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Storia antica e antichità classiche Istituto Lombardo (Rend. Lett.

) 128, 403·424 (1994}

BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA:


IL CASO DELLA VITA PLUTARCHEA
DI LUCIO EMILIO PAOLO

ALBERTO BARZANÒ

Nota presentata dal m. e. Marta Sordi


(Adunanza del 6 ottobre 1994)

SUNTO. - Analisi del personaggio storico di Lucio Emilio Paolo Macedonico e della
tradizione storiografica antica che Io riguarda condotta a partire dalle considerazioni di ca-
rattere metodologico che Plutarco svolge nel primo capitolo della biografia a lui dedicata
e che, staccandosi da tutte le altre dichiarazioni di argomento analogo contenute nelle Vite
Parallele, delineano un vero e proprio approccio agiografico alla vicenda storica del personaggio.

In più luoghi delle sue Vite Parallele Plutarco interrompe la narra-


zione vera e propria delle vicende biografiche dei protagonisti per soffer-
marsi in considerazioni sulla finalità di edificazione, più che di mera ricer-
ca della verità storica, della sua opera e sulla conseguente scelta di dedicare
prioritariamente la propria attenzione alla personalità e al carattere dei
diversi personaggi, per metterne in luce gli aspetti positivi da imitare
e quelli negativi da evitare (1 ). Accanto a questi passi, tuttavia, ve n'é
uno in cui Plutarco non si attiene, nel fare le proprie considerazioni, a
quello che è il canovaccio comune a tutti gli altri. Si tratta del primo

(') Plut., Cim. 2, 3-5; Per. 1-2, 4; Nic. 1, 5; Demosth. 11, 7; Alex. 1; Demetr. 1, 1-6;
Pomp. 8, 7. Sui caratteri di fondo delle Vite Parallele di Plutarco cfr. da ultimo B. ScARDI-
GLI, Introduzione a Plutarco, vite parallele. Focione. Catone Uticense, Milano 1993, pp. 5-55
(in particolare pp. 39-41).
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capitolo della biografia di Lucio Emilio Paolo, dove, dopo quella che è
la solita dichiarazione circa il senso del suo scrivere le vite dei grandi
del passato (" Ad iniziare la composizione delle biografie mi sono indotto
a motivo di altri, ma ora ormai persevero e continuo per me stesso e
guardando come in uno specchio attraverso la storia cerco in qualche
modo di adornare e assimilare la mia vita conformemente alle loro vir-
tù"), anziché trarne l'abituale conseguenza sul piano metodologico (vale
a dire una strutturazione del racconto prioritariamente rivolta alla sotto-
lineatura di virtù da imitare e vizi da evitare), devia sensibilmente dallo
schema consueto. Anche in questo caso Plutarco avverte il lettore che
non è sua pretesa raccontare effettivamente tutta la vicenda biografica
dei suoi personaggi, ma è sul criterio di scelta della materia da trattare
e di quella da non trattare che assume una posizione diversa. Anziché
far riferimento ad un criterio di scelta basato sulla utilizzabilità o meno
delle vicende quali esempi di vita in positivo o in negativo piuttosto che
sul loro interesse e sulla loro significatività sul piano storico, egli preferi-
sce considerare qui come parametro di giudizio il carattere edificante del-
le diverse azioni del personaggio (''osservo 'di quale grandezza e valore
sia stato' e scelgo fra le loro azioni le più significative e le più belle
a conoscersi"), dichiarando esplicitamente di voler eliminare dal suo rac-
conto tutti gli aspetti negativi pure presenti nella sua vita ("io mi prepa-
ro ad accogliere di volta in volta nell'animo il ricordo dei migliori e dei
più stimati, e, se qualcosa di negativo, di moralmente riprovevole o igno-
bile insinuano i rapporti col prossimo imposti dalla necessità, ad allonta-
narlo e a spingerlo via, rivolgendo il pensiero, più dolce e rasserenante,
verso gli esempi migliori").
Queste due considerazioni di fondo (delle vicende biografiche dei
protagonisti non tutto è raccontato, ma solo ciò che meglio, tra quanto
di positivo essi abbiano fatto, possa rispondere all'intento dell'autore; gli
aspetti negativi della loro vita e dei loro caratteri non vengono presentati
perché il lettore ne possa trarre un esempio morale e contrario, ma ven-
gono completamente ignorati onde conferire al racconto un carattere di
edificazione totalmente in positivo) vengono a sovvertire, in maniera so-
stanziale, quello che è l'abituale approccio di Plutarco all'edificazione mo-
rale per delineare le caratteristiche di quello che, con categorie moderne,
potremmo definire uno scritto di carattere "agiografico".
Perché mai Plutarco si è indotto, qui e solo qui, a teorizzare un'im-
postazione metodologica di questo genere e fino a che punto ed entro
che limiti l'ha poi rispettata? La risposta, a mio giudizio, è da ricercarsi
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in due circostanze del tutto particolari che sono legate a Lucio Emilio
Paolo e solo a lui: il fatto che la sua immagine era indissolubilmente lega-
ta alla vittoria finale dei Romani sui Greci ed il rapporto del tutto specia-
le che esiste tra la sua figura storica e la tradizione storiografica ad essa
relativa.
Che la scelta di inserire Lucio Emilio Paolo fra i protagonisti delle
sue Vite Parallele sia stata dettata a Plutarco essenzialmente dalla sua
centralità nella definitiva vittoria dei Romani sulla Macedonia appare as-
solutamente evidente se solo si considera la particolare strutturazione di
questa biografia, che una vera e propria biografia non è, bensì un raccon-
to della guerra macedonica (capitoli 7-37), con una premessa (capitoli 2-6)
e una chiusa (38-39) dedicate alle vicende personali del vincitore prima
e dopo il conflitto.
Di questo racconto plutarcheo della guerra macedonica, per di più,
non è nemmeno Paolo ad essere il vero protagonista: le sue vicende per-
sonali, infatti, sembrano essere utilizzate per lo più come un supporto
sul quale vengono innestati via via diversi episodi che riguardano diversi
personaggi e pertanto la figura storica che alla fine ne esce maggiormen-
te evidenziata e delineata è sicuramente quella di Perseo, ultimo tragico
e tormentato depositario dell'eredità di Filippo ed Alessandro (2). Ed è

2
( ) Il racconto della guerra macedonica inizia al capitolo 7, con un inquadramento sto-

rico dello scoppio del conflitto. Seguono un sommario di storia macedone (capitolo 8) e un
ragguaglio sulle prime operazioni militari (capitolo 9). I capitoli 10 e 11 hanno al centro
Lucio Emilio Paolo, ma col paragrafo 3 del capitolo 12 l'attenzione si sposta su Perseo e
su di lui resta fino a tutto il paragrafo 3 del capitolo 13. Un breve ritorno a Lucio Emilio
Paolo (13, 4-7 e 14, 1-2) serve a Plutarco solo come elemento di connessione per arrivare
ad una lunga disquisizione sull'origine delle acque sorgive (14, 3-11). Questo uso del rientro
in scena di Lucio Emilio Paolo come elemento connettivo del discorso è ripetuto subito dopo
(15, 1-2), quando Plutarco se ne serve per passare ad occuparsi di Publio Cornelio Scipione
Nasica Corculum e della spedizione militare con la quale costui riuscì ad aggirare Perseo,
costringendolo a ritirarsi verso Pidna (15, 3-11 e 16, 1-9). Lucio Emilio Paolo torna realmen-
te al centro della sua biografia solo nei capitoli 17 e 18 e nella prima parte del successivo
capitolo 19 (1-3): qui l'attenzione del lettore è nuovamente indirizzata altrove da Plutarco,
prima su Perseo (paragrafi 4-10) e poi sull'eroismo degli ausiliari italici (20, 1-5). Segue un
nuovo richiamo alle vicende di Paolo (20, 6-10) che serve per l'ennesima volta a Plutarco
unicamente da elemento connettivo per passare ad un argomento diverso (alcuni atti di eroi-
smo compiuti da altri soldati romani e dal futuro genero di Paolo, Marco Catone, figlio
del Censore (21, 1-7)). E allo stesso espediente viene fatto ancora ricorso nel capitolo succes-
sivo, il 22, laddove il rientro in scena di Paolo fornisce il pretesto per ricordare la partecipa-
zione alla battaglia del giovanissimo Scipione Emiliano. Col capitolo 23 ritorna in scena Per-
seo: il suo dramma, la cui narrazione si interrompe nei capitoli 24-25 per lasciar spazio al
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proprio il ruolo importante che Perseo ha, come modello di comportamen-


