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Nell'odierna rinascita degli ~tutti i logica, che interessano un numero sempre pi grande di ~cienziati
ricercatori e Ilosufr., si t:olloca que5to libro .di
A:
Viano inteso a dare una ricostruzione della logica di
Aristotele, non solo storjcmncntc fondata, ma anch
la IL: da poter contribui re n li a soluzionc- dei 1nuhlem i
che irHen::..;sano la scienza c la filosofia cot1tcn1poranca.
La logica aris.totelka i.: considentlu sin da principio
nel suo orizzonte lingui~Lil.:o e t'intero libro rende a
:nostrarc come lo s.copo di essa i.: la lorrnulazione delle
regole di un Jinguaggio unico e lot.ale d1e (; comune
a tutte le scienze in quanto non esprime gli oggetti
specifici delle scienze stcs~o..:, ma J'esst!re nella sua
univcrsalit c necessit. In tal n1odo l'autore n.:i11t.egra
la logica nel quadro dcll'intt:ra enc.:iclopedia at'islotci"lc.1
c la connctt<.: alla n1ctafisica non gi m~l senso di
considerarla con1c foncbta s.u(]a mL~Lalsiea, quasi che
questa ne fosse il presupposto, n1a nel sen:so che essa
si sviluppa di pari passo con la rnelatiska che ,
ad un tc1npo, il presupposto e il fine cklla logica
stessa.
Il libro di Viano eJjmina la pre.tesa che la logica
aristotelica dcscri\'a il procc.~dere naturale dcll'intel1l
genza c che essa sia pcrci(l sen~'altro la logica C"lt":rna;
ma nello stcs~o krnpo raHurz~l il valore storico di questa
logica, pur nelle limitazioni c nelle se d t..: arbi1 rariL~
che l'hanno resa (X~ossible mostrzmdola come una dle
aJ(e,natin: fonUamer1lali che il pensiero um:-.rlo ha inconll'alo sul suo canllllino c che ancora gli si pn)spella
o come ipol~~i vi...-;;J o rome termiue pokmico di
c:
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un lato, il Becker (4 ) ha intrapreso una trascrizione in simboli della dottrina aristotelica della possibilit senza dare ragione delle diverse interpretazioni che di questa categoria lo Stagirita veniva dando, mentre dall'altro il Bochnski (5 ) ha svolto un esame particolareggiato dell'assiomatica di cui parlava lo Scholz e della dottrina linguistica da questa presupposta, senza per vedere i rapporti tra questa e quella. Contro questo
rapporto di derivazione diretta della logica formale contemporanea da
quella aristotelica protestava il Veatch (6 ) facendo per uso di argomenti
non molto persuasivi. Fuori della logistica, frattanto, le difficolt sorgenti
<lal tentativo di interpretare la scienza contemporanea con la logica aristotelica venivano messe in luce dal Reiser (1) in alcuni articoli assai
superficiali e disordinati, ma contenenti alcune buone osservazioni, e
soprattutto dal Dewey che, con un atteggiamento ben pi equilibrato,
notava come la logica aristotelica presupponesse l'antologia della sostanza
alla quale era legata (,c;) ; ma, facendo occasionalmente queste os-servazioni in un'opera teorica, egli lasciava aperto proprio il problema di
trovare i modi precisi di questo rapporto tra antologia e logica e di determinare come l'antologia si modelli attraverso la logica.
Dall'esame delle interpretazioni surriferite si possono trarre alcune
importanti considerazioni che permettono subito di orientarsi di fronte
alla logica aristotelica. Infatti lo studio della logica propria della scienza
contemporanea ci fa subito avvertiti che ad essa non sono pi applicabili gli schemi dell' Organon distruggendo cos la pretesa di vedere in
esso le tavole eterne, sebbene magari ancora incomplete, su cui sono
segnate le leggi del pensiero umano e scoprendo le quali .Aristotele
avrebbe fatto l'uomo razionale, dopo che Dio lo aveva fatto semplice
creatura a due gambe, come disse il Locke (0 ). Ci posto, risulta impossibile giustificare storicamente la logica aristotelica vedendo in essa la
scoperta del procedimento del pensiero in quanto tale, che in fondo
l'interpretazione del Barthlemy Saint-Hilaire (10), o anche solo dell'intelletto che sar poi superato dialetticamente dalla Ragione, come sostiene
lo Hegel (11). Ma allora il problema della logica aristotelica si presenta
( 4)
A.
BECKER,
1933.
(5)
I. M.
BociiENSKI,
(il) VEATCII, Formalism and/or lntentionalit.v in Logic, Philosophy and Phenomenological Research , XI, I9SI. Questo articolo immediatamente seguito dalla
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INTI<ODUZIONf
in tutta la sua gravit. Infatti essa non potr pi essere giustificata come
insieme di regole che reggano il corso del pensiero stesso in quanto tale,
ma bisogner esaminare l'effettivo valore che essa ha per noi, i problemi
che essa ci pone, gli eventuali mezzi per risolverli che essa ci offre. M a
queste sono prospettive di ricerca che ci si offrono solo in quanto alla
logica aristotelica non si attribuisca una validit metastorica e si riconosca in essa un insieme di dottrine storicamente condizionate che storicamente vanno studiate. Da ci consegue che la logica di Aristotele non
potr essere studiata come logica in quanto tale, ma dovr essere studiata
come logica aristotelica: cio svolgere una ricerca su di essa vorr dire
giustificare il suo posto nell' insieme delle opere aristoteliche, mettere
in luce quali problemi il suo autore si proponeva di risolvere e quali
riusciva a risolvere con essa. Perci le interpretazioni idealistiche e logistiche, che sopra abbiamo esaminato, non conducono a fondo l' interpretazione storica della logica aristotelica in quanto lasciano sussistere
dei termini - logica formale, schema verbale - il cui significato non
viene determinato nel corso dell' indagine stessa, ma presupposto ad
essa. vero che la logica di Aristotele costruita di schemi verbali ; ma
l'osservare che quegli schemi verbali sono troppo limitati o che essi oggi
non servono pi e rimproverare ad essi di soffocare la vera vita del pensiero non serve a comprendere storicamente il pensiero dello Stagirita;
piuttosto giova vedere che cosa potesse significare per Aristotele stesso
schema verbale, quale uso di esso egli giustificasse, di quali dimensioni tenesse conto e quali eliminasse per costruire proprio quella nozione.
Ed altrettanto dicasi per la qualificazione della sua logica come logica
formale: in un certo senso questa attribuzione pu essere sostenuta in
quanto almeno gli Analytica priora si occupano di pure forme verbali
in cui i termini sono rappresentati con lettere che prescindono da ogni
eventuale contenuto. Ma il problema che subito si presenta quello di
determinare che significato abbia per Aristotele la forma e l'aggettivo
verbale che ad essa viene attribuito. Perci la cu1nprensione storica
della. logica aristotelica ha come sua condizione la connessione delle dottrine logiche con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita: a questo
modo la lob>ica non verr considerata come la scienza del pensiero in
quanto tale, ma come la logica resa possibile da una ben determinata posizione filosofica, presupponente una ben determinata metafisica, mentre,
d'altra parte, sar aperta la via a considerare con quali mezzi logico-linguistici sia stato possibile costruire quella metafisica.
La connessione delle dottrine logiche con quelle metafisiche nell' interpretazione di Aristotele non nuova e, anzi, costituisce il tema dominante di alcuni studi assai celebri. Essa riscontrabile nelle opere appartenenti alla storiografia francese di ispirazione spiritualistica facente capo
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CHEVALIER,
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mente un' ipotesi, il cm unico contatto con la realt consista in un' intuizione intellettuale.
Ben pi significativo il modo in cui il Prantl tenta di connettere
la logica con la metafisica nella sua Gcschichte der Logik im Abe-ndlande (21). Il fondamento della mediazione logica un Realprincip immanente alle cose stesse e costituente l'equivalente 011tologico delle categorie
linguistiche di cui fa uso la logica. Il merito del Prantl consiste appunto
nel tentare di definire per quel che gli possibile il principio ntologico
con categorie logiche, mettendo in luce la stretta connessione che per Aristotele sussiste tra questi due aspetti. Senonch anche qui non si vede poi
~ome non solo il Realprincip sia definibile con categorie logiche, ma come
le stesse categorie logiche determinino il Rea!princip costituendosi proprio come categorie logiche. Mentre il Prantl pone al centro della interpretazione il concetto che definibile contemporaneamente con categorie antologiche e con categorie logiche, il Trendelenburg preferisce pmtire dalla considerazione del giudizio nel quale prendono senso le categorie che deriverebbero dalle varie parti del discorso distinte dalla grammatica ( 22 ). Da questa interpretazione prendeva l'avvio una lunga discussione sulla dottrina delle categorie aristoteliche condotta dal Bonitz (2 3 ),
daii'Apelt (24), dal Gercke (25), dal Witte (26), dal Geyser (2 7), dal Gillespie, dal von Fritz (2 8 ), nel corso della quale si tenta eli penetrare sempre meglio i precedenti accademici della dottrina aristotelica e si abbandona anche l'analogia con le categorie kantiane che in un primo tempo
erano state il termine del confronto che tutte le trattazioni si sentivano
in dovere di fare impedendosi cos la comprensione del significato propriamente aristotelico di quella dottrina. Ma il mo~ivo della centralit del
giudizio nella logica aristotelica veniva ripreso ed ampliato dal Maier (2 9 )
che intitolava un'amplissima opera sulla logica aristotelic.a Die S')'lloqi-
(2 1 )
C.
PRANTL,
l>P. 87-345,
..(22) A.
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Il
(~l)
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sici ; ch anzi le dottrine logiche si vengono precisando via via con il predelle dottrine metafisiche e presuppongono posizioni metalsiche
dalle quali sono indisgiungibili. La metafisica, perci, si costituisce come
punto di arrivo della logica non perch sia separata da questa, ma perch
queste stesse categorie della metafisica si configurano in modo tale da
determinare anche gli strumenti con cui esse sono usabili ; d'altra parte
dallo studio della logica si vedr appunto come l'uso di certi determinati
strumenti logici, I' impostazione della ricerca su certe determinate dimensioni e l'eliminazione di altre, porti all'elaborazione di una certa determinata metafisica che, a sua volta, giustifica quegli strumenti ed il
loro presupposto. A questo modo possibile trarre dallo studio della
logica l'orizzonte categoriale della metafisica, vale a dire l'unit delle
dottrine metafisiche stabilite in base all'uso degli strumenti ad esse appropriati. Solo dalla indagine delle effettive categorie di cui Aristotele fa
uso e del loro modo di operare potr cos emergere l'unit della filosofia
aristotelica.
Ma per far ci non sar pi possibile considerare la logica aristotelica come dottrina del procedere naturale dell' intelligenza o dottrina della
conoscenza in generale, ma bisogner fare concreto riferimento al modo
preciso in cui Aristotele pens che l' intelligenza lavorasse, cio alla sua
concezione deiia scienza. Infatti la stretta connessione della logica con la
metafisica, nel modo che sopra abbiamo illustrato, diventa la stretta con~
nessione della logica con la scienza, in quanto la metafisica eli Aristotele
si presenta appunto come una scienza che ha la medesima struttura delle
altre scienze. Perci dire che l'oggetto della logica aristotelica il discorso comune, come fa il Kapp (3 2 ), non intieramente vero, in quanto il
discorso comune pu s costituire il punto di partenza ed il materiale
delle considerazioni di Aristotele il cui oggetto, per, la costruzione eli
un discorso scientifico fondato sul reale. Perci se da un lato la metafisica
esige la logica come quella che pu determinare gli strumenti con cui le
categorie metafisiche sono usabili, d'altra parte la logica tende alla metafisica come quella che, dando un fondamento nell' essere alle categorie
logiche, legittima l'uso degli strumenti che quelle presuppongono. F.d appunto perci la logica non sar, come la tradizione con il nome di organon
ha tramandato e come lo Zeller (3 3 ) interpreta, uno strumento essa stessa,
anche se mette in luce gli strumenti con cui certe categorie possono essere
usate: essa, infatti, una struttura che necessaria all'essere perch possa
esserci un discorso che lo enunci e al discorso per potersi costituire come
ci~arsi
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INTIWDUZIONE
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14
INTIWDUZIONE
***
Prima di passare alla trattazione diretta dell'argomento sar bene
dedicare alcuni cenni alla questione degli scritti logici di Aristotele soprattutto in relazione alla loro successione cronologica (34). La questione
della collocazione cronologica cos importante e difficile in tutta l'opera
dello Stagirita si presenta particolarmente oscura a proposito della logica~
(:!4) Le edizioni delle opere aristoteliche di cui ci siamo serviti in questo studio
e da cui abbiamo tradotto le citazioni sono:
AR,ISTOTELIS, Categoriae et liber De interpretai-ione, recognovit L. :MrNIO-PALUBLLO, Oxonii, 1949.
ARISTOTLE's, Prior and posterior Analytics, a revised text with introduction and
commentary by W. D. Ross, Oxford, 1949. Per le altre opere ci siamo serviti dell'edizione dell'opera omtzia aristotelica dell'Accademia delle Scienze di Berlino a cura
del Bckker.
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15
aggravata dal fatto che sull'autenticit di due opere del corpus lo{licum
si sono sollevati dubbi ( 35). nostro preciso intento trattare questo
problema nella misura richiesta dall' indagine che intendiamo condurre
ed esclusivamente in vista di essa. Ora, del trattato delle Categoriae ci
siamo serviti solo in quanto conteneva dottrine del tutto confermate da
altri scritti di sicura attribuzione, mentre pi largo uso abbiamo fatto
del De interpretatione. Contro le difficolt di natura oggettiva sollevate
fin dall'antichit contro il trattatello ha svolto considerazioni probanti il
Maicr (3 6 ) ; quanto a noi ce ne siamo serviti per studiare dottrine che
trovano sicuro riscontro negli Analytica priora (qualit e quantit dei
giudizi e dottrina della modalit), salvo differenze trascurabili per il
punto di vista da cui ci siamo collocati (p. es. la comparsa dei giudizi
individuali non considerati dagli Analytica). La dottrina della convenzionalit non trova invece riscontro letterale in altri testi aristotelici ;
senonch si pu osservare: I") la nozione di &m'icpavcn come (hrCOwl
di &n:ocpctcrt; e xaTacpwn compare anche negli Analytica posteriora (A,
2, 72a, 11 -14) e la costituzione di un discorso apofantico presuppone appunto l'eliminazione del problema della semanticit, che proprio il
senso in cui abbiamo interpretato la nozione aristotelica di convenzionalit.c1. del linguaggio; 2!') la dottrina del giudizio in tutte le sue enunciazioni presuppone la convenzionalit nel senso sopra specificato ; 3") il cap.
20" della Poetica che parafrasa passi del De interpretatione eliminando la
tesi della convenzionalit stato dimostrato dal Maier (37 ) essere un'interpolazionc tendenziosa. Perci mentre mancano criteri oggettivi sicuri
capaci di sostenere la tesi dell' inautenticit, neppure l'esito dell'esame
condotto sulla concordanza dottrinale pu indurre a pronunciare l'atetesi
del De interpretatione, o almeno delle parti che ci interessano.
Assai pi difficile si presenta la questione della collocazione cronologica, degli scritti logici. Essa fu affrontata dapprima dal Brandis (38)
che sostenne la precedenza dei Topica rispetto alle altre opere aristoteliche, tesi ripresa e completata dal Maier che ritenne di poter dividere i
Topica in parti che non presuppongono la conoscenza del sillogismo e
parti che la presuppongono (rispettivamente libri B-H, 2 e A, H, 3-5,
S); oltre a ci il :Maier ritenne di poter considerare il De interpretati(lne posteriore agli Analytica (39), dando cos un piano completo della
( 35 ) Si tratta delle Ca.tegoriae e del De interpretal'ione; su parte dd primo nutriva gi dubbi Andronico che negava anche l'autenticit del secondo di cui Ammonio
era propenso ad espungere solo l'ultima parte (da 23 a, Zi in poi)
(36) H. MAlER, Die Echthcit der aristotelischen Ermntenti!l, Archiv fiir Gcschichte der Philosophie , I900, 6.
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16
INTRODUZIONE
successione 'delle opere logiche aristoteliche, dai pi accettato e confermato recentemente, con uno studio sui rinvii reciproci delle singole opere,
dal Tielscher (40 ). Mentre la considerazione dei libri B e H (nei capitoli sopra citati) come le parti pi antiche dell' Organon sembra del
tutto pacifica, maggiori riserve si potrebbero sollevare di fronte alla collocazione nello stesso periodo dei libri a-Z che eseguono un progetto
tracciato all'inizio del A (r, r2oh, 12-15) s da costituire un corpo abbastanza unitario nel quale si trova un rinvio ben netto alla dottrina
della dimostrazione di Analytica. posteriora (Top. Z, 4, 141a, 29-30); se
questo indizio non affatto sufficiente per posticipare i libri in questione,
esso rivela tuttavia il tentativo di trovare, attraverso un' interpolazione,
un inserimento della dialettica dei Topica nella sillogistica degli Analytica.. Quanto alla posticipazione del De interpretatione, le ragioni pi importanti addotte dal Maier - la mancanza di citazioni in altri scritti e la
giustificazione del cap. 9 come polemica contro Diodoro Crono - non
sono del tutto probanti.
L'opera iniziata dal Maier portava innanzi il Solmsen (41 ) che, partendo dagli studi del Jiger, suo maestro, dava un ordinamento del tutto
nuovo al corpus logicum accettando quasi integralmente le tesi del Maier
per i Topica ma facendo precedere gli Analytca posteriora ai priora;
ordinamento che, accettato dallo Stocks (42), veniva criticato con considerazioni ragionevoli del Ross (43). D'altra parte il Gohlke ( 44), prendendo
in esame le dottrine della quantit e della modalit dei giudizi tentava di
individuare strati diversi di composizione delle opere dell' Organon; tentativo parzialmente condotto anche dal Becker ( 45 ). In realt nessuno di
questi tentativi ha dato finora un ordine cronologico fornito di un grado
apprezzabile di probabilit e stabilito su basi puramente oggettive, cio
tale da non implicare un'interpretazione filosofica della logica aristotelica.
Vista l'estrema difficolt di stabilire un ordine cronologico filologicamente fondato in maniera soddisfacente, abbiamo preferito rinunciare
( 4o) TrELSCHER Die relative Chronologie der crhaltenen Schriften des Aristoteles, Philologus ;, 1948; i risultati raggiunti in questo scritto non sono per0
abbastanza probativi in quanto s fondano sull'espunzione di alcuni rimandi interni
riscontrabili nelle opere aristoteliche. Dall'ordine di successione cronologica del
Maier il WE1L (La place de la logique da11s la pense ari.stotliciemu, Revuc e
Mtaphysique et de Mora!, 1951, 3) ha tratto risultati interpretativi per nulla rispondenti al pensiero aristotelico.
(41) F. SoulSEN, Die Entuicklung der aristotelischen Logik und Rltetorik,
Berlin, 1929.
( 42) ] . L. STOCKS, The composition of Aristotle's logica/ works, Classica!
Quarterly , 1933.
( 43 ) W. D. Ross, The discovcry of the syllogism, The philosophical Revrcw >>, 1939, J. Dello stesso argomento si occupa P. SHOREY The origitl of the syllogism, Classica! philology , 1924, I.
'
( 44 ) P. Gonr.KE, Die Entstehung der aristotclischen Log1:k, Bcrlin, 1936.
( 4 ") BECKER, op. cit.
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INTRODUZIONE
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C. A.
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CAPITO,LO
L'ORIZZONTE LINGUISTICO
DELLA LOGICA ARISTOTELICA
I. - LA SEMANTICITA DEL LINGUAGGIO. Partire dalla considerazione delle dottrine linguistiche per svolgere un'indagine sulla logica
di Aristotele non un'arbitraria imposizione dei nostri interessi a testi
non in grado di rispondere ad essi, ma si fonda sulla stessa dottrina professata dallo Stagirita che proprio in una prima delimitazione del campo
di studio della logica afferma la natura linguistica dell'oggetto di essa (1).
Infatti con una distinzione che ricorda molto strettamente i tre termini
del I!Egt -rov 1-L~ ov-ro di Gorgia (2 ), Aristotele esclude che le cose ed i
pensieri, che costituiscono l'oggetto proprio degli studi sull'anima, possano essere oggetto della indagine, che ha in animo di intraprendere: il
linguaggio, allora, che accanto alle cose ed ai pensieri il terzo termine
di quella distinzione, sar il campo entro il quale dovr essere cercato
l'oggetto della logica. Ed Aristotele non si cela la difficolt sollevata da
questa impostazione, riconoscendo che le parole, che debbono essere segni delle cose e dei pensieri - che sono uguali per tutti - sono caratterizzate in proprio dal diverso configurarsi presso i diversi individui (3 ).
Il problema che si presenta ora , perci, quello di recuperare la possibilit che le parole, attraverso la loro disparit, significhino ci che
identico per tutti. Si profila cos la questione del senso delle parole isolatamente prese e del valore dci nessi di congiunzione tra esse. A proposito delle parole, isolatamente prese, le tesi di Aristotele sono assai
chiare: 1 ") ogni parola significa qualcosa che rientra in una delle categorie; 2) ogni parola, presa di per s, non n vera n falsa (4). Senon-
(1) I suoni emessi con la voce sono simboli delle passioni che sono nell'anima,
ed i segni scritti sono simboli dei suoni emessi con la voce. E come le lettere, cos
neppure i suoni sono uguali per tutti; invece lo sono ci di cui essi sono essenzialmente segni, cio le passioni dell'anima, cos come le cose, di cui esse sono immagini.
Intorno a queste ultime si parlato negli scritti sull'anima; appartengono infatti ad
un'altra trattazione (De int., r, 16 a, 3-9).
(2) DIELS, 82, B, 3, 17-21.
(3) De int., r, r6a, 3-9.
( 4) Delle cose dette senza alcuna connessione ciascuna sig-nifica o la sostanza
o il quanto o il quale o il relativo o il dove o il quando o il giacere o l'essere in una
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(14) S. - Ora del dh-c parte il denominare; infatti assegnando nomi si fanno
i discorsi. E. - Cos mi sembra, come dici. S. - E il denominare non anch'esso
un'azione, dal momento che abbiamo ammesso che anche il dire sia un'azione riguardante le cose? E. - S. S. - Ma ci result chiaro che le azioni non dipendono da noi
bens hanno una loro propria natura indipendente? E. - SL S. - Nori bisogna dun~
que anche denominare, nel modo e col mezzo con cui natura vuole che le cose si
denominino e siano denominate, e non secondo l'arbitrio nostro, se dobbiamo essere
coerenti anche qui su quanto dicemmo prima? E soltanto cos avremo successo e
denomineremo, e non altrimenti? E. - Mi pare chiaro (Crat., 387 c-d); S. - Il
nome dunque come uno strumento didascalico e sceverativo dell'essen:r.a come la
spola del tessuto (ibid., 388 b); S. - Dunque, ottimo. uomo, anche il !{ome, ch'
adatto per sua natura a un dato lavoro, quel nostro legislatore deve saper fare di
suoni ~ di sillabe; e, guardando a ci che il nome in s, fare c porre tutti i nomi,
se egh vuoi essere un autorevole istitutore di nomi. Che se poi ogni legislatore non
adopera le medesime sillabe di un altro, non bisogna perci stupirsene, perch neppure ogni fabbro adopera lo stesso ferro, pur facendo lo stesso strumento e per lo
stesso scopo; e comunque, pur che dia a questo strumento la forma ideale che gli
spetta, o lo faccia in altro ferro, o lo faccia qui in Grecia o tra stranieri, sar pur
sempre questo lo strumento che va bene :~o (ibid., 389 d, 390 a).
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-quali sono i caratteri che gli appartengono in proprio. La logica si occupa dei discorsi apofantici, ch li quelli semantici si occupano altre discipline (15). Se i discorsi semantici non sono suscettibili di essere giudicati
veri o falsi, apofantici sono quelli cui queste valutazioni si addicono (1 6),
Stabilito questo punto, non resta che andare alla ricerca dei modi con
cui si possono distinguere i discorsi apofantici dai semantici esaminando
la loro struttura linguistica. Ora le parole, prese da sole, sono segni n
veri n falsi, se non si aggiunge ad esse qualcosa che significhi la loro
unione o la loro separazione e, precisamente, il verbo essere coniugato in uno dei suoi tempi (17). 1\fa, poich al verbo essere possono
essere ricondotti tutti gli :cltri predicati, discorso apofantico quello
ccstituito da un nome e da un verbo (1 8 ), il quale non indica una cosa
(ngyf.Lu), ma u11'unione (19 ). Ora, dallo studi0 del verbo essere, come
di ogni altro verbo, risultano possibili solo due forme di rapporto fra i
termini della proposizione, l' affermazione (xuni<puat) e la negazione
( m)lpum.), che sono le due sole unit minime ed indivisibili del discorso
.apofantico (20).
Senonch l'apofantico pur un 6yo anch'esso e, come tale, costituito di parole connesse ad indicare qualcosa, secondo convenzione. Aristotele non ha difficolt ad ammetterlo, dichiarando apertamente che il
discorso apofantico quello che indica (mwa(vEL) lo vrc&QI(Blv (2 1). Ma
ci che interessa qui non la semanticit della proposizione, per la quale
questa non potrebbe essere n vera n falsa, bens il suo essere affermativa o negativa, unione o separazione, perch proprio il suo configurarsi come xa"CdtpctcrL o notpacrt che la mette ipso facto in relazione
all'essere offrendo la possibilit di dirla vera o falsa. Proprio qui infatti
si manifesta l' importanza dell'ammissione che tutti i discorsi sono significativi: infatti essendo ogni discorso significativo ed essendo l'affermazione c la negazione discorsi significanti l'essere ed il non-essere, ogni affermazione ed ogni negazione saranno vere o false, cio si riferiranno
all'essere (22). Om1ai Aristotele in possesso dell'oggetto della sua in(15) De int., 4, r7a, 4-7.
(16) Non ogni discorso apofantico, ma solo quello in cui si dice il vero o il
falso: ch non in tutti lo si dice, p. es. la preghiera un discorso, ma non n vera
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24
dagine, che si occuper soltanto dei discorsi nei quali sia possibile rintracciare un'affermazione od una negazione, lasciando cadere i modi in
cui queste strutture linguistiche di volta in volta si manifestano, come
facenti parte della semanticit dello stesso discorso apofantico e sempre
riducibili, come abbiamo gi visto, allo schema soggetto . copula e predicato.
In realt cos facendo Aristotele prende ad oggetto dei suoi studi
un particolare tipo di discorso, anch'esso in fondo semantico, e lo considera come la struttura necessaria di tutti i discorsi che possono essere
veri o falsi. Uno dei cardini della logica aristotelica sta proprio qui, nella eliminazione della semanticit come problema
I o g i c o con il conseguente tentativo di rintracciare un tipo di discorso
unico ed universalmente valido. Aristotele sa bene che i campi di ricerca
diversi dispongono di termini linguistici diversi ; ma questo non importa,
ch unendo questi termini in affermazioni e negazioni, si otterranno proposizioni vere o false, ma, comunque, aventi nn senso.
Queste precisazioni permettono subito alcune considerazioni assai
importanti con le quali si possono stabilire le relazioni tra Aristotele ed
alcune delle pitt significative dottrine del linguaggio correnti al suo tempo, s da appurare con maggiore precisione la direzione in cui propriamente egli cammina. Sostenendo la tesi della convenzionalit del ling-uaggio
egli si pone nella tradizione eleatica che al contrario di quella eraclitea
non vede nelle parole delle portatrici originarie di verit ( 23 ). Questa
tradizione ha condotto da un lato alla dottrina di Democrito sull'assoluta
convenzionalit dei nomi (2-1) che appartengono al mondo soggettivo e
rinviano al mondo degli atomi come vera realt, dall'altro alle conclusioni estreme di Gorgia che nel linguaggio vede una delle ragioni della
radicale impossibilit di riferirsi, parlando, ad un oggetto comun<' o a
quelle dei Megarici intessute delle tesi pi contrastanti: per essi, infatti,
il linguaggio propriamente il regno delle contraddizioni, sicch da un
lato le parole sono senza senso in quanto tradiscono l'originaria unit
dell'essere (25 ), dall'altro ogni parola ha senso, in quanto, appunto, tutte
sono assolutamente estranee alla realt (2 6 ). Ma in tutte queste correnti
la tesi della convenzionalit serve a negare una struttura logica autonoma
al discorso. Infatti per Democrito il linguaggio entra nella sfera eli ci
che per convenzione, mentre la vera scienza non pu occuparsi che di
quanto oggetto di conoscenza chiara, cio gli atomi ed il vuoto ( 27 ); per
(23) DIELS, 28 B, I9, 3.
(24) DIELS, 68 B, 26.
(2il) Questi [Euclide] asseriva che uno il bene, chiamato con molti nomi. A
volte infatti lo si chiama saggezza, a volte dio, a volte intelletto e con altri termini
ancora. Ci che opposto al bene espungeva dalla realt considerandolo come non
essere (Dio.Q., II. 106).
(2G) Questa tesi, comune a molta parte della Sofistica, giustifica la pratica dell' eristica.
(27) DIELS, 68 B, 9 e II.
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25
(28) I suoi di Euclide] seguaci Cl"allO chiamati lfegarici, poi Eristici e infine
Dialettici, perch conduc~vano le argomentazioni per domande e risposte (Diog. II
100).
. '
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'
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LE ALTERNATIVE DELL'APOfANTICITA
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del pari vero che all'oggetto non si riconoscono che le forme dell'essere
e del non essere ricavate dall'affermazione e dalla negazione (3 5).
Dato l'immediato trasparsi delle strutture linguistiche nelle strutture
dell'essere, passano in secondo piano i mezzi di accertamento dei veri singoli o di singoli tipi di proposizioni: ci che conta formulare un lingttaggio che ripeta la struttura razionale del reale, sicch possa anelar
bene per ogni tipo di ricerca. Ecco perch Aristotele abbandona il problema della semanticit che implica l'elaborazione di linguaggi di volta
in volta diversi cd usabili con i mezzi di accertamento di cui si dispone
in ogni campo di ricerca e mai trasferibili ad un c.1.mpo nuovo, se, anche
ir. questo, non esiste la possibilit di verificare con tecniche apposite ci
che si afferma. In questo senso la logica studia ci che cpuoH c non la
semanticit che r..ac cruv{h'jxrp, in quanto cio c' una verit comune a
tutte le scienze consistente nella enunciazione della struttura intelligibile
del reale, struttura che, a sua volta, una sola, attingibile direttamente
dal pensiero; la logica non la scoperta di strutture comprensibili via
via diverse, attinte con mezzi diversi e movendo da interessi diversi. Aristotele non nega che la verit di proposizioni diverse si scopra in modi
diversi implicanti l'uso di termini linguistici diversi, ma non ammette
che l'uso di termini appositi implichi anche la costruzione di un linguaggio ad hoc; anzi l'esito di una ricerca non pu essere detto rigorosamente
vero se non si enuncia nel linguaggio apofantico unico. Se si tiene presente questo punto, si vede come sia infondata l' interpretazione della
logica aristotelica come logica formale, analoga a quella svolta nel Medioevo e continuata nella tradizione fino al secolo scorso. Per di~corso,
infatti, Aristotele non intende una forma simile ad un recipiente cui qualunque contenuto si adatti, ma la trascriLione in termini linguistici di un
ben determinato contenuto: l'essere in quanto tale, la realt in quanto intelligibile. Che poi tutte le scienze dispongano delle forme linguistiche
apofantiche, non vuoi dire se non che esse studiano sempre il medesimo
essere, sia pur astraendone aspetti particolari, in ognuno dei quali per
vale ancora sempre la stessa struttura razionale e perci lo stesso linguaggio. Per questo Aristotele non sottoscriverebbe mai l'asserzione che
un discorso sbagliato pu essere logicamente vero, perch non conosce
che un solo criterio di verit e cio l'adeguazione del discorso all'essere.
Se lgica formale ha da essere, la logica di Aristotele, Io sar in senso
tutto aristotelico, per il quale l a s o s t a n z a s t e s s a f o r m a , sicch l'espressione logica formale sar immediatamente sostituibile con
quella di logica sostanziale. Nostro compito sar ora quello di se(llu) Poich possibile enunciare l'essere come non-essere ed il non-essere come
essere e l'essere come essere cd il non-essere come non-essere, anche pe1 i tempi diversi dal presente, chiunque potrebbe negare ci che afferm c affermare ci che
neg (De int., 6, 17 a, 26-31). Dove chiaro che presupposto che la realt non
possa presentarsi che come u:niQX.EW o !!J urcciQX.Etv, che per non risultano che
dalla rc6rpao:n e dalla ~o.,;<i.<pct<Jt.
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guire il deline.o<rsi di questo linguaggio nel corso dell' indagine di Aristotele ed il disvelarsi, insieme con e, anzi, in esso della struttura intelligibile del reale.
Se ora esaminiamo le tre coppie di contrari elencate all' inizio di
questo paragrafo, ci rendiamo facilmente conto del loro corrispondersi
~-::rmine a termine, che qualche volta diventa un confondersi (:!G) : se il
linguaggio enuncia direttamente l'essere, soltanto due saranno le forme
linguistiche a nostra disposizione e due le forme dell'essere; e tra le prime e le seconde ci potr o no essere corrispondenza, sicch si avranno
soltanto vero o falso. Fin da ora il dilemma si presenta senza intermedi
ed ogni discorso che si proponga di parlare dell'essere deve accettare que1
dilemma, sotto qualunque aspetto poi voglia parlare dell'essere: infatti
esso stesso fatto cos. Qualunque tipo di ricerca si conduca, non si
troveranno mai altre forme della realt al di fuori dell'essere e del nonessere, n ci si potr o dovr mai servire di altre forme linguistiche all' infuori dell'affermazione e della negazione, partendo dall'esame delle
quali la riflessione ha trovato le stesse forme dell'essere.
Questa l'assunzione originaria della quale si serve Aristotele per
gettare le fondamenta del discorso scientifico come discorso controllato
e capace di enunciare il reale, organizzandosi seconqo la stessa struttura
dell'essere. Questa perfetta corrispondenza si fonda appunto sull'eliminazione del problema della semanticit dalla dottrina platonica del giudizio. In quest'ultima, infatti, almeno quale la si trova nel Sofista (3 7).
il permanere della viva preoccupazione per la capacit mimetica ed illusiva del linguaggio fa s che il rapporto tra quest'ultimo c l'essere venga
sempre considerato come un rapporto di possibile coincidenza, anzich
come rapporto di necessa.ria corrispondenza o esclusione: proprio quest'ultima modalit scelta dallo Stagirita per il rapporto linguaggio-realt
fonda la sua pretesa all'elaborazione di un linguaggio che abbia la garanzia di essere valido per ogni forma di essere. D'altra parte, con questa impostazione, Aristotele affronta la questione della possibilit del giudizio negata dai Cinici, da alcuni sofisti e che sarebbe poi stata negata da
Stilpone (38). Infatti non solo il giudizio viene a costituire l'atomo del
<liscorso, ma rivela anche la struttura caratteristica della realt, interpretata non come un qualcosa di inconoscihile o di meramente sensibile o di
(3G) Per es. in Met., E, 4, 1027b, r8-23 dove il vero ed il falso diventano
rispettivamente l' essere ed il non-essere, mentre l' essere ed il non-essere reali diventano il connesso ed il separato. D'altra parte in .'vfet., t., 29, I024b, 17-19 il falso,
considerato come una cosa (w :rcoyfLu 'ljJElo), diventa il non-essere come essere
separato o impossibilit di essere unito: Il falso si dice in un altro modo come una
cosa falsa, e di questo modo un caso il non connettersi o l' impossibilit di connettersi.
(37) S oph., 262 d.
(38) Soph., 251 a-c; Alcuni eliminarono la copula '' come Licofrone (Phys.,
A, 2, 185 b); perci erano quelli che predicano un termine di un altro termine diverso (PLUT.. Adv. Colot ... 2~. II20a).
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la quantit di esso. L' indagine sulla quantit dei giudizi, perci, non introduce nella logica di Aristotele nessun principio nuovo, mirando a scoprire rapporti necessari tra le strutture linguistiche che si suppongono
enunciare corrispondenti strutture reali.
Proprio la necessit delle strutture reali e linguistiche il fondamento della logica aristotelica. Infatti poich sono necessarie, le strutture
linguistiche non possono che essere usate da ogni scienza, ch l' tt!:>arnc
diverse sarebbe dire il falso; e poich sono necessarie, le strutture reali,
non possono non essere l'oggetto di ogni scienza della realt, ch lo scoprime diverse sarebbe sicuro segno di fallimento. Ma allora basta svolgere un'analisi delle forme del linguaggio apofantico, dal quale si passa
immediatamente all'essere, per poter cogliere queste strutture necessarie, reali e linguistiche. Se la realt presentasse aspetti diversi, con strutture a volta a volta diverse, allora bisognerebbe elaborare linguaggi diversi ed appropriati, ma se la realt quella che , ovunque la stessa, nella
sua sostanza, allora anche il linguaggio sar unico, pur potendo essere
diversi i metodi per attingere questo reale. In questo senso i rapporti
tra i giudizi sono necessari : in quanto, cio, detti giudizi potranno concernere i triangoli della geometria o gli astri dell'astronomia o i raggi
della luce dell'ottica ma sempre essi si contrapporranno o si collegheranno
allo stesso modo, perch tutti quegli oggetti appartengono pure all'essere.
Ora la contrariet antifatica la manifestazione prima e pi netta
di questa necessit del discorso. Abbiamo gi visto come la proposizione
.apofantica non possa sottrarsi alla necessit di essere o vera o falsa,
perch non pu essere che affermazione o negazione e perch non si d
nulla che non sia essere o non-essere; di conseguenza se l'affermazione
vera, la negazione sar falsa e viceversa, ma non si dar mai una pro
posizione vera e falsa contemporaneamente o n vera n falsa, n si daranno un'affermazione ed una negazione entrambe vere. Cos la necessit
si configura come l' impensabilit di un discorso, avente forma aliermativa o negativa, che sfugga al dilemma di essere o vero o falso o che possa
essere un che di mezzo tra il vero ed il falso, enunciando un che di mezzo
tra l'essere ed il non-essere: cio tutte le affermazioni e negazioni, di
qualsiasi tipo, sono significati?:-e (sono vere o false) e nessuna scienza fa
uso di proposizioni di probabilit, che non possono essere usate da una
scienza rigorosa. Cos la necessit del discorso apofantico si presenta
quale impossibilit eli ammettere per 11essun tipo di discorso dei termini
intermedi tra il vero ed il falso, l'affennazione e la negazione, l'essere ed
il non-essere: nel che consiste il principio del terzo escluso ( 44 ). Proprio
questo principio la molla di tutta la logica di Aristotele ed il sostegno
cui essa legata.
( 44 ) Ma ne!lpure non pu e~serci nulla in meno alla contraddi:done ma necessario affermare o negare di un'unica coa una sola qualunque cosa. E'd chiaro
soprattutto Per Quelli che hanno definito che cosa il vero e che cosa il falso. Falso
. il dire. infatti. che l'essere non o che il non-essere , vero il dire che l'essere ed
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NF.Cf:SS!TA L: PREVISIONE
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68 B, 8, 4-S.
Ch se ogni affemm:done vera o falsa,
o non sia (De in t., 9, 18 a, 34-35).
(45) DIELS,
( 46)
c necessario
(47) Se infatti l'uno dir che una cosa sar e l'altro negher proprio questa
cosa, chiaro che necessariamente uno di essi nel vero se ogni affermazione
vera o falsa: tutte c due infatti non potranno avverarsi in'siemc (De i11t., 9, 18 a,
35-39). Le parole che abbiamo sottolineato mettono bene in luce la concezione aristotelica della verit: ogni affermazione e negazione fin da ora vera o falsa, anche se
concerne il futuro, perch ricalca le forme stesse che la realt non pu not: prendere
C. A.
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venisse collocato nel tempo, ora esso viene situato nel futuro. Ci fa s:
che Aristotele approfondisca la soluzione di cui si era accontentato in un
primo momento, ammettendo il passaggio immediato dall'essere del predicato all'essere delle cose: infatti fino a che non si prende in esame la
collocazione temporale facile considerare il discorso come un'enunciazione dell'essere senza mettere in luce i problemi che questa enunciazione
implica ; ma quando il futuro pone dinanzi un essere delle cose che non
ancora, allora non pi possibile invocare il passaggio immediato dall'essere del predicato che si possiede gi all'essere delle cose che non .~i
conosce ancora. Di fronte a questa difficolt lo stesso rapporto di coincidenza tra il dire e l'essere viene proiettato nel futuro e rivelato nella sua
vera natura di rapporto necessario : proposizione vera allora queila che
enuncia un essere che necessariamente accadr, cio che non pensabile
che non accada. D'altra parte, se una proposizione enuncia un essere che
necessario che accada, vera (48 ). Uno stato futuro uno stato che non
ancora, cio tale che non se ne pu dire l'essere, che ancora non , ma
solo tutt'al pi prevedere che si configurer in questo o quest'altro modo,
aspettando poi che il futuro stesso, facendosi presente, confermi o smen
tisca o in parte confermi c in parte smentisca le previsioni. Ma per Aristotele una proposizione probabile non una proposizione vera: quest'ultima, infatti, non si accontenta di prevedere l'essere, ma pretende eli enunciarlo quale e non potrebbe non essere. Anche per il futuro, perci, la
proposizione vera quella che enuncia gi l'essere che ancora non :
pare un paradosso eppure questa la formulazione pi radicale della necessit, che tende sempre a ridurre il futuro al passato, considerandolo
equivalente ad esso. Sicch non a caso abbiamo detto che si tratta dello
stesso rapporto di coincidenza, sia pure proiettato nel futuro, e che l' intima natura del rapporto di concidenza la necessit: il problema della
previsione del futuro ha costretto Aristotele a chiarire in modo significativo le sue posizioni.
Del resto t1n' implicita conferma di ci si ptt anche trarre dalle
dottrine di Diodoro Crono, che potrebbe anche essere l'oggetto di riferimento delle argomentazioni di Aristotele. Per il maestro megarico il
rapporto che lega la proposizione profferita su di un evento futuro al suo
oggetto di stretta necessit: anzi pu dirsi uno spiegarsi nel tempo di
una coincidenza perfetta. Infatti la stessa testimonianza di Cicerone ( 111)
( 48) Se infatti vero dire che bianco o non bianco, necessario che sia
bianco o non-bianco, e se bianco o non-bianco, era Yero affermare o negare (ne
int., 9, 18 a, 39 b, z).
( 4 0) Ma torniamo a q nella disputa di Diodoro, che chiamano rrf(.l t luvu:ttov in
cui si indaga che effettiva validit abbia ci che potrebbe avvenire. Pensa dunque Diodoro che solo ci che o vero o sar vero pu avvenire. La quale asserzione solleva
questa questione: nulla pu avvenire che non fosse necessario che avvenisse, e che
tutto ci che potrebbe avvenire o gi o sar, n si pu mutare il vero in falso pi
nel futuro che nel passato, ma nelle cose gi avvenute l'immutabilit si pu facilmente scorgere, mentre pare che neppure ci sia in certe cose future, dal momento che
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NECESSITA f. PREVISIONE
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NECESSTT A J: PREVISIONE
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oggi e cos via, con tutte le sfwnature che l'osservazione del cielo consiglier di usare. Ma per Aristotele la realt conosce solo l'essere od il
non-essere e non qualcosa di mezzo tra essi, sicch lo stato in cui si trova
chi indaga sul futuro scrutando I' incertezza presente non viene considerato ; ci si trasferisce invece al futuro gi compiuto, sul quale la proposizione potr essere o vera o falsa fin da ora.
Come esce Aristotele da queste strettoie? Egli crede di poter riconoscere il futuro nella necessit facendo una distinzione tra la necessit
dell'alternativa antifatica e la necessit di ciascun membro dell'antifasi,
preso di per s (";;). Per le cose che non sempre sono, infatti, non si
pu dire vero che avverr cos ma solo che avverr cos o vero
o falso oppure avverr cos o non cos. Come si vede il principio
del terzo escluso non caduto, perch ancora il futuro non potr che
essere o non-essere e la proposizione non pu che essere vera o falsa,
sebbene non si possa dire se sia falsa. Futuro e necessit, perci, diventano
compatibili, perch l'ignoranza sull'esito di un evento non toglie che esso
necessariamente avvenga entro forme gi stabilite e non trova un corrispettivo reale: insomma destinata a rimanere senza peso nell' indag-ine logica, a non figurare come la molla di ogni ricerca la cui presenza
essenziale perch la ricerca stessa continui. Aristotele parla, vero, di
proposizioni che sono pi o meno vere a seconda che dicono o meno ci
che in passato accaduto per lo pi (G 6 ), ma questa categoria di giudizi
non ha nessun fondamento in tutto ci che venuto finora dicendo. Infatti
ammettere proposizioni pi o meno vere vuol dire ammettere termini intermedi tra il vero ed il falso con la conseguenza che detti termini dovrebbero poi comparire anche tra l'essere ed il non-essere ed infirmare la validit del principio del terzo escluso. Invece la contingenza del futuro
vista, anch'essa, nell'orizzonte della necessit dell'antifasi, anzi la stessa
necessit dell'antifasi, in quanto il futuro contingente proprio perch
necessario che sia o che non sia: non c' infatti una realt indecisa tra
l'essere ed il non-essere che possa diventare l'uno o l'altro di essi o qualche altra cosa ancora, ma solo una realt che necessariamente sar o non
sar. Dopo di che parlare di proposizioni pi o meno vere un dire cose
infondate, perch anche i giudizi sulle cose non necessarie debbono essere veri o falsi, dovendo enunciare un futuro che sar o non sar. Se
(55) Che, dunque, l'essere sia quando ed il non-essere non sia quando non ,
necessario; ma non necessariamente invece ogni essere n ogni non-essere non :
non infatti la stessa cosa che ogni essere sia necessariamente quando e l'essere
necessariamente in senso assoluto; analogamente dicasi per il non-essere. Lo stesso
discorso si pu fare per la contraddizione: ogni cosa necessariamente o non . sar
o non sar; ma non necessario dire una delle alternative separatamente (De int., 9,
19 a, 23-29).
(ilO) Per le cose non necessarie alcune avvengono a caso e non affatto pi ver:J,
l"affermazione o la negazione, per altre invece pi vero ed accade per lo pi uno dei
membri ell'antifasi, ma nori tanto che non possa avverarsi anche l'altro c non il primo (De int., 9, 19 a, 19-22); ibid., 38-39.
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sul piano del dire e dell'essere il sostegno cui legata tutta la logica
aristotelica; si tratta ora di giungere al cuore stesso di questo principio
per cogliere il suo irradiarsi nell'essere e nel dire. Ora se volessimo dare
l'enunciazione pi comprensiva di esso potremmo dire: tra e non
non si d medio. Infatti e non significano: a) l'affermazione
e la negazione, in quanto indicano l'unione o la separazione dei termini di
una proposizione (" 7 ); b) il vero ed il falso, in quanto indicano l'essere
o il non-essere della corrispondenza tra la proposizione e la realt (58) ;
c) l'essere ed il non-essere reale (5 9 ). Ma, a guardar bene, l' >> ed il
non non sono altro che due forme della copula, alla quale, secondo
Aristotele, si possono ricondurre tutti i tipi di predicazione (60). Proprio
<!alla copula si sono iniziate le indagini sulle forme dell'essere che si rivelano attraverso il discorso, per scoprire le strutture necessarie di quest'ultimo; infatti l'affermazione e la negazione sono state considerate le
forme ultime del discorso apofantico. Ora la forma cui si pu ricondurre
ogni affermazion~ cd ogni negazione proprio quella del tipo A ...
'0 A non ... . Come ci sono l' ed il non del discorso cos ci
sono l' ed il non della realt in armonia con i quali bisogna
usare quelli del discorso: ma I' ed il non del reale non possono essere conosciuti se non dall'esame di quelli del discorso e cio delle
<:opule. Il problema del futuro pareva che dovesse spezzare questo trasporsi della copula, ma non vi riuscito, perch Aristotele ha proiettato
nel futuro la copula del giudizio, supponendo che il futuro non possa
evadere dall'essere o non-essere, che non sono poi altro che le copule dei
giudizi pronunciati sul futuro, considerato come una cosa gi compiuta:
proprio in questo consiste la proiezione, ch, fatto questo passaggio, le
forme ii! cui il futuro si realizzer non sono pi future esse stesse ed il
giudizio che si deve formulare sul futuro non pi un giudizio volto a
prevedere un essere che non ancora, ma si adegua a ci che gi presente. Perci il tentativo di Aristotele di trovare un linguaggio che enunci
l'essere nelle sue strutture necessarie assume come presupposto che le
categorie di cui quel linguaggio si serve abbiano sempre anche un signifi<:ato antologico e che in realt quell'essere consista di strutture linguisti<:amentc enumerabili pressuposte al linguaggio stesso. Esaminata a fondo,
questa trasposizione di strutture prende l'aspetto di una generalizzazione
verbale consistente nell'unificazione di pi significati (l'essere reale, l'essere vero e l'essere come predicato) in base alla considerazione della comune forma verbale in cui essi trovano espressione, ritenuta sufficiente
a far s che essi siano sottoposti ad una medesima legge.
(57) De int., 3, r6b, ~'2-25.
(58) Inoltre l'essere e l' significano che vero, cd il non-essere che non
vero ma falso, indifferentemente per l' affermazione e la negazione (Met., A , 7,
.1017 a, 31-33) e passim.
(59) De int., 9, 18b, 37- 19a, I.
(60)
De int.,
12, 21
b,
<)-IO.
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cessaria, qualunque sia il tipo di proposizione in cui si presenta. Senonch, considerate come determinazioni delle cose, cio come determinazioni dei modi in cui gli oggetti si comportano entro il dilemma della
contraddizione antifatica, le categorie modali, che prima sembravano nettzmente distinte, si intrecciano in mutui rapporti.
II possibile si presenta, dal primo punto di vista, come il diverso dal
necessario, in quanto ammette l' indecisione nell'alternativa (69 ): in que-sto senso nella tavola delle categorie modali (7) troviamo il possibile
che sia distinto vuoi dall' impossibile che sia vuoi dal necessario
che sia; con il che da una parte si asserisce la possibilit dell'essere e,
dall'altra, la non soppressa possibilit del non-essere. D'altra parte il
non-possibile passa immediatamente nel necessario e nell' impossibile,
sicch in realt I' alternativa an ti fatica si , quando le categorie modali
sono considerate come predicati in una proposizione, tra il possibile ed
il necessario, tra cui non si hanno medi.
Ma a questo punto entra in gioco il secondo punto di vista che considera i modi in cui le cose possibili e necessarie sono o non sono. Infatti
mentre se ci fermiamo ai giudizi x possibile e x necessario ,
possibile e necessario ci paiono contraddittorii, in quanto il possibile propriamente il non-necessario, secondo la nota tavola; se passiamo ai giudizi x possibile che sia e x necessario che sia, allora la contraddizione pu anche venir meno. Infatti tra necessario che non sia
e non necessario che sia non c' contraddizione ( 11 ): eppure questi
giudizi corrispondono, nella tavola di De int. 13 rispettivamente a non
possibile che sia ed a possibile che sia i quali, invece, sono contraddittorii tra loro. Se ci vero, vuoi dire che il possibile che sia
sar il necessario che non 'Sia e che il non possibile che sia sar
il non necessario che sia, dove il possibile ed il necessario, anzich
essere contraddittorii coincidono senz'altro, facendo venir meno il presupposto di considerare possibilit e necessit come aspetti assolutamente
distinti del reale. Il termine di passaggio dalla possibilit alla necessit
(69) La ragione per cui ogni cosa che possibile a questo modo non sempre
in atto che di essa sar vera anche la negazione: pu infatti anche non camminare
chi ne ha la possibilit e pu anche non vedere chi pur potrebbe vedere (De int .
