire ad ogni C. necessario che .1 non
inerisca a nessun c_ Si supponga infatti che inerisca a ogni C o a qualche C; si era
supposto che non potesse inerire a nesstm B. Poich dunque si converte la proposizione negativa, neppur B non potr inerirc a nessun A; si suppone che A inerisca ad
ogni C o a qualche C: perci neppur B non potr ineri re a ogni C o a nessun C;
ma da principio si era supposto che potesse incrirc ad ogni C. evidente che il sillogismo concluder anche con un ' possibile che non sia' se conclude con un 'non
' (An. pr. A, 16, 36a, 7-17).
(99) Cfr. W. D. Ross, op_ cit., pag. 336: A. HF.CKF.R, op. cit., pag_ 47.

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99

IL SIGNIFICATO Jlf.LLE CATEGORIE MODALI

IO. - IL SIGNIFICATO DELLE CA1'ECORIE MODALI. forse opportuno, prima di procedere, richiamare brevemente alla memoria quanto
fin qui Aristotele ha stabilito a conclusione di analisi precedenti e a fondamento delle successive. Ogni cosa reale solo collocandosi da un lato
dell'antifasi di essere e non-essere cui corrispondono rispettivamente, nel
discorso, l'affermazione e la negazione che possono essere vere o false:
ora una cosa determina detta alternativa quando in atto, sicch l'attualit la vera realt delle cose. Esse sono poi in se stesse necessarie o possibili : necessarie sono quelle del cui futuro nella sua totalit la necessit
antifatica, che il nocciolo stesso dell'attualit, in grado di dar conto,
mentre possibili sono quelle del cui futuro questa necessit antifat~ca non
in grado di dar conto. Sicch delle cose necessarie si pu sempre prevedere
l'atto, delle possibili esso non si pu prevedere, con la conseguenza che ci
si deve limitare alla sola enunciazione della alternativa entro la quale, essendo essa necessaria, la realt del futuro dovr essere compresa. La possibilit risulter allora semplicemente dalla negazione della necessit, cio
dell'affermazione che l'orizzonte della necessit antifatica non pu dar
conto del futuro delle cose possibili ; ma poich questo orizzonte la
struttura necessaria della realt, le cose possibili saranno quelle che non
sono attuali o non sono veramente reali - nel primo caso si tratta di
potenzialit, nel secondo di accidentalit - consistendo la loro realt nel
non-essere (attuali o reali), cio nell'essere possibili. Da tutto ci era
risultato come le categorie modali avessero preso tutto il loro significato
solo nell'ambito della necessit antifatica, che l'orizzonte in cui si svolge
il discorso, perch la struttura necessaria del reale.
Abbiamo visto come a fondamento di ogni determinazione modale
stia la stessa necessit antifatica esprimentesi nell'affermazione o nella
negazione ; ora questa alternativa ha rivelato le sue intime strutture di
necessit nel sillogismo. Infatti esso si svolge tutto entro la contraddizione di cui sceglie un como sviluppandolo o, meglio, il sillogismo non
che la collocazione del discorso in uno dei membri dell'antifasi, quando
per discorso non si intenda solo la proposizione nella sua immediatezza,
ma propriamente tutto un organismo in cui s enunciano le ragioni per
cui una data cosa si colloca da un certo lato dell'antifasi. Questo organismo si regge sui legami di necessit che lo costituiscono e che, appunto,
sono necessari nel senso che la relazione tra la determinazione dell'antifasi
e la ragione per cui essa stata determinata in un certo modo tale che
non si pu pensarne una diversa. Questa necessit linguisticamente si traduce nel fatto che il soggetto della proposizione in cui si detennina l'alternativa antifatica anche il soggetto cui si attribuisce la ragione per cui
detta alternativa si determina in quel senso (10). Perch l'orizzonte in

(100) Ci limitiamo a considerare la prima figura; ma ci che


si pu facilmente estendere anche alle altre.

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SI

dice per essa

100

LA STRUTTURA NECI.:SSA~IA OEL L!NOUAOOIO

cui il discorso apofantico non pu non svolgersi quello dell'antifaticit,


il sillogisrno ha ragion d'essere con tutti quei compiti che ad esso vengono
attribuiti da Aristotele, in quanto solo entro questo orizzonte esso pu
configurarsi come l'unico mezzo capace di offrire le ragioni dei singoli
asserti ; d'altra parte, per, questo orizzonte si arricchito della possibilit di fornire una ragione del modo in cui si determina l'antifasi. Perci
la struttura dell'attualit, cui necessit e possibilit si commisurano, non
pi soltanto l' immediata collocazione da un lato dell' antifasi, ma la
presenza di un aspetto che necessa-riamente d conto di questa collocazione: perch una cosa X, di essa si predica Y e non non Y. Con ci
tuttavia non si introdotto un principio nuovo accanto a quello del terzo
escluso, perch l'attribqzione dell'aspetto essenziale di una cosa va ancora
soggetta a quella legge, cio si configura ancora come un'affermazione o
una negazione che deve a sua volta essere provata: perci all' inizio di
tutto il processo c' l'assunzione di un membro di una contraddizione.
Entro questo schema della necessit del discorso, ora pi complesso,
devono trovare posto le categorie della modalit, secondo le quali si possono avere le conclusioni che, appunto come proposizioni riguardanti
cose, possono essere possibili o necessarie o enunciare soltanto l'essere
come attuale. Ora nel sillogismo una delle premesse deve sempre essere
simile, anche nella modalit, alla conclusione (101 ), cio una conclusione
necessaria o possibile presuppone almeno una delle premesse necessaria o
possibile. Il che vuol dire, che per asserire un attributo necessario di un
soggetto, bisogna che in quel soggetto ci sia una ragione per asserire appunto quell' attributo necessario o possibile, cio per cui quell' attributo
possa essere predicato di quella cosa anche nel futuro o per cui si debba lasciare indeterminato se quell'attributo in futuro converr o non converr a
quella cosa (accidentalit) o si debba dire che non impossibile che con-
venga (potenzialit). Se ora consideriamo la cosa dal lato opposto, vediamo che una conclusione necessaria presuppone sempre una ragione della
sua necessit; cio ogni volta che quella conclusione c' ci deve essere
anche la ragione per cui c' e poich, essendo necessaria, non possibile
pensare che non ci sia, cos anche della ragione per cui c' non possibile
pensare che non ci sia. Eppure Aristotele ammette che detta ragione
possa essere asserita come semplicemente attuale: in realt, asserendo
l'essere di quell'aspetto si asserisce ci che la cosa nella sua essenza e
non potrebbe non essere, in quanto proprio da quell'aspetto derivano alla
cosa quelle attualit che non le possono non essere attribuite, pena il dire
l' impossibile; cio propriet che, inerenclo sempre alla cosa, implicano
che sia sempre reperibile nella cosa l'aspetto per cui sono preclica.hili di
( 101 ) chiaro che in ogni ~illogismo o entrambe o una delle premesse devono
essere simili alla conclusione. Intendo dire non solo per l'affermativit o la negativit, ma anche per l'enunciazione del necessario, del possibile o della semplice
inerenza (An. pr. A, 24, 41 b, 27-31).

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JL SIGNifiCATO DELLE CATEGORIE MODALI

101

essa. In questo senso nulla muta l'asserire il medio nella premessa minore
di Ia figura come necessario o come attuale. I?'altra parte l'asserirlo come
possibile significa solo concludere con un possibile uguale al non-impossibile, cio coincidente con il necessario di cui asserisce appunto la possibilit. Anche con il complicarsi e il completarsi dell' antifaticit nella
struttura sillogistica, il necessario continua a essere la sempre ulteriore
ripetibilit di una proposizione che, in questo caso, la conclusione di
un sillogismo, implicante, perci, la sempre ulteriore ripetibilit del sillogismo stesso a proposito del soggetto per cui stato riconosciuto valido
la prima volta. Ora, poich il sillogismo, con la necessit deduttiva che gli
inerente, stato riconosciuto come lo svolgimento della stessa alternativa antifatica determinata in uno dei suoi corni e come costante eliminazione del corno che potrebbe contraddire a quello scelto, cio - essendo
!"attualit la determinazione gi operata di un corno -,come la struttura
necessaria, intrinseca ad ogni attualit, la necessit la sempre determinabile attualit, che implica la costante presenza nella cosa degli aspetti
che giustificano quell'attualit.
I sillogismi riguardanti la possibilit non possono di certo presentarsi come determinazioni di un'alternativa antifatica, perch il possibile , per definizione, ci di cui non si pu determinare quale membro
debba essere predicato: in questo senso esso ha il medio :Tmmw e non
fonda alcuna scienza (1 2 ) essendo uewwv. Poich ufficio del sillogismo
proprio quello di detern1inare l'antifasi, parrebbe allora che non dovrebbero sussistere proprio quei sillogismi che invece Aristotele indaga con
molta cura. Ma appunto il possibile reale come possibile, in quanto,
cio, se ne pu asserire la possibilit: infatti una proposizione che affermi
possibile .... cade anche essa sotto l'alternativa antifatica insieme con
quella della forma non possibile ...... . I sillogismi di possibilit asseriscono appunto la possibilit in quanto tale, lasciando del tutto indeterminato se si tratti di possibilit del negativo o del positivo, che in
realt qui sono sullo stesso piano. Possibile quindi ci di cui si pu
asserire la indeterminatezza antifatica, ci di cui non si pu mai dire
quale corno della contraddizione sia vero : anche qui il possibile si presenta come la nega7.ione della necessit e dell'attualit, nel senso che o
possibile perch ancora non attuale o perch, a differenza del necessario, di esso non si pu dire fin da ora come si attuer nel futuro. Se
da un lato il possibile mera indeterminazione, dall'altro semplicemente
la negazione dell'attualit c la sua proiezione retrospettiva, sia poi questa
attualit necessaria o no, come il caso dei sillogismi di I figura con
premessa minore possibile e quella maggiore assertoria o necessaria: in
questi casi, infatti, la possibilit della conclusione significa solo la nonimpossibilit, senza che venga asserita anche l' indeterrninazione antifa11

(102) An. pr. A, 13, 32b, 18-19.

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102

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINOUAOG!O

tica (103), perch si tratta non della possibilit stricto sensu, ma di quella
che omonima con la prima e coincide con la non-impossibilit dell'attuale
e del necessario, essendo spesso privata di una delle alternative che risulta
senz' altro impossibile. Quando poi il sillogismo ha premessa maggiore
necessaria e minore possibile ma ha conclusione negativa, cio di esclusione, allora essa non pi possibile, ma assertoria, perch la possibilit
stata considerata come una effettiva ed attuale propriet del soggetto,
tale cio da distinguerlo attualmente da ogni altro soggetto cui quella possibilit non inerisca (1 4 ). Sicch il possibile in s non mai oggetto di
ricerca anche se di esso si danno dei sillogismi, perch questi ultimi non
considerano il possibile in quanto tale, ma solo quanto di esso riducibile all'attualit e cio l'esser possibile, nel senso che una propriet pu
essere attribuita o no acl un oggetto senza che si possa per precisare
quando sia attribuibile e quando no. Perci in questo caso possibile
vale solo come negazione di necessario o di attuale ed ha carattere
soltanto verbale, in quanto non d alcuna utile indicazione per una ricer.ca, perch non dispone di mezzi di ricerca che possano scoprire alcune
linee eli persistenza di queste propriet. Altre volte il sillogismo sposta
la sua considerazione al contenuto stesso della possibilit, cio a quella
attualit che non ancora o a quella necessit eli cui il possibile rappresenta il lato negativo, in quanto ne asserisce la non-impossibilit. Nel
primo caso il possibile vale solo come propriet di una cosa che ha la
caratteristica di poter essere affermat.1. o negata senza che nulla muti, nel
secondo caso il possibile deve essere negato come tale per poter servire
nella mediazione sillogistica. ben vero che Aristotele parla anche del
per lo pitl ma anche vero che per ora non d di esso nessuna fondazione particolare n menziona la possibilit di escogitare un linguaggio
scientifico adatto acl esso, presupponendo anzi che unico linguaggio
rigoroso sia quello sillogstico, che costruito con nessi necessari e adatto alla necessit o all'attualit, cio a quei casi in cui l'antifasi sia determinata o determinabile in anticipo e non a quelli che non hanno ragioni
per cui necessariamente essa si detennini.
Tra il possibile ed il necessario l'essere non pare pm avere un posto suo particolare e distinto, non potendo le cose che essere o possibili o
necessarie. Ma l'essere inteso come attualit proprio del possibile, sia
come attualit del possibile, ossia di ci che per un aspetto possibile,
sia come contenuto del possibile stesso. D'altra parte esso proprio del
necessario in quanto il necessario ci che sempre in atto o di cui si
pu predire sempre l'atto. Ma allora l'essere come attualit non solo
una fonna dell'essere, ma la sola fonna vera dell'essere, mentre possibi-

( 1 03) Questo sillogismo non del possibile che stato distinto prima, ma del
non inerire necessariamente a nulla (An. pr. A, 15, 34b, 27-28).
(104) An. pr. A, r6, 36a, 7-17.

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LA STRUTTURA SOSTANZIALE DEL REALe

103

lit e necessit non sono che modi diversi di questa forma, inerenti non
all'essere stesso, ma alle cose che sono: la struttura dell'essere e cio dell'attualit diventa allora la vera struttura del reale, intessuta dei legami
della necessit sillogistica. Entro questa struttura necessaria le cose necessarie sono quelle che veramente sono in quanto di esse quella struttura
pu sempre dar conto, sia che siano sempre in atto, sia che il loro atto sia
sempre determinabile, mentre le possibili sono quelte che propriamente
non so1w in quanto semplici negazioni di una determinata attualt (1") ;
eppure anche queste ultime, in quanto si pu asserire che non sono ed
in quanto non sono una determinata attualit, ricadono sotto il dominio
dell'essere. N si pu pensare che alla possibilit venga riconosciuta una
struttura sua propria o che per essa venga cercato un tipo di discorso apposito, ch la struttura necessaria per Aristotele tale che il pensarne una
diversa impossibile, sicch quanto non rientra in essa propriamente
non . Studiato il configurarsi di questa struttura nel discorso si dovr
ora vedere il suo preciso delinearsi nel reale attraverso gli stessi cenni di
Aristotele.
I r. - LA S'rRUT'J'URA sosTANZIALE DBL REALE. Abbiamo gi visto
come per Aristotele il presupposto dello stesso poter sillogizzare sia
l' inerire delle propriet alle cose come sostanze, cio come condizione
del sillogismo sia la sussistenza delle sostanze. Senonch l'analisi allora
intrapresa dovette essere interrotta, perch si manifest l'opportunit di
indagare alcune categorie modali che comparivano nella trattazione aristotelica ; d'altra parte per la ricerca sui sillogismi modali rinvia ancora
una volta allo studio della struttura sostanziale del reale, perch le stesse
,categorie modali non ricevono significato se non entro una struttura linguistica di cui quella sostanziale il presupposto. Rinvianti continuamente l'una all'altra, struttura necessaria del discorso e struttura !lecessaria della realt non sono che una e medesima struttura vista da due lati
diversi e le cui particolarit ora si precisano da un lato ed ora dall'altro,
sebbene siano sempre proprie e dell'uno e dell'altro lato.
Ci che ha mostrato l'opportunit di un'analisi dei sillogismi modali
stata la dichiarazione dello stesso Aristotele che vi sono sillog1smi adatti
alle cose che conseguono sempre a certe altre ed altri adatti a quelle che
conseguono solo per lo pitl (1 6 ). Ora, poich il conseguire sempre proprio della necessit caratterizzata appunto dalla omnivalidit. mentre il
per lo pi una delle specie della possibilit, era evidente che qui erano
presupposti i sillogismi modali. Senonch questi ultimi esigono che almeno una delle premesse abbia la stessa modalit della conclusione: e come
si determina che una propriet inerisce necessariamente o solo per Io

(105) De int. IJ, z~a, zr-z6.


(106) An. pr. A, 27, 4J b, 32-36.

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104

LA STRUTTURA NECl::SSA.RIA DEL LINGUAGGIO

pi ad un soggetto ? Anzi come si determina che una propriet propriet


di un soggetto, cio consegue ad esso? E, infine, le determinazioni dei
nessi di conseguenza e di antecedenza in che rapporto stanno con il sillogizzare vero e proprio? Queste sono le questioni che ora ci accingiamo a
trattare per cercare di stabilire i legami precisi tra struttura sillogistica
del discorso e struttura sostanziale del reale.
Cerchiamo prima di tutto di precisare il significato dei nessi r~ali di
necessit che paiono presupposti come un dato non sillogistico al sillogismo stesso e il rapporto di antecedenza-conseguenza che li costituisce.
Per poter fare un sillogismo, cio per stabilire un nesso fra due tem1ini,
bisogna esaminare gli antecedenti di questi termini al fine di vedere se
alcuni di essi siano identici e cio autorizzino ad asserire un rapporto di
inclusione proprio tra i termini in questione (10 7 ); ma il nuovo rapporto
cos trovato per via sillogistica sar poi un conseguente di quei tem1ini o
di uno di es~i, sicch. non si vede perch questo conseguente scoperto ora
debba differire dai conseguenti presupposti per la scoperta di quello. Infatti questi conseguenti della cosa in questione o sono dimostrati sillogisticamente - con un sillogismo dialettico o apodittico, non ha importanza o hanno valore di principi - dialettici o apodittici - ma, comunque, non
possono essere asseriti solo sulla base di una constatazione empirica,
pena l' incrinarsi delta necessit di tutto il processo; il che vuol dire che
ogni nesso di conseguenza che non abbia il valore di principio indimostrabile ed evidente o probabile cade sotto il dominio del sitlogismo. Dei
resto lo stesso Aristotele, dopo aver dato lo schema dell' inferenza semplice, dice chiaramente che esso solo uno schema, ma che nessuna
inferenza in realt possibile trarre se non entro lo schema sillogi~
stico (18) : i presupposti del sillogismo, perci, saranno conclusioni di
sillogismi precedenti, se non si tratta di principi, e ogni nuova conclusione di sillogismi andr ad allinearsi insieme con le altre propriet deJla
cosa che vi sono considerate come premesse. Resta perci assodato che
ocra ~:rcetL -c<() JtQciyfl"t'L non possono essere che conclusioni di sillogismi
e, comunque, non ricevono un senso che entro l'ambito del sillogismo.
Ma il sitlogismo ha bisogno di premesse, che di preferenza debbono
essere universali (109) e che, comunque, non possono essere che le propriet
(107) Se ci proponiamo di provare qualcosa di un certo tutto, dobbiamo indagare, per quel che riguarda ci che deve essere asserito, i soggetti di cui possa essere predicato, e, per ci di cui si deve asserire, quanto da esso consegua: se alcuni
di questi dati sono identici, il predicato inerir necessariamente al soggltto (Al~. pr.
A, z8, 43 b, 39-43).
(108) Inoltre non bisogna credtre che il nesso ' essendo A sar anche B ' asserisca che essendo A, come cosa singola, sar anche B : nessun legame neci'Ssario, infatti, nasce se si pone una cosa singola, dovendocene essere almeno due,
come per es. quando le proposizioni sono nei rapporti che si sono dt>tti a proposito
del sil1ogisrno (An. pr. A, 15, 34a, 16-19).
( 100 ) Bisogna raccogliere non ci che consegue alla cosa in un suo aspetto
particolare, ma ci che consegue ad essa nella sua totalit sostanziale, per es. non

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LA STRUTIUI<A SOSTANZIALE DJ;:L REALE

105

delle cose, cio ci che inerente alla struttura stessa delle cose. Infatti
le premesse possono essere il T[ crn, l' 'L~wv o il o'UJ.L~1Ef3rrx6, asseriti
l\o~ucrma o x.aT'aAfjtter.uv( 110): con le prime tre determinazioni abbiamo
tutti gli ingredienti fondamentali della sostanza, di cui bisogner vedere
i rapporti con la struttura sillogistica. Prescindendo per. ora dal d. crn,
possiamo notare subito che sia l'Y3w,, che il IJ'UfLBEBqx.6 fanno parte dei
T :n:6w:va che appunto cadono sotto la necessit sillogistica. Ma qui
sorge l'altra questione che finora rimasta nell'ombra, cio quella della
modalit delle premesse cui la modalit dei sillogismi deve adattarsi. Infatti 1"{3r.ov ci che inerisce solo alla cosa di cui 'proprio e si reciproca
perfettamente con essa ( 111 ), sicch la distingue da tutte le altre cose, appartenendole sempre e di necessit (sebbene vi siano anche dei propri di
altra specie) (112 ); invece il ovf!BE~'t']X.O ci che pu esserci e non esserci
in una cosa (113). Come si vede l' 'ttov ha tutti i caratteri del necessario,
mentre il n'l!ftBE~'Y]X.O ha quelli del possibile e l'uno e l'altro sono conclusioni di sillogismi. Del resto n la necessit dell'uno n la possibilit
dell' altro possono essere state rivelate da constatazioni empiriche che
non sarebbero mai state esaustive, sicch si deve ammettere che siano
conclusioni di sillogismi della necessit e della possibilit. Ma allora, se
ci limitiamo per ora al caso dell' tl\to,, perch una cosa possa essere
detta propria di un'altra necessario trovare in quest'ultima un aspetto
tale per cui la prima inerisca necessariamente : perch non si pu asserire
un proprio se non c' una ragione per cui necessariamente esso debba essere asserito, cio se la cosa non tale che qJ.testo proprio le spetti e la
contraddistingua. Infatti un proprio, per contraddistinguere una cosa c
reciprocarsi con essa, deve inerire a tutti i membri della specie cui la
cosa appartiene e deve inerire alla cosa in quanto proprio quella
cosa (114 ). Ora questi aspetti per cui un proprio proprio potranno essere dei propri, che contraddistinguono la cosa di cui sono propri, ma,
ci che consegue a qualche uomo, ma ad ogni uomo : infatti il sillogismo si compie
attt-averso premesse universali (An. pr. A, 2i, 43;b, III4).
(110) An. pr. A, 27, 43 b, 6-9.
(lli) Il proprio ci che non indica l'essenza, ma inerisce solo alla cosa di cui
proprio e si reciproca con essa (Top. A, 5, ro2a, 18-19).
{112) proprio di per s (Y-ail' a.ill:o) q m~ Ilo che si attribuisce alla cosa sotto
tutti gli aspetti e la separa da ogni altra cosa (Top. E, r, r28b, 34-35). Accanto al
proprio permanente ( ciet) che in ogni tempo vero della cosa e non viene mai
meno c' quello temporaneo (:n:o) che vero della cosa solo in qualche momento
e non segue sempre di necessit (ibid., 129a, 1-5).
( 113) L' accidente non ... n la definizione, n il x;ropdo, n il genere, ma
ineriscc alla cosa, e pu inerire a qualunque cosa o non incrire, pur restanto quella
sempre la stessa (Top_ A, S, 102b, 4-7)(114) Chi vuole affermare che un proprio tale deve indagare se pu essere
asserito con verit di ogni membro della specie e di ogni membro in quanto tale ;
cos possiamo dire che l'esser capace di scienza proprio dell'uomo perch animale
capace di scienza vero d ogni uomo e dell'uomo in quanto tale (( <'l.vftooo;to)
('l'op. E, 4, I32'a, 34- b, 2).

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LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINOUAOUIO

106

poich i propri sono anch'essi dedotti con un sillogismo, in ultima analisi,


dovranno essere ci a ragion di cui i propri sono propri, cio l'essenza
stessa della cosa, il d 6crn ; come a sua volta questo d an si possa
conoscere, altra questione che riguarda la definizione e di cui ci occuperemo pi tardi, dato che le cose che sono nell'essenza hanno particolari
rapporti di partecipazione e non di conseguenza (W>).
Un ragionamento analogo del resto pu ripetersi per il avf!.Bs[11]xo,
la cui possibilit indeterminata pu giustificarsi solo se si ammette che
nella cosa ci sia un aspetto che giustifica l'attribuzione di questa possibilit, cio ancora se nel -cC crTL - potrebbe anche trattarsi di un 'liho,,
che per presupporrebbe il -r( crn - c' una ragione per cui alla cosa
si attribuisca quella accidentalit, sia pure indeterminata, tale cio che
non si possa mai dire se ci sar o non ci sar: infatti l'accidente per un
verso un proprio anch'esso, sebbene non con i caratteri della necessit che
spettano al proprio in senso stretto (116). In questo senso Aristotele dice
che bisogna sempre cercare ci che consegue o([l nTl :rtQayf!.ULL e non soltanto nv( ( 11 7), in quanto cio bisogna tener conto dell'essenza della
cosa e non di un suo aspetto accidentale ; tuttavia neppure bisogna perdersi in generalit inutili, ma tener presente solo ci che contribuisce alla
comprensione della cosa e cio ci che la contraddistingue dalle cose che
le sono affini (118),
La struttura sillogistica del discorso allora l'esatto corrispettivo della
struttura sostanziale del reale: infatti ogni propriet attribuita ad una
cosa deve trovare nell'essenza di questa cosa o in ci che ad essa appartiene in proprio - e che, in ultima analisi, rinvia all'essenza -la ragione
necessaria della sua inerenza, o della possibilit o della necessit della sua
inerenza. Poich la necessit di questa ragione consiste nel fatto che d"l
essa non si pu non arrivare a quella inerenza o a quella possibilit o a
quella necessit, si comprende come il sillogismo, che necessario proprio in questo senso, appaia come la stntttura linguistica perfettamente
adatta alla sostanza e, nello stesso tempo, il luogo in cui si pu cogliere
(115)

dunque chiaro che le specie partecipano del genere (Top. A,

t, 121 a,

!2-13).
(116) Il proprio si d nella cosa o di per s e sempre o riguardo a qualche
altra cosa e solo in certe condizioni temporali~ (Top. E, r, rz8b, r6-r7). Proprio
quest'ultimo il caso dell' Hhov che non ha i caratteri rigorosamente necessari che si
addicono al proprio in senso stretto, sebbene non sia senz'altro l'accidente, ma ci
che si trova per lo pi : ma abbiamo gi visto come, ammessa la possibilit indeterminata, siano molto !abili i confini tra il casuale assoluto ed il per lo pilt.
A sua volta l'accidente pu valere come ragione dell' inerenza di un altro accidente, in quanto le asserzioni di possibilit indeterminata possono figurare come condusioni di sillogismi con entrambe le premesse possibili.
(117) An. pr. A, 27, 43b, II-12.
( 118 ) Bisogna assumere ci che proprio di ciascuna cosa: vi sono infatti
delle cose che sono proprie della specie nel suo esser diversa dal genere; ch neccs
sariamente nelle specie che sono diverse da essa c' qualcosa che ad esse appartiene
in proprio (An. pr. A, ZJ, 431b, 26-29).

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LA STR.UTTUR.A SOSTANZIALE DEL R.BALf

107

la necessit di quest'ultima j anzi solo dalla presupposizione della neces,


saria unicit della struttura sillogistica del discorso deriva l'asserzione
dell'unicit della struttura sostanziale del re<tJc. Ora, poich la prima s
spiega solo se si tien presente come tutto l' edificio sillogistico si fondi
sul principio del terzo escluso, per cui ogni sillogismo lo sviluppo di un
corno di un'antifa.Si, che ha di fronte a s sempre il corno opposto, sicch
il pensare che la ragione della conclusione possa essere ragione anche di
una conclusione diversa, sarebbe senz'altro pensare che ragione della
conclusione contraddittoria, detto principio appare anche come il fondamento della sostanza. Ancora una volta, perci, esso mostra il suo valore
non solo di regola del discorso, ma di principio della realt, in quanto
su di esso si fonda la struttura sostanziale del reale e la necessit che la
costituisce.
Guardando le cose dal lato opposto; vediamo che la sostanza della
cosa costituita a sua volta da ci che deve dare ragione degli aspetti
necessari della sostanza stessa e, come tale, non pu mai venir meno pena
la mancanza di una giustificazione per quegli stessi aspetti necessari che,
essendovi sempre, in quanto necessari, si reciprocano con la cosa stessa,
<"io ne sono i propri. Essi, come insegnano i Topici, contraddistinguono
la cosa da ogni altra, cio fanno s che la cosa sia quel che : il venir
meno di questi aspetti e delle ragioni che li giustificano sarebbe il venir
meno della cosa a se stessa. In questo senso la sostanza si configura come
il centro di intelligibilit del reale in quanto costituita da quegli aspetti
che danno ragione delle propriet caratteristiche e distintive della sostanza stessa (11 9). Questa intrinseca razionalit coincide con la necessit
per cui da quel centro di intelligibilit derivano quelle propriet e non
altre, in quanto ogni indecisione ed ogni possibilit effettiva di due derivazioni diverse sarebbe un vero e proprio termine intermedio tra i due
contraddittori ; termine inammissibile in base al principio del terzo escluso
che abbiamo visto reggere tutto l'edificio sillogistico e la struttura sostanziale che di esso il corrispettivo reale.
Se la struttura sostanziale propria di tutto il reale e nulla se ne
sottrae, essere vorr dire essere in una sostanza cio essere affermato ed
esser vero di una sostanza; con il che si ricostituito il plesso dei significati della copula gi apparso inscindibile fin dallo studio del De interpretatione. Ma essere nella sostanza significa solo che nella cosa, cui la
propriet in questione si attribuisce, c' una ragione per cui necessariamente quella propriet va attribuita a quella cosa. Se poi la propriet inerisce necessariamente alla sostanza, allora necessaria, cio non "'i pu
pensare la cosa senza quella propriet ; ma perch ci si possa dire, bisogna che ci sia nella cosa una ragione di quella necessit, cio che ci sia
(119) Cerchiamo di conoscere e di indagare la sua natura e la sua sostanza e
{juindi quanto ad essa spetta: alcune di queste paiono propriet proprie dell'anima,
.altre paiono inerire ai viventi tramite quella (De an. A, t, 402a, 7-10).

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108

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

una propriet essenziale della cosa cui quell'attributo incrisca a sua volta
necessariamente. Ora quest'ultimo asserto non pu essere dimostrato
che con un precedente sillogismo e cos deve essere assodato anche il
secondo asserto. Ma l'attribuzione alla cosa del termine cui inerisce con
necessit la caratteristica da dimostrare pu anche non essere necessaria,
come hanno dimostrato le analisi dci sillogismi modali. Ora ci si spiega
con la stessa necessit propria della stntttura sostanziale, per cui tutto ci
che appartiene alla sostanza deve avere una ragione che necessariamente
lo giustifichi; se ci che necessario sempre nella sostanza e, perci,
la caratterizza, la ragione di esso sar ci senza cui la sostanza non
sarebbe pi se stessa, sicch non pi necessario assodarne la necessit,
una volta che si visto come in esso si giustifichino aspetti imprescindibili della sostanza stessa. Il dire che A X , se X d ragione della
necessit di Y per A, significa dire che la natura stessa di A o un
suo aspetto si rivela in X, sicch, senza X, A non sarebbe pi A: in
questo caso, cio, il dire che A X significa dire che ad A spettano tutte
le propriet necessarie di X e tali da rendere inconfondibik la natura di
A. Se si perde di vista lo schema sostanziale di cui il sillogismo il corrispettivo, allora si trova assurdo che per Aristotetle un sillogismo possa
avere conclusione necessaria anche se non sono necessarie entrambe le
premesse; ma se si bada che il sillogismo non uno stabilire connessioni
ex novo, ma solo riscontrare quelle che gi ci sono cpuaEL, allora si vede
che per Aristotele l'asserire sotto forma di semplice essere una delle premesse del sillogismo necessario non pregiudica affatto la necessit stessa
della conclusione. A questo proposito avevamo osservato, parlando del
sillogismo, che nell'essere della premessa assertoria di una conclusione
necessaria affiora l'essere come orizzonte della stessa necessit: ora questo essere appare come l'affermazione della sostanzialit delle cose cui
spetta la propriet necessaria, cio come la determinazione dell'ambito
sostanziale, dell'essenza entro cui quella propriet compresa. Se, volendo
dimostrare che l'uomo necessariamente mortale, si premette che tutti
gli animali sono necessariamente mortali, ma poi ci si limita a dire che
l'uomo animale, non si pregiudica affatto la necessit della conclusione
che tutti gli uomini sono mortali. Infatti quell' della premessa minore
significa che la natura dell'uomo quella di essere animale, sicch l'animalit gli essenziale per essere uomo ; se poi si abbietta che tutto
ci giusto solo perch l'animalit serve a dimostrare gli aspetti imprescindibili dell'uomo, uno dei quali , appunto, la mortalit e che perci si
commette un circolo vizioso, si pu rispondere che questo circolo si trova
alle fondamenta stesse della logica di Aristotele, per la quale i processi di
ricerca hanno valore solo se ripetono strutture reali delle cose, cio solo
se le loro conclusioni sono gi impresse nel reale prima di essere state
dedotte da chi le cerca. Dal punto di vista del sillogismo la necessit si
presentava come la sempre ulteriore ripetibilit del sillogismo stesso, cio
la sempre ulteriore reperibilit di una ragione per asserire l'attributo che,

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LA STRUTTUI~A SOST AN7.1ALL~ LJEL RF.ALE

109

appunto, necessario; dal punto di vista della sostanza la necessit si


presenta come la sempre attribuibilit di una propriet ad un soggetto
per la stessa natura di quel soggetto, che non necessaria solo perch
semplicemente ed il fondamento stesso della necessit: detta natura
l'orizzonte sostanziale che rende possibile le stesse propriet necessarie.
Anche la possibilit non trova significato se non entro la struttura
necessaria della sostanza. 11 possibile propriamente ci di cui la sostanza alla quale appartiene non pu determinare a priori il comportamento
futuro, cio ci che non fa parte della sostanza se non nella misura in cui
indeterminabile. Per poter parlare del possibile bisogna trasferirsi o
all'attualit del suo esser possibile, cio al fatto che la sua indeterminabilit un aspetto della sostanza stessa, o all'attualit in cui si realizzer,
rispetto alla quale la sostanza il non esserci ancora. Quest' ultima
possibilit la potenzialit come proiezione retrospettiva della necessit
stessa della sostanza, e, come tale, coincide con la necessit di cui afferma
solo la non-impossibilit: in questo senso alcuni aspetti essenziali della
sostanza possono non essere ancora realizzati, ma non potranno non
realizzarsi, cio ci sono in potenza, e perci, in potenza ci sono anche
gli aspetti propri ('Lha) di quella sostanza. Poich, sebbene solo potenzialmente, questi aspetti ci sono e, anzi, ci sono necessariamente, perch
la potenzialit un aspetto della necessit:. anche le potenzialit contraddistinguono le sostanze e valgono a distinguerle le une dalle altre, come
dimostrano i sillogismi, che, avendo una delle premesse della possibilit
e l'altra della necessit, concludono con una proposizione assertoria, se
si tratta di un'esclusione di due termini espressa con una negazione. Nella
na.tura o essenza della cosa, cio nel suo esser sostanza, si trova il fondamento della necessit e della possibilit dei suoi attributi; in quella essenza che il fondamento della stessa neecessit del sillogismo entro la
quale solo si pu parlare di necessit c di possibilit di proposizioni.
Attraverso l'esame della struttura sillogistica sono cos venute in
luce le categorie principali di cui costituita la struttura sostanziale del
reale, il cui fondamento per il principio del terzo escluso nella sua
validit per il pensiero e per la realt: infatti il sillogismo si giustifica,
nella logica di Aristotele, solo perch si svolge entro la contrariet antifatica di cui nella I" e nella 3a figura sviluppo di un corno, nella 2a
contrapposizione dei due corni contraddittorii. In base a ci le cose non
pensate se non come soggetti di cui le propriet possono essere aiTermate
o negate, cio cui le propriet possono inerire o no, si costituiscono appunto come sostanze il cui nucleo sostanziale formato dalle ragioni
stesse che danno conto degli aspetti necessari, cio immutabili, della cosa
stessa, atti perci a distinguerla da ogni al tra, essendo proprii ( Yo w) di
essa. Ed il legame che vincola tutti gli aspetti della sostanza alla stm
essenza un legame di necessit, nel senso che, posta quella essenza, non
possono non derivarne quegli aspetti, o necessari o possibili. L'essere che,

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l IO

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LJNOUAOGIO

in quanto , necessario, perch determina subito un corno dell'antifasi


ed esclude necessariamente l'altro che si configura come suo contradditorio, precisa questa sua struttura di necessit nel complesso organismo
sostanziale, enunciato nel discorso sillogistico, in riferimento ai quale si
colloca ogni essere: se in questo organismo l'essere trova piena spiegazione di se stesso s da mostrarsi indispensabile alla sostanza stessa con
la quale si pu reciprocare, allora si tratta di essere necessario, altrimenti
si tratta di essere possibile che, per quel che non pu essere giustificato
dalla sostanza, propriamente non . La possibilit, invece, che si configura come potenza, cio come proiezione retrospettiva di una necessit,
non ha pi il carattere proprio della possibilit, in quanto il suo esito
univoco come quello della necessit c, perci, infallibilmente prcvedibile,
venendo meno l'elemento di incertezza proprio della possibilit.
12. - LA SOSTANZIALI'l' COME CO~NESSIONE CON IL RF.ALJ:;. Per
concludere con l'attribuzione di un termine ad un altro bisogna avere
delle premesse che riguardino l'uno e l'altro, cio almeno due proposizioni; ora ciascuna di esse deve essere dimostrata o attraverso un precedente sillogismo o con un' induzione (12) o in qualunque altro modo. Gi
abbiamo visto come per un lato il sillogismo contenga l'attribuzione alla
cosa di un aspetto che deve dare ragione di un determinato attributo che
ad essa inerisce, ma d'altro lato questo attributo deve prima inerire a
quell'aspetto stesso, perch esso possa giustificare la sua attribuzione
alla cosa di cui un aspetto. La premessa che contiene l'attribuzione della
propriet a quello che considerato l'aspetto sotto cui va guardata la cosa,
per vedere in essa l' inerenza della propriet in questione, deve essere
conclusione di un precedente sillogismo - apodittico o dialettico - o un
principio indimostrabile - evidente o probabile - ; mentre la seconda
premessa pu essere conclusione di un precedente sillogismo o una definizione. Perch il discorso abbia una sua validit, scientifica o dialettica, e non resti sospeso all'arbitrio individuale, deve muovere da premesse accertate scientificamente o dialetticamente ; sicch un discorso che
voglia essere saldamente coerente deve configurarsi come un complesso di
sillogismi ben concatenati l'uno con l'altro. Ma ci non deve far dimenticare che il sillogismo non instaurazione di nessi da parte del ricercatore, ma riconoscimento di nessi che esistono nel reale e che vanno,
riconosciuti: perci il concatenarsi dei sillogismi l'essere concatenata di
tutta la realt. Gi risultato che i nessi di antecedenza e conseguenza
della realt .sono il corrispettivo oggettivo delle conclusioni dei sillogismi
che li pongono c che, comunque, non possono prescindere dai sillogismi ;

( 12 0) Aristotele, parlando delle premesse e supponendo che esse siano A c R,


dice: o possono essere ottenute l'una c l'altra, A e B, con un sillogismo (per es
A con le premesse D cd E e B, a sua volta, con le premesse Z e T) o l' tma.
con un'induzione e l'altra con un sillogismo (An. />r. A, 25, 42a, 1-3).

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LA SOSTANZIALITA COME CONNESSIONE CON IL REALE

111

sicch, poich questi nessi di antecedenza e conseguenza sono i presupposti imprescindibili di ogni nuovo sillogismo, chiaro che i sillogismi che
dimostrano le premsse di ogni nuovo sillogismo sono proprio le enunciazioni di questi nessi reali. Ma i nessi reali precedentemente accertati sono
i presupposti di ogni nuovo sillogismo, perch da essi si giunge necessariamente, appunto, alla conclusione del sillogismo, nel senso che proprio
perch ci sono quei nessi, la realt costituita anche dai nessi che enuncer la conclusione del sillogismo: nell'asserzione che l'animale mortale
gi compresa quella che l'uomo mortale, perch tra le propriet dell'animale c' anche quella di essere genere dell'uomo. Non con ci che si
cada nel circolo vizioso di cui sempre stato rimproverato il sillogismo,
ma di cui non pu essere rimproverato il sillogismo aristotelico, almeno
nel senso in cui tradizionalmente si intende questa accusa. Infatti che in
l' animale mortale sia gi contenuto l' uomo mortale non dovuto al fatto che con un' induzione si sia assodato che l'animale mortale,
sicch vi sia anche compreso l'uomo, quanto piuttosto al fatto che nella
realt gi posto quel rapporto di conseguenza che si assoder poi con il
sillogismo : circolo vizioso, semmai, ci sar nell'indagare il sillogismo sulla
struttura del discorso e poi considerare quest'ultima come modellata su di
una struttura reale che, in realt, solo la prima proiettata nel mondo degli
oggetti. Comunque, resta fin da ora accertato che il reale una catena di
termini legati secondo rapporti di necessit, tali cio da rendere indispensabile che dopo A non venga B, ma non-E, proprio perch le sostanze
esistono prima che si sillogizzi su di esse, sebbene si attaglino perfettamente alla struttura del sillogismo: l'uomo mortale prima ancora che
si scopra sillogizzando che lo sia, ma lo perch sono gi stampati
nella realt quei rapporti che sillogizzanclo si scopriranno, in quanto il
reale fatto di sostanze e le sostanze sono la struttura stessa del sillogismo fatta reale. Se cos stanno le cose l'uomo sar mortale perch rientra nel genere animale, ma l'animale nell'atto stesso in cui mortale
si configura come genere dell'uomo in quanto appunto la sua mortalit
lo contraddistingue da ogni altro genere e lo fa essere genere dell'uomo.
Come dunque i sillogismi si muovono tutti su di una assoluta necessit in
quanto esclusione del contraddittorio, cos le cose sono costituite in modo
da concatenarsi tutte secondo l'esclusione del contraddittorio, sicch, posseduta una premessa, si pu giungere fino all'estemit della serie inclusa
nella premessa scelta, cos come 1'estremit inferiore dell serie stessa
rinvia necessariamente al suo inizio. Ogni conclusione perci, in quanto
richiede delle conclusioni precedenti, cio delle condizioni anteriori, si
riferisce a degli antecedenti, in quanto pu fungere a sua volta da premessa e, cio, da condizione di ulteriori sillogismi, si configura essa stessa
come antecedente. In questo senso il sillogismo lo sviluppo di un rap-

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112

LA S fRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

porto di inclusione ed in questo senso si svolge sempre nel campo di ci


che, contenuto in altro, pu a sua volta contenere un altro, e~ 1 ).
Tenendo presente ci che precede si pu comprendere in che senso
la logica di Aristotele non sia logica formale : non che il sillogismo non
possa di per s far parte della logica formale, ch anzi la storia della
filosofia mostra come ci sia avvenuto, e non, perci, che il sillogismo
presupponga sempre la struttura sostanziale del reale; ma nell' interpretazione di Aristotele il sillogismo presuppone appunto una certa concezione della realt e fonda la sua necessit e la sua efficacia scientifica e
dialettica proprio su questo presupposto. Ci si arguisce gi dall'esplicita
asserzione di Aristotele stesso che il sillogismo si svolge tutto entro
l'orizzonte antifatico, in quanto antifasi il suo punto di partenza che
sceglie un corno dr una contraddizione ed a.ntifasi il suo punto di arrivo
che determina, di nuovo, quale corno di una nuova contraddizione deriva
necessariamente da quello scelto. A ci aggiungasi la dichiarazione dello
stesso Aristotele che per sillogizzare necessario avere spiegata dinanzi
la struttura sostanziale delle cose su cui si vuole sillogizzare, struttura
che, con i suoi nessi di antecedenza e conseguenza, costituisce il fondamento di quegli stessi nessi che il sillogismo scoprir ; infine la trattazione dei sillogismi modali, che sempre parsa strana agli interpreti
sostenitori del formalismo della logica aristotelica, si comprende bene se
si adotta l' interpretazione di essa come logica del reale. Anzi le categorie
della modalit, che costituiscono poi il fondamento della sostanza in quanto essenza del reale e, cio, fondamento necessario di ogni aspetto di esso,
.si applicano al reale ed entrano a costituire le sostanze solo in base al
senso che hanno acquistato nel sillogismo.
Considerando che presupposto del sillogismo la sostanza e che, per
la situazione fondamentale della logica aristotelica, la struttura reale, pur
valendo come presupposto di quella linguistica, si scopre attraverso questa
ultima, si vedr facilmente come il concetto stesso di sostanza, colto qui

( 121) Di tutte le cose che sono alcune sono tali che non possono essere predicate validamente, secondo universalit, ili null'altro (per es. Cleone e Callia e r individuale ed il sensibile), ma altre cose possono venir predicate di esse (ed infatti ed
animale c uomo sono attribuibili a Callia e a Cleonc); altre si predicano di altre
cose, ma di esse nulla pu predicar si in pr-ecedenza; altr-e infine ed esse possono predicar si di altre cd altre di esse, come per es. ' uomo' di Cal!ia e 'animale' di uomo ...
Or-a della seconda categoria di cose non si pu dimostrare nessun IJr-edicato, se non
per opinione, ma esse possono essere dimostrate come predicati di altri soggetti; n
gli individui possono essere dimostrati come predicati di altri, ma altri di essi. Le
cose che stanno tra le due categorie ora nominate evidentemente possono tmvarsi
in entrambi i casi (cd essere dette come soggetti di certi altri predicati e fungere
<la predicati di certi altri soggetti) ed in generale possiamo dire che i ragionamenti
e le ricerche si svolgono soprattutto intorno a queste ultime:> (An. pr. A, 27, 4Ja,
25-43). Come ~i vede le cose che possono essere solo soggetti o solo predicati costi
tuiscono i termini primi o i termini ultimi del sil!ogismo che, invece, alimentato
proprio dalle cose che possono essere l'un termine e l'altro della proposizione, cio
.che sono pi adatte ad allacciare rapporti con il reale.

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LA SOSTANZIALITA COME CONNESSIONE .CON IL REALE

113

alle sue fonti, sia suscettibile di ricevere una interpretazione del tutto
diversa da quella ricevuta tradizionalmente. Infatti accanto alla tradizione
critica che, mettendo capo al Ravaisson ed ispirando gran parte della
storiografia filosofica francese, vede nella struttura sostanziale la spiritualit del reale, lasciando senza spiegazione il suo valore logico che si
rivela chiaramente in tutta l'opera scientifica dello Stagirita; a quella
che, vedendo nel concetto di essenza un residuo di platonismo, non scorge
il differente atteggiamento implicito nella dottrina delle idee ed in quella
ciel d f.lv ELV(XI., come avviene nel Robin; ed infine a quella che, interpretando le sostanze come un insieme di entit autosussistenti ed astratte
come fa per es. il Calogero (sebbene in questo indirizzo vi sia gran quantit di sfumature), si affida poi all' intuizione che dovrebbe del tutto sostituire l' intiero procedimento logico, del quale, invece, solo una parte :
accanto a queste tre principali vie di interpretazione, dunque, c' posto
ancora per una quarta che consiste nel non prendere il concetto di sostanza come un che di chiaro in s, ma nello scioglierlo e portarlo alle
sue premesse necessarie, per penetrarne le intime ragioni e nel non considerare la sostanza una cosa, ma un concetto, vale a dire uno strumento
pi o meno efficiente in vista di certi scopi che il suo autore si proponeva.
Partendo da questi principi e tenendo presente questi canoni interpretativi, la sostanza non appare pi come la cosa nella sua isolata profondit
e l' essenza come il nucleo pi inaccessibile della sostanza ; ch anzi
sostanza ed essenza legano la cosa al mondo, sono la traccia che la realt
ha lasciato nella cosa che si considera, sono il suo aprirsi nell'atto stesso
di connettersi con i principi e con le altre cose che di essa possono dare
ragione.
Che una cosa possa costituire oggetto di sillogismo significa, per
Aristotele, che essa in riferimento con catene di termini derivanti gli
uni dagli altri secondo rapporti di assoluta necessit. Infatti che su di un
oggetto si possa sillogizzare significa che esso una sostanza, cio che
costituito da rapporti organizzati in modo tale che l'uno possa rendere
ragione dell'altro in base alla relazione di antecedenza-conseguenza. Ma
questa relazione stabilisce un progressivo estendersi del campo di rapporti della cosa singola che si definisce appunto come singola via via
che in essa vengono in luce nuovi aspetti che la legano con le altre
cose. Infatti questi aspetti possono appartenere a pi di un soggetto e
costituiscono il fondamento antologico per l' inclusione degli individui
iq specie e generi entro i quali gli individui possono valere appunto
come individualmente diversi gli uni dagli altri. L' individuale, perci,
in quanto su di esso possibile istituire una ricerca, il punto di partenza. di tutta una serie di aspetti universali, cio appartenenti anche
ad altri individuali, ponenti capo ad universali massimi oltre i quali non
~i pu procedere (122) ; ma, d'altra parte, gli universali non possono non
( 1 22)

-8

C. A.

An. Pr. A, 27, 4Ja, 36-39.

VIANO, La logica di Aristotele.

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114

LA STRUTTURA !IJECBSSAR!A DEL LINOUAOOIO

essere in riferimento con gli individuali dei quali sono universali. Ci spiega perch Aristotele non ammetta la implicazione diretta di Diodoro
Crono come legittimo mezzo per stabilire un nesso di antecedenza-conseguenza (1 28 ) : infatti quel tipo di ragionamento stabilisce un rapporto
senza preoccuparsi di mettere in relazione i termini interessati ad esso
con tutti gli altri termini reali che servono a definire l' individualit propria di quelli. Invece il sillogismo attribuisce una propriet ad un soggetto in quanto quest'ultimo definisce la sua propria individualit in
relazione ad aspetti che danno ragione di quella attribuzione : cos a
Socrate conviene l'attributo di mortale, proprio perch costituito dalle
relazioni con quegli aspetti reali che lo fanno essere uomo ; e il termine
uom::> in grado di fondare l'attribuzione del predicato mortale
proprio perch si determina come uomo in relazione ad animale .
L'universale non un nome, un flatus vocis, n la sola vera realt, ma la
relazione reale di un medesimo aspetto con pi cose individualmente
diverse l'una dall'altra.
Abbiamo gi visto come, tuttavia, in favore dell' interpretazione
formalistica si possa citare la dottrina secondo cui il sillogismo dialettico
non procede da principi necessari ed assolutamente veri, ma solo da premesse probabili, cio tali che di esse non si sa se siano gli antecedenti
reali delle sostanze. anzi si sa che non si pu per ora sapere se lo siano :
eppure esso ha la medesima necessit degli altri sillogismi, la stessa coerenza, appunto formale. Qui sarebbe necessario un pitt lungo discorso
sulla distinzione di dialettica e apodittica e sulla nozione aristotelica di
probabile ( evao;ov) ; discorso eh~ ci ripromettiamo di fare pi tardi.
Comunque possiamo osservare fin da ora come tutto l'edificio dialettico
si regga su strutture che sono proprie dell'essenza sostanziale del reale e
come il discorso dialettico pu farsi solo in quanto le premesse probabili
hanno l'aspetto di enunciazione di certi ingredienti determinati della sostanza, cio solo in quanto sono un proprio, un genere, una differen::.:a, un
accidente ecc. (1 24 ) e l'unico mezzo di avviare un discorso dialettico
quello di assumere una proPQsizione, cio considerare qualcosa come un
genere, proprio, accidente, ecc. di una sostanza (1 25 ). Ora queste assunzioni sono solo probabili, cio non si esclude che di esse possa sempre
essere detto che non sono vere in favore del loro contrario, ma probabile

(123) An. pr. A, 15, 34a, 16-19.


(124) Ogni proposizione ed ogni problema indica o il genere o il proprio o l'ac-

cidente; ed infatti bisogna porre la differenza insieme con il genere in quanto ad


esso si riferisce (Top_ l, 4, 101 b, 17-19).
(125) Aristotele afferma che i mezzi con cui possiamo facilmente costruire si1logismi cd induzioni sono quattro"' (Top. I, 13, rosa. 21-23) e tra questi pone come
primo l' assumere proposizioni (ibid_, 23). Ora una proposizione non pu vertere
che su di un genere, un proprio o un accidente (cfr. nota precedente). sicch risulta
chiaramente come ogni discorso dialettico debba pronunciarsi su di un componente
della sostanza.

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LA SOSTANZIALITA COME CONNESSIONE CON IL ](!~ALI.:

115

si ammette che sia anche tutto il processo sillogistico che pende da queste
premesse con la conclusione che ne deriva: come quelle premesse sono
solo probabili, cio solo probabile il rapporto di quei due termini che,
proprio per quel rapporto, possono fungere da premessa del sillogismo,
cos solo probabile che i termini del sillogismo si colleghino in quel
modo e, poich la necessit del sillogismo deriva dai collegamenti reali,
cos essa stessa solo probabile. Appunto nell'aver distinto un sillogismo
dialettico sta la prova lampante della non formalit della logica di Aristotele: infatti per la logica formale, per cui il sillogismo non il vero scopritore di verit n la forma linguistica della realt, c' un sillogismo solo
che trae la sua vigoria dimostrativa solo dalla disposizione delle parole ed
sempre fornito della stessa necessit a prescindere dal configurarsi del
suo contenuto - di cui solo la forma estrinseca - ; invece per Aristotele la necessit sillogistica intimamente connessa con il contenuto
del sillogismo stesso. E poich ogni discorso apofantico non pu non
pretendere di enunciare l'essere, e poich l'essere ha sempre la stessa
struttura, sempre il discorso apofantico avr la configurazione del sillogismo la cui necessit differir secondo la posizione che il suo contenuto
occupa nell'essere. Ma questa questione ci conduce a parlare della verit
e' della falsit delle premesse.
Legato cos strettamente lo strumento di ricerca alla struttura necessaria della realt, passa in secondo piano lo sforzo del ricercatore stesso ed
il momento della raccolta dei dati e della loro interpretazione in vista della
concludenza di tutto il processo di ricerca; semplicemente si pu dire che
alcune niccolte di dati sono inutili o, meglio, inutilizzabili ( rlX(lELot)
per condurre a termine le nostre ricerche (1 26 ), in quanto con esse non
si potranno mai costruire premesse di sillogismi concludenti. Con il che
si ribadisce che il sillogismo l'unico mezzo di ricerca che l'uomo di
scienza abbia a sua disposizione e che d'altra parte ogni asserzione
vera o falsa in relazione al reale che esso enuncia e che non pu non
enunciare. Infatti anche le premesse non appropriate al sillogismo sono
(126) Le raccolte di dati inutili sono determinate in base allo studio degli schemi
delle figure sillogistiche, il che conferma che solo il sillogismo competente a pronunciarsi sul senso di una proposizione: altres evidente che altri tipi di raccolte di dati sono inutili per far sillogismi, per es. se i conseguenti di entrambi i termini sono uguali, o quelli cui consegue A e che non conseguono a E o quanti non
conseguono ad entrambi i termini: infatti non si avr mai un sillogismo da queste
raccolte di dati. Se infatti i conseguenti di entrambi i termini sono i medesimi, per
es. B e Z, si ha :a 2" figura con premesse alTerma ti ve; se sono identici gli antecedenti di A cd i termini che non possono conseguire ad E, per es. G e T, si ha la
1 figura con premessa minore negativa. Se identici sono i termini che non conseguono ai due estremi, per es. D e T, sono negative entrambe le premesse o nella 1
o nella z figura. In questo caso non si avr. mai sillogismo (An. fw. A, ~8, 44 b,
25-37). Per ben comprendere l'argomentazione di Aristotele bisogna tenere dinanzi
agli occhi questo schema: Siano dunque B i conseguenti di A e G i suoi antecedenti, D invece quei termini che non possono inerirc ad A ; di contro siano Z i conseguenti di E, H i suoi antecedenti c T i termini che ad esso non possono inerire
(ibid. 44a, 12-17).
'.,.-

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LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINOUAOO!O

116

conclusioni di sillogismi precedenti, in quanto enunciano dei nessi di antecedenza e conseguenza tra le cose, cio sono Xoyu ( di certi dati reali ;
il criterio per in base al quale si giudica se ; dati che si hanno a disposizione sono proficui o no per l' indagine scientifica solo la fattibilit
o meno di un sillogismo, perch solo sillogizzando si pu fare scienza.
Il mettere insieme due proposizioni da cui non nasca una conclusione,
se le proposizioni sono vere, non enunciare due falsit ma due verit
inutili perch tali che non sono in grado di indicare le vere linee di
svolgimento necessario della realt; l'unico mezzo per trovare queste
linee il sillogismo che fatto appositamente per la struttura necessaria
del reale. Il problema di come si possano dare proposizioni vere eppure
non significative per la ricerca non viene qui in luce, dal momento che
ne mancano i presupposti nei fondamenti stessi della logica aristotelica,
che ignora il problema della semanticit. Ci si gi visto a proposito dci
sillogismi non concludenti, a proposito dei quali risultato che se una
volta sola un sillogismo non conclude vuoi dire che in esso ha preso posto
qualche elemento che ad esso non competeva : in questo modo, per semplice esposizione dei termini, Aristotele trova le figure non concludenti.
Ci che determina se certe proposizioni debbano o no essere accolte
non il contenuto dei casi che di volta in volta abbiamo dinanzi, ma la
struttura del discorso apofantico stessa, che identica per ogni caso che
ci si presenti. Che il procurarsi i principi scientifici o anche nozioni scientifiche richieda l'esperienza delle cose che appartengono alle singole
scienze e che non possono essere forniti da speculazioni di indole generale (1 27 ) sta bene, ma ci non toglie che poi la validit di questi principi
e di queste proposizioni ed il loro senso abbiano come unico giudice la
struttura sillogistica del discorso la quale soltanto pu dire se essi possono valere come premesse o no o se si ricolleghino a principi necessari
o no; tanto vero che se le cose su cui abbiamo ricercato con l'esperienza
non sono dimostrabili, l'unico frutto che ne abbiamo ricavato l'accertamento della loro non dimostrabilit (1 28 ): l'unico criterio perci per stabilire se una proposizione ha il luogo che ad essa spetta nell'organismo
del sapere, la sua connessione necessaria con le altre proposizioni che
la precedono e che sono a loro volta connesse necessariamente.
Ci permette di precisare il significato della nozione di espeTienza
nella filosofia aristotelica. Per lo Stagirita essa non essenzialmente diversa dal discorso e connessa con esso come suo criterio di controllo, ma,
anzi, precede il ragionamento in quanto ne procura le premesse e non si
configura necessariamente come mezzo non discorsivo. Infatti in questo
uso essa non solo non esclude, ma esige che queste premesse siano controllate con ragionamenti. Il valore propriamente scientifico di ogni asser( 127 )

An.

j>r.

A, 30, 46a, 17-24-

(128) An. pr. A, 30, 46a, 24-27.

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LA VERITA E LA FALSITA DELLE PREMESSE

117

zione, cio, non conosce altro metro che la struttura sillogistica di fronte
alla quale l'esperienza significa, semmai, l'occasione di apprendere una
certa nozione la cui validit, per, potr essere vagliata soltanto dal ragionamento. In questo senso impossibile pensare che il sillogismo, come
Io concepisce Aristotele, sia semplicemente un mezzo ipotetico per lo
sviluppo di certe premesse il cui valore sia condizionato alla prova delle
conclusioni offerta dall'esperienza, intesa come complementare al ragionamento, in qualunque modo poi questa complementariet debba essere
interpretata. Con ci infatti sarebbe messa in dubbio perfino l' imprescindibilit del sillogismo, perch la verifica di un nesso sillogistico proposto potrebbe rivelare che in un certo caso il sillogismo stesso non
un mezzo adatto a trarre le conclusioni di una certa premessa. L'ammissione dell' esperienza come criterio autonomo di conoscenza avrebbe
impedito l'ammissione di stmtture antologiche sostanziali, dal momento
che avrebbe preso senso solo dalla possibilit di scoprire strutture via
via nuove; la sua eliminazione come esperienza autentica, mediante la
subordinazione al sillogismo, si inquadra perfettamente nello sforzo di
Aristotele di fondare in un reale intelligibile, sostanzialmente inteso, la
razionalit del discorso che nel De interpretatione aveva cercato la sua
fondazione nella categoria di necessit, con l'eliminazione del problema
semantico, esatto corrispettivo di quello dell'esperienza, ora esaminato.
Il rifiuto di questa nozione di esperienza implica allora che il sillogismo
possa avere la certezza di partire da premesse vere e di mantenerv;si,
una volta che siano state adottate. Ora, gli Analytica priora ~on si
preoccupano di stabilire la possibilit di conoscere premesse assolutamente
vere, presupponendo, anzi, tale possibilit.:-1 e indagando soltanto i problemi
connessi con lo svolgimento di un sillogismo che svolga d che gi stato
;).ccertato.
r 3 - LA VERI'r :B r,A :FAr,SI'l' DELI,E PRrtMrtsstt. Finora non ci
siamo occupati se i sillogismi avessero premesse vere o false, se non nel
caso dei sillogismi della possibilit con la premessa maggiore assertoria o
necessaria e la minore possibile, ma abbiamo sempre supposto che avessero premesse vere. Non ci proponiamo per ora il problema dell'errore
nella logica di Aristotele, sicch possiamo !imitarci a dire che premessa
vera quella che enuncia l'essere come essere c falsa quella che enuncia
l'essere come non-essere, ed altrettanto per il non-essere (1 29); comunque
sempre la premessa enuncia una forma dell'essere, sicch non pu fare a
meno di seguire le leggi dell'essere che sono poi le leggi imprescindibili
del discorso. Un discorso falso quello che enuncia un essere esclusivo di
quello che c', ma tale che ne segue tutte le strutture e che si farebbe su-

(129) Cat., 12, 14b, 15-2J.

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118

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

bito reale se non lo fosse il primo (130). Tutta la realt organizzata sulla
struttura antifatica, ed ogni cosa che determina un corno di un'antifasi,
sicch l'errore consiste nell'enunciare un corno quando si dovrebbe enunciare l'altro (1 81 ). Ora, mettendo una affermazione dove sarebbe necessario mettere una negazione e viceversa, si otterr un sillogismo errato o
un' impossibilit di concludere. Se le premesse sono vere la conclusione
che da esse deriva sar la stessa conclusione impressa nella struttura delle
cose, se invece sono false sar 1) in certi casi il preciso rovescio della
conclusione vera, dal momento che anche il discorso non pu fare a meno
di avere una sua struttura, 2) in certi casi si avr un sillogismo non concludente, 3o) in certi casi si avr, invece, conclusione ugualmente vera.
La difficolt maggiore si ha proprio con il terzo di questi casi, cio
con l'ammissione che un sillogismo possa dedurre delle conclusioni vere
da premesse false, in tutto o in parte, una sola o entrambe (1 32 ). Pare
davvero che qui si sia introdotta quella scissione che autorizzerebbe a
parlare di logica formale a proposito della logica di Aristotele : infatti il
sillogismo sarebbe s un utile strumento per lo sviluppo delle proposizioni
vere gi conosciute per tali, ma non sarebbe affatto modellato sul reale,
dal momento che pu stabilire legami che non esistono affatto tra le cose
e servirsi di nessi irreali, falsi per concludere con nessi reali. Inoltre quale
mai pu essere il criterio per affermare che l'argomentazione in questione
un sillogismo, se non unicamente la sua struttura formale? Infatti se
cos fosse si dovrebbe dire che le premesse sillogistiche non sono tali perch enuncino rapporti reali tra le cose, ma semplicemente perch hanno
una certa qualit, una certa quantit e certi determinati rapporti tra i
loro soggetti e predicati : cio solo la loro forma farebbe germogliare la
necessit sillogistica. Senonch lo stesso Aristotele avverte come un sillogismo siffatto non sia in grado di affermare la ragione della conclusione limitandosi ad asserire la conclusione come semplice enunciazione,
cio come non riveli il ~h6n, ma solo lo on ( 1 ~ 3 ) : in questo senso que(130) ,J..' immediato passaggio dall'affermazione alla negazione e l' immediato
sostituirsi dall'una all'altra, quando una sia falsa, ben detto nella trattazione conclusiva della redtlctio ad impossibile: se si tratta di universalit di affermazione o
negazione, dimostrato che non vera la negazione, lo sar l'affermazione, di necessit. Al contrario, se non si pone che sia vera l' affermazione, sar bene pensare
che lo sia la negazione (Ath pr. B, II, 62a, 3-16).
( 131) Di tutte le contraddizioni di termini universali predicati universalmente
necessario che l'una sia vera e l'altra falsa (De int. 7, I7b, 26-27).
(132) Pu darsi che le premesse da cui si deduce un sillogismo siano vere, c
pu darsi che siano false o pu ancora darsi che l'una sia vera e l'altra falsa. La
conclusione necessariamente o vera o falsa. Da premesse vere pertanto non possibile sillogizzare il falso, ma da premesse false possibile sillogizzare il vero (An.
pr. B, z, 53 b, 4-8).
( 1 33) Da premesse false possibile siilogizzare il vero, senonch non riguardo
al Perch ma al che: non c' infatti sillogismo del perch da premesse false)) (An.
pr. B, 2, SJb, 8-10). La distinzione della conoscenza del perch e del che fatta in
An. post. A, 13.

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LA VERIT E LA fALSIT DELLE PREMESSE

119

sti sillogismi, con premesse false e conclusi~ni vere, ma solo rispetto


allo on, non sono veri e propri processi necessari (18 4). Infatti la necessit del sillogismo sta tutta, cori1e abbiamo gi visto, nel ~L6n, ossia nei
rapporti reali tra le cose nei quali consiste propriamente la ragione di
ci che una cosa presentemente , in quanto il. suo stato attuale ha come
precedente, cio come sua ragione, gli stati che l'hanno preceduto e che
ne sono i presupposti. Il sillogismo riceve appunto tutta la sua forza
probante dal farsi enunciazione di questi nessi reali, delle singole tappe
di questo processo che conduce alla cosa stessa quale si presenta nella
conclusione. chiaro che se le premesse sono false esse non potranno
mai essere gli antecedenti di w1a conclusione che vera: cio, ci che
non c', non potr essere l'antecedente e la ragione di ci che c', collo{;andosi l'uno da un lato e l'altro dall'altro dell'antifasi. Ora il pronuliciare una premessa falsa significa far passare una delle proposizioni in
questione da un lato all'altro deil'antifasi, dal lato in cui - ed essendo
nel quale non serve per il sillogismo - al lato in cui non - e passando
al quale serve come premessa per il sillogismo - : sicch ci che si falsa
non propriamente la conclusione ma la stessa mediazione sillogistica,
cio si simula lo stesso processo necessario che dovrebbe condurre appunto alla conclusione. Infatti un sillogismo con premesse false e conclusione vera presuppone la conoscenza della verit della conclusione,
perch, appunto, la sua verit non pu essere conosciuta dalle premesse
che sono false e delle quali si pu dire che concludono con verit solo
perch questa verit si conosce gi altrimenti. Presupposta la conclusione
si tratta allora di trovare artificiosamente dei fatti tali che 'il loro contrario possa costituire le premesse di quella conclusione: ma l'errore sta
proprio in questo artificio, cio nel voler disporre a premessa di una
conclusione ci che non lo .
Attraverso la trattazione eli questo problema si precisa assai bene un
altro tratto caratteristico della logica aristotelica, secondo la quale partendo da premesse vere si ha la garanzia di rimanere nel vero, mentre
partendo da premesse false si pu sia restare nel falso che passare al vero.
Il che vuol dire che la vera necessit sillogistica assiste solo chi parta da
premesse vere, perch chi trae inizio dal falso rischia di smarrire ad
ogni momento il filo conduttore del suo discorso . con lo svantaggio di
non poter pi neppure riconoscere le eventuali proposizioni vere che
(134) dunque evidente che se la conclusione <: falsa le premesse, da cui deriva il ragionamento, sono false, o tutte o alcune, ma quando la conclusione vera
non necessario che le premesse siano vere o in parte o completamente, bens possibile che la conclusione sia vera anche quando ncssw1a delle premesse del sillogismo
lo fosse: ma non certo necessariamente (A a. pr. B, 4, 57 a, 36-40). Il nesso necessario viene meno in questo caso, perch, poste delle premesse false, si determina una
possibilit di due esiti contraddittori, cio vien meno la univocit che caratterizza il
sillogismo, in quanto da premesse false possono derivare conclusioni vere come false;
beninteso fino a che non si considera il ~\ton e si resta allo (ha.

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120

LA STRUTTURA NECESSARIA DEL L!NGUAOOIO

eventualmente pronunciasse. Il significato di tutto ci che per poter


sfruttare a fondo le risorse che il mezzo linguistico a nostra disposizione
offre bisogna possedere un vero originario da cui procedere. La ricerca,
perci, non ricerca del vero, ma ricerca nel vero ; non concepibile,
cio, che un' indagine parta da premesse che dovranno poi essere riconosciute erronee, ma che proprio da esse via via correggendo i propri
errori pervenga ad enunciare la verit. E ci comprensibile quando si
pensi che per Aristotele ragionare non significa giungere all'essere, ma
enunciare la struttura necessaria dell'essere per percorrere la quale bisogna gi essere collocati nell'essere: infatti ogni proposizione del ragionamento deve enunciare una corrispondente relazione antologica.
Nella I" figura, se le premesse sono universali si pu avere un sillogismo con entrambe le premesse o con la sola premessa minore false, e
la conclusione vera, ma in nessun caso si tratta di falsificazione di premesse di un precedente sillogismo. In questi casi dovendo attribuire una
certa propriet A ad un termine C si prende una certa altra propriet B
che non inerisce a C, ma al quale tuttavia la si attribuisce (premessa
minore falsa) tenendo conto che ad essa inerisce A o attribuendoglielo se
non gli inerisce (premessa maggiore falsa): come si vede in questo caso
r errore sta proprio nel presentare B come ~h6n dell'attribuzione di A
a C (1 85). Nella za e 311 figura si pu concludere con proposizioni vere
riguardo allo on da premesse false, sia che entrambe le premesse siano
false, sia che lo sia una sola, qualunque poi essa sia (136), ch in queste
figure anche falsificando un sillogismo vero si pu ottenere ugualmente
un nuovo sillogismo cori conclusione vera : ma qui chiaro che il falso consister nel sillogismo stesso, preso in tutto il suo complesso. Infatti in
queste figure posto che il sillogisn1o vero sia, per la 2a figura, Ogni A
B, nessun C B ; nessun A C , si potr anche dire Nessun
A B, ogni C B ; nessun A C : cio fatto il contrario delle
premesse, il sillogismo non muta quanto alla conclusione. Altrettanto
dicasi per la 3n figura dove, avendo Ogni A B, nessun A C;
qualche B non C, si pu dire Ogni A C, nessun A R; qualche
(135) A proposito della r figura Aristotele dice: possibile trarre sillogizzando una conclusione vera da premesse false, sia che lo siano entrambe, sia che lo
sia una sola, ma non una qualunque, sibbene la minore, quando si tratti di falsit
totale; quando invece la falsit non completa una qualunque pu essere falsa (An.
Pr. B, 2, 53b, 26-30).
(136) N ella 2" figura sempre possibile conclucre il vero da premesse f<llse,
e con entrambe le premesse completamente o parzialmente false, e l'una vera e l'altra
falsa, anche completamente, qualunque essa sia, e con entrambe parzialmente false, e
con l'una completamente vera e l'altra parzialmente falsa, e con l'una completamente
falsa e l'altra parzialmente vera, sia nei sillogismi universali che nei particolari
(An. PY. B, 3. SSb, 3 -Io); Anche nell'ultima figura possibile concludere il vero
da premesse false, e con entrambe le premesse completamente o parzialmente false,
e con l'una completamente vera e l'altra falsa, e con l'una parzialmente falsa e l'altra
completamente vera, e viceversa, ed in tutti gli altri modi in cui possibile combinare le premesse (ibid. 4, .s6 b, 4-8).

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LA VER!TA E LA fALSIT DELLE PREMESSE

121

B non C. Anche in queste figure, sebbene il medio resti sempre lo


stesso che nei sillogismi con premesse vere, tuttavia esso non usato in
quei rapporti che, soli, fanno di esso il medio di quel sillogismo. Perci
fare un sillogismo con premesse false e conclusione vera non vuoi gi dire
che si usi lo schema formale del sillogismo stesso e si tralasci la sua portata
reale, ma che si enuncia un aton della conclusione falso; cio non si
pu fare siiJogismo senza con ci enunciare un ~ton.
Con ci si anche risposto all'obbiezionc secondo la quale la logica
di Aristotele come la logica formale non fa differenze tra sillogismi con
premesse vere c sillogismi con premesse false, quando sia esatto lo sche~
ma del sillogismo stesso. Un sillogismo che sia veramente tale - per ii
che non necessario che abbia le premesse vere - , per la logica formale, sempre ugualmente valido e non a volte valido per il Ct6n e lo oTt
ed a volte valido solo per Io OTt e non per il ~ton, perch in realt:t esso
solo sempre dello <l't't e mai del ~ton.- Invece per Aristotele il sillogismo vero sempre di entrambi e quello che ha premesse false indica un
Ct<Sn falso, cio non indica ii 6t6n (137 ) valendosi della presupposizione della conclusione che gi nota e disponendo in vista di essa un
artificioso Cton ; del resto, supposto che a questo sillogismo in parte
fallace venga contrapposto il sillogismo che enuncia il vero Bton di
quello on, chiaro che quest'ultimo avr la preferenza. In questo senso
soltanto si pu vedere nella teoria dei sillogismi con premesse false e
conclusioni vere una logica formale valida anche per Aristotele: nel
senso cio che un tal ragionamento costituisce una forma artificiosamente
imposta al discorso, che per non ha nessun valore scientifico n garantisce la rigorosa coerenza in senso stretto. E qui sta la differenza tra
/\ristotele ed i logici formali : per questi ultimi una tal forma separata
dal contenuto ha un qualche valore mentre per il primo essa implica un
errore, cio la falsificazione del ~ton.
Per ben comprendere il senso delle parole di Aristotele, per, bisogna rifarsi alla sua concezione della dialettica, alla quale in gran parte si
riferisce il libro B degli Analytica priora. N ella dialettica, infatti, si
discute solo sulla base della probabilit e non sviluppando principi assolutamente necessari e certi ; ora, proprio nel ragionamento dialettico, il
~ton non dato dai principi primi, ma deve essere esso stesso proposto
e preso tra ci che corre sulla bocca dei pi.t sapienti. Pu darsi, avverte
Aristotele, che cercando questo Cton si sbagli e si portino innanzi delle
proposizioni non vere ma che pure vanno bene in un sillogismo la cui
conclusione vera: in questo caso per il sillogismo, in quanto tale,
falso, perch in esso vien meno quella necessit che ne costituisce il
( 13 7) t'Da premesse false possibile sillogizzarc il vero, ma non riguardo al
(hon, bens solo allo ott: del 1\L6n, infatti non possibile lltl sillogismo da premess~ false~~ (An. pr. B, 2, 53b, 8-ro).

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122

LA STRUTTURA NecesSARIA DeL LINGUAGGIO

nerbo. Il che serve sapere per essere avvertiti che non sempre, se un sillogismo pare concludere con una conclusione plausibile, le premesse c,
con esse, il sillogismo stesso sono veri, perch pu darsi che manchi proprio la verit su cui si regge tutto il sillogismo, cio la connessione reale
delle cose su cui si ragiona. Il sillogismo, perci, trae la sua validit non
dall'essere una forma di discorso, costituita dalla quantit e dalla qualit
delle proposizioni e dalle relazioni tra i loro soggetti ed i loro predicati,
rna dall'essere l'enunciazione di ragioni reali che per vengono enunciate
validamente solo se le premesse sono vere ; se queste sono false, la sua
conclusione potr essere ancora vera, ma per sapere se lo bisogna ricorrere a qualche altro mezzo, perch da premesse false si pu concludere
tanto il falso quanto il vero. Ma rispetto al ~hon , che non ha bisogno
di essere confermato da altra fonte oltre il sillogismo stesso, da premesse
vere si deduce il vero e da false il falso, perch esso la natura stessa
delle cose enunciate nelle premesse vere.
14. - LE ALTRE FORME NECESSARIE DEL DISCORSO. - Il sillogismo
allora si precisato come la struttura necessaria del discorso apofantico ;
tuttavia quest'ultimo pu assumere aspetti diversi da quelli finora esaminati e prendere forme argomentative apparentemente diverse da quelle di
cui finora Aristotele ha parlato. Ebbene anche queste apparenze del discorso, anche queste nuove forme argomentative sono comprensibili attraverso lo schema del sillogismo (1 38). Sillogismo e induzione sono gli
unici due tipi di discorso cui tutti gli altri possono essere ricondotti e la
cui presenza d senso a tutti gli altri. Ma la stessa induzione poi comprensibile attraverso jl sillogismo ed una delle figure del sillogismo (130),
in quanto appunto il proceesso generalizzante ed astraente ha senso solo se
mette capo ad un sillogismo che ne possa trarre le necessarie conseguenze.
Pur applicando lo stesso schema e lo stesso procedimento l' induzione
procede in senso inverso al sillogismo (140 ) : infatti l'uno si serve del medio, cio lo presuppone, l'altra cerca il medio <:he non c' ancora (141); ma
in questa ricerca si serve appunto della conclusione del sillogismo, di cui
(138) Ora dovremmo dire che non solo i sillogismi dialettici e gli apodittici
seguono le predette figure, ma anche i retorici ed assolutamente qualunque mezzo di
convinzione che si serva di qualsivoglia tecnica. Ad ogni cosa noi prestiamo fede o
grazie al sillogismo o grazie all'induzione (An. pr. B, 23, 68b, 9-14).
(130) Parlando dell'induzione Aristotele dice che essa: un tal sillogismo
che ha per conclusione la premessa prima ed immediata: il sillogismo avviene attraverso il medio per quelle cose di cui c' il medio, attraverso l'induzione per quelle
di cui non c' (An. pr. B, zs, 68b, 30-32).
( 14 0) Ed in certo modo l'induzione si oppone al sillogismo: l'uno dimostra
come il primo estremo inerisca al terzo attraverso il medio l'altra come il primo
termine inerisca al medio tramite il terzo termine. Per natu;a anteriore e pit razior;ale il sillogismo che avviene tramite il medio, ma per noi pi chiaro quclfo che
avv1ene tramite l'induzione (An. f>r, B, 23, 68b, 32-37).
(141) An. j>r. B, 23, 68b, JI-32.

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LE ALTR.E f'OR.ME NECESSARIE DEL DISCOR.SO

123

il rovescio, come premessa maggiore del si11ogismo che avr per conclusione la proposizione, che attribuisce il termine maggiore del sillogismo
deduttivo al medio che stato trovato (H 2). La necessit sillogistica regna
dunque anche in questa ascesa dai particolari all'universale, perch la necessit la strada con cui si possono percorrere i regni del reale, sia in
una direzione che in un'altra, ed il sillogismo un tal strumento linguistico che adatto ad essere usato in un senso e in un altro. Che del resto
il presupposto scistanzialistico stia anche al di sotto dell' induzione si pu
agevolmente vedere da una condizione che Aristotele nomina esplicitamente, e che ha sempre caratterizzato la sua concezione dell' induzione
distinguendola da ogni altra, cio la perfetta convertibilit della premessa
minore con cui il sillogismo passa dalla 3a alla 1 figura: questa. convertibilit la garanzia che quel che proposto come medio veramente tale
in quanto non va mai disgiunto dalla propriet che, appunto, deve mediare. E per questo l' induzione aristotelica at nciv-rwv, cio richiede
l'esame di tutti i casi particolari in cui si manifesta la propriet il cui
medio deve cercare. Qualora infatti uno solo mancasse, il medio, che era
stato proposto, non sarebbe il vero medio, in quanto non indicherebbe
un aspetto dlla natura della cosa, senza il quale alla cosa stessa mancherebbe la propriet in questione, e perci non servirebbe a dedurre quella
propriet secondo il processo necessario del sillogismo : ci sarebbe infatti
un caso in cui quel processo fallirebbe, il caso in cui, cio, la propriet
in questione non ha per medio quello fornito dall' induzione. Proprio
perch l' induzione si possa fare necessario che ci sia in tutte le cose
che hanno una certa propriet un certo aspetto che renda conto di quella
propriet, cio perfettamente convertibile con essa, in modo tale che dove
il primo c' ci sia anche il secondo: vale insomma sempre lo schema della
determinazione necessaria eli un corno dell'alternativa antifatica, per cui
la determinazione di uno di essi implica la determinazione di altri di questi
corni, legati al primo secondo necessit. Dire, perci, ci che una cosa ,
dire quell'aspetto o quegli aspetti che danno conto di tutte le propriet
della cosa o di quelle che ora ci interessano. Ma perch l'induzione possa
trovare questi aspetti del reale perfettamente convertibili, bisogna che
questi aspetti ci siano, cio bisogna che le cose e le loro propriet abbiano delle essenze che di esse rendano ragione; ed essenze strutturate
11

(142) L'induzione ed il sillogismo per induzione consistono nell'attribuire sillogizzando uno degli estremi al medio attraverso l'altro estremo, per es. se B il
medio tra A e G, nel dimostrare attraverso G che A inerisce a B : cos infatti facciamo le induzioni. Sia per es. A la longevit, B il non aver bile, G un singolo longevo, per es. un uomo, un cavallo, un mulo. A tutti i G inerisce A (ch ogni G
longevo); ma anche B, il non aver bile, inerisce ad ogni G. Se dunque G si converte
con B ed il medio non supera l'estremo, necessario che A inerisca a B. Si infatti
dimostrato in precedenza che, se due certi termini ineriscono ad un terzo e questo si
converte rispetto ad uno di essi, l'altro predicato inerir a quello che si convertito.
Ma bisogna intendere che G sia tratto da tutti i casi particolari: ch l' induzione
deve essere completa (An. pr. B, 23, 68b, 15-29).

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124

LA STRUTTURA NEC!!SSARIA DEL LINGUAGGIO

secondo la necessit, nel senso che non sia concepibile che da una certa
essenza non si scenda ad una propriet detenninata e da una propriet
non si salga ad una essenza determinata. Non detto che quella propriet
esista sempre e pu anche a volte esserci ed a volte non esserci, se possibile, o pu anche darsi che se ne colga il suo esserci in questo momento
senza poi sapere se continuer ad esserci o se c' stata costantemente o se.
invece, il suo esserci ora solo uno spuntare dal non-essere; ma, comunque, quando c', ha questa struttura necessaria ed il suo esserci necessariamente solo un consolidarsi di questa struttura attraverso il tempo.
Del resto la convertibilit del medio proprio ci che Aristotele ha voluto
specificare dicendo a proposito dei presupposti del sillogismo che hisogua
sempre raccogliere le propriet che derivano da una cosa in tutta la &ua
pienezza, cio che i rapporti tra le propriet e le ragioni di esse devono
essere rapporti di conseguenza ed antecedenza necessaria, cio tale che
non sia pensabile che vengano meno, neppure in un caso solo (1 43 ).
Lasciando per ora in disparte l'esame dell'esempio teorizzato anche
dalla Rhetorica, l'interpretazione dell' entimetna pu fornire utili lumi alla
concezione dell' induzione ed una conferma alle propriet del sillogismo
che abbiamo messo in luce. L'entimema pu avere come premesse il verisimile ( si.xo) o il segno ( (j'l'j f!S:ov ) ( 141 ) ; mentre il primo non presenta
radicali novit rispetto alla struttura sillogistica che resta immutata, salva
la verisimiglianza delle premesse che argomento da studiare pi oltre,
il secondo porge l'occasione di precisare meglio alcune caratteristiche dei
procedimenti logici che slamo venuti studiando fin qui. Il segno una
proposizione apodittica che pu essere necessaria o probabile (W>), dove
per apodittica significa semplicemente sillogistica, nel senso che
una premessa di sillogismo che pu essere necessario o solo probabile,
come tutte le premesse sillogistiche (146 ) ; ma essa pu fungere da premessa sillogistica, perch indica un nesso reale di antecedenza-conseguenza. A prescindere dalla questione se anche gli argomenti su cui si
possono fonnulare sillogismi apodittici possano poi essere oggetto di sillogismi dialettici, resta tuttavia assodato che alcuni dei segni sono propriamente tali, mentre altri sono in senso proprio dei TEXJA.'JlQW. (1 47 );
pr. A, 27, 43b, II-14.
(U4) Entimema un sillogismo che ha premesse verisimili o ha per premesse
dei segni (An. pr. B, 27, 70 a, 9-10); verisimile e segno non sono la stessa cosa,
ma il verisimile una proposizione probabile; ci che si sa avvenire o non avvenire,
essere o non essere per lo pi in un certo modo verisimile, per es. che gli invidiosi odino o gli amanti amino (ibid. 3-6).

(~45~, Il segno ~ntende ess.~re una proposizione apodittica necessaria o probabile:


mfattt, c10, essendo 11 quale, c e la cosa o, essendo sorto il quale, prima o dopo
sorta la cosa, un segno del sorgere o dell'esserci della cosa :1> (An. pr. R, 27,
70a, 6-g).
( 146) W. D. Ross, op. cit., p. 501.
(~ 47 ) <f O dividiamo nel modo che abbiamo detto cio secondo le tre figure sillogtstlche d segno e di questi segni quello che pu fungere da medio deve essere
{148) An.

