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ALBERTO BARZANÒ
SUNTO. - Analisi del personaggio storico di Lucio Emilio Paolo Macedonico e della
tradizione storiografica antica che Io riguarda condotta a partire dalle considerazioni di ca-
rattere metodologico che Plutarco svolge nel primo capitolo della biografia a lui dedicata
e che, staccandosi da tutte le altre dichiarazioni di argomento analogo contenute nelle Vite
Parallele, delineano un vero e proprio approccio agiografico alla vicenda storica del personaggio.
(') Plut., Cim. 2, 3-5; Per. 1-2, 4; Nic. 1, 5; Demosth. 11, 7; Alex. 1; Demetr. 1, 1-6;
Pomp. 8, 7. Sui caratteri di fondo delle Vite Parallele di Plutarco cfr. da ultimo B. ScARDI-
GLI, Introduzione a Plutarco, vite parallele. Focione. Catone Uticense, Milano 1993, pp. 5-55
(in particolare pp. 39-41).
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capitolo della biografia di Lucio Emilio Paolo, dove, dopo quella che è
la solita dichiarazione circa il senso del suo scrivere le vite dei grandi
del passato (" Ad iniziare la composizione delle biografie mi sono indotto
a motivo di altri, ma ora ormai persevero e continuo per me stesso e
guardando come in uno specchio attraverso la storia cerco in qualche
modo di adornare e assimilare la mia vita conformemente alle loro vir-
tù"), anziché trarne l'abituale conseguenza sul piano metodologico (vale
a dire una strutturazione del racconto prioritariamente rivolta alla sotto-
lineatura di virtù da imitare e vizi da evitare), devia sensibilmente dallo
schema consueto. Anche in questo caso Plutarco avverte il lettore che
non è sua pretesa raccontare effettivamente tutta la vicenda biografica
dei suoi personaggi, ma è sul criterio di scelta della materia da trattare
e di quella da non trattare che assume una posizione diversa. Anziché
far riferimento ad un criterio di scelta basato sulla utilizzabilità o meno
delle vicende quali esempi di vita in positivo o in negativo piuttosto che
sul loro interesse e sulla loro significatività sul piano storico, egli preferi-
sce considerare qui come parametro di giudizio il carattere edificante del-
le diverse azioni del personaggio (''osservo 'di quale grandezza e valore
sia stato' e scelgo fra le loro azioni le più significative e le più belle
a conoscersi"), dichiarando esplicitamente di voler eliminare dal suo rac-
conto tutti gli aspetti negativi pure presenti nella sua vita ("io mi prepa-
ro ad accogliere di volta in volta nell'animo il ricordo dei migliori e dei
più stimati, e, se qualcosa di negativo, di moralmente riprovevole o igno-
bile insinuano i rapporti col prossimo imposti dalla necessità, ad allonta-
narlo e a spingerlo via, rivolgendo il pensiero, più dolce e rasserenante,
verso gli esempi migliori").
Queste due considerazioni di fondo (delle vicende biografiche dei
protagonisti non tutto è raccontato, ma solo ciò che meglio, tra quanto
di positivo essi abbiano fatto, possa rispondere all'intento dell'autore; gli
aspetti negativi della loro vita e dei loro caratteri non vengono presentati
perché il lettore ne possa trarre un esempio morale e contrario, ma ven-
gono completamente ignorati onde conferire al racconto un carattere di
edificazione totalmente in positivo) vengono a sovvertire, in maniera so-
stanziale, quello che è l'abituale approccio di Plutarco all'edificazione mo-
rale per delineare le caratteristiche di quello che, con categorie moderne,
potremmo definire uno scritto di carattere "agiografico".
Perché mai Plutarco si è indotto, qui e solo qui, a teorizzare un'im-
postazione metodologica di questo genere e fino a che punto ed entro
che limiti l'ha poi rispettata? La risposta, a mio giudizio, è da ricercarsi
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in due circostanze del tutto particolari che sono legate a Lucio Emilio
Paolo e solo a lui: il fatto che la sua immagine era indissolubilmente lega-
ta alla vittoria finale dei Romani sui Greci ed il rapporto del tutto specia-
le che esiste tra la sua figura storica e la tradizione storiografica ad essa
relativa.
Che la scelta di inserire Lucio Emilio Paolo fra i protagonisti delle
sue Vite Parallele sia stata dettata a Plutarco essenzialmente dalla sua
centralità nella definitiva vittoria dei Romani sulla Macedonia appare as-
solutamente evidente se solo si considera la particolare strutturazione di
questa biografia, che una vera e propria biografia non è, bensì un raccon-
to della guerra macedonica (capitoli 7-37), con una premessa (capitoli 2-6)
e una chiusa (38-39) dedicate alle vicende personali del vincitore prima
e dopo il conflitto.