to in negativo, nella biografia di Lucio Emilio Paolo, che potrebbe offrirci
la prima possibile spiegazione della scelta di cogliere, invece, nel suo vin-
citore solo gli aspetti positivi: saremmo di fronte, in sostanza, ad una
biografia doppia, all'interno della quale il vincitore è destinato a rappre-
sentare l'elemento positivo e lo sconfitto quella negativo.
La trasfigurazione in senso totalmente positivo della figura storica
di Lucio Emilio Paolo, però, non si giustifica solo in contrapposizione
ad una interpretazione totalmente negativa del suo avversario Perseo e
non si rileva solo all'interno di questa particolare biografia plutarchea.
Come ha convincentemente dimostrato H. Wheatland Litchfield in un in-
teressante saggio pubblicato all'inizio del nostro secolo (3), il mondo ro-
mano maturò fin da principio un proprio concetto di "santità" che, a
differenza di quello cristiano, utilizzava come criterio di base la ricerca
del bene della patria unita ad uno scrupoloso rispetto per le virtù nazio-
nali codificate dal mos maiorum (4 ). Diretta conseguenza dell'elaborazio-
ne di tale concetto fu lo sviluppo, fin da età repubblicana, di quella che
si potrebbe a buon diritto definire come una sorta di agiografia pagana,
ovvero di un complesso di scritti che trasfiguravano, idealizzandole, alcu-
ni grandi figure storiche del passato che potevano essere in qualche modo
ricondotte a tale concetto di "santità", nell'intento di sfruttarle, a scopo
di edificazione, come exempla di incarnazione di una o più di quelle quali-
tà che il mos maiorum riconosceva come virtù ( 5 ). Lucio Emilio Paolo,

racconto di come la vittoria di Pidna fu conosciuta a Roma in modo prodigioso e ad un


excursus su casi storici dello stesso genere, resta centrale per tutto il capitolo 26 e costitui-
sce poi l'argomento principe del discorso di Lucio Emilio Paolo riportato nel 27. Lucio Emi-
lio Paolo ridiventa a questo punto protagonista (capitoli 28 al 36), ma con un'ampia interru-
zione (costituita dai capitoli 32-34, i quali hanno per argomento una minuta descrizione dei
vari aspetti del trionfo su Perseo). E tuttavia la conclusione di questa parte principale della
biografia, cioè il capitolo 37, è ancora una volta centrata sulla figura di Perseo, anziché
su quella di Lucio Emilio Paolo.
(3) H. WHEATLAND LITCHFIELD, National exempla virtutis in Roman literature, in
HSCPh 25 (1914), pp. 1-71.
( 4 ) Per il costante riferimento dei sancti romani alle virtù codificate dal mos maio-

ru:m cfr. H. WHEATLAND LITCHFIELD, National..., pp. 8-9. Un elenco di queste virtù si trova
ad esempio in Cic., off. 1, 15 ss.: vi appaiono, nell'ordine, iustitia, fides, pietas erga deos,
patriam, parentes, ceteros, severitas in militari disciplina, fortitudo, constantia, continentia,
paupertas, clementia, moderatio.
( 5 ) È importante sottolineare, con H. WHEATLAND LITCHFIELD, National..., pp. 37

segg., come non sia raro riscontrare in exempla di questa o quella particolare virtù un esplicito
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che alla patria, con la vittoria macedonica, aveva portato benefici di por-
tata epocale (basti pensare alla definitiva esenzione dal tributo per tutti
i cittadini romani) e che sotto l'aspetto dell'attaccamento al mos maiorum
era assolutamente inattaccabile, venne inserito a pieno titolo in questo
canone di "santi" romani: ecco allora che si comprende perché tutte le fon-
ti a noi note siano accomunate da un giudizio entusiastico su Lucio Emilio
Paolo ( 6 ), quando è invece accertato che la sua figura storica non fu
"così univocamente luminosa come la tradizione ci vuole mostrare" (7).
L'interesse per una ricostruzione storica realmente fedele dei tratti della
personalità di Lucio Emilio Paolo, infatti, era sensibilmente celato, col
trascorrere del tempo, a fronte dell'importanza che invece, in pari tempo,
era andata acquisendo la sua immagine idealizzata da protagonista di molti
e celebri exempla virtutis (tanto che una parte significativa di ciò che
di lui conosciamo ci proviene proprio dalla letteratura degli exempla) ( 8 ).
È solo nella logica di questo tradizionale giudizio preconcettamente posi-
tivo su Lucio Emilio Paolo che si può comprendere il significato delle
dichiarazioni metodologiche di Plutarco e l'applicazione che dei criteri in
esse enunciati viene data nella sua biografia: nel caso di Lucio Emilio

conflitto di doveri (la severitas di Bruto che uccide i figli cozza senz'altro con la clementia).
Eppure la scelta di questa o quella di più virtutes in conflitto non sembra aver creato proble-
mi a questi uomini sancti: Seneca padre (Controv. 9, 2, 19), riferendosi a Manlio Torquato,
il quale aveva decretato la condanna a morte del figlio dopo la battaglia ad Veserim nel
340 varr., scrive che a lui non nocuit et filium et victorem occidere.
( ) Le nostre fonti principali su Lucio Emilio Paolo sono Plutarco (nella biografia di
6

cui qui ci occupiamo e in qualche altro luogo dei Moralia) e Livio (libri 34 e 35), mentre
solo qualche frammento è rimasto delle testimonianze di Polibio (libri 29-32), Diodoro Siculo
(libri 30-31), Dione Cassio (Zon. 9, 23 e 24) e Appiano (Mac. 19). Naturalmente anche molti
altri storici accennano a Lucio Emilio Paolo (cito, a puro titolo d'esempio, Velleio Patercolo,
Floro, Giustino, Eutropio e Orosio), ma senza aggiungere alcunché di originale alla tradizione
precedente. Di ben altro interesse, invece, sono i numerosissimi exempla che autori di opere
letterarie dei generi più vari attinsero per i propri scritti alle vicende di Paolo, a cominciare
da Cicerone (Brut. 19, 77; 20, 80; sen. 9, 29; 17, 61; 6, 16; 19, 68; div. 1, 46, 103; 2,
40, 83; ad Att. 4, 13, 2; rep. 1, 15, 23; rk or. 2, 67, 272; nat. deor. 2, 2, 6; Tusc. 3, 28,
70; 5, 40, 118; pro. Mur. 14, 31; in Verr. 1, 21, 55; 5, 10, 25), Valerio Massimo (1, 3,
4; 2, 7, 14; 4, 3, 8; 5, 1, 8; 7, 5, 3; 8, 11, 1) e Plinio il Vecchio (n.h. 1, 53; 4, 39; 33,
56; 34, 54; 35, 135; 36, 102).
(7) R. VIANOLI, Carattere e tendenza <klla tradizione su L. Emilio Paolo, in CISA
1 (1972), pp. 78-90, p. 89.
( 8 ) W. REITER, Aemilius Paullus. Conqueror of Greece, London, New York, Sydney

1988, p. 1: "Paullus' !ife served as an image, an idea! of antique morality upon which people
could model themselves and find escape from troubled times; Paullus the individuai was
forgotten amidst the image".
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Paolo, infatti, il personaggio storico reale si presenta tanto diverso dalla


figura idealizzata presentatane dalla tradizione successiva che ben difficil-
mente l'uno avrebbe potuto essere conciliato con l'altra.
È sempre stata opinione comune che la mitizzazione di Lucio Emilio
Paolo sia stata voluta da suo figlio Scipione Emiliano, amico e protettore
di quel Polibio, che sarebbe da considerare quale fonte comune per tutti gli
autori successivi ( 9). Scipione avrebbe· con ciò inteso erigere, già all'indo-
mani della morte del padre, uno schermo inattaccabile a difesa della propria
azione di apertura e di dialogo con le popolazioni del Mediterraneo orien-
tale con le quali Roma stava progressivamente venendo in contatto (1°).
In realtà, se si esaminano con attenzione i termini del problema,
si nota subito che la trasfigurazione idealizzata di Lucio Emilio Paolo
non fu così immediata come i moderni danno per scontato. Non solo:
tanto da vivo quanto da morto egli sembra aver subito critiche ed attac-
chi, rintracciabili per più di cent'anni in uno dei filoni della tradizione
storiografica. Ora, è senza dubbio evidente che tutti i grandi personaggi
hanno sempre avuto degli avversari e dei detrattori in vita e anche dopo
morti. E tuttavia nel caso di Lucio Emilio Paolo colpiscono la consistenza
numerica di questi suoi avversari e detrattori e la relativa facilità con
la quale il movimento di opinione da essi creato sembra aver preso piede
anche (e, anzi, soprattutto) tra quanti gli erano stati vicini in Macedonia,
al punto che furono le sue stesse truppe ad opporsi rumorosamente al
suo trionfo, accusandolo di aver esercitato il comando con troppa severi-
tas: proprio quella che l'aveva invece reso tanto gradito alla parte più
conservatrice degli optimates. A provocare e guidare la contestazione dei
soldati, tanto secondo Livio (45, 35, 8 ss.), quanto secondo Plutarco, (Aem.