12, 21 b, 14-17).
(70) Possibile che sia
Non possibile che sia
Pu darsi che sia
Non pu darsi che sia
Non impossibile che sia
Impossibile che sia
Non necessario che sia
Necessario che non sia
Possibile che non sia
Non possibile che non sia
Pu darsi che non sia
Non pu darsi che non sia
Non impossibile che non sia
Impossibile che non sia
Non necessario che non sia
Necessario che sia
(De int., 13, 22 a, 24-31).
( 71 ) II non necessario che sia non infatti la negazione del necessario che non
sia ; ch possono essere veri entrambi dello stesso soggetto: infatti il necessario che
non sia non necessario che sia (De int. 13, 22 a, 39-b, 2).
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sia 0 al che non sia. Allora si nota che ci che necessario deve
anche essere possibile, ch altrimenti sarebbe impossibile; d'altra parte,
per, un possibile coincidente con il necessario perderebbe tutto il suo
carattere peculiare, in quanto vedrebbe esclusa appunto la possibilit del
contraddittorio (7 5 ). Fino a che si resta alla considerazione della moda
lit poco importa che sia la possibilit che la necessit siano dell'essere o
del non-essere; ma quando si passa a considerare questi ultimi, allora si
vede che il necessario deve essere anche possibile, perch possa essere. Con
ci Aristotele non intende asserire la.priorit della possibilit rispetto alla
necessit, sicch questa risulti iscritta in quella. Se cos fosse, la necessit,
essendo anch'essa semplicemente un possibile, dovrebbe non escludere il
contrario; invece ci non avviene, perch la possibilit di ci che necessario diventa essa stessa esclusiva del contrario (7 6 ). Il che vuoi dire che
il possibile riceve significato e contenuto dal necessario del quale solo
una specie di proiezione retrospettiva: il vero principio il necessario (1 7).
Allora la possibilit o del necessario o del non-necessario. Nel primo.
caso perde il suo carattere specifico di possibilit facendosi, come la necessit aristotelica, esclusiva del contrario, tanto da diventare un semplice modo di enunciare un necessario che in quel momento non c'
ancora, perch necessariamente non deve esserci, ma che pu esserci, perch necessariamente ci sar in un altro momento dato, sicch queste possibilit sono tali solo per omonimia (7 8 ) : al necessario perci nulla aggiunge la possibilit.
Se poi la possibilit del non-necessario, vuoi dire che ci che, appunto, solo possibile, pu essere aftermato o negato (79 ), senza che si
possa determinare quale delle due alternative sia la vera; ma affermare e
negare che cosa? Ci che gi in atto o che stato in atto (BO) ; cio an(7 5) Qualcuno potrebbe essere in dubbio se al necessario che sia consegua il
possibile che sia. Che se non consegue, conseguir il contraddittorio, il non possibile
che sia; e se qualcuno dicesse che questa non contraddizione, sarebbe poi costrettoa dire che lo il possibile che non sia : entrambi sono falsi del necessario che sia.
Ma, di nuovo, pare che la stessa cosa possa tagliarsi e non tagliarsi, essere e non
essere, sicch il necessario sar tale che potr anche non essere; il che falso. Pertanto chiaro che non tutto ci che pu o essere o camminare pu anche le cose opposte, ma vi sono dei possibili di cui questo non vero (De i11t., 13, 22 b, 29-37).
(76) Le potenze dotate di ragione possono pi cose ed anche contrarie, pur restando identiche a se medesime; le irrazionali non tutte, ma come si detto, il fuoco
non pu riscaldare e non riscaldare, n hanno la possibilit dei contrari le altre coseche sono sempre in atto; tuttavia anche alcune tra le potenze irrazionali possono
contemporaneamente gli opposti (De int., 13, 23 a, 1-4).
(77) Ed forse il principio di tutti gli essere e non-essere il necessario ed il
non necessario, e bisogna indagare tutte le altre cose come conseguenti a questi
(De int., 13, 2,3 a, 18-20).
(78) Alcune possibilit sono omonime (De int., 13, 23 a, 6-7).
(70) Ecco infatti ci che accade alle cose che non sempre sono o non sempre
non sono: di queste infatti t: necessario che l'uno o l'altro dei membri della contraddizione sia vero o falso, non questo o quest'altro, ma quello che capita (De int., 9,
19 a, 35c38).
(80) Il possibile non si dice in un modo solo, ma in un sens<?
47
perch cammina, c, in breve, possibile che sia in quanto gi in atto ci che si dice
possibile, in un altro senso si dice possibile ci r.he potrebbe essere in atto, p. es. pu
camminare in quanto potrebbe camminare (Dt int., 13, 23 a, 7-TI).
(Rl) De int., 9, I9a, 23~24: : chiaro da ci che si detto che ci che necessariamente, in atto, sicch se le cose eterne prece<lono, anche l' atto precede la
pctenza (ibid., 13, 23 a, 21 -22).
(82) H. MAIF.R, op cit., v. I, pagg, 202-210.
(8~) De int., 13, 23a, IO~TI.
(84) C. PRANTL, Geschichte der Logik im Abendlaude, Leipzig, 1855, pagg.
r64-182.
(85)
H.
MAIER,
(S6) H. MA.IER,
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si vuole salvare con l'ammissione dell'accidentale (~ 7 ) e di potenze ragionevoli (SS), ma solo non ammette che il possibile come tale possa
avere un peso nella scienza che non elabora per esso un linguaggio apposito ; essa anzi si serve del linguaggio del necessario e perviene a conclusioni dall'aspetto identico a quelle del necessario, accompagnate dalla
sola avvertenza che ci che stato affermato potrebbe anche non essere.
Un'indagine su oggetti solo possibili non dispone di mezzi linguistici
Diversi da quelli di un' indagine su oggetti necessari e se ne distingue
soltanto perch tiene esplicitamente conto che a volte ci che stato
dedotto pu non avvenire, per lasciar posto al contrario. L' impossibilit
di riconoscere la possibilit nel suo proprio essere deriva dall'ammettere
che solo c necessariamente due siano le forme della realt, l'essere ed
il non-essere,. sicch ci che possibile sia sospeso tra un termine ed il
suo immediato contrario, l'asserire o il negare: in questo senso il possibile non pu fondare nessuna ricerca, ch appunto, non c' bisogno di
indagine per dire che una qualsiasi cosa o non . Appena poi
questo possibile tende a diventare il probabile allora deve prendere la
forma dell'affermazione o della negazione e con questo cadere entro le
strutture del necessario, con la sola condizione che prima dicevamo.
Ma che la possibilit si possa articolare in forme via via nuove che
debbano essere indagate con mezzi appropriati e con linguaggi adatti
~i mezzi impiegati, questo Aristotele non ammette, cos come non ammette che la necessit sia un ordine trovato indagando con certi mezzi
ed enunciato in un certo linguaggio : per lui la necessit , appunto.
un ordine solo, enunciate in un linguaggio solo che ripete le strutture
necessarie del reale.
8. - L'AT'l'UAL,E. E IL N~CESSARIO. - Il tentativo eli Aristotele
stato quello di interpretare anche la necessit e la possibilit delle cose
entro l'orizzonte della necessit, entro il quale soltanto si spiega, secondo
lui, la conoscenza del reale. A prima vista certo una grave difficolt
che Aristotele parli di una necessit dell'alternativa antifatica e di una
necessit delle cose, che pare distinta da quella. Infatti, come nota il
Maier ( 89), tutti i giudizi di esistenza cadono sotto il dominio del principio del terzo escluso, che si presenta come una legge necessaria, sicch
tutti i giudizi dovrebbero gi di per s essere necessari, senza che si
introduca un'altra categoria di giudizi necessari, che non si distinguereb,
(87) Poich non tutte le cose sono secondo necessit n sempre o sono o divea
gono secondo forme costanti, ma la maggior parte sono per lo pi, necessario che
ci sia l'accidentale:; (lvi et., E, 2, 1027 a, 8-rr). Pi sotto Aristotele ammette l'accidente perch tutte le cose sarebbero necessarie, se necessariamente di ci che nasce
e di ci che si corrompe ci fosse una qualche causa non accidentale (ibid., 3, 1027 a,
JI-32),
(8S) De int., 13, 22b, 39-23a, 2.
(89) H. MAIER, op. cit., v. I, pagg. 210-212.
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L'ATTUALE E IL NECESSARIO
49
bero pi dai giudizi di esistenza in genere. Per risolvere la questione allora il :Maier ricorre ai giudizi sul futuro come ai soli che sfuggano alla
necessit e di fronte ai quali abbia ancor~t senso distinguere una categoria
particolare di giudizi necessari. Anche per il Calogero, del resto, assolutamente fuori di posto una dottrina della modalit nella logica aristotelica che o si riduce alla percezione noetica, in cui il necessario non si di~
stingue pi dall'attuale, o si riduce ad uno studio delle forme del linguaggio che nulla hanno a che fare con la modalit delle cose, servendo ugualmente bene per le cose possibili e per le necessarie (90 ). Ma le difficolt
trovate da questi due interpreti derivano dal fatto che essi non hanno
sufficientemente indagato le categorie modali presupposte dalla stessa logica di Aristotele, sicch pensano che il loro intricarsi derivi dalla confusione della necessit logica con la necessit antologica (91 ) o per la presupposizione realistica di oggetti gi costituiti (92 ), che poi la stessa cosa.
Non si considera per come per Aristotele non si tratti di confusione di
determinazioni reali con determinazioni logiche, ma di ritrovamento di
una struttura comune alla realt ed al discorso entro cui solo hanno
senso le detem1inazioni modali che appartengono alle cose e, perci,
anche ai discorsi che quelle cose enunciano. La logica cio ha messo
in luce un orizzonte entro cui compreso tutto il reale. E questo orizzonte costituito dall'alternativa antifatica dell'essere e del non-essere.
La necessit di quest'ultima consiste nella imprescindibilit dell'assoluta
esclusione dei due membri di cui costituita. Ora tutto ci che reale
determina uno dei suoi comi e, quando , necessariamente, nel senso
che esclude, assolutamente, il corno contrario a quello che ha determinato. Tutte le cose che sono, perci, cadono entro questa alternativa,
collocandosi in uno dei suoi membri: questo essere un che di determinato che esclude il contrario l'essere in atto (93). Se tutte le cose che
sono, sono in atto, c' per modo e modo di essere e, cio, di essere in
atto : non perch l'attualit muti la sua struttura antifatica, ma perch
diverse sono le cose in cui questa struttura si manifesta. Vi sono, infatti,
cose necessarie e cose possibili per le une e per le altre delle quali l'attualit per sempre la stessa: senonch necessarie sono quelle cose che
entro l'alternativa antifatica si collocano sempre dal medesimo lato, sicch
o sono sempre in atto o di esse si pu sempre predire quale sar l'atto,
possibili sono quelle che non permettono mai predizione certa di quale
( 90 )
G.
CAI,OGERO,
C. A.
VIANO,
La logica di Aristotele.
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sar il loro atto, restando sempre sospese nel dilemma (94 ). Come si vede,
perci, la necessit dell'alternativa antifatica il vero principio delle categorie modali (95 ) : infatti necessarie sono quelle cose che possono essere spiegate sulla base dell'opposizione contraddittoria di essere e nonessere, nella quale si detenninano subito per un corno, mentre possibili
sono quelle cose che in essa non ricevono totale spiegazione. In questo
senso abbiamo detto che il possibile solo il non-essere del necessario.
Mentre infatti la categoria della necessit l'affermazione dell'attualit (come determinazione di un'antifasi) in ogni tempo, quella della possibilit la negazione dell'antifasi come principio che sia in grado di dar
conto di certi aspetti del reale. Ma, poich la contraddizione la struttura stessa dell'attuale, cio dell'essere, del reale, l possibile sar la negazione di certi aspetti che, in quanto sono soltanto possibilit di certi
esseri, non sono reali. Tuttavia se l'orizzonte della necessit antifatica
non d conto di certi aspetti delle cose non si deve dire che l'orizzonte
stesso vada mutato, perch esso una struttura necessaria, sicch una eliversa da essa impensabile: piuttosto bisogner limitarsi ad enunciare
scientificamente delle cose possibili quel tanto che cade sotto la necessit.
Se l'orizzonte della necessit non d conto delle cose possibili, non l'orizzonte non , almeno per quelle cose, ma quelle cose non sono.
A rigore chiamare orizzonte quello in cui soltanto si pu dar conto
deli' intelligibilit del reale, quale si venuto chiarendo dallo studio del
De interpretatione, improprio, perch un orizzonte implica la possibilit di collocamento che, perci, pu anche essere mutato qualora il
primo non abbia assicurato una sufficiente visibilit delle cose che avevamo in animo di studiare e scrutare; invece l'orizzonte della necessit
qui si rivelato tale che impossibile abbandonarlo e, cio, si riveIato non pi come un orizzonte, ma come una struttura imprescindibile del reale e del linguaggio. Per Aristotele chi enuncia l'essere gi
in questo orizzonte perch vi l' essere o, meglio, usa queste strutture
perch queste sono le strutture dell'essere; chi vuoi mutare orizzonte non
corre il rischio di enunciare peggio l'essere, come non ha la probabilit di
enunciarlo meglio: semplicemente cade nel non-essere, nel nulla apofantico, cio o non parla o non enuncia nulla. Ecco perch la possibilit,
che non pu essere pienamente indagata entro questo orizzonte diventa
(94) Ed alcune cose sono in atto senza potenza, come le sostanze prime. altre
ancora con potenza, della quale l'atto anteriore per natura, pur essendo posteriore
~ronologicamcntc, altre ancora non sono mai in atto ma solo sempre in potenza (De
tnt., I3, 23 a, 23-26). Questa appunto la formulazione rigorosa delle distinzioni cui
ha messo capo l'analisi degli eventi futuri condotta in De int., 9 dove, appunto,
apparso che di alcune cose si pu sempre predire l'atto, di altre invece no.
( 05) De int., 13, 23 a, r8-2o. Qui I\'O.y)4a.tov significa t'atto che necessario in
quanto gi : ma questa necessit rinvia, in ultima analisi, alla alternativa an ti fatica
con la conseguente esclusione del medio nella quale perci si pu additare il vero
principio clelia modalit.
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L'ATTUALE E IL
N~CESSARIO
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CAPITOLO
II
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IL SILLOO!SMO
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scorso che si intenda fare e). N importa, per ora, che ci sia modo e
modo di prendere un membro dell'antifasi, ossia interrogando - che vuoi
dire tenendo presente anche l'altro membro - ed assumendo senz'altro direttamente - che vuol poi dire escludendo senz'altro l'altro membro da
ogni considerazione - , perch in un caso come nell'altro il prendere
sempre prendere un membro rifiutando l'altro, a prescindere poi dal proposito e dalla possibilit di istituire costanti raffronti tra di essi (3) ; n
importa che l'assunzione sia di ci che vero o di ci che solo probabile,
ch anche il secondo non potr non presentarsi che come affermazione o
negazione di un essere o di un non-essere ; con il che anche la premessa
interrogativa sar ricaduta nelle braccia della necessit antifatica. Proprio
dall'esame della forma verbale dell'asserzione e dell'interrogazione Aristotele giunto all' individuazione di altre due forme di proposizioni, le dialettiche e le apodittiche, delle quali le prime scelgono un membro dell'antifasi dopo aver rivolto una domanda su entrambi, cio dopo aver sollevato il dubbio che anche l'altro fosse da prendere e, quando ne hanno
scelto uno, Io considerano tale che appare vero e probabile, in quanto
la scelta stata preceduta da un dubbio e l'alternativa scelta non era vera
in modo tale da imporsi assolutamente, come nelle proposizioni apodittiche. Siamo dinnanzi ad una aporia di tutto l'edificio aristotelico, a quanto
pare, perch troviamo delle proposizioni che non potendo che essere affermazioni o negazioni dell'essere o del non-essere, non sono vere o false,
ma solo probabili. Ma, forse ad un esame pi approfondito potr apparire
che anche le determinazioni di vero e di falso, necessariamente connesse
con le altre, sono presenti in queste proposizioni, sebbene con l'ulteriore
nozione di probabile; comunque accettiamo, per ora, con Aristotele, la
distinzione cos come vien fatta e consideriamola, per i fini dell'argomento
che ci interessa, come irrilevante, tenendo per fermo che le proposizioni,
non potendo che affermare o negare, non possono presentarsi che come
vere o false. Basta. infatti sapere che ogni proposizione si colloca in un'alternativa, della quale deve scegliere un corno, per la sola sua struttura linguistica, sia poi essa vera o solo probabile. Ora un discorso completo deve,
secondo Aristotele, sviluppare l'alternativa scelta con nessi necessari. Il
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SILLOOISMO E DICOTOMIA
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(li) Sillogismo eristico quello che deriva da premesse che paiono probabili,
ma non lo sono, ed il sillogismo solo apparente derivante da premesse probabili o
apparentemente probabili>> (Top. I, r, roob, 23-25).
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{6) Che la divisione per generi sia solo una piccola parte del metodo cl1c abbiamo descritto, facile a vedersi: infatti questa divisione una specie di sillogismo
impotente>> (A1~. pr. A, 31, 46a, 31-33).
(7) RoBIN, Aristate, Paris, 1944, pag. so.
(S) La dicotomia presuppone sempre come dato ci che deve dimostrare, e
sillogizza sempre qualcosa di troppo ampio (An. pr. A, 31, 46a, 33-34).
(9) Nelle dimostrazioni dunque, quando si deve concludere che qualcosa inerisce a qualcos'altro, necessario il medio attraverso il quale si compie il sillogismo
e che dtve essere meno esteso e meno universale del primo dei termini; la dicotomia
fa esattamente il contrario: assume come medio l'universale (An. pr. A, 31, 46a,
39b, 3).
( 10 ) Uno degli errori capitali dei sostenitori della dicotomia sta nel fatto che
tentavano di sostenere la possibilit di dimostrare la sostanza e l'essenza (An. pr.
A, 31, 46a, 35-3i).
( 11 ) <d! allora evidente che questo metodo di ricerca non si adatta ad ogni tipo
di indagine n utile in quella cui maggiormente pare convenire (An. {w. A, 31,
46b, 35-37).
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J. LE TRE FIGURI.\ SILLOGISTICH.Ii. - Tre sono i compiti che Aristotele si propone nell'indagine sul sillogismo: a) studiarne la genesi e le
modalit (12 ); b) indagare come possiamo facilmente comporre dei siltogismi. affinch non sappiamo solo come sorgano, ma possediamo anche la
capacit ( lhlvu!u) di farne (1 3 ); c) ricondurre tutte le specie di sillogismi
a certi tipi risultati da un'indagine rigorosa come i soli possibili (14). Il
primo e l'ultimo compito impostano subito la ricerca sul piano della necessit, perch appunto presuppongono che tanti e non pi possano essere
(12) Come dunque sorga ogni sillogismo ed attraverso quanti termini e proposizioni, ed in quali rapporti reciproci essi stiano, ed ancora quale problema possa
essere dimostrato in ciascuna figura e quale in un maggiore e quale in un minorenumero di figure possa essere dimostrato, chiaro da ci che si detto (An. pr.
A, 26, 43a, 16-19).
( 1 3) Ch forse non bisogna solo indagare la genesi del sillogismo, ma anche
possedere la capacit di farne (An. pr. A, 27, 43a, 22-24).
(14) Dopo di che bisognerebbe dire come potremo ricondurre i sillogismi alle
predette figure: ch resta ancora questa parte della ricerca. Qualora infatti abbiamo
indagato la genesi del sillov,ismo cci abbiamo avuto la capacit di trovarla cd inoltre
abbiamo risolto i sillogismi via via sorti nelle figure gi illustrate, allora avrebbe
compimento il proposito da cui siamo partiti. Attraverso ci che diremo accadr e
che le cose dette precedentemente siano riconfermate e che diventi pitt evidente che
stanno proprio cos: perch h1tto ci che vero dcvC' concorclarc completamente con
se stesso (An. Pr. A, 32, 4fjb, 4o-47a, 9).
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Altrettanto pu dirsi per le altre figure che non sfuggono all'alternativa antifatica. Infatti la 2" figura che pu solo avere conclusioni negative (22), cercando di stabilire come un certo termine non competa ad un
certo altro, parte dalla considerazione che rispetto ad una certa antifasi
l'un termine deve appartenere ad un corno c l'altro all'altro; ragion per
cui deve avere una premessa affermativa e l'altra negativa. Ci posto,
poich i corni di un'antifasi si escludono immediatamente, i termini che
appartengono a corni opposti potranno essere negati l'un dell'altro. Nella
3a figura poi, dovendosi dimostrare che alcuni termini si possono predicare
di alcuni altri, si parte dalla considerazione che detti termini, pur appartenendo ad alternative antifatiche diverse, possono essere entrambi predicati di uno stesso terzo termine che si colloca, appunto, in entrambe le
alternative cui essi appartengono. Tuttavia, in tutte e tre le figure, perch
ci sia passaggio necessario dalle premesse alla conclusione, bisogna che,
a quanto appare dall'esame della configurazione linguistica delle proposizioni, vi sia un termine comune almeno a due di esse, sia che si configuri
come soggetto in una e predicato in un'altra (1a figura), sia come predicato
in entrambe (2 8 figura) o ancora soggetto in entrambe (3" figura). Proprio
qui sta il nocciolo della necessit sillogistica che si configura come eliminazione di tutta una serie di comi di antifasi successive, considerate rispetto ad un soggetto, al quale, perci, necessariamente non ineriranno i
corni esclusi. Ma, d'altra parte, l'eliminazione di questi corni non potr
avvenire se, fatta la prima assunzione, non poi dato trovare il termine
comune che permetta di passare da essa alle altre antifasi contenute in
essa. Senza il principio del terzo escluso non ci potrebbe essere nessuna
necessit sill9gistica. perch non si potrebbe parlare di esclusione assoluta
e necessaria del contraddittorio ; ma !'enza termine medio non si avrebbe
passaggio necessario da un'antifasi all'altra. Questi dunque sono i poli
che ad uno. studio della configurazione linguistica del sillogismo appaiono
irriducibili e sui quali si impernia tutta la sua necessit: l'indagine successiva ci dir se siano davvero irriducibili.
Muovendosi tutto entro alternative antifatiche, legate l'una con l'altra
da termini comuni, il sillogismo si configura come un vero e proprio organismo sorretto da legami di necessit ; date cio certe premesse, non possono derivarne che certe conclusioni e non altre, e introdotti certi mutamenti in queste premesse, non possono derivarne che certi altri mutamenti
nelle conseguenze. Ora i mutamenti che si possono fare senza che il sillogismo muti e quelli che, invece, lo mutano nel suo contrario - e sempre
i mutamenti sono nel contrario, dal momento che non esistono termini
intermedi - sono studiati sul fondamento dei rapporti tra i giudizi contraddittorii e contrari e della conversione. Per conversione Aristotele intende la possibilit di passare da un giudizio ad un altro equivalente, ma
(22 ) Non si d sillogismo affermativo in questa figura la 2", ma in essa tutti
sono negativi, e gli universali ed i particolari (An. pr. A, 5, 28a, 7-9).
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ste indagini sono condotte tutte sul presupposto che i giudizi entrino m
rapporti fondati sul principio del terzo escluso, che per Io Stagirita non
ha solo il valore di un fondamento della coerenza del discorso, essendo il
principio che regge tutto il reale. Questi processi di reciprocazione e di
inversione del sillogismo costituiscono perci tutta una rete di rapporti
necessari di implicanza o di esclusione in cui ogni sillogismo automaticamente entra : con i primi si trova tutto ci che da un sillogismo si pu
ricavare oltre la sua naturale conclusione, con i secondi tutto ci che un
sillogismo necessariamente esclude. Proprio su questi ultimi si fonda la
prova per l' impossibile tanto usata da Aristotele. Se infatti ogni sillogismo stabilisce un che di necessario, stabilir anche ipso facto che qualcosa
impossibile, cio che impossibile l' inverso del necessario - sempre
per l'immediato passag-gio da un membro all'altro dcll'antifasi - sicch~,
trovata una conclusione che non collimi con ci con cui doveva collimare,
baster fare l'inverso - secondo contrariet o contraddizione - di una
delle premesse per trovare una conclusione soddisfacente. Ma appunto lo
studio dell'inversione dei sillogismi deve aver messo in luce precedentemente quali rapporti intercorrano tra i sillogismi inversi (2 6) : rapporti
sempre fondati sull'esclusione immediata dei contraddittori. Il sillogismo
cio stabilisce rapporti necessari determinando alcuni membri di antifasi
contenentisi l'una nell'altra ed escludendo i membri opposti, sicch l'inversione del sillogismo la scelta di questi ultimi, invece dei primi.
In tutti questi passaggi il sillogismo considerato non come una concatenazione da stabilire tra i termini, ma come un nesso gi stabilito l"f!UO'H
e che ora si tratta solo di riconoscere; d'altra parte, una volta riconosciutolo, possibile mutare i rapporti tra i termini nelle maniere pi varie
concesse appunto da quella relazione che oggettivamente intercorre tra
essi e scopribili secondo le leggi della conversione dei giudizi. La stessa
riduzione all' impossibile presuppone il sillogismo come struttura oggettiva
gi data ed indubitabile, tanto che in base ad essa vengono esclusi gli eventuali termini che in essa generassero una contraddizione, senza che mai,
per, essa stessa corra il rischio di apparire inusahile proprio perch incapace di dar conto di certi termini : appunto perch questa struttura
necessaria, nel senso che abbiamo detto, una contraddizione in essa im-
possibile e il termine che la genera deve senz'altro essere espunto.
4 I SILLOGISMI NON CONCLUDttN'l'I. Alcune proposizioni, pur
avendo termini comuni come le premesse di un sillogismo, non sono in
grado di dare una conclusione per la loro qualit o la loro quantit : infatti dopo di esse potrebbero venire come conclusioni due proposizioni con(26) Il sillogismo per l' impossibile si ha quando si assumono il contraddittorio della conclusione ed un'altra premessa; si trova in tutte le figure: , infatti,
simile alla conversione, senonchc ne differisce in quanto si converte un precedente
sillogismo le cui premesse siano entrambe espressamente assunte, mentre si riduce
all'impossibile senza che sia stato precedentemente ammesso t'opposto della conclusione, ma perch esso appare manifestamente vero (An. (>r. B, I J, 6r a, 18-25).
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gismo ha bisogno di qualche ricerca successiva che determini se quell'abitudine che la prudenza sia da sussumere sotto le abitudini buone o le
cattive e che cerchi nuove propriet comuni alle abitudini buone ed alla
prudenza, per poter procedere alla scoperta dei loro rapporti. Ma questa
nuova ricerca per Aristotele si configurerebbe come un nuovo sillogismo,
avente, questa volta, premesse universali e perci pienamente soddisfacente.
Diverso pare essere il caso del sillogismo non concludente per la negativit della premessa minore. Qui, infatti, nella negazione del medio
implicito il rifiuto di esso, la constatazione della sua inservibilit per il
processo sillogistico in atto : mentre il caso sopra esaminato dava ragione
di due conclusioni contraddittorie, questo le ammette entrambe, ma appunto perch non ne giustifica nessuna. Se, infatti, dopo che si trovato
che tutti gli uomini sono animali si deve constatare che nessun cavalo
uomo, non si potr con quella premessa e con questo medio giungere a
dimostrare l'asserto che tutti i cavalli sono animali; ma neppure la negazione del medio costringer ad affermare che nessun ca.vallo animale: a
rigore essa dice, insieme con l'osservazione che nessun cavallo uomo,
che con il termine medio uomo non si potr mai mettere a confronto
l'antifasi animale - non animale con cavallo che appunto
il termine che interessa. Lo strano carattere di questa negazione che, invece di determinare un corno della contraddizione, respinge la contraddizione della premessa maggiore, ha fatto dire al Calogero (2S) che qui la
negazione aristotelica perde il suo consueto aspetto di contrariet per assumere quello dell'alterit noetica. Ma, anche cos facendo, la negazione
non si sottrae affatto, per Aristotele, alla contraddizione con l'affermazione, perch anche la premessa minore negativa un membro di un'antifasi,
sia pure necessariamente determinata. Piuttosto da notare come in questo
caso la negazione oltre il solito scopo di determinare quali siano le qualit,
anche negative, proprie di una data cosa, mette in evidenza come in questo
momento quelle qualit non possano interessare, non diano senso per la
ricerca che si intrapresa: la proposizione potrebbe essere nessun cavallo bipede ed avrebbe senso per un biologo quale Aristotele ; eppure,
nell'esempio citato, non si sarebbe potuta inserire nella ricerca: per aver
senso la proposizione dovrebbe apparire alla fine di un sillogismo o come
premessa valida di esso.
L'esame dei modi inconcludenti del sillogismo importante, perch
rappresenta il riconoscimento, da parte di Aristotele, di proposizioni vere,
ma inutili per la ricerca in cui appaiono. La ricerca. richiede, appunto, un
discorso strutturato in un certo modo, che poi unico per tutte le ricerche
possibili ; e le proposizioni che in questa struttura non possono comparire
non possono affatto essere accettate. Tuttavia ci non significa. che venga
(~S)
G.
CALOGt:RO,
22r-222.
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impostato qui il problema del senso delle proposizioni come preliminare necessario al problema della verit e della falsit di esse, ch anzi si riconosce
come proposizioni inservibili in una ricerca - e quindi, almeno per quella
ricerca, senza senso - possano essere ugualmente vere ; ogni proposizione
ha per Aristotele valore esistenziale e non concerne mai soltanto i mezzi
logici con cui si giunge al reale. Cos nell'esempio citato la premessa minore << nessun cavallo uomo significa direttamente una realt sussistente e solo implicitamente l'avvertimento che per quella via - considerando il rapporto del cavallo con l'uomo - non si giunge alla conclusione desiderata. La negazione di un termine come adatto alla ricerca
sempre solo considerabile se appare sotto le spoglie di una proposizione
esistenziale: ci caratteristico di una logica che muova dal presupposto
che le forme linguistiche di cui dispone siano perfettamente adatte ad enunciare la realt e siano sempre in un rapporto noto e definito con essa.
L'esame dei modi inconcludenti delle altre figure non fa che riconfermare ci che si pu osservare a proposito della prima. N ella 2a figura
infatti non concludono i sillogismi con le premesse della stessa qualit (2 9 )
o con premessa maggiore particolare (30). Nel primo caso la constat.azione
che due termini possono avere per predicato il medesimo membro di
un'antifasi non autorizza pi ad escluderli, mentre ancora non sufficiente
per identificarli; nel secondo l'attribuzione parziale di una propriet al
termine maggiore nella prima premessa non basta a determinare che il
termine minore, cui spetta la propriet contraddittoria, non rientra o in che
misura non rientra nel termine maggiore. Nella 3n figura i sillogismi inconcludenti sono quelli che hanno entrambe le premesse negative o la
premessa maggiore affermativa e la minore negativa (31 ) o entrambe particolari (32 ). Nel primo caso la constatazione che due predicati non ineriscono allo stesso soggetto non significa che quei due predicati non abbiano
nulla in comune, perch potrebbero instaurare un qualche rapporto attraverso qualche altra via che non fosse quella del soggetto che abbiamo
considerato, come avviene proprio nel caso della premessa maggiore affermativa e della minore negativa : qui infatti pu trattarsi dell'attribuzione
(29) Quando le premesse sono universali vi sar il sillogismo quando il medio
inerisce universalmente ad un termine e non inerisce, universalmente, all'altro, qualunque sia la premessa negativa; in casi diversi non si avr mai sillogismo (A11.
pr. A, 5, 27a, 3-5); quando le premesse hanno la stessa qualit, p. es. sono entrambe negative o entrambe affermative, non si avr mai sillogismo (ibid. 27b,
IG-!2).
(~O) Se kf X si predica di ogni X ma non di ogni N, non ci sar sillogismo ...
N6 se si predica di nessun X ma di qualche N>> (An. pr. A, 5, 27b, 46).
(31) Quando le premesse sono negative, non ci sar sillogismo. Quando invece
l'una negativa e l'altra affermativa, se la maggiore negativa c l'altra affermativa,
ci sar un sillogismo con conclusione particolare negativa, se avviene il contrario non
ci sar sillogismo (A11. pr. A, 6, 28a, 9-b, 4).
(~2) r\' se entrambi gli estremi ineriscono o non incriscono al medio particolarmente, o l'uno inerisee e l'altro no, o l'uno inerisec a qualcuno dei medi e l'altro
a non tutti i medi, o se l' inerenza indefinita, non ci sar mai sillogismo >> (An.
C. A.
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del genere ad una sua specie nella prima premessa c della negazione come
esclusione reciproca di due specie sussunte sotto lo stesso genere nella seconda premessa, senza che sia tuttavia possibile una conclusione affermativa quale sarebbe richiesta dalla natura dei termini. Nel secondo caso invece si tratta di una insufficiente determinazione delle premesse per poter giungere ad una conclusione.
ev
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vece di quella logica formale che ben diversa dalla sua; del resto si dica
pure che il sillogismo si regge sulla concezione quantitativa dei concetti,
purch si cerchi di trovare il vero senso che, per Aristotele, questa concezione poteva avere.
Apparentemente Aristotele non ci dice quali siano i fondamenti reali
del sillogismo presentandoci solo sempre catene di proposizioni legate da
irrefragabile necessit e giustificantisi con il solo loro essere necessarie,
come se dinanzi a questa constatazione ogni altra considerazione fosse
superflua. Ma dopo aver esposto gli schemi sillogistici, Aristotele non ritiene di aver compiuto per intero il suo assunto, ch rimangono ancora da
esaminare i modi in cui si pu acquistare la capacit di costruire i sillogismi. Per acquistare questa capacit, infatti, secondo lo Stagirita, non
necessario esercitarsi ad essere coerenti con gli schemi delle varie figure
precedentemente dati, ma bisogna invece disporre di premesse, cio di
proposizioni che enuncino le cose reali e le loro propriet su cui ragionare:
per essere in grad(> di fare sillogismi, bisogna conoscere cose. Proprio qui
sta lo strano : per insegnarci a ragionare con discorsi tutti contesti di
passaggi obbligati e rigorosi e riducibili a schemi, Aristotele non ci parla
pi delle proposizior.i e delle loro combinazioni, ma di cose e della loro
struttura. Infatti la via per avere principi di ragionamento riguardanti le
cose che vogliamo indagare (36) quella di indagare la cosa stessa, trovandone la definizione, le propriet caratteristiche, quelle accidentali, gli antecedenti necessari, ci che di essa si pu dire con opinione e ci che si
pu dire con verit ( 37 ). Con ci Aristotele stesso ha implicitamente messo
in luce il presupposto di questi precetti : se infatti per sillogizzare bisogna
compiere tutte queste operazioni e disporre eli questi dati, evidente che
l'aver le cose questa propriet il presupposto perch si possa sillogizzare.
Allora ecco che la necessit del sillogismo non pi soltanto il risultato di un fortunato chimismo di proposizioni, ma il manifestarsi di
una struttura necessaria delle cose. Infatti il sillogismo si ha quando, volendo vedere se due termini possano essere predicati l'uno dell'altro, si
cercano gli ascendenti del primo e del secondo, per vedere poi se tra questi
termini che si sono spiegati dinanzi ce ne sia uno che appartenga ad
I-II).
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(88) chiaro allora quali termini identici si debbano assumere che siano in
accordo con la ricerca e non quali termini diver5i o contrari, inuanzitutto perch la
ricerca volta ai ritrovamento del medio, e per medio bisogna assumere non un
diverso ma un identico (An. pr. A, 28, 44b, 38-45a, 1).
(39) Di tutte le cose che sono alcune sono tali che non si possono predicare
universalmente con verit di nessun'altra (p. es. Cleone e Callia e l' individuale e
sensibile), ma di queste altre cose possono essere predicate (ed infatti uomo ed animale si predicano entrambi delle cose sopra esemplificate); alcune altre sono tali
che esse si predicano di altre cose, ma di esse non si possono precedentemente predicare altre cose; altre, infine, ed esse si predicano di altre ed altre di esse, p. es.
uomo di Callia ed animale di uomo... e si pu dire che i ragionamenti e le ricerche
vertano soprattutto intorno a queste ultime (Au. pr. A, ZJ, 4,_)a, 25-32; 42-43).
(40) E che anche procedendo verso l'alto ci si ferma una buona volta diremo
pi tardi: ora resti stabilito questo. Di questi termini non possibile dimostrare un
altro predicato, se non per opinione, ma essi possono essere dimostrati come predicati
di altri termini (A1~. pr. A, ZJ, 43 a, 36-39)
.( 41) Non la stessa cosa dire che a ci cui jncrisce H, inerisce A in og11i caso
e dire che ci a cui incrisce l3 in ogni caso, A ineriscc in ogni caso: infatti nulla
impedisce che .B incrisca a C, ma non in ogni caso (An. pr. ,A, 41, 49b, 14-17).
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scienze e l'unicit del mezzo linguistico di cui devono servirsi. Ma l'unicit di quest'ultimo dovuta all'unicit della struttura reale con cui tutte
le scienze hanno da fare i conti. Che queste sostanze abbiano propriet diverse e che perci i ~illogismi di cui si servono le diverse scienze abbiano
premesse diverse, non mai stato messo in dubbio da Aristotele, che,
anzi, sostiene che non si costruiscono sillogismi assumendo come premessa le proprit che sono comuni a tutte le cose ( 45 ); ma, appunto, se
l'esperienza serve a raccogliere i dati che sono propri delle diverse sostanze
studiate dalle diverse scienze, chi poi dimostra e fa la scienza il sillogismo (46). L'esperienza deve raccogliere ci che osserva nelle cose che
si vogliono indagare, ma solo il sillogismo decider che rango queste cose
osservate hanno, mentre l'esperienza per s non potr mai reclamare
mezzi linguistici in cui essere eventualmente meglio enunciata che quelli
modellati sull'essenza stessa del reale: la terminologia pu mutare ed ogni
scienza ha la sua, ma questo semanticit che non implica che ogni scienza
si serva di un linguaggio avente la sua particolare struttura. L'esperienza,
dunque, non potr che raccogliere tutto ci che pare derivare dalla cosa,
che costituisce l'oggetto di studio, ch la ricchezza, anche se ancora indiscriminata., di questi dati buona preparazione per la scienza ed il sillogismo ( 47 ) ; ma solo il sillogismo potr decidere quali di questi dati appartengano necessariamente e quali non appartengano o appartengano non
necessariamente alla sostanza. Le stesse distinzioni dei propri prima e
delle propriet che derivano semplicemente poi e tra propriet essenziali
o solo proprie o accidentali non possono essere date dall'esperienza (48),
che non potrebbe essere esaustiva di tutti i casi, ma derivano, a loro volta,
da definizioni o da precedenti sillogismi.
,
Del resto abbiamo osservato all'inizio del paragrafo come un nesso
di derivazione, qual' quello che l'esperienza deve cogliere, non pu essere
stabilito che con un precedente sillogismo che implica il possesso di due
premesse vere, cio garantite a loro volta da sillogismo precedente: il va( 4 5) Inoltre non bisogna raccogliere ci che consegue a tutte le cose: da esse
infatti non vi sar sillogismo (An. pr. A, 27, 4J h, 36-37). Cfr. ibirJ.. 30, 46a, 12-17.
(46) Perci proprio dell'e>perienza offrire i principi intorno a ciascuna cosa,
cio per es. !"esperienza astronomica della scienza astronomica (perch per aver assunto sufficientemente le apparenze furono trovate le dimostrazioni astronomiche) e
nella stessa situazione sono tutte le altre arti c scienze; sicch se si assunto ci che
inerisce in ciascuna cosa, sar ormai in nostro potere il formulare prontamente la
dimostrazione. Per cui se dall' indagine non stato tralasciato nulla di ci che inerisce con verit alle cose, avremo la possibilit di trovare la dimostrazione c di
dimostrare intorno a quelle cose di cui possibile la dimostrazione. mentre di quelle
per cui essa, di natura, non possibile, potremo render palese appunto questo che
non possibile dimostrazione (An. pr. A, 30, 46a, 17-27). Come si vede l'esperienza in tanto valida in quanto pu mettere capo alla dimostrazione, la cui struttura, per, non ha nulla da imparare dall'esperienza. Che poi un'esperienza completa
e ben fatta ci dia quasi in mano la dimost1azione si pu comprendere solo se si
ricorda come per Aristotele la struttura dell'apodissi sia gi segnata nelle cose.
(H) A1~. Pr- A, 27, 43b, 9-11; ibid. 30, 46a, 6.
(48) A11. pr. l\, 27, 43b, 6-8.
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P~tSlJPPOSTI
DEL SILLOOISMO
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alla conclusione e~). Queste premesse poi non potranno appellarsi, come
abbiamo gi mostrato a proposito delle proposizioni solo assertorie e come
vale a maggior ragione per le modali, alla semplice esperienza (che soprattutto non potr provare l'onnivalidit delle premesse necessarie), ma
avranno appunto valore di dati reali solo se potranno richiamarsi ad altre
premesse a loro volta configurantisi secondo rapporti sillogistici ed aventi
la stessa modalit : come si vede ogni volta che si tenta di passare al reale
si trova un reale configurato nella struttura sillogistica, sicch non resta
che prendere in considerazione quest'ultima nel suo comune valere per le
cose e per il discorso.
Siamo qui nella posizione tipica della logica di Aristotele, che si regge
su di un continuo rimando dalla realt al discorso e da questo a quella,
fondato sulla generalizzazione verbale della copula. Anche qui possiamo
dire che la struttura del reale quella che , perch la strttttura del discorso quella sillogistica, ma, d'altra parte, il discorso ha struttura sillogistica solo perch il reale fatto di sostanze. I sillogismi hanno una
modalit, perch una modalit ha il reale, ma le modalit reali si comportano poi secondo le leggi modali dei sillogismi. Visto allora come la
mediazione non sia solo un artificio verbale, ma si regga sulle propriet
reali delle cose, si potr tornare al discorso per vedere, rivelato in esso,
il modo in cui le propriet reali trovano posto nella sostanza.
6. - LE MODALIT DEL SILT.OGISMO. - Per Aristotele il sillogismo
possibile solo perch ci sono dei nessi di antecedenza e conseguenza c~)
dei quali esso la trascrizione verbale, sia che si tratti di necessit, di possibilit o di semplice inerenza (54). Questo rimando del sillogismo alla
struttura reale delle cose stato necessario per risolvere la difficolt, intrinseca alla stessa tecnica sillogistica, della scelta delle premesse. In quanto la deduzione presuppone un inizio, Aristotele ha dovuto fare ricorso
all'esperienza 5) come quella che in grado di fornire le premesse da cui
possono essere tratte le conseguenze necessarie; ma, dovendo queste premesse, per non compromettere la certezza di ci che da esse si pu trarre,
non essere arbitrarie, Aristotele stato costretto ad ammettere che l'esperienza attinge una realt originariamente sillogizzabile. Perci la risoluzione del problema della scelta delle premesse ha costretto lo Stagirita ad
(5~) Per le cose possibili bisogna assumere anche le cose che pur non essendo
possono essere : si dimostrato infatti che attraverso queste si compie il sillogismo del
possibile. Ed altrettanto dicasi per a-li altri tipi di prekaz;one (An. pr. A. 29,
45 b, 31 -35).
(53) An. pr. A, 29, 45 b, 38-46a, 2.
( 51 ) Ci che vale per le cose che sono vale allo stesso modo anche per le necessarie c per le possibili: il sillogismo del possibile e quello dell'essere, infatti, sono lo
stesso tipo di ricerca c si compiono attraverso gli stessi termini disposti nel mede
.simo ordine (An. pr. A, 29, 45 h, 28-31).
(uu) An. pr. A, 30.
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operare un passaggio dalla considerazione della logica come struttura linguistica alla considerazione dell'oggetto del discorso logico come struttura
della realt; n ci pu essergli rimproverato, dal momento che egli stesso
ha assunto all' inizio la possibilit di questi passaggi.
Ma, fatto questo passaggio, si presenta un'altra difficolt non irrilevante. Passati, infatti, all'essere e considerata l'assunzione di esso - a
prescindere, per ora, dai modi in cui essa sia possibile - , alcune delle
cose sul conto delle quali si fanno assunzioni si presentano come necessarie ed altre come possibili (~~>) e per le une e per le altre ci sono sillogismi
appositi (57 ). Si propone cio il problema della modalit delle premesse.
Dapprima la modalit viene vista dal punto di vista oggettivo come inerente alle cose, senza che si tenti di mettere in luce il significato delle diverse categorie modali usate; ma d' altra parte si ammette che essa d
immediatamente origine a sillogismi appositi, con la conseguente introduzione del problema della modalit anche nella sfera del sillogismo
come struttura linguistica. Anzi mentre la questione della scelta delle
premesse si era risolta con il passaggio dalla considerazione linguistica
all'esame della struttura delle cose, la questione della modalit esige il
passaggio inverso, dalla considerazione delle cose alla struttura linguistica. Infatti il reale in tanto pu risolvere il problema delle premesse in
quanto concepito come originariamente sillogizzabile; ora, questo presupposto non vien meno neppure con l'affacciarsi della considerazione
modale. Infatti le cose rivelano una modalit solo in quanto in esse sono
riscontrabili dei nessi di antecedenza e di conseguenza; ma poich nessi
di antecedenza e di conseguenza non si danno fuori del sillogismo, la modalit non sorge che a proposito delle cose considerate come oggetto di
possibili sillogismi. Da ci si pu subito trarre la conseguenza che la
{ieterminazione del significato delle categorie modali non pu essere fatta
che entro l'ambito del sillogismo fuori del quale esse non possono sussistere. Solo quando si sar visto che significato esse abbiano nel sillogismo
in quanto struttura di discorso, sar possibile vedere che significato esse
abbiano in quanto qualificazioni proprie delle cose. Appunto in questo consiste quel passaggio dalle cose al discorso nel quale abbiamo visto il metodo opportuno per risolvere il problema della modalit, quale si configura
nella logica aristotelica. Nel sillogismo la modalit si configura come determinazione propria del rapporto di antecedenza-conseguenza che costituisce in proprio il sillogismo; ma proprio configurandosi in questa maniera essa sollever un altro problema: cio, in che rapporto sta la mo-dalit con la necessit che propria del sillogismo ed ineliminabile da
esso? Come possibile che un sillogismo deduca una conseguenza necessaria e che sia qualificabile, p. es., con la modalit del possibile? Questa
difficolt non risolubile in una interpretazione formale della logica aristo(o6) An. pr. A, 27, 43b, I-II; ibid. 32-35; ibid. ;!9, 45b, 28-35.
(57) An. pr. A, 27, 43b, 32-36; ibid. 29, 45b, 28-31.
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-,~--
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l SILLOOISMI DI NI:Cf.SSITA
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(lUi passiamo allo schema sostanziale che sta a fondamento del sillogismo
- animale contenuto in mortale, in quanto mortale l'antecedente di
animale: insomma l'alternativa antifatica necessariamente determinata
in uno dei suoi corni, perch un nesso reale necessario c' tra mortale ed
animale. Poich abbiamo supposto che si trat di un sillogismo con
entrambe le premesse necessarie, dobbiamo ammettere che un nesso di
necessit ci sia anche tra animale e uomo, se poniamo che uomo sia b minore del sillogismo in questione. Ancora una volta si pu spiegare questo
nesso dicendo che nell'antifasi animale-non animale, detto uomo, si deve
scegliere sempre animale, perch tra i conseguenti di uomo c' necessariamente animale, come risulta dallo schema di An. pr. A, 28, 44a, I 1-19;
in questo Cc"lSO per uomo come per animale vale la determinazione della
prima antifasi. Ma questa conclusione sar necessaria perch ogni pos5aggio del sillogismo tale che il contrario sarebbe impensabile come
vero, sicch appunto sarebbe impossibile un sillogismo vero diverso da
questo (cio contrario, perch, svolgendosi tutto il sillogismo in alternative, il diverso subito il contrario): il che vuoi dire che quest.:> necessario, perch il verso dell'impossibile, mai disgiunto da quello, appunto il necessario.
Ora possiamo chiederci da che cosa derivi questa necessit ed in che
rapporto stia con la necessit propriamente sillogistica, cio ddla mediazione. Intanto possiamo notare come intervenga la necessit della premessa maggiore che, ottenuta con dimostrazione o con esperienza, rivela
un nesso inerente alla sostanza stessa; altrettanto dicasi della premessa
minore : perci la necessit delle premesse che era presupposta, la necessit stessa delle sostanze intorno alle quali si svolge il sillogismo. Ma la
necessit della conclusione da che cosa deriva? Che l'uomo sia necessariamente mortale noi siamo riusciti a sapere perch abbiamo considerato
il medio animale che contemporaneamente mortale e uomo e
sempre necessariamente. Ma ci non riguarda solo il mio modo di scoprire ci che mi interessa sapere, ma altres la costituzione stessa della realt
dell'uomo che , in s, necessariamente mortale perch non pu non essere animale ; sicch se io non avessi fatto un sillogismo di necessit con
questi tre termini, essi sarebbero stati ugualmente collegati in modo
necessario. La necessit della mediazione si perci tutta risolta nei nessi
reali dei termini del sillogismo, considerati come sostanze o in rapporto alle
sostanze di cui sono propriet; perch questi nessi sono nessi di necessit,
il sillogismo ha conclusione necessaria. Insomma perch questi nessi ci
sono il sillogismo c', perch sono necessari il sillogismo ha conclusione
necessaria. In questo senso vanno interpretate le parole di Aristotele secondo cui il sillogismo di necessit non differisce sostanzialmente da quello
di pura inerenza, in quanto quello stesso sillogismo nel quale i singoli
passaggi acquistano valore in ogni circostanza temporale, sicch di fronte
e contro ad esso non si possa mai costruire un altro sillogismo. Perci nei
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sillogismi di necessit la necessit sillogistica non si distingue dalla necessit della conclusione: quest'ultima necessaria in quanto stata dedotta
con necessit da premesse necessarie e, d'altra parte, queste stesse premesse, con il loro esserci, hanno reso possibile il sillogismo. Resta per.
ancora un problema assai grave: infatti anche il sillogismo, la cui conclusione non abbia la modalit del necessario, una mediazione necessaria,
un discorso in cui da alcune premesse si traggono conclusioni secondo
necessit; ora se la mediazione sillogistica si fonda sui rapporti propri
delle sostanze, essendo detta mediazione un legame di necessit, rapporti
di necessit dovranno essere anche i rapporti sostanziali su cui essa si
basa. Ma allora come si giustificheranno le propriet delle sostanze che
sono solo possibili e, parallelamente, le conclusioni solo possibili dei sillogismi?
Osservazioni identiche si possono fare per le altre figure del sillogismo. Nella 2' figura infatti - posto che i termini siano mortale-uomodio - mentre, per le sue stesse propriet sostanziali, uomo determina
subito la contrariet antifatica mortale - non mortale per il primo corno, dio determina il secondo: ancora una volta i nessi sostanziali necessari hanno permesso di raggiungere risultati necessari. Altrettanto dicasi per la 3a figura, dove - posti i termini animale-ragionevoleuomo - soltanto il fatto che uomo abbia tra le sue propriet essenziali animale e ragion,evole e perci determini le antifasi nel corno
che afferma queste due propriet, permette di concludere che alcuni animali sono ragionevoli.