Di questo racconto plutarcheo della guerra macedonica, per di più,
non è nemmeno Paolo ad essere il vero protagonista: le sue vicende per-
sonali, infatti, sembrano essere utilizzate per lo più come un supporto
sul quale vengono innestati via via diversi episodi che riguardano diversi
personaggi e pertanto la figura storica che alla fine ne esce maggiormen-
te evidenziata e delineata è sicuramente quella di Perseo, ultimo tragico
e tormentato depositario dell'eredità di Filippo ed Alessandro (2). Ed è
2
( ) Il racconto della guerra macedonica inizia al capitolo 7, con un inquadramento sto-
rico dello scoppio del conflitto. Seguono un sommario di storia macedone (capitolo 8) e un
ragguaglio sulle prime operazioni militari (capitolo 9). I capitoli 10 e 11 hanno al centro
Lucio Emilio Paolo, ma col paragrafo 3 del capitolo 12 l'attenzione si sposta su Perseo e
su di lui resta fino a tutto il paragrafo 3 del capitolo 13. Un breve ritorno a Lucio Emilio
Paolo (13, 4-7 e 14, 1-2) serve a Plutarco solo come elemento di connessione per arrivare
ad una lunga disquisizione sull'origine delle acque sorgive (14, 3-11). Questo uso del rientro
in scena di Lucio Emilio Paolo come elemento connettivo del discorso è ripetuto subito dopo
(15, 1-2), quando Plutarco se ne serve per passare ad occuparsi di Publio Cornelio Scipione
Nasica Corculum e della spedizione militare con la quale costui riuscì ad aggirare Perseo,
costringendolo a ritirarsi verso Pidna (15, 3-11 e 16, 1-9). Lucio Emilio Paolo torna realmen-
te al centro della sua biografia solo nei capitoli 17 e 18 e nella prima parte del successivo
capitolo 19 (1-3): qui l'attenzione del lettore è nuovamente indirizzata altrove da Plutarco,
prima su Perseo (paragrafi 4-10) e poi sull'eroismo degli ausiliari italici (20, 1-5). Segue un
nuovo richiamo alle vicende di Paolo (20, 6-10) che serve per l'ennesima volta a Plutarco
unicamente da elemento connettivo per passare ad un argomento diverso (alcuni atti di eroi-
smo compiuti da altri soldati romani e dal futuro genero di Paolo, Marco Catone, figlio
del Censore (21, 1-7)). E allo stesso espediente viene fatto ancora ricorso nel capitolo succes-
sivo, il 22, laddove il rientro in scena di Paolo fornisce il pretesto per ricordare la partecipa-
zione alla battaglia del giovanissimo Scipione Emiliano. Col capitolo 23 ritorna in scena Per-
seo: il suo dramma, la cui narrazione si interrompe nei capitoli 24-25 per lasciar spazio al
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ru:m cfr. H. WHEATLAND LITCHFIELD, National..., pp. 8-9. Un elenco di queste virtù si trova
ad esempio in Cic., off. 1, 15 ss.: vi appaiono, nell'ordine, iustitia, fides, pietas erga deos,
patriam, parentes, ceteros, severitas in militari disciplina, fortitudo, constantia, continentia,
paupertas, clementia, moderatio.
( 5 ) È importante sottolineare, con H. WHEATLAND LITCHFIELD, National..., pp. 37
segg., come non sia raro riscontrare in exempla di questa o quella particolare virtù un esplicito
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che alla patria, con la vittoria macedonica, aveva portato benefici di por-
tata epocale (basti pensare alla definitiva esenzione dal tributo per tutti
i cittadini romani) e che sotto l'aspetto dell'attaccamento al mos maiorum
era assolutamente inattaccabile, venne inserito a pieno titolo in questo
canone di "santi" romani: ecco allora che si comprende perché tutte le fon-
ti a noi note siano accomunate da un giudizio entusiastico su Lucio Emilio
Paolo ( 6 ), quando è invece accertato che la sua figura storica non fu
"così univocamente luminosa come la tradizione ci vuole mostrare" (7).
L'interesse per una ricostruzione storica realmente fedele dei tratti della
personalità di Lucio Emilio Paolo, infatti, era sensibilmente celato, col
trascorrere del tempo, a fronte dell'importanza che invece, in pari tempo,
era andata acquisendo la sua immagine idealizzata da protagonista di molti
e celebri exempla virtutis (tanto che una parte significativa di ciò che
di lui conosciamo ci proviene proprio dalla letteratura degli exempla) ( 8 ).
È solo nella logica di questo tradizionale giudizio preconcettamente posi-
tivo su Lucio Emilio Paolo che si può comprendere il significato delle
dichiarazioni metodologiche di Plutarco e l'applicazione che dei criteri in
esse enunciati viene data nella sua biografia: nel caso di Lucio Emilio
conflitto di doveri (la severitas di Bruto che uccide i figli cozza senz'altro con la clementia).
Eppure la scelta di questa o quella di più virtutes in conflitto non sembra aver creato proble-
mi a questi uomini sancti: Seneca padre (Controv. 9, 2, 19), riferendosi a Manlio Torquato,
il quale aveva decretato la condanna a morte del figlio dopo la battaglia ad Veserim nel
340 varr., scrive che a lui non nocuit et filium et victorem occidere.
( ) Le nostre fonti principali su Lucio Emilio Paolo sono Plutarco (nella biografia di
6
cui qui ci occupiamo e in qualche altro luogo dei Moralia) e Livio (libri 34 e 35), mentre
solo qualche frammento è rimasto delle testimonianze di Polibio (libri 29-32), Diodoro Siculo
(libri 30-31), Dione Cassio (Zon. 9, 23 e 24) e Appiano (Mac. 19). Naturalmente anche molti
altri storici accennano a Lucio Emilio Paolo (cito, a puro titolo d'esempio, Velleio Patercolo,
Floro, Giustino, Eutropio e Orosio), ma senza aggiungere alcunché di originale alla tradizione
precedente. Di ben altro interesse, invece, sono i numerosissimi exempla che autori di opere
letterarie dei generi più vari attinsero per i propri scritti alle vicende di Paolo, a cominciare
da Cicerone (Brut. 19, 77; 20, 80; sen. 9, 29; 17, 61; 6, 16; 19, 68; div. 1, 46, 103; 2,
40, 83; ad Att. 4, 13, 2; rep. 1, 15, 23; rk or. 2, 67, 272; nat. deor. 2, 2, 6; Tusc. 3, 28,
70; 5, 40, 118; pro. Mur. 14, 31; in Verr. 1, 21, 55; 5, 10, 25), Valerio Massimo (1, 3,
4; 2, 7, 14; 4, 3, 8; 5, 1, 8; 7, 5, 3; 8, 11, 1) e Plinio il Vecchio (n.h. 1, 53; 4, 39; 33,
56; 34, 54; 35, 135; 36, 102).
(7) R. VIANOLI, Carattere e tendenza <klla tradizione su L. Emilio Paolo, in CISA
1 (1972), pp. 78-90, p. 89.
( 8 ) W. REITER, Aemilius Paullus. Conqueror of Greece, London, New York, Sydney
1988, p. 1: "Paullus' !ife served as an image, an idea! of antique morality upon which people
could model themselves and find escape from troubled times; Paullus the individuai was
forgotten amidst the image".