( 9)Cfr. ad es. R. VIANOLI, Carattere ... cit., p. 80, e W. REITER, Aemilius... cit., PP·
20 ss.. W. REITER, Aemilius ... cit., p. 32, sostiene che l'opera di Polibio va letta tenendo
sempre presente che l'autore era un cliens di Lucio Emilio Paolo e dei suoi figli. Circostanza
del tutto inesatta, in quanto mai e poi mai singola persona avrebbe potuto essere legata
da un rapporto vincolante ed esclusivo come quello della clientela a tre personaggi apparte-
nenti a tre famiglie ugualmente importanti e ben distinte tra loro (gli Emilii, i Cornelii,
i Fabii). Ha ragione invece il REITER, Aemilius ... cit., p. 32, quando ricorda che Polibio er~
amico carissimo di Scipione Emiliano; ed è tutto da dimostrare che un amico carissimo di
Scipione Emiliano dovesse per forza vedere in buona luce Lucio Emilio Paolo. D'.al~rond~,
il Reiter dimentica di dire che, nel leggere l'opera di Polibio, non bisognerebbe mai d1menti-
carsi nemmeno che la libertà e la dignità politica e sociale che Polibio recuperò grazie a
Scipione Emiliano, le aveva perse in seguito ad un preciso ordine di Lucio Emilio Paolo.
(1°) Cfr. W. REITER, Aemilius... cit., p. 57.
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30, 4 ss.), sarebbe stato Servio Sulpicio Galba, che in Macedonia aveva
prestato servizio agli ordini di Lucio Emilio Paolo in qualità di tribuno
militare e i1 cui ricordo fu affidato alla storia da Svetonio (Galba 3) come
quello di colui che per primo inlustravit la familia in seguito destinata
a dare i natali all'imperatore Galba. Il fatto che Zonara, che è la nostra
terza fonte sul trionfo di Lucio Emilio Paolo (9, 24), non faccia alcun
cenno all'episodio (e certamente non per un'omissione dovuta ad eccesso
di sintesi del contenuto del testo base di Cassio Dione, perché è l'impian-
to generale del racconto a non essere compatibile con un'eventuale inser-
zione del fatto) non vale a mettere in dubbio la storicità della vicenda
(cosa che, d'altronde, nessuno dei moderni ha mai fatto), giacché Livio
e Plutarco sono entrambi chiaramente favorevoli a Lucio Emilio Paolo
e quindi non possiamo ragionevolmente pensare che abbiano potuto in-
ventare di sana pianta un simile episodio che non contribuisce certo a
metterlo in buona luce. E che di ciò i due storici si rendessero perfetta-
mente conto è prova il fatto che si affannano a sottolineare la bassezza
d'animo di coloro che promossero la contestazione contro Lucio Emilio
Paolo e di quanti a loro si accodarono. Livio, in particolare, insinua che
Galba avrebbe usato strumentalmente i soldati per vendicarsi del suo ex
comandante del quale era privatim inimicus (45, 35, 8), mentre Plutarco
usa significativamente il termine Òtix~oÀix( ( = calunnie) per definire le ac-
cuse mosse a Paolo (Aem. 30, 6).
Che Servio Sulpicio Galba fosse ostile a Lucio Emilio Paolo per mo-
tivi personali e che questa inimicizia abbia avuto un ruolo nella vicenda
è non solo credibile, ma assai probabile. Servio Sulpicio Galba era infatti
legato da vincoli di stretta parentela ad un altro tribuno militare dell' e-
sercito di Lucio Emilio Paolo, Gaio Sulpicio Gallo (11 ), il quale doveva
aver intrattenuto, sulle prime, un'amicizia molto cordiale col suo coman-
dante. La fiducia e la stima di quest'ultimo verso il tribuno erano tanto
profonde che, secondo la testimonianza di Cicerone (rep. l, 15, 23), fu
proprio Gaio Sulpicio Gallo ad essere scelto per sorvegliare, dopo la cat-
tura, il re Perseo e i suoi familiari, nonché per comandare gli accampa-
menti durante il viaggio che Paolo compì attraverso la Grecia dopo la

( 11 ) Quale fosse l'esatto grado di parentela esistente tra Servio Sulpicio Galba e Ser-

vio Sulpicio Gallo non lo sappiamo: Cicerone (de or. 2, 228) designa genericamente Galba
come propinquus di Gallo, mentre Valerio Massimo (8, 1, ext. 2) scrive ch_e il primo e~a
sanguine coniunctus col secondo. Bisogna sottolineare inoltre che in Macedoma tant~ S~rvi~
Sulpicio Galba (Liv. 45, 35, 8) quanto Servio Sulpicio Gallo (Liv. 44, 37, 5) erano stati tribum
della medesima unità militare, la seconda legione.
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resa dell'avversario (Liv. 45, 27, 5-28, 8; Plut., Aem. 28, 1, 5). Ad interrom-
pere bruscamente questo rapporto di amicizia e di stima reciproche tra
Lucio Emilio Paolo e Gaio Sulpicio Gallo era peraltro subito dopo interve-
nuto un incidente alquanto spiacevole: il comandante, di ritorno dal viaggio,
aveva rimproverato e sollevato da ogni incarico il tribuno, reo, a suo dire,
di aver concesso troppa libertà a Perseo e di aver permesso ai soldati
di edificare alloggi provvisori requisendo materiali sul posto (45, 28, 9-10).
Altra causa (ma anche effetto) della rottura dell'amicizia fra i due
potrebbe essere stata la rivendicazione da parte di entrambi in via esclu-
siva del merito di aver impedito che l'eser~jt9 romano (al contrario di
quanto accadde a quello macedone) fosse demoralizzato, a causa della su-
perstizione, da un'eclissi di luna che si verificò alla vigilia della battaglia
decisiva. Di questa polemica, sorta a proposito di una vicenda il cui meri-
to, secondo Livio (44, 37, 5 ss.) e Plinio il Vecchio (n.h. 2, 9, 53), i quali,
almeno su questo punto, non sembrano schierati per nessuna delle due
parti, sembra essere stato tanto di Gallo (era lui ad essere un esperto di
astronomia - anzi, il primo vero esperto di astronomia a Roma - ed era
quindi soltanto lui ad avere il bagaglio di nozioni scientifiche, che più tardi
avrebbe anche esposto e approfondito in un ampio trattato, indispensabile
per fornire ai soldati una convincente spiegazione delle cause e della rea-
le natura dell'eclissi) quanto di Paolo (che dapprima aveva stimolato l'uffi-
ciale e poi aveva saputo valorizzarne opportunamente le capacità) ci ha
tramandato l'eco l'esistenza nella tradizione storiografica antica di due
altre versioni dell'episodio tra loro inconciliabili, le quali mirano ad attri-
buire tutti i meriti l'una a Lucio Emilio Paolo e l'altra a Gaio Sulpicio Gallo.
La versione favorevole a Lucio Emilio Paolo (Plut., Aem. 17, 7 ss.;
Zon. 9, 23; Liv., Per. 44) fa di lui l'unico protagonista dell'episodio e
a lui medesimo attribuisce il possesso delle cognizioni astronomiche ne-
cessarie per fornire ai soldati una spiegazione razionale dell'eclissi, oblite-
rando completamente la memoria di Sulpicio Gallo. Per contro, la versio-
ne opposta arriva ad assegnare a Sulpicio Gallo non solo tutto il merito
dell'aver liberato l'esercito dal timore superstizioso (Cic., rep., 1, 15, 23),
bensì anche tout court la gloria di aver determinato il successo romano
nello scontro di Pidna (Val.Max. 8, 11, 1): itaque inclytae illi Paulianae
mctoriae liberales artes Galli aditum dederunt, quia, nisi ille metum no-
strorum militum vicisset, imperator vincere hostes non potuisset ( 12 ). La

