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IL BARBIERE DI SIVIGLIA di Gioacchino Rossini - Trama, Libretto, Opera

completa e Personaggi

Il barbiere di Siviglia è un'opera in due Atti di Gioachino Rossini su libretto


di Cesare Sterbini tratto dalla commedia omonima di Beaumarchais. Il
titolo originale dell'opera era Almaviva, o sia l'inutile precauzione.
Prima di Rossini, Giovanni Paisiello aveva messo in scena il suo Barbiere di
Siviglia nel 1782 (dieci anni prima della nascita di Rossini). Con quella stessa
opera, Paisiello aveva riscosso uno dei maggiori successi della sua fortunata
carriera.
Il precedente successo di Paisiello (uno dei maggiori rappresentanti
dell'opera napoletana) faceva sembrare inammissibile che un compositore
di ventitre anni - per quanto dotato - osasse sfidarlo.

Rossini in realtà non aveva nessuna responsabilità sulla scelta del soggetto.
L'opera fu infatti scelta dall'impresario del teatro Argentina di Roma, il duca
Francesco Sforza Cesarini; questi voleva commissionare a Rossini un'opera
per l'imminente carnevale.

A quei tempi qualsiasi rappresentazione doveva scontrarsi con le forbici


della censura pontificia. Per andare sul sicuro, l'impresario propose come
soggetto "Il barbiere di Siviglia", che fu subito approvato dai censori
pontifici.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 20 febbraio 1816 al Teatro
Argentina a Roma e terminò fra i fischi. Il clima generale era di totale
boicottaggio, dovuto ai sostenitori della versione dell'opera di Paisiello,
favorito anche dall'improvvisa morte dell'impresario del Teatro Argentina.
Già dalla seconda recita, il pubblico acclamò l'opera di Rossini, portandola
ad oscurare la precedente versione di Paisiello e diventando una delle
opere più rappresentate al mondo.

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o Il Conte d'Almaviva - tenore
o Don Bartolo, dottore in medicina, tutore di Rosina - basso buffo
o Rosina, ricca pupilla in casa di Bartolo - mezzosoprano
o Figaro, barbiere - baritono
o Don Basilio, maestro di musica di Rosina, ipocrita - basso
o Berta vecchia governante in casa di Bartolo - soprano
o Fiorello, servitore di Almaviva - baritono
o Ambrogio, servitore di Bartolo - basso
o un ufficiale, un alcalde, o Magistrato; un notaro; Alguazils, o
siano Agenti di polizia; soldati; suonatori di istrumenti

La scena si rappresenta in Siviglia.

ATTO I

Siviglia. La bella Rosina abita nella casa di don Bartolo, il suo anziano tutore.
Don Bartolo vuole tenere Rosina con sè, per amministrarne il patrimonio.
Intanto il Conte d'Almaviva, appena arrivato in città, si innamora della bella
fanciulla e cerca il modo di avvicinarla; decide di presentarsi a lei sotto le
mentite spoglie di Lindoro.
Lui organizza delle serenate sotto la finestra della fanciulla, tanto da
destare le preoccupazione di don Bartolo; questi, per non essere costretto
a rinunciare alla fortuna della ragazza, decide di chiederla in matrimonio,
ma lei rifiuta.
Il Conte incontra Figaro, sua vecchia conoscenza, barbiere oltre che
"factotum" nella casa di Don Bartolo. Figaro consiglia al Conte di
presentarsi a Rosina facendo finta di essere un soldato ubriaco in congedo,
con un permesso di soggiorno proprio in casa di don Bartolo. Nel frattempo
Rosina affida a Figaro una lettera indirizzata a Lindoro.

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Il maestro di musica di Rosina, don Basilio, sa della presenza in città del
Conte; per favorire l'amico don Bartolo, gli suggerisce di calunniarlo per
sminuirne la figura.
Secondo quanto pianificato con Figaro, il Conte di Almaviva fa irruzione
nella casa di don Bartolo fingendosi un soldato ubriaco; Figaro gli ha anche
procurato il falso permesso di soggiorno. Don Bartolo pur non
riconoscendo nel soldato il Conte di Almaviva, cerca di allontanare il
fastidioso rivale. Ne scaturisce una lite che richiama in casa i Gendarmi.
Nella confusione generale (nel frattempo è entrato in casa anche Figaro) il
Conte riesce a passare un messaggio a Rosina.
Per trarsi infine d'impaccio, il Conte rivela all'ufficiale delle guardie la sua
vera identità; i soldati sono quindi costretti a lasciarlo andare senza
arrestarlo.

ATTO II

Nella dimora di don Bartolo arriva don Alonso, sedicente insegnante di


musica e sostituto di don Basilio; in realtà si tratta sempre del Conte di
Almaviva con un nuovo travestimento.
Don Bartolo dubita delle sue reali intenzioni; don Alonso gli porge quindi la
lettera di Rosina.
Intanto giunge Figaro, intenzionato a distrarre don Bartolo con la scusa
della rasatura. Mentre il Conte cerca di spiegare la situazione a Rosina,
irrompe Don Bartolo che lo caccia immediatamente.
Don Bartolo mostra a Rosina la sua lettera e le fa credere che il suo amato
Lindoro sia in realtà un emissario del Conte.
Rosina - per dispetto - accetta infine la proposta di matrimonio del suo
tutore. Don Bartolo chiama immediatamente il notaio per sugellare la loro
unione.
In un ultimo disperato tentativo, il Conte e Figaro fanno irruzione nella
camera di Rosina, usando una scala per entrare dalla finestra. Il Conte svela
i suoi travestimenti a Rosina e le dichiara il suo amore e la sua volontà di
sposarla; la bella Rosina accetta la proposta del Conte.