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LE ALTRE FORME Nf.CF.SSARIE DEL DISCORSO

125

solo questi ultimi sono in grado di dar:e delle proposizioni necessarie c10e
apodittiche in senso stretto. Ora questi TEXfl:ftQta sono quelli sui quali si
possono fondare sillogismi veri e propri, sebbene compiuti in senso inverso, in qttanto risalgono dalla propriet alla ragione di essa; ma appunto solo alcuni possono essere TEXfdt(Ha, perch solo alcuni sono manifestazioni di un aspetto essenziale, tale cio. che sia legato secondo necessit alla propriet di cui ragione essenziale. Ma perch questo legame
si dia, necessario che il segno pern1etta. un sillogismo di r figura, cio
che abbia la premessa minore convertibile, proprio come si richiede per le
induzioni. Se infatti questa premessa non convertibile non si ha assoluta garanzia che il segno sia proprio segno della propriet che ci interessa: se l'esser buono non solo segno di essere sapiente, ma anche di
qualcos'altro, che Pittaco sia buono non autorizza senz'altro a. dire che
Pittaco sia sapiente (14 8); mentre se l'aver latte e l'essere partoriente si
convertono perfettamente, allora se una donna ha latte, si pu scnz' altro
dire che essa partoriente (1 49 ). Perch si possa fare un sillogismo di r
figura bisogna che il segno che compare come predicato della cosa che
ci interessa compaia poi come soggetto cui si attribuisca la qualit che
rlohbiamo attribuire alla cosa: ma perch ci si verifichi, bisogna che quel
segno sia segno di quella sola qualit e non di un'altra, perch allora potrebbe anche essere soggetto di quest.1.. Quando ci si trovi in un caso
come quest'ultimo il segno sar predicato in entrambe le premesse e si
avr la 2" ,figura che sempre confutabile (150). Perci se si dispone di

considerato come "prova" (ch per "prova di solito si intende ci che fa effettivamente acquistare il sapere, e questo soprattutto il medio), o bisogn'l chiamare
propriamente " segni " quelli che fungono da estremi c " prove " quelli che fungono
da medio; il pi convincente cd il pi vero quello che si ha con la r figura
(An. Pr. B, 27, 70b, t-6).
(148) L'argomento con cui si dimostra che i sapicnti sono buoni perch Pittaco
buono di 3" figura. Sia infatti A l'esser buono, B i sapicnti e G Pittaco. vero
predicare A e S di G; senonch si asserisce una premessa senza effettiva conoscenza
c l'altra si assume (An. pr. B, ~. 7oa, 16-20); ma l'argomento di 3" figura
confutabile, anche se la conclusione vera, perch il sillogismo non universale n~
riguarda la natura della cosa : infatti non perch Pittaco sia buono lo deYono essere
anche tutti gli altri saggi (i&id., so-34).
(149) Per es. l'argomento con cui si dimostra che una donna partoriente
~erch ha latte di 1" figura : il :nedio l' "aver latte''. Sia A il partorire. B
l aver latte, G la donna (An. pr. R, 2'7, 70a, 13-16); e l'argomento di r figura
inconfutabile, se vero (perch universale) (ibid. 29-30).
-(HiO) L'argomentazione da un segno attraverso la 2 figura sempre ed asso
lutamentc confutabile: ch non si ha mai sillogismo quando i termini si trovano
come in questo caso (con entrambe le premesse di Z' figura affermative): se infatti
la partoricnte pallida ed pallida anche questa donna, non affatto necessario che
anche questa donna sia partoriente (An. pr. B, 27, 70a, 34-37). In questo caso l'esser pallida non presentato come segno esclusivo dell'esser partoriente, nel qual caso
si potrebbe convertire la prima premessa cd ottenere un sillogisrno di 1" figura inconfutabile. Se l'attribuzione di un segno ad tm oggetto permette di attribuire senz'altro a quell'og-getto la propriet di cui il segno segno (sillogismo di 1" figura) significa che quel segno segno di una sola propriet.

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126

LA STRUTTUI<A NECESSARIA DEL LINGUAGGIO

un segno che sia convertibile con le propriet di cui segno si potr argomentare con necessit apodittica, altrimenti si dovr senz'altro restare nel
campo del probabile e del verisimile in cui le inferenze avranno solo la
necessit che spetta appunto al probabile ed al verisimile. Ora uno dei
casi dell'argomentare su di un TEXf.t:r]owv il q:>vawyvmf.WVE:v .: ma appunto esso possibile in quanto tiene conto di quel :n:ci{}o che 'ahov di
ogni yvo (15 1). E qui appare un legame sostanziale di necessit, in
quanto appunto l' 'Li w v reversibile perch esclusivo della cosa c caratteristico di essa, sicch, partendo da questo, si pu arrivare senza fallo al
suo soggetto, che esso in grado di distinguere e di caratterizzare. Se
invece non si prende un aspetto che sia proprio - e sia pure necessario
- non si giunge con certezza al soggetto che si cerca, perch esso pu
essere necessario anche rispetto ad altri soggetti; al contrario, se si partisse dalle premesse opportune si giungerebbe senza fallo alle conclusioni
necessarie anche se non caratteristiche ('aha ). Ma di queste questioni dovremo occuparci a proposito della scienza.
In questi procesgi, che dal basso salgono verso l'alto, particolare importanza assume il problema del senso delle proposizioni ; ma su di esso
ci siamo gi lungamente intrattenuti a proposito del sillogismo, e non
il caso di ripetere qui ci che si gi detto a suo luogo, dal momento che
anche i procedimenti qui esaminati si organizzano sulla base della struttura
sillogistica. L'erigere, tuttavia, quest'ultima a canone del senso delle proposizioni non vuoi dire che tutti i corpora delle varie scienze debbano
avere la forma semantica del sillogismo, secondo gli schemi degli Analytica priora, come dimostrano in modo lampante le stesse opere scientifiche
di Aristotele. Appunto perch il problema della semanticit eliminato
la forma linguistica diventa irrilevante, purch, in un modo o in un altro,
in essa possa prendere luogo una concatenazione necessaria ed univoca di
proposizioni, come non avviene nella dicotomia platonica. Lo studiare il
sillogismo sugli schemi e sulle formule o nel discorso sciolto dello scienziato per Aristotele la stessa cosa. Questa osservazione importante
perch mette in luce il valore propriamente scientifko che il sillogismo ha
per Io Stagi~ita e permette di vedere nella teorizzazione di esso molti
concetti che ricompariranno nelle opere scientifiche pi mature.
Ma nella struttura del sillogismo c' una propriet assai importante

(H>l) Interpretare i segni del corpo possibile se si concede che le passioni


naturali mutino insieme il corpo c l'anima: chi impara la musica muta forse s qualcosa dell'anima, ma noi non intendiamo questo come passione naturale che invece
per es. l' ira cd il desiderio. Se si concede questo e che passione e s~gno si corrispondano termine a termine e che possiamo cogliere la passione propria di ciascun
genere con il rispettivo segno, allora potremo interpretare i segni corporei ... Se dunque le cose stanno cos e se potremo raccogliere questi segni in questi animali che
hanno solo una passione loro propria, e ciascuna con il suo segno, se necessario
che ne abbiano uno, potremo interpretare le modificazioni corporee (A t~. frr. B, 27,
70h, 7-26).

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LE

AL~E

FO:RME

NECESSA~IE

DEL DISCORSO

127

che condiziona tutto lo svolgersi della scienza : cio il sillogismo stesso


non d frutti se le sue premesse non sono vere. E poich la giustificazione
della loro verit, ottenuta con un sillogismo precedente non farebbe che
aprire un processo all'infinito, ecco sorgere la necessit che vi siano
delle premesse in grado di essere vere senza essere dimostrabili a loro
volta. Proprio in base all'assoluta certezza o alla mera probabilit di queste premesse anapodittiche si distinguono i discorsi apodittici da quelli
puramente dialettici, ai quali, per, comune la struttura sillogistica che
t:ntrambi condiziona.

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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

I. - L'APODITTICA E LA DIALt:1'TICA. Nello studio del De interpretatione la necessit si configurata come l'orizzonte della logica di
Aristotele, cio come la categoria di cui dobbiamo far uso per interpretare
il reale e per intendere il discorso che lo enuncia. Negli Analytica priora,
con il procedere dell'analisi della struttura del discorso e di quella del
reale, in quanto tale, la necessit si precisata come la stntttura dell'uno
e dell'altro, cio come la determinazione fondamentale che li costituisce
entrambi, facendo del primo un insieme di sillogismi e del secondo un
insieme di sostanze. La necessit non , perci, soltanto l'orizzonte in cui
ci collochiamo per meglio comprendere il reale, ma la condizione eli ogni
nostra comprensione del reale e di ogni enunciazione di esso. A questo
punto, per, si offre un'alternativa: o si ammette che tutta la realt
necessaria o si fa posto, entro la necessit, anche alle altre categorie madali. La prima la posizione dei Megarici ed in particolare di Diodoro
Crono (1), la seconda la posizione di Aristotele che, nell'analisi delle
categorie modali, cui abbiamo dedicato molte pagine, cerca di dare un
senso alla possibilit. Perci possibile distinguere cose necessarie e cose
possibili che sono le necessarie in potenza o sono l'accidente, cio propria-

(l) Vi sono alcuni che dicono, come i Megarici, che una cosa possibile
solo quando o in atto, ma che non possibile, quando non in atto, per es. che
colui che non costruisce non pu costrui1e, ma che un costruttore solo quando
costruisce (iJ,f etaph. B, 3, 1046 b, 29-32). Che ia negazione della potenza, operata
con la sua radicale riduzione all'atto, sia l' immediata identificazione dell'essere con
la necessit ed implichi l'assoluta necessit di ogni essere, mette in luce la testimonianza di Cicerone: ma torniamo a quella disputa di Diodoro, che chiamano nEQt
~uvCt.'tOOv in cui si indaga che effettiva validit abbia ci che potrebbe avvenire. Pensa
dunque Diodoro che solo ci che o ~ vero o sar vero pu avvenire. \La quale
asserzione solleva questa questione: nulla pu avvenire che non fosse necessario
che avvenisse, e tutto ci che potrebbe avvenire o gi o sar, n si pu mutare
il vero in falso pi nel futuro che nel passato, ma nelle cose gi avvenute I' immutabilit si pu facilmente scorgere, mentre pare che neppure ci ~ia in certe cose future, dal momento che non la si scorge (De fato, 17). Tutte le cose perci, in quanto
sono, sono necessarie, sicch di esse si pu dire in ogni momento la verit; per
Aristotele, invece, ci vale solo per le cose assolutamente necessarie che non sono
tutta la realt, ma solo una parte di essa. La differenza sta in questo : per Diodoro
tutta la realt si riduce alla necessit dell'essere in quanto , mentre per Aristotele
la realt la necessaria struttura dell'essere cio- l'immediata esclusione dei membri di un'antifasi.
'

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IL SILLOOISMO APODITTICO

129

mente non sono ; ma, appunto, ancora in quanto non sono, cadono sotto
la struttura necessaria del reale.
Come nella struttura necessaria della realt prende posto anche il
possibile, cos nella struttura necessaria del discorso si giustificano un
discorso procedente da premesse assolutamente necessarie (apodittico)
ed un discorso procedente da premesse non imponentisi con assoluta
necessit (dialettico). L'uno e l'altro si reggono su nessi necessari, ma il
primo necessario esso stesso, cio esclude la possibilit di ogni altro
discorso diverso, mentre il secondo permette la possibilit.1. di un discorso
esattamente contraddittorio a se stesso, ugualmente concatenato secondo
necessit, rispetto al quale in immediata alternativa. Il primo di questi
tipi di discorso il discorso scientifico vero e proprio. Esso, collocandosi
nell'orizzonte della necessit, come non potrebbe non fare, dato che la
necessit la sua stessa struttura e la stmttura del reale, si configura
come discorso assohttamente necessario, cio escludente ogni discorso
diverso, vale a dire contrario. Corrispondentemente anche nel campo del
reale la scienza prender ad oggetto le cose necessarie stricto sensu.
Abbiamo in questo modo messo in luce quale legame stringa gli
Analytica posteriora e gli Analytica priora, a nostro modo di vedere, e
quale sia la problematica su cui si impostano i primi: il loro esame particolareggiato decider della validit di questa interpretazione. Comunque chiaro come, nel loro studio, da un lato dovr affiorare la configurazione del discorso scientifico vero e proprio e, dall'altro, dovr precisarsi quella struttura del reale i cui primi e sommari tratti sono gi
venuti in luce negli Analytica priora. In base a queste considerazioni
si comprende come questi ultimi debbano essere considerati i presupposti
degli Analytica posteriora i cui problemi implicano l' indagine svolta in
quelli.
.~~
" ''' :: .
2. - IL SILLOGISMO APODIT'l'ICO COM DISCORSO SCIENTIFICO. La
prima caratteristica con cui la scienza si presenta ad Aristotele, distinguendosi dalla conoscenza immediata, il rinvio ad altre precedenti
conoscenze implicito in ogni sua . nozione (2) e la cui natura varia a
seconda dei casi (S). Questa propriet, per, non vale ancora a definire
la scienza in proprio, perch comune anche ad altri tipi di discorso,

(~) Ogni insegnamento ed ogni apprendimento raziocinativo procede da una


precedente conoscenza. Ci manifesto a chi indaga su di essi : infatti, tra le
scienze, le matematiche si costituiscono a questo modo e cos anche ciascuna delle
altre discipline (An. Post. A, 1, 71 a, r -4).
(3) In due modi necessario avere una precedente conoscenza: in certi casi
necessario presupporre "che ", in certi altri bisogna comprendere che cosa
ci che si detto, in altri casi l'uno e l'altro, per es. bisogna presupporre che sia,
l'asserzione che vero di ogni caso l'affermare o il negare, sul conto del triangolo,
per es., bisogna sapere che cosa significa, sul conto dell'unit entrambe le cose, che
e che cosa significa; perch non ognuna di queste cose ci chiara (An. post. A,
T, 7Ia, II-17).

C. A.

VIANO, l<1

logica di Aris/olde.

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130

L'APODITTICA f L' OR.OANIZZAZIONI! DELLA SCIENZA

come il libero ragionare (A6yo~) ed i discorsi rettorici (4 ). Ed il rinvio a


precedenti conoscenze, comune a questi tre tipi di discorso test individuati, deriva senz'altro dall'uso dello strumento linguistico che essi debbono adoperare, in quanto vogliono procedere oltre una rudimentale
constatazione, che resta ancora sul piano sensibile, per dare vita ad un
organismo compiuto. Qui e_ntra in conto tutto il lavoro compiuto dalla
categoria di necessit negli Analytica priora, in quanto il sillogismo,
come struttura necessaria del discorso, si impone necessariamente come
strumento unico ed imprescindibile di cui quei discorsi possano far uso.
E come il sillogismo consta di conclusione e di premesse di cui la prima
rinvia a queste, cos scienza, ragionamento e discorso rettorico rmvmno
a precedenti nozioni che possano fungere da premesse.
Entro l'ambito del sillogismo, allora, dovr essere cercato il carattere proprio della scienza. Un esame pi.1 profondo, perci, non si accontenter di definire la scienza come quella conoscenza che rimanda a precedenti nozioni, ma specifiche:r il carattere di questo rinvio ed il rapporto che lega le nozioni< precedenti con le susseguenti. Ora la nozione
precedente deve essere la causa della susseguente ed il loro rapporto deve
essere di necessit (5 ). Abbiamo gi visto come queste siano le propriet del sillogismo, in cui, se le premesse sono vere, si stringe con legame
necessario la propriet della cosa con la sua ragione. Ma poco sopra
anche risultato in modo lampante come il siliogismo di per s non sia
sufficiente a distinguere il discorso scientifico da altri discorsi che si servono del pari del sillogismo. Infatti questo pu essere di tipi diversi,
aventi ciascuno propriet caratteristiche. Tuttavia la distinzione fondamentale, fatta da Aristotele fin dall' inizio, quella di sillogismo dialettico e sillogismo apodittico (6) di cui abbiamo parlato nel I" paragrafo
del 2" capitolo. Gi allora era risultato come la differenza tra il sillogismo apodittico ed il dialettico consistesse nel fatto che l'uno procede
assumendo senz'altro una premessa, cio un corno di una contraddizione - ch sempre una proposizione un membro di un'antifasi - e da
essa avanza risolutamente alla conclusione, mentre l'altro procede inter( 4 ) Come la presuppostzJOne di una precedente conoscenza t: necessaria pct- le
scienze cos Io anche per i ragionamenti dialettici che procedono con sillogismi
o con induzioni: entrambi infatti insegnano attraverso precedenti nozioni, p-li uni
assumendo come da una conti"apposizione, gli altri dimostmndo l'univctsa1c clall'cvidenza dell'individuale. Allo stesso modo anche i discc.tsi rctodci raggiungono la
convinzione; o con esempi che sono le induzioni o con entimcmi, che sono sillogismi
(An. post. A, I, 7Ia, s-rr).
( 5 ) Crediamo di sapere in modo assoluto e non accidentalmente, alla maniera
sofistica, quando crediamo d conoscere la causa attraverso la quale la cosa , che
PI"oprio la causa d quella cosa, e che essa non pott-cbbe essere diversamente da
come . Ed chiaro che siffatto il sapere: e infatti di quelli che non sanno e di
quelli che sanno gli uni credono di essere nelle condizioni suddette e gli altri, oltre
a crederlo, lo sono veramente, sicch~ ci di cui c' scienza in m orlo assoluto impossibile che sia diversamente da come , (An. post. A, 2, 71 b, 9-16).
(O) An. pr. A, I, 24a, 22- h, 3.

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LE PREMESSE DEL SJLLOG!SMO APODITTICO

131

rogando su entrambi i corni e, cio, prospettando la possibilit che l'uno


o l'altro di essi sia vero, ma senza determinare quale. Entrambi sono
necessari rispetto alle rispettive premesse, ma solo l'apodittico assolutamente necessario, nel senso che abbiamo precisato al paragrafo 1.
E tutto ci diventer pi chiaro quando si sar tenuto presente come il
sillogismo dialettico assuma le sue premesse secondo opinione (1), mentre
quello apodittico le assuma secondo verit (S) ; ora gi Aristotele ha detto
come solo i sillogismi con le premesse vere siano in grado di indicare il
~ton della propriet che si intende dimostrare (cfr. par. 13 del 2" cap.).
Se dunque la scienza deve indicare la causa della cosa, chiaro che solo
il sillogismo apodittico, che .scarta definitivamente uno dei corni dell'antifasi e che indica il Cl ton della conclusione, pu essere usato in essa:
l'a.podissi, perci, il vero discorso scientifico (9).
Tenuto conto della struttura necessaria del discorso (sillogismo) che
condiziona la scienza, in quanto pretende di essere un discorso enunciativo del reale, si definita la posizione precisa (apodittica) della scienza
nei riguardi del sillcgismo di cui necessariantente deve fare uso, distinguendola, in base ai suoi caratteri propri, dalle altre discipline che si
servono dello stesso strumento linguistico. Resta ora da studiare la precisa configurazione delle premesse prendendo come punto di partenza,
da un lato, le condizioni che il sillogismo, come strumento della scienza,
impone, dall'altro, i compiti che la scienza pretende dal sillogismo.
3 - L:~<; PREM(SSF, DI<~L SILLOGISMO APODITTICO. - Una teoria della
scienza deve affrontare alcune difficolt preliminari derivanti dal fatto
stesso che la scienza si serve del sillogismo. Questo, infatti, in quanto consta di premesse, apre un processo verso l'alto alla ricerca di premesse soddisfacenti ai compiti che dal sillogismo si pretendono. Ma le premesse in
quanto tali, a prescindere cio dal fatto che siano apodittiche o dialettiche,
implicano, se il sillogismo ha da essere efficiente in quanto struttura della
scienza, un termine di arresto verso l'alto; qualora esso non ci fosse, non
ci sarebbe neppure la scienza, ch non si potrebbe percorrere una serie
infinita per trarne un organismo compiuto (1). Ora Aristotele trovava
dinanzi a s una scuola che si era appigliata a questa. difficolt per negare
la possibilit di un sapere scientifico, partendo proprio dal presupposto
corretto che scienza non si d se non ci sono premesse assolutamente
prime. Ma non potendo queste, in quanto assolutamente prime, essere
(7) An. pr. A, 30, 46a, 9-10.
( 8 ) La premessa un dei membri di un'enunciazione come alternativa di affermazione e negazione, rifertntc prcdicativamcnte termine a termine, dialettica se assume un membro qualsiasi, apodittico. se ne assume definitamente uno, perch vero

(An. Post. A, 2, 72a, 8-rr).


( 9 ) Intendo per apodissi un sillogismo scientifico; chiamo sillogismo scientifico quello secondo il quale, possedendolo, sappiamo (An. Post. A, 2, 71 b, 17-19).
( 10) impossibile infatti percorrere termini infiniti (An. post. A, 3, 72b, Io-II).

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132

L'APOD!TllCA E L' OR.GANIZZAZIONF. DELLA SCIENZA

conosciute per dimostrazione e non essendoci altra conoscenza che la dimostrazione, secondo questa scuola cadeva con il suo presupposto la
scienza stessa (1 1 )Un'altra scuola tentava di difendere la scienza, ma, a parere di Aristotele, invano, perch accettava proprio il presupposto che inficiava
tutto il ragionamento, altrimenti giusto, della prima: cio che tutto fosse
dimostrabile (1 2 ). Ma, poich non poteva accettare di rincorrere all'infinito la dimostrazione delle premesse, essa faceva rivolgere la dimostrazione stessa in circolo, ponendo la conclusione come premessa delle sue
stesse premesse ; con quali assurde conseguenze Aristotele non ha difficolt a dimostrare. Mentre nella prima scuola si voluto vedere un'allusione ad Antistene ed ai Cinici (l:l), per la seconda la questione assai
pi spinosa, sia perch la critica ad essa non pi ripresa, sia perch non
si conosce con precisione chi nell'antichit sostenesse la dottrina in questione. Il Cherniss, seguito con riserve dal Ross (14), crede di vedere nei
(11) Alcuni credono che non ci possa essere scienza, perch bisogna conoscere
scientificamente i termini assolutamente primi, altri credono che essa ci sia, ma che
tutto sia dimostrabile; nessuna di queste due asserzioni vera n necessaria. Gli uni,
supponendo che non ci sia affatto scienza, credono di entrare in un processo all' infinito dicendo giustamente che non possibile conoscere scientificamente se non si
conoscono i conseguenti da antecedenti, prima dei quali non ce ne siano altri: eppure
impossibile andare all' infinito. Se c' un limite e vi sono dei principi, questi sono
inconoscibili, non essendoci dimostrazione di essi, poich dicono che la dimostrazione l'unica forma di sapere scientifico; se non possibile conoscere i principi
primi, non possibile conoscere in modo assoluto c pieno le loro conseguenze, se
non per ipotesi, cio ammesso che i priilcipi ci siano. La seconda scuola si accorda
con la prima sulla natura del sapere scientifico : credono, infatti, che sia possibile
sapere solo tramite la dimostrazione; ma nulla impedisce che ci sia dimostrazione
di ogni cosa; infatti la dimostrazione pti avvenire in circolo e per scambio di premesse (An. post. A, 3, 72b, 5-I&).
(12) An. post. A, 3, 72b, 15-18 (cfr. nota precedente). Che sia impossibile dimostrare in circolo chiaro, se la dimostrazione deve procedere da premesse prime
e pi conoscibili rispetto alla conclusione : infatti impossibile che le stesse cose
siano contemporaneamente anteriori e posteriori alle stesse cose, se non in modo
diverso, per es., le une prime per noi e le altre prime assolutamente, come l' induzione rende manifesto. Se cos stanno le cose, non sar ben definito il sapere scientifico preso genericamente c che non tenga conto delle due specie suddette : o piuttosto non sapere in senso assoluto una delle specie di dimostrazione, quella che
procede da ci che pi noto per noi. Ed a coloro che sostengono la dimostrazione
in circolo accade non solo di commettere l'errore suddetto, ma anche di non dire
altro che ' se questo , questo ' : ma a questo modo t facile dimostrare tutte le cose.
Si vede chiaramente come ci accada quando si pongano tre termini. Dire, infatti,
che la dimostrazione torna su se stessa attraverso molti o pochi termini, non ha nessuna importanza, purch essi non siano meno di due. Ora, quando posto che A sia,
necessariamente B, ed essendo questo G, essendo A sar G. Se necessario che
essendo A sia B, cd essendoci questo, ci sia A (questa infatti sarebbe la dimostrazione in circolo), si supponga che A sia G. Dire dunque che se c' B c' A dire
che c' G, cio che se c' A c' G; ma G e A sono la stessa cosa. Perci i sostenitori della dimostrazione in circolo finiscono con il dire null'altro che se c' A c'
A. Ma cos facile dimostrare tutte le cose (itid. 25-73a, 6).
(18) W. D. Ross, op. c-it., p. 514..
(14) H. CIIERNISS, Aristotle-'s Critic-ism of Flato and the Academy, I, Baltimore,
1944, pp.. 63 segg.; W. D. Ross, op. cit., p. SIA.

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LE PREMESSE DEL SILLOGISMO APODITTICO

133

sostenitori di questa teoria degli Accademici seguaci di Senocrate che


avevano abbandonato del tutto la teoria delle idee le quali, appunto, sarebbero potute servire da principio intuitivo della dimostrazione. molto
difficile esprimere un giudizio sull' interpretazione del Chemiss, il quale
si serve di una congettura che non inverosimile, ma che non ha prove
positive di immediata evidenza .in proprio favore. Comunque l' intento
di Aristotele chiaro. Le premesse non sono raggiungibili mediante una
conoscenza di tipo dimostrativo. L'ammetterlo distruggerebbe ogni dimostrazione e perci, nel C<'lSO particolare, la conoscenza delle premesse in
questione. Ci che la critica alla dimostrazione in circolo tende ad escludere in modo decisivo la possibilit che la validit delle premesse venga
provata dalle conclusioni che da esse derivano : sono le premesse che garantiscono le conclusioni e non viceversa. Ogni tentativo di considerare le
premesse come semplici punti di inizio di una ricerca, destinati ad esser
giustificati nel corso e dall'esito della ricerca stessa reciso alle radici in
partenza. Ragionamento e ricerca presuppongono delle premesse e la
natura di queste determina necessariamente il corso e l'esito dell'uno
e dell'altra. Il ragionamento di tipo sillogistico si configura, infatti, come
sviluppo e esplicitazione di quanto gi contenuto nelle premesse senza
possibilit di ulteriore mutamento, sicch le conclusioni risultano vere
o false a seconda della verit o falsit delle premesse.
Se le cose stanno in questi termini l'esistenza e la natura dei principi diventa una questione pregiudiziale per la scienza.
Non solo i principi debbono esistere se deve esistere la scienza (1 5 ),
ma essi devono godere di certe propriet, se si vuole che la scienza ne
risulti in un modo piuttosto che in un altro. Finora abbiamo studiato
la necessit che ci siano delle premesse indimostrabili per la scienza
in qumtto sillogismo, ora dobbiamo studiare le premesse della scienza in
quanto sillogismo apodittico. Una prima generale enumerazione delle
propriet delle premesse della scienza ci pone dinanzi alcune determinazioni assai significative : il sillogismo scientifico presuppone delle nozioni che in relazione a se stesse debbono essere vere, assolutamente
prime ed immediate; in relazione alla conclusione, pi conoscibili, a.nte1'ori e causa di essa (16). Tutte queste determinazioni si implicano e si

(1:1) <Ma noi non diciamo che ogni conoscenza scientifica sia apodittica. ma che
quella delle proposizioni immediate anapodittica (e che questo sia necessario
evidente : se infatti necessario conoscere le premesse prime dalle quali procede la
dimostrazione, e se da limiti fungono ad un certo punto le premesse immediate,
bisogna pure <:hc quest'O siano anapodittiche} - ne deriva di conseguenza che non
sc:lo diciamo che esiste la scienza, ma anche un certo principio della scienza, con il
quale conosciamo i termini ultimi di essa (A t~. post. A, 3, 72b, 18-25).
(16) Se dunque il sapere scientifico quel che ponemmo che fosse, necessario
che la scienza apodittica si costituisca da premesse vere e prime ed immediate e pi
conoscibili ed anteriori rispetto alla conclusione e causa di essa: cos i principi saranno
anche appropriati al dimostrato. Anche senza questi requisiti si ha sillogismo, ma non

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134

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

completano a vicenda (17) presupponendo la concezione del processo conoscitivo che venuta in luce nella critica alla dimostrazione in cir-colo : vi cio una organizzazione del reale, con una corrispondente
-organizzazione del sapere, che si svolge linearmente da un punto assoluto di inizio ad un termine parimenti assoluto (18). N importa che
questa sistemazione del reale sia esattamente il contrario di quella che
normalmente noi consideriamo (in quanto il n:QOTE(lO\' qn)aet il JrOQQc[>TEQov Tij atath1crEw) e che perci esiga un nostro sforzo di rovesciamento delle posizioni da cui solitamente consideriamo le cose : il :n:(_>Tf.QOV qN<JEL anche yvWQL~-t<.TEQOv cio, facendo parte di una struttura necessaria della realt, si impone alla conoscenza con tutti i crismi della
necessit non lasciando al Jr(>OTEQOV xnt yvwQLf.LWTEQOV :n:Q ofJ~-t che
il posto di ultimo termine della catena; nella qual posizione soltanto esso
acquista un senso nella struttura necessaria del reale, cio pu venir
considerato nella dottrina della scienza. Delineati in tal modo i caratteri delle premesse scientifiche, si sono precisati anche i tratti del reale
presupposto come oggetto della scienza. Da un lato l' essere nella
sua piena realt, per il solito passaggio immediato dall' esser vero
all'~sser reale (H>), dall'altro quell'essere che in grado di fornire
le ragioni di tutti i suoi aspetti, cio la causa di tutte le propriet delle
cose, in quanto propriet reali (2), rispetto alle quali anteriore; anzi
assolutamente primo, in quanto il sillogismo stesso esige, come abbiamo
visto test, che vi siano delle premesse oltre le quali non si possa pi
andare (2 1 ). Lo studio della scienza come sillogismo, da un lato, e come
sillogismo apodittico, dall'altro, si completano perci a vicenda esigendo
l'una propriet delle premesse che possano essere assolutamente prime
dimosttazione: che un tale sillogismo non produrr scienza (An. post. A, 2, 71 b,
l<)-25).
(17) Vere debbono essere le premesse, perch non possibile sapere il nonessere, per es. che il diametro commensurabile. Bisogna conoscere da premesse
prime ed indimostrabili, perch in caso contrario non si sapr non avendo la dimostrazione delle premesse: perch la conoscenza scientifica non accidentale di ci di
cui possibile dimostrazione, - l'averne la dimostrazione. Le premesse debbono inoltre essere cause della conclusione c pi conoscibili ed anteriori ad essa, cause perch
sappiamo quando conosciamo la causa, cd anteriori in quanto cause e conosciute prima
non solo quanto al diverso modo di conoscerle, ma anche riguardo al sapere che sono
(An. Post. A, 2, 71 b, 25-33).
( 18) Le premesse sono anteriori e pi conoscibili in due sensi : non infatti
la stessa cosa il primo per natura ed il primo per noi, n il pi conoscibile ed il pi1
conoscibile per noi. Intendo per primo e pi conoscibile per noi le cose che sono pi
vicine alla sensazione, prime e pi conoscibili in senso assoluto le pi lontane. Le
cose pi lontane wno le pi tmiversali, le pi vicine ~ono le individuali : e si oppongono reciprocamente (An. post A, 2, 71 b, 33-72a, 5).

( 19 ) An. post. A, 2, 71 b, 25-26. Qui da notare come il 1-l-Tt uv sia senz'altro identificato con il falso per cui di esso la scienza non pu occuparsi.
( 20 ) An. Post. A, 2, 71 b, 29-31. Conoscere il Bt6n conoscere attraverso ci
che causa (lh 1:ov uh(o'U) (ibid. 6, 75.a, 35).
( 21 ) An. post. A, 2, 71b, 26-29.

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LA NECESS!T A DELLE PREMESSE

13.5

e fornendo l'altra le determinazioni in base alle quali queste premesse


possono essere trovate. Tuttavia definito a questo modo che cosa s
debba intendere per principio (ex~) (2 2 ), quest'ultimo si configura come
proposizione (2 3 ). Ne derivano allora due problemi: da un lato bisogna
studiare l' QXll come immediato ed indimostrabile e, dall'altro, come
.proposizione, cio in riferimento all'essere e non-essere dell'antifasi, in
cui si va necessariamente a collocare (2 4 ). Per il primo caso bisogna
prendere in considerazione il tipo di conoscenza con cui raggiungibile,
per il secondo le categorie proprie dei giudizi con le quali definibile:
infatti il principio anteriore in due sensi, quanto al modo di comprensione ed all'attribuzione dell'essere 5 ).
Tralasciando per ora la prima questione, trattiamo la seconda che
apre la via alla considerazione di tutto l'organismo scientifico, cio di
tutto il processo discorsivo della conoscenza; dallo studio di questa
saremo riportati al tipo intuitivo di conoscenza, cio alla prima questione

4. - LA NECESSIT DF.LLE PREMESSE. - Le determinazioni delle premesse studiate nel paragrafo precedente non hanno dato fondo al problema, perch, se sono state chiaramente indicative della posizione di
Aristotele, hanno fornito delle spiegazioni spesso solo verbali, cio non
hanno esibito una fondazione della loro stessa possibilit. E questa .viene
ora fornita da Aristotele con un esame delle premesse in quanto giudizi.
Tale esame condotto seguendo il criterio distintivo della scienza,
riguardo al suo oggetto, cio come studio di quelle cose reali che sono
integralmente spiegate dalla struttura antifatica stessa: cio che sono
uecessarie - a quanto risulta dall' impiego fatto da Aristotele delle categorie modali nel De interpretatione e negli Analytica priora - (2 6 ). Ci
naturalmente implica un ritorno alla scienza intesa come discorso apodittico che per riceve una nuova determinazione dalla precisazione
fatta riguardo all'oggetto della scienza stessa. Infatti l'apodissi appare
ora come il sillogismo derivante da premesse necessarie (2 7 ) e su que-

(22) Che un sillogismo derivi da premesse prime t: lo stesso che derivi dai
principi propri: perch intendo dire la stessa cosa quando dico primo e quando dico
principio (An. post. A, 2, 72a, S-7)(2:!) Pdncipio una premessa immediata della dimostrazione e premessa immediata quella prima della quale 11011 ce n' un'altra :s. (An. post. A, 2, 72a, 7-8).
(24) An. post. A, 2, 72a, 8-rr.
(~ii) A1~. post. A, 2, 71 b, 31-33.
( 26 ) Poich impossibile che sia diverso da com' ci di cui c' scienza in
senso pieno, l'oggetto della scienza apodittica dovrebbe essere necessario (Ant. post.
A, 4, 73,-a, 21-22).
( 27 ) L'apodissi dunque un sillogismo con premesse necessarie (A1~. post.
A, 4, 73 a, 24).

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136

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

ste basi instaurato tutto l' esame di essa, dal quale prenderanno un
senso preciso le determinazioni precedenti che questo carattere di necessit lasciavano intravvedere, ma non mettevano in piena luce. Le premesse di un sillogismo scientifico, perci, debbono essere necessarie,
ossia universali (%afJ-6A.ou), dal momento che per Aristotele si tratta della
stessa cosa (28). La nozione di %afJ-6A.ov, per, pu a sua volta essere
analizzata in altre nozioni che la costituiscono: nelle nozioni di preclicazione -r,at :n;avt6 e %afJ-'avnS (2 9 ). La prima di queste determinazioni
si identifica con la tradizionale determinazione di universalit quantitativa dei giudizi, cio con ci che i logici chiamano estensione det con
cetto, mentre la seconda designa tutte quelle attribuzioni che, direttamente o indirettamente, entrano nell'essenza di una cosa o, comunque,
ineriscono ad essa non accidentalmente, ma in quanto quella che ,
riferendosi, perci, a quella che i logici hanno chiamata la comprensione
(28) lnnanzitutto si definisca che cosa si intende per predicato valido in ogni
caso {%a:t:. :rcav-r6) per predicato va lirio del soggetto di per s (%ct-fr' n{rr6) e per universale (An. post. A, 4, 73a, 25-27). Intendo per universale ci che inerisc~ al
soggetto in ogni caso, di per s ed in quanto esso quello che : dunque chtaro
che le determinazioni universali sono quelle che ineriscono necessanamente alle cose .'
(ibid, 73b, 25-28).
(29) Intendo per predicazione valida in ogni caso quella che non sia valida
solo per alcuni soggetti e non per altri, n quella che valga solo in alcuni casi e
non in altri, per es. se di ogni uomo si pu dire animale, se vero dire che costui
un uomo, sar vero dire di esso anche che animale, e se ora vero uno di questi
predicati sar vero anche l'altro, e la stessa cosa vale per l'asserzione che in ogni
linea c' il punto. Ed eccone una prova: quando siamo richiesti di ammettere proposizioni valide in ogni caso obbiettiamo dicendo che per alcuni soggetti il predicato
non valido o che alcune volte la proposizione non vera.
Sono predicati di per s quelli che ineriscono nell'essenza di una cosa, per es.
la linea incrisce nell'essenza del triangolo ed il punto it. quella della linea (infatti
il loro essere costituito da queste determinazioni, che entrano a far parte della
loro essenza) e quei predicati che ineriscono a determinazioni inerenti a loro volta
in quelli ed entranti nella definizione della loro essenza, per es. il retto cd il curvo
nella linea, il pari ed il dispari, il primo ed il multiplo, il quadrato perfetto ed il
non perfetto per il numero : a tutti questi preicati i loro soggetti ineriscono a loro
volta essenzialmente, in un caso la linea c negli altri il numero. Analogamcnte intendo
il predicato di per s per gli altri casi, mentre chiamo predicati accidentali quelli
che non ineriscono in nessuno dei due modi suddetti, per es. " musico " o " bianco "
per "animale" ... Le determinazioni che sono state chiamate "per s" rispetto agli
oggetti che costituiscono il campo di studio della scienza in senso stretto o perch
sono predicati essenzialmente o perch ricevono delle attribuzioni essenziali, ineri.
scono ai loro soggetti per la natura stessa di questi e di necessit. Infatti non
possibile che non ineriscano o essi semplicemente o tma coppia di opposti, per es. il
retto ed il curvo alla linea ed il pari o il <)ispari al numero. Il contrario o la privazione o la contraddizione dell'altro contrario nello stesso genere, per es. nel genere
dei numeri il dispari il non pari, in quanto l'uno consegue all'altro. Sicch se
necessario affermare o negare, anche necessario che sempre ci siano le prcdicazioni di per s (An. post. A, 4, 73 a, 28 - b, 24). Del "per s., solo il primo caso
caratterizza propriamente le premesse scientifiche, perch il secondo presuppone appunto il primo e riguarda piuttosto la conclusione delle dimostrazioni, in quanto deduzione delle propriet che derivano dall'essenza secondo necessit: infatti mentre le
prime determinazioni " per s '' fanno propriamente parte dell' essenza, le seconde
derivano dalla presupposizione dell'essenza (cfr. Ross, op. cit., p. 52r).

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LA Nf.Cf.SSIT A DELLE PREMESSE

137

del concetto. Lunghe battaglie si sono combattute in favore del prevalere della concezione estensiva o di quella comprensiva nella teoria aristotelica del concetto, concluse spesso con il riconoscimento che l'una e
l'altra si trovano nello Stagirita (30), sicch consiglio migliore sar abbandonare questo dilemma riconoscendolo inappropriato per Aristotele che,
appunto, non si preoccupato di prendere una posizione in esso. Allora
nell' equazione necessario-universale sar bene insistere pi sul primo
termine che sul secondo, dal momento che su quello Aristotele si trattenuto a lungo, facendone il fondamento necessario per intendere anche
il senso del secondo (3 1 ). Nella discussione di questo problema sono
possibili due procedimenti : o si interpreta la logica aristotelica come
logica formale e si discute su estensione e comprensione dei concetti o si
vede in essa uno degli aspetti del pensiero aristotelico e se ne c~rca la
connessione con gli altri. Il primo procedimento, di solito seguito dagli
interpreti dello Stagirita, a noi precluso dopo le tesi :;o~tenute nei capitoli precedenti.
Il secondo procedimento stato seguito dal Prantl c dallo Chevalier.
Il primo, pur richiamandosi ancora agli schemi tradizionali, abbandona
la vecchia impostazione sforzandosi di vedere una stretta unione tra la
logica e la metafisica di Aristotele. Anch'egli, perci, insiste sull' interpretazione del ')(cdto/..otl come " necessario " in cui, con l'unione del xa1:
:Jtavro e del ')(ctWaur6 si realizza l'unione strettissima dell' individuale
(> dell'universale, in virt del concetto, interpretato non secondo i canoni
della logica formale, ma come Realprincip, cio come principio, inerente
all' individuale, del determinarsi di esso entro la struttura universale
delle categorie. La necessit e l'universalit si configurano, perci, come
essenzialit, cio come permanere nel tempo di certi attributi che, di
conseguenza, sono comuni anche ad altri individui (32 ). Questa impostazione, i cui meriti abbiamo detto, presenta tuttavia dei lati insoddisfacenti
connessi con tutto il piano della trattazione del Prantl che vede la connessione della logica con la metafisica solo facendo precedere questa ultima alla prima invece di cercare proprio nella prima l'origine di molti
concetti della seconda. Perci queste nozioni di xcy{}o}.ou, xat :Jtctvt6,
xaW c1'ilt6, "necessario" non sono sufficientemente determinate nel senso
preciso in cui vengono intese da Aristotele.
Per lo Chevalier, invece, le premesse necessarie del sillogismo apo(30) L. RoBiN, Aristate, op. ci t., pp. so-sr; G. CALOGERO, op. ci t., pp. r88-r92;
of form.al logic, op. cit., I, p. 45, n. 49
dove appare come il piis sia indicativo di un rapporto
ontologico che qualificato come uilivcrsale in quanto ha per termini una determinazione predicativa, da un lato, e un insieme di individui, dall'altro. Quando questo
rapporto necessario, cio vale per tutti i casi, cio per tutti gli individui della
molteplicit universale: a questo modo l'universalit ha fondamento antologico, ma
non una cosa, un ente separato; ed il suo fondamento la necessit.
(32) C. Pr:ANTL, op. cit., pp. I23-J25.

Ji)REN ]OERGENSRN, A treatise


( 31 ) Cfr. n. 43 del cap. I

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138

L'APODITTICA E L' OROANIZZAZION~ DCLLA SCIENZA

dittico sono il prototipo stesso della necessit aristotelica e tutto il sillogismo sarebbe un tentativo di riportare tutta la realt alla necessit propria di queste premesse. Ora tutto ci si regge sul presupposto che il
nucleo della necessit aristotelica sia proprio la necessit analitica delle
premesse in cui soggetto e predicato sono reversibili, ed il cui ideale
sarebbe la dimostrazione in circolo (33). Anche questa interpretazione
ha il torto di fermarsi a queste premesse nell'analisi del concetto di
necessario, escogitando uno schema della necessit coincidente con
quello della perfetta reversibilit, senza tener conto di altri testi di Aristotele che della necessit danno altre definizioni o senza metterli in rapporto con essi. Da ci derivano tre difficolt: 1) si dimentica che Aristotele, parlando del rapporto tra il JtQOtQOv qn\crH ed il JtQtt{lO'V :n:Qc; inuxc;
lo ha raffigurato come un rapporto lineare e non circolare, criticando,
anzi, la dimostrazione in circolo ; 2) rispunta il dualismo tra spirito
analitico e spirito sintetico o scientifico di Aristotele, con il conseguente
smarrimento della reale connessione tra la logica e l'opera scientifica, ed
il dualismo tra individuo e specie (34); 3) non si spiega, facendo dipendere il sillogismo dalla necessit delle premesse, come Aristotele ahhia
potuto, negli Analytica priora, parlare di sillogismo senza distinguere le
premesse apodittiche dalle dialettiche.
L'esame delle interpretazioni del Prantl e dello Chevalier rinviano,
nunque, a precedenti chiarificazioni aristoteliche della categoria di necessit usata per caratterizzare le premesse. Quelle interpretazioni, infatti,
o non spiegano il Realprincip o, anteponendo la necessit delle premesse
a quella del sillogismo, cadono nelle difficolt che abbiat):lo detto. Ora le
indagini precedentemente condotte sulle categorie modali hanno messo
in luce come necessaria per Aristotele una struttura del discorso (sillogismo) e del reale (sostanza) in cui si collocano tutti i discorsi apofantici e tutte le cose reali cd il cui nucleo la stessa antifasi di essere
e non-essere. Le cose necessarie sono quelle per le quali, enunciata una
proposizione sul loro conto, detta proposizione in grado di valere per
tutto il loro futuro o, pronunciato su di esse un sillogismo, la conclusione
di esso ha onnivalidit temporale, cio i rapporti che conducono alla
conclusione permangono nel tempo : le premesse, perci, hanno mod:!lit
necessaria. Ora non c' ragione perch le premesse scientifiche si so!tra~
gano a queste determinazioni, in quanto anch'esse sono proposizioni: perci
la loro necessit sar semplicemente il loro collocarsi sempre dallo stesso
lato dell'antifasi. Appunto perch questo collocarsi totale ed immedi<tto,
le premesse sono indimostrabili. Questa definizione del necessario deve
per permettere una spiegazione soddisfacente delle altre due detenninazioni con esso connesse, il xar navtoc; ed il xm'l' aih-6.
(83) J. CHEVALIER, La notion du nfcessaire ehM Aristate et ches ses prdces.reurs frarticulirement chez Platon, op. cit., pp. r56-r6o.
(34) ]. CtlEVIII.,IER, op. cit., pp. 179-18o.

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LA CRITICA ALLA LOGICA PLATONICA

139

Ora proprio nel passaggio dalla necessit all'universalit pu sorgere


una difficolt sulla quale non hanno mancato di insistere quasi tutti gli
interpreti di Aristotele. Infatti se si dice che le determinazioni necessarie costituiscono il cuore della realt e poi si aggiunge che la necessit
fornisce il fondamento dell'universalit, si rischia di stabilire uno iato
tra la realt universale che sarebbe l'unica autentica e necessaria e la
realt individuale contingente e fluttuante. Si cadrebbe cos nell'aporia
su cui insistono molti interpreti osservando che da un certo punto di
vista l'unica realt I' individuo, ma l'unico oggetto di conoscenza vera
la specie universale che perci si configurerebbe come l' unico essere
accertabile veramente come tale. Per evitare il prodursi di questa separazione tra due livelli antologici diversi, abbiamo insistito poco sopra
sulla necessit di non conferire alle premesse carattere di eccezionalit,
ponendo in luce l'esigenza di interpretare le loro propriet entro gli
schemi che danno conto delle propriet di tutte le altre proposizioni.
Tuttavia, anche se non si ammette preliminarmente una separazione tra
premesse e conseguenze, realt universale e realt individuale, resta da
-chiarire il fondamento che Aristotele fornisce alle proposizioni universali che costituiscono le premesse della scienza e il significato che d alla
loro universalit. Il tipo di discorso che condiziona la concezione aristotelica del reale esige la partenza da proposizioni assolutamente universali e di conseguenza porta a concepire la realt strutturata in modo da
rendere possibili premesse di quel genere. Questa osservazione ci rende
subito consapevoli dei caratteri dell'universalit aristotelica: essa, cio,
<iati i presupposti della teoria aristotelica del linguaggio, sempre una
formulazione linguistica che ha un corrispettivo reale (con la conseguente
esclusione di ogni interpretazione strettamente nominalistica) e appunto
perci ha sempre caratteri di assolutezza, cio non solo il frutto di una
generalizzazione convenzionale e approssimata. Stando cos le cose, non
pi possibile eludere il problema del fondamento reale dell'universalit
e non chiedersi se esso non riconduca Aristotele proprio a quella forma
di platonismo che criticava.

5 -

LA CRI'l'ICA ARIS'I'O'l'ELICA AI,LA LOGICA D~LJ.,A SCIENZA PLA'l'ONICA.

- Non qui il caso di fare la storia delle vicende del pensiero platonico concernente i presupposti della ricerca scientifica. Ma non sar inutile precisare alcune posizioni di esso che possono gettare un po' di luce
sul nostro argomento. Infatti i termini cui ci siamo richiamati per illustrare la struttura sostanziale del reale quale la intende Aristotele compaiono e sono definiti nei Topica, che, com' notissimo, appartengono ad
un periodo piuttosto antico e sono stati scritti in ambiente accademico.
Ora, vedere il cammino percorso da Aristotele dai Topica al punto
degli Analytica posteriora cui il nostro esame ci ha portato pu darci
<Ielle utili indicazioni.
Non facile comprendere in una formula tutte le indagini compiute

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140

L'APODITTICA J: L'OROANIZZA7.IONC DELLA SCIENZA

da Platone per mettere in luce le premesse di una ricerca scientifica; ma


al nostro scopo possono bastare le indicazioni di alcuni punti abbastanza
significativi. Nel Parmenide egli conduce, almeno nella seconda parte,
un'analisi puramente logica di un concetto come quello di uno, tentando
di trarne tutte le determinazioni possibili. N el corso di questo tentativo
vengono in luce delle cose abbastanza importanti. Intanto l'analisi non
unica, in quanto si profila subito la possibilit di punti di partenza diversi
a seconda, p. es., del modo in cui si intende la proposizione l'uno o
la proposizione l'uno non o a seconda che si parta supponendo che
l'uno o che l'uno non . In secondo luogo i diversi tentativi non
danno luogo a risultati parziali e complementari, ma a risultati incompatibili. Infatti partendo da alcuni punti si ottiene una totale negazione di
tutti i possibili predicati dell'mw, mentre partendo da altri punti di
inizio si ottiene l'attribuzione all'uno di tutti i possibili predicati. Ma
qui c' ancora un elemento sconcertante, in quanto questa seconda alternativa attribuisce all'uno tutte le coppie di predicati contraddittorii possib:li. Perci mentre i punti eli partenza del primo tipo rendono inutilizzahile l'analisi logica come strumento di scienza, quelli del secondo tipo
mostrano come essa non sia sufficiente per la scienza, in quanto non in
grado di determinare alcunch di reale, ma solo di esibire le determinazioni che potrebbero inerire ad un qualsiasi soggetto. Questo riconoscimento sta alla base delle ultime indagini platoniche sulla scienza. Le
ricerche del Sofista sui sommi generi derivano appunto d\ qui. In
questo dialogo Platone non pretende di inventariare tutte le determinazioni che necessariamente appartengono al reale, ma di illustrare la legge
secondo cui alcune delle possibili determinazioni del reale entrano in
relazione tra loro. Queste chiarificazioni fondano il metodo dicotomico.
Quest'ultimo da un certo punto di vista si configura come una serie di
classi in ordine di comprensione decrescente; per definire una qualunque
delle classi della serie basta ripercorrere tutta la serie dalla classe pi
ampia fino a quella da definire. Da un altro punto di vista ogni passo
della dicotomia si presenta come la proposta di inclusione di un tennine
:r nelle classi opposte A o B. L'unico elemento per decidere costituito
dalla rilevazione in x di una propriet esistente a propria a A e non a B.
Ad ogni passo del processo dicotomico, a seconda del valore che si d ad
a possibile confrontare x con coppie diverse di classi e includerla in
una delle due classi della coppia considerata. Ci fa s che una considerazione dell'ordinamento delle classi puramente a priori e fatta senza
introdurre un elemento esistente non permetta di dire nulla sulle cose esistenti, ma al massimo di saggiare la possibilit di alcune relazioni a preferenza di altre. N el File bo questa impostazione fonda la distinzione tra
le scienze che si occupano solo dei rapporti ideali e di '!uelle che si occupano della realt esistente. Le prime, che vertono su oggetti nei quali
la dialettica del limite e dell' illimitato si verifica con estremo rigore.

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LA CRITICA ALLA LOGICA PLATONICA

141

fungon da modelli delle seconde che sono per le uniche a poter dire
qualche cosa sull'universo in cui si vive. Appunto nel Timeo una consid~razione delle qualit sensibili delle diverse parti del nostro universo
servir a scegliere tra i diversi modelli che la scienza matematica pi
rigorosa mette a disposizione.
Ad una logica di questa natura si riferisce Aristotele nei Topica.
La parte centrale di quest'opera, costituita dai libri A, E e Z, strettamente connessa con la dicotomia platonica. Essa contiene una teoria
concernente le propriet logiche del genere, del proprio e della definizione, cio di quei termini che costituiscono la struttura del procedimento divisorio usato nell'Accademia. L'intento di Aristotele quello
di stabilire i nessi che in un retto procedimento dicotomico devono intercorrere tra quei termini. A prescindere ora dall'ortodossia del contenuto
delle dottrine logiche aristoteliche rispetto a quelle platoniche, abbastanza interessante il punto di vista che le prime adottano nei riguardi
della dicotomia. Esse, cio, non si occupano dell' uso del procedimento
divisorio, ma delle discussioni che possono sorgere intorno ad esso, del
modo in cui si ~ssono difendere o distruggere i passi che esso ha compiuto. Aristotele cio interessato a mettere in luce i vincoli cui chi ha
intrapreso un procedimento dicotomico legato, le regole che costretto
ad osservare. Se, p. es., si ammesso che la specie E appartiene al genere
A c che la sottospecie b appartiene alla specie B, allora bisogner ammettere che la sottospccie b appartiene al genere A ca 5 ). Cos se si ammette che la specie S caratterizzata dal proprio P, se un individuo x
appartiene alla specie S deve essere caratterizzato dal proprio P (3 6 ).
Infine chi dividesse il genere G nelle due specie S e 1wn-S non potrebbe
poi pensare il genere senza comprendere nell'essenza di esso una delle
due specie escludentisi, perch S e non-S, in quanto contraddittorie, esauriscono il campo di tutti i possibili rapporti di G rispetto alle sue specie.
Chi allora dividesse G nelle specie S e non-S non potrebbe poi definire
x con GS o con G non-S, perch S o non-S non aggiungerebbero nulla di
nuovo a G. Cio se si ammette G = SV""' S, non si pu pi dire che la
definizione di x x= GS o x= G t'"V S (37 ). E cos via. Lo schema
logico cui si lascia ricondurre la maggior parte dei luoghi appunto
questo : posto l' insieme delle proposizioni P 1 bisogna ammettere la proposizione P 2 o non si pu asserire la proposizione Ps. Aristotele insiste
su questo : chi adotta un procedimento logico costretto a fare o non
fare qualcosa.
Non ci preoccupiamo per ora del fondamento cui ricorre Aristotele
per stabilire i nessi necessari che bisogna osservare nella ricerca logica.
Ci interssa piuttosto sapere se l'Aristot~le dei Topica sia in grado di indi(35)
(~6)

U17 )

Top. 6., 2, 122a, 31-b, 6


Top. E, 4, r32a, 27-b, 7.
Top. Z, 6, 143b, r 1-32.

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L'APODITTICA Il L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCieNZA

142

care un punto di inizio assoluto del ragionamento, cio un P 1 dal quale,


con l'applicazione delle relazioni necessarie messe in luce sopra, sia possibile trarre con rigore tutto un corpo di proposizioni ben stabilite. Penso
che Aristotele, nel corpo pi antico dei Topica (libri B-H, 2) non abbia
realizzato questo punto. Tuttavia egli ci ha dato in proposito delle indicazioni negative estremamente importanti, in quanto ha eliminato la possibilit di reperire quelle premesse prime servendosi di strumenti logici
platonici.
L' indagine sulla struttura dicotomica del discorso logico squalifica la teoria delle idee come possibile strumento per la ricerca di premesse assolute. Il Cherniss ha richiamato l'attenzione su alcuni passi
molto importanti. Esponendo un luogo sul proprio Aristotele osserva
che le propriet che appartengono p. es. all' idea di uomo non appartengono necessariamente o non appartengono nello stesso senso all'uomo
in quanto tale, cio alla classe uomo o agli individui di quella classe (38). A capo di un discorso logico, perci, non possono stare premesse
ricavate dall'esame delle entit logiche in quanto idee. Ossia le uniche
prcdicazioni che dicano qualcosa sul contenuto delle classi sono quelle
che si riferiscono ai membri di esse e non quelle che si riferiscono
alle classi stesse, prese scparatamente dai loro membri. Una definizione
delle idee non pu stare a capo di un ragionamento e con ci fornire le
premesse di un discorso scientifico. N un genere ideale, posto a fondamento di una classe di cose esistenti, pu dare unit a queste ultime e
alla scienza che le considera. L'idea, pensata da Platone come un'uniti
numerica in se stessa, rimanda in realt alle singole cose esistenti.
Non il caso di affrontare qui la vexata quaestio dell'esattezza dell' interpretazione storica su cui si fonda la critica. di Aristotele, n di
precisare a quale stadio del pensiero platonico essa sia diretta. Conviene
piuttosto osservare come la particolare considerazione del procedimento
dicotomico sopra messa in luce abbia condotto Aristotele a queste osservazioni. Platone non pensa al metodo della divisione come ad un procedimento deduttivo che abbia bisogno di premesse omogenee rispetto
alle proposizioni che da esso derivano e perci non ricorre ad una sfera
di esistenza diversa da quella delle cose per procurarsi queste premesse.
Soprattutto nell' ultimo periodo - dopo il T eeteto e il Parmenide - il
ricorso all'analisi concettuale pura serve solo per chiarire le strutture
logiche della scienza o per fornire quest'ultima di modelli ideali per
interpretare lo stesso mondo delle cose esistenti. Ma per Aristotele il
metodo dicotomico rivela soprattutto delle strutture logiche definite e
tmivoche che bisogna appunto sfruttare per costruire ragionamenti il
pi possibile costrittivi. Questo appunto il senso della critica che egli
pi tardi, in un passo degli Analytica priora da noi esaminato nel capitolo II, rivolger ai platonici che non hanno saputo ricavare le implicanze
(38)

H.

CHF.RNISS,

op. cii., pp. r e segg.

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LA CRITICA ALLA LOGICA PLATONICA

143'

contenute nel metodo di divisione mantenendolo allo stato di semplice


sillogismo impotente: esso, infatti, non parte dall'essenza che vuole dimostrare, ma da un punto scelto a caso, e, perci, non primo in s, con la
conseguenza che anzich concludere con una proposizione determinata va
a dare il capo contro un'alternativa indeterminata.
Platone nei dialoghi non si mai proposto esplicitamente di sviluppare una teoria logico-linguistica sistematica ; accenni e teorizzazioni
parziali in questo senso ve ne sono molti, ma sempre entro l'ambito di
plessi problematici pi complessi. N quegli accenni e quelle teorizzazioni possono essere comprese sotto una sola delle varie branche logiche
individuate dai moderni. Nei dialoghi troviamo sviluppi che possono
essere caratterizzati come logica delle classi, altri che sono designabili
come logica delle proposizioni, altri ancora che potrebbero figurare sotto
il titolo di logica delle relazioni. Questa molteplicit di direzioni mantenuta anche nei T opiea o, meglio, nella parte pi antica dei T opiea. Accanto ai luoghi che concernono l' inclusione nei generi e che contengono
interessanti spunti di logica delle classi, abbiamo i luoghi che concernono l'attribuzione delle propriet, dove la proposizione diventa il fulcro
dell' indagine e i luoghi cosiddetti del pi e del meno dove la relazione occupa un posto di primaria importanza. Ma se passiamo al libro A
dei Topica., probabilmente di data pi recente, troviamo che la base della
logica aristotelica saldamente unificata sul fondamento di una logica della
predicazione. L> proposizione diventata l'unit minima cd indivisibile
del discorso significativo e termini quali il genere, il proprio, la differenza e l'accidente sono pr~si in considerazione solo in quanto danno
luogo a delle proposizioni. Perci, qualunque sia il livello antologico
della realt considerata, qualunque sia la funzione da essa esplicata nella
gerarchia deli' essere - sia essa un genere o una specie o un semplice
accidente - essa viene enunciata dal medesimo tipo di discorso, dalla
proposizione. Era questa la strada della nuova logica che Aristotele si
apprestava a costruire nelle Categoriae, nel De interpretatione e negli
Analytica. Nata, tuttavia, dallo studio dei problemi logici posti da quelle
stmtture reali, essa si configurava come la proposta di nuovi schemi logicolinguistici necessari per una nuova interpretazione di quelle strutture ..
Abbiamo visto nei capitoli precedenti come su questa via la logica metta
capo alla nozione di sostanza, anzi si configuri come il presupposto logico-linguistico della sostanza stessa. La nuova logica dava quello che gli
antichi Topica non avevano dato: un ragionamento capace di un punto
di inizio assoluto. In pi essa era in grado di dare delle indicazioni su
questi punti di inizio, sebbene essi dovessero poi essere attinti dal reale
stesso. II quale reale, appunto attraverso quella logica, si era rivelato
come una costruzione capace di trarre senso da alcuni principi semplici.
La prima indicazione che quell' indagine logico-linguistica d sulla natura
di questi principi negativa. Essi non possono appartenere ad una regione connotata in maniera diversa rispetto alle altre solo antologicamente

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144

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DeLLA SCIENZA

e non anche linguisticamente. Ora, poich il tipo di linguaggio unico


per tutte le proposizioni, i denotata dei principi 11011 possono essere cercati in una zona speciale dell'essere. L'introduzione dei principi non implica una distinzione antologica di piani. La struttura della wstanza,
cos come si venuta. modellando sulla base degli schemi linguistici che
la condizionano, non conosce livelli ontologici, ma solo relazioni di r,riorit e di posteriorit tra determinazioni collocate ontologicament~ sullo
stesso piano. I principi non sono per Aristotele enunciazioni di realt
universali separate dagli individuali, ma alcuni aspetti degli stessi individuali.
Questa impostazione mostra subito come Aristotele eviti la contrapposizione di individuale e universale con la problematica che essa implica. Egli non tenta n di ricavare l'universale dall' individuale, n di
far discendere l'individuale dall'universale. I termini sono presenti fin
dall'inizio e costituiscono in modo essenziale quella relazione predicativa
che regge la struttura ultima della realt. Infatti dalle Categoriae in poi
il soggetto della predicazione tende ad essere un individuale non pi pre<licabile di altro, mentre il predicato tende ad essere l'universale massimo
di cui pi nulla pu essere predicato. L' individuale in quanto tale costituisce il soggetto primo di una predicazione, cio quello cui fa capo la
serie predicativa discendente e si presenta come un insieme di detenninazioni offrentisi contemporaneamente alla sensibilit. Ma esso un
insieme appunto perch costituito di determinazioni predicative che
hanno un soggetto comune; e questo soggetto proprio quell' individuo
in quanto sostanza, cio in quanto relazione con le determinazioni predicative prime e pi universali. La struttura della realt costituita per
Aristotele dalla relazione predicativa che s universale, ma che contiene
un rinvio imprescindibile all' individuale. Individuale e universale sono
per Aristotele termini dati, il primo dei quali, anzi, come insieme d
determinazioni aventi lo stesso soggetto, costituito dal secondo come
predicazione essenziale che rende appunto possibile un nucleo comune
di derivazione di pi propriet. L'esistenza di una molteplicit di individui simili non problema per lo Stagirita, ma un dato di fatto, sicch
non occorre spiegare perch esista l' individuale ed invocare per esso un
particolare principium individuationis, ma solo stabilire come sia possibile formulare proposizioni universali su individuali. La possibilit della
generalizzazione costituita dalla possibilit di collegare in catene di
dipendenza necessaria causale pi determinazioni : pi individuali dati che
posseggano non accidentalmente una di queste determinazioni devono
poter possedere:: anche le determinazioni da cui quelle possedute derivano.
L' unico che esista veramente l' individuo, ma solo in quanto soggetto di predicazioni, cio solo in quanto sostanza e come tale regge
una serie di determinazioni connesse razionalmente secondo il principio
.di causa.

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L' UN!Vf~R.SA UTA DC LLE PR.EMJ.:SSE

14:i

6. - L'UNIVERSALIT DBLLE PRJ;MJ::SSB. - Dopo quanto abbiamo premesso non dovrebbe esser difficile rendersi conto delle altre propriet con
cui Aristotele definisce le premesse del discorso scientifico. Esse devono
essere xu:r 3tUVt<l e xul'V auro. La prima di queste due propriet si
riferisce all'universalit numerica e all' tmiversalit estensiva temporale
che devono caratterizzare le premesse. Se, cio, il loro soggetto logico
un termine che indica una classe di cose, ci che si predica di esso deve
valere per ciascuna delle cose inclusa nella classe (3~) e ciascuna di queste
deve esser tale che quella predicazione deve poter valere di essa in ogni
momento del tempo ( 40 ). Ci vuoi dire che se, messa in relazione una cosa
con una coppia di possibili predicati contraddittorii, uno di essi si determina
come predicato essenziale della com in questione, cio indispensabile per
spiegare una serie di propriet che essa possiede, allora questa attribuzione
deve valere nel tempo e pu tutte le cose che posseggono allo stesso modo
quelle propriet. Stabilito che tutte le cose che appartengono alla classe C
(indicata con il termine c) godono xut 3tUvt6 e x.cd}' ui!t6 delle propriet P, capaci di spiegare le propriet .x, y, z, ne deriva che tutte le cose
che pretendono di appartenere alla classe C (e quindi di essere indicate
collettivamente con il termine c), perch per es. posseggono le propriet
x, y, z, devono godere delle propriet P nelle condizioni sopra illustrate.
I! criterio in base al quale si connota la classe C con le propriet P non
convenzionale n derivato da una generalizzazione approssimativa, ma dal
fatto che secondo relazioni antologiche sussistenti le propriet P sono
i precedenti necessari delle propriet .x, y, z, sicch chi possiede queste
non pu non possedere quelle. Le cose che godono delle propriet .x, y, z,
senza godere delle propriet P non appartengono alla classe C e in realt
non godono sic et simpliciter delle propriet x, y, z. Poste cos le cose,
l'essenza non rischia di ipostatizzarsi in una regione antologica diversa
o superiore a quella in cui si collocano gli individui. Essa costituita solo
da quelle propriet che costituiscono il precedente necessario di tutta
una serie di altre propriet; ma sia quella che queste appartengono sempre ad individui. Il rapporto tra il termine c e il denotato C, connotato
da P, convenzionale; quello che non convenzionale l'implicazione
(30) Ammesso il riferirsi di un predicato ad una classe di termini, in tanto la
dasse ha valore e merita di essere considerata come classe, in quanto ciascuno dei
suoi membri pu essere spiegato in ogni mome1~ta dal predicato attribuito a tutta
la classe : perch clunquc ci sia universalit numerica bisogna che ci sia universalit
estensiva temporale, perch solo se gli individui sono spiegati completamente dal predicato della collettivit possono entrare in essa. D'altra parte l'universalit temporale
implica universalit numerica o come validit del predicato per tutti i casi del soggetto (se il soggetto individuale) o come validit del predicato per tutti i soggetti
(se il soggetto indica una cla~se).
(40) An. post. A, 4, 73a, 28-34. L'universalit estensiva temporale indicata dal
:itOT che, come indicativo della particolarit temporale, deve essere escluso dalle
premesse : esso infatti significherebbe che il corno dell'an ti fasi scelto come premessa
non in grado di clar conto di tutto lo svi!t1ppo temporale della cosa.
10

C. A. VIANO, La logica di Aristotele.

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146

L'APODITTICA E L' OR.OANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

di p da parte di x, y, z. Come si vede agevolmente la necessit co!.'-tituisce qui il fondamento dell'universalit. Sia P che x, y, z appartengono
solo e sempre ad individui, nel senso che, come predicati, si inseriscono
in una catena di predicazioni la quale al limite fa capo ad un individuale,
cio ad un complesso di detenninazioni date sensibilmente. La generalizzazione e l'estensione numerica e temporale possono avvenire solo sulla
base del collegamento di derivazione necessaria intercedente tra P da un
lato e x, y, z dall'altro. Quella connessione costituisce in proprio l' individuo perch essa il nocciolo stesso della realt che sempre connessione di propriet antecedenti con propriet conseguenti in una c.:'ltcna
che ha ai suoi estremi rispettivamente l'universalit pi generale e l'individualit ultima.
Formulando le osservazioni sopra riferite nei termini pi astratti
e generali possibili si pu dire che la struttura del reale costituita dalla
relazione predicativa tra un essere particolare (un 't'O~! n) e l'essere in
generale, cio tra qualcosa che primo per noi e l'antifasi pi generale
che quella di essere - non-essere. Ora i due termini si richiamano a
vicenda, in quanto l'uno soggetto c l'altro predicato, uno primo per noi
e l'altro primo in s c non sussistono se non come termini di quella relazione. Ma in realt :n;oAft;(w A.ymL -c: ov ; cio non esiste una contrapposizione alternativa tra essere e non-essere in generale (pena la ric.:1.duta nell'eleatismo), se non come struttura comune a esseri e non-esseri
connotati con determinazioni, magari estremamente generali, ma sempre
~.ppartenenti ad una delle categorie. D'altra parte l' individuale non
mai una realt genericamente indicabile con il -c:o/g n, ma sempre un
insieme di propriet determinate e denominabili. La sostanzialit perci
la relazione predicativa che unisce l'individuale all'universale, l' essere
questo qui all'essere e non-essere in generale; relazione che sempre
specificata in qualche modo ma che comune a tutte le specificazioni.
L' individuo, come termine della relazione con l'antifasi, non che il
luogo geometrico di un gruppo di determinazioni antifatiche, in rapporto
pi o meno defmito tra loro ; esso cio il punto per cui passano un
gruppo di determinazioni antifatiche. Rispetto all' individuo la specie
il luogo geometrico delle determinazioni antifatiche comuni a pi individui, i quali si distinguono entro la specie appunto perch in reciproca
relazione di somiglianza e non di identit. Ma quest'ultima relazione
da Aristotele considerata come data e non bisognosa di deduzione.
Da ci che abbiamo detto deriva direttamente il senso in cui crediamo che si debba interpretare la determinazione del xaW u{m) : esso cio
comprende quelle determinazioni che entrano nel nucleo essenziale di una
cosa, cio che assolutamente necessario attribuire ad una cosa in quanto
quella che (~L' ain6) e che, perci, fungono da premesse per dedurre
tutte le altre propriet della cosa, necessarie e possibili, le prime nella
loro determinatezza, le seconde nella loro indeterminazione e generalit~

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L'UNIVE~SALITA

DELLE PREMESSE

147

Qui veramente si realizza quell'unione di universale ed individuale gi


asserita dal Prantl (41 ), in quanto l'essenza che sempre di individui
particolari, come rapporto dell' individuale con la struttura necessaria
del reale, e, perci, determinazione di propriet assolutamente necessarie,
permette di dedttrre tutte le altre propriet dell'individuo. Il xu-&61.ov
come unione di XUT l'tUVTO e di xo;{}!aiJTo (che poi un fi u'To) (42)
determina il ::t{>c:ihov, cio quanto di un oggetto abbia in modo cos necessario le propriet di cui si occupano le premesse e di cui con tanta evidenza esse si possano asserire, che vada iscritto a capo di tutta la ricerca
sull'oggetto (48 ). Questo rrewov definito come una specie superiore
(&vcilTEQOv) agli individui, che deve poter essere designata con un nome
solo e che deve comprendere tutti gli individui intorno ai quali si svolge
la dimostrazione (44 ). Questa specie non va per interpretata come una
<:osa separata dalle cose sensibili e, cio, dagli individui, secondo gli schemi cari a certi interpreti del XWQLOJ.to di Platone, ma come il rapporto
tra l' individuo e la necessaria -- e perci universale - struttura antifatca del reale; rapporto in cui gli individui si costituiscono in quanto tali,
rendendosi capaci di acquistare quelle qualit accidentali in cui si spesso visto il principium individuationis.
Considerata l'essenza come rapporto necessario tra l' individuo e la
struttura necessaria del reale in cui si determina il nucleo assolutamente
necessario dell'individuo, l'universalit come determinazione di quel rapporto che a quel rapporto rinvia come a possibilit che ci siano pi cose
che abbiano la stessa essenza, la sostanza come struttura necessaria entro
cui si legano secondo necessit all'essenza le propriet da essa dedotte,
cadono molte soprastrutture imposte alla logica di Aristotele, ma ad essa

(41) C. PRA'NTT., op. cit., pp. 123-125.


(42) Intendo per univers!!lc ci che inerisce al soggetto in ogni caso e di per
s ed in quanto il soggetto quello che >> (An. post. A, 4, 73 b, 25-26). L' inerire
al soggetto per s e in quanto quello che la stessa cosa; per es., alla linea
di per s incriscouo il punto cd il retto (ed anche proprio in quanto linea) ed al
triangolo in quanto triangolo ineriscono due angoli retti (c di per s il trangolo
uguale a due angoli retti) (ibid. zB-32).
(43) Si ha la predkazionc universale quando un predicato si dimostra per ogni
caso del soggetto primo, cio meno ricco di determinazioni, cui esso competa (An.
Post. A, 4, 73h, 32-33). Cos ogni ricerca sulla somma degli angoli interni dei triangoli, deve partire dal triangolo in quanto tale e non per esempio da triangolo isosede, petch la propriet di avere la somma degli angoli interni uguale a due retti
spetta ad ogni triangolo, qualunque esso sia, cd il triangolo la determinazione geometrica pi generale cui quella propriet f,petti in senso pmprio, sicch essa spetta
anche all' isoscclc solo in quanto un triangolo (ibid. 33-39)( 4-1) Non riusciamo a cogliere ci cui competono essenzialmente le propriet che
dimostriamo quando o non possibile coglet-c nulla oltre (.vw-ceQov) gli individui
o, pur essendo possibile, ci che possibile cogliere non ha un suo nome proprio ed
incrisce a cose diverse per specie oppure accade che sia solo una parte rispetto al
tutto sul quale vcrte la dimostrazione (An. post. A, 5, 74 a, 7-10).

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148

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE D L: LLA SCIEI'\ZA

non adatte. Alcuni interpreti ('15 ) hanno voluto vedere una netta separazione tra le premesse, rette da assoluta necessit, ed il corpo della scienza
che, dovendosi adeguare al reale, lascia invece posto alla contingenza ;
anzi si tratterebbe di una divisione del tutto analoga a quella fatta da
Platone tra mondo delle idee e mondo sensibile, giustificabile, del resto,
in un'opera remota come gli An.alytica posteriora. Senonch questa impostazione non tiene conto di come quest'ultima opera sia preceduta dagli An.alytica priora, nei quali quella divisione non compare affatto. Ma
l'analisi dei concetti aristotelici e la loro interpretazione in rapporto con
tutta la sua. opera logica, dimostra come le premesse non siano separate
dal corpo del sillogismo, ma anzi rientrino in esso come suo principio
e non abbiano altra sussistenza che quella di principi del sillogismo e
della struttura reale che ne sta a fondamento: non sono perci fuori del
sillogismo, ma in. esso, come suo principio. Gi nello studio degli A1zalytica priora avevamo visto come il sillogismo debba tener conto del d Ean
entro la pi ampia struttura sostanziale del reale. Ora questo tt crn
si precisato come il principio stesso del sillogismo, come il :i[QOtfQOV
qnJOEL su cui bisogna drizzare il ragionamento rinunciando al :n:g6rEQOv
JtQ ~ !A<'i ; ma esso non fuori della sostanza, perch il principio
cui si riconnettono tutte le propriet necessarie e possibili che, nel loro
insieme, costituiscono la sostanza. Ma se la sostanza si riattacca all'essenza
(l'ovaia al t'L ~v rlvaL) quest'ultima poi vincolata alla prima dalla
quale non pu separarsi ma in cui prende consistenza: se infatti non
concepibile una sostanza, cio un organico connettersi di propriet, senza
alcuni principi necessari che diano luogo a questo essere intelligibile, neppure concepibile un'essenza che non dia luogo a questa connessione di
propriet secondo rapporti logicamente intelligibili, cio non sono concepibili principi di intelligibilit che siano principi di nulla. Ma allora anche
la sostanza sar rapporto necessario dell' individuo con la struttura necessaria della realt? Certamente; ma l' essenza contraddistinta dall' immediatezza, mentre la sostanza conoscibile solo con una conoscenza
m.ediata, con il che si ritorna alla questione del modo di conoscenza proprio delle premesse, problema che avevamo rinviato e che rinviamo anche ora ; inoltre l'essenza comprende solo le propriet assolutamente necessarie, mentre la sostanza deve dare conto anche delle possibili; n ci
in contraddizione con il compito che stato riconosciuto proprio della
scienza, cio lo studio dell'assolutamente necessario; ch anche le propriet possibili sono indagate solo in quanto sono assolutamente necessarie.
La sostanzialit del reale , perci, il rapporto dell' individuale con
la struttura antifatica che costituisce il reale in quanto tale in auesto
rapporto si costituisce la sostanza, come organismo di propri:t ne~essaop. cit., pp. rsr-r6o; L. l<.OBIN, Aristote, op. cit., p ..w; S.
Le jugeme11t d'existetu:c chez Aristote, op. cit., pp. 125-32.

( 4 G) ]. CHEVALIER,
MANSION,

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L' UNIVERSALIT A DELLE PREMESSE

149

riamente legte, dal punto di vista del reale, ed il sillogismo, dal punto di
discorso. Lo studio degli Analytica priora ha preso per oggetto
il sillogismo in quanto tale mettendone in luce la necessit e le propriet
con essa connesse; ne derivata la rivelazione .della dipendenza del sillogismo dalle premesse, ma Io studio continuato senza che si entrasse
nel merito di questa questione, pur restando determinato che le premesse
sono gi un prendere un lato dell'antifasi che il sillogismo svolger necessariamente (4G).
Fatte le precisazioni intorno ai principi sopra esaminati, nulla muta
di ci che gi lo studio del sillogismo in quanto tale ci aveva rivelato. La
scienza, infatti, servendosi dell'essenza enunciata nei principi deduce le
altre propriet rientranti nella sostanza (47 ) e le stringe entro un sistema
cos necessario che esclude il contrario; inoltre le sostanze si organizzeranno in un sistema di inclusioni per cui alcuni termini entreranno nell'essenza di altri, con la costituzione di linee di necessit assoluta ed
univoca che. proprio la scienza dovr rintracciare, cercandone i principi.
Un'unica difficolt pare sorgere a questo proposito: mentre negli Analytica priora si ammetteva la possibilit di un sillogismo con conclusione
necessaria e la premessa minore solo assertoria, qui si nega questa
possibilit e si afferma che un sillogismo apodittico deve avere tutte e dut"
'fe premesse necessarie ( 48 ), anzi si esclude che un sillogismo assertorio
vista~ del

(46) L'indagine svolta da Aristotele negli Analytica priora lascia in sospeso


la questione dei principi, pur presupponendo l' immediatezza sia noetica. e perci
fondata sulla necessit, sia opinativa, c perci fondata sulla probabilit. Ammesse
dunque le premesse essi studiano l'organizzarsi necessario delle propriet che da
esse derivano e come lo stesso organizzarsi delle propriet urga continuamente verso
le premesse. Ma in quell'opera i principi non sono considerati e, con essi, non
considerato l' individuo, sicch. si esamina il costituirsi della sostanza dall' alto,
come svolgimento dei principi stessi. Negli Ana/ytica Postcriora., invece, insieme
con la considerazione dei principi, si affaccia la considerazione dell' individuo e,
perci, del suo rapporto con i principi : la sostanza, cOm(; sviluppo delle premesse
il cui predicato costituito dalle determinazioni essenziali intuite ed il cui soggetto
dato dall' individuo, consideralo nella specie, fondata sul rapporto costitutivo
dell'essenza che mediandosi (cio facendosi medio o ragione) costituisce l'organismo
di propriet, cio l' individuo nella sua totalit. Mentre perci la prima opera pu
prescindere dallo studio del rapporto essenziale degli individui con l'essenza, perch
non studia ancora gi individui n i principi, la seconda, che si trova dinnanzi gli
individui gi costituiti, deve riportarli al principio ultimo della realt (alla struttura
antifatica) per riconoscer li come determinazioni di quella, capaci di mediarsi per
dar luogo ad un organismo di determinazioni antifatiche: e questo rapporto la
stessa sostanziali!:\. come organismo di propriet e non coacervo di impressioni
sensibili. Il riferimento all'antifasi che la logica vede tra l'individuo in quanto
tale e l'antifasi in quanto tale, le scienze vedono tra l' indi viduo come soggetto di
certe propriet e certe antifasi come principi di quelle.
( 4 7 ) Poich a ciascun genere ineriscono necessariamente le propriet che
gli ineriscono di per s cd in quanto quello che , chiaro che le dimostrazioni
scientifiche vertono intorno ai predicati che ineriscono di per s e derivano da
premesse che enuncino predicati che ineriscano di per s>> (An. post. A, 6, 75a, 28-31).
. (48) Che dunque il sillogismo debba derivare da premesse necessarie mamfesto anche da queste considerazioni. Infatti se chi non ha la definizione del
medio di quelle cose di cui c' dimostrazione non possiede la scienza, qualora si pre-

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150

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONI! Dl'!LLA SCIENZA

possa servire alla scienza. Ora che si presa in considerazione la scienza,


non si tratta pi della sostanzialit in quanto tale e del sillogismo studiato
prescindendo dalle sue premesse, ma di certe propriet delle cose, comprese nella loro sostanzialit; ne deriva che le premesse del sillogismo
devono avere una modalit ben determinata. Dal punto di vista della
considerazione del sillogismo in quanto tale la premessa minore di una
conclusione necessaria pu essere solo assertoria perch, in realt, il
silenzio sulla m~dalit di essa non compromette il suo effettivo configurarsi secondo una modalit: del resto la necessit stessa della conclusione penser ad incatenare al suo luogo quella verit. Ma dal punto di
vista della scienza la modalit della premessa minore ci deve essere nota
se vogliamo conoscere il (\ton della conclusione, cio il modo preciso in
cui dall'antifasi, la cui determinazione immediata, si scende, attraverso
le successive ragioni delle propriet, a quelle propriet necessarie che ci
interessano : cio se non vogliamo perdere di vista il fatto che la scienza
si propone di studiare gli attributi necessari delle cose.

7 - L' UNI'l' DEI.-LA scn:NzA. - Abbiamo visto come lo studio delle


premesse, in quanto ?tcdM,ou abbia determinato anche l' oggetto della
scienza: le propriet necessarie delle cose nel loro non poter essere diverse da come sono. Ma queste ultime implicano il ricorso all'essenza in
cui pi individui possono essere accomunati (49 ). La considerazione della
specie, per, non deve dare unit alla scienza collocandosi al d fuori
degli oggetti individuali, ma, anzi, deve essere l'unit di quegli oggetti,
pena la mancanza del medio nelle cose e, perci, l' impossibilit della dimostrazione delle loro propriet (!1). Per questo bisogner stringere fortemente le propriet alle cose cui appartengono e non farne delle entit
:;eparate che non servono affatto al ragionamento intorno alle cose stesse ;
compito che non hanno asslto le forme ( E'(()ll ), che perci bisogna abbandonare (51).
Dopo questa critica necessario trovare un fondamento dell'unit
dicasse necessariamente A di G sulla base del medio non necessario B, attraverso
cui avviene la dimostrazione, non si avrebbe la conoscenza del perch. Giacch non
attraverso questo medio si palesa il perch : infatti il medio pu non essere mentre
la conclusione necessaria (An. post. A, 6, 74 b, z6-32).
(49) Come dimostra, dal punto di vista negativo, At~. post. A, 5, 74a, 7-10.
(50) Non necessario che ci siano le idee o uno fuori dei molti, se ci deve
essere la dimostrazione, mentre si pu pur dire che ci deve essere un' unit dei
molti: perch se non ci fosse non ci sarebbe l'universale; se non ci fosse l'universale
non ci sarebbe il medio e per ci neppure la dimostrazione. Deve dunque esserci
un che di unico e di identico nei molti c non per mera omonimia>> (An. post: A, II,
77a, S-9).
( 51 ) Dopo aver mo~trato l'insussistenza delle propriet come esseri a s, Aristotele conclude: Perci idee addio: esse sono voci vane, e se ci sono non servono
per nulla al ragionamento; ch le dimostrazioni vertono intorno alle cose che abbiamo detto (An. post. A, 21, 83 a, 33-35).

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L'UNITA DELLA SCIENZA

151

della scienza che nasca dalla considerazione delle cose stesse : questa
nuova nozione il yvo. Una scienza tale e si distingue dalle altre
scienze solo se lo studio di un yivo (52 ). Quest'ultimo costituito dai
principi e dalle propriet che derivano da essi in quanto sono quelli che
sono (53), sicch deve esserci un effettivo legame tra i principi della dimostrazione c le cose dimostrate (54 ) : il legame di derivazione delle propriet dai principi costituisce il y8vo come fondamento dell'unit della
scienza. Gli elementi essenziali di quest'ultima sono i principi generali
della dimostrazione, il genere e le propriet del genere che vengono dimostrate ( 55 ): ma il genere esercita la funzione unificatrice realizzando il
riferimento dei principi comuni alle propriet, permettendo di riconoscere
quali propriet rientrino nel campo di una certa determinata disciplina
e ponendosi appunto come criterio dello studio di queste propriet che
deve accogliere in s in quanto quello che . ben vero che si profila
gi fin da ora una dualit di interpretazioni, perch, mentre in An. post.
A, 28 il yivo pare essere una considerazione complessiva dei principi e
delle propriet delle cose, in An. post A, 7 esso pare collocarsi come
v:rr.oxdf.LeVOv distinto da e giustapposto ai principi generali ed alle propriet; senonch l'impossibilit di passare da un genere all'altro, affermata pi sotto eu), indica chiaramente come lo V:itOXEl!l8VOV non sia
concepito separato dalle sue propriet, ma come quello che, riferendosi
ai principi generali, lega le propriet in un tutto unitario. Ma su questa
auestione ritorneremo.
Riconosciuto il genere, in un primo esame di esso, come unione di
premesse e conseguenze, chiaro come la sua struttura non possa essere

(ii2) Una scienza quella di un genere, ossia di quelle cose che sono costituite degli elementi primi del genere e che sono parti del genere o propriet di per s
di queste parti: ogni scienza diversa dall'altra ed i principi di esse non derivano
n dalla stessa fonte n quelli dell'una da quelli dell'altra. Prova di ci si ha quando
si va ai principi anapodittici : essi devono essere dello stesso genere delle conclusioni
<he da essi si dimostrano. Ecco una prova anche di questo: le conclusioni devono
essere dello stesso genere dci principi da cui sono dimostrate (An. post. A, 28, 87a,
38- b, 4).
(53) Cfr. nota precedente, dove le prime righe del testo citato mostrano chiaramente come il genere non sia fuori delle cose, ma anzi le cose stesse rispetto a
cui i principi non sono trascendenti tanto che qui ne sono presentati come gli elementi.
( 54 ) An. post. A, 28, 87b, 1-4 dove lo stretto legame richiesto tra principi e
conseguenze ribadito con l'espressione f.v -rau-c(> yvn xa O"Uyyevi).
( 5 5) Tre elementi si possono distinguere nella dimostrazione, uno ci che
-si dimostra, la conclusione (e questo ci che inerisce a qualche genere di per s), un
altro gli assiomi (gli assiomi sono ci da cui si dimostra); terzo il genere
supposto, del quale la dimostrazione indica le propriet e ci che inerisce di per
s (A1t. post. A, 7, 75a, 39- b, 2).
(G6) Si pu passare da una scienza all'altra cio da un genere ad un altro
solo se c' reale affinit tra essi altrimenti chiaro che impossibile: perch i
mei e gli estremi debbono essere dello stesso genere (An. post. A, 7, 75b, Io-II).