(12 ) All'origine di questa versione favorevole a Gaio Sulpicio Gallo sta probabilmente
il i·olumen che, come ricorda Plin. 2, 9, 53, lui stesso scrisse: Cicerone e Valerio Massimo
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probabile esistenza di un'ostilità tra Lucio Emilio Paolo e i Sulpicii, se


spiega perché proprio Servio Sulpicio Galba si sia posto a capo del movi-
mento ostile al vincitore di Perseo, non esclude che alla base di tale movi-
mento di protesta potessero esserci motivi fondati: dopo tutto dalle fonti
antiche si evince con chiarezza che Servio Sulpicio Galba non provocò
la protesta, ma si limitò a capeggiare ed orientare un moto originatosi
spontaneamente ed è difficile che un sommovimento di questo genere possa
essere nato senza qualche serio fondamento, come ad esempio proprio
l'eccessiva severità di Lucio Emilio Paolo e/o una spartizione del bottino
considerata insoddisfacente dalle truppe.
Notiamo allora che le doti di comandante militare che Plutarco attri-
buisce a Lucio Emilio Paolo (Aem. 3, 6-7) e il cui primo frutto celebra nella
vittoria riportata nel 189 a.C. contro i Lusitani (Aem. 4, 3), non sembrano
trovare riscontri che suffraghino la testimonianza del Cheroneo {1 3 ). Di-
mostrando in questo, fin da qui, di volersi attenere alla metodologia enun-
ciata nel primo capitolo, Plutarco evita infatti di ricordare che nella pri-
ma battaglia contro i Lusitani Lucio Emilio Paolo subì una durissima
sconfitta (seimila furono i caduti da parte romana), la cui eco fu tale
da guastare le celebrazioni che erano in corso per festeggiare la vittoria
riportata da Manio Acilio Glabrione contro gli Etoli (Liv. 37, 46, 7-8).
E non è che molto di meglio si possa dire circa la vittoria stessa su Per-
seo: al momento della battaglia di Pidna Lucio Emilio Paolo aveva assun-
to il comando delle operazioni da poco più di un mese ed è tutto da vedere

l'attinsero però evidentemente da una fonte parecchio più tarda, perché altrimenti non si
spiegherebbe l'anacronistica qualifica di legatus anziché tribunus attribuita dai due a Gallo.
A questa fonte di età tardorepubblicana comune a Cicerone e Valerio Massimo si può dare,
con ogni probabilità, un nome preciso: quello dell'annalista Servio Sulpicio Galba, nonno del
futuro imperatore. Discendente diretto del detrattore di Lucio Emilio Paolo, egli scrisse at-
torno alla metà del I secolo a.C. una storia della quale si sa con certezza che, dalle origini
di Roma (framm. 1 Peter, citato da Plut., Rom. 17 attraverso Giuba di Mauritania), arrivava
per lo meno a riferire della spedizione di Pompeo in Spagna contro Sertorio (Oros. 5, 23,
6). È evidente che, all'interno di quest'opera, il ruolo avuto dai Sulpici nelle diverse epoche
della storia di Roma doveva essere messo in risalto in modo del tutto speciale.
(1 3 ) La Vianoli (Carattere ... cit., p. 83 ss.) arriva a sostenere, per contro, che "nes-
sun riserbo si può avanzare circa le sue brillanti qualità militari": a questa conclusione, tutta-
via, giunge solo per un errore metodologico che commette nell'approccio alle fonti, giacché
assolutizza la testimonianza di Plutarco, ignorando completamente tutto quanto da tale testi-
monianza diverga. Nonostante tutto ciò, alla fine, tuttavia, anch'essa deve ammettere co-
munque che i successi militari di Lucio Emilio Paolo sembrano essere stati determinati più
dall'incompetenza e dagli errori dei suoi avversari che dalle sue doti di stratega.
412 ALBERTO BARZANÙ

se lo scontro si sia risolto a favore dei Romani grazie alla sua presenza
o nonostante essa. Prescindiamo pure dai motivi della polemica che ab-
biamo visto sviluppata con i Sulpicii: pesanti interrogativi, in questo sen-
so, basta già a sollevarli Livio laddove scrive che allo scontro si arrivò
in modo meramente accidentale (44, 40, 4), mentre Lucio Emilio Paolo
fino a quel momento era rimasto sordo alle pressanti insistenze dei suoi
collaboratori più stretti, convinti della necessità di passare all'azione più
presto possibile (44, 37, 1 ss.). E che i fatti siano andati così lo conferma
Zonara (9, 23) né, in fondo, lo nega Plutarco, che si limita a specificare
che a detta di alcuni non meglio precisati testimoni l'incidente da cui
aveva preso le mosse iI combattimento era stato in realtà accuratamente
preparato dal comandante romano (Aem. 18, 1). Il basso profilo delle doti
e delle imprese di Lucio Emilio Paolo in veste di stratega, tuttavia, forse
non gli avrebbe sollevato contro l'esercito, se esso non fosse assommato
ad un rigore disciplinare quasi maniacale verso i suoi sottoposti ( 14 ) e
ad una spartizione del bottino macedone che agli appartenenti al corpo
di spedizione romano dovette apparire poco generosa e ancor meno tra-
sparente. Anche a questo riguardo Plutarco, quando a 28, 10-13 tesse
le lodi di Lucio Emilio Paolo per non aver voluto nemmeno vedere il
tesoro reale prima di affidarlo ai quesitori, si guarda bene dallo specifica-
re (e quindi, per venirlo a sapere, è necessario ricorrere a Liv. 44, 46, 8)
che Perseo era fuggito da Pella portandosi dietro tutti i suoi averi e che
quindi il tesoro reale non conteneva quasi più nulla. Il grosso delle so-
stanze del re di Macedonia pervenne a Lucio Emilio Paolo solo in un
secondo tempo: ma avendo avuto luogo la consegna in forma pubblica
e ufficiale ad Amfipoli, ben difficilmente sarebbe stato possibile a chiun-
que, per quanto malintenzionato, farne man bassa (Liv. 45, 29, 1 ss.).
La sorte delle ricchezze di Perseo non è dunque significativa per
giudicare l'avidità o il disinteresse di Lucio Emilio Paolo, perché egli non
ne ebbe mai una reale disponibilità. Significativo, piuttosto, è il modo
con cui egli gestì quei beni sui quali poté mettere veramente le mani:
e qui le ombre sono notevoli, al di là delle generiche e astratte afferma-
zioni delle fonti antiche secondo cui Lucio Emilio Paolo non avrebbe mai
tratto da essi personale vantaggio. È proprio Plutarco (Aem. 28, 11) a

(1') Abbiamo visto sopra che all'origine del suo scontro con Gaio Sulpicio Gallo sem-
bra esserci stata, tra l'altro, anche la minore durezza del tribuno, il quale aveva ritenuto
opportuno consentire ai soldati acquartierati ad Amfipoli di costruirsi dei ricoveri invernali
con materiali approvvigionati smantellando le mura della città, in attesa che Lucio Emilio
Paolo concludesse il giro turistico della Grecia intrapreso dopo la vittoria.
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 413

citare come prova del disinteresse di Lucio Emilio Paolo il fatto che egli
abbia voluto per sé, onde donarla ai figli, solamente la biblioteca reale:
una cosa da nulla, se ci atteniamo all'impostazione .plutarchea, a parago-
ne del resto. E tuttavia, se, invece che seguire il ragionamento del bio-
grafo, riflettiamo per un momento su ciò che i fatti enunciati implicano,
ci si accorge che la situazione doveva essere diversa da quella che sembra
sottintendere Plutarco. Innanzitutto, al momento in cui Lucio Emilio Paolo
aveva stabilito di attribuire ai propri figli la biblioteca dei re di Macedo-
nia, il tesoro di questi ultimi non era ancora venuto in possesso dei Ro-
mani: pertanto, le proporzioni complessive del bottino di guerra non era-
no ancora, in quella fase, tanto enormi quanto divennero in seguito. Quanto
alla valutazione da dare della biblioteca reale in sé e per sé, non va di-
menticato che, a differenza di quanto accade oggi, nel mondo antico il
libro era un genere estremamente costoso e di gran lusso: e poiché a
Roma, in particolare, i libri erano molto più rari che in Grecia, tutti i
comandanti romani che ebbero l'opportunità, in diverse epoche, di far
bottino in Oriente, curarono sempre di accaparrarseli (e in questo, semmai,
si può dire che Lucio Emilio Paolo fu il primo a fare ciò che in seguito
avrebbero fatto anche altri personaggi, non particolarmente noti per la mo-
derazione nel disporre della preda di guerra, come Silla o Lucullo ( 15 )).
A ciò si aggiunga che la biblioteca del palazzo reale di Pella, dove aveva
vissuto a lungo, un tempo, persino Aristotele, poteva essere considerata
a quei tempi una delle più ricche del mondo. Ecco allora che si dimostra
che Lucio Emilio Paolo tenne per sé, donandolo ai suoi figli, non già
qualcosa il cui valore era insignificante all'interno del computo complessi-
vo di ciò che era caduto nelle mani dei suoi soldati, bensì, alla fin fine,
quanto di meglio gli fu possibile trovare a Pella: e se questo fu poco
(ma non lo fu), ciò fu perché non molto di più egli vi aveva trovato.
All'indomani di Pidna, d'altronde, secondo un autorevolissimo testimone
come Polibio (31, 29, 5 ss.), Lucio Emilio Paolo aveva assegnato a Scipio-
ne Emiliano la disponibilità esclusiva di tutte le riserve di caccia che era-
no state dello sconfitto Perseo, con tutto quanto contenevano e quanti
vi lavoravano: ciò, secondo la valutazione dello storico (31, 29, 6), che
certo non è sospettabile di ostilità preconcetta, aveva posto il giovane