La questione si complica assai quando dai sillogismi con tutte c due
le premesse necessarie si passa ai sillogismi con una premessa necessaria
e l'altra di semplice inerenza, nel quale caso la conclusione pu essere necessaria o di semplice inerenza. Qui infatti non solo si ripropone il problema del necessario, perch si possono dare sillogismi che pur non
avendo tutte e due le premesse necessarie, possono avere conclusioni necessarie, ma anche quello dell'essere, perch appunto si apre la questione
dlla mediazione che necessaria anche quando la conclusione non ha i
caratteri della modalit necessaria.
Se, !imitandoci per ora alla 1" figura, supponiamo che una delle premesse non sia necessaria, allora, se necessaria la maggiore, la conclusione sar necessaria, se invece necessaria la minore, la conclusione non
lo sar. Il che vuoi dire che la necessit della minore non contribuisce
affatto alla necessit della conclusione che pu sempre essere necessaria
anche se la minore non lo , come giustamente nota il Ross (6 2). Egli aggiunge poi che in questi sillogismi il predicato della premessa maggiore
B necessariamente A non A , ma necessariamente A :
ora questa osservazione giusta, ma non toglie che rimanga tutta la dif(02) \V. D.
l~oss,
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I SILLOGISMI DI NECESSITA
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so
LA
ST~UTTURA
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I SILLOOISMI DI NF.CESSITA
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An. pr. A,
IO.
(6 7) Nelle parole di An. pr. A, 8, JOa, 4-5 si allude anche, appunto, al sillogismo di 2 11 figura con entrambe le premesse necessarie.
(68) Nell'ultima figura, essendo universali entrambi i mcmhri predicati del
medio ed essendo entrambe affermative le premesse, se una qualunque delle due
necessaria, lo sar anche la conclusione (An. pr. A, rr, JI a, r82I.
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L'ESSERE E IL NECESSARIO
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que chiaro che, anche qui, con una premessa si, asserisce che necessario che una certa propriet inerisca al medio, mentre con l'altra si
propone che nella natura del soggetto della conclusione ci sia il poter
essere predicato del medio stesso : l' essere di quest'ultima proposizione indica l'orizzonte stesso in cui si svolge il sillogismo.
8. - L'ESSER( E IL NECF.SSARIO. - La discussione del caso in cui una
premessa, pur essendo solo assertoria, pu operare la mediazione di una
conclusione necessaria, apre senz'altro il problema del rapporto tra l' essere necessario e 1' essere e con ci contribuisce sempre di pi ad
illuminare in quali accezioni diverse Aristotele usi la categoria del necessario a proposito della mediazione sillogistica e delle proposizioni necessarie. Per l'asserzione gi citata dello stesso Aristotele, il sillogismo di
necessit e quello dell'essere sono identici, salvo nel fatto che il primo aggiunge l' E~ vayY.rJ alla conclusione ed a qualcuna delle premesse. Ma
che cosa significa l' E~ vayK'Yj aggiunto alla conclusione? Poich quest'ultima una proposizione come tutte le altre, significa soltanto che ci
che asserisce vale sempre per le cose intorno a cui formulata : il sillogismo del necessario perci un sillogismo dell'essere con validit in
ogni tempo. Poich allora il sillogismo di pura inerenza non necessario
nel senso che non ha validit illimitata nel tempo, resta da chiedersi che
!>enso abbia la necessit che regge l'intimo organizzarsi del discorso sillogistico e che rischier di essere coinvolta nella limitata validit l!el sillogismo dell'essere. Ora, questa necessit non pu essere interpretata :;e non
nel senso che, date certe premesse, non si pu pensare che ne derivi altra
conclusione da quella che logicamente ne deriva attraverso il sillogismo;
pu darsi che in un certo momento non sia vero asserire le premesse
che non sono necessarie, ed allora in quel momento sar anche non vero
asserire la conclusione; supposte, invece, le premesse esistenti, sar vero
in ogni momento asserire la loro conclusione. Quando dunque le cose di
cui si parla nelle premesse ci sono, sicch le premesse possono essere
asserite con verit, allora la mediazione avviene, cio si verifica la necessit sillogistica. Cio: perch E-C vera e perch lo anche A-B, vera
sar anche la conclusione A-C: in questo caso la mediazione sillogistica
avviene perch A-B-C sono, cio si possono affermare gli uni degli altri,
supposto che il sillogismo consti di premesse e di conclusione affermative.
Il caso perci perfettamente analogo a quello dei sillogismi di necessit:
l, infatti, la necessit sillogistica coincideva con la necessit delle premesse, qui con l'essere delle premesse. 1\ia, si potrebbe allora chiedere:
come pu l'essere non necessario delle premesse fondare una mediazione
necessaria? Infatti l'essere della conclusione c' quando ci sono le premesse, perch da esse deriva con necessit, cio la necessit stessa delle
mediazione fonda l'essere della conclusione solo assertoria e, perci, non
necessaria. Ecco dunque le complicate trame di rapporti che si sono sta-
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LA ST!<Ul TURA
NlCI:SSAI~IA
DCI. L!NOUAOOIO
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L'ESSERE E IL NECESSARIO
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l6
-di una qualit in un soggetto implica che in questo soggetto ci sia necessariamente un aspetto che dia ragione dell'esserci di questa qualit. Ma
poich l'attualit propria delle cose necessarie come delle possibili e
poich, d'altra parte, le cose sono solo necessarie o possibili, ne consegue
che l'essere non appartiene ad una determinata categoria di cose, ma
solo l'orizzonte entro cui si svolge il discorso sulle cose sia necessarie che
possibili; da un esame pi approfondito sulla natura di questo orizzonte
risultato che esso la necessit sillogistica stessa, entro la quale soltanto acquista un senso parlare di necessit delle cose o della loro possibilit. Questo orizzonte, dunque, un orizzonte della necessit. Che esso
si fondi sulla struttura sostanziale delle cose abbiamo gi visto a proposito del sillogismo in base alle parole stesse di Aristotele, ma la relazione
del sillogismo con questa struttura vedremo nei suoi particolari solo pi
tardi. Quando perci pronuncio un sillogismo dell'essere semplice mi
fondo sull'attualit delle cose che enuncio, senza aggiungere, perch non
lo so, se siano necessarie o possibili, ch altro non potrebbero essere; ma
<:os facendo determino anche l'orizzonte entro cui soltanto potr aver
senso l'eventuale necessit o possibilit delle cose che enuncio.
Mentre nei sillogismi con entrambe le premesse necessarie la necessit sillogistica era compresa nella necessit delle premesse ed indistinguibile da questa, in quelli con premessa minore non necessaria le due necessit si distinguono e la necessit siilogistica mostra bene il suo coincidere
<:on l'essere stesso, con l'attualit. Infatti il nucleo irriducibile di essa
proprio l'essere, perch il possibile, in quanto tale non la giustifica pi,
come vedremo a proposito dei sillogismi di quella modalit. D'altra parte,
per,. sebbene tutte le cose possano essere attuali, nessuna solo attuale
ma sempre o possibile o necessaria. Allora la necessit sillogistica, connessa con l'essere dovrebbe essere una necessit concernente solo il discorso, ma non il reale; e su questo presupposto si fonda tutta l' interpretazione della logica aristotelica come logica formale. In realt si ripete qui il caso gi incontrato con le proposizioni semplici nelle quali, appunto, la necessit dell'alternativa antifatica pareva del tutto distinta dalla
necessit delle cose. Ma anche qui come l, in fondo, la necessit delle
cose dipende essa stessa dalla necessit del sillogismo, che non poi solo
la necessit del discorso, ma la struttura dell'attualit stessa delle cose in
relazione alla quale si determina la loro possibilit o necessit. Infatti
dalla possibilit di affermare sempre la medesima attualit deriva la necessit delle cose, mentre dalla negazione di quella deriva la loro possibilit: l'orizzonte, cio, entro cui acquistano un senso le categorie di
necessit c di possibilit, applicate alle cose, l'orizzonte dell'attualit cui
intrinseca, come imprescindibile struttura, la stessa necessit sillogistica, cos come la necessit antifatica era l'orizzonte in cui solo avesse
senso pronunciare proposizioni sulle cose necessarie o possibili. E come
a seconda che l'orizzonte della necessit antifatica dava o meno conto
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'<ielle cose che vi si comprendevano, queste erano dette necessarie o possibili, cos a seconda che esse trovano o meno la loro completa spiegazione
entro l'orizzonte della necessit sillogistica sono dette o necessarie o possibili. Abbiamo parlato della necessit dell'alternativa antifatica e della
necessit sillogistica come se fossero due cose distinte, mentre in realt
sono una cosa sola, perch la prima non che il fondamento della seconda, come gi abbiamo visto ; infatti proprio perch vige la necessit
antifatica si pu sillogizzare e proprio perch essa l' unico possibile
orizzonte della comprensione delle cose, queste non possono essere comprese che entro l'orizzonte della necessit sillogistica. Ma di essa abbiamo
parlato come eli cosa distinta dalla necessit sillogistica, per mostrare
come a proposito della struttura del linguaggio si presentino le stesse
-questioni che si sono gi presentate a proposito dei fondamenti di essa.
Non che l'aver messo in luce quei fondamenti sia stato un lavoro inutile
e perci da ripetere a proposito della struttura compiuta del linguaggio,
ch, anzi, Aristotele ha sempre lavorato tenendo presente ci che l'analisi dei fondamenti gli aveva rivelato: tocca a noi mostrare come appunto
tutto il lavoro di Aristotele si sia orientato lungo le strade che ci sono apparse in quelle analisi. E per far ci dobbiamo riproporre il problema che
allora abbiamo posto e vedere se la risposta sia ancora la stessa e, se s,
in che senso sia ancora la stessa; cio in che modo preciso si siano sviluppate le premesse poste allora. Come allora l'orizzonte della necessit
:antifatica era l'unico in cui si potessero comprendere le cose, cos ora
<iuello della necessit sillogistica, che l'unico in cui si possono comprendere le cose, il diretto sviluppo della necessit antifatica; e come allora
quello che, soggettivamente, si presentava come un orizzonte, oggettivamente, era una struttura delle cose, cos bisog11er vedere come l'esplorazione eli questo orizzonte sia proceduta di pari passo con l' esplorazione della struttura delle cose, sicch ad un precisarsi del primo corrisponda un precisarsi della seconda ; ma il suo preciso delinearsi dopo
queste indagini sar argomento di cui ci occuperemo dopo che avremo
esaminato il senso che vengono ad assumere, nell'analisi del linguaggio,
altre categorie di estrema importanza.
9 - I SILLOGIS:MI DEJ,LA POSSIBILIT. - La trattazione dei sillogismi
con conclusioni possibili si serve eli molte categorie che abbiamo gi in<:ontrato nell'analisi dei capitoli sulle proposizioni modali del De interpretatione alle quali, pertanto, ci si dovr richiamare. Il possibile propriamente il non-impossibile (7 1 ) nella qual condizione esso affine al ne<:essario (72 ) che pure non l' impossibile, sebbene presupponga sempre
(71) Intendo per esser possibile e per possibile ci da cui, non essendo necessario, supposto che sia, nulla deriva, per esser tale, di impossibile (An. pr. A, !3, 32 a,
!8-20).
(72) Per omonimia diciamo che il necessario possibile (A t~. pr. A, 13, 32a,
20-21).
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(76) Di quelle cose [le possibili indefmite) ci pu essere sillogismo, ma non c'
l'abitudine di cercarlo~> (An. pr. l\, 1.3, 32b, 21-22).
Per quel che riguarda l'interpretazione del quelle cose (xLV(t)V), il ::VlAIER, op.
cit., Ila, pagg. 16-37, prospettata la possibilita di un riferimento al 'tcw .-rEqntx6nov,
ammette poi senz'altro che in esse sono da vedersi le cose che hanno possibilit indefinita (iv cioQ(cnoov), la cui menzione precede quella delle cose che hanno po~sibilit
rivelante una tendenza abituale, seguito in ci dal Bccker. Le ragioni per le quali
Aristotele, dopo aver detto che 't<JV ioQ(cn;(t)V no11 si danno n scienza n sillogismo
apodittico, mentre ricerche e ra~io11amc!lti si occupanc, -r&v rrnpmScmv, sarebbe da
vedere, secondo il ~1aier (loc. ci t. e i!Jid. 140), nel fatto che il sillogisrno una pura
legge logico-ontologica che perci(J deve prescindere da ogni riferimento metafisico,
quale sarebbe la considerazi0nc dello m rr. -r: :ta:U. Ora, effettivamente Aristotde
nell'indagine sui sillogismi della possibilit considera solo sempre il possibile - che
non sia la possibilit dell'essere o ciel necessario- come possibile indefinito in quanto
si avvale della conversione che lo caratterizza in proprio senza preoccuparsi del
per lo pi ;'. Ma ci no11 introduce una distinzione di un piano ontologico distinto
da un piano metafisico - di per s poco perspicua - nia semplicemente mostra
come la modalit~- del per lo pi sia la possibilit indefinita, entro la quale soltanto pu
essere compreso il significato di ci che avviene secondo tendenze solite, anche quando
si configura in proposi?:ioni assertorie.
(77) L' ' possibile ' segue le stesse regole dell' ' ', il quale produce sempre
la completa a1T ermazione in tutte quelle proposi?.ioni in cui si predica come copula
(An. pr. A, 3, 2.)b, 21-23). Il BECKER, op. cit., pag. 21, tL II, non precisa in questosenso il significato della possibilit che egli indica con il simbolo E 2 , con la conseguenza che nell' interpretazione dci sillt,gismi con entrambe le premesse possibili ocon la premessa maggiore possibile (pag. 32) non si vede il significato ontologico
dc-gli schemi di An. pr. A, 13, 32b, 23-27 indicati con E~BaE.,A e BaE 2 A. Infatti
la spiegazione del sillogismo con la formula
E 2 DaE~A
aE 2 B
aE 2 A
imped.isc~ di vedere la ragione per cui il ragionamento di Aristotele pu essere messo
propno m quelle formule e come la spiegazione del giudizio con lo schema di An.
f>r. A, 13 mostri che il giudizio pensato appunto in vista del sillogismo in base
alla struttura ontologica che sta alla base di tutta la logica aristotelica,
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(78) : evidente che quando i termini sono universali nelle proposizioni del
possibile, sempre si ha sillogismo nella I" figura, e con premesse afTermativ:: e con
premesse negative; senonch se le premesse sono affermative il sillogismo perfetto,
se sono negative imperfetto. Ma bisogna assumere non il possibile che conviene
al necessario, ma quello che caratterizzato dalla distinzione che abbiamo test fatto.
Ed a volte ci sfugge (An. pr. A, 14, 33 b, rS-24). Qui ,\ristotele parla solo dei
sillogismi con premesse universali, ma i casi in cui i sillogismi del possibile d ra
figura non sono validi per la particolarit ricadono del tutto entro i casi di invalidit gi riscontrati per i sillogismi dell'essere: cio si tratta di sillogismi con premessa maggiore particolare (ibid. 33a, 34b, 17). <<Nell'ultima figura ci sar sillogismo sia che entrambe le premesse siano del possibile, sia che lo sia una sola
(An. pr. A, 20, 39 a, 4-5).
(79) ~Nella seconda figura, quando entrambe le premesse assumono il possibile,
non ci sar mai sillogisrno, n assumendo premesse affermative, n assumendole negative, n universali, n particolari (An. pr. A, 17, 36b, 26-29).
(80) A11. pr. A, 14, 33b, 21~22.
( 81 ) Quando A possibile d ogni B, e B possibile di nessun C, attraverso
l'assunzione di queste premesse non ci sar mai sillogismo, mentre convertendo la
premessa B C secondo il possibile si avr sillogismo come prima. Infatti, poich
possibile che B sia in nessw1 C, anche possibile che sia in ogni C: questo gi
stato detto prima. Sicch se possibile che B sia in ogni C, ed A in ogni B, si ha
di nuovo il sillogismo di prima (An. pr. A, 14, 33, s-r2).
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nuto assertorio, la stessa dei sillogismi non concludenti : infatti in un sillogismo del possibile con entrambe le premesse possibili, la conclusione
non pi vera del suo contraddittorio, proprio come nei modi non validi.
La differenza che la contraddizione era tra due esseri supposti attuali,
qui invece nell'ambito della possibilit, cio presuppone la possibilit :
ecco perch anche il sillogismo di 1" figura con premessa minore negativa
valido. Infatti in esso l'affermazione c' in quanto, appunto, affermata
la possibilit, l'essere della possibilit. Si pu affermare che Socrate pu
essere potente perch pu essere un uomo politico e gli uomini politici
possono essere potenti ; ma, a rigore, avrei potuto dire che gli uomini
politici possono non essere potenti ed il sillogismo sarebbe riuscito lo stesso. Esso infatti vuoi solo dimostrare che in Socrate c' la possibilit di
essere - e, per la concezione aristotelica della possibilit, di non-essere
- potente ; si deve allora trovare in lui un aspetto tale che permetta di
asserire questa possibilit. Ma questo aspetto la possibilit di essere f' di non-essere uomo politico: ci che di reale c' in tutto il discorso
quell' che asserisce la possibilit e che vuoi dire che Socrate attualmente tale che in lui pu attuarsi l'uomo politico come anche l' impolitico. Non sono ancora reali le attualit che si dovranno realizzare, dal
momento che, pur escludendosi, sono sullo stesso piano - segno che
ancora non sono -, ma reale l'attualit della cosa che ha in s quella
possibilit, cio l' attualit di Socrate che gli permette di essere e di
non essere, ma comunque di essere, sempre in riferimento di possibilit,
uomo politico e, con ci, potente. Comunque, anche qui la possibilit
trova il suo senso e la sua realt solo nell'attualit di ci che possibile
e nel riferirsi di questa attualit ad un'altra attualit che ancora non .
In questo senso le proposizioni del possibile si trovano nelle stesse condizioni delle proposizioni aventi per predicato tm nome infinito, p. es.
X non-Y , in quanto cio, come quelle, presuppongono un che di esistente, un che in atto, cio un X che anche se non Y o una Z che non
sar in atto T o non- T ma che, in quanto ora, potrebbe essere in atto
T o non-T (82). Solo come atto e come riferimento ad un atto il possibile reale e solo in questo senso anche la premessa minore del sillogismo
di I" figura pu essere negativa, mentre in realt sempre affermativa, in
quanto asserisce che una possibilit c'. L'attualit. si rivela ancora una
(82) Tra ' possibile che cammini ' e ' possibile che non cammini ' intercorre
lo stesso rapporto che passa tra ' bianco ' e ' non bianco ' e tra ' conosce il bene '
e 'conosce il non bene' (An. pr. A, 46, 51 b, ro-13). Il rapporto qui menzionato
chiarito poco oltre a proposito di '(aov >> e di ~ /,~:vx6 . N sono la stessa cosa
l' ' essere non uguale' ed il ' non essere uguale ' : il primo, infatti, cio l' ' essere non
11guale' presuppone un qualcosa, che proprio l' ineguale, mentre il secondo non presuppone nulla. Perci non ogni cosa uguale o ineguale, mentre ogni cosa uguale
o non uguale. Anche ' il legno non bianco ' e ' il legno non bianco ' non si accordano. Se infatti il legno . non bianco, il legno ci sar; se invece il legno non
bianco non necessario che il legno ci sia (ibi<l. 25-31). Cfr. anche Cat. 10, 13b,
12-19;
27-32.
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fondamento di tutte queste argomentazioni sta per il fatto che i sillcgismi di 2 .. figura concludono sempre con l'esclusione reciproca di due
termini, cio che il loro senso dato proprio da questa qualit della conclusione, mentre quelli di I" non hanno particolari conclusioni che li caratterizzino e quelli di 3n sono contraddistinti dalla particolarit rispetto alla quale la possibilit indifferente. Ora quella conclusione perderebbe ogni significato se potesse essere subito convertita in una affermazione, cio se potesse immediatamente passare in una non esclusione:
in questo senso le conclusioni della 2 .. figura sono sempre o assertorie o
necessarie. Ma l'esclusione di due termini fondata sul fatto che, data la
loro natura sostanziale, ad essi non potr mai convenire o attualmente
non conviene una certa X rispetto alla quale si manifesta la loro alterit;
ma, appunto, bisogna che ad essi convenga o non convenga non che possa
soltanto convenire come non convenire. Qui si precisa la concezione aristotelica della possibilit che assoluta indeterminazione non autorizzante
una ricerca di direzione probabile di andamento delle cose possibili, ma
solo un'alternativa sempre aperta, sicch ad ogni possibilit negativa consegue un' identica possibilit positiva; per cui il riscontrare una possibilit
positiva di X in un termine ed una negativa di X in un altro non affatto
indicativo dell'esclusione di essi: per questo l'universale negativa possibile
non convertibile. Infatti una relazione di possibilit tra due termini non
esaurisce mai completamente l'ambito di essi, tanto che, se A pu non
essere B, questo, a sua volta, possa non essere A, perch la possibilit
di B compresa e determinata nell'ambito di essere di B ; perci
l'esclusione di due termini fondata sul loro essere reciproca e piena,
<!uella fondata sulla loro possibilit non tale, perch presuppone l' essere entro cui il possibile riceye un senso. Per questo carattere di indeterminazione del possibile, inoltre, non si pu dare una dimostrazione per
asurdo del sillogismo del possibile di 2" figura, carattere che attribuito
in base al concetto di una scienza rigorosamente deduttiva fondata sulla
presupposizione di un'unica stntttura della realt costru~ta con la categoria
della necessit.
Anche i sillogismi di possibilit si prestano, come quelli di necessit,
. ad avere delle premesse miste, cio assertorie o necessarie, ed anche qui
si possono fare considerazioni analoghe a quelle gi fatte per i sillogismi
di necessit. Ammesso, infatti, che la premessa maggiore sia possibile, la
conclusione, almeno per la I" figura, sar possibile, sia che la prem~ssa
minore sia necessaria o soltanto assertoria: anche qui, dunque, nella
premessa minore essere e necessario si comportano allo stesso modo (87 ).
(87) Se si assume una premessa dell'essere e l'altra del possibile, quando la
premessa maggiore indica il possibile, tutti i sillogismi saranno perfetti c del possibile nell'accezione che abbiamo specificato (A n. pr. A, I S. 33 b, 25-28); Quando
una delle premesse indica l'esser necessario e l'altra l'esser possibile, ci sar sillogismo se i termini avranno i medesimi rapporti e sar perfetto se il necessario sar
~nunciato nella premessa minore; la conclusione se i termini sono affermativi, uni-
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versa li o non universali, sar del possibile e 11011 dell'essere (ibid. 16, 35 b, 23-28);
ibid. rs, 35a, 30-35; r6, 36a, 32-b, 2.
(88) Il BECKEP, op. cit., pp. 41-42, osserva a questo proposito che la necessit
si configura in due tipi che potrebbero c~sere enunciati rispettivamente con le forme
necessario che... (N [.EiA]) e l\ necessariamente R (N BeA). In realt per
nella categoria di necessit la determinazione modale non si stacca mai da quella
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serzione falsa che dimostrerebbe la parziale validit della tesi che si vuole
confutare ; del resto la prova per 1' impossibile vuoi mettere in luce come
una certa conseguenza non possa essere attribuita ad una cert'altra premessa, sicch prende propriamente in esame il rapporto premessa-conseguenza. Ora, questo rapporto, per Aristotele, non pu essere che un
rapporto sillogistico, cio necessario, sicch una riduzione all'assurdo
che non arrivi all' impossibile, non potr dire di aver confutato un rapporto di premessa-conseguenza che era appunto ci che la confutazione
si proponeva di confutare; perch esso, che necessario, richiede una negazione che abbia la modalit dell' impossibilit. La prova per assurdo
si fonda sulla stessa necessit sillogistica che presuppone : essa infatti implica che il sillogismo sia un insieme di nessi univoci che possono essere
percorsi dall'alto al basso o dal basso verso l'alto, senza che nessuno di
essi venga mutato. Se il percorrere l'argomentazione nei due sensi opposti non d lo stesso risultato c' un qualche rapporto che non dovrebbe
esserci, cio manca un rapporto necessario allo svolgimento del sillogismo
in quanto in suo luogo ne stato posto un altro non necessario} cio non
rientrante nel sillogismo, e perci npossibileJ in quanto non avverr mai
che quel sillogismo possa accoglierlo: quel sillogismo potr un giorno non
pi essere vero in quanto vengano meno i rapporti reali che enuncia, ma
non accadr mai che. quel rapporto sia accolto in esso fino a che sussiste ed
ogni volta che sia formulato. Proprio di questa propriet del sillogismo si
serve la prova per l' impossibile che introduca un termine dopo altri due,
che abbiano la struttura di premesse sillogistiche, appunto per esaminare
se detta introduzione permetta la realizzazione di un legame sillogistico
perfetto ; ma perch il termine introdotto possa davvero essere riconosciuto nella sua capacit o incapacit di fungere da termine di quel sillogismo, bisogna che gli altri restino invariati. In caso contrario nulla
garantisce che l'invalidit del sillogismo sia determinata dalla modificnzione di una delle premesse e non dall' introduzione del termine in
questione.
Il caso che si presenta ora ad Aristotele incontra appunto la difficolt di dover modificare una delle premesse. Infatti si suppone che
ogni B sia A e che ogni C possa essere B : la conclusione dovrebbe asserire la possibilit che ogni C sia A. La dimostrazione per assurdo assume
che non ogni C pu essere A (U 3) e che ogni C B, giungendo cos alla
conclusione che non ogni B pu essere A : e qui sta l'assurdo, cio nel fatto
che l'assunzione della conclusione non ogni C pu essere A porta, nel
processo sillogistico inverso, ad una conclusione contraddittoria a quella
di cui sarebbe dovuto essere conseguenza (94 ). Tuttavia pare che ci sia
un'irregolarit, perch la premessa minore che originariamente era ogni
C pu essere B stata mutata, nel corso della dimostrazione per as1
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IO. - IL SIGNIFICATO DELLE CA1'ECORIE MODALI. forse opportuno, prima di procedere, richiamare brevemente alla memoria quanto
fin qui Aristotele ha stabilito a conclusione di analisi precedenti e a fondamento delle successive. Ogni cosa reale solo collocandosi da un lato
dell'antifasi di essere e non-essere cui corrispondono rispettivamente, nel
discorso, l'affermazione e la negazione che possono essere vere o false:
ora una cosa determina detta alternativa quando in atto, sicch l'attualit la vera realt delle cose. Esse sono poi in se stesse necessarie o possibili : necessarie sono quelle del cui futuro nella sua totalit la necessit
antifatica, che il nocciolo stesso dell'attualit, in grado di dar conto,
mentre possibili sono quelle del cui futuro questa necessit antifat~ca non
in grado di dar conto. Sicch delle cose necessarie si pu sempre prevedere
l'atto, delle possibili esso non si pu prevedere, con la conseguenza che ci
si deve limitare alla sola enunciazione della alternativa entro la quale, essendo essa necessaria, la realt del futuro dovr essere compresa. La possibilit risulter allora semplicemente dalla negazione della necessit, cio
dell'affermazione che l'orizzonte della necessit antifatica non pu dar
conto del futuro delle cose possibili ; ma poich questo orizzonte la
struttura necessaria della realt, le cose possibili saranno quelle che non
sono attuali o non sono veramente reali - nel primo caso si tratta di
potenzialit, nel secondo di accidentalit - consistendo la loro realt nel
non-essere (attuali o reali), cio nell'essere possibili. Da tutto ci era
risultato come le categorie modali avessero preso tutto il loro significato
solo nell'ambito della necessit antifatica, che l'orizzonte in cui si svolge
il discorso, perch la struttura necessaria del reale.
Abbiamo visto come a fondamento di ogni determinazione modale
stia la stessa necessit antifatica esprimentesi nell'affermazione o nella
negazione ; ora questa alternativa ha rivelato le sue intime strutture di
necessit nel sillogismo. Infatti esso si svolge tutto entro la contraddizione di cui sceglie un como sviluppandolo o, meglio, il sillogismo non
che la collocazione del discorso in uno dei membri dell'antifasi, quando
per discorso non si intenda solo la proposizione nella sua immediatezza,
ma propriamente tutto un organismo in cui s enunciano le ragioni per
cui una data cosa si colloca da un certo lato dell'antifasi. Questo organismo si regge sui legami di necessit che lo costituiscono e che, appunto,
sono necessari nel senso che la relazione tra la determinazione dell'antifasi
e la ragione per cui essa stata determinata in un certo modo tale che
non si pu pensarne una diversa. Questa necessit linguisticamente si traduce nel fatto che il soggetto della proposizione in cui si detennina l'alternativa antifatica anche il soggetto cui si attribuisce la ragione per cui
detta alternativa si determina in quel senso (10). Perch l'orizzonte in
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SI
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essa. In questo senso nulla muta l'asserire il medio nella premessa minore
di Ia figura come necessario o come attuale. I?'altra parte l'asserirlo come
possibile significa solo concludere con un possibile uguale al non-impossibile, cio coincidente con il necessario di cui asserisce appunto la possibilit. Anche con il complicarsi e il completarsi dell' antifaticit nella
struttura sillogistica, il necessario continua a essere la sempre ulteriore
ripetibilit di una proposizione che, in questo caso, la conclusione di
un sillogismo, implicante, perci, la sempre ulteriore ripetibilit del sillogismo stesso a proposito del soggetto per cui stato riconosciuto valido
la prima volta. Ora, poich il sillogismo, con la necessit deduttiva che gli
inerente, stato riconosciuto come lo svolgimento della stessa alternativa antifatica determinata in uno dei suoi corni e come costante eliminazione del corno che potrebbe contraddire a quello scelto, cio - essendo
!"attualit la determinazione gi operata di un corno -,come la struttura
necessaria, intrinseca ad ogni attualit, la necessit la sempre determinabile attualit, che implica la costante presenza nella cosa degli aspetti
che giustificano quell'attualit.
I sillogismi riguardanti la possibilit non possono di certo presentarsi come determinazioni di un'alternativa antifatica, perch il possibile , per definizione, ci di cui non si pu determinare quale membro
debba essere predicato: in questo senso esso ha il medio :Tmmw e non
fonda alcuna scienza (1 2 ) essendo uewwv. Poich ufficio del sillogismo
proprio quello di detern1inare l'antifasi, parrebbe allora che non dovrebbero sussistere proprio quei sillogismi che invece Aristotele indaga con
molta cura. Ma appunto il possibile reale come possibile, in quanto,
cio, se ne pu asserire la possibilit: infatti una proposizione che affermi
possibile .... cade anche essa sotto l'alternativa antifatica insieme con
quella della forma non possibile ...... . I sillogismi di possibilit asseriscono appunto la possibilit in quanto tale, lasciando del tutto indeterminato se si tratti di possibilit del negativo o del positivo, che in
realt qui sono sullo stesso piano. Possibile quindi ci di cui si pu
asserire la indeterminatezza antifatica, ci di cui non si pu mai dire
quale corno della contraddizione sia vero : anche qui il possibile si presenta come la nega7.ione della necessit e dell'attualit, nel senso che o
possibile perch ancora non attuale o perch, a differenza del necessario, di esso non si pu dire fin da ora come si attuer nel futuro. Se
da un lato il possibile mera indeterminazione, dall'altro semplicemente
la negazione dell'attualit c la sua proiezione retrospettiva, sia poi questa
attualit necessaria o no, come il caso dei sillogismi di I figura con
premessa minore possibile e quella maggiore assertoria o necessaria: in
questi casi, infatti, la possibilit della conclusione significa solo la nonimpossibilit, senza che venga asserita anche l' indeterrninazione antifa11
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tica (103), perch si tratta non della possibilit stricto sensu, ma di quella
che omonima con la prima e coincide con la non-impossibilit dell'attuale
e del necessario, essendo spesso privata di una delle alternative che risulta
senz' altro impossibile. Quando poi il sillogismo ha premessa maggiore
necessaria e minore possibile ma ha conclusione negativa, cio di esclusione, allora essa non pi possibile, ma assertoria, perch la possibilit
stata considerata come una effettiva ed attuale propriet del soggetto,
tale cio da distinguerlo attualmente da ogni altro soggetto cui quella possibilit non inerisca (1 4 ). Sicch il possibile in s non mai oggetto di
ricerca anche se di esso si danno dei sillogismi, perch questi ultimi non
considerano il possibile in quanto tale, ma solo quanto di esso riducibile all'attualit e cio l'esser possibile, nel senso che una propriet pu
essere attribuita o no acl un oggetto senza che si possa per precisare
quando sia attribuibile e quando no. Perci in questo caso possibile
vale solo come negazione di necessario o di attuale ed ha carattere
soltanto verbale, in quanto non d alcuna utile indicazione per una ricer.ca, perch non dispone di mezzi di ricerca che possano scoprire alcune
linee eli persistenza di queste propriet. Altre volte il sillogismo sposta
la sua considerazione al contenuto stesso della possibilit, cio a quella
attualit che non ancora o a quella necessit eli cui il possibile rappresenta il lato negativo, in quanto ne asserisce la non-impossibilit. Nel
primo caso il possibile vale solo come propriet di una cosa che ha la
caratteristica di poter essere affermat.1. o negata senza che nulla muti, nel
secondo caso il possibile deve essere negato come tale per poter servire
nella mediazione sillogistica. ben vero che Aristotele parla anche del
per lo pitl ma anche vero che per ora non d di esso nessuna fondazione particolare n menziona la possibilit di escogitare un linguaggio
scientifico adatto acl esso, presupponendo anzi che unico linguaggio
rigoroso sia quello sillogstico, che costruito con nessi necessari e adatto alla necessit o all'attualit, cio a quei casi in cui l'antifasi sia determinata o determinabile in anticipo e non a quelli che non hanno ragioni
per cui necessariamente essa si detennini.
Tra il possibile ed il necessario l'essere non pare pm avere un posto suo particolare e distinto, non potendo le cose che essere o possibili o
necessarie. Ma l'essere inteso come attualit proprio del possibile, sia
come attualit del possibile, ossia di ci che per un aspetto possibile,
sia come contenuto del possibile stesso. D'altra parte esso proprio del
necessario in quanto il necessario ci che sempre in atto o di cui si
pu predire sempre l'atto. Ma allora l'essere come attualit non solo
una fonna dell'essere, ma la sola fonna vera dell'essere, mentre possibi-
( 1 03) Questo sillogismo non del possibile che stato distinto prima, ma del
non inerire necessariamente a nulla (An. pr. A, 15, 34b, 27-28).
(104) An. pr. A, r6, 36a, 7-17.
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lit e necessit non sono che modi diversi di questa forma, inerenti non
all'essere stesso, ma alle cose che sono: la struttura dell'essere e cio dell'attualit diventa allora la vera struttura del reale, intessuta dei legami
della necessit sillogistica. Entro questa struttura necessaria le cose necessarie sono quelle che veramente sono in quanto di esse quella struttura
pu sempre dar conto, sia che siano sempre in atto, sia che il loro atto sia
sempre determinabile, mentre le possibili sono quelte che propriamente
non so1w in quanto semplici negazioni di una determinata attualt (1") ;
eppure anche queste ultime, in quanto si pu asserire che non sono ed
in quanto non sono una determinata attualit, ricadono sotto il dominio
dell'essere. N si pu pensare che alla possibilit venga riconosciuta una
struttura sua propria o che per essa venga cercato un tipo di discorso apposito, ch la struttura necessaria per Aristotele tale che il pensarne una
diversa impossibile, sicch quanto non rientra in essa propriamente
non . Studiato il configurarsi di questa struttura nel discorso si dovr
ora vedere il suo preciso delinearsi nel reale attraverso gli stessi cenni di
Aristotele.
I r. - LA S'rRUT'J'URA sosTANZIALE DBL REALE. Abbiamo gi visto
come per Aristotele il presupposto dello stesso poter sillogizzare sia
l' inerire delle propriet alle cose come sostanze, cio come condizione
del sillogismo sia la sussistenza delle sostanze. Senonch l'analisi allora
intrapresa dovette essere interrotta, perch si manifest l'opportunit di
indagare alcune categorie modali che comparivano nella trattazione aristotelica ; d'altra parte per la ricerca sui sillogismi modali rinvia ancora
una volta allo studio della struttura sostanziale del reale, perch le stesse
,categorie modali non ricevono significato se non entro una struttura linguistica di cui quella sostanziale il presupposto. Rinvianti continuamente l'una all'altra, struttura necessaria del discorso e struttura !lecessaria della realt non sono che una e medesima struttura vista da due lati
diversi e le cui particolarit ora si precisano da un lato ed ora dall'altro,
sebbene siano sempre proprie e dell'uno e dell'altro lato.
Ci che ha mostrato l'opportunit di un'analisi dei sillogismi modali
stata la dichiarazione dello stesso Aristotele che vi sono sillog1smi adatti
alle cose che conseguono sempre a certe altre ed altri adatti a quelle che
conseguono solo per lo pitl (1 6 ). Ora, poich il conseguire sempre proprio della necessit caratterizzata appunto dalla omnivalidit. mentre il
per lo pi una delle specie della possibilit, era evidente che qui erano
presupposti i sillogismi modali. Senonch questi ultimi esigono che almeno una delle premesse abbia la stessa modalit della conclusione: e come
si determina che una propriet inerisce necessariamente o solo per Io
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delle cose, cio ci che inerente alla struttura stessa delle cose. Infatti
le premesse possono essere il T[ crn, l' 'L~wv o il o'UJ.L~1Ef3rrx6, asseriti
l\o~ucrma o x.aT'aAfjtter.uv( 110): con le prime tre determinazioni abbiamo
tutti gli ingredienti fondamentali della sostanza, di cui bisogner vedere
i rapporti con la struttura sillogistica. Prescindendo per. ora dal d. crn,
possiamo notare subito che sia l'Y3w,, che il IJ'UfLBEBqx.6 fanno parte dei
T :n:6w:va che appunto cadono sotto la necessit sillogistica. Ma qui
sorge l'altra questione che finora rimasta nell'ombra, cio quella della
modalit delle premesse cui la modalit dei sillogismi deve adattarsi. Infatti 1"{3r.ov ci che inerisce solo alla cosa di cui 'proprio e si reciproca
perfettamente con essa ( 111 ), sicch la distingue da tutte le altre cose, appartenendole sempre e di necessit (sebbene vi siano anche dei propri di
altra specie) (112 ); invece il ovf!BE~'t']X.O ci che pu esserci e non esserci
in una cosa (113). Come si vede l' 'ttov ha tutti i caratteri del necessario,
mentre il n'l!ftBE~'Y]X.O ha quelli del possibile e l'uno e l'altro sono conclusioni di sillogismi. Del resto n la necessit dell'uno n la possibilit
dell' altro possono essere state rivelate da constatazioni empiriche che
non sarebbero mai state esaustive, sicch si deve ammettere che siano
conclusioni di sillogismi della necessit e della possibilit. Ma allora, se
ci limitiamo per ora al caso dell' tl\to,, perch una cosa possa essere
detta propria di un'altra necessario trovare in quest'ultima un aspetto
tale per cui la prima inerisca necessariamente : perch non si pu asserire
un proprio se non c' una ragione per cui necessariamente esso debba essere asserito, cio se la cosa non tale che qJ.testo proprio le spetti e la
contraddistingua. Infatti un proprio, per contraddistinguere una cosa c
reciprocarsi con essa, deve inerire a tutti i membri della specie cui la
cosa appartiene e deve inerire alla cosa in quanto proprio quella
cosa (114 ). Ora questi aspetti per cui un proprio proprio potranno essere dei propri, che contraddistinguono la cosa di cui sono propri, ma,
ci che consegue a qualche uomo, ma ad ogni uomo : infatti il sillogismo si compie
attt-averso premesse universali (An. pr. A, 2i, 43;b, III4).
(110) An. pr. A, 27, 43 b, 6-9.
(lli) Il proprio ci che non indica l'essenza, ma inerisce solo alla cosa di cui
proprio e si reciproca con essa (Top. A, 5, ro2a, 18-19).
{112) proprio di per s (Y-ail' a.ill:o) q m~ Ilo che si attribuisce alla cosa sotto
tutti gli aspetti e la separa da ogni altra cosa (Top. E, r, r28b, 34-35). Accanto al
proprio permanente ( ciet) che in ogni tempo vero della cosa e non viene mai
meno c' quello temporaneo (:n:o) che vero della cosa solo in qualche momento
e non segue sempre di necessit (ibid., 129a, 1-5).
( 113) L' accidente non ... n la definizione, n il x;ropdo, n il genere, ma
ineriscc alla cosa, e pu inerire a qualunque cosa o non incrire, pur restanto quella
sempre la stessa (Top_ A, S, 102b, 4-7)(114) Chi vuole affermare che un proprio tale deve indagare se pu essere
asserito con verit di ogni membro della specie e di ogni membro in quanto tale ;
cos possiamo dire che l'esser capace di scienza proprio dell'uomo perch animale
capace di scienza vero d ogni uomo e dell'uomo in quanto tale (( <'l.vftooo;to)
('l'op. E, 4, I32'a, 34- b, 2).
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t, 121 a,
!2-13).
(116) Il proprio si d nella cosa o di per s e sempre o riguardo a qualche
altra cosa e solo in certe condizioni temporali~ (Top. E, r, rz8b, r6-r7). Proprio
quest'ultimo il caso dell' Hhov che non ha i caratteri rigorosamente necessari che si
addicono al proprio in senso stretto, sebbene non sia senz'altro l'accidente, ma ci
che si trova per lo pi : ma abbiamo gi visto come, ammessa la possibilit indeterminata, siano molto !abili i confini tra il casuale assoluto ed il per lo pilt.
A sua volta l'accidente pu valere come ragione dell' inerenza di un altro accidente, in quanto le asserzioni di possibilit indeterminata possono figurare come condusioni di sillogismi con entrambe le premesse possibili.
(117) An. pr. A, 27, 43b, II-12.
( 118 ) Bisogna assumere ci che proprio di ciascuna cosa: vi sono infatti
delle cose che sono proprie della specie nel suo esser diversa dal genere; ch neccs
sariamente nelle specie che sono diverse da essa c' qualcosa che ad esse appartiene
in proprio (An. pr. A, ZJ, 431b, 26-29).
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una propriet essenziale della cosa cui quell'attributo incrisca a sua volta
necessariamente. Ora quest'ultimo asserto non pu essere dimostrato
che con un precedente sillogismo e cos deve essere assodato anche il
secondo asserto. Ma l'attribuzione alla cosa del termine cui inerisce con
necessit la caratteristica da dimostrare pu anche non essere necessaria,
come hanno dimostrato le analisi dci sillogismi modali. Ora ci si spiega
con la stessa necessit propria della stntttura sostanziale, per cui tutto ci
che appartiene alla sostanza deve avere una ragione che necessariamente
lo giustifichi; se ci che necessario sempre nella sostanza e, perci,
la caratterizza, la ragione di esso sar ci senza cui la sostanza non
sarebbe pi se stessa, sicch non pi necessario assodarne la necessit,
una volta che si visto come in esso si giustifichino aspetti imprescindibili della sostanza stessa. Il dire che A X , se X d ragione della
necessit di Y per A, significa dire che la natura stessa di A o un
suo aspetto si rivela in X, sicch, senza X, A non sarebbe pi A: in
questo caso, cio, il dire che A X significa dire che ad A spettano tutte
le propriet necessarie di X e tali da rendere inconfondibik la natura di
A. Se si perde di vista lo schema sostanziale di cui il sillogismo il corrispettivo, allora si trova assurdo che per Aristotetle un sillogismo possa
avere conclusione necessaria anche se non sono necessarie entrambe le
premesse; ma se si bada che il sillogismo non uno stabilire connessioni
ex novo, ma solo riscontrare quelle che gi ci sono cpuaEL, allora si vede
che per Aristotele l'asserire sotto forma di semplice essere una delle premesse del sillogismo necessario non pregiudica affatto la necessit stessa
della conclusione. A questo proposito avevamo osservato, parlando del
sillogismo, che nell'essere della premessa assertoria di una conclusione
necessaria affiora l'essere come orizzonte della stessa necessit: ora questo essere appare come l'affermazione della sostanzialit delle cose cui
spetta la propriet necessaria, cio come la determinazione dell'ambito
sostanziale, dell'essenza entro cui quella propriet compresa. Se, volendo
dimostrare che l'uomo necessariamente mortale, si premette che tutti
gli animali sono necessariamente mortali, ma poi ci si limita a dire che
l'uomo animale, non si pregiudica affatto la necessit della conclusione
che tutti gli uomini sono mortali. Infatti quell' della premessa minore
significa che la natura dell'uomo quella di essere animale, sicch l'animalit gli essenziale per essere uomo ; se poi si abbietta che tutto
ci giusto solo perch l'animalit serve a dimostrare gli aspetti imprescindibili dell'uomo, uno dei quali , appunto, la mortalit e che perci si
commette un circolo vizioso, si pu rispondere che questo circolo si trova
alle fondamenta stesse della logica di Aristotele, per la quale i processi di
ricerca hanno valore solo se ripetono strutture reali delle cose, cio solo
se le loro conclusioni sono gi impresse nel reale prima di essere state
dedotte da chi le cerca. Dal punto di vista del sillogismo la necessit si
presentava come la sempre ulteriore ripetibilit del sillogismo stesso, cio
la sempre ulteriore reperibilit di una ragione per asserire l'attributo che,
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l IO
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sicch, poich questi nessi di antecedenza e conseguenza sono i presupposti imprescindibili di ogni nuovo sillogismo, chiaro che i sillogismi che
dimostrano le premsse di ogni nuovo sillogismo sono proprio le enunciazioni di questi nessi reali. Ma i nessi reali precedentemente accertati sono
i presupposti di ogni nuovo sillogismo, perch da essi si giunge necessariamente, appunto, alla conclusione del sillogismo, nel senso che proprio
perch ci sono quei nessi, la realt costituita anche dai nessi che enuncer la conclusione del sillogismo: nell'asserzione che l'animale mortale
gi compresa quella che l'uomo mortale, perch tra le propriet dell'animale c' anche quella di essere genere dell'uomo. Non con ci che si
cada nel circolo vizioso di cui sempre stato rimproverato il sillogismo,
ma di cui non pu essere rimproverato il sillogismo aristotelico, almeno
nel senso in cui tradizionalmente si intende questa accusa. Infatti che in
l' animale mortale sia gi contenuto l' uomo mortale non dovuto al fatto che con un' induzione si sia assodato che l'animale mortale,
sicch vi sia anche compreso l'uomo, quanto piuttosto al fatto che nella
realt gi posto quel rapporto di conseguenza che si assoder poi con il
sillogismo : circolo vizioso, semmai, ci sar nell'indagare il sillogismo sulla
struttura del discorso e poi considerare quest'ultima come modellata su di
una struttura reale che, in realt, solo la prima proiettata nel mondo degli
oggetti. Comunque, resta fin da ora accertato che il reale una catena di
termini legati secondo rapporti di necessit, tali cio da rendere indispensabile che dopo A non venga B, ma non-E, proprio perch le sostanze
esistono prima che si sillogizzi su di esse, sebbene si attaglino perfettamente alla struttura del sillogismo: l'uomo mortale prima ancora che
si scopra sillogizzando che lo sia, ma lo perch sono gi stampati
nella realt quei rapporti che sillogizzanclo si scopriranno, in quanto il
reale fatto di sostanze e le sostanze sono la struttura stessa del sillogismo fatta reale. Se cos stanno le cose l'uomo sar mortale perch rientra nel genere animale, ma l'animale nell'atto stesso in cui mortale
si configura come genere dell'uomo in quanto appunto la sua mortalit
lo contraddistingue da ogni altro genere e lo fa essere genere dell'uomo.
Come dunque i sillogismi si muovono tutti su di una assoluta necessit in
quanto esclusione del contraddittorio, cos le cose sono costituite in modo
da concatenarsi tutte secondo l'esclusione del contraddittorio, sicch, posseduta una premessa, si pu giungere fino all'estemit della serie inclusa
nella premessa scelta, cos come 1'estremit inferiore dell serie stessa
rinvia necessariamente al suo inizio. Ogni conclusione perci, in quanto
richiede delle conclusioni precedenti, cio delle condizioni anteriori, si
riferisce a degli antecedenti, in quanto pu fungere a sua volta da premessa e, cio, da condizione di ulteriori sillogismi, si configura essa stessa
come antecedente. In questo senso il sillogismo lo sviluppo di un rap-
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( 121) Di tutte le cose che sono alcune sono tali che non possono essere predicate validamente, secondo universalit, ili null'altro (per es. Cleone e Callia e r individuale ed il sensibile), ma altre cose possono venir predicate di esse (ed infatti ed
animale c uomo sono attribuibili a Callia e a Cleonc); altre si predicano di altre
cose, ma di esse nulla pu predicar si in pr-ecedenza; altr-e infine ed esse possono predicar si di altre cd altre di esse, come per es. ' uomo' di Cal!ia e 'animale' di uomo ...
Or-a della seconda categoria di cose non si pu dimostrare nessun IJr-edicato, se non
per opinione, ma esse possono essere dimostrate come predicati di altri soggetti; n
gli individui possono essere dimostrati come predicati di altri, ma altri di essi. Le
cose che stanno tra le due categorie ora nominate evidentemente possono tmvarsi
in entrambi i casi (cd essere dette come soggetti di certi altri predicati e fungere
<la predicati di certi altri soggetti) ed in generale possiamo dire che i ragionamenti
e le ricerche si svolgono soprattutto intorno a queste ultime:> (An. pr. A, 27, 4Ja,
25-43). Come ~i vede le cose che possono essere solo soggetti o solo predicati costi
tuiscono i termini primi o i termini ultimi del sil!ogismo che, invece, alimentato
proprio dalle cose che possono essere l'un termine e l'altro della proposizione, cio
.che sono pi adatte ad allacciare rapporti con il reale.
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alle sue fonti, sia suscettibile di ricevere una interpretazione del tutto
diversa da quella ricevuta tradizionalmente. Infatti accanto alla tradizione
critica che, mettendo capo al Ravaisson ed ispirando gran parte della
storiografia filosofica francese, vede nella struttura sostanziale la spiritualit del reale, lasciando senza spiegazione il suo valore logico che si
rivela chiaramente in tutta l'opera scientifica dello Stagirita; a quella
che, vedendo nel concetto di essenza un residuo di platonismo, non scorge
il differente atteggiamento implicito nella dottrina delle idee ed in quella
ciel d f.lv ELV(XI., come avviene nel Robin; ed infine a quella che, interpretando le sostanze come un insieme di entit autosussistenti ed astratte
come fa per es. il Calogero (sebbene in questo indirizzo vi sia gran quantit di sfumature), si affida poi all' intuizione che dovrebbe del tutto sostituire l' intiero procedimento logico, del quale, invece, solo una parte :
accanto a queste tre principali vie di interpretazione, dunque, c' posto
ancora per una quarta che consiste nel non prendere il concetto di sostanza come un che di chiaro in s, ma nello scioglierlo e portarlo alle
sue premesse necessarie, per penetrarne le intime ragioni e nel non considerare la sostanza una cosa, ma un concetto, vale a dire uno strumento
pi o meno efficiente in vista di certi scopi che il suo autore si proponeva.
Partendo da questi principi e tenendo presente questi canoni interpretativi, la sostanza non appare pi come la cosa nella sua isolata profondit
e l' essenza come il nucleo pi inaccessibile della sostanza ; ch anzi
sostanza ed essenza legano la cosa al mondo, sono la traccia che la realt
ha lasciato nella cosa che si considera, sono il suo aprirsi nell'atto stesso
di connettersi con i principi e con le altre cose che di essa possono dare
ragione.