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Proprio quando stanno per fuggire, i tre si accorgono che la scala fuori dalla
finestra di Rosina, è stata tolta; è stato don Bartolo, che, sospettando la
presenza di un estraneo in casa, è andato a chiamare le autorità. Memore
della strana scena cui ha assistito, con il soldato ubriaco lasciato andare,
non si fida della polizia. E' corso dunque direttamente dal magistrato.
Nel frattempo, il notaio fatto chiamare da don Bartolo arriva in casa; Figaro
e il Conte, approfittando della prolungata assenza del padrone di casa,
convincono il notaio che il matrimonio che è stato chiamato a redigere sia
quello tra il Conte e Rosina.
Quando don Bartolo ritorna a casa il contratto di matrimonio è già stato
siglato. Quando il Conte decide di rinunciare alla dote portata da Rosina, il
non troppo disinteressato don Bartolo tira un sospiro di sollievo e benedice
gli sposi.

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IL BARBIERE DI SIVIGLIA
di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini
Personaggi
IL CONTE D'ALMAVIVA (tenore)
FIGARO (baritono)
ROSINA (contralto)
DON BARTOLO (Baritono) dottore in medicina e tutore di Rosina
DON BASILIO (basso) maestro di musica di Rosina
BERTA (soprano) vecchia governante
FIORELLO(baritono) servitore del Conte d'Almaviva
AMBROGIO(mimo) servitore di Don Bartolo
UN UFFICIALE(baritono)
CORO di soldati

Introduzione
È un'opera in due atti di Gioachino Rossini su libretto di Cesare
Sterbini tratto dalla commedia omonima di P. Augustin Beaumarchais.
La prima rappresentazione fu al "Teatro Argentina" di Roma il 20 Febbraio
1816.

Trama
ATTO I
Di notte in una piazza di Siviglia sotto la casa di don Bartolo, un anziano
medico, si radunano alcuni suonatori condotti da Fiorello, servitore del
conte il quale è lì per cantare una serenata alla bella Rosina della quale è
innamorato.
Il conte chiede a Figaro, barbiere e “factotum della città” di aiutarlo a
conquistare la giovane alla quale si è presentato sotto il falso nome di
Lindoro.
Figaro lo consiglia di fingersi un giovane soldato cui Rosina si dimostra
presto interessata; inoltre il barbiere gli procura un biglietto d'alloggio nella
casa di don Bartolo.

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Il tutore però, sospettando trame che coinvolgono la sua amata pupilla,
decide di affrettare le proprie nozze con lei e convoca don Basilio che gli
riferisce la voce della presenza in città del conte di Almaviva che ama
Rosina e suggerisce che solo la calunnia potrà mettere fuori gioco il conte;
quindi i due si allontanano per preparare il contratto di nozze.

Figaro parla con Rosina, le conferma l'amore di Lindoro e la giovane, su


consiglio del barbiere, gli scrive un biglietto.

Don Bartolo rientra in casa sorprendendo Figaro e Rosina e accorgendosi


che manca un foglio dal taccuino e la rimprovera.

Bussa alla porta Almaviva che, travestito da soldato e fingendosi ubriaco si


presenta con il biglietto d'alloggio e Bartolo oppone un documento che lo
esenta dall'ospitalità ai militari. Nasce una gran confusione tale da far
intervenire i gendarmi.

Quando Almaviva rivela furtivamente la propria identità le guardie si


allontanano sollevando lo stupore di tutti.

ATTO II
Bartolo comincia a sospettare circa la vera identità del soldato presentatosi
a casa sua, mentre il conte giunge nuovamente con un altro travestimento
sempre frutto dell'ingegnoso Figaro: ora è Don Alonso, maestro di musica
sostituto di Don Basilio rimasto a casa febbricitante.

Per guadagnare la fiducia del tutore, il finto Don Alonso mostra il biglietto
che Rosina gli aveva mandato; nel frattempo giunge Figaro che rade la
barba al padrone di casa nel tentativo di distrarlo dalla conversazione dei
due innamorati.

Dopo vari equivoci indotti da imbrogli reciproci Rosina scopre l'identità di


Don Alonso e si appresta a fuggire con il conte dalla finestra della sua
camera con una scala che Figaro aveva preparato. Qualcuno, però,
intuendo il piano del barbiere toglie lascala.
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I due amanti e Figaro sono scoperti da Don Basilio e da un notaio convocati
da Bartolo per celebrare le proprie nozze con Rosina.

Ancora una volta Figaro mette in atto un'altra astuzia: Don Basilio è
costretto ad assistere al matrimonio dei due giovani.

Al suo arrivo Bartolo non può che arrendersi di fronte al fatto compiuto e
gli resta la sola consolazione di aver risparmiato la dote per Rosina che il
conte di Almaviva rifiuta. Il finale è caratterizzato dai festeggiamenti per il
trionfo di questo amore contrastato.