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152

L'APODITTICA B L' OROANIZZAZIONB DELLA SCIENZA

che quella del sillogismo (" 7 ) o, meglio, quella della sostanza che del sllogismo il presupposto, mentre quest'ultimo sar il discorso necessario della
scienza che del genere si occupa. Del resto gi lo studio degli Analytica
priora aveva mostrato come compito del sillogismo della necessit fosse
proprio quello di dedurre le propriet necessarie della sostanza. Solo in
quanto possono presentarsi come sostanze, cio come organizzazione di
propriet necessarie e possibili connesse tra loro, le cose rientrano in un
genere, cio possono trovare una ragione scientifica delle loro propriet
necessarie. In questo senso il genere fondato sulla considerazione delle
cose sub specie substantiae, sebbene non necessariamente dal punto di
vista della sostanzialit in quanto tale, che il punto di vista della filosofia prima ; la scienza invece considera le propriet in connessione con i
loro soggetti - senza indagare la natura universale di questa connessione - e mette in luce le ragioni di queste connessioni, in quanto per
riguardino propriet specifiche (58). In queste spiegazioni scientifiche
si tien conto solo delle propriet, connesse nella sostanza, che si vogliono
studiare, sicch la natura universale della connessione viene presa in
considerazione solo in quanto pu fungere da fondamento di queste spiegazioni. Le propriet delle cose in quanto sono contenute in una sostanza
possono essere spiegate in base a principi ad esse appropriati ai quali
rinviano come a termini ultimi e sommi dei processi discorsivi volti a
determinare le loro ragioni. Ma questi principi primi e finiti di numero
hanno consistenza solo nella sostanza, come le classi generali dei possibili
predicati che essa pu ricevere, e, in essa, si riferiscono alle singole propriet nel loro essere determinate propriet: si tratta delle categorie ("t1).
(57) An. pr. A, rs, 34a, r6-r9.
(58) Il punto di vista della sostanzialit in quanto tale quello da cui abbiamo
esaminato le premesse dell'apodissi ucl par. 4 e che costituisce il fondamento del
genere in quanto tale, sebbene non dia luogo a nessun genere particolare. Questo
rapporto quello che intercori"e tra i principi comuni ed i principi propri di eia
scun genere. Come sostanzialit il genere non le singole sostanze, ma la connessione necessaria di certe propriet delle cose ed il loro riandare a principi ad esse
appropriati : appunto perci non si esclude che in esso vi possano essere essenze
specificamente diverse (i principi propri), sebbene volte alla spiegazione di propriet
comprese nel genere. Anzi il genere non sussiste che in quelle essem:e specificamente diverse, come legame di una certa categoria di propriet ai loro principi.
(59) Per dimostrare che la apodissi limitata verso l'alto, Aristottle ricorre
alla distinzione delle categorie come determinazioni ultime, distinte e impredieabili l'una dell'altra, alle quali si rifanno tutti i predicati, cio tutte le propriet
delle cose: di ogni cosa si predica ci(, che significa o il quale o il quanto o una
di queste categorie o ci che nell'essenza; e queste cose sono finite, come anche
sono finiti i generi delle categorie: o il quale o il quanto o il relativo o ci che fa
o ci che patisce o il dove o il quando (An. post. A, 22, 83 b, 13-17). Qui compare la distinzione tra ci che entra come predicato nell' csscm:a (-t v oii ouo,t) e
ci che cade sotto le altre categorie; ma poich queste non possono predicar si a
vicenda l'una dell'altra (ibid. 9), debbono necessariamente prcdicarsi della sostanza
e, perci, solo in questa potranno trovare una mgione della loro inerenza, cio solo
nei -c f:v -cfl o<Jt~. Il genere , perci, proprio quello che nella sostanzialit introduce la limitazione alla considerazione delle propriet che cadono sotto le categorie
pertinenti alla scienza in questione.

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L'UNITA DELLA SCIENZA

153

I! genere, percw, presupponendo le sostanze, si propone di spiegare,


entro di esse, le propriet che cadono sotto certe categorie, le quali app-unto non possono andare disgiunte dalla sostanza_ (00 ). Il genere, perci,
considera gli attributi propri delle sostanze, ma compresi sotto certe categorie : solo a questa condizione la scienza si configura come un sistema
finito e ben connesso di principi e di propriet, realizzando quelle che nei
primi paragrafi abbiamo visto essere sue necessit imprescindibili. Se
infatti non ci fossero le categorie come termini ultimi delle prerlicazioni, le propriet errerebbero non vincolate ai principi che le spiegano.
perch non sarebbe mai possibile raggiungere il limite estremo della ricerca ascendente delle loro cause. D'altra parte la loro distinzione. nel
seno della sostanza, permette la distinzione delle scienze che studiano le
propriet diverse in seno alle diverse sostanze. Il yvo ~ perci, la sostanzialit in quanto pu dar ragione di certe propriet necessarie comprese sotto le rispettive categorie. Ecco perch all' inizio di questo capitolo abbiamo dovuto precisare che la struttura sostanziale necessaria
del reale implica un rapporto tra l'individuo e la contrariet antifatica,
messa a fondamento del reale; rapporto mediato (sostanza) o immediato
(essenza). Infatti mentre negli Analytica priora si studia la sostanza in
quanto tale e le sue propriet come propriet di sostanze in quanto tali,
di qualsiasi modalit siano, sicch la struttura sostanziale pu essere con~iderata come legame necessario per cui una propriet rinvia alla sua
ragione, cio (dal lato del sillogismo) come rinvio da un corno di un'antifasi al corno di un'altra antifasi che la include, negli Analytica posteriora
si considerano le scienze che studiano certe propriet necessarie, che. cio,
entro l'ambito della sostanza, partono da principi che permettano di spiegare le propriet degli individui comprese entro un y1o su cui si fondi
appunto una scienza. In questo senso l' individuo non pu pi essere
considerato come l' individuo in quanto tale ed il principio come la determinazione di una coppia di predicati contraddittorii indeterminati; ma
l'individuo deve essere considerato come il rrQOl'EQOV :JtQ fJ!Lu le cui
propriet - che sono determinazioni di certe antifasi - cadono entro
diversi yv'll e perci vanno studiate in rapporto a certe antifasi la etti
determinazione evidente; che, cio sono :rt:QOcEQa cpvcm. Ma fondamento
di tutto ci ancor sempre la contrariet antifatica in quanto tale ed il
suo svolgersi necessario con le categorie modali cui d luogo.
Ma, poich la scienza che prende ad oggetto un y1ho strutturata
sul sillogismo ed il yvo implica la struttura sostanziale del reale c poich il sillogismo, in quanto sillogismo di un yvo, pretende la determinazione delle premesse ed il yvo, in quanto determinazione di certe
( 60 ) Sicch tutte le altre cose o si predicano elle sostanze prime che
gono da loro SOggetti rx((\}'{m;O~Lf.!VOll] O sono nelle sostanze prime COme in
soggetti. Non essendoci le sostanze prime impossibile che ci sia qualche cosa
tro (Cat, 5, 2b, 3-6).

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funloro
d'al'- ,. !

154

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONI:

D~LLA

SCIENZA

propriet della sostanza, esige che si specifichi da quali principi queste


propriet possano essere studiate, eccoci rinviati allo studio delle premesse dei sillogismi cio dei principi delle scienze dei singoli generi.
8. - LA CONOSCENZA DEL ~ton E m:LLO un. - Un'opportuna introduzione allo studio dei principi delle singole scienze sar l'esame di
una distinzione consueta ad Aristotele c da noi gi incontrata: quella tra
conoscenza . del <:hon e conoscenza dello i) n con le relative implicanze.
La ragione (il ~LOtL) che la scienza pu fornire di una certa propriet
quella che in grado di dare il sillogismo (6 1), ma un sillogismo che
procede da premesse immediate, cio necessarie perch tali che di esse in
nessun momento potrebbe pensarsi che il contraddittorio vero. In quanto
il lh6n deve essere enunciato in un sillogismo, esso si inserisce nella
struttura sostanziale del reale che si presenta, appunto, come una concatenazione necessaria per cui certe antifasi trovano le ragioni necessarie
-della loro determinazione in certe altre antifasi. In questo senso il sillogismo deve avvenire proprio attraverso ci che causa della conclusione
e non, inversamente, dalla conclusione alla sua causa (032 ), eome nell' induzione. Anche questa, vero, ha struttura sillogistica. ma il sillogismo
vero c proprio rispetta l' ordine di precedenza della sostanza, per cui
l'immediato viene veramente prima e si configura come ragione del me{iiato. Ora, prendendo come principio l'immediato (u~tEcrov) il sillogismo
del ~hon si configura come sillogismo apodittico, cio tale che studia gli
-aspetti assolutamente necessari della sostanza, vale a dire quegli aspetti
che trovano un posto giusto ed immutabile nell' organizzazione di propriet che costituisce la sostanza. Cio quegli aspetti che sono in rapporto
di derivazione noto ed univoco con i principi immediati che di quell'organizzazione costituiscono i punti di inizio.
In quanto il ~ton comprensibile solo in una sostanza esso si col1oca in un yvo : abbiamo visto, infatti, nel paragrafo precedente, come
il yvo sia lo studio di certe propriet (di certi ()n) comprese sotto
certe determinate categorie, condotto partendo da principi primi (fondamenti del ~ton) entro l'ambito della sostanza. In quanto deve essere cercato entro un yvo ben determinato il <:u)t:L deve essere pertinente ai dnc
(61) Poich crediamo di sapere quando conosciamo la causa, e le cause sono
quattro ... tutte queste si dimostrano attraverso il medio (An. post. n, n, i}~ a,
20-24)..
(G2) Tra il conoscere il "che " ed il " perch " c' differenza, prima <li
tutto nella stessa scienza, cd anche in questa in due modi: in un modo se il si Ilo

gismo deriva da premesse non immediate (perch non si assume la prima causa,
mentre la scienza del perch si serve di essa), in un altro modo se il sillogismo deriva
s da premesse immediate, ma non attraverso la causa, ma, per la conversione delle
premesse, attraverso il pi conoscibile. Nulla impedisce che nelle proposizioni
convertibili a volte sia pi conoscibile quella che non d la causa, sicch attraverso
questa si compia la dimostrazione, per es. che i pianeti sono vicini, perch non brillano (An. post. A, 13, 78a, 22-30).

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LA CONOSCENZA DEL (lton E DELLO

on

l 55

altri termini che costituiscono il sillogismo di cui esso il medio (63),


pena la mancanza di una spiegazione reale dello
in questione. Perch
spiegazione scientifica di una propriet ci sia, occorre che il discorso scientifico ricalchi il reale e necessario ordinamento delle cose per il suo giusto
verso e non in senso contrario, dando solo un'induzione o addirittura
falsando una delle premesse, con la conseguenza di costituire un sillogismo che si accorda apparentemente con lo on, ma non rivela affatto il ;;h<in (64 ).
Da ci che abbiamo detto appare assai chiaramente come il (hiln
sia una mediazione dello on di cui fornisce le ragioni necessarie sottraendolo all'immediatezza del suo imporsi ingiustificato. Non che non siano
possibili anche sillogismi dello !')n - continuamente menzionati nei passi che abbiamo citato - ma essi sono propriamente una induzione, cio
un risalire dalla propriet alla sua ragione, di cui per si cerca solo l'esistenza, senza metterne in luce il valore di ragione (6 5); ma rispetto alla
ricerca dello on quella del 13t6n sempre ulteriore (06 ). Quest'ultima
non deve semplicemente mostrare che il /)Lon c', ma anche come esso
agisca da ragione dello ln : cio deve mostrare come il determinarsi
<iel bLOTL come on di una certa antifasi implichi il determinarsi dello
on della conclusione appunto come on positivo o negativo dell'antifasi
in cui si colloca la conclusione. Il bt6n, perci, un porre in rapporto
lo on con l'antifasi di cui on; ma, poich questo rapporto non si rivela
on immediata evidenza in quanto non si vedono le ragioni di esso, ecco
la necessit di mediarlo con un ricorso a quelle antifasi la cui determinazione causa, cpvaEL, della determinazione in questione, con le quali,
cio, quest'ultima in rapporto, per natura. Il passaggio dalla conoscenza
dell'immediato on a quella del t'n6n il riconoscimento della struttura
sostanziale come la sola che, in re, possa dare ragione dello ()n. Senonch la struttura sostanziale molto complessa e comprende molte propriet in seno alle quali bisogna seguire la linea ascendente dei ~Lon
dello
in questione: bisogna cio conoscere quale sia il /)tt'>-n che
costituisce la ragione necessaria dello on; in esso, inoltre, deve trovarsi

on

on

(G3) An. post. A, 23, 87b, I-4 dove appunto si dice che i principi che sono il
{hon pi alto debbono essere nello stesso genere delle conclusioni.
(U4) Come avviene nell'esempio recato dallo stesso Aristotele: per es. sia A
animale, B il respirare, G la parete. Di ogni B t\ proprio A (perch ogni essere che
respira un animale), che per non spetta a nessuno dei G, sicch neppure B
spetta a nessuno dei G: dunque il muro non respira (An. post. A, I 3, 78 b, 24-!z8).
Qui infatti come causa del fatto che i muri non respirano viene addotta quella che
gli animali respirano, sicch il non essere animale sarebbe causa del non respirare;
ma invece non ogni animale respira (ibid. 22-23).
(65) Quando cerchiamo semplicemente il "che" o il "se c'", cerchiamo se
c' o se non c' un medio di esso~ (An. post. B, 2, 89b, 37-38).
(66) Quando conosciamo il "che", cerchiamo il "perch" (An. Post. B, I,
89b, 29).

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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

156

quella immediatezza evidente che non era propria dello un


nella
sua immediatezza ingiustificata, perch la mediazione possa fare capo
a qualcosa e non prolungarsi all'infinito. &coci cos dinanzi alla richiesta del -r( ecrn. Infatti solo un'immediatezza che possa mettersi a capo
della successione di determinazioni predicative a catena pu garantirci
il possesso del principio della determinazione messa a problema. Poich
il medio del sillogismo del ~lon propriamente la causa ( u'Cnov) (67),
per apprendere la causa noi dobbiamo apprendere il ,;( crn che funge
da medio (68), perch proprio nel r( Emt si rivela - essendo in realt
la stessa cosa che esso - il bt d della conclusione (G9), cio Io stesso
esser ragione proprio del medio. Ancora una volta dalla questione del
perch siamo rinviati a quella del che cosa , dal sillogismo alle premesse,
dalla struttura sostanziale, in tutto il suo organismo spiegato, all'essenza
che ne il principio, mentre nella identit del TL crn con il lt ,;(
si conferma sempre di pi la stretta connessione che lega i principi con
i sillogismi e l' essenza con le proprietc. costituenti la sostanza (70 ). In
realt si pu dire che gli Analytica posteriora siano tutti impegnati con
il problema dell' inserimento dei principi delle scienze nella struttura
necessaria del reale e del discorso e della relazione tra il principio unico
e necessario del reale e del discorso - la contrariet antifatica - ed i
principi delle singole scienze.
9 - I PRINCIPI PROPRII E I PRINCIPI COMUNI. - Ogni scienza, come
abbiamo gi visto, costituita da tre elementi fondamentali : ci che ciascuna scienza assume che sia, ci da cui tutte le scienze dimostrano e ci
che le singole scienze dimostrano di quel che hanno assunto (1 1). Il genere, che il fondamento dell'unit della scienza, costituito appunto da
queste tre determinazioni. Ora in esse si trovano due tipi di principi,
perch anche ci che si assume che sia e di cui si dimostrano le propriet
funge da principio (1 2 ). In ogni scienza, perci, c' ttn lato per cui essa si
(()7) Il medio la causa ed in ogni caso proprio esso che si cerca (A11. post.

B,

2,

90a, 6-7).

(Gll) Quando, avendo preso conoscenza del "che " c del "se ", o in senso

particolare o in senso assoluto, cerchiamo "ci attraverso cui" o "che cosa ", allora
cerchiamo che cosa il medio (At~. post. B, 2, &)h, 38-goa, r).
(69) In tutte queste ricerche chiaro che la stessa cosa il " che cosa " crl
il "perch "~ (An. post. B, 2, 90a, 14-15).
(70) Come dunque diciamo, il conoscere il " che cosa " lo stesso che conoscere il " perch ~ " c questo o assolutamente e di quelle cose che non ineriscono in
nessun modo ad altro o di quelle cose che ineriscono (An. post. B, 2, 90a, 31-;14).
(71) Ogni scienza apodittica verte intorno a tre cose, ci che si assume che sia
(questo costituisce il genere di cui la scienza indaga le propriet che ineriscono di per
s), i principi comuni detti assiomi, dai quali, in quanto primi dimostra, e in terzo luogo
le propdet di ciascuna delle quali assume che cosa significa (An. post. A, 10, 76 h,
Il-16).
( 7 2) Intendo per principi in ciascun genere quelli di cui non si pu dimostrare
che sono. Si assume dunque che cosa significhino ed i principi e le loro conseguenze,

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l PRINCIPI PROPRII t: I COMUNI

157

ricollega a tutte le altre ed un lato per cui se ne distingue (iS), anzi se


ne separa, vietandosi ogni irruzione nei campi proibiti (14) delle altre
scienze con le quali non abbia una effettiva affinit. Il pregio di una proposizione scientifica sta proprio nel suo poter far parte di un discorso
riguardante un yvo ben determinato, cio nell'essere appropriata alle
cose che tratta. Ma poich, come la trattazione del yiivo ha messo in
luce, questo rimanda ai principi, la validit di una proposizione scientifica
sta nel derivare necessariamente (come la struttura sostanziale su cui si
fonda il yvo impone) dai principi propri che le singole propriet di cui
si occupano le scienze neccssarimnente hanno; altrimenti si cade nell'accidentale ('u), cio si smarrisce la nozione di unit della scienza in un
accostamento non rigoroso di conoscenze appartenenti a generi diversi.
Ora i principi propri di ciascun genere sono quelli di cui assunie ed
il significato (rC 011f.!Uh'E1.) e l'essere ((in an) (7 6 ); se lasciamo per
ora in disparte la prima determinazione (il significato), vediamo come la
seconda porti con s non poche difficolt: infatti, chi mai ci assicurer
che l'essere che abbiamo assunto sia quello che andava iscritto al sommo
dei nostri processi deduttivi? In che cosa questa immediatezza che pretende di essere un :TCQOTEgov cpvcrn, si distingue dall'immediatezza del
:rcgrcgov ng; ~ f.!U<;? Ecco che allora i principi propri di ciascun genere,
cio proprio quelli che pongono barriere invalicabili tra le scienze che
non siano gi affini di per s, si richiamano a ci che comune a tutte
1e scienze, cio ai principi comuni, che soli rendono possibili l'apodissi,
vale a dire quel processo dimostrativo in cui unkamente essi hanno il
loro valore di principi : i principi proprii in tanto, cio, possono essere
principi, in quanto ci sono i principi comuni. Questi infatti sono gli stessi
ma necessario per i principi assumete l'essere, per le conseguenze dimostrarlo (An.
post. A, IO, 76a, JI-34).
(73) Alcuni dei principi di cui si fa uso nelle scienze apodittiche sono l)l'Opri
a ciascwm scienza, altri sono comuni (An. post. A, ro, 76a, 37-38).
(74) N'an dunque possibile dimostrare passando da un genere all'altro (An.
post. A, 7, 75a, 38).
(H>) Poich evidente che non : possibile dimostrare ogni cosa se non dai
principi che le sono propri, qualora il predicato da dimostrare inerisca al soggetto
in quanto tale, non possibile conoscerlo scientificamente, se si dimostra da principi
soltanto veri, anapodittici ed immediati. Infatti possibile dimostrare come Brisone
ha dimostrato la quadratura del circolo. Questi ragionamenti procedono dai principi
comuni che sono propri anche di un gct~ere diverso da quello in cui il dimostrato :
perci tali ragionamenti si addicono anche ad altre cose che non appartengono al
loro stesso genere. Perci non si conoscono le cose in quanto sono quello che sono,
ma per accidente; altrimenti la dimostrazione non si adatterebbe anche ad un altro
genere (An. post. A, 9, 75b, 37- 76a, 3).
(7G) Per quanto riguarda le propriet che ineriscono ad essi [i principi propri]
di per s, si assume che cosa ciascuna di esse significhi, per es. l'aritmetica assume
che cosa significhino pari e dispari o il quadrato o il cubo, la geometria l' irrazionale o il convergere o I' intersecare, ma si dimostra che sono attraverso i principi
comuni e le conclusioni gi dimostrate (An.. post. A, IO, 76b, 6-u); An. post. A, Io,
76a, 32-36.

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158

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

principi necessari di tutto il reale, cio quei principi su cui si fonda la


struttura sostanziale del reale e la stessa dimostrabilit delle propriet
delle cose. Solo perch questi principi o, meglio, la struttura linguistica
e reale che su di essi si fonda, fanno posto ai principi propri, che fungono da premesse dei sillogismi, questi possono inserirsi a capo di tutto
il processo apodittico. L' immediatezza del :n:Q6teQO'V qruan si distingue,
perci, da quella del :rtQOTEQOV :rt(l 1) f.Hi perch si connette con i principi comuni in base ai quali pu collocarsi come principio della scienza.
Mentre i principi comuni sono il fondamento del yvo in quanto tale,
i proprii sono i fondamenti dei singoli generi: in questo senso nel par. 5
abbiamo detto che i principi propri riferiscono i principi comuni alle singole gualit delle cose.
Sebbene i principi comuni siano il fondamento del yvo in quanto
tale, non essi sono il fondamento della molteplicit dei generi, bens i
principi proprii. Che cosa fa s che essi si distinguano gli uni dagli altri,
sicch si possa parlare di pit generi distinti gli uni dagli altri? Innanzi
tutto il loro lato semantico, per il quale essi si distinguono anche verbalmente, riferendosi alcuni principi a certe propriet ed a certe cose ed altri
ad altre (7 7). Ma Ja semanticit di per se stessa non sufficiente a distinguere i principi e, con essi, i generi, in quanto si fonda sulla pura convenzione che base troppo instabile per il :n:QOTfQO'V fpVCJEL. La semanticit, come abbiamo lungamente visto, non entra come problema nella logica di Aristotele, essendo una propriet di ogni segno linguistico e di
ogni unione di segni, a meno che non sorga un contrasto con le regole
convenzionalmente adottate e che, comunque, potrebbero sempre venir
mutate per render comprensibili quei segni o quelle unioni. Se perci
l' aver senso o l' esser privo di senso non hanno rilevanza propriamente logica, ma solo di pratico interesse tra i conversanti - e per Aristotele in logica il pratico interesse non c'entra - , chiaro come i principi primi non possano trovare fondamento su11a semanticit. Senonch
di questi principi si deve assumere anche l'essere (7 8 ) che solo pu confermare che essi non siano dei puri nomi senza soggetto, dei meri fla!us
vods convenzionali cui nulla corrisponde di reale. Ora, questa assunzione
di essere implica alcuni problemi : il criterio in base al quale noi assumiamo l'essere di alcune realt indicate da certe parole e il significato di
questo essere. Ma quando si sia visto come il primo problema si connette
al mezzo di conoscenza dell'essere che si deve assumere ed il secondo a
quello della nozione di essere, quale tts<'.ta nella logica di Aristotele in
generale, si vedranno in essi i problemi gi profilatisi a proposito d~lla
trattazione preliminare delle premesse dei sillogismi. E mentre, come
allora, rinviamo il problema del mezzo di conoscenza dell'essere assunto,
(77) An.. post. A, ro, 76a, 31-36.
(7~) At~. post. A, IO, 76a, 31-34.

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PI~INCIPI

PROPRII E l COMUNI

159

possiamo ripetere che questo essere consiste senz'altro nel determinarsi.


di un corno dell'antifasi; anzi, poich si tratta di principi, questo determinarsi un determinarsi immediato - conosciuto con l'intuizione,
come preciseremo in seguito - di un corno di una certa antifasi. Ci
si ricava subito dalle parole di Aristotele ste~so che avverte come i principi non siano n. postulati n ipotesi perch hanno una loro evidenza del
tutto interiore con cui si impongono a chi li considera (7 9 ) ed aggiunge
che l'appartenere immediato di due termini l'uno all'altro un loro riferirsi reciproco, senza che sia possibile un medio per provare questo
riferirsi (80 ): un principio proprio di un genere, allora, si ha quando risulta immediatamente se della realt indicata, secondo convenzione, da
una parola si possa e si debba dire che o che non . Questo molto importante, perch permette di asserire che principio proprio del genere
l"essenza, in quanto rapporto immediato di ci di cui essenza con le
antifasi, la cui determinazione ragione necessaria di alcune propriet
della cosa in questione. Il lato semantico dei principi si fonda sul riferimento alle singole propriet delle cose che si denominano con termini
semanticamentc diversi e che si devono spiegare con il rinvio ai principi
ad esse appropriati e semanticamente differenziati ; queste propriet sono
rapporti con certe determinate antifasi ; quanti di questi rapporti si risolvono immediatamente entrano a far parte dell' essenza, costituiscono il
fondamento di un yvo; e fungono da premesse per la spiegazione dei
rapporti che non si risolvono immediatamente, ma che hanno bisogno
della mediazione dell'apodissi, riattaccantesi, apptmto, a quei rapporti immediati. Il far rientrare una cosa in un genere significa considerarne
l'essenza co~1e principio di certe sue propriet, cio riportare la cosa a
certe antifasi - connesse con le propriet di cui si vuole dare ragione in cui essa si determini immediatamente. Resta senza dubbio un problema, quello di trovare queste antifasi in cui la determinazione avvenga
immediatamente e che siano in c0nnessione necessaria con le propriet
da spiegare: infatti non solo possibile sbagliare per non essere partiti
da principi immediati (R 1), cio da antifasi la cui determinazione non

(79) Non n ipotesi n postulato, ci che necessario che sia di per s c che
deve essere pensato come necessario. Ot la dimostrazione non si rivolge al discorso
esterno ma al discorso interiore dell'animo, poich neppure il sillogismo si rivolge al
discorso esterno (An. post. A, ro, 76b, 23-25). Poich Aristotele precedentemente
ha detto: tra le tesi chiamo ipotesi quella che assume uno qualunque dci membri di
tm'antifasi, per es. quando dico che qualcosa o non (ibid. z, 72a, r8-2o) e poich
ha asserito, nello stesso capitolo 1 o da cui abbiamo citato il primo passo, che per i
principi si assume l'essere, oltre il significato, la dichiarazione che i principi non sono
ipotesi a rigore non collima con i passi precedentemente citati. Ma l'uso di questo
termine non costante in Aristotele che, qui, lo considera sinonimo di assunzione
arbitraria (cfr. Ross, op. cit., p. 540).
(80) Intendo per ineri re o non inerire immediatamente, il non esserci medio
di quell' inerire (An. post. A, rs, 79a, 34-35).
(81) An. post. A, 13, 78a, 24-26.

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160

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

sia immediata, ma anche per non essere partiti da principi adatti, ctoe
connessi necessariamente con le propriet da spiegare (82). Questo problema pu essere avviato alla soluzione solo con un'analisi interna dell'essenza.
In quanto il yvo fondato snll'essenza, le cose solo m esso possono venire studiate in base alla loro propria natura .che le fa essere
quello che sono (x nov ezow n1>v xE(vou ft 'XE:vo) (S 3) e le mette
in grado di accogliere le propriet che di esse possono venire predicate
come proprie. In questo senso l'essenza sempre un singolo, come si ricava dai chiarimenti di Aristotele sull'ordine che si deve osservare nella
predicazione e sulla prcdicazione per accidente (84 ) ; nella predicazione il
soggetto, della cui essenza appunto si tratta, sempre l' individuale concreto, a meno che non si proceda per accidente. N questo in contrasto
con l'ammissione di Aristotele che il yvo l'unit, in re, della scienza,
cio ci che lega in unit gli oggetti studiati da una scienza. Perch il
contrasto si avrebbe solo se universalit del yvo ed individualit delle
cose fossero a loro volta cose materialmente separate e non rapporti,
come abbiamo gi detto. Cos definita, l'essenza universale principio -di
intelligibilit dell'individuale, racchiude, in certo modo, in se stessa la
scienza e si pone come garanzia della sua sistematicit conchiusa e completa: il r( ~v ELvUL, infatti, costituito da un numero limitato di elementi e, perci, del tutto percorribile con la mente, analizzabile in tutti
i suoi componenti, sicch nulla sfugga alla riflessione dello scienziato. In

(82) An. post. A, 9, 75b, 37-76a, 3.


(83) Conosciamo non accidentalmente una cosa quando conosciamo i predicati
che ad essa ineriscono di per s, dai principi del soggetto in quanto quello che ,
per es. a proposito dell'avere gli angoli interni uguali a due retti, quando conosciamo
il soggetto cui questa propriet inerisce di per s, dai principi del soggetto. Sicch
se la propriet che studiamo i neri sce di per s al soggetto cui inerisce, necessario
che il medio sia nel loro stesso genere (An. post. A, 9, 76a, 4-9).
(84) infatti possibile dire con verit che il bianco cammina c che quel grande
legno, e, invece, che quel legno grande c che quell'uomo cammina. Ma non la
stessa cosa dire in un modo piuttosto che in m altro. Quando infatti dico chl~ il
bianco legno, asserisco che ci cui accaduto di essere bianco legno, ma non
come se il bianco fosse soggetto di legno: e infatti n ci che era bianco n una certa
specie di bianco divenne legno, sicch non possibile as~erirlo se non per accidente.
Ma quando dico che il legno bianco, non dico che c' qualcosa di diverso che
bianco e che a questo accaduto di essere legno, come quando dico che il musica
bianco (ch allora dico che bianco l'uomo cui accaduto di essere musica), ma
il legno il soggetto, quello che divenuto ci che asseriamo che sia e che pro'
prio o l'essenza del legno o una qualche specie di legno. Se dunque si deve stabilire
qualcosa, resti per fermo che questo sia predicare, quello, invece, o non predicare
affatto o predicare non in senso assoluto, ma solo accidentale. Sia allora p. es. il
bianco il predicato, il legno ci di cui si predica. Si supponga che il predicato si
predichi sempre, di ci di cui si p-edica, in senso assoluto c nn per accidente: cos
infatti le dimostrazioni dimostrano. Sicch o nell'essenza o come qualit o come quantit o come relativo o come ci che fa o come ci che patisce o come determinazione
di. luogo o come determinazione di tempo si predica ci<) che si predica, quando si
ha una predicazione di termine a termine (An. post. A, 22, 83a, r-.2,1).

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l PRINCIPI PROPRI! E l COMUNI

161

altre parole gli oggetti della scienza sono tutti integralmente spiegabili
dalla scienza stessa (85 ). Ma la trattazione di questo quesito fa s che
risorga il problema, cui abbiamo gi accennato pi sopra, cio quello
della specificazione delle antifasi la cui determinazione immediata pu
fungere da principio della scienza. Appunto queste antifasi devono essere
b<::n determinate c limitate se la scienza deve poter esaurire con il suo
studio tutti gli aspetti del reale e spiegarli esaurientemente nel loro vero
essere reale che il loro essere necessario ed immutabile. Ecco allora
profilarsi all' orizzonte la dottrina delle categorie come elementi ultimi
dell'essenza o classi pit'1 alte delle possibili antifasi rispetto alle quali le
cose si determinino immediatamente (86 ) ; come a queste categorie Aristotele arrivi, quali criteri usi a determinarle, le implicanze di questa dottrina, sono tutti problemi che restano da trattare ed ai quali qui abbiamo
accennato solo perch fosse pi completo il quadro della prohlematica
e della dottrina dei principi.
Tenendo presente le osservazioni or ora fatte si potr facilmente
vedere come il yvo sia ad un tempo il principio da etti si deducono le
propriet, il soggetto di esse e l' insieme organico del soggetto e delle sue
propriet necessarie, perch l'essenza, suo principio, contiene gi in s tutte
le propriet che costituiscono il yvo c che saranno via via svolte : e ci
garantisce la finit numerica degli elementi fondamentali della scienza
che non corre pi il rischio di dover procedere all'infinito (87 ). Ma ci
mostra come, d'altro lato, l'essenza, di sua natura, non possa restare chiusa
in s, ma debba dare uogo alla deduzione dci predicati che ad essa sono
propri: il che costituisce, come gi abbiamo visto, la struttura 'tessa del

(So) Se ~ possibile defmire l'essenza e se essa conoscibile, se impossibile


andare all' intnito, necessario che siano limitati di numero i predicati ecntennti
nell'essenza (An. post. A, 22, 8zb, 38-83a, r).
(SS) A1~. post. A, 22, 83 b, 13-17.
(87) I predicati non possono essere infiniti n verso l'alto n verso il basso
nelle scienze apodittiche, intorno alle quali verte questa ricerca. Infatti la dimostrazione si occupa di quelle propriet che ineriscono di per s alle cose. E vi sono due
tipi di propriet di per s: quelle che incriscono all'essenza dci loro soggetti e quelle
nella cui essenza ineriscono i loro soggetti; per es. per il numero il dispari che inc.risce al numero, ma nella cui essenza il numero inerisce, mentre al contrario la
molteplicit e la divisibilit appartengono all'essenza del numero. Nessuna di queste
due specie pu essere infinita, neppure quella esemplificata dal dispari rispetto al
numero (altrimenti, infatti, ci sarebbe qualche altro termine che inerirebbe al dispari
che inerirebbe a quello); '! se ci fosse, prima di tutto il numero inerirebbc a quei
termini che inerisono ad esso (il dispari); se dunque non ci pu essere un'infinitA
di tali termini nell'uno, neppure i termini che stanno verso l'alto possono essere infiniti; ma . necessario che tutti ineriscano al primo, per es. al numero, c che a quelli
inerisca il numero, sicch siano convertibili, ma senza che l'un termine ecceda l'altro
in ampiezza; e neppure le propriet che sono nell'essenza possono essere iafinite:
ch in questo caso non sarebbe neppur possibile definire. Se dunque tutti i predicati
(di cui si occupa la scienza apodittica) si possono dire di per s, e questi debbono
11on essere infiniti, ci si deve fermare verso l'alto e cos anche verso il basso (An.
post. A, 22, 84a, 9-28).
Il

C. A. VIANo, La logica'dt Aristotele.

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162

L'APODITTICA l! L' ORGANIZZAZIONI! DELLA SCII!NZA

genere (88). Anche qui l'elemento semantico viene a distinguere verbalmente le propriet diverse di cui le diverse scienze si occupano, ma di
per s non sufficiente a questo compito, ch non d nessuna garanzia
delle distinzioni che l'uso di parole differenti pare accennare: solo la
dimostrazione dell'effettiva inerenza di queste propriet pu dare un valido fondamento alla distinzione delle propriet (80 ). Cio solo se le
espressioni semantiche, presa la forma dell'affermazione o della negazione
- fattesi, cio, apofantiche - , possono inserirsi nella sostanza e qui avere
il loro posto, la distinzione semantica delle diverse propriet reale. Le
propriet caratteristiche dedotte dall'essenza, insieme con l'essenza da cui
sono dedotte, costituiscono la sostanza, come insieme di propriet legate
secondo la necessit sillogistica. Le cose individuali, infatti, messe in
immediato rapporto con le antifasi la cui determinazione immediata,
mostrano la loro natura di sostanze come determinazione necessaria di
certe altre antifasi, la cui deduzione, appunto, mediata tramite le prime.
I principi comuni, propriamente, non rientrano espressamente nell~organismo detle scienze e non fungono da premesse dei sillogismi apodittici di cui le varie discipline si servono (90), eccezion fatta per i casi
di dimostrazione per assurdo (91 ), in cui bisogna fare ricorso alla struttura necessaria della realt per mostrare l' impossibilit che due propriet contraddittorie ineriscano contemporaneamente allo stesso soggetto.
Tuttavia anche in questo caso i- principi comuni prendono una configurazione adatta al genere cui vengono specificamente applicati, come sempre, in genere, la loro applicazione ai diversi generi diversifica la loro
veste semantica (9 2), pur senza modificare il loro contenuto, dal momento

(88) Sono principi propri quelli che si assume che siano e le cui propriet di
per s la scienza studia (An. post. A, Io, 76b, 3 Dove da 110tare che il c: per
s ~' delle propriet dedotte diverso dal 4: per s delle premesse: a qur:ste infatti
spettano le propriet che entrano immediatamente nell'essenza, cio la prima categoria di predicati distinta nel testo citato in n. 87, mentre le propriet dedotte sono
per s proprio nel senso che derivano necessariamente dall'essenza, in quanto
quella che e perci la implicano nella loro definizione, costituendo la seconda categoria di propriet menzionate in n. 87.
(80) c: Per quanto riguarda le propriet che ineriscono ad essi i principi propri
di per s, si assume che cosa ciascuna di esse significhi, per es. l'aritmetica assume
che cosa significhino pari e dispari o quadrato e cubo, la geometria l' irrazionale
o il convergere o l' intersecare, ma si dimostra che sono attraverso i principi comuni o le conclusioni gi dimostrate (An. post. A, IO, 76b, 6-n); ibid. 76a, 31-36.
(90) Nessuna dimostrazione assume che non si pu afferma1e e negare contemporaneamente, a meno che non debba dimostrare che ci vale specificamente per
la conclusione (At~. post. A, II, 77a, ro-r2).
( 01 ) Assume che ogni cosa si debba affermare o negare la dimostrazione per
assurdo, ed anche in questa non sempre in universale, ma solo per quanto ad essa
sufficiente, cio per quanto sufficiente al genere (A t~. post. A, n, 77a, 22-24).
(9~) I principi comuni sono comuni per analogia, poich di essi utile quanto
appartiene al genere che la scienza studia"' (Att. post. A, ro, 76a, 38-40); sono
principi comuni per es. che sottraendo uguali da uguali si ottengono uguali. Di
ciascuno di essi sufficiente quanto rientra in un genere: sar infatti lo stesso as-

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l PRINCIPI PROPRI! E l COMUNI

163

che si tratta solo di semanticit, cio di convenzionalit; dei segni linguistici con cui un certo contenuto invariabile ed appartenente all' essere
viene enunciato: appunto perci questi principi, pur specificandosi per
i singoli generi, non cessano di essere comuni a tutti (x.otvci). Il loro ufficio quello di fondare la stessa possibilit del yf.vo, ossia della dimostrazione delle propriet : essi cio sono il fondamento stesso della sostanza, come presupposto reale del sillogismo: vale a dire i principi stessi
dell' essere in quanto tale. Infatti, se lo specificarsi solo semantico del
principio dell'essere, fa s che esso non si perda scindendosi nella molteplicit dei yv11 e costituisca ancora ci che di comune c' fra di essi,
d'altra parte il suo necessario specificarsi fa s che esso non sia in grado
di costituire un yvo a s, dal momento che l'unit che esso fonda non si
basa sull'identit delle essenze, ma sulla analogia ( xar' &va.oy(av) dei
diversi generi che hanno la stessa struttura, sebbene volta alla spiegazione di propriet diverse (93 ). In questo senso non possibile una scienza
dei principi propri di ciascuna scienza (94 ), sul modello delle scienze singole. Infatti si presupporrebbe allora un vero e proprio yvo comprensivo di tutti gli altri yvyt, con le seguenti due difficolt: 1) ogni scienza
non sarebbe pi una compiuta spiegazione delle propriet di cui si occupa, perch avrebbe sopra di s la scienza dei principi da cui essa stessa
deriva e ai cui principi dovrebbe attingere per derivare da premesse assolutamente prime ed immediate ; 2") se le scienze rientrassero in un unico
genere di cui ci fosse un'unica scienza si avrebbe un indebito passaggio
da genere a genere. Tutto ci conferma come il principio dell'essere sia
il fondamento antologico del y,o in quanto tale, cio della struttura
sostanziale del reale, che sola permette la scienza e perci non appartiene a nessuna di esse in particolare, neppure ad una scienza delle scienze
che sia fondata su di un yvo del tutto identico a quello delle altre scienze.
Questo principio quello che il De interpretatione e gli Analytica priora
hanno additato come il fondamento del reale in quanto tale e del discorso
apofantico che lo enuncia. N ci in contrasto con la concezione della
metafisica come scienza dei principi dell'essere e della dimostrazione (95 ):

sumcrlo per tutti i generi o solo per le gramlezze, o, per il matematico, solo pe!
numeri (ibid. 76a, 41-b, 2).
(93) An. Post. A, 10, 76a, 39-40.
(94) chiaro che non possibile dimostrare i principi propri di ciascun genere: sarebbero, infatti, i loro prindpi i principi di tutto e la loro scienza la scienza
suprema. Ch sa di pi quello che conosce procedendo da cause pi alte: perch sa
da ci che primo, quando sa da cause non causate. Se questi sa di pi, anzi, sa
al massimo, anche quella scienza sar la maggiore anzi la massima. La dimostrazione non si adatta ad un altro genere, ma, come si detto, la geometria si adatta
alla meccanica ed all'ottica e l'aritmetica all'armonica (An. post. A, 9, 76a, r6-25).
(95) C' una scienza che studia l'essere in quanto essere e quanto ad esso incrisce di per s (Metaph., r, I, IOOJa, 21-22); in quanto scienza dcll'ov fl V, la filosofia scienza della sostanza : il filosofo dovrebbe possedere i principi e le cause

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164

L'APODITTICA I: L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

perch vero che essa studia l'essere in quanto essere ( v ll ov ), ma


altrettanto vero che questo non costituisce un genere, una sostanza fuori
delle cose (96), ma appartiene alle cose secondo analogia (07 ), essendo
l'analogia propriamente una identit di struttura (98 ). La dottrina della
scienza degli Analytica posteriora, perci, concorda pienamente con la
dottrina della filosofia prima contenuta nella Metaphysica, e, anzi, costituisce il presupposto di quella in quanto rinvia a quella riconoscendo il
suo fondamento nei principi comuni dell'essere che pu essere studiato
da. una sua scienza specifica, sebbene diversa dalle altre scienze. D'altra
parte, poich lo studio dell'essere in quanto essere si precisa, nella }f etaphysica, come studio della o'cr(a, si conferma che il fondamento dei
generi e del loro studio da parte della scienza sono appunto i principi
comuni, in quanto principi della sostanza, il cui centro di intelligibilit
l'essenza.
A differenza della scienza, la dialettica non ha questa rigorosa divisione in generi ben distinti l'uno dall'altro: essa infatti comune a tutte
le scienze e serve come discussione preliminare dei principi indimostrabili (09). Non che possa dare un'apodissi di essi, che impossibile, ma
serve a disporre opinativamente la mente di chi ascolta o apprende verso
i principi : del che abbiamo un esempib famoso nel libro r della M etaphysica (10). Ma questo poter passare da una scienza all' altra, questo
poter discutere opnati"vamente i principi primi deriva dai fondamenti
stessi della dialettica : essa non appartiene a nessun genere particolare,

della sostanza (ibid. 2, I003.b, 18-19). In quanto studia la sostanza, il f1losofo


studia anche i principi apodittici: chiaro che spetta al filosofo ed a chi indaga su
ogni sostanza, in quanto ha una sua propria natura, la ricerca sui principi sillogistici (ibid. 3. 1005 b, s-8).
(UU) Poich l'" uno" si dice come l' "essere", e la sostanza una se - di un
uno e l'uno tale perch di una sostanza, chiaro che n l' " uno " n l' " essere "
possono essere sostanza delle cose, come neppure avere natura di elementi o di principi (Metaph., Z, 16, I04(>b, 16-19). E pi sotto Aristotele, dopo aver asserito che
l' essere e l' uno sono universali (1Gow6.), mentre la sostanza non lo , continua: sicch chiaro che nessuno degli universali sussiste separatamente dagli individuali (ibid. 26-27). Senz'altro ogni cosa un essere ed un uno, ma non come
se l'essere e l'uno fossero suoi generi o fossero separati dagli individui (M etaph.,
H, 6, 1045b, 5-7).
(97) Le cause ed i principi sono, ir. un certo senso, diversi per le cose diverse,
in un altro senso, se si volesse parlare universalmente e per analogia, sono gli stessi
per tutte le cose (M etaph., A, 4, 1070a, 31-33).
(9tl) Si possono dire uno per analogia quelle cose che sono come un che di
diverso rispetto ad un che di diverso>> (M etapk., ~. 6, 1016b, 34-35).
(09) Comune a tutte le scienze la dialettica che si impiegherebbe se qualcuno
tentasse di dimostrare genericamente i principi comuni, per es. che tutto deve essere
affermato o negato o che togliendo eguali da eguali si ottengono eguali o altri simili (A1h post. A, II, 77a, 29-31).
( 10) possibile dimostra1e confutatoriamente intorno a questo principio l>
(Metaph., I' 4, 10o6a, n-12), cio al principio di non-contraddizione, che proprio
un principio comune.

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LE PROPRIET DELLA SCIENZA

165

perch interroga e non parte da ci che si impone da s con assoluta


evidenza (101). Se infatti questi punti di partenza assoluti ci sono, si
determinano delle linee univocamente necessarie che da essi si diramano
alle conclusioni; ma se di essi non si tiene conto e si procede da premesse
che paiono evidenti solo all'opinione, allora chiaro che tutta la deduzione sospesa all'opinione e che perci possono essere proposte come
ragioni necessarie delle propriet in questione certe altre propriet tratte
da un genere diverso; genere che si costituirebbe, per, solo se si procedesse apoditticamente,. mentre dove vige l'opinione anche la divisione dei
generi non assoluta ma si forma e si dissolve come piace ai conversanti
o ai disputanti. Ma l' intendere la natura di questo proporre dialettico
sar compito che affronteremo pi tardi.
IO. - LE PROPRIET DELLA SCIENZA. Gi abbiamo visto, nei primi
paragrafi di questo capitolo, come la scienza non possa non servirsi del
siJlogismo, del quale deve fare uso ogni discorso che voglia enunciare il
reale. Tuttavia un sillogismo pu sempre assumere o premesse tali che
oltre di esse non si possa andare o proposizioni non assolutamente vere
ma convenute. Sebbene anche i discorsi che si trovino in questa seconda
condizione non possano esimersi dall' essere sillogismi e dall' enunciare
nessi riguardanti sostanze, solo i primi si possono dire non contraddicibili. Infatti un sillogismo apodittico deve avere premesse necessarie, in
quanto una premessa che sia di per s evidente presuppone di poter sempre essere asserita quale ; in caso contrario vi sarebbero delle occasioni
in cui non sarebbe vero asserire quella premessa, con la conseguenza che
accorrerebbero delle ragioni per determinare quando sia da asserire c
quando no. Sicch un sillogismo apodittico deve avere premesse necessarie (102 ) ; e non solo una ma entrambe (10 8). Gi avevamo accennato,
infatti, a proposito dei sillogismi di necessit con una premessa necessaria e l'altra assertoria, come in questo caso l'assertoriet di una delle
premesse fosse solo una mancanza di determinazione della modalit della
proposizione che fungeva da premessa ; modalit che si sarebbe dovuta
chiarire in quella della necessit non appena la premessa fosse stata considerata come proposizione a s stante e svincolata dal complesso del silIogismo in cui il tutto garantiva la necessit di quella sua singola parte.
Negli Analytica priora, del resto, l'essere tende spesso a collocarsi accanto
alle altre categorie della modalit, quasi si trattasse di una terza categoria.
analoga a quelle di necessit e di possibilit; ma gi nell'analisi di quel-

(101) La dialettica non studia alcune cose definite, n un genere eh~ abbia
un'unit. In tal caso infatti non interrogherebbe: ch non possibile che chi dimostra interroghi, perch non possibile dimostrare la stessa cosa degli opposti. Ma
questo si gi mostrato negli scritti sul sillogismo (An. post. A, n, 77a, 31-35).
( 1 02) Nella scienza il sillogismo deve derivare da premesse necessarie (An.
Post. A, 6, 74 b, 15).
(108) An. Post. A, 6, 74 b, 26-32.

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166

L'APODITTICA E L'OIWANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

l'opera si vede come esso in realt sia l'orizzonte della modalit in cui il
necessario ed il possibile sono reali, non essendo l' ed il non
che l'immediato collocarsi da uno dei soli due lati - ciascuno esclusivo
dell'altro - possibili in questo orizzonte. Ora se questa collocazione si
afferma, perch pare immediatamente tale, essa necessaria in quanto
quello che e non quello che non , ma il suo essere non ancora conosciuto nella sua modalit, cio non si sa se questa collocazione abbia o no
onnivalidit temporale, se sia necessaria o possibile. Se invece l' immediatezza inerente alla necessit assoluta della collocazione nell'antifasi, cio
alla sua onnivalidit temporale, allora essere immediato vuoi dire essere
determinato anche nella modalit. Mentre negli Analytica priora importava mettere in luce la necessit antifatica persistente in un discorso procedente da principi - fossero essi apodittici o dialettici, ma gli uni e gli
altri gi compresi entro l'antifasi - ed il necessario presupposto sostanzialistico di questa necessit del discorso, negli Analytiw posteriora preme
tener conto anche della conoscenza del reale da parte di chi enuncia il
discorso - dal momento che si tratta di una teoria della scienza - sicchc
non pi ammissibile un essere del quale resti indeterminata la modalit.
Un tale essere sar infatti l'essere immediato, ;;rgon.ogov :ng ihui di
cui la scienza deve appunto determinare la modalit. Senza dubbio l'essere
come attualit, cio come attuale collocarsi da un Jato dell'antifasi, e la
struttura di esso come nesso di propriet e sua ragione fondato sulla necessit sillogistica sono ancora considerati come la struttura del reale, in
quanto sempre determinato secondo un membro dcll'antifasi e sempre
necessariamente collegato con altre determinazioni antifatichc - in dipendenza da principi immediati perch necessari - nell'organizzazione della
sostanza, ma appunto perch conoscenza delle propriet insieme con il
loro lh6n, cio nella sostanza, la scienza non pu prescindere dalla loro
modalit. Essa cio deve sapere se quell'attualit con le ragioni che l'hanno
determinata persista nel futuro, sicch sia integralmente spiegabile nella
sostanza per il suo legame univoco con i principi assolutamente necessari
o se invece di essa, per il futuro, possa predicarsi tant0 l' ,~ssere rhe il
non-essere. Nella scienza, come nella sostanza, perci, le propriet non
possono essere che possibili o necessarie, mentre l'essere si precisa quale l'orizzonte della necessit antfatica in cui necessariamente collocato
chiunque pronunci un discorso apofantico, dal momento che ogni essere
non pu non esservi compreso. L'essere si traspone da orizzonte Hecessario della realt e del discorso apofantico al piano delle categorie madali, come mancanza di determinazione della modalit, solo nell' immediatezza - che non sia l'immediatezza del necessario - per etti si enuncia in una proposizione l' o il non , senza metterlo, per, in rapporto
con I'antifasi di cui un corno ; o per cui si enuncia la ragione dell'
o del non di una certa antifasi - ragione presentata come necessaria ma senza spingere la mediazione fino all'immediato perch necessario in

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LE PR.OPR.IETA DELLA SCIENZA

167

base al quale soltanto si pu determinare se la ragione di quell' o di


quel non sia sempre reperibile, cio necessaria - e con essa l' o il
non alla prima necessariamente ed univocamente unito - : infatti la
necessit delle propriet trovate con il sillogismo consiste proprio nella
sempre ulteriore ripetibilit del sillogismo, cio nella sempre ulteriore
reperibilit delle ragioni di dette propriet. Ora di ragione in ragione
questi sillogismi rinviano alle premesse assolutamente necessa.rie, non potendo di per s bastare una enumerazione a fondare una necessit assoluta.
Poich per la scienza le propriet delle cose non possono essere che
necessarie o possibili, vediamo come essa si comporti di fronte alle une
ed alle altre. Le prime sono suoi oggetti in senso proprio e completo (104).
Infatti da un sillogismo con entrambe le premesse necessarie, come abbiamo visto che deve essere quello apodittico, non pu derivare che una
conclusione necessaria la quale d luogo <)- sua volta, insieme con un'altra
premessa necessaria, ad altre conclusioni necessarie: in quanto studio di
{!Ueste propriet la scienza pu essere caratterizzata dalla necessit come impensabilit del diverso (10 5). Il possibile per Aristotele l' indeterminato, cio ci che pu essere l'uno o l'altro corno dell'antifasi, sebbene in alcuni casi si rivelino delle tendenze per cui un corno si avvera
con maggior frequenza dell'altro. Ora del possibile, in entrambe le sue
specie, la scienza non si potrebbe occupare (106 ) dal momento che il
possibile indefinito non ha un medio reperibile e quello che pur ammette
delle tendenze di realizzazione non in grado di dare un criterio per
stabilire quando il medio, che funge da ragione della determinazione del
corno solitamente realizzantesi, possa essere impiegato e quando no:
eppure tutte le ricerche scientifiche vertono intorno al medio (1 7 ). La
difficolt presentata dallo studio del possibile da parte della scienza
dovuta al fatto che questa dispone solo di un linguaggio del necessario,
cio procedente secondo nessi univoci dalle premesse alle conseguenze,
mentre il possibile caratterizzato proprio dal venir meno di questa uni~
vocit. Tuttavia gli Analytica priora hanno mostrato come ci fossero anche dei sillogismi della possibilit, cio come fosse possibile un discorso
scientifico intorno alle cose possibili, perch comprese, anch'esse, neila

{ 1 04) evidente che se le premesse da cui :ieri va il sillogismo sono universali, anche la conclusione di una tale dimostra?.ionc c, in senso assoluto, della dimo~
strazionc deve essere eterna (A1~. post. A, 8, 75 b, 21-24).
( 1 0(;) La dimostrazione delle cose necessarie e, se esse seno state dimostrate,
non possibile che siano diversamente da come sono (A t~. post. A, 6, 74 b, I3-IS).
(106) Non c' dunque scienza n dimostrazione in senso assoluto delle cose
corruttibili, ma come per accidente, perch le conclusioni non sono valide delle cose
po,sibili nella loro totalit, ma solo in certi casi c sotto certi aspetti (An. po st.
A, 8, 7Sb, 24~26).
( 1 07) E dunque chiaro che in tutte le cose si ri::erca sempre il medio (An ..
i'Mt. R, 3, 90a, 35-36).

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168

L'APODITTICA B L' OROAN!ZZAZIONB DELLA SCieNZA

struttura sostanziale del reale. Ma abbiamo gi visto come il possibile, in


quanto tale, propriamente sia del tutto ridotto al non essere necessario sia come proiezione retrospettiva di esso o sua non-impossibilit sia
come antitesi ad esso, cio non spiegabilit entro la struttura sostanziale.
Per si pu ugualmente dire che in entrambi i casi esso viene ridotto al
necessario. N el primo caso infatti esso il necessario in potenza e perde
la sua caratteristica di possibile in qi.tanto diventa univoco; nel secondo
caso l'unica determinazione che si dia del possibile quella di non essere
necessario, cio di non rientrare propriamente nella struttura sostanziale
che sola d il crisma della realt. Ora del primo caso la logica della
scienza non deve occuparsi in modo particolare, perch esso coincide con
il necessario ; del secondo non pu occuparsi se non nella misura in cui
esso riducibile al necessario. Il che si pu fare considerando l'asserzione
c: possibile che pu entrare in un sillogismo ed essere attribuita come
propriet necessaria di una sostanza; in questo caso la x e non-x di cui
la possibilit contemporaneamente possibilit non entra in considerazione
se non nella forma dell'alternativa della quale non si pu determinare
quale membro sia vero. In questo ultimo caso per si pu considerare
la x o la non-x se una delle due si realizza solitamente (1 OS) ; ma in
realt questo tipo di possibile non ha un linguaggio apposito, perch viene
trattato come se fosse necessario, in quanto si passa dalla possibilit
all'affermazione della propriet possibile con il solo avvertimento che non
si tratta di una affermazione valida in ogni tempo, ma solo il pi delle
volte ( & E:rtl. -r :rtaA:u ). Che questo tipo di possibile richieda delle indagini adatte e tali che possano stabilire degli indici di frequenza o che comunque si serva di un linguaggio scientifico fondato sulla asserzione della
probabilit Aristotele non ammette; concepisce s che di questo per lo
pi si cerchi il medio, cio la causa determinante, che per anch'esso
un per lo pi (10 9) che richiederebbe a sua volta una ricerca apposita.
Di questo passo si andrebbe all' infinito alla ricerca di un punto in cui
finalmente Aristotele riconoscesse la possibilit in quanto tale: egli non

( lOS) Il casuale non n il necessario n ci che avviene per lo pi, ma ci


che non cade sotto queste determinazioni; invece la dimostrazione concerne una
di esse. Infatti ogni sillogismo o deriva da premesse necessarie o da preme~se del
per lo pi; e se le premesse sono necessarie anche la conclusione lo , se sono del
per lo pi, lo anche la conclusione (An. post. A, 30, 87b, 20-25). Da queste
parole si vede come la scienza si occupi anche di ci che avviene solitamente, cio
del possibile in cui uno dei membri dell'antifasi ha la tendenza a realizzarsi il pi
delle volte, sebbene non sempre.
( 1 09) Le premesse di un sillogismo del per lo pi, come risulta dalla nota
precedente; enunciano anch'esse soltanto Wl per lo pi c rinviano ad infinito
sempre a termini che ineriscono solo per lo pi; la necessit non si trova che
nell'essenzialit di quella possibilit, che si realizza di solito in uno dci corni, c che
pu essere necessaria solo come indeterminazionc tra due alternative contraddittorie.
Si deve cio spostare la considerazione all' possibile dal possibile che sia
o che non sia.

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'.

LE PROPRIET A DELLA SCIENZA

l@

pu farlo dal momento che ammette la disponibilit di due sole forme


linguistiche, l'affermazione e la negazione escludentisi a vicenda.
Appunto sulla base di questi presupposti la categoria del per lo
pi ridotta a quella di necessit con l'avvertenza della non permanente
verificabilit delle proposizioni che ad esse si riferiscono: in questo senso
le conclusioni cui perviene la scienza sui fatti che accadono solo ro &:rcl
r :rco,v sono xut ~J.go cio limitate al :rcor x.al :rcw, al v\h (110). Del
resto basta considerare le premesse di cui fa uso il sillogismo su eventi
abituali per comprendere il pensiero di Aristotele. In tale sillogismo una
delle premesse deve essere xm'M.mJ e l'altra q:riJu.{_l'nl e iJ.J xa-IJ6otJ come
la conclusione (111 ): cio si tratta di un sillogismo con una premessa necessaria e l'altra possibile. Se consideriamo il sillogismo di I 0 figura, si
vede subito che possibile deve essere la premessa minore, perch se lo
fosse la maggiore, si avrebbe una conclusione della possibilit indeterminata, che contro l'ipotesi che si tratti di possibilit abitualmente determinata. Non resta allora che il sillogismo di I" figura con la premessa
minore del possibile e la maggiore del necessario. Ma abbiamo gi visto
come in questo tipo di sillogismo il possibile si riduc.1. al non-impossibile
o alla potenza di un necessario, mutuando da quest'ultimo l'esclusione di
uno dei ~orni dell'antifasi per la quale valido. Ecco dunque come anche
dall'esame del sillogismo risulti che il per lo pi ridotto alla persistente
realizzazione della possibilit di cui possibilit, con la sola condizione
che questa persistenza non totale. L'introduzione di questa categoria
sempre parsa una difficolt ad Aristotele (112 ) ed ai suoi interpreti
che a proposito di essa hanno parlato di attenuazione del concetto di necessit e di passaggio da un mondo della necessit pura ad un mondo della
contingenza; sfere tra cui ci sarebbe una divisione analoga a quella che
Platone, secondo lo Stagirita, aveva posto tra le idee c le cose (113 ). Ora,
mentre parlare di attenuazione troppo generico, ricorrere alla divisione di due mondi inesatto, perch presupporrebbe una effettiva
separazione tra i principi ed i sillogismi che da essi derivano ; separa(110) Le dimostrazioni e le scienze che conccrnonc le cose che divengono
secondo tendenze solite ma non necessarie, come per es. l'eclissi di luna, in quanto
s0no di un che siffatto, sono eterne, ed in quanto non sono eterne, sono particolari.
Come l'eclissi, altrettanto dicasi per le altre cose (An. post. A, 8, 75 b, 33-36};
ibid. 24-26.
{111) Se la scienza vuole considerare il non necessario allora necessario che
una delle premesse sia non universale e corruttibile - corruttibile, perch tale
sar anche la conclusione, essendolo la premessa, non universale, perch inerisce solo
ad alcuni dci termini con cui entra in relazione (eli possibilit) e ad altri no - sicch
non possibile dedurre conclusioni universali, ma solo limitatamente all'ora (A 11.
post. A, 8, 75b, 26-30).
(112) Infatti dice egli stesso che la scienza che si occupa del per lo pi
scienza solo %etT IJ'U)l~E~rp~o (An. post. A. 8, 75 b, zs) e particolare, %et't !J.Qo
(ibid., 35).
'
( 113 ) Cn:F.VALIER, oP. cit., pagg. 99-105; 148-1 SI; ?vlAN"SION, op. cit., pagg.,
II-17; 123.

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170

L'APODITTICA E L' OI(OANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

zione che invece pare non si possa sostenere quando non st rmpongano
degli schemi esteriori al pensiero aristotelico. Piuttosto pare il caso di
parlare di un' apertura , di un interesse di Aristotele verso le cose
che non mostrino una assoluta necessit ma che pur potrebbero essere
oggetto di scienza: per, si badi, sempre di una scienza fondata sulla
categoria della necessit. Ed in questo senso Aristotele lavorer ancora
molto in tutta la sua speculazione, affinando sempre di pi i concetti su
cui gi la logica lavora ed ai quali rester sostanzialmente fedele.
Se il tipo di possibile che abbiamo test illustrato oggetto della
scienza solo xuT uuf.lBBrp~o, c' per un senso in cui del possibile ci
possono essere delle conclusioni necessarie: in quanto, cio, ci si riporti
all' essere della possibilit, cio all'essere, alla sostanza della cosa che
possiede questa possibilit, considerata come indeterminazione tra due
corni nccessarianumte escludentisi. Abbiamo gi visto come questo sia
un'altra, sebbene diversa, riduzione del possibile al necessario in quanto
anche qui non si considera la possibilit in quanto tale, ma la possibilit
in quanto necessaria determinazione dell'antifasi possibile e non-possibile : cio la possibilit considerata come propriet di una cosa c,
in quanto tale, come necessit, non ancora realizzata, di determinarsi per
uno di due corni di un'antifasi necessaria che le presenta necessariamente
queste due sole alternative. La possibilit perci si appiattisce tutta sull'essere della cosa cui appartiene come propriet di quella cosa - propriet che pu anche essere necessaria - ossia come appartenenza a
quella cosa di certi attributi, sebbene non sia determinato se in un momento .r appartenga quell'attributo o il suo contraddittorio : comunque,
quell'attributo o il suo contraddittorio devono necessariamente esserci e quei due soltanto - e sempre necessariamente escludersi (IH). In.
questo senso tra le propriet necessarie di una cosa ci pu essere anche
l' indeterminazione di due attributi contrari (ma uguali ai contraddittori,
perch senza termine intermedio) (115). La scienza non pu occuparsi di
questi due attributi, ma solo della necessit che l'uno o la sua negazione
ci sia, perch non pu determinare quando detto attributo ci ~ia o non ci
sia, ma solo che sempre c' o non c'. A questo modo la possibilit viene
ridotta a necessit antifatica. In quanto ridotta a indeterminazione entro
la necessit antifatica, la possibilit pu essere studiata da una scienza
avente conclusioni necessarie, perch appunto necessario che entro quella
( 114 ) An. Post. A, 8, 7Sb, 33-36. In questo passo si dice che le scienze del non
necessario, in quanto considerano le cose come inerenza non eterna di certi predicati
(ii ~, o"- dEi), sono ~emplicemente particolari e perci si possono dire scienze Rolo
accidentalmente, mentre in quanto considerano le cose come tali che di esse si possa
asserire una certa possibilit indeterminata, determinabile ccn un medio particola1c c
corruttibile, sono eterne. La dimensione della necessit si trova in questi casi cousi
derando l'essere del soggetto che tale da permettere ::Ielle possibilit, cio considerano l'essere del possibile i le scien7.e sono eterne in quanto studiano questo essere.
(lliS) An.. post. A, 4, 73b, r8-24.

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__,
l

LE PROPRIET DELLA SCIENZA

171

determinata an ti fasi - pari e dispari (che poi uguale a pari e non-pari)


per i numeri - uno dei corni sia vero. Di conseguenza la scienza pu
anche servirsi di un sillogismo con premessa maggiore del possibile e
minore del necessario che ha come conclusione un possibile indeterminato,
o la necessit he ci sia nella sostanza una certa determinata possibilit di avere (e - nella stessa misura - di non avere) una certa propriet .x, dove appunto il possibile viene a sua volta considerato come un
attributo che in una antifasi e suscettibile di essere trovato con un sillogismo. La scienza studia perci le propriet nell' insieme necessario
<iella sostanza, cio nel sistema in cui esse sono unite con le loro ragioni
secondo linee di derivazione univoca e necessaria ; la scienza cio procede
11ella sua considerazione dall' essenza, ossia da quelle ragioni che non
possono mai mancare, sia che si tratti di determinazioni necessarie dell'antifasi sia che si tratti di possibilit come necessit di determinazioni
in una certa antifasi con~ la quale quella sostanza deve entrare necessariamente in rapporto, perch cos rivela la deduzione dall'essenza. In questo
senso la caratteristica della scienza aristotelica, quale si configura nella
logica di essa, la necessit come impensabilit del diverso (11!1). Il possibile, in quanto diventa oggetto della scienza, viene ridotto anch'esso a
questa necessit, in quanto viene inteso come impensabilit che una data
cosa non entri in rapporto con una data antifasi, sebbene non si possa
determinare quale dei corni di essa - uno dei quali per deve necessariamente inerire - sia da attribuire alla cosa. In quanto uno di questi
1:orni inerisce momentaneamente alla cosa si ha l'accidente (117 ) che propriamente non (11 8) o, come tale, oggetto della dialettica (119). Non
che le propriet accidentali non siano, nel loro immediato essere, un membro di un'antifasi, ma appunto in quanto sono, rinviano ad una sostanza
cui ineriscono (1 20 ) e nell'ambito della quale si rivelano come irrilevanti
e tutt'al pi necessarie solo come necessit dell' indeterminazione tra
quella propriet accidentale ed il suo contraddittorio. L'accidente, cio la
possibilit indeterminata in quanto temporaneamente determinata, non
ha altra realt che quella di non essere necessaria, cio di essere irrilevante
(116) An. post. A, 4, 73a, 21-24.

Si dice accidente ci che incriscc a qualche cosa e che pu essere asserito con verit, ma che non necessariamente n per lo pi (Metaph., 1'1, 30,
1025a, 14-15).
( 118 ) Perci in certo qual modo Platone non male assegn la sofistica al
11?.n-e~sere.. ln!atti
discorsi dei sofisti vcrtono intorno all'accidente, per cos dire,
P!U d1 tutti ~h. altn :1> (Metaph. E, 2, 10z6b, 14-16); sembra infatti che l'accidente
sxa un che v1cmo al non-essere (ibid. 21).
(11 9 ) L<~; dialetiica e la sofistica vertono intorno agli accidenti delle cose che
sono, ma non m quanto sono, n il loro oggetto l'essere in quanto essere (i\1 eta ph.
K, 3, 1o6r b, 8-ro).
( 120) L'accidente non accidente di un accidente a meno che entrambi non
siano accidenti della stessa cosa, intendo per es.. che i;1 " il bianco musico " e in
"questo bianco" entrambi sono accidenti di uomo (Metaph., r, 4, 1007b, 2-5).
( 11 1)

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172

L'APODITTICA E L'OROANIZZAZIONC DELLA SCI!!NZA

per la sostanza; ma in questo suo non-essere cade ancora sotto la necessit intrascendibile della contrariet antifatica. Il possibile come potet17.a
del necessario si inquadra bene entro lo schema della scienza come assoluta necessit, in quanto un possibile che pi nulla ha di proprio
avendo rinunciato all' indeterminazione, nell'ambito dell'antifasi. Fuori
del campo della scienza perci non resta che l'accidente, come determinazione di un'antifasi rispetto alla quale la cosa non pu determinarsi in
modo valido per ogni tempo; ma esso , come abbiamo visto, oggetto
della dialettica.
In quanto riconosce la distinzione di accidentale e necessario la scienza
in grado di determinare la causa delle propriet che studia, anzi la vera
ed unica causa delle propriet che studia. Ogni sillogismo in quanto istituisce una catena di nessi necessari d in ogni passaggio la ragione del
passaggio successivo, considerato come l' unico possibile che si presenti
dopo l'antecedente; ma pu darsi che una delle premesse del sillogismo
sia falsa, nel qual caso la conclusione potr s essere vera, ma non sar
certo vera la ragione che se ne d, proprio con la premessa falsa. D'altra
parte la propriet necessaria entra in rapporto con molti altri termini
reali, oltre i suoi antecedenti necessari : di conseguenza possibile costruire un sillogismo che concluda con quella propriet ma che vi pervenga per es. dalla considerazione dei conseguenti - non degli antecedenti - di essa, prendendo un carattere induttivo (1 21 ), oppure possibile costruire un sillogismo che consideri quella propriet in relazione
con altre catene di antecedenti-conseguenti con le quali essa entra in rapporti necessari, ma con le quali non entra necessariamente in rapporto (1 22 ).
Compito della scienza , allora, quello di inserire la propriet nella catena
in cui necessariamente entra e nel suo giusto luogo, cio dopo antecedenti
dai quali necessariamente deriva. Ma poich l'agganciamento ad una catena di termini necessariamente legati implica, in una considerazione scientifica, il percorso di tutta la catena fino al suo termine immediato, cio
al principio, la vera causa di una propriet si pu determinare solo facendo ricorso al principio immediato (123 ). Ora, se il principio immediato
detennina un yvo, la determinazione della causa di un termine consiste
nell' inserzione di quel termine in un y~vo; ed essendo il yfvo la so(121) Infatti nulla impedisce che dei termini interscambiabili di una proposi
zione quello che non costituisce ia causa ~ia il pi conoscibile, sicch attraverso di
esso si possa condurre la dimostrazione, per es. che i pianeti sono vicini perch non
brillano. Si supponga che C siano i pianeti, B il non brillare, A l'essere vicini.
vero asserire B di C; infatti i pianeti non brillano. Ma anche A di B ; perch ci
che non brilla vicino; il che si assunto con un' induzione o con una sensazione.
dunque necessario che A inerisca a C, sicch si dimostrato che i pianeti sono
vicini. Questo sillogismo non dice perch lo sono, ma che lo sono: infatti i pianeti
non sono vicini perch non brillino, ma non brillano perch sono vicini (A11-. post,
A, '3 78a, 28-38).
( 1 22) An. post. A, 13, 78b, :z428.
(12:1) An. post. A, 13, 78 a, 22-26.

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Lf PROP[lfTA DfLLA SCieNZA

173

stanzialit in quanto includente e spiegante una certa propriet, dare la


causa di un termine significa includerlo in una sostanza connettendolo attraverso nessi con gli altri aspetti della sostanza. Appunto perch ha queste propriet la scienza usa di preferenza il sillogismo di :1" figura in
cui il passaggio dalla ragione alla conseguenza diretto (1 24) ; tanto che
le altre figure devono ricorrere alla prima per mostrare l'efficacia del loro
nerbo dimostrativo. Infatti, mentre la 1" inserisce un termine in una catena di cui sono gi stati determinati almeno due termini con i rapporti
intercorrenti tra essi, la 2a e la 3"- procedono obliquamente; cio la 2"- perviene ad una conclusione negativa assegnando due termini a due catene
diverse, mentre la 3"- formula una conclusione particolare dopo aver trovato un punto di contatto tra due catene diverse. Ora l'uno e l'altro modo
di ragionare non concordano pienamente con il procedimento della scienza
che avanza direttamente da alcuni principi di un genere ben determinato,
senza preoccuparsi di volgere il suo sguardo ai lati.
Tenendo presente questi caratteri della scienza, si pu comprendere
come Aristotele preponga ad ogni altra le proposizioni universali e le
affem1ative. Le prime infatti, potendo figurare come principi di dimostrazioni, danno virtualmente il possesso di tutto l'edificio di una scienza,
le seconde pongono sempre nuovi ponti della catena deduttiva verso il
basso anzich segnare dei troncamenti e dei limiti (125 ) : ecco una delle
ragioni per cui il sillogismo di 1 figura il sillogismo scientifico per ec-

(12-1) Tra le figure sillogistiche la pi scientifica la prima. Infatti, tra le


scienze, le matematiche si servono di essa per le loro dimostrazioni, per es. l'aritme
tica, la geometria e l'ottica e, si potrebbe quasi dire, tutte quelle che indagano la
causa: infatti sempre o il pi delle volte c nel maggior numero di casi il sillogismo
del perch si compie in questa figura. Sicch anche per questa ragione si potrebbe
considerare il pi scientifico: infatti la forma pi propria del sapere la considerazione del perch (An. post. A, 14, 79a, 17-24).
(12G) Ma chiarissimo che la proposizione universale la migliore, perch
avendo la proposizione anteriore conosciamo anche la posteriore, in certo qual modo,
c la possediamo in potenza; per es. se qualcuno sa che ogni triangolo uguale a
due retti, sa in certo qual modo che anche l'isoscele uguale a due retti, lo sa in
potenza e anche se non sa che l' isoscele un triangolo; se avesse, invece, quest'ultima premessa non saprebbe mai l'universale n in potenza n in atto. E la proposizione universale intelligibile, mentre la particolare pone capo alla sensazione
(A1~. post. A, 24, 86 a, 22-30). Inoltre poi si dimostrato che impossibile che da
due premesse negative si abbia un sillogismo, ma che una deve essere negativa c
l'altra affermativa ed ancora che si deve assumete questo di quest'altro. Infatti con
il crescere della dimostrazione crescono di numero le proposizioni affermative,
mentre impossibile che ci sia pi di una proposizione negativa per sillogismo
(ibid. 2.5, 86b, 10-15). Inoltre se il principio del sitlogismo una proposizione
universale immediata, essa sar una proposizione universale a!Termativa nelle dimostrazioni affermative ed una propo&izione uni versa! c negativa, nelle dimostrazioni
negative; ma l'affermativa anteriore e piit conoscibile della negativa (perch la
affermazione pi conoscibile ed antedorc rispetto alla negazione, come l'essere
rispetto al non-essere): sicch migliore il principio della prova affermativa rispetto
a quello della negativa; cd migliore la dimostrazione che fa uso dci principi
migliori. Inoltre l'affermazione costituisce il principio: senza la dimostrazione
affermativa non c' la negativa (ibid. 30-39).

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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

174

cellenza (126). La scienza aristotelica, perci, costruita secondo un ideale


assolutamente deduttivo, come concatenazione di proposizioni legate secondo nessi assolutamente necessari, che escludono la probabilit, le proposizioni particolari, come indicazioni di risultati ottenuti fino ad un
certo stadio di certe ricerche e suscettibili di venire migliorati, e le proposizioni negative, come indicazioni di limiti entro i quali le future ricerche dovranno svolgersi. Tanto meno le prove e le ipotesi potranno
rientrare in questo sistema, anzi, neppure le prove per assurdo (1 27 ) o le
argomentazioni da segni che procedono dal conseguente all' antecedente (1 28 ). Ci perch Aristotele considera la scienza non in quanto opera
dello scienziato che la fa, ma in quanto scienza gi fatta e, si potrebbe
dire, ontologicamente fatta, cio come il sistema delle determinazioni stesse
del reale, gi necessariamente organizzate in generi. Questa la situazione
di tutta la logica. di Aristotele, ma tocca il suo culmine proprio nella
dottrina della scienza. Le scienze non determinano i loro oggetti in base
agli strumenti di cui possono fare uso o agli scopi che si propongono,
ma in base ai principi delle propriet che vogliono studiare ; principi che
sono in natu_ra e che basta riconoscere. D'altra parte il proposito di studiare una certa categoria di propriet pu essere preso in considerazione
solo se ci sono dei principi propri per queste propriet. Il sistema aristotelico delle scienze , perci, un sistema chiuso, non suscettibile di essere accresciuto con l'aggiunta di altre scienze, a meno che si ammetta che
alcuni principi reali siano rimasti ancora da scoprire. N compito dello
scienziato il costruire un linguaggio adatto ai singoli principi propri di
ciascun genere, perch non c' che un linguaggio unico per tutte le scienze
- il linguaggio apofantico - nato ad una con la struttura del reale.
I I. -

L' IDI\ALL\

SCIENTIFICO D~LLA LOGICA E I PROBLF.MI DBLLA RI-

Alla fine del libro A degli Analytica posteriora,


dopo che sono state messe in luce le condizioni del sapere scientifico, i
confini del campo di legittimit eli quest'ultimo sono risultati piuttosto
angusti. Di scienza e di dimostrazione in senso ~tretto si pu parlare
solo per le cose eterne: il che vuoi dire che solo la matematica e la scienza
delle sostanze celesti incorruttibili possono essere considerate sapere dimostrativo rigoroso. Si direbbe che gli ideali platonici della scienza abbiano
CJSRCA sciBNTIFICA. -

(1_21!) Tra l'altro per stabilire che il sillogisrno di 1" figura il sillogismo scientifico per eccellenza, Aristotele si serve rlell'esclusione <!cile altre figure delle quali
nella seconda figura non si ha sillogismo affermativo (An. post. A, 14, 79a, 25-2tl)
e nell'ultima figura si ha conclusione affermativa ma non universale>> (ibid. 27-28).
(127) Poich la proposizione affermativa migliore della negativa, chiaro
che anche migliore della dimostrazione per assurdo (An. post. A, 26, 87a, 1-2).
(128) Gli accidenti non sono necessari, sicch non necessariamente si conosce
il perch della conclusione, neppure nel case. in cui valga sempre, ma non sia di per
s, come nel caso dei sillogisrni che si servono dei segni (An. post., A, 6, 75 a, 31-33).

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,.,

IDEALE LOOICO E RICERCHE SCIENTifiCHE

175

trovato la loro pi drastica espressione (1 2 t'). In realt le cose non stanno


cos. Che il sapere matematico si configuri alla fine del libro A degli Analytica jJosteriora come il modello del sapere dimostrativo innegabile,
ma che esso sia interpretato in modo assai diverso da quello platonico
dovrebbe essere abbastanza palese. La superiorit della matematica sulle
altre scienze non dovuta al fatto che essa studii delle idee o degli oggetti
collocati in una regione antologica diversa e privilegiata (1 30 ), ma al fatto
che essa realizza le propriet logiche, richieste ad ogni scienza, meglio di
ogni altra, favorita in d anche dalla natura delle determinazioni reali
che studia. Le critiche violente, anche se brevi, che Aristotele non rispar~
mia alla teoria delle idee dimostra come egli si sia liberato da quel presupposto dell'interpretazione platonica della matematica (13 1), pur riservando ancora a questa un posto di grande rilievo nell'enciclopedia del sapere.
L'elemento pi originale del libro A degli Analytica posteriora sta proprio nell'aver descritto la struttura logica della scienza in termini riferentisi alla natura della realt in generale e perci disponibili per qualsiasi cosa e non pregiudizialmente adatti alla sola matematica. Questa
pu esser servita s da modello; ma da questo modello non derivata
poi la descrizione di un sapere che possa trovare la sua realizzazione solo
nella matematica. La scienza ha il suo fondamento nella struttura sostanziale che propria di tutta la realt, anche se a prima vista non tutta la
tealt pu essere oggetto di scienza rigorosa.
Questa impostazione rivela assai chiaramente come gli Analytica
posteriora presuppongano tutto il lavoro svolto soprattutto nelle parti
piit recenti dei Topca, nelle Categoriae, nel De interpretatione e negli
Analytica priora.. Attraverso le indagini svolte in queste opere Ari~totele
ha individuato una struttura unica, reale c logica, che ora costituisce il
presupposto della scienza e soprattutto fornisce un linguaggio mediante
il quale l' ideale della scienza possa essere descritto in termini tali che lo
rendano disponibile per ogni forma di realt. La base predicativa assunta
coerentemente fin dal libro A dei Topica e fatta poi valere sistematicamente nelle altre opere ha permesso l'abbandono della teoria delle idee
iu campo logico istituendo una relazione diretta tra l'individuale e l'universale e fondando, in linea di principio, la possibilit di reperimento di
premesse scientifiche in ogni ordine di realt. Attraverso la logica perci
il modello matematico viene riassorbito in una struttura pi generale
capace di rispondere alle esigenze di tutte le scienze e di fondare, d'altro
Iato, una metafisica dell'essere in quanto tale.
Infatti nel libro B degli Analytica posteriora troviamo un'atmosfera
abbastanza diversa da quella del libro A. Gli esempi tratti dalla materna(129) Questa una delle tesi centrali che sostengono l'interpretazione della.
logica aristotelica data dal Solmsen.
(130) W. D. Ross, op. cit., pagg. I4I<).
(131) An. post. A, II, 77a, 5; 22, 83a, 32.

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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE Df.LLA SCIENZA

176

tica ricorrono assai meno, sostituiti da esempi tratti dalle scienze fisiche
e costituiti spesso da casi imbarazzanti per una teoria generale del sapere
dimostrativo rigoroso. Se il libro A illustra l'aspetto deduttivo della scicn~a, il B si ferma su quello induttivo, sulla ricerca dei principi .: mentre
il primo non accenna alla collocazione temporale delle propriet studiate
dalla scienza, il secondo ne tiene conto (1 32) e presta attenzione alla
teoria della causalit. Tutto farebbe pensare che in esso si tenti un'estensione dell' ideale scientifico del libro A dalla scienza delle cose eterne a
quella delle cose corruttibili. Questo tentativo del resto perfettamente
coerente con la prima attivit scientifica di Aristotele, esplicatasi in opere
quali il De coelo, il De generationc: et corruptione, la Physica, i Meteorologica. Pi che indagini scientifiche particolari lo Stagirita tenta in questi
scritti una sistemazione generale della fisica su basi quanto pi possibile rigorose. Il materiale molto spesso quello accademico o quello
della tradizione greca in generale; ma la sistemazione e il modo in cui le
nozioni, anche vecchie, vengono fatte lavorare originale. Gli ideali
scientifici degli Analytica agiscono in questi tentativi come modelli cui le
ricerche fisiche devono adeguarsi, anche se integrazioni e modificazioni
vengono apportati a quelle strutture logiche sulla base delle esigenzt'
affioranti dal lavoro concreto.
Gli elementi caratteristici sopra accennati si colgono con maggiore
facilit nelle opere meno originali per il loro contenuto. Non sarebbe
difficile dimostrare che gran parte del contenuto del De coelo preso dal
Timeo ; ma assai agevole, d'altro lato, osservare come esso sia sistemato
ed esposto in maniera notevolmente diversa. Leggendo l'opera di Aristotele si ha subito l'impressione che sia caduta la diffidenza ancora visibile nel dialogo platonico verso un fenomeno cos sconcertante come il
movimento (1 33). Le distinzioni tra moto circolare e moto lineare, tra
moto naturale e moto violento, ccn i relativi apprezzamenti sono presi
senza dubbio dal Timeo e derivano dalle discussioni accademiche dalle
quali probabilmente il Timeo nacque; ma il modo in cui il De coelo definisce il campo della ricerca fisica mostra intenti abbastanza diversi da
quelli platonici. La possibilit di essere soggetto di movimento locale
diventa per Aristotele il criterio di appartenenza al dominio fisico ( 1 3 4 ).
Questo asserto poteva essere vero anche per Platone: ma per Aristotele la proposizione sopra riportata significa che il movimento il criterio
di intelligibilit del mondo fisico, il suo principio (a~;~x{j), ci cui suff.ciente ricorrere per spiegare tutti i fenomeni di cui le scienze fisiche si
occupano. Un tentativo del genere mirava a congedare per sempre la
tendenza pitagoreggiante a spiegare l'universo fisico per mezzo di figure

( 1 32)

An. post. B,

12.

(183) Tim., 57 d- 58 c.

(134) De coelo, A,

2,

268b, 14-16.

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IDEAI.~

LOGICO E RICERCHE

SCIENTif!CI1~

177

geometriche e di entit matematiche : il moto e le sue distinzioni dovevano bastare a dat ragione dei corpi e dei loro fenomeni. In realt, come
abbiamo detto sopra, quelle distinzioni erano gi comparse nel Timeo dove per fungevano da variabili dipendenti rispetto alle forme e agli elementi sulla base dei quali l'universo era spiegato. Nel De coelo, invece, le
varie specie di moto SOI!O le variabili indipendenti sulla base delle quali
si determinano gli elementi c via via tutti i fenomeni fisici.
Questo tentativo comporta una difficolt fondamentale gi discussa
da Platone nel Timeo. Le varie specie di moto rettilineo - moto verso
l'alto e moto verso il basso - hanno l'inconveniente di essere determinazioni relative, in quanto in un universo sferico nessuno in grado
di additare il basso in s e l'alto in s (1 30 ). Infatti per ogni punto se
ne pu trovare uno opposto ed equidistante dal centro senza che si
possa aggiungere che uno alto e l'altro basso; anche per il centro,
equidistante da tutte le parti, quelle determinazioni non hanno senso.
Cos anche le qualificazioni di pesante e leggero - indissolubilmente legate a q1;1elle di << moto verso il basso e moto verso l'alto - soffrono
(Iella medesima relativit (1 36 ). Aristotele deve affrontare questa difficolt per giustificare il principio fondamentale della propria fisica. Egli
cio deve rendere assolute le determinazioni che per Platone erano soltanto relative e perci potevano essere usate solo in relazione con una
spiegazione geometrica degli elementi che desse di questi un' interpretazione indipendente da e precedente a ogni discriminazione di senso del
moto rettilineo. Aristotele realizza questo punto partendo subito verso
una spiegazione dinamica e non geometrica dell'universo: esso s una
sfera con un centro unico, ma quel che conta non prendere atto di questa
forma, quanto venire in chiaro sulle leggi dinamiche che l'hanno determinata e che la mantengono. Da questo punto di vista il centro dell'universo non soltanto un'entit geometrica, ma ci che risulta da una serie
di movimenti rettilinei convergenti (quelli che definiscono la terra e l'acqua), i quali non solo garantiscono la permanenza della configurazione
sferica, ma anche l'unicit di questa sfera e la finitezza dell'universo; il
quale, perci, consiste in un sistema chiuso autosufficiente e autoregolantesi fondato sul movimento.
Dal punto di vista che in questa sede ci interessa la novit pi grossa
del De coelo era appunto il tentativo di costruire la spiegazione dell'universo nel suo complesso sulla base del movimento. Uno degli strumenti
logici che permettevano questa modificazione ci noto: si tratta dell'uso
sistematico della relazione predicativa. Da questo punto di vista i principi
esistono solo come predicati universali della classe di cose individuali
che devono spiegare, sicch devono essere direttamente confrontabili con

( 13:;)

Tim., 62c- 63 a.

(136) Tim., 6.;ac.


12

C. A. VIANO, La logica'a; Aristotele.

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178

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

i loro soggetti logici e possederne solo e tutte le caratteristiche rilevanti.