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( 9)Cfr. ad es. R. VIANOLI, Carattere ... cit., p. 80, e W. REITER, Aemilius... cit., PP·
20 ss.. W. REITER, Aemilius ... cit., p. 32, sostiene che l'opera di Polibio va letta tenendo
sempre presente che l'autore era un cliens di Lucio Emilio Paolo e dei suoi figli. Circostanza
del tutto inesatta, in quanto mai e poi mai singola persona avrebbe potuto essere legata
da un rapporto vincolante ed esclusivo come quello della clientela a tre personaggi apparte-
nenti a tre famiglie ugualmente importanti e ben distinte tra loro (gli Emilii, i Cornelii,
i Fabii). Ha ragione invece il REITER, Aemilius ... cit., p. 32, quando ricorda che Polibio er~
amico carissimo di Scipione Emiliano; ed è tutto da dimostrare che un amico carissimo di
Scipione Emiliano dovesse per forza vedere in buona luce Lucio Emilio Paolo. D'.al~rond~,
il Reiter dimentica di dire che, nel leggere l'opera di Polibio, non bisognerebbe mai d1menti-
carsi nemmeno che la libertà e la dignità politica e sociale che Polibio recuperò grazie a
Scipione Emiliano, le aveva perse in seguito ad un preciso ordine di Lucio Emilio Paolo.
(1°) Cfr. W. REITER, Aemilius... cit., p. 57.
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30, 4 ss.), sarebbe stato Servio Sulpicio Galba, che in Macedonia aveva
prestato servizio agli ordini di Lucio Emilio Paolo in qualità di tribuno
militare e i1 cui ricordo fu affidato alla storia da Svetonio (Galba 3) come
quello di colui che per primo inlustravit la familia in seguito destinata
a dare i natali all'imperatore Galba. Il fatto che Zonara, che è la nostra
terza fonte sul trionfo di Lucio Emilio Paolo (9, 24), non faccia alcun
cenno all'episodio (e certamente non per un'omissione dovuta ad eccesso
di sintesi del contenuto del testo base di Cassio Dione, perché è l'impian-
to generale del racconto a non essere compatibile con un'eventuale inser-
zione del fatto) non vale a mettere in dubbio la storicità della vicenda
(cosa che, d'altronde, nessuno dei moderni ha mai fatto), giacché Livio
e Plutarco sono entrambi chiaramente favorevoli a Lucio Emilio Paolo
e quindi non possiamo ragionevolmente pensare che abbiano potuto in-
ventare di sana pianta un simile episodio che non contribuisce certo a
metterlo in buona luce. E che di ciò i due storici si rendessero perfetta-
mente conto è prova il fatto che si affannano a sottolineare la bassezza
d'animo di coloro che promossero la contestazione contro Lucio Emilio
Paolo e di quanti a loro si accodarono. Livio, in particolare, insinua che
Galba avrebbe usato strumentalmente i soldati per vendicarsi del suo ex
comandante del quale era privatim inimicus (45, 35, 8), mentre Plutarco
usa significativamente il termine Òtix~oÀix( ( = calunnie) per definire le ac-
cuse mosse a Paolo (Aem. 30, 6).
Che Servio Sulpicio Galba fosse ostile a Lucio Emilio Paolo per mo-
tivi personali e che questa inimicizia abbia avuto un ruolo nella vicenda
è non solo credibile, ma assai probabile. Servio Sulpicio Galba era infatti
legato da vincoli di stretta parentela ad un altro tribuno militare dell' e-
sercito di Lucio Emilio Paolo, Gaio Sulpicio Gallo (11 ), il quale doveva
aver intrattenuto, sulle prime, un'amicizia molto cordiale col suo coman-
dante. La fiducia e la stima di quest'ultimo verso il tribuno erano tanto
profonde che, secondo la testimonianza di Cicerone (rep. l, 15, 23), fu
proprio Gaio Sulpicio Gallo ad essere scelto per sorvegliare, dopo la cat-
tura, il re Perseo e i suoi familiari, nonché per comandare gli accampa-
menti durante il viaggio che Paolo compì attraverso la Grecia dopo la
( 11 ) Quale fosse l'esatto grado di parentela esistente tra Servio Sulpicio Galba e Ser-
vio Sulpicio Gallo non lo sappiamo: Cicerone (de or. 2, 228) designa genericamente Galba
come propinquus di Gallo, mentre Valerio Massimo (8, 1, ext. 2) scrive ch_e il primo e~a
sanguine coniunctus col secondo. Bisogna sottolineare inoltre che in Macedoma tant~ S~rvi~
Sulpicio Galba (Liv. 45, 35, 8) quanto Servio Sulpicio Gallo (Liv. 44, 37, 5) erano stati tribum
della medesima unità militare, la seconda legione.
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resa dell'avversario (Liv. 45, 27, 5-28, 8; Plut., Aem. 28, 1, 5). Ad interrom-
pere bruscamente questo rapporto di amicizia e di stima reciproche tra
Lucio Emilio Paolo e Gaio Sulpicio Gallo era peraltro subito dopo interve-
nuto un incidente alquanto spiacevole: il comandante, di ritorno dal viaggio,
aveva rimproverato e sollevato da ogni incarico il tribuno, reo, a suo dire,
di aver concesso troppa libertà a Perseo e di aver permesso ai soldati
di edificare alloggi provvisori requisendo materiali sul posto (45, 28, 9-10).