Che una cosa possa costituire oggetto di sillogismo significa, per
Aristotele, che essa in riferimento con catene di termini derivanti gli
uni dagli altri secondo rapporti di assoluta necessit. Infatti che su di un
oggetto si possa sillogizzare significa che esso una sostanza, cio che
costituito da rapporti organizzati in modo tale che l'uno possa rendere
ragione dell'altro in base alla relazione di antecedenza-conseguenza. Ma
questa relazione stabilisce un progressivo estendersi del campo di rapporti della cosa singola che si definisce appunto come singola via via
che in essa vengono in luce nuovi aspetti che la legano con le altre
cose. Infatti questi aspetti possono appartenere a pi di un soggetto e
costituiscono il fondamento antologico per l' inclusione degli individui
iq specie e generi entro i quali gli individui possono valere appunto
come individualmente diversi gli uni dagli altri. L' individuale, perci,
in quanto su di esso possibile istituire una ricerca, il punto di partenza. di tutta una serie di aspetti universali, cio appartenenti anche
ad altri individuali, ponenti capo ad universali massimi oltre i quali non
~i pu procedere (122) ; ma, d'altra parte, gli universali non possono non
( 1 22)
-8
C. A.
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essere in riferimento con gli individuali dei quali sono universali. Ci spiega perch Aristotele non ammetta la implicazione diretta di Diodoro
Crono come legittimo mezzo per stabilire un nesso di antecedenza-conseguenza (1 28 ) : infatti quel tipo di ragionamento stabilisce un rapporto
senza preoccuparsi di mettere in relazione i termini interessati ad esso
con tutti gli altri termini reali che servono a definire l' individualit propria di quelli. Invece il sillogismo attribuisce una propriet ad un soggetto in quanto quest'ultimo definisce la sua propria individualit in
relazione ad aspetti che danno ragione di quella attribuzione : cos a
Socrate conviene l'attributo di mortale, proprio perch costituito dalle
relazioni con quegli aspetti reali che lo fanno essere uomo ; e il termine
uom::> in grado di fondare l'attribuzione del predicato mortale
proprio perch si determina come uomo in relazione ad animale .
L'universale non un nome, un flatus vocis, n la sola vera realt, ma la
relazione reale di un medesimo aspetto con pi cose individualmente
diverse l'una dall'altra.
Abbiamo gi visto come, tuttavia, in favore dell' interpretazione
formalistica si possa citare la dottrina secondo cui il sillogismo dialettico
non procede da principi necessari ed assolutamente veri, ma solo da premesse probabili, cio tali che di esse non si sa se siano gli antecedenti
reali delle sostanze. anzi si sa che non si pu per ora sapere se lo siano :
eppure esso ha la medesima necessit degli altri sillogismi, la stessa coerenza, appunto formale. Qui sarebbe necessario un pitt lungo discorso
sulla distinzione di dialettica e apodittica e sulla nozione aristotelica di
probabile ( evao;ov) ; discorso eh~ ci ripromettiamo di fare pi tardi.
Comunque possiamo osservare fin da ora come tutto l'edificio dialettico
si regga su strutture che sono proprie dell'essenza sostanziale del reale e
come il discorso dialettico pu farsi solo in quanto le premesse probabili
hanno l'aspetto di enunciazione di certi ingredienti determinati della sostanza, cio solo in quanto sono un proprio, un genere, una differen::.:a, un
accidente ecc. (1 24 ) e l'unico mezzo di avviare un discorso dialettico
quello di assumere una proPQsizione, cio considerare qualcosa come un
genere, proprio, accidente, ecc. di una sostanza (1 25 ). Ora queste assunzioni sono solo probabili, cio non si esclude che di esse possa sempre
essere detto che non sono vere in favore del loro contrario, ma probabile
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si ammette che sia anche tutto il processo sillogistico che pende da queste
premesse con la conclusione che ne deriva: come quelle premesse sono
solo probabili, cio solo probabile il rapporto di quei due termini che,
proprio per quel rapporto, possono fungere da premessa del sillogismo,
cos solo probabile che i termini del sillogismo si colleghino in quel
modo e, poich la necessit del sillogismo deriva dai collegamenti reali,
cos essa stessa solo probabile. Appunto nell'aver distinto un sillogismo
dialettico sta la prova lampante della non formalit della logica di Aristotele: infatti per la logica formale, per cui il sillogismo non il vero scopritore di verit n la forma linguistica della realt, c' un sillogismo solo
che trae la sua vigoria dimostrativa solo dalla disposizione delle parole ed
sempre fornito della stessa necessit a prescindere dal configurarsi del
suo contenuto - di cui solo la forma estrinseca - ; invece per Aristotele la necessit sillogistica intimamente connessa con il contenuto
del sillogismo stesso. E poich ogni discorso apofantico non pu non
pretendere di enunciare l'essere, e poich l'essere ha sempre la stessa
struttura, sempre il discorso apofantico avr la configurazione del sillogismo la cui necessit differir secondo la posizione che il suo contenuto
occupa nell'essere. Ma questa questione ci conduce a parlare della verit
e' della falsit delle premesse.
Legato cos strettamente lo strumento di ricerca alla struttura necessaria della realt, passa in secondo piano lo sforzo del ricercatore stesso ed
il momento della raccolta dei dati e della loro interpretazione in vista della
concludenza di tutto il processo di ricerca; semplicemente si pu dire che
alcune niccolte di dati sono inutili o, meglio, inutilizzabili ( rlX(lELot)
per condurre a termine le nostre ricerche (1 26 ), in quanto con esse non
si potranno mai costruire premesse di sillogismi concludenti. Con il che
si ribadisce che il sillogismo l'unico mezzo di ricerca che l'uomo di
scienza abbia a sua disposizione e che d'altra parte ogni asserzione
vera o falsa in relazione al reale che esso enuncia e che non pu non
enunciare. Infatti anche le premesse non appropriate al sillogismo sono
(126) Le raccolte di dati inutili sono determinate in base allo studio degli schemi
delle figure sillogistiche, il che conferma che solo il sillogismo competente a pronunciarsi sul senso di una proposizione: altres evidente che altri tipi di raccolte di dati sono inutili per far sillogismi, per es. se i conseguenti di entrambi i termini sono uguali, o quelli cui consegue A e che non conseguono a E o quanti non
conseguono ad entrambi i termini: infatti non si avr mai un sillogismo da queste
raccolte di dati. Se infatti i conseguenti di entrambi i termini sono i medesimi, per
es. B e Z, si ha :a 2" figura con premesse alTerma ti ve; se sono identici gli antecedenti di A cd i termini che non possono conseguire ad E, per es. G e T, si ha la
1 figura con premessa minore negativa. Se identici sono i termini che non conseguono ai due estremi, per es. D e T, sono negative entrambe le premesse o nella 1
o nella z figura. In questo caso non si avr. mai sillogismo (An. fw. A, ~8, 44 b,
25-37). Per ben comprendere l'argomentazione di Aristotele bisogna tenere dinanzi
agli occhi questo schema: Siano dunque B i conseguenti di A e G i suoi antecedenti, D invece quei termini che non possono inerirc ad A ; di contro siano Z i conseguenti di E, H i suoi antecedenti c T i termini che ad esso non possono inerire
(ibid. 44a, 12-17).
'.,.-
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conclusioni di sillogismi precedenti, in quanto enunciano dei nessi di antecedenza e conseguenza tra le cose, cio sono Xoyu ( di certi dati reali ;
il criterio per in base al quale si giudica se ; dati che si hanno a disposizione sono proficui o no per l' indagine scientifica solo la fattibilit
o meno di un sillogismo, perch solo sillogizzando si pu fare scienza.
Il mettere insieme due proposizioni da cui non nasca una conclusione,
se le proposizioni sono vere, non enunciare due falsit ma due verit
inutili perch tali che non sono in grado di indicare le vere linee di
svolgimento necessario della realt; l'unico mezzo per trovare queste
linee il sillogismo che fatto appositamente per la struttura necessaria
del reale. Il problema di come si possano dare proposizioni vere eppure
non significative per la ricerca non viene qui in luce, dal momento che
ne mancano i presupposti nei fondamenti stessi della logica aristotelica,
che ignora il problema della semanticit. Ci si gi visto a proposito dci
sillogismi non concludenti, a proposito dei quali risultato che se una
volta sola un sillogismo non conclude vuoi dire che in esso ha preso posto
qualche elemento che ad esso non competeva : in questo modo, per semplice esposizione dei termini, Aristotele trova le figure non concludenti.
Ci che determina se certe proposizioni debbano o no essere accolte
non il contenuto dei casi che di volta in volta abbiamo dinanzi, ma la
struttura del discorso apofantico stessa, che identica per ogni caso che
ci si presenti. Che il procurarsi i principi scientifici o anche nozioni scientifiche richieda l'esperienza delle cose che appartengono alle singole
scienze e che non possono essere forniti da speculazioni di indole generale (1 27 ) sta bene, ma ci non toglie che poi la validit di questi principi
e di queste proposizioni ed il loro senso abbiano come unico giudice la
struttura sillogistica del discorso la quale soltanto pu dire se essi possono valere come premesse o no o se si ricolleghino a principi necessari
o no; tanto vero che se le cose su cui abbiamo ricercato con l'esperienza
non sono dimostrabili, l'unico frutto che ne abbiamo ricavato l'accertamento della loro non dimostrabilit (1 28 ): l'unico criterio perci per stabilire se una proposizione ha il luogo che ad essa spetta nell'organismo
del sapere, la sua connessione necessaria con le altre proposizioni che
la precedono e che sono a loro volta connesse necessariamente.
Ci permette di precisare il significato della nozione di espeTienza
nella filosofia aristotelica. Per lo Stagirita essa non essenzialmente diversa dal discorso e connessa con esso come suo criterio di controllo, ma,
anzi, precede il ragionamento in quanto ne procura le premesse e non si
configura necessariamente come mezzo non discorsivo. Infatti in questo
uso essa non solo non esclude, ma esige che queste premesse siano controllate con ragionamenti. Il valore propriamente scientifico di ogni asser( 127 )
An.
j>r.
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zione, cio, non conosce altro metro che la struttura sillogistica di fronte
alla quale l'esperienza significa, semmai, l'occasione di apprendere una
certa nozione la cui validit, per, potr essere vagliata soltanto dal ragionamento. In questo senso impossibile pensare che il sillogismo, come
Io concepisce Aristotele, sia semplicemente un mezzo ipotetico per lo
sviluppo di certe premesse il cui valore sia condizionato alla prova delle
conclusioni offerta dall'esperienza, intesa come complementare al ragionamento, in qualunque modo poi questa complementariet debba essere
interpretata. Con ci infatti sarebbe messa in dubbio perfino l' imprescindibilit del sillogismo, perch la verifica di un nesso sillogistico proposto potrebbe rivelare che in un certo caso il sillogismo stesso non
un mezzo adatto a trarre le conclusioni di una certa premessa. L'ammissione dell' esperienza come criterio autonomo di conoscenza avrebbe
impedito l'ammissione di stmtture antologiche sostanziali, dal momento
che avrebbe preso senso solo dalla possibilit di scoprire strutture via
via nuove; la sua eliminazione come esperienza autentica, mediante la
subordinazione al sillogismo, si inquadra perfettamente nello sforzo di
Aristotele di fondare in un reale intelligibile, sostanzialmente inteso, la
razionalit del discorso che nel De interpretatione aveva cercato la sua
fondazione nella categoria di necessit, con l'eliminazione del problema
semantico, esatto corrispettivo di quello dell'esperienza, ora esaminato.
Il rifiuto di questa nozione di esperienza implica allora che il sillogismo
possa avere la certezza di partire da premesse vere e di mantenerv;si,
una volta che siano state adottate. Ora, gli Analytica priora ~on si
preoccupano di stabilire la possibilit di conoscere premesse assolutamente
vere, presupponendo, anzi, tale possibilit.:-1 e indagando soltanto i problemi
connessi con lo svolgimento di un sillogismo che svolga d che gi stato
;).ccertato.
r 3 - LA VERI'r :B r,A :FAr,SI'l' DELI,E PRrtMrtsstt. Finora non ci
siamo occupati se i sillogismi avessero premesse vere o false, se non nel
caso dei sillogismi della possibilit con la premessa maggiore assertoria o
necessaria e la minore possibile, ma abbiamo sempre supposto che avessero premesse vere. Non ci proponiamo per ora il problema dell'errore
nella logica di Aristotele, sicch possiamo !imitarci a dire che premessa
vera quella che enuncia l'essere come essere c falsa quella che enuncia
l'essere come non-essere, ed altrettanto per il non-essere (1 29); comunque
sempre la premessa enuncia una forma dell'essere, sicch non pu fare a
meno di seguire le leggi dell'essere che sono poi le leggi imprescindibili
del discorso. Un discorso falso quello che enuncia un essere esclusivo di
quello che c', ma tale che ne segue tutte le strutture e che si farebbe su-
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bito reale se non lo fosse il primo (130). Tutta la realt organizzata sulla
struttura antifatica, ed ogni cosa che determina un corno di un'antifasi,
sicch l'errore consiste nell'enunciare un corno quando si dovrebbe enunciare l'altro (1 81 ). Ora, mettendo una affermazione dove sarebbe necessario mettere una negazione e viceversa, si otterr un sillogismo errato o
un' impossibilit di concludere. Se le premesse sono vere la conclusione
che da esse deriva sar la stessa conclusione impressa nella struttura delle
cose, se invece sono false sar 1) in certi casi il preciso rovescio della
conclusione vera, dal momento che anche il discorso non pu fare a meno
di avere una sua struttura, 2) in certi casi si avr un sillogismo non concludente, 3o) in certi casi si avr, invece, conclusione ugualmente vera.
La difficolt maggiore si ha proprio con il terzo di questi casi, cio
con l'ammissione che un sillogismo possa dedurre delle conclusioni vere
da premesse false, in tutto o in parte, una sola o entrambe (1 32 ). Pare
davvero che qui si sia introdotta quella scissione che autorizzerebbe a
parlare di logica formale a proposito della logica di Aristotele : infatti il
sillogismo sarebbe s un utile strumento per lo sviluppo delle proposizioni
vere gi conosciute per tali, ma non sarebbe affatto modellato sul reale,
dal momento che pu stabilire legami che non esistono affatto tra le cose
e servirsi di nessi irreali, falsi per concludere con nessi reali. Inoltre quale
mai pu essere il criterio per affermare che l'argomentazione in questione
un sillogismo, se non unicamente la sua struttura formale? Infatti se
cos fosse si dovrebbe dire che le premesse sillogistiche non sono tali perch enuncino rapporti reali tra le cose, ma semplicemente perch hanno
una certa qualit, una certa quantit e certi determinati rapporti tra i
loro soggetti e predicati : cio solo la loro forma farebbe germogliare la
necessit sillogistica. Senonch lo stesso Aristotele avverte come un sillogismo siffatto non sia in grado di affermare la ragione della conclusione limitandosi ad asserire la conclusione come semplice enunciazione,
cio come non riveli il ~h6n, ma solo lo on ( 1 ~ 3 ) : in questo senso que(130) ,J..' immediato passaggio dall'affermazione alla negazione e l' immediato
sostituirsi dall'una all'altra, quando una sia falsa, ben detto nella trattazione conclusiva della redtlctio ad impossibile: se si tratta di universalit di affermazione o
negazione, dimostrato che non vera la negazione, lo sar l'affermazione, di necessit. Al contrario, se non si pone che sia vera l' affermazione, sar bene pensare
che lo sia la negazione (Ath pr. B, II, 62a, 3-16).
( 131) Di tutte le contraddizioni di termini universali predicati universalmente
necessario che l'una sia vera e l'altra falsa (De int. 7, I7b, 26-27).
(132) Pu darsi che le premesse da cui si deduce un sillogismo siano vere, c
pu darsi che siano false o pu ancora darsi che l'una sia vera e l'altra falsa. La
conclusione necessariamente o vera o falsa. Da premesse vere pertanto non possibile sillogizzare il falso, ma da premesse false possibile sillogizzare il vero (An.
pr. B, z, 53 b, 4-8).
( 1 33) Da premesse false possibile siilogizzare il vero, senonch non riguardo
al Perch ma al che: non c' infatti sillogismo del perch da premesse false)) (An.
pr. B, 2, SJb, 8-10). La distinzione della conoscenza del perch e del che fatta in
An. post. A, 13.
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nerbo. Il che serve sapere per essere avvertiti che non sempre, se un sillogismo pare concludere con una conclusione plausibile, le premesse c,
con esse, il sillogismo stesso sono veri, perch pu darsi che manchi proprio la verit su cui si regge tutto il sillogismo, cio la connessione reale
delle cose su cui si ragiona. Il sillogismo, perci, trae la sua validit non
dall'essere una forma di discorso, costituita dalla quantit e dalla qualit
delle proposizioni e dalle relazioni tra i loro soggetti ed i loro predicati,
rna dall'essere l'enunciazione di ragioni reali che per vengono enunciate
validamente solo se le premesse sono vere ; se queste sono false, la sua
conclusione potr essere ancora vera, ma per sapere se lo bisogna ricorrere a qualche altro mezzo, perch da premesse false si pu concludere
tanto il falso quanto il vero. Ma rispetto al ~hon , che non ha bisogno
di essere confermato da altra fonte oltre il sillogismo stesso, da premesse
vere si deduce il vero e da false il falso, perch esso la natura stessa
delle cose enunciate nelle premesse vere.
14. - LE ALTRE FORME NECESSARIE DEL DISCORSO. - Il sillogismo
allora si precisato come la struttura necessaria del discorso apofantico ;
tuttavia quest'ultimo pu assumere aspetti diversi da quelli finora esaminati e prendere forme argomentative apparentemente diverse da quelle di
cui finora Aristotele ha parlato. Ebbene anche queste apparenze del discorso, anche queste nuove forme argomentative sono comprensibili attraverso lo schema del sillogismo (1 38). Sillogismo e induzione sono gli
unici due tipi di discorso cui tutti gli altri possono essere ricondotti e la
cui presenza d senso a tutti gli altri. Ma la stessa induzione poi comprensibile attraverso jl sillogismo ed una delle figure del sillogismo (130),
in quanto appunto il proceesso generalizzante ed astraente ha senso solo se
mette capo ad un sillogismo che ne possa trarre le necessarie conseguenze.
Pur applicando lo stesso schema e lo stesso procedimento l' induzione
procede in senso inverso al sillogismo (140 ) : infatti l'uno si serve del medio, cio lo presuppone, l'altra cerca il medio <:he non c' ancora (141); ma
in questa ricerca si serve appunto della conclusione del sillogismo, di cui
(138) Ora dovremmo dire che non solo i sillogismi dialettici e gli apodittici
seguono le predette figure, ma anche i retorici ed assolutamente qualunque mezzo di
convinzione che si serva di qualsivoglia tecnica. Ad ogni cosa noi prestiamo fede o
grazie al sillogismo o grazie all'induzione (An. pr. B, 23, 68b, 9-14).
(130) Parlando dell'induzione Aristotele dice che essa: un tal sillogismo
che ha per conclusione la premessa prima ed immediata: il sillogismo avviene attraverso il medio per quelle cose di cui c' il medio, attraverso l'induzione per quelle
di cui non c' (An. pr. B, zs, 68b, 30-32).
( 14 0) Ed in certo modo l'induzione si oppone al sillogismo: l'uno dimostra
come il primo estremo inerisca al terzo attraverso il medio l'altra come il primo
termine inerisca al medio tramite il terzo termine. Per natu;a anteriore e pit razior;ale il sillogismo che avviene tramite il medio, ma per noi pi chiaro quclfo che
avv1ene tramite l'induzione (An. f>r, B, 23, 68b, 32-37).
(141) An. j>r. B, 23, 68b, JI-32.
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123
il rovescio, come premessa maggiore del si11ogismo che avr per conclusione la proposizione, che attribuisce il termine maggiore del sillogismo
deduttivo al medio che stato trovato (H 2). La necessit sillogistica regna
dunque anche in questa ascesa dai particolari all'universale, perch la necessit la strada con cui si possono percorrere i regni del reale, sia in
una direzione che in un'altra, ed il sillogismo un tal strumento linguistico che adatto ad essere usato in un senso e in un altro. Che del resto
il presupposto scistanzialistico stia anche al di sotto dell' induzione si pu
agevolmente vedere da una condizione che Aristotele nomina esplicitamente, e che ha sempre caratterizzato la sua concezione dell' induzione
distinguendola da ogni altra, cio la perfetta convertibilit della premessa
minore con cui il sillogismo passa dalla 3a alla 1 figura: questa. convertibilit la garanzia che quel che proposto come medio veramente tale
in quanto non va mai disgiunto dalla propriet che, appunto, deve mediare. E per questo l' induzione aristotelica at nciv-rwv, cio richiede
l'esame di tutti i casi particolari in cui si manifesta la propriet il cui
medio deve cercare. Qualora infatti uno solo mancasse, il medio, che era
stato proposto, non sarebbe il vero medio, in quanto non indicherebbe
un aspetto dlla natura della cosa, senza il quale alla cosa stessa mancherebbe la propriet in questione, e perci non servirebbe a dedurre quella
propriet secondo il processo necessario del sillogismo : ci sarebbe infatti
un caso in cui quel processo fallirebbe, il caso in cui, cio, la propriet
in questione non ha per medio quello fornito dall' induzione. Proprio
perch l' induzione si possa fare necessario che ci sia in tutte le cose
che hanno una certa propriet un certo aspetto che renda conto di quella
propriet, cio perfettamente convertibile con essa, in modo tale che dove
il primo c' ci sia anche il secondo: vale insomma sempre lo schema della
determinazione necessaria eli un corno dell'alternativa antifatica, per cui
la determinazione di uno di essi implica la determinazione di altri di questi
corni, legati al primo secondo necessit. Dire, perci, ci che una cosa ,
dire quell'aspetto o quegli aspetti che danno conto di tutte le propriet
della cosa o di quelle che ora ci interessano. Ma perch l'induzione possa
trovare questi aspetti del reale perfettamente convertibili, bisogna che
questi aspetti ci siano, cio bisogna che le cose e le loro propriet abbiano delle essenze che di esse rendano ragione; ed essenze strutturate
11
(142) L'induzione ed il sillogismo per induzione consistono nell'attribuire sillogizzando uno degli estremi al medio attraverso l'altro estremo, per es. se B il
medio tra A e G, nel dimostrare attraverso G che A inerisce a B : cos infatti facciamo le induzioni. Sia per es. A la longevit, B il non aver bile, G un singolo longevo, per es. un uomo, un cavallo, un mulo. A tutti i G inerisce A (ch ogni G
longevo); ma anche B, il non aver bile, inerisce ad ogni G. Se dunque G si converte
con B ed il medio non supera l'estremo, necessario che A inerisca a B. Si infatti
dimostrato in precedenza che, se due certi termini ineriscono ad un terzo e questo si
converte rispetto ad uno di essi, l'altro predicato inerir a quello che si convertito.
Ma bisogna intendere che G sia tratto da tutti i casi particolari: ch l' induzione
deve essere completa (An. pr. B, 23, 68b, 15-29).
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secondo la necessit, nel senso che non sia concepibile che da una certa
essenza non si scenda ad una propriet detenninata e da una propriet
non si salga ad una essenza determinata. Non detto che quella propriet
esista sempre e pu anche a volte esserci ed a volte non esserci, se possibile, o pu anche darsi che se ne colga il suo esserci in questo momento
senza poi sapere se continuer ad esserci o se c' stata costantemente o se.
invece, il suo esserci ora solo uno spuntare dal non-essere; ma, comunque, quando c', ha questa struttura necessaria ed il suo esserci necessariamente solo un consolidarsi di questa struttura attraverso il tempo.
Del resto la convertibilit del medio proprio ci che Aristotele ha voluto
specificare dicendo a proposito dei presupposti del sillogismo che hisogua
sempre raccogliere le propriet che derivano da una cosa in tutta la &ua
pienezza, cio che i rapporti tra le propriet e le ragioni di esse devono
essere rapporti di conseguenza ed antecedenza necessaria, cio tale che
non sia pensabile che vengano meno, neppure in un caso solo (1 43 ).
Lasciando per ora in disparte l'esame dell'esempio teorizzato anche
dalla Rhetorica, l'interpretazione dell' entimetna pu fornire utili lumi alla
concezione dell' induzione ed una conferma alle propriet del sillogismo
che abbiamo messo in luce. L'entimema pu avere come premesse il verisimile ( si.xo) o il segno ( (j'l'j f!S:ov ) ( 141 ) ; mentre il primo non presenta
radicali novit rispetto alla struttura sillogistica che resta immutata, salva
la verisimiglianza delle premesse che argomento da studiare pi oltre,
il secondo porge l'occasione di precisare meglio alcune caratteristiche dei
procedimenti logici che slamo venuti studiando fin qui. Il segno una
proposizione apodittica che pu essere necessaria o probabile (W>), dove
per apodittica significa semplicemente sillogistica, nel senso che
una premessa di sillogismo che pu essere necessario o solo probabile,
come tutte le premesse sillogistiche (146 ) ; ma essa pu fungere da premessa sillogistica, perch indica un nesso reale di antecedenza-conseguenza. A prescindere dalla questione se anche gli argomenti su cui si
possono fonnulare sillogismi apodittici possano poi essere oggetto di sillogismi dialettici, resta tuttavia assodato che alcuni dei segni sono propriamente tali, mentre altri sono in senso proprio dei TEXJA.'JlQW. (1 47 );
pr. A, 27, 43b, II-14.
(U4) Entimema un sillogismo che ha premesse verisimili o ha per premesse
dei segni (An. pr. B, 27, 70 a, 9-10); verisimile e segno non sono la stessa cosa,
ma il verisimile una proposizione probabile; ci che si sa avvenire o non avvenire,
essere o non essere per lo pi in un certo modo verisimile, per es. che gli invidiosi odino o gli amanti amino (ibid. 3-6).
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solo questi ultimi sono in grado di dar:e delle proposizioni necessarie c10e
apodittiche in senso stretto. Ora questi TEXfl:ftQta sono quelli sui quali si
possono fondare sillogismi veri e propri, sebbene compiuti in senso inverso, in qttanto risalgono dalla propriet alla ragione di essa; ma appunto solo alcuni possono essere TEXfdt(Ha, perch solo alcuni sono manifestazioni di un aspetto essenziale, tale cio. che sia legato secondo necessit alla propriet di cui ragione essenziale. Ma perch questo legame
si dia, necessario che il segno pern1etta. un sillogismo di r figura, cio
che abbia la premessa minore convertibile, proprio come si richiede per le
induzioni. Se infatti questa premessa non convertibile non si ha assoluta garanzia che il segno sia proprio segno della propriet che ci interessa: se l'esser buono non solo segno di essere sapiente, ma anche di
qualcos'altro, che Pittaco sia buono non autorizza senz'altro a. dire che
Pittaco sia sapiente (14 8); mentre se l'aver latte e l'essere partoriente si
convertono perfettamente, allora se una donna ha latte, si pu scnz' altro
dire che essa partoriente (1 49 ). Perch si possa fare un sillogismo di r
figura bisogna che il segno che compare come predicato della cosa che
ci interessa compaia poi come soggetto cui si attribuisca la qualit che
rlohbiamo attribuire alla cosa: ma perch ci si verifichi, bisogna che quel
segno sia segno di quella sola qualit e non di un'altra, perch allora potrebbe anche essere soggetto di quest.1.. Quando ci si trovi in un caso
come quest'ultimo il segno sar predicato in entrambe le premesse e si
avr la 2" ,figura che sempre confutabile (150). Perci se si dispone di
considerato come "prova" (ch per "prova di solito si intende ci che fa effettivamente acquistare il sapere, e questo soprattutto il medio), o bisogn'l chiamare
propriamente " segni " quelli che fungono da estremi c " prove " quelli che fungono
da medio; il pi convincente cd il pi vero quello che si ha con la r figura
(An. Pr. B, 27, 70b, t-6).
(148) L'argomento con cui si dimostra che i sapicnti sono buoni perch Pittaco
buono di 3" figura. Sia infatti A l'esser buono, B i sapicnti e G Pittaco. vero
predicare A e S di G; senonch si asserisce una premessa senza effettiva conoscenza
c l'altra si assume (An. pr. B, ~. 7oa, 16-20); ma l'argomento di 3" figura
confutabile, anche se la conclusione vera, perch il sillogismo non universale n~
riguarda la natura della cosa : infatti non perch Pittaco sia buono lo deYono essere
anche tutti gli altri saggi (i&id., so-34).
(149) Per es. l'argomento con cui si dimostra che una donna partoriente
~erch ha latte di 1" figura : il :nedio l' "aver latte''. Sia A il partorire. B
l aver latte, G la donna (An. pr. R, 2'7, 70a, 13-16); e l'argomento di r figura
inconfutabile, se vero (perch universale) (ibid. 29-30).
-(HiO) L'argomentazione da un segno attraverso la 2 figura sempre ed asso
lutamentc confutabile: ch non si ha mai sillogismo quando i termini si trovano
come in questo caso (con entrambe le premesse di Z' figura affermative): se infatti
la partoricnte pallida ed pallida anche questa donna, non affatto necessario che
anche questa donna sia partoriente (An. pr. B, 27, 70a, 34-37). In questo caso l'esser pallida non presentato come segno esclusivo dell'esser partoriente, nel qual caso
si potrebbe convertire la prima premessa cd ottenere un sillogisrno di 1" figura inconfutabile. Se l'attribuzione di un segno ad tm oggetto permette di attribuire senz'altro a quell'og-getto la propriet di cui il segno segno (sillogismo di 1" figura) significa che quel segno segno di una sola propriet.
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un segno che sia convertibile con le propriet di cui segno si potr argomentare con necessit apodittica, altrimenti si dovr senz'altro restare nel
campo del probabile e del verisimile in cui le inferenze avranno solo la
necessit che spetta appunto al probabile ed al verisimile. Ora uno dei
casi dell'argomentare su di un TEXf.t:r]owv il q:>vawyvmf.WVE:v .: ma appunto esso possibile in quanto tiene conto di quel :n:ci{}o che 'ahov di
ogni yvo (15 1). E qui appare un legame sostanziale di necessit, in
quanto appunto l' 'Li w v reversibile perch esclusivo della cosa c caratteristico di essa, sicch, partendo da questo, si pu arrivare senza fallo al
suo soggetto, che esso in grado di distinguere e di caratterizzare. Se
invece non si prende un aspetto che sia proprio - e sia pure necessario
- non si giunge con certezza al soggetto che si cerca, perch esso pu
essere necessario anche rispetto ad altri soggetti; al contrario, se si partisse dalle premesse opportune si giungerebbe senza fallo alle conclusioni
necessarie anche se non caratteristiche ('aha ). Ma di queste questioni dovremo occuparci a proposito della scienza.
In questi procesgi, che dal basso salgono verso l'alto, particolare importanza assume il problema del senso delle proposizioni ; ma su di esso
ci siamo gi lungamente intrattenuti a proposito del sillogismo, e non
il caso di ripetere qui ci che si gi detto a suo luogo, dal momento che
anche i procedimenti qui esaminati si organizzano sulla base della struttura
sillogistica. L'erigere, tuttavia, quest'ultima a canone del senso delle proposizioni non vuoi dire che tutti i corpora delle varie scienze debbano
avere la forma semantica del sillogismo, secondo gli schemi degli Analytica priora, come dimostrano in modo lampante le stesse opere scientifiche
di Aristotele. Appunto perch il problema della semanticit eliminato
la forma linguistica diventa irrilevante, purch, in un modo o in un altro,
in essa possa prendere luogo una concatenazione necessaria ed univoca di
proposizioni, come non avviene nella dicotomia platonica. Lo studiare il
sillogismo sugli schemi e sulle formule o nel discorso sciolto dello scienziato per Aristotele la stessa cosa. Questa osservazione importante
perch mette in luce il valore propriamente scientifko che il sillogismo ha
per Io Stagi~ita e permette di vedere nella teorizzazione di esso molti
concetti che ricompariranno nelle opere scientifiche pi mature.
Ma nella struttura del sillogismo c' una propriet assai importante
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LE
AL~E
FO:RME
NECESSA~IE
DEL DISCORSO
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I. - L'APODITTICA E LA DIALt:1'TICA. Nello studio del De interpretatione la necessit si configurata come l'orizzonte della logica di
Aristotele, cio come la categoria di cui dobbiamo far uso per interpretare
il reale e per intendere il discorso che lo enuncia. Negli Analytica priora,
con il procedere dell'analisi della struttura del discorso e di quella del
reale, in quanto tale, la necessit si precisata come la stntttura dell'uno
e dell'altro, cio come la determinazione fondamentale che li costituisce
entrambi, facendo del primo un insieme di sillogismi e del secondo un
insieme di sostanze. La necessit non , perci, soltanto l'orizzonte in cui
ci collochiamo per meglio comprendere il reale, ma la condizione eli ogni
nostra comprensione del reale e di ogni enunciazione di esso. A questo
punto, per, si offre un'alternativa: o si ammette che tutta la realt
necessaria o si fa posto, entro la necessit, anche alle altre categorie madali. La prima la posizione dei Megarici ed in particolare di Diodoro
Crono (1), la seconda la posizione di Aristotele che, nell'analisi delle
categorie modali, cui abbiamo dedicato molte pagine, cerca di dare un
senso alla possibilit. Perci possibile distinguere cose necessarie e cose
possibili che sono le necessarie in potenza o sono l'accidente, cio propria-
(l) Vi sono alcuni che dicono, come i Megarici, che una cosa possibile
solo quando o in atto, ma che non possibile, quando non in atto, per es. che
colui che non costruisce non pu costrui1e, ma che un costruttore solo quando
costruisce (iJ,f etaph. B, 3, 1046 b, 29-32). Che ia negazione della potenza, operata
con la sua radicale riduzione all'atto, sia l' immediata identificazione dell'essere con
la necessit ed implichi l'assoluta necessit di ogni essere, mette in luce la testimonianza di Cicerone: ma torniamo a quella disputa di Diodoro, che chiamano nEQt
~uvCt.'tOOv in cui si indaga che effettiva validit abbia ci che potrebbe avvenire. Pensa
dunque Diodoro che solo ci che o ~ vero o sar vero pu avvenire. \La quale
asserzione solleva questa questione: nulla pu avvenire che non fosse necessario
che avvenisse, e tutto ci che potrebbe avvenire o gi o sar, n si pu mutare
il vero in falso pi nel futuro che nel passato, ma nelle cose gi avvenute I' immutabilit si pu facilmente scorgere, mentre pare che neppure ci ~ia in certe cose future, dal momento che non la si scorge (De fato, 17). Tutte le cose perci, in quanto
sono, sono necessarie, sicch di esse si pu dire in ogni momento la verit; per
Aristotele, invece, ci vale solo per le cose assolutamente necessarie che non sono
tutta la realt, ma solo una parte di essa. La differenza sta in questo : per Diodoro
tutta la realt si riduce alla necessit dell'essere in quanto , mentre per Aristotele
la realt la necessaria struttura dell'essere cio- l'immediata esclusione dei membri di un'antifasi.
'
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IL SILLOOISMO APODITTICO
129
mente non sono ; ma, appunto, ancora in quanto non sono, cadono sotto
la struttura necessaria del reale.
Come nella struttura necessaria della realt prende posto anche il
possibile, cos nella struttura necessaria del discorso si giustificano un
discorso procedente da premesse assolutamente necessarie (apodittico)
ed un discorso procedente da premesse non imponentisi con assoluta
necessit (dialettico). L'uno e l'altro si reggono su nessi necessari, ma il
primo necessario esso stesso, cio esclude la possibilit di ogni altro
discorso diverso, mentre il secondo permette la possibilit.1. di un discorso
esattamente contraddittorio a se stesso, ugualmente concatenato secondo
necessit, rispetto al quale in immediata alternativa. Il primo di questi
tipi di discorso il discorso scientifico vero e proprio. Esso, collocandosi
nell'orizzonte della necessit, come non potrebbe non fare, dato che la
necessit la sua stessa struttura e la stmttura del reale, si configura
come discorso assohttamente necessario, cio escludente ogni discorso
diverso, vale a dire contrario. Corrispondentemente anche nel campo del
reale la scienza prender ad oggetto le cose necessarie stricto sensu.
Abbiamo in questo modo messo in luce quale legame stringa gli
Analytica posteriora e gli Analytica priora, a nostro modo di vedere, e
quale sia la problematica su cui si impostano i primi: il loro esame particolareggiato decider della validit di questa interpretazione. Comunque chiaro come, nel loro studio, da un lato dovr affiorare la configurazione del discorso scientifico vero e proprio e, dall'altro, dovr precisarsi quella struttura del reale i cui primi e sommari tratti sono gi
venuti in luce negli Analytica priora. In base a queste considerazioni
si comprende come questi ultimi debbano essere considerati i presupposti
degli Analytica posteriora i cui problemi implicano l' indagine svolta in
quelli.
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" ''' :: .
2. - IL SILLOGISMO APODIT'l'ICO COM DISCORSO SCIENTIFICO. La
prima caratteristica con cui la scienza si presenta ad Aristotele, distinguendosi dalla conoscenza immediata, il rinvio ad altre precedenti
conoscenze implicito in ogni sua . nozione (2) e la cui natura varia a
seconda dei casi (S). Questa propriet, per, non vale ancora a definire
la scienza in proprio, perch comune anche ad altri tipi di discorso,
C. A.
VIANO, l<1
logica di Aris/olde.
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conosciute per dimostrazione e non essendoci altra conoscenza che la dimostrazione, secondo questa scuola cadeva con il suo presupposto la
scienza stessa (1 1 )Un'altra scuola tentava di difendere la scienza, ma, a parere di Aristotele, invano, perch accettava proprio il presupposto che inficiava
tutto il ragionamento, altrimenti giusto, della prima: cio che tutto fosse
dimostrabile (1 2 ). Ma, poich non poteva accettare di rincorrere all'infinito la dimostrazione delle premesse, essa faceva rivolgere la dimostrazione stessa in circolo, ponendo la conclusione come premessa delle sue
stesse premesse ; con quali assurde conseguenze Aristotele non ha difficolt a dimostrare. Mentre nella prima scuola si voluto vedere un'allusione ad Antistene ed ai Cinici (l:l), per la seconda la questione assai
pi spinosa, sia perch la critica ad essa non pi ripresa, sia perch non
si conosce con precisione chi nell'antichit sostenesse la dottrina in questione. Il Cherniss, seguito con riserve dal Ross (14), crede di vedere nei
(11) Alcuni credono che non ci possa essere scienza, perch bisogna conoscere
scientificamente i termini assolutamente primi, altri credono che essa ci sia, ma che
tutto sia dimostrabile; nessuna di queste due asserzioni vera n necessaria. Gli uni,
supponendo che non ci sia affatto scienza, credono di entrare in un processo all' infinito dicendo giustamente che non possibile conoscere scientificamente se non si
conoscono i conseguenti da antecedenti, prima dei quali non ce ne siano altri: eppure
impossibile andare all' infinito. Se c' un limite e vi sono dei principi, questi sono
inconoscibili, non essendoci dimostrazione di essi, poich dicono che la dimostrazione l'unica forma di sapere scientifico; se non possibile conoscere i principi
primi, non possibile conoscere in modo assoluto c pieno le loro conseguenze, se
non per ipotesi, cio ammesso che i priilcipi ci siano. La seconda scuola si accorda
con la prima sulla natura del sapere scientifico : credono, infatti, che sia possibile
sapere solo tramite la dimostrazione; ma nulla impedisce che ci sia dimostrazione
di ogni cosa; infatti la dimostrazione pti avvenire in circolo e per scambio di premesse (An. post. A, 3, 72b, 5-I&).
(12) An. post. A, 3, 72b, 15-18 (cfr. nota precedente). Che sia impossibile dimostrare in circolo chiaro, se la dimostrazione deve procedere da premesse prime
e pi conoscibili rispetto alla conclusione : infatti impossibile che le stesse cose
siano contemporaneamente anteriori e posteriori alle stesse cose, se non in modo
diverso, per es., le une prime per noi e le altre prime assolutamente, come l' induzione rende manifesto. Se cos stanno le cose, non sar ben definito il sapere scientifico preso genericamente c che non tenga conto delle due specie suddette : o piuttosto non sapere in senso assoluto una delle specie di dimostrazione, quella che
procede da ci che pi noto per noi. Ed a coloro che sostengono la dimostrazione
in circolo accade non solo di commettere l'errore suddetto, ma anche di non dire
altro che ' se questo , questo ' : ma a questo modo t facile dimostrare tutte le cose.
Si vede chiaramente come ci accada quando si pongano tre termini. Dire, infatti,
che la dimostrazione torna su se stessa attraverso molti o pochi termini, non ha nessuna importanza, purch essi non siano meno di due. Ora, quando posto che A sia,
necessariamente B, ed essendo questo G, essendo A sar G. Se necessario che
essendo A sia B, cd essendoci questo, ci sia A (questa infatti sarebbe la dimostrazione in circolo), si supponga che A sia G. Dire dunque che se c' B c' A dire
che c' G, cio che se c' A c' G; ma G e A sono la stessa cosa. Perci i sostenitori della dimostrazione in circolo finiscono con il dire null'altro che se c' A c'
A. Ma cos facile dimostrare tutte le cose (itid. 25-73a, 6).
(18) W. D. Ross, op. c-it., p. 514..
(14) H. CIIERNISS, Aristotle-'s Critic-ism of Flato and the Academy, I, Baltimore,
1944, pp.. 63 segg.; W. D. Ross, op. cit., p. SIA.
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(1:1) <Ma noi non diciamo che ogni conoscenza scientifica sia apodittica. ma che
quella delle proposizioni immediate anapodittica (e che questo sia necessario
evidente : se infatti necessario conoscere le premesse prime dalle quali procede la
dimostrazione, e se da limiti fungono ad un certo punto le premesse immediate,
bisogna pure <:hc quest'O siano anapodittiche} - ne deriva di conseguenza che non
sc:lo diciamo che esiste la scienza, ma anche un certo principio della scienza, con il
quale conosciamo i termini ultimi di essa (A t~. post. A, 3, 72b, 18-25).
(16) Se dunque il sapere scientifico quel che ponemmo che fosse, necessario
che la scienza apodittica si costituisca da premesse vere e prime ed immediate e pi
conoscibili ed anteriori rispetto alla conclusione e causa di essa: cos i principi saranno
anche appropriati al dimostrato. Anche senza questi requisiti si ha sillogismo, ma non
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completano a vicenda (17) presupponendo la concezione del processo conoscitivo che venuta in luce nella critica alla dimostrazione in cir-colo : vi cio una organizzazione del reale, con una corrispondente
-organizzazione del sapere, che si svolge linearmente da un punto assoluto di inizio ad un termine parimenti assoluto (18). N importa che
questa sistemazione del reale sia esattamente il contrario di quella che
normalmente noi consideriamo (in quanto il n:QOTE(lO\' qn)aet il JrOQQc[>TEQov Tij atath1crEw) e che perci esiga un nostro sforzo di rovesciamento delle posizioni da cui solitamente consideriamo le cose : il :n:(_>Tf.QOV qN<JEL anche yvWQL~-t<.TEQOv cio, facendo parte di una struttura necessaria della realt, si impone alla conoscenza con tutti i crismi della
necessit non lasciando al Jr(>OTEQOV xnt yvwQLf.LWTEQOV :n:Q ofJ~-t che
il posto di ultimo termine della catena; nella qual posizione soltanto esso
acquista un senso nella struttura necessaria del reale, cio pu venir
considerato nella dottrina della scienza. Delineati in tal modo i caratteri delle premesse scientifiche, si sono precisati anche i tratti del reale
presupposto come oggetto della scienza. Da un lato l' essere nella
sua piena realt, per il solito passaggio immediato dall' esser vero
all'~sser reale (H>), dall'altro quell'essere che in grado di fornire
le ragioni di tutti i suoi aspetti, cio la causa di tutte le propriet delle
cose, in quanto propriet reali (2), rispetto alle quali anteriore; anzi
assolutamente primo, in quanto il sillogismo stesso esige, come abbiamo
visto test, che vi siano delle premesse oltre le quali non si possa pi
andare (2 1 ). Lo studio della scienza come sillogismo, da un lato, e come
sillogismo apodittico, dall'altro, si completano perci a vicenda esigendo
l'una propriet delle premesse che possano essere assolutamente prime
dimosttazione: che un tale sillogismo non produrr scienza (An. post. A, 2, 71 b,
l<)-25).
(17) Vere debbono essere le premesse, perch non possibile sapere il nonessere, per es. che il diametro commensurabile. Bisogna conoscere da premesse
prime ed indimostrabili, perch in caso contrario non si sapr non avendo la dimostrazione delle premesse: perch la conoscenza scientifica non accidentale di ci di
cui possibile dimostrazione, - l'averne la dimostrazione. Le premesse debbono inoltre essere cause della conclusione c pi conoscibili ed anteriori ad essa, cause perch
sappiamo quando conosciamo la causa, cd anteriori in quanto cause e conosciute prima
non solo quanto al diverso modo di conoscerle, ma anche riguardo al sapere che sono
(An. Post. A, 2, 71 b, 25-33).
( 18) Le premesse sono anteriori e pi conoscibili in due sensi : non infatti
la stessa cosa il primo per natura ed il primo per noi, n il pi conoscibile ed il pi1
conoscibile per noi. Intendo per primo e pi conoscibile per noi le cose che sono pi
vicine alla sensazione, prime e pi conoscibili in senso assoluto le pi lontane. Le
cose pi lontane wno le pi tmiversali, le pi vicine ~ono le individuali : e si oppongono reciprocamente (An. post A, 2, 71 b, 33-72a, 5).
( 19 ) An. post. A, 2, 71 b, 25-26. Qui da notare come il 1-l-Tt uv sia senz'altro identificato con il falso per cui di esso la scienza non pu occuparsi.
( 20 ) An. Post. A, 2, 71 b, 29-31. Conoscere il Bt6n conoscere attraverso ci
che causa (lh 1:ov uh(o'U) (ibid. 6, 75.a, 35).
( 21 ) An. post. A, 2, 71b, 26-29.
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13.5
4. - LA NECESSIT DF.LLE PREMESSE. - Le determinazioni delle premesse studiate nel paragrafo precedente non hanno dato fondo al problema, perch, se sono state chiaramente indicative della posizione di
Aristotele, hanno fornito delle spiegazioni spesso solo verbali, cio non
hanno esibito una fondazione della loro stessa possibilit. E questa .viene
ora fornita da Aristotele con un esame delle premesse in quanto giudizi.
Tale esame condotto seguendo il criterio distintivo della scienza,
riguardo al suo oggetto, cio come studio di quelle cose reali che sono
integralmente spiegate dalla struttura antifatica stessa: cio che sono
uecessarie - a quanto risulta dall' impiego fatto da Aristotele delle categorie modali nel De interpretatione e negli Analytica priora - (2 6 ). Ci
naturalmente implica un ritorno alla scienza intesa come discorso apodittico che per riceve una nuova determinazione dalla precisazione
fatta riguardo all'oggetto della scienza stessa. Infatti l'apodissi appare
ora come il sillogismo derivante da premesse necessarie (2 7 ) e su que-
(22) Che un sillogismo derivi da premesse prime t: lo stesso che derivi dai
principi propri: perch intendo dire la stessa cosa quando dico primo e quando dico
principio (An. post. A, 2, 72a, S-7)(2:!) Pdncipio una premessa immediata della dimostrazione e premessa immediata quella prima della quale 11011 ce n' un'altra :s. (An. post. A, 2, 72a, 7-8).
(24) An. post. A, 2, 72a, 8-rr.
(~ii) A1~. post. A, 2, 71 b, 31-33.
( 26 ) Poich impossibile che sia diverso da com' ci di cui c' scienza in
senso pieno, l'oggetto della scienza apodittica dovrebbe essere necessario (Ant. post.
A, 4, 73,-a, 21-22).
( 27 ) L'apodissi dunque un sillogismo con premesse necessarie (A1~. post.
A, 4, 73 a, 24).
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ste basi instaurato tutto l' esame di essa, dal quale prenderanno un
senso preciso le determinazioni precedenti che questo carattere di necessit lasciavano intravvedere, ma non mettevano in piena luce. Le premesse di un sillogismo scientifico, perci, debbono essere necessarie,
ossia universali (%afJ-6A.ou), dal momento che per Aristotele si tratta della
stessa cosa (28). La nozione di %afJ-6A.ov, per, pu a sua volta essere
analizzata in altre nozioni che la costituiscono: nelle nozioni di preclicazione -r,at :n;avt6 e %afJ-'avnS (2 9 ). La prima di queste determinazioni
si identifica con la tradizionale determinazione di universalit quantitativa dei giudizi, cio con ci che i logici chiamano estensione det con
cetto, mentre la seconda designa tutte quelle attribuzioni che, direttamente o indirettamente, entrano nell'essenza di una cosa o, comunque,
ineriscono ad essa non accidentalmente, ma in quanto quella che ,
riferendosi, perci, a quella che i logici hanno chiamata la comprensione
(28) lnnanzitutto si definisca che cosa si intende per predicato valido in ogni
caso {%a:t:. :rcav-r6) per predicato va lirio del soggetto di per s (%ct-fr' n{rr6) e per universale (An. post. A, 4, 73a, 25-27). Intendo per universale ci che inerisc~ al
soggetto in ogni caso, di per s ed in quanto esso quello che : dunque chtaro
che le determinazioni universali sono quelle che ineriscono necessanamente alle cose .'
(ibid, 73b, 25-28).
(29) Intendo per predicazione valida in ogni caso quella che non sia valida
solo per alcuni soggetti e non per altri, n quella che valga solo in alcuni casi e
non in altri, per es. se di ogni uomo si pu dire animale, se vero dire che costui
un uomo, sar vero dire di esso anche che animale, e se ora vero uno di questi
predicati sar vero anche l'altro, e la stessa cosa vale per l'asserzione che in ogni
linea c' il punto. Ed eccone una prova: quando siamo richiesti di ammettere proposizioni valide in ogni caso obbiettiamo dicendo che per alcuni soggetti il predicato
non valido o che alcune volte la proposizione non vera.
Sono predicati di per s quelli che ineriscono nell'essenza di una cosa, per es.
la linea incrisce nell'essenza del triangolo ed il punto it. quella della linea (infatti
il loro essere costituito da queste determinazioni, che entrano a far parte della
loro essenza) e quei predicati che ineriscono a determinazioni inerenti a loro volta
in quelli ed entranti nella definizione della loro essenza, per es. il retto cd il curvo
nella linea, il pari ed il dispari, il primo ed il multiplo, il quadrato perfetto ed il
non perfetto per il numero : a tutti questi preicati i loro soggetti ineriscono a loro
volta essenzialmente, in un caso la linea c negli altri il numero. Analogamcnte intendo
il predicato di per s per gli altri casi, mentre chiamo predicati accidentali quelli
che non ineriscono in nessuno dei due modi suddetti, per es. " musico " o " bianco "
per "animale" ... Le determinazioni che sono state chiamate "per s" rispetto agli
oggetti che costituiscono il campo di studio della scienza in senso stretto o perch
sono predicati essenzialmente o perch ricevono delle attribuzioni essenziali, ineri.
scono ai loro soggetti per la natura stessa di questi e di necessit. Infatti non
possibile che non ineriscano o essi semplicemente o tma coppia di opposti, per es. il
retto ed il curvo alla linea ed il pari o il <)ispari al numero. Il contrario o la privazione o la contraddizione dell'altro contrario nello stesso genere, per es. nel genere
dei numeri il dispari il non pari, in quanto l'uno consegue all'altro. Sicch se
necessario affermare o negare, anche necessario che sempre ci siano le prcdicazioni di per s (An. post. A, 4, 73 a, 28 - b, 24). Del "per s., solo il primo caso
caratterizza propriamente le premesse scientifiche, perch il secondo presuppone appunto il primo e riguarda piuttosto la conclusione delle dimostrazioni, in quanto deduzione delle propriet che derivano dall'essenza secondo necessit: infatti mentre le
prime determinazioni " per s '' fanno propriamente parte dell' essenza, le seconde
derivano dalla presupposizione dell'essenza (cfr. Ross, op. cit., p. 52r).