In linea di principio, perci, il movimento era molto pi adatto delle
figure geometriche a spiegare la realt fisica. Tuttavia esso doveva soddisfare alcune condizioni per potersi configurare come principio di spiegazione scientifica. Il riscatto dalla relativit che in esso aveva scorto Platone non poteva avvenire che mediante la rivendicazione della sua assolutezza, cio con il reperimento di punti di discriminazione non solo oggettivi, ossia sempre reperibili da tutti, ma fissati nelle e dalle cose stesse,
definitivi. Per questa ragione Aristotele si dilunga tanto nella sua polemica contro l' infinito in favore di un universo finito e ben sistemato.
Solo a questo patto egli pu fare della scienza che si occupa dell'aspetto
fisico dell'universo una scienza autentica e non un semplice mito, come
essa era per Platone nel Timeo (13 7). Un mito un discorso che dice
qualche cosa di pi o qualche cosa d! meno di quanto il reale contenga,
ma che produce di fronte ad esso degli atteggiamenti convenienti. La
convinzione di Aristotele che per trasformare il sapere da mito a scienza
bisogna trovare la chiave giusta per costruire un discorso che coincida
con le cose cos come stanno, che permetta di organizzare in serie sistematica e ordinata le loro propriet. La sistemazione in forma autonoma
del contenuto che gi Platone aveva riconosciuto proprio dell' universo
fisico richiede per Aristotele la rivendicazione della pena sussistenza ontologica dei suoi principi.
Un mito d'altra parte sempre anche la na.rrazione di un fatto, vero
o presunto. E questo carattere ha anche il mito platonico del Tneo, il
quale si occupa della natura e organizzazione dell' universo fisico attraverso la narrazione del modo in cui stato prodotto. All'origine del mondo
c' un fatto identificabile e descrivibile come la decisione di una volont
divina. Nel dominio dei fatti non direttamente accertabili non ci sono
evidenze assolutamente probanti, sicch non resta che affidarsi alla probabilit; ora, poich i fatti che hanno portato alla produzione dell'universo
non sono direttamente accertabili da parte dell'uomo, a Platone non resta
che affidarsi ad un mito probabile. Aristotele non dello stesso parere sul
nocciolo della faccenda. Per lui non questione di trovare un fatto sin
golo che dia ragione dell'ordine dell'universo, ma di trovare soggetti e
predicati che siano collegabili secondo un ordine fornito da un'argomentazione ben costruita. La necessit che da Platone vista, nel Tneo, sotto
il profilo della costrizione che limita l'opera intelligente della divinit
per Aristotele il filo conduttore che permette di esimersi dal bisogno di
conoscere un fatto specifico all'origine del mondo, perch il mondo, almeno in certi suoi aspetti essenziali, sempre stato ci che ora. Le
esigenze interne della nuova scienza portavano cos lo Stagirita al ritrovamento di alcune proposizioni da ritenere necessarie e delnitive. Esse

(137) Tim., 2!)c-d; 30 b.

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IDEALE LOOICO E RICERCHE SCIENTifiCHE

179

permettevano di fondare l'unit del campo della fisica, autonomo e indipendente da altri campi di studio, in particolare dalla matematica. Aristotele evitava cos quella f.LE-caBacrL.; d;; t'D,o yvo, che pareva essere
la colpa fondamentae della fisica platonica (1 38), poco preoccupata di far
ricorso a principi esplicativi che avessero i caratteri fondanwntali dei
fenomeni da spiegare e che perci fossero in grado di essere messi n
relazione diretta con essi ..Matematica e fisica hanno caratteri nettamente
distinti in quanto la seconda si occupa dei corpi, dai CJUali la prima fa
astrazione, sicch partire da entit matematiche per spiegare fenomeni
fisici significa voler costruire l'universo fisico con elementi che non hanno
nessuna delle propriet tipiche dell'universo fisico (1 3 9 ). L'unica base sulla
quale esso definibile come unit quella fornita dalla considerazione
materiale di esso, cio dalla considerazione di quell'aspetto per cui esso
costituito da corpi. Su questo punto Aristotele insiste a lungo nel De
coelo e il valore di questa insistenza si comprende se si pensa che essa
ha un significato polemico nei riguardi dei tentativi matematizzanti del
Timeo platonico: essa non il rifiuto dei principi in nome di un'esperienza sensibile fatta caso per caso e nemica della generalizzazione, ma
l'appello ad un ordine di principi diverso da quello invocato da Platone.
Il tentativo aristotelico del De coelo appunto quello di dimostrare che
in una considerazione dell'universo come corpo o insieme di corpi possibile trovare i principi di spiegazione delle sue propriet fisiche (140).
Ma il campo al cui studio Aristotele si era accinto si divideva subito in due parti distinguibili appunto mediante le determinazioni fonda.
mentali che aveva scelto. Da un lato un corpo celeste dotato di movimento circolare, ingenerato c incorruttibile e, dall' altro, un insieme di
corpi che nascono e che si disfano, dot:1.ti di movimenti rettilinei. L' indagine del corpo celeste non presentava, in linea di principio, nessun carattere sconcertante, perch aveva a che fare con un oggetto la cui persistenz;_a era garantita e le cui propriet erano costanti, essendo lo stesso
movimento circolare il passaggio per punti tutti uguali tra loro. Maggiori difficolt di fondo pareva invece presentare l'indagine dei corpi sublunari, nei quali si introduceva il pericoloso elemento costituito dalla
generazione e corruzione che sembravano minacciare la sussistenza stessa dell' oggetto della ricerca. Come possibile trovare quakhe cosa eli
permanente oltre il nascere e il morire dei singoli? E, nel caso specifico,
come possibile fare ricorso a principi materiali permanenti? Aristotele
abbonda nella discussione eli questo problema di riferimenti storici ai
grandi nomi della filosofia greca, soprattutto presocratica: i fisiologi, Parmenide, :Rraclito, Empedocle, Anassagora, Democrito e Platone sono i

(138) De coelo,
(189) De coelo,
(140) De coelo,

r, 7, 3o6a, 5-17.
r, I, 298a, 24- 299a,
r' 8, JOib, !9-24-

17.

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180

L'APODITTICA E L'OIWANIVAZIONE DELLA SCIENZA

personaggi con i quali egli disputa. Infatti il vecchio problema enunciato in modo netto e crudo da Pannenidc quello che qui Aristotele deve
affrontare. Il movimento, soprattutto quando si manifesta come generazione e corruzione, introduce il non-essere nell'essere, anzi lo pone alle
radici stesse di questo. Il principio di spiegazione deve perci sottrarsi
al movimento per non essere divorato da questo. E proprio questa conseguenza pare rendere impossibile il tentativo aristotelico di costruire la
fisica come scienza. Tutti coloro che, come Empedocle, Anassagora, gli
atomisti, ecc., hanno fatto ricorso ad una molteplicit di principi fisici non
hanno condotto il loro tentativo fino in fondo, perch hanno postulato
per quei principi l' incorruttibilit, cio li hanno sottratti al movimento
che dovevano spiegare riducendoli a manifestazioni diverse di un' unica
sostanza, oppure li hanno configurati in modo da farli cadere in difficolt
logiche e fisiche non indifferenti (14 1). Aristotele ben deciso a spiegare
generazione e corruzione con principi anch'essi soggetti a quel processo,
quali sono appunto i quattro elementi tradizionali che egli definisce sulla
base dei moti naturali che ad essi sono proprii. Definiti a questo modo,
essi risultano finiti di numero (1 42) e perci tutti perfettamente conoscibili : condizione indispensabile questa se si vogliono far funzionare da
principi di spiegazione scientifica. N ello stesso tempo per essi non sono
sottratti alla generazione e alla corruzione : si deve concedere che non
sono eterni, n occorre ammettere che essi nascano da una sostanza unica
nella quale tornino a dissolversi o che comunque siano configurazioni temporanee e provvisorie di un unico sostrato. L'alternativa non tra la nascita dall'essere eterno e onnicomprensivo e la nascita dal nulla; si pu
ammettere che ciascuno di essi nasca da un altro elemento e finisca in un
altro elemento, senza con ci identificare nessun elemento con l' essere
nella sua totalit (143 ). Non detto perci che ogni parte di realt debba
contenere tutti e quattro quegli elementi ; essi - o tutti e quattro o uno
solo, o due, o tre e in diverse proporzioni reciproche - esistono in potenza in ogni realt naturale in quanto corpo e in atto in quanto corpi indipendenti e sussistenti. Ci vuol dire, dal punto di vista gnoseologico,
che gli elementi sono i termini ultimi ai quali possa essere ridotta ogni
realt naturale in quanto corpo (1 44). Con questa interpretazione della
teoria tradizionale degli elementi Aristotele realizza due scopi. Da un lato
si procura dei principi costanti e immutabili per la spiegazione dei fenomeni fisici e, dall'altro, caratterizza questi principi in modo da non renderli costituzionalmente diversi dai fenomeni che devono spiegare. Infatti,
mentre l' esistenza potenziale degli elementi implicata da ogni corpo
esistente, la loro esistenza attuale non gode di nessun particolare privi-

r,
r,

I, 29&b, 12-JOOa, I9i capp. 4-8.


4.
(143) De coelo, l', 6, 7.
(144) De coelo, r, 3, 302a, 15-19.
(.141) De coelo,

(142) De coelo,

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IDEALE LOGICO E

RIC~RCHF.: SCI~NTJFICHE

181

legio rispetto alle altre realt fisiche. A questo punto la persistenza dell'esistenza potenziale significa la possibilit di ricorrere alle propriet che
caratterizzano in proprio i singoli elementi come principi da cui derivare
propriet fisiche successive; e l'agganciamento di quella possibilit all'esistenza potenziale indica il tentativo di dare una base ontologica, un carattere di assolutezza ai principi invocati.
L'aspetto insidioso e sconcertante della nascita e della morte sembrava evitato nella considerazione degli elementi del mondo fisico. Essi
possono s acquistare e perdere la loro esistenza attuale, ma non la loro
esistenza potenziale che garantita dalla struttura sistematica e unitaria
dell'universo stesso. Ma le sostanze di cui si occupa la scienza fisica non
sono solo gli elementi, bens anche i corpi costituiti dall' unione degli
elementi. La generazione e la distruzione di quei corpi pu essere interpretata in due modi opposti: o come affioramento dal non-essere assoluto
e ricaduta in esso o come farsi e disfarsi dell'unione dei quattro elementi.
La prima interpreta:>:ione urta contro le difficolt di principio messe in
luce dagli Eleati e perci insostenibiie; la seconda interpretazione accettata da Aristotele, ma con delle correzioni, il cui fondamento da ricercare nella teoria degli elementi presentata nel De coelo. Qui risultava
chiaro come gli elementi di Aristotele, a differenza di quelli di Empedocle o degli atomi di Democrito, non fossero eterni, ma esistessero solo
potenzialmente in tutti i corpi. Ci rendeva impossibile ridurre ad una
semplice alterazione di dosaggio quella che a prin;a vista si presenta come
nascita e morte di corpi indipendenti : infatti nella reciproca mescolanza
gli elementi perdono le loro qualit proprie e specifiche per acquistarne
altre che caratterizzano in proprio il compo:;to. Ora queste proprict;{ non
esistono separatamente ma solo come predicati di un soggetto sostanziale
la cui origine c la cui scomparsa costituiscono propriamente la generazione e la corruzione. Aristotele non privilegia l' essere attribuibile agli
elementi considerandolo come l'unico vero e fondamentale, rispetto al
quale ogni realt fisica non sarebbe che la manifestazione fenomenica,
ma pone tutte le sostanze al livello antologico degli elementi ; i quali sono
appunto reali solo in quanto centri di predicazione di propriet essenziali come il moto verso l'alto o il moto verso il basso, il secco o l'umido,
il caldo o il freddo, ecc. D'altra parte essi stessi nascono e muoiono come
ogni altra sostanza. Il fatto che essi siano i costituenti irriducibili della
realt fisica significa soltanto che per spiegare le propriet fisiche delle
sostanze bisogna rifarsi ai processi di generazione e di corruzione che
hanno messo capo da quegli elementi a queste sostanze determinando le
propriet che le caratterizzano. In realt la stessa sostanza che nata dalla
loro morte deve essere tenuta presente per comprendere come sono avvenuti i processi materiali che hanno condotto alla nascita di essa. A questo
punto l'aspetto pi imbarazzante del mutamento ritorna. Dal punto di
vista scientifico ci possono essere delle propriet fondamentali per la spiegazione dei fenomeni fisici, ma proprio il loro soggetto logico, che do-

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182

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

vrebbe garantirne la realt, pu scomparire. Questo per Aristotele un


dato di fatto che non si pu eludere e che deve essere tenuto presente in
ogni tentativo di fondare una scienza valida del mondo naturale transeunte. La prima condizione per realizzare un tetitativo del genere l'abbandono della pretesa di prendere ad oggetto di indagine un essere annicomprensivo il quale dovrehhe - qualora ammettesse il divenire - necessariamente derivare dal e ritornare al non-essere assoluto. Tuttavia,
una volta ammesso il divenire, la scienza non pu costituirsi, secondo
Aristotele, se non ammettendo delle strutture permanenti in esso, anzi
come condizioni necessarie di esso Ora, ci che nel divenire costante
proprio l'essere. Ma perch questa proposizione abbia senso occorre
che venga rispettata proprio la prima delle condizioni sopra esposte: cio
che l'essere non venga concepito come un'unica sostanza, ma come una
struttura che rimane costante attraverso il variar~ dei suoi termini e che
si realizza sempre tutta in ogni singolo essere che la realt giornaliera
presenta.
Questa struttura per Aristotele proprio quella che si rivela neth
struttura predicativa del discorso, per cui da un lato c' un soggetto logico
e dall'altro ci sono i suoi predicati i quali possono essere inclusi in una
categoria (1 45 ), cio da un lato c' la sostanza e dall'altro ci sono la qualit, la quantit, il luogo, ecc. Le sostanze possono essere a 1 , a 2 , a 3, ... a"
e le propriet p1 , P2, p8 ... pn ma sempre ci dovranno essere sostanze e
loro propriet. Ora, il divenire, che nel suo aspetto pi radicale investe
anche la sostanza, non implica che questa derivi da qualcosa che non sia
in alcun modo sostanza, ma da qualcosa che non sia quella particolare
sostanza della cui generazione si tratta : a2 proviene per es. da a 1 che non
a2 ma che, in quanto a 1 , cio in quanto soggetto delle propriet che la
caratterizzano, sostanza allo stesso titolo di a 2 A questo punto possibile affermare che ogni sostanza deriva da una sostanza che non quella
in questione e finisce in una sostanza che non quella in questione ; la
stessa cosa vale per le propriet (146). In ogni momento del divenire sono
perci presenti particolari valori che soddisfano le condizioni necessarie
per sostituire i termini variabili della struttnra costitutiva dell'essere: essere e non-essere non indicano oggetti, ma costituiscono i moduli costanti
delle relazioni predicative che legano quei termini.
Il problema ora quello di vedere se possibile ricavare dalla struttura formale sopra descritta dei principi scientifici specifici che riguardino il movimento, cio di vedere se su di esso si possono pronunciare
proposizioni costantemente vere o false. Se ogni sostanza derivasse da
uh'altra sostanza qualsiasi, ci non sarebbe possibile. Ma in realt il
non che unisce i due termini successivi di un processo generativo,

(Hli) De .Qen. et corr., A, 3, 317a, 32- b, 3S.

(146) De gen. et corr., A, J.

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IDEALE LOGICO E RICERCHE SCIENTIFICHE

~l

e a2, non signfica esclusione reciproca definitiva, ma solo dre

183
G1

non

ancora a2 , pur potendo esserlo. Il non sta a significare una potenzialit, secondo un procedimento logico chiarito nelle parti precedenti del
nostro lavoro. Perci la generazione sempre un passaggio dalla potenza
all'atto, cio da a 1 che non a2 in atto ma a,2 in potenza ad a2 in
atto (147). Di conseguenza non si pu dire che qualsiasi cosa derivi da
qualsiasi cosa e che qnalsiasi cosa possa mettere capo a qualsiasi cosa,
ma esistono linee di derivazione definite e rilevabili, costituite appunto
dalla natura stessa delle cose che nascono e muoiono (148 ).
Queste linee di derivazione hanno per delle caratteristiche che
opportuno osservare. Infatti data una sostanza esistente noi possiamo agevolmente ricostruire la genesi di essa, cio trovare gli elementi materiali
che la costituiscono e nei quali essa esisteva in un certo momento in potenza. In questo senso disponiamo di una linea unca e necessaria. Altrettanto non pu dirsi del senso inverso : dati infatti degli elementi materiali non possiamo atJermare che da essi derivi necessariamente e unicamente una determinata sostanza, ma, tutt'al pi, che da essi pu derivare
(come non derivare) una determinata sostanza. La materia appunto
quell'aspetto della sostanza per cui essa si inserisce in un processo di
generazione e di corruzione, per cui cio deriva dalla corruzione di altre
sostanze e genera, corrompendosi, altre sostanze (1 49 ). Dal punto di
vista della materia nessuna sostanza necessaria, perch nessuna sostanza si configura come l'unico esito possibile dei processi di corruzione delle
altre sostanze da cui ha tratto origine. Essa avrebbe potuto anche derivare da altre sostanze individualmente diverse o addirittura non esistere
affatto : se nato tuo padre, non per questo era t1ecessario che nascessi
anche tu (150 ). L'unica sostanza necessaria dal punto di vista ddla
materia la sostanza celeste che eterna c dotata solo di moto circolare,
il quale presuppone sempre l' integrit del mezzo ed il semplice spostamento tra punti tutti reciprocamente identici. La sostanza celeste persiste in se stes,sa e percorre fasi tutte perfettamente concatenate l'una
~ll'altra perch costituite solo dalla presa di posizione in punti di una
traiettoria continua ctcolare: alla fine del proprio ciclo di mutamento
essa ritorna al medesimo punto di partenza. Altrettanto non pu dirsi per
le sostanze sublunari ognuna delle quali scompare per sempre, dando
luogo tutt'al pi ad una sostanza diversa della stessa specie. Per questa
ragione nel mondo sublunare pare non esserci necessit.
Tuttavia proprio alla fine del De generatione et corrufJtione, dove
Aristotele insiste con maggiore nettezza sulla divisione del mondo fisico
tra la parte celeste e quella sublunare, si profila la possibilit di intrav(147)
(118)
(149)
(150)

De
De
De
De

gen. et
et
gen. et
gett. et
gen.

corr.,
corr.,
corr.,
corr.,

A, 317b, 14-20.
B, 6, .333b, 5-18.
B, 9, 335a, 24-b, 7.
B, r r.

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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

184

vedere delle linee di derivazione necessaria anche tra le sostanze sublu


nari. Infatti una volta stabilita l'esistenza di una sostanza individuale
possibile risalire alla materia che necessariamente la costituisce. Ma, d'altra parte, per stabilire questa relazione eli implicazione necessaria bisogna
considerare non il semplice individuo quanto piuttosto la forma o l'essenza di esso, che come la materia uno degli ingredienti fondamentali
del mutamento (1 51 ). La formula o definizione di ogni singola sostanza
(o /..Oyo o rij xam:ov ovcr(a;) quella che d la chiave per scoprire
i componenti materiali. Anche nel mondo sublunare ad imitazione del
mondo celeste si d una specie di processo ciclico. Se le sostanze A, B,
C, ... N sono in relazione tale per cui la precedente materia rispetto
alla successiva, ciascuna perisce per dar luogo alla susseguente. Ma il
ciclo generazione-corruzione giunto ad N si chiude passando di nuovo
ad A. Tuttavia l'A che si realizza nel secondo ciclo un individuo
diverso dall'A da cui aveva preso le mosse il primo ciclo : in comune
l1anno solo le propriet essenziali che caratterizzano la specie. Questa
costituisce appunto l'ambito entro il quale si pu parlare di ritorno ciclico. Essa si configura di volta in volta come il fine cui il processo generativo tende (152).
Del nesso finale Aristotele fa largo uso per definire il campo di
studio della fisica come scienza. Il fatto che i fenomeni del mondo sublunare non rivelino delle linee di derivazione materiale necessaria pu appunto far pensare che la fisica come scienza sia impossibile e che su di
essi si possano pronunciare soltanto proposizioni vere o false a caso, non
giudicabili nel loro valore in base ad un criterio preciso e fisso. In realt
anche in opere che pi insistono sul poco ordine dei fenomeni sublunari,
come il De coelo c il De generatione et corruptione, Aristotele si proposto di rintracciare delle connessioni necessarie : p. es. quelle tra luogo
naturale, direzione del moto rettilineo, peso e leggerezza, secchezza e
umidit, caldo e freddo e di chiarire le condizioni necessarie per le interazioni delle propriet appartenenti a gruppi diversi. Questa indagine
tuttavia non ha fatto presa sulle sostanze singole esistenti. Essa ha permesso per di fissare dei principi necessari imprescindibili per le sostanze
fisiche e i relativi processi, principi costituiti dalle propriet imprescindibili di ogni sostanza fisica in quanto collocata in una zona dell'universo fisico, in quanto in relazione con altre sostanze fisiche e in quanto
in movimento. Questi principi non autorizzano ancora l'enunciazione
di proposizioni universali sulle sostanze fisiche, perch riguardano una
considerazione puramente materiale di esse, dando luogo ad una molteplicit di processi possibili, ciascuno dei quali necessario solo in relazione ad una sostanza esistente. Dalla considerazione della forma di que-

( 1 ril)
(152)

De gen. et corr., B, 9, 335b, S-7.


De gen. et corr., B, II.

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iDEALE LOGICO C RICERCHE SCIF.NT!f!Ctff.

185

sta deve perci partire un' indagine fisica scientifica. La natura appunto
la forma (!lOQ<p~ o sHo) alla quale il processo generativo tende (1 53).
Su questa base la fisica pu organizzar~i come scienza distinta dalla
matematica, ma analoga ad essa. La matematica si occupa di quelle propriet formali che possono essere astratte dalla materia, mentre la fisica
si occupa di quelle propriet formali la cui spiegazione richiede il riferimento alla materia. Ma questa non un'entit separata a s stante,
ma un termine relativo alla forma stessa: costituita dalla forma di quelle
sostanze la cui presenza stata necessaria al sorgere di quella in questione e alle quali si deve fare riferimento nella spiegazione di essa (1H).
Il fisico dovr allora iscrivere a capo dei suoi ragionamenti la forma
della sostanza, considerata come il fine cui tendono tutti i processi generativi che l' hanno prodotta. Questa forma diventer allora il criterio
sulla base del quale discriminare le relazioni materia-forma necessarie
per la sostanza in questione. Se il processo pare inverso a quello del
matematico, in quanto per questo le premesse determinano la necessit
delle conclusioni, mentre sembra che per il fisico la conclusione determini la necessit delle premesse, le cose in realt non stanno cos. Infatti
il fisico si serve del nesso finale, in base al quale ci che cronologicamente successivo logicamente anteriore e condizionante: in questo
senso la forma come fine funge da premessa del ragionamento scientifico (100). Da questo punto di vista la fisb'l si occupa della relazione mezzifine nel mondo naturale usando il fine per reperire i mezzi che esso
necessariamente implica tra quelli che il mondo naturale mette a disposizione. Essa cio stabilisce delle relazioni causali tra le determinazioni
formali che fungono da fine e quelle che fungono da mezzo e che appartengono a sostanze che precedono cronologicamente quelle in questione.
In questa regressione cronologica si incontra al limite l'universo fisico
stesso nella sua totalit, in quanto d senso alla ripartizione dei luoghi
naturali degli elementi e con il moto del Sole mantiene il ciclo generazione-corruzione. Le singole forme, pttr implicando questi presupposti
generali, non li contravvengono, perch a loro volta si pongono come
mezzi per il mantenimento dell'universo nel suo complesso. Tuttavia da
questo non possibile dedurre le singole forme e sostanze : e in questo
senso Aristotele dice che nel mondo sublunare esiste una necessit e%
hypothesi. Per tracciare un quadro completo dei processi naturali necessari occorre cio introdurre di volta in volta la considerazione di sostanze esistenti e da queste regredire fino ai presupposti pi generali del
mondo naturale. La dimostrazione di quest'ultimo e della necessit della
sua persistenza implica soltanto il soddisfacimento di alcune condizioni

(153) Phys. B, 1, 193b, r-21.


(1114) Ph3s. B, 2.
(IO t;) Phys. P,, 9

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186

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SC!BNZA

estremamente generali (il ciclo degli elementi e la riclucibilit di ogni


sostanza fisica agli elementi) che ogni sostanza fisica deve soddisfare.
In questo lavoro di ricerca c di chiarimento dei presupposti del sapere scientifico si colloca il libro B degli Analytica posteriora, che mostra
una possibilit di convergenza tra le indagini logiche e quelle scientifiche
condotte nelle opere sopra esamin~te. La Physica ha trovato un punto di
analogia tra la matematica e la fisica dal punto di vista della struttura
logica; parallelamente gli Analytica posteriora tendono ad esporre allo
stato puro gli elementi analoghi. Ci reso pi facile, come abbiamo
detto, anche dal definitivo abbandono dell' interpretazione platonica
della matematica: questa non ha pi per oggetto delle sostanze superiori
a quelle sensibili, che possono organizzarsi rigorosamente appunto perch
non sensibili, ma prende semplicemente ad oggetto una classe di propriet
delle sostanze sensibili, pur godendo del privilegio di poter fare a meno
della considerazione della materia. Anzi la scienza perfetta. dal punto di
vista dell'oggetto proprio una scienza fisic.o'l che studia fenomeni materiali, come l'astronomia.
Una volta riconosciuto che gli oggetti di tutte le scienze hanno la
medesima dignit metafisica, bisogna ammettere in via preliminare la
possibilit che tutte le scienze si organizzino sulla base di principi necessari per lo studio di propriet necessarie. Pu darsi che le une abbiano
un campo di studio pi ampio ed altre pi ristretto, le une con minori
e le altre con maggiori residui di accidentalit, ma le une e le altte possono avere la stessa struttura logica. E questa per Aristotele pi che
una possibilit dal momento che le matematiche non studiano pi sostanze
indipendenti, ma solo aspetti astratti di sostanze sensibili. Quando le
diverse scienze non studiano pi regioni a livello ontologico diverso, ma
solo dominii diversi di una medesima realt sostanziale, allora la sostanza
diventa il centro di intelligibilit cui tutte le discipline, in vario modo, si
rifanno. La discussione dci presupposti della scienza fisica ha messo in
luce come il mutamento pi radicale lasci sempre tuttavia intatta la struttura predicativa del reale nella cui permanenza soltanto rilevabile il
mutamento. Ma struttura predicativa vuoi dire convergenza eli predicati
verso un soggetto unico che appunto la sostanza dalla quale quei predicati dipendono. Senonch la convergenza dei predicati verso un soggetto sostanziale unico proprio anche la caratteristica logica delle matematiche, come la parte degli Analytica poster1:ora esaminata fin qui ha
dimostrato. Aristotele ha realizzato nelle prime opere scientifiche e nelle
Qpere logiche un movimento convergente alla fine del quale emerge
un'unica struttura logico-ontologica propria a tutti i campi del sapere e
del reale e capace, pur nella sua unicit, di contenuti volta a volta diversi.
Il celebre JtoUuxio ystuL -r ov nasce proprio qui. Le cose che sono
possono configurarsi in vari modi, ma sono sempre termini di un'unica

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IDEALE LOGICO F. RICERCHE SClENTH'ICHE

i87

struttura. Nell'ambito di questa ogni scienza studia una classe di predi-cati dipendenti da alcuni predicati fondamentali che costituiscono l'essenza
e sulla base dei quali si formulano i principi proprii alle singole discipline. L'unicit della struttura logico-ontologica costituita dalla dipendenza dei principi proprii dai principi comuni a tutte le cose. La logica
si pbne come compito la rilevazione di questi principi e la loro specificazione nelle singole scienze fungendo da opportuna introduzione alla filosofia prima intesa come indagine dell'essere in quanto tale.
Attraverso l'esame della matematica svincolata dalla teoria platonica
delle idee, gli Analytica posteriom definiscono sulla base dell'essenza il
campo di indagine della scienza: questa si occupa di propriet unificabili
mediante le stesse determinazioni essenziali, cio vede caratterizzato il
proprio dominio per mezzo dell' invariabilit delle cose necessarie. Tuttavia proprio mentre restringe al massin1o il campo della scienza rigorosa
Aristotele apre la possibilit che anche le cose che avvengono solo per
lo pi siano oggetto di indagini scientifiche, anche se in forma meno rigorosa (156 ). Ma l'elemento pi importante degli Analytica posteriora
proprio il tentativo di formulazione della struttura della scienza dimostrativa pi rigorosa negli stessi termini logici che servivano all' impianto di fondo delle prime opere fisiche. La logica come alcune parti del
De generatione et corruptione ancora propensa a porre un profondo
iato tra la scienza delle sostanze celesti eterne c quella delle sostanze sublunari cormttibili, ma decisa a rifiutare ogni sussistenza sostanziale
agli enti matematici. L' importante che la necessit che compete a questi enti una necessit interna alla e dipendente dalla loro essenza : e
l'essenza un termine che appartiene a tutte le sostanze dalle pi degne
alle pi modeste. Ci che in alcune parti del libro A degli Analytica posteriora costituisce ancora una remora all'ammissione di una scienza delle
cose transeunti il fatto che a proposito di esse si pu parlare di nascita
e di morte ; parole senza senso per i corpi celesti e per i triangoli.
Ma nel libro B della stessa opera viene data ospitalit, tra gli strumenti della scienza, a quegli schemi logici mediante i quali il De generatione et corruptione e la Physica tentano di ritrovare un filo di necessit
anche nel mondo sublunare. Il sillogismo dimostrativo deve essere una
trascrizione dei nessi causali della realt e al medio in particolare spetta
la funzione di portatore del rapporto causale. Ora questo rapporto causale pu essere realizzato in quattro modi diversi che, pur con qualche
sfumatura, sono molto vicini alle quattro cause della Physica (1 57 ). Soprattutto la trattazione della causa finale interessante in questa sede.
Essa si configura come quella causa che permette di operare delle deduzioni nel terrenO delle COSe 110n neceSSarie (l~R), intendendO per non
post. A, 8.
An. post~ B, II.
An. posi. B, II, 94 b, 34- 95a, 9

(166) At~.

(157)

(1118)

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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

188

necessari quei processi che possono avere esiti diversi, per necessari quelli che hanno esito univoco. La rilevazione di questa univocit
e della necessit che essa costituisce si fa per sempre sulla base di una
delle quattro cause e significa perci l' integrale spiegabilit di un fenomeno per mezzo di una di esse. Secondariamente la necessit viene ad assumere il significato di costrizione : ci si verifica quando un fenomeno deve venire spiegato con due tipi di causa contemporaneamente,
nel qual caso la spiegazione che si gi fornita con una causa costringe
lungo vie obbligate, almeno parzialmente, la spiegazione che si deve dare
con l'altro tipo di causa. Questo caso si manifesta il pi delle volte, soprattutto nelle opere scientifiche, come interferenza della causa materiale
con la causa finale, che si trova appunto costretta dalla prima. Ora, quando
la necessit della causa materiale non completa., la causa finale pu
farsi essa principio di spiegazione, cio medio di un sillogismo causale, e
dare ordine agli elementi di un processo materiale indirizzato alla realizzazione di un fine. Che proprio l'uso previsto per la causa finale nei
passi sopra citati della Physica, dove si riconosce alle cose transeunti una
necessit ex hypothesi. Con questo posto il fondamento per l'estensione
del sapere scientifico rigoroso dal mondo delle cose eterne a quello delle
cose corruttibili. Infatti, una volta ammesso che anche i processi di generazione e di corruzione non toccano mai la forma che anzi sta ad indirizzarli e a renderli comprensibili, si sono raggiunte proprio quelle determinazioni essenziali che rendono necessario il sapere. E se anche nella
generazione e nella corruzione sono reperibili aspetti essenziali, vuol dire
che anche in quei processi sar possibile reperire qualche cosa di costante e di eterno ( 11m). Non si tratter pi di sostanze eterne, ma di
determinazioni eterne delle sosta-nze. Questo passaggio fondamentale
per la logica. aristotelica ed stato reso possibile proprio dalla struttura
della scienza nei termini che siamo venuti chiarendo fin qui. Essi sono i
termini che costituiscono la struttura stessa dell'essere, di quello eterno
come di quello transeunte ; e la logica pur cercando quei termini nel corpo
delle scienze pi rigorose ha tentato di renderli disponibili per tutte le
djscipline in grado eli trovare la necessit della sostanza ovunque si
manifesti.
Ma a questo punto la possibilit di una scienza rigorosa in generale
rimane ancora sospesa ad un punto estremamente importante. La dimostrazione, in quanto siltogismo ha bisogno di premesse e in quanto sillogismo apodittico ha bisogno di premesse non prese a caso. L' unico
modo per evitare la casualit pare essere la dimostrazione che giustifica
ci che asserisce; ma ogni dimostrazione ha appunto bisogno di premesse
apposite : sicch o si va all' infinito o si fa un circolo. Aristotele si gi
posto questo problema e in un certo senso lo ha poi eluso supponendo
( 159 )

At. post. B, 12, g6a, 8-19.

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l PRINCIPI E

u:

DU'INIZIONI

189

disponibili le premesse scientifiche e limitandosi ad indagare le caratteristiche che le devono definire. Tuttavia la rilevazione delle loro propriet
senita ad indicare verso quale punto deve indirizzarsi un' indagine
dei mezzi con i quali esse possono essere raggiunte. Soltanto le detenninazioni essenziali possono dar luogo alle premesse dei sillogismi sdentifici e le determinazioni essenziali sono a loro volta quelle presupposte
da tutte le propriet di una sostanza. Ma in realt una dimostrazione
rigorosa di questo nesso di dipendenza presuppone gi una nozione sicura
dell'essenza da una parte e delle propriet dall'altra. Per uscire dal dilemma non resta allora che ammettere un tipo di conoscenza diverso da e
precedente a quello dimostrativo: sar la conoscenza intuitiva propria del
vo'il che l' QY.~ srctoT{jflll (H 0). Soltanto questa forma di conoscenza
sar in grado di metterei alla diretta presenza delle determinazioni essenziali che in ogni scienza costituiscono il punto di partenza della deduzione.
Tuttavia l' intuizione non una presenza permanente delle nozioni pi
universali nella mente umana. Essa deve essere cercata attraverso tentativi, con l'accostamento dei termini tra i quali pu rivelare una relazione
immediata. La costruzione della dimostrazione la guida pi adatta per
introdurre il logico al lavoro di induzione dello scienziato.
12. - I PRINCIPI E LE Df.FINIZIONI. I problemi che il paragrafo
precedente ha posto esigono che si risponda alla domanda : come si possono conoscere i principi ? Ossia, visto che la definizione il tipo di
discorso con cui si enunciano i principi (1 61 ), come si possono ottenere
le definizioni ?
Nell'edificio della scienza aristotelica, che abbiamo test esaminato,
la limpida chiarezza apparente rivela ben tosto delle difficolt non indifferenti. Abbiamo visto come la scienza prenda come suo oggetto le propriet che appartengono alle cose xcrr nuv-ro e xu-&' uv-r6, e che rinviano,
come a principi della loro deduzione, al -r( an, cio all'essenza; ora questa essenza ci si configurata come un rapporto, in quanto mettendo
l'individuale, quale concretamente ci dato, in rapporto con certe antifasi, immediatamente si rivela quale membro di queste antifasi ad esso
competa. L'essenza allora un'apertura del xu-&'f.xacrtov verso le antifasi
dalle quali necessariamente si scende alle propriet che, nel xm't'xa<Ttov,
si vogliono scientificamente considerare. Ma poich queste propriet rimandano ad antifasi diverse, ecco sorgere generi diversi che rinviano a
considerazioni diverse dell'essenza delle cose. In questo senso i generi non
devono essere entit separate dalle cose. II problema proprio della definizione allora quello di attribuire un genere alla cosa, cio di sapere
111 che genere deve rientrare la cosa e che posizione deve occupare in

Chiamo intelletto il principio clla scienza'> (A t~. post. A, 33, 88b, 36).
La definizione infatti dell'essenza e della sostanza (An. post. ll, J,
90b, 30-31).
( 1 60)
( 1 6 1)

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190

L'APODITTICA

L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

esso, per poter essere studiata scientificamente, riguardo a certe propriet


che pare possedere. Ma poich i generi non sono entit trascendenti,
questa questione pone contemporaneamente quella di come si possano
definire i principi propri di ciascun genere.
Poich la dimostrazione presuppone delle premesse e queste, nella
scienza, appartengono all'essenza delle cose su cui si sillogizza, chiaro
che la dimostrazione non potr pi essere la forma di conoscenza propria
dell'essenza: a questa spetter la definizione (1 6 2 ). D'onde il problema
del rapporto tra dimostrazione e definizione (163 ). Che non possano essere la stessa cosa e che non possano riguardare gli stessi oggetti,
chiaro, se l'una rinvia all'altra come a suo presupposto ultimo (164 );
ma c' un'altra ragione della distinzione. Cio la dimostrazione concerne
la predicazione, mentre la definizione non un giudizio, perch si limita
ad indicare l'essenza (d 8un fJ01J (16 5). La definizione in relazione
con l'essenza semplicemente in quanto la indica., senza asserire nulla
(sotto forma di affermazione o di negazione) di essa; la scienza la presuppone aile dimostrazioni proprio per questo suo essere indicativa delle
essenze (166). Questa dottrina , del resto, perfettamente collimante con
la distinzione, precedentemente fatta, tra ipotesi e definizione (1 G7 ). Essa,
tuttavia, suscita non poche difficolt, in quanto difficile, a prima vista,
cogliere l'accordo con quanto abbiamo sostenuto considerando l'essenza
come premessa di un sillogismo, cio come una proposizione; del resto i
principi dei quali non si pu fare a meno hanno proprio la forma di giudizi (16 8) e le stesse definizioni debbono farsi ipotesi (16ll) se vogliono
(162) La definizione sembra essere dell'essenza, ed ogni es~enza universale cd
affermativa (A11. post. B, 3, 90b, 3-4).
(168) Qualcuno potrebbe sollevare il problema se la stessa cosa e se verta
intorno alla stessa cosa il sapere per definizione ed il sapere per dimostrazione; oppure impossibile? (An. post. B, 3, gob, 1-3).
(164) Che non ci sia definizione di tutto cir'l di cui c' anche dimostrazione
chiaro (An. po,l't. B, 3, 90b, 18-19). Inoltre i principi delle dimostrazioni sono
definizioni, dei quali si dimostrato prima che non vi saranno dimostrazioni - o vi
saranno dei principi dimostrabili c dei principi dei principi, e cos all'infinito, oppure i principi primi saranno eile defmizioni anapodittiche (ibid. 24-27).
(16.5) Inoltre ogni dimostrazione dimostra qualcosa, per es. che o che non ;
nella definizione, invece, null;~. si predica di altro .. , La definizione, dunque, indica
l'essenza, la dimostrazione che questo o non di quest'altro (An. post. B, 3, 90b,
33 -91a, z).
(166) Sembra che tutte le dimostrazioni prendano per ipotesi ed assumano l'essenza, per es. le climostrazioni della matematica che cosa l'unit e che cosa il
dispari, e altrettanto fanno le altre (A1~. post. B, 3, 90b, 31-33).
( 1 67) Delle tesi ipotesi quella che assume un membro qualsiasi dcll'antifasi,
per es. dieo che .Q,che non ; definizione quelta che non assume (An. post. A,
2, 72a, r8-2r).
( 1 68) Tra le proposizioni immediate chiamo tesi quella che non possibile di
mostrare, ma che non necessario che possegga chi sta per imparare qualche cosa;
quella che deve possedere chi sta per imparare una qualsiasi cosa l'assioma (An.
post. A, 2, 72a, 14-17).
( 1 6 9 ) Le definizioni non sono ipotesi (ch nulla in esse si dice che sia o no),_

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I PRINCIPI

t LE DEfiNIZIONI

191

dare luogo a dimostrazioni, in quanto dei principi bisogna non solo spiegare il Tt crn, ma anche asserire T dvcu (17). Da ci che precede
pare perci che Aristotele faccia una distinzione tra la definizione ed il
giudizio in cui si asserisce che l'oggetto di quella definizione esiste, in
quanto l'oggetto della definizione si rivela in una intellezione pura che
non ancora asserzione di esistenza (1 7 i). Tuttavia per ora Io Stagirita
non riprende questa distinzione per approfondirla, ]asciandola solo intravvedere.
Il sillogismo che, com' chiaro, non potrebbe mai applicarsi alla defillizione in quanto enunciazione non predicativa, dal momento che si
svolge tutto tra proposizioni, potrebbe per ammettere, come sua conclusione, una proposizione in cui si assegnasse una certa definizione ad
una data cosa: qui infatti un nesso predicativo ci sarebbe. Ora la lunga
argomentazione con cui Aristotele dimostra che un simile sillogismo si
rsolverebbe, in ultima analisi, in una petitio principii (172) importante
perch ribadisce uno dei caratteri delle proposizioni che sole possono
fungere da premesse apodittiche, cio 1' immediatezza. Ogni sillogismo
che voglia raggiungere risultati necessari presuppone gi delle proposizioni attributive della definizione, la cui caratteristica l'immediatezza,
come indimostrabilit. Allora pare assodato che le premesse immediate
del sillogismo apodittico sono proposizioni che attribuiscono una definizione ad un soggetto : restano per ora indetenninati i caratteri distintivi di questo soggetto e quelli dell' intuizione intellettuale, come fondamento dell'immediatezza.
Questa immediatezza, tuttavia, deve essere fondata sulla necessit
c non sulla casualit del primo presentarsi : proprio perci la dicotomia
platonica. non in grado eli dare una dimostrazione dell'essenza. Questa
sarebbe la sua pretesa e, anzi, questo il suo vizio, in quanto tentativo
del tutto illusorio di attingere con mezzi discorsivi ci che si rivela alla
sola intelligen,za. Infatti il suo fallimento come dimostrazione dell'essenza
dovuto al suo fallimento come dimostrazione in genere, cio alla manma ipotesi si hanno nelle premesse, mentre le definizioni devono essere ~emplicemente
comprese: c quc1;ta non tm' ipotesi (a meno che si dica che tm' ipotesi anche
l'udire), ma la conclusione riguarda le cose che sono in quanto sono quelle che sono
(An. post. A, IO, 76b, 35-39).
(170) Dei principi propri le scien:>.e assumono che siano e che siano questo qui
(.1n. Post. A, IO, 76b, s-6).
(171) An. posi, A, IO, 76b, 37
(172) Il sillogismo dimostra qualcosa di qualcosa tramite il medio ; l'essenza, il
proprio e ci che si predica nell'essenza si convertono necessariamente. Infatti se
A proprio eli G, chiaro che lo sar anche di B e questo di G, sicch tutti si
predicperanno l'un dell'altro.. Ma se A inerisce nell'essenza eli B ecl universalmente
B si dice nell'essenza eli G, necessario che anche A si dica nell'essenza di G. ~la
se non si saranno fatte assunzioni, non sar necessario che A si predichi di G nell'essen:>.a di B, ma non di quelle cose nella cui essenza B. Ma allora possieelcr
gi entrambe le essenze: e sar dunque B l'essenza di G. Se ha entrambe le essen7.c,
nel medio avr gi l'essenza che voleva dimostrare (An. post. .B, 4, 91 a, 14-26).

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192

L'APODITTICA F. L' ORGANIZZAZION~ DELLA SCIENZA

canza di vigore dimostrativo ; deficienza che si manifesta nell'offerta, ad


ogni passo, di un'alternativa non determinata mediante una ragione (1 73).
Ma a sua volta questa impotenza nel fornire le ragioni risolutive delle
alternative da cercare nella pretesa di dimostrare il tL an e perci
nell' ignoranza di quei principi necessari che sarebbero in grado di
orientare decisamente il processo deduttivo. Perci l' indiscusso valore
che la dicotomia pu avere non sar mai quello di una dimostrazione, ma
solo quello di un procedimento euristico, induttivo, che non fornir mai
le ragioni dei singoli passaggi : presupporr sempre l'intero genere come
dato ed entro di esso presenter tutte le possibili distinzioni i.n specie,
ben ricalcando la struttura antifatica del reale, ma non sar mai in grado
di costituire esso stesso una ragione necessaria per la scelta di un corno
o dell'altro dell'antifasi (1 74 ). Proprio questa critica alla dicotomia pu
fare intravvedere la direzione in cui va discussa la questione del rapporto
tra definizione e dimostrazione: la prima non pu essere dimostrata, perch i principi costituiscono un punto di partenza assoluto della dimostrazione, ma ad essi si pu giungere con un'induzione che non si costituisce
a criterio della loro validit e necessit, ma porta sulla soglia della loro
determinazione, lasciando poi all' intelletto puro il compito di coglierli
nella loro immediatezza.
Mentre l'induzione, infatti, pu farci ripercorrere a ritroso tutta la
scala discendente della deduzione, essa si arresta dinanzi ai principi ed
alle loro definizioni, in quanto sempre leg-<1ta al nesso predicativo (175)
che quelle escludono. E proprio qui sta il pericolo, perch, se si stacca la
definizione dalla predicazione, la prima rischia di diventare la mera spiegazione del significato di una parola, che pu essere utile s, ma che non
pu mai fungere da principio, se il significato delle parole convenzionale

(178) Nella dicotomia non assolutamente necessario che la cosa sia quella
che , perch tali sono le sue premesse, ma non dimostra neppure come dimostra
l' induzione. Questa infatti non deve chiedere interrogando la conclusione, n questa
quella che perch concessa, ma necessario che sia, per l'essere delle premesse,
anche se non lo concede colui che risponde (An. post. B, 5, 91 b, 14-17).
(17 4) La dicotomia pu risolvere le sue difficolt con l'assumere le predicazioni che entrano nell'essenza, ed ordinarie di seguito con la divisione, presupponendo
la premessa, e senza tralasciare nulla. Questo necessario se tutto cade entro la
divisione dicotomica e nulla sfugge ad essa: infatti l' individuo deve essere gi
costituito. Ma tuttavia non sillogismo, ma, se lo , fa conoscere le cose in modo
diverso. E ci non per nulla strano : ch neppure facendo l' induzione, in nn
certo senso, si dimostra, e tuttavia si rendono note le cose. Non dice un sillogismo
colui che pronuncia una definizione procedendo con la dicotomia (An. post. B, s.
91 b, 28-36).
( 1 75) In che modo chi definisce mostrer la sostanza o l'essenza? Non certo
dimostrando far chiaro, partendo da premesse concordate, che, essendovi quelle pre
messe, c' qualche altra cosa in modo necessario (questa proprio la dimostrazione),
n con un' induzione attraverso gli individuali evidenti di per s, dimostrer che
tutto cos perch nulla diverso: infatti non dimostra l'essenza, ma che o che
non . Quale altro modo resta allora? Ch non certo dimostrer con la sensazione o
accennando a dito (A11. post. B, 7, 92a, 34- b, 3).

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LA DEI'IXIZIONE DELLE PROPRJETA

193

e perci legato alla libera decisione del dimostrante e non alla necessit
assoluta dei principi (17t.;). Se davvero la validit della definizione si li
mitasse alla spiegazione del significato di un nome in nulla sarebbero diverse le definizioni vere c proprie (cio le definizioni dei principi) dalle
definizioni dci nomi delle propriet che debbono ancora essere dimostrate,
quanto al loro essere (1 77 ); e il dimostrante non saprebbe se i principi da
cui parte ci siano veramente o se si tratti solo della fittizia ipostatizzazione
di un nome (1 7 s). Ma ci che manca alla definizione per costituirsi quale
t:onoscenza completa dell'essere del definito un medio (179). Solo ricevendo un medio la definizione pu farsi garante dell'essere del definito;
ma un medio presuppone un giudizio, sicch la definizione deve uscire
dall'ambito puramente semantico per entrare in quello apofantico facendosi determinazione di un'antifasi reale. D'altra parte per Aristotele ha
gi mostrato come il medio della definizione non potr essere di natura
sillogistica, in quanto definizione e dimostrazione sono essenzialmente diverse; ma dovr essere tale da determinare in modo assolutamente necessario l'antifasi che anche la definizione trover dinanzi a s, se si tratta
appunto di principi primi della dimostrazione. La defiruzione per non ha,
in s stessa, questo medio e rinvia a qualcos' altro che possa garantire
l' essere del suo definito: appunto perci essa rischia di diventare la
mera spiegazione del significato di un nome, che non pu mai essere n
vero n falso.

13. - LA DE:E'"JNIZIONE Dl~LL:t: PROPRU:T... - Ogni definizione pu essere una definizione nominale, illustrante, cio, l'ambito semantico della
(176) Inoltre come si dimostrer l'essenza? necessario che chi conosce
l'essenza dell'uomo o qualche altra cosa, sappia che (ch nessWlo conosce l'essenza
del non-essere, ma che cosa significa il discorso con cui lo si indica o il suo nome,
quando dico ircocervo, impossibile sapere l'essenza dell' ircocervo). Ma se si dimostra l'essenza e che , come si dimostreranno entrambe le cose con lo stesso tipo
di discorso? La definizione e la dimostrazione indicheranno allora un' unica cosa:
l'essenza dell'uomo e che l'uomo sono cose diverse (An. post. B, 7, 92b, 4-II).
(177) Il geometra prima assume che cosa significhi triangolo e poi dimostra
che (A1~. post. B, 7, 92b, 15-16).
(178) Se dunque chi definisce dimostra o l'essenza o il significato di un nome.
se nulla assolutamente c' dell'essenza, la definizione sar un discoso significante la
stessa cosa che un nome. Ma assurdo. lnnanzitutto ci saebbe definizione anche
delle cose che non sono sootanze c di quelle che non sono affatto : perch possibile
significare anche le cose che non sono. Inoltre tutti i discorsi sarebbero definizioni :
infatti sarebbe possibile assegnare un nome ad ogni discorso, sicch tutti parleremmo
con definizioni e l' Iliade sarebbe una definizione. Infine nessuna dimostrazione potrebbe dimostrare che questo nome indica questa cosa; n le definizioni sono in
grado di indicarlo (A11. post. B, 7, 92b, 26-34).
(17\1) chiaro che; secondo la natura della definizione, chi defini~ce non dimo~
stra che . Che rispondere al "se " lo stesso che dedune dal medto; ma .qual e
il medio del definito? E perch questo circolo? Infatti si potrebbe anche dtre che
di oricalco. N le definizioni asseriscono che sia possibile ci che si dice, n quello
di cui dicono di essere definizioni, ma sempre possibile trovare Wl medio (An.
post. B, 7, 92b, I9-25).
1,:,

C. A.

VIANO,

La logica dt Aristotele.

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194

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE D~LLA SCIENZA

parola che definisce, potendo ogni definizione prescindere dall'accertamento


dell'essere che definisce (1 80). Questa definizione pu applicarsi a qualsiasi nome e non esclusiva dei principi, perch, considerando la parola
come mero segno, non entra ancora a far parte del discorso apofantico.
Essa perci potr anche cercare di chiarire il riferimento semantico dei
nomi con cui di solito si indicano le propriet sensibili, senza entrare propriamente nell'ambito apofantico, in quanto quelle, apprese netl' esperienza sensibile immediata, non hanno l'essere se non accidentalmente,
cio attendono di averlo confermato o smentito dalla dimostrazione che
cercher di giustificarle partendo dai principi evidenti : si tratta cio di
definizione il cui 5n i!crrt ci dato solo accidentalmente e di cui cerchiamo il lh T( f.mvv che solo pu confermare o smentire il primo, togliendogli il carattere di accidentalit o confermandoglielo necessariamente (1 8 1). Per non cadere in una definizione nominale, definendo una propriet sensibile, biso~:,>na conoscere l' ah(a del suo essere, onde accertare
se si tratti di un essere che, essendo stabile, garantir sempre il contenuto
della definizione (IR 2). Ma le propriet sono quelle che si dimostrano di
una sostanza, cio l' ah(a dd loro essere reperibile proprio nel medio
della dimostrazione che le attribuisce, secondo una modalit determinata,
alla sostanza. Allora non si tratter pi soltanto di riferimt?nto senmntico della parola con cui si indica una certa propriet, ma delta conferma
o meno o della modificazione dell'oggetto eli riferimento semantico stesso
della parola: cio si tratter dell'essenza stessa della propriet in questione. Ma in questo caso la definizione dell' essenza sar indicata dalla
dimostrazione della propriet e non ne differir che per la forma verbale,
in quanto la definizione si limita a considerare la conclusione del sillogismo con cui si dimostra la propriet in questione o a ricapitolare sommariamente tutta la dimostrazione (1 83 ). Tn questo senso si possono dimostrare le definizioni di ci che ha la propria causa fuori di s: infatti,

(180) Poich si detto che la definizione un discorso sull'essenza, chiaro


eh<> un tipo sar un discorso intorno al significato del r:ome o un qualche altro discorso denominativo, per es. che cosa significa triangolo (An. post. D, IO, 93b,
29-32).
{181) Sapendo che , cerchiamo perch ; ma difficile cogliere le cose di cui
non si sa se sono. La causa della difficolt stata detta prima, e eonsist~ nel fatto
che non sappiamo neppure in senso proprio se la cosa esista o meno, ma lo sappiamo
solo in senso accidentale (Atl. post. B, IO, 93 b, 32-35).
(182) An. post. A, ro, 76b, 6-11.
( 1 83) Un altro tipo di definizione quello che indica perch una cosa -.
evidente che quest'ultimo una specie di dimostrazione dell'essenza, differente per
la disposizione dei termini, rispetto alla dimostrazione. Infatti non la stessa cosa
dire perch tuona e che cosa il tuono: in un caso si dice : perch si speg~~1c il
fuoco nelle nubi ; che cosa il tuono? Boato di fuoco che si spegne nelle nubi.
Sicch lo stesso discorso si pu fare in due modi ed in uno dimostrazione e nell'altro definizione. (I n oltre la definizione del tuono boato nelle nubi ; e questa la
conclusione della imostra%ioue dell'essenza) (An. posi. B, IO, 93 b, 38- 94a, 9).

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LA DEFINIZIONC Of.LLE l'ROPRWTA

19.5

poich il TL Han lo steSSO che il 8t T l (1 84), il medio del si1Jogismo


con cui si dimostra la propriet potr figurare nella definizione causale
di quest'ultima. Avere la propria causa fuori di s vuole dire, allora, non
essere in se stesso sostanza, ma inerire in una sostanza che sola pu
dare ragione di ci che ad essa inerisce : definire una simile propriet
significa riferirla ad altri aspetti della sostanza, cui inerisce, che necessariamente ne determinano l' inerenza. Il suo vero essere in questa inerenza. Non che la definizione sia propriamente dimostrabile, nel senso
che la dimostrazione di una propriet sia anche la sua definizione, ch
allora non ci sarebbe pii:!. ragione di distinguerli, ma alla definizione di
quella propriet ci si pu appressare con un sillogismo dimostrativo,
avente per solo carattere discorsivo ai fini della definizione (l 85).
Il trovare una definizione di una propriet includere quella propriet in un genere. Il genere , infatti, la sostanzialit stessa delle cose
come connessione necessaria delle propriet e delle loro ragioni : ora deJ-nire una propriet proprio connetterla con le sue ragioni necessarie
nella sostanza. La definizione reale di una propriet, come sillogismo
parzialmente modificato o come conclusione di un sillogismo (18 6), consiste proprio nel tener conto di ci che la scienza ha detto su quella propriet. Ma il sillogismo apodittico non direttamente una dimostrazione
della definizione, perch presuppone esso stesso la definizione. Infatti
nlla costituzione di una scienza bisogna assumere che cosa significhino
le varie propriet del soggetto di cui si occupa la scienza ed il cui essere
solo l'apodissi vera e propria dimostrer (1 87 ); per questo il sillogismo
che pretende di dare una dimostrazione della definizione presuppone gi
una definizione (1 88). Bisogner allora esaminare attentamente i rapporti
tra l'assunzione di questa definizione e la dimostrazione, per cogliere mag-

(J84) An. post. B, 2, 90a, 14-15. Per le cose che hanno la loro causa in s
]'identit el Tt lan e del Bui. d ovvia ed assoluta, in quanto il loro Bu Ti:
proprio il loro essere se stesse; invece per le cose che hanno la loro causa fuori
di s, c' appunto un'altra cosa cui si rico!legano cd il collegamento con la quale CO
stituisce la loro essenza. Tuttavia questa essenza presuppone ancora la conoscen~a
della cosa cui la propriet si ricollega, per comprendere come quella cosa possa essere
proprio il <'t T( di questa proprietl e cio possa garantire che questa propriet
e che non si tratta solo di un nome.
(185) Non c' sillogisrno n dimostrazione dell'essem:a che per si chiarisce attraverso il sillogismo c la dimostrazione; perci senza la dimostrazione non possibile conoscere l'essenza di ci che ha una causa diversa da se stessa, n pu esserci dimostrazione di questa essenza (An. post. B, 8, 93b, 19)
(186) La definizione in uno dei suoi tipi un sillogismo dell'essenza, differente
dalla dimostrazione per la sua forma grammaticale, e nel terzo dci suoi casi la conclusione di una dimostra?:ione dell'essenza (An. post. B, ro, 94a, 12-14).
(187) An. post. i\, 10, i6 b, 6-r 1.
(188) Come infatti cerchiamo il perch ronosccndo gi il che, ma qualche volta
diventano chiari insieme ma non certo possibile conoscere prima il perch del
che, evidente che, in m~do analogo, l'essenza non sta senza esistenza: infatti impossibile sapere che cosa senza sapere se (An. post. B, 8, 93a, 15-20).

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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

196

giori particolari sulla stessa t~ozone di genere. Poich lo on dell'oggetto


di riferimento semantico delle definizioni delle propriet verr in luce
solo con l'apodissi, la definizione assunta dovr essere nominale ; ma non
del tutto, perch le propriet che debbono essere dimostrate sono state
prima constatate empiricamente e sottoposte ad un processo di accertamento induttivo che ha condotto fino alle soglie della sostanza che dovr
fungere da ;;hon nella dimostrazione. Infatti si parte sempre da un ltQOl:eQOv
xQ fJ!-1-ii per giungere ad un lt{.l6-tEQOV <pvaEL che deve spicgarlo:
cio la ricerca del ~ton posteriore o contemporanea a quella dello on,
come quella del -r( an a quella dell' d E'mtv (1 89 ). A volt(' questa conoscenza dello on accidentale ed ignora del tutto il -rC ~an (!-'-'I'Ji'lu!-1-w
f:xEtv ltQ -r ,;( an v) sicch, proprio per questo, non neppure una
autentica conoscenza dello on, senza la quale non si pu intraprendere
una vera ricerca sul 1h6n ; che invece non impossibile per le cose di
cui la vera conoscenza dello on implica una parziale conoscenza dell'essenza stessa della cosa (1110). Ora solo la definizione di ci che conosciamo
per accidente una definizione nominale in senso stretto, in quanto appunto in essa l'essere del definito pu sempre venir meno e !asciarci in
mano il mero significato di una parola (1 91 ). Non certo queste definizioni,
aventi parte nell'accidentale, potr assumere la scienza, che ricerca del
~hon : quest'ultima infatti presuppone un possesso non accidentale dello
on per passare alla ricerca del ~L ,;( eanv (1 92); di uno o-rt, anzi, che
implichi gi in parte qualcosa dell'essenza della cosa (1 93 ). Infatti l'as~
sunzione del significato delle propriet di cui si serve la scienza non
assunzione arbitraria, in quanto si tratta di propriet di un genere, cio
connesse con un argomento ben determinato e che la dimostraziont"
dovr poi dimostrare proprie di quel genere ; del resto gli esempi portati

(18\J) Il cercare che cosa una cosa sia senza sapere che , non cercare nulla :~
(An. post. B, 8, 93a, aJ-27)- Ma il <:onoscere lo O"tL EO"tt gi possedere una qualche conoscenza dell'essere dell'oggetto in questione, dai momento che aecessariaT!Iente non abbiamo nessuna indicazione dell' essenza di quelle cose di cui sappiamo
sdo accidentalmente che sono (ibid. 24-26); ma l'et eonv si conosce non accidentalmente iizov--.: --.:t a:mii ,;o\i :rrocl.yJ-lo.,;o .ibzd. 21-22).
(190) A volte conosciamo il "se " per accidente, a volte conoscendo qualcosa della cosa stessa nella sua essenza, per es. a proposito del tuono, che un boato
nelle nubi, e dell'eclissi, che una privazione di luce, c dell'uomo che un animale,
e dell'anima, che automoventesi. Ma di quelle cose di cui sappiamo solo accidentalmente che sono, necessariamente non abbiamo nessuna indicazione dell'essenza: non
sappiamo, infatti, neppure che sono; c cercare che cosa un oggetto senza sapere
che , non cercare nulla. Di quelle cose di cui gi possediamo qualche nozione,
facile questa ricerca. Sicch la situazione in cui ci troviamo riguardo all'essenza
dipende da quella in cui ci troviamo riguardo all'esistenza (An. post. J3, 8, 93a,

21-29).
(191) A1~.

(102)
(1Ha)

post. B, IO, 93 b, 32-35.


An. post. B, IO, 93 b, 32.
An. post. B, 8, 93a, 21-22.

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LA DEfiNIZIONe DELLE PROPRlETA

197

da Aristotele stesso mostrano come si tratti di termini tecnici (tutti, nella


fattispecie, tratti dalle scienze matematiche) che presuppongono gi una .
conoscenza della materia cui saranno riferiti (1 94).
Nel cap. VIII del libro B degli Analytica posteriora., invece, Aristotele preferisce servirsi di termini astronomici o meteorologici. L'eclissi di
Luna o il tuono sono appunto termini che hanno la loro causa fuori di
si:, in quanto non sono e5si stessi sostanze. Ora una prima considerazione
dell'eclissi si presenta come oscuramento della Luna; ma questa definizione
rischia di essere meramente nominale, in quanto .non d nessuna garanzia
di riferirsi ad un vero
Solo un ragionamento induttivo che accerti
come l' oscuramento della Luna, non provocato dall' interposizione di
un corpo opaco tra noi ed essa, possa autorizzare a parlare di eclissi,
in grado di fondare quella definizione, mostrandone la plausibilit (.19 5 ).
Solo in questo caso si P<?tr dire che la definizione dell'eclissi come otQlj<rt n cpwto (1 911 ) implica gi il possesso di una certa nozione sulla
natura stessa della cosa definita; questa definizione perci non sar
puramente nominale, ma tender verso la causa stessa del definito e sar
suscettibile di comparire in una dimostrazione causale. Jnfatti la questione che essa pone subito l'accertamento della vera natura di questo
oscurarsi della Luna non dovuto all' interposizione di un corpo opaco
tra noi ed essa: si tratta cio di uno spegnersi della Luna stessa o di una
sua deviazione o di una qualche interposizione? (19 7). E se si prende in
considerazione quella che pare la causa pi certa, cio l' interposizione
della Terra, sussister il problema di vedere se un' interposizione della
Terra avvenga veramente (1 8 ): cio sar aperta la via verso i principi
stessi dell'astronomia, nella loro specifica applicazione ai movimenti della
Terra in relazione alla Luna ed al Sole. Ma, supposto che l' interposi-

on.

(1!!4) An. post. A, ro, 76b, 6-n.


(l!ln) Sia C la Luna, A l'eclissi, B il non potersi oscurare la Luna piena senza

l' interposizione di un corpo visibile tra noi ed essa. Se pertanto a C inerisce B, cio
il non poter si oscurare la Luna se non per l' intcrposizione di un corpo visibile tra noi
ed essa, ed a questo A, cio l'eclissi, chiaro che avviene l'eclissi, ma non ancora
perch avviene, e sappiamo che c' un'eclissi, ma non che cosa sia. Essendo chiaro
che A inerisce a C, il cercare invece perch vi inerisca sta nel cercare che cosa sia
B, se un' interposizione, una deviazione della Luna o uno spengimento. Questa la
ragione dell'altro estremo, in questo caso di A : infatti l'eclissi un' interposizione
della Terra (An. Post. B, 8, 93a, 37- b, 7).
(t 96) A volte sappiamo solo per accidente se una cosa sia o no, a volte avendo
una qualche nozione sulla natura stessa della cosa, per es. sul tuono del quale si sa
che un boato nelle nubi e dell'eclissi che una privazione di luce e dell'uomo che
un animale e dell'anima che una cosa che si muove da s (An. post. B, 8, 93a,
21-24).
( 197 ) A1~.

Post. B, 8, 93b, 5-7.

(198) Si supponga che A sia l'eclissi, C la Luna, IJ l' interposizione della


Terra. Il cercare se la eclissi avviene o no cercare se B sia o no. E questo non
differisce per nulla dal cercare se ce ne sia una ragione; e se B diciamo che
anche A (A t~. post. B, 8, 93a, 30-33),

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198

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

zione della Terra sia provata, allora la dimostrazione dell'eclissi presupporr la sua definizione come <nQT]o( n <pcoto che a sua volta potr
essere considerata fondata o no a seconda che potr figurare o meno in
una dimostrazione valida e causale dell'eclissi, come avviene in questo
caso in cui il sillogismo si configura cos : l' interposizione della Terra
tra il Sole ed un altro corpo determina una o..tQTJOL cpwto, tra il Sole
e la Luna si interpone la Terra; dunque la Luna subisce una atQTJCH
<pco't'6 . La dimostrazione riuscita perch l'eclissi stata definita come
privazione di luce, mentre sarebbe fallita se fosse stata definita in un modo
che impedisse la ricerca della sua vera causa.: d'altra parte quella dimostrazione fa s che sia possibile enunciare ora una definizione in cui si
tenga conto non solo della privazione della luce, ma anche della causa di
essa.
Eppure delle difficolt ci sono ; e non lievi. Da un lato, infatti, la
6cienza pretende di dare essa stessa la dimostrazione dello on delle propriet necessarie, le cui definizioni, perci, dovrebbero essere soltanto.
nominali, come mere assunzioni di significato (1 9D); d'altra parte i passi
che abbiamo citato dal libro B degli Analytica posteriora mettono in
luce, in modo inequivocabile, come queste definizioni pretendano uno
on che accenni gi al suo derivare da un (hon (2 0 ) : come conciliare
queste affermazioni apparentemente opposte? Ora la difficolt si appiana
se si tiene presente quale sia 1' impianto del libro B dell'opera che andiamo esaminando : essa si svolge sul tema del passaggio dalla conoscenza
dello on a quella del ~L<ht ( 201 ). Questo processo non pu certo costituire la dimostrazione che presuppone il ~ton dal quale deduce poi lo
0n, come mostra chiaramente l'esempio recato in An. post. A, 13, dove
appunto il passaggio dallo on al ~h6n non annoverato tra le dimostrazioni, ma tra le induzi01~i (:! 02 ). Del resto mentre la scienza non pu
assolutamente servirsi della sensazione come fonte di conoscenza, perch
al ~non
essa sempre legata all'individuale (2!l), il passaggio dallo

on

( 1 99) An. post. A, IO, 76a, 3I34; ibid. B, IO, 93b, 31-32; in entrambi i passi
ricorre lo stesso esempio della definizione del triangolo ed usato nel medesimo
senso.
(200) An. post. B, 8, 93 a, 21-24; 27-29; ibid. IO, 93 b, 32-35.
(201) Le cose che cerchiamo sono uguali per numero a quelle che costituiscono
l'oggetto della scienza. E noi cerchiamo quattro cose, il "che ", il "perch ", il
"se ", il "che cosa " (An. post. 13, I, 89b, 23-25).
(202) Siano G i pianeti, B il non splendere, A l'essere vicini. veto dire B
di G; infatti i pianeti non splendono. Ma anche A di B ; perch ci che non splende
vicino; ma questo stato assunto con l' induzione o con la sensazione. necessario allora che A inerisca a G, sicch si dimostrato che i pianeti ~ono vicini. E
questo sillogismo non dei "perch , ma del "che": infatti non perch non splendono i pianeti sono vicini, ma perch sono vicini non splendono (A t~. post. A, 13,
78a, 31-38).
( 2 03) c N possibile conoscere scientificamente per mezzo della sensazione. Se
anche la sensazione fosse di una propriet e non di un che individualmente deter-

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LA DEfiNIZIONE DELLE PROPRIETA

199

pu avvenire anche in virt della sensazione (2 4 ), alla quale tuttavia


sempre stato riconosciuto una specie di valore stimolante per la ricerca
scientifica che appunto presuppone l' induzione poggiante sulla sensazione (20 5). Ora, poich la scienza ha sempre bisogno della induzione
che procede dal particolare all'universale, procedendo essa, invece, dall'universale al particolare, si comprende come le dottrine del libro B e
quelle del libro A degli Analytica posteriora possano facilmente conciliarsi, in quanto le une riguardano, almeno in parte, il processo induttivo
e le altre quello deduttivo. Perci l'assunzione del significa.to dei propri
da dimostrare, presupposta dalla scienza, pretende, a sua volta, una induzione che implica un accertamento sensibile (20 6). Ma questo accertamento non deve ignorare del tutto il ~~on della propriet che si conosce
minato, tuttavia essa sarebbe sempre necessariamente di un che individualmente
determinato ed in qualche luogo e l un momento del tempo. impossibile conoscere sensibilmente l'universale e ci che c' in tutti: ch e~so non n questo n in
questo momento; nel qt1al caso non sarebbe universale: infatti diciamo universale
ci che sempre ed ovunque. Poich, dunque, le dimostrazioni sono universali, cio
non possono essere conosciute sensibilmente, chiaro cht' non si pu possedere la
scienza attraverso la sensazione, ma se anche fosse possibile accertare sensibilmente
chf' il triangolo ha la somma degli angoli interni uguale a due retti, ancora cercher:IT!mo la dimostrazione e non sa{:rcmmo scientificamente, come invece dicono alcuni:
infatti la sensazione i! necessariamente dell' individuale, mentre la scienza conoscenza dell'universale (An. (Jost. A, 3I, 87b, zB-39).
(201) Che la ricerca vcrta intorno al medio, indicano le cose il cui medio
sensibile. Infatti cerchiamo quando non ne abbiamo avuto sensazione, per es. dell'eclissi se o non . Ma se fossimo sulla Luna non cercheremmo n se l'eclissi si
verifica, n perch, ma queste cose ci si chiarirebbero insieme. Infatti anche dalla
sensazione potremmo sapere l'universale. Si percepisce che ora la Terra si interpone
(ed infatti chiaro che ora la Luna si eclissa): da questa constatazione deriva l'universale (A1~. post. R, z, 90a, 24-30). Questo passo pare in diretta contraddizione con
quest' altro: Perci anche se, essendo sulla Luna, vedessimo la Terra interporsi.
non conosceremmo la causa dell'eclissi. Percepiremmo che ora avviene l'ecli.<si, ma
r.on la causa di esso nella sua universalit: infatti la sensazione non dell'universale (ibid. A, 3r, 87b, 39- 88a, z). La contraddizione per si rivela solo apparente
se si tiene conto che nel primo passo Aristotele parla di passaggio dallo o-n al <ho-n
mentre nel secondo si tratta di dedmdone dello
dal lh6n, che presuppone la
conoscenza dell'essenza dello stesso lh6n, cio l'intuizione dei principi della dimostrazione. Nel primo caso si tratta di conoscenza dell'universale nel suo on, cio
nel suo essere necessariamente connesso con certi fatti esperiti, nel secondo caso
dell'universale nel suo essere bwn, cio come principio di dimostrazione.
(205) evidente che, se viene a mancare una qualche sensazione, viene a
mancare anche una certa scienza, che impossibile cogliere, dal momento ('h e impariamo o con 1' induzione o con la dimostrazione, e la dimostrazione deriva dall'universale, mentre 1' induzione deriva dal particolare, ed impossibile indagare l'universale se non con l' induzione, e, a sua volta, impossibile indurre non avendo la
sensazione :1> (An. post. A, r8, 8r a, 38-b, s). Ci conferma come la possibilit di
trovare l'universale con la sensazione, di cui alla nota precedente, sia da intendersi
come processo induttivo.
(206) E sar possibile rendere note con l'induzione anche le cose dette per
astrazione, cio che ogni genere ha le sue propriet, anche se i generi non sono entit
separate, in quanto ogni cosa ha il proprio carattere (An-. post. A, r8, Br b, 3-5);
La sensazione degli individuali : infatti non ci pu essere scienza di essi; n ci
"PU essere scienza dedotta dall' universale, senza induzione, n processo induttivo
:senza sensazione (ibid. 6-9).

on

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200

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

per ora solo empiricamente, perch, facendo parte di un processo induttivo, deve gi collocare la propriet in un genere (2 7 ) : ci non toglie,
tuttavia, che il 6u)n possa essere appreso anch'esso con una sensazione
per le propriet che hanno la loro causa fuori di s (208 ). Ma dal momento
che l'accertamento sensibile delle propriet non esime affatto dalla loro
dimostrazione diretta, avente per principio proprio il ~h6n (2t>9), l'assunzione induttiva del loro significato pretende ancora la dimostrazione del
loro on che prima era stato presupposto. Poich, per una propriet, il
4't6n una sostanza od un altro aspetto della sostanza cui inerisce,
rinviante perci ancora ad una sostanza, e poich il genere di cui si occupa la scienza la stessa sostanzialit delle cose, dare una definizione
delle cose sulla base dell' induzione sar un metterle in rapporto con la
loro sostanza, in quanto sia in grado di costituire il medio proprio di
quelle propriet, cio riscontrare la loro spiegabilit in seno ad un genere,
sebbene resti poi ancora da compiere la dimostrazione della loro effettiva
inerenza a quel genere. D'altra parte, per, non essendo il genere un che
di trascendente, la scoperta di esso sar fatta proprio in questi processi
induttivi che partono dalle propriet degli individui colti nella loro immediatezza, per giungere al ()u)n che quelle propriet pu spiegare. Soltanto quando la propriet sar stata dimostrata partendo dai principi
propri del genere si avr la certezza che la sua non una definizione
nominale ma corrisponde ad una cosa che ; ed anzi proprio allora quella
definizione potr essere rimaneggiata in modo tale che possa tener conto
del sillogismo del 6t6n che sulla propriet si pronunciato cno). La
trattazione approfondita di questo problema implicherebbe il passaggio al
problema dell' induzione ed alla connessa questione del passaggio dal
significato empirico al significato scientifico dei tennini, ricollegantcsi alla
dottrina aristotelica del senso dei nomi ; ma a questi argomenti ci ripromettiamo di passare pi tardi. Per ora ci limitiamo a precisare in che
senso la definizione delle propriet, prima della loro dimostrazione, sia
nominale, cio fornisca soltanto la spiegazione del significato di un nome.
Per assumere, infatti, il significato di un nome designante una propriet
che la scienza dovr studiare, si presuppone lo un del riferimento seAn. Post. A, 18, 81 b, 3-;;.
Indaga.ndo una. cosa che si ripete pi volte, cercandovi l'universale potremmo avere la dtmostraztone: dal ripetersi degli individuali diventa chiaro l'un'iversale. L'tmi':er~ale. h~ v~lore perch ind_ica. !a causa : sicch delle cose che hanno la loro
causa fuon dt se l umversale vale d1 pm delle sensazioni e dell'intuizione intellettuale; intorno ai .Principi primi, per, bisogna fare un altro discorso (An. post. A,
~~ 88,a, ~~?). Qu1 parlando del r.et{)6!,ou Aristotele_ i~siste soprattutto sul sig-nificato
1 npehzwne nel tempo constatabtle anche senstbilmcnte se essa ha tuttavia un
valor.e in guant~ indica (lh]oi) la causa, non esime dal ri~orrere a quei primi assduh per 1 quah certo non basta la constatazione sensibile.
( 209 ) An. Post. A, 3r, 87b, 35- 88a, r.
(210) An. Post. B, 10, 94a. 12-14(207)

( 20 8)

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~\
l.
LA DEfiNIZIONI: DELLE PROPRlET A

20[

mantico del nome e, in base ad esso, si cerca di giungere al (h6n, cio


al genere entro il quale quello on compreso ed in riferimento al quale
si stabilir il significato del nome svincolandolo cos dalla mera accidentalit dell' immediatezza sensibile e tenendo conto dei risultati della induzione. Tuttavia, ai fini della scienza, l'essere dell'oggetto di riferimento
semantico del nome, il cui significato pur stato definito in base alla ricerca induttiva, non pu essere ritenuto assodato fino a che non sia stato
regolarmente dimostrato e non presupposto, come avviene nell' induzione. Sicch l'assunzione del significato dei termini scientifici, che segue
l' induzione e precede la deduzione, non pu essere ritenuta un vero
giudizio, che stabilisca lo on del termine di riferimento semantico del
nome stesso, ma deve essere ritenuta, appunto, la spiegazione del signific.octo di un termine, sia pure fondata sulla ricerca di un lhtin proprio di
uno ()n presupposto.
Cio, per servirei dello stesso esempio aristotelico gi analizzato in
questo paragrafo, la definizione dell'eclissi come oscuramento della Lnna
non provocato da un' interposizione di un corpo opaco tra noi ed essa
o come crt(JYl<JL cpno presuppone un'induzione, in quanto esige l'accertamento che durante l'eclissi non si interpone veramente un qualche
corpo opaco, che l'eclissi sia veramente un fenomeno riportabile alla Luna
f:d alla sua condizione di corpo celeste, che in ogni eclissi sono constatabili certe costanti di comportamento; e tuttavia non ancora una definizione reale, perch non ha nessuna garanzia che l'eclissi sia proprio una
privazione di luce ed ancora non specifica di che natura sia questa privazione. Ma non certo definizione puramente nominale, cio tale da
determinare soltanto il significato del termine eclissi senza fare riferimenti alla realt dell'oggetto che esso indica: al contrario un significato stabilito dopo ripetuti accertamenti sulla situazione che quel termine pretendeva di indicare. IV1a la conferma che questa defmizione non
meramente nominale potr venire soltanto dalla dimostrazione in cui
:il significato di eclissi induttivamente accertato - in questo caso crd;Ql)GL cp(co potr figurare come propriet della Luna, derivante dai
principi primi dell'astronomia concernenti il movimento del satellite terrestre nelle sue relazioni con la Terra e con il Sole. In questo senso si
pu conciliare ci che Aristotele dice in pi passaggi circa la definizione
delle propriet e sul carattere non predicativo della definizione. Quest'ultima non ha carattere predicativo in quanto la spiegazione del significato di un nome; ma pu essere o meramente nominale - cio limitarsi
davvero alla spiegazione di un nome senza che si sappia se ci che questo
nome indica sia o non sia - o reale e cio essere la spiegazione di un
nome il cui oggetto semantico , nel qual caso essa la definizione di
quell'oggetto stesso, cio l'indicazione della sua essenza, pur non avendo
neppure in questo caso carattere di giudizio, non potendo configurarsi
che come eventuale predicato in un giudizio. 1via perch ci possa av-

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202

L'APODITTICA E L' OROA NIZZAZIONE DELLA SCIENZA

venire necessario che il termine di cui definizione sia, cio, in questo


caso, occorre che esso possa figurare, nel significato in cui stato definito,
come propriet in un genere : che ci sia perci un medio adatto a fondare
un sillogismo apodittico in cui essa compaia ( 211 ). In questo senso le definizioni dei termini scientifici solo dopo la dimostrazione diventano da
definizioni nominali definizioni reali, cio definizioni di un termine il cui
oggetto di riferimento semantico esiste e perci indicazioni di un'essenza.
14. - LA DltFINIZIONg DELLE SOS'l'ANZJ~. La questione, sopra trattata, della definizione delle propriet, ossia di quelle cose che hanno una
causa diversa da se stesse, rinvia alla questione della definizione della
sostanza, che, appunto, causa delle sue propriet. Essa infatti, come a
lungo abbiamo detto, una tale organizzazione delle propriet che in essa
le une danno necessariamente ragione delle altre ; perci risalendo dalle
varie propriet si deve finalmente arrivare a quelle che siano in grado di
Ga.re innanzitutto ragione di se stesse e poi via via di tutte le altre. La
trattazione della definizione delle cose che hanno una causa diversa da s
presuppone, perci, come suo fondamento, quella della definizione delle
cose che hanno una causa identica a se stesse. La definizione delle propriet gi fa intravvedere il Oton ma, come abbiamo detto nel paragrafo
precedente, ancora non precisa questo OLOn nella sua propria natura n
nei rapporti propriamente causali che ha verso la propriet da definire:
ad essa manca infatti la definizione del ot6n, cio della sostanza cui le
propriet ineriscono, e della quale la loro definizione non d che una
parziale indicazione (Exovd n uvrou rou :n:grtyfluro) (212 ). Del resto
chiaro che i rapporti necessari tra il ~h6n e lo <')n non potranno essere stabiliti che dal sillogismo apodittico, il quale, per, presuppone la
definizione della sostanza. Ma essa non potr certo venir raggiunta con
il processo induttivo su cui si basano le definizioni delle propriet che
vengono poi confermate dal processo deduttivo, perch l'induzione pu
solo sempre accertare uno on. Essa non pu mai cogliere un ot6n in
quanto tale, ma solo sempre nel suo on, cio solo nell'essere termine cui
rimandano necessariamente certe propriet, senza rivelare il perch di
questo rimando (2 13). Del resto la definizione di una propriet mette in

(211) Questo il caso del tuono come boato nelle nubi (Atr. post. B, w, 94a,
7-8), che figura dapprima come assunzione gi fondata sulla conoscenza dello on
e, in certo modo, del ()t6n (ilnd. 8, 93a, Z.l-23), mentre dopo il sillogismo definizione reale del tuono. Cos si potrebbe dire di pari e dispari che compaiono in An.
Post. A, ro e la cui defini?.ione dapprima assunta e poi dimostrata nel ~uo essere.
importante notare, a questo proposito, come l'esistere di una propriet semplicemente il suo poter essere predicata in una sostanza, sicch non possibile fare distinzione tra l'essere dell'essen7.a e quello dell'esistenza: entro l'essere Aristotele ammette soltanto distinzioni di modalit
(212) An. post. B, R, 93 a, 22.
(218) An. posi. A, 13, 78a, 26-b, 4.

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LA DEFINIZIONE DELLE SOSTANZE

203

r-elazione quest'ultima con una sostanza che deve essere in grado di dare
conto di essa; cio la inserisce in un genere. Infatti il genere appunto
la considerazione della sostanza in quanto pu dar conto di certe classi
di propriet. Ma proprio la determinazione di esse presuppone la definizione delle essenze cio dei principi primi dai quali tutte le propriet
possono essere dedotte.
La maggiore difficolt che si incontra nella definizione di una sostanza sta nel non potersi servire dei mezzi discorsivi, cio dell'induzione, di
<:ui invece possono fare uso le definizioni delle propriet. Infatti la defmizione dell'essenza di una sostanza non pu rintracciare un rapporto reale
che unisca l'essenza ad una qualche ragione di s, dal momento che essa
stessa ragione di tutto ci che inerisce alla sostanza, c ragione prima in
modo assoluto. Il sillogismo, invece, sia come induzione che come deduzione, presuppone un qualcosa che preceda ci che l'oggetto del sillogismo stesso ed al quale quest'ultimo si richiami come a ragione di se
stesso ; del resto ci che Aristotele ha detto a proposito della necessit di
principi primi per il sillogismo scientifico assai chiaro ; ed ora proprio giunto il momento di vedere quali siano e come siano conoscibili
questi principi. Scartata allora la possibilit di raggiungere la definizione
dell'essenza con un mezzo discorsivo, perch sempre il sillogismo - che,
secondo Aristotele, l'unico mezzo discorsivo a disposizione - implica
una premessa, cio qualcosa che preceda l'essenza (2 14 ), non resta che
collocare la ricerca di essa nell' immediatezza (2 15 ). Per le sostanze, cio,
la definizione l'a:.Timzione anapodittica dell'essere dell' esse11za. Ed appunto in ci l'essenza della sostanza, in quanto organismo cii propriet
necessariamente collegate, si distingue dall'essenza di ciascuna propriet:
in quanto, cio, principio ( dQX11) di quelle propriet, la cui essenza
consiste poi nel dipendere necessari~mente da questo principio; e come
principio immediata ( J.tml) (2Hi). Data l'immediatezza di questi principi si assume contemporaneamente e il loro significato e che il significato
dci nomi con cui vengono indicati designa un'essenza reale: com' il caso
del matematico che non solo assume che cosa sia l'unit, ma che l'unit
esiste ( 217 ). Ora proprio questa asserzione pone delle difficolt assai gravi.
Infatti Aristotele non ha detto per ora in che cosa consista questa immeQatezza che deve fare da fondamento alla definizione ed all'assunzione di
:(214) An. post. B, 7, gza, 34-b, .).
(2Hi) La definizione degli immediati posizione anapodittica dell'essenza (An.
post. B, ro, 94a, 9-10).
(21G) Alcune cose hanno la causa diversa da se stesse, altre no. Sicch chiaw

{;hc delle essenze alcune sono immediate e sono principi, dei quali bisogna assumere
e che sono e che sono questo o che bisogna chiarire in qualche altro modo (come fa
il matematico : infatti assume che cosa l'unit e che ); per le cose che hanno un
medio cd una causa di se stesse diversa dalla loro ('sscnza, possibile chiarire l'essenza, come abbiamo detto, con la dimostrazione sebbene non dimostrandola~ (A Il.
Post. B, 9, 93h, 21-28).
( 21 7) An. post. B, 9, 93h, 24-25; ibid. A, 10, 76a, 31-34.

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204

L'APODITTICA e L'ORGANIZZAZIONe DeLLA SCIENZA

essere del definito; in secondo luogo questa assunzione di esistenza pare


del tutto contraria a ci che altrove Aristotele ha detto assai chiaramente.
Egli infatti ha distinto Io O(.>lO"!t, che non assunzione di essere, dalla
v:rc6-&e<n che lo (2 18); l'assunzione di essere implica il carattere predicativo, pi volte rifiutato alla definizione (2!!l) ed ingloba in s l'assunzione di significato e di esistenza, altrove distinte (2 20 ). Infine che cosa
deve intedersi per esistenza del definito? Come si accorda l'assunzione di
esistenza, di cui qui parla Aristotele, con la nozione di esistenza come
semplice determinazione di un'antifasi, come era apparsa nei primi capitoli
degli Analytica posteriora? ( 221 ). Cio l'esistenza dei principi forse da
intendersi come l'esistenza di cose intelligibili accanto o oltre le cose sensibili? O forse l'esistenza delle cose sensibili non altro che un insieme
di propriet, cio di determinazioni antifatiche? Ma interpretata l' esistenza dei principi come esistenza di cose intelligibili, cade tutto quanto
Aristotele ha detto intorno alla non h-ascendenza dei generi e perde senso
la stessa critica alle idee platoniche - interpretc1.ta come cose separate che anche qui svolta in modo assai significativo (2 22 ).
Per risolvere questi problemi bisogna esaminare come, secondo Aristotele, si giunga alla scoperta dell'essenza e del genere che, dalle essenze
delle cose che in esso rientrano, definito : ossia in che modo ci si debba
mettere in caccia ( :rtw ad {}11QSVSl'V) dei predicati che devono entrare
nell'essenza della cosa ( ni sv t'q) t'L an xat'eyoQOVflc'\'a) ( 223 ). Ora la
condizione imprescindibile per il ritrovamento dell'essenza il riconoJcimento del rapporto tra l'individuo ( ~xuarov) ed il genere: infatti tra
le determinazioni necessarie ( t(D'V il:rtUQXVtH' &cL) dell' individuo alcune appartengono al genere (2 24 ). Compito di una ricerca sull'essenza
quello di determinare quali di quelle attribuzioni definiscano in proprio
l' individuo, cio siano in grado di dar conto dei suoi aspetti necessari
rientranti sotto ciascuno dei generi di cui si occupano le scienze. Infatti
quando si saratmo detem1inate le sue attribuzioni rispetto ad un sufficiente numero di antifasi che determinano il genere, s da renderlo inconfondibile con gli altri individui appartenenti al genere, si sar ottenuta
(218) An. Post. A, 2, 72a, r8-2r.
(2 19) An. Post. B, 3, 90 b, 33-91 a, 2; ibid. 7, 92a, 38-b, r ; La definizione
un discorso che indica l'essenza (Top. A, 5, ror b, 39).
(220) An. post. A, ro.
(221) An. Post. A, 72a, r8-2r : dove appunto l'ipotesi che assume l'esistenza
determinazione di un'antifasi.
( 22 2) An. post. A, n, 77a, S-9; ibid. 21, 83 a, 33-35.
( 22 3) Ora diciamo come ci si deve mettere in caccia delle cose che si predicano.
nell'essenza (An. post. B, 13, 9()a, 22-23).
( 224 ) Delle propriet che ineriscono sempre ad ogni cosa alcune vanno oltre di
essa, ma non escono dal genere (An. post. B, 13, !)()a, 24-25).