Altra causa (ma anche effetto) della rottura dell'amicizia fra i due
potrebbe essere stata la rivendicazione da parte di entrambi in via esclu-
siva del merito di aver impedito che l'eser~jt9 romano (al contrario di
quanto accadde a quello macedone) fosse demoralizzato, a causa della su-
perstizione, da un'eclissi di luna che si verificò alla vigilia della battaglia
decisiva. Di questa polemica, sorta a proposito di una vicenda il cui meri-
to, secondo Livio (44, 37, 5 ss.) e Plinio il Vecchio (n.h. 2, 9, 53), i quali,
almeno su questo punto, non sembrano schierati per nessuna delle due
parti, sembra essere stato tanto di Gallo (era lui ad essere un esperto di
astronomia - anzi, il primo vero esperto di astronomia a Roma - ed era
quindi soltanto lui ad avere il bagaglio di nozioni scientifiche, che più tardi
avrebbe anche esposto e approfondito in un ampio trattato, indispensabile
per fornire ai soldati una convincente spiegazione delle cause e della rea-
le natura dell'eclissi) quanto di Paolo (che dapprima aveva stimolato l'uffi-
ciale e poi aveva saputo valorizzarne opportunamente le capacità) ci ha
tramandato l'eco l'esistenza nella tradizione storiografica antica di due
altre versioni dell'episodio tra loro inconciliabili, le quali mirano ad attri-
buire tutti i meriti l'una a Lucio Emilio Paolo e l'altra a Gaio Sulpicio Gallo.
La versione favorevole a Lucio Emilio Paolo (Plut., Aem. 17, 7 ss.;
Zon. 9, 23; Liv., Per. 44) fa di lui l'unico protagonista dell'episodio e
a lui medesimo attribuisce il possesso delle cognizioni astronomiche ne-
cessarie per fornire ai soldati una spiegazione razionale dell'eclissi, oblite-
rando completamente la memoria di Sulpicio Gallo. Per contro, la versio-
ne opposta arriva ad assegnare a Sulpicio Gallo non solo tutto il merito
dell'aver liberato l'esercito dal timore superstizioso (Cic., rep., 1, 15, 23),
bensì anche tout court la gloria di aver determinato il successo romano
nello scontro di Pidna (Val.Max. 8, 11, 1): itaque inclytae illi Paulianae
mctoriae liberales artes Galli aditum dederunt, quia, nisi ille metum no-
strorum militum vicisset, imperator vincere hostes non potuisset ( 12 ). La
(12 ) All'origine di questa versione favorevole a Gaio Sulpicio Gallo sta probabilmente
il i·olumen che, come ricorda Plin. 2, 9, 53, lui stesso scrisse: Cicerone e Valerio Massimo
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l'attinsero però evidentemente da una fonte parecchio più tarda, perché altrimenti non si
spiegherebbe l'anacronistica qualifica di legatus anziché tribunus attribuita dai due a Gallo.
A questa fonte di età tardorepubblicana comune a Cicerone e Valerio Massimo si può dare,
con ogni probabilità, un nome preciso: quello dell'annalista Servio Sulpicio Galba, nonno del
futuro imperatore. Discendente diretto del detrattore di Lucio Emilio Paolo, egli scrisse at-
torno alla metà del I secolo a.C. una storia della quale si sa con certezza che, dalle origini
di Roma (framm. 1 Peter, citato da Plut., Rom. 17 attraverso Giuba di Mauritania), arrivava
per lo meno a riferire della spedizione di Pompeo in Spagna contro Sertorio (Oros. 5, 23,
6). È evidente che, all'interno di quest'opera, il ruolo avuto dai Sulpici nelle diverse epoche
della storia di Roma doveva essere messo in risalto in modo del tutto speciale.
(1 3 ) La Vianoli (Carattere ... cit., p. 83 ss.) arriva a sostenere, per contro, che "nes-
sun riserbo si può avanzare circa le sue brillanti qualità militari": a questa conclusione, tutta-
via, giunge solo per un errore metodologico che commette nell'approccio alle fonti, giacché
assolutizza la testimonianza di Plutarco, ignorando completamente tutto quanto da tale testi-
monianza diverga. Nonostante tutto ciò, alla fine, tuttavia, anch'essa deve ammettere co-
munque che i successi militari di Lucio Emilio Paolo sembrano essere stati determinati più
dall'incompetenza e dagli errori dei suoi avversari che dalle sue doti di stratega.
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se lo scontro si sia risolto a favore dei Romani grazie alla sua presenza
o nonostante essa. Prescindiamo pure dai motivi della polemica che ab-
biamo visto sviluppata con i Sulpicii: pesanti interrogativi, in questo sen-
so, basta già a sollevarli Livio laddove scrive che allo scontro si arrivò
in modo meramente accidentale (44, 40, 4), mentre Lucio Emilio Paolo
fino a quel momento era rimasto sordo alle pressanti insistenze dei suoi
collaboratori più stretti, convinti della necessità di passare all'azione più
presto possibile (44, 37, 1 ss.). E che i fatti siano andati così lo conferma
Zonara (9, 23) né, in fondo, lo nega Plutarco, che si limita a specificare
che a detta di alcuni non meglio precisati testimoni l'incidente da cui
aveva preso le mosse iI combattimento era stato in realtà accuratamente
preparato dal comandante romano (Aem. 18, 1). Il basso profilo delle doti
e delle imprese di Lucio Emilio Paolo in veste di stratega, tuttavia, forse
non gli avrebbe sollevato contro l'esercito, se esso non fosse assommato
ad un rigore disciplinare quasi maniacale verso i suoi sottoposti ( 14 ) e
ad una spartizione del bottino macedone che agli appartenenti al corpo
di spedizione romano dovette apparire poco generosa e ancor meno tra-
sparente. Anche a questo riguardo Plutarco, quando a 28, 10-13 tesse
le lodi di Lucio Emilio Paolo per non aver voluto nemmeno vedere il
tesoro reale prima di affidarlo ai quesitori, si guarda bene dallo specifica-
re (e quindi, per venirlo a sapere, è necessario ricorrere a Liv. 44, 46, 8)
che Perseo era fuggito da Pella portandosi dietro tutti i suoi averi e che
quindi il tesoro reale non conteneva quasi più nulla. Il grosso delle so-
stanze del re di Macedonia pervenne a Lucio Emilio Paolo solo in un
secondo tempo: ma avendo avuto luogo la consegna in forma pubblica
e ufficiale ad Amfipoli, ben difficilmente sarebbe stato possibile a chiun-
que, per quanto malintenzionato, farne man bassa (Liv. 45, 29, 1 ss.).