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del concetto. Lunghe battaglie si sono combattute in favore del prevalere della concezione estensiva o di quella comprensiva nella teoria aristotelica del concetto, concluse spesso con il riconoscimento che l'una e
l'altra si trovano nello Stagirita (30), sicch consiglio migliore sar abbandonare questo dilemma riconoscendolo inappropriato per Aristotele che,
appunto, non si preoccupato di prendere una posizione in esso. Allora
nell' equazione necessario-universale sar bene insistere pi sul primo
termine che sul secondo, dal momento che su quello Aristotele si trattenuto a lungo, facendone il fondamento necessario per intendere anche
il senso del secondo (3 1 ). Nella discussione di questo problema sono
possibili due procedimenti : o si interpreta la logica aristotelica come
logica formale e si discute su estensione e comprensione dei concetti o si
vede in essa uno degli aspetti del pensiero aristotelico e se ne c~rca la
connessione con gli altri. Il primo procedimento, di solito seguito dagli
interpreti dello Stagirita, a noi precluso dopo le tesi :;o~tenute nei capitoli precedenti.
Il secondo procedimento stato seguito dal Prantl c dallo Chevalier.
Il primo, pur richiamandosi ancora agli schemi tradizionali, abbandona
la vecchia impostazione sforzandosi di vedere una stretta unione tra la
logica e la metafisica di Aristotele. Anch'egli, perci, insiste sull' interpretazione del ')(cdto/..otl come " necessario " in cui, con l'unione del xa1:
:Jtavro e del ')(ctWaur6 si realizza l'unione strettissima dell' individuale
(> dell'universale, in virt del concetto, interpretato non secondo i canoni
della logica formale, ma come Realprincip, cio come principio, inerente
all' individuale, del determinarsi di esso entro la struttura universale
delle categorie. La necessit e l'universalit si configurano, perci, come
essenzialit, cio come permanere nel tempo di certi attributi che, di
conseguenza, sono comuni anche ad altri individui (32 ). Questa impostazione, i cui meriti abbiamo detto, presenta tuttavia dei lati insoddisfacenti
connessi con tutto il piano della trattazione del Prantl che vede la connessione della logica con la metafisica solo facendo precedere questa ultima alla prima invece di cercare proprio nella prima l'origine di molti
concetti della seconda. Perci queste nozioni di xcy{}o}.ou, xat :Jtctvt6,
xaW c1'ilt6, "necessario" non sono sufficientemente determinate nel senso
preciso in cui vengono intese da Aristotele.
Per lo Chevalier, invece, le premesse necessarie del sillogismo apo(30) L. RoBiN, Aristate, op. ci t., pp. so-sr; G. CALOGERO, op. ci t., pp. r88-r92;
of form.al logic, op. cit., I, p. 45, n. 49
dove appare come il piis sia indicativo di un rapporto
ontologico che qualificato come uilivcrsale in quanto ha per termini una determinazione predicativa, da un lato, e un insieme di individui, dall'altro. Quando questo
rapporto necessario, cio vale per tutti i casi, cio per tutti gli individui della
molteplicit universale: a questo modo l'universalit ha fondamento antologico, ma
non una cosa, un ente separato; ed il suo fondamento la necessit.
(32) C. Pr:ANTL, op. cit., pp. I23-J25.
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dittico sono il prototipo stesso della necessit aristotelica e tutto il sillogismo sarebbe un tentativo di riportare tutta la realt alla necessit propria di queste premesse. Ora tutto ci si regge sul presupposto che il
nucleo della necessit aristotelica sia proprio la necessit analitica delle
premesse in cui soggetto e predicato sono reversibili, ed il cui ideale
sarebbe la dimostrazione in circolo (33). Anche questa interpretazione
ha il torto di fermarsi a queste premesse nell'analisi del concetto di
necessario, escogitando uno schema della necessit coincidente con
quello della perfetta reversibilit, senza tener conto di altri testi di Aristotele che della necessit danno altre definizioni o senza metterli in rapporto con essi. Da ci derivano tre difficolt: 1) si dimentica che Aristotele, parlando del rapporto tra il JtQOtQOv qn\crH ed il JtQtt{lO'V :n:Qc; inuxc;
lo ha raffigurato come un rapporto lineare e non circolare, criticando,
anzi, la dimostrazione in circolo ; 2) rispunta il dualismo tra spirito
analitico e spirito sintetico o scientifico di Aristotele, con il conseguente
smarrimento della reale connessione tra la logica e l'opera scientifica, ed
il dualismo tra individuo e specie (34); 3) non si spiega, facendo dipendere il sillogismo dalla necessit delle premesse, come Aristotele ahhia
potuto, negli Analytica priora, parlare di sillogismo senza distinguere le
premesse apodittiche dalle dialettiche.
L'esame delle interpretazioni del Prantl e dello Chevalier rinviano,
nunque, a precedenti chiarificazioni aristoteliche della categoria di necessit usata per caratterizzare le premesse. Quelle interpretazioni, infatti,
o non spiegano il Realprincip o, anteponendo la necessit delle premesse
a quella del sillogismo, cadono nelle difficolt che abbiat):lo detto. Ora le
indagini precedentemente condotte sulle categorie modali hanno messo
in luce come necessaria per Aristotele una struttura del discorso (sillogismo) e del reale (sostanza) in cui si collocano tutti i discorsi apofantici e tutte le cose reali cd il cui nucleo la stessa antifasi di essere
e non-essere. Le cose necessarie sono quelle per le quali, enunciata una
proposizione sul loro conto, detta proposizione in grado di valere per
tutto il loro futuro o, pronunciato su di esse un sillogismo, la conclusione
di esso ha onnivalidit temporale, cio i rapporti che conducono alla
conclusione permangono nel tempo : le premesse, perci, hanno mod:!lit
necessaria. Ora non c' ragione perch le premesse scientifiche si so!tra~
gano a queste determinazioni, in quanto anch'esse sono proposizioni: perci
la loro necessit sar semplicemente il loro collocarsi sempre dallo stesso
lato dell'antifasi. Appunto perch questo collocarsi totale ed immedi<tto,
le premesse sono indimostrabili. Questa definizione del necessario deve
per permettere una spiegazione soddisfacente delle altre due detenninazioni con esso connesse, il xar navtoc; ed il xm'l' aih-6.
(83) J. CHEVALIER, La notion du nfcessaire ehM Aristate et ches ses prdces.reurs frarticulirement chez Platon, op. cit., pp. r56-r6o.
(34) ]. CtlEVIII.,IER, op. cit., pp. 179-18o.
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5 -
- Non qui il caso di fare la storia delle vicende del pensiero platonico concernente i presupposti della ricerca scientifica. Ma non sar inutile precisare alcune posizioni di esso che possono gettare un po' di luce
sul nostro argomento. Infatti i termini cui ci siamo richiamati per illustrare la struttura sostanziale del reale quale la intende Aristotele compaiono e sono definiti nei Topica, che, com' notissimo, appartengono ad
un periodo piuttosto antico e sono stati scritti in ambiente accademico.
Ora, vedere il cammino percorso da Aristotele dai Topica al punto
degli Analytica posteriora cui il nostro esame ci ha portato pu darci
<Ielle utili indicazioni.
Non facile comprendere in una formula tutte le indagini compiute
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fungon da modelli delle seconde che sono per le uniche a poter dire
qualche cosa sull'universo in cui si vive. Appunto nel Timeo una consid~razione delle qualit sensibili delle diverse parti del nostro universo
servir a scegliere tra i diversi modelli che la scienza matematica pi
rigorosa mette a disposizione.
Ad una logica di questa natura si riferisce Aristotele nei Topica.
La parte centrale di quest'opera, costituita dai libri A, E e Z, strettamente connessa con la dicotomia platonica. Essa contiene una teoria
concernente le propriet logiche del genere, del proprio e della definizione, cio di quei termini che costituiscono la struttura del procedimento divisorio usato nell'Accademia. L'intento di Aristotele quello
di stabilire i nessi che in un retto procedimento dicotomico devono intercorrere tra quei termini. A prescindere ora dall'ortodossia del contenuto
delle dottrine logiche aristoteliche rispetto a quelle platoniche, abbastanza interessante il punto di vista che le prime adottano nei riguardi
della dicotomia. Esse, cio, non si occupano dell' uso del procedimento
divisorio, ma delle discussioni che possono sorgere intorno ad esso, del
modo in cui si ~ssono difendere o distruggere i passi che esso ha compiuto. Aristotele cio interessato a mettere in luce i vincoli cui chi ha
intrapreso un procedimento dicotomico legato, le regole che costretto
ad osservare. Se, p. es., si ammesso che la specie E appartiene al genere
A c che la sottospecie b appartiene alla specie B, allora bisogner ammettere che la sottospccie b appartiene al genere A ca 5 ). Cos se si ammette che la specie S caratterizzata dal proprio P, se un individuo x
appartiene alla specie S deve essere caratterizzato dal proprio P (3 6 ).
Infine chi dividesse il genere G nelle due specie S e 1wn-S non potrebbe
poi pensare il genere senza comprendere nell'essenza di esso una delle
due specie escludentisi, perch S e non-S, in quanto contraddittorie, esauriscono il campo di tutti i possibili rapporti di G rispetto alle sue specie.
Chi allora dividesse G nelle specie S e non-S non potrebbe poi definire
x con GS o con G non-S, perch S o non-S non aggiungerebbero nulla di
nuovo a G. Cio se si ammette G = SV""' S, non si pu pi dire che la
definizione di x x= GS o x= G t'"V S (37 ). E cos via. Lo schema
logico cui si lascia ricondurre la maggior parte dei luoghi appunto
questo : posto l' insieme delle proposizioni P 1 bisogna ammettere la proposizione P 2 o non si pu asserire la proposizione Ps. Aristotele insiste
su questo : chi adotta un procedimento logico costretto a fare o non
fare qualcosa.
Non ci preoccupiamo per ora del fondamento cui ricorre Aristotele
per stabilire i nessi necessari che bisogna osservare nella ricerca logica.
Ci interssa piuttosto sapere se l'Aristot~le dei Topica sia in grado di indi(35)
(~6)
U17 )
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H.
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14:i
6. - L'UNIVERSALIT DBLLE PRJ;MJ::SSB. - Dopo quanto abbiamo premesso non dovrebbe esser difficile rendersi conto delle altre propriet con
cui Aristotele definisce le premesse del discorso scientifico. Esse devono
essere xu:r 3tUVt<l e xul'V auro. La prima di queste due propriet si
riferisce all'universalit numerica e all' tmiversalit estensiva temporale
che devono caratterizzare le premesse. Se, cio, il loro soggetto logico
un termine che indica una classe di cose, ci che si predica di esso deve
valere per ciascuna delle cose inclusa nella classe (3~) e ciascuna di queste
deve esser tale che quella predicazione deve poter valere di essa in ogni
momento del tempo ( 40 ). Ci vuoi dire che se, messa in relazione una cosa
con una coppia di possibili predicati contraddittorii, uno di essi si determina
come predicato essenziale della com in questione, cio indispensabile per
spiegare una serie di propriet che essa possiede, allora questa attribuzione
deve valere nel tempo e pu tutte le cose che posseggono allo stesso modo
quelle propriet. Stabilito che tutte le cose che appartengono alla classe C
(indicata con il termine c) godono xut 3tUvt6 e x.cd}' ui!t6 delle propriet P, capaci di spiegare le propriet .x, y, z, ne deriva che tutte le cose
che pretendono di appartenere alla classe C (e quindi di essere indicate
collettivamente con il termine c), perch per es. posseggono le propriet
x, y, z, devono godere delle propriet P nelle condizioni sopra illustrate.
I! criterio in base al quale si connota la classe C con le propriet P non
convenzionale n derivato da una generalizzazione approssimativa, ma dal
fatto che secondo relazioni antologiche sussistenti le propriet P sono
i precedenti necessari delle propriet .x, y, z, sicch chi possiede queste
non pu non possedere quelle. Le cose che godono delle propriet .x, y, z,
senza godere delle propriet P non appartengono alla classe C e in realt
non godono sic et simpliciter delle propriet x, y, z. Poste cos le cose,
l'essenza non rischia di ipostatizzarsi in una regione antologica diversa
o superiore a quella in cui si collocano gli individui. Essa costituita solo
da quelle propriet che costituiscono il precedente necessario di tutta
una serie di altre propriet; ma sia quella che queste appartengono sempre ad individui. Il rapporto tra il termine c e il denotato C, connotato
da P, convenzionale; quello che non convenzionale l'implicazione
(30) Ammesso il riferirsi di un predicato ad una classe di termini, in tanto la
dasse ha valore e merita di essere considerata come classe, in quanto ciascuno dei
suoi membri pu essere spiegato in ogni mome1~ta dal predicato attribuito a tutta
la classe : perch clunquc ci sia universalit numerica bisogna che ci sia universalit
estensiva temporale, perch solo se gli individui sono spiegati completamente dal predicato della collettivit possono entrare in essa. D'altra parte l'universalit temporale
implica universalit numerica o come validit del predicato per tutti i casi del soggetto (se il soggetto individuale) o come validit del predicato per tutti i soggetti
(se il soggetto indica una cla~se).
(40) An. post. A, 4, 73a, 28-34. L'universalit estensiva temporale indicata dal
:itOT che, come indicativo della particolarit temporale, deve essere escluso dalle
premesse : esso infatti significherebbe che il corno dell'an ti fasi scelto come premessa
non in grado di clar conto di tutto lo svi!t1ppo temporale della cosa.
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di p da parte di x, y, z. Come si vede agevolmente la necessit co!.'-tituisce qui il fondamento dell'universalit. Sia P che x, y, z appartengono
solo e sempre ad individui, nel senso che, come predicati, si inseriscono
in una catena di predicazioni la quale al limite fa capo ad un individuale,
cio ad un complesso di detenninazioni date sensibilmente. La generalizzazione e l'estensione numerica e temporale possono avvenire solo sulla
base del collegamento di derivazione necessaria intercedente tra P da un
lato e x, y, z dall'altro. Quella connessione costituisce in proprio l' individuo perch essa il nocciolo stesso della realt che sempre connessione di propriet antecedenti con propriet conseguenti in una c.:'ltcna
che ha ai suoi estremi rispettivamente l'universalit pi generale e l'individualit ultima.
Formulando le osservazioni sopra riferite nei termini pi astratti
e generali possibili si pu dire che la struttura del reale costituita dalla
relazione predicativa tra un essere particolare (un 't'O~! n) e l'essere in
generale, cio tra qualcosa che primo per noi e l'antifasi pi generale
che quella di essere - non-essere. Ora i due termini si richiamano a
vicenda, in quanto l'uno soggetto c l'altro predicato, uno primo per noi
e l'altro primo in s c non sussistono se non come termini di quella relazione. Ma in realt :n;oAft;(w A.ymL -c: ov ; cio non esiste una contrapposizione alternativa tra essere e non-essere in generale (pena la ric.:1.duta nell'eleatismo), se non come struttura comune a esseri e non-esseri
connotati con determinazioni, magari estremamente generali, ma sempre
~.ppartenenti ad una delle categorie. D'altra parte l' individuale non
mai una realt genericamente indicabile con il -c:o/g n, ma sempre un
insieme di propriet determinate e denominabili. La sostanzialit perci
la relazione predicativa che unisce l'individuale all'universale, l' essere
questo qui all'essere e non-essere in generale; relazione che sempre
specificata in qualche modo ma che comune a tutte le specificazioni.
L' individuo, come termine della relazione con l'antifasi, non che il
luogo geometrico di un gruppo di determinazioni antifatiche, in rapporto
pi o meno defmito tra loro ; esso cio il punto per cui passano un
gruppo di determinazioni antifatiche. Rispetto all' individuo la specie
il luogo geometrico delle determinazioni antifatiche comuni a pi individui, i quali si distinguono entro la specie appunto perch in reciproca
relazione di somiglianza e non di identit. Ma quest'ultima relazione
da Aristotele considerata come data e non bisognosa di deduzione.
Da ci che abbiamo detto deriva direttamente il senso in cui crediamo che si debba interpretare la determinazione del xaW u{m) : esso cio
comprende quelle determinazioni che entrano nel nucleo essenziale di una
cosa, cio che assolutamente necessario attribuire ad una cosa in quanto
quella che (~L' ain6) e che, perci, fungono da premesse per dedurre
tutte le altre propriet della cosa, necessarie e possibili, le prime nella
loro determinatezza, le seconde nella loro indeterminazione e generalit~
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L'UNIVE~SALITA
DELLE PREMESSE
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non adatte. Alcuni interpreti ('15 ) hanno voluto vedere una netta separazione tra le premesse, rette da assoluta necessit, ed il corpo della scienza
che, dovendosi adeguare al reale, lascia invece posto alla contingenza ;
anzi si tratterebbe di una divisione del tutto analoga a quella fatta da
Platone tra mondo delle idee e mondo sensibile, giustificabile, del resto,
in un'opera remota come gli An.alytica posteriora. Senonch questa impostazione non tiene conto di come quest'ultima opera sia preceduta dagli An.alytica priora, nei quali quella divisione non compare affatto. Ma
l'analisi dei concetti aristotelici e la loro interpretazione in rapporto con
tutta la sua. opera logica, dimostra come le premesse non siano separate
dal corpo del sillogismo, ma anzi rientrino in esso come suo principio
e non abbiano altra sussistenza che quella di principi del sillogismo e
della struttura reale che ne sta a fondamento: non sono perci fuori del
sillogismo, ma in. esso, come suo principio. Gi nello studio degli A1zalytica priora avevamo visto come il sillogismo debba tener conto del d Ean
entro la pi ampia struttura sostanziale del reale. Ora questo tt crn
si precisato come il principio stesso del sillogismo, come il :i[QOtfQOV
qnJOEL su cui bisogna drizzare il ragionamento rinunciando al :n:g6rEQOv
JtQ ~ !A<'i ; ma esso non fuori della sostanza, perch il principio
cui si riconnettono tutte le propriet necessarie e possibili che, nel loro
insieme, costituiscono la sostanza. Ma se la sostanza si riattacca all'essenza
(l'ovaia al t'L ~v rlvaL) quest'ultima poi vincolata alla prima dalla
quale non pu separarsi ma in cui prende consistenza: se infatti non
concepibile una sostanza, cio un organico connettersi di propriet, senza
alcuni principi necessari che diano luogo a questo essere intelligibile, neppure concepibile un'essenza che non dia luogo a questa connessione di
propriet secondo rapporti logicamente intelligibili, cio non sono concepibili principi di intelligibilit che siano principi di nulla. Ma allora anche
la sostanza sar rapporto necessario dell' individuo con la struttura necessaria della realt? Certamente; ma l' essenza contraddistinta dall' immediatezza, mentre la sostanza conoscibile solo con una conoscenza
m.ediata, con il che si ritorna alla questione del modo di conoscenza proprio delle premesse, problema che avevamo rinviato e che rinviamo anche ora ; inoltre l'essenza comprende solo le propriet assolutamente necessarie, mentre la sostanza deve dare conto anche delle possibili; n ci
in contraddizione con il compito che stato riconosciuto proprio della
scienza, cio lo studio dell'assolutamente necessario; ch anche le propriet possibili sono indagate solo in quanto sono assolutamente necessarie.
La sostanzialit del reale , perci, il rapporto dell' individuale con
la struttura antifatica che costituisce il reale in quanto tale in auesto
rapporto si costituisce la sostanza, come organismo di propri:t ne~essaop. cit., pp. rsr-r6o; L. l<.OBIN, Aristote, op. cit., p ..w; S.
Le jugeme11t d'existetu:c chez Aristote, op. cit., pp. 125-32.
( 4 G) ]. CHEVALIER,
MANSION,
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riamente legte, dal punto di vista del reale, ed il sillogismo, dal punto di
discorso. Lo studio degli Analytica priora ha preso per oggetto
il sillogismo in quanto tale mettendone in luce la necessit e le propriet
con essa connesse; ne derivata la rivelazione .della dipendenza del sillogismo dalle premesse, ma Io studio continuato senza che si entrasse
nel merito di questa questione, pur restando determinato che le premesse
sono gi un prendere un lato dell'antifasi che il sillogismo svolger necessariamente (4G).
Fatte le precisazioni intorno ai principi sopra esaminati, nulla muta
di ci che gi lo studio del sillogismo in quanto tale ci aveva rivelato. La
scienza, infatti, servendosi dell'essenza enunciata nei principi deduce le
altre propriet rientranti nella sostanza (47 ) e le stringe entro un sistema
cos necessario che esclude il contrario; inoltre le sostanze si organizzeranno in un sistema di inclusioni per cui alcuni termini entreranno nell'essenza di altri, con la costituzione di linee di necessit assoluta ed
univoca che. proprio la scienza dovr rintracciare, cercandone i principi.
Un'unica difficolt pare sorgere a questo proposito: mentre negli Analytica priora si ammetteva la possibilit di un sillogismo con conclusione
necessaria e la premessa minore solo assertoria, qui si nega questa
possibilit e si afferma che un sillogismo apodittico deve avere tutte e dut"
'fe premesse necessarie ( 48 ), anzi si esclude che un sillogismo assertorio
vista~ del
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della scienza che nasca dalla considerazione delle cose stesse : questa
nuova nozione il yvo. Una scienza tale e si distingue dalle altre
scienze solo se lo studio di un yivo (52 ). Quest'ultimo costituito dai
principi e dalle propriet che derivano da essi in quanto sono quelli che
sono (53), sicch deve esserci un effettivo legame tra i principi della dimostrazione c le cose dimostrate (54 ) : il legame di derivazione delle propriet dai principi costituisce il y8vo come fondamento dell'unit della
scienza. Gli elementi essenziali di quest'ultima sono i principi generali
della dimostrazione, il genere e le propriet del genere che vengono dimostrate ( 55 ): ma il genere esercita la funzione unificatrice realizzando il
riferimento dei principi comuni alle propriet, permettendo di riconoscere
quali propriet rientrino nel campo di una certa determinata disciplina
e ponendosi appunto come criterio dello studio di queste propriet che
deve accogliere in s in quanto quello che . ben vero che si profila
gi fin da ora una dualit di interpretazioni, perch, mentre in An. post.
A, 28 il yivo pare essere una considerazione complessiva dei principi e
delle propriet delle cose, in An. post A, 7 esso pare collocarsi come
v:rr.oxdf.LeVOv distinto da e giustapposto ai principi generali ed alle propriet; senonch l'impossibilit di passare da un genere all'altro, affermata pi sotto eu), indica chiaramente come lo V:itOXEl!l8VOV non sia
concepito separato dalle sue propriet, ma come quello che, riferendosi
ai principi generali, lega le propriet in un tutto unitario. Ma su questa
auestione ritorneremo.
Riconosciuto il genere, in un primo esame di esso, come unione di
premesse e conseguenze, chiaro come la sua struttura non possa essere
(ii2) Una scienza quella di un genere, ossia di quelle cose che sono costituite degli elementi primi del genere e che sono parti del genere o propriet di per s
di queste parti: ogni scienza diversa dall'altra ed i principi di esse non derivano
n dalla stessa fonte n quelli dell'una da quelli dell'altra. Prova di ci si ha quando
si va ai principi anapodittici : essi devono essere dello stesso genere delle conclusioni
<he da essi si dimostrano. Ecco una prova anche di questo: le conclusioni devono
essere dello stesso genere dci principi da cui sono dimostrate (An. post. A, 28, 87a,
38- b, 4).
(53) Cfr. nota precedente, dove le prime righe del testo citato mostrano chiaramente come il genere non sia fuori delle cose, ma anzi le cose stesse rispetto a
cui i principi non sono trascendenti tanto che qui ne sono presentati come gli elementi.
( 54 ) An. post. A, 28, 87b, 1-4 dove lo stretto legame richiesto tra principi e
conseguenze ribadito con l'espressione f.v -rau-c(> yvn xa O"Uyyevi).
( 5 5) Tre elementi si possono distinguere nella dimostrazione, uno ci che
-si dimostra, la conclusione (e questo ci che inerisce a qualche genere di per s), un
altro gli assiomi (gli assiomi sono ci da cui si dimostra); terzo il genere
supposto, del quale la dimostrazione indica le propriet e ci che inerisce di per
s (A1t. post. A, 7, 75a, 39- b, 2).
(G6) Si pu passare da una scienza all'altra cio da un genere ad un altro
solo se c' reale affinit tra essi altrimenti chiaro che impossibile: perch i
mei e gli estremi debbono essere dello stesso genere (An. post. A, 7, 75b, Io-II).
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che quella del sillogismo (" 7 ) o, meglio, quella della sostanza che del sllogismo il presupposto, mentre quest'ultimo sar il discorso necessario della
scienza che del genere si occupa. Del resto gi lo studio degli Analytica
priora aveva mostrato come compito del sillogismo della necessit fosse
proprio quello di dedurre le propriet necessarie della sostanza. Solo in
quanto possono presentarsi come sostanze, cio come organizzazione di
propriet necessarie e possibili connesse tra loro, le cose rientrano in un
genere, cio possono trovare una ragione scientifica delle loro propriet
necessarie. In questo senso il genere fondato sulla considerazione delle
cose sub specie substantiae, sebbene non necessariamente dal punto di
vista della sostanzialit in quanto tale, che il punto di vista della filosofia prima ; la scienza invece considera le propriet in connessione con i
loro soggetti - senza indagare la natura universale di questa connessione - e mette in luce le ragioni di queste connessioni, in quanto per
riguardino propriet specifiche (58). In queste spiegazioni scientifiche
si tien conto solo delle propriet, connesse nella sostanza, che si vogliono
studiare, sicch la natura universale della connessione viene presa in
considerazione solo in quanto pu fungere da fondamento di queste spiegazioni. Le propriet delle cose in quanto sono contenute in una sostanza
possono essere spiegate in base a principi ad esse appropriati ai quali
rinviano come a termini ultimi e sommi dei processi discorsivi volti a
determinare le loro ragioni. Ma questi principi primi e finiti di numero
hanno consistenza solo nella sostanza, come le classi generali dei possibili
predicati che essa pu ricevere, e, in essa, si riferiscono alle singole propriet nel loro essere determinate propriet: si tratta delle categorie ("t1).
(57) An. pr. A, rs, 34a, r6-r9.
(58) Il punto di vista della sostanzialit in quanto tale quello da cui abbiamo
esaminato le premesse dell'apodissi ucl par. 4 e che costituisce il fondamento del
genere in quanto tale, sebbene non dia luogo a nessun genere particolare. Questo
rapporto quello che intercori"e tra i principi comuni ed i principi propri di eia
scun genere. Come sostanzialit il genere non le singole sostanze, ma la connessione necessaria di certe propriet delle cose ed il loro riandare a principi ad esse
appropriati : appunto perci non si esclude che in esso vi possano essere essenze
specificamente diverse (i principi propri), sebbene volte alla spiegazione di propriet
comprese nel genere. Anzi il genere non sussiste che in quelle essem:e specificamente diverse, come legame di una certa categoria di propriet ai loro principi.
(59) Per dimostrare che la apodissi limitata verso l'alto, Aristottle ricorre
alla distinzione delle categorie come determinazioni ultime, distinte e impredieabili l'una dell'altra, alle quali si rifanno tutti i predicati, cio tutte le propriet
delle cose: di ogni cosa si predica ci(, che significa o il quale o il quanto o una
di queste categorie o ci che nell'essenza; e queste cose sono finite, come anche
sono finiti i generi delle categorie: o il quale o il quanto o il relativo o ci che fa
o ci che patisce o il dove o il quando (An. post. A, 22, 83 b, 13-17). Qui compare la distinzione tra ci che entra come predicato nell' csscm:a (-t v oii ouo,t) e
ci che cade sotto le altre categorie; ma poich queste non possono predicar si a
vicenda l'una dell'altra (ibid. 9), debbono necessariamente prcdicarsi della sostanza
e, perci, solo in questa potranno trovare una mgione della loro inerenza, cio solo
nei -c f:v -cfl o<Jt~. Il genere , perci, proprio quello che nella sostanzialit introduce la limitazione alla considerazione delle propriet che cadono sotto le categorie
pertinenti alla scienza in questione.
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funloro
d'al'- ,. !
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L'APODITTICA E L'ORGANIZZAZIONI:
D~LLA
SCIENZA
gismo deriva da premesse non immediate (perch non si assume la prima causa,
mentre la scienza del perch si serve di essa), in un altro modo se il sillogismo deriva
s da premesse immediate, ma non attraverso la causa, ma, per la conversione delle
premesse, attraverso il pi conoscibile. Nulla impedisce che nelle proposizioni
convertibili a volte sia pi conoscibile quella che non d la causa, sicch attraverso
questa si compia la dimostrazione, per es. che i pianeti sono vicini, perch non brillano (An. post. A, 13, 78a, 22-30).
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on
l 55
on
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(G3) An. post. A, 23, 87b, I-4 dove appunto si dice che i principi che sono il
{hon pi alto debbono essere nello stesso genere delle conclusioni.
(U4) Come avviene nell'esempio recato dallo stesso Aristotele: per es. sia A
animale, B il respirare, G la parete. Di ogni B t\ proprio A (perch ogni essere che
respira un animale), che per non spetta a nessuno dei G, sicch neppure B
spetta a nessuno dei G: dunque il muro non respira (An. post. A, I 3, 78 b, 24-!z8).
Qui infatti come causa del fatto che i muri non respirano viene addotta quella che
gli animali respirano, sicch il non essere animale sarebbe causa del non respirare;
ma invece non ogni animale respira (ibid. 22-23).
(65) Quando cerchiamo semplicemente il "che" o il "se c'", cerchiamo se
c' o se non c' un medio di esso~ (An. post. B, 2, 89b, 37-38).
(66) Quando conosciamo il "che", cerchiamo il "perch" (An. Post. B, I,
89b, 29).
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B,
2,
90a, 6-7).
(Gll) Quando, avendo preso conoscenza del "che " c del "se ", o in senso
particolare o in senso assoluto, cerchiamo "ci attraverso cui" o "che cosa ", allora
cerchiamo che cosa il medio (At~. post. B, 2, &)h, 38-goa, r).
(69) In tutte queste ricerche chiaro che la stessa cosa il " che cosa " crl
il "perch "~ (An. post. B, 2, 90a, 14-15).
(70) Come dunque diciamo, il conoscere il " che cosa " lo stesso che conoscere il " perch ~ " c questo o assolutamente e di quelle cose che non ineriscono in
nessun modo ad altro o di quelle cose che ineriscono (An. post. B, 2, 90a, 31-;14).
(71) Ogni scienza apodittica verte intorno a tre cose, ci che si assume che sia
(questo costituisce il genere di cui la scienza indaga le propriet che ineriscono di per
s), i principi comuni detti assiomi, dai quali, in quanto primi dimostra, e in terzo luogo
le propdet di ciascuna delle quali assume che cosa significa (An. post. A, 10, 76 h,
Il-16).
( 7 2) Intendo per principi in ciascun genere quelli di cui non si pu dimostrare
che sono. Si assume dunque che cosa significhino ed i principi e le loro conseguenze,
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PI~INCIPI
PROPRII E l COMUNI
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(79) Non n ipotesi n postulato, ci che necessario che sia di per s c che
deve essere pensato come necessario. Ot la dimostrazione non si rivolge al discorso
esterno ma al discorso interiore dell'animo, poich neppure il sillogismo si rivolge al
discorso esterno (An. post. A, ro, 76b, 23-25). Poich Aristotele precedentemente
ha detto: tra le tesi chiamo ipotesi quella che assume uno qualunque dci membri di
tm'antifasi, per es. quando dico che qualcosa o non (ibid. z, 72a, r8-2o) e poich
ha asserito, nello stesso capitolo 1 o da cui abbiamo citato il primo passo, che per i
principi si assume l'essere, oltre il significato, la dichiarazione che i principi non sono
ipotesi a rigore non collima con i passi precedentemente citati. Ma l'uso di questo
termine non costante in Aristotele che, qui, lo considera sinonimo di assunzione
arbitraria (cfr. Ross, op. cit., p. 540).
(80) Intendo per ineri re o non inerire immediatamente, il non esserci medio
di quell' inerire (An. post. A, rs, 79a, 34-35).
(81) An. post. A, 13, 78a, 24-26.
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sia immediata, ma anche per non essere partiti da principi adatti, ctoe
connessi necessariamente con le propriet da spiegare (82). Questo problema pu essere avviato alla soluzione solo con un'analisi interna dell'essenza.
In quanto il yvo fondato snll'essenza, le cose solo m esso possono venire studiate in base alla loro propria natura .che le fa essere
quello che sono (x nov ezow n1>v xE(vou ft 'XE:vo) (S 3) e le mette
in grado di accogliere le propriet che di esse possono venire predicate
come proprie. In questo senso l'essenza sempre un singolo, come si ricava dai chiarimenti di Aristotele sull'ordine che si deve osservare nella
predicazione e sulla prcdicazione per accidente (84 ) ; nella predicazione il
soggetto, della cui essenza appunto si tratta, sempre l' individuale concreto, a meno che non si proceda per accidente. N questo in contrasto
con l'ammissione di Aristotele che il yvo l'unit, in re, della scienza,
cio ci che lega in unit gli oggetti studiati da una scienza. Perch il
contrasto si avrebbe solo se universalit del yvo ed individualit delle
cose fossero a loro volta cose materialmente separate e non rapporti,
come abbiamo gi detto. Cos definita, l'essenza universale principio -di
intelligibilit dell'individuale, racchiude, in certo modo, in se stessa la
scienza e si pone come garanzia della sua sistematicit conchiusa e completa: il r( ~v ELvUL, infatti, costituito da un numero limitato di elementi e, perci, del tutto percorribile con la mente, analizzabile in tutti
i suoi componenti, sicch nulla sfugga alla riflessione dello scienziato. In
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altre parole gli oggetti della scienza sono tutti integralmente spiegabili
dalla scienza stessa (85 ). Ma la trattazione di questo quesito fa s che
risorga il problema, cui abbiamo gi accennato pi sopra, cio quello
della specificazione delle antifasi la cui determinazione immediata pu
fungere da principio della scienza. Appunto queste antifasi devono essere
b<::n determinate c limitate se la scienza deve poter esaurire con il suo
studio tutti gli aspetti del reale e spiegarli esaurientemente nel loro vero
essere reale che il loro essere necessario ed immutabile. Ecco allora
profilarsi all' orizzonte la dottrina delle categorie come elementi ultimi
dell'essenza o classi pit'1 alte delle possibili antifasi rispetto alle quali le
cose si determinino immediatamente (86 ) ; come a queste categorie Aristotele arrivi, quali criteri usi a determinarle, le implicanze di questa dottrina, sono tutti problemi che restano da trattare ed ai quali qui abbiamo
accennato solo perch fosse pi completo il quadro della prohlematica
e della dottrina dei principi.
Tenendo presente le osservazioni or ora fatte si potr facilmente
vedere come il yvo sia ad un tempo il principio da etti si deducono le
propriet, il soggetto di esse e l' insieme organico del soggetto e delle sue
propriet necessarie, perch l'essenza, suo principio, contiene gi in s tutte
le propriet che costituiscono il yvo c che saranno via via svolte : e ci
garantisce la finit numerica degli elementi fondamentali della scienza
che non corre pi il rischio di dover procedere all'infinito (87 ). Ma ci
mostra come, d'altro lato, l'essenza, di sua natura, non possa restare chiusa
in s, ma debba dare uogo alla deduzione dci predicati che ad essa sono
propri: il che costituisce, come gi abbiamo visto, la struttura 'tessa del
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genere (88). Anche qui l'elemento semantico viene a distinguere verbalmente le propriet diverse di cui le diverse scienze si occupano, ma di
per s non sufficiente a questo compito, ch non d nessuna garanzia
delle distinzioni che l'uso di parole differenti pare accennare: solo la
dimostrazione dell'effettiva inerenza di queste propriet pu dare un valido fondamento alla distinzione delle propriet (80 ). Cio solo se le
espressioni semantiche, presa la forma dell'affermazione o della negazione
- fattesi, cio, apofantiche - , possono inserirsi nella sostanza e qui avere
il loro posto, la distinzione semantica delle diverse propriet reale. Le
propriet caratteristiche dedotte dall'essenza, insieme con l'essenza da cui
sono dedotte, costituiscono la sostanza, come insieme di propriet legate
secondo la necessit sillogistica. Le cose individuali, infatti, messe in
immediato rapporto con le antifasi la cui determinazione immediata,
mostrano la loro natura di sostanze come determinazione necessaria di
certe altre antifasi, la cui deduzione, appunto, mediata tramite le prime.
I principi comuni, propriamente, non rientrano espressamente nell~organismo detle scienze e non fungono da premesse dei sillogismi apodittici di cui le varie discipline si servono (90), eccezion fatta per i casi
di dimostrazione per assurdo (91 ), in cui bisogna fare ricorso alla struttura necessaria della realt per mostrare l' impossibilit che due propriet contraddittorie ineriscano contemporaneamente allo stesso soggetto.
Tuttavia anche in questo caso i- principi comuni prendono una configurazione adatta al genere cui vengono specificamente applicati, come sempre, in genere, la loro applicazione ai diversi generi diversifica la loro
veste semantica (9 2), pur senza modificare il loro contenuto, dal momento
(88) Sono principi propri quelli che si assume che siano e le cui propriet di
per s la scienza studia (An. post. A, Io, 76b, 3 Dove da 110tare che il c: per
s ~' delle propriet dedotte diverso dal 4: per s delle premesse: a qur:ste infatti
spettano le propriet che entrano immediatamente nell'essenza, cio la prima categoria di predicati distinta nel testo citato in n. 87, mentre le propriet dedotte sono
per s proprio nel senso che derivano necessariamente dall'essenza, in quanto
quella che e perci la implicano nella loro definizione, costituendo la seconda categoria di propriet menzionate in n. 87.
(80) c: Per quanto riguarda le propriet che ineriscono ad essi i principi propri
di per s, si assume che cosa ciascuna di esse significhi, per es. l'aritmetica assume
che cosa significhino pari e dispari o quadrato e cubo, la geometria l' irrazionale
o il convergere o l' intersecare, ma si dimostra che sono attraverso i principi comuni o le conclusioni gi dimostrate (An. post. A, IO, 76b, 6-n); ibid. 76a, 31-36.
(90) Nessuna dimostrazione assume che non si pu afferma1e e negare contemporaneamente, a meno che non debba dimostrare che ci vale specificamente per
la conclusione (At~. post. A, II, 77a, ro-r2).
( 01 ) Assume che ogni cosa si debba affermare o negare la dimostrazione per
assurdo, ed anche in questa non sempre in universale, ma solo per quanto ad essa
sufficiente, cio per quanto sufficiente al genere (A t~. post. A, n, 77a, 22-24).
(9~) I principi comuni sono comuni per analogia, poich di essi utile quanto
appartiene al genere che la scienza studia"' (Att. post. A, ro, 76a, 38-40); sono
principi comuni per es. che sottraendo uguali da uguali si ottengono uguali. Di
ciascuno di essi sufficiente quanto rientra in un genere: sar infatti lo stesso as-
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che si tratta solo di semanticit, cio di convenzionalit; dei segni linguistici con cui un certo contenuto invariabile ed appartenente all' essere
viene enunciato: appunto perci questi principi, pur specificandosi per
i singoli generi, non cessano di essere comuni a tutti (x.otvci). Il loro ufficio quello di fondare la stessa possibilit del yf.vo, ossia della dimostrazione delle propriet : essi cio sono il fondamento stesso della sostanza, come presupposto reale del sillogismo: vale a dire i principi stessi
dell' essere in quanto tale. Infatti, se lo specificarsi solo semantico del
principio dell'essere, fa s che esso non si perda scindendosi nella molteplicit dei yv11 e costituisca ancora ci che di comune c' fra di essi,
d'altra parte il suo necessario specificarsi fa s che esso non sia in grado
di costituire un yvo a s, dal momento che l'unit che esso fonda non si
basa sull'identit delle essenze, ma sulla analogia ( xar' &va.oy(av) dei
diversi generi che hanno la stessa struttura, sebbene volta alla spiegazione di propriet diverse (93 ). In questo senso non possibile una scienza
dei principi propri di ciascuna scienza (94 ), sul modello delle scienze singole. Infatti si presupporrebbe allora un vero e proprio yvo comprensivo di tutti gli altri yvyt, con le seguenti due difficolt: 1) ogni scienza
non sarebbe pi una compiuta spiegazione delle propriet di cui si occupa, perch avrebbe sopra di s la scienza dei principi da cui essa stessa
deriva e ai cui principi dovrebbe attingere per derivare da premesse assolutamente prime ed immediate ; 2") se le scienze rientrassero in un unico
genere di cui ci fosse un'unica scienza si avrebbe un indebito passaggio
da genere a genere. Tutto ci conferma come il principio dell'essere sia
il fondamento antologico del y,o in quanto tale, cio della struttura
sostanziale del reale, che sola permette la scienza e perci non appartiene a nessuna di esse in particolare, neppure ad una scienza delle scienze
che sia fondata su di un yvo del tutto identico a quello delle altre scienze.
Questo principio quello che il De interpretatione e gli Analytica priora
hanno additato come il fondamento del reale in quanto tale e del discorso
apofantico che lo enuncia. N ci in contrasto con la concezione della
metafisica come scienza dei principi dell'essere e della dimostrazione (95 ):
sumcrlo per tutti i generi o solo per le gramlezze, o, per il matematico, solo pe!
numeri (ibid. 76a, 41-b, 2).
(93) An. Post. A, 10, 76a, 39-40.
(94) chiaro che non possibile dimostrare i principi propri di ciascun genere: sarebbero, infatti, i loro prindpi i principi di tutto e la loro scienza la scienza
suprema. Ch sa di pi quello che conosce procedendo da cause pi alte: perch sa
da ci che primo, quando sa da cause non causate. Se questi sa di pi, anzi, sa
al massimo, anche quella scienza sar la maggiore anzi la massima. La dimostrazione non si adatta ad un altro genere, ma, come si detto, la geometria si adatta
alla meccanica ed all'ottica e l'aritmetica all'armonica (An. post. A, 9, 76a, r6-25).
(95) C' una scienza che studia l'essere in quanto essere e quanto ad esso incrisce di per s (Metaph., r, I, IOOJa, 21-22); in quanto scienza dcll'ov fl V, la filosofia scienza della sostanza : il filosofo dovrebbe possedere i principi e le cause
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(101) La dialettica non studia alcune cose definite, n un genere eh~ abbia
un'unit. In tal caso infatti non interrogherebbe: ch non possibile che chi dimostra interroghi, perch non possibile dimostrare la stessa cosa degli opposti. Ma
questo si gi mostrato negli scritti sul sillogismo (An. post. A, n, 77a, 31-35).
( 1 02) Nella scienza il sillogismo deve derivare da premesse necessarie (An.
Post. A, 6, 74 b, 15).
(108) An. Post. A, 6, 74 b, 26-32.
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l'opera si vede come esso in realt sia l'orizzonte della modalit in cui il
necessario ed il possibile sono reali, non essendo l' ed il non
che l'immediato collocarsi da uno dei soli due lati - ciascuno esclusivo
dell'altro - possibili in questo orizzonte. Ora se questa collocazione si
afferma, perch pare immediatamente tale, essa necessaria in quanto
quello che e non quello che non , ma il suo essere non ancora conosciuto nella sua modalit, cio non si sa se questa collocazione abbia o no
onnivalidit temporale, se sia necessaria o possibile. Se invece l' immediatezza inerente alla necessit assoluta della collocazione nell'antifasi, cio
alla sua onnivalidit temporale, allora essere immediato vuoi dire essere
determinato anche nella modalit. Mentre negli Analytica priora importava mettere in luce la necessit antifatica persistente in un discorso procedente da principi - fossero essi apodittici o dialettici, ma gli uni e gli
altri gi compresi entro l'antifasi - ed il necessario presupposto sostanzialistico di questa necessit del discorso, negli Analytiw posteriora preme
tener conto anche della conoscenza del reale da parte di chi enuncia il
discorso - dal momento che si tratta di una teoria della scienza - sicchc
non pi ammissibile un essere del quale resti indeterminata la modalit.
Un tale essere sar infatti l'essere immediato, ;;rgon.ogov :ng ihui di
cui la scienza deve appunto determinare la modalit. Senza dubbio l'essere
come attualit, cio come attuale collocarsi da un Jato dell'antifasi, e la
struttura di esso come nesso di propriet e sua ragione fondato sulla necessit sillogistica sono ancora considerati come la struttura del reale, in
quanto sempre determinato secondo un membro dcll'antifasi e sempre
necessariamente collegato con altre determinazioni antifatichc - in dipendenza da principi immediati perch necessari - nell'organizzazione della
sostanza, ma appunto perch conoscenza delle propriet insieme con il
loro lh6n, cio nella sostanza, la scienza non pu prescindere dalla loro
modalit. Essa cio deve sapere se quell'attualit con le ragioni che l'hanno
determinata persista nel futuro, sicch sia integralmente spiegabile nella
sostanza per il suo legame univoco con i principi assolutamente necessari
o se invece di essa, per il futuro, possa predicarsi tant0 l' ,~ssere rhe il
non-essere. Nella scienza, come nella sostanza, perci, le propriet non
possono essere che possibili o necessarie, mentre l'essere si precisa quale l'orizzonte della necessit antfatica in cui necessariamente collocato
chiunque pronunci un discorso apofantico, dal momento che ogni essere
non pu non esservi compreso. L'essere si traspone da orizzonte Hecessario della realt e del discorso apofantico al piano delle categorie madali, come mancanza di determinazione della modalit, solo nell' immediatezza - che non sia l'immediatezza del necessario - per etti si enuncia in una proposizione l' o il non , senza metterlo, per, in rapporto
con I'antifasi di cui un corno ; o per cui si enuncia la ragione dell'
o del non di una certa antifasi - ragione presentata come necessaria ma senza spingere la mediazione fino all'immediato perch necessario in
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{ 1 04) evidente che se le premesse da cui :ieri va il sillogismo sono universali, anche la conclusione di una tale dimostra?.ionc c, in senso assoluto, della dimo~
strazionc deve essere eterna (A1~. post. A, 8, 75 b, 21-24).
( 1 0(;) La dimostrazione delle cose necessarie e, se esse seno state dimostrate,
non possibile che siano diversamente da come sono (A t~. post. A, 6, 74 b, I3-IS).
(106) Non c' dunque scienza n dimostrazione in senso assoluto delle cose
corruttibili, ma come per accidente, perch le conclusioni non sono valide delle cose
po,sibili nella loro totalit, ma solo in certi casi c sotto certi aspetti (An. po st.
A, 8, 7Sb, 24~26).
( 1 07) E dunque chiaro che in tutte le cose si ri::erca sempre il medio (An ..
i'Mt. R, 3, 90a, 35-36).
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zione che invece pare non si possa sostenere quando non st rmpongano
degli schemi esteriori al pensiero aristotelico. Piuttosto pare il caso di
parlare di un' apertura , di un interesse di Aristotele verso le cose
che non mostrino una assoluta necessit ma che pur potrebbero essere
oggetto di scienza: per, si badi, sempre di una scienza fondata sulla
categoria della necessit. Ed in questo senso Aristotele lavorer ancora
molto in tutta la sua speculazione, affinando sempre di pi i concetti su
cui gi la logica lavora ed ai quali rester sostanzialmente fedele.
Se il tipo di possibile che abbiamo test illustrato oggetto della
scienza solo xuT uuf.lBBrp~o, c' per un senso in cui del possibile ci
possono essere delle conclusioni necessarie: in quanto, cio, ci si riporti
all' essere della possibilit, cio all'essere, alla sostanza della cosa che
possiede questa possibilit, considerata come indeterminazione tra due
corni nccessarianumte escludentisi. Abbiamo gi visto come questo sia
un'altra, sebbene diversa, riduzione del possibile al necessario in quanto
anche qui non si considera la possibilit in quanto tale, ma la possibilit
in quanto necessaria determinazione dell'antifasi possibile e non-possibile : cio la possibilit considerata come propriet di una cosa c,
in quanto tale, come necessit, non ancora realizzata, di determinarsi per
uno di due corni di un'antifasi necessaria che le presenta necessariamente
queste due sole alternative. La possibilit perci si appiattisce tutta sull'essere della cosa cui appartiene come propriet di quella cosa - propriet che pu anche essere necessaria - ossia come appartenenza a
quella cosa di certi attributi, sebbene non sia determinato se in un momento .r appartenga quell'attributo o il suo contraddittorio : comunque,
quell'attributo o il suo contraddittorio devono necessariamente esserci e quei due soltanto - e sempre necessariamente escludersi (IH). In.
questo senso tra le propriet necessarie di una cosa ci pu essere anche
l' indeterminazione di due attributi contrari (ma uguali ai contraddittori,
perch senza termine intermedio) (115). La scienza non pu occuparsi di
questi due attributi, ma solo della necessit che l'uno o la sua negazione
ci sia, perch non pu determinare quando detto attributo ci ~ia o non ci
sia, ma solo che sempre c' o non c'. A questo modo la possibilit viene
ridotta a necessit antifatica. In quanto ridotta a indeterminazione entro
la necessit antifatica, la possibilit pu essere studiata da una scienza
avente conclusioni necessarie, perch appunto necessario che entro quella
( 114 ) An. Post. A, 8, 7Sb, 33-36. In questo passo si dice che le scienze del non
necessario, in quanto considerano le cose come inerenza non eterna di certi predicati
(ii ~, o"- dEi), sono ~emplicemente particolari e perci si possono dire scienze Rolo
accidentalmente, mentre in quanto considerano le cose come tali che di esse si possa
asserire una certa possibilit indeterminata, determinabile ccn un medio particola1c c
corruttibile, sono eterne. La dimensione della necessit si trova in questi casi cousi
derando l'essere del soggetto che tale da permettere ::Ielle possibilit, cio considerano l'essere del possibile i le scien7.e sono eterne in quanto studiano questo essere.
(lliS) An.. post. A, 4, 73b, r8-24.
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__,
l
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Si dice accidente ci che incriscc a qualche cosa e che pu essere asserito con verit, ma che non necessariamente n per lo pi (Metaph., 1'1, 30,
1025a, 14-15).
( 118 ) Perci in certo qual modo Platone non male assegn la sofistica al
11?.n-e~sere.. ln!atti
discorsi dei sofisti vcrtono intorno all'accidente, per cos dire,
P!U d1 tutti ~h. altn :1> (Metaph. E, 2, 10z6b, 14-16); sembra infatti che l'accidente
sxa un che v1cmo al non-essere (ibid. 21).
(11 9 ) L<~; dialetiica e la sofistica vertono intorno agli accidenti delle cose che
sono, ma non m quanto sono, n il loro oggetto l'essere in quanto essere (i\1 eta ph.
K, 3, 1o6r b, 8-ro).
( 120) L'accidente non accidente di un accidente a meno che entrambi non
siano accidenti della stessa cosa, intendo per es.. che i;1 " il bianco musico " e in
"questo bianco" entrambi sono accidenti di uomo (Metaph., r, 4, 1007b, 2-5).
( 11 1)
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per la sostanza; ma in questo suo non-essere cade ancora sotto la necessit intrascendibile della contrariet antifatica. Il possibile come potet17.a
del necessario si inquadra bene entro lo schema della scienza come assoluta necessit, in quanto un possibile che pi nulla ha di proprio
avendo rinunciato all' indeterminazione, nell'ambito dell'antifasi. Fuori
del campo della scienza perci non resta che l'accidente, come determinazione di un'antifasi rispetto alla quale la cosa non pu determinarsi in
modo valido per ogni tempo; ma esso , come abbiamo visto, oggetto
della dialettica.