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LA DEFINIZIONE DELLE SOSTANZF.

205

la sua essenza (2 25 ). Ma ciascuna di queste attribuzioni di per s non si


adatta solo all'individuo considerato, ma anche ad altri individui del
genere in ognuno dei quali ci che fa s che sia possibile unire pit determinazioni in un tutto unico l'unit del singolo come sostanza, cio come necessaria connessione delle propriet che da quel nucleo di pi determinazioni generiche derivano ; questo per un problema che gli Analytica posteriora lasciano in eredit alla M etaph,ysica, dove appunto il
problema dell' unit delle determinazioni dell' essenza sar ripreso (226 ).
Ma poich le determinazioni essenziali dell'individuo sono necessarie,
come Io studio delle premesse apodittiche ha messo in luce, esse non si
riferiscono solo all' individuo nella sua accidentalit ma all' individuo
nella sua persistenza temporale ed agli altri individui aventi le sue stesse
propriet necessarie: in questo senso l'essenza come rapporto tra l'individuo, empiricamente dato, e le antifasi universali dei generi, definisce,
detem1inando in un senso quelle antifasi, le specie (227 ). La specie si
predica sempre del singolo (Jtt roi:; t6IJ.ot;) ( 228 ) ed la denominazione del rapporto di esso con le antifasi che, determinate in uno dei loro
membri, sono in grado di dare ragione delle propriet dell' individuale
incluso in un genere; poich questo rapporto pu essere identico presso
pi individui, la denominazione di esso pu estendersi ad una classe di
(22~) Dico che si estendono oltre il singolo quelle cose che incriscono universalmente a ciascuno, ma non solo ad esso, bens anche ad altro. Per es. c' qualcosa
che inerisce ad ogni numero tre, ma anche non al numero tre, come l' essere
che ineriscc al tre, ma anche a ci che non numero; invece il dispari inerisce al
numero tre e lo soverchia (ch inerisce anche al numero cinque), ma non esce dal
genere : infatti il cinque un numero e nulla che non sia un numero pu essere
cinque. Bisogna assumere determinazioni di questo genere fino a che si sia giunti ad
assumere esscn:dalmente un gruppo di determina2:ioni tali che ciascuna di esse soverchi il soggetto, ma che non lo soverchino prese tutte insieme: questa necessariamente l'essenza della cosa (An. post. B, 13, ry)a, 25-35).
(220) Perch mai uno ci il discorso intorno al quale diciamo che una
definizione, per es. dell'uomo animale bipede? sia questa, infatti, la sua definizione.
Perch mai questo unico c non molti, animale c bipede? (Metaph. Z, 12, 1037b,
11-14): Devono costituire un'unit le cose che sono nella definizione: la definizione,
perci, un discorso unitario ed enunciativo della sostanza, sicch deve essere il
discorso di un che di un~tario; ed infatti la sostanza indica un tmo ed un questo qui,
come diciamo noi;, (ibid. ~-27).
(227) Poich ia ci che p1eccde ci apparso chiaramente che universali sono
le determinazioni che compaiono nell'essenza (e l'universale necessario), le determinazioni assunte nel numero tre e nell'essenza delle altre cose per le quali si assume
I<ello stesso modo, costituiranno necessariamente l'essenza del numero tre. Che la
sostanza sia costituita da queste detcrmina?.ioni chiaro. Se infatti esse non costituissero l'essenza del numero tre, di necessit sarebbero, pe1 es., un genere, con o
senza un suo nome appropriato. Allora incrirebbcro anche ad altro oltre il numero
tre. Si supponga che sia un genere ci che ineriscc in potenza a pi che un'essenza
Se dunque non ineriscono a null'altro oltre i singoli numeri tre, saranno l'essenza del
numero tre (si supponga infatti anche questo, che l'essenza del singolo sia l'ultima
predicazione, del tipo che si detto, che inerisce agli individui); sicch analogamente
si otterr l'essenza di ciascuna delle altre cose, che cos sono state mostrate (An.._
post. B, 13, !)()b, 1-14).
(228) An. post. B, 13, 9()b, I I-IJ.

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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

206

essi. Resta ancora da risolvere il problema del modo in cui si scopre la


cieterminazione delle antifasi con le quali l' individuo in rapporto e che
sono in grado di spiegame gli aspetti necessari; ma prima opportuno
fare ancora alcune precisazioni.
Poich, come abbiamo detto al principio del capitolo, tra l' individuo c la sua essenza non cla vedere il contrasto che potrebbe darsi tra
le opposte entit dell' universale e del particolare, ma semplicemente
un'apertura, un rapporto della cosa individuale, quale data empiricamente, e le determinazioni pi universali del reale, rapporto che in
grado di dar ragione di tutti gli aspetti necessari di quella cosa o di
quelli accidentali in quanto sono necessari, la specie non andr vista
tanto sub specie quantitatis quanto sub speci~ necessitatis. Quando Aristotele dice che l'essenza non Socrate o Callia o quest'uomo o quell'uomo ma uomo senz'altro, non si riferisce tanto all'universalit
quantitativa del termine usato collettivamente, quanto al fatto che esso
significa ci che di pi necessario c' in Socrate e Callia, e ci che in
grado di spiegare tutte le loro propriet necessarie, ci per cui, insomma,
essi saranno sempre ci che sono ora: tanto vero che il r( ~v dvuL
significa appunto l'onnivalidit temporale dell'essenza. Rispetto a questo
valore quello di universalit numerica del tutto derivato e secondario.
La definizione costituita, perci, dai predicati che spettano al ~ingoio
quando di esso si voglia determinare l'essenza ed in questo semo Myo mwa(vwv "C "CL ~v EhaL (229 ); ma, si badi, <n]J.La(vwv, ch per la
definizione si usano i termini O"YJJ.LUtVEL o ~rJAOi: (2 30 ) come per le parole
non dette in connessione. Essa infatti indica semplicemente questi predicati, la cui determinazione immediata, senza enunciare il loro riferimento ad un soggetto individuale : in questo senso non predicazione.
Abbiamo gi visto come per Aristotele la definizione di una sostanza sia
sempre assunzione di essere; ma anche sempre assunzione del significato di un nome (2 31). Particolare luce su questa questione si trae dallo
studio dei capitoli delle Categoriae dedicati alla sostanza, che possono
aiutare a capire il senso del passo An. post. B, IJ, 96b, I I-IJ, pii1 volte
citato. In quell'opera si distinguono, com' notissimo, due significati delI' oiJaCu: uno primario (l1QC"C1') ocr(a), in cui la sostanza indica un individuo determinato in tutte le sue propriet necessarie ed accidentali ( r63E
n), ed uno secondario ( ~EV"CQa ocr(u) in cui la sostanza indica propriamente delle qualificazioni dell' individuo, dei predicati che gli spettano
(JtOLOV n) (23 2). Il modo d'essere proprio delle sostanze seconde
(229)

Top. A, 5,

101 b,

39.

(230) An. post. B, 3, 91 a, I.


(231)

An. post. A,

IO,

76a,

32.

(232) Ogni sostanza indica un "questo qui". Riguardo alle ~os~ze p~im~ .

certo e vero che esse indicano un " questo qui " : infatti ci che md1cato c tnd!vlsibile ed uno di numero ; quanto alle sostanze seconde dallo schema delle categorie

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LA DEflt-:IZIONE DELLE SOSTANZE

207

l'attrihuibilit alle sostanze pt;me delle quali costituiscono le specie ;


l'attribuihilit distingue appunto le sostanze seconde dalle prime, che non
possono mai fungere da predicati (233 ). Ma alle sostanze seconde spetta
la definizione (yo) che, per la peculiarit del nesso predicativo tra sostanza prima e sostanza seconda (che xatt'ihtO'>'HJ!vov), anche il
A6yo della sostanza prima che funge da soggetto (234 ). L'ova(a bE'IJTQa
allora, specie di una :rcganrJ oiio(a solo in quanto la definizione di
:<)ttella anche la definizione di questa, ossia come riconoscimento della
sinonimia di pi termini indicanti cose individuali aventi la stessa essenza (2 3 ;;). Infatti sinonime sono quelle cose che hanno lo stesso nome
usato nella medesima accezione (2 8 6), cio come indicativo della stessa
essenza. Da ci che precede risulta chiaramente come nell'attribuzione di
una specie ad un individuale siano da distinguere due lati : quello per
cui si tmtta della determinazione dell'essenza dell' individuale in questione, cio del suo nucleo assolutamente necessario, e quello per cui si
tratta dell' inserzione in una classe costituita anche da altri individuali.
Il primo aspetto fondato sul rapporto necessario dell' individuale con
le antifasi che, determinandosi, sono in grado di spiegarne tutti gli aspetti reali, mentre il secondo fondato <;ull' identit di questo rapporto riscontrata presso pi individuali. La specie, in quanto universale predicativo, l'estensione della denominazione dell'individuale a pi individuali come significativa dell' identit del rapporto costituente l'essenza.
T,a definizione, allora, in quanto non nesso predicativo, non sar
l'attribuzione della sostanza seconda alla sostanza prima - per
usare la terminologia della Categoriae - che costituisce una vera c propria apofansi, ma la determinazione del significato delta sostanza seconda,
del m)LO'V n da etti costituita in proprio, cio - dato il carattere delta
appare che esse indicano analogamente un "questo qui", per es. uomo o animale;
ma ci non esatto, perch esse indicano piuttosto un certo quale; infatti il soggetto
non uno, come nel caso della sostanza prima, ma uomo ed animale si dicono di pi
soggetti. E tuttavia la sostanza seconda non indica un certo quale, come lo indicherebbe l'aggettivo " bianco". Infatti "bianco " non indica null'altro che una qualit. TI
ge-nere c la specie, invece, definiscono il quale proprio della sostanza: cio indicano
nna certa quale sostanza (C a. t. s. 3 b, Hl-21 ).
(233) La sostanza, detta in senso proprio e primo e pregnante, quella che n
si predica di quakos'altro, n in qualcos'altro, per es. un uomo o un cavallo. Si
chiamano sostanze seconde quelle nelle quali si dice che siano contenute, come nelle
loro specie, le sostanze prime (Cat. 5, 2a, II-IS).
(234) evidente da quanto stato detto che tra le cose che si d.ico_no .di un
soggetto ()(aW{m;o~nJ.tvou) necessario che il nome c la definizione s1 n~e;1scan<?
entrambe al soggetto, per es. uomo si predica di un uomo. E anche l~t ck.fimzwne d1
uomo si predica di un uomo: infatti un uomo e ''uomo" sono ammali (Cat. 5,
za, 19-26).
(2315) proprio delle sostanze e delle differenze che tutte le loro predicazioni
siano fatte secondo sinonimia1> (Ca.t. 5, 3a, 33-34).
{236) Sono sinonime le cose di cui comune il nome. e identica la definizion~
della sostanza, che spiega il significato del uome, per es. ammalc come uomo e come
bue:& (Cat. I, Ia, 6-8).

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208

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

predicazione ,w,'t' {m;oxELfLVou ( 237) - dell'essenza stessa dell' individuale di cui la sostanza seconda specie. Perci la definizione davvero costituita dai T \' tt{> T( on xun:yo(>01J~u:;vu, cio dalle determinazioni delle antifasi con le quali l' individuale entra necessariamente
in rapporto costituendosi come sostanza. Ma in quanto essa semplicemente indicativa dell'essenza (Tt. an 611Ao:) (~ 88 ) determinazione del
riferimento semantico di quel nome che costituisce la sostanza seconda, pur non essendo una definizione meramente nominale. Infatti non
stabilisce tale significato accidentalmente (2 39), ma fondandosi sulla essenza reale degli individuali: perci come indicativa di una essenza
reale, la definizione della sostanza in quanto tale, non nominale ; come
determinazione del significato non accidentale di un nome (la sostanza
seconda) essa non predicativa. Considerando le definizioni, cio quanto
si pu predicare di una cosa mettendola in rapporto con le antifasi che
solo possono permettere ad essa di costituirsi come sostanza, si pu giungere alla determinazione dei generi ( 240 ). L'insieme di pi predicati,
comuni a pi essenze, presupposti necessari per la spiegazione di certe
propriet rinvianti a certe determinazioni ultime e semplicissime, costituiscono un genere. Queste determinazioni sono le categorie entro le
quali cadono tutte le parole in quanto significative di cose che non pos. sono non riferirsi ad esse se esse costituiscono i termini primi delle dimostrazioni, limiti invalicabili della loro ascesa verso l'alto (241). La determinazione del genere perci la definizione di un nome generico, cio
riferibile a pi cose in quanto determinate rispetto alla specie (2 42 ), definizione in cui appunto compaiono i predicati delle essenze delle cose, cio
<Ielle specie. Se si tiene presente come l'universalit numerica sia secondaria rispetto alla necessit nella questione dei fondamenti dei generi e
delle specie si comprender come non tanto la cosa sia nel genere, ma il
(287) Cat. 5, 2a, 19-26.
(238) An. post. B, 3, 91 a, 1.
(289) An. post. B, IO, 93b, 3335
(240) Quando si considera un genere nella sua complessit, bisogna dividerlo
nei suoi primi elementi indivisibili per specie, per es. il numero nei tre e nei due,
poi, di questo passo, tentare di a~sumerc le loro definizioni, per es. della linea retta
c del circolo, e dell'angolo retto, assumendo dopo di ci la definizione del genere, per
es. se si tratti del genere delle quantit o delle qualit, indagare le propriet distintive attraverso i principi primi comuni. Le propriet di ci che costituito dalle
specie indivisibili saranno chiatc dalle definizioni, perch la definizione ed il semplice
sono i principi di tutte le cose c perch le propriet ineriscono di per s solo ai semplici, secondo i quali, poi, ineriscono alle altre cose (A1~. post. n, 13, g6b, 15-25).
(241) Che i generi si rifcrisc::no alle c~1tegoric si arguisce dall'asserzione di Aristotele che uno per genere sono le cose di cui identica la determinazione categoriale (Metaph., .1., 6, IOJ6b, 33--34); An. post. R, 13, g)b, 19-20. Sul necessario
riferirsi delle parole alle categorie Cat. 4, I b, z.~-Z7.
(242) Come le sostanze scconcle sono le specie in cui sono comprese le sostanze
prime, cos queste sane anche i generi di quelle specie, per es. un uomo com
preso nella specie uomo, e animale il genere della specie:!> (Cat. 5, 2a, 15-17).

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LA DEFINIZIONe DELLE SOSTANZE

209

genere nella cosa, in quanto sostanza: questo l'unico modo di interpretare la non trascendenza del genere e. la critica degli enti matematici quali
cose in s di M etaph. ~I, 2. In quanto, infatti la cosa un insieme di
propriet necessarie ed accidentali, la cosa nel genere; ma in quanto
la sostanza, e la necessit della connessione di quelle propriet, il genere
in essa. Cio in quanto si considerano le sue propriet come date, essa
dipende dai principi del genere che solo pu spiegare quelle propriet,
ma in quanto il genere non pu che mettere in luce la necessit della
sostanza ed in quanto solo sempre una considerazione parziale di essa,
perch limitata ad alcune propriet soltanto, esso nella sostanza. In
questo senso l'essere ( t El vm) che si deve assumere per i principi non
ipostasi di un in s separato dalle cose, quanto piuttosto la predicabilit di quei principi rispetto ai singoli che cadono sotto la considerazione del genere, cio la riferibilit ad essi delle determinazioni che entrano nella definizione dei principi stessi. E poich i generi e le specie
si fondano sulle essenze stesse delle cose, la loro realt quella di determinazioni essenziali di pi cose, capaci di dare ragione di propriet comparenti in tutte quelle cose, proprio in dipendenza da quelle determinazioni. L'essere del genere solo quello di un'entit del discorso presupposta dalla definizione delle singole propriet delle cose, mentre il suo
essere reale quello di essere una determinazione della sostanza, cio la
sua essenza, considerata sotto un particolare punto di vista (2-l:l). L"essere dei principi, perci, come avevamo notato all'inizio del capitolo,
non si distingue affatto dall'essere delle altre cose, in quanto costituito
anch'esso dalla determinazione di un corno di un'antifasi, cio da una
predicabilit. L'unit di cui il matematico assume ad un tempo il significato e l'essere in quanto l' indivisibile secondo la quantit (244 ),
esiste come considerabilit delle cose sotto il rispetto della unit come
indivisibilit secondo la quantit, cio come predicabilit dell'unit - intesa proprio nel senso precisato - rispetto alle cose individuali : cio
ancora come appartenenza della indivisibilit secondo quantit all'essenza
delle singole cose in quanto sono qualificabili come unit (2 45 ). Perci la
definizione l'indicazione dei predicati che compaiono nell'essenza di
('H3) Aristotele, dopo aver criticato la conce:.done degli enti matematici come
enti separati, prosegue; Siano pure anteriori nella definizione, ma non tutto ci
che primo nei riguardi della definizione, lo anche nei riguardi della sostanza. Infatti sono anteriori nella sostanza quelle cose che, esistendo separate, hanno l'essere
in alto grado, lo sono nella definizione quelle la cui definizione presupposta dalla
definizione di altre cose: le due determinazioni non coincidono, Se non ci sono propriet fuori delle sostanze, per es. un qualcosa che si muove o un qualcosa di bianco,
il bianco anteriore a uomo bianco nella definizione, ma non nella sostanza; perch
non esiste separato, ma sempre in tm sinolo (intendo per sinolo ' uomo bianco'), sicch chiaro che n ci che si ottiene per astrazione esiste px-ima della sostanza, n
ci che deriva da aggiunzione predicativa esiste dopo di essa (M etaph. M, 2, ronb,
1-10),
(~H)
(24~)

11

C. A.

An. post. A, 2, 72a, 22-23.


iHetaph, M, 3, ro77b, 16-22.
VIANO, "La logica di Aristotele.

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210

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

una cOSaJ e, di conseguenza, l determinazione del significato proprio det


nome con cui si indica quella cosa e tutte le altre che hanno la sua stessa
essenza. La realt dei principi semplicemente la realt delle essenze
che, sola, fa s che le definizioni delle specie e dei generi non siano definizioni nominali: la realt dell'unit del matematico quella dell'essenza
delle cose unitarie, n quanto unitarie, perch in quell' essenza entra la
determinazione dell' indivisibilit secondo la quantit, che definisce appunto la nozione di unit matematica.
Attraverso l'esame della teoria della definizione possibile rendersi
conto assai agevolmente che nella dottrina aristotelica della scienza sono
intervenuti alcuni mutamenti rispetto alla teoria della dimostrazione contenuta nel libro A degli Ana.!ytica posteriora. I mutamenti non si limitano
solo alla scelta degli esempi presi dall'astronomia, dalla meteorologia,
dalle scienze naturali, ma consistono in alcuni sviluppi non contraddittori
con le teorie del libro A, ma in esso non esplicitati. La stessa natura dei
problemi trattati favorisce del resto questo mutamento. Ora non si tratta
pi .di illustrare la deduzione ideale da premesse in grado di soddisfare
in pieno alle richieste della scienza pi esigente ; ora bisogna fare i conti
con il ritrovamento di quelle premesse, mettere bene in evidenza i punti
da cui si parte. E i punti di partenza reale sono le propriet individuali
e transeunti e non le essenze eterne : la scienza non si costruisce nel vuoto
o iniziando subito nella rarefatta atmosfera dell'intuizione intellettuale,
ma con il materiale sensibile e con un linguaggio i cui significati sono
fissati in relazione con quel materiale. L'unico appiglio per trarsi fuori da
un terreno cos poco favorevole al sapere rigoroso costituito dai legami
di causalit che le propriet sensibili gi manifestano. L'essenza si configura cos come l'ultimo termine cui seguendo quella catena si perverr.
Tutto ci perfettamente coerente con quanto ha stabilito il libro A, ma
permette di insistere su di un1 aspetto che in esso compariva solo tra le
righe. La necessit come immutabilit non appartiene solo alle essenze
isolatamente prese e considerate come entit indistruttibili, ma caratterizza in proprio_il rapporto causale tra le essenze e le propriet. Si pu
parlare di necessit ogni volta che, considerato qualche cosa eli esistente,
questo rinvia sempre alle stesse determinazioni essenziali. La necessit
come immutabilit allenta cos i suoi vincoli con l'eternit, per diventare
piuttosto la caratterizzazione di una relazione causale tra le propriet e
h loro essenza. Questa relazione sempre appresa dallo scienziato partendo da un primo per noi, il quale per, con la sua caducit, non infirma
la necessit della relazione tra le propriet che lo costituiscono e quelle
che le spiegano. In questo senso Aristotele realizza l' interpretazione del
campo eli necessit, in cui opera la scienza, all' interno dell' essenza.
L'universalit che nel libro A presupponeva l'eternit dci termini, in B
si realizza all'interno eli una speci come rilevazione di propriet comuni

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LA DEFINIZIONE DELLE SOSTANZE

211

a pi individui (2 46 ). La considerazione di un'esistenza sensibile diventa


cos essenziale come punto di partenza della scienza. Questa impostazione
rende molto pi facile l'applicazione dell' ideale scientifico della logica
alla ricerca condotta nelle opere scientifiche. In esse, come abbiamo visto,
:il riferimento ad un qualcosa di esistente l'unico punto intorno al quale
si possa ancorare la necessit.
Su questa. base le sostanze non sono interpretabili come parti delruniverso, ciascuna chiusa in s come una monade. La sostanza relativa al gruppo di realt che si considerano e pu essere la particella di
uno degli elementi, un corpo organico o il cielo stesso. Le propriet organizzabili sulla base delle dipendenze dallo stesso nucleo essenziale danno
luogo ad una sostanza: la necessit di questo nesso di dipendenza fonda
la possibilit di una considerazione scientifica di tutti gli individui in cui
realizzato ( 247 ). Questi presuppm.ti rendono possibile l'interesse del libro B degli Analytica posteri_ora per la teoria delle quattro cause e per la
funzione della causa finale nella spiegazione dei fenomeni naturali (248 ).
La causa finale infatti realizza proprio quella relazione dell' individuo
singolo, in quanto costituito da propriet sensibili, con l'essenza, che sta
al centro delle indagini aristoteliche or ora esaminate. Con la considerazione di tutti i possibili nessi causali, il presupposto che la scienza debba
occuparsi solo delle cose eterne caduto : la causa finale infatti dimostra
la sua massima efficacia proprio nel campo delle cose sottoposte a generazione. Non solo, ma i sllogismi possono prendere in esame nessi causali che stabiliscono connessioni tra eventi futuri o eventi passati ('H()),
cio possono legittimamente tenere presente la dimensione temporale. E
nel mondo della generazione ci possono essere proposizioni universali,
con medi universali (2 G0). La base dell'universalit la necessit intesa
come persistenza eli una connessione sillogistica tra antecedente e conseguente.
Tuttavia non direi che con tutto ci Aristotele ahhia attenuato i
rigorosi schemi attraverso i quali la scienza ci si era presentata nel libro
A degli Analytica posteriora; semmai avvemtto il contrario. Egli cio
ha tentato di estendere anche al mondo del transeunte quegli schemi che
parevano adatti solo alla scienza dell' eterno. La considerazione scientifica parte da propriet individuali sensibili c date, ma le fa comparire
come termini di relazioni necessarie e le formula come parti di una struttura necessaria. Questa formulazione lo scopo primario della scienza,
quello che d senso al lavoro paziente di induzione. Al limite ci sono delle
ciassi di predicati generalissime: le categorie. Oltre di esse non si pu
An. post. B, 13, 97b, 25-39.
(247) An.. post. R, 14, 8a, 13-23.
(218) An. post. B, II.
(246)

(!H9)
(2~0)

An. post. B, 12, 95a, 10-b,


An. post. B, 12, g6a, 8-19.

12.

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212

L'APODITTICA

L' OROANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

andare e tutti i predicati sono necessariamente ricompresi in una di esse.


La dottrina delle categorie ha una funzione importante nelle ricerche di
Aristotele. Da un lato essa serve a far vivere l'essere attraverso le sue
pi diverse realizzazioni e nei pi disparati dominii, dall'altro serve a
ricuperare una struttura unica di esso proprio attraverso le diversit
precedentemente ammesse. N elle opere fisiche le categorie permettono
di comprendere il mutamento, ma servono anche a renderlo rispettoso
della struttura predicativa e sostanziale della realt c, anzi, a rinchiuderlo
nelle classificazioni fondamentali che lo rendono comprensibile. Come il
De coelo ci presenta un universo fisico finito nel quale le determinazioni
di luogo hanno carattere assoluto, cos la logica ci presenta un universo
logico finito in cui le singole proposizioni hanno carattere assoluto e definitivo. Il tentativo di realizzare questo ideale non si risolve negli Analytica posteriora, ma d luogo da un lato alle numerose ricerche scientifiche
dello Stagirita e dall'altro al suo lungo aff~ticarsi sui problemi filosofici
che da esse traggono origine, come provano le travagliate discussioni sui
rapporti tra materia e forma, potenza e atto che nell' Organon non compaiono ancora.
Tuttavia il compito del logico non finisce con la descrizione del
modo in cui si costruisce la definizione. Questa ci porta fino alle soglie
della conoscenza intuitiva che Aristotele deve ancora esaminare nel suo
interno funzionamento per ribadire le garanzie massime che in essa vede
per il sapere scientifico.
15. - L'INDUZIONE E LA CONOSCENZA DEI PRINCIPI. - L'induzione,
come passaggio dal particolare all'universale, cio al principio del sillogismo apodittico (2 G1), necessaria alla scienza. Quest'ultima, infatti, non
(2/\ l) Ogni insegnamento deriva da precedenti nozioni, come diciamo anche
negli Analitici: l'uno si serve del ~illogismo, l'altm dell'induzione. L'induzione
principio anche dell'universale, il sillogismo deriva dall'universale. Principi sono le
premesse da cui deriva il sillogismo e delle quali non possibile, a sua volta, sillogismo: dunque di esse vi induzione (Eth. Nic. Z, 3, 1139b, 26-31).
Per il Maier l' induzione come funzione che opera il passaggio dal particolare
all' universale, identica nella dialettica e nella scienza, sebbene diverso sia il suo
impiego nella prima e nella seconda (op. ci t. II a, pag. 386) : infatti l' induzione
dialettica consiste solo nello zusammenstellen le proposizioni che concernono lo stesse
universale (ibid. pag. 395), mentre l'induzione scientifica consiste nell'introduzione
ai principi (ibid. pagg. 395-398), Weg zu dm Prinzipie1~ (ibid. pag. 4I2) che solo
l' intuizione ( voil) di questi ultimi per completa. Per, secondo il Maier (op. ci 1.
II a, pag. 437), le schema sillogistico sarebbe adatto solo all'induzione propriamente dialettica, in qtmnto quella che si propone di introdurre ai principi della scienza
parte dalla rappresentazione del particolare per giungere a quella dell'universale senza
servirsi di proposizioni. Ma si potrebbe notare che Aristotele nell'ultimo capitolo di
An. post. B si serve si di termini che hanno un aspetto psicologico, ma non per questo
smentisce i capitoli che immcdiatamt>nte precedono dove il passaggio induttivo dallo
o-n al lltot integralmente spiegato in termini di proposizioni e sillogismi. Per essere compreso, l'ultimo capitolo di An. post. n richiede che si tenga presente come
l'universale solo in quanto pu essere predicato di pi particolari fuori dei quali
non nulla: perci che la mente concepisca un universale significa che concepisce
un possibile predicato di pi particolari.

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L' INDUZIONE E LA CONOSCENZA DEI PRINCIPI

213

trova nella sensibilit le condizioni soddisfacenti per realizzare se stessa (252 ) e richiede che si proceda oltre la sensibilit con la dimostrazione (2 53 ). Abbiamo visto come la scienza sia caratterizzata dall'assoluta
necessit dei suoi asserti che sono validi in ogni momento ed in ogni circostanza; invece l'esperienza immediata, che sia appunto sensibile e non
propria del ''ov, cio la M~a, pu in ogni momento non essere pitt vera,
sicch non d assolutamente le garanzie di assoluta immutabilit che la
scienza pretende ( 254 ). Il vizio fondamentale della opinione la sua particolarit, cio la ,sua limitata validit temporale. Ci che porta oltre a
particolarit della sensazione all'universalit dei principi, dai quali poi la
scienza proceder deducendo, l' induzione. Essa infatti assume come
suo inizio il particolare ( x <'i)v IW't ftQo) e come suo termine di arrivo l'universale (x.a{h)},oll), sicch non pu fare a meno di lcgarsi con la
sensazione, che sempre dell' individuale ( nv x.a-&'f!1<.a<rrov) (255). L'induzione, come passaggio oltre l'immediatezza opinativa, fa parte del processo della scienza come passaggio dalla conoscenza del sensibile immediato alla conoscenza di esso secondo una modalit : soltanto cos si vu
distinguere ci che assolutamente necessario e perci di interesse della
scienza da ci che solo accidentale e, perci, irrilevante per essa.
Ma la necessit dell' induzione nella conoscenza scientifica legata
alla necessit della sensazione come punto di partenza di essa. Se infatti
i principi fossero sempre dati all'uomo, verrebbe meno il bisogno di procedere dai particolari alla loro ricerca: infatti il passaggio dalla cono5cenza sensibile ed immediata delle cose a quella delle cose nella loro
modalit, avviene proprio grazie alla dimostrazione, che presuppone i
principi. Ma qui sorgono le maggiori difficolt che gi i Sofisti avevano
&fruttato nelle loro dispute capziose: se infatti si posseggono i principi,
perch si ignora la scienza che da essi deriva? E se non si posseggono,
come si giunger alla conoscenza di essi, dal momento che non si ha una
conoscenza antecedente a quella dei principi, da cui muovere per giungere
(2u2) evidente dw1que che impossibile apprendere scientificamente qualcosa che sia dimostrabile con la sensazione, a meno che si intenda per sensazione
l'aver scienza per dimostrazione (An. Post. A, 31, 88a, 9II).
(2G3) An. posi. A, 31, 87b, zS-39.
{21H) Lo scibi!e c la scierl7.a differiscono dall'opinabile e dall'opinione, in quanto la scienza universale e deriva da premesse necessarie, ed il neces~ario non pui>
essere diversamente da come . Vi sono invece delle cose che, pur essendo vcl'e.
possono essere diverse da come sono. chiaro dunque che su queste non verte la
scienza: infatti le cose che possono essere diversamente da come sono dovrebbero
essere tali da non poter essere diverse da come sono. N eppure di esse ci pu essere
intuizione intellettuale (chiamo intelletto il principio della scienza) o conoscenza anapodittica: questa l' apprensione di una proposizione immediata. La verit allora
proprio dell' intellettc e della scienza e dell' opinione e di ci che da esse deriva:
sicch resta che 1' opinione verta intorno a ci che pu essere o vero o falso e che
pu essere diverso da come . Questo l'apprensione di una proposizione immediata,
ma non necessaria (An. post. A, 33, 88b, 30- 89a, 4).
(255) An. post. A, 18, 81 a, 38-b, 9.

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214

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

proprio ad essi? (25 6). Aristotele imbocca una via di mezzo: non dobbiamo n conoscere pienamente n ignorare completamente i prinCipi, ma,
anzi, dobbiamo possedere una certa facolt ( Mvaftt) adatta alla conoscenza di essi. Essa la sensazione ( a'(a{}qat) che, meno valida, scientificamente, della conoscenza dei principi, deve tuttavi essere in grado di
condurci ad essa (25 7). La sensazione comune a tutti gli animali, cio
appartiene all'uomo proprio in quanto animale e come tale punto di
partenza necessario della scienza. Se in quanto animale l' uomo deve
partire dalla sensazione, in quanto uomo, dalla sensazione pu giungere
ai principi, cio in grado di fissare la sensazione e di procedere induttivamente oltre di essa. Infatti alcuni animali restano fermi alla momentaneit isolata della sensazione, altri sono in grado di andare al di l
della puntualit della sensazione singola collegandola con altre, altri animali infine possono procedere ancora oltre la raccolta delle sensazioni al
ragioqamento, cio all' induzione: e questo l' uomo ( 258). In quanto
uomo, l' uomo ha la conoscenza dei principi c perci la scienza, ma tn
qqanto animale egli deve incominciare dalla sensazione : donde la necessit della induzione come passaggio da questa a quelli.
L' induzione presuppone la fissazione (1wv1l) e la generalizzazione
delle sensazioni, da cui derivano rispettivamente la memoria (!tVllJ.LrJ) e
l'esperienza ( f.t:.rtElQLU); da quest'ultima, cio dal ripetersi di pi sensazioni della medesima cosa, si giunge ai principi della scienza e dell'arte

(2~6) Che non sia possibile conoscere dimostrativamente senza avere wnoseenza dei principi primi immediati, si detto prima. Ma qualcuno potrebbe chi<>
dcre se ci sia la conoscenza degli immediati, se sia la stessa di quella della dimostrazione o se sia diversa, se la scienza abbia come suo oggetto principi e dimo
strazione, o se dell'una ~ia propria la scienza c degli altri un qualche altro genere,
c se le disJ>osizioni ai principi 1')011 si<111o innate ed essi sorgano in noi o se siano
innate e restino occulte. Strano sarebbe che le avessimo in noi: infatti accadrebbe
che, avendo le conoscenze pi compiute, resteremmo all'oscuro della dimostrazione.
Se le conoscessimo e le imparassimo senza possedcrle prima, come potremmo conoscere ed imparare non procedendo da una conoscenza preesistente? impossibile
infatti, come dicevamo anche a proposito della dimostrazione (An. post. B, I<),
99b, 10-JO).
(257) dunque chiaro che la conoscenza dei principi non pu essere posseduta come innata n pu sorgere in chi li ignora del tutto e non ba nessuna disposizione verso di essi. dunque necessario averne una certa facolt, ma non tal~
che sia superiore alla conoscenza dimostrativa e dei principi, per compiute.:za. Pare
che questa facolt ci sia in tutti gli animali. Tutti infatti hanno un'innata potenza
discernitiva che chiamano sensazione (An. post. B, 19, 99b, 30-35).
(21>8) Essendoci la sensazione, in alcuni animali essa si stabilizza, in altri
no. Gli animali nei quali la sensazione non si stabilizza, o completamente o intorno
a certe cose soltanto, non hanno conoscenze superiori alla sensazione, o completamente o per quelle cose le cui sensazioni non si stabilizzano; gli animali che possono fissare le sensazioni, possono anche comprenderle nell'anima. Verificatesi molte
d~ queste sensazioni gi si profila unii differ:nza, sicch in certi animali dalla fissaZIOne delle sensazioni deriva il ragionamento, in altri no (An. post. 13, 19, 99b,
36- rooa, 3).

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L' INDUZIONe E LA CONOSCENZA DEI PRINC!P[

215

{ zv1l ) (2 59 ). L'ascesa ai principi, perci, parte dalla considerazione di


pi esempi di un che di unitario ed autonomo ( wli sv naQ ; rroA.u)
che, tuttavia, costituisce un'unit di una molteplicit (o av EV anacrLv f.V
lvfl btdvoL r atmS ), e procede fino al punto in cui coglie ci che c'
in esso di universale e di assolutamente semplice, perch universale (Ew
UV t<. ftEQl'j crtfi XUL -c x.m'h\ou) (2 60 ). La generalizzazione come fondamento dell'induzione in perfetta armonia con ci che Aristotele, a proposito di induzione, ha detto negli Analytica priora, dove appunto afferma
che si deve partire da una raccolta completa Uh ncivrow) dei dati per
giungere alla scoperta del medio che permetter poi di fare il sillogismo
apodittico. Ma, posta questa condizione, l'induzione caratterizzata
dalla pi rigorosa necessit sillogistica per cui, in essa, dalle premesse
empiriche si giunge ai principi non empirici con infrangibile necessit.:
anche l' induzione, perci, trova il suo fondamento nella categoria della
necessit. Essa procede al ritrovamento del medio, cio della ragione di
una propriet che sempre necessariamente ed univocamente connessa
con quella c che non pu mai mancare (2 61 ), ma appunto nm~ si serve
della ragione della propriet che, anzi, il termine del processo <>tesso;
ed in questo essa differisce dalla dimostrazione. Non ignora la causa ma
non la usa in quanto causa e non arriva a comprendere la sua natura di
causa, limitandosi a porre in luce che c' un termine cui il processo di
ascesa mette capo (1 62 ). Ma come gi abbiamo visto a proposito della
definizione delle propriet, il risalire di propriet in propriet presuppone
che si arrivi ad una essenza cui quelle propriet rimandano, cio al riconoscimento degli ti'tR(lfj e dei xcdh).ov proprio entro gli individuali pi
volte riscontrati nell'esperienza sensibile e le cui propriet sono gi state
legate secondo lince necessarie ascendenti. L' induzione, perci, consiste
(~:>fl) Dalla sensazione deriva la memoria, come diciamo, dal ricordo della
medesima cosa spesso ripetuto deriva l'esperienza: infatti i ricordi, numericamente
molti, costituiscono l'esperienza che t: unica. Dall'esperienza e dalla considerazione
di ogni singola cosa essendosi formato nell'anima l'universale, come uno distinto
dai molti, che, rimanendo identico, inerisce in tutti quelli, si ha il principio dell'arte
'C della scienza, dell'arte se concerne il divenire, delia scienza se concerne l'essere
(An. post. B, 19, 100a, 3-9).
(~uO) Quando si fissa nella memoria uno degli individuali, sorge nell'anima
il primo universale (ed infatti, mentre si percepisce l' individuale, la sensazione
dell'universale, per es. di uomo, ma non dell'uomo Callia); di nuovo poi in questi
universali qualcosa resta nella memoria, fino a che si giunga a quelli che sono
senza parti ed universali, per. es. da questo animale fino ad animale, c cos via.
chiaro che noi dobbiamo conoscere i principi primi con l' induzione; ed infatti a
questo modo la sensazione produce l'w1iversale ~ (An. post. 13, 19, xooa, xs-b, 5).
(:Wl) Qualcuno potrebbe sollevare problemi intorno alla causa e di che cosa
sia causa; orbene quando c' il causato, c' anche la causa.... e se c' la causa c'
insieme anche il causato'> {An. post. B, 16, 98a, 35-b, 3).
(262) Se la dimostrazione avviene attraverso la causa della conclusione, si ha
una dimostrazione del " perch"; se avviene attraverso ci che non causa, dimostrazione del "che " (An. posi'. B, 16, 98b, I9-2Q).

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216

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA

proprio nel ricondurre l' individuale, empiricamente dato, ai principi che


possono spiegare le sue propriet, e nel riconoscimento che a fondamento
dell'individuale c' un rapporto necessario tra le propriet, quali sensibiimente ci si presentano, e alcune determinazioni che sono in grado di
spiegarle, in quanto ne sono le ragioni. Tra le propriet empiricamente
date ed i loro principi non c', per Aristotele, soluzione di continuit, in
quanto dalle prime si giunge ad intravvcdere i secondi, a capire entro
quali antifasi essi si determinino, sebbene poi l'atto di coglierli, il comprendere la loro unit sia un atto intellettuale, che costituisce un salto e
che si distingue nettamente dai mezzi discorsivi con cui si giunti alle
soglie di esso. Questo atto intellettivo proprio un capovolgimento, la
fine dell' induzione c l' inizio della deduzione, la fine della ricerca del
medio e l'uso del medio come causa delle successive detenninazioni. Ma
questo termine non liberamente segnato da chi cerca, ch costituisce,
invece, le colonne d' Ercole della realt stessa ed chiaramente riconoscibile in essa. L'assoluta semplicit del suo oggetto caratterizza l' intuizione intellettuale.
N la scienza, n la saggezza, n l'arte, n la sapienza potrebbero
cogliere i principi che tutte, invece, presuppongono, sicch non resta
che pensare che la facolt ad essi preposta sia proprio il voil (2 63 ). L'intelletto il principio stesso della scienza e, perci, fuori di essa o, meglio, il punto di partenza di essa del quale non si pu ammettere che ci
sia un'altra scienza, se non si vuole cadere in un circolo vizioso (2(H).
Ma il voil non oggetto di scienza appunto perch presupposto da
ogni scienza, non essendo concepibile che la scienza incominci con una

(263) Poich la scienza conoscenza dell'universale c delle cose che sono


necessariamente, vi sono principi delle cose dimostrabili e di ogni scienza (ch la
scienza con ragionamento), del principio dello scibile non ci potrebbe essere n
scienza, n arte, n saggezza: lo sci bile infatti ,\ dimostrabile, le altre due vertono
intorno alle cose che possono essere diversamente da come sono. N c' sapienza
dei principi: infatti il sapiente conosce le dimostra:doni intorno ad alcune cose. Se
ci con cui cogliamo sempre il vero c mai il falso, intorno alle cose che possono
ed a quelle che non possono essere diversamente da quello che sono, sono la sciem:a,
la saggezza, la sapienza e l' intelletto, di queste nessuna delle prime tre pu prcnclC're
per oggetto i principi (intendo per prime tre la saggezza, la scienza e la sapienza),
resta allora che I' intelletto verta intorno ai principi (Rth. Nic. Z, 6, II40b, 31II4Ia, 8).
(264) Poich tra le nostre disposizioni concernenti il pensiero con cui cogliamo il vero, le une sono sempre vere, mentre altre ricevono anche il falso, per es.
l'opinione ed il ragionamento, mentre la scienza e l' intelletto sono sempre vere,
poich nessun altro genere di sapere (; pi compiuto della scienza, eccetto l' intelletto, poich i principi della dimostrazione sono pi conoscibili, ed ogni scienza
implica ragionamento, non d potrebbe essere scienza dei principi, ma poich nulla
potrebbe essere pi vero deiia scienza se r1on l' inteiietto, quest'ultimo potrebbe
essere la facolt dei principi, e da questo risulta che non c' dimostrazione dei
principi della dimostrazione e perci neppure scienza rlcila scienza. Se dunque non
abbiamo nessun altm genere di vero oltre la scienza, l' intelletto sar il principio
deiia scien?.a. E questo sarebbe dunque il principio del principio, mentre ogni
scienza neiia sua stessa situazione verso ogni cosa (A1t. post. B, 19, IOOb, 5-17).

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L' INDUZIONE E LA CONOSCJ.:NZA DEI PRINCIPI

217

scienza, a proposito della quale si proporrebbe di nuovo la questione


del principio. Ci che qui regge tutta l'argomentazione di Aristotele il
presupposto che la scienza debba avere un punto di inizio assoluto e
necessario ; dal momento che essa non per lui una ricerca che istituisca
la sua propria logica ed i suoi principi rispondenti volta a volta :td esigenze diverse, si comprende come un processo all' infinito sia inconcepibile. Infatti Aristotele suppone che la scienza trovi una struttura reale
necessaria, gi costituita nella sua totalit e unit. Per guardare il reale
nel suo vero aspetto possibile un solo punto di vista, nel quale ci si
colloca immediatamente con intuizione intellettuale, cui conducono le induzioni c da cui si dipartono le deduzioni. N questo principio ha bisogno
di riconfenne e di revisioni o di sempre ulteriori prove, ch si manifesta
con i segni indubitabili della verit e deve essere presupposto come vero
ed indubitabile in ogni successiva ricerca, anzich essere verificato da
essa. Poich il vo fuori della scienza in quanto questa non pu pi
comprenderlo in essa, con il farne un oggetto di dimostrazione, ed ap
partiene ad essa solo come suo intrascendibile principio, oggetto proprio
dell' intuizione intellettuale saranno quei termini di cui non possibile
definizione e che, perci, non resta che apprendere immediatamente (2 6 5 ).
Proprio questa una delle caratteristiche dell'oggetto dell'intuizione
intellettuale su cui Aristotele p1t insiste nell' Ethica Nicom.achea: la sua
non definibilit, che poi il suo rivelarsi immediato ed assoluto all'intelletto, quando una buona preparazione induttiva abbia convenientemente preparato a ci (2 66 ). Non che questa immediatezza sia la stessa
di quella che contraddistingue la sensazione; anzi, ne l'opposto, perch
la prima legata all' individuale ed all'accidentale, mentre questa
propria dell'universale, di ci che ha finalit, cio di quello che pur reggendo sempre la realt si rivela solo quando se ne sia compresa la struttura e la si sia gi percorsa dal basso in alto; ripartendo poi da questo
culmine si potr seguire la via maestra c razionale, percht tale che in essa
si rivela appieno la necessit delle cose. Poich l'oggetto del to non
definibile, esso sar anche inclecomponihile nei suoi elementi che potrebbero venir indicati, appunto, in um-1. defmizione : in questo senso senza
parti ( fL:OQf.:c;). Su questa caratteristica insiste la trattazione dedicata al
vou nel terzo libro del De anima che, appunto, alla mancanza della composizione di parti, riscontrabile invece nella proposizione, fa risalire
l' impossibilit del falso nell' intuizione intellettuale che avrebbe per oggetto proprio il -.;( jv dvm colto nel suo essere, come semplice insieme

(2G5) L'intelletto infatti dei termini dci quali non c' definizione (Eth. Nic.
Z, 9, II42a, zs-z6).
(266) L'intuizione intellettuale dei termini estremi in entrambi i sensi:
infatti sia dei primi che degli ultimi termini c' intuizione e non ragionamento, e
l' intuizione che funge da principio della dimostrazione dei termini immobili e
primi (Eth. :'Vie. Z, 12, II43a, 35- b, 2).

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L'APODITTICA e L' O~OANIZZAZIONe DELLA SCit:NZA

218

di determinazioni non ancora fferite ad un soggetto: quando questo riferimento avviene, in una proposizione, come la premessa di un sillogismo,
l'assoluta impossibilit del falso scompare (2 67 ). L'ufficio del vo'iJ proprio quello di cogliere in un atto solo l'essenza di una cosa ;:1-l termine di
un' induzione : esso solo opera propriamente il passaggio dalla conoscenza di questo o quell'animale a quella dell' animale (2(l~'), cio all'essenza di questo o quell'animale. Il voii, identificandosi con il v6q!J.a (2 69 ),
si fa rivelativo del contenuto dell'essenza, cio di quali attributi spettino
a una certa cosa in quanto se ne voglia determinare l'essenza, senza per
riferire predicativamente questi attributi a quella cosa. La predicazione
sar compito dell'assunzione dell' intuizione come premessa di un sillogismo, che il De anima distingue dalla intuizione intellettuale vera e
propria ( 270 ). In questa premessa si assumono l' intuizione intellettuale
come significato di una specie e l'esistenza di questa specie proprio fondandosi sulla intuizione intellettuale che ha permesso di sapere quali
predicati dovessero entrare nella definizione di essa. E la contraddizione
che pare di poter riscontrare tra il testo dell'Ethica Nicomachea e quello
del De anima, per cui l'uno parla di intuizione di indefinibili e l'altro di
intuizione di essenze, che sono definibili, si appiana quando si pensi che
l'un testo intende alludere alle determinazioni che entrano ne11'essenza
stessa e l'altro all'essenza nella sua totalit: ora questa quella che
data riscontrare come unit effettiva delle cose, ma quelle sono le determinazioni cui la scienza, nell'induzione, vuole giungere, in quanto costituiscono il fondamento dei generi. In questo senso, parlando della ricerca
dei generi e delle specie Aristotele ha detto che i generi sono i tennini di
riferimento rispetto ai quali gli individui possono determinare la loro
essenza e d'altra parte li ha presentati come un che di posteriore alle specie ed ottenuti astrattivamente da esse (2 71 ). Infatti tutti i componenti
di un'essenza appartengono ad un genere, sebbene questo si determini in
quanto genere quando si siano trovati i suoi principi propri, cio le sue
specie : solo allora sar possibile dare un significato preciso al nome con
cui si indica il genere. Del resto i generi si fondano sulle categorie, alle
quali non si possono sottrarre n le cose n le parole con cui quelle vengono indicate (2 72 ). Il genere perci precede la ricerca delle specie in
(267) Non ogni intuizione intellettuale o vera o falsa, ma quella che intuisce
che cos' un oggetto, in quanto ne comprende l'essenza, sempre vera, ma non
quella che coglie un che riferito a qualcosa d'altrei; ma come sempre vera la
sensazione della vista, sr: riferita ad un oggetto che le sia proprio, ma non sempre
vera quando si tratti di vedere se questo uomo bianco o no, cos avviene anche
nelle cose che non hanno materia (De an., r, 6, 430b, 27-3r).
(268) A11. post. B, 19, roob, I-,3.
{!169) La stessa cosa sono l'intelligenza e l'intelligibile compreso (Metap!t.

A, 7, I072b, 21).
(270) De an., r, 6, 430 b, 27-3r.
(271) An. post. B, 13, 9()a, 24-25.
(272) Metaph., Ll, 6, r016b, 33-34.

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L' INDUZIONE E LA CONOSCEN'7.A DEI PR.INCIPI

219

-quanto non ci pu essere determinazione che non sia di pertinenza di un


gtnere, come quello che si ricollcga alle categorie; ma segue astrattivamente le specie in quanto definizione del significato del tennjne con cui si
indica il genere. I generi perci sono q~uat nelle cose come le categorie
dalle quali derivano e dalle quali deve incominciare la dimostrazione, che
vresuppone l'intuizione di quegli assoluti punti di inizio nell'essenza delle
cose. A questo modo si spiega ci che gi era venuto in luce a proposito
delle caratteristiche della scienza nella concezione aristotelica : il sistema
<.ielle scienze un sistema dato e chiuso, petch dato e chiuso il sistema
delle categorie oltre il quale non concepibile che si possa andare, per trovare nuove categorie di cui si possano servire nuove scienze. Tutto bloccato dall' intuizione intellettuale che, cogliendo i principi, quali sono nel
teale, d praticamente il possesso di tutto ci che da quei principi deriva e
non concepibile che colga principi nuovi oltre quelli che nel reale dato
cogliere. Ci posto, si comprende anche come Aristotele ritorni pi volte
sull'impossibilit della p-rct~um ~>l 'J.Ho yf.vo per cui una scienza
non pu assolutamente interferire con un'altra, a meno che ci siano delle
affinit o, meglio, dei legami di subordinazione riscontrabili nelle cose
stesse 73 ). Non pensabile perci che una scienza possa escogitare Ul
tal linguaggio e senrirsi di tali mezzi di indagine, per cui principi di
un'altra scienza possano adattarsi ad essa: quando queste interf~renze
appaiono possibili, si tratta di vera e propria subordinazione di una scienza all'altra, per etti l'una indaga lo (in e l'altra fornisce il buh:t. La considerazione scientifica del reale consiste allora nel riportare 1' individuale,
immediatamente dato nell'esperienza sensibile, ai principi ai quali si arriva con il processo necessario dell' induzione : quest'ultima, attraverso
passaggi univoci da propriet a propriet conduce fino alla soglia di
quelle antifasi che solo il voil in grado di cogliere nella determinazione di un loro membro - dal momento che questa determinazione ,
in quanto assolutamente prima, immediata - e che, aprendo il processo deduttivo, sono in grado di dar conto delle propriet dell'individuale che, come tutto dato sensibilmente, in rapporto con esse. In
questo senso non si pu accettare quanto il Calogero dice sul vero nucleo
della logica aristotelica che sarebbe costituito dall' intuizione noetica, ac{;anto alla quale il processo dianoetico sarebbe soltanto uno schema di
discorso. Perch ci che fa s che il contenuto dell'intuizione di un'essenza sia un tutto unitario proprio la necessit che esso spieghi le
propriet che costituiscono nel loro insieme una sostanza, cio una tota-

(273) Non dunque possibile dimostrare passando da un genere all'altro


'(Att. post: A, 7, 75 a, 38); rispetto al genere in cui pas~a. quello da cui proviene la

"<limostraz1one deve essere assolutamente o per certi aspetti lo stesso genere, se la


{}imostrazione intende passare>> (ibid. 75b, 8-9) dall'uno all'altro; il passaggio
possibile per quei gened che sono in tale rapporto da essere l'une subordinato
all'altro (ibid. 14-15).

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220

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE Dt:LLA SCIENZA

lit che gi nell'immediatezza dell'empiria si presenta con i segm mconfondibili della sua individualit, la cui essenza il rapporto con alcune
antifasi che si determinano immediatamente ad opera del voiJ::;. 1\'ia appunto a queste antifasi si giunge da propriet sensibili, attraverso un
processo necessario, cd alle propriet sensibili si ritorna con la dimostrazione, sicch i principi intuitivi sono profondamente legati con tutto
il complesso della sostanza. E poich questo costruito sulla impalcatura
necessaria del sillogismo, si comprende che i principi, per la loro stessa
,,atura di supreme ragioni delle propriet delle cose debbano dare luogo
al sillogismo.
La scienza come conoscenza delle cose in ci che hanno di necessario anche la costruzione di un linguaggio rigoroso, in cui le parole
prendono un significato non accidentale. Abbiamo visto nel 1" paragrafo
del I capitolo come per Aristotele i nomi siano convenzionali, nel senso
che dare ad essi un significato piuttosto che un altro del tutto arbitrario. La parola infatti semplicemente un segno fonetico - se si tratt.:1.
di linguaggio parlato - o un segno scritto -- se si tratta di linguaggio
scritto - con cui si indicano le cose, essendosi assegnata a ciascuna eli
esse il suo segno secondo convenzione. Supposta costante la cosa, i segni
possono variare a piacere, purch ci sia un accordo con gli altri, senza che
le parole di volta in volta escogitate siano l'una pi vera dell'altra, non
essendo in s la parola n vera n falsa. D'altra parte, supposta ora la
parola costante, si pu far mutare il suo oggetto di riferimento semantico,
senza che si ottenga un senso pi vero dell'altro, ch il senso delle parole
questione di arbitrio. Di ci approfitta la scienza che appunto pu dare
alle parole un significato preciso e non accidentale; ma tuttavia ci non
tmplica il riconoscimento del problema della semanticit in quanto tale,
ch anzi la convenzionalit dei termini viene sfruttata come possibilit
di mutare il senso delle parole. Infatti postulato primo per il riconoscimento del problema della semanticit sarebbe l'ammissione che non ogni
parola ed ogni connessione di parole ha un senso, sicch sia necessario
procedere alla costruzione di connessioni sensate con parole suscettibili
di comparire in connessioni sensate_ Invece per Aristotele ogni parola
ha senso, come ha senso ogni legame di parole in cui sia riscontrabile la
struttura predicativa. Che la parola eclissi significhi oscurarsi della
Luna o oscurarsi della Luna dovuto al suo spcngimento o oscurarsi
della Luna dovuto all' interposizione della Terra lo stesso, dal punto
di vista del senso del nome ; ed aggiunta la copula al soggetto
eclissi in ognuno dci tre suddetti sensi, ed in altri ancora che siano
escogitabili, sempre il discorso che si otterrebbe avrebbe senso, cio potl-ebbe essere o vero o falso. Il significato delle parole pu essere fissato
solo quando si passa dal terreno semantico a quello apofantico, ek a
quello dei diseorsi predicativi : qui, assunti i nomi nel significato corrente,
si potr sempre determinare con i processi di induzione e di deduzione

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L' INDUZIONE

LA CONOSCI~NZA Del Pl(INCIPI

221

se la cosa che indicano o non e, perci, se il nome corrispondente


dovr o no essere ancora usato parlando del reale, ossia se indicher
o no una cosa che nella realt. \h poich i nomi sono assegnati alte
cose secondo l'arbitrio, ancor sempre possibile modificare il loro significato e non riferirlo solo al contenuto sensibile, ma p. es. ai nessi
necessari che compaiono nel discorso con il quale si giunti alla conclusione che la proposizione in cui quel nome compariva in unione con l'
vera. Le definizioni scientifiche consistono proprio in questo: ci:J, dal
momento che dare un senso ai nomi dipende da noi, ai nomi desigmmti
cose di cui la scienza ha dimostrato l'essere, converr dare un sig-nificato
che tenga conto delle conn('ssioni in cui l'essere della cosa necessariamente si trova e che la scienza stessa ha rivelato. D'altra parte una modificazione del significato dei nomi deve precedere la stessa dimostrazione,
w me si visto nel paragrafo r 3, in quanto al nome che nell'esperienza
immediata indica una certa cosa, si d un senso in cui si tenga parziaimente conto dei risultati cui giunge il processo necessario dell' induzione;
oppure, come risultato dal paragrafo 14, al nome con cui solitamente
si indica un che di individuale, nella sua immediatezza empirica, si pu
dare un significato in cui compaiono le determinazioni essenziali di quella
cosa. Se volessimo considerare la concezione aristotelica della scienza
dal punto di vista linguistico, potremmo dire che essa il passaggio dal
significato accidentale al significato proprio delle parole: infatti non solo
la scienza in grado di eliminare le parole usate in un senso in cui non
indichino cose reali, ma di quelle che indicano cose reali determina il
senso conforme all'essenza delle cose che indicano, cio a quanto di pi
stabile c' nelle cose cui quelle parole immediatamente si riferiscono ed
alle ragioni di esse. Non che la scienza proceda alla ricerca di parole che
possano essere usate in proposizioni suscettibili di venire provate come
vere o false, ch anzi essa accetta le parole nella loro accezione ordinaria,
ne verifica lo n con la generalizzazione induttiva e procede a riscontrare il ih6-rt, in base al quale d alla parola un nuovo senso che per
solo la dimostrazione confermer; e questo nuovo senso non del tutto
staccato dal primo dal quale anzi partita l' indagine sul secondo e che
riconfermato con il riferimento al 1: tcSn. Da ci appare chiaramente
come il criterio per stabilire il senso proprio di una parola siano i processi necessari di ragionamento, cio l' induzione e la deduzione e l' intuizione intellettuale da quelli presupposta : cio proprio quei mezzi discorsivi ai quali Aristotele ha riconosciuto l' incondizionata validit scientifica sulle basi dell'eliminazione della semanticit come problema logico.
Infatti il passaggio dal significato accidentale a quello proprio di una
parola avviene solo perch si ammette che ogni proposizione apofantica
vera o falsa. Ogni parola, cio, legata con altre pu dare luogo a proposizioni che sono sempre o vere o false ed hanno ragioni necessarie di
questa loro verit o falsit; ora dal momento che il significato delle paro-

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222

L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE Dt:LLA SCIENZA

le dipende da noi, sempre possibile modificare il significato delle paroledate tenendo conto delle ragioni delle proposizioni vere in cui esse compaiono. Gi abbiamo visto come ogni parola cada necessariamente solto
una categoria; la scienza, dando il significato proprio alle parole, tiene
conto delle categorie sotto cui cadotio, cio del genere delle propriet che
indicano ed in base ai principi di questo genere d il senso al termine in
questione. Come a proposito della conoscenza induttiva dei principi,
anche qui nello stabilire il significato proprio delle parole si sale necessariamente dal significato accidentale di esse alle categorie cui quel significato rinvia ed in base ad esso si niodifica il significato di partenza: ma
la connessione di tutti i passaggi fondata sulla categoria di necf'ssit.
La sensibilit non considerata come uno dei rapporti in cui l'uomo pu
entrare con le cose e fondandosi ml quale pu escogitare un linguaggio
che, perci, solo nella verifica sensibile trover il suo criterio di Vero c
di falso. Essa la situazione necessaria dell'uomo al quale le cose si
rivelano dapprima sensibilmente ; a questo primo rivelarsi delle cose egli
applica dei segni fonetici convenzionali che assumono cos un senso. Ma
quando con i processi discorsivi necessari, cio seguendo le stnttture del
discorso che, fondate sulla struttura necessaria del reale, si rivelat1o in
ogni discorso, qualunque sia la sua veste semantica, l'uomo ha conosciuto razionalmente le cose, allora pu mutare i significati delle parole
riferite a quelle cose dando ad esse come oggetto di riferimento semantico
la pi precisa nozione che ha di quelle. Il passaggio dal significato accidentale a quello proprio delle parole il passaggio dalla opinione alla
conoscenza scientifica. La scienza non sceglie le parole da usare nel suo
linguaggio ed a cui dare significati che si accordino con il tipo di ricerca
che persegue, ma accoglie le parole della lingua comune, cui d sensi
propri. Ci avviene per solo dopo i processi discorsivi (induzione o sillogismo) che si compiono proprio partendo dal significato comune dei termini accettati: anche questo uno dei modi della continuit necessaria
tra le propriet sensibili ed i loto principi, per la quale il linguaggio non
si configura come una iniziativa dello scienziato che indaga, ma come
un passaggio univoco da im senso accidentale ad un senso proprio delle
parole. Ma, mentre il primo pu essere individualmente diverso presso i
vari esperienti, il secondo fisso perch uno solo il vero posto delle
cose nella struttura della realt.
Proprio qui viene in luce una dimensione finora non apparsa nella
logica di Aristotele: quella della normativit. Infatti, poich le parole
sono per convenzione e non incidono sulla verit o falsit delle proposizioni in cui entrano, possiamo non preoccnparci affatto di definire rigorosamente il loro significato, paghi di ci che l'esperienza immediata ci
dice intorno alle cose cui abbiamo convenzionalmente assegnato un termine. Ma possiamo anche voler un maggiore rigore nel nostro linguaggio, sfruttandone la funzione semantica: visto, infatti, che le parole sono
per convenzione, possiamo mutare il loro significato. Tuttavia se non si

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L' INDUZIONE E LA CONOSCENZA DEI PRINCIPI

22~

vuole passare da un arbitrio all'altro, presupposto di questo mutamento


dovr essere la conoscenza rigorosa, cio necessaria, delle cose che le parole indicano: vale a dire la conoscenza scientifica. Non che con ci venga
cancellata la convenzionalit delle parole, ch sar sempre una relazione
convenzionale quella per cui un dato gruppo di suoni indica una certa es~
S(-nza ; nia, data per buona l'assegnazione di un certo segno fonetico ad
una certa realt sensibile, non convenzionale sar che quel seg-no acquisti
un sensd rigoroso, cio passi ad indicare una essenza determinata e non
un'altra. Ma, appunto, il passaggio dalla sensazione all'intuizione intell~t
tuale - con le conseguenze che ne derivano - come criterio per stabilire
"ii senso delle parole non esso stesso necessario, richiedendo, invece, che
si scelga di dare il significato proprio alle parole, cio che si assuma tin
preiso atteggiamento di fronte alla realt che le parole - come la convenzione ha stabilito - indicano. Questo atteggiamento , come abbiamo gi
visto, quello della considerazione scientifica di fronte alla mera considerazione opinativa, come riconoscimento della necessit quale. categoria
fondamentale della realt. Su questo riconoscimento si fonda il ritrovamento di quanto nella realt assolutamente immutabile, perch in tal
modo necessario che un qualcosa di diverso da esso non neppure pensabilc; sicch non pcnsabile che le parole possano avere un significato
proprio diverso da quello che ad esse si assegna in base alla ricerca scientifica, Segno della conoscenza scientifica proprio l'assoluta necessit,
che non manca neppure in coloro che credono di possedere la scienza,
stbbenc in questo caso sia, in realt, soltanto una pretesa (2 74). Ma gi
questa pretesa non si configura come una necessit instaurata dal ricercante, ma come riconoscimento che necessari sono gli aspetti essenziali
del reale, come riconoscimento che ogni realt in rapporto necessario
con la contrariet antifatica della quale sempre un membro c che questo
rapporto costituisce l'essenza di ogni reale. Quando non si accetti pi
la sensazione nel suo indistinto, puntuale e fenomenico apparire, ma,
partendo dalla considerazione delle parole, a prescindere dal loro lato
convenzionale, si riconosca che - assunta e tenuta ferma la loro convenzionale assegnazione agli oggetti dell'esperienza sensibile - ciascuna di
esse indica un che di unico che, posto che sia, si contrappone immediatamente al suo non-essere, si gi riconosciuta la struttura necessaria
del reale ed il rapporto necessario che la cosa esperita ha con essa, come
determinazione necessaria di un suo membro (275 ). In quanto determi(2 74) Nessuno crede di opinare, rra di sapere quando crede che la cosa non
possa essere diversa da come (An. post. /\., 33, 89a, 6-8).
(275) Si supponga, come si detto in principio, che il nome significhi qualcosa e qualcosa di unico: non possibile allora che indichi l'essere dell'uomo quello
stesso nome che indica il non essere dell'uomo, se significa l'uomo non sole come
predicato di un altro termine unico, ma come un che di unico (Jifetaph., r, 4, roo6b,
I -r S); c E l'essere ed il non-essere non saranno la stessa cosa, se non per omonimia, come se altri chiamassero non-uomo quello che noi chiamiamo uomo: ci che

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224

L'APODITTICA E

L'Ol~Oi\NIZZAZIONE

DELLA SCIENZA

nazione necessaria di uno dei membri dell'antifasi che costituisce la


struttura necessaria del reale, la cosa si costituisce come unit in gr<~do
di avere delle propriet ed un'essenza che di quelle propriet deve poter
dare conto (2 76 ) : riconosciuto, cio, che ogni realt in rapporto necessario con l'antifasi di essere e non-essere, in quanto necessariamente uno
dei membri di essa, sorge la necessit di determinarne l'essenza - sia
che l'abbia in se stessa, come la sostanza, sia che l'abbia fuori di s, come
la propriet - . Ma mentre la filosofia prima e la logica in quanto studio
di ogni discorso scientifico debbono considerare il rapporto tra l'antifasi
in quanto tale e la sostanza, come individualit empirica, in quanto
tale, le singole scienze considerano il rapporto tra l' individuo in quanto
possessore di certe propriet e le antifasi, di immediata determinazione,
che costituiscono le cause supreme di queste propriet (277 ) : la prima
considerazione riguarda i principi comuni a tutte le scienze, la seconda i
principi propri che in quelli hanno il fondamento della loro possibilit.
Ma la determinazione di questo rapporto rinvia, in ultima analisi, al ''OV
che, solo, in grado di cogliere i principi : cio l'atteggiamento dell'uomo
di scienza quello di porre a principio di tutti i suoi ragionamenti i prin messo in problema non questo, se la stessa cosa possa essere e non--essere rispetto al nome, ma rispetto alla c_osa (i!Jid. 18-22). Il nome puramente convenzionale
e nulla impedisce che la stessa cosa possa portare nomi opposti, purch chi li usa
possa farsi capire : perci una discussione sui nomi non sarebbe in grado di farci
comprendere la realt delle cose. Ma supposto che il nome indichi un che di reale,
allora la cosa, in quanto ;': reale, si riveler in rapporto con ia struttura antifatica
del reale, essendo appunto la determinazione di un corno dell'alternativa essere o
non-essere, dal momento che . Questo primo riconoscimento della necessit intrascendibile dell'antifasi il fondamento di ogni conoscenza della necessit del reale:
della filosofia prima in quanto- studia la sostanza come tale e delle scienze, in quanto,
partendo da determinazioni antifatiche delle quali il contrario non pu assolutan.ente essere pensato, passa a conseguenze, da esse necessariamente derivanti, che
non possono essere diverse da come sono.
(276) Se tutte le cose si dicono per accidente, non ci sar pi nulla di primo
di cui si possa predicare, se sempre l'accidente indica una predicazione riferita ad
tm qualche soggetto. dunque necessaio andare all' infinito. Eppure impossibile;
n si possono riunire predicativamente pi di due termini: l'accidente non infatti
accidente dell'accidente, a meno che entrambi siano accidenti della stessa cosa, nel
senso che, per es., musica bianco e questo bianco ineriscono entrambi all'uomo. Ma
non si dice che Socrate musco nello stesso senso con cui si dice che due predicati
ineriscono ad un terzo che funge da soggetto. Poich alcune cose si dicono accidenti in un senso, altre in un altro, le predicazioni di accidenti sul tipo di Socrate
bianco non possono andare all'infinito verso l'alto, per es. che a Socrate bianco
inerisca un qualche altro accidente: infatti non da tutte le cose deriva l'unit. N
il bianco avr propriamente un qualche altro accidente, per es. musico: ch questo
non per nulla pi accidente di quello che quello di questo, sicch si stabilito che
alcune cose sono accidenti in questo modo, altre come musico riferite a Socrate; in
quest'ultimo caso non si ha un accidente di Wl accidente, ma solo nel primo, sicch
non tutte le cose si dicono per accidente. Ci sar d~mque qualcosa che significa
proprio la sostanza (Metaph, I', 4, I007a, 33- b, 17).

(277) Perci non spetta al geometra indagare che cosa sia il contrario o il
fine o l'uno o l'essere o l' identico o il diverso, se non assumendoli. ~ chiaro allora
che spetta ad una sola scienza indagare l'essere in quanto essere e ct che ad esso
appartiene in quanto (1\lfetaph. r, 2, IOOSa, II-J4).

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L' INDUZIONE E LA CONOSCENZA DEI PRINCIPI

225

dpi colti con l'intelletto puro che presiede gi, come fine (278 ), al
processo induttivo che dalle propriet sensibili conduce alla soglia dei
principi che ad esse appartengono, secondo una continuit che si manifesta anche nel permanere dello stesso nome ad indicare la propriet sensibile immediata c la sua essenza. Fare scienza, riconoscere la necessit
del reale prendere quell'atteggiamento che costituisce la vita teorctica,
il culmine della vita etica, !a partecipazione dell'uomo al divino, alla divina
necessit che regge l'universo alla quale si identifica l'intelletto nell'atto
dell' intellezione (2 7U). Ma nella dottrina della scienza questo atteggiamento non entra in conto, ch esso consiste in una accettazione dell'ordine necessario dell'universo al quale, in certo modo, si assimila il vou
e nell'uso di un linguaggio che per impone da s i suoi nessi necessari,
essendo appunto gi modellato su quell'ordine che deve enunciare. Ogni
nostro asserto , in quanto tale, gi necessario, perch quello che ed
esclude necessariamente il contraddittorio; ma il riconoscimento della
struttura necessaria in cui esso collocato vale a rivelare le ragioni necessarie di esso. In questo senso si pu parlare di una dimensione normativa della logica di Aristotele: la sua normativit consiste nel suo
prescrivere all'uomo di scienza di seguire l'organizzazione necessaria
del reale che infallibilmente lo porter ai principi primi e propri di ogni
propriet dai quali la deduzione proceder univocamente alla conclusione.
L' induzione, infatti, gi un riconoscimento della necessit del reale
e non un cercare i principi che meglio possano reggere una certa ricerca: i principi non si assumono ipoteticamente, ma si assumono solo in
quanto non sono dimostrabili. Il che non segno del loro sfuggire alla
necessit, ma anzi, del loro essere necessari al sommo grado, tanto che
neppure richiedono l'apodissi, possedendo l'evidenza di ci che non potrebbe mai venir in nessun caso negato: per questo sono oggetto dell' intuizione intellettuale. L'assunzione di essere, fatta a proposito dei prin-

(~ S) L' induzione che porta ai principi si fonda completamente sulla necessit


che stringe le propriet ~eusibili ai principi stessi ai quali perci non pu non pervenire : in questo senso e~si reggono gi tutto il processo induttivo ed in que,to
senso l' induzione aristotelica si distingue nettamente dall' induzione in cui la scienza
moderua ha riconosciuto i suoi fondamenti. Questo necessario mettere capo delle
sensazioni ai principi proprio la 1;L che abbiamo di essi e che funge da disciplina
dell'uomo di scienza il quale deve riconoscere questa necessit impressa nel reale, s
da ottenere un organismo scientifico assolutamente certo e da cui esuli ogni bisogno
di sempre ulteriore conferma.
(2 79) Se la felicit l'attivit secondo virt, t: chiaro che sar l'attivit secondo la virt pi perfetta : c questa quella della parte migliore. Sia che l' intelletto
questo sia, sia che sia qualche altra cosa, esso ci che per natura pare primeggiare
e guidare ed avere nozione delle cose belle e divine, sia che sia divino css'? stesso, sia
che sia la cosa pi divina che c' in noi; la sua attivit, secondo la vrrt che ad
esso propria, sarebbe la felicit completa. Che si tratti della attivit teoretica si
gi detto (Eth. 1'lic. K, 7, II77a, x2-r8); Questo il miglior modo di vita
per l'uomo: infatti non in quanto uomo vivr cosi, ma in quanto c' in lui qualcosa di divino (ibid. ll77b, 26-28).

15

C. A.

VIANO, La logica <Il Aristotele.

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226

. L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCII!NZA

Clpt, non , perci, che il riconoscimento della loro assoluta evidenza, la


conclusione di un processo induttivo necessario secondo il quale dalle
propriet si sale necessariamente ai loro principi : essi sono nelle cose,
sono aspetti eterni delle sostanze ai quali le propriet non possono non
richiamarsi. In questo i generi sono strutture riscontrabili proprio nelle
cose, in quanto sono sostanze, cio in quanto sono organizzate secondo
i principi comuni a tutte le propriet. La logica di Aristotele si pone
perci, essa stessa, come assolutamente necessaria cio come l'unica logic..'l
possibile della conoscenza scientifica, qaalunque sia l'oggetto di essa, non
essendo pensabile che l'uomo possa mutare i suoi principi, dal momento
che non pu mutare i principi necessari del reale. N ciascuna delle
singole scienze pu essere diversa da come , dal momento che anche i
principi propri sono necess~riamente legati alle propriet di cni sono
principi, sicch non pensabilc che le varie discipline scientifiche possano
modificare i loro principi, ne! corso stesso della ricerca. Come le parole
non possono non riferirsi ad una delle categorie, cos le cose dalle parole
indicate non possono non rifarsi ai principi da cui necessariamente duivano e che il votl ha il compito di cogliere. Il nocciolo del processo
induttivo che abbiamo esaminato nei paragrafi 13 e 14 come passaggio
dalla definizione nominale alla definizione propria dei termini scientifici,
proprio la necessit, in quanto univoco rinvio delle cose ai loro principi.
In questo senso si pu giustamente definire la logica di Aristotele come
logica deduttiva, sebbene essa faccia posto anche all' induzione. Infatti
quest'ultima non concepita che come il rovescio di quella e, come quella,
procedente con assoluta necessit; con il che si dimostra essenzialmente
diversa da ci che i cultori della scienza moderna con questo termine hanno
voluto indicare. Essa infatti non legata con l'esperimento c con l'osservazione, ma con la sensazione, i cui dati debbono essere riconfennati da un
processo deduttivo necessario procedente dai principi, non potend0 fungere
essi che come punti di partenza di un processo di ascesa altrettanto necessario. Aristotele riconosce che l'uomo dotato di sensibilit, ma essa
non considerata come una delle condizioni della ricerca che debba entrare in conto nella considerazione dei principi : essi sono puramente
intelligibili, sicch il vov li pu cogliere nella loro purezza. senza tener
conto che proprio dalla sensazione si pervenuti all'intuizione intellettuale. Quest'ultima infatti soverchia il punto di partenza del processo
induttivo e si pone come unico criterio della sua validit.

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CAPITOLO IV

LA DIAI .ETTI CA

1. - L'ACCIDI~NTAU: I\ IL NECESSARIO. La scienza studia le cose


nelle loro propriet assolutamente necessarie, tali cio che non possono
essere diversamente da come sono, sicch in ogni momento si pu dire
di esse se sono o se non sono c di ogni proposizione formulata sul loro
conto si pu sempre dire con assoluta certezza se vera o falsa. Ci
che non cade sotto questa determinazione accidentale (1 ). L'accidentale
non pu costituire l'oggetto della scienza, perch di esso si pu asserire
con necessit solo che non necessario : cio di esso non si pu asserire
l'essere o il non-essere se non in relazione a questo o quell'istante. Ci
perch l'accidente non connesso con l'essenza delle cose cui accade, cio
non ha la sua ragion d'essere in ci che fa s che le cose di cui accidente
siano quelle che sono: la sua causa la materia (2). Perci, mentre le
propriet necessarie di cui si occupa la scienza si ricollegano direttamente
all'essenza che appresa intuitivamentc dal ,,ofl e perci porta in s la
garanzia della stabilit sua e delle propriet che direttamente ne discendono, l'accidente di sua natura indeterminato perch deriva dalla materia che indefinibile (3 ) e inconoscibile di per s (4). In quanto non
necessario l'accidente irrilevante per la scienza, in quanto non deriva
dall'essenza esso irrilevante per la realt stessa della cosa di cui accidente, dal momento che il suo incrire o non inerire non modifica la fisionomia della sostanza cui inerisce o non ineriscc ( 5 ). Ci tuttavia non vuol
ctire che l'accidente sia irreale, ch di esso si pu dire che o che non ,
~ebbene limitatamente al momento in cui lo si dice e senzi dare nessuna

(l) accidente ci che ineriscc ;{ qualche cosa e del quale vero dire che
inerisce, ma n ineriscc necessariamente n per lo pi (.111etaph . .1, 30, 1025 a, 14-15).
(2) Poich non tutte le cose sono o divengono necessariamente o in ogni
momento, ma la maggior parte di esse solo per lo pit, necessario che ci sia l'accidente (M etaph. E, 2, 1027a, 8-II); Sicch la materia sar la causa che entra
in funzione per ci che avviene diversamente da come solitamente avviene (imd.
IJ-15).
(3) Nella definizione delta sostanza non ci sono le parti che fungono da
materia - infatti le parti di quest'ultima non sono parti della sostanza, ma del
singolo, e di essa in U!'). senso c' definizione e in un altro no (M etaph. Z, II,
1037 a, 24-27).
(4) L't materia di per s ineonoscibile (Metaph. Z, IO, 1036a, 8-9).
(5) Cfr. par. JI del cap. II.

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LA DIALETTICA

228

garanzia sull'essere c non-essere futuro di esso. Appunto perch momentaneo, esso non modifica la realt. delle cose, ma in quanto , sia pur momentaneamente, pu venir considerato, sebbene non dalla scienza ; anzi, in
quanto , l'accidente, come del resto tutto ci che reale, non pu non
escludere il suo contraddittorio, cio esclude necessariamente il suo contraddittorio (6).
Intorno all'accidente, in quanto , si possono fare enunciazioni vere;
ma in quanto esso non ha onnivalidit temporale, queste enunciazioni non
possono avere carattere scientifico. Poich di fronte alla scienza che conosce le cose che non possono essere diversamente da come sono c' l'opinione che conosce le cose che possono essere diversamente da come sono
e, comunque, non d nessuna garanzia sulla necessit di ci che asserisce (7), la facolt con cui si potr apprendere l'accidente sar appunto
l'opinione. Essa vera o falsa, anzi, sempre e necessariamente o vera o
f<dsa; ma quando vera pu sempre mutarsi in falsa e quando falsa
pu sempre diventare vera, perch le manca la necessit ( 8). Anche
l'opinione, come il voii, si colloca nella dimensione della immediatezza (0 ), ma non ha per oggetto ci che immediato perch primo per s,
bens ci che immediato perch primo per noi. Ogni studio o ricerca
sull'accidentale dovr, di conseguenza, prendere come criterio l'opinione,
stabilire in base ad essa i suoi principi e cercare in essa la garanzia di
cui avesse eventualmente bisogno.
2. -

LA

DIAL:ST'I'ICA

COMI.<;

DISCIPLINA DELI/ACCIDBNTALB.

--

La

dialettic..'1. assume come sue premesse le opinioni (10 ) e si configura come


discorso che sviluppa necessariamente, cio con un sillogismo, le assunzioni opinative. In quanto, come la scienza, discorso organizzato che
procede oltre la semplice proposizione, non pu essere che sillogismo
(sillogismo vero e proprio o induzione), ma in quanto e liversa da!la
scienza, procede da premesse meramente opinative. Poich l'opinione
la facolt propria dell'accidente, la dialettica non si potr occupar~ che
dell'accidente (11), sicch i suoi asserti, a differenza di quelli della scienza,

(G) Che l'essere sia quando , e che il non-essere non sia quando non ,
necessario (De int. 9, 19a, 23-24).
(7) Veri sono l' intelletto, la scienza, l'opinione e ci che ne deriva, sicchr.
risulta che l'opinione concerne il vero e il falso, ma che possono anche essere diversi
da come sono (An. pr. A, 33, 88b, 37- 89a, 3).
(8) L'opinione insicura (An. post. A, 33, 89a, 5-6).
(9) L'opinione assunzione di una proposizione immediata e non necessaria
(An. post. A, 33, 89a, 3-4).
(lO) Si argomenta per quel che riguarda i sillogismi dialettici da premesse
assunte secondo opinione (An. pr. A, 30, 46a, 9-10).
(11) La dialettica e la sofistica vertono intorno agli accidenti degli esseri, non,
per, in quanto sono, n perch studiano l'essere in quanto (M etaph. K, 3, 1061 b,
8-IO).

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LA DISCIPLINA DELL'ACCIDENTALE

229

non saranno contraddistinti dall'assoluta necessit, come impossibilit di


pensare un qualcosa diverso da essi. Ma se non possiede il rigore della
scienza, tuttavia la dialettica si distingue dalla sofistica e dall'eristica.
Essa diversa dalla sofistica in quanto riconosce nettamente il suo carattere di discussione procedente per tentativi e non svolgentesi per catene
ininterrotte di deduzioni, e in quanto smette ogni pretesa di imitare la
scienza per sostituirsi ad essa. Mentre la sofistica incompatibile con la
scienza, la dialettica spesso preparatoria ad essa e pu non andarne disgiunta: ci perch, mentre la sofistica uno stile di vita diverso da
quello dell'uomo di scienza - come aveva gi sostenuto Platone -- la
dialettica non persegue nessun tentativo di inganno e differisce dalla
scienza non per mancanza di propositi onesti, ma per l'uso di mezzi di
conoscenza diversi (1 2 ). In quanto non sofistica, cio non tenta di ingannare, la dialettica si distinguer dall'eristica precludendosi l'uso di
sillogismi solo apparenti (1 3) che paiono giungere alle conclusioni derivanti secondo necessit dalle premesse assunte, mentre in realt ci non
avviene. La dialettica, perci, riconosce e rispetta pienamente la necessit del discorso del quale si serve, cio del discorso apofantico, accettando la necessit sillogistica come sua condizione imprescindibile.
In quanto si sene del sillogismo, la dialettica esige che le premesse
da cui procede abbiano alcune caratteristiche che ad esse appartengono
in proprio. In quanto fa dell'opinione il suo proprio principio, essa non pu
riattaccarsi a ci che primo per s e che vero e necessario, cio a
quanto non potr mai essere falso (H), ma in quanto discorso svolgentesi secondo nessi necessari non potr neppure affidarsi all' impressione
immediata del momento, alla mera opinione incontrollata, strettamente
legata alle nostre condizioni soggettive. In questo caso, infatti, tutto il
discorso dialettico, legato a premesse cos tenui, rischierebbe di essere
facilmente demolito. D'altra parte le premesse dialettiche non possono
trovare garanzie fuori del campo opinativo, come gi abbiamo detto nel
paragrafo precedente, se non appellandosi alle premesse necessarie, cio
entrando nel campo della scienza. Per sfuggire a queste difficolt Aristo-

( 1 2) La sofistica c la dialettica vertono intorno allo stesso genere che la


filosofia, ma ne differiscono l'una per il modo in cui usa i mezzi conoscitivi. l'altra
per lo stile di vita: la dialettica peirastica intorno a quelle cose delle quali la
filosofia conoscitiva, mcnhc la sofistica sembra esserlo, ma non lo (1l1rtaph. r,
2, !004 b, 22-26).
( 1 3) sillogismo eristico quello che deriva da premesse che paiono probabili,
ma non lo sono, e quello che pare derivare da premesse probabili o che lo sembrino.
Ch non tutto ci che pare probabile lo anche (Top. A, I, roob, :23-26).
(14) Si ha dimostrazione quando il sillogismo deriva da premesse prime e
vere o tali che abbiano assunto il principio della loro conoscenza attraverso nozioni
prime e vere ; dialettico invece il sillogismo che deriva da premesse prcbabili.
Sono vere e prime quelle premesse che non in altro, ma in se stesse hanno il fondamento della loro credibilit: infatti nei principi scientifici non bisogna cercare
il perch, ma ciascuno di essi deve esse1e credibile di per s (Top. A, IOOa, :27-b, 21).