La sorte delle ricchezze di Perseo non è dunque significativa per
giudicare l'avidità o il disinteresse di Lucio Emilio Paolo, perché egli non
ne ebbe mai una reale disponibilità. Significativo, piuttosto, è il modo
con cui egli gestì quei beni sui quali poté mettere veramente le mani:
e qui le ombre sono notevoli, al di là delle generiche e astratte afferma-
zioni delle fonti antiche secondo cui Lucio Emilio Paolo non avrebbe mai
tratto da essi personale vantaggio. È proprio Plutarco (Aem. 28, 11) a
(1') Abbiamo visto sopra che all'origine del suo scontro con Gaio Sulpicio Gallo sem-
bra esserci stata, tra l'altro, anche la minore durezza del tribuno, il quale aveva ritenuto
opportuno consentire ai soldati acquartierati ad Amfipoli di costruirsi dei ricoveri invernali
con materiali approvvigionati smantellando le mura della città, in attesa che Lucio Emilio
Paolo concludesse il giro turistico della Grecia intrapreso dopo la vittoria.
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 413
citare come prova del disinteresse di Lucio Emilio Paolo il fatto che egli
abbia voluto per sé, onde donarla ai figli, solamente la biblioteca reale:
una cosa da nulla, se ci atteniamo all'impostazione .plutarchea, a parago-
ne del resto. E tuttavia, se, invece che seguire il ragionamento del bio-
grafo, riflettiamo per un momento su ciò che i fatti enunciati implicano,
ci si accorge che la situazione doveva essere diversa da quella che sembra
sottintendere Plutarco. Innanzitutto, al momento in cui Lucio Emilio Paolo
aveva stabilito di attribuire ai propri figli la biblioteca dei re di Macedo-
nia, il tesoro di questi ultimi non era ancora venuto in possesso dei Ro-
mani: pertanto, le proporzioni complessive del bottino di guerra non era-
no ancora, in quella fase, tanto enormi quanto divennero in seguito. Quanto
alla valutazione da dare della biblioteca reale in sé e per sé, non va di-
menticato che, a differenza di quanto accade oggi, nel mondo antico il
libro era un genere estremamente costoso e di gran lusso: e poiché a
Roma, in particolare, i libri erano molto più rari che in Grecia, tutti i
comandanti romani che ebbero l'opportunità, in diverse epoche, di far
bottino in Oriente, curarono sempre di accaparrarseli (e in questo, semmai,
si può dire che Lucio Emilio Paolo fu il primo a fare ciò che in seguito
avrebbero fatto anche altri personaggi, non particolarmente noti per la mo-
derazione nel disporre della preda di guerra, come Silla o Lucullo ( 15 )).
A ciò si aggiunga che la biblioteca del palazzo reale di Pella, dove aveva
vissuto a lungo, un tempo, persino Aristotele, poteva essere considerata
a quei tempi una delle più ricche del mondo. Ecco allora che si dimostra
che Lucio Emilio Paolo tenne per sé, donandolo ai suoi figli, non già
qualcosa il cui valore era insignificante all'interno del computo complessi-
vo di ciò che era caduto nelle mani dei suoi soldati, bensì, alla fin fine,
quanto di meglio gli fu possibile trovare a Pella: e se questo fu poco
(ma non lo fu), ciò fu perché non molto di più egli vi aveva trovato.
All'indomani di Pidna, d'altronde, secondo un autorevolissimo testimone
come Polibio (31, 29, 5 ss.), Lucio Emilio Paolo aveva assegnato a Scipio-
ne Emiliano la disponibilità esclusiva di tutte le riserve di caccia che era-
no state dello sconfitto Perseo, con tutto quanto contenevano e quanti
vi lavoravano: ciò, secondo la valutazione dello storico (31, 29, 6), che
certo non è sospettabile di ostilità preconcetta, aveva posto il giovane
(1 5 ) Cfr. T. KLEBERG, Commercio librario ed editoria nel mondo antico, in Libri, edi-
tori e pubblico nel mondo antico. Guida storica e critica, a cura di G. Cavallo, Bari 1975 1-19772,
pp. 25-80, pp. 40 ss.
414 ALBERTO BARZANÒ
Scipione in una posizione tale "che gli pareva di essere il re" (voµ(crcxç
o[ovd ~cxcrtÀtuttv) (1 6 ).
D'altronde, che gli attacchi contro Lucio Emilio Paolo dovessero
avere qualche fondamento lo dimostra anche la circostanza che erano i
medesimi optimates (cioè quelli che erano i suoi più strenui sostenitori)
a schierarsi a favore di una soluzione di compromesso: nel momento stes-
so in cui reclamavano per il vincitore di Pidna il diritto di celebrare il
trionfo, infatti, erano loro i primi a dare per scontato che egli dovesse
però accettare di condividerlo con due pretori, Lucio Anicio (la cui vitto-
ria sugli Illiri, pur essendo stata certamente importante, non avrebbe mai
potuto avere per Roma e per il resto del Mediterraneo antico, il significa-
to che aveva avuto la definitiva sconfitta della Macedonia {1 7 )) e Gneo
Ottavio (che aveva comandato la flotta durante la guerra contro Perseo
e al quale il re si era materialmente consegnato prigioniero). Ora, il fatto
che l'obiettivo dei sostenitori di Lucio Emilio Paolo sia stato fin dall'ini-
zio una simile soluzione di compromesso, mi sembra un'implicita ammis-
sione della non manifesta infondatezza degli argomenti portati dagli av-
versari per mettere in dubbio i suoi meriti relativamente alla vittoria su
Perseo.