Brani celebri
Atto Primo
Ecco ridente in cielo, cavatina d'Almaviva
Largo al factotum della città, cavatina di Figaro
Se il mio nome, canzone d'Almaviva
All'idea di quel metallo, duetto Figaro e Conte
Una voce poco fa, cavatina di Rosina
La calunnia è un venticello, cavatina di Don Basilio
Dunque io son..., duetto di Rosina e Figaro
A un dottor de la mia sorte, aria di Bartolo
Atto Secondo
Pace e gioia sia con voi, duetto di conte e Bartolo
Contro un cor che accende amore, aria di Rosina
Quando mi sei vicina, arietta di Bartolo
Don Basilio, quintetto di Rosina, Conte, Figaro, Bartolo, Basilio
Il vecchiotto cerca moglie, aria di Berta
Ah! Qual colpo inaspettato, terzetto di Rosina, Conte, Figaro
Cessa di più resistere, aria d'Almaviva e coro

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Gioachino Rossini

Gioachino Rossini, o Gioacchino, al battesimo Giovacchino Antonio


Rossini[1] (Pesaro, 29 febbraio 1792 – Passy, 13 novembre1868), è stato
un compositore italiano.
La sua attività ha spaziato attraverso vari generi musicali, ma è ricordato
principalmente come uno dei più grandi operisti della storia della musica,
autore di lavori famosissimi e celebrati quali Il barbiere di Siviglia, L'italiana
in Algeri, La gazza ladra, La Cenerentola e Guglielmo Tell.
Biografia
La prima parte della sua vita fu come uno dei suoi celeberrimi,
travolgenti crescendo (compose la prima opera all'età di quattordici anni);
poi - come per iniziare una seconda esistenza - vennero il precoce ed
improvviso abbandono del teatro, la depressione e il ritiro nella pace della
campagna parigina di Passy, con molte pagine di musica ancora da scrivere.
Nato a Pesaro il 29 febbraio 1792, il Cigno di Pesaro – come fu definito[2] –
impresse al melodramma uno stile destinato a far epoca e del quale
chiunque, dopo di lui, avrebbe dovuto tener conto; musicò decine di opere
liriche senza limite di genere, dalle farse alle commedie, dalle tragedie alle
opere serie e semiserie.

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La sua famiglia era di semplici origini: il padre Giuseppe –
detto Vivazza (1764-1839) – fervente sostenitore della Rivoluzione
francese, era originario di Lugo (Ravenna) e suonava la tromba per
professione nella banda cittadina e nelle orchestre locali che appoggiavano
le truppe francesi d'occupazione; la madre, Anna Guidarini (1771-1827),
era nata ad Urbino ed era una cantante di discreta bravura. In ragione delle
idee politiche del padre, la famiglia Rossini fu costretta a frequenti
trasferimenti da una città all'altra tra Emilia e Romagna.
Così il giovane Rossini trascorre gli anni della giovinezza o presso la nonna
o in viaggio fra Ravenna, Ferrara e Bologna dove il padre era riparato nel
tentativo di sfuggire alla cattura dopo la restaurazione del governo
pontificio. Dal 1802 la famiglia vive per qualche anno a Lugo; qui Gioachino
apprende i primi rudimenti di teoria musicale nella scuola dei fratelli
Malerbi. Successivamente la famiglia si trasferisce a Bologna. Ed è proprio
nella città felsinea che Rossini inizia lo studio del canto (fu contralto e
cantore all'Accademia filarmonica), del pianoforte e della spinetta presso il
maestro Giuseppe Prinetti.
Nel 1806, a quattordici anni, si iscrive al Liceo musicale bolognese, studia
intensamente composizione appassionandosi alle pagine di Haydn e di
Mozart (è in questo periodo che si guadagna l'appellativo di tedeschino),
mostrando grande ammirazione per le opere di Cimarosa e scrive la sua
prima opera (Demetrio e Polibio, che sarà rappresentata però soltanto
nel 1812).
Conosce Isabella Colbran, cantante lirica, maggiore di età, che sposerà
a Castenaso il 16 marzo 1822 e da cui si separerà intorno al 1830.