In quanto riconosce la distinzione di accidentale e necessario la scienza
in grado di determinare la causa delle propriet che studia, anzi la vera
ed unica causa delle propriet che studia. Ogni sillogismo in quanto istituisce una catena di nessi necessari d in ogni passaggio la ragione del
passaggio successivo, considerato come l' unico possibile che si presenti
dopo l'antecedente; ma pu darsi che una delle premesse del sillogismo
sia falsa, nel qual caso la conclusione potr s essere vera, ma non sar
certo vera la ragione che se ne d, proprio con la premessa falsa. D'altra
parte la propriet necessaria entra in rapporto con molti altri termini
reali, oltre i suoi antecedenti necessari : di conseguenza possibile costruire un sillogismo che concluda con quella propriet ma che vi pervenga per es. dalla considerazione dei conseguenti - non degli antecedenti - di essa, prendendo un carattere induttivo (1 21 ), oppure possibile costruire un sillogismo che consideri quella propriet in relazione
con altre catene di antecedenti-conseguenti con le quali essa entra in rapporti necessari, ma con le quali non entra necessariamente in rapporto (1 22 ).
Compito della scienza , allora, quello di inserire la propriet nella catena
in cui necessariamente entra e nel suo giusto luogo, cio dopo antecedenti
dai quali necessariamente deriva. Ma poich l'agganciamento ad una catena di termini necessariamente legati implica, in una considerazione scientifica, il percorso di tutta la catena fino al suo termine immediato, cio
al principio, la vera causa di una propriet si pu determinare solo facendo ricorso al principio immediato (123 ). Ora, se il principio immediato
detennina un yvo, la determinazione della causa di un termine consiste
nell' inserzione di quel termine in un y~vo; ed essendo il yfvo la so(121) Infatti nulla impedisce che dei termini interscambiabili di una proposi
zione quello che non costituisce ia causa ~ia il pi conoscibile, sicch attraverso di
esso si possa condurre la dimostrazione, per es. che i pianeti sono vicini perch non
brillano. Si supponga che C siano i pianeti, B il non brillare, A l'essere vicini.
vero asserire B di C; infatti i pianeti non brillano. Ma anche A di B ; perch ci
che non brilla vicino; il che si assunto con un' induzione o con una sensazione.
dunque necessario che A inerisca a C, sicch si dimostrato che i pianeti sono
vicini. Questo sillogismo non dice perch lo sono, ma che lo sono: infatti i pianeti
non sono vicini perch non brillino, ma non brillano perch sono vicini (A11-. post,
A, '3 78a, 28-38).
( 1 22) An. post. A, 13, 78b, :z428.
(12:1) An. post. A, 13, 78 a, 22-26.
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L' IDI\ALL\
(1_21!) Tra l'altro per stabilire che il sillogisrno di 1" figura il sillogismo scientifico per eccellenza, Aristotele si serve rlell'esclusione <!cile altre figure delle quali
nella seconda figura non si ha sillogismo affermativo (An. post. A, 14, 79a, 25-2tl)
e nell'ultima figura si ha conclusione affermativa ma non universale>> (ibid. 27-28).
(127) Poich la proposizione affermativa migliore della negativa, chiaro
che anche migliore della dimostrazione per assurdo (An. post. A, 26, 87a, 1-2).
(128) Gli accidenti non sono necessari, sicch non necessariamente si conosce
il perch della conclusione, neppure nel case. in cui valga sempre, ma non sia di per
s, come nel caso dei sillogisrni che si servono dei segni (An. post., A, 6, 75 a, 31-33).
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,.,
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tica ricorrono assai meno, sostituiti da esempi tratti dalle scienze fisiche
e costituiti spesso da casi imbarazzanti per una teoria generale del sapere
dimostrativo rigoroso. Se il libro A illustra l'aspetto deduttivo della scicn~a, il B si ferma su quello induttivo, sulla ricerca dei principi .: mentre
il primo non accenna alla collocazione temporale delle propriet studiate
dalla scienza, il secondo ne tiene conto (1 32) e presta attenzione alla
teoria della causalit. Tutto farebbe pensare che in esso si tenti un'estensione dell' ideale scientifico del libro A dalla scienza delle cose eterne a
quella delle cose corruttibili. Questo tentativo del resto perfettamente
coerente con la prima attivit scientifica di Aristotele, esplicatasi in opere
quali il De coelo, il De generationc: et corruptione, la Physica, i Meteorologica. Pi che indagini scientifiche particolari lo Stagirita tenta in questi
scritti una sistemazione generale della fisica su basi quanto pi possibile rigorose. Il materiale molto spesso quello accademico o quello
della tradizione greca in generale; ma la sistemazione e il modo in cui le
nozioni, anche vecchie, vengono fatte lavorare originale. Gli ideali
scientifici degli Analytica agiscono in questi tentativi come modelli cui le
ricerche fisiche devono adeguarsi, anche se integrazioni e modificazioni
vengono apportati a quelle strutture logiche sulla base delle esigenzt'
affioranti dal lavoro concreto.
Gli elementi caratteristici sopra accennati si colgono con maggiore
facilit nelle opere meno originali per il loro contenuto. Non sarebbe
difficile dimostrare che gran parte del contenuto del De coelo preso dal
Timeo ; ma assai agevole, d'altro lato, osservare come esso sia sistemato
ed esposto in maniera notevolmente diversa. Leggendo l'opera di Aristotele si ha subito l'impressione che sia caduta la diffidenza ancora visibile nel dialogo platonico verso un fenomeno cos sconcertante come il
movimento (1 33). Le distinzioni tra moto circolare e moto lineare, tra
moto naturale e moto violento, ccn i relativi apprezzamenti sono presi
senza dubbio dal Timeo e derivano dalle discussioni accademiche dalle
quali probabilmente il Timeo nacque; ma il modo in cui il De coelo definisce il campo della ricerca fisica mostra intenti abbastanza diversi da
quelli platonici. La possibilit di essere soggetto di movimento locale
diventa per Aristotele il criterio di appartenenza al dominio fisico ( 1 3 4 ).
Questo asserto poteva essere vero anche per Platone: ma per Aristotele la proposizione sopra riportata significa che il movimento il criterio
di intelligibilit del mondo fisico, il suo principio (a~;~x{j), ci cui suff.ciente ricorrere per spiegare tutti i fenomeni di cui le scienze fisiche si
occupano. Un tentativo del genere mirava a congedare per sempre la
tendenza pitagoreggiante a spiegare l'universo fisico per mezzo di figure
( 1 32)
An. post. B,
12.
(183) Tim., 57 d- 58 c.
(134) De coelo, A,
2,
268b, 14-16.
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IDEAI.~
LOGICO E RICERCHE
SCIENTif!CI1~
177
geometriche e di entit matematiche : il moto e le sue distinzioni dovevano bastare a dat ragione dei corpi e dei loro fenomeni. In realt, come
abbiamo detto sopra, quelle distinzioni erano gi comparse nel Timeo dove per fungevano da variabili dipendenti rispetto alle forme e agli elementi sulla base dei quali l'universo era spiegato. Nel De coelo, invece, le
varie specie di moto SOI!O le variabili indipendenti sulla base delle quali
si determinano gli elementi c via via tutti i fenomeni fisici.
Questo tentativo comporta una difficolt fondamentale gi discussa
da Platone nel Timeo. Le varie specie di moto rettilineo - moto verso
l'alto e moto verso il basso - hanno l'inconveniente di essere determinazioni relative, in quanto in un universo sferico nessuno in grado
di additare il basso in s e l'alto in s (1 30 ). Infatti per ogni punto se
ne pu trovare uno opposto ed equidistante dal centro senza che si
possa aggiungere che uno alto e l'altro basso; anche per il centro,
equidistante da tutte le parti, quelle determinazioni non hanno senso.
Cos anche le qualificazioni di pesante e leggero - indissolubilmente legate a q1;1elle di << moto verso il basso e moto verso l'alto - soffrono
(Iella medesima relativit (1 36 ). Aristotele deve affrontare questa difficolt per giustificare il principio fondamentale della propria fisica. Egli
cio deve rendere assolute le determinazioni che per Platone erano soltanto relative e perci potevano essere usate solo in relazione con una
spiegazione geometrica degli elementi che desse di questi un' interpretazione indipendente da e precedente a ogni discriminazione di senso del
moto rettilineo. Aristotele realizza questo punto partendo subito verso
una spiegazione dinamica e non geometrica dell'universo: esso s una
sfera con un centro unico, ma quel che conta non prendere atto di questa
forma, quanto venire in chiaro sulle leggi dinamiche che l'hanno determinata e che la mantengono. Da questo punto di vista il centro dell'universo non soltanto un'entit geometrica, ma ci che risulta da una serie
di movimenti rettilinei convergenti (quelli che definiscono la terra e l'acqua), i quali non solo garantiscono la permanenza della configurazione
sferica, ma anche l'unicit di questa sfera e la finitezza dell'universo; il
quale, perci, consiste in un sistema chiuso autosufficiente e autoregolantesi fondato sul movimento.
Dal punto di vista che in questa sede ci interessa la novit pi grossa
del De coelo era appunto il tentativo di costruire la spiegazione dell'universo nel suo complesso sulla base del movimento. Uno degli strumenti
logici che permettevano questa modificazione ci noto: si tratta dell'uso
sistematico della relazione predicativa. Da questo punto di vista i principi
esistono solo come predicati universali della classe di cose individuali
che devono spiegare, sicch devono essere direttamente confrontabili con
( 13:;)
Tim., 62c- 63 a.
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179
permettevano di fondare l'unit del campo della fisica, autonomo e indipendente da altri campi di studio, in particolare dalla matematica. Aristotele evitava cos quella f.LE-caBacrL.; d;; t'D,o yvo, che pareva essere
la colpa fondamentae della fisica platonica (1 38), poco preoccupata di far
ricorso a principi esplicativi che avessero i caratteri fondanwntali dei
fenomeni da spiegare e che perci fossero in grado di essere messi n
relazione diretta con essi ..Matematica e fisica hanno caratteri nettamente
distinti in quanto la seconda si occupa dei corpi, dai CJUali la prima fa
astrazione, sicch partire da entit matematiche per spiegare fenomeni
fisici significa voler costruire l'universo fisico con elementi che non hanno
nessuna delle propriet tipiche dell'universo fisico (1 3 9 ). L'unica base sulla
quale esso definibile come unit quella fornita dalla considerazione
materiale di esso, cio dalla considerazione di quell'aspetto per cui esso
costituito da corpi. Su questo punto Aristotele insiste a lungo nel De
coelo e il valore di questa insistenza si comprende se si pensa che essa
ha un significato polemico nei riguardi dei tentativi matematizzanti del
Timeo platonico: essa non il rifiuto dei principi in nome di un'esperienza sensibile fatta caso per caso e nemica della generalizzazione, ma
l'appello ad un ordine di principi diverso da quello invocato da Platone.
Il tentativo aristotelico del De coelo appunto quello di dimostrare che
in una considerazione dell'universo come corpo o insieme di corpi possibile trovare i principi di spiegazione delle sue propriet fisiche (140).
Ma il campo al cui studio Aristotele si era accinto si divideva subito in due parti distinguibili appunto mediante le determinazioni fonda.
mentali che aveva scelto. Da un lato un corpo celeste dotato di movimento circolare, ingenerato c incorruttibile e, dall' altro, un insieme di
corpi che nascono e che si disfano, dot:1.ti di movimenti rettilinei. L' indagine del corpo celeste non presentava, in linea di principio, nessun carattere sconcertante, perch aveva a che fare con un oggetto la cui persistenz;_a era garantita e le cui propriet erano costanti, essendo lo stesso
movimento circolare il passaggio per punti tutti uguali tra loro. Maggiori difficolt di fondo pareva invece presentare l'indagine dei corpi sublunari, nei quali si introduceva il pericoloso elemento costituito dalla
generazione e corruzione che sembravano minacciare la sussistenza stessa dell' oggetto della ricerca. Come possibile trovare quakhe cosa eli
permanente oltre il nascere e il morire dei singoli? E, nel caso specifico,
come possibile fare ricorso a principi materiali permanenti? Aristotele
abbonda nella discussione eli questo problema di riferimenti storici ai
grandi nomi della filosofia greca, soprattutto presocratica: i fisiologi, Parmenide, :Rraclito, Empedocle, Anassagora, Democrito e Platone sono i
(138) De coelo,
(189) De coelo,
(140) De coelo,
r, 7, 3o6a, 5-17.
r, I, 298a, 24- 299a,
r' 8, JOib, !9-24-
17.
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180
personaggi con i quali egli disputa. Infatti il vecchio problema enunciato in modo netto e crudo da Pannenidc quello che qui Aristotele deve
affrontare. Il movimento, soprattutto quando si manifesta come generazione e corruzione, introduce il non-essere nell'essere, anzi lo pone alle
radici stesse di questo. Il principio di spiegazione deve perci sottrarsi
al movimento per non essere divorato da questo. E proprio questa conseguenza pare rendere impossibile il tentativo aristotelico di costruire la
fisica come scienza. Tutti coloro che, come Empedocle, Anassagora, gli
atomisti, ecc., hanno fatto ricorso ad una molteplicit di principi fisici non
hanno condotto il loro tentativo fino in fondo, perch hanno postulato
per quei principi l' incorruttibilit, cio li hanno sottratti al movimento
che dovevano spiegare riducendoli a manifestazioni diverse di un' unica
sostanza, oppure li hanno configurati in modo da farli cadere in difficolt
logiche e fisiche non indifferenti (14 1). Aristotele ben deciso a spiegare
generazione e corruzione con principi anch'essi soggetti a quel processo,
quali sono appunto i quattro elementi tradizionali che egli definisce sulla
base dei moti naturali che ad essi sono proprii. Definiti a questo modo,
essi risultano finiti di numero (1 42) e perci tutti perfettamente conoscibili : condizione indispensabile questa se si vogliono far funzionare da
principi di spiegazione scientifica. N ello stesso tempo per essi non sono
sottratti alla generazione e alla corruzione : si deve concedere che non
sono eterni, n occorre ammettere che essi nascano da una sostanza unica
nella quale tornino a dissolversi o che comunque siano configurazioni temporanee e provvisorie di un unico sostrato. L'alternativa non tra la nascita dall'essere eterno e onnicomprensivo e la nascita dal nulla; si pu
ammettere che ciascuno di essi nasca da un altro elemento e finisca in un
altro elemento, senza con ci identificare nessun elemento con l' essere
nella sua totalit (143 ). Non detto perci che ogni parte di realt debba
contenere tutti e quattro quegli elementi ; essi - o tutti e quattro o uno
solo, o due, o tre e in diverse proporzioni reciproche - esistono in potenza in ogni realt naturale in quanto corpo e in atto in quanto corpi indipendenti e sussistenti. Ci vuol dire, dal punto di vista gnoseologico,
che gli elementi sono i termini ultimi ai quali possa essere ridotta ogni
realt naturale in quanto corpo (1 44). Con questa interpretazione della
teoria tradizionale degli elementi Aristotele realizza due scopi. Da un lato
si procura dei principi costanti e immutabili per la spiegazione dei fenomeni fisici e, dall'altro, caratterizza questi principi in modo da non renderli costituzionalmente diversi dai fenomeni che devono spiegare. Infatti,
mentre l' esistenza potenziale degli elementi implicata da ogni corpo
esistente, la loro esistenza attuale non gode di nessun particolare privi-
r,
r,
(142) De coelo,
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IDEALE LOGICO E
RIC~RCHF.: SCI~NTJFICHE
181
legio rispetto alle altre realt fisiche. A questo punto la persistenza dell'esistenza potenziale significa la possibilit di ricorrere alle propriet che
caratterizzano in proprio i singoli elementi come principi da cui derivare
propriet fisiche successive; e l'agganciamento di quella possibilit all'esistenza potenziale indica il tentativo di dare una base ontologica, un carattere di assolutezza ai principi invocati.
L'aspetto insidioso e sconcertante della nascita e della morte sembrava evitato nella considerazione degli elementi del mondo fisico. Essi
possono s acquistare e perdere la loro esistenza attuale, ma non la loro
esistenza potenziale che garantita dalla struttura sistematica e unitaria
dell'universo stesso. Ma le sostanze di cui si occupa la scienza fisica non
sono solo gli elementi, bens anche i corpi costituiti dall' unione degli
elementi. La generazione e la distruzione di quei corpi pu essere interpretata in due modi opposti: o come affioramento dal non-essere assoluto
e ricaduta in esso o come farsi e disfarsi dell'unione dei quattro elementi.
La prima interpreta:>:ione urta contro le difficolt di principio messe in
luce dagli Eleati e perci insostenibiie; la seconda interpretazione accettata da Aristotele, ma con delle correzioni, il cui fondamento da ricercare nella teoria degli elementi presentata nel De coelo. Qui risultava
chiaro come gli elementi di Aristotele, a differenza di quelli di Empedocle o degli atomi di Democrito, non fossero eterni, ma esistessero solo
potenzialmente in tutti i corpi. Ci rendeva impossibile ridurre ad una
semplice alterazione di dosaggio quella che a prin;a vista si presenta come
nascita e morte di corpi indipendenti : infatti nella reciproca mescolanza
gli elementi perdono le loro qualit proprie e specifiche per acquistarne
altre che caratterizzano in proprio il compo:;to. Ora queste proprict;{ non
esistono separatamente ma solo come predicati di un soggetto sostanziale
la cui origine c la cui scomparsa costituiscono propriamente la generazione e la corruzione. Aristotele non privilegia l' essere attribuibile agli
elementi considerandolo come l'unico vero e fondamentale, rispetto al
quale ogni realt fisica non sarebbe che la manifestazione fenomenica,
ma pone tutte le sostanze al livello antologico degli elementi ; i quali sono
appunto reali solo in quanto centri di predicazione di propriet essenziali come il moto verso l'alto o il moto verso il basso, il secco o l'umido,
il caldo o il freddo, ecc. D'altra parte essi stessi nascono e muoiono come
ogni altra sostanza. Il fatto che essi siano i costituenti irriducibili della
realt fisica significa soltanto che per spiegare le propriet fisiche delle
sostanze bisogna rifarsi ai processi di generazione e di corruzione che
hanno messo capo da quegli elementi a queste sostanze determinando le
propriet che le caratterizzano. In realt la stessa sostanza che nata dalla
loro morte deve essere tenuta presente per comprendere come sono avvenuti i processi materiali che hanno condotto alla nascita di essa. A questo
punto l'aspetto pi imbarazzante del mutamento ritorna. Dal punto di
vista scientifico ci possono essere delle propriet fondamentali per la spiegazione dei fenomeni fisici, ma proprio il loro soggetto logico, che do-
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~l
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G1
non
ancora a2 , pur potendo esserlo. Il non sta a significare una potenzialit, secondo un procedimento logico chiarito nelle parti precedenti del
nostro lavoro. Perci la generazione sempre un passaggio dalla potenza
all'atto, cio da a 1 che non a2 in atto ma a,2 in potenza ad a2 in
atto (147). Di conseguenza non si pu dire che qualsiasi cosa derivi da
qualsiasi cosa e che qnalsiasi cosa possa mettere capo a qualsiasi cosa,
ma esistono linee di derivazione definite e rilevabili, costituite appunto
dalla natura stessa delle cose che nascono e muoiono (148 ).
Queste linee di derivazione hanno per delle caratteristiche che
opportuno osservare. Infatti data una sostanza esistente noi possiamo agevolmente ricostruire la genesi di essa, cio trovare gli elementi materiali
che la costituiscono e nei quali essa esisteva in un certo momento in potenza. In questo senso disponiamo di una linea unca e necessaria. Altrettanto non pu dirsi del senso inverso : dati infatti degli elementi materiali non possiamo atJermare che da essi derivi necessariamente e unicamente una determinata sostanza, ma, tutt'al pi, che da essi pu derivare
(come non derivare) una determinata sostanza. La materia appunto
quell'aspetto della sostanza per cui essa si inserisce in un processo di
generazione e di corruzione, per cui cio deriva dalla corruzione di altre
sostanze e genera, corrompendosi, altre sostanze (1 49 ). Dal punto di
vista della materia nessuna sostanza necessaria, perch nessuna sostanza si configura come l'unico esito possibile dei processi di corruzione delle
altre sostanze da cui ha tratto origine. Essa avrebbe potuto anche derivare da altre sostanze individualmente diverse o addirittura non esistere
affatto : se nato tuo padre, non per questo era t1ecessario che nascessi
anche tu (150 ). L'unica sostanza necessaria dal punto di vista ddla
materia la sostanza celeste che eterna c dotata solo di moto circolare,
il quale presuppone sempre l' integrit del mezzo ed il semplice spostamento tra punti tutti reciprocamente identici. La sostanza celeste persiste in se stes,sa e percorre fasi tutte perfettamente concatenate l'una
~ll'altra perch costituite solo dalla presa di posizione in punti di una
traiettoria continua ctcolare: alla fine del proprio ciclo di mutamento
essa ritorna al medesimo punto di partenza. Altrettanto non pu dirsi per
le sostanze sublunari ognuna delle quali scompare per sempre, dando
luogo tutt'al pi ad una sostanza diversa della stessa specie. Per questa
ragione nel mondo sublunare pare non esserci necessit.
Tuttavia proprio alla fine del De generatione et corrufJtione, dove
Aristotele insiste con maggiore nettezza sulla divisione del mondo fisico
tra la parte celeste e quella sublunare, si profila la possibilit di intrav(147)
(118)
(149)
(150)
De
De
De
De
gen. et
et
gen. et
gett. et
gen.
corr.,
corr.,
corr.,
corr.,
A, 317b, 14-20.
B, 6, .333b, 5-18.
B, 9, 335a, 24-b, 7.
B, r r.
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( 1 ril)
(152)
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sta deve perci partire un' indagine fisica scientifica. La natura appunto
la forma (!lOQ<p~ o sHo) alla quale il processo generativo tende (1 53).
Su questa base la fisica pu organizzar~i come scienza distinta dalla
matematica, ma analoga ad essa. La matematica si occupa di quelle propriet formali che possono essere astratte dalla materia, mentre la fisica
si occupa di quelle propriet formali la cui spiegazione richiede il riferimento alla materia. Ma questa non un'entit separata a s stante,
ma un termine relativo alla forma stessa: costituita dalla forma di quelle
sostanze la cui presenza stata necessaria al sorgere di quella in questione e alle quali si deve fare riferimento nella spiegazione di essa (1H).
Il fisico dovr allora iscrivere a capo dei suoi ragionamenti la forma
della sostanza, considerata come il fine cui tendono tutti i processi generativi che l' hanno prodotta. Questa forma diventer allora il criterio
sulla base del quale discriminare le relazioni materia-forma necessarie
per la sostanza in questione. Se il processo pare inverso a quello del
matematico, in quanto per questo le premesse determinano la necessit
delle conclusioni, mentre sembra che per il fisico la conclusione determini la necessit delle premesse, le cose in realt non stanno cos. Infatti
il fisico si serve del nesso finale, in base al quale ci che cronologicamente successivo logicamente anteriore e condizionante: in questo
senso la forma come fine funge da premessa del ragionamento scientifico (100). Da questo punto di vista la fisb'l si occupa della relazione mezzifine nel mondo naturale usando il fine per reperire i mezzi che esso
necessariamente implica tra quelli che il mondo naturale mette a disposizione. Essa cio stabilisce delle relazioni causali tra le determinazioni
formali che fungono da fine e quelle che fungono da mezzo e che appartengono a sostanze che precedono cronologicamente quelle in questione.
In questa regressione cronologica si incontra al limite l'universo fisico
stesso nella sua totalit, in quanto d senso alla ripartizione dei luoghi
naturali degli elementi e con il moto del Sole mantiene il ciclo generazione-corruzione. Le singole forme, pttr implicando questi presupposti
generali, non li contravvengono, perch a loro volta si pongono come
mezzi per il mantenimento dell'universo nel suo complesso. Tuttavia da
questo non possibile dedurre le singole forme e sostanze : e in questo
senso Aristotele dice che nel mondo sublunare esiste una necessit e%
hypothesi. Per tracciare un quadro completo dei processi naturali necessari occorre cio introdurre di volta in volta la considerazione di sostanze esistenti e da queste regredire fino ai presupposti pi generali del
mondo naturale. La dimostrazione di quest'ultimo e della necessit della
sua persistenza implica soltanto il soddisfacimento di alcune condizioni
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struttura. Nell'ambito di questa ogni scienza studia una classe di predi-cati dipendenti da alcuni predicati fondamentali che costituiscono l'essenza
e sulla base dei quali si formulano i principi proprii alle singole discipline. L'unicit della struttura logico-ontologica costituita dalla dipendenza dei principi proprii dai principi comuni a tutte le cose. La logica
si pbne come compito la rilevazione di questi principi e la loro specificazione nelle singole scienze fungendo da opportuna introduzione alla filosofia prima intesa come indagine dell'essere in quanto tale.
Attraverso l'esame della matematica svincolata dalla teoria platonica
delle idee, gli Analytica posteriom definiscono sulla base dell'essenza il
campo di indagine della scienza: questa si occupa di propriet unificabili
mediante le stesse determinazioni essenziali, cio vede caratterizzato il
proprio dominio per mezzo dell' invariabilit delle cose necessarie. Tuttavia proprio mentre restringe al massin1o il campo della scienza rigorosa
Aristotele apre la possibilit che anche le cose che avvengono solo per
lo pi siano oggetto di indagini scientifiche, anche se in forma meno rigorosa (156 ). Ma l'elemento pi importante degli Analytica posteriora
proprio il tentativo di formulazione della struttura della scienza dimostrativa pi rigorosa negli stessi termini logici che servivano all' impianto di fondo delle prime opere fisiche. La logica come alcune parti del
De generatione et corruptione ancora propensa a porre un profondo
iato tra la scienza delle sostanze celesti eterne c quella delle sostanze sublunari cormttibili, ma decisa a rifiutare ogni sussistenza sostanziale
agli enti matematici. L' importante che la necessit che compete a questi enti una necessit interna alla e dipendente dalla loro essenza : e
l'essenza un termine che appartiene a tutte le sostanze dalle pi degne
alle pi modeste. Ci che in alcune parti del libro A degli Analytica posteriora costituisce ancora una remora all'ammissione di una scienza delle
cose transeunti il fatto che a proposito di esse si pu parlare di nascita
e di morte ; parole senza senso per i corpi celesti e per i triangoli.
Ma nel libro B della stessa opera viene data ospitalit, tra gli strumenti della scienza, a quegli schemi logici mediante i quali il De generatione et corruptione e la Physica tentano di ritrovare un filo di necessit
anche nel mondo sublunare. Il sillogismo dimostrativo deve essere una
trascrizione dei nessi causali della realt e al medio in particolare spetta
la funzione di portatore del rapporto causale. Ora questo rapporto causale pu essere realizzato in quattro modi diversi che, pur con qualche
sfumatura, sono molto vicini alle quattro cause della Physica (1 57 ). Soprattutto la trattazione della causa finale interessante in questa sede.
Essa si configura come quella causa che permette di operare delle deduzioni nel terrenO delle COSe 110n neceSSarie (l~R), intendendO per non
post. A, 8.
An. post~ B, II.
An. posi. B, II, 94 b, 34- 95a, 9
(166) At~.
(157)
(1118)
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necessari quei processi che possono avere esiti diversi, per necessari quelli che hanno esito univoco. La rilevazione di questa univocit
e della necessit che essa costituisce si fa per sempre sulla base di una
delle quattro cause e significa perci l' integrale spiegabilit di un fenomeno per mezzo di una di esse. Secondariamente la necessit viene ad assumere il significato di costrizione : ci si verifica quando un fenomeno deve venire spiegato con due tipi di causa contemporaneamente,
nel qual caso la spiegazione che si gi fornita con una causa costringe
lungo vie obbligate, almeno parzialmente, la spiegazione che si deve dare
con l'altro tipo di causa. Questo caso si manifesta il pi delle volte, soprattutto nelle opere scientifiche, come interferenza della causa materiale
con la causa finale, che si trova appunto costretta dalla prima. Ora, quando
la necessit della causa materiale non completa., la causa finale pu
farsi essa principio di spiegazione, cio medio di un sillogismo causale, e
dare ordine agli elementi di un processo materiale indirizzato alla realizzazione di un fine. Che proprio l'uso previsto per la causa finale nei
passi sopra citati della Physica, dove si riconosce alle cose transeunti una
necessit ex hypothesi. Con questo posto il fondamento per l'estensione
del sapere scientifico rigoroso dal mondo delle cose eterne a quello delle
cose corruttibili. Infatti, una volta ammesso che anche i processi di generazione e di corruzione non toccano mai la forma che anzi sta ad indirizzarli e a renderli comprensibili, si sono raggiunte proprio quelle determinazioni essenziali che rendono necessario il sapere. E se anche nella
generazione e nella corruzione sono reperibili aspetti essenziali, vuol dire
che anche in quei processi sar possibile reperire qualche cosa di costante e di eterno ( 11m). Non si tratter pi di sostanze eterne, ma di
determinazioni eterne delle sosta-nze. Questo passaggio fondamentale
per la logica. aristotelica ed stato reso possibile proprio dalla struttura
della scienza nei termini che siamo venuti chiarendo fin qui. Essi sono i
termini che costituiscono la struttura stessa dell'essere, di quello eterno
come di quello transeunte ; e la logica pur cercando quei termini nel corpo
delle scienze pi rigorose ha tentato di renderli disponibili per tutte le
djscipline in grado eli trovare la necessit della sostanza ovunque si
manifesti.
Ma a questo punto la possibilit di una scienza rigorosa in generale
rimane ancora sospesa ad un punto estremamente importante. La dimostrazione, in quanto siltogismo ha bisogno di premesse e in quanto sillogismo apodittico ha bisogno di premesse non prese a caso. L' unico
modo per evitare la casualit pare essere la dimostrazione che giustifica
ci che asserisce; ma ogni dimostrazione ha appunto bisogno di premesse
apposite : sicch o si va all' infinito o si fa un circolo. Aristotele si gi
posto questo problema e in un certo senso lo ha poi eluso supponendo
( 159 )
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l PRINCIPI E
u:
DU'INIZIONI
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disponibili le premesse scientifiche e limitandosi ad indagare le caratteristiche che le devono definire. Tuttavia la rilevazione delle loro propriet
senita ad indicare verso quale punto deve indirizzarsi un' indagine
dei mezzi con i quali esse possono essere raggiunte. Soltanto le detenninazioni essenziali possono dar luogo alle premesse dei sillogismi sdentifici e le determinazioni essenziali sono a loro volta quelle presupposte
da tutte le propriet di una sostanza. Ma in realt una dimostrazione
rigorosa di questo nesso di dipendenza presuppone gi una nozione sicura
dell'essenza da una parte e delle propriet dall'altra. Per uscire dal dilemma non resta allora che ammettere un tipo di conoscenza diverso da e
precedente a quello dimostrativo: sar la conoscenza intuitiva propria del
vo'il che l' QY.~ srctoT{jflll (H 0). Soltanto questa forma di conoscenza
sar in grado di metterei alla diretta presenza delle determinazioni essenziali che in ogni scienza costituiscono il punto di partenza della deduzione.
Tuttavia l' intuizione non una presenza permanente delle nozioni pi
universali nella mente umana. Essa deve essere cercata attraverso tentativi, con l'accostamento dei termini tra i quali pu rivelare una relazione
immediata. La costruzione della dimostrazione la guida pi adatta per
introdurre il logico al lavoro di induzione dello scienziato.
12. - I PRINCIPI E LE Df.FINIZIONI. I problemi che il paragrafo
precedente ha posto esigono che si risponda alla domanda : come si possono conoscere i principi ? Ossia, visto che la definizione il tipo di
discorso con cui si enunciano i principi (1 61 ), come si possono ottenere
le definizioni ?
Nell'edificio della scienza aristotelica, che abbiamo test esaminato,
la limpida chiarezza apparente rivela ben tosto delle difficolt non indifferenti. Abbiamo visto come la scienza prenda come suo oggetto le propriet che appartengono alle cose xcrr nuv-ro e xu-&' uv-r6, e che rinviano,
come a principi della loro deduzione, al -r( an, cio all'essenza; ora questa essenza ci si configurata come un rapporto, in quanto mettendo
l'individuale, quale concretamente ci dato, in rapporto con certe antifasi, immediatamente si rivela quale membro di queste antifasi ad esso
competa. L'essenza allora un'apertura del xu-&'f.xacrtov verso le antifasi
dalle quali necessariamente si scende alle propriet che, nel xm't'xa<Ttov,
si vogliono scientificamente considerare. Ma poich queste propriet rimandano ad antifasi diverse, ecco sorgere generi diversi che rinviano a
considerazioni diverse dell'essenza delle cose. In questo senso i generi non
devono essere entit separate dalle cose. II problema proprio della definizione allora quello di attribuire un genere alla cosa, cio di sapere
111 che genere deve rientrare la cosa e che posizione deve occupare in
Chiamo intelletto il principio clla scienza'> (A t~. post. A, 33, 88b, 36).
La definizione infatti dell'essenza e della sostanza (An. post. ll, J,
90b, 30-31).
( 1 60)
( 1 6 1)
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190
L'APODITTICA
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I PRINCIPI
t LE DEfiNIZIONI
191
dare luogo a dimostrazioni, in quanto dei principi bisogna non solo spiegare il Tt crn, ma anche asserire T dvcu (17). Da ci che precede
pare perci che Aristotele faccia una distinzione tra la definizione ed il
giudizio in cui si asserisce che l'oggetto di quella definizione esiste, in
quanto l'oggetto della definizione si rivela in una intellezione pura che
non ancora asserzione di esistenza (1 7 i). Tuttavia per ora Io Stagirita
non riprende questa distinzione per approfondirla, ]asciandola solo intravvedere.
Il sillogismo che, com' chiaro, non potrebbe mai applicarsi alla defillizione in quanto enunciazione non predicativa, dal momento che si
svolge tutto tra proposizioni, potrebbe per ammettere, come sua conclusione, una proposizione in cui si assegnasse una certa definizione ad
una data cosa: qui infatti un nesso predicativo ci sarebbe. Ora la lunga
argomentazione con cui Aristotele dimostra che un simile sillogismo si
rsolverebbe, in ultima analisi, in una petitio principii (172) importante
perch ribadisce uno dei caratteri delle proposizioni che sole possono
fungere da premesse apodittiche, cio 1' immediatezza. Ogni sillogismo
che voglia raggiungere risultati necessari presuppone gi delle proposizioni attributive della definizione, la cui caratteristica l'immediatezza,
come indimostrabilit. Allora pare assodato che le premesse immediate
del sillogismo apodittico sono proposizioni che attribuiscono una definizione ad un soggetto : restano per ora indetenninati i caratteri distintivi di questo soggetto e quelli dell' intuizione intellettuale, come fondamento dell'immediatezza.
Questa immediatezza, tuttavia, deve essere fondata sulla necessit
c non sulla casualit del primo presentarsi : proprio perci la dicotomia
platonica. non in grado eli dare una dimostrazione dell'essenza. Questa
sarebbe la sua pretesa e, anzi, questo il suo vizio, in quanto tentativo
del tutto illusorio di attingere con mezzi discorsivi ci che si rivela alla
sola intelligen,za. Infatti il suo fallimento come dimostrazione dell'essenza
dovuto al suo fallimento come dimostrazione in genere, cio alla manma ipotesi si hanno nelle premesse, mentre le definizioni devono essere ~emplicemente
comprese: c quc1;ta non tm' ipotesi (a meno che si dica che tm' ipotesi anche
l'udire), ma la conclusione riguarda le cose che sono in quanto sono quelle che sono
(An. post. A, IO, 76b, 35-39).
(170) Dei principi propri le scien:>.e assumono che siano e che siano questo qui
(.1n. Post. A, IO, 76b, s-6).
(171) An. posi, A, IO, 76b, 37
(172) Il sillogismo dimostra qualcosa di qualcosa tramite il medio ; l'essenza, il
proprio e ci che si predica nell'essenza si convertono necessariamente. Infatti se
A proprio eli G, chiaro che lo sar anche di B e questo di G, sicch tutti si
predicperanno l'un dell'altro.. Ma se A inerisce nell'essenza eli B ecl universalmente
B si dice nell'essenza eli G, necessario che anche A si dica nell'essenza di G. ~la
se non si saranno fatte assunzioni, non sar necessario che A si predichi di G nell'essen:>.a di B, ma non di quelle cose nella cui essenza B. Ma allora possieelcr
gi entrambe le essenze: e sar dunque B l'essenza di G. Se ha entrambe le essen7.c,
nel medio avr gi l'essenza che voleva dimostrare (An. post. .B, 4, 91 a, 14-26).
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192
(178) Nella dicotomia non assolutamente necessario che la cosa sia quella
che , perch tali sono le sue premesse, ma non dimostra neppure come dimostra
l' induzione. Questa infatti non deve chiedere interrogando la conclusione, n questa
quella che perch concessa, ma necessario che sia, per l'essere delle premesse,
anche se non lo concede colui che risponde (An. post. B, 5, 91 b, 14-17).
(17 4) La dicotomia pu risolvere le sue difficolt con l'assumere le predicazioni che entrano nell'essenza, ed ordinarie di seguito con la divisione, presupponendo
la premessa, e senza tralasciare nulla. Questo necessario se tutto cade entro la
divisione dicotomica e nulla sfugge ad essa: infatti l' individuo deve essere gi
costituito. Ma tuttavia non sillogismo, ma, se lo , fa conoscere le cose in modo
diverso. E ci non per nulla strano : ch neppure facendo l' induzione, in nn
certo senso, si dimostra, e tuttavia si rendono note le cose. Non dice un sillogismo
colui che pronuncia una definizione procedendo con la dicotomia (An. post. B, s.
91 b, 28-36).
( 1 75) In che modo chi definisce mostrer la sostanza o l'essenza? Non certo
dimostrando far chiaro, partendo da premesse concordate, che, essendovi quelle pre
messe, c' qualche altra cosa in modo necessario (questa proprio la dimostrazione),
n con un' induzione attraverso gli individuali evidenti di per s, dimostrer che
tutto cos perch nulla diverso: infatti non dimostra l'essenza, ma che o che
non . Quale altro modo resta allora? Ch non certo dimostrer con la sensazione o
accennando a dito (A11. post. B, 7, 92a, 34- b, 3).
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193
e perci legato alla libera decisione del dimostrante e non alla necessit
assoluta dei principi (17t.;). Se davvero la validit della definizione si li
mitasse alla spiegazione del significato di un nome in nulla sarebbero diverse le definizioni vere c proprie (cio le definizioni dei principi) dalle
definizioni dci nomi delle propriet che debbono ancora essere dimostrate,
quanto al loro essere (1 77 ); e il dimostrante non saprebbe se i principi da
cui parte ci siano veramente o se si tratti solo della fittizia ipostatizzazione
di un nome (1 7 s). Ma ci che manca alla definizione per costituirsi quale
t:onoscenza completa dell'essere del definito un medio (179). Solo ricevendo un medio la definizione pu farsi garante dell'essere del definito;
ma un medio presuppone un giudizio, sicch la definizione deve uscire
dall'ambito puramente semantico per entrare in quello apofantico facendosi determinazione di un'antifasi reale. D'altra parte per Aristotele ha
gi mostrato come il medio della definizione non potr essere di natura
sillogistica, in quanto definizione e dimostrazione sono essenzialmente diverse; ma dovr essere tale da determinare in modo assolutamente necessario l'antifasi che anche la definizione trover dinanzi a s, se si tratta
appunto di principi primi della dimostrazione. La defiruzione per non ha,
in s stessa, questo medio e rinvia a qualcos' altro che possa garantire
l' essere del suo definito: appunto perci essa rischia di diventare la
mera spiegazione del significato di un nome, che non pu mai essere n
vero n falso.
13. - LA DE:E'"JNIZIONE Dl~LL:t: PROPRU:T... - Ogni definizione pu essere una definizione nominale, illustrante, cio, l'ambito semantico della
(176) Inoltre come si dimostrer l'essenza? necessario che chi conosce
l'essenza dell'uomo o qualche altra cosa, sappia che (ch nessWlo conosce l'essenza
del non-essere, ma che cosa significa il discorso con cui lo si indica o il suo nome,
quando dico ircocervo, impossibile sapere l'essenza dell' ircocervo). Ma se si dimostra l'essenza e che , come si dimostreranno entrambe le cose con lo stesso tipo
di discorso? La definizione e la dimostrazione indicheranno allora un' unica cosa:
l'essenza dell'uomo e che l'uomo sono cose diverse (An. post. B, 7, 92b, 4-II).
(177) Il geometra prima assume che cosa significhi triangolo e poi dimostra
che (A1~. post. B, 7, 92b, 15-16).
(178) Se dunque chi definisce dimostra o l'essenza o il significato di un nome.
se nulla assolutamente c' dell'essenza, la definizione sar un discoso significante la
stessa cosa che un nome. Ma assurdo. lnnanzitutto ci saebbe definizione anche
delle cose che non sono sootanze c di quelle che non sono affatto : perch possibile
significare anche le cose che non sono. Inoltre tutti i discorsi sarebbero definizioni :
infatti sarebbe possibile assegnare un nome ad ogni discorso, sicch tutti parleremmo
con definizioni e l' Iliade sarebbe una definizione. Infine nessuna dimostrazione potrebbe dimostrare che questo nome indica questa cosa; n le definizioni sono in
grado di indicarlo (A11. post. B, 7, 92b, 26-34).
(17\1) chiaro che; secondo la natura della definizione, chi defini~ce non dimo~
stra che . Che rispondere al "se " lo stesso che dedune dal medto; ma .qual e
il medio del definito? E perch questo circolo? Infatti si potrebbe anche dtre che
di oricalco. N le definizioni asseriscono che sia possibile ci che si dice, n quello
di cui dicono di essere definizioni, ma sempre possibile trovare Wl medio (An.
post. B, 7, 92b, I9-25).
1,:,
C. A.
VIANO,
La logica dt Aristotele.
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194
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19.5
(J84) An. post. B, 2, 90a, 14-15. Per le cose che hanno la loro causa in s
]'identit el Tt lan e del Bui. d ovvia ed assoluta, in quanto il loro Bu Ti:
proprio il loro essere se stesse; invece per le cose che hanno la loro causa fuori
di s, c' appunto un'altra cosa cui si rico!legano cd il collegamento con la quale CO
stituisce la loro essenza. Tuttavia questa essenza presuppone ancora la conoscen~a
della cosa cui la propriet si ricollega, per comprendere come quella cosa possa essere
proprio il <'t T( di questa proprietl e cio possa garantire che questa propriet
e che non si tratta solo di un nome.
(185) Non c' sillogisrno n dimostrazione dell'essem:a che per si chiarisce attraverso il sillogismo c la dimostrazione; perci senza la dimostrazione non possibile conoscere l'essenza di ci che ha una causa diversa da se stessa, n pu esserci dimostrazione di questa essenza (An. post. B, 8, 93b, 19)
(186) La definizione in uno dei suoi tipi un sillogismo dell'essenza, differente
dalla dimostrazione per la sua forma grammaticale, e nel terzo dci suoi casi la conclusione di una dimostra?:ione dell'essenza (An. post. B, ro, 94a, 12-14).
(187) An. post. i\, 10, i6 b, 6-r 1.
(188) Come infatti cerchiamo il perch ronosccndo gi il che, ma qualche volta
diventano chiari insieme ma non certo possibile conoscere prima il perch del
che, evidente che, in m~do analogo, l'essenza non sta senza esistenza: infatti impossibile sapere che cosa senza sapere se (An. post. B, 8, 93a, 15-20).
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(18\J) Il cercare che cosa una cosa sia senza sapere che , non cercare nulla :~
(An. post. B, 8, 93a, aJ-27)- Ma il <:onoscere lo O"tL EO"tt gi possedere una qualche conoscenza dell'essere dell'oggetto in questione, dai momento che aecessariaT!Iente non abbiamo nessuna indicazione dell' essenza di quelle cose di cui sappiamo
sdo accidentalmente che sono (ibid. 24-26); ma l'et eonv si conosce non accidentalmente iizov--.: --.:t a:mii ,;o\i :rrocl.yJ-lo.,;o .ibzd. 21-22).
(190) A volte conosciamo il "se " per accidente, a volte conoscendo qualcosa della cosa stessa nella sua essenza, per es. a proposito del tuono, che un boato
nelle nubi, e dell'eclissi, che una privazione di luce, c dell'uomo che un animale,
e dell'anima, che automoventesi. Ma di quelle cose di cui sappiamo solo accidentalmente che sono, necessariamente non abbiamo nessuna indicazione dell'essenza: non
sappiamo, infatti, neppure che sono; c cercare che cosa un oggetto senza sapere
che , non cercare nulla. Di quelle cose di cui gi possediamo qualche nozione,
facile questa ricerca. Sicch la situazione in cui ci troviamo riguardo all'essenza
dipende da quella in cui ci troviamo riguardo all'esistenza (An. post. J3, 8, 93a,
21-29).
(191) A1~.
(102)
(1Ha)
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197
on.
l' interposizione di un corpo visibile tra noi ed essa. Se pertanto a C inerisce B, cio
il non poter si oscurare la Luna se non per l' intcrposizione di un corpo visibile tra noi
ed essa, ed a questo A, cio l'eclissi, chiaro che avviene l'eclissi, ma non ancora
perch avviene, e sappiamo che c' un'eclissi, ma non che cosa sia. Essendo chiaro
che A inerisce a C, il cercare invece perch vi inerisca sta nel cercare che cosa sia
B, se un' interposizione, una deviazione della Luna o uno spengimento. Questa la
ragione dell'altro estremo, in questo caso di A : infatti l'eclissi un' interposizione
della Terra (An. Post. B, 8, 93a, 37- b, 7).
(t 96) A volte sappiamo solo per accidente se una cosa sia o no, a volte avendo
una qualche nozione sulla natura stessa della cosa, per es. sul tuono del quale si sa
che un boato nelle nubi e dell'eclissi che una privazione di luce e dell'uomo che
un animale e dell'anima che una cosa che si muove da s (An. post. B, 8, 93a,
21-24).
( 197 ) A1~.
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zione della Terra sia provata, allora la dimostrazione dell'eclissi presupporr la sua definizione come <nQT]o( n <pcoto che a sua volta potr
essere considerata fondata o no a seconda che potr figurare o meno in
una dimostrazione valida e causale dell'eclissi, come avviene in questo
caso in cui il sillogismo si configura cos : l' interposizione della Terra
tra il Sole ed un altro corpo determina una o..tQTJOL cpwto, tra il Sole
e la Luna si interpone la Terra; dunque la Luna subisce una atQTJCH
<pco't'6 . La dimostrazione riuscita perch l'eclissi stata definita come
privazione di luce, mentre sarebbe fallita se fosse stata definita in un modo
che impedisse la ricerca della sua vera causa.: d'altra parte quella dimostrazione fa s che sia possibile enunciare ora una definizione in cui si
tenga conto non solo della privazione della luce, ma anche della causa di
essa.
Eppure delle difficolt ci sono ; e non lievi. Da un lato, infatti, la
6cienza pretende di dare essa stessa la dimostrazione dello on delle propriet necessarie, le cui definizioni, perci, dovrebbero essere soltanto.
nominali, come mere assunzioni di significato (1 9D); d'altra parte i passi
che abbiamo citato dal libro B degli Analytica posteriora mettono in
luce, in modo inequivocabile, come queste definizioni pretendano uno
on che accenni gi al suo derivare da un (hon (2 0 ) : come conciliare
queste affermazioni apparentemente opposte? Ora la difficolt si appiana
se si tiene presente quale sia 1' impianto del libro B dell'opera che andiamo esaminando : essa si svolge sul tema del passaggio dalla conoscenza
dello on a quella del ~L<ht ( 201 ). Questo processo non pu certo costituire la dimostrazione che presuppone il ~ton dal quale deduce poi lo
0n, come mostra chiaramente l'esempio recato in An. post. A, 13, dove
appunto il passaggio dallo on al ~h6n non annoverato tra le dimostrazioni, ma tra le induzi01~i (:! 02 ). Del resto mentre la scienza non pu
assolutamente servirsi della sensazione come fonte di conoscenza, perch
al ~non
essa sempre legata all'individuale (2!l), il passaggio dallo
on
( 1 99) An. post. A, IO, 76a, 3I34; ibid. B, IO, 93b, 31-32; in entrambi i passi
ricorre lo stesso esempio della definizione del triangolo ed usato nel medesimo
senso.
(200) An. post. B, 8, 93 a, 21-24; 27-29; ibid. IO, 93 b, 32-35.
(201) Le cose che cerchiamo sono uguali per numero a quelle che costituiscono
l'oggetto della scienza. E noi cerchiamo quattro cose, il "che ", il "perch ", il
"se ", il "che cosa " (An. post. 13, I, 89b, 23-25).
(202) Siano G i pianeti, B il non splendere, A l'essere vicini. veto dire B
di G; infatti i pianeti non splendono. Ma anche A di B ; perch ci che non splende
vicino; ma questo stato assunto con l' induzione o con la sensazione. necessario allora che A inerisca a G, sicch si dimostrato che i pianeti ~ono vicini. E
questo sillogismo non dei "perch , ma del "che": infatti non perch non splendono i pianeti sono vicini, ma perch sono vicini non splendono (A t~. post. A, 13,
78a, 31-38).
( 2 03) c N possibile conoscere scientificamente per mezzo della sensazione. Se
anche la sensazione fosse di una propriet e non di un che individualmente deter-
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199
on
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200
per ora solo empiricamente, perch, facendo parte di un processo induttivo, deve gi collocare la propriet in un genere (2 7 ) : ci non toglie,
tuttavia, che il 6u)n possa essere appreso anch'esso con una sensazione
per le propriet che hanno la loro causa fuori di s (208 ). Ma dal momento
che l'accertamento sensibile delle propriet non esime affatto dalla loro
dimostrazione diretta, avente per principio proprio il ~h6n (2t>9), l'assunzione induttiva del loro significato pretende ancora la dimostrazione del
loro on che prima era stato presupposto. Poich, per una propriet, il
4't6n una sostanza od un altro aspetto della sostanza cui inerisce,
rinviante perci ancora ad una sostanza, e poich il genere di cui si occupa la scienza la stessa sostanzialit delle cose, dare una definizione
delle cose sulla base dell' induzione sar un metterle in rapporto con la
loro sostanza, in quanto sia in grado di costituire il medio proprio di
quelle propriet, cio riscontrare la loro spiegabilit in seno ad un genere,
sebbene resti poi ancora da compiere la dimostrazione della loro effettiva
inerenza a quel genere. D'altra parte, per, non essendo il genere un che
di trascendente, la scoperta di esso sar fatta proprio in questi processi
induttivi che partono dalle propriet degli individui colti nella loro immediatezza, per giungere al ()u)n che quelle propriet pu spiegare. Soltanto quando la propriet sar stata dimostrata partendo dai principi
propri del genere si avr la certezza che la sua non una definizione
nominale ma corrisponde ad una cosa che ; ed anzi proprio allora quella
definizione potr essere rimaneggiata in modo tale che possa tener conto
del sillogismo del 6t6n che sulla propriet si pronunciato cno). La
trattazione approfondita di questo problema implicherebbe il passaggio al
problema dell' induzione ed alla connessa questione del passaggio dal
significato empirico al significato scientifico dei tennini, ricollegantcsi alla
dottrina aristotelica del senso dei nomi ; ma a questi argomenti ci ripromettiamo di passare pi tardi. Per ora ci limitiamo a precisare in che
senso la definizione delle propriet, prima della loro dimostrazione, sia
nominale, cio fornisca soltanto la spiegazione del significato di un nome.
Per assumere, infatti, il significato di un nome designante una propriet
che la scienza dovr studiare, si presuppone lo un del riferimento seAn. Post. A, 18, 81 b, 3-;;.