Se comunque anche non volessimo tener conto di questo tipo di
osservazioni (sono chiari a tutti, in effetti, i limiti di un siffatto genere
di congetture sulle opinioni), rimarrebbe pur sempre però un dato di fatto
sul cui significato politico non possono esserci equivoci di sorta: l'elezione
co (il primo era console, il secondo pretore), su quello dell'importanza· della famiglia d'origine
e su quello delle proporzioni della vittoria ottenuta è esplicitamente sottolineata da Livio
(45, 43, 1•4), che precisa però anche (45, 43, 8) che i soldati parteciparono al trionfo di
Anicio con molta maggiore allegria, riservandogli un gran numero di acclamazioni, cosa che
non era avvenuta per il trionfo di Lucio Emilio Paolo. Il trionfo di Paolo, d'altra parte,
era stato caratterizzato anche da uno strascico polemico al momento della distribuzione del
donativo alle truppe (Liv. 45, 40, 5), la cui storicità pare confermata dall'anomalo silenzio
che nel racconto plutarcheo del trionfo (Aem., 32-35) si riscontra a proposito di questo che
invece era un momento chiave per questo genere di celebrazioni.
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al consolato, avvenuta alla fine del 167 a.C., subito dopo la celebrazione
del trionfo macedone, di uno dei due grandi avversari di Lucio Emilio
Paolo, l'ex tribuno Servio Sulpicio Gallo (Liv. 45, 44, 2). Ciò implica sicu-
ramente che, al contrario di quanto afferma Plutarco (Aem. 32, 1), la
maggioranza del popolo romano non aveva affatto cambiato parere sul
vincitore di Perseo: e, dopo essersi dovuta sottomettere alla volontà del-
1' oligarchia senatoria riguardo alla concessione del trionfo, si era presa
una significativa rivincita portando al consolato proprio colui che gli con-
tendeva almeno in parte il merito della vittoria di Pidna.
Ma se tutto questo è vero, come poté Lucio Emilio Paolo, nonostan-
te che il valore della sua personalità fosse ampiamente discusso fra i con-
temporanei, trovare invece un posto tanto significativo nella memoria dei
posteri, in mezzo alle figure idealizzate dei più grandi Romani di tutti
i tempi?
Per rispondere a questo interrogativo è necessario innanzitutto ri-
cordare con Plutarco (Aem. 38, 2 ss.) che egli, per tutta la sua vita, fu
uno degli optimates più conservatori e che ad essi si appoggiò tanto pri-
ma che dopo Pidna. Ciò spiega perché, secondo quanto sappiamo ancora
una volta da Plutarco (Aem. 38, 4), dopo la sua morte, nel 143 a.C., gli
optimates più conservatori poterono strumentalizzarne il ricordo, a favore
del loro candidato, Appio Claudio Pulcro, per rinfacciare a Scipione Emi-
liano, suo avversario, di servirsi di amici e collaboratori di origini disprez-
zabili e indaffarati ad acquisire quel consenso popolare che viceversa Lu-
cio Emilio Paolo aveva sempre dimostrato di non tenere in alcun conto.
Ora, l'importanza di questo episodio mi sembra non essere mai sta-
to colto appieno: eppure è un dato di fatto che la tradizione antica enfa-
tizza, della figura di Lucio Emilio Paolo, degli aspetti che sono tutti per-
fettamente coerenti con gli ideali di Appio Claudio Pulcro e degli altri
optimates, mentre offrono scarsissimi elementi per sostenere che sia sta-
to Scipione Emiliano a fare di Lucio Emilio Paolo la propria bandiera,
come vorrebbe la gran parte dei moderni. L'inflessibilità dimostrata nel-
1'esercitare il potere (e specialmente quello militare), così come il comple-
to disprezzo per il consenso popolare, per esempio, che agli optimates
apparivano indiscutibilmente come delle grandi doti, per Scipione Emilia-
no e i suoi sostenitori non potevano che essere gravi difetti. Del resto,
è da dimostrare anche che Lucio Emilio Paolo abbia nutrito sentimenti
filellenici (cosa che invece i moderni danno per scontata) e che proprio
grazie a lui e all'impostazione educativa da lui voluta Scipione Emiliano
abbia assorbito l'interesse e la simpatia verso la grecità. A parte la buona
416 ALBERTO BARZANÙ
conoscenza che egli aveva della lingua greca e la sua scelta di educare
i figli, oltre che secondo i dettami del mos maiorum, anche nella cul-
tura greca, non disponiamo di nessun elemento che si riveli significativo
sotto questo profilo. E tuttavia, la conoscenza che Lucio Emilio Paolo
ebbe certamente della lingua e, probabilmente, anche della cultura greca,
non è e non può essere assunta quale indizio di particolare filellenismo:
si potrebbe ricorrere, per dimostrarlo, al classico esempio di Catone il
Censore ( 18 ), se la prova migliore non ce l'avesse fornita proprio il me-
desimo Lucio Emilio Paolo, quando, pur sapendo parlare perfettamente
il greco, dettò in latino le condizioni ai vinti (Liv. 45, 29, 2). D'altro can-
to, circa la scelta attribuitagli da Plutarco (Aem. 6, 8-9) di educare i figli
anche nella cultura greca, i dubbi che tale notizia suscita sono più d'uno.
Il biografo non lo precisa, ma un confronto con il testo di Polibio (31,
29, 5 ss.) rivela che Plutarco fa riferimento, in realtà, al dopo Pidna {1 9 )
e, pertanto, ad una fase in cui Fabio Massimo e Scipione Emiliano -
qualora anche ammettessimo che da fanciulli possano essere stati educati
non già sotto la responsabilità dei rispettivi padri adottivi, bensì secondo
le direttive del padre naturale - erano ormai uomini fatti. Sotto questo
profilo mi sembra particolarmente interessante rilevare che Polibio, il prin-
cipale tra i maestri e gli amici greci ricordati da Plutarco, non menziona
nemmeno di sfuggita Lucio Emilio Paolo nel pur ampio testo che dedica
alla narrazione del suo primo incontro con Fabio Massimo e Scipione Emi-
liano (31, 23, 1 ss.): né egli ricorda alcuna occasione di incontro personale
col padre dei suoi due grandi amici e protettori, al quale pure riserva
un elogio indubbiamente caloroso, ma forse non dovuto ad un'intima fre-
quentazione (31, 22, 1) (20 ). D'altronde, se è vero che Polibio e i due
figli di Lucio Emilio Paolo si erano conosciuti a motivo di un volume che
18
( ) D. NARDO, Terenzio e l'ironizzazione del sapiens, in AIV 126 (1967/1968), pp.