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Viaggio nel melodramma
A neanche vent'anni tre sue opere sono già state rappresentate e il
numero, un anno dopo, salirà a dieci. L'esordio ufficiale sulle scene era
avvenuto nel 1810 al Teatro San Moisè di Venezia con La cambiale di
matrimonio.
Nei vent'anni successivi, Rossini compose una quarantina di opere,
arrivando anche a presentarne al pubblico 4 o 5 in uno stesso anno; in
occasione delle prime rappresentazioni dei suoi lavori, il pubblico italiano
gli riserverà accoglienze controverse.
Si passò infatti da straordinari successi (La pietra del paragone, La gazza
ladra, L'italiana in Algeri, Semiramide) ad accoglienze freddine e perfino a
clamorosi insuccessi, tra i quali è divenuto storico quello del Barbiere di
Siviglia, in occasione della cui "prima" al Teatro Argentina di Roma,
nel 1816, vi furono addirittura dei tafferugli, causati con ogni probabilità
dai detrattori del Maestro pesarese; l'opera ebbe infatti un grande
successo pochi giorni più tardi. Sempre del 1816 è poi l'opera Otello (da cui
sarà ricavata poi parte della musica del Duetto buffo di due gatti, brano per
due soprani erroneamente attribuito a Rossini). Dal 1815 al 1822 è il
direttore musicale del Teatro di San Carlo di Napoli.
Semiramide (1823) è stata l'ultima opera di Rossini composta per l'Italia.
Dopo la sua rappresentazione il compositore si trasferì a Parigi, dove le sue
opere furono accolte quasi sempre in modo trionfale. Il 30
luglio 1824 Rossini diventò directeur de la musique et de la
scène al Théâtre-Italien, con l'obbligo di scrivere opere anche per
l'Opéra[senza fonte]. La prima opera composta nella capitale francese fu Il
viaggio a Reims, eseguita in onore del re Carlo X il 19 giugno 1825,
al Théatre Italien, la quale – in quanto lavoro celebrativo – venne tolta dal
repertorio, su richiesta dello stesso Rossini, dopo tre sole
rappresentazioni.[3] Una parte consistente della musica fu però riutilizzata
ne Le Comte Ory (20 agosto 1828), melodramma giocoso composto per
l'Opéra. Nello stesso teatro Rossini concluderà di lì a poco la sua carriera di
operista con il Guglielmo Tell, capolavoro a cavallo
tra classicismo e romanticismo andato in scena il 3 agosto 1829.
Abbandonato il teatro d'opera, Rossini entrò in una fase di crisi personale
e creativa. Al 1832 risalgono sei pezzi di uno Stabat Mater che egli
completerà solo nel 1839, anno della morte del padre.
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Il successo di quest'opera regge il confronto con quelli ottenuti nel campo
dell'opera lirica; ma è la ridotta produzione nel periodo che va dal 1832 alla
sua morte, avvenuta nel 1868, a rendere la biografia di Rossini simile alla
narrazione di due vite diverse: la vita del trionfo veloce ed immediato, e la
lunga vita appartata e oziosa, nella quale i biografi hanno immortalato il
compositore. Negli ultimi anni egli compose infatti solo pochissimi lavori,
tra cui la memorabile Petite messe solennelle.
Molti storici della musica si sono interrogati sulle cause del suo precoce
ritiro dalle scene teatrali. Probabilmente, all'origine di questa inaspettata
scelta v'è l'incompatibilità tra Rossini e l'estetica romantica. All'esaltazione
della forza trascinante del sentimento e l'identificazione coi personaggi, il
pesarese contrappone, difatti, un settecentesco distacco razionale. Sono
stati comunque rilevati i numerosi elementi romantici presenti all'interno
del suo Guglielmo Tell, come il soggetto storico-patriottico (la lotta per
l'indipendenza degli svizzeri dagli austriaci nel XIV secolo), l'utilizzo di
elementi folcloristici (come l'inserimento nell'organico orchestrale dei
richiami svizzeri per le vacche, o ranz des vaches), e la grande importanza
affidata al coro. Quasi che Rossini, prima di uscire di scena, si fosse
premurato di dimostrare che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto
dominare anche il trionfante nuovo stile romantico.

Gli ultimi anni


Rossini, uomo dalle mille sfaccettature, è stato descritto dai numerosi
biografi in molte maniere: ipocondriaco, umorale e collerico oppure preda
di profonde crisi depressive, ma pure gioviale bon vivant amante della
buona tavola e delle belle donne; spesso è stato ritenuto afflitto da pigrizia,
ma la sua produzione musicale, alla fine, si rivelerà incomparabile (sebbene
arricchita da numerosi centoni, brani musicati precedentemente e
riutilizzati per nuove opere che il compositore prestava a sé stesso in una
sorta di auto-plagio). Il 15 marzo 1847 Rossini ottenne dalla Repubblica di
San Marino il titolo di nobile e venne altresì proposto, il 10 dicembre 1857,
per l'ascrizione al patriziato della città di Lugo.[4]
Rossini smise di comporre per il teatro lirico all'età di trentasette anni,
dopo il Guglielmo Tell, ritirandosi dalla mondanità a vita privata.

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Nonostante ciò continuò fino all'ultimo a comporre musica, per sé,
per Olympe Pélissier(sposata in seconde nozze nel 1846, dopo la morte
della Colbran, avvenuta l'anno prima) e per gli amici.
Tra le ultime opere composte occorre ricordare la versione definitiva
dello Stabat Mater (1841) ed innumerevoli brani di musica da camera,
sonate e composizioni per pianoforte solo o con voce solista, come
le Soirées musicales, pubblicate nel 1835. Nella produzione dell'ultimo
Rossini ci sarà inoltre spazio anche per quelli che egli stesso definì
autoironicamente i suoi «Péchés de vieillesse», "semplici senili debolezze".
Nel 1859 lo Stato Pontificio cominciò a venire annesso dall'esercito
sabaudo a partire dal territorio delle Legazioni. Rossini, che già nel corso
della precedente rivoluzione nazionale (1848-1849) aveva ritenuto più
prudente lasciare Bologna per Firenze, si stabilì definitivamente a Parigi.
Nella capitale francese realizzò l'ultima sua composizione di rilievo,
la Petite messe solennelle (1863) per dodici cantori (tra uomini, donne e
castrati), due pianoforti ed armonium, che Rossini si risolse ad orchestrare
poco prima di morire, nel timore che altrimenti poi lo avrebbe fatto
qualcun altro. Di questa versione, tuttavia, finché visse, non consentì mai
l'esecuzione neppure in privato, mentre la versione originale fu
rappresentata nel 1864 presso la villa di una nobildonna parigina, alla
presenza di un limitatissimo numero di amici e conoscenti, tra cui i più
grandi musicisti operanti all'epoca nella capitale francese.
L'autore di capolavori come Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola, L'Italiana
in Algeri, Semiramide, Tancredi, La gazza ladra e Guglielmo Tell (solo per
citarne alcune) si spense dopo aver lungamente combattuto contro
il cancro nella sua villa di Passy, presso Parigi, il 13 novembre 1868. I
francesi – ma non solo – si stavano preparando a festeggiare il suo
settantasettesimo compleanno. Le sue spoglie furono tumulate nel
cimitero parigino del Père Lachaise, per essere poi traslate in Italia
nel 1887, nove anni dopo la morte della Pélissier, su iniziativa del governo
italiano. Riposano definitivamente nel "tempio dell'Itale
glorie",[6] la Basilica di Santa Croce, a Firenze. Il suo monumento funebre,
realizzato da Giuseppe Cassioli, fu inaugurato nel 1900.