Indaga.ndo una. cosa che si ripete pi volte, cercandovi l'universale potremmo avere la dtmostraztone: dal ripetersi degli individuali diventa chiaro l'un'iversale. L'tmi':er~ale. h~ v~lore perch ind_ica. !a causa : sicch delle cose che hanno la loro
causa fuon dt se l umversale vale d1 pm delle sensazioni e dell'intuizione intellettuale; intorno ai .Principi primi, per, bisogna fare un altro discorso (An. post. A,
~~ 88,a, ~~?). Qu1 parlando del r.et{)6!,ou Aristotele_ i~siste soprattutto sul sig-nificato
1 npehzwne nel tempo constatabtle anche senstbilmcnte se essa ha tuttavia un
valor.e in guant~ indica (lh]oi) la causa, non esime dal ri~orrere a quei primi assduh per 1 quah certo non basta la constatazione sensibile.
( 209 ) An. Post. A, 3r, 87b, 35- 88a, r.
(210) An. Post. B, 10, 94a. 12-14(207)
( 20 8)
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~\
l.
LA DEfiNIZIONI: DELLE PROPRlET A
20[
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(211) Questo il caso del tuono come boato nelle nubi (Atr. post. B, w, 94a,
7-8), che figura dapprima come assunzione gi fondata sulla conoscenza dello on
e, in certo modo, del ()t6n (ilnd. 8, 93a, Z.l-23), mentre dopo il sillogismo definizione reale del tuono. Cos si potrebbe dire di pari e dispari che compaiono in An.
Post. A, ro e la cui defini?.ione dapprima assunta e poi dimostrata nel ~uo essere.
importante notare, a questo proposito, come l'esistere di una propriet semplicemente il suo poter essere predicata in una sostanza, sicch non possibile fare distinzione tra l'essere dell'essen7.a e quello dell'esistenza: entro l'essere Aristotele ammette soltanto distinzioni di modalit
(212) An. post. B, R, 93 a, 22.
(218) An. posi. A, 13, 78a, 26-b, 4.
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r-elazione quest'ultima con una sostanza che deve essere in grado di dare
conto di essa; cio la inserisce in un genere. Infatti il genere appunto
la considerazione della sostanza in quanto pu dar conto di certe classi
di propriet. Ma proprio la determinazione di esse presuppone la definizione delle essenze cio dei principi primi dai quali tutte le propriet
possono essere dedotte.
La maggiore difficolt che si incontra nella definizione di una sostanza sta nel non potersi servire dei mezzi discorsivi, cio dell'induzione, di
<:ui invece possono fare uso le definizioni delle propriet. Infatti la defmizione dell'essenza di una sostanza non pu rintracciare un rapporto reale
che unisca l'essenza ad una qualche ragione di s, dal momento che essa
stessa ragione di tutto ci che inerisce alla sostanza, c ragione prima in
modo assoluto. Il sillogismo, invece, sia come induzione che come deduzione, presuppone un qualcosa che preceda ci che l'oggetto del sillogismo stesso ed al quale quest'ultimo si richiami come a ragione di se
stesso ; del resto ci che Aristotele ha detto a proposito della necessit di
principi primi per il sillogismo scientifico assai chiaro ; ed ora proprio giunto il momento di vedere quali siano e come siano conoscibili
questi principi. Scartata allora la possibilit di raggiungere la definizione
dell'essenza con un mezzo discorsivo, perch sempre il sillogismo - che,
secondo Aristotele, l'unico mezzo discorsivo a disposizione - implica
una premessa, cio qualcosa che preceda l'essenza (2 14 ), non resta che
collocare la ricerca di essa nell' immediatezza (2 15 ). Per le sostanze, cio,
la definizione l'a:.Timzione anapodittica dell'essere dell' esse11za. Ed appunto in ci l'essenza della sostanza, in quanto organismo cii propriet
necessariamente collegate, si distingue dall'essenza di ciascuna propriet:
in quanto, cio, principio ( dQX11) di quelle propriet, la cui essenza
consiste poi nel dipendere necessari~mente da questo principio; e come
principio immediata ( J.tml) (2Hi). Data l'immediatezza di questi principi si assume contemporaneamente e il loro significato e che il significato
dci nomi con cui vengono indicati designa un'essenza reale: com' il caso
del matematico che non solo assume che cosa sia l'unit, ma che l'unit
esiste ( 217 ). Ora proprio questa asserzione pone delle difficolt assai gravi.
Infatti Aristotele non ha detto per ora in che cosa consista questa immeQatezza che deve fare da fondamento alla definizione ed all'assunzione di
:(214) An. post. B, 7, gza, 34-b, .).
(2Hi) La definizione degli immediati posizione anapodittica dell'essenza (An.
post. B, ro, 94a, 9-10).
(21G) Alcune cose hanno la causa diversa da se stesse, altre no. Sicch chiaw
{;hc delle essenze alcune sono immediate e sono principi, dei quali bisogna assumere
e che sono e che sono questo o che bisogna chiarire in qualche altro modo (come fa
il matematico : infatti assume che cosa l'unit e che ); per le cose che hanno un
medio cd una causa di se stesse diversa dalla loro ('sscnza, possibile chiarire l'essenza, come abbiamo detto, con la dimostrazione sebbene non dimostrandola~ (A Il.
Post. B, 9, 93h, 21-28).
( 21 7) An. post. B, 9, 93h, 24-25; ibid. A, 10, 76a, 31-34.
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206
Top. A, 5,
101 b,
39.
An. post. A,
IO,
76a,
32.
(232) Ogni sostanza indica un "questo qui". Riguardo alle ~os~ze p~im~ .
certo e vero che esse indicano un " questo qui " : infatti ci che md1cato c tnd!vlsibile ed uno di numero ; quanto alle sostanze seconde dallo schema delle categorie
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predicazione ,w,'t' {m;oxELfLVou ( 237) - dell'essenza stessa dell' individuale di cui la sostanza seconda specie. Perci la definizione davvero costituita dai T \' tt{> T( on xun:yo(>01J~u:;vu, cio dalle determinazioni delle antifasi con le quali l' individuale entra necessariamente
in rapporto costituendosi come sostanza. Ma in quanto essa semplicemente indicativa dell'essenza (Tt. an 611Ao:) (~ 88 ) determinazione del
riferimento semantico di quel nome che costituisce la sostanza seconda, pur non essendo una definizione meramente nominale. Infatti non
stabilisce tale significato accidentalmente (2 39), ma fondandosi sulla essenza reale degli individuali: perci come indicativa di una essenza
reale, la definizione della sostanza in quanto tale, non nominale ; come
determinazione del significato non accidentale di un nome (la sostanza
seconda) essa non predicativa. Considerando le definizioni, cio quanto
si pu predicare di una cosa mettendola in rapporto con le antifasi che
solo possono permettere ad essa di costituirsi come sostanza, si pu giungere alla determinazione dei generi ( 240 ). L'insieme di pi predicati,
comuni a pi essenze, presupposti necessari per la spiegazione di certe
propriet rinvianti a certe determinazioni ultime e semplicissime, costituiscono un genere. Queste determinazioni sono le categorie entro le
quali cadono tutte le parole in quanto significative di cose che non pos. sono non riferirsi ad esse se esse costituiscono i termini primi delle dimostrazioni, limiti invalicabili della loro ascesa verso l'alto (241). La determinazione del genere perci la definizione di un nome generico, cio
riferibile a pi cose in quanto determinate rispetto alla specie (2 42 ), definizione in cui appunto compaiono i predicati delle essenze delle cose, cio
<Ielle specie. Se si tiene presente come l'universalit numerica sia secondaria rispetto alla necessit nella questione dei fondamenti dei generi e
delle specie si comprender come non tanto la cosa sia nel genere, ma il
(287) Cat. 5, 2a, 19-26.
(238) An. post. B, 3, 91 a, 1.
(289) An. post. B, IO, 93b, 3335
(240) Quando si considera un genere nella sua complessit, bisogna dividerlo
nei suoi primi elementi indivisibili per specie, per es. il numero nei tre e nei due,
poi, di questo passo, tentare di a~sumerc le loro definizioni, per es. della linea retta
c del circolo, e dell'angolo retto, assumendo dopo di ci la definizione del genere, per
es. se si tratti del genere delle quantit o delle qualit, indagare le propriet distintive attraverso i principi primi comuni. Le propriet di ci che costituito dalle
specie indivisibili saranno chiatc dalle definizioni, perch la definizione ed il semplice
sono i principi di tutte le cose c perch le propriet ineriscono di per s solo ai semplici, secondo i quali, poi, ineriscono alle altre cose (A1~. post. n, 13, g6b, 15-25).
(241) Che i generi si rifcrisc::no alle c~1tegoric si arguisce dall'asserzione di Aristotele che uno per genere sono le cose di cui identica la determinazione categoriale (Metaph., .1., 6, IOJ6b, 33--34); An. post. R, 13, g)b, 19-20. Sul necessario
riferirsi delle parole alle categorie Cat. 4, I b, z.~-Z7.
(242) Come le sostanze scconcle sono le specie in cui sono comprese le sostanze
prime, cos queste sane anche i generi di quelle specie, per es. un uomo com
preso nella specie uomo, e animale il genere della specie:!> (Cat. 5, 2a, 15-17).
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209
genere nella cosa, in quanto sostanza: questo l'unico modo di interpretare la non trascendenza del genere e. la critica degli enti matematici quali
cose in s di M etaph. ~I, 2. In quanto, infatti la cosa un insieme di
propriet necessarie ed accidentali, la cosa nel genere; ma in quanto
la sostanza, e la necessit della connessione di quelle propriet, il genere
in essa. Cio in quanto si considerano le sue propriet come date, essa
dipende dai principi del genere che solo pu spiegare quelle propriet,
ma in quanto il genere non pu che mettere in luce la necessit della
sostanza ed in quanto solo sempre una considerazione parziale di essa,
perch limitata ad alcune propriet soltanto, esso nella sostanza. In
questo senso l'essere ( t El vm) che si deve assumere per i principi non
ipostasi di un in s separato dalle cose, quanto piuttosto la predicabilit di quei principi rispetto ai singoli che cadono sotto la considerazione del genere, cio la riferibilit ad essi delle determinazioni che entrano nella definizione dei principi stessi. E poich i generi e le specie
si fondano sulle essenze stesse delle cose, la loro realt quella di determinazioni essenziali di pi cose, capaci di dare ragione di propriet comparenti in tutte quelle cose, proprio in dipendenza da quelle determinazioni. L'essere del genere solo quello di un'entit del discorso presupposta dalla definizione delle singole propriet delle cose, mentre il suo
essere reale quello di essere una determinazione della sostanza, cio la
sua essenza, considerata sotto un particolare punto di vista (2-l:l). L"essere dei principi, perci, come avevamo notato all'inizio del capitolo,
non si distingue affatto dall'essere delle altre cose, in quanto costituito
anch'esso dalla determinazione di un corno di un'antifasi, cio da una
predicabilit. L'unit di cui il matematico assume ad un tempo il significato e l'essere in quanto l' indivisibile secondo la quantit (244 ),
esiste come considerabilit delle cose sotto il rispetto della unit come
indivisibilit secondo la quantit, cio come predicabilit dell'unit - intesa proprio nel senso precisato - rispetto alle cose individuali : cio
ancora come appartenenza della indivisibilit secondo quantit all'essenza
delle singole cose in quanto sono qualificabili come unit (2 45 ). Perci la
definizione l'indicazione dei predicati che compaiono nell'essenza di
('H3) Aristotele, dopo aver criticato la conce:.done degli enti matematici come
enti separati, prosegue; Siano pure anteriori nella definizione, ma non tutto ci
che primo nei riguardi della definizione, lo anche nei riguardi della sostanza. Infatti sono anteriori nella sostanza quelle cose che, esistendo separate, hanno l'essere
in alto grado, lo sono nella definizione quelle la cui definizione presupposta dalla
definizione di altre cose: le due determinazioni non coincidono, Se non ci sono propriet fuori delle sostanze, per es. un qualcosa che si muove o un qualcosa di bianco,
il bianco anteriore a uomo bianco nella definizione, ma non nella sostanza; perch
non esiste separato, ma sempre in tm sinolo (intendo per sinolo ' uomo bianco'), sicch chiaro che n ci che si ottiene per astrazione esiste px-ima della sostanza, n
ci che deriva da aggiunzione predicativa esiste dopo di essa (M etaph. M, 2, ronb,
1-10),
(~H)
(24~)
11
C. A.
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210
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211
(!H9)
(2~0)
12.
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212
L'APODITTICA
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213
trova nella sensibilit le condizioni soddisfacenti per realizzare se stessa (252 ) e richiede che si proceda oltre la sensibilit con la dimostrazione (2 53 ). Abbiamo visto come la scienza sia caratterizzata dall'assoluta
necessit dei suoi asserti che sono validi in ogni momento ed in ogni circostanza; invece l'esperienza immediata, che sia appunto sensibile e non
propria del ''ov, cio la M~a, pu in ogni momento non essere pitt vera,
sicch non d assolutamente le garanzie di assoluta immutabilit che la
scienza pretende ( 254 ). Il vizio fondamentale della opinione la sua particolarit, cio la ,sua limitata validit temporale. Ci che porta oltre a
particolarit della sensazione all'universalit dei principi, dai quali poi la
scienza proceder deducendo, l' induzione. Essa infatti assume come
suo inizio il particolare ( x <'i)v IW't ftQo) e come suo termine di arrivo l'universale (x.a{h)},oll), sicch non pu fare a meno di lcgarsi con la
sensazione, che sempre dell' individuale ( nv x.a-&'f!1<.a<rrov) (255). L'induzione, come passaggio oltre l'immediatezza opinativa, fa parte del processo della scienza come passaggio dalla conoscenza del sensibile immediato alla conoscenza di esso secondo una modalit : soltanto cos si vu
distinguere ci che assolutamente necessario e perci di interesse della
scienza da ci che solo accidentale e, perci, irrilevante per essa.
Ma la necessit dell' induzione nella conoscenza scientifica legata
alla necessit della sensazione come punto di partenza di essa. Se infatti
i principi fossero sempre dati all'uomo, verrebbe meno il bisogno di procedere dai particolari alla loro ricerca: infatti il passaggio dalla cono5cenza sensibile ed immediata delle cose a quella delle cose nella loro
modalit, avviene proprio grazie alla dimostrazione, che presuppone i
principi. Ma qui sorgono le maggiori difficolt che gi i Sofisti avevano
&fruttato nelle loro dispute capziose: se infatti si posseggono i principi,
perch si ignora la scienza che da essi deriva? E se non si posseggono,
come si giunger alla conoscenza di essi, dal momento che non si ha una
conoscenza antecedente a quella dei principi, da cui muovere per giungere
(2u2) evidente dw1que che impossibile apprendere scientificamente qualcosa che sia dimostrabile con la sensazione, a meno che si intenda per sensazione
l'aver scienza per dimostrazione (An. Post. A, 31, 88a, 9II).
(2G3) An. posi. A, 31, 87b, zS-39.
{21H) Lo scibi!e c la scierl7.a differiscono dall'opinabile e dall'opinione, in quanto la scienza universale e deriva da premesse necessarie, ed il neces~ario non pui>
essere diversamente da come . Vi sono invece delle cose che, pur essendo vcl'e.
possono essere diverse da come sono. chiaro dunque che su queste non verte la
scienza: infatti le cose che possono essere diversamente da come sono dovrebbero
essere tali da non poter essere diverse da come sono. N eppure di esse ci pu essere
intuizione intellettuale (chiamo intelletto il principio della scienza) o conoscenza anapodittica: questa l' apprensione di una proposizione immediata. La verit allora
proprio dell' intellettc e della scienza e dell' opinione e di ci che da esse deriva:
sicch resta che 1' opinione verta intorno a ci che pu essere o vero o falso e che
pu essere diverso da come . Questo l'apprensione di una proposizione immediata,
ma non necessaria (An. post. A, 33, 88b, 30- 89a, 4).
(255) An. post. A, 18, 81 a, 38-b, 9.
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214
proprio ad essi? (25 6). Aristotele imbocca una via di mezzo: non dobbiamo n conoscere pienamente n ignorare completamente i prinCipi, ma,
anzi, dobbiamo possedere una certa facolt ( Mvaftt) adatta alla conoscenza di essi. Essa la sensazione ( a'(a{}qat) che, meno valida, scientificamente, della conoscenza dei principi, deve tuttavi essere in grado di
condurci ad essa (25 7). La sensazione comune a tutti gli animali, cio
appartiene all'uomo proprio in quanto animale e come tale punto di
partenza necessario della scienza. Se in quanto animale l' uomo deve
partire dalla sensazione, in quanto uomo, dalla sensazione pu giungere
ai principi, cio in grado di fissare la sensazione e di procedere induttivamente oltre di essa. Infatti alcuni animali restano fermi alla momentaneit isolata della sensazione, altri sono in grado di andare al di l
della puntualit della sensazione singola collegandola con altre, altri animali infine possono procedere ancora oltre la raccolta delle sensazioni al
ragioqamento, cio all' induzione: e questo l' uomo ( 258). In quanto
uomo, l' uomo ha la conoscenza dei principi c perci la scienza, ma tn
qqanto animale egli deve incominciare dalla sensazione : donde la necessit della induzione come passaggio da questa a quelli.
L' induzione presuppone la fissazione (1wv1l) e la generalizzazione
delle sensazioni, da cui derivano rispettivamente la memoria (!tVllJ.LrJ) e
l'esperienza ( f.t:.rtElQLU); da quest'ultima, cio dal ripetersi di pi sensazioni della medesima cosa, si giunge ai principi della scienza e dell'arte
(2~6) Che non sia possibile conoscere dimostrativamente senza avere wnoseenza dei principi primi immediati, si detto prima. Ma qualcuno potrebbe chi<>
dcre se ci sia la conoscenza degli immediati, se sia la stessa di quella della dimostrazione o se sia diversa, se la scienza abbia come suo oggetto principi e dimo
strazione, o se dell'una ~ia propria la scienza c degli altri un qualche altro genere,
c se le disJ>osizioni ai principi 1')011 si<111o innate ed essi sorgano in noi o se siano
innate e restino occulte. Strano sarebbe che le avessimo in noi: infatti accadrebbe
che, avendo le conoscenze pi compiute, resteremmo all'oscuro della dimostrazione.
Se le conoscessimo e le imparassimo senza possedcrle prima, come potremmo conoscere ed imparare non procedendo da una conoscenza preesistente? impossibile
infatti, come dicevamo anche a proposito della dimostrazione (An. post. B, I<),
99b, 10-JO).
(257) dunque chiaro che la conoscenza dei principi non pu essere posseduta come innata n pu sorgere in chi li ignora del tutto e non ba nessuna disposizione verso di essi. dunque necessario averne una certa facolt, ma non tal~
che sia superiore alla conoscenza dimostrativa e dei principi, per compiute.:za. Pare
che questa facolt ci sia in tutti gli animali. Tutti infatti hanno un'innata potenza
discernitiva che chiamano sensazione (An. post. B, 19, 99b, 30-35).
(21>8) Essendoci la sensazione, in alcuni animali essa si stabilizza, in altri
no. Gli animali nei quali la sensazione non si stabilizza, o completamente o intorno
a certe cose soltanto, non hanno conoscenze superiori alla sensazione, o completamente o per quelle cose le cui sensazioni non si stabilizzano; gli animali che possono fissare le sensazioni, possono anche comprenderle nell'anima. Verificatesi molte
d~ queste sensazioni gi si profila unii differ:nza, sicch in certi animali dalla fissaZIOne delle sensazioni deriva il ragionamento, in altri no (An. post. 13, 19, 99b,
36- rooa, 3).
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(2G5) L'intelletto infatti dei termini dci quali non c' definizione (Eth. Nic.
Z, 9, II42a, zs-z6).
(266) L'intuizione intellettuale dei termini estremi in entrambi i sensi:
infatti sia dei primi che degli ultimi termini c' intuizione e non ragionamento, e
l' intuizione che funge da principio della dimostrazione dei termini immobili e
primi (Eth. :'Vie. Z, 12, II43a, 35- b, 2).
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di determinazioni non ancora fferite ad un soggetto: quando questo riferimento avviene, in una proposizione, come la premessa di un sillogismo,
l'assoluta impossibilit del falso scompare (2 67 ). L'ufficio del vo'iJ proprio quello di cogliere in un atto solo l'essenza di una cosa ;:1-l termine di
un' induzione : esso solo opera propriamente il passaggio dalla conoscenza di questo o quell'animale a quella dell' animale (2(l~'), cio all'essenza di questo o quell'animale. Il voii, identificandosi con il v6q!J.a (2 69 ),
si fa rivelativo del contenuto dell'essenza, cio di quali attributi spettino
a una certa cosa in quanto se ne voglia determinare l'essenza, senza per
riferire predicativamente questi attributi a quella cosa. La predicazione
sar compito dell'assunzione dell' intuizione come premessa di un sillogismo, che il De anima distingue dalla intuizione intellettuale vera e
propria ( 270 ). In questa premessa si assumono l' intuizione intellettuale
come significato di una specie e l'esistenza di questa specie proprio fondandosi sulla intuizione intellettuale che ha permesso di sapere quali
predicati dovessero entrare nella definizione di essa. E la contraddizione
che pare di poter riscontrare tra il testo dell'Ethica Nicomachea e quello
del De anima, per cui l'uno parla di intuizione di indefinibili e l'altro di
intuizione di essenze, che sono definibili, si appiana quando si pensi che
l'un testo intende alludere alle determinazioni che entrano ne11'essenza
stessa e l'altro all'essenza nella sua totalit: ora questa quella che
data riscontrare come unit effettiva delle cose, ma quelle sono le determinazioni cui la scienza, nell'induzione, vuole giungere, in quanto costituiscono il fondamento dei generi. In questo senso, parlando della ricerca
dei generi e delle specie Aristotele ha detto che i generi sono i tennini di
riferimento rispetto ai quali gli individui possono determinare la loro
essenza e d'altra parte li ha presentati come un che di posteriore alle specie ed ottenuti astrattivamente da esse (2 71 ). Infatti tutti i componenti
di un'essenza appartengono ad un genere, sebbene questo si determini in
quanto genere quando si siano trovati i suoi principi propri, cio le sue
specie : solo allora sar possibile dare un significato preciso al nome con
cui si indica il genere. Del resto i generi si fondano sulle categorie, alle
quali non si possono sottrarre n le cose n le parole con cui quelle vengono indicate (2 72 ). Il genere perci precede la ricerca delle specie in
(267) Non ogni intuizione intellettuale o vera o falsa, ma quella che intuisce
che cos' un oggetto, in quanto ne comprende l'essenza, sempre vera, ma non
quella che coglie un che riferito a qualcosa d'altrei; ma come sempre vera la
sensazione della vista, sr: riferita ad un oggetto che le sia proprio, ma non sempre
vera quando si tratti di vedere se questo uomo bianco o no, cos avviene anche
nelle cose che non hanno materia (De an., r, 6, 430b, 27-3r).
(268) A11. post. B, 19, roob, I-,3.
{!169) La stessa cosa sono l'intelligenza e l'intelligibile compreso (Metap!t.
A, 7, I072b, 21).
(270) De an., r, 6, 430 b, 27-3r.
(271) An. post. B, 13, 9()a, 24-25.
(272) Metaph., Ll, 6, r016b, 33-34.
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lit che gi nell'immediatezza dell'empiria si presenta con i segm mconfondibili della sua individualit, la cui essenza il rapporto con alcune
antifasi che si determinano immediatamente ad opera del voiJ::;. 1\'ia appunto a queste antifasi si giunge da propriet sensibili, attraverso un
processo necessario, cd alle propriet sensibili si ritorna con la dimostrazione, sicch i principi intuitivi sono profondamente legati con tutto
il complesso della sostanza. E poich questo costruito sulla impalcatura
necessaria del sillogismo, si comprende che i principi, per la loro stessa
,,atura di supreme ragioni delle propriet delle cose debbano dare luogo
al sillogismo.
La scienza come conoscenza delle cose in ci che hanno di necessario anche la costruzione di un linguaggio rigoroso, in cui le parole
prendono un significato non accidentale. Abbiamo visto nel 1" paragrafo
del I capitolo come per Aristotele i nomi siano convenzionali, nel senso
che dare ad essi un significato piuttosto che un altro del tutto arbitrario. La parola infatti semplicemente un segno fonetico - se si tratt.:1.
di linguaggio parlato - o un segno scritto -- se si tratta di linguaggio
scritto - con cui si indicano le cose, essendosi assegnata a ciascuna eli
esse il suo segno secondo convenzione. Supposta costante la cosa, i segni
possono variare a piacere, purch ci sia un accordo con gli altri, senza che
le parole di volta in volta escogitate siano l'una pi vera dell'altra, non
essendo in s la parola n vera n falsa. D'altra parte, supposta ora la
parola costante, si pu far mutare il suo oggetto di riferimento semantico,
senza che si ottenga un senso pi vero dell'altro, ch il senso delle parole
questione di arbitrio. Di ci approfitta la scienza che appunto pu dare
alle parole un significato preciso e non accidentale; ma tuttavia ci non
tmplica il riconoscimento del problema della semanticit in quanto tale,
ch anzi la convenzionalit dei termini viene sfruttata come possibilit
di mutare il senso delle parole. Infatti postulato primo per il riconoscimento del problema della semanticit sarebbe l'ammissione che non ogni
parola ed ogni connessione di parole ha un senso, sicch sia necessario
procedere alla costruzione di connessioni sensate con parole suscettibili
di comparire in connessioni sensate_ Invece per Aristotele ogni parola
ha senso, come ha senso ogni legame di parole in cui sia riscontrabile la
struttura predicativa. Che la parola eclissi significhi oscurarsi della
Luna o oscurarsi della Luna dovuto al suo spcngimento o oscurarsi
della Luna dovuto all' interposizione della Terra lo stesso, dal punto
di vista del senso del nome ; ed aggiunta la copula al soggetto
eclissi in ognuno dci tre suddetti sensi, ed in altri ancora che siano
escogitabili, sempre il discorso che si otterrebbe avrebbe senso, cio potl-ebbe essere o vero o falso. Il significato delle parole pu essere fissato
solo quando si passa dal terreno semantico a quello apofantico, ek a
quello dei diseorsi predicativi : qui, assunti i nomi nel significato corrente,
si potr sempre determinare con i processi di induzione e di deduzione
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L' INDUZIONE
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le dipende da noi, sempre possibile modificare il significato delle paroledate tenendo conto delle ragioni delle proposizioni vere in cui esse compaiono. Gi abbiamo visto come ogni parola cada necessariamente solto
una categoria; la scienza, dando il significato proprio alle parole, tiene
conto delle categorie sotto cui cadotio, cio del genere delle propriet che
indicano ed in base ai principi di questo genere d il senso al termine in
questione. Come a proposito della conoscenza induttiva dei principi,
anche qui nello stabilire il significato proprio delle parole si sale necessariamente dal significato accidentale di esse alle categorie cui quel significato rinvia ed in base ad esso si niodifica il significato di partenza: ma
la connessione di tutti i passaggi fondata sulla categoria di necf'ssit.
La sensibilit non considerata come uno dei rapporti in cui l'uomo pu
entrare con le cose e fondandosi ml quale pu escogitare un linguaggio
che, perci, solo nella verifica sensibile trover il suo criterio di Vero c
di falso. Essa la situazione necessaria dell'uomo al quale le cose si
rivelano dapprima sensibilmente ; a questo primo rivelarsi delle cose egli
applica dei segni fonetici convenzionali che assumono cos un senso. Ma
quando con i processi discorsivi necessari, cio seguendo le stnttture del
discorso che, fondate sulla struttura necessaria del reale, si rivelat1o in
ogni discorso, qualunque sia la sua veste semantica, l'uomo ha conosciuto razionalmente le cose, allora pu mutare i significati delle parole
riferite a quelle cose dando ad esse come oggetto di riferimento semantico
la pi precisa nozione che ha di quelle. Il passaggio dal significato accidentale a quello proprio delle parole il passaggio dalla opinione alla
conoscenza scientifica. La scienza non sceglie le parole da usare nel suo
linguaggio ed a cui dare significati che si accordino con il tipo di ricerca
che persegue, ma accoglie le parole della lingua comune, cui d sensi
propri. Ci avviene per solo dopo i processi discorsivi (induzione o sillogismo) che si compiono proprio partendo dal significato comune dei termini accettati: anche questo uno dei modi della continuit necessaria
tra le propriet sensibili ed i loto principi, per la quale il linguaggio non
si configura come una iniziativa dello scienziato che indaga, ma come
un passaggio univoco da im senso accidentale ad un senso proprio delle
parole. Ma, mentre il primo pu essere individualmente diverso presso i
vari esperienti, il secondo fisso perch uno solo il vero posto delle
cose nella struttura della realt.
Proprio qui viene in luce una dimensione finora non apparsa nella
logica di Aristotele: quella della normativit. Infatti, poich le parole
sono per convenzione e non incidono sulla verit o falsit delle proposizioni in cui entrano, possiamo non preoccnparci affatto di definire rigorosamente il loro significato, paghi di ci che l'esperienza immediata ci
dice intorno alle cose cui abbiamo convenzionalmente assegnato un termine. Ma possiamo anche voler un maggiore rigore nel nostro linguaggio, sfruttandone la funzione semantica: visto, infatti, che le parole sono
per convenzione, possiamo mutare il loro significato. Tuttavia se non si
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L'APODITTICA E
L'Ol~Oi\NIZZAZIONE
DELLA SCIENZA
(277) Perci non spetta al geometra indagare che cosa sia il contrario o il
fine o l'uno o l'essere o l' identico o il diverso, se non assumendoli. ~ chiaro allora
che spetta ad una sola scienza indagare l'essere in quanto essere e ct che ad esso
appartiene in quanto (1\lfetaph. r, 2, IOOSa, II-J4).
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dpi colti con l'intelletto puro che presiede gi, come fine (278 ), al
processo induttivo che dalle propriet sensibili conduce alla soglia dei
principi che ad esse appartengono, secondo una continuit che si manifesta anche nel permanere dello stesso nome ad indicare la propriet sensibile immediata c la sua essenza. Fare scienza, riconoscere la necessit
del reale prendere quell'atteggiamento che costituisce la vita teorctica,
il culmine della vita etica, !a partecipazione dell'uomo al divino, alla divina
necessit che regge l'universo alla quale si identifica l'intelletto nell'atto
dell' intellezione (2 7U). Ma nella dottrina della scienza questo atteggiamento non entra in conto, ch esso consiste in una accettazione dell'ordine necessario dell'universo al quale, in certo modo, si assimila il vou
e nell'uso di un linguaggio che per impone da s i suoi nessi necessari,
essendo appunto gi modellato su quell'ordine che deve enunciare. Ogni
nostro asserto , in quanto tale, gi necessario, perch quello che ed
esclude necessariamente il contraddittorio; ma il riconoscimento della
struttura necessaria in cui esso collocato vale a rivelare le ragioni necessarie di esso. In questo senso si pu parlare di una dimensione normativa della logica di Aristotele: la sua normativit consiste nel suo
prescrivere all'uomo di scienza di seguire l'organizzazione necessaria
del reale che infallibilmente lo porter ai principi primi e propri di ogni
propriet dai quali la deduzione proceder univocamente alla conclusione.
L' induzione, infatti, gi un riconoscimento della necessit del reale
e non un cercare i principi che meglio possano reggere una certa ricerca: i principi non si assumono ipoteticamente, ma si assumono solo in
quanto non sono dimostrabili. Il che non segno del loro sfuggire alla
necessit, ma anzi, del loro essere necessari al sommo grado, tanto che
neppure richiedono l'apodissi, possedendo l'evidenza di ci che non potrebbe mai venir in nessun caso negato: per questo sono oggetto dell' intuizione intellettuale. L'assunzione di essere, fatta a proposito dei prin-
15
C. A.
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CAPITOLO IV
LA DIAI .ETTI CA
(l) accidente ci che ineriscc ;{ qualche cosa e del quale vero dire che
inerisce, ma n ineriscc necessariamente n per lo pi (.111etaph . .1, 30, 1025 a, 14-15).
(2) Poich non tutte le cose sono o divengono necessariamente o in ogni
momento, ma la maggior parte di esse solo per lo pit, necessario che ci sia l'accidente (M etaph. E, 2, 1027a, 8-II); Sicch la materia sar la causa che entra
in funzione per ci che avviene diversamente da come solitamente avviene (imd.
IJ-15).
(3) Nella definizione delta sostanza non ci sono le parti che fungono da
materia - infatti le parti di quest'ultima non sono parti della sostanza, ma del
singolo, e di essa in U!'). senso c' definizione e in un altro no (M etaph. Z, II,
1037 a, 24-27).
(4) L't materia di per s ineonoscibile (Metaph. Z, IO, 1036a, 8-9).
(5) Cfr. par. JI del cap. II.
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LA DIALETTICA
228
garanzia sull'essere c non-essere futuro di esso. Appunto perch momentaneo, esso non modifica la realt. delle cose, ma in quanto , sia pur momentaneamente, pu venir considerato, sebbene non dalla scienza ; anzi, in
quanto , l'accidente, come del resto tutto ci che reale, non pu non
escludere il suo contraddittorio, cio esclude necessariamente il suo contraddittorio (6).
Intorno all'accidente, in quanto , si possono fare enunciazioni vere;
ma in quanto esso non ha onnivalidit temporale, queste enunciazioni non
possono avere carattere scientifico. Poich di fronte alla scienza che conosce le cose che non possono essere diversamente da come sono c' l'opinione che conosce le cose che possono essere diversamente da come sono
e, comunque, non d nessuna garanzia sulla necessit di ci che asserisce (7), la facolt con cui si potr apprendere l'accidente sar appunto
l'opinione. Essa vera o falsa, anzi, sempre e necessariamente o vera o
f<dsa; ma quando vera pu sempre mutarsi in falsa e quando falsa
pu sempre diventare vera, perch le manca la necessit ( 8). Anche
l'opinione, come il voii, si colloca nella dimensione della immediatezza (0 ), ma non ha per oggetto ci che immediato perch primo per s,
bens ci che immediato perch primo per noi. Ogni studio o ricerca
sull'accidentale dovr, di conseguenza, prendere come criterio l'opinione,
stabilire in base ad essa i suoi principi e cercare in essa la garanzia di
cui avesse eventualmente bisogno.
2. -
LA
DIAL:ST'I'ICA
COMI.<;
DISCIPLINA DELI/ACCIDBNTALB.
--
La
(G) Che l'essere sia quando , e che il non-essere non sia quando non ,
necessario (De int. 9, 19a, 23-24).
(7) Veri sono l' intelletto, la scienza, l'opinione e ci che ne deriva, sicchr.
risulta che l'opinione concerne il vero e il falso, ma che possono anche essere diversi
da come sono (An. pr. A, 33, 88b, 37- 89a, 3).
(8) L'opinione insicura (An. post. A, 33, 89a, 5-6).
(9) L'opinione assunzione di una proposizione immediata e non necessaria
(An. post. A, 33, 89a, 3-4).
(lO) Si argomenta per quel che riguarda i sillogismi dialettici da premesse
assunte secondo opinione (An. pr. A, 30, 46a, 9-10).
(11) La dialettica e la sofistica vertono intorno agli accidenti degli esseri, non,
per, in quanto sono, n perch studiano l'essere in quanto (M etaph. K, 3, 1061 b,
8-IO).
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LA DISCIPLINA DELL'ACCIDENTALE
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LA DIALETTICA
230
tele ricorre alla nozione di probab-ile ( f.v3o~ov) affermando che il silogismo dialettico deriva da premesse probabili (H). ormai consuetudine
tradurre il termine greco S'\130~0'\1 con la parola probabile t>:d in Un
certo senso questo uso giustificato, in quanto ci che, m base all'opinione, assunto nelle premesse di un sillogismo dialettico non pu essere
asserito con necessit, dal momento che pu sempre essere diverso da
come , ma tuttavia tale che pu anche essere come si assunto che
sia. Ma ci ammesso, si deve tenere ben presente che Aristotele nei
Topica non intende svolgere una logica del probabile nel senso in cui
questo termine oggi inteso ; gi Leibniz, sentendo il bisogno di una
nuova specie di logica , riconosceva che Aristotele non si era preso la
fatica di darci una regola per valut'lre le probabilit e stabilire su ci un
giudizio solido (1 6 ). Il probabile per Aristotele ci che, non essendo
necessariamente vero, ha delle buone ragioni per essere considerato come
tale che possa essere vero; queste buone ragioni, per, rientnm9 esse
stesse ancora nel campo dell'opinione in quanto sono, appunto, l'opinione
dei pitl o dci pi sapienti (1 7 ).
Questo concetto di probabile si comprende assai agevolmente quando
si tenga presente che esso verte sull'accidentale, il quale pu essere diverso da come , senza che si possa trovare una ragione essenziale di
questo mutamento, dal momento che il suo medio arawrov (1 8). Di
conseguenza ogni. modo d'essere dell'accidentale e ogni asserzione sul
!iUO conto non potranno portare in se stessi ragioni che non siano accidentali e, cio, tali da non dare garanzia della loro stesba validit di ragioni.
Ci impedisce che si possa concepire una disciplina volta a trovare, entro
l'ambito del suo campo di ricerca, nozioni tali che permettano di formulare proposizioni che, sotto certe condizioni, si verifichino con una
certa frequenza: nel campo dell'accidentale i crismi della probabilit
devono essere forniti da ci che fuori della ricerca, anzi si impongono
ad essa in quanto sono i punti di partenza dello stesso dialogo dialettico.
Poich l'accidente non in grado di dare ragguagli sulla sua stessa capacit di fungere da premessa di un discorso, si ricorre a ci che la tradizione o l'autorit dei sapienti hanno sancito. Il probabile aristotelico,
perci, si distingue nettamente dal concetto odierno di probabile, che
implica una previsione enunciata in base a certe ricerche che si servono
di mezzi e di categorie adatte a ci su cui si vuole pronunciare la previsione; invece per Aristotele il probabile deve fungere da principio in un
ragionamento riguardante questioni insolute che presso il pi degli
Top. A, r, rooa, 29-30.
G. G. LEmNrz, N ouvcauz essais s11r l' entmdement humain, trad. i t. C cechi,
Bari, Laterza, 1925, vol. II, par. :233.
( 17) Sono probabili le cose che sembrano a tutti ai pi o ai sapienti, e, tra
questi a tutti o ai pi o ai pi noti c famosi (Top. A, I, roob, 21-23).
(18) An. pr. A, 13, 32b, rS-19.
(15)
{1 6)
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LA DlSCJPLINA DELL'ACCIDENTALE
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232
LA DIALET11CA
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PROBLEMA E DIALETTICA
233
An. pr. A,
I,
24b,
I-2,
(2S) Sono uguali per numero e iclentici ci di cui constano gli argomenti e
ci intorno a cui vcrtono i sillogismi. Tnfatti i ragionamenti constano d proposi?:ioni; ci intorno a cui vertono i sillogismi sono i problemi. Ogni proposi:done e
ogni problema indicano o un genere o un proprio o un accidente; e la differenza,
in quanto pertinente al genere, deve esse1e considerata con il genere (Top. A, 4,
IOJ
b,
14-19).
Infatti, dicendo cos 'forse che animale bipede definizione dell'uomo? ' e 'animale
genere di uomo? ' si hanno delle proposizionL Se, invece, si dice ' animale bipede
definizione di uomo o no? ' e ' animale genere di uomo o no? ' si hanno dei
problemi. E altrettanto dicasi per il resto. Sicch verosimilmente i problemi e le
proposizioni sono identiche per numero. Infatti da ogni proposLdone si possono
ottenere problemi mutando il modo verbale dell'enunciazione (Top. A, 4, IOI b,
29-37).
(30) Una proposizione dialettica un' interrogazion~ probab!le.? pe~ tutti '?
per i pi o per i sapienti c, tra questi, o per tutti o per i p1 o per .1 P!U. no~!, purehc
non sia paradossale: perch si potrebbe porre cib che sembra a1 sap1ent1, se non
fosse contrario 2.1l'opinione dei pitl (Top. A. Io, 104a, 8-I2).
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234
LA DIALETTICA
che ha gi tutti i crismi per costituire una premessa di un discorso dialettico ossia per essere la determinazione di un'antifasi, la risoluzione d
un problema secondo opinione, come appunto si richiede alla dialettica (31). Il problema invece presenta un'assoluta assenza di ragioni in
favore dell'uno o dell'altro corno del dilemma o un equilibrio di ragioni,
reggentesi sulla presenza di opinioni autorevoli contrastanti o di sillogismi egualmente convincenti, eppure contrari, o sulla difficolt di trovare
una ragione risolutiva ( 3 ~). Ogni proposizione pu diventare problema in
quanto si respinga la probabilit su cui si fonda la sua pretesa di fungere
da premessa di un sillogismo dialettico ; ogni problema pu diventare
una proposizizione dialettica in quanto si sia trovata una probabilit in
base alla quale determinarlo. Pare, perci, che si possa affermare che
problemi sono tutte le questioni intorno a cui regna un'effettiva incertezza e per risolvere le quali bisogna fare ricorso ad asserzioni che non
sono vere in s, ma che hanno la conferma di opinioni numerose o autorevoli.
La dialettica di sua propria natura legata con il problema, sicch
non si ha discorso dialettico se non si ha problema : infatti non possono
essere proposizioni dialettiche quelle che sono universalmente accettate o
quelle che sono respinte da tutti ( 33 ). In questi due casi estremi viene
a mancare il problema sostituito da una situazione di certezza o nel rifiuto
dell'asserto o nell' acettazione di esso dovuta alla sua totale limpidezza:
le premesse dialettiche non debbono essere n <pavsgci n ltU!,Ja&o~ul, ma
semplicemente S'VbO~UL, cio tali da non dare assoluta garanzia delL-1 loro
verit, appunto in quanto si riferiscono ad una situazione incerta che
devono determinare, ma non con assoluta certezza,_in modo d<t lasci<Jre
sempre adito alla discussione. Ma se la dialettica non si giustifica se non
dove si ha un problema, d'altra parte il problema trova riconoscimento
solo in sede dialettica. Solo qui infatti una questione viene riconosciuta
indeterminata ed impossibile a determinarsi in modo tale da escludere
definitivmnente ogni ulteriore discussione su di essa. ch, anzi, ogni
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PROBLEMA E DIALETTICA
235
soluzione proposta per un problema , in quanto conclusione di un sillogismo dialettico, sempre passibile di obbiezioni. Ma fuori della dialettica il problen1a non ha pi ragion d'essere, ch la scienza sostituisce ai
problemi assolute certezze dando ad essi soluziom che non potrebbero
essere diversamente da come sono. Infatti se il problema dialettico si profila solo perch consideriamo il necessario partendo da meri principi opinativi, l'incertezza, essenziale al problema, scompare una volta che siamo
giunti ai principi propri ; se invece problema si ha perch si considera
l'accidentale, allora nella considerazione scientifica del reale l'accidmte si
precisa come l' irrilevante per la realt. essenziale delle cose o viene ri<lotto al suo essere possibile, che passibile di considerazione scientifica ( 34). Ma nell'uno e nell'altro caso il problema si rivela essenzialmente legato all'accidentale : o alla considerazione dell'accidente o alla
considerazione accidentale del necessario. Ci avviene perch la dialettica
non considera i principi propri che permetterebbero di istituire catene di
proposizioni assolutamente necessarie, cio tali da eliminare ogni ulteriore possibilit di problema. Infatti quest'ultimo costituito da una situazione in cui non ci sono elementi sufficienti per pronunciare ~m giudizio o perch si tratta di un accidentale o perch non si intende tener conto
dei principi delle propriet in questione, sicch il principio dal quale si
proceder per giungere alla proposizione che dovrebbe costituire la soluzione del problema non sar necessariamente connesso con il problema
stesso che si deve risolvere, ma sar semplicemente uno dei punti da cui
si poteva partire; posta una premessa non ne pu derivare che una soluzione, ma non detto che quella sia la premessa pi opportuna per scoprire la soluzione del problema. Il fatto che la nozione di problema non
sia connessa, per Aristotele, con il concetto di scienza rende conto assai
bene di alcune asserzioni abbastanza importanti. Si gi detto che si ha
problema dove c' un' indeterminazione, una indecisione, dove mancano
degli elementi su cui poter fondare un giudizio; ma i limiti entro i quali
soltanto si pu parlare di reale indecisione sono assai chiaramente segnati
da Aristotele stesso. Problema si ha quando non ci sono opinioni correnti
sull situazione che, appunto, pone la questione, o quando le opinioni
correnti sono in contrasto ; si parla anche, vero, di sillogismi contrari,
ma di essi si dice che sono discorsi solo persuasivi. D'altra parte le premesse dialettiche non possono varcare confini anch'essi ben stabiliti: cio
non possono essere asserzioni chiare a tutti o non condivise da nessuno. I
criteri, in base ai quali stabilire se una situazione sia davvero problematica, sono proprio dati dall'opinione: cio solo se mancano opinioni numerose o autorevoli in proposito si pu parlare di effettiva incertezza
perch chi ragionevole non propone ci che ormai pacifico o nella sua
lampante verit o nella sua assurda paradossalit. Perci se, da un lato,
(;{4) Cfr. par. ro del cap. III.
...
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LA DIALETTICA
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Resp. 534e.
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LA DIALETTICA
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(39)
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PR.OBLEMA E DIALETTICA
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1,~ detcnninazioni della realt (41 ). Ogni parola in quanto tale non pu
non essere compresa in una categoria (42 ), sicch il ragionamento dialettico dovr tener conto anche di queste come determinazioni imprescindibili, qualunque sia l'argomento su cui verte. Senonch, mentre la scienza
. la definizione dei termini, cio determina l'oggetto di riferimento semantico delle parole, partendo dai principi propri delle propriet comprese entro la categoria sotto cui quella parola cade, la dialettica si serve
semplicemente dell'opinione per determinare il riferimento di una parola
;~Ila categoria che le compete e per definire il significato di quella.
Messa in luce tutta la struttura della situazione problematica, pare
che si possa fare un'osservazione assai importante: la soluzione del
problema ha gi dinanzi a s le categorie di cui deve fare uso e alle quali
non potr assolutamente aggiungerne altre. La ricerca della soluzione ha
gi le sue vie segnate e non pu che chiedersi se uno dei dati del problema rientri in una delle caselle che ha a disposizione, ma mai potr
mettere in problema anche quelle categorie per vedere se altre pit adatte
siano escogitabili. Le parole, qualunque sia la loro configurazione fonetica
o gli atteggiamenti che presso chi le usa sono ad esse legati, entrano in
una delle dieci categorie, in riferimento alla quale ricevono il significato
che pare pi attendibile (dal momento che siamo in sede dialettica), senza
che ci sollevi particolari problemi, perch il rapporto da significante a
significato convenzionale e perci, per Aristotele, arbitrario, sicch ogni
significato pu essere attribuito a qualunque segno fonetico. D'altra parte,
la stessa determinazione dei significati non un qualcosa che si riferisca
ad ogni situazione problcmatica nella sua peculiarit, dal momento che le
categorie, entro le quali i significati si colloec"lno, sono dieci c non di pi
n di meno. Quando poi si considerano le parole nella loro connessione
predicativa, allora esse non possono essere che uno dei predicabili, come
dir Porfirio; c anche qui il dialettico avr risolto il problema quando avr
determinato la posizione dei suoi termini rispetto a queste determinazioni
sostanziali. Ci che distingue la dialettica dalla scienza non gi l'uso di
categorie diverse, ma l'impiego di categorie, imprescindibili per l'una come
per l'altra, non in base all'intuizione intellettuale o alla deduzione da essa
derivante, ma in base all'opinione. Ora si pu comprendere perch Aristotele invochi un criterio estrinseco per risolvere il problema dialettico, cio
ricorra. all'opinione dei pi o dci pitl sapienti: infatti, poste le determinazJom necessarie, che abbiamo sopra enumerato, proprie di ogni situazione
(4 1 ) Dopo di che bisogna distinguere i generi delle categorie, nei quali vi sono
lr. quattro cose dette. Essi sono dicci di numero, l'essenza, il quanto, il quale, il
relativo, il dove, il quando, il giacere, l'avere, il fare, il patire. Sempre, _infatti:
l'accidente, il genere, il proprio c la de(nizione saranno in una di queste categone: che
s~mprc le proposizioni pronunciate su questi termini indicano o l'essenza o il quale
o il quanto o qllalcuna delle altre categorie (Top. A, 9, 103b, 20-27).
( 42) Cfr. par. 1 del cap. I.
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LA DJALI:TTICA
240
problematica, un criterio intrinseco non pu sussistere, perch implicherebbe la possibilit di elaborare categorie nuove e adatte alla situazione
di cui criterio di risoluzione. Presupposta l'opinione come principio di
tutto il ragionamento dialettico, quest'ultimo prende una fisionomia analoga a quella del ragionamento scientifico, cio in esso le conclusioni derivano necessariamente dalle premesse opinative assunte. Eppure c' una
differenza : mentre il discorso scientifico non ammette dialogo, perch non
possibile obiettare all'assoluta necessit delle sue proposizioni, il discorso
dialettico vive in una disputa. Ci perch in quest'ultimo caso, il carattere
stesso delle premesse permette che sussistano due punti di vista contrastanti : mentre nella scienza l' intuizione dei principi primi mozza il capo
ad ogni riserva, nella dialettica l'opinione tale che pu anche sempre essere diversa da come , sicch non esclude il suo contraddittorio, ma fa s
che ad og11i sillogismo dialettico che parta da una certa premessa, si possa
opporre un altro siliogismo dialettico che parta dalla premessa contraddittoria. Ciascuno dei due discorsi in s necessario e, assunta una delle
premesse, bisogner accettarr:e incondizionatamente tutte le conseguenze ;
ma appunto possibile scegliere una delle premesse contradditorie dal momento che nessuna delle due imposta dal voil. Senonch, anche qui, la
scelta tra le due opposte premesse non potr non essere compresa entro la
struttLtra antifatica del reale, che assolutamente imprescindibile.
Ci, del resto, si collega a tutta la concezione che Aristotele ha del
possibile. In quanto la dialettica si configura come disciplina dell'accidt"ntale essa concerne il possibile. L'accidente, infatti, ci che di sua natura
indeterminato (43), cio coincide con il possibile rl(JQt<nov il cui medio
e wx:r v (44 ); ma in quanto considera accidentalmente anche il necessario - cio non dai suoi principi propri - la dialettica introduce l' indeterminazione anche in questo campo, privandosi appunto di quei principi che potrebbero fornire la determinazione necessaria. Proprio per
questo Aristotele pu parlare di problema a proposito della dialettica .
Problematicit e possibilit risultano allora connesse in quanto si ha
problema solo l dove c' indeterminazione, cio solo l dove ognuno elci
corni di un'antifasi potrebbe essere vero, ma nessuno dei due si pu dire
assolutamente vero, ossia vero per ogni momento del futuro ( 45). In quanto
rinuncia a trovare questa determinazione valida in ogni momento del
futuro o in quanto concerne cose per le quali questa determinazione non
pu essere trovata, la dialettica ha a che fare con la nozione di problema.
( 43) M etaph. L\, 30, wzsa, 14-15; ibid. E, 2, ro27a, 8-u; I3-IS; ibid. Z, II,
T037a, .:;:4-27.
( 4 4)
( 4 5)
pria eli Aristotele per il quale il possibile il non-essere del necessario (cfr. par. 7 e S
del cap. I c i par. 9 c IO del cap. II).