131-174, p. 165: " ... Catone nemico della grecità ma impegnato a mediare la cultura ellenica
nei Praecepta al figlio e simbolicamente arresosi da vecchio allo studio della lingua greca... ".
(1 9 ) Ad indicare che il riferimento è, con certezza, al periodo successivo alla sconfitta
di Perseo è la circostanza, riferita da Polibio (31, 29, 7), secondo cui Scipione sperimentò
per la prima volta le attività venatorie solo dopo che suo padre gli ebbe messo a disposizione
le tenute di caccia di Perseo complete di tutto il personale di servizio.
( 20 ) Con questo non voglio negare a priori quanto afferma W. REITER, Aemilius ... cit.,
p. 32, e cioè che Polibio conobbe personalmente Lucio Emilio Paolo: ma non si può addurre
come prova di questo il fatto che lo storico greco riporti notizie che dichiara attinte a raccon-
ti che Lucio Emilio Paolo sarebbe stato solito fare durante la vecchiaia. Di essi, infatti,
Polibio avrebbe potuto essere messo al corrente anche da Fabio Massimo e Scipione Emilia-
no, coi quali era certamente in grandissima familiarità.
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 417
sua testimonianza è peraltro troppo incerta perché se ne possa dare un'interpretazione univoca.
( 22 ) CFr. J. DEININGER, Der politische Widerstand gegen Rom in Griechenland 217-86
27
( ) Per un quadro complessivo dei problemi relativi a queste deportazioni decise da
Lucio Emilio Paolo, cfr. J. DEININGER, Der politische ... cit., pp. 194 ss. e R. VIANOLI, Ca-
rattere... cit., p. 88.
( 28 ) Ha pienamente ragione la VIANOLI (Carattere ... cit., pp. 88-89) nel sottolineare
che gli inquietanti risvolti di questi episodi "mostrano come Paolo possedesse una durezza,
che colpisce soprattutto perché razionale, capace cioè di pianificare con logica freddezza la
distruzione". E questo rivela "la complessità della figura di Paolo, che non risulta cosl univo·
camente luminosa come la tradizione ci vuole mostrare; in questa figura si può anzi cogliere
una dicotomia, direi quasi un'ambiguità ... ".
( 29 ) C.Z. LIEDMEIER, Plutarchus Biographie van Aemilius Paullus: Historische Com·
mentaar, Utrecht 1935, pp. 240-242, spiega la divergenza tra le testimonianze di Livio e
di Plutarco su questo punto sostenendo che Livio intenderebbe far riferimento al totale del
bottino, mentre Plutarco terrebbe conto unicamente della quota che a ciascun soldato spettò
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 419
Perseo, anche se da Livio (45, 38, 9-10) sappiamo che la rottura dei suoi
rapporti con Gaio Sulpicio era avvenuta anche per via del trattamento
a suo avviso troppo umano riservato dal tribuno al re sconfitto, e dallo
stesso biografo ci viene ricordato (Aem. 34, 3-4) che il Romano aveva
risposto con uno sprezzante invito al suicidio alla supplica rivoltagli dal
Macedone affinché non lo esibisse nel corteo trionfale (lo conferma anche
Cic., Tusc. 5, 118). Con tutto ciò risulta evidente quanto poco credito
si debba dare all'ulteriore affermazione di Plutarco (Aem. 39, 9) secondo
cui tutti i popoli vinti ricevettero da Lucio Emilio Paolo tanti e tali bene-
fici che, alla sua morte, quanti fra loro erano casualmente presenti a
Roma si sarebbero contesi l'onore di portare il suo feretro: un particolare
che non trova conferma in Diodoro (31, 25-26), pur largo di elogi per
Lucio Emilio Paolo, mentre Valerio Massimo, che riferisce dell'episodio
una versione alquanto dettagliata (2, 10, 3), sostiene però che a portare
a spalle il feretro di Lucio Emilio Paolo sarebbero stati solo alcuni princi-
pes Macedoniae, presenti a Roma in quei giorni legationis nomine. Un
dettaglio solo apparentemente marginale, in quanto ribalta l'interpreta-
zione dell'avvenimento: questi principes Macedoniae, infatti, erano evi-
dentemente alcuni di quei collaborazionisti che erano giunti al potere gra-
zie a Lucio Emilio Paolo (30 ). Se tutto quello che siamo venuti fin qui
mettendo in luce sulla figura storica di Lucio Emilio Paolo e sul legame
esistente tra la realtà di essa e l'immagine che ne fu artificialmente co-
struita a posteriori è vero, vale allora forse la pena di ampliare ancora
un po' il campo della nostra indagine, per rivisitare in altra luce i rappor-
ti tra Scipione Emiliano e suo padre, rapporti dei quali sappiamo in effetti
daJla vendita degli schiavi. Resta tuttavia immutato il problema deJia divergenza non già
sul dato numerico in sé, quanto sulla soggettiva valutazione da dare deJie proporzioni com-
plessive del bottino.
( 30 ) Mi si consenta qui di dissentire dal parere della VrANOLI (Carattere ... , p. 84), se-
condo la quale "non ci sono fatti che attestino vendette personali, razzie, sorprusi, perpetrati
a danno di provinciali o di popoli vinti per proprio tornaconto; fu questo che gli meritò
la stima profonda di Spagnoli, Liguri e Macedoni...". È vero, molto probabilmente, che le
razzie, le deportazioni e le distruzioni pianificate e coordinate da Lucio Emilio Paolo dopo
la vittoria di Pidna non furono da lui decise per motivi di interesse privato, ma ciò non
toglie che di tali azioni egli ebbe oggettivamente la responsabilità, anche e soprattutto agli
occhi di quelle sventurate popolazioni che ne subirono le tremende conseguenze. Per il resto,
dubito che si possa affermare con assoluta certezza che Lucio Emilio Paolo non abbia mai
fatto nulla per il proprio esclusivo interesse: basti citare il gesto molto significativo in questo
senso che egli compi dedicando a se stesso una statua d'oro a Delfi (cfr. Poi. 30, 10, 1;
Liv. 45, 27, 7; Plut., Aem. 28, 4).