(1 5 ) Cfr. T. KLEBERG, Commercio librario ed editoria nel mondo antico, in Libri, edi-
tori e pubblico nel mondo antico. Guida storica e critica, a cura di G. Cavallo, Bari 1975 1-19772,
pp. 25-80, pp. 40 ss.
414 ALBERTO BARZANÒ

Scipione in una posizione tale "che gli pareva di essere il re" (voµ(crcxç
o[ovd ~cxcrtÀtuttv) (1 6 ).
D'altronde, che gli attacchi contro Lucio Emilio Paolo dovessero
avere qualche fondamento lo dimostra anche la circostanza che erano i
medesimi optimates (cioè quelli che erano i suoi più strenui sostenitori)
a schierarsi a favore di una soluzione di compromesso: nel momento stes-
so in cui reclamavano per il vincitore di Pidna il diritto di celebrare il
trionfo, infatti, erano loro i primi a dare per scontato che egli dovesse
però accettare di condividerlo con due pretori, Lucio Anicio (la cui vitto-
ria sugli Illiri, pur essendo stata certamente importante, non avrebbe mai
potuto avere per Roma e per il resto del Mediterraneo antico, il significa-
to che aveva avuto la definitiva sconfitta della Macedonia {1 7 )) e Gneo
Ottavio (che aveva comandato la flotta durante la guerra contro Perseo
e al quale il re si era materialmente consegnato prigioniero). Ora, il fatto
che l'obiettivo dei sostenitori di Lucio Emilio Paolo sia stato fin dall'ini-
zio una simile soluzione di compromesso, mi sembra un'implicita ammis-
sione della non manifesta infondatezza degli argomenti portati dagli av-
versari per mettere in dubbio i suoi meriti relativamente alla vittoria su
Perseo.
Se comunque anche non volessimo tener conto di questo tipo di
osservazioni (sono chiari a tutti, in effetti, i limiti di un siffatto genere
di congetture sulle opinioni), rimarrebbe pur sempre però un dato di fatto
sul cui significato politico non possono esserci equivoci di sorta: l'elezione

(1 6 ) Plutarco dà prova di moralismo considerevolmente ipocrita laddove, facendo un


raffronto tra Lucio Emilio Paolo e Timoleonte, scrive che il secondo era più avido e adduce
a sostegno del proprio giudizio il fatto che egli accettò in dono dai Siracusani, quale segno
di tangibile riconoscenza per i servigi che aveva reso alla città, una casa e un appezzamento
di terra dove poté trascorrere il resto della sua vita (Aem., 41, 9; cfr. Timol. 38, 1 ss.).
Il biografo si guarda bene dal ricordare qui che, nell'accettare il dono (in verità modesto),
dei Siracusani, Timoleonte aveva rinunciato al vero e proprio trionfo che lo attendeva a
Corinto, qualora avesse accettato di ritornarvi (Plut., Tim., 38, 2 ss.).
( 11 ) La stridente disparità tra Lucio Emilio Paolo e Lucio Anicio sul piano gerarchi-

co (il primo era console, il secondo pretore), su quello dell'importanza· della famiglia d'origine
e su quello delle proporzioni della vittoria ottenuta è esplicitamente sottolineata da Livio
(45, 43, 1•4), che precisa però anche (45, 43, 8) che i soldati parteciparono al trionfo di
Anicio con molta maggiore allegria, riservandogli un gran numero di acclamazioni, cosa che
non era avvenuta per il trionfo di Lucio Emilio Paolo. Il trionfo di Paolo, d'altra parte,
era stato caratterizzato anche da uno strascico polemico al momento della distribuzione del
donativo alle truppe (Liv. 45, 40, 5), la cui storicità pare confermata dall'anomalo silenzio
che nel racconto plutarcheo del trionfo (Aem., 32-35) si riscontra a proposito di questo che
invece era un momento chiave per questo genere di celebrazioni.
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 415

al consolato, avvenuta alla fine del 167 a.C., subito dopo la celebrazione
del trionfo macedone, di uno dei due grandi avversari di Lucio Emilio
Paolo, l'ex tribuno Servio Sulpicio Gallo (Liv. 45, 44, 2). Ciò implica sicu-
ramente che, al contrario di quanto afferma Plutarco (Aem. 32, 1), la
maggioranza del popolo romano non aveva affatto cambiato parere sul
vincitore di Perseo: e, dopo essersi dovuta sottomettere alla volontà del-
1' oligarchia senatoria riguardo alla concessione del trionfo, si era presa
una significativa rivincita portando al consolato proprio colui che gli con-
tendeva almeno in parte il merito della vittoria di Pidna.
Ma se tutto questo è vero, come poté Lucio Emilio Paolo, nonostan-
te che il valore della sua personalità fosse ampiamente discusso fra i con-
temporanei, trovare invece un posto tanto significativo nella memoria dei
posteri, in mezzo alle figure idealizzate dei più grandi Romani di tutti
i tempi?
Per rispondere a questo interrogativo è necessario innanzitutto ri-
cordare con Plutarco (Aem. 38, 2 ss.) che egli, per tutta la sua vita, fu
uno degli optimates più conservatori e che ad essi si appoggiò tanto pri-
ma che dopo Pidna. Ciò spiega perché, secondo quanto sappiamo ancora
una volta da Plutarco (Aem. 38, 4), dopo la sua morte, nel 143 a.C., gli
optimates più conservatori poterono strumentalizzarne il ricordo, a favore
del loro candidato, Appio Claudio Pulcro, per rinfacciare a Scipione Emi-
liano, suo avversario, di servirsi di amici e collaboratori di origini disprez-
zabili e indaffarati ad acquisire quel consenso popolare che viceversa Lu-
cio Emilio Paolo aveva sempre dimostrato di non tenere in alcun conto.
Ora, l'importanza di questo episodio mi sembra non essere mai sta-
to colto appieno: eppure è un dato di fatto che la tradizione antica enfa-
tizza, della figura di Lucio Emilio Paolo, degli aspetti che sono tutti per-
fettamente coerenti con gli ideali di Appio Claudio Pulcro e degli altri
optimates, mentre offrono scarsissimi elementi per sostenere che sia sta-
to Scipione Emiliano a fare di Lucio Emilio Paolo la propria bandiera,
come vorrebbe la gran parte dei moderni. L'inflessibilità dimostrata nel-
1'esercitare il potere (e specialmente quello militare), così come il comple-
to disprezzo per il consenso popolare, per esempio, che agli optimates
apparivano indiscutibilmente come delle grandi doti, per Scipione Emilia-
no e i suoi sostenitori non potevano che essere gravi difetti. Del resto,
è da dimostrare anche che Lucio Emilio Paolo abbia nutrito sentimenti
filellenici (cosa che invece i moderni danno per scontata) e che proprio
grazie a lui e all'impostazione educativa da lui voluta Scipione Emiliano
abbia assorbito l'interesse e la simpatia verso la grecità. A parte la buona
416 ALBERTO BARZANÙ

conoscenza che egli aveva della lingua greca e la sua scelta di educare
i figli, oltre che secondo i dettami del mos maiorum, anche nella cul-
tura greca, non disponiamo di nessun elemento che si riveli significativo
sotto questo profilo. E tuttavia, la conoscenza che Lucio Emilio Paolo
ebbe certamente della lingua e, probabilmente, anche della cultura greca,
non è e non può essere assunta quale indizio di particolare filellenismo:
si potrebbe ricorrere, per dimostrarlo, al classico esempio di Catone il
Censore ( 18 ), se la prova migliore non ce l'avesse fornita proprio il me-
desimo Lucio Emilio Paolo, quando, pur sapendo parlare perfettamente
il greco, dettò in latino le condizioni ai vinti (Liv. 45, 29, 2). D'altro can-
to, circa la scelta attribuitagli da Plutarco (Aem. 6, 8-9) di educare i figli
anche nella cultura greca, i dubbi che tale notizia suscita sono più d'uno.
Il biografo non lo precisa, ma un confronto con il testo di Polibio (31,
29, 5 ss.) rivela che Plutarco fa riferimento, in realtà, al dopo Pidna {1 9 )
e, pertanto, ad una fase in cui Fabio Massimo e Scipione Emiliano -
qualora anche ammettessimo che da fanciulli possano essere stati educati
non già sotto la responsabilità dei rispettivi padri adottivi, bensì secondo
le direttive del padre naturale - erano ormai uomini fatti. Sotto questo
profilo mi sembra particolarmente interessante rilevare che Polibio, il prin-
cipale tra i maestri e gli amici greci ricordati da Plutarco, non menziona
nemmeno di sfuggita Lucio Emilio Paolo nel pur ampio testo che dedica
alla narrazione del suo primo incontro con Fabio Massimo e Scipione Emi-
liano (31, 23, 1 ss.): né egli ricorda alcuna occasione di incontro personale
col padre dei suoi due grandi amici e protettori, al quale pure riserva
un elogio indubbiamente caloroso, ma forse non dovuto ad un'intima fre-
quentazione (31, 22, 1) (20 ). D'altronde, se è vero che Polibio e i due
figli di Lucio Emilio Paolo si erano conosciuti a motivo di un volume che

18
( ) D. NARDO, Terenzio e l'ironizzazione del sapiens, in AIV 126 (1967/1968), pp.