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A parte alcuni legati a titolo individuale in favore della moglie e di alcuni
parenti,[7] Rossini nominò erede universale delle sue ingenti fortune il
Comune di Pesaro.[8] L'eredità fu utilizzata per l'istituzione di un Liceo
Musicale cittadino. Quando, nel 1940, il liceo fu statalizzato, diventando
il Conservatorio Statale di Musica Gioachino Rossini, l'Ente Morale a cui
erano state conferite proprietà e gestione dell'asse ereditario rossiniano fu
trasformato nella Fondazione Rossini. Finalità della Fondazione, che è
tuttora in piena attività, sono: il sostegno dell'attività del Conservatorio, lo
studio e la diffusione nel mondo della figura, della memoria e delle opere
del pesarese.
La Fondazione ha collaborato, fin dagli inizi, con il Rossini Opera Festival[9] e
ha concorso in misura significativa a predisporre gli strumenti culturali (le
"edizioni critiche" delle opere rossiniane) che sono stati alla base
della Rossini-renaissance dell'ultimo trentennio del Novecento.

Il "Rinascimento rossiniano"
Una prima fase della Rossini-renaissance prese l'avvio dagli anni quaranta-
cinquanta ad opera di Vittorio Gui, che ripropose esecuzioni di opere del
pesarese poco eseguite o dimenticate sulla base del proprio studio diretto
sulle partiture autografe. A ciò va aggiunta, sulle medesime basi di
conoscenza degli autografi, la sua interpretazione del Barbiere di
Siviglia nelle tonalità originali e con la strumentazione originale (sistro,
chitarra, ottavini) a Firenze nel 1942 e poi in varie sedi sino
al Glyndebourne Festival Opera ed alla registrazione con la EMI nel 1962.
A partire dagli anni settanta, poi, è andata prendendo campo, nel quadro
di un'ulteriore rivalutazione delle opere del compositore pesarese (ed in
particolare dei suoi melodrammi seri), una generale riscoperta della
produzione operistica rossiniana, basata sulle edizioni critiche delle
partiture per mano di Alberto Zedda, Philip Gossett e tanti altri. Tale
riscoperta è stata vivificata dalle interpretazioni di Claudio
Abbado del Barbiere di Siviglia (Salisburgo 1968), della Cenerentola,
dell'Italiana in Algeri e del Viaggio a Reims. Quando si parla di Rossini-
renaissance si allude oggi generalmente a questa seconda fase.

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I suoi capolavori, alcuni dei quali già riportati in auge un paio di decenni
prima nell'interpretazione di Maria Callas (Turco in Italia, Armida), sia pure
sulla base di edizioni non filologiche delle partiture, sono rientrati ormai in
repertorio e vengono rappresentati dai maggiori teatri lirici del mondo.
A Pesaro viene organizzato annualmente il Rossini Opera Festival:
appassionati da tutto il mondo giungono appositamente per ascoltare
opere del maestro che sono eseguite utilizzando le edizioni critiche delle
partiture.

Le ricette del Rossini bon vivant


Rossini era un amante della buona cucina. Sin da bambino – secondo i suoi
biografi – avrebbe fatto il chierichetto essenzialmente per poter bere
qualche ultima goccia del vino contenuto nelle ampolline della Messa. Ma,
lo si capisce facilmente, questa asserzione – pure riportata in passato – ha
il sapore della leggenda che, nel tempo, si è costruita attorno ad un
personaggio sicuramente dalle molte sfaccettature e ricco di ironica
originalità.
Alcune delle frasi che gli vengono attribuite e che, per questo aspetto,
meglio lo definiscono sono l'appetito è per lo stomaco quello che l'amore
è per il cuore. Non conosco – era solito aggiungere – un lavoro migliore del
mangiare; Per mangiare un tacchino dobbiamo essere almeno in due: io e
il tacchino; Mangiare, amare, cantare e digerire sono i quattro atti di
quell'opera comica che è la vita.
Il compositore era spesso alla ricerca di prodotti di ottima qualità che
faceva giungere da diversi luoghi: da Gorgonzola l'omonimo formaggio,
da Milano il panettone, ecc.
Era anche grande amico di Antonin Carême, uno dei più famosi chef
dell'epoca, il quale gli dedicò parecchie delle sue ricette; al che Rossini
contraccambiò dedicando proprie composizioni musicali al grande
cuoco.[11] Una delle ricette che Rossini amava di più è l'insalata che aveva
personalmente ideato, composta da mostarda, limone, pepe, sale, olio
d'oliva e tartufo.

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Durante la visita di Richard Wagner nella sua villa di Passy, è stato narrato
che Rossini si alzasse dalla sedia durante la conversazione quattro o cinque
volte per poi tornare a sedersi dopo pochi minuti. Alla richiesta di
spiegazioni da parte di Wagner, Rossini rispose: "Mi perdoni, ma ho sul
fuoco una lombata di capriolo. Dev'essere innaffiata di continuo".[12]
Nel libro "Con sette note", di Edoardo Mottini, è scritto che un ammiratore
– vedendolo così allegro e pacifico – chiese al maestro se egli non avesse
mai pianto in vita sua: "Sì", gli rispose Rossini, "una sera, in barca, sul lago
di Como. Si stava per cenare e io maneggiavo uno stupendo tacchino
farcito di tartufi. Quella volta ho pianto proprio di gusto: il tacchino mi è
sfuggito ed è caduto nel lago!".