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LA DIALETTICA
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LA DL>\LE'M'!CA
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significato dei nomi non pu evitare certi punti di riferimento che sono
necessari, sicch su di essi possibile edificare tutta una topica della semantica, valida per ogni discussione. Infatti il senso delle parole deve fondarsi sul riconoscimento del genere e della specie delle cose e delle diverse
categorie in cui entrano i predicati, sicch chi argomentasse senza tener
conto di questa pregiudiziale potrebbe, sulla guida delle parole, fare affermazioni su cose non rientranti affatto nelle premesse; allora sarebbe facilmente controbattuto dall'avversario che avanzasse distinzioni generiche,
specifiche o categoriali tali che l'argomentatore avesse precedentemente
presupposto o che non potesse rifiutare.
Ma proprio la questione semantica rinvia alle due che, nell'enumerazione aristotelica, la seguono : cio alla ricerca delle specie e alla ricerca
delle somiglianze. Infatti l'unico modo per distinguere i molteplici significati di una parola proprio il mostrare come quella stessa parola indichi
pi cose o pi rapporti tra cose: ma per far ci appunto necessario
distinguere le diverse cose che cadono sotto uno stesso genere, cio mettersi alla ricerca delle ()Lmpoga( che specificano i termini di un genere o
i generi affini (M). Ma a differenza di ci che avviene nella scienza, qui
non si tratta di cogliere le essenze delle specie intuitivamente, ma solo di
cercarle in base ai rapporti reciproci tra le cose diverse, cio proprio mettendo in relazione una specie con l'altra; il che non si pu pit\ fare una
volta che sia entrata la nozione scientifica di genere, con la rigorosa
separazione che essa impone. Ma appunto la distinzione in specie, propria
della dialettica, si configura come istituzione di rapporti di distinzione in
quanto non possibile, in questa sede, fare ricorso ai principi primi e
intuibili che si impongono nella loro assolutezza, a prescindere da confronti e da istituzione di rapporti tra le diverse specie. D'altra parte la
ricerca di somiglianza si configura anche come ricerca di ci che : analogo
nei vari generi con la netta infrazione, anche in questo caso, del postttlato della loro assoluta separazione (66 ). Proprio quest'ultimo rilievo serve
a mettere in luce il carattere essenziale della dialettica che non procede
dai principi propri ~eguendo le partizioni naturali (nel senso eh-: sono
cp1lo-1) delle cose in quanto si serve delle opinioni correnti sul conto di
esse : ora, proprio le opinioni non rispettano le partizioni in generi enttnciando, invece, considerazioni comuni (xor.wf) a tutte le cose, in qualsiasi genere rientrino. Appunto per questo la questione semantica presenta qui un particolare rilievo e l'uso dei nomi cela un pericolo magcerto nome. Ch se non sono identiche chiaro che la parola detta un omonimo '
(Top. A, '-~ 107a, 3-S).
(G5) Bisogna cercare le dilierenze nello stesso genere, mettcndole. in rela~ione
l'una con l'altra_. e tra genere e genere, purch non siano troppo distanti ..... ; che tra
quelli molto distanti le differenze sono del tutto evidenti (Top. A, 16, 107b, 39Io8a, 6).
(66) Bisogna indagare anche le cose che sono nello stesso genere, per vedere se
ad esse inerisce un che di identico (Top. A, 17, 10Sa, 14-15); ibid!. 7-8.
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LA DIALErriCA
246
giore qui che nella scienza: in quest'ultima infatti il ricorso all' intuizione e all'apodissi determina in modo nece:>sario il significato proprio
dei termini senza che sorga la possibilit di malintesi o di soluzioni saitanto verbali, mentre nella dialettica la considerazione delle opinioni comuni richiede un esame preliminare dell'uso delle parole indiscriminata. mente usate dai pi, per evitare che nel corso dell'argomentazione ci si
trovi dinnanzi ad estensioni del principio incapaci di reggere il peso delle
conseguenze che da esse si vorrebbero trarre ; ma come si visto il compito di saggiare la consistenza e la portata delle assunzioni, cio delle opinioni dei pi o dei pi sapienti, per ginnastica mentale, per disputa o per
sgombrare il campo alla scienza vera e propria, non pu essere assolto
che con la considerazione delle determinazioni necessarie del reale. Infatti le differenze di significato di uno stesso nome, che poi rimandano alle
differenze e alle somiglianze tra le cose, non si possono determinare che
in base ai concetti di genere e di specie e alle categorie. Determinate,
perci, le c1,tegorie necessarie del reale e quelle di cui si deve servire la
dialettica per la sua propria natura, Aristotele ritiene di aver compiutamente indagato gli aruana con cui ( lh'd}v) si possono costruire sillogismi
dialettici, sicch non resta che enumerare i luoghi ( TOJtO L) per usare 1
quali bisogna tener presente le cose precedentemente dette (6 7).
5 - IL
R.-\PPORT1 TRA T
Toj>ica.
E GLI
(67) Quelli che precedono sono gli organi con cui si costruiscono i sillogismi; i
luoghi per i quali sono utili le cose dette precedentemente sono i seguenti (Top. A,
J8, I08b, 32-33).
(68) Innanzitutto chi sta per interrog-are deve trovare il luogo donde possa
mtraprendere l'argomenta~ione (Top. El, I, r.q b, 4-5).
(60) Fino al ritrovamento del luogo comune la ricerca del filosofo e del
dialettico, ma l' ordinar li e l' interrogare proprio del dialettico: tutto cic\ i:1fatti,
che tien conto di vn interlocutore non interessa al filosofo e a chi conduce una ncerca
solitaria (Top, 0, I, 151 b, 7-I r).
(7o) Il dialettico deve in secondo luogo interrogare c ordinare ogni cosa da se
stesso (Top. 0, I, 151 h, 5-7).
(11) 'J'op. 0, I, 151 b, II-16.
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TOP/CA E ANALYTICA
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LA DIALETTICA
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IL LINGUAGGIO
LE RELAZIONI
249
altro elemento : bisogna cio che tra le tesi dei T opica e quelle degli
Analytica ci sia compatibilit. Ora, di fatto, la seconda opera ha portato
delle correzioni o dei mutamenti profondi alle tesi e all' impostazione
stessa della prima; ma in questa sono maturati quei motivi e quegli inteteressi che si sono realizzati nella seconda, sicch la logica dialettica in
essa illustrata pu fungere davvero da momento precedente della logic-'1
analitica. Esaminare questa relazione di precedenza significa collocare i
T opica al loro posto nel corpus logicum dello Stagirita, cio trovarne le
relazioni storiche con le altre parti e nello stesso tempo le relazioni sistematiche che Aristotele aveva pensato di poter istituire.
6. - I LUOGHI SUL .LINGUAGGio E SULLE RJ;LAZIO:.\'I. - Il libro B
dei Topica costituisce una specie di stmmw della dialettica, abbastanza
indipendente dalle altre parti dell'opera. Esso si occupa dei pi semplici
rapporti di opposizione tra proposizioni di qualit e quantit diversa e
clle possibili conversioni, della pluralit di significato delle parole e delle
relazioni di somiglianza, di contrariet, di correlazione, d,i piLI e meno ecc.
ccc. Su alcuni di questi argomenti ritorneranno i libri A c H per es.,
ma in modi assai diversi c senza stretti rapporti con il libro B. D'altra
parte i libri 6_, E e Z, che trattano con rigore c sistematicit del proprio e della definizione, non hanno leg-ami particolarmente evidenti con
il libro B e con gli altri, costituendo piuttosto un trattato unitario abbastanza organico.
La trattazione all' interno del libro B si svolge in modo ordinato e
coerente. Attacca. distinguendo tra le proposizioni universali e le particolari, che presentano la relazione predicativa con l'aggiunta di condizioni limitative, e mette in luce l' implic-'tzione delle proposizioni particolari da parte delle universali. Fatta questa distinzione, si pu dire che
il genere, la definizione e il proprio possono comparire solo ~empre in
proposizioni universali, essendo le particolari caratteristiche dell'accidente ('H>). Queste classificazioni diventano subito vincolanti per chi fa ragionamenti dialettici: impediscono di disporre a piacere delle qualit e
quantit delle proposizioni e di confondere il genere con l'accidente o il
proprio con l'accidente ecc. Anzi termini qualificati con tipi affini di proposizioni, come il genere e la specie, si controllano a vicenda (7 7 ). Fin da
questo punto possibile avere un quadro abbastanza chiaro del modo in
cui concretamente funziona quella logica dialettica che fin qui abbiamo
presentato nelle sue linee gener~i e astratte. Chi si impegna in un dialogo pronuncia proposizioni che appartengono a tipi determinati e mettono alle prese con termini reali definiti sulla base delle proposizion
(7ll) Top. B, I.
(77) Top. D, ... 109a, 34-b, 29.
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LA DIALETTICA
usate: termtm e proposizioni hanno relazioni obbligate, sulle quali insiste la logica dialettica costruendo i luoghi.
Ma la proposizione un oggetto estremamente ambiguo. Da un lato
essa deve fare i conti con le cose che enuncia (' 8 ), dall'altro con il linguaggio in cui ha sede (H1). Dal primo punto di vista. essa pu fare parte
del corpo di una disciplina specifica cd essere vera o falsa in relazione
-con i presupposti di essa; e tuttavia possibile isolare delle relazioni
costanti anche tra proposizioni che risulterebbero false se messe a confronto con i principi di una determinata scienza. Dal secondo punto di
vista uno stesso enunciato pu essere vero e falso se detto da due interlocuto.ri diversi che danno significati diversi alle medesime parole. Questi
tem1ini di riferimento servono abbastanza bene a definire il campo della
logica dialettica. Essa, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, deve
escogitare degli schemi di argomento, cio mostrare come certe supposizioni ne implichino necessariamente delle altre. La zona pi ricca di questi po?sibili schemi, che tuttavia non vincolino a principi scientifici che
potrebbero tronare ogni discussione, quella costituita dalle relazioni
costanti delle proposizioni a prescindere dalla loro verit o falsit di fatto.
E in realt proprio quelle relazioni concernono quasi tutti i luoghi che si
trovano nei Topica.
Tuttavia la possibilit di imbastire una discussione che non parta
da verit di fatto, che non stailism ogni battuta sulla scorta diretta o
indiretta di una verit di fatto. che tuttavia sia logicamente organizzata sulla base delle relazioni che le proposizioni, per il solo fatto di essere tali, costituiscono, presuppone che il linguaggio, che il veicolo delle
proposizioni, sia unificato. Vi sono argomenti sui quali, nell' intervallo
<:ompreso tra l'evidente e il paradossale, si possono fare molte assunzioni
probabili e non aventi il crisma della certezza intuitiva. Poich non
possibile o non si vuole stabilire quale di esse sia l'unica vera, se ne sceglie una e la si discute. Il ragionamento porter da s ad un punto in
cui si potr emettere un giudizio sull'assunzione; e magari perch si
giunti ad un paradosso. Ma tutto il ragionamento che sta tra l'assunzione
e il punto di arrivo, positivo o negativo, procede sulla scorta delle pure
propriet logiche delle proposizioni. Un ragionamento di questo genere
pu sussistere per solo in un universo linguistico perfettamente unific.."tto.
Infatti si potrebbe dare il caso di una discussione dialettica che partisse
dall' assunzione ogni A B e arrivasse contemporaneamente a due
conclusioni contraddittorie tra loro come ogni C B e nessun C
B . In questo caso si potrebbe dire o che le relazioni logiche pure non
hanno orientato sufficientemente la discussione o che c' un disaccordo
nella scelta tra la proposizione ognt C A e la proposizione nessun
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LA DIALETTICA
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(L UNGUAGGIO 1: LI.:
~~LAZ!ON!
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LA DIAL::.TTJCA
bastanza aberrante rispetto alle altre parti dell' Organon. Questi luoghi sfondano sull'osservazione che se si introducono nel discorso delle relazioni opportune, come quelle di somiglianza, di maggiore e minore, di
correlazione, ecc., si pu, detenninando uno dei termini, determinare anche
l'altro. Per es. la relazione del pi e del meno - !-Hiov xc ~nov, come
la chiama Aristotele - si articola in quattro modi (86 ) : I 0 ) al pi consegue il pi e al meno il meno ; 2") se pi verosimile che x inerisca a y
che a z, allora se non inerisce al primo, non inerir neppure al secondo e
se inerisce al secondo, allora, a maggior ragione, inerir anche al primo ;
3") se pi verosimile che x anzich )' inerisca a z, allora se x non inerisce, non inerir neppure y e se inerisce y inerir anche x; 4") se pi
verosimile che x inerisca a z che non .Y a t, allora se x non inerisce a z,
neppure y inerir a t e se y inerisce a t, allora anche x inerir a z. In
modo analogo Aristotele ragiona per le relazioni di contrariet c di correlativit. Infatti i contrari possono essere uniti in sei modi dei quali solo
quattro sono vere e proprie relazioni di contrariet (8 7). Ma per ben
distinguere quali relazioni si escludano e quali no occorre anche vedere
quali conseguano l'una all'altra e quali no (88 ); ora, il conseguente di
l'uomo animale non-animale non-uomo e non non-uomo
(86) Ancora altri luoghi derivano dal pi e dal meno. Quattro son0 i luoghi
del pi e del meno, tlllO se consegue il pi al pilt, per es.. se il piacere 5egue il bene,
un maggior piacere segue un maggior bene, e se il- fare ingiustizia male anche il
fare maggiori ingiustizie sar maggior male. Questo luogo utile in entrambi i
sensi. .. Un altro luogo: ~e una stessa <osa. si dice di due cose diverse, se a quella
cui maggiormenk pare che inerisca non incrisce, non inerir neppure a quella cui pare
inerire di meno e se inerisce a quella cui meno pare che incrisce, inerir anche a
quella cui maggiormente pare che inerisca.. J noltre se due cose si dicono i una sola,
se quella che pi sembra inerire 11on ineriscc, non inerir neppure quella che lo sembra di meno e se inerisce quella che meno eembra inerire, inerir anche quella che lo
sembra di pi. Infine se due cose ineriscuno a due altre cose, se quella che maggiormente sembra inerire al suo soggetto non incrisce, non in~rir n~ppure quella che
sembra di meno, e se inerisce quella che meno sembra inerre al suo termine, inerir
anche il restante predicato al restante wggctto (Top. B, 10, II4b, 37 nsa. q).
(87) Poich i contrari si connettono in sei modi, ma solo quattro di essi
generano contrariet, bisogna assumere i contrari, affinch servano a chi confuta c
a chi argomenta. Che i contrari si possano riunire in sci modi chiaro: infatti o
ciascun termine di una coppia di contrari si unisce a ciascun termine di un'altra coppia; e questo avviene in due mankre, per es. far bene agli amici e far male ai nemici
o. al contrario, far male agli amici e far bene ai nemici. O quando due termini si
eonnettono con un solo termine; cC: anche questo avviene in due modi, per es. far bene
c far male agli amici o far hene c far male ai nemici. O quando un termine legato
a due altri; e anche questo avviene in due moi, per es. far bene agli amici e ai nemiei c far male agli amici e ai nemici,
Le due prime cmmessioni non costituiscono contrariet (Top. 13, 7, II2b,
27 - II3 a, 2).
(8~) Poich quattro sono le contrariet, si pu indagare movendo dalle contraddizioni, cio dalle conseguenze in senso invcr so, sia da chi confuti che da chi
argomenti, assumere per induzione, per es. se l'uomo animale, il non-at~imale
non-uomo. Altrettanto per gli altri casi. Perch qui si ha conseguenza mversa:
infatti a uomo consegue animale, ma non a non-uomo non-animale, bens, al contra- rio, a non-animale non-uomo (Top. B, 8, ll3b, r5-2r).
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IL L!NOUAOGIO E LE RELAZIONI
255
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LA DIALETTICA
256
ciano appello a relazioni sia che facciano appello a proposizioni o ai rapporti delle classi. Si direbbe che l'attenzione di Aristotele stata attirata
soprattutto dai primi dialoghi platonici, dove assai meno assillante che
negli ultimi la preoccupazione di enucleare i fondamenti del metodo
dialettico usato. La problcmatica portata alla luce dalla dicotomia platonica non occupa ancora l'attenzione di Aristotele che in questo libro dcdic.:1. solo una piccola parte alla sistematica dei generi e delle specie, giustapposta per ad altri luoghi eterogenei e considerati ugualmente importanti. L'eco della disputa effettiva si sente abbastanza in queste pagine dei
Topt'ca e si direbbe che Aristotele desiderasse instaurare in essa una disciplina che non distruggesse tuttavia la libert della discussione. Ciascun interlocutore pu giocare tutte le c.:1.rte che sono a proprio vantaggio,
ma non deve barare, passando dal discorso dialettico a quello sofistico (90 ).
I luoghi che Aristotele escogita non sono giochi di parole o tranelli logici,
ma passaggi linguistici fondati sulla realt delle cose e particolarmente
adatti ad essere impiegati in una discussione in cui uno interroga e l'altro
risponde.
7 - LA S'l'RU'nURA LOGICA DEL REALE. - l libri 0., E e Z dei
Topica costituiscono una trattazione unitaria e organizzata preceduta da
un programma che stabilisce le relazioni sussistenti tra gli argomenti
trattati dai tre libri (91 ). Il libro A tratter del genere, il successivo del
proprio: sono gli elementi della definizione, della quale tratter lo Z. Si
tratta di argomenti piuttosto trascurati dai disputanti. L'organizzazione
unitaria e l' insistenza sulla novit dell'argomento caratterizzano assai
bene questa parte dei Topica distinguendola dalle altre. Non difficile
scorgere, come molti interpreti hanno visto, attraverso i luoghi che Aristotele illustra in questi libri, la problematica tipica della dialettica dicotomica di Platone. La gerarchia dei generi e delle specie, lo studio dei
propri che caratterizzano la specie, in particolare, sono argomenti proposti con speciale urgenza dal processo divisorio platonico. Tuttavia
Aristotele non parla mai direttamente della dicotomia. In altre parti de!l'Organon, gi esaminate, egli non esita a prendere una posizione aperta in
proposito, non temendo di trattare piuttosto male uno strumento di ricerca assai caro al suo maestro. Si pu forse spiegare questo fatto ammettendo che Aristotele non voglia qui criticare il metodo divisorio, ma
preferisca esplorarne i presupposti e i veri argomenti che essi rendono
possibili. Esso stesso in realt fa appello a tutta una struttura logica
costituita da relazioni costanti ben definite, le quali pennettono movimenti dialettici piit numerosi e pi stringenti di quelli consentiti dal
procedimento diairetico. L' interesse di Aristotele consiste appunto nel
(00) Top.
(91)
n,
Top. J'l.,
IZ-15.
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257
Iendersi conto di quelle relazioni, delle condizioni necessarie perch sussistano i nessi logici che poi la dicotomia pu servire a ritrovare. In
questo senso in un passo degli Analytica posteriora (ll:!) Aristotele considera la divisione come un buon mezzo per fare un inventario delle specie,
ma non come strumento adatto a penetrare le relazioni necessarie. E invece
egli preferisce esaminare le condizioni necessarie per l'asserzione di ogni
passaggio del processo diairetico, cio per l'inclusione di una specie in
un genere, di un genere in un altro, di un individuo in una specie ecc.
Di qui pu prendere le mosse una discussione dialettica in cui uno debba
difendere le proprie asserzioni e l'altro le debba attaccare. La rilevazione
dell' iriteresse che guida Aristotele in questa parte dei Topica abbastanza importante e serve a precisarne la posizione di fronte alla dialettica platonica. La dicotomia, quale presentata nel Sofista e nel Politico,
non ha l'aspetto di un ragionamento costrittivo, ma di una serie di assunzioni ordinate e interdipendenti che gli interlocutori fanno di comune
accordo. Ess.:1. presuppone un certo ordine logico della materia con cui
ha da fare, ma non crede che questo ordine esima dal fare scelte o assunzioni ad ogni passo. Neppure Aristotele pensa che si possa fare a meno
delle assunzioni: tutto il discorso dialettico procede sulta base di assunzioni precedenti. Egli per tenta di ridurre al minimo il numero delle
assunzioni, supponendo che ciascuna eli esse sia suscettibile di sviluppi
analitici fondaili proprio sulla struttura logica elci generi e delle specie cui
anche b dicotomia fa riferimento. Chi, per es., prendesse tre termini A,
B, C e li ponesse come termini di relazioni reciproche nella struttura
logica presupposta dalla dicotomia, troverebbe subito il divieto di prommciare qualche altra proposizione successiva e la necessit di ag-giungerne
altre al proprio discorso. Supposto, per es., A genere di B e di C bisognerebbe ammettere che R c C hanno delle propriet in comune, ma che
non hanno in comune almeno una propriet essenziale a ciascune di essi :
oppure ammesso A come genere di B e B come genere eli C, non si pu
dire che C pi ampio di A, ma anzi bisogna ammettere che incluso in
A. In questo senso all' inizio dd libro l\ Aristotele insiste sulla relativa novit delle cose che sta per dire: i dialettici raramente pensano a
trarre partito dalle relazioni logiche univoche che nelle discussioni vengono assunte in gran numero, ma che raramente vengono sfruttate. Tutta
una serie di luoghi compresi quasi tutti nel libro A, discute le rcla::'.oni pi semplici della gerarchia dci generi e delle specie; quelle su cui
ha pi insistito la traclizione. Il genere si divide in specie che partecipano
del genere, mentre questo non partecipa di quelle; esso complessivamente non deve essere pit ampio dell' insieme delle specie che contiene (03). Data una relazione genere-specie la gerarchia pu continuare
17
C. A.
VIANO,
La loKica di Aristotele.
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LA DIALI:TTICA
258
Top. E,
I, 128b,
34-37.
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nn
Ri:.~U:
259
D'altra parte il proprio deve riferirsi all'essenza della cosa cui appartiene,
pur senza esserne la defnizione (H' 0). Queste precisazioni circoscrivono
abbastanza bene il dominio del proprio e le sue condizioni necessarie.
Rsso non deve indicare direttamente l'essenza, ma la sua fonte conoscitiva non la sensazione, bens. l'essenza stessa. Ora, quest'ultima contiene
il genere e la differenza specifica, che precedono appunto la cosa alla
cui essenza appartengono, in quanto includono quella cosa: il proprio
perci deve essere stabilito attraverso i termini pi conoscibili in quanto
deve derivare dalle delerminazioni generiche e specifiche precedenti la
cosa stess.-'1. D'altra parte il proprio di una specie non deve essere stabililo
facendo appello a determinazioni appartenenti ad un'altra catena di classi
o ad una classe ulteriore della medesima catena. In questo senso caratterizzare una cosa per quello che essa significa trovare le propriet che
ad essa spettano per la posizione che occupa nella catena dei generi c delle
specie. Ci diventa particolarmente chiaro nella trattazione della definizione. Fssa infatti deve stabilire la posizione di una cosa all' interno di
un genere facendo appello ad una propriet che la distingua in modo
essenziale da tutte le altre specie del genere. Anche la defnizionc, come
il proprio, perci. deve essere stabilita mediante termini pi conoscibili
della cosa stessa da definire (1 1 ). La qualificazione di pi conoscbile
pu essere presa in due sensi opposti: pu voler dire pi conoscibile in
assoluto o pi conoscibile per noi. Pi conoscibili nel primo senso
sono i termini logicamente precedenti e che fungono da principio dei
successivi, mentre pi conoscibili nel secondo senso sono i 1ennini sensibili e che i pit't prendono come punto di partenza per la costruzione delle
loro definizioni. Una huona definizione si costruisce solo partendo dai
termini pi conoscibili nel primo senso. Essi danno oltre tutto la sicurezza di arrivare ad una definizione unica per tutti, come si conviene ad
una vera definizione eli un'essenza che appunto unica. Infatti i termini
pi conoscibili per noi, non sono unici, ma dipendono dalle disposizioni
dei singoli; appunto petci essi non daranno mai delle d.efnizioni che
possano essere condivise da tutti. Tuttavia gli esempi di etti qui si serve
Aristotele per illustrare la differem:a tra il pit conoscibile in assoluto e
il pi conoscibile per noi sono abbastanza sconcertanti. Punto. linea,
superficie, solido costituiscono per es. una serie in cui la priorit fondata
sul grado di conoscibilit in assoluto. Evidentemente qui non si pu
parlare di serie di classi ad ampiezza decrescente, perch i rapporti tra i
termini non sono di inclnsione. D'altra parte Aristotele nello stesso contesto paragona la relazione che intercorre tra ogni termine e il successivo
a quella che intercorre tra le lettere e la sillaba che esse compongono.
Questo pare decisivo per ammettere che Aristotele supponga una rela-
(l OO)
'/op. E, 3,
r,3 1 b,
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LA DIALETTICA
260
(103) SoLMSEN,
(105)
7-II.
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I PRED\Ci\TI
261
Top. Z,
10,
148a, 14-22.
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262
LA DJALI:TTICA
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l PREDICATI
263
nono questo punto sono abbastanza numerosi : per es. se la virt genere
della giustizia, se la prima pu essere maggiore o minore, tale deve poter
essere anche la seconda (110). Cos se il multiplo tale rispetto al divisore,
un multiplo specifico dovr avere come termine di riferimento un divisore specifico (1 11) ; e cos via. La considerazione delle propriet sopra
elencate mostra che non tutti i predicati hanno il medesimo comportamento e che perci possibile stabilire dei raggruppamenti eli predicati
a comportamento identico. 1n realt quelle propriet non sono ancora
sufficienti per condurre a termine la classificazione, perch predicati disparati godono di esse. Queste perci sono defferenziazioni posteriori a e
comprensibili entro una divisione in classi ultime dci predicati, dalla
quale nasce la lista delle categorie. La divisione dei predicati in quelli
che indicano una sostanza, una qualit, una quantit, ecc. non dedotta n
giustificata sulla base di qualche principio pi remoto dell'elenco stesso in
questione. Tn realt per Aristotele esso si impone da s. Che vi siano dei
predicati dal comportamento differente un fatto innegabile: alcuni ammettono << il pi e il meno, altri la contrariet, altri la corrispondenza
stocastica, ecc. Propriet di questo genere indicano che si di fronte a
predicati eli tipo differente. Tuttavia esse non bastano a individuare i
tipi di predicato: per es. il pi o il meno pu determinare tanto una
quantit quanto una qualit, che pure sono predicati abbastanza diversi,
gnchc se il loro comportamento logico descrivibile in parte con indicazioni comuni. Accusare ora con Kant le categorie aristoteliche di essere
rapsodiche o ricavarlc con il Trendelcnburg dalle categorie grammaticali
non sono direzioni di indagine che permettano di condurre una attendibile
esegesi dei testi dello Stagirita. L'elenco delle r.1.tegorie pu essere stato
suggerito ad Aristotele dalle fonti pi diverse: l'analisi del significato
delle parole imposta dalla discussione, le distinzioni suggerite dalla ricerca
scientifica nei suoi diversi rami e anche la considerazione grammatic.1.le
del linguaggio. Ma sta di fatto che Aristotele non si appella esplicitamente a nessuna di queste fonti.
T,a considerazione della relazione che corre tra le categorie da un
lato e i generi e le specie dall'altro pu forse illuminare un po' la questione. Le catene eli generi c di specie presuppongono la distinzione delle
categorie in quanto ogni catena si svolge entro una delle categorie c in
quella deve permanere ( 11 ~), in quanto tutti i predicati che servono a
caratterizzare le classi di qtwlla catena devono appartenere alla stessa categoria. Categorie e generi non appartengono per alla stessa linea di
generalizzazione : infatti le prime riguardano i predicati che compaiono
nella cosa in quanto sostanza, mentre i secondi sono costituiti dalle classi
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264
LA DIALETTICA
in cui le cose come sostanze sono incluse. Tuttavia poich la deternlinazione delle classi si fa sulla base dei predicati, le ec"ltegorie condizionano
l'edificio delle classi, le quali rientrano nelle categorie e sono costrette a
tener fede alla categoria che caratte1izza la serie cui ciascuna di esse
appartiene. La molteplicit delle Cc"ltegorie garantisce da questo punto di
vista anche la molteplicit di classi dello stesso livello in cui una cosa
pu essere inclusa. Infatti una stessa co<x< pu ricevere predicati appartenenti a categorie diverse ed ognuno di essi pu autorizzare l'inclusione
del proprio soggetto in una catena diversa di classi. In generale, la molteplicit delle categorie garantisce contro la riclucihil it di tutti i generi
ad uno solo per un processo di progressiva generalizzazione. Infatti al
limite i predicati si manifesterebbero non pi ulteriormente eliminabili,
in quanto ciascuno rappresentante di una categoria. Dato tutto ci, le
categorie e il sistema dei generi e delle specie vengono a costituire le
coordinate che definiscono la posizione di qualsiasi cosa nel reale: infatti
le categorie indicano subito sulla base di quale ordine eli predicati si considera la cosa in questione, mettendo in luce gli aspetti i essa che si fanno
valere e quelli che si lasciano cadere, mentre il genere e la specie indicano
a che livello la considerazione fatta e mettono in luce la relazione della
cosa in questione con le altre caratterizzahili con le stesse categorie. La
sistematica delle classi e le categorie sono perci connesse e compatibili,
tanto che ogni cosa fa riferimento ad esse. In questo senso le categorie
non sono dedotte, ma sono reperibili nella realt, sia che si rivelino nella
discussione dialettica o nella ricerca scientifica o in un'accorta considerazione del linguaggio. Ma in nessun caso le diverse fonti potrchhero dare
risultati diversi.
Categorie e classi come coordinate per individuare la posizione di una
cosa nel reale vengono usate per risolvere i problemi posti dalle relazioni
di identit e di diversit. L' identit una relazione che corre tra cose
che hanno almeno alcuni predicati comuni ; la differenza tra la somma dei
predicati dei due tennini della relazione e i predicati comuni costituisce
h diversit. Le confusioni linguistiche impongono il ricorso a quelle coordinate per appurare le identit e le differenze, in quanto cose diverse possono essere indicate con la stessa parola, come se fossero identiche, e cose
identiche possono essere indicate con parole diverse. Per risolvere il primo
e il secondo caso si fanno le medesime considerazioni, sebbene in sensi
opposti. Le cose da confrontare possono appartenere al medesimo livello
di generalit e possono essere differenti - o identiche - per le categorie
alle quali appartengono; o, supposto che appartengano alla medesima categoria e che questa sia una di queiJe che ammettono una relazione, possono essere differenti - o identiche - per il termine cui la relazione fa
riferimento. Pu darsi invece che le cose tra le quali si deve istituire un
confronto appartengano alla medesima determinazione categoriale, ma
occupino in essa livelli di generalit diversi : in questo caso si tratter di
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l PREDICATI
265
prendere in considerazione una differenza generica o una differenza specifica. In ogni caso categorie da un lato e generi e specie dall'altro costituiscono le coordinate che con il loro incontro determinano la posizione
delle cose: appunto perci esse servono a definire il campo di significato
di un termine linguistico (11 3).
Con l'emergenza delle dctenninazioni categoriali i Topica operano il
passaggio ad una logica in cui diventa essenziale non tanto il rapporto
inclusivo quanto quello predicativo, sebbene i due punti di vista non
siano mai considerati come distinti o, peggio, incompatibili da Aristotele stesso. Alla considerazione delle classi pi ampie nelle quali le altre
dovrebbero essere incluse si sostituisce la considerazione dei predicati
contenuti nell'essenza dai quali gli altri devono derivare. Questa considerazione diventa molto urgente soprattutto nel libro Z dei Topica,
come abbiamo visto sopra: non ci possono essere tante definizioni quanti
possono essere i punti di vista arbitrari dai quali pu saltare in mente
di guardare una cosa, perch una cosa non ha molte essenze diverse.
Occorre perci che esistano dei pu.nti primi in s dai quali far derivare
l'unica considerazione possibile dell'essenza delle cose. L'unico segno di
riconoscimento di questi punti costituito dal fatto che ad essi rimandano tutte le determinazioni di una cosa le quali sono da essi a loro volta
derivabili. 1\h quello che occorre appunto una delucidazione delle dcrivabilit e del nesso di dipei1denza che essa presuppone. Le idee platoniche
non paiono in grado di dar luogo a delle premesse veramente prime, se
non altro perch non tutte le propriet che esse posseg-g-ono appartengono
anche agli individui di cui esse costituiscono la specie. Le premesse, invece, devono s essere universali, ma adattarsi anche a tutti g-li inrlividui
cui si riferiscono i termini universali che compaiono nel loro enunciato. I
predicati che compaiono nelle premesse non devono essere riflessivi rispetto alle premesse cio riferirsi allo status logico delle premesse in quanto
tali, ma essere il frutto di generalizzazioni operate sugli individui. Le
categorie, secondo Aristotele, realizzano appunto queste condizioni, in
quanto sono predicati dei quali pi nulla ulteriormente prcdicabilc. Dai
predicati ultimi prendono inizio le derivazioni che mettono capo a determinazioni ulteriori dipendenti da quelle. Occorre tuttavia definire ancora
in che cosa consista questa derivazione. L'analisi di essa resa possibile
dalla sempre crescente centralit della logk.a della predicazione, la quale
mette capo alla elaborazione dello schema sillogistico. II sillogismo compare alla fine della logica dei Topica come l'enunciazione di quel nesso di
derivazione cui tutta l'opera tende (1 14). Soltanto considerando le proposizioni a prescindere dal contenuto che compare nei tcnnini di esse
possibile chiarire le condizioni pi generali indispensabili per una cleri-
(118)
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LA DIALETTICA
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l PREDICATI
267
questo punto la logica dci Topica si ricollega alla logica della prcdicazione
sviluppata nel De interpretatione e negli Anatytica priora, come risulta
dall'esame condotto nelle parti precedenti di, questo lavoro.
La piena realizzazione della logica che si delineata nei T opiea porterebbe a rigore alla fine della discussione dialettica. Essa infatti fondata sul presupposto che, una volta tratto inizio dalle determinazioni pi
conoscibili, non possibile che una definizione unica per ogni cosa che
abolisce il contrasto iniziale dal quale nasce la discussione. La scienza
quale descritta negli Analylica posteriom realizza in pieno questa aboiizione della discussione. In essa, come abbiamo lungamente visto, i p!.l.nti
di partenza si impongono per virt propria, le conseguenze ne derivano
necessariamente e non impongono mai di metterili in dubbio. La scienza
costituita da una catena di proposizioni perfettamente coerenti che corrispondono perci ad un'organizzazione di classi senza lacune o contraddizioni. Partendo da principi notevolmente g-enerali la scienza clefniscc
come proprio campo il contenuto di un genere abbastanza ampio preoccupandosi di studiare tutto quanto contenuto in esso e facendosi scrupolo
di non contaminare la materia di propria spettanza con quella rientrante
in generi appartenenti ad una catena diversa.
Ma l'uomo dispone anche di un linguaggio con le sue inadeguatezze,
della sensibilit, dell'opinione, che gli permettono di parlare e di pensare
senza rifarsi sempre ai principi primi o a ci che da essi direttamente deriva. D'altra parte per l'uomo non pu parlare che per proposizioni, non
pu pensare che dei generi, delle specie, dei proprii o degli accidenti, cio
non pu esimersi dal porre dei principi c dal trarne delle conseguenze,
dall'organizzare il proprio discorso come se fosse un discorso scientifico.
Ma poich esso non tale quando si fa una discussione dialettica, quando
si prende inizio da un'opinione, in questi casi la discussione verte appunto
sui principi che, non essendo di carattere scientifico, sono discutibili.
Anzi si pu dire che mentre l' interesse che guida il discorso scientifico
quello di scoprire il maggior numero possibile eli verit che si possono
ricavare dalle premesse certe, l' interesse che guida il discorso dialettico
quello di mettere i principi alla prova nel mag-gior numero possibile di
-casi ; la deduzione stessa non che uno dei mezzi per realizzare questo
tentativo. Da questo punto di vista si comprende come la terminologia
fondata sui generi e le specie e i luoghi, caratteristici della vecchia logica
dei Topica, sia da Aristotele considerata uno strumento adatto alla descrizione della dialettica. La scienza non ha bisogno di discutere e controllare
i rapporti tra i generi e le specie perch, partendo dai principi primi in
s e seguendo l'ordine naturale delle proposizioni, trova quei rapporti
costruiti con perfetta coerenza, n ha bisogno di luoghi o schemi di argomento perch una catena di proposizioni definita, ma ininterrotta. La
dialettica. non gode di questi privilegi in quanto non dispone di mezzi di
accertamento infallibili con i quali cogliere i principi, n si svolge entro un
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LA DIALETTICA
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LA DIALETTICA
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SOFISTICA E DIALETTICA
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tinuamente obbiezioni alle domande dell'avversario, per vedere se le risposte che l'avversario pu dare alle obbiezioni collimino con quelle che
tgli deve dare alle domande dirette. Perci tra l'argomentatore che pre,
tende di giungere a conclusioni opposte alla tesi di partenza e l'avversario che controlla la legittimit dei suoi passaggi c' una reciproca collaborazione, la quale garantisc':! che il discorso si svolga secondo necessit,
cio non attraverso passaggi arbitrari (luoghi sofistici), che il rispondente
pronto a impedire all'interrogante (1 24 ). La possibilit di questa collaborazione si fonda, per Aristotele, proprio sul fatto che il discorso proc.~de per nessi necessari, cio che possibile formulare domande alle quali
la risposta s o no necessaria, date le premesse. Ci perch queste si
riferiscono ad aspetti del reale che non possono essere che in un modo
solo : appunto perch esistono tali domande il rispondente pu tentare di
mostrare che la confutazione di una premessa non avvenuta per colpa
sua, ma per la natura della premessa stessa. Ci spiega perch le risposte
dei. discorsi dialettici non possono consistere che nel s o nel no, perch
appunto bisogna presentare condizioni reali che siano gi necessariamente
determinate, sicch ogni altra eventuale risposta che si volesse dare acl
esse si presenterehhe non diversa e, come tale, suscettibile di essere peggiore o migliore, ma senz'altro errata, cio, da escludersi immediatamente e~").
Da questo punto di vista gli intenti della dialettica aristotelica nei
confronti ciella dialettica platonica sono diventati abbastanz.:1. chiari. Que~ta, pur abbandonando le forme della discussione socratica, aveva continuato a far leva sulla contrapposizione delle tesi, sulla possibilit di discorsi diversi e opposti: la dialettica del Parmenide e dei sommi generi
del So jista appunto l'esplorazione di possibilit diverse c non sempre
compatibili, la dicotomia del Sofi.sta e del Politico non ha il carattere
costrittivo dd sillogismo, ma una serie di scelte convenute tra gli inter-
diver:;i il porre all'inizio ci che non si deve porre e il non ~aper mantenere correttamente ci che si posto (Top. e, 4. ISSa, 18-24).
(124) Poich chi $illogizza bene dimostra ci che messo in questione da nozioni pi probabili c pi conoscibili, <' chiare che, se semplicemente improbabile ci
che si pone per essere discusso, il rispondente non deve concedere n ci che non
sembra in modo assoluto, n ci che sembra acc.cttabilc, ma meno della concbsione.
Essendo la tesi improbabile, la conclusione sar probabile, sicch bisogna che tutto
ci che si assume sia probabile c pi probabile di ci che presupposto, se si deve
dimostrare il meno conoscibile dal pi conoscibile. Perci se qualcosa di cil che si
chiede non ha que$ti caratteri non deve essere concesso da chi risponde. Se invece la
tesi probabile in modo assoluto, (; chiaro che la conclusione dovr essere improbabile
in modo assoluto. Tutte le concessioni debbono essere prohahili e le non probabili
devono esserlo meno della conclusione>> (Top. e, 5, 155h, 8-19).
(125) Non pare che in generale la proposizione dialettica sia del tipo ' che
cosa l'uomo? ' o ' in quanti sensi si dice il bene? '. Perch proposizione dialettica quella alla quale possihilc rispondere s o no: perci(\ per quel che riguarda le
proposizioni suddette, non si tratta di proposizioni dialettiche (Top. 0, 2, I 54 a,
14-17).
. :,'' 1;\t<l'#:l
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LA DIALtlTTICA
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SOFISTICA E DIALETTICA
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( 1 27 )
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C. A.
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LA
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DIAL~TT!CA
scienze che si servono del ragionamento ma che non sono anccra pieno
esercizio della ragione (1 28 ). Una volta assegnato un compito e un oggetto specifici alla <.ha1tttic-a, <l tanto maggior ragione essa pu tornare a
contrapporsi alla retorica. A essa demandato il compito di cogliere
l' unit nella molteplicit, di ricostruire le connessioni logiche che legano
le cose nell'ambito dell'unit che le comprende. E da questo punto di vista
la dialettica dispone di una tecnica logica precisa: la dicotomia (1 29 ). Abbiamo messo in luce nelle pagine precedenti le principali caratteristiche di
questa tecnica logica e i presupposti filosofici cui essa fa appello. Attraverso gli ultimi dialoghi Platone approfondisce appunto soprattutto quei
presupposti. L'analisi delle categorie di unit e di essere condotta rispettivamente nel Parmenide e nel Sofista rivela ancora una volta l' impossibilit di ridurre la dialettica ad una scienza dogmatica: infatti l'nnit non
un insieme onnicomprensivo, ma il soggetto di molte possibili predicati incompatibili e l'essere rivela la propria natura di relazione e, di conseguenza, la propria dipendenza dai termini rispetto ai quali considerato. Nel Filebo l'unit diventa un concetto-limite che acquista una
serie precisa di predicati e un ambito definito di comprensione solo in
relazione con l'illimitato per la generazione del limitato (1 30). Pur attraverso le diverse presentazioni che Platone ne ia e attraverso l'approfondimento dei suoi presupposti logici, la dia!dtica, come dovrebbe risultare
dalla breve analisi accennata, mantiene alcune caratteristiche significative.
Qui ci preme insistere, per i nostri scopi, soprattutto su quelle negative.
La dialettica non una scienza deduttiva come la matematica che parte
da premesse assunte e trae conseguenze vincolate a quelle premesse e al
loro carattere parzialmente arbitrario. La dialettica cerca piuttosto di rendersi conto delle premesse proprie e delle altre scienze attraverso un costante confronto e una continua ricerca di relazioni. In questo senso essa
non una scienza dogmatica e non pu essere consegnata in un trattato (! 31 ). In ogni caso perci la dialettica rimasta per Platone una ricerca
a carattere discutivo, con o senza interlocutore, e non una scienza a carattere deduttivo.
Abbiamo gi visto in che modo Aristotele interpretasse l'ordine rdazionale della dialettica di Platone ed elaborasse uno schema di ragionamento a carattere deduttivo e costrittivo. E come Platone aveva fondato
l'ordine relazione del procedimento dialettico sulla natura stessa delle
somme determinazioni del reale, cos Aristotele pensa di poter attingere
direttamente dalle cose lo schema di ragionamento escogitato. Senonch
qui finiscono le analogie tra i due filosofi. Infatti l' essere per Platone
( 128 )
Resp. 53 I d- 534e.
(129)
(130)
( 131 )
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LA DIALETTICA
discutono tra loro per il gusto della ricerca. A chi sta imparando bisogna sempre
porre cose probabili; e infatti nessuno tenta di insegnare il falso ; quando invece si
tratta di contese, allora quello che interroga deve apparire di far sempre tutto, colui
che risponde di non sub re mai nuJia. Per quanto si riferisce alle discussioni dia l ettiche che non si propongono la contesa, ma la ricerca e l'indagine, non sono ancora
stati distinti i fini cui deve mirare chi risponde c che cosa deve concedere, che cosa
no, per salvare, bene o male, la coerenza della tesi. Poich nulla abbiamo ricevuto
da altri, tentiamo di dirlo noi stessi (Top. 0, 5, 1 ssa, .25-27).
(134) Top. A, 2, rora, 34 - b, 4.
(135) Top. 0, 4, I5'5a, 18-24.
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ligibile la conclusione cui si vuole giungere, appartenenti in modo specifico alla discussione dialettica che si propone di riportare vittoria (136) ;
tuttavia, poich la dialettica si occupa di tutti i discorsi che hanno di
mira un interlocutore, anche la competizione verbale agonistica deve essere presa in considerazione c anche i mezzi dell'agonistica possono eventualmente essere messi in uso. I principali mezzi per competere secondo
le regole dialettiche consistono nel nascondere la vera via con la quale si
giunge alle conclusioni desiderate, portando le premesse pi lontano
possibile dalle loro conseguenze necessarie. Non dovremo, perci, pronunciare i nostri asserti sul conto dci contrari, ma su quello degli opposti, di cui i contrari non sono che un caso particolare (H17 ) ; questo non
che uno dei modi in cui si deve tentare di nascondere d'onde veramente
derivi la conclusione, cercando sempre di assumere le premesse che di
per s non condurrebbero propriamente al caso proposto, ma che comprendono in s le premesse appropriate alla conclusione che sta a cuore (U18). In questo caso i luoghi della dialettica servono proprio a scoprire quelle connessioni tra nozioni apparentemente estranee alla conclusione e nozioni appropriate che ci permettono di argomentare da quelle
nascondendo queste. Cos l'agonistica pu ancora essere inclusa nella dialettica senza essere confusa con quel tipo di eristica che non rispetta le
regole del dialogo dialettico, ma procede in base a ostacoli di natura non
discorsiva, cui si appigliano oppositori ~W%O,u(vovt (13 9); quando,
(136) Tra le proposiZioni -t necessarie si dicono quelle attraverso le quali si
cc.mpie il sillogismo. Quelle che si assumono oltl-e queste, sono di quattro tipi: o
appartengono all'induzione, pc1 raggiungere l'universale, o servono a dare ampiezza
e splendore al discorso, o a celare la conclusione, o a rendere pi chiato il discorso.
Oltre a quelle appartenenti a questi tipi non possibile assumere altre proposizioni,
ma con l;ucste bisogna tentare di condurre innanzi l'argomento e di interrogare_ Le
proposizioni volte al fine di celare la conclusione sono proprie della discussione
agonistica; ma poich tutta questa trattazione tiene conto della presenza di un
interlocutore, necessario fare uso anche di queste:> (Top_ (), I, 151 b, 20-28).
(137) Non bisogna porre subito innanzi le proposizioni necessarie, attraverso
le quali si compie il sillogismo, ma bis0{:,'11a porle pi in alto possibile, per es. non
bisogna stabilire che dei contrari c' la stessa scienza, ma che la stes~a scienza
c' degli opposti, se proprio si vuole stabilire quell'asserto; posta questa ultima proposizione se ne dedurr cht anche dei contrari c' la stessa scienza, poich i contrari sono opposti (Top. El, I, 151 b, 29-34).
(138) Un altro modo di nascondere la conclusione consiste nel non dire mai
le conclusioni, ma enunciarle alla fine tutte insieme; cos vengono allontanate il pit
possibile dalla tesi iniziale. In generale, colui che intende interrogare celando i suoi
propo~iti deve rivolgere domande in modo che quando si chiesto tutto e si
pronunciato tutto il discorso si debba ancora cercare il perch della conClusione.
Ci si ottiene soprattutto con il luogo suddetto: detta la conclusione, da sola, al termine del discorso, non .': chiaro come possa essere stata dedotta, poich il rispondente non vede, salendo verso le premes~c. da quali di esse derivi, dal "!iom~nto che
non sono stati ben distinti i sillogismi che hanno condotto ad essa: Non s1 puo affatt'?
distinguere il sillogismo di una certa conclusione se noi non pomarno le pre~esse. dt
quella conclusione, ma le premesse sotto le quali sono comprese quelle da cu1 denva
il si!logismo (Top. e, I, 152a, II-22).
(1311) Sollevando a bella posta difficolt si fanno discussioni agonistiche e
non dialettiche (Top. e, II, J57a, 23-24).
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LA DIALETTICA
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I$7a, 33-37).
(141) Top.
e,
II,
I57a, 38-b,
I.
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LA DIALeTTICA
sfatti, pi aumenta la probabilit che quel discorso metta capo a conclusioni che l' intuizione noetica confermer. Ma appunto perch questo
risultato sia ottenuto bisogna che la dialettica., almeno quando ha la funzione di ricerca preliminare alla scienza, non sia intesa in senso agonistico, ma come uno dei mezzi per appurare, nel modo pi spassionato,
la solidit delle opinioni di cui si dispone prima di avere nelle mani i
principi evidenti.
I r. - IL DISCORSO Rl\'fORICO. In una trattazione dedicata alla dialettica aristotelica d'uopo tenere presente anche lo scritto sulla retorica,
che, in parte, rientra ancora in una trattazione del discorso apofantico ;
el resto lo stesso Aristotele non ha sdegnato di accogliere nei capitoli
24 e 27 degli Analytica. p1iora I' esempio e l' entimema, che sono forme
di discorso tipicamente retoriche. L' istituzione di un confronto tra la
Q'lltOQLX.t] tXVYJ e la dialettica mette subito in luce, nella prima, due piani
la cui distinzione estremamente utile per il proseguimento della ricerca.
Da un lato, infatti, quest'arte corrispondente alla dialettic..<t, in quanto,
come questa ultima, riguarda ci che non rientra in nessuna scienza particolare e perci di dominio comune, appartiene anche a chi non conosce
i principi primi (146). Ma, d'altro lato, la dialettica e la retorica si propongono scopi del tutto diversi : mentre infatti della dialettica tutti si servono per esaminare le asserzioni altrui e per entrare in un discorso, la
retorica serve a chi intenda difendersi e accusare (147). Suo scopo perci
non di insegnare a costruire un discorso che regga all'esame della
discussione e possa riportare la vittoria contro altri discorsi che Io contrastano, ma di produrre certi convincimenti nelle persone o nella persona che potrebbe condannarci o che pu condannare chi noi intendiamo
accusare: compito dell'arte retorica proprio quello di trovare i modi
in cui questo scopo pu essere raggiunto (148 ). Ma in quanto, come la
dialettica, verte intorno alle cose che acc.1.dono, la retorica dovr sforzarsi di generare convincimenti intorno alle cose che sono accadute e
delle quali siamo accusati o vogliamo accusare e non tentare di produrre
mutamenti di giudizi di valore o, comunque, di impressionare il giudice
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LA R.ETOR.ICA
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in modo che giudichi bene ci che andrebbe invece giudicato male, secondo le leggi in base alle quali deve pronunciare il verdetto, come spesso
hanno creduto coloro che hanno trattato di questo argomento (1'19 ). Nella
retorica c', dunque, il fine di ottenere la convinzione di una certa persona; ma questo fine pu essere ottenuto in modo proprio solo con i
mezzi che sono caratteristici anche della dialettica. Nulla impedisce che
possano essere impiegati anche altri mezzi, come per es. l'opportuna
configurazione stilistica del discorso o la disposizione delle parti che lo
costituiscono, sebbene questi accorgimenti non rientrino propriamente
nell'arte, non siano vtEXVfL (1 50). Tuttavia, proprio la considerazione dei
risultati che i mezzi impropri si propongono di raggiungere vale a mettere in luce i fini cui anche i mezzi propri devono mirare, e, cio, a
distinguere la retorica dalla dialettica. In quanto non si limita all'argomento come tale, ma mira a raggiungere attraverso quest"ultimo un de-terminato stato d'animo, un determinato atteggiamento - sia pure con
mezzi oggettivi c non con escogitazioni grossolane - , la retorica non
rientra del tutto nel discorso apofantico, ma pu, da un certo punto di vista, essere considerata un discorso puramente semantico (1" 1). Infatti essa
non bada tanto alla fedelt dei discorsi al vero, quanto alla possibilit
che essi hanno di convincere di ci che asseriscono come vero. In questo
senso, anche negli argomenti veri, si scelgono le parole e si costruisce
l'aspetto semantico del discorso in modo che possa essere favorevolmente
accolto da chi deve essere convinto proprio da quel discorso. Gli argomenti costituiscono il corpo del discorso rcttorico, ma ad essi si aggi1mgono anche gli accorgimenti che sono tratti dal lato propriamente