420 ALBERTO BARZANÒ
ben poco, per quanto si dia comunemente per scontato che siano stati
sempre ottimi. Invece, fra gli scarsi elementi dei quali disponiamo, quello
più certo e di maggior rilevanza, è fin troppo evidentemente di segno
opposto. Da quanto scrive Plutarco (Aem., 5, 1 ss.), infatti, si evince chia-
ramente che la mamma di Fabio Massimo e Scipione Emiliano, Papiria,
nonostante avesse doti non comuni, fu ripudiata da Lucio Emilio Paolo
perché egli si era invaghito di un'altra donna e voleva sposarla (che poi
il biografo si dilunghi a disquisire sul fatto che apparentemente si era
trattato di un ripudio senza motivi dipende solo dalla necessità di sviare
l'attenzione del lettore, impedendogli di cogliere il rapporto di causa ed
effetto tra il ripudio di Papiria e la celebrazione delle nuove nozze di
Lucio Emilio Paolo, rivelatore di una situazione non molto in sintonia
con la presentazione globalmente "agiografica" del personaggio). Per di
più, ad aggravare la situazione che inevitabilmente dovette venirsi a creare
a livello affettivo in seguito a questo ripudio, intervenne anche l'atteggia-
mento di totale noncuranza di Lucio Emilio Paolo per la sorte della sua
ex moglie, che fu da lui abbandonata completamente a se stessa, senza
il necessario per vivere decorosamente (Plutarco, come sempre quando
si tratta di aspetti imbarazzanti, ignora completamente questo risvolto della
vicenda, del quale siamo invece a conoscenza attraverso Pol. 31, 26, 7).
Ora, è certamente possibile (e, anzi, probabile) che i Romani del
tempo siano stati in buona parte all'oscuro e per il resto indifferenti di
fronte a questa scelta di Lucio Emilio Paolo di liberarsi della prima mo-
glie per poter sposare un'altra donna (mentre Papiria non si risposò phi):
e tuttavia sul piano dei rapporti familiari questo episodio dovette essere
un dramma per chi, come Scipione, non solo vide la madre estromessa
da casa, ma fu lui stesso ben presto ceduto in adozione e diseredato,
mentre una nuova moglie generava nuovi figli a suo padre ( 31 ).
È vero che padre e figli di primo letto non interruppero mai i con-
tatti e che il passare degli anni da un lato, dall'altro la morte prematura
dei figli di secondo letto e la conseguente reintegrazione di Fabio Massi-
mo e di Scipione Emiliano come eredi legali di Lucio Emilio Paolo, dovet-
(31 ) Le fonti antiche sono pressoché unanimi nel sostenere che, anche dopo averli cedu·
ti in adozione, Lucio Emilio Paolo mantenne un profondo legame affettivo, sinceramente ricam-
biato, coi due figli di primo letto. E tuttavia non si può dimenticare che, al momento del trionfo
su Perseo, solo i due figli di secondo letto erano legalmente eredi di Lucio Emilio Paolo (Liv. 45,
40, 7-8 e 45, 41, 10 ss.; Val. Max. 5, 10, 2) e che ad accompagnare Lucio Emilio Paolo sul
cocchio trionfale sarebbero stati i due figli di secondo letto se non avessero contratto entrambi
una malattia destinata a portarli alla morte proprio nei giorni del trionfo (Liv. 45, 40, 8).
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 421
( 32 ) Certo essi non poterono dimenticare che il padre, a chi gli chiedeva perché mai
volesse ripudiare Papiria, l'aveva rozzamente paragonata ad una scarpa, che oggi si calza
e domani non si usa più (Plut., Aem. 5, 3).
( 33 ) O.L. WILNER, The Role of Demea in the Adelphoe, in Studies in Honour of Ullman,
Fil. 32 (1954), pp. 18-35; O.L. WJLNER, The Role... cit., D. NARDO, Terenzio ... cit., pp. 156 ss.
422 ALBERTO BARZANÒ
guire il decreto di abbattere i templi di Iside e di Osiride, tanto che fu poi lo stesso Emilio
Paolo a curare direttamente la loro distruzione (Val. Max. 1, 2, 4).
( 36 ) Interpretare alla luce delle vicende personali di Emilio Paolo, anche le recriminazioni
che Terenzio pone suJle labbra di Demea ai vv. 855 ss. degli Adelphoe acquistano un significato
estremamente suggestivo. Il riferimento è, soprattutto, a due passaggi: il primo (vv. 860 ss.) è
quello in cui Demea ammette il fallimento di comportamenti in tutto analoghi a quelli che nella
biografia plutarchea vengono invece presentati come i principali aspetti positivi della figura
storica di Emilio Paolo (Aem. 1, 6 ss.); il secondo (vv. 867 ss.), invece, è quello laddove si lamenta
perché, pur avendo avuto due figli, ne è rimasto ormai di fatto privo (una recriminazione in
tutto simile a quella che ad Emilio Paolo è attribuita in Liv. 45, 41, 10 ss. e Plut., Aem. 36, 9).
BIOGRAFIA PAGANA COME AGIOGRAFIA 423
( 37 ) Fra i più recenti e interessanti studi sugli Adelphoe di Terenzio meritano una par-
ticolare segnalazione due articoli di P. GRIMAL, Réflexions sur les Adelphes de Térence, in VL
84 (1981), pp. 2-9, e Considérations sur les Adelphes de Térence, in CRAI (1982), pp. 38-47.
424 ALBERTO BARZANÙ
che era stato il Lucio Emilio Paolo personaggio storico. Le parole dell'in-
troduzione dalle quali siamo partiti avvertono il lettore appunto di que-
sto: che, per dirla col Reiter, "l'individuo Paolo è stato dimenticato in
mezzo all'immagine" ( 38 ).