Della passione culinaria di Rossini restano varie ricette, nelle quali compare
sempre il tartufo d'Alba, o forse, meglio, di Acqualagna, viste le origini del
Maestro, e, tra queste, i Maccheroni alla Rossini, ripassati in padella col
tartufo,[13] ed i tournedos alla Rossini, cuori di filetto di manzo cucinati al
sangue, poi coperti con foie gras e guarniti col tartufo.[14]

Stile
Lo stile di Rossini è caratterizzato innanzitutto dall'estrema brillantezza
ritmica. Molte delle sue pagine più note sono caratterizzate da una sorta di
frenesia che segna uno stacco netto rispetto allo stile degli operisti del
Settecento, dai quali pure egli ricavò stilemi e convenzioni formali. La
meccanicità di alcuni procedimenti, tra cui il famoso «crescendo
rossiniano», donano alla sua musica un tratto surreale, quando non
addirittura folle, che si combina perfettamente con il teatro comico, ma
offre esiti altrettanto interessanti, e originali, a contatto con soggetti
tragici.
Oltre a tale frenesia ritmica, bisogna poi ricordare la fresca invenzione
melodica, la cura per l'orchestrazione e l'attenzione per i particolari
armonici (cosa che indusse i suoi compagni di liceo a chiamarlo
"Tedeschino"), unite ad una straordinaria politezza di segno e ad una
strumentazione chiara e luminosa nelle opere buffe, melanconica e
inquietante nelle opere serie.
Fu poi il primo a scrivere per esteso le fioriture dei cantanti.
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Il passaggio dall'Italia a Parigi segna tuttavia uno stacco sensibile nel
linguaggio musicale e teatrale di Rossini. Le ultime due opere, Le Comte
Ory e Guillaume Tell, in lingua francese, presentano una libertà formale e
una ricchezza timbrica del tutto nuove, e si aprono per molti versi alla
sensibilità più autentica del romanticismo.
La perfetta padronanza del linguaggio sinfonico e contrappuntistico
(appreso in gioventù alla scuola di Stanislao Mattei e sulle partiture di
Mozart e Haydn) consente al Rossini operista di giocare le sue carte migliori
non solo e forse non tanto nelle arie, quanto nelle celebri sinfonie e
nei concertati.

Le opere di Rossini sono solitamente divise in 2 atti: il primo è più lungo,


ampio e complesso, e comprende un finale che occupa quasi un terzo
dell'atto stesso: nel finale primo quindi si raggiunge il punto di massima
complicazione dell'intreccio e di massima elaborazione formale. Il secondo
atto invece è più breve e ha carattere liberatorio. Il tutto poi è tenuto
insieme da un'architettura musicale possente, ricavata da una concezione
classica del teatro d'opera.

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PIANO PIANISSIMO SENZA PARLAR
FIORELLO Piano pianissimo senza parlar tutti con me venite qua.
CORO Piano pianissimo eccoci qua. FIORELLO Tutto è silenzio
nessun qui sta, che i nostri canti possa turbar. CONTE (sotto voce)
Fiorello... Olà...
FIORELLO Signor, son qua.
CONTE Ebben... gli amici?...
FIORELLO Son pronti già.
CONTE Bravi, bravissimi, fate silenzio, piano pianissimo senza parlar.
CORO Piano pianissimo senza parlar.

ECCO RIDENTE IN CIELO


Ecco ridente in cielo spunta la bella aurora,
e tu non sorgi ancora e puoi dormir così?
Sorgi, mia bella speme,
vieni, bell'idol mio,
rendi men crudo, oh dio!
lo stral che mi ferì.
Oh sorte! già veggo quel caro sembiante
quest'anima amante ottenne pietà.
Oh istante d'amore!
Felice momento oh dolce contento che eguale non ha.

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LARGO AL FACTOTUM
Trallalallero, trallalallà!
Trallalallero, trallalallà!
Largo al factotum della città. Largo!
La la la la la la la la la la!
Presto a bottega che l’alba è già. Presto!
La la la la la la la la la la!
Ah, che bel vivere, che bel piacere,
che bel piacere
per un barbiere di qualità!
Di qualità!
Ah, bravo Figaro!
Bravo, bravissimo. Bravo!
La la la la la la la la la la!
Fortunatissimo per verità! Bravo!
La la la la la la la la la la!
Fortunatissimo per verità!
Fortunatissimo per verità!
La la la la la la la la….!
Pronto a far tutto, la notte e il giorno
sempre d’intorno in giro sta.
Mera cuccagna per un barbiere,
vita più nobile, no, non si ha.
La la la la la la la la….!
Rasori e pettini, lancette e forbici,
al mio comando tutto qui sta.
Rasori e pettini, lancette e forbici,
al mio comando tutto qui sta.
V’è la risorsa poi del mestiere,
con la donnetta, col cavaliere.
Con la donnetta, tralalalalalalá!
Col cavaliere, la la la la la la….!
Ah, che bel vivere, che bel piacere,
che bel piacere
per un barbiere di qualità!
Di qualità!
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono,
donne, ragazzi, vecchi, fanciulle.
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Qua la parrucca! Presto la barba!
Qua la sanguigna! Presto il biglietto!
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono,
tutti mi chiedono, tutti mi vogliono.
Qua la parrucca! Presto la barba!
Presto il biglietto! Prest…..!
Figaro, Figaro!
Figaro, Figaro!
Figaro, Figaro!
Figaro, Figaro!
Ahimè, ahimè, che furia!
Ahimè, che folla!
Uno alla volta, per carità!
Per carità! Per carità!
Uno alla volta, uno alla volta,
uno alla volta, per carità!
Figaro! Son quà!
Figaro! Son quà!
Figaro quà, Figaro là!
Figaro quà, Figaro la!
Figaro sù, Figaro giù!
Figaro sù, Figaro giù!
Pronto prontissimo, son come il fulmine,
sono il factotum della città.
Della città! Della città!
Della città! Della città!
Ah, bravo Figaro, bravo, bravissimo!
Ah, bravo Figaro, bravo, bravissimo!
Fortunatissimo, fortunatissimo,
fortunatissimo per verità!
Ah, bravo Figaro, bravo, bravissimo!
Ah, bravo Figaro, bravo, bravissimo!
Fortunatissimo, fortunatissimo,
fortunatissimo per verità!
Sono il factotum della città!
Sono il factotum della città!
Della città!
Della città!
19
SE IL MIO NOME SAPER
Se il mio nome saper voi bramate,
dal mio labbro il mio nome ascoltate.
Io sono Lindoro che fido, adoro,
che sposa vi bramo, che a nome vi chiamo,
di voi sempre cantando così,
dall'aurora al tramonto del dì.
L'amoroso sincero Lindoro
non può darvi, mia cara, un tesoro.
Io ricco non sono ma un core vi dono,
un'anima amante che fida e costante
per voi sempre sospira così
dall'aurora al tramonto del dì.