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LA DIALETTICA

230

tele ricorre alla nozione di probab-ile ( f.v3o~ov) affermando che il silogismo dialettico deriva da premesse probabili (H). ormai consuetudine
tradurre il termine greco S'\130~0'\1 con la parola probabile t>:d in Un
certo senso questo uso giustificato, in quanto ci che, m base all'opinione, assunto nelle premesse di un sillogismo dialettico non pu essere
asserito con necessit, dal momento che pu sempre essere diverso da
come , ma tuttavia tale che pu anche essere come si assunto che
sia. Ma ci ammesso, si deve tenere ben presente che Aristotele nei
Topica non intende svolgere una logica del probabile nel senso in cui
questo termine oggi inteso ; gi Leibniz, sentendo il bisogno di una
nuova specie di logica , riconosceva che Aristotele non si era preso la
fatica di darci una regola per valut'lre le probabilit e stabilire su ci un
giudizio solido (1 6 ). Il probabile per Aristotele ci che, non essendo
necessariamente vero, ha delle buone ragioni per essere considerato come
tale che possa essere vero; queste buone ragioni, per, rientnm9 esse
stesse ancora nel campo dell'opinione in quanto sono, appunto, l'opinione
dei pitl o dci pi sapienti (1 7 ).
Questo concetto di probabile si comprende assai agevolmente quando
si tenga presente che esso verte sull'accidentale, il quale pu essere diverso da come , senza che si possa trovare una ragione essenziale di
questo mutamento, dal momento che il suo medio arawrov (1 8). Di
conseguenza ogni. modo d'essere dell'accidentale e ogni asserzione sul
!iUO conto non potranno portare in se stessi ragioni che non siano accidentali e, cio, tali da non dare garanzia della loro stesba validit di ragioni.
Ci impedisce che si possa concepire una disciplina volta a trovare, entro
l'ambito del suo campo di ricerca, nozioni tali che permettano di formulare proposizioni che, sotto certe condizioni, si verifichino con una
certa frequenza: nel campo dell'accidentale i crismi della probabilit
devono essere forniti da ci che fuori della ricerca, anzi si impongono
ad essa in quanto sono i punti di partenza dello stesso dialogo dialettico.
Poich l'accidente non in grado di dare ragguagli sulla sua stessa capacit di fungere da premessa di un discorso, si ricorre a ci che la tradizione o l'autorit dei sapienti hanno sancito. Il probabile aristotelico,
perci, si distingue nettamente dal concetto odierno di probabile, che
implica una previsione enunciata in base a certe ricerche che si servono
di mezzi e di categorie adatte a ci su cui si vuole pronunciare la previsione; invece per Aristotele il probabile deve fungere da principio in un
ragionamento riguardante questioni insolute che presso il pi degli
Top. A, r, rooa, 29-30.
G. G. LEmNrz, N ouvcauz essais s11r l' entmdement humain, trad. i t. C cechi,
Bari, Laterza, 1925, vol. II, par. :233.
( 17) Sono probabili le cose che sembrano a tutti ai pi o ai sapienti, e, tra
questi a tutti o ai pi o ai pi noti c famosi (Top. A, I, roob, 21-23).
(18) An. pr. A, 13, 32b, rS-19.
(15)

{1 6)

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LA DlSCJPLINA DELL'ACCIDENTALE

231

uomm1 ricevono risposte controverse. Ora proprio ci che credono i plU


o i pi sapienti sar maggiormente in grado di resistere alle obbiezioni
dell'avversario: il banco di prova del probabile aristotelico non la
maggiore o minore verificabilit di una previsione, ma la sostenibilit o
insostenibilit di un asserto in un discorso che fa uso di categorie strettamente connesse con tutta la struttura della logica di Aristotele.
Tuttavia l'opinione non solo volta alla conoscenza dell'accidente,
ma pu anche vertere su ci che pur potrebbe essere oggetto di conoscenza scientifica (lU), sicch il discorso dialettico non soltanto discorso
intorno all'accidentale, ma pu anche essere discussione di tesi esaminate
dal punto di vista dell'opinione ma tali che potrebbero essere risolte dalla
scienza, se enunciate dal punto di vista dei principi necessari. Come la
scienza considerazione delle cose dal punto di vista dei loro principi
primi, cos la dialettica considerazione delle cose dal punto di vista
dell'opinione pi accreditata o come discussione preparatoria alla scienza
stessa o perch su certi argomenti non possibile se non procedere secondo opinione. In questo senso l'orizzonte della dialettica si allarga: essa
non solo limitata all'accidentale ma pu considerare anche il necessario,
sebbene non dal punto di vista che essenziale ad esso, cio dal punto
di vista dell'essenza dellr. cose. Perci si pu dire che per Aristotele la
dialettica la considerazione dell'accidentale o la considerazione accidentale del necessario. In questo senso la. dialettica non ha principi propri e non ha generi, ma si serve solo dci principi comuni e pu svolgere
argomentazioni S\1 oggetti eli qualsiasi scienza eu) : infatti non assume
come premesse principi che gi nella realt siano necessariamente collegati con le propriet di cui sono principi, ma opinioni che di volta in volta
si propongono come principi di spiegazione di queste o quelle propriet,
senza che determinino generi separati gli uni dagli altri. VI entre la
scienza l'atteggiamento per cui si riconosce che nel reale ci sono delle
essenze assolutamente necessarie e delle propriet che da esse necessariamente derivano c per cui ci si affida all' intuizione di queste essenze, la
dialettica l'atteggiamento per cui si ricorre all'opinione come a principio di una delle spiegazioni possibili delle propriet delle cose ; ma, in
quanto la dialettica non eristica, essa si serve ancora della struttura
11ecessaria del discorso, cio del sillogismo.
Da ci che precede si comprende facilmente che la dialettica possa
(ln) La scienza e l'opinione non vertono sulla stessa cosa in modo assoluto,
ma come si dice che anche il vero e il falso sono della stessa cosa, in un certo senso
(An. past. A, 33, 89a, 23-25).
(20) Comune a tutte le scienze anche la dialettica, se qualcuno tentasse di
mostrare in modo valido per tutte le scienze i principi comuni, per es.. che ogni
cosa va aiiermata o negata, o che uguali da uguali danno e!,'U~li o al~re cose del
genere. La dialettica, infatti, non di cose definite in modo precisO o d1 un genere.
In questo caso non interrogherebbe : infatti non possibile che chi dimostra interroghi, dal momento che non possibile dimostrare la stessa cosa da premesse opposte
{_A,.. Post. A, II, 77a, 29-34).

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232

LA DIALET11CA

servire ai tre scopi che Aristotele assegna ad essa: all'esercizio, alla


conversazione e alle scienze filosofiche (2 1 ). L'esercitazione, infatti, non
sarebbe concepibile nella scienza, dove ogni asserto deriva necessariamente dal precedente e indirettamente dai principi, mentre possibile
nel campo opinativo dove una opinione pu ben essere sostituita da
un'altra dal momento che nessuna delle due sar in grado di dare la
soluzione definitiva alla questione. Quanto al secondo punto esso non
pu essere di pertinenza che della dialettica, dal momento che il filosofo
e, in genere, l'uomo di scienza non entrano in un dialogo, ma indagano
solo per se stessi, preoccupati soltanto delle verit o meno delle premesse che assumono (~ 2 ) ; il dialettico, invece, che si rivolge sempre
verso un interlocutore ( JtQ ftEQO'V ), alla riflessione sul discorso dialettico potr imparare a discernere i punti in cui meglio discutere le
asserzioni dell' interlocutore (23). Infine la dialettica non entra a far
parte della scienza vera e propria in quanto precede i principi delle singole scienze e non deriva da essi, bens li addit,1. partendo da considerazioni probabili intorno a ciascuna delle cose che cade sotto quei principi (2 4 ). In nessuno di questi campi si esce dall'ambito dell'opinione che
appunto permette la considerazione di molteplici punti di vista e la loro
discussione o il tentativo di rendersi conto della necessit di princip~
altrimenti indiscutibili. Ma neppure la dialettica giunge, attraverso la
discussione delle tesi contrarie, ad appurare la validit scientifica di una
di esse, ch dalla discussione opinativa all'apprensione della verit c'
un vero e proprio salto: infatti da premesse probabili non si possono
assolutamente trarre conclusioni necessarie. Del resto, quando sopravviene la scienza il dialogo non ha pi ragione di essere, perch l'assoiuta
obbiettivit si impone ai disputanti.

( 2 1) Dopo ci che precede bisognerebbe ora dire a quante e a quali cose


utile questa dcerca sulla dialettica. Essa serve a tte cose, all'esercizio, nelle dispute,
nelle scienze speculative (Top. A, 2, IO! a, 25-28).
(22) Al filosofo e a chi cerca per se stesso nulla importa, se le premesse del
sillogismo sono vere e conoscibili, ma rispondendo non le porrebbe perch sono
vicine a ci che si assunto da principio e perch ne intravvcda le conseguenze;
ma forse si preoccuperebbe che gli assiomi fossero pi conoscibili c pi vicini possibile: da questi infatti derivano i sil!ogismi scientifici (Top. 0, I, 151 b, 10-16).
(23) La dialettica serve alle dispute, perch con l'enumerazione delle opinioni
dei pi potremo affrontare questi ultimi non da nozioni estranee ai loro asserti,
ma appropriate, confutando ci che ci sembri non detto a dovere (Top. A, 2, 101 a,
3034).
(24) La dialettica serve per le scienze speculative, in quanto, potendo soli c
vare problemi a proposito eli entrambe le asserzioni opposte, pi facilmente ocorgercmo il vero e il falso in ciascuna di esse. Inoltre anche per i primi principi di ciascuna scienza utile la dialettica. Infatti impossibile partendo dai principi propri
:della scienza in questione, dire qualcosa sul conto di essi, poich sono i principi
assolutamente primi, ma necessario ragionare di essi attraverso le nozioni probabili riguardanti ciascuna cosa. Questo compito spetta in proprio o per lo rnc.no si
addice pi che ad ogni altra alla dialettica : infatti, per il suo procedere per discussioni, essa apre la via ai principi di ogni ricerca (Top. A, 2, rora, 34-b, 4).

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PROBLEMA E DIALETTICA

233

3. - IL PROHLI\MA E: LA DIALETTICA. - Le premesse dialettiche si


differenziano verbalmente dalle apodittiche in quanto si configurano non
come asserzioni, ma come interrogazioni intorno a ci che si deve assumere (25). Mentre, cio, chi dimostra gi sa quale membro dell'antifasi
deve assumere, perch si tratta di un principio o perch si tratta di
un'asserzione gi dedotta dai principi (2 6), il dialettico prospetta un' incertezza nella scelta di uno dci corni della antifasi dalla cui determinazione deve muovere tutto il discorso: appunto perci, egli, interrogando,
pone sullo stesso piano i due corni della contraddizione (2 7 ). Nel libro A
dei Topica Aristotele distingue la proposizione dialettica dal problema
dialettico: la prima l'elemento di cui constano gli argomenti, il secondo
ci intorno a cui vertono i sillogismi (2 8 ). La cosa pi importante in
questa dottrina l'asserzione dell' indisgiungihilit della proposizione
dialettica dal problema, anzi. della loro sostanziale identit: infatti essi
non differiscono che per la forma verbale dell'enunciazione (ti[l t(lOm~)) in
quanto la proposizione propone un asserto in forma interrogativa, mentre il problema enuncia una vera c propria alternativa tra i due corni contraddittorii (2!1). Sebbene sia possibile passare dalla proposizione al problema mutando semplicemente la forma verbale di enunciazione, tuttavia
pare che una differenza ci sia tra l'una e l'altra cosa. vero che, in
quanto proposta interrogativa di un membro di un'antifasi, la proposizione implica anche la considerazione dell'altro membro e, cio, rinvia
all'alternativa antifatica, al problema, ma altrettanto vero che essa non
interrogazione esplicita su entrambi i corni del dilemma, ma gi ne
avanza uno su cui limita la discussione: e infatti la proposizione dialettica
un' interrogazione su ci che gi si presenta come probabile ai pi o ai
pi saggi ( 30), cio un'asserzionE\ espressa ancora in forma duhit,.1.tiva,
(25) An. pr. A, 1, 24a, 22-25.
(26) An. pr. J\, I, 24a, 30-b, I
(27)

An. pr. A,

I,

24b,

I-2,

(2S) Sono uguali per numero e iclentici ci di cui constano gli argomenti e

ci intorno a cui vcrtono i sillogismi. Tnfatti i ragionamenti constano d proposi?:ioni; ci intorno a cui vertono i sillogismi sono i problemi. Ogni proposi:done e
ogni problema indicano o un genere o un proprio o un accidente; e la differenza,
in quanto pertinente al genere, deve esse1e considerata con il genere (Top. A, 4,
IOJ

b,

14-19).

(2!l) Differiscono il problema e la proposizione per la forma dell'enunciazione.

Infatti, dicendo cos 'forse che animale bipede definizione dell'uomo? ' e 'animale
genere di uomo? ' si hanno delle proposizionL Se, invece, si dice ' animale bipede
definizione di uomo o no? ' e ' animale genere di uomo o no? ' si hanno dei
problemi. E altrettanto dicasi per il resto. Sicch verosimilmente i problemi e le
proposizioni sono identiche per numero. Infatti da ogni proposLdone si possono
ottenere problemi mutando il modo verbale dell'enunciazione (Top. A, 4, IOI b,
29-37).
(30) Una proposizione dialettica un' interrogazion~ probab!le.? pe~ tutti '?
per i pi o per i sapienti c, tra questi, o per tutti o per i p1 o per .1 P!U. no~!, purehc
non sia paradossale: perch si potrebbe porre cib che sembra a1 sap1ent1, se non
fosse contrario 2.1l'opinione dei pitl (Top. A. Io, 104a, 8-I2).

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234

LA DIALETTICA

che ha gi tutti i crismi per costituire una premessa di un discorso dialettico ossia per essere la determinazione di un'antifasi, la risoluzione d
un problema secondo opinione, come appunto si richiede alla dialettica (31). Il problema invece presenta un'assoluta assenza di ragioni in
favore dell'uno o dell'altro corno del dilemma o un equilibrio di ragioni,
reggentesi sulla presenza di opinioni autorevoli contrastanti o di sillogismi egualmente convincenti, eppure contrari, o sulla difficolt di trovare
una ragione risolutiva ( 3 ~). Ogni proposizione pu diventare problema in
quanto si respinga la probabilit su cui si fonda la sua pretesa di fungere
da premessa di un sillogismo dialettico ; ogni problema pu diventare
una proposizizione dialettica in quanto si sia trovata una probabilit in
base alla quale determinarlo. Pare, perci, che si possa affermare che
problemi sono tutte le questioni intorno a cui regna un'effettiva incertezza e per risolvere le quali bisogna fare ricorso ad asserzioni che non
sono vere in s, ma che hanno la conferma di opinioni numerose o autorevoli.
La dialettica di sua propria natura legata con il problema, sicch
non si ha discorso dialettico se non si ha problema : infatti non possono
essere proposizioni dialettiche quelle che sono universalmente accettate o
quelle che sono respinte da tutti ( 33 ). In questi due casi estremi viene
a mancare il problema sostituito da una situazione di certezza o nel rifiuto
dell'asserto o nell' acettazione di esso dovuta alla sua totale limpidezza:
le premesse dialettiche non debbono essere n <pavsgci n ltU!,Ja&o~ul, ma
semplicemente S'VbO~UL, cio tali da non dare assoluta garanzia delL-1 loro
verit, appunto in quanto si riferiscono ad una situazione incerta che
devono determinare, ma non con assoluta certezza,_in modo d<t lasci<Jre
sempre adito alla discussione. Ma se la dialettica non si giustifica se non
dove si ha un problema, d'altra parte il problema trova riconoscimento
solo in sede dialettica. Solo qui infatti una questione viene riconosciuta
indeterminata ed impossibile a determinarsi in modo tale da escludere
definitivmnente ogni ulteriore discussione su di essa. ch, anzi, ogni

(31) An. pr. A, r, 2.4b, 2-3.


(:!2) Il problema una questione dialettica intorno alla quale o non vigono

opinioni o i pi hanno opinioni contrarie ai sapienti o i sapienti ai pi o tra gli


uni c gli altri vigono pareri discordi (Top. A, II, 104b, 3-5); Sono problemi
.anche quelli intorno ai quali si hanno sillogismi contrari (ch si pone il problema
se le cose stiano cos o non cos, essendoci ragioni convincenti intorno all'una e
all'altra soluzione) e intorno ai quali non possediamo una tagione risolutiva, dal
momento che si tratta di cose difficili e delle quali reputiamo che sia difficile fornire
una ragione, per es. se il mondo eterno o no; ch qualcuno potrebbe occuparsi
anche di queste questioni (ibid. 12-17).
(33) Non bisogna stabilire che ogni proposizione e ogni problema siano una
proposizione e un problema dialettico: nessuno, infatti, proporrebbe, avendo senno,
ci che non pare a nessuno, n metterebbe in problema ci che evidente a tutti o ai
pi; questo infatti non racchiude difficolt e su quello nessuno sarebbe d'accordo
(Top. A, 10, 104a, 4-8).

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PROBLEMA E DIALETTICA

235

soluzione proposta per un problema , in quanto conclusione di un sillogismo dialettico, sempre passibile di obbiezioni. Ma fuori della dialettica il problen1a non ha pi ragion d'essere, ch la scienza sostituisce ai
problemi assolute certezze dando ad essi soluziom che non potrebbero
essere diversamente da come sono. Infatti se il problema dialettico si profila solo perch consideriamo il necessario partendo da meri principi opinativi, l'incertezza, essenziale al problema, scompare una volta che siamo
giunti ai principi propri ; se invece problema si ha perch si considera
l'accidentale, allora nella considerazione scientifica del reale l'accidmte si
precisa come l' irrilevante per la realt. essenziale delle cose o viene ri<lotto al suo essere possibile, che passibile di considerazione scientifica ( 34). Ma nell'uno e nell'altro caso il problema si rivela essenzialmente legato all'accidentale : o alla considerazione dell'accidente o alla
considerazione accidentale del necessario. Ci avviene perch la dialettica
non considera i principi propri che permetterebbero di istituire catene di
proposizioni assolutamente necessarie, cio tali da eliminare ogni ulteriore possibilit di problema. Infatti quest'ultimo costituito da una situazione in cui non ci sono elementi sufficienti per pronunciare ~m giudizio o perch si tratta di un accidentale o perch non si intende tener conto
dei principi delle propriet in questione, sicch il principio dal quale si
proceder per giungere alla proposizione che dovrebbe costituire la soluzione del problema non sar necessariamente connesso con il problema
stesso che si deve risolvere, ma sar semplicemente uno dei punti da cui
si poteva partire; posta una premessa non ne pu derivare che una soluzione, ma non detto che quella sia la premessa pi opportuna per scoprire la soluzione del problema. Il fatto che la nozione di problema non
sia connessa, per Aristotele, con il concetto di scienza rende conto assai
bene di alcune asserzioni abbastanza importanti. Si gi detto che si ha
problema dove c' un' indeterminazione, una indecisione, dove mancano
degli elementi su cui poter fondare un giudizio; ma i limiti entro i quali
soltanto si pu parlare di reale indecisione sono assai chiaramente segnati
da Aristotele stesso. Problema si ha quando non ci sono opinioni correnti
sull situazione che, appunto, pone la questione, o quando le opinioni
correnti sono in contrasto ; si parla anche, vero, di sillogismi contrari,
ma di essi si dice che sono discorsi solo persuasivi. D'altra parte le premesse dialettiche non possono varcare confini anch'essi ben stabiliti: cio
non possono essere asserzioni chiare a tutti o non condivise da nessuno. I
criteri, in base ai quali stabilire se una situazione sia davvero problematica, sono proprio dati dall'opinione: cio solo se mancano opinioni numerose o autorevoli in proposito si pu parlare di effettiva incertezza
perch chi ragionevole non propone ci che ormai pacifico o nella sua
lampante verit o nella sua assurda paradossalit. Perci se, da un lato,
(;{4) Cfr. par. ro del cap. III.

...

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LA DIALETTICA

236

la dialettica deve evitare le discussioni su argomenti ormai limpidi e


chiari, d'altro lato, deve astenersi dal mettere in discussione ci su cui
ormai i pi o i pi sapienti sanno come pensare. La dialettica, perci,
prender a discutere le questioni che vengono riconosciute come questioni
insolute dai pi, dalla tradizione, sulle quali i pi c i pi sapienti hanno
gi emesso dei giudizi probabili m..'l in modo contrario gli uni agli altri
o i pi ai pi sapienti; oppure cercher nel patrimonio tradizionale dei
giudizi evooot quelli che possano fungere da premesse di ragionamenti
volti a trovare la soluzione di questioni sulle quali ancora nessuno si
pronunciato. Ma i confini invalicabili della disputa dialettica sono il
<pavE()(h e il nagcio';o,, ci che la tradizione considera non come probabile, ma come evidente. In questo senso la dialettica di Aristotele differisce nettamente dalla dialettica come era concepita da Platone, per il
quale essa non trovava limiti dinanzi a s, ma anzi a se stessa segnava
limiti e cammino. Il Socrate platonico, che per l'autore dei dialoghi la
pi genuina realizzazione del dialettico, non rispetta la tradizione considerandola come un qualcosa di certo c di intangibile, ma anzi la mette
continuamente alla prova, cercando di scrollare di dosso ai suoi interlocutori proprio ci che essi hanno accettato supinamente dal pensiero dei
pi o dei sapienti Sofsti. La conoscenza filosofica proprio il raggiungimento dell'essere attraverso questo dialogo, in cui affiorano le soluzioni dei problemi via via affrontati. I limiti della dialettica aristotelica
rispetto a quella platonica sono da vedere nel fatto che mentre per il
maestro dell'Accademia dialettica quella che conduce alla conoscenza
somma (3 5), per il maestro del Liceo al di sopra della dialettica c' la
scienza alla quale soltanto spetta il compito di stabilire conoscenze assolutamente certe. Solo quest' ultim.:1., perci, avendo a disposizione principi
primi e assolutamente evidenti, potr stabilire quanto della tradizione sia
da accettare e quanto sia da respingere, mentre la dialettica che si propone
solo di disputare per esercizio o per conversazione o in preparazion-e della
scienza, pu accettare, senza gran danno, i limiti imposti dalla tradizione.
La dialettica si. propone solo di suscitare discussioni e perci richiede argomenti su cui comt1nemente si ammetta la discussione, rispettanclo ciche tutti ritengono pacifico. Del resto non bisogna dimenticare che i Topica hanno sempre presente, come uno dei termini ideali di riferimento,
l'esperienza sofistica e l'esperienza eristica, sicch il porre come limite
alla discussione le opinioni ovvie poteva suonare come un invito a sfuggire la capziosit di molti argomenti oziosi dei pi abili dialettici del
tempo. N questa limitazione poteva suonare lesiva della libert di indagine, dal momento che al di l della disputa dialettica c'era la scienza,
con la quale Aristotele costruiYa una salda barriera contro i cavillatcri
capziosi. Queste asserzioni appaiono tuttavia assai importanti a chi oggi
( 3 ~)

Resp. 534e.

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PR.OBLf.M,\ f. DL\ Lf.TTICA

237

IStituisca una ricerca sulla logica di Aristotele. La nozione di problema.


non trova riconoscimento nella logica della scienza, dove il bisogno eli
fondare l'oggettivit delle teorie scientifiche si appoggia completamente
sulla categoria della necessit, sicch gli asserti scientifici non sono obiettivi in quanto possono fornire la soluzione di certi determinati problemi in
certe situazioni determinate, in riferimento alle quali possono appunto
essere provati e condivisi universalmente, ma perch costituiscono un
ordine di proposizioni derivanti con univocit da un principio intuibile:
la stessa dialettica in quanto non vuole essere una ricerca spassionata su
di un problema per raggiungere risultati rigorosi, rispetta la tradizione c
ci che essa tramanda come indiscutibile, limitandosi ad indirizzare dal
campo di ci che riconosciuto come controverso ai principi che di tutto
possono dare ragione. In questo senso il Natorp poteva parlare di dogmatismo aristotelico in confronto al criticismo platonico 6 ), in quanto,
mentre per Platone l'oggettivit della soluzione, cio l'essere dell' idea
si rivela nel dialogo, per Aristotele la validit di una soluzione provata
dal suo collocarsi in un ordine necessario. Non si vuole asserire con ci
che il secondo non sentisse egli stesso i problemi o non possedesse ~pirito
di ricerca, come pure stato affermato (37 ), ma solo che la nozione stessa
di problema non riceve riconoscimento nella ricerc.,1. istituita da Aristotele
::.ui vari tipi di discorso enunciante il reale.
Le determinazioni che abbiamo esaminato delimitano il campo entro
il quale soltanto si pu parlare di problema. Ma altre limitano dall' interno la stessa problematicit in quanto tale. Innanzitutto il discorso dialettico, pur svolgendosi intorno ad una situazione problematica, in quanto
un discorso apofantico non pu non reggersi sul principio del terzo
escluso, cio non pu non configurarsi come determinazione di un membro di un'antifasi con la conseguente esclusione dell'altro membro, senza
che entrino in considerazione termini intermedi. In questo senso Aristotele afferma che le premesse dialettiche non differiscono dalle premesse
apodittiche, in quanto al loro essere premesse sillogistiche: infatti le une
e le altre sono la determinazione di un'alternativa e lo svolgimento di
tutto quanto deriva dal corno scelto (38). Perci l' indeterminazione della
situazione prohlematica non tale da richiedere l'escogitazione, da parte
del discorso dialettico, di determinazioni che si adattino a quella situazione, perch, per indeterminata che sia, essa non potr non essere un' incertezza tra la determinazione affermativa o negativa di un'antifasi. Per
varia che possa essere la proposizione che costituir la soluzione di nn
problema, essa non potr non essere della forma .x y o x non
y : proprio perch anch'esso si svolge tutto entro antifasi, per le quali

(36) P. NnoRr, op. cit., pag. 374-376.


(37) L. RoDIN, La pense ecc., op. cit., pag. 374.
(3~) An. pr. A, r, 24a, 25-29-

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LA DIALETTICA

238

vale il principio del terzo escluso, il discorso dialettico pu configurarsi


come un sillogismo.
Inoltre in quanto il discorso dialettico enunciativo del reale non
pu non concernere la struttura necessaria di quest'ultimo, che la
struttura sostanziale : perci le proposizioni dialettiche non potranno non
enunciare o un genere o un proprio o un accidente (39) ed i problemi
non vertere intorno ad uno di essi. Risolvere un problema sar allora
semplicemente rispondere alla domanda se una determinazione y genere,
proprio o accidente, di una determinazione x e assumere una premessa
sar assumere che una determinazione y' sar genere, proprio o accidente,
di una determinazione x', secondo quanto afferma l'opinione dei pi o
dei pi sapienti. Del resto abbiamo gi visto che queste determinazioni,
caratteristiche della sostanza, sono inerenti allo stesso uso del sillogismo,
dal quale prendono senso (40): la dialettica, in quanto fa uso di sillogismi,
non potr esimersi dall'usare queste determinazioni. Poich suo compito quello di dare una ragione (opinativa) del fatto che di fronte ad
un'alternativa proposta da un problema si risponde con un'asserzione
piuttosto che con ~n'altra, essa non potr esimersi dal considerare il
genere e la definizione dei termini del problema per trovare i propri ad
essi caratteristici, oppure un proprio per dedurne un altro e cosl via;
ma tutte queste assunzioni si reggono, naturalmente, su base opinativa.
D' altra parte se l' assunzione di queste determinazioni non esplicita,
I' obiettante stesso mostrer come nelle argomentazioni dell'avversario
siano presupposte queste categorie e, anzi, proprio su ci far leva per
demolire i sillogismi costruiti dall' interlocutore. Per Aristotele nulla
reale se non connesso in qualche modo con una sostanza, sicch neppure
ci di cui si occupa la dialettica potr evitare di essere uno degli ingredienti della sostanza; anzi, il modo in cui un termine usato nel sillogismo mostra appunto quale posto si suppone che abbia nella sostanza.
Proprio perch nell' indeterminazione della situazione problematica rimane costante la struttura necessaria del reale, Aristotele in grado di elaborare una logica del discorso dialettico, di trovare cio alcuni punti di
riferimento obbligati che pu fare principi della sua ricerca, dal momento
che nessuna argomentazione pu prescindcrne. Cio Aristotele si sente
capace di costruire una logica che serve per trattare con probabilit ogni
argomento, non perch consideri la sua logica una logica formale, buona
per ogni contenuto, c non strettamente connessa con nessuno, ma perch
ogni realt non pu non collocarsi neiia struttura sostanziale.
Tuttavia non solo il genere, il proprio e l'accidente sono le determinazioni imprescindibili con le quali ha a che fare la dialettica, ch essa
deve tener conto anche delle categorie, entro le quali sono comprese tutte

Top. A, 4, IOI b, 17-19.


(10) Cfr. par. II del cap. II.

(39)

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PR.OBLEMA E DIALETTICA

239

1,~ detcnninazioni della realt (41 ). Ogni parola in quanto tale non pu
non essere compresa in una categoria (42 ), sicch il ragionamento dialettico dovr tener conto anche di queste come determinazioni imprescindibili, qualunque sia l'argomento su cui verte. Senonch, mentre la scienza
. la definizione dei termini, cio determina l'oggetto di riferimento semantico delle parole, partendo dai principi propri delle propriet comprese entro la categoria sotto cui quella parola cade, la dialettica si serve
semplicemente dell'opinione per determinare il riferimento di una parola
;~Ila categoria che le compete e per definire il significato di quella.
Messa in luce tutta la struttura della situazione problematica, pare
che si possa fare un'osservazione assai importante: la soluzione del
problema ha gi dinanzi a s le categorie di cui deve fare uso e alle quali
non potr assolutamente aggiungerne altre. La ricerca della soluzione ha
gi le sue vie segnate e non pu che chiedersi se uno dei dati del problema rientri in una delle caselle che ha a disposizione, ma mai potr
mettere in problema anche quelle categorie per vedere se altre pit adatte
siano escogitabili. Le parole, qualunque sia la loro configurazione fonetica
o gli atteggiamenti che presso chi le usa sono ad esse legati, entrano in
una delle dieci categorie, in riferimento alla quale ricevono il significato
che pare pi attendibile (dal momento che siamo in sede dialettica), senza
che ci sollevi particolari problemi, perch il rapporto da significante a
significato convenzionale e perci, per Aristotele, arbitrario, sicch ogni
significato pu essere attribuito a qualunque segno fonetico. D'altra parte,
la stessa determinazione dei significati non un qualcosa che si riferisca
ad ogni situazione problcmatica nella sua peculiarit, dal momento che le
categorie, entro le quali i significati si colloec"lno, sono dieci c non di pi
n di meno. Quando poi si considerano le parole nella loro connessione
predicativa, allora esse non possono essere che uno dei predicabili, come
dir Porfirio; c anche qui il dialettico avr risolto il problema quando avr
determinato la posizione dei suoi termini rispetto a queste determinazioni
sostanziali. Ci che distingue la dialettica dalla scienza non gi l'uso di
categorie diverse, ma l'impiego di categorie, imprescindibili per l'una come
per l'altra, non in base all'intuizione intellettuale o alla deduzione da essa
derivante, ma in base all'opinione. Ora si pu comprendere perch Aristotele invochi un criterio estrinseco per risolvere il problema dialettico, cio
ricorra. all'opinione dei pi o dci pitl sapienti: infatti, poste le determinazJom necessarie, che abbiamo sopra enumerato, proprie di ogni situazione

(4 1 ) Dopo di che bisogna distinguere i generi delle categorie, nei quali vi sono
lr. quattro cose dette. Essi sono dicci di numero, l'essenza, il quanto, il quale, il
relativo, il dove, il quando, il giacere, l'avere, il fare, il patire. Sempre, _infatti:
l'accidente, il genere, il proprio c la de(nizione saranno in una di queste categone: che
s~mprc le proposizioni pronunciate su questi termini indicano o l'essenza o il quale
o il quanto o qllalcuna delle altre categorie (Top. A, 9, 103b, 20-27).
( 42) Cfr. par. 1 del cap. I.

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LA DJALI:TTICA

240

problematica, un criterio intrinseco non pu sussistere, perch implicherebbe la possibilit di elaborare categorie nuove e adatte alla situazione
di cui criterio di risoluzione. Presupposta l'opinione come principio di
tutto il ragionamento dialettico, quest'ultimo prende una fisionomia analoga a quella del ragionamento scientifico, cio in esso le conclusioni derivano necessariamente dalle premesse opinative assunte. Eppure c' una
differenza : mentre il discorso scientifico non ammette dialogo, perch non
possibile obiettare all'assoluta necessit delle sue proposizioni, il discorso
dialettico vive in una disputa. Ci perch in quest'ultimo caso, il carattere
stesso delle premesse permette che sussistano due punti di vista contrastanti : mentre nella scienza l' intuizione dei principi primi mozza il capo
ad ogni riserva, nella dialettica l'opinione tale che pu anche sempre essere diversa da come , sicch non esclude il suo contraddittorio, ma fa s
che ad og11i sillogismo dialettico che parta da una certa premessa, si possa
opporre un altro siliogismo dialettico che parta dalla premessa contraddittoria. Ciascuno dei due discorsi in s necessario e, assunta una delle
premesse, bisogner accettarr:e incondizionatamente tutte le conseguenze ;
ma appunto possibile scegliere una delle premesse contradditorie dal momento che nessuna delle due imposta dal voil. Senonch, anche qui, la
scelta tra le due opposte premesse non potr non essere compresa entro la
struttLtra antifatica del reale, che assolutamente imprescindibile.
Ci, del resto, si collega a tutta la concezione che Aristotele ha del
possibile. In quanto la dialettica si configura come disciplina dell'accidt"ntale essa concerne il possibile. L'accidente, infatti, ci che di sua natura
indeterminato (43), cio coincide con il possibile rl(JQt<nov il cui medio
e wx:r v (44 ); ma in quanto considera accidentalmente anche il necessario - cio non dai suoi principi propri - la dialettica introduce l' indeterminazione anche in questo campo, privandosi appunto di quei principi che potrebbero fornire la determinazione necessaria. Proprio per
questo Aristotele pu parlare di problema a proposito della dialettica .
Problematicit e possibilit risultano allora connesse in quanto si ha
problema solo l dove c' indeterminazione, cio solo l dove ognuno elci
corni di un'antifasi potrebbe essere vero, ma nessuno dei due si pu dire
assolutamente vero, ossia vero per ogni momento del futuro ( 45). In quanto
rinuncia a trovare questa determinazione valida in ogni momento del
futuro o in quanto concerne cose per le quali questa determinazione non
pu essere trovata, la dialettica ha a che fare con la nozione di problema.

( 43) M etaph. L\, 30, wzsa, 14-15; ibid. E, 2, ro27a, 8-u; I3-IS; ibid. Z, II,
T037a, .:;:4-27.
( 4 4)

( 4 5)

An. frr. A, 13, 32b, 18-19.


La definizione del possibile con determinazioni puramente negative pro-

pria eli Aristotele per il quale il possibile il non-essere del necessario (cfr. par. 7 e S
del cap. I c i par. 9 c IO del cap. II).

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LA LOGICA DEL DISCORSO DIALETTICO

241

?Ila, poich il possibile semplicemente il non-essere del necessario ('16 )


c ci che , in quanto , necessario (17 ), cos il possibile consiste nel
fatto che nessuna delle determinazioni contraddittorie , sicch entrambe
potrebbero essere; ma l'unica considerazione del possibile non pu concernere il possibile in quanto tale, che non , ma solo le determinazioni di cui la possibilit, e ciascuna nel suo essere, cio nella necessit
di essere quello che . Cos mentre la scienza considera il possibile riducendolo alla necessit di una determinazione derivante necessariamente
dall'essenza di una sostanza (48 ), la dialettica riconduce il possibile alle
1ealt dei contraddittori di cui possibile, contrapponendo le due realt
nella loro necessit. Appunto perci ogni argomentazione procede necessariamente; uno degli interlocutori, infatti, si comporta come se un certo
termine x fosse una certa determinazione di una sostanza, sicch deduce
tutte le altre propriet che a quel termine, nella sostanza, sono necessariamente connesse; se l'avversario pu muovere delle obbiezioni che
riescano vittoriose, allora tutto l'edificio si capovolge e viene sostituito
dal suo contraddittorio, che per user ancor sempre le stesse categorie.
ma in senso contrario.
4 - LA LOGICA DEL DISCORSO DIAI,i,:T'l'ICO. - Dopo che si sono messi
in luce i punti di riferimento obbligati che il discorso dialettico non pu
evitare c poich essi costituiscono la struttura del reale, ben nota dopo lo
studio delle strutture del discorso in quanto tale, chiaro che la dialettica, in quanto studio del discorso dialettico, possa pretendere eli dabarare un metodo che insegni ad argomentare con correttezza intorno a
qualunque problema partendo da premesse probabili (! 9 ). N questa
f.L-tloo consiste in una escogitazione di alcune forme linguistiche che
debbano essere imposte ad ogni contenuto e che, per il fatto stesso di
essere presenti in un discorso, assicurino la sua coerenza, pur senza garantire la sua verit, ma riguarda le cose stesse intorno alle quali l'argomentazione verte. Come gi a proposito del sillogismo in quanto tale
Aristotele aveva detto che per ben sillogizzare bisogna conoscere le cose
nella loro realt di sostanze (50), cos qui afferma che per argomentare
correttamente bisogna tener conto dei rapporti intercorrenti tra gli aspetti
del reale in quanto aspetti di sostanze (51). N eppur qui, perci, si pu par-

U6) Cfr. par. 7 e 8 del cap. I.


(-17) Dc int., 9, 19a, 23-24.
(48) Cfr. paL ro del cap. III.
( 4 9) Ii proposito di questa trattazione di trovare un metodo con cui possiamo
sillogizzare intorno a qualunque problema proposto, da pre!llcsse probabili, senza
dir nulla di contraddittorio, rispondendo (Top. A, 1, rooa, r8-2r).
(50) Cfr. par. 5 del cap. II.
( > 1 ) Ci si ricava direttamente dai passi in cui /\ ristotele asserisce che la
dialettica non pu non vertere sulle determinazioni sostanziali e sulle categorie e,

16

C. A. VIANO, La logica 1/1 Aristotele.

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242

LA DIALETTICA

lare di logica formale, malgrado il proposito aristotelico di elaborare un


tipo di discorso che possa disinteressarsi del contenuto che con esso si
enuncia; d'altra parte proprio l'asserzione che per sillogizzare ( crvJ.oy(~~::
cr{)cg) sia necessario tener presente i luoghi comuni della dialettica, che
sono tutti costruiti sulla base dei rapporti necessari riscontrabili entro la
struttura sostanziale, conferma 1' inscindibilit della logica sillogistic.o'l di
Aristotele dalla sua concezione del reale come un complesso di sostanze.
Perci il non contraddirsi sar il non asserire di un termine, che si sia
supposto occupare un certo posto in una sostanza, predicati tali che siano
in contrasto con il posto che gli si assegnato: la stessa coerenza delle
forme argomentative, perci, controllata dalla compatibilit dei rapporti
sostanziali che in esse compaiono.
Ma mentre le determinazioni sostanziali compaiono come nella sede
che loro propria nel discorso scientifico dove il genere e le specie costituiscono i principi del ragionamento e i propri le cnclusioni ddl'::' apodissi, nel discorso dialettico esse compaiono solo perch le cose non possono fare a meno della struttura sostanziale e perch la struttura necessaria del discorso implica un riferimento alla struttura necessaria della
realt. Nella logica della scienza i principi, cio i generi e le loro differnze, venivano considerati come intuiti dal vo\\c; nella loro necessit
oggettiva, cio nel loro non poter essere diversi da come sono, sicch facilmente ne potevano poi derivare i propri. Anche nella dialettica, stabilito il supposto principio ne deriva necessariamente il supposto proprio
e, in genere, supposta la ragione ne deriva necessariamente la conseguenza; ma qui, appunto, l'assunzione dei principi non fondata sull'intuizione del vo-Dc;, ma sull'opinione. Proprio questa differenza ira i due
tipi di ragionamento spiega perch la dialettica non possa far uso della
nozione di genere in quanto rapporto delle cose, come soggetti di certe
propriet, e i principi propri di queste propriet (52 ). Eppure il yvo
una delle categorie alle quali necessariamente si riferisce il discorso dialettico ; senonch esso vi entra non come principio intuito dal vo\)~ e
determinante tutto il corso della dimostrazione, ma come supposizione
fatta dall'opinione che il vero principio dell'argomentare dialettico e
che pu passare da un yavo all'altro senza venir meno alle sue leggi fondamentali. Stabilire che un certo termine genere di un altro non significa segnare l' inizio eli una catena di sillogismi apodittici rifacentisi
tutti ai principi propri di uno stesso yvo, ma stabilire ci che pu. stare
a capo eli un singolo argomento, magari non pi destinato a connettersi
con altri per dar corpo all'organismo completo di una scienza. Proposito
dello scienziato quello di trovare principi tali che gli permettano di
indirettamente, da tutti g:li altti topi dialettici nei C]uali tutte le determinazioni sono
considerate come determinazioni spettanti in proprio alle cose in quanto sostanze.
( 52 ) An. Post. A, T r, 77a, 29-34: cfr. par. 7 del cap. Tll.

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LA LOGICA Df.L DISCORSO DlALETTlCC

243

costruire una serie di proposizioni necessariamente concatenate, mentre


proposito del dialettico, che si trova sempre dinanzi ad una situazione
indeterminata - nei limiti e nei modi gi visti - , quello di trovare un
elemento tale che gli permetta di determinare questa situazione. Ma,
dal momento che si in sede dialettica, non si tratta di trovare : principi
propri delle cose che entrano a far parte di questa situazione - posto
che Ii abbiano, perch la dialettica pu anche occuparsi dell'accidentale
-- ma di escogitare alcune asserzioni opinative, dei pi o pi sapienti,
che facciano al caso. Pu darsi che in queste asserzioni opinative compaia, implicita o esplicita, la nozione di genere, ma essa, 1)U'I" dovendo
(ssere tenuta presente per verificare la correttezza stessa dell'argomento,
non avr qui la funzione di fungere da principio di una cat-ena di proposizioni scientifiche. La nozione di genere, perci, viene usata dalla dialettica solo in quanto un certo genere si riferisce ad una data situazione problcmatica: in questo senso il dialettico, pur salendo a volte fino all'asserzione universale, finisce poi con l'usare le proposizioni nella loro forma
adatta al caso particolare, servendo semmai !'-enunciazione universale solo
come controllo di quella particolare ( 53 ). Perci le arg'Omentazioni non
potranno che sorgere da c intorno a determinazioni sostanziali e categorie (54); ma non si tratter, come nella scienza, di raggiungcrle con un
processo univoco che sale dalle conseguenze ai principi propri, bens di
porsi alcune tipiche questioni riguardo alle asserzioni opinative enunciate
sulle cose di cui si discute. Questi sono gli strumenti (ogy{LW..t) di cui si
deve servire la dialettica (5 5).
Assunte le proposizioni da cui si deve derivare il sillogismo, le questioni sorgono a proposito del senso delle parole che potrebbe generare
delle estensioni arbitrarie delle assunzioni, a proposito delle differenze e
a proposito delle somiglianze delle cose di cui si tratta (M1). Che questi
siano i punti di partenza del discorso dialettico deriva direttamente dalla
natura di quest'ultimo in quanto ragionamento fondato su assunzioni opinative. Infatti in sede scientifica non ha pi ragion d'essere il problema
del significato dei termini, in quanto esso si risolve in modo univoco e
(53) nisogna assumere tutte le proposizioni pi universali possibili. e di una
farne molte, per es. che identica la 5cienn degli opposti, poi che identica qt1ella dci
contrari e dci relativi. Allo stesso modo hisogna di nuovo dividere qt1este proposi:>.ioni, fino a che sia possibile, per es. che identica la scienza del bene e del male, del
bianco e del nero, del freddo e del caldo. Altrettanto dicasi per gli altri casi c; (Top.
A, 14, 105 h, 31-37).
(r. 4 ) T generi "intorno ai quali e dai quali si svolgono gli argomenti restino
distinti come si detto sopra (Top. A, 13, TOSa, 2021). L'Ef.W"l(!OO"I'lt:v allude al fatto
che proposizioni c .problemi non possono che vertere intorno al genere, di!Terenza,
proprio e accidente o a una delle categorie.
(Gti) Gli strumenti con cui ci possiamo facilmente procurare dei sillogismi e
delle induzioni sono quattro, primo assumere proposizioni, secondo saper distinguere
in quanti sensi si dice ciascuna cosa, terzo trovare le differenze, quarto la ricerca della
somiglianza (Top. A, 13, IOSa, 21-25).
(5e) Top. A, I3, 105, 23-25.

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244

LA DL>\LE'M'!CA

definitivo con l' intuizione delle essenze e con la determinazione del


significato dei nomi delle propriet in base all'apodissi 7 ), perch, grazie ai principi propri di ogni scienza, possibile passare dal significato
accidentale al significato proprio dei nomi (~ 8 ). N possono sussistere le
altre due questioni, ch la differenza delle specie entro il genere si coglie
intuitivamente, intuendo appunto le specie che fanno parte di un genere,
definito con le determinazioni che queste ultime hanno in comune, e la
somiglianza, come analogia tra cose appartenenti a generi diversi (5 9 ),
addirittura perniciosa per le scienze che non devono sconfinare dal loro
genere. Invece questi problemi sono pienamente giustificati in sede dialettica dove le assunzioni opinative prendono le parole nella loro accezione
comune, ossia direttamente dal campo in cui regna l'arbitrio, con il pericolo che gli interlocutori usino le stesse parole parlando di cose diverse (~ 0 ).
Ma posto che i due interlocutori non siano d'accordo sul significato delle
parole che usano, essi non si intenderanno perch uno di essi riuscir ad
aver ragione dell'altro proponendogli una questione di cui quello non
aveva tenuto conto nel suo ragionare, passando sopra la difficolt che vra
in grado di rovesciare tutto il suo discorso. La questione semantica,
perci, si risolver mettendo le parole in relazione alle determinazioni
necessarie delle sostanze e alle categorie : infatti bisogner, distinguendo
i significati delle parole, dare ragione di ognuno di essi (61 ), cio dare
la definizione delle varie accezioni di una stessa parola, bisogner vedere
se sotto uno stesso nome non si celino differenze di specie (62 ) o di genere (63 ) o se una stessa parola riceva molti significati diversi tra loro
potendo essere usata in pi di una categoria ( 04 ). La ricerca dialettica sul

(57) Cfr. par. 13 del cap. IIL


(uB) Cfr. par. rs del cap. !IL
( 3 ~l) .Bisogna cercare la somiglianza nelle cose che sono in generi diversi
(Top. A, 17, roSa, 7-8).
(UO) Utile l'indagare in quanti sensi si dice una cosa c per la chiarezza (ch

si sa pi chiaramente che cosa si pone quando si chiarito in quanti sensi lo si dice)


e per ragionare proprio intorno alla cosa c non intorno al nome. Non essendo chiaro
in quanti sensi si dica una cosa, pu darsi che chi risponde e chi interroga non volgano
il pensiero intorno alla steso;a cosa; chiarito in quanti sensi si dice una cosa e a quale
si allude ponendo, apparirebbe ridicolo quell'interrogante che non rivolgesse il
discorso proprio a quel senso (Top. A, r8, ro8a, r8-26).
(Gl) Per quel che riguarda la distinzione dei significati, non bisogna soltanto
distinguere in quante accezioni diverse si dice una cosa, ma tentar anche di dare le
dcfini:r.ioni di questi sensi, per es. non solo che buono si dice in un'accezione giustizia
c valore, in un'altra sano c salubre, ma anche che le une sono tali perch sono certe
qualit, altre perch sono agenti di qualche cosa e non perch siano certe qualit "
(Top. A, 15, ro6a, r~8).
(62) Prima bisogna indagare se una cosa si dice in pi sensi o in un senso solo,
riguardo alla specie (Top. A, 15, 106a, 9-10).
(63) Bisogna anche indagare i generi delle cose poste sotto lo stesso nome, se
sono diversi e non subordinati (Top. A, rs, 107a, rS-19).
(64) Bi~ogna anche indagare i generi delle categorie in relazione all'uso dei
nomi, per vedere se sono identiche le categorie di tutte le cose comprese sotto un

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LA LOGICA DEL DISCORSO DIALETTICO

245

significato dei nomi non pu evitare certi punti di riferimento che sono
necessari, sicch su di essi possibile edificare tutta una topica della semantica, valida per ogni discussione. Infatti il senso delle parole deve fondarsi sul riconoscimento del genere e della specie delle cose e delle diverse
categorie in cui entrano i predicati, sicch chi argomentasse senza tener
conto di questa pregiudiziale potrebbe, sulla guida delle parole, fare affermazioni su cose non rientranti affatto nelle premesse; allora sarebbe facilmente controbattuto dall'avversario che avanzasse distinzioni generiche,
specifiche o categoriali tali che l'argomentatore avesse precedentemente
presupposto o che non potesse rifiutare.
Ma proprio la questione semantica rinvia alle due che, nell'enumerazione aristotelica, la seguono : cio alla ricerca delle specie e alla ricerca
delle somiglianze. Infatti l'unico modo per distinguere i molteplici significati di una parola proprio il mostrare come quella stessa parola indichi
pi cose o pi rapporti tra cose: ma per far ci appunto necessario
distinguere le diverse cose che cadono sotto uno stesso genere, cio mettersi alla ricerca delle ()Lmpoga( che specificano i termini di un genere o
i generi affini (M). Ma a differenza di ci che avviene nella scienza, qui
non si tratta di cogliere le essenze delle specie intuitivamente, ma solo di
cercarle in base ai rapporti reciproci tra le cose diverse, cio proprio mettendo in relazione una specie con l'altra; il che non si pu pit\ fare una
volta che sia entrata la nozione scientifica di genere, con la rigorosa
separazione che essa impone. Ma appunto la distinzione in specie, propria
della dialettica, si configura come istituzione di rapporti di distinzione in
quanto non possibile, in questa sede, fare ricorso ai principi primi e
intuibili che si impongono nella loro assolutezza, a prescindere da confronti e da istituzione di rapporti tra le diverse specie. D'altra parte la
ricerca di somiglianza si configura anche come ricerca di ci che : analogo
nei vari generi con la netta infrazione, anche in questo caso, del postttlato della loro assoluta separazione (66 ). Proprio quest'ultimo rilievo serve
a mettere in luce il carattere essenziale della dialettica che non procede
dai principi propri ~eguendo le partizioni naturali (nel senso eh-: sono
cp1lo-1) delle cose in quanto si serve delle opinioni correnti sul conto di
esse : ora, proprio le opinioni non rispettano le partizioni in generi enttnciando, invece, considerazioni comuni (xor.wf) a tutte le cose, in qualsiasi genere rientrino. Appunto per questo la questione semantica presenta qui un particolare rilievo e l'uso dei nomi cela un pericolo magcerto nome. Ch se non sono identiche chiaro che la parola detta un omonimo '
(Top. A, '-~ 107a, 3-S).
(G5) Bisogna cercare le dilierenze nello stesso genere, mettcndole. in rela~ione
l'una con l'altra_. e tra genere e genere, purch non siano troppo distanti ..... ; che tra
quelli molto distanti le differenze sono del tutto evidenti (Top. A, 16, 107b, 39Io8a, 6).
(66) Bisogna indagare anche le cose che sono nello stesso genere, per vedere se
ad esse inerisce un che di identico (Top. A, 17, 10Sa, 14-15); ibid!. 7-8.

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LA DIALErriCA

246

giore qui che nella scienza: in quest'ultima infatti il ricorso all' intuizione e all'apodissi determina in modo nece:>sario il significato proprio
dei termini senza che sorga la possibilit di malintesi o di soluzioni saitanto verbali, mentre nella dialettica la considerazione delle opinioni comuni richiede un esame preliminare dell'uso delle parole indiscriminata. mente usate dai pi, per evitare che nel corso dell'argomentazione ci si
trovi dinnanzi ad estensioni del principio incapaci di reggere il peso delle
conseguenze che da esse si vorrebbero trarre ; ma come si visto il compito di saggiare la consistenza e la portata delle assunzioni, cio delle opinioni dei pi o dei pi sapienti, per ginnastica mentale, per disputa o per
sgombrare il campo alla scienza vera e propria, non pu essere assolto
che con la considerazione delle determinazioni necessarie del reale. Infatti le differenze di significato di uno stesso nome, che poi rimandano alle
differenze e alle somiglianze tra le cose, non si possono determinare che
in base ai concetti di genere e di specie e alle categorie. Determinate,
perci, le c1,tegorie necessarie del reale e quelle di cui si deve servire la
dialettica per la sua propria natura, Aristotele ritiene di aver compiutamente indagato gli aruana con cui ( lh'd}v) si possono costruire sillogismi
dialettici, sicch non resta che enumerare i luoghi ( TOJtO L) per usare 1
quali bisogna tener presente le cose precedentemente dette (6 7).

5 - IL

CARAT'l'ERrt DJii r. UOGHI J.; l

R.-\PPORT1 TRA T

Toj>ica.

E GLI

Aristotele osserva che il primo compito del dialettico


quello di trovare il luogo da cui argomenter (68 ). Un problema
preliminare che bisogna ora affrontare , perci, quello di sapere che eosa
significhi luogo dialettico per Aristotele. l luoghi non appartengono esclusivamente alla dialettica se il compito di cercarli proprio anche del filosofo, che pure non si preoccupa di indirizzare i suoi argomenti contro un
avversario ( 60 ); perci la propriet distintiva dei luoghi propriamente
dialettici sar il loro carattere interrogativo (70 ). Poich luoghi sono anche
quelli da cui procede la scienza, il r:n:o sar un principio, cio potr fungere da premessa d un sillogismo; senonch, mentre lo scienziato si
preoccupa solo che i luoghi da cui procede siano veri e pi vicini possibili agli assiomi (7 1 ), cio assume premesse assolutamente determinate e
Analytica. -

(67) Quelli che precedono sono gli organi con cui si costruiscono i sillogismi; i
luoghi per i quali sono utili le cose dette precedentemente sono i seguenti (Top. A,
J8, I08b, 32-33).
(68) Innanzitutto chi sta per interrog-are deve trovare il luogo donde possa
mtraprendere l'argomenta~ione (Top. El, I, r.q b, 4-5).
(60) Fino al ritrovamento del luogo comune la ricerca del filosofo e del
dialettico, ma l' ordinar li e l' interrogare proprio del dialettico: tutto cic\ i:1fatti,
che tien conto di vn interlocutore non interessa al filosofo e a chi conduce una ncerca
solitaria (Top, 0, I, 151 b, 7-I r).
(7o) Il dialettico deve in secondo luogo interrogare c ordinare ogni cosa da se
stesso (Top. 0, I, 151 h, 5-7).
(11) 'J'op. 0, I, 151 b, II-16.

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TOP/CA E ANALYTICA

247

complete in se stesse, il dialettico no.1 ha a sua disposizione luoghi che


costituiscano punti di partenza intuitivamente evidenti, ch in questo caso
non potrebbe pi venire a colloquio con un interlocutore, n potrebbe oc-.
cuparsi di una situazione di indeterminazione, cio di un problema. Perci
i luoghi dialettici sono propriamente sillogismi incompleti fondati sui nessi
necessari intercorrenti tra le determinazioni necessarie del reale, inteso
come sostanza. L'uso eli questo o quel luogo, che dipende poi dall'uso di
questa o quella determinazione del reale per risolvere il problema che si
offre al dialettico, dipende dall'assunzione opinativa: appunto perci lepre~
messe del sillogismo dialettico possono essere interrogative. Vi sono, per
es., dei luoghi che riguardano le relazioni tra il genere e la specie a proposito delle quali asseriscono che non tutto ci che compreso nel genere
compreso nella specie e che. tutto ci che compreso nella specie , invece,
compreso nel genere (' 2 ) : ora perch questo luogo entri in fnmione
appunto necessario che ci siano due termini, x e y, tali che l'uno sia specie e l'altro genere di quella specie. Ci pu avvenire per assunzione opinativa; ossia proprio qui pu inserirsi la domanda con cui il dialettico
d inizio alla sua argomentazione: y genere di x? . Se l' interlocntore concede, il luogo pu senz' altro entrare in funzione e costituire
l'ossatura. di un'argomentazione ; ma se colui che conduce il discorso e pone
le domande non solo dimentica di invocare il luogo, ma addirittura ragiona in modo opposto a ci che esso stabilisce, allora quello stesso luogo
pu essere invoca.to dall' interlocutore per abbattere la costruzione di chi
lo aveva interrogato per primo. L' incoerenza dell' avversario, che ora
l' obbiettante mette in luce, con l'uso di questo luogo, non incoerenza
come trasgressione delle leggi sillogistiche, ma come negazione di un rapporto reale. Se, per es., ammesso che animale genere di uomo >>,
si nega che si possa dire l'animale mortale , si pu sempre fare
osservare che, fatta la prima ammissione e dovendosi ammettere che
l'uomo mortale, ne deriva necessariamente che anche l'animale
mortale: e tutto ci senza che si sia ricorso ai principi propri occorrenti
per studiare scientificamente il genere animale e senza che si sia fatto
ricorso all' intuizione dell'essenza di uomo , cio rimanendo solo su
basi opinative. Come si vede il luogo sfrutta le relazioni che i termini del
reale offrono e presuppone che tra questi termini intercorrano relazioni
di tipo sillogistico che costituiscono l'essere della necessit del discorso
Tuttavia qui sorge un problema assai grave.
I}interpretazione che abbiamo dato fin qui dei Topica si fonda soprattutto sull'esame del libro A, nel quale Aristotele stabilisce le relazioni tra
dialettica c apodittica e cerca di enucleare i presupposti logici pi generali della prima. Ma a questo punto sorg(' un problema non irrilevante.
( 72 ) Tutto ci
III a, 20-21); Non

che ineriscc alla specie inerisce anche al genere (Top. R, 4,


necess:uio che tutto quanto ineriscc al genere incrisca anche

calla specie (il)id. zs-:26).

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248

LA DIALETTICA

Infatti ormai convinzione abbastanza diffusa che i Topica siano una


raccolta di parti scritte in tempi diversi e, in particolare, che il libro A
sia tra quelli pi recenti; sicch non sarebbe legittimo interpretare tutte
le teorie dialettiche come se presupponessero la scoperta del sillogismo, la
<l.istinzione tra sillogismo dialettico e sillogismo apodittico e tutte le altre
tesi sostenute nel libro A. questa un'osservazione da non trascurare
anche perch mette in luce il carattere particolare dell'opera che andiamo
esaminando. Da un certo punto di vista essa si presenta come un tutto
unitario formato da parti ben connesse, delle quali la prima costituisce
l' introduzione a tutte le altre. Ma ad un esame pi attento essa si rivela
formata di parti o gmppi di parti abbastanza indipendenti c raccolti poi
per mezzo di un'introduzione comune. E non molto difficile negli otto
libri trovare le ripetizioni, distinguere le parti probabilmente pi antiche,
individuare degli strati di composizione. N eli' esecuzione di questo la voro
diventa importantissimo il fatto che i T opiea appartengono con molta
probabilit al periodo accademico di Aristotele e la possibilit di stabilire delle relazioni tra il lavoro dell'Accademia e quest'opera della Stagirita. Gi i Topica sono stati studiati in relazione alle regole logiche vigenti
nell'Accademia (73 ) ; altri ha studiato i temi platonici ai quali si riconnettono (74 ); altri ancora riferimenti materiali alle dottrine comunemente
circolanti nella scuola platonica (7").
Dal nostro punto di vista tuttavia ci preme considerare i Topica non
tanto come un documento di vita culturale dell'Accademia, quanto piuttosto come la manifestazione di interessi e eli dottrine dai quali nasceranno
]e teorie logiche pi mature. E proprio in una considerazione condotta
sotto questo angolo visuale emerge l'aspetto paradossale dei Topica che
sono ad un tempo precedente ed elemento dell'opera logica complessiva. Il
libro A dell'opera realizza questo duplice aspetto in modo emblematico. Da
un lato esso si configura come il presupposto degli altri libri, dall'altro
come il loro naturale risultato in pieno accordo con la logica analitica. Il
nostro problema sar proprio quello di studiare la nascita del libro A ne1
suo aspetto bifronte, di vedere cio come da un lato la logica dei T opiea
sia invecchiata e sostituita da quella degli Analytica e dall'altro come essa
possa ancora sempre essere utilizzata per le discussioni dialettiche. Il recupero delle dottrine sostenute in quell'.opera reso possibile dal fatto che
la logica in essa indagata era una logica prescientifica, cos come in ogni
caso la discussione dialettica sorge solo l dove la scienza non ancora
venuta a stabilire ci che definitivamente vero e ci che irrevocabilmente falso. Ma perch il recupero sia possibile occorre ancora un
(73) R HAMHRUCH, Logische Regeln der platonischen Sch1ile it~ der aristotelischen Topik, Wissenschaftliche Biclage zum Jahrerbericht rles Askanischen Gymnasiums zu Berlin, 1904.
(74) MAIER, op. cit., II vol., 2" parte, pp. 23-56; SoLMSEN, op. cit., pp. 23I-293(7u) CRERNISS, op. dt., pp. 1-27.

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IL LINGUAGGIO

LE RELAZIONI

249

altro elemento : bisogna cio che tra le tesi dei T opica e quelle degli
Analytica ci sia compatibilit. Ora, di fatto, la seconda opera ha portato
delle correzioni o dei mutamenti profondi alle tesi e all' impostazione
stessa della prima; ma in questa sono maturati quei motivi e quegli inteteressi che si sono realizzati nella seconda, sicch la logica dialettica in
essa illustrata pu fungere davvero da momento precedente della logic-'1
analitica. Esaminare questa relazione di precedenza significa collocare i
T opica al loro posto nel corpus logicum dello Stagirita, cio trovarne le
relazioni storiche con le altre parti e nello stesso tempo le relazioni sistematiche che Aristotele aveva pensato di poter istituire.
6. - I LUOGHI SUL .LINGUAGGio E SULLE RJ;LAZIO:.\'I. - Il libro B
dei Topica costituisce una specie di stmmw della dialettica, abbastanza
indipendente dalle altre parti dell'opera. Esso si occupa dei pi semplici
rapporti di opposizione tra proposizioni di qualit e quantit diversa e
clle possibili conversioni, della pluralit di significato delle parole e delle
relazioni di somiglianza, di contrariet, di correlazione, d,i piLI e meno ecc.
ccc. Su alcuni di questi argomenti ritorneranno i libri A c H per es.,
ma in modi assai diversi c senza stretti rapporti con il libro B. D'altra
parte i libri 6_, E e Z, che trattano con rigore c sistematicit del proprio e della definizione, non hanno leg-ami particolarmente evidenti con
il libro B e con gli altri, costituendo piuttosto un trattato unitario abbastanza organico.
La trattazione all' interno del libro B si svolge in modo ordinato e
coerente. Attacca. distinguendo tra le proposizioni universali e le particolari, che presentano la relazione predicativa con l'aggiunta di condizioni limitative, e mette in luce l' implic-'tzione delle proposizioni particolari da parte delle universali. Fatta questa distinzione, si pu dire che
il genere, la definizione e il proprio possono comparire solo ~empre in
proposizioni universali, essendo le particolari caratteristiche dell'accidente ('H>). Queste classificazioni diventano subito vincolanti per chi fa ragionamenti dialettici: impediscono di disporre a piacere delle qualit e
quantit delle proposizioni e di confondere il genere con l'accidente o il
proprio con l'accidente ecc. Anzi termini qualificati con tipi affini di proposizioni, come il genere e la specie, si controllano a vicenda (7 7 ). Fin da
questo punto possibile avere un quadro abbastanza chiaro del modo in
cui concretamente funziona quella logica dialettica che fin qui abbiamo
presentato nelle sue linee gener~i e astratte. Chi si impegna in un dialogo pronuncia proposizioni che appartengono a tipi determinati e mettono alle prese con termini reali definiti sulla base delle proposizion
(7ll) Top. B, I.
(77) Top. D, ... 109a, 34-b, 29.

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250

LA DIALETTICA

usate: termtm e proposizioni hanno relazioni obbligate, sulle quali insiste la logica dialettica costruendo i luoghi.
Ma la proposizione un oggetto estremamente ambiguo. Da un lato
essa deve fare i conti con le cose che enuncia (' 8 ), dall'altro con il linguaggio in cui ha sede (H1). Dal primo punto di vista. essa pu fare parte
del corpo di una disciplina specifica cd essere vera o falsa in relazione
-con i presupposti di essa; e tuttavia possibile isolare delle relazioni
costanti anche tra proposizioni che risulterebbero false se messe a confronto con i principi di una determinata scienza. Dal secondo punto di
vista uno stesso enunciato pu essere vero e falso se detto da due interlocuto.ri diversi che danno significati diversi alle medesime parole. Questi
tem1ini di riferimento servono abbastanza bene a definire il campo della
logica dialettica. Essa, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, deve
escogitare degli schemi di argomento, cio mostrare come certe supposizioni ne implichino necessariamente delle altre. La zona pi ricca di questi po?sibili schemi, che tuttavia non vincolino a principi scientifici che
potrebbero tronare ogni discussione, quella costituita dalle relazioni
costanti delle proposizioni a prescindere dalla loro verit o falsit di fatto.
E in realt proprio quelle relazioni concernono quasi tutti i luoghi che si
trovano nei Topica.
Tuttavia la possibilit di imbastire una discussione che non parta
da verit di fatto, che non stailism ogni battuta sulla scorta diretta o
indiretta di una verit di fatto. che tuttavia sia logicamente organizzata sulla base delle relazioni che le proposizioni, per il solo fatto di essere tali, costituiscono, presuppone che il linguaggio, che il veicolo delle
proposizioni, sia unificato. Vi sono argomenti sui quali, nell' intervallo
<:ompreso tra l'evidente e il paradossale, si possono fare molte assunzioni
probabili e non aventi il crisma della certezza intuitiva. Poich non
possibile o non si vuole stabilire quale di esse sia l'unica vera, se ne sceglie una e la si discute. Il ragionamento porter da s ad un punto in
cui si potr emettere un giudizio sull'assunzione; e magari perch si
giunti ad un paradosso. Ma tutto il ragionamento che sta tra l'assunzione
e il punto di arrivo, positivo o negativo, procede sulla scorta delle pure
propriet logiche delle proposizioni. Un ragionamento di questo genere
pu sussistere per solo in un universo linguistico perfettamente unific.."tto.
Infatti si potrebbe dare il caso di una discussione dialettica che partisse
dall' assunzione ogni A B e arrivasse contemporaneamente a due
conclusioni contraddittorie tra loro come ogni C B e nessun C
B . In questo caso si potrebbe dire o che le relazioni logiche pure non
hanno orientato sufficientemente la discussione o che c' un disaccordo
nella scelta tra la proposizione ognt C A e la proposizione nessun

(78) Top. B, 2, r09b, 30-JIOa, 9(79) Top. B, r, r09a, 30-33.

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IL LINOUAOGrO E Lt: RF.LAZIONI

251

C A . La proposizione ogni A B non pu determinare con le


sue sole propriet logiche la scelta tra ogni C A e nessun C
A . Si potrebbe dire allora che solo una constatazione di fatto pu risolvere il problema. Ma ci sono dei casi in cui le cose non stanno cos. Sostituendo delle costanti alle variabili potremmo considerare questo esempio. Partiamo dall'assunzione ogni uomo libero per natura ; di qui
due interlocutori potrebbero arrivare a due conclusioni contraddittorie,
per es. non esistono schiavi per natura e esistono schiavi per natura. Ora pu darsi che gli interlocutori siano d'accordo su proposizioni
di fatto come i Greci sono liberi per natura e i barbari non sono liberi per natth . In questo caso l'origine del disaccordo andrebbe cercata
nelle sede linguistic.:1. delle proposizioni : ci che d luogo alla contraddizione forse un disaccordo sul _significato dei termini. Pu darsi per
es. che l'uno escluda i barbari dalla classe uomo e consideri gii schiavi
<:ome esseri inferiori : costui pu asserire che tutti gli uomini sono liberi
per natura e che tuttavia esistono degli schiavi per natura, per es. i barbari. L'altro potrebbe accettare il significato del termine uomo , ma
non quello del tem1ine schiavo e dire, per es., che schiaYi sono solo
gli uomini privati della loro libert : in questo caso i barbari non costituiscono pi un fondamento sufficiente per asserire in generale eh~ esistono degli schiavi per natura. Oppure pu darsi che gli interlocutori
uno dei quali afferma non esistono schiavi per natura e t'altro esistono degli schiavi per natura siano entrambi pronti a riconoscere che
se ci sono degli uomini privati da natura della libert, questi sono schiavi.
Uno degli interlocutori pu allora portare come esempio di uomini non
liberi per natura i barbari e concludere che esistono degli schiavi per
natura. L'altro pu non accettare questa conclusione sostendcndo che i
barbari non sono uomini : qui il disaccordo sul significato da dare alla
parola uomo . Il linguaggio perci si manifesta subito come fonte di
possibili difficolt logiche e la condizione preliminare per poter condurre
una discussione dialettica quella di possedere un universo linguistico
unificato. Per raggiungere questo scopo Aristotele indica una v1a apparentemente molto semplice: attenersi all'uso comune (SO).
Tuttavia neppure questa avvertenza in grado di abolire completamente le difficolt suscitate dal linguaggio. Infatti anche nell'uso comune
una parola pu avere una molteplicit di significati, cio riferirsi a classi
di oggetti per le quali non valgono sempre le medesime asserzioni (81 ).
L'unico rimedio contro questa difficolt consiste nello stabilire quanti e
quali siano i significati diversi di una medesima parola, per poter pronunc!are proposizioni diverse per ciascuno di essi. Spesso per l' ambiguit
linguistica dovuta alla possibilit eli indicare con uno stesso termine
(SO) Top. B, 2, uoa, 15-17.
(81) Top. B, 3, IIOa, 23- b, 15.

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LA DIALETTICA

252

una molteplicit di relazioni logiche diverse (R 2) o con parole diverse la


stessa cosa (82 ). L'unica forma di controllo della sinonimia e dell'omonimia consiste in un' indagine sui modi in cui i termini linguistici entrano
nelle proposizioni. Infatti si pu dire in generale che una parola ha significati diversi quando pu entrare in proposizioni diverse e incompatibili,
mentre si pu dire che pi parole hanno il medesimo significato quando
non possono essere predicate l'una dell'altra o, in generale, non possono
comparire come termini diversi eli una stessa proposizione. L'esame delle
proposizioni perci l'unico strumento di controllo della sfera di significato propria di ciascun termine. Le parole possono essere assunte nel
loro significato corrente, ma l'uso di esse in proposizioni p~rter alla distinzione dei significati, alla rilcvazione delle sinonimie e delle omonimie.
Questa impostazione del problema presuppone la hen nota tesi ari-stotelica per cui le parole isolatamente prese sono convenzionali, mentre
tali non sono le proposizioni. Le parole, cio, di per s non sono n vere
n false e perci non obbediscono a particolari regole, sicch nell'usarle si
pu seguire la consuetudine instaurata dai pi senza fare appello a competenze specifiche. Invece le proposizioni non sono pit arbitrarie, appartengono a discipline organizzate, richiedono delle competenze (84 ). Se
perci viene controllato sulla base delle proposizioni, il significato delle
parole non sar pi convenzionale; convenzionale rester solo il suono o
il segno scritto con cui una realt indicata.
Proprio a questo punto per emerge il piano che abbiamo indicato
come la sede propria della logica dialettica. Infatti supponiamo che il
termine A compaia in due proposizioni siffatte ogni A E e nessun A B ; supponiamo che esse siano ugualmente certe o abbiano lo
stesso grado di probabilit, sicch entrambi gli interlocutori siano d'rrccordo sul loro conto. Esse sono tuttavia incompatibili, sicch, se si vogliono mantenere entrambe, bisogner anm1ettere che il termine A ha
due significati diversi. Ma che cosa fa dire che le due proposizioni sopra
citate sono incompatibili? Si tratta di vedere cio se le proposizioni siano
incompatibili perch i due A indicano cose diverse o se i due A indicano
cose diverse perch le due proposizioni sono incompatibili. In quest'ultimo
caso 1' incompatibilit riguarderebbe gli enunciati delle proposizioni, sarebbe un fatto logico-linguistico; nel primo caso, invece, l' incompatibilit la manifestazione della mancanza di adeguazione del linguaggio
alle cose. N el secondo caso le regole per stabilire la compatibilit e
l'incompatibilit delle proposizioni sono regole linguistiche e potrebbero
anche essere interpretate come regole convenzionali ; nel primo caso le
regole non sono in nessun modo convenzionali e sono desunte d..'llla realt
stessa. Le due proposizioni sopra citate sono per Aristotele incompatibili

n, 3. JJOb, r6~ l Ila, 7.


(83) Top. B, 6, II2b, 21-26.
(84) Top. "R, z. noa, 14-22.
(82) Top.

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(L UNGUAGGIO 1: LI.:

~~LAZ!ON!

25.3

perch contraddittorie e l'esclusione della contraddizione un carattere


fondamentale della realt stessa: una cosa non pu avere predicati contraddittorii, in quanto sostanza. Date due proposizioni contraddittorie
o una vera e l'altra falsa oppure non si riferiscono alla stessa cosa, ma
nascondono un equivoco verbale. La compatibilit e l' incompatibilit,
che noi abbiamo esemplificato sulla base della contraddizione, regolata
perci dalle relazioni costanti tra le proposizioni, stabilite a prescindere
dalla loro verit di fatto ; quelle relazioni cui abbiamo accennato all'inizio
di questo paragrafo. Date due proposizioni, di cui una universale affermativa e l'altra universale negativa, a prescindere dalla loro verit o fal:>it di fatto, esse sono sicuramente incompatibili. perch la non-contraddizione una delle relazioni costanti tra le proposizioni. Ma essa una
delle relazioni co5tanti tra proposizioni perch una relazione costante
della realt. Infatti le relazioni tra proposizioni sono legate alle relazioni
tra generi, specie, proprii e accidenti, sicch non ci pu essere un::t proposizione che abbia certe propriet e che non abbia da fare i conti con
uno di quei termini: cos, per es. una proposizione universale non potr
non indicare la relazione tra una specie e un proprio di essa o tra una
specie e un genere, mentre una proposizione particolare dovr indicare la
relazione tra una specie e un accidente o tra un genere e una sua specie.
La considerazione del linguaggio mette in luce l'esistenza di relazioni reali
costanti appurabili astraendo dalle cose singole tra le quali intercorrono.
Con ci Aristotele mantiene con una certa nettezza i confini del campo
della dialettica cui avevamo alluso al principio del paragrafo : il linguaggio in qu~mto pu essere arbitrariamente cambiato, un preliminare della
discussione sul quale ci si pu accordare, adottando per es. il linguaggio
comune e correggendolo via via che la discussione lo richieder. Ma queste correzioni dovranno essere apportate solo sulla base delle relazioni tra
le proposizioni, che sono quelle che costituiscono l'ossatura della discussione e alle r1uali gli schemi logici della dialettica devono richiamarsi. Infatti solo se le parole portano a contravvenire a quelle relazioni bisogna
mutare il loro significato e i criteri da. osservare nel mutamento sono
ancora quelle relazioni. La possibilit di correggere i significati delle
parole senza tener conto delle classi di cose cui esse si riferiscono permette appunto ad Aristotele di astrarre le strutture logico-linguistiche che
costituiscono la forma della realt e che permettono il movimento della
logica dialettica.
Su questa base il compito delia dialettica diventa quello di trovare il
maggior numero possibile di schemi di argomento, cio di passaggi obbligati da una proposizione all'altra a prescindere dai suoi contenuti di
fatto. Il libro B dei Topica sviluppa tutta una serie di luoghi particolarmente interessanti e un poco inconsueti nella logica di Aristotele, tanto
che si parlato a proposito di essi di una logica delle relazioni (8), ab(8~)

BocHNSKI, op. cit., pp. 68-70.

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254

LA DIAL::.TTJCA

bastanza aberrante rispetto alle altre parti dell' Organon. Questi luoghi sfondano sull'osservazione che se si introducono nel discorso delle relazioni opportune, come quelle di somiglianza, di maggiore e minore, di
correlazione, ecc., si pu, detenninando uno dei termini, determinare anche
l'altro. Per es. la relazione del pi e del meno - !-Hiov xc ~nov, come
la chiama Aristotele - si articola in quattro modi (86 ) : I 0 ) al pi consegue il pi e al meno il meno ; 2") se pi verosimile che x inerisca a y
che a z, allora se non inerisce al primo, non inerir neppure al secondo e
se inerisce al secondo, allora, a maggior ragione, inerir anche al primo ;
3") se pi verosimile che x anzich )' inerisca a z, allora se x non inerisce, non inerir neppure y e se inerisce y inerir anche x; 4") se pi
verosimile che x inerisca a z che non .Y a t, allora se x non inerisce a z,
neppure y inerir a t e se y inerisce a t, allora anche x inerir a z. In
modo analogo Aristotele ragiona per le relazioni di contrariet c di correlativit. Infatti i contrari possono essere uniti in sei modi dei quali solo
quattro sono vere e proprie relazioni di contrariet (8 7). Ma per ben
distinguere quali relazioni si escludano e quali no occorre anche vedere
quali conseguano l'una all'altra e quali no (88 ); ora, il conseguente di
l'uomo animale non-animale non-uomo e non non-uomo

(86) Ancora altri luoghi derivano dal pi e dal meno. Quattro son0 i luoghi
del pi e del meno, tlllO se consegue il pi al pilt, per es.. se il piacere 5egue il bene,
un maggior piacere segue un maggior bene, e se il- fare ingiustizia male anche il
fare maggiori ingiustizie sar maggior male. Questo luogo utile in entrambi i
sensi. .. Un altro luogo: ~e una stessa <osa. si dice di due cose diverse, se a quella
cui maggiormenk pare che inerisca non incrisce, non inerir neppure a quella cui pare
inerire di meno e se inerisce a quella cui meno pare che incrisce, inerir anche a
quella cui maggiormente pare che inerisca.. J noltre se due cose si dicono i una sola,
se quella che pi sembra inerire 11on ineriscc, non inerir neppure quella che lo sembra di meno e se inerisce quella che meno eembra inerire, inerir anche quella che lo
sembra di pi. Infine se due cose ineriscuno a due altre cose, se quella che maggiormente sembra inerire al suo soggetto non incrisce, non in~rir n~ppure quella che
sembra di meno, e se inerisce quella che meno sembra inerre al suo termine, inerir
anche il restante predicato al restante wggctto (Top. B, 10, II4b, 37 nsa. q).
(87) Poich i contrari si connettono in sei modi, ma solo quattro di essi
generano contrariet, bisogna assumere i contrari, affinch servano a chi confuta c
a chi argomenta. Che i contrari si possano riunire in sci modi chiaro: infatti o
ciascun termine di una coppia di contrari si unisce a ciascun termine di un'altra coppia; e questo avviene in due mankre, per es. far bene agli amici e far male ai nemici
o. al contrario, far male agli amici e far bene ai nemici. O quando due termini si
eonnettono con un solo termine; cC: anche questo avviene in due modi, per es. far bene
c far male agli amici o far hene c far male ai nemici. O quando un termine legato
a due altri; e anche questo avviene in due moi, per es. far bene agli amici e ai nemiei c far male agli amici e ai nemici,
Le due prime cmmessioni non costituiscono contrariet (Top. 13, 7, II2b,
27 - II3 a, 2).
(8~) Poich quattro sono le contrariet, si pu indagare movendo dalle contraddizioni, cio dalle conseguenze in senso invcr so, sia da chi confuti che da chi
argomenti, assumere per induzione, per es. se l'uomo animale, il non-at~imale
non-uomo. Altrettanto per gli altri casi. Perch qui si ha conseguenza mversa:
infatti a uomo consegue animale, ma non a non-uomo non-animale, bens, al contra- rio, a non-animale non-uomo (Top. B, 8, ll3b, r5-2r).

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IL L!NOUAOGIO E LE RELAZIONI

255

non-animale , perch se l'uomo animale il non-animale non-uomo,


cio ai rapporti di conseguenza uomo-animale non-animale - non-uomo
corrispondono i rapporti di contraddittoriet uomo- non-uomo e animale
- non-animale (89), Sulla base di questi schemi il dialettico dovr soprattutto preoccuparsi di instaurare qualcuna delle relazioni sopra illustrate ;
dopo di che disporr del precedente necessario per far compiere qualche
passo innanzi al proprio ragionamento. Cos se si assume che un' ingiustizia un male e che un' ingiustizia maggiore male a maggior ragione di un' ingiustizia minore, ne deriva che una volta ammesso che a
un' ingiustizia minore di b e che un male, a maggior ragione sar un
male b. Cos se si ammette che la giustizia un bene, si dovr poi arnmettere che agire giustamente agire bene. Questi luoghi servono soprattutto per stabilire delle distinzioni tra le diverse classi di cose e in questo
senso servono molto opportunamente ad operare le correzioni delle omonimie. Infatti servendosi di essi possibile definire le classi di cose che
}mnno affinit logica tra loro : riunire per es. quelle che crescono o decrescono contemporaneamente rispetto ad una certa propriet, quelle che
giacciono dalla stessa parte di un'opposizione. quelle che sono correlative
e cos via. Aristotele in questa sede non stabilisce nessuna differenza tra
una logic.:1. delle relazioni e una logica dei predicati, anzi non vede neppure nessuna difficolt nella connessione tra la prima e la seconda parte
dd lihro B dei Topica. Le relazioni di pi e meno, di contrariet, di
correlazione, ecc. si applicano secondo lui a rapporti predicativi e fanno
da ponte per inferire altri rapporti predicativi ; quelle relazioni costituiscono passaggi obbligati del discorso, ma appartengono alle cose. Tutto
ci fa pensare che per Aristotele la considerazione della relazione possa
entrare perfettamente in una log-ic.:1. della predicazionc: il fondamento di
questa inclusione consiste nel fatto che la relazione non per lui indipendente dai suoi termini, ma anzi compresa nella e determinata dalla
natura di essi. II problema della comparazione presupposta dalla relazione, cio dall' elemento di arbitrariet introdotto nell' oggettivit delle
cose mediante il paragone rispetto ad un terzo termine istituito tra due
di esse, qui non affiora e non compromette la considerazione della relazione come un qualcosa di dato insieme con le cose che ne sono i termini.
Basta la semplice menzione dei luoghi di cui ci siamo occupati nell'esame del lihro B dei T opia per accorgersi assai agevolmente come essi
ricalchino da vicino alcune forme argomentative tipiche dei dialoghi platonici e della sofistica. Non qui nostro compito cercare e sottolineare
queste affinit. Ma non forse inutile rilevare uno dei caratteri a nostro
parere pi salienti di questo libro: una sumnt.a di luoghi dialettici effet
tivamente in uso, senza eccessive preoccupazioni sistematiche. Tutti i
luoghi utili al dialettico sono sottolineati con molta libert, sia che fac-

(89) Top_ B, 8, 113 b, 17-21 (dr. nota precedente).

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LA DIALETTICA

256

ciano appello a relazioni sia che facciano appello a proposizioni o ai rapporti delle classi. Si direbbe che l'attenzione di Aristotele stata attirata
soprattutto dai primi dialoghi platonici, dove assai meno assillante che
negli ultimi la preoccupazione di enucleare i fondamenti del metodo
dialettico usato. La problcmatica portata alla luce dalla dicotomia platonica non occupa ancora l'attenzione di Aristotele che in questo libro dcdic.:1. solo una piccola parte alla sistematica dei generi e delle specie, giustapposta per ad altri luoghi eterogenei e considerati ugualmente importanti. L'eco della disputa effettiva si sente abbastanza in queste pagine dei
Topt'ca e si direbbe che Aristotele desiderasse instaurare in essa una disciplina che non distruggesse tuttavia la libert della discussione. Ciascun interlocutore pu giocare tutte le c.:1.rte che sono a proprio vantaggio,
ma non deve barare, passando dal discorso dialettico a quello sofistico (90 ).
I luoghi che Aristotele escogita non sono giochi di parole o tranelli logici,
ma passaggi linguistici fondati sulla realt delle cose e particolarmente
adatti ad essere impiegati in una discussione in cui uno interroga e l'altro
risponde.
7 - LA S'l'RU'nURA LOGICA DEL REALE. - l libri 0., E e Z dei
Topica costituiscono una trattazione unitaria e organizzata preceduta da
un programma che stabilisce le relazioni sussistenti tra gli argomenti
trattati dai tre libri (91 ). Il libro A tratter del genere, il successivo del
proprio: sono gli elementi della definizione, della quale tratter lo Z. Si
tratta di argomenti piuttosto trascurati dai disputanti. L'organizzazione
unitaria e l' insistenza sulla novit dell'argomento caratterizzano assai
bene questa parte dei Topica distinguendola dalle altre. Non difficile
scorgere, come molti interpreti hanno visto, attraverso i luoghi che Aristotele illustra in questi libri, la problematica tipica della dialettica dicotomica di Platone. La gerarchia dei generi e delle specie, lo studio dei
propri che caratterizzano la specie, in particolare, sono argomenti proposti con speciale urgenza dal processo divisorio platonico. Tuttavia
Aristotele non parla mai direttamente della dicotomia. In altre parti de!l'Organon, gi esaminate, egli non esita a prendere una posizione aperta in
proposito, non temendo di trattare piuttosto male uno strumento di ricerca assai caro al suo maestro. Si pu forse spiegare questo fatto ammettendo che Aristotele non voglia qui criticare il metodo divisorio, ma
preferisca esplorarne i presupposti e i veri argomenti che essi rendono
possibili. Esso stesso in realt fa appello a tutta una struttura logica
costituita da relazioni costanti ben definite, le quali pennettono movimenti dialettici piit numerosi e pi stringenti di quelli consentiti dal
procedimento diairetico. L' interesse di Aristotele consiste appunto nel
(00) Top.
(91)

n,

Top. J'l.,

5. IIIb, 32-IJ2a, 15.


1, 120b,

IZ-15.

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LA STRUTTURA LOGICA DEL REALE

257

Iendersi conto di quelle relazioni, delle condizioni necessarie perch sussistano i nessi logici che poi la dicotomia pu servire a ritrovare. In
questo senso in un passo degli Analytica posteriora (ll:!) Aristotele considera la divisione come un buon mezzo per fare un inventario delle specie,
ma non come strumento adatto a penetrare le relazioni necessarie. E invece
egli preferisce esaminare le condizioni necessarie per l'asserzione di ogni
passaggio del processo diairetico, cio per l'inclusione di una specie in
un genere, di un genere in un altro, di un individuo in una specie ecc.
Di qui pu prendere le mosse una discussione dialettica in cui uno debba
difendere le proprie asserzioni e l'altro le debba attaccare. La rilevazione
dell' iriteresse che guida Aristotele in questa parte dei Topica abbastanza importante e serve a precisarne la posizione di fronte alla dialettica platonica. La dicotomia, quale presentata nel Sofista e nel Politico,
non ha l'aspetto di un ragionamento costrittivo, ma di una serie di assunzioni ordinate e interdipendenti che gli interlocutori fanno di comune
accordo. Ess.:1. presuppone un certo ordine logico della materia con cui
ha da fare, ma non crede che questo ordine esima dal fare scelte o assunzioni ad ogni passo. Neppure Aristotele pensa che si possa fare a meno
delle assunzioni: tutto il discorso dialettico procede sulta base di assunzioni precedenti. Egli per tenta di ridurre al minimo il numero delle
assunzioni, supponendo che ciascuna eli esse sia suscettibile di sviluppi
analitici fondaili proprio sulla struttura logica elci generi e delle specie cui
anche b dicotomia fa riferimento. Chi, per es., prendesse tre termini A,
B, C e li ponesse come termini di relazioni reciproche nella struttura
logica presupposta dalla dicotomia, troverebbe subito il divieto di prommciare qualche altra proposizione successiva e la necessit di ag-giungerne
altre al proprio discorso. Supposto, per es., A genere di B e di C bisognerebbe ammettere che R c C hanno delle propriet in comune, ma che
non hanno in comune almeno una propriet essenziale a ciascune di essi :
oppure ammesso A come genere di B e B come genere eli C, non si pu
dire che C pi ampio di A, ma anzi bisogna ammettere che incluso in
A. In questo senso all' inizio dd libro l\ Aristotele insiste sulla relativa novit delle cose che sta per dire: i dialettici raramente pensano a
trarre partito dalle relazioni logiche univoche che nelle discussioni vengono assunte in gran numero, ma che raramente vengono sfruttate. Tutta
una serie di luoghi compresi quasi tutti nel libro A, discute le rcla::'.oni pi semplici della gerarchia dci generi e delle specie; quelle su cui
ha pi insistito la traclizione. Il genere si divide in specie che partecipano
del genere, mentre questo non partecipa di quelle; esso complessivamente non deve essere pit ampio dell' insieme delle specie che contiene (03). Data una relazione genere-specie la gerarchia pu continuare

(92) An. post. D, 13, 96h, 25 segg.