131-174, p. 165: " ... Catone nemico della grecità ma impegnato a mediare la cultura ellenica
nei Praecepta al figlio e simbolicamente arresosi da vecchio allo studio della lingua greca... ".
(1 9 ) Ad indicare che il riferimento è, con certezza, al periodo successivo alla sconfitta
di Perseo è la circostanza, riferita da Polibio (31, 29, 7), secondo cui Scipione sperimentò
per la prima volta le attività venatorie solo dopo che suo padre gli ebbe messo a disposizione
le tenute di caccia di Perseo complete di tutto il personale di servizio.
( 20 ) Con questo non voglio negare a priori quanto afferma W. REITER, Aemilius ... cit.,

p. 32, e cioè che Polibio conobbe personalmente Lucio Emilio Paolo: ma non si può addurre
come prova di questo il fatto che lo storico greco riporti notizie che dichiara attinte a raccon-
ti che Lucio Emilio Paolo sarebbe stato solito fare durante la vecchiaia. Di essi, infatti,
Polibio avrebbe potuto essere messo al corrente anche da Fabio Massimo e Scipione Emilia-
no, coi quali era certamente in grandissima familiarità.
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 417

il primo aveva necessità di consultare e che si trovava nella biblioteca


reale macedone affidata ai due fratelli, dobbiamo tener presente che, se-
condo Plutarco (Aem. 28, 11), era stato effettivamente Lucio Emilio Pao-
lo a disporre della biblioteca a favore dei figli, ma non perché, essendo
lui stesso amante della cultura, vedeva una buona occasione di rendere
tali anche i suoi figli, bensì poiché erano stati questi ultimi a chiederglielo
come un favore, essendo "amanti dei libri" (<ptÀoypixµµix-cdç).
In realtà, al di là di quanto vuol far credere Plutarco, l'atteggia-
mento concreto di Lucio Emilio Paolo verso la grecità non dovette essere
particolarmente amichevole: e anche se la scelta di tenere in latino un
discorso rivolto ad un uditorio di Greci può essere attribuita alla consue-
tudine romana di utilizzare solo il latino come lingua negli atti ufficiali,
è solo alla sua discrezionalità che va attribuita la durezza del trattamento
da lui riservato agli sconfitti, un aspetto sul quale sorvolano Polibio (ine-
vitabilmente imbarazzato in quanto greco e vittima diretta della durezza
di Lucio Emilio Paolo), e Plutarco (evidentemente sempre impegnato a
nascondere ogni aspetto negativo del suo personaggio), ma non Livio.
Lo storico incomincia ricordando la sorte di un gruppo di Macedoni disar-
mati e che si stavano arredendo (44, 42, 4 ss.) ( 21 ), i quali, anziché es-
sere presi prigionieri, furono fatti schiacciare senza pietà da Lucio Emilio
Paolo sotto i piedi degli elefanti; prosegue col ricordo di come il medesimo
Paolo legittimasse più tardi una serie di arbitrii ed uccisioni compiuti fra
gli Etoli con l'attiva partecipazione di militari romani (Liv. 45, 28, 6-8
e 31, 1 ss.) ( 22 ) e come decidesse, a sangue freddo e per futili motivi, di
abbandonare al saccheggio intere città come Eginio, Agasse ed Enea (Liv.
45, 27, 1 ss.) ( 23 ) e di distruggerne addirittura interamente altre, come
Antissa (Liv. 45, 31, 14) ( 24 ); conclude (45, 31, 9) con la deportazione a
Roma di numerosi Etoli, Acarnani, Epiroti e Beoti (25 ), oltre ai mille tra
i quali si trovava anche Polibio (Liv. 45, 31, 10-11) (26 ). Con l'aggravante
di essersi avvalso strumentalmente a questo scopo delle accuse più o meno

( 21 ) Forse al medesimo episodio fa riferimento anche Valerio Massimo (2, 7, 13): la

sua testimonianza è peraltro troppo incerta perché se ne possa dare un'interpretazione univoca.
( 22 ) CFr. J. DEININGER, Der politische Widerstand gegen Rom in Griechenland 217-86

vor Chr., pp. 192-93, e R. VIANOLI, Carattere ... cit., p. 87.


( 23 ) Cfr. R. VIANOLI, Carattere ... cit., p. 87.

(24 ) Cfr. R. V1ANOLI, Carattere ... cit., p. 87.


) Cfr. R. VIANOLI, Carattere ... cit., p. 88.
25
(

( 26 ) Cfr. R. V1ANOLI, Carattere ... cit., p. 88.


418 ALBERTO BARZANÒ

attendibili di collaborazionisti come Callicrate e Licisco, con l'unica atte-


nuante (se tale può essere considerata) dell'intimo disprezzo che egli avreb-
be nutrito in cuor suo per loro, come assicura Polibio (30, 13, 11) {2 7 ).
Sempre a freddo, Lucio Emilio Paolo si assunse la responsabilità
di permettere di guidare la razzia di settanta città dell'Epiro, traendone
altresì schiavi 150.000 abitanti: un fatto che, data la sua enormità, tutte
le fonti non possono omettere di ricordare, anche controvoglia (Poi. 30,
15; Liv. 45, 34, 1 ss.; Plut., Aem. 29, 1 ss.) e magari, come fa Plutarco
(Aem. 30, 1), gettando tutta la responsabilità sul senato (proprio come
fa Polibio con Callicrate e Licisco relativamente alla questione della de-
portazione degli Achei), reo di aver impartito a Lucio Emilio Paolo in
tal senso un ordine che egli aveva dovuto eseguire, anche se lo aveva
trovato ripugnante, giacché a prezzo di tante distruzioni e della riduzione
in schiavitù di un intero popolo i Romani non ne avevano tratto alcun
concreto vantaggio (Aem. 29, 1). Un tentativo di giustificazione, questo,
che fa acqua da tutte le parti, dal momento che fu proprio Lucio Emilio
Paolo ad ideare per l'operazione un'esecuzione a tradimento (certo meno
rischiosa, ma anche più odiosa) mentre, una volta conclusa l'azione, egli
non prese alcuna iniziativa che potesse servire a rendere almeno in parte
meno disumane le condizioni delle vittime ( 28 ). Non è vero poi nemme-
no che i Romani non abbiano tratto alcun concreto vantaggio, perché
Livio (45, 34, 5), che presenta tutto il complesso dei fatti in maniera
radicalmente diversa, ricorda che "la preda fu tanto grande che ad ogni
cavaliere furono dati quattrocento denari e ad ogni fante duecento" (29 ),
D'altronde non è il caso di meravigliarci troppo di tutto questo, quando
Plutarco (Aem. 37, 2) pretenderebbe di farci credere anche che Lucio
Emilio Paolo nutrisse sentimenti di umana pietà nei confronti del vinto

27
( ) Per un quadro complessivo dei problemi relativi a queste deportazioni decise da

Lucio Emilio Paolo, cfr. J. DEININGER, Der politische ... cit., pp. 194 ss. e R. VIANOLI, Ca-
rattere... cit., p. 88.
( 28 ) Ha pienamente ragione la VIANOLI (Carattere ... cit., pp. 88-89) nel sottolineare

che gli inquietanti risvolti di questi episodi "mostrano come Paolo possedesse una durezza,
che colpisce soprattutto perché razionale, capace cioè di pianificare con logica freddezza la
distruzione". E questo rivela "la complessità della figura di Paolo, che non risulta cosl univo·
camente luminosa come la tradizione ci vuole mostrare; in questa figura si può anzi cogliere
una dicotomia, direi quasi un'ambiguità ... ".
( 29 ) C.Z. LIEDMEIER, Plutarchus Biographie van Aemilius Paullus: Historische Com·

mentaar, Utrecht 1935, pp. 240-242, spiega la divergenza tra le testimonianze di Livio e
di Plutarco su questo punto sostenendo che Livio intenderebbe far riferimento al totale del
bottino, mentre Plutarco terrebbe conto unicamente della quota che a ciascun soldato spettò
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 419