UNA VOCE POCO FA


Una voce poco fa
qui nel cor mi risuonò;
Il mio cor ferito è già,
e Lindor fu che il piagò.
Sì, Lindoro mio sarà;
lo giurai, la vincerò.
Il tutor ricuserà,
Io l'ingegno aguzzerò.
Alla fin s'accheterà
e contenta io resterò
Sì, Lindoro mio sarà;
Lo giurai, la vincerò.
Io sono docile, son rispettosa,
sono obbediente, dolce, amorosa;
mi lascio reggere, mi fo guidar.
Ma se mi toccano dov'è il mio debole
sarò una vipera e cento trappole
prima di cedere farò giocar.

20
LA CALUNNIA È UN VENTICELLO
La calunnia è un venticello
Un'auretta assai gentile
Che insensibile sottile
Leggermente dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
Sotto voce sibillando
Va scorrendo, va ronzando,
Nelle orecchie della gente
S'introduce destramente,
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
Lo schiamazzo va crescendo:
Prende forza a poco a poco,
Scorre già di loco in loco,
Sembra il tuono, la tempesta
Che nel sen della foresta,
Va fischiando, brontolando,
E ti fa d'orror gelar.
Alla fin trabocca, e scoppia,
Si propaga si raddoppia
E produce un'esplosione
Come un colpo di cannone,
Un tremuoto, un temporale,
Un tumulto generale
Che fa l'aria rimbombar.
E il meschino calunniato
Avvilito, calpestato
Sotto il pubblico flagello
Per gran sorte va a crepar.

21
A UN DOTTOR DELLA MIA SORTE
A un dottor della mia sorte
queste scuse, signorina?
Vi consiglio, mia carina,
un po' meglio a imposturar.
I confetti alla ragazza?
Il ricamo sul tamburo?
Vi scottaste: eh via!
Ci vuol altro, figlia mia,
per potermi corbellar,
Perché manca là quel foglio?
Vo' saper cotesto imbroglio.
Sono inutili le smorfie,
ferma là, non mi toccate!
Figlia mia, non lo sperate
ch'io mi lasci infinocchiar.
Via, carina, confessate,
son disposto a perdonar.
Non parlate? Vi ostinate?
So ben io quel che ho da far.
Signorina, un'altra volta
quando Bartolo andrà fuori,
la consegna ai servitori
a suo modo far saprà.
Eh, non servono le smorfie,
faccia pur la gatta morta.
Cospettoni per quella porta
nemmen l'aria entrar potra.
E Rosina innocentina,
sconsolata, disperata,
in sua camera serrata
fin ch'io voglio star dovrà.

22
MI PAR D'ESSER CON LA TESTA IN UN'ORRIDA FUCINA
Mi par d'esser con la testa
in un'orrida fucina,
dove cresce e mai non resta
delle incudini sonore
l'importuno strepitar.
Alternando questo e quello
pesantissimo martello
fa con barbara armonia
muri e volte rimbombar.
E il cervello, poverello,
gia' stordito, sbalordito,
non ragiona, si confonde,
si riduce ad impazzar.

FINE DELL'ATTO PRIMO

PACE E GIOIA IL CIEL VI DIA


CONTE Pace e gioia il ciel vi dia.
BARTOLO Mille grazie, non s'incomodi.
CONTE Gioia e pace per mill'anni.
BARTOLO Obbligato in verità. (Questo volto non m'è ignoto,
non ravviso... non ricordo... ma quel volto... ma quell'abito...
non capisco... chi sarà?)
CONTE (Ah se un colpo è andato a vuoto a gabbar questo balordo
la mia nuova metamorfosi più propizia a me sarà.)
Gioia, e pace, pace e gioia.
BARTOLO Ho capito. (Oh ciel! che noia!)
CONTE Gioia e pace, ben di cuore.
BARTOLO Basta basta per pietà. (Ma che perfido destino!
Ma che barbara giornata! Tutti quanti a me davanti! Che crudel fatalità.)
CONTE (Il vecchion non mi conosce: oh mia sorte fortunata!
Ah mio ben fra pochi istanti parlerem con libertà.)