(!l :l) Top. /!1, I, 121 a, IO- b, 23.

17

C. A.

VIANO,

La loKica di Aristotele.

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LA DIALI:TTICA

258

verso l'alto o verso il basso, ma in ogni caso deve essere completamente


coerente, cio dal genere pi ampio alla specie pi ristretta si deve trovare una catena continua decrescente (94 ). N ella catena che cos si costituisce non ci deve essere poi nessuna contaminazione con la catena che si
sarebbe potuta costituire assumendo qualche elemento contrario ad uno di
quelli che si assunti ( 9 "). L'edificio che cos si presuppone un edificio
logicamente completo e perfettamente coerente. La garanzia di questa
coerenza risiede nel fatto che tutte le determinazioni superiori ad un certo
termine in una catena di inclusioni bene ordinata appartengono all'essenza di quel termine (! 6 ). I n un certo senso ci troviamo qui in una posizione analoga a quella che caratterizza la dicotomia platonica. Anche in
questa alla fne del processo si fa la raccolta di tutte le determinazioni scelte
al di sopra del termine da definire c se ne d la defmizionc: cio si
trovano nell'essenza di esso tutte le determinazioni che lo precedono. l\la
Aristotele pare aver fatto il ragionamento inverso: se nell'essenza di
di ogni termine ci sono tutte le determinazioni superiori, queste per poter
coesistere in un'essenza, devono essere perfettamente ordinate. E proprio
questo ordine Aristotele ha cercato di illustrare; con il che naturalmente
non si vuoi qui asserire che egli abbia messo in luce i presupposti della
dialettica di Platone, essendo la nozione di quell'ordine ben diversa nei
due filosofi.
Nell'essenza di una cosa, perci, si trovano delle determinazioni che
indicano le classi crescenti in cui quella cosa inclusa. Ma essa non si
pone solo come soggetto logico di quelle determinazioni, bens anche di
una serie di predicati che la caratterizzano distinguendola da tutte k
altre cose o da una classe determinata di esse (H 7) : questi predicati sono
quelli che si chiamano i prop1ii. I proprii in senso stretto sono quelli che
si predic.o'lno della cosa cui appartengono sotto tutti i rispetti c la distinguono perci da tutte le cose diverse da essa. Essi appartengono alla
cosa eli per s (xm't'o:{'t(\). cio la caratterizzano per quello che . I proprii
in questo senso devono soddisfare ad alcune condizioni, di cui la pi
importante quella che prescrive che essi devono essere stabiliti attraverso termini pi conoscibili (98 ): il che vuoi dire che per attribuire alla
cosa in questione le sue propriet caratteristiche stabili bisogna servirsi
di termini che non siano piit oscuri della cosa stessa. A chiaxirc questa
condizione interviene pi oltre l'avvertimento di Aristotele che non si
deve stabilire il proprio in senso stretto solo sulla base della sensazione (99 ), che non d alcuna garanzia sulla sua pennanenza temporale.
(H) Top. A, 2, 12rb, 24- I22b, II.
(9fl) Top. i\, 3, r23a, 20-26.
(H6) Top. i\, 2, I22a, 3T-J-1.
( 97 )

Top. E,

I, 128b,

34-37.

(ll 8 ) Top. E, 2, 129 h, 1-29.


(~1 9) Top. E, 3, IJI h, II)-2J.

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l.A ST!WTTIH\A LOGICA

nn

Ri:.~U:

259

D'altra parte il proprio deve riferirsi all'essenza della cosa cui appartiene,
pur senza esserne la defnizione (H' 0). Queste precisazioni circoscrivono
abbastanza bene il dominio del proprio e le sue condizioni necessarie.
Rsso non deve indicare direttamente l'essenza, ma la sua fonte conoscitiva non la sensazione, bens. l'essenza stessa. Ora, quest'ultima contiene
il genere e la differenza specifica, che precedono appunto la cosa alla
cui essenza appartengono, in quanto includono quella cosa: il proprio
perci deve essere stabilito attraverso i termini pi conoscibili in quanto
deve derivare dalle delerminazioni generiche e specifiche precedenti la
cosa stess.-'1. D'altra parte il proprio di una specie non deve essere stabililo
facendo appello a determinazioni appartenenti ad un'altra catena di classi
o ad una classe ulteriore della medesima catena. In questo senso caratterizzare una cosa per quello che essa significa trovare le propriet che
ad essa spettano per la posizione che occupa nella catena dei generi c delle
specie. Ci diventa particolarmente chiaro nella trattazione della definizione. Fssa infatti deve stabilire la posizione di una cosa all' interno di
un genere facendo appello ad una propriet che la distingua in modo
essenziale da tutte le altre specie del genere. Anche la defnizionc, come
il proprio, perci. deve essere stabilita mediante termini pi conoscibili
della cosa stessa da definire (1 1 ). La qualificazione di pi conoscbile
pu essere presa in due sensi opposti: pu voler dire pi conoscibile in
assoluto o pi conoscibile per noi. Pi conoscibili nel primo senso
sono i termini logicamente precedenti e che fungono da principio dei
successivi, mentre pi conoscibili nel secondo senso sono i 1ennini sensibili e che i pit't prendono come punto di partenza per la costruzione delle
loro definizioni. Una huona definizione si costruisce solo partendo dai
termini pi conoscibili nel primo senso. Essi danno oltre tutto la sicurezza di arrivare ad una definizione unica per tutti, come si conviene ad
una vera definizione eli un'essenza che appunto unica. Infatti i termini
pi conoscibili per noi, non sono unici, ma dipendono dalle disposizioni
dei singoli; appunto petci essi non daranno mai delle d.efnizioni che
possano essere condivise da tutti. Tuttavia gli esempi di etti qui si serve
Aristotele per illustrare la differem:a tra il pit conoscibile in assoluto e
il pi conoscibile per noi sono abbastanza sconcertanti. Punto. linea,
superficie, solido costituiscono per es. una serie in cui la priorit fondata
sul grado di conoscibilit in assoluto. Evidentemente qui non si pu
parlare di serie di classi ad ampiezza decrescente, perch i rapporti tra i
termini non sono di inclnsione. D'altra parte Aristotele nello stesso contesto paragona la relazione che intercorre tra ogni termine e il successivo
a quella che intercorre tra le lettere e la sillaba che esse compongono.
Questo pare decisivo per ammettere che Aristotele supponga una rela-

(l OO)

'/op. E, 3,

r,3 1 b,

37- 132a, zr.

(101) Tufr. Z, 4, T4' a, :!6- qza, 16.

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LA DIALETTICA

260

zione di presuppos1z1one da parte di ogni termine di tutti i precedenti.


In questo senso si pu accettare l'interpretazione del Ross (10 '') che
contro il Solmsen (1 3 ) ammette una sostanziale consonanza tra le posizioni dell'Organon e quelle della J.VI etaphysica (1 4 ) a proposito di questo
problema. Ma l' interpretazione del Ross non annulla, anzi mette in viva
luce il problema reale posto da questo testo aristotelico. Abbiamo qui
una relazione tra termini anteriori e tenuini posteriori che non di inclusione pur essendo di presupposizione. Uomo per es. presuppone animale e bipede perch incluso nelle classi che essi indicano, ma i
solidi non presuppongono i punti perch siano inclusi, a mo' di specie,
nel genere dei punti. Infatti la presupposizione asserita sulla base del
fatto che noi possiamo dire di un solido che un insieme di superfici,
della superficie che un insieme eli linee, della linea che un insieme di
punti. La presupposizione, cio, dovuta al fatto che ogni termine contiene nella propria essenza tutti i precedenti, come Aristotele dir negli
Analytica posteriora (lOfi). In questo caso per, contenere nella propria
essenza non significa essere compreso in ci che contenuto , ma
semplicemente essere pi conoscibile di tutte le altre predicazioni dello
stesso soggetto, cio prececlerle logicamente. In questo senso sono
emerse, almeno per il momento, delle relazioni di preclicazioni che non
sono immediatamente traclucibili in relazioni di inclusione. Questa osservazione pu forse essere generalizzata dicendo che tutti i predicati che
costituiscono l'essenza di un termine entrano nell'essenza dei termini
successivi in una catena decrescente di inclusioni, senza per questo contenere anche necessariamente i termini successivi. In questo senso un
termine contenuto in un altro in quanto comprende nella propria essenza tutti i predicati essenziali del primo pitt alcuni altri che lo distinguono dai termini diversi che tuttavia sono anch'essi compresi nd termine generale in questione.
Da questo punto di vista possibile sviluppare tutta una serie di
luoghi concernenti il passag-gio dei predicati essenziali dai termini includenti ai termini inclusi. Infatti le determinazioni generiche devono poter
essere predicate delle specie e dei termini compresi nelle specie (10 6), il
proprio deve poter essere predicato come proprio anche di tutti i termini di cui il suo soggetto si predica (1 7 ), infme la definizione della
specie deve poter essere predicata di tutti i termini compresi nella specie (1 8 ). La teoria platonica delle idee pu presentare, se considerata
( 102)

Ross, Frius and Posterior Analytics, op. C'i t., p. q.


op. cit., p. 83.

(103) SoLMSEN,

M et. A, 9, 992a, IO scgg.


An. post. A, 4, 73a, 34-37(106) Top. l'l, 1, 121 a, zo-2{5; 2, rzzb,
(107) Top. E, 4, 132a, 27- b, 7.
(108) Top. Z, 3, 140b, r6-26.
(1 04)

(105)

7-II.

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I PRED\Ci\TI

261

sotto questo rispetto, delle difficolt, perch se si considerano le idee


come termini di una catena di classi ad ampiezza decrescente, esse pos~
sono presentare dei predicati che non possono essere attribuiti ai termini
compresi in esse: per es. gli uomini sono mortali, mentre l' idea di uomo
immortale (10 9). Con queste argomentazioni .Aristotele prepara quella
clie sar una delle tesi fondamentali del libro B degli Analytica posteriora dove l' induzione si svolge con il reperimento di determinazioni
specifiche comuni a pi cose e con la ricerca ulteriore delle determinazioni
comuni a pi specie per raccoglierle a formare il genere: il genere diventa
cio semplicemente un nome per indicare un insieme di predicati comuni
a pi specie. Da questo punto di vista la critica surriferita alla teoria
delle idee abbastc1.nza importante. Essa viene ad affermare che la determinazione della specie o del genere come un' idea separata irrilevante
insostenibile: irrilevante se si qualifica l' idea solo con i predicati che
spettano agli individui, perch allora nulla muta tra una specie come
prodotto di generalizzazione e una specie come idea separata; insostenibile se si tenta di qualificare gli individui con le detem1inazioni della
specie in quanto idea separata.
A questo punto la struttura dei generi e delle specie si rivelata ad
Aristotele come un edificio organicamente connesso, in cui la posizione di
una o pi parti vincola quella di molte altre, sicch possibile astrarre
le relazioni costanti secondo le quali quell'edificio costruito. Infatti se
si colgono i punti di parten7.a adatti si pu prendere tutta la costruzione
per il verso giusto e percorrerla da cima a fondo senza trovare interruzioni_ Il tutto sta nel riconoscere quei termini pi conoscibili che condizionano tutta la catena discendente. Ora, pi conoscibili in assoluto
sono quei termini che precedono logicamente gli altri, cio dai quali gli
altri derivano e che da questi sono implicati. Per rendere per operante
quel nesso di derivabilit occorre precisare il rapporto di dipendenza;
cosa che Aristotele si prepara a fare spostando la propria attenzione sui
predicati che caratterizzano ad ogni livello della catena i termini che ad
esso appartengono.
8. ~ LA CONSmY,:R.A.ZION~: DE:I PRf.DlCA'l'L - Una volta operato il passaggio dalla considerazione delle classi alla considerazione dei predicati che
le caratterizzano si offre la possibilit di nuove considerazioni. L' inclusione di un termine in una classe si fa, come abbiamo visto, riscontrando
la presenza di uno o pi predicati comuni ad un insieme di individui. La
classe risulta definita da quei predicati che costituiscono il significato
del nome con cui designata. Pu darsi che restringendo progressivamente il numero dei predicati che definiscono la classe sia possibile trovare
classi sempre pi g-enerali. Ma possibile considerare non solo le classi
(1 09)

Top. Z,

10,

148a, 14-22.

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262

LA DJALI:TTICA

cui i soggetti logici dei predicati appartengono in base ai predicati che


posseggono, ma anche le classi cui i singoli predicati appartengono. Supponiamo che i termini x1, x2, %3 ... Xn appartengono alla classe X' in
quanto posseggono i predicati A, B, C, D. Se limitiamo la considerazione
per es. ai predicati A, B, C pu darsi che troviamo una classe X" che
comprenda i termini x1, x2, xa ... Xn, X n+ 1, Xn+z, :t" n+.> Xn+m Ri-
ducendo successivamente la considerazione ai predicati A, B e A si ottengono le classi X"' c X'"' comprendenti rispettivamente i termini x 1
.. Xu+m+k, e X1 . Xn+m+k+r. Resta ora da vedere se e come i predicati A, B, C, D siano anch'essi inclusi in una dasse, cio se, in generale,
non solo esistano classi eli soggetti, ma anche dassi di predicati. Ora, i
soggetti entrano a far parte delle classi perch sono soggetti di gruppi di
propriet o di una propriet determinati e costanti, qualunque siano poi
i predicati non co11siderati ai fini della inclusione; appunto per questo i
termini di una classe possono essere individualmente o specifc.amente
diversi. Ci posto, non possibile scegliere come base per la costituzione
delle classi di predicati la predieahilit di tmo stesso soggetto, pereh quest'ultimo non fornisce delle coordinate soddisfacenti per definire una classe.
Non solo, ma di uno stesso soggetto si possono predicare gruppi di predic.ati che definiscono serie eli classi di soggetti parallele.
L'unico modo per scoprire la base su cui si costituiscono le classi di
predicati quello di vedere come esse si sono costituite nelle mani stesse
di Aristotele. Dalla classe X' si pu passare alle classi superiori X", X"',
X"" lasciando via via cadere alcuni dei predicati A, I3, C, D che caratterizzano X'. Un predicato, se caratterizza la classe superiore X"" comparir anche nell'essenza delle classi inferiori c, saputo l'orcline di ampiezza delle classi, si possono stabilire le loro relazioni. Ma dato un predicato qualunque eli un gruppo eli predicati che definisca una classe.
l)Ossibile inferire da esso almeno alcune propriet che devono caratterizzare tutti gli altri predicati che fanno parte di uno qualsiasi dei gruppi
di predicati che definiscono una qualsiasi classe appartenente alla catena
di cui fa parte anche la classe data? I luoghi sul genere, il proprio t la
specie, dal punto di vista da cui li abbiamo considerati finora, concernevano pi che altro i soggetti delle pred'icazioni ; bisogna ora trovare dei
luoghi i quali permettano di dire qualcosa sui predicati. Ora, non tutti i
predicati, in quanto predicati, si comportano alla stessa maniera. Infatti
alcuni rapporti predicativi possono ricevere delle qualificazioni quautitative, espresse con i termini pi e meno, altri possono essere
precisati con circostanze di luogo e di tempo, altri possono essere relativi, altri possono essere termini di una correlazione con altri predicati
ecc. ccc. Se in una catena di classi includentisi una di esse gode di una
<.Ielle propriet del tipo sopra esemplilicato, necessariamente tutte le altre
classi della catena dovranno godere della stessa propriet, sebbene configurata in modo adatto al livello cui appartengono. I luoghi che concer-

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l PREDICATI

263

nono questo punto sono abbastanza numerosi : per es. se la virt genere
della giustizia, se la prima pu essere maggiore o minore, tale deve poter
essere anche la seconda (110). Cos se il multiplo tale rispetto al divisore,
un multiplo specifico dovr avere come termine di riferimento un divisore specifico (1 11) ; e cos via. La considerazione delle propriet sopra
elencate mostra che non tutti i predicati hanno il medesimo comportamento e che perci possibile stabilire dei raggruppamenti eli predicati
a comportamento identico. 1n realt quelle propriet non sono ancora
sufficienti per condurre a termine la classificazione, perch predicati disparati godono di esse. Queste perci sono defferenziazioni posteriori a e
comprensibili entro una divisione in classi ultime dci predicati, dalla
quale nasce la lista delle categorie. La divisione dei predicati in quelli
che indicano una sostanza, una qualit, una quantit, ecc. non dedotta n
giustificata sulla base di qualche principio pi remoto dell'elenco stesso in
questione. Tn realt per Aristotele esso si impone da s. Che vi siano dei
predicati dal comportamento differente un fatto innegabile: alcuni ammettono << il pi e il meno, altri la contrariet, altri la corrispondenza
stocastica, ecc. Propriet di questo genere indicano che si di fronte a
predicati eli tipo differente. Tuttavia esse non bastano a individuare i
tipi di predicato: per es. il pi o il meno pu determinare tanto una
quantit quanto una qualit, che pure sono predicati abbastanza diversi,
gnchc se il loro comportamento logico descrivibile in parte con indicazioni comuni. Accusare ora con Kant le categorie aristoteliche di essere
rapsodiche o ricavarlc con il Trendelcnburg dalle categorie grammaticali
non sono direzioni di indagine che permettano di condurre una attendibile
esegesi dei testi dello Stagirita. L'elenco delle r.1.tegorie pu essere stato
suggerito ad Aristotele dalle fonti pi diverse: l'analisi del significato
delle parole imposta dalla discussione, le distinzioni suggerite dalla ricerca
scientifica nei suoi diversi rami e anche la considerazione grammatic.1.le
del linguaggio. Ma sta di fatto che Aristotele non si appella esplicitamente a nessuna di queste fonti.
T,a considerazione della relazione che corre tra le categorie da un
lato e i generi e le specie dall'altro pu forse illuminare un po' la questione. Le catene eli generi c di specie presuppongono la distinzione delle
categorie in quanto ogni catena si svolge entro una delle categorie c in
quella deve permanere ( 11 ~), in quanto tutti i predicati che servono a
caratterizzare le classi di qtwlla catena devono appartenere alla stessa categoria. Categorie e generi non appartengono per alla stessa linea di
generalizzazione : infatti le prime riguardano i predicati che compaiono
nella cosa in quanto sostanza, mentre i secondi sono costituiti dalle classi

(110) Top. ~. 6, 127h, 18-25.


(111) Top. Z, 9, 147a, 23-28
(112) Top. t-., t, 120b, 36-12Ia, 9-

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264

LA DIALETTICA

in cui le cose come sostanze sono incluse. Tuttavia poich la deternlinazione delle classi si fa sulla base dei predicati, le ec"ltegorie condizionano
l'edificio delle classi, le quali rientrano nelle categorie e sono costrette a
tener fede alla categoria che caratte1izza la serie cui ciascuna di esse
appartiene. La molteplicit delle Cc"ltegorie garantisce da questo punto di
vista anche la molteplicit di classi dello stesso livello in cui una cosa
pu essere inclusa. Infatti una stessa co<x< pu ricevere predicati appartenenti a categorie diverse ed ognuno di essi pu autorizzare l'inclusione
del proprio soggetto in una catena diversa di classi. In generale, la molteplicit delle categorie garantisce contro la riclucihil it di tutti i generi
ad uno solo per un processo di progressiva generalizzazione. Infatti al
limite i predicati si manifesterebbero non pi ulteriormente eliminabili,
in quanto ciascuno rappresentante di una categoria. Dato tutto ci, le
categorie e il sistema dei generi e delle specie vengono a costituire le
coordinate che definiscono la posizione di qualsiasi cosa nel reale: infatti
le categorie indicano subito sulla base di quale ordine eli predicati si considera la cosa in questione, mettendo in luce gli aspetti i essa che si fanno
valere e quelli che si lasciano cadere, mentre il genere e la specie indicano
a che livello la considerazione fatta e mettono in luce la relazione della
cosa in questione con le altre caratterizzahili con le stesse categorie. La
sistematica delle classi e le categorie sono perci connesse e compatibili,
tanto che ogni cosa fa riferimento ad esse. In questo senso le categorie
non sono dedotte, ma sono reperibili nella realt, sia che si rivelino nella
discussione dialettica o nella ricerca scientifica o in un'accorta considerazione del linguaggio. Ma in nessun caso le diverse fonti potrchhero dare
risultati diversi.
Categorie e classi come coordinate per individuare la posizione di una
cosa nel reale vengono usate per risolvere i problemi posti dalle relazioni
di identit e di diversit. L' identit una relazione che corre tra cose
che hanno almeno alcuni predicati comuni ; la differenza tra la somma dei
predicati dei due tennini della relazione e i predicati comuni costituisce
h diversit. Le confusioni linguistiche impongono il ricorso a quelle coordinate per appurare le identit e le differenze, in quanto cose diverse possono essere indicate con la stessa parola, come se fossero identiche, e cose
identiche possono essere indicate con parole diverse. Per risolvere il primo
e il secondo caso si fanno le medesime considerazioni, sebbene in sensi
opposti. Le cose da confrontare possono appartenere al medesimo livello
di generalit e possono essere differenti - o identiche - per le categorie
alle quali appartengono; o, supposto che appartengano alla medesima categoria e che questa sia una di queiJe che ammettono una relazione, possono essere differenti - o identiche - per il termine cui la relazione fa
riferimento. Pu darsi invece che le cose tra le quali si deve istituire un
confronto appartengano alla medesima determinazione categoriale, ma
occupino in essa livelli di generalit diversi : in questo caso si tratter di

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l PREDICATI

265

prendere in considerazione una differenza generica o una differenza specifica. In ogni caso categorie da un lato e generi e specie dall'altro costituiscono le coordinate che con il loro incontro determinano la posizione
delle cose: appunto perci esse servono a definire il campo di significato
di un termine linguistico (11 3).
Con l'emergenza delle dctenninazioni categoriali i Topica operano il
passaggio ad una logica in cui diventa essenziale non tanto il rapporto
inclusivo quanto quello predicativo, sebbene i due punti di vista non
siano mai considerati come distinti o, peggio, incompatibili da Aristotele stesso. Alla considerazione delle classi pi ampie nelle quali le altre
dovrebbero essere incluse si sostituisce la considerazione dei predicati
contenuti nell'essenza dai quali gli altri devono derivare. Questa considerazione diventa molto urgente soprattutto nel libro Z dei Topica,
come abbiamo visto sopra: non ci possono essere tante definizioni quanti
possono essere i punti di vista arbitrari dai quali pu saltare in mente
di guardare una cosa, perch una cosa non ha molte essenze diverse.
Occorre perci che esistano dei pu.nti primi in s dai quali far derivare
l'unica considerazione possibile dell'essenza delle cose. L'unico segno di
riconoscimento di questi punti costituito dal fatto che ad essi rimandano tutte le determinazioni di una cosa le quali sono da essi a loro volta
derivabili. 1\h quello che occorre appunto una delucidazione delle dcrivabilit e del nesso di dipei1denza che essa presuppone. Le idee platoniche
non paiono in grado di dar luogo a delle premesse veramente prime, se
non altro perch non tutte le propriet che esse posseg-g-ono appartengono
anche agli individui di cui esse costituiscono la specie. Le premesse, invece, devono s essere universali, ma adattarsi anche a tutti g-li inrlividui
cui si riferiscono i termini universali che compaiono nel loro enunciato. I
predicati che compaiono nelle premesse non devono essere riflessivi rispetto alle premesse cio riferirsi allo status logico delle premesse in quanto
tali, ma essere il frutto di generalizzazioni operate sugli individui. Le
categorie, secondo Aristotele, realizzano appunto queste condizioni, in
quanto sono predicati dei quali pi nulla ulteriormente prcdicabilc. Dai
predicati ultimi prendono inizio le derivazioni che mettono capo a determinazioni ulteriori dipendenti da quelle. Occorre tuttavia definire ancora
in che cosa consista questa derivazione. L'analisi di essa resa possibile
dalla sempre crescente centralit della logk.a della predicazione, la quale
mette capo alla elaborazione dello schema sillogistico. II sillogismo compare alla fine della logica dei Topica come l'enunciazione di quel nesso di
derivazione cui tutta l'opera tende (1 14). Soltanto considerando le proposizioni a prescindere dal contenuto che compare nei tcnnini di esse
possibile chiarire le condizioni pi generali indispensabili per una cleri-

(118)

Cfr. per tutto ci Top. H, 1-2.

(114) Top. :\, 1, woa, 25-27.

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266

LA DIALETTICA

vazione necessaria; condizioni che appunto gli Analytica priora studiano


con dovizia di analisi. In questo senso possibile recuperare ad un pi
alto grado di astrazione tutte le indagini dei Topica: questi offrivano
degli schemi di argomenti necessari, la nuova logica chiarisce le condizioni di un argomento necessario entro il quale gli schemi dati possono
inquadrarsi. Infatti una volta ammesso un principio di corrispondenza
tra le relazioni inclusive delle classi e i caratteri generali astratti delle
proposizioni possibile passare da quelle a queste assai facilmente. l
principio di corrispondenza pu essere cos formulato in una prima enunciazione: la specie l' insieme delle predicazioni essenziali che compaiono
m proposizioni universali aventi per soggetto degli individuali, mentre il
genere il predicato che compare nelle proposizioni universali essenziali
aventi per soggetti termini diversi per specie ( 11 ~). In quanto predicati i
generi e le specie appartengono ad una delle categorie ( 116), cio sono so~
getti a loro volta di predicati che appartengono ad una delle categorie.
Ora, una delle caratteristiche pi importanti dei generi c delle specie
che essi devono far parte dell'essenza del soggetto di cui sono predicati:
il che vuoi dire che i predicati che li definiscono devono far parte dell'essenza del so~~etto cui sono attribuiti. Ci vuoi dire, se ricordiamo i testi
del libro Z dci Topica., che devono essere gli elementi pi conoscibili in
s, cio quei predicati dai quali tutti gli altri dipendono. In ultima analisi,
perci, quando il passa~~io alla logica predic"ativa gi completamente
operato, quando il principio di corrispondenza tra classi e predicati gi
stato trovato, la proposizione si gi configurata come elemento di un
sillogismo: perch solo con questo viene in luce il nesso di dipendenza di
cui sopra si parlato.
Il sillogismo nasce cos dalla considerazione dell'elemento logico pi
astratto e pi essenziale: la proposizione. La quale tuttavia entra subito
in relazione con la realt; anzi si pone subito come relazione reale nello
stesso tempo che logica. Infatti i ~eneri, le specie, i proprii e gli accidenti
sono entit reali cos come le categorie sono qualificazioni reali. Ora,
quegli elementi esistono in quanto possono dare luo~o ad una proposizione cos come questa non pu non concernere uno di quegli elementi. Le
cosiddette propriet formali delle proposizioni dipendono dalla natura
delle entit reali che ne costituiscono i termini cos come quelle entit
danno luogo alle propriet formali delle proposizioni in cui sono enunciate. Perci le leggi necessarie che regolano le relazioni delle proposizioni in quanto tali sono la manifestazione logico-linguistica della struttura metafisica della realt stessa. Ora, in primo luogo, ogni proposizione in quanto necessariamente concerne termini reali vera o falsa, cio
corrisponde o no alla realt e non pu essere vera e falsa contemporaneamente cio corrispondere e non corrispondere ;:tlla realt. Proprio a
(liG) Top. A, 5, 101 b, 39- wza, 17; 31-35.
(116) Top. A, 9, 103h, 20-39.

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l PREDICATI

267

questo punto la logica dci Topica si ricollega alla logica della prcdicazione
sviluppata nel De interpretatione e negli Anatytica priora, come risulta
dall'esame condotto nelle parti precedenti di, questo lavoro.
La piena realizzazione della logica che si delineata nei T opiea porterebbe a rigore alla fine della discussione dialettica. Essa infatti fondata sul presupposto che, una volta tratto inizio dalle determinazioni pi
conoscibili, non possibile che una definizione unica per ogni cosa che
abolisce il contrasto iniziale dal quale nasce la discussione. La scienza
quale descritta negli Analylica posteriom realizza in pieno questa aboiizione della discussione. In essa, come abbiamo lungamente visto, i p!.l.nti
di partenza si impongono per virt propria, le conseguenze ne derivano
necessariamente e non impongono mai di metterili in dubbio. La scienza
costituita da una catena di proposizioni perfettamente coerenti che corrispondono perci ad un'organizzazione di classi senza lacune o contraddizioni. Partendo da principi notevolmente g-enerali la scienza clefniscc
come proprio campo il contenuto di un genere abbastanza ampio preoccupandosi di studiare tutto quanto contenuto in esso e facendosi scrupolo
di non contaminare la materia di propria spettanza con quella rientrante
in generi appartenenti ad una catena diversa.
Ma l'uomo dispone anche di un linguaggio con le sue inadeguatezze,
della sensibilit, dell'opinione, che gli permettono di parlare e di pensare
senza rifarsi sempre ai principi primi o a ci che da essi direttamente deriva. D'altra parte per l'uomo non pu parlare che per proposizioni, non
pu pensare che dei generi, delle specie, dei proprii o degli accidenti, cio
non pu esimersi dal porre dei principi c dal trarne delle conseguenze,
dall'organizzare il proprio discorso come se fosse un discorso scientifico.
Ma poich esso non tale quando si fa una discussione dialettica, quando
si prende inizio da un'opinione, in questi casi la discussione verte appunto
sui principi che, non essendo di carattere scientifico, sono discutibili.
Anzi si pu dire che mentre l' interesse che guida il discorso scientifico
quello di scoprire il maggior numero possibile eli verit che si possono
ricavare dalle premesse certe, l' interesse che guida il discorso dialettico
quello di mettere i principi alla prova nel mag-gior numero possibile di
-casi ; la deduzione stessa non che uno dei mezzi per realizzare questo
tentativo. Da questo punto di vista si comprende come la terminologia
fondata sui generi e le specie e i luoghi, caratteristici della vecchia logica
dei Topica, sia da Aristotele considerata uno strumento adatto alla descrizione della dialettica. La scienza non ha bisogno di discutere e controllare
i rapporti tra i generi e le specie perch, partendo dai principi primi in
s e seguendo l'ordine naturale delle proposizioni, trova quei rapporti
costruiti con perfetta coerenza, n ha bisogno di luoghi o schemi di argomento perch una catena di proposizioni definita, ma ininterrotta. La
dialettica. non gode di questi privilegi in quanto non dispone di mezzi di
accertamento infallibili con i quali cogliere i principi, n si svolge entro un

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268

LA DIALETTICA

campo definito, ma pu di volta in volta stabilire i confini del proprio


terreno d'azione. Le relazioni generiche e specifiche che essa stabilisce
non sono intuitivamente date e perci inoppugnabili, ma opinative e perci provvisorie e rivedibili, sicch occorre appunto cercare tutte le fmplicanze che esse hanno per vedere se ognuna di esse confermi o distrugga
i principi assunti. D'altra parte, poich la dialettica non dispone di un
campo organico, i luoghi suggeriscono appunto le implicanze che si pu
pensare a priori che un'assunzione abbia .
. 9 - SoFISTICA E DIALc:ITJCA. - La scoperta di una struttura necessaria e imprescindibile del discorso la quale vincoli strettamente le possibilit di chi parla un elemento estremamente importante nella dialettica
aristotelica che facendo leva su di esso pu distinguersi radicalmente da
or,ni tipo di dialettica sofistica o eristica. Nella necessit del discorso,
superiore alla volont degli interlocutori, si 1-nalmente trovato un giudice imparziale c oggettivo che sia in grado di dare un verdetto definitivo accettato da tutti i disputanti. Infatti ci cui Aristotele tende costantemente nell'elaborazione della lol:,.rica dialettica una concezione dd reale
e del discorso apofantico tale che non sia possibile pensare che il contrasto da cui trae inizio la discussione rimanga insoluto, non venga risolto
con un certo grado di oggettivit. Sempre l'uno o l'altro degli interlocutori dovr finire per aver ragione, a meno che sia necessario rivolgere un
rimprovero a chi interloquisce perch non si attiene alle regole della
dialettica, ma persegue il solo scopo di sopraffare l'avversario : e senza la
buona fede non possibile condurre innanzi l'opera comune, cio far
affiorare la maggiore o minore probabilit o la indiscussa verit di una
delle tesi (117). Ma perch la discussione abbia un esito e un esito necessario bisogm, secondo Aristotele, che la logica di essa escluda che si
possa giungere ad un punto in cui la stessa coerenza interna del discorso
mostri una lacuna e imponga una scelta, non essendo pil.t in grado di
determinare con assclula certezza la proposizione, coerente con le premesse, da enunciare sulla situazione indeterminata, cio che lo stesso
snodarsi del discorso possa condurre alla necessit di rimettere in questione tutte le categorie per mezzo delle quali si giunti a quella neces-

(117) Il rimprovero rivolto al discorso in quanto tale e all'interrogazione


non sono la stessa cosa: spesso, infatti, la causa per cui il discorso non procede bene
chi interrogato, che non concede le premesse dalle quali si potrebbe ragionare
convenientemente riguardo alla tesi ; infatti non compito di uno solo portare bene
a termine l'opera comune. A volte, perci, necessario argomentare contro chi
pronuncia il discorso e non contro la tesi, quando chi risponde attende al varco
l' interrogante per imporgli domande contrarie. Se si suscitano volute difficolt si
conducono discussioni agonistiche e non dialettiche (Top. 0, II, 157a, 16-24);
Anche in queste discussioni dialettiche c' qualcosa di comnne presupposto alla
stessa discussione, ma non nelle discussioni agonistiche. In queste infatti non pos- '
si bile che l'uno e l'altro raggiungano il medesimo fine : eh pi di uno non puvincere (ibid. 38- 157b. 1).

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SOFISTICA E LHALETT!CA

269

sit, tenendo appunto conto della situazione di contraddizione insanabile


cui avevano messo quelle precedentemente usate. La situazione intorno
a cui verte il discorso s sempre indeterminata e pu anche essere tale
che intorno ad essa si possano sostenere argomenti contrari e egualmente convincenti; ma quando si trovata un'opinione probabile che possa introdurre un elemento determinante di quella situazione, allora sulla
coerenza di quanto deriva da quella probabilit assunta non debbono pi
poter sorgere dubbi. Si sagger l' intima consistenza di tutte le opinioni
probabili proposte cercando di trarne le conseguenze, cio cercando di
vedere il senso in cui si mostrano capaci di risolvere una situazione problematica, mettendone a confronto i risultati con i risultati tratti da altre
opinioni probabili diverse ; ma ognuno di questi discorsi dovr mostrarsi
nella rigidit della sua intema necessit, entro la C(Wlle ogni antinomia
caduta, diverso da ogni altro discorso probabile che si possa pronunciare
su quell'argomento. Ora, questa proprio l'essenza del sillogismo che si
fonda appunto sulla possibilit di un procedimento univoco che dalle premesse assunte scende alle conseguenze senza essere costretto a modificare le premesse stesse, senza doversi porre ad ogni passaggio il problema
del rapporto tra quel passaggio e le premesse stesse. Il sillogismo ha
appunto il pregio di presentare un discorso saldamente unitario da prendere o da lasciare in blocco. T due interlocutori possono discordare sulle
premesse dalle quali bisognava partire, ma possono essere d'accordo sugli sviluppi delle premesse che sono state assunte. Il discorso non appartiene pi a chi lo difende che a chi lo attacca, quanto ai nessi che legano
le sue parti : messa in relazione una proposizione nuova con la serie di
proposizioni gi approvate la relazione che intercorre si configura ad un
modo per entrambi i disputanti. Se ad un certo punto la discussione si
fermer di fronte ad una contraddizione o a un paradosso, allora il discorso proposto cadr, e anche in questo caso i disputanti potranno riconoscerlo di buon accordo e sulla base di un criterio oggettivo.
La logiea dialettica vede cos contrapposti un argomentante che conduce il discorso ponendo domande alle quali non si pu rispondere che in
un modo, pena il doversi rimangiare la risposta, e un rispondente che
segue e riconosce questa neeessit; oppure un argomentante che, a sua
volta, deve rispondere in un modo obbligato alla domanda che, per confutarlo, gli pone l'obbiettante. Proprio ponendo la dialettica sulla hase
della necessit, cio facendola poggiare su un tessuto di luoghi per i quali
non si pu concepire che una sola risposta, che in tutti i casi possibili
sia coerente co11 i principi, Aristotele pensava di distinguere la dialettica
vera e propria dalla sofistica. Signore assoluto della discussione deve essere il discorso in quanto intessuto di passaggi necessari, sicch sofistico
il tentare eli stringcrlo in confini che gli sono innaturali, per portarlo a
mete che sono di nostro gradimento, ma alle quali di per s esso non ar-

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270

LA DIALETTICA

riverebbe (118) o non lasciarsi guidare da esso per rivolgersi contro la


persona dell' intcrlocutore (11!'). Infatti nel discorso dialettico gli interlocutori si propongono in partenza di mirare a scopi opposti, anche se per
far ci devono sostenere tesi di cui non sono convinti ( 120 ) : cio, posta
una tesi probabile, chi interroga cercher di fame derivare una conclusione improbabile e, posta una tesi improbabile, cercher di farne derivare
una conclusione probabile e=n), perch sempre chi interroga cerca di concludere con asserzioni opposte alla tesi. Ma in questo conflitto tutta l'abilit sta nel formulare le domande, nello sfruttare i luoghi, perch, una
volta che uno di essi menzionato, la risposta che richiede necessariamente determinata dalle premesse assunte: tuttavia i modi delle risposte
dialettiche corrette rimang-ono gli stessi, qualunque sia il tipo di premessa
da cui procede il discorso (1 22 ) perch i quadri offerti dal reale ed entro
i quali possono collocarsi le premesse, rimangono sempre uguali. Se gli
interlocutori sono due onesti argomentatori dialettici il loro voluto contrasto si risolver nella collaborazione all'opera comune, che il ritrovamento
di ci che necessariamente deriva dalla tesi ammessa. Infatti chi interroga far il possibile per spingere l'avversario contro le tesi pi assurde
<:he necessariamente derivano dalla assunzione c chi risponde fa il possibile per mettere in evidenza come quelle conclusioni assurde non derivino
dai suoi errori, ma dalla natura stessa dell'assunzione (123 ) facendo con(11-S) una maniera sofistica quella di spingere l' iuterlocutore al punto incui disponiamo di abbondanti argomenti,, (Top. n, 65 l I I b, 32-33).
(119) Impedire il ragionamento senza obbiezioni reali o apparenti sollevare
difficolt in mal a fede (Top. 0, 8, 156b, 2-3); creare difficolt in mala fede
nei ragionamenti dare una risposta che impedisca il sillogisn1o, nm non in uno dei
modi suddetti (ibid. II-1.3); uno dci tipi di obbiezionc consiste nel pronunciate
l'abbiezione contro l'interrogante: spesso, infatti, ts5a ;10n scioglie la questione, ma
fa s che l'interrogante non possa pi procedere oltre (ibid. IO, I 57 a, 2-4) e proprio questo luogo, che non costituisce una j"{lm, appartiene a quei luoghi che sono
impedimenti e catene delle conclusioni ( ibid. I$).
(1 ~O) l'crei t\ anche quelli che sostengono le opinioni altrui, per es. che il
bene e il male sono la stes~a cosa, come dic Eraclito, non concedono che i contrari
non possano inerire insieme alla stessa cosa, non perch cos veramente pensino,
ma perch cos bisogna dire dal punto di vista di Eraclito. Fanno cosi anche quelli
che si distribuiscono a vic(~nda le tesi da difendere: mirano ai loro scopi come se
parlasse colui che ha escogitato ]a tesi (Top. e, 5, I5.S,b, 30-35).
(121) Da una tesi improbabile necessario far derivare una conclusione pro
ba bile, da una tesi probabile una conclusioric improbabile: infatti colui che interroga
conclude sempre n modo opposto alla tesi (Top. 0, 5, r55b, 4-6).
(122) necessario che l'interrogato risponda ponendo una tesi probabile o
improbabile () indifferente c o assolutamente probabile o improbabile (' limitatamente, come per es. rispetto a questo o a quest'altro o a quell'altro ancora. Non
impmta proprio nulla che sia probabile o improbabile: infatti sempre identico sai
il modo di rispondere bene c di concedere ci che richiesto (Top. e, s. I55a,
38- b, 4).
(12R) compito di chi interroga comlunc il discorso in modo da far s che
il rispondente dica le pi improbabili tra le conseguenze necessarie delta tesi, men- '
tre compito del rispondente di far apparire che non per colpa propria accade l' impossibile o il paradossale, ma per la natura stessa della tesi : ch sono due errori

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SOFISTICA E DIALETTICA

271

tinuamente obbiezioni alle domande dell'avversario, per vedere se le risposte che l'avversario pu dare alle obbiezioni collimino con quelle che
tgli deve dare alle domande dirette. Perci tra l'argomentatore che pre,
tende di giungere a conclusioni opposte alla tesi di partenza e l'avversario che controlla la legittimit dei suoi passaggi c' una reciproca collaborazione, la quale garantisc':! che il discorso si svolga secondo necessit,
cio non attraverso passaggi arbitrari (luoghi sofistici), che il rispondente
pronto a impedire all'interrogante (1 24 ). La possibilit di questa collaborazione si fonda, per Aristotele, proprio sul fatto che il discorso proc.~de per nessi necessari, cio che possibile formulare domande alle quali
la risposta s o no necessaria, date le premesse. Ci perch queste si
riferiscono ad aspetti del reale che non possono essere che in un modo
solo : appunto perch esistono tali domande il rispondente pu tentare di
mostrare che la confutazione di una premessa non avvenuta per colpa
sua, ma per la natura della premessa stessa. Ci spiega perch le risposte
dei. discorsi dialettici non possono consistere che nel s o nel no, perch
appunto bisogna presentare condizioni reali che siano gi necessariamente
determinate, sicch ogni altra eventuale risposta che si volesse dare acl
esse si presenterehhe non diversa e, come tale, suscettibile di essere peggiore o migliore, ma senz'altro errata, cio, da escludersi immediatamente e~").
Da questo punto di vista gli intenti della dialettica aristotelica nei
confronti ciella dialettica platonica sono diventati abbastanz.:1. chiari. Que~ta, pur abbandonando le forme della discussione socratica, aveva continuato a far leva sulla contrapposizione delle tesi, sulla possibilit di discorsi diversi e opposti: la dialettica del Parmenide e dei sommi generi
del So jista appunto l'esplorazione di possibilit diverse c non sempre
compatibili, la dicotomia del Sofi.sta e del Politico non ha il carattere
costrittivo dd sillogismo, ma una serie di scelte convenute tra gli inter-

diver:;i il porre all'inizio ci che non si deve porre e il non ~aper mantenere correttamente ci che si posto (Top. e, 4. ISSa, 18-24).
(124) Poich chi $illogizza bene dimostra ci che messo in questione da nozioni pi probabili c pi conoscibili, <' chiare che, se semplicemente improbabile ci
che si pone per essere discusso, il rispondente non deve concedere n ci che non
sembra in modo assoluto, n ci che sembra acc.cttabilc, ma meno della concbsione.
Essendo la tesi improbabile, la conclusione sar probabile, sicch bisogna che tutto
ci che si assume sia probabile c pi probabile di ci che presupposto, se si deve
dimostrare il meno conoscibile dal pi conoscibile. Perci se qualcosa di cil che si
chiede non ha que$ti caratteri non deve essere concesso da chi risponde. Se invece la
tesi probabile in modo assoluto, (; chiaro che la conclusione dovr essere improbabile
in modo assoluto. Tutte le concessioni debbono essere prohahili e le non probabili
devono esserlo meno della conclusione>> (Top. e, 5, 155h, 8-19).
(125) Non pare che in generale la proposizione dialettica sia del tipo ' che
cosa l'uomo? ' o ' in quanti sensi si dice il bene? '. Perch proposizione dialettica quella alla quale possihilc rispondere s o no: perci(\ per quel che riguarda le
proposizioni suddette, non si tratta di proposizioni dialettiche (Top. 0, 2, I 54 a,
14-17).
. :,'' 1;\t<l'#:l

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LA DIALtlTTICA

272

locutori. E a questi caratteri si mantiene fedele la ricerca della misura che


determina l' indeterminato del Filebo. Tuttavia Platone stesso aveva ammesso che la discussione presuppone un certo ordine, non si svolge nel
regno dell'arbitrio puro. In questo senso nel Sofista accanto alla polemica
contro coloro che sostengono l' incomunicabilit dei sommi generi aveva
condotto la polemica contro quelli che sostengono la loro relazionabilit
disordinata (120). Il che vuol dire che una volta abbandonata la rigorosa
unit di Parmenide da cui sono deducibili tutte le altre determinazioni
necessarie, una volta riconosciuta la realt del movimento accanto a quella
della quiete, una volta ammesso che i predicati possono connettersi in
pi di un modo, non bisogna acclamare l'arbitrio sofistico, darsi alla difesa
contemporanea delle tesi pi stridenti. l'.a dicotomia la realizzazione pitt
convincente di questi presupposti. In essa non riscontrabile il tipo di
ragionamento eleatico che da poche determinazioni ricava direttamente
tutte le altre e neppure un'argomentazione di carattere sofistico che si
possa muovere in un numero indefinito eli direzioni possibili. La caratteristica della dicotomia che ad ogni passaggio si ptt includere il termine
da definire in almeno due classi diverse, tra le quali bisogna scegliere,
ma non in un numero infinito di classi possibili. Perci ogni passaggio
ciel ragionamento condiziona il successivo senza indicarlo in modo univoco. l/ordine che un processo discorsivo di questo tipo presuppone
un ordine che limita e connette le alternative compatibili, non lega le verit necessariamente dipendenti le une dalle altre.
Sotto questo profilo possiamo rintracciare un'analogia tra la logica
platonica e la dialettica s''iluppata nei Topica. Come Platone aveva insistito sulla relazionabilit definita per opporre una difficolt eli principio
all'arbitraria disputa sofistica, cos il tentativo i Aristotele, ne11' opera
c-he andiamo esaminando, appunto quello di trovare le regole per una
discussione priva dei sotterfugi e degli inganni delle discussioni sofistiche
o eristiche: egli tenta cio di trovare un terreno sul quale le dispute possano essere condotte e risolte con oggettivit. E il principio cui Aristotele
si richiama presenta dei punti di contatto con quello platonico della relazionabilit definita : cio non vero che tutto possa essere compatibile
con tutto. Le assunzioni possono essere le pi disparate, ma una volta
fatte, la discussione arriva a delle conseguenze che non possono essere diverse da quelle che sono c che tutti devono riconoscere. Fatte una o pi
assunzioni, esse sono subito prese, per il solo fatto di essere assunzioni,
in un tessuto di relazioni necessarie, per cui possibile dire a priori che
esse hanno un esito obbligato. Attraverso questo esito obbligato passa
la linea di demarc;1.zione tra la logica platonica e quella aristotelica. Per
Platone la costrittivit del ragionamento non costituisce la garanzia della
scientificit del discorso in cui enunciato. A questo proposito la con(126) Soph. 251 d- 253c.

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SOFISTICA E DIALETTICA

273

siderazione del Pannenide abbastanza istruttiva: infatti in esso una


serie di ragionamenti costrittivi rivela un certo numero di possibilit
~annesse, ma incompatibili. Anzi l'unico di questi ragionamenti che metta
capo alla determinazione di una serie di predicati positivi, conclude in
realt con coppie di predicati contraddittorii, cio fa rispuntare dal proprio seno la possibilit che pare infrangere la costrittivit. La via che
Platone imbocca allora quella del disciplinamento di questa possibilit
originaria della conoscenza e del discorso umani. Aristotele invece preferisce ricuperare la costrittivit tipica della dialettica sofistica, fondandola non gi sull'abilit di chi conduce la discussione, ma sulla struttura stessa del reale, la quale, a questo modo, garantirebbe il senso unico
di quella costrittivit. Il tentativo di Aristotele proprio quello di mettere
i!l luce una necessit logica che non derivi solo da un'accorta scelta di
parole e magari dallo sfruttamento dell'equivoco verbale, ma che sia imposta al discorso dal reale stesso : per questo nella trattazione della dialettica deve affiorare una struttura del reale in generale, che abbia i requisiti sopra delineati, e che sia riscontrabile in ogni tipo di realt.
Da questo punto di vista diventa possibile cogliere l' importanza
della differenza di significato del termine dialettica nella filosofia di
Platone e in quella di Aristotele. Non c~rto facile comprendere sotto
una sola definizione le varie presentazioni che il primo ha fatto della
dialettica; tuttavia forse possibile rintracciare alcuni motivi persistenti.
La dialettica per Platone si differenzia da alcuni modi riprovevoli di fare
ftlosofia e da alcune attivit che non appartengono alla filosofia vera e
propria. Dal primo punto eli vista la dialettica si differenzia dalla retorica
in quanto non usa lunghi discorsi atti a forzare il consenso altrui, ma
vive attraverso il dialogo fatto di brevi domande e risposte (1 27 ). Ma
non si tratta solo di differenza di tecniche: il retore e il dialettico sono
due figure morali diverse che il Gorgia cerca di tratteggiare, vedendo nel
secondo quello che aspira alla verit nella sua nudit per spiacevole che
possa essere e nel primo quello che crea parvenze e illusioni piacevoli e
che mette il proprio talento al servizio della forza e del successo. Definita con questi tratti la dialettica occupa nella Repubblica il posto pi
alto nell'organismo delle scienze dalle quali si distingue per le proprie
caratteristiche logiche. Mentre infatti le scienze so110 costituite da ragionamenti che partono da premesse assunte senza dimostrazione e restano
condizionate dalle postulazioni iniziali, la dialettica cerca di rendersi conto
delle premesse dalle quali ha dovuto partire e di ritornare ad esse consapevolmente. Disponendo di queste possibilit la dialettica si configura
come studio del vero essere che costituisce l'essenza delle cose e che rende
possibili le altre scienze, le quali tuttavia partono da premesse parziali.
In questo senso la dialettica fonda gli stessi principi cui fanno ricorso le

( 1 27 )

18

C. A.

I'rot. 334 cl - 335 d.


VIANO, La logica di Aristotele.

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LA

274

DIAL~TT!CA

scienze che si servono del ragionamento ma che non sono anccra pieno
esercizio della ragione (1 28 ). Una volta assegnato un compito e un oggetto specifici alla <.ha1tttic-a, <l tanto maggior ragione essa pu tornare a
contrapporsi alla retorica. A essa demandato il compito di cogliere
l' unit nella molteplicit, di ricostruire le connessioni logiche che legano
le cose nell'ambito dell'unit che le comprende. E da questo punto di vista
la dialettica dispone di una tecnica logica precisa: la dicotomia (1 29 ). Abbiamo messo in luce nelle pagine precedenti le principali caratteristiche di
questa tecnica logica e i presupposti filosofici cui essa fa appello. Attraverso gli ultimi dialoghi Platone approfondisce appunto soprattutto quei
presupposti. L'analisi delle categorie di unit e di essere condotta rispettivamente nel Parmenide e nel Sofista rivela ancora una volta l' impossibilit di ridurre la dialettica ad una scienza dogmatica: infatti l'nnit non
un insieme onnicomprensivo, ma il soggetto di molte possibili predicati incompatibili e l'essere rivela la propria natura di relazione e, di conseguenza, la propria dipendenza dai termini rispetto ai quali considerato. Nel Filebo l'unit diventa un concetto-limite che acquista una
serie precisa di predicati e un ambito definito di comprensione solo in
relazione con l'illimitato per la generazione del limitato (1 30). Pur attraverso le diverse presentazioni che Platone ne ia e attraverso l'approfondimento dei suoi presupposti logici, la dia!dtica, come dovrebbe risultare
dalla breve analisi accennata, mantiene alcune caratteristiche significative.
Qui ci preme insistere, per i nostri scopi, soprattutto su quelle negative.
La dialettica non una scienza deduttiva come la matematica che parte
da premesse assunte e trae conseguenze vincolate a quelle premesse e al
loro carattere parzialmente arbitrario. La dialettica cerca piuttosto di rendersi conto delle premesse proprie e delle altre scienze attraverso un costante confronto e una continua ricerca di relazioni. In questo senso essa
non una scienza dogmatica e non pu essere consegnata in un trattato (! 31 ). In ogni caso perci la dialettica rimasta per Platone una ricerca
a carattere discutivo, con o senza interlocutore, e non una scienza a carattere deduttivo.
Abbiamo gi visto in che modo Aristotele interpretasse l'ordine rdazionale della dialettica di Platone ed elaborasse uno schema di ragionamento a carattere deduttivo e costrittivo. E come Platone aveva fondato
l'ordine relazione del procedimento dialettico sulla natura stessa delle
somme determinazioni del reale, cos Aristotele pensa di poter attingere
direttamente dalle cose lo schema di ragionamento escogitato. Senonch
qui finiscono le analogie tra i due filosofi. Infatti l' essere per Platone

( 128 )

Resp. 53 I d- 534e.

(129)

PJwedr. 265 c- 2G6d.

(130)

I'hit. u.c- r7a

( 131 )

E p. VII, 34r b- 342a.

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l TIPI L>t.:LLA L>ISCUSSIONE DIALETTICA

275

pu essere uno o molti, identico o diverso, in moto o in quiete, ccc. e la


ricerca deve di volta in volta trovare la giusta dose dei due opposti termini ; sicch essa pu ben procedere con frutto dallo scontro e dal confronto delle opposte posizioni. Per Aristotele invece la struttura del reale
tale che giustifica un procedimento deduttivo ; il che vuoi dire che, fissati in esso alcuni termini, tutti gli altri sono di conseguenza necessariamente determinati in un sistema chiuso derivante da premesse. Ora, se si
costruisce un discorso deduttivo partendo proprio dalle premesse sulle
quali la realt stessa costruita, allora si ottiene la descrizione completa
delle realt concatenate con quelle premesse, cio un discorso necessariamente vero che elimina ogni ombra di discussione. Se si vuole fare una
discussione nell'ambito di un discorso enunciativo, visto che non si pu
evitare la fom1a logica che la realt stessa impone, bisogna partire da
premesse che non siano quelle sulla base delle quali la realt stessa
costruita. A questo punto la dialettica come dialogo non ec1.duta, ma
non pi come per Platone il mezzo per raggiungere la forma pi alta
di sapere, la consapevolezza dell'essere stesso: questa prende corpo nella
forma logica della scienza c vive nelle varie scienze c in una scienza
speciale che la filosofia prima. La forma deduttiva della matematica, una
volta generalizzata non pit\ ima forma inferiore di ragionamento che
impone l'accettazione di premesse non dimostrate, ma la struttura stessa
del reale che esibisce e giustifica le premesse da cui pende. La dialettica
perci, con la sua forma dialogica, diventa una forma inferiore di ragionamento in cui due interlocutori discutono partendo da premesse non
vere e imitando il discorso scientifico.
La giustificazione di questa logica, diventata minore dopo la composizione dell'analitica, spetta al primo e all'ultimo libro dei Topica mediante l' illustrazione delle connessioni sistematiche, esposte nei paragrafi
iniziali di questo capitolo, e la delineazione dei compiti della dialettica.
IO. - J VARI 'l'IPI DI DISCUSSIONE DIALETTICA. Una classificazione
esplicita dei vari tipi di discussione si trova in due passaggi dei T opiea,
sebbene con qualche differenza; accenni molto meno chiari si possono
poi rintracciare in altri luoghi dell' Organon e della lVI etaphysica. N el
primo dei passaggi dei T opiea Aristotele ammette che la dialettica pu
servire a tre scopi diversi: all'esercizio, alla discussione vera c propria
e alla scienza speculativa (1 3 :!). Quasi corrispondente la seconda classificazione : i discorsi dialettici possono essere fatti per esercizio, o per
indagare e tentare la solidit di un'argomentazione, o per puro gusto di
battaglia verbale, oppure, ancora, per insegnare (133). Come si vede, nella

(132) Top. A, 2, rora, 26-zS.


(133) Del resto non si sono ancora definiti gli scopi cui mirano i discorsi fatti
per esercizio e per saggiare ; ch non hanno gli stessi scopi quelli che imparano e
insegnano c quelli che competono, n questi perseguono lo stesso scopo che quelli che

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276

LA DIALETTICA

seconda classificazione la discussione volta all'esercizio ha assorbito iu


s l'esame spassionato della solidit degli argomenti altrui che, secondo la
prima classificazione, era compito della dialettica come discussione preliminare della scienza (1 34 ) e il contributo che la dialettica pu portare alla
scienza consiste ora nell'insegnamento di essa, cio nell'esposizione delle
teorie in forma di discussione e di dialogo e non in forma dogn1atica.
L'uso agonistico della dialettica tutto compreso nell'ambito della
discussione e della disputa e non pretende di risolversi nell' assoluta
certezza, n di essere preparatorio per un' intuizione intellettuale che
troncherebbe ogni controversia alla luce della verit necessaria. In questo
caso neppure si tenta di giungere a un discorso che si regga sul massimo
di probabilit possibile, ma solo di piegare l'avversario facendolo tacere
per mancanza di argomenti con cui rispondere alle nostre argomentazioni ; non importa poi che ci non avvenga perch le nostre tesi siano
pi probabili di quelle dell'avversario o perch sotto il nostro prevalere
si nasconda una difficolt che l'avversario non stato in grado di vedere.
Il discutere semplicemente per riportare vittoria, l'abilit nel portare argomenti, l'estrosit nel conversare sono cose che merita.no considerazione
di per s. In dispute di questo tipo la contrariet degli interlocutori che
sostengono posizioni opposte diventa vero e proprio contrasto, sebbene
non necessariamente ostilit. Infatti, quando non ci sono intenti agonistici, l' interrogante tenta di portare il rispondente all'assurdo e questi
resiste per dimostrare che non per colpa sua si giunge ad esso, ma per
l'assurdit intrinseca della tesi che sosteneva (1 35) ; cio l'interrogante
tenta di costringere il rispondente a trarre l' improbabilit dal probabile
e il probabile dall'improbabile, ma servendosi sempre di luoghi corretti,
grazie ai quali il discorso dialettico si svolge secondo la sua intrinseca
necessit; perci le sue conclusioni - probabili o improbabili che siano
- sono proprio le conclusioni delle premesse assunte. Invece, quando si
discute per vincere a ogni costo, le posizioni contrarie generano un vero
e proprio contrasto in cui l'uno tenta di portare all'assurdo e l'altro cerca
di non giungervi con il tacere le difficolt che sarebbe utile svelare, ma
che, svelate, potrebbero mettere nei guai uno degli interlocutori. Proprio
a questo scopo si pronunciano le proposizioni non strettamente necessarie
al sillogismo dialettico, ma volte appunto a rendere meno facilmente intel-

discutono tra loro per il gusto della ricerca. A chi sta imparando bisogna sempre
porre cose probabili; e infatti nessuno tenta di insegnare il falso ; quando invece si
tratta di contese, allora quello che interroga deve apparire di far sempre tutto, colui
che risponde di non sub re mai nuJia. Per quanto si riferisce alle discussioni dia l ettiche che non si propongono la contesa, ma la ricerca e l'indagine, non sono ancora
stati distinti i fini cui deve mirare chi risponde c che cosa deve concedere, che cosa
no, per salvare, bene o male, la coerenza della tesi. Poich nulla abbiamo ricevuto
da altri, tentiamo di dirlo noi stessi (Top. 0, 5, 1 ssa, .25-27).
(134) Top. A, 2, rora, 34 - b, 4.
(135) Top. 0, 4, I5'5a, 18-24.

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I TIPI DELLA DISCUSSIONE DIALETTICA

277

ligibile la conclusione cui si vuole giungere, appartenenti in modo specifico alla discussione dialettica che si propone di riportare vittoria (136) ;
tuttavia, poich la dialettica si occupa di tutti i discorsi che hanno di
mira un interlocutore, anche la competizione verbale agonistica deve essere presa in considerazione c anche i mezzi dell'agonistica possono eventualmente essere messi in uso. I principali mezzi per competere secondo
le regole dialettiche consistono nel nascondere la vera via con la quale si
giunge alle conclusioni desiderate, portando le premesse pi lontano
possibile dalle loro conseguenze necessarie. Non dovremo, perci, pronunciare i nostri asserti sul conto dci contrari, ma su quello degli opposti, di cui i contrari non sono che un caso particolare (H17 ) ; questo non
che uno dei modi in cui si deve tentare di nascondere d'onde veramente
derivi la conclusione, cercando sempre di assumere le premesse che di
per s non condurrebbero propriamente al caso proposto, ma che comprendono in s le premesse appropriate alla conclusione che sta a cuore (U18). In questo caso i luoghi della dialettica servono proprio a scoprire quelle connessioni tra nozioni apparentemente estranee alla conclusione e nozioni appropriate che ci permettono di argomentare da quelle
nascondendo queste. Cos l'agonistica pu ancora essere inclusa nella dialettica senza essere confusa con quel tipo di eristica che non rispetta le
regole del dialogo dialettico, ma procede in base a ostacoli di natura non
discorsiva, cui si appigliano oppositori ~W%O,u(vovt (13 9); quando,
(136) Tra le proposiZioni -t necessarie si dicono quelle attraverso le quali si
cc.mpie il sillogismo. Quelle che si assumono oltl-e queste, sono di quattro tipi: o
appartengono all'induzione, pc1 raggiungere l'universale, o servono a dare ampiezza
e splendore al discorso, o a celare la conclusione, o a rendere pi chiato il discorso.
Oltre a quelle appartenenti a questi tipi non possibile assumere altre proposizioni,
ma con l;ucste bisogna tentare di condurre innanzi l'argomento e di interrogare_ Le
proposizioni volte al fine di celare la conclusione sono proprie della discussione
agonistica; ma poich tutta questa trattazione tiene conto della presenza di un
interlocutore, necessario fare uso anche di queste:> (Top_ (), I, 151 b, 20-28).
(137) Non bisogna porre subito innanzi le proposizioni necessarie, attraverso
le quali si compie il sillogismo, ma bis0{:,'11a porle pi in alto possibile, per es. non
bisogna stabilire che dei contrari c' la stessa scienza, ma che la stes~a scienza
c' degli opposti, se proprio si vuole stabilire quell'asserto; posta questa ultima proposizione se ne dedurr cht anche dei contrari c' la stessa scienza, poich i contrari sono opposti (Top. El, I, 151 b, 29-34).
(138) Un altro modo di nascondere la conclusione consiste nel non dire mai
le conclusioni, ma enunciarle alla fine tutte insieme; cos vengono allontanate il pit
possibile dalla tesi iniziale. In generale, colui che intende interrogare celando i suoi
propo~iti deve rivolgere domande in modo che quando si chiesto tutto e si
pronunciato tutto il discorso si debba ancora cercare il perch della conClusione.
Ci si ottiene soprattutto con il luogo suddetto: detta la conclusione, da sola, al termine del discorso, non .': chiaro come possa essere stata dedotta, poich il rispondente non vede, salendo verso le premes~c. da quali di esse derivi, dal "!iom~nto che
non sono stati ben distinti i sillogismi che hanno condotto ad essa: Non s1 puo affatt'?
distinguere il sillogismo di una certa conclusione se noi non pomarno le pre~esse. dt
quella conclusione, ma le premesse sotto le quali sono comprese quelle da cu1 denva
il si!logismo (Top. e, I, 152a, II-22).
(1311) Sollevando a bella posta difficolt si fanno discussioni agonistiche e
non dialettiche (Top. e, II, J57a, 23-24).

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LA DIALETTICA

278

invece, rispettando le regole, si sillogizza correttamente - sebbene a volte


con premesse implicite - si discute dialetticamente, non importa se traendo
conclusioni vere o false (140). Sia nel discorso agonistico che in quello
eristico viene meno la collaborazione all'opera comune (141), perch,
postisi sul piano del combattimento, la vittoria non pu arridere che a
uno solo dei contendenti; ma nell'eristica non escluso nessun mezzo
per raggiungere la meta propostasi, mentre nella dialettica vigc pur
sempre il rispetto della necessit che costituisce la coerenza interna del
discorso. Non a lungo si intrattiene Aristotele sulla funzione della dialettica come addestramento e, almeno secondo la classificazione del libro A
dei Topica, come arte di saggiare la solidit di un asserto: che a questo
la dialettica possa servire , infatti, evidente di per s (1 4 2). Sapendo
qual la via per ragionare dialetticamente, cio dialogicamente con domande e risposte, facilmente si potranno opporre obbiezioni ad ogni asserto che sia proposto all' esame, ch le condizioni c gli elementi del
discorso dialettico sono necessari, cio non possono venir meno, qualunque sia l'argomento di cui si prende a discutere. In realt tutta la
trattazione dei Topica mira a questo scopo, cio a mettere in luce le
condizioni di un discorso dialettico, di una discussione che possa raggiungere risultati oggettivi e costituire un vaglio efficace della probabilit, della
credibilit delle opinioni proposte: e questo Aristotele presenta come
merito suo peculiare di fronte a tutta la tradizione che non ha ancora fatto
oggetto di studio questo tipo di ragionamento (1-1 3 ). In fondo si pu dire
che il compito essenziale della dialettica sia proprio quello che costituisce
il nocciolo dell'esercizio, cio il saggiare la solidit dei ragionamenti fatti
da altri o degli asserti avanzati in via provvisoria. Non per nulla i maggiori esempi di dialettica prescntatici da Aristotele stesso nelle discussioni preliminari di molte sue opere rivestono appunto questo carattere; e
in questo senso egli aggiunge che la dialettica e la filosofia hanno lo stesso
oggetto, ma I' una peirastica e l'altra apodittica ( 144). Ma proprio in
quanto peirastica, la dialettica rivela che la sua dimensione essenziale
il probabile, perch se si movesse nel vero necessario non avrebbe pi
ragione di vagliare la solidit delle ragioni addotte che avrebbero in s il
carattere di verit necessarie. D'altra parte proprio questo l'unico modo
in cui la dialettica pu ricollegarsi alla scienza e collaborare con essa. E,
{14<:1) Bisogna confutare dialetticamente e non eristicamente chi discute in
modo conveniente, come il geometra deve ragionare geometricamente, sia che concluda il vero che il falso; quali siano i sillogismi dialettici si detto prima (Top.
, II,

I$7a, 33-37).

(141) Top.

e,

II,

I57a, 38-b,

I.

(142) Che la dialettica serva agli esercizi, chiaro da questo: possedendo un


metodo potremo molto facilmente argomentare intorno a ci che ci viene proposto
(Top. A, 2, IOI a, 28-30).
(143) ToP. e, s, rssa, 36-37(144) Metaph. r, 2, I004b, 22-26.

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l TIPI DELLA DISCUSSIONE DIALETTICA

279

infatti, dove tutto deriva dai principi intuitivamente evidenti non c e


pi posto per ragionamenti veri che non siano ragionamenti scientifici ;
ma neppure c' posto per ragionamenti che delucidino i principi, dal
momento che, nel campo della verit, il mezzo loro appropriato il vovS
e non il ragionamento discorsivo. Ma in quanto si colloca nel campo
dell' f!v8o~ov, la dialettica pu aspirare a parlarne, perch non intende
dimostrarli, ma solo esaminarli, cio mostrarne 1' imprescindibile validit
rispetto ad alcune situazioni ovvie o in relazione alle idee sostenute da
altri (14 i>). Tra la dialettica e la scienza c' un diaframma essenziale costituito dal fatto che l'una verte intorno all'opinione c l'altra intorno alla
verit, sicch per passare dall'una all'altra occorre un salto, un mutamento radicale di direzione, un atteggiamento nuovo.
L' impossibilit di un passaggio continuo dalla dialettica all'apodittica deriva dalle stesse propriet logiche tipiche dell'una o dell'altra.
Infatti la seconda deriva da premesse indimostrahili in quanto precedono
e condizionano ogni possibile dimostrazione. La dialettica perci non pu
pretendere di dimostrare o di giustificare del tutto i principi dell'apodissi,
ma soltanto, tutt'al pi, di preparare ad essi negativamente la ~trada, di
mostrare la ragionevolezza di certe assunzioni, l'assurdit di certe altre,
dove per ragionevolezza e assurdit si intendono rispettivamente la conformit c la non conformit con le opinioni ritenute probabili dagli interlocutori cui il discorso rlialettico si rivolge. La funzione preliminare delta
dialettica consiste appunto nel mostrare come certe opinioni ritenute
probahili implichino delle proposizioni universali che possono fungere
da premesse di tm'apoclissi. Tn questo caso il procedimento dialettico
si configura come nn' induzione che deve risalire dai casi particolari cui
::i riferiscono le opinioni ritenute probabili agli asserti universali. Altr"'
volte la discussione dialettica preliminare rispetto alla scienza deve dimostrare che le assunzioni dell' interlocutorc conducono a casi assurdi, cio
tali che contrastano con le opinioni ritenute probabili dallo stesso interlocutore. Solo l'atto no~tico in grado di cogliere l'essenza dalla quale
pu muovere l'apodissi che soddisfer nel modo migliore tutte quelle condizioni che i luoghi dialettici pongono. Tuttavia facendo leva su quelle condizioni necessarie del discorso apofantico c in via del tutto provvisoria la
discussione dialettica pu arrivare alla proposta di principi che l' intelletto
dovr poi confermare. In questo consiste appunto il processo induttivo.
L'attendibilit - nei limiti in cui essa vale - della discussione dialettic..'l
dovuta al carattere stesso dei luoghi dialettici. Essi rappresentano le
condizioni che vengono setupre e integralmente soddisfatte dal discorso
scientifico, che anche l'unico che sia in grado di dare una descrizione
ompleta della realt; perci in un rliscorso dialettico che abbia qualche
punto di contatto con la realt pi aumenta il numero dei luoghi soddi-

(HG) Top. A, 2, rora, 34- b, 4

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280

LA DIALeTTICA

sfatti, pi aumenta la probabilit che quel discorso metta capo a conclusioni che l' intuizione noetica confermer. Ma appunto perch questo
risultato sia ottenuto bisogna che la dialettica., almeno quando ha la funzione di ricerca preliminare alla scienza, non sia intesa in senso agonistico, ma come uno dei mezzi per appurare, nel modo pi spassionato,
la solidit delle opinioni di cui si dispone prima di avere nelle mani i
principi evidenti.
I r. - IL DISCORSO Rl\'fORICO. In una trattazione dedicata alla dialettica aristotelica d'uopo tenere presente anche lo scritto sulla retorica,
che, in parte, rientra ancora in una trattazione del discorso apofantico ;
el resto lo stesso Aristotele non ha sdegnato di accogliere nei capitoli
24 e 27 degli Analytica. p1iora I' esempio e l' entimema, che sono forme
di discorso tipicamente retoriche. L' istituzione di un confronto tra la
Q'lltOQLX.t] tXVYJ e la dialettica mette subito in luce, nella prima, due piani
la cui distinzione estremamente utile per il proseguimento della ricerca.
Da un lato, infatti, quest'arte corrispondente alla dialettic..<t, in quanto,
come questa ultima, riguarda ci che non rientra in nessuna scienza particolare e perci di dominio comune, appartiene anche a chi non conosce
i principi primi (146). Ma, d'altro lato, la dialettica e la retorica si propongono scopi del tutto diversi : mentre infatti della dialettica tutti si servono per esaminare le asserzioni altrui e per entrare in un discorso, la
retorica serve a chi intenda difendersi e accusare (147). Suo scopo perci
non di insegnare a costruire un discorso che regga all'esame della
discussione e possa riportare la vittoria contro altri discorsi che Io contrastano, ma di produrre certi convincimenti nelle persone o nella persona che potrebbe condannarci o che pu condannare chi noi intendiamo
accusare: compito dell'arte retorica proprio quello di trovare i modi
in cui questo scopo pu essere raggiunto (148 ). Ma in quanto, come la
dialettica, verte intorno alle cose che acc.1.dono, la retorica dovr sforzarsi di generare convincimenti intorno alle cose che sono accadute e
delle quali siamo accusati o vogliamo accusare e non tentare di produrre
mutamenti di giudizi di valore o, comunque, di impressionare il giudice

(140) La retorica corrispondente alla dialettica: infatti entrambe vertono


intorno a quelle cose che in certo modo possono essere comunemente conosciute da
tutti e non appartengono a nessuna scienza definita (Rhet. A, I, I354a, 1-3).
(147) Per questo tutti usano entrambe la dialettica e la retorica : perch tutti
una qualche volta mettono mano a tentare qualcuno interrogandolo o a rispondere
a un'argomentazione, a difendersi o a accusare (Rhet. A, I, 1354a, 3-6).
( 1 48) Dei pi gli uni fanno queste cose [il difendersi e l'accusare l a casaccio,
gli altri per abitudine, avendo acquisito una loro abilit. Poich si pu raggiungere
lo scopo nell'uno c nell'altro modo, chiaro che dovrebbe anche essere possibile
aprirsi una strada per ottenere queste cose: infatti possibile indagare la causa
attraverso cui giungono al successo coloro che agiscono per abitudine e coloro che
agiscono a caso, e tutti ormai dovrebbero aver ammesso che questo il compit()
dell'arte retorica (!?het. A, I, I354a, 6-n).

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LA R.ETOR.ICA

281

in modo che giudichi bene ci che andrebbe invece giudicato male, secondo le leggi in base alle quali deve pronunciare il verdetto, come spesso
hanno creduto coloro che hanno trattato di questo argomento (1'19 ). Nella
retorica c', dunque, il fine di ottenere la convinzione di una certa persona; ma questo fine pu essere ottenuto in modo proprio solo con i
mezzi che sono caratteristici anche della dialettica. Nulla impedisce che
possano essere impiegati anche altri mezzi, come per es. l'opportuna
configurazione stilistica del discorso o la disposizione delle parti che lo
costituiscono, sebbene questi accorgimenti non rientrino propriamente
nell'arte, non siano vtEXVfL (1 50). Tuttavia, proprio la considerazione dei
risultati che i mezzi impropri si propongono di raggiungere vale a mettere in luce i fini cui anche i mezzi propri devono mirare, e, cio, a
distinguere la retorica dalla dialettica. In quanto non si limita all'argomento come tale, ma mira a raggiungere attraverso quest"ultimo un de-terminato stato d'animo, un determinato atteggiamento - sia pure con
mezzi oggettivi c non con escogitazioni grossolane - , la retorica non
rientra del tutto nel discorso apofantico, ma pu, da un certo punto di vista, essere considerata un discorso puramente semantico (1" 1). Infatti essa
non bada tanto alla fedelt dei discorsi al vero, quanto alla possibilit
che essi hanno di convincere di ci che asseriscono come vero. In questo
senso, anche negli argomenti veri, si scelgono le parole e si costruisce
l'aspetto semantico del discorso in modo che possa essere favorevolmente
accolto da chi deve essere convinto proprio da quel discorso. Gli argomenti costituiscono il corpo del discorso rcttorico, ma ad essi si aggi1mgono anche gli accorgimenti che sono tratti dal lato propriamente semantico del discorso in quanto tale ( 1 52).
Come la dialettica, la retorica prende ad oggetto qualsiasi cosa, a
prescindere dai principi propri dai quali andrebbe studiata ; ma, a differenza di essa, cerca non l' ev6o~ov, ma il :JtLl'tavov (1 53). Quale differenza
corra tra l'uno e l'altro si potr stabilire solo studiando particolareggiatamente i mezzi propri a disposizione di ciascuno di essi. Intanto il :1tL1'lrwov
(149) Ora dunque, alcuni, componendo i loro trattati sulle arti dci discorsi.
hanno portato a compimento una piccola parte della tratta?.ionc d"' Ila retorica: infatti
solo le prove fanno parte dell'arte in modo proprio, mentre il resto aggiunta; ora
quelli nulla dicono intorno agli entimemi che 50no il corpo delle prove, ma si diffondono per la massima parte a trattare delle cose che non rientrano nell'argomento:
perch il sospetto, la piet, l' ira e siffatti affetti dell'animo riguardano il giudice
e non la cosa:> (Rhec. A, I, 1354a, II-18).
(l GO) chiaro che stabiliscono canoni non rientranti nell'argomento quelli che
distinguono le altre cose non proprie della retorica, come per es. che cosa deve essere
il proemio, che cosa l'esposizione e cia'Scuna delle altre parti>> (Rhet. A, I, 1354b,
16-zo).
(151) Parlando di tipi di discorso semantici, Aristotele dice che la loro indagine i: pi propria della retorica o della poetica (De nt. 4, 17a, 5-6).
(152) Rhet. A, I, 1354a, 14-15.
(1G3) Sia la retorica la facolt di indagare ci che pu essere convincente
intorno a ogni cosa > (Rhct. A, 2, 1355 b, 26-27).

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282

LA DIALETTICA

della retorica si distingue nettamente dalla capacit di convinzione che


propria di ogni nozione scientifica o di ogni nozione tecnica (1 114 ): infatti
nella scienza e nell'arte la convinzione deriva direttamente dalla verit delle
nozioni che si insegnano ed subordinata ad essa, in quanto queste discipline si propongono di inculcare le loro nozioni e di convincere, solo come
un mezzo per insegnare (1 55). Invece la retorica cerca ci che pu convincere intorno a ogni argomento come fine a se stesso, al quale subordina l'eventuale verit degli argomenti usati (150). I mezzi con cui si pu
ottenere la convinzione intorno a qualsiasi argomento sono propri (E'vrexvu
o impropri (LT"f.va) (Hi 7 ) : questi sono i mezzi di cui possiamo fare ttso,
in quanto li troviamo gi costituiti dinnanzi a noi, ma che noi stessi non
possiamo escogitare, mentre i primi sono quelli che noi stessi troviamo e
costruiamo (1r.R). I mezzi propri si dividono in tre specie: il costume di
chi parla, la disposizione dell'ascoltatore e il discorso in rtnanto dimostra
o pare dimostrare ( 1 (; 9 ). Proprio la considerazione del discorso, inteso
quale mezzo di convinzione pu illuminare i npporti tra la nozione di
:rn-ttcwov e quella di v3oov. Infatti il discorso come mezzo retorico di
convinzione una &n615n.~t {nFOQI.'X.~, cio un v{h)fA1)ftu che, a sua
volta, in quanto sillogismo, pu essere collocato e studiato con i mezzi
linguistici di cui dispone la dialettica ( 11' 0 ); ma non perch l'entimema e
(154) Delfe altre arti ciascuna ha la capacit di insegnare e di convincere
intorno a ci che rientra nel suo campo di studio, per es. la medicina intorno a ci
che sal uta re e a ci che nocivo, la geometria intorno alla propriet delle grandezze e l'aritmetica intorno ai numeri, cd altrettanto per le altre arti e scienze
(Rhet. A, 2, 1355b, 28-32).
(155) Il discorso che si uniforma alla scienza tenuto a scopo di insegnamento (Rhet. A, I, 1355a, 25-26).
( 1 f>U) La retorica sembra in grado, per cos dire, di indagare ci che pu0
convincere intorno a ci che ad essa viene proposto. Per questo diciamo che l' insieme delle nozioni tecniche che la costituiscono non vertono intorno a un qualche
genere definito come proprio di essa (Rhet. l\, z, 1355 b, 32-35).
(1!;7) Tra le prove alcune sono proprie di questa arte, altre no {l?het. A, 2,
I355b, 35-36).
(158) Prove improprie sono quelle che non vengono prodotte da noi stessi, ma
preesistevano, per es. i testimoni, la tortura, i documenti scritti e altre cose del genere; proprie sono le prove che possono essere costruite da noi stessi e con i dettami
dell'arte. Perci dalle une bisogna trarre partito, le altre bisogna trovare (Rhet. A,
2, 1355 b, 36- 1356a, I).
(159) Delle prove che si ottengono per mezzo del discorso vi sono tre specie:
le une consistono nel costume di chi parla, le altre nella disposizione di chi ascolta,
e altre ancora si servono del discorso come tale, in quanto dimostra qualcosa o
sembra che lo dimostri (Rhet. A, 2, 1356a, I-4).
(160) Poich manifesto che la ricerca propria dell'arte retorica verte intorno
alle prove, che la prova una sorta di dimostrazione (infatti noi prestiamo fede
soprattutto quando supponiamo che si sia dimostrato), che la dimostrazione retorica
un entimema e che questa , pe1 dirla in una parola, la migliore delle prove, e
l'entimcma un sillogismo, intorno al sillogismo in ogni sua specie compito della
dialettica indagare, nella sua totalit o in una sua parte, chiaro che chi in grado
di indagare eia quali premesse e come si ha un sillogismo, pi di ogni altro pu fare
sillogismi, gi conoscendo intorno a quali cose si possono fare entimemi e quali differenze essi abbiano rispetto ai sillogisrni dialettici (Rhet. A, r, I355a, 4-14).

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LA RETORICA

283

l sillogismo dialettico siano la stessa cosa ( 161), bens perch appartiene


alla stessa facolt indagare il vero e il simile al vero (162). Ci permette di
stabilire la differenza tra entimema e sillogismo dialettico, differenza che
Aristotele non si preoccupato di mettere hene in luce, sebbene continui a
menzionarla. L'entimema un sillogismo che argomenta dalle cose verisimili 8!; e'Lx6Twv o dai segni il!; cref.!dmv (1G 3). Ora, l' E:x:, che si suole
tradurre con verisimile , ci che avviene per lo pi, che vale come
1miversale rispetto al particolare, ma che, in quanto 6vbo~ov, non reca
con s nessuna garanzia della sua verit, pur potendo essere vero (1 64 );
il crF.!tE:ov, invece, come il particolare rispetto all' universale, cio
una proposizione in cui si asserisce un legame di conseguenza o di concomitanza tra due cose, vero o ritenuto tale (1 6 ~). L'elxo, con l'entimen,a che da esso deriva, sono diversi dall' 6v'o!;o'' con il sillogismo che da
e1-.so. deriva, proprio in quanto il primo sottoposto al ;j[dl uv ov; cio
come l' rv'o!;ov l' dx<); non necessariamente vero, rna a differenza da
qnello non viene ritenuto vero in una certa determinata situazione, sulla
base del giudizio dei pi o dci pi dotti, bens il caso generale nel quale
il particolare deve essere fatto rientrare perch diventa pi facilmente
credibile. Cio il supposto vero non considerato come soluzione di un
certo problema, ma come consueto ripetersi di una situazione, intorno
alla quale vogliamo convincere qualcuno : in altre parole il vero considerato come mezzo di persuasione. Anche il crE~-tei:ov considerato come
la proposta di un nesso che deve avvalorare certe nostre opinioni intorno
Rhet. l\, I, 1355a, 12-14.
Appartiene alla stessa facolt scoprire il vero e il simile al vero e gli
uomini sono per natura disposti sufficientemente verso la verit e il pi delle
volte riescono a coglierla: perci l'essere perspicaci intorno alle cose probabili
proprio di chi similmente perspicace intorno al vero~' (Rhet. A, I, I35Sa, 14-18).
(163) L' entimema un sillogismo che argomenta da premesse verisimili
da segni (An. pr. B, 27, 70a, xo); si dicono entimemi quelli che derivano da
premesse verisimili o da segni (Rhet. A, 2, 1357a, 32-33).

{161) Il verisimile ci che avviene per lo pi, ma non in senso assoluto.


come definiscono alctmi, ma limitatamente a quelle cose che possono essere altrimenti e verso ci di cui veri simile come l'universale rispetto al particolare ;;.
(Rh et. A, 2, 1357 a, 34 -b, I); il verisimile una proposizione probabile: infatti
ci che si sa avvenire o non avvenire, essere o non essere per lo pi in una certa
maniera, questo . il verisimile, per es. che gli innamorati amino e gli invidiosi
odino (An. pr. n, 27, 70a, 3-6). significativo come nella prima delle due citazioni Aristotele asserisca che l' dxo non da intendersi in senso indiscriminato
( alt,,co), ma limitatamente alle cose che possono essere diverse da come sono, cio
che non sono necessarie: a questo modo egli distingue lo o1 1tL T 1ro.v della re~o
rica da quello di cui si pu occupare la scienza. Il primo infatti una gencrahzzazione tratta da cose accidentali e fondata su supposizioni che non vanno oltre la
probabilit, come dimostra la seconda citazione qui sopra riportata.
(16v) Tra i segni alcuni sono come un individuale rispetto all'univers~le, altri
come un universale rispetto al particolare (Rhet. A, 2, 1357b, 1-3); tl segno
intende essere una proposizione apodittica, necessaria o probabile: infatti ci, essendo
<1 divenendo il quale, prima o dopo o divenuta la cosa, segno dell'essere o del
divenire (An. pr. D, 27, 70a, 6-9).
(161)

(162)

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284

LA DIALETllCA

ad un fatto e delle quali vogliamo convincere qualcuno. Ci che per la


dialettica l'elemento fondamentale, cio la possibilit del discorso di
e:osere vero, qui considerato in via del tutto subordinata, come mezzo
per produrre convinzione : non conta che le premesse retoriche siano
vere o appaiono solo tali, ma che siano simili al vero, cio che possano essere credute vere. Lo stesso entimema, insieme all'esempio, che
l'altra forma di ragionamento retorico, pu essere vero o apparente (166), purch possa essere creduto vero; del resto lo stesso Aristotele ammette che tra gli entimemi che deducono dai segni solo quello di
prima figura inconfutabile, mentre gli altri o sono confutabil! o addirittura non reggono (167 ). Le forme del discorso mutuate dalla dialettica
alla retorica vengono da quest' ultima considerate solo perch sono le
strutture necessarie della verit; e, dovendo questa entrare come ingrediente del :Jtt{hxv6v, quelle costituiranno la struttLtra in cui anche l'orazione retorica dovr configurarsi. Allora la differenza tra la dialettica
e la retorica chiara: la prima, mirando al1' voo~ov, si propone di costruire un discorso perfettamente coerente, che accolga la massima probabilit possibile, senza incappare in qualche antinomia, considerando
sillogismo e induzione come i veri banchi di prova del valore delle asserzioni fatte. Invece la retorica, mirando al :n:Ltta\ov si propone di fare
un discorso convincente, senza preoccuparsi poi che esso incappi o meno
in antinomie, purch abbia l'apparenza di non incapparvi, perch sempre
il vero un mezzo di convinzione pi efficace del non vero (1 68 ). L'EvOo~ov dialettico, in quanto entra nella retorica come mezzo di persuasione,
diventa l' stxo, cio quell'asserzione che ha un valore solo perch pu
essere creduta vera, senza che per si metta alla prova questo suo valore
di verit.
Proprio in quanto non mira solo ad assodare la probabilit di un
discorso, ma a produrre uno stato d'animo e un atteggiamento in una.
persona, la retorica si serve anche di altri mezzi, oltre la struttura che
garantisce la verosimiglianza del discorso: cio, come abbiamo &ri detto,
del costume di chi parla e della disposizione d'animo di chi ascolta. Ma
l'una e l'altra cosa non sono mezzi separati dal primo, in quanto si dimostra il proprio costume parlando e dalle tesi che si sostengono e si sollecita l'ascoltatore verso un certo sentimento insistendo su di un certo
(166) Si fa fede con i discorsi quando si dimostra il vero o ci che appare come
vero da premesse convincenti intorno a ciascuna cosa (Rhet. A, 2, 1356a, 19-20).
( 167 ) A proposito dei sillogismi da segni Aristotele asserisce che quello che
si compie attraverso la prima figura inconfutabile, se vero (perch universale),
quello che avviene attraverso l'ultima figura confutabile, anche se la conclusione
vera>> (An. frr. B, 27, 7oa, 29-31); quello che avviene attraverso la seconda figura
sempre e del tutto confutabile: ch neppure si ha un sillogismo con una tale disposizione di termini (ibid. 34-36).
(!68) Perch per natura sono migliori le cose vere e giuste del loro contrario(Rhet. A, I, 1355a, 21-22).