Perseo, anche se da Livio (45, 38, 9-10) sappiamo che la rottura dei suoi
rapporti con Gaio Sulpicio era avvenuta anche per via del trattamento
a suo avviso troppo umano riservato dal tribuno al re sconfitto, e dallo
stesso biografo ci viene ricordato (Aem. 34, 3-4) che il Romano aveva
risposto con uno sprezzante invito al suicidio alla supplica rivoltagli dal
Macedone affinché non lo esibisse nel corteo trionfale (lo conferma anche
Cic., Tusc. 5, 118). Con tutto ciò risulta evidente quanto poco credito
si debba dare all'ulteriore affermazione di Plutarco (Aem. 39, 9) secondo
cui tutti i popoli vinti ricevettero da Lucio Emilio Paolo tanti e tali bene-
fici che, alla sua morte, quanti fra loro erano casualmente presenti a
Roma si sarebbero contesi l'onore di portare il suo feretro: un particolare
che non trova conferma in Diodoro (31, 25-26), pur largo di elogi per
Lucio Emilio Paolo, mentre Valerio Massimo, che riferisce dell'episodio
una versione alquanto dettagliata (2, 10, 3), sostiene però che a portare
a spalle il feretro di Lucio Emilio Paolo sarebbero stati solo alcuni princi-
pes Macedoniae, presenti a Roma in quei giorni legationis nomine. Un
dettaglio solo apparentemente marginale, in quanto ribalta l'interpreta-
zione dell'avvenimento: questi principes Macedoniae, infatti, erano evi-
dentemente alcuni di quei collaborazionisti che erano giunti al potere gra-
zie a Lucio Emilio Paolo (30 ). Se tutto quello che siamo venuti fin qui
mettendo in luce sulla figura storica di Lucio Emilio Paolo e sul legame
esistente tra la realtà di essa e l'immagine che ne fu artificialmente co-
struita a posteriori è vero, vale allora forse la pena di ampliare ancora
un po' il campo della nostra indagine, per rivisitare in altra luce i rappor-
ti tra Scipione Emiliano e suo padre, rapporti dei quali sappiamo in effetti

daJla vendita degli schiavi. Resta tuttavia immutato il problema deJia divergenza non già
sul dato numerico in sé, quanto sulla soggettiva valutazione da dare deJie proporzioni com-
plessive del bottino.
( 30 ) Mi si consenta qui di dissentire dal parere della VrANOLI (Carattere ... , p. 84), se-

condo la quale "non ci sono fatti che attestino vendette personali, razzie, sorprusi, perpetrati
a danno di provinciali o di popoli vinti per proprio tornaconto; fu questo che gli meritò
la stima profonda di Spagnoli, Liguri e Macedoni...". È vero, molto probabilmente, che le
razzie, le deportazioni e le distruzioni pianificate e coordinate da Lucio Emilio Paolo dopo
la vittoria di Pidna non furono da lui decise per motivi di interesse privato, ma ciò non
toglie che di tali azioni egli ebbe oggettivamente la responsabilità, anche e soprattutto agli
occhi di quelle sventurate popolazioni che ne subirono le tremende conseguenze. Per il resto,
dubito che si possa affermare con assoluta certezza che Lucio Emilio Paolo non abbia mai
fatto nulla per il proprio esclusivo interesse: basti citare il gesto molto significativo in questo
senso che egli compi dedicando a se stesso una statua d'oro a Delfi (cfr. Poi. 30, 10, 1;
Liv. 45, 27, 7; Plut., Aem. 28, 4).
420 ALBERTO BARZANÒ

ben poco, per quanto si dia comunemente per scontato che siano stati
sempre ottimi. Invece, fra gli scarsi elementi dei quali disponiamo, quello
più certo e di maggior rilevanza, è fin troppo evidentemente di segno
opposto. Da quanto scrive Plutarco (Aem., 5, 1 ss.), infatti, si evince chia-
ramente che la mamma di Fabio Massimo e Scipione Emiliano, Papiria,
nonostante avesse doti non comuni, fu ripudiata da Lucio Emilio Paolo
perché egli si era invaghito di un'altra donna e voleva sposarla (che poi
il biografo si dilunghi a disquisire sul fatto che apparentemente si era
trattato di un ripudio senza motivi dipende solo dalla necessità di sviare
l'attenzione del lettore, impedendogli di cogliere il rapporto di causa ed
effetto tra il ripudio di Papiria e la celebrazione delle nuove nozze di
Lucio Emilio Paolo, rivelatore di una situazione non molto in sintonia
con la presentazione globalmente "agiografica" del personaggio). Per di
più, ad aggravare la situazione che inevitabilmente dovette venirsi a creare
a livello affettivo in seguito a questo ripudio, intervenne anche l'atteggia-
mento di totale noncuranza di Lucio Emilio Paolo per la sorte della sua
ex moglie, che fu da lui abbandonata completamente a se stessa, senza
il necessario per vivere decorosamente (Plutarco, come sempre quando
si tratta di aspetti imbarazzanti, ignora completamente questo risvolto della
vicenda, del quale siamo invece a conoscenza attraverso Pol. 31, 26, 7).
Ora, è certamente possibile (e, anzi, probabile) che i Romani del
tempo siano stati in buona parte all'oscuro e per il resto indifferenti di
fronte a questa scelta di Lucio Emilio Paolo di liberarsi della prima mo-
glie per poter sposare un'altra donna (mentre Papiria non si risposò phi):
e tuttavia sul piano dei rapporti familiari questo episodio dovette essere
un dramma per chi, come Scipione, non solo vide la madre estromessa
da casa, ma fu lui stesso ben presto ceduto in adozione e diseredato,
mentre una nuova moglie generava nuovi figli a suo padre ( 31 ).
È vero che padre e figli di primo letto non interruppero mai i con-
tatti e che il passare degli anni da un lato, dall'altro la morte prematura
dei figli di secondo letto e la conseguente reintegrazione di Fabio Massi-
mo e di Scipione Emiliano come eredi legali di Lucio Emilio Paolo, dovet-

(31 ) Le fonti antiche sono pressoché unanimi nel sostenere che, anche dopo averli cedu·
ti in adozione, Lucio Emilio Paolo mantenne un profondo legame affettivo, sinceramente ricam-
biato, coi due figli di primo letto. E tuttavia non si può dimenticare che, al momento del trionfo
su Perseo, solo i due figli di secondo letto erano legalmente eredi di Lucio Emilio Paolo (Liv. 45,
40, 7-8 e 45, 41, 10 ss.; Val. Max. 5, 10, 2) e che ad accompagnare Lucio Emilio Paolo sul
cocchio trionfale sarebbero stati i due figli di secondo letto se non avessero contratto entrambi
una malattia destinata a portarli alla morte proprio nei giorni del trionfo (Liv. 45, 40, 8).
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 421

tero alla fine contribuire a ridurre notevolmente la tensione: eppure la


costante preoccupazione di Scipione Emiliano per le condizioni in cui si
trovava la madre, tanto che, parecchi anni dopo il ripudio da parte di
Lucio Emilio Paolo, secondo la testimonianza di Polibio (31, 26, 6-7), ri-
tenne opportuno cederle tutta l'eredità lasciatagli dalla madre adottiva
Emilia, indica a mio avviso che i motivi di disaccordo tra padre e figli
non poterono mai essere rimossi completamente ( 32 ). Lo conferma, del
resto, l'idea che venne ai due fratelli di commissionare a Terenzio, per
i ludi funebres di Lucio Emilio Paolo, nel 160 a.C., la rielaborazione in
latino di una commedia di Menandro, gli Adelphoe di Menandro, incentra-
ta, per l'appunto, sul rapporto pieno bensì di affetto, ma anche di gravi
difficoltà e dissapori, tra un padre e i suoi due figli.
La storia che viene messa in scena negli Adelphoe ha infatti come
protagonisti due fratelli, Demea, padre dei due figli, e Micione, che, privo
invece di prole, ha ottenuto dal fratello di poter adottare uno dei nipoti:
e poiché Demea e Micione hanno visioni molto diverse della vita (il primo
è molto rigido ed ancorato alla tradizione, il secondo è decisamente più
comprensivo ed aperto al nuovo) i due giovani vengono educati secondo
criteri profondamente diversi. Alla fine le scelte di Micione si dimostrano
vincenti e Demea deve suo malgrado ammetterlo: e tuttavia è proprio
Demea colui che esce meglio dalla vicenda, perché l'onestà e l'umiltà con
la quale si mostra disposto a riconoscere i propri limiti ed errori gli fanno
riconquistare tutto l'affetto e la stima dei figli ( 33 ). Che la vicenda de-
gli Adelphoe abbia un significato politico è dato per scontato da tutti i
moderni, anche se poi i pareri divergono quando si tratta di stabilire qua-
le precisamente questo significato sia, soprattutto per quel che riguarda
le figure dei due personaggi chiave, vale a dire Demea e suo fratello
Micione ( 34 ): con un solo punto di generale accordo (tanto che viene or-
mai considerato da tutti come un dato acquisito), che Scipione Emiliano
volesse promuovere l'esaltazione post mortem di suo padre e che pertanto
a questo medesimo fine dovesse essere orientata la commedia commissio-
nata a Terenzio. Non deve meravigliare, quindi, che nessuno abbia mai