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LA RETORICA

285

argomento o con certi artifici connessi alla compos1z1one o alla recita


del discorso (1 69 ). Da questo punto di vista entra in conto il lato propriamente semantico del discorso, che viene architettato in modo da indicare cose che, per il solo fatto eli essere menzionate, testimoniano del
carattere di chi pronuncia l'orazione o suscitano rcrte passioni in chi
ascolta. Ci posto, chiaro come componente della retorica non sar
solo la dialettica che fomisce i mezzi per elaborare un discorso vero o
apparentemente vero, ma anche la politica, in quanto studia i costumi
<:legli uomini (170) e, perci, pu indicare su quali costumi sia necessario insistere e quali passioni sia bene suscitare in chi ascolta. Dopo di
che Aristotele pu asserire che i luoghi comuni dei quali si serve la retorica, riguardano la giustizia, le cose rientranti sotto l'argomento proprio
della fisica o riguardanti la politica; a questi si devono aggiungere i luoghi che si possono trarre dalla struttura comune a tutte le cose in generale (17 1). Infatti, mentre i luoghi comuni validi per tutte le cose sono
quelli tratti dalla dialettica e destinati a dare verosimiglianza al discorso,
gli argomenti specificamente diversi usati via via dal retore nei diversi
casi mirano di volta in volta a suscitare in chi ascolta le passioni ritenute
opportune o a dimostrare un costume ritenuto giovevole alla causa che
si sta perorando. La conoscenza delle passioni e dei costumi degli uomini
senre ad assumere, riguardo agli argomenti morali, proposizioni tali che
possano essere sviluppate in entimemi, ma che, nello stesso tempo, possano impressionare favorevolmente l'uditorio. Entro l'ambito di questi
luoghi la base per la scelta delle premesse retoriche emozionale, in
quanto il metro della riuscita del discorso non la sua vittoria in una
contesa contro altri ragionamenti, ma la convinzione di chi ascolta: in
questo senso la Rhetorica considera il discorso apofantico, non in quanto

(16D) Si ha prova attraverso il costume di chi parla, quando si fa un discorso


che renda degno di fede chi io ha pronunciato: infatti alle persone per bene crediamo di pi e pi rapidamente, assolutamente e completamente intorno a quelle
cose delle quali non c' certezza, ma di cui lecito avere opinioni contrarie. Ma
anche questo si deve ottenere per mezzo del discorso e non perch l'uditore abbia in
p1ecedenza una certa opinione di chi parla; perch non si deve dire come alcuni che
si sono occupati di quest'arte dicono che non giova a nulla ai fini della persuasione
che chi parla sia una persona per bene, ma, per dirla in breve, il costume costituisce
la prova migliore. Mediante gli ascoltatori si ha prova, quando vengono sospinti
verso un certo determinato sentimento mediante il discorso; ch non diamo giudizi
alla stessa maniera quando siamo addolorati e quando siamo lieti, quando amiamo e
quando odiamo (Rh et. A, 2, I356a, s-r6).
( 17 0) Perci la retorica come generata in un senso dalla dialettica e in un
altro dalla trattazione concernente i costumi, che giusto chiamare politica. Perci
la retorica compresa entro la politica'> (Rhet. A, 2, 1356a, 25-28).
(171) Intendo per sillogismi retorici e dialettici quelli intorno ai quali enunciamo i luoghi comuni : questi sono quelli che valgono indiscriminatamente per le
cose giuste, per le cose in quanto facenti parte delta natura e per le cose studiate
dalla politica e per molte cose differenti per specie, come il luogo del pi e del
meno (Rhet. A, 2, 1358a, ID-14).

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286

LA DIALETTICA

apofantico, ma in quanto mezzo per raggiungere un fine di natura emozionale, strettamente connesso con la semanticit del discorso stesso.
Un pi approfondito esame della Rhetorica non pu rientrare in
uno studio sulla logica di Aristotele, in quanto le parti successive della
prima sono dedicate all'esame dei vari tipi di discorso retorico, classificati, per, in base alle specie di persuasione che si propongono di raggiungere e non in relazione alla loro struttura in quanto discorsi verisimili, ai caratteri, ai luoghi comuni, allo stile, alla composizione ccc. Infatti gli stessi luoghi comuni non hanno qui interesse per una ricerca
dedicata alla logica, in quanto sono gli stessi di quelli gi esaminati nei
TojJica e perch non vengono discussi in relazione alla probabilit del
discorso e quali banchi di prova della sua capacit di enunciare il reale,
ma sono semplicemente presupposti quali schemi che il discorso deve
rispettare per riuscire pi facilmente persuasivo. L' importanza della Rhetorica nello studio della logica aristotelica consiste piuttosto nel fatto che
anche in essa lo Stagirita ha sostenuto l' imprescindibilit del sillogismo
come unico mezzo per enunciare il reale. La considerazione della reto
rica giudiziaria nel I" capitolo del libro A della Rhetorica ha messo in
luce come l'argomento vero o apparentemente vero deve costituire il
nucleo dell'orazione, mentre il lato propriamente emozionale si deve fondare sul lato semantico dell'argomento stesso. Ma l'unico elemento che
possa dare verisimiglianza al discorso la struttura sillogistica con i
luoghi dialettici sui quali si fonda. Nulla importa che l'esempio non sia
un'induzione F. &nctviWV nl.>v (hp.cov (1 72 ) e che il caso che serve d
esempio sia sostituito con la circostanza che si vuoi esemplificare sulla
base della somiglianza e non della identit (17:1) o che l' entimcma non
sempre sia un argomento valido: l'essenziale che l'uno abbia una struttura analoga a quella dell' induzione e l'altro a quella del sillogismo, che
l'unico modo in cui le connessioni di cui ci sta a cuore convincere gli
altri possono assumere sembianti di vero. II corpo dell'orazione deve
consist~re in un argomento che, in quanto apofantico, non pu esimersi
dall'essere di tipo sillogistico, sebbene poi miri alla persuasione, per
raggiungere la quale fa uso anche dei mezzi semantici che ha a disposizione.

(11~) L'esempio differisce dall' induzione, perch\! questa dimostrava che l'estremo inerisce al medio attraverso tutti i casi individuali e non traeva oltre a ci altra
conclusione, mentre l'esempio tra<' un'altra conclusione e non dimostra attraverso
tutti i casi individuali (An. pr. B, 24, 6ga, r6-rg).
(173) Si ha esempio quando si dimostra che l'estremo inerisce al medio pet
la sua somiglia117.a con il terzo termine (An. pr, B, 24, 68b, 38-40).

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CAPITOLO

L'ERRORE

L - L'ERIWRF. COME FAr.SO. Il problema dell'errore di estrema.


importanza in ogni logica, in quanto la trattazione di esso mette subito in.
luce le dimensioni in cui quella logica si muove. Infatti uno studio del
modo di operare del pensiero deve non solo preoccuparsi della riuscita
delle imprese di quest'ultimo, ma anche della possibilit del loro fallimento; ma la considerazione del fallimento strettamente connessa con
quella della riuscita. A seconda del modo e del grado di sicurezza che si
creduto di poter riscontrare nei processi del pensiero si orienta la considerazione dell'errore: infatti quest'ultimo non pu costituire problema
per chi non ne riconosca la possibilit, cio per chi non lo tenga presente
proprio esaminando i pegni di successo che il pensiero possiede. In
questo senso una teoria dell'errore non deve costituire un'appendice alla
trattazione della verit, come se suo unico compito fosse quello di giustificare insuccessi di ricerca considerati come fatti scandalosi e da espungere dal novero degli atti di ragione, ma deve trovare il suo fondamento
proprio nella dottrina della verit: la trattazione del problema dell'errore
deve fondarsi, per quel che riguarda la logica, sul riconoscimento della
possibilit di esso in quanto fallimento di un'iniziativa presa dall'uomo
che conduce una ricerca in un dato campo. Ma questo possibile solo
in una concezione che non riconosca alla ragione poteri infiniti e garanzie assolute di successo, ma ammetta che ogni suo atto pu essere un
passo verso il successo o verso il fallimento e verso un maggiore o minore successo o un maggiore o minore fallimento. Perci la maggiore
o minore importanza accordata alla possibilit dell'errore nel corso di
un processo di ricerca o, addirittura, la sua impossibilit, mettono in
luce la maggiore o minore sicurezza o addirittura la certezza accordata ai
metodi della ragione in tutta la sua opera o limitatamente a certi aspetti
di essa.
Ora, per Aristotele la considerazione dell'errore fondamentalmente
e indisgiungibilmente legata alla considerazione della verit. Infatti l'antitesi di vero-falso, cui nessuna proposizione pu sottrarsi, determina in
modo essenziale il discorso apofantico, cio quel tipo di discorso che-

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288

L'ERRORE

costituisce l'oggetto proprio della logica (1). In questo senso l'errore


coincide pienamente con la proposizione falsa, cio consiste nel totale hllimento del tentativo di enunciare un nesso reale. Infatti per Aristotele
il falso propriamente il non-essere in quanto venir meno della coincidenza del linguaggio con le cose che in esso vengono enunciate. Proposizione falsa , perci, quella che indica l'essere come non-essere o il nonessere come essere (2) : in quanto tale, l' errore l' enunciazione di un
nesso reale che non , la negazione contraddittoria di una proposizione vera. N e consegue che ogni proposizione falsa diventa vera se
mutata nel suo contraddittorio, perch se falso avvicinare due termini
che nella realt sono distinti, vero sar il scpararli. Il falso in quanto tale
discorso su ci che non , almeno per uno dei termini del nesso erroneamente stabilito, dal momento che quel nesso potrebbe essere vero per
un'altra cosa qualsiasi (3).
Da queste osservazioni deriva subito una conseguenza: l'errore non
pu non porre capo a una proposizione che contraddica la proposizione
vera. Il che implica che l'errore possa venir preso in considerazione solo
in quanto si gi risolto in una asserzione compiuta, in quanto, cio, il
tentativo di enunciare il reale gi giunto al suo epilogo, sia pure fallito.
In questo senso l'errore si contrappone contraddittoriamente al vero, in
quanto epilogo di un processo non riuscito. Falso vuoi dire allora errore
scontato, proposizione riconosciuta nella sua non validit e perci giudicata in base alla proposizione vera che ad essa si deve sostituire. Una
dimensione assente nella logica di Aristotele: la considerazione dell'errore come impossibilit di giungere ad una enunciazione qualsiasi del
reale, cio come direzione errata del processo di ncerca tendente a trovare una enunciazione linguistica di una certa realt. Il che significa che
per Aristotele ogni proposizione in rapporto immediato con la realt,
sia che coincida sia che non coincida con essa, cio in grado di etlUnciare il reale, ,pur potendo non enunciarlo, ma non potendo mai enunciarlo in modo pi o meno adatto. Cio ogni volta che ci si propone
di enunciare il reale abbiamo immediatamente a disposizione una sumtura che pu coincidere immediatamente con la struttura della realt, sicch non si d mai errore, almeno dal punto di vista della logica, come
errato orientamento nel processo che conduce al raggiungimento ciell'enunciazione linguistica del reale: cos si spiega che ogni errore non
possa essere considerato che nella forma di una proposizione compiuta.
In quanto proposizione, cio forma compiuta del discorso apofantico, l'errore si pone in immediato rapporto con la realt mostrando
(1) Cfr. par. 3 del Cap. I.
(2) Cfr. par. 3 del Cap. I.
(3) Discorso falso quello detto delle cose che non sono, in quanto falso,
perch ogni discorso falso discorso di una cosa diversa da quella di cui sarebbe
discorso vero (Metaph. ~. 29, 1024b, 26-28).

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L'ERRORE COME l'ALSO

289

inm1ediatamente la sua non coincidenza con essa; ma in quanto l'errore


si rivela come non coincidente con il reale, quest'ultimo appare nel suo
vero essere, cio pu essere enunciato con una proposizione vera, rispetto
alla quale quella falsa sar contraddittoria, dal momento che il reale,
come il discorso apofantico, non dispone che di due forme, di congiunzione e di separazione, di affennazionc c di negazione ( 4 ). Proprio in
quanto il discorso apofantico se1npre in nostro immediato possesso, cio
in quanto sempre possibile enunciare un giudizio controllabile nella sua
verit e nella sua falsit, il rapporto della verit con l'errore sempre un
rapporto di contraddizione: infatti come proposizione apofantica l'errore
si sottopone alla necessit dell'antifasi che valida per ogni tipo di discorso apofantico ('i). Ci posto, si vede assai facilmente come per Aristotele
la logica non consideri mai l'errore in quanto impedimento reale. cio
in quanto proposizione falsa creduta e considerata come vera, ma presupponga sempre il riconoscimento del falso nella sua falsit. La verit
di ogni giudizio non messa in relazione con il processo in cui si colloca,
con le possibilit che chiude a questo processo, ma con il reale stesso,
cio con le proposizioni che si suppongono enunciare questo reale. In
quanto suppone di possedere un linguaggio perfettamente adatto al reale
e in quanto ammette di poter attingere immediatamente quest'ultimo,
Aristotele stabilisce una di-visione netta e assoluta tra vero e falso. D'altra
parte proprio nel riconoscimento dell'errore come falso viene in luce ci
su cui non mai possibile errare nell'atto stesso in cui si distingue il
vero dal falso : cic che tra vero e falso si d incompatibilit assoluta, in
quanto l'uno la negazione assoluta dell'altro. A questo modo !a contrariet antifa,tica si ri'ucla la struttura necessaria del reale e del discorso
entro la quale anche l' errore deve essere compreso. La testimonianza
pi decisiva a questo proposito ci offerta dal libro r della M etaphysica,
dove Aristotele pone il principio di non contraddizione, cio il principio
dell' esclusione assoluta e immediata dei contraddittori, come principio
fondamentale per confutare la dottrina sofistica della perfetta identit
<lell'errore e della verit (6 ). In questo senso Aristotele asserisce che di
tutto lecito dubitare, ma non del principio entro il quale soltanto l'errore e, di conseguenza, il dubbio, prendono un senso.
La possibilit dell'errore nella logica di Aristotele si fonda sull'ammissione di forme di discorso perfettamente adeguate alla realt, ma non
necessariamente corrispondenti ad essa: infatti da un lato il discorso
possiede affermazione e negazione e, dall'altro, la realt non pu mani( 4) Cfr. par. 3 del cap. I.
(5) Cfr. par. 2 del cap. I.
(G) Vi sono alcuni che, come abbiamo detto, asseriscono che l'essere c il nonessere possono essere la stessa cosa e che si pu opinare corrispondentemente ...
Ma noi ora abbiamo assunto come impossibile che l'essere e il non-essere coesistano
e, con questo abbiamo dimostrato che questo il pi sicuro di tutti i principi
(M etaph. r, 4, IOOj b, 35- roc6a, S).
19

C. A.

VIANO, La logica di Aristotele.

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290

L" ERRORI!

festarsi che come unione o separazione di termini (1), ma non necessario che ovunque c' un'unione ci sia un'affermazione e ovunque c' una.
separazione ci sia una negazione. Le forme del discorso sono perfettamente adeguate al reale nel senso che, ammesso che si sia pronunciata
un'affermazione in corrispondenza di un'unione reale e una negazione
in corrispondenza di una separazione reale, non pi possibile trovare
altre forme linguistiche che enuncino meglio quel reale; ma non sono
necessarimiwnte corrispondenti al reale in quanto non sempre si usano
le forme che possono enunciare perfettamente il reale. Aristotele, perci,
si preoccupa di mostrare come quelle stesse forme di discorso che sono indispensabili per formulare un discorso vero possano, invece, dar luogo all'errore, ritenendo compito imprescindibile di una logica che voglia fondare la possibilit di un discorso rigoroso giustificare l'errore come errore.
Infatti chi non riconosce la possibilit dell'errore o distrugge ogni sapere
oggettivo, come fanno i Sofisti, o, ammettendo ingenuamente che ogni
cosa ha il suo propvio discorso perfettamente appropriato ("'), elimina
la possibilit di un complesso organismo discorsivo capace di enunciare
il reale nella sua organizzazione sostanziale. vero che ogni realt pu
essere enunciata da una sola proposizione vera, ma, appunto perci,
quella proposizione si distingue nettamente da quante altre proposizioni
non sono in grado di enunciarla. Tuttavia anche Aristotele imposta il
problema dell' errore entro l' orizzonte della necessit, cio. di fronte
ad Antistene, non mostra come sia possibile enunciare una proposizione
discordante dal reale, ma assume come gi data la proposizione errata e solo si preoccupa di giustifiec1.re come anch'essa abbia una struttura linguistica identica alla proposizione apofantica vera. Entro l'untifasi, che il supremo principio della struttura antologica del reale e
logica del discorso, trova posto anche l'errore, ma, con1e abbiamo detto,
in quanto gi formulato in una proposizione compiuta, gi necessariamente esclusa da quella vera. Come tra i due termini dell'antifasi non
trova posto la possibilit dell' uno o d eli' altro e), secondo le dottrine
del capitolo 9() del De interpreta/ione, cos l'errore non considerato
in relazione alla scelta dell'uno o dell'altro corno dell' antifasi, ma in
relazione al reale che sempre e necessariamente enunciabile in uno
solo dei corni dell' antifasi affermazione-negazione. La costituzione antifatica del reale e del discorso non perci intesa da Aristotele quale condizione della liberh. della ricerca, ma quale struttura clelia sua necessit,
(7) Cfr. par. 3 del cap. I.
(S) Antistene professava una dottrina ingenua credendo che nulla potesse

dirsi oltre il discorso appropriato a ciascuna cosa. ogni discorso per ogni cosa; dal
che derivava che non <:ra neppure possibile contraddire c forse neppure dire il
falso. Ma possibile dire ciascuna cosa non solo con il discor50 ad essa apprvpriato,
ma anche con il discorso proprio di un'altra s da cadere anche nel falso pi
completo (Metaph. , 29, ro24b, 32-36).
(9) Cfr. par. 5 del cap. I.

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L' I.:l~R.OR.E E IL SILLOOJSMO

291

sicch l'errore non considerato come una scelta inopportuna di fronte


ad un'antitesi che la ricerca ci offre, ma come il necessario essere falsa di
una proposizione che si collocata dal lato dell'antifasi non collimante
con il reale che deve enunciare. Il quale per quello che in quella data
circostanza e in quanto , necessariamente dal lato opposto dell'antifasi.
2. - L'ERRORI<; ~,; IL SJLLOGISl\W. Quando dagli elementi del discorso si passa al discorso come organismo compiuto il problema dell'errore si complica, almeno nella logica di Aristotele. Infatti, mentre la proposizione semplice determina il suo valore di verit in relazione immediata con il reale, o almeno con la proposizione vera sul reale, nel discorso
organizzato si pone anche il problema di esaminare la coerenza di quel
che segue con ci che precede. La prima coerenza necessaria in questo
caso la coerenza semantica, cio l'uso di un linguaggio uniforme. Su
questo tema Aristotele ha molto insistito, vedendo nell'uso scorretto ddle
parole la fonte di molti sofismi celebri. L'uniformit di linguaggio
viene meno, per lo Stagirita, solo quando una locuzione sostituita con
un'altra implicante il riferimento ad una cosa diversa (1): in altre parole,
incoerenza semantica si ha solo quando la sostituzione di un termine con
un altro porta con s la sostituzione di una cosa con un'altra. Ne consegue, da un lato, che ogni coerenza tra parole coerenza tra cose, sicch
solo su questo piano pu essere studiata l'organizzazione di un discorso;
dall'altro che ogni sostituzione di parole valida fino a che non si arriva
a una vera e propria sostituzione di cose. Perci, a rigore, parlare di una
uniformit semantica in Aristotele improprio, in quanto il linguaggio
non ha una sua propria uniformit, per cui, in un certo tipo di discorso
si debbano scegliere certe parole e evitare certe altre, anche se tutte indidicano le stesse cose: un tale concetto di uniformit , infatti, fondato
sulla considerazione dell'atteggiamento implicito nell'uso di una parola,
cio del suo valore normativa. In questo caso una parola pu essere eliminata da un dato sistema semantico solo perch nell'uso di essa implicito l'uso di mezzi conoscitivi diversi da quelli con i quali vengono usati
gli altri termini del sistema semantico in questione, nulla impedendo per

(lO) ... accade di sbagliare riguardo ai sillogisroi... per la somiglian:ta dei


modi in cui si stabiliscono i termini ; ed bene che non restiamo all'oscuro di ci.
Per es. se A si dice di B e B di C: si direbbe che, cos stando i termini, c't: sillogismo, mentre, invece, non si ha nessun passaggio necessario e nessun sillo~dsmo.
Sia, infatti, A l'essere per sempre, B Aristomene in quanto pen~ato, C Aristomene.
vero che A incrisce a. B : infatti, sempre Aristomene oggetto di pensiero. Ma
anche B incrisce a C: infatti Aristomene Aristomene in quanto oggetto di pensiero. Eppure A non inerisce a C : perch Aristomene mortale. lnfat!i, essend<?
i termini disposti i!"1 questo modo, non si aveva sillogismo, per ottenere 1l quale SI
sarebbe dovuto assumere la premessa A R senza nessuna limitazione. Ma falso
credere che ogni Aristomene, in quanto pensato, sia eterno, mentre Aristomene
corruttibile (An. pr. A, 33, 47b, rs-29).

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292
che anche quel termine venga accolto, previo riconosciuto mutamento del
suo significato. Ora, proprio l'esame di questo tipo di errore non dato
trovare nella logica aristotelica, dove la considerazione dei mezzi conoscitivi impiegati non implica nulla nei riguardi del sistema semantico con
cui i risultati dell'operazione devono essere enunciati. Ma la riduzione di
ogni errore semantico nel sillogismo a una quaternio termnorum implica
la possibilit di distinguere nettamente le cose diverse o gli aspetti diversi
di una stessa cosa, s da indicarli con parole diverse, e la netta distinzione
in re di queste cose o di questi aspetti. Che la distinzione di una cosa
dalle altre o di un aspetto dagli altri della stessa cosa, mediante un termine appropriato, giunga solo al termine del processo di ragionamento, non
ammissibile per Aristotele. Perci l'indebita sostituzione di un termine
con un altro non discutibile in sede di attribuzione di significati, ma in
sede di scambio tra cose: cio anche l'errore semantico non considerato
come opportunit di dare a un tem1ine un significato piuttosto che un
altro, ma come patente falsit risultata dalla discrepanza tra la parola e le
cose, in quanto, pur intendendo ancora parlare delle stesse cose, si usano
tcm1ini riferentisi a cose diverse. Questa considerazione pu servire come
introduzione allo studio dell'errore nel sillogismo in quanto organismo di
proposizioni necessariamente connesse: infatti, poich l'errore semantico
si configura come falsa istituzione di un rapporto reale, solo il raffronto
tra il sitlogismo incoerente e un sillogismo semanticamente coerente pu
mettere in luce l'errore determinato dall'uso indebito delle parole.
L'errore di un sillogismo falso per incoerenza semantica, in quanto
rinvia all'errore compiuto nello stabilire false relazioni tra cose, implica
la discussione della hlsit del sillogismo in quanto incoerenza sostanziale
-- come mancanza di una delle condizioni necessarie perch da due premesse derivi una conclusione - o delta falsit delle premesse stesse. Nel
capitolo 17" del libro B degli Analytica priora Aristotele si pone in una
situazione tipica per studiare l'errore nel sillogismo, cio suppone di avere
di fronte, l'uno contrapposto all'altro, il sitlogismo errato e la correzione
di esso e si pone la questione della convenienza della soluzione proposta,
problema urgente soprattutto nei sillogismi dell'impossibile (11 ). In questo caso, infatti, si costruisce espressamente un sillogismo errato assumendo una premessa falsa, per poter dimostrare come il contraddittorio
di quella premessa sia vero, in base alla constatazione che la sua negazione ha condotto a qualche patente impossibilit (12). Ora, proprio nella
proposta di sostituzione della premessa pu annidarsi un errore, in quanto
(11) Il ' non da questo deriva 1 falso', che spesso siamo soliti dire nei discorsi,
ha la sua applicazione pi importante nei sillogismi dell'impossibile, quando l'ohbiezione viene rivolta contro il contraddittorio di ci che si dimostrava con la
dimostrazione dell'impossibile (An. pr. B, r7, 65a, 38-6sb, r).
(12) Il sillogismo per l' impossibile si dimostra quando si pone la contraddizione della conclusione e si assume un' altra premessa: esso avviene in tutte le
figure (An. pr. B, I I, 61 a, r8-zr).

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L'ERRORE E IL SJLLOOISMO

293

si potrebbe tentare di sostituire una premessa vera e lasciare invece la


falsa, prestando il fianco all'obbiezione che non dalla causa proposta
deriva l'errore (13): ci dovuto al fatto che la proposizione che dovrebbe '
correggere l'errore non deriva necessariamente da qualche altra premessa
accertata, ma una propost<t di correzione che non porta con s le garanzie della sua certezza. Infatti una simile proposta pu essere erronea se
alla proposizione che intende sostituire non imputabile la conclusione
del sillogismo costituente la parte positiva della prova per l' impossibile,
che ha condotto ad una asserzione contraddicente una verit gi dimostrata o evidente di per s; ch in tal caso la proposta correzione costituisce un errore in quanto entra in rapporto di immediata contraddizione
con la premessa vera, cio in quanto si rivela come falsa. L' incertezza
nella correzione dell'errore non c' dove al capovolgimento della proposizione errata si perviene attraverso un sillogismo diretto in cui, cio, ammesso che le premesse siano vere o probabili, non si pu non concedere
che vera o probabile sia anche la conclusione (14). In seguito a quest'ultima
una delle proposizioni del sillogismo falso dovr essere mutata, sicch
esso non potr pi concludere, almeno nel senso in cui concludeva prima:
per:,ci o concluder con una proposizione opposta o diventer un sillogismo inconcludente. Fondamento di questa asserzione il presupposto
che non possa darsi sillogismo falso includente come premessa la conclusione di un sillogismo vero, cio l'ammissione che ogni sillogismo fornisce la premessa per i sillogismi successivi. In questo senso ogni errore
di incoerenza - cio ogni trarre una conclusione falsa da premesse vere
-- consiste nel pronunciare un giudizio non coincidente con il reale che
vuole enunciare e che potrebbe essere enunciato dal sillogismo vero,
perfettamente intonato ai sillogismi anteriori delle cui conclusioni fa
le sue premesse e non interrompente la catena dei sillogismi successivi.
A proposito del sillogismo come della proposizione, Aristotele considera
l'errore totalmente coincidente con il falso, sicch non lo giudica in relazione al proseguimento della ricerca, ma lo identifica con la mancata accettazione di premesse vere fornite da precedenti risultati ormai acquisiti e lo contrappone al vero che lo deve sostituire.
Come sul piano delle proposizioni il riconoscimento del falso presuppone la necessit dell'antifasi e ogni negazione di un giudizio, riconosciuto come falso, l'indiretta asserzione dell' indubitabile principio dell' immediata esclusione dei corni dell';mtifasi, cos qui ogni errore riconosciuto in un sillogismo presuppone la validit del sillogismo, come
( 1 3) Ma se non si contraddetta una delle premesse non si pu osservart> 'non
da questo deriva l'errore', ma solo che una delle premesse era falsa; n quetl'obbiezionc plJ( aver luogo nelle dimostrazioni estensive: in queste infatti non si pone
ci che contraddittorio (An. pr. B, 17, 65 b, 1-4).
(14) Inoltre quando si confuta qualcosa estensivamente attraverso i termini
ABC, non possibile dire che non attraverso ci che si posto sia derivato il sillogismo (An. pr. B, 17, 65 b, 4-6).

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L'rR.RORE

struttura del discorso in grado di enunciare il reale, in quanto ogni sillugismo errato tale nei confronti del sillogismo opposto che lo deve sostituire. Ci significa che per Aristotele non si possono compiere errori
di metodo, cio che non dato pensare che non si attinga il reale nel suo
vero essere, perch non si usano i mezzi linguistici opportuni. La mancanza della considerazione dell'errore nella scelta del metodo il corrispettivo negativo della presupposizione del sillogismo come unico metodo
possibile per la conoscenza di un reale costituito da sostanze ( 10). L'ammissione incondizionata del sillogismo come struttura del discorso perfettamente adeguata al reale implica per un'altra supposizione: cio che
non si possano mai dare due siilogismi ugualmente veri (o supposti veri
nella stessa misura) che giungano a conclusioni contraddittorie, nel qual
caso bisognerebbe butt-1.re a mare il sillogismo e cercare di penetrare il
re.ale forniti di altre armi pi appropriate. Aristotele prende in esame il
caso in cui alla stessa conclusione D A si possa pervenire attraverso i due medi B c C mediante i sillogismi R A, D B; D A
c C A, f) C; D A : ora non pcnsabile che uno dei due sillogismi si costituisca in modo da arrivare alla conclusione D non A ;
se ci accade si tratta di ignoranza che ha indotto, per es., a non tener
conto della verit della proposizione C A invece della quale si
asserito C non .t1 (1 6 ). Il sillogismo non costituisce solo un sistema
perfettamente coerente, anzi necessario, come legame di tre proposzioni
tmite dalla comunanza rli termini, ma la cui coerenza si manifesti solo
all' interno di esso; Aristotele crede addirittura di poter asserire che
la coerenza necessaria si estende a tutta una catena di sillogismi o ai rapporti di pi catene tra loro. Infatti dal momento che le cose sono quelle
che sono e che la loro struttura quella sillogistica, non si giustifica che,
seguendo la via opportuna, si giunga a due asserzioni incompatibili intorno alla stessa cosa. Solo l' ignoranza potrebbe condurre a questa assurdit: ma essa da un lato significa, per Aristotele, asserzione del falso,
per cui l'ignoranza di C A conduce all'asserzione di C non A
e, dall'altro, del tutto accidentale per il procedere del sillogismo. Infatti
anche se chi deve indagare intorno ai rappporti di D con A sapendo che D
C ignora 'che C sia A e asserisce che non A, il sillogismo vero rimane
quello che ha per premesse C A, D C, perch queste sono le relazioni che intercorrono tra le cose e quello che le enuncia l'unico sillogismo
(15) Cfr. par. 5 del cap. II.
(16) Accade a volte che come ci sbagliamo intorno alla collocazione dei

termini, cos ci sbagliamo nelle assunzioni sul loro conto, per es. se lo stesso termine pu inerire immediatamente a molti altri e a qualcuno ci pu sfuggire, per
un certo aspetto della cosa, sicch crede che il termine in questione non inerisca a
nulla, mentre per un altro aspetto pu conoscere questa inerenza. Si suppon~a che
A inerisca a B e a C csscllZialmente e che questi ineriscano a ogni l Se st crede
che A incrisca a ogni B, e questo a D, ma si crede che A non inerisca a nessun C
e questo ad ogni D, allora si avr ignoranza e scienza della stessa cosa sotto lo
stesso rispetto'" (An. pr. B, 2I, 66b, r8-26).

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L'ERRORE E IL SILLOOISMO

295

in grado di correggere il precedente sillogismo falso. Ci che non entra in


conto l'errore come tale, cio l'errore non ancora determinatosi come
falso, il problema che nel corso della ricerca si presenta a chi ignori che
C A o a chi abbia addirittura asserito che C non A : in questo caso,
infatti, si tratter proprio di partire da quella situazione di ignoranza o
da quell'errore, per giungere alla conclusione vera che poi pennettcr di
vedere come la premessa appropriata sarebbe stata C A . L' ignoranza in quanto tale non considerata da Aristotele come un vero e proprio ostacolo alla ricerca cui ad un tratto manchino i punti di passagg-io
che le occorrerebbero per proseguire. Essa semplicemente la potenza
del sapere (1 7 ), cio, secondo il concetto aristotelico di potenza, il sapere
in potenza, pur potendo poi qu~st'ultima risolversi nell'asserzione falsa:
ma in questo caso il vero e proprio errore (18 ) si determiner come proposizione falsa non consona con il vero del quale contraddittoria. L'errore non valutato nei confronti dell'ignoranza, cio come quella as~er
zione che, pronunciata per uscire da uno stato di ignoranza, fallisce il
suo scopo e pone capo di nuovo a quell'ignoranza, lasciata irrisolta. Infatti ci si giustifica solo in una logica in cui il metodo della ricerca non
venga considerato come un che di dato, ma come un che di scelto in
vista della situazione da risolvere, sicch sia necessario trovare di volta
in volta i passaggi che sono propri del metodo scelto c non di un altro.
sema che sia possihile lcggerli inequivocabilmente nella realt che si
vuole studiare.
L'osservazione che la dottrina aristotelica dell'errore non tiene conto
di alcune dimensioni del problema permette di mettere in luce alcuni tratti
caratteristici della logica dello Stagirita, rimasti in ombra finora. In
quanto l'errore considerato come falso, cio come quella proposizioM
c quel sillogismo il cui contraddittorio vero, l'ignoranza viene semplicemente considerata come lo stato precedente al vero o al falso, che per
non si determinano rispetto a quella, come riuscita o fallita risoluzione di
di essa: l' ly''Oia non una condizione di cui deve tener conto la ricerca.
ma solo un'assenza che sar colmata dall'asserzione vera o falsa. Il sillogismo, perci, si svolge tutto entro un sfera di piena certezza, in quanto
10 snodarsi della catena di proposizioni necessariamente connesse il
pieno attualizzarsi delle potenzialit costituite dalle singole ignoranze.
Proprio per questo il sillogismo, quale concepito da Aristotele, mira a
(17) La coesistenza di una nozione universale con l' ignoranza del caso particolare compreso sotto di essa si spiega con l'ignoranza intorno a quest'ultimo. intesa
cc.me non attualit della nozione generale corrispondente. Perch <<il sapere si
dice in tre sensi, o come sapere universale, o come sapere proprio, o come attualit
del sapere, sicch si pu sbagliare in altrettanti modi corrispondenti (An. (Jr. n.
21, 67b, .YS).
(18) L'ignoranza intorno ad una cosa particolare si ha quando si profferiscc
un'asserzione che contraddice ad una asserzione universale. Errore si ha quando
!>a pendo <<per es. che ogni nntla sterile c che questa una mula, si crede che essa
;abbia partorito (An.. pr B, 21, 67a, 35-36).

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L'I:RRORE

correggere la dicotomia platonica eliminando tutte le scelte. Ogni conclusione discendente da premesse vere assolutamente vera, colma integralmente l' ignoranza che la precedeva, ma che non ha potuto porre ostacoli, dal momento che il ritrovamento della verit non ne ha tenuto conto,
riallacciandosi totalmente a verit gi note. D'altra parte, poich la verit
ora ottenuta con il sillogismo non viene a risolvere delle difficolt create
dalla precedente situazione di ignoranza, non sar necessario sottoporre
ad esame la sua accettabilit, bastando come testimoni della sua verit le
premesse da cui deriva. A sua volta questa proposizione funger da premessa di altri sillogismi la cui verit sar del pari testimoniata soltanto
dalle premesse che precedono. In tutto questo processo la scelta sempre
assolutamente esclusa: cio non si d mai il caso che un sillogismo debba
essere rifiutato come incapace di risolvere una situazione di ignoranza
e in sua vece debba essere scelto un altro metodo pi adatto, o che le premesse di un sillogismo siano scelte in una situazione di ignoranza gi
parzialmente illuminata dai sillogismi precedenti, o, ancora, che si debba
scegliere o rifiutare o modificare la conclusione di un sillogismo. Ogni
modificazione di una proposizione il suo rovesciamento - dal momento
che non esistono termini intermedi tra affermazione e negazione - , sicch non dato adattare di volta in volta le conclusioni del sillogismo alla
situazione cui si riferiscono per dirigere opportunamente il seguito della
ricerca: ogni modificazione dei risultati conseguiti sarebbe una contraddizione con le loro premesse. D'altra parte le conclusioni di un sillogismo
non producono punti di orientamento in una certa situazione di ignoranza, nella quale, grazie a quei punti, potremo opportunamente orientarci per procedere, ma sono il chiarimento integrale di una certa realt.
dal momento che oltre l'affermazione e la negazione nulla c' pitt da sapere, essendo le cose o unite o separate. In questo senso tra la conclusione di un sillogismo e la premessa di un altro che riguardi le stesse
cose non c' soluzione di continuit, dal momento che la conclusione vera
non ha pi bisogno di essere messa in dubbio n il metodo pu generare
antinomie. In questo senso il sillogismo, che il metodo vero per eccellenza, blocca la scelta di ogni altro metodo di conoscenza e la proposizione
vera chiude senz'altro la via ad ogni modificazione che si potrebbe apportare con assunzioni opportune, condizionate dalle conoscenze acquisite
e dalla situazione di ignoranza che esse lasciano sussistere. Se un dato
sillogismo pronunciato intorno ai rapporti tra A e C ha portato alla conclusione che A C, il sillogismo successivo non potr fare assunzioni o,
comunque, apportare modificazioni a questa verit, dal momento che
quella conclusione ha chiarito completamente la situazione, provvedendo
a che non sia pi necessario affidarsi all' insicuro arbitrio della scelta.
Compito del sillogismo appunto quello di organizzarsi in modo tale che
ogni proposizione precedente vincoli la successiva eliminando la necessit
di sceglierla e di provarne poi la coerenza con l' insieme del discorso di

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L'ERRORE E IL S!LLOOISMO

297

cui entra a far parte (1 9 ). Chi ragiona da premesse vere (perch necessariamente tali o perch supposte tali) non tiene presente la situazione di
ignoranza se non per vederla complet'arnente scomparire al nuovo anello
della catena di verit necessarie n cerca di orientare, con opportune
scelte, il ragionamento in modo che non vada di nuovo ad incagliarsi
entro le secche di un'altra situazione di ignoranza, ma procede di vero
in vero con assoluta certezza ; ci vale anche per il discorso dialettico dove
non hanno luogo scelte nell'ambito di ciascuno dei discorsi opponentisi
contraddittoriamente.
Da ci che si detto viene in luce un'altra caratteristica della concezione aristotelica del procedere della ricerca: in essa il tempo non conta.
Che il pronunciare un sillogismo o che il procurarsi le nozioni che in
esso saranno usate richieda l'uso del tempo, Aristotele non ha mai negato;
ma non ha mai neppure considerato il tempo come condizione dell'opera
dello scienziato. N on essenziale per il procedimento sillogistico che
tra la premessa e la conclusione intercorra del tempo, come dispiegarsi
della ricerca che da quelle premesse vuole giungere alle conseguenze appropriate e provare che effettivamente il nesso proposto pu risolvere la
originaria situazione di ignoranza. Appunto perch non si d scelta nel
processo deduttivo del pensiero, non necessario che chi indaga impieghi
del tempo per poter provare la solidit dell' inferenza proposta ed esaminare se possa essere accettata o se debba essere mutata.. Laddove la
verit di ogni proposizione garantita dalle proposizioni precedenti ogni
nuovo aneilo che si aggiunge alla catena deduttiva non implica pi nulla
nei riguardi di quel che precede e la sua eventuale falsit non imporr
l'esigenza cii rivedere tutto il processo di ricerca, ma dipender semplicemente dal suo errato modo di attaccarsi alla catena da cui deriva. Che
una certa proposizione sia vera necessariamente o sia vera in un momento x non significa che la verit eli queila proposizione dipende dalla sua
accertabilit in ogni momento o nel momento x, ma che ci sono delle ragioni necessarie per asserirla come vera per ogni momento del tempo o
nel momento x: il tempo pu entrare nella enunciazione delle proposizioni ma non una delle condizioni essenziali della ricerca, non entra
quale elemento per stabilire la verit di un asserto. In questo senso per
Aristotele un sillogismo falso l'ignoranza di nessi reali gi validi prima
che il sillogismo fosse pronunciato, appunto perch veri in s. E se si suppone di aver commesso un errore, il raggiungimento della verit non sar
il processo per cui si giunge ad una eircostanza temporale in cui vale una
certa relazione che si dovr poi mostrare valida ogni volta che quella
circostanza si ripresenti, ma si tratter di trovare una proposizione che
permetta di dedurre necessariamente che una certa relazione reale vale
in un certo momento x del tempo o vale in ogni tempo.

(lH) Cfr. par. 2 del cap. II.

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298

3 - L'eRRORE NELLA sciF.N'ZA. - Per Aristotele le scienze costituiscono dei sistemi di proposizioni necessariamente connesse e derivanti
dagli stessi principi che distinguono ciascun sistema da ogni altro. A
seconda dette propriet che si vogliono studiare si devono considerare le
cose partendo d;;ti principi di uno <.lei sistemi senza uscire poi datl'amhito
di esso (2). Una prima specie dell'errore proprio della scienza consiste,
perci, nel trattare gli oggetti di una scienza con i principi di un'altra
o nell' introdurre nelle considerazioni pertinenti ad una scienza proposizioni appartenenti ad un'altra (2 1). Un simile errore consiste nel dare
una spiegazione impropria detl'og-getto che si preso ad indagare. cio
nel rompere la coerenza della scienza con un mutamento ing-iustificato
di principi. La coerenza della scienza garantita dall'intuizione dei principi e dalla necessit del sillogismo che non pu non condurre alle conseguenze di essi, sicch l'errore commesso con l'uso di principi impropri
pu essere imputato o alla mancanza eli un'intuizione dei punti di inizio
assoluti o al cattivo impiego del sillogismo che ha permesso di dedurre
conseguenze indebite : nel primo caso si ha un ragionamento dialettico,
che non si serve dei principi propri delle scienze (2 2), nel secondo si ha
un vero c proprio passaggio sillogistico falso. Infatti dopo ci che si
visto nel parag-rafo precedente, chiaro che il partire da un principio
appropriato non sar lluestione di scelta eli un metodo, poich unico metodo possibile quello sillogistico entro il quale devono trovare posto i
vari principi delle singole scienze, n consister nell'usare un principio
che pennetta di risolvere varie situazioni di ignoranza in situazioni di
conoscenza usabili a loro volta, opportunamente modificate secono le
nnove condizioni in cui vengono impieg-ate, a risolvere altre situazioni di
ignoranza, dal momento che la coerenza della scienza deve essere fondata
sulla necessit e non sull'impiego di uno stesso principio in una serie di
scelte controllate. Ci si ricollega al fatto che la verit di ogni passaggio
di un processo raziocinativo deve essere garantita dal passag-gio precedente c non dal possibile uso che, in quel processo, si pu fare di quella
proposizione. D'altra parte la scienza richiede, per costituire un sistema
coerente, che vi siano dci termini oltre i quali non si pu risalire eli) ;

(20) Cfr. par. 7 del cap. III.


( 21 ) Se la stessa cosa una domanda sillogistica c una proposizione riguardante la contracldi7.ione, se le premesse di ciascuna scienza sono quelle da cui derivano i sillogismi adatti a ciascuna di esse, sar interrogazione scientifica quella da
<:ui deriva il sillogismo proprio eli ciascuna scien7.a. chiaro che non ogni interrogazione pu essere o geometrica o medica, ed altrettanto per le altre scienze; ma lo
saranno quelle da cui si dimostra qualcosa intorno agli oggetti della geometria o
quelle che rinviano alle stesse premesse della geometria, come accade per l'ottica
{An. Post. A, 12, 77a, 36- b, 2).
(22) Cfr. par. 9 del cap. lll.
(23) Cfr. parr. 4-6 del cap. !Il.

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L'ERRORE NELLA SCIENZA

299

ccome Aristotele fondi la possibilit di questi termini ultimi abbiamo gm


visto. Qui ci interessa solo precisare la loro posizione ncl problema dell'errore. Poich ogni proposizione fonda il suo valore di verit su ci che
precede, i principi si troveranno nella paradossale condizione di dover
fondare tutte le verit di una scienza senza essere fondati essi stessi, non
avendo, in quanto principi, proposizioni precedenti cui richiamarsi. In
questo caso essi dovranno dimostrare una radicale impossibilit di essere
falsi. Per fondarla Aristotele ricorre allora alla distinzione tra falsit e
ignoranza: i principi, cio, potranno, semmai, essere ignorati, ma su di
essi non si potr asserire il falso se non per accidente (2'1). Infatti la
conoscenza che si ha di essi paragonabile all'atto del vedere, che pu
essere un vedere o un non vedere ma non un vedere sbagliato, in quanto
puro atto sensibile del vedere: pensare ( \'Of:v) i principi un attingerli ({hyycivm) immediato. Li si potr, perci, ignorare ( riyvoEh ), ma
il loro immediato manifestarsi preserver dallo sbagliarsi ( ncnc{}~vu,L)
sul loro conto. In questa dottrina Aristotele mette a profttto la distinzione tra errore e ignoranza che abbiamo esaminato attraverso le teorie
delle proposizioni c del sillogismo, cio, ammettendo che intorno ai principi si pu essere ignari. si riserva di sostenere l' impossibilit di fare
delle asserzioni false sul loro conto. Staccata definitivamente l' :gnoranza
dall'errore c ricomlottala ad uno stato di trasparente negativit, si pu
ammettere senz'altro che la ricerca ahhia un punto di inizio assoluto, autogarantentesi e incondizionato. Non dato, infatti, pensare a ignoranze
messe in luce dalle nozioni che possediamo, per averle trovate o per
averle ricevute dalla tradizione, da colmare con ulteriori ricerche, il cui
punto di partenza appunto in relazione con quelle lacune; ma la scienza
sar un sapere assoluto che colma subito ogni lacuna e non tiene conto
delle parziali verit che gi si fossero conosciute. D'altra parte l' ignoram:a dei principi un non pens<Lrvi affatto, un non concepirli in nessuna
maniera, un non sentirne neppure il bisogno; ch quando l'esigenza di
conoscerli sorge, allora non pi possibile mantenersi nello stato di ignoranza intorno ad essi, dal momento che l' intuizione infallibile. L'ignoranza dci principi non un non saper da dove incominciare o come imJXJstare una ricerca su un argomento o in un campo che viene portato

(:H) Nei riguardi delle cose che non constano di parti, che cos' l'essere e il
non essere, il vero e il falso? Infatti non si tratta eli un composto in cui l' essere
unito sia l'esistere e l'essere separato il non esistere, come il bianco rispetto al
legno e l' incommisurabile rispetto al diametro, n nelle cose semplici il vero e il
falso sono analoghi a quelli che si dicono delle cose composte. O come il vero per
quelle non lo stesso che per queste, cos non lo (; neppure t'essere, ma il vero e il
falso sono, il primo, come il toccare c dire il vero (ch non la stessa cosa l'affermare e il dire), mentre l'ignorare il non toccare>> (1VI eta ph. 0, 10, 1051 b, 17-:25).
Ci che qui Aristotele dice degli dmlvikta vale per l' intuizione dei principi che
sono appunto assolutamente semplici, come si legge in A1~. post. B, 19, roob, 2. Proseguendo Aristotele precisa che intorno a questi principi il vero il pensarli; ma
non c' falso, n errore, ma ignoranza (ibid. 1052a, r-2).

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300

L' ERR.OR.E

alla nostra attenzione da altre nozioni o da altre ricerche, proprio perch


la conoscenza procede da altre conoscenze c non tiene conto delle ignoranze. Ci posto l'errore che lo scienziato compie usando un principio
improprio non imputabile all'intuizione in quanto tale, ma all' introduzione surrettizia di nozioni tratte da ragionamenti derivanti da altri
principi appartenenti a scienze diverse da quelle che sta sviluppando. A
rigore la convenienza dci principi sempre garantita dalla loro intuibilit, sicch un passaggio indebito dall'uno all'altro possibile solo se si
ragiona nella scienza con il metodo che appartiene alla dialettica, cio
rivolgendo domande (2~>). A questo modo, infatti, dato uscire dalla catena necessaria di sillogismi che derivano dai principi e introdurre premesse
indebite. Ci mette in luce come nella scienza aristotelica la convenienza
dei principi adottati sia un qualcosa di presupposto e acquisito dallo
scienziato che si preoccupa soltanto di accrescere la quantit delle nozioni
derivanti da essi, senza che mai debba prospettarsi l'eventualit di doverli
mutare, o modificare e correggere nel corso della ricerc.:1 o ricondurli ad
altri principi: i casi in cui ci deve avvenire - quando, cio si tratti di
generi subordinati gli uni agli altri (2 6 ) - si presentano con assoluta
chiarezza lungo la linea deduttiva della scienza e non implicano che si
debbano mettere in questione i principi apparsi intuitivamente evidenti e
come tali in grado di risolvere ogni difficolt, pur restando nella loro
forma originaria.
Nella trattazione dell'errore commesso traendo conclusioni errate da
premesse appropriate Aristotele si serve di un principio fondamentale,
valido anche per il sillogismo in quanto tale e che abbiamo gi visto nel
paragrafo precedente : cio non pensabile che due sillogismi con premesse vere pervengano a conclusioni incompatibili. Applicato alla scienza
questo principio d luogo all'asserzione dell'assoluta coerenza della scienza nella quale non si possono dare ragionamenti corretti che si contraddicano o un ragionamento corretto che contraddica a un principio. In realt
Aristotele presuppone che ragionamenti corretti, cio con premesse vere,
non possano assolutamente giungere a conclusioni incompatibili con quellt> di altri ragionamenti ugualmente validi o con assunzioni di principio,
sicch non gli resta che trovare i modi in cui di volta in volta quegli
errori vanno corretti (Z 7 ). Non molto interessante seguire il nostro autore in questo cammino, nel quale egli si serve del solito procedimento per
cui, ammesso di possedere la verit, viene ad esaminare i punii in cui
(25) An. post. /1., II, 77a, JI-35
(2G) Cfr. par. 9 del cap. III.
.

(2.7~ L'ignoranza, intesa non secondo semplice negazione ma come effettiva

dtspo~tztonc, un errore sorto da un sillogismo, e pu essere di due tipi, a seconda


c~1e nguardi ci che inerisce immediatamente oppure no ; o quando si assume imme-

dtatamentc che inerisca o non inerisca, o quando si assume secondo un sillogismo.


~emp!icc l'urorc dovuto a un'assunzione immediata, molteplice quello dovuto a un
stllog!smo (An. post. A, 16, 79b, 23-29).

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L'ERRORE NELLA SCIENZA

301

l'errore potrebbe contraddirla. Tuttavia questo modo di procedere serve a


mettere in luce una caratteristica tipica della concezione aristotelica della
scienza: la validit eterna delle sue asserzioni. Infatti, in quanto vero,
l'organismo della scienza non dovr temere che sorgano nel suo seno
contraddizioni e incompatibilit t.o1.li da distruggerlo, mentre in quanto
necessario non dovr temere che uno solo dei suoi principi venga meno
in un mometo qualsiasi del tempo. Ora, poich la struttura della scienza
garantisce l'assoluta coerenza, mentre i principi ne garantiscono l'assoluta necessit - che per Aristotele significa onnivalidit temporale (28 )
-- ogni proposizione di una scienza ha valore eterno (2 9 ), cio tale che
in nessun momento del tempo pu essere messo in dubbio : infatti, in
quanto le premesse di un sillogismo scientifico sono vere, le conclusioni
non possono essere contraddette da altri sillogismi, ma in quanto sono
necessarie le conclusioni non possono venir meno. Ci che nella sillogistica era apparso come esclusione elle scelte e irrilevanza della dimensione temporale nella ricerca, qui appare come definitivit e eternit dei
risultati del ragionamento scientifico. Infatti in una scienza il cui edificio
sia stato costruito senza scelte, ma la cui via segnata con necessit nelle
cose stesse i risultati non possono essere riveduti, ma devono essere lasciati nella loro definitivit, e, anzi, presupposti per ogni ulteriore continuazione della ricerca. Il venir meno della possibilit di scelta fa s che
una verit dedotta dalle premesse necessarie di una scienza non possa pit't
essere messa in dubbio c;e si dimostra incapace di fornire il passaggio ad
una verit successiva che dovrebbe risolvere una situazione problematica
venuta in luce nel corso della ricerca; piuttosto si dovr rinunciare a
questa nozione come non rientrante nel corpo della scienza. Il fatto che
il tempo non entra come condizione essenziale per stabilire la verit di
una proposizione, si manifesta chiaramente qui, dove non il verificarsi
di una proposizione in ogni circostanza temporale decide dell'accettazione
di essa nel corpo di una scienza, ma il discendere necessariamente da proposizioni che abbiano requisiti tali da poter garantire l' onnivalidit
delle loro conseguenze. La coerenza della scienza aristotelica si precisa
attraverso queste nozioni come coerenza fondata sulla necessit assoluta,
cio come coerenza implicante la completezza e la non integrabilit dei
sistemi costituiti dalle singole scienze. In questo senso Aristotele sostiene
che la scienza aumentabile per aggiunzione dall'esterno ma non per la
scoperta di nuovi medi (80), cio di nuove vie di spiegazione; d'altra parte, per, anche l'accrescimento della scienza verso l'alto e verso il basso

(28) Cfr. par. 8 del cap. L


(29) An. frost. A, 8, 7'5,b, 2!-24(30) La scienza si accresce non attraverso i mcdii, ma con assunzioni successive, per es. A di B, questo di C, questo, a sua volta, di D', e cos all'infinito;
e lateralmente, per es. A e di C c di E:. (An. Post. A, 12, 7Sa, 14-17).

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302

L'ERRORE

limitato (81) sicch l'edificio scientifico costituisce, nel suo complesso,.


un tutto chiuso in cui ogni parte ha il suo posto per sempre. Queste
parti potranno essere trovate da ricercatori diversi, in momenti diversi, ma
ciascun elemento gi esisteva in ogni momento del passato, cos come esisteva in ogni momento del futuro. E come il tempo non elemento nel
lavoro che gli uomini spendono per costruire i vari sistemi del sapere,
cos esso non reca con s il pericolo di porre in dubbio ci che gi la
scienza ha accertato e che costituisce la certezza da cui ogni ricercatore
deve muovere. Ci fa s che ogni spiegazione data dalla scienza sia spiegazione totale e esauriente di tutti gli aspetti sotto cui una propriet sottoposta ad un genere pu essere studiata, sicch non possibile che altri
punti di vista o altre cause vengano messe in luce nelle ricerche che si
spiegheranno nei tempi successivi. Infatti il sillogismo scientifico quello.
che - direttamente o indirettamente - parte dalle propriet in s delle
cose, cio dall'essenza stessa, da quella che il vero essere delle cose,
cio il fondamento ultimo di ogni loro propriet; d'altra parte spiegare
una propriet collocarla nella sostanza, cio dare ad essa il posto che le
spetta nella struttura necessaria del reale, in quella struttura che non
potrebbe mutare se non con il venir meno delle stesse essenze. Ma il
venir meno delle essenze il venir meno del necessario e dell'eterno, anzi,
del divino stesso. Come la somma attivit del pensiero fa l'uomo partecipe del divino, cos la definitivit del vero dal pensiero accertato la
stessa eternit e immutabilit della sfera dall'uomo raggiunta con la
sua attivit teoretica ( 82 ). Questo concetto della definitivit del vero accertato scientificamente si applica anche alla logica e alla logica aristotelica stato applicato da moltissimi interpreti che in essa hanno visto
il catalogo completo, o quasi, delle fom1e del pensiero umano, reputando
ogni lavoro di integrazione quasi impossibile, come Kant (33), o vedendo
in quella logica la rivelazione di uno degli clementi necessari del sistema
della Ragione, come Hegel (31).
4 - LA CAT~GORIA DELJ./APPARI-.'NZA. - La determinazione dell'errore nel campo della dialettica solleva una difficolt preliminare: pare
infatti che qui non si possa parlare di errore, almeno nd senso aristotelico, per etti esso identico al falso. Ci perch nel discorso dialettico,
che si fonda tutto sulla categoria del probabile, un'asserzione, non potendo dirsi assolutamente vera, non in grado di indicare nel suo contrarldittorio l'assolutamente falso. Una qualunque asserzione fatta in sede dialettica richiede la contrapposizione di una proposizione opposta con la
(:!1) An. post. A, z;~, 84a, 9-28.
(32) Cfr. par. 15 del cap. TII.
(33) E. KANT, Critica della ragion pura, trad. it., Rari, 1945, pag. 15.
(34) G. G. F. HEGEL, Storia della filosofia, trad. it., Firenze, La Nuova Italia,
vol. II, cap. 3, B, par. 4.

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LA CATEGORIA DLLL'APPARENZA

303

quale deve misurarsi senza che nessuna delle due, fino a che si resta in
sede dialettica, metta capo alla necessaria esclusione dell'altra: il falso
come tale bandito in quanto richiederebbe il ricorso alla certezza e non
alla probabilit. Tuttavia lo stesso tentativo di dare una dottrina della
disput.:t dialettica, di elaborarne gli schemi, di trovarne il procedimento necessario riscontrabile in ogni discussione che sia veramente tale, lo stesso
spirito polemico antisofistico che anima i Topica e gli Elenchi sophistici
implica la possibilit di parlare di errore anche a proposito deila dialettica. Infatti gli schemi forniti da Aristotele pretendono di essere i veri
schemi, gli unici veri schemi del discorso dialettico di fronte ai quali quelli
di cui si servono i sofisti c gli eristi nelle loro argomentazioni capziose
sono falsi. Se i Topica, o alcune parti di essi, sono da collocare cronologicamente all'inizio dell'opera logica di Aristotele, proprio in essi si precisa l'atteggiamento che guider tutta la successiva indagine sui fondamenti del discorso logico e sulla logica della scienza : esso infatti si configura qui come tentativo di trovare gli unici veri schemi del ragionamento
dialettico, dei quali non si pu fare a meno se appunto si vuole ragionare
davvero. Ma questo atteggiamento si giustifica solo se si ammette che si
l'ossa non voler ragionare davvero, cio che si possa voler condurre un
ragionamento che non sia un vero ragionamento, ma se1,nbri soltanto tale.
Allora l'errore nel campo della dialettica do-vr essere determ,inato medianle la categoria dell'a.pparen.za, cio potr configurarsi soltanto come
un ragionamento apparente. Delle opposte tesi sostenute da due disputanti nessuna potr essere considerata erronea, pena l'abbandono del campo dialettico e I" ingresso in quello scientifico ; ma erroneo potr essere
considerato il modo in cui uno degli interlocutori conduce il ragionamento. II falso non mai attribuibile ad una proposizione isolata, ma al
modo in cui quella proposizione stata trovata. Ci tuttavia implica la
possibilit che si possa condurre nn discorso che sembri concludere senza
seguire le strutture necessarie di ogni discorso veramente conclusivo. Pare
cio che, pur nel tentativo di ricondurre tutti i discorsi conclusivi ad una
medesima struttura necessaria - che si preciser poi come struttura sillor,istiC<"\ - , si faccia posto a discorsi che abbiano l'apparenza di essere
stringenti, ma non siano sillogistici.
I casi in cui si ha un ragionamento apparente sono quattro : quando
un'argomentazione conclude, ma non sull'argomento proposto o non con
metodo appropriato all'argomento proposto o pare concludere, ma non
conclude o conclude con proposizioni vere derivate da premesse false ( 3 ~).
(:!5) In quattro casi il discorso si dice falso: I 0 ) quando sembra concludere ma
non conclude, nel qual caso si chiama sillogismo eristico; 2n) quando. con~~udc rn.a
non sull'argomento proposto, come avviene soprattutto nelle ridu?.iom ali lrnp?sstbiJe; 3") quando conclude sull'argomento proposto, ma non con metodo appropnato,
per es. quando il tagionamcnto scmbr::t essere pertinente alla medicina, ~Ila g-;omctria o dialetticc, pur non essendo pertinente alla mediciPa, alla gcometr~a o dw.kttico, sia che sia vero o falso; 4") quando conclude da premesse false; m questo
caso qualche volta pu concludere il vero e qualche volla il falso: infatti il falso-

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304

L'f'.J<RORE

In tutti questi casi non entra in discussione la verit o la falsit della


proposizione cui il ragionamento mette capo, ma solo il modo in cui esso
condotto e in tutti e quattro questi tipi di discorso dialettico falso si ha
un ragionamento che pare essere ci che non : pare trattare un argomento e non lo tratta, pare risolvere una questione e non la risolve in
quanto non usa un metodo appropriato, pare concludere e non conclude,
pare dedurre una proposizione vera e non lo fa, perch si serve di premesse false. Ma come pu introdursi nel ragionamento necessario questa
apparenza? Infatti ragionare vuoi dire, per Aristotele, prendere una proposizione e trame le conseguenze necessarie da opporre alle loro rispettive negazioni contraddittorie per vedere, ad ogni passo della discussione,
da che parte penda la bilancia della probabilit; ma per entrare in una
disputa dialettica che sia veramente tale bisogna presentare all'esame
dell' interlocutore un discorso lealmente costruito secondo nessi necessari,
cio bisogna assumere l'atteggiamento di chi vuole costruire un discorso
che possa enunciare il reale e riconosca che sola garanzia di questa possibilit la necessit del discorso stesso. L'atteggiamento opposto quello
di chi non si preoccupa che il suo discorso possa enunciare il reale, ma solo
che appaia tale ad un eventuale interlocutore ; c.io l'atteggiamento di chi
costruisce un discorso con il quale ottenere l'assenso dell' interlocutore
su certe determinate questioni o metterlo a tacere su certe altre. Siamo
qui in una posizione analoga a quella in cui ci trovammo esaminando i
principi della scienza (3 6), cio al punto in cui emerge l'atteggiamento
di chi conduce il ragionamento. Ma come l l'atteggiamento si risolveva
in un riconoscimento della necessit dei principi che da s si impongono al vov e della necessit di tutto il reale che da essi deriva, cos
qui ci troviamo di fronte al riconoscimento che il reale necessario e che
necessario deve essere perci il discorso che vuole essere probabile, cio
avere delle ragioni per potersi presentare come enunciativo del reale.
Se11onch, mentre il discorso di chi non accetta i principi scientifici 11011
costituisce pi oggetto di studio della logica della scienza, in quanto ca.de
nel campo della dialettica, il discorso di chi non accetta la necessit propria del discorso dialettico costituisce ancora oggetto di studio della logica
dialettica come determinazione dell'errore che possibile appunto in
un'argomentazione non scientifica.
Un discorso che concluda solo apparentemente presuppone un atteggiamento (3 7 ): l'atteggiamento di chi non riconosce la necessit del discorso per cui da una premessa non si pu giungere che ad una sola con~

si trae sempre da premesse false, mentre il vero pu anche non derivare da premesse
vere, come si detto anche prima (Top. 0, 12, 158b, 3-15).
(36) Cfr. par_ rs del cap. III.
(37) La falsit un errore imputabile pi a chi pronuncia un discorso che al
discorso in se stesso (Top. 0, 12, 158b, 16-17).

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LA CATEGORIA DELL'APPARENZA

305

elusione. Appunto perci egli tenta di adottare per un argomento premesse che sono adatte per un altro o premesse false per conclusioni vere.
:Ma perch un atteggiamento abbia la possibilit di dare luogo ad un
discorso presentante una certa determinata caratteristica bisogna che
abbia i mezzi per realizzarsi; ora di quali mezzi dispone l'atteggiamento
di chi vuole falsare la necessit del discorso? Delle parole, che, invece
di fungere da simboli perfettamente trasparenti, si interpongono tra il
ragionante e le cose, s da farsi esse stesse fini del ragionamento (8 8) : un
discorso meramente apparente quello che non ha garanzia di enunciare
il reale in quanto si ferma alle parole invece di considerarle come segni
delle cose. Valendosi appunto dei segni linguistici come cose che non
rinviino a qualcosa di ulteriore possibile costruire discorsi in cui compaiano tra le parole nessi che non potrebbero comparire tra le cose che
quelle indicano. Ma dal potere illusivo delle parole possibile trarre
vantaggio in due modi: o sfruttando il loro valore grammaticale e fonetico o componendole in proposizioni che non enunciano nessi reali (8 9).
N el primo caso si costruisce un sillogismo ben contesto, ma si impiegano
speciali accorgimenti nel pronunciarlo o si usano parole che per la loro
amhiguit-' possono favorire interpretazioni errate; il secondo caso si ha
quando si stabiliscono rapporti che in realt non possono avere luogo,
cio quando in uno stesso argomento si considerano diverse le medesime
cose o identiche quelle diverse o si stabiliscono rapporti di conseguenzaantecedenza che non possono sussistere. Nel primo caso si pu ripristinare
la verit lasciando il sillogismo nella sua fonnulazione verbale e mutando
solo il modo di pronunciarla o distinguendo i significati dei sinonimi, nel
secondo bisogna invece radicalmente mutare anche la struttura delle
proposizioni che vengono esplicitamente costruite su di un equivoco verbale. Sillogismo apparente, perci, si pu costruire proprio grazie al linguaggio, con il quale possibile simulare rapporti 5illogistici insussistenti
tra le cose. E un sofisma tale proprio perch un inganno foggiato
con il linguaggio, presupponente un ben determinato atteggiamento : cio
(.38) Per molte cause alcuni non confutano, ma sembrano farlo e di esse la
pi comune e la pi naturale risiede nei nomi. Poich, infatti, non possibile discutere adducendo le cose stesse, ma bisogna servirsi delle parole, in quanto simboli,
invece delle cose, crediamo che i rapporti che ci dato riscontrare tra i nomi valgano anche tra le cose, come avviene quando si calcola con i sassolini. Ed invece
questa analogia non valida. Infatti i nomi e i termini del discorso sono in numero
limitato, mentre le cose sono in numero infinito. ~ dunque necessario che uno stesso
discorso e un unico nome indichino pi cose (Soph. El. 1, 16r a, 3~1 0 ).
(39) Infatti i sofismi :n:uQ. ,;rv M~ tv sono l' ominimia, 1' anfibolia, la sintesi, la
dieresi, l'accento e la figura della dizione, cio ragionamenti che non concludono
solo quando le loro parole siano pronunciate o intese o scritte in un c~rto ,modo
che non esclude per la possibilit di retta interpretazione. Quelli ~.w ;"l] ,ssmc;,
invece, consistono in alterazioni delle proposizioni e dei loro rapporti, s1cche e~clu
dono completamente la possibilit di una retta interpretazione, se non a costo dt un
totale mutamento del discorso.

20

C. A.

VIANO,

La logica di Aristotele.

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306

L'ERRORE

l' intenzione di tradire ogni volta il pensiero usando i termini con sigmficati ambigui e discordanti da quelli in cui li usa l'altro interlocutore (40).
Per raggiungere questo scopo si tiene conto della diversit o identit
materiale delle parole senza badare se implicano anche una diversit o
identit significativa corrispondente. Perci per non cadere vittima di
questi giuochi sofistici bisogna prestare attenzione proprio al linguaggio,
cio prenderlo come linguaggio avente valore simbolico e la cui funzione
determinabile solo in relazione alle cose di cui simbolo. Canone fondamentale di questa opera di neutralizzazione dei sofismi il mantenimento dello stesso significato delle stesse parole nell'ambito di una medesima argomentazione ( 41 ). Non importa il modo in cui si stabilisce il
significato di un termine, purch esso sia preso nello stesso significato da
entrambi gli interlocutori o, almeno, il loro disaccordo su questo punto sia
noto ; a questo modo si sar fatto passare il discorso dalle parole alle
cose nel campo delle quali non pitl possibile architettare sillogismi o
sostenere paradossi. Infatti dando alle parole un significato esplicito esse
non potranno pi essere considerate come i termini ultimi cui possa mettere capo il discorso, ma solo come segni della realt significata per la
quale dovranno valere le differenze e le identit ammesse in base alla
considerazione delle parole.
Messe in luce le determinazioni fondamentali della categoria dell'apparenza, possibile fare alcune considerazioni atte ad illuminare nuove dimensioni della logica aristotelica o della dottrina dell'errore in essa contenuta. La risoluzione della difficolt sollevata da ci che meramente apparente mediante la determinazione di un significato qualsiasi dato alle parole
(purch costante) implica non solo la possibilit di passare immediatamente dal segno al significato (sebbene anche quest'ultimo sia precisato
solo con parole), ma il presupposto che, una volta dati significati costanti
ai termini, non sia pi possibile cadere nell'apparente, in quanto i significati
non reali si eliminano da s. Paradossi e sofismi allignano nel linguaggio
considerato come un insieme di suoni capaci di suscitare certi atteggiamenti in un eventuale interlocutore, ma non nel reale cui si pu attingere
facendo di quei suoni i trasparenti segni delle cose. Per ben ragionare
allora necessario non considerare il linguaggio come problema preliminare alla ricerca delle cose, non fare di esso un problema incidente sull'esito stesso dell'argomentazione: il che corrisponde all'eliminazione del
problema semantico in sede di teoria del ragionamento. Ma neppure sta(40) Non c' tra i ragionamenti quella differenza che alcuni sostengono esserci.
cio che alcuni ragionamenti concernano il discorso ed altri il pensiero: infatti
assurdo pensare che discorsi diversi e non gli stessi riguardino il linguaggio ed il
pensiero. Che cosa infatti la mancanza di corrispondenza con il pensiero se non l'uso
di una parola non conforme a quello che ne fa l' interrogato credendo di rispondere
proprio alla domanda che gli stata rivolta? (Soph. El. 10, 170 b, 12-18).
(4 1 ) Ma bisognerebbe che anche il nome, come la cosa, resti ide!ltico,. se si
vuole che ci siano sillogismo e confutazione, per es. se si tratta di tumca b1sogna
sillogizzare tunica e non mantello (Soph. El. 6, r64a, 28-30).

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LA CATEGORIA DELL'APPAReNZA

307

bilire i significati dei termini problema di natura linguistica, cio suscettibile di dar luogo ad un apparente, perch le categorie che nella determinazione dei significati entrano in giuoco sono categorie ontologiche, sebbene formulabili linguisticamente, e non mezzi essenzialmente linguistici
con i quali sia possibile enunciare l'essere: la convenzionalit delle parole
riguarda solo il suono da assegnare ad un significato, non il significato,
fissato il quale, si necessariamente determinata la via della ricerca.
L' apparente si precisa allora come tale rispetto ad un essere reale, che
veramente , perfettamente razionale ed avente una struttura adeguatamente enunciabile con mezzi linguistici. Soltanto il vero sillogismo che
non simuli, servendosi del linguaggio, rapporti insussistenti tra le cose
pu dire di attingere quella struttura che veramente . L'errore nel campo dialettico consiste nel non servirsi di un discorso che sia adeguato alla
struttura reale nella quale prendono posto tutte le cose che sono, di un
discorso, cio, che alla luce delle cose si riveli come mera simulazione di
rapporti reali.
Ma la struttura del reale unica e necessaria e la struttura del
discorso che pu enunciarlo anch'essa unica e necessaria; perci il
discorso apparente, se vuoi sembrare di essere un discorso e non solo un
insieme di suoni senza senso, deve simulare appunto quella struttura cio
presentarsi come necessario. Ma poich la sua necessit non pu configurarsi come enunciazione del necessario essere delle cose, il carattere
che lo distingue sar la costrizione esercitata su chi ascolta, in quanto
questi sar obbligato dalla piega stessa del discorso a dare una certa.
risposta al1e domande che gli vengono rivolte o ad ammettere certe determinate tesi. In tanto si ha sofisma in quanto si costruito un discorso
dalle cui prese l'avversario non riesce a svincolarsi. Perci anche il ragionamento apparente, per essere appunto apparente, cio per potere
essere scambiato, da chi inesperto, con un discorso vero, deve avere configurazione sillogistica, cio deve strutturarsi secondo necessit. Nella natura stessa del linguaggio insita la possibilit di un uso conforme alla
struttura reale da enunciare o di un uso difforme da essa c rispondente
ad altri scopi di natura non enunciativa; ma anche in questo caso, per
costituirsi come apofantico, il discorso dovr prendere una configurazione
che imiti la struttura necessaria del reale. Anzi, storicamente, proprio lo
studio dei ragionamenti solo apparenti uno dei primi passi fatti da
Aristotele alla scoperta dell'orizzonte della necessit come orizzonte dell'essere entro il quale dovr poi inquadrarsi tutta la sua speculazione.
Proprio attraverso lo studio del discorso dialettico il sillogismo si delinea come l'unico tipo di discorso valido. Questa validit si fonda sulla
sua capacit di essere enunciativo della realt, distinguendosi in questo
modo dai futili giochi eristici, e su11a intima necessit che lo regge e che
lo fa altrettanto capace di costringere I' interlocutore all'assenso. Esso
non solo uno schema di ragionamento accanto agli altri, ma lo schema
del ragionamento in quanto tale, perch il tipo di discorso che si ottiene

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308

quando si sia rinunciato a sfruttare la possibilit illusiva del linguaggio


per riferirsi direttamente alle cose e perch il tipo di discorso perfettamente adatto ad enunciare la struttura del reale contesta di rapporti
necessari ed univoci tra generi e specie (42 ). Senonch gli stessi sofismi,
in quanto intendono di costringere l'avversario e in quanto pretendono di
presentarsi come discorsi conclusivi, imitano proprio la struttura sillogistica; non solo ma in essa risultano perfettamente spiegabili e risolubili.
La logica, esaminata da questo punto di vista, ci mette in grado di
vedere alcuni tratti tipici dell'aristotelismo nella sua connessione con il
platonismo e con alcune esperienze della sofistica. Proprio nelle parti pi
antiche dell'Organon, cio nei Topica - o almeno in alcuni libri di essi
-- Aristotele prende in esame i ragionamenti dei Sofisti e quelli di Platone, l'ampio materiale che l'esperienza eristica e la scuola accademica gli
mettevano a disposizione, e cerca di pervenire al ritrovamento del vero
ragionamento e del vero essere che ne costituisce 1' oggetto. In questa intrapresa l'esperienza eristica si fa sentire nella preoccupazione di giustificare in qualche modo quella capacit costrittiva che doveva essere il
nerbo di ogni sofisma: il vero ragionamento non doveva essere pi imbelle dei ragionamenti meramente apparenti, dei quali anzi doveva giustificare la forza con cui si imponevano all'avversario. D'altra parte proprio l'esigenza platonica spingeva Aristotele alla ricerca del vero ragionamento e del vero essere; ricerca nella quale lo Stagirita rivela la sua
originalit di fronte al maestro. Mentre infatti per quest'ultimo la determinazione del vero ragionamento e del vero essere opera una selezione,
per cui elimina dal novero dei ragionamenti quelli che non rispondano alle
condizioni essenziali della ricerca o determina come vero essere solo quello
che si pu configurare come oggetto di una ricerca, o quello che pu fungere da misura o quello che costituisce l'oggetto delle scienze rigorosamente matematiche, per Aristotele quell' indagine deve mettere capo al
ritrovamento di categorie comprensive di ogni ragionamento vero e apparente, per quel tanto di vero che appare anche nell'apparente, e di
ogni essere, attraverso la considerazione di ogni discorso logico o apparentemente logico e di ogni realt. Appunto perci la ricerca dell'essere
si configura per Aristotele come ricer<:a della struttura dell'essere in quanto
tale; ed appunto perci questa struttura si costituisce nell'orizzonte della
necessit: essa , infatti, ci che dato riscontrare in ogni essere, per quel
tanto che , cio la struttura che necessaria ad ogni essere, per essere.
E d'altra parte vero essere solo que1lo che si esaurisce del tutto in questa
struttura; ma anche l'essere solo apparente in tanto in quanto in esso si
riscontra questa struttura, ed apparente perch solo come apparente pu
rientrare in essa. Perci, dal punto di vista del ragionamento, vero ragionamento quello in cui non solo possibile riscontrare lo schema sillogistico, ma che tutto spiegabile con esso, cio che presuppone da parte
(42) Cfr. pa1:. 7 del cap. IV.

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LA CATf.GORIA Dr:LL'APPAR.ENZA

309

di chi lo fa un pieno riconoscimento dell' imprescindibilit dello schema


sillogistico; ragionamento apparente , invece, quello che spiegabile entro
lo schema sillogistico solo in quanto lo si riconosca appunto come apparente, cio si veda in esso la presenza di artifici verbali che ne fanno
un'imitazione di un vero ragionamento. Proprio nella ricerca della struttura necessaria ed onnicomprensiva che costituisce l'essenza stessa dell'essere Aristotele innestava la sua esigenza originale sul platonismo e su
tutta una tradizione della filosofia greca che fa capo per lo meno a Parmenide. Chi ricordi il procedimento del celebre libro r della M etaphysica potr cogliere i tratti dell'aristotelismo che sopra abbiamo tentc'1to di
mettere rapidamente in luce. In quel libro infatti Aristotele tenta di determinare i principi stessi dell'essere proprio attraverso le negazioni dell'essere fatte dagli avversari, in quanto queste stesse negazioni possono essere
comprese nel loro valore negativo solo con la presupposizionc della struttura propria dell'essere. Quella struttura a determinare la quale lavorano
gi le indagini condotte sul discorso dialettico, ma che si preciser solo
attraverso le pi mature ricerche sulla possibilit stessa di un discorso
logico, sulla logica della scienza e sulle categorie modali ; struttura che,
dando vita ai principi propri delle singole scienze, si modeller in modo
da adattarsi ad ogni indagine e da aprire sempre nuovi campi del reale alla
penetrazione della pi rigorosa indagine scientifica. Tuttavia Aristotele,
precisando le sue determinazioni, costretto ad eliminare una Sf'rie di
dimensioni che risultano incompatibili con l'asserzione della necessit e
imprescindibilit del principio adottato c la cui eliminazione elemento
essenziale per la costruzione di un linguaggio scientifico quale lo Stagirita
lo intendeva; dimensioni, tuttavia, che oggi pi che mai si impongono all'attenzione di chi prenda in esame il problema logico e che, perci, spingono ad un esame critico delle dottrine logiche aristoteliche che tanta parte
della nostra tradizione hanno ispirato.

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INDICE DEGLI ARGOMENTI

AFFERMAZIONE IS,

23-24, 26-32, 40, 173-

174
106, 171-172, 227-228, 230-23I,
235, 2J8.
ANTIFAs;r .(cfx-. Contraddittoriet e Con-

ACCIDENTE

traddiziolle).
(cfr. Contrariet).

ERISTICA

229, 272, 276-278.

EsisTENzA 49-50,
r9(5-2or, 202.

6s.

EsPERIENZA 71-713,
EssENZA ros, II,,,
2II , z6o... 261.

u6-n7, 2I4I47-I49, I$9-162, 203-

ns-r2r, r54-rs6,

I02-I03, IO]-ro8, no, r66I67.

ANTITESI

EssERE

53, IJQ-131, IJJ, IJ$, 165.


APOFANTICO I$, 23-24, 26-30, 220-222.
AUTENT,rcm. (degli scritti logici) 15-17.

FISICA 176-186.

12, 19, 152-153. 2II-212,


2I8-2I9, 22I-222, 239, 263-26$.
CAUSA II S-I22, 154-156, 172, 194, r!)6-

GENERE 141, ISI-153. I$7-162, 1]2, 2042II, 218-2I9, 238, 262-265.


Grun.rzro ro-u, 15, 25-26, 29, 68-69, 250253, 265-267.
- qualit del... 30-32.
- quantit del... 30-32.

APODISSI

CATJ::CORIE 10-11,

202, 2I0-2II.

finale r84.
formale 185, 187, 21 r.
materiale 183, r8s.
CoLLOCAZIONE cronologica (degli scritti
logici) I4-I7CoNTRAD1HTTORU:T 3o-32, 41, 44, 52-53.
CoNTRADDIZIONE (principio di...) 33
CONTRARIET 15, 30-32, 41.
CoNVF.NZIONALIT rs, zo-22, 24-26.
CoNVERSIONE 6o, 76, &J, 92-

DEFlNIZIONE

19Q-2II, 221-222.

DIALETTICA 53, II4-II$, I64-165, 228-2,3:2,

236-237. 267-zSo.
- agonistica 276-278.
- escrcitatoria 278.
- prescientifica 278-zSo.
DICOTOMIA 55-.5-7, 140-143, 191-192, 2$6257, 274
DIMOSTRAZIONE in circolo 132-133.
ELEMF.NT;r r8o-r82.
ENTIMJ.:MA 124, 283.

142, 175, z6o-26I, z6s.

IGNORANZA 295-297, 299-300.


IMPOSSIBILIT 9$, 97

- prova per r impossibile 292!NDUZIONE I22-I:a4, 192-193, 197-201, 202,


212-216,
INTELLETTO

ns-226.
191-192, 216-220.

L.iNGUAGGIO IJ-14, :24-26, 27-30, 32-JJ,


74-76.
LoG,ICA (formalit della... ) 6, 8, 9, II, z8,
54-55, 61-62, 71, 112, II4-IIS, IJ9, 238,

282-286.
2'7, 39-41.

CoNVINZION'E
CoPULA

IDEE

242
c linguaggio 13, 19.
e metafisica 8-13.
e scienza 12, 7 r-72, II6, 126, r86-r88,

301-302.
LUOGHI DIALETTICI 242-243, .246-247.
- definizione 259-260.
- genere c specie 247, 257-258.
- proprio 258-259.
- relazioni 253-255.
- somiglianza c differenza ~3. 264-265.
- sul linguaggio 243-:a45, 249-253-

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312

ll'.'DICE DEGLI AR.GOMI!NTI

SEGNO 124-126, 283.


SEMANTICO :20-22, 24-26, 41-42, 220-222,
305-307
xz.t.
SENSAZIONE 198-200, 213-214.
SILLOGISMO I I, 54, 59-00, 67-71, 104, Io6NECESSIT 3338, 42-51, 53. 83-87, 93,
I07, III-112, II5-II6, Ili-122, 126-127,
129-130, I73, 228, 265-267, 29I-295.
100-101, T2J-I24, 128129, 167, I7I
- conversione del... 6I-62.
I72, 187-188.
- inversione del ... 6I-62.
- ex hypothesi rSs-186, 188.
- modalit del... 73-76.
NEGAZIONE 15, 23-24, 2&32, 40.
- non concludente 62-66, no.
- di necessit 76-87, 108, 149-150.
0P.INIONE 213, z28-23I, 240.
- di possibilit 87-98.
SOFISTICA 229, 272.
SosTANZA 26, 28, 30, 68, 7<>--7I, I03-II4,
PossiBILIT 36, 42-51, 90-92, 93, 94, 97,
I23, 147-149, 171, 2o6-2II.
g8, 10!!02, 109, 167-172, 24<>--241.
SPEClE 141, 147. I84, 205-2II, 2I8-2I9,
PREMESSA 58-59, 63, 65-66, 104, 131, 133262-265.
134, I36-IJ9, 2JJ.
- verit e falsit delle... n8-122.
TEMPORALIT 33-34, 21)7, 301-302.
TERZO ESCLUSO (principio del...) 32, 35PaiNCIPI 135, 143-144, 145-147, 156-165.
I8o, 213-220, 224-226, 2JI, 235.
38, 39. 43, 47. 48, 6o, 62, 68, 69. 70,
PROBABILIT 33, 2JD--2J!.
!07, 237
PRORLEMA 59, 233-241.
UNIVERSALIT II4, IJ6-IJ9, 144-147, 173PRocEsso all'infinito IJI-133
174
PROPRIO 105-100, 141 1 238.
Pr;ovA 124-126.
VERISIMIJ,E 124, 28J-284.
VERo-FALSO 2&27, 29. 32, 53, 95. 97. II7
II8, 287-291.
MATEMATICA 174-I75, 185.

MEoxo 58-6o, 63, 66, 68, 69-7o, 88,

122-

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SOMMARIO

INTRODUZIONE .
I.

- L'ORIZZONTE LINGUISTICO DELLA LOGICA ARISTOTELICA

pag.

I. La semanticit del linguaggio. - 2. L'apofanticit del linguaggio.


- 3. Le alternative dcll'apofanticit. - 4 La qualit c la quantit
dei giudizi. - s. Necessit e previsione. - 6. Carattere verbalistico
della necessit. - 7. Le categorie della possibilit e della necessit. - 8. L'attuale e il necessario.

li. - LA STRUTTURA NECESSARIA DEL LINGUAGGIO


Il sillogismo. - 2. Sillogismo aristotelico c dicotomia platonica.
J. Le tre ligure sillogistiche. - 4. I sillogismi non concludenti. s. I presupposti del sillogismo. - 6. Le modalit del sillogismo. 7. I sillogismi di necessit. - 8. L'essere e il necessario. - 9. I sillogismi della possibilit. - ro. Il significato delle categorie m o dali.
11. La struttura sostanziale del reale. 12 La sostanzialit
come connessione con il reale. - IJ. La verit e la falsit delle
premesse. - 14. Le altre forme necessarie del discorso.
I.

111. - L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA


r. L'apodittica e la dialettica. - 2. II sillogismo apodittico come
discorso scientifico. - 3. Le premesse del sillogismo apodittico. 4. La necessit delle premesse. - 5. La critica aristotelica alla logica della scienza platonica. - 6. L'universalit delle premesse.
- 7. L'unit della scienza. - 8. La conoscenza del lhon c dello
on. - 9 I principi proprii c i principi comtmi. - IO. Le propriet della scienza. - n. L' ideale scientifico della logica e i problemi della ricerca scientifica. - I:l. I principi e le definizioni. 13. La definizione delle propriet. - I4. La definizione delle sostanze. - 15. L' induzione e la conoscenza dei principi.

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128

SOMMARIO

314
IV. - LA DIALETTICA

pag. 227

I. L'accidentale e il necessario. 2. La dialettica come disciplina


dell'accidentale. - 3. Il problema e la dialettica. - 4. La logica del
discorso dialettico. - 5- Il carattere dei luoghi c i rapporti tra i
Topica e gli AMlytica. - 6. l luoghi sul linguaggio e sulle relazioni. - 7- La struttura logica del reale. - 8. L."\ considerazione
dei predicati. - 9- Sofistica e dialettica. - 10. I vari tipi di discussione dialettica. - r r. II discorso retorico.

V.

- L'ERRORE .
I. L'errore come falso. 2. L'errore e il sillogismo. rore nella scienza. - 4 La categoria dell'apparenza.

INDICE DEGLI ARGOMENTI

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