( 32 ) Certo essi non poterono dimenticare che il padre, a chi gli chiedeva perché mai

volesse ripudiare Papiria, l'aveva rozzamente paragonata ad una scarpa, che oggi si calza
e domani non si usa più (Plut., Aem. 5, 3).
( 33 ) O.L. WILNER, The Role of Demea in the Adelphoe, in Studies in Honour of Ullman,

Saint Louis 1960, pp. 55-57, p. 56.


( 34 ) Cfr., ad es., P. MACKENDRICK, Demetrius of Phalerw!, Gato and the Adelphoe, in Riv.

Fil. 32 (1954), pp. 18-35; O.L. WJLNER, The Role... cit., D. NARDO, Terenzio ... cit., pp. 156 ss.
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pensato che forse, nel personaggio di Demea, il padre di mentalità chiusa


e antiquata, che alla fine dimostra però la bontà della propria natura
dimostrandosi capace di riconoscere il proprio errore di fronte alla prova
data dal figlio ceduto in adozione, il poeta potrebbe aver voluto trasporre
alcuni tratti particolarmente significativi della figura di Emilio Paolo. Nes-
suno sembra aver tenuto conto che, se nel 143 a.C. Appio Claudio Pulcro
poté strumentalizzare contro Scipione la figura e l'esempio di Lucio Emi-
lio Paolo, è segno che evidentemente le posizioni politiche di padre e fi-
glio erano assolutamente inconciliabili tra loro: non per nulla se l'Emilia-
no fu notoriamente, nel suo tempo, il paladino dell'apertura al nuovo,
a proposito di suo padre la tradizione riporta anche aneddoti che lo pre-
sentano come un conservatore tanto retrivo da trovarsi isolato, quando
non apertamente osteggiato, in alcune decisioni da lui assunte come ma-
gistrato ( 35 ). Perciò, se è un dato di fatto che Scipione era già entrato
in politica al momento della morte di suo padre, è chiaro che egli avrà
cercato sì di onorare la memoria di quest'ultimo, ma in modo tale da
impedire agli avversari di strumentalizzarne la figura in senso a lui ostile
(e che il timore di una simile eventualità avesse qualche fondamento Io
dimostra il fatto che una simile polemica era destinata di lì a poco a
divenire il tema centrale della campagna elettorale del 143 a.C.).
In effetti, se si ammette l'esistenza di una chiave d'interpretazione
degli Adelphoe in senso attualizzante e si rileggono le vicende di Demea
sulla falsariga di quelle di Lucio Emilio Paolo, numerosi e suggestivi si
rivelano i punti di contatto, tra i quali, soprattutto, la presenza, al centro
di tutta l'azione scenica, di un padre che ha ceduto un figlio in adozione
al fratello: un'allusione fin troppo scoperta, per quanti assistettero ai ludi
funebres, proprio alla vicenda del defunto, che alla sorella Emilia aveva
affidato l'educazione del secondogenito, cedendolo in adozione al marito
di lei (36 ). Ecco allora che l'equazione Demea = Lucio Emilio Paolo rivela,

( 35 ) È particolarmente significativo, per esempio, il rifiuto opposto dagli operai ad ese-

guire il decreto di abbattere i templi di Iside e di Osiride, tanto che fu poi lo stesso Emilio
Paolo a curare direttamente la loro distruzione (Val. Max. 1, 2, 4).
( 36 ) Interpretare alla luce delle vicende personali di Emilio Paolo, anche le recriminazioni

che Terenzio pone suJle labbra di Demea ai vv. 855 ss. degli Adelphoe acquistano un significato
estremamente suggestivo. Il riferimento è, soprattutto, a due passaggi: il primo (vv. 860 ss.) è
quello in cui Demea ammette il fallimento di comportamenti in tutto analoghi a quelli che nella
biografia plutarchea vengono invece presentati come i principali aspetti positivi della figura
storica di Emilio Paolo (Aem. 1, 6 ss.); il secondo (vv. 867 ss.), invece, è quello laddove si lamenta
perché, pur avendo avuto due figli, ne è rimasto ormai di fatto privo (una recriminazione in
tutto simile a quella che ad Emilio Paolo è attribuita in Liv. 45, 41, 10 ss. e Plut., Aem. 36, 9).
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 423

dietro gli Adelphoe, la volontà di ridimensionare, più che di celebrare,


la personalità del defunto ( 37 ) e suscita fondati dubbi sul presunto ca-
rattere idilliaco dei rapporti tra Lucio Emilio Paolo e i suoi figli di primo
letto. D'altro canto, la scelta che Cicerone fa, nel De Republica (15, 23),
di porre in bocca a Scipione Emiliano le lodi di Sulpicio Gallo e una ver-
sione dell'episodio dell'eclissi di luna prima della battaglia di Pidna che
non è sicuramente favorevole a Lucio Emilio Paolo, è la miglior prova
che già gli antichi erano perfettamente consapevoli delle divergenze esi-
stenti tra padre e figlio.
In ultima analisi, allora, è molto più probabile che l'idealizzazione
postuma di Lucio Emilio Paolo sia nata in odio a Scipione Emiliano che
per sua iniziativa. Non che Scipione dovesse essere del tutto contrario
all'esaltazione della memoria di Lucio Emilio Paolo (se non. altro per i
sentimenti che ispirava in lui la pietà filiale): ma certamente egli non
poteva condividere quell'idealizzazione entusiasta, fondata su lati molto
discutibili della personalità e della vita di Lucio Emilio Paolo (in primo
luogo, l'intransigenza che poneva nell'esercizio del comando e l'atteggia-
mento sprezzante nei confronti delle masse popolari), dietro la quale sta-
vano quei medesimi circoli conservatori nei quali Lucio Emilio Paolo stes-
so aveva avuto, in vita, il proprio punto di riferimento politico. La
conseguente immissione delle gesta di Lucio Emilio Paolo nel novero de-
gli exempla virtutis proprio a partire da questa seconda origine portò
in seguito a poco a poco il personaggio mitizzato, immagine transfigurata
dell'ideale di dedizione al bene della patria e di attaccamento al mos maio-
rum, a perdere uno dopo l'altro i residui punti di contatto con quello
che era stato il personaggio storico reale, vale a dire un conservatore
piuttosto retrivo e dì scarse doti, che aveva avuto l'unico merito (o, me-
glio, l'eccezionale fortuna) di trovarsi al comando dell'esercito romano
che (non certo grazie alle sue doti di stratega) vinse a Pidna nel 168
a.C .. Davanti ad una simile mitizzazione, ampiamente ingiustificata ma
al tempo stesso assai edificante, Plutarco aveva solo due strade: far rie-
mergere il Lucio Emilio Paolo personaggio storico con tutti ì suoi limiti
e i suoi difetti, distruggendo quello che era stato per secoli uno dei princi-
pali exempla virtutis della tradizione romana, oppure perpetuare il mito
edificante, seppellendo definitivamente i troppi limiti e difetti di quello

( 37 ) Fra i più recenti e interessanti studi sugli Adelphoe di Terenzio meritano una par-

ticolare segnalazione due articoli di P. GRIMAL, Réflexions sur les Adelphes de Térence, in VL
84 (1981), pp. 2-9, e Considérations sur les Adelphes de Térence, in CRAI (1982), pp. 38-47.
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che era stato il Lucio Emilio Paolo personaggio storico. Le parole dell'in-
troduzione dalle quali siamo partiti avvertono il lettore appunto di que-
sto: che, per dirla col Reiter, "l'individuo Paolo è stato dimenticato in
mezzo all'immagine" ( 38 ).

(38) W. REITER, Aemilius ·t p. 1.


.•• Cl.,

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