23
CONTRO UN COR CHE ACCENDE AMORE
Contro un cor che accende amore
di verace invitto ardore
s'arma invan poter tiranno di rigor,
di crudeltà.
D'ogni assalto vincitore
sempre amor trionferà.
(Ah Lindoro mio tesoro... se sapessi... se vedessi...
questo cane di tutore ah che rabbia che mi fa.
Caro a te mi raccomando tu mi salva per pietà.)

IL VECCHIOTTO CERCA MOGLIE


(Berta)
Il vecchiotto cerca moglie
vuol marito la ragazza
quello freme, questa è pazza
tutti e due son da legar.
Ma che cosa è questo amore
che fa tutti delirar?...
Egli è un male universale una smania,
un certo ardore che nel core dà un tormento...
Poverina anch'io lo sento
né so come finirà.
Ah vecchiaia maledetta che disdetta singolar!
Niun mi bada, niun mi vuole
son da tutti disprezzata
e vecchietta disperata
mi convien così crepar.

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DI SÌ FELICE INNESTO
FIGARO Di sì felice innesto
serbiam memoria eterna,
io smorzo la lanterna
qui più non ho che far.
CORO Amore e fede eterna
si vegga in voi regnar.
ROSINA Costò sospiri e pene
questo felice istante,
al fin quest'alma amante
comincia a respirar.
CORO Amore e fede eterna
si vegga in voi regnar.
CONTE Dell'umile Lindoro
la fiamma a te fu accetta,
più bel destin t'aspetta
su vieni a giubilar.
CORO Amore e fede eterna
si vegga in voi regnar.

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La cavatina è l'aria con cui in un'opera lirica italiana ciascun personaggio, e
quindi ciascun interprete, si presenta in scena. In voga soprattutto
nell'Ottocento, è nota anche come aria di sortita.
La struttura in due tempi della cavatina ottocentesca, nella quale si è voluto
riconoscere il tratto formale caratteristico, è in realtà la forma tipica
dell'aria nell'opera italiana del primo Ottocento. Semmai ciò che si richiede
ad una cavatina è una scrittura vocale impegnativa, che consenta al
cantante di sfoggiare le sue doti, presentandosi al pubblico nel modo
migliore. La funzione della cavatina era infatti quella di introdurre il
personaggio ed era cantata contestualmente alla sua entrata in scena.
In campo musicale per aria si intende un brano, quasi sempre per voce
solista, articolato in strofe o sezioni. Nella storia dell'opera essa si
contrappone al recitativo e rappresenta, sin dalle origini, un momento in
cui la forma musicale, con le sue simmetrie e regole interne, prende il
sopravvento sull'azione e sul dialogo. Di conseguenza, essa coincide
normalmente con un momento drammaturgicamente statico, se non
addirittura - specie nel primo Ottocento italiano - con un momento di
sospensione del tempo durante il quale lo spettatore ha accesso all'intimo
sentimento del personaggio. Altrettanto statico è l'impianto tonale. Non
mancano tuttavia, specie nel genere buffo, le cosiddette arie d'azione.

Ouverture è un brano musicale che introduce un'opera lirica


È frequentemente inserita all'inizio di una grande composizione musicale di
genere drammatico, anche se in origine era usata come pezzo introduttivo
delle suite.
Fra le composizioni che vengono premesse alle opere, si possono ricordare,
oltre alla ouverture, il breve preludio e la sinfonia all'italiana, che pur
avendo la stessa funzione di fare da introduzione ad un'opera,
hanno forme diverse

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La Sinfonia è una delle forme strumentali con cui un'opera può iniziare,
prima dell'apertura del sipario.
Rispetto al preludio e all'ouverture alla francese ha struttura
maggiormente definita: la sinfonia operistica ha struttura tripartita:
Allegro-Adagio-Allegro.
In realtà, la sua nascita si deve ad un'esigenza essenzialmente pratica. Nel
Settecento il teatro era un luogo in cui il pubblico si recava e passava
parecchie ore, non solo per assistere alla rappresentazione di un'opera, ma
anche per mangiare, stare in compagnia, giocare a carte o a dadi. Così, era
necessario che a un certo punto l'orchestra si mettesse a suonare per far
capire a tutti che lo spettacolo iniziava. Per dare a tutti il tempo di
sistemarsi senza che nel trambusto ci si perdesse qualcosa dell'opera,
nacque l'usanza di eseguire all'inizio appunto una breve sinfonia
orchestrale. Dapprima queste sinfonie non erano legate all'opera che si
rappresentava ma nell'ultima parte del Settecento i compositori iniziarono
a trattare questa forma musicale come una vera e propria introduzione
all'opera, appositamente composta. Alla fine del Settecento la Sinfonia
viene così ad assumere la forma bipartita che avrà grande fortuna nella
prima parte dell'Ottocento: un tempo lento seguito da un allegro,
generalmente in forma-sonata, che utilizza alcuni dei temi principali
dell'opera ne introduce il clima. Pensiamo alla Sinfonia del Don Giovanni di
Mozart, che si apre con un'anticipazione dei sinistri accordi che
accompagneranno nel secondo atto l'ingresso in scena della statua del
Commendatore.
Non sempre, per altro, la sinfonia di un'opera ne anticipa i temi musicali.
Rossini, di fronte alla necessità di far fronte alle scadenze stabilite dalla
committenza, arriva addirittura a riciclare una sinfonia da un'opera ad
un'altra: ecco così che la sinfonia composta in origine per un'opera
seria, Aureliano in Palmira, e riutilizzata per un'altra opera seria, Elisabetta,
regina d'Inghilterra, diventa famosa come sinfonia di un'opera buffa: Il
barbiere di Siviglia. Ed è proprio con Rossini che la sinfonia si afferma come
brano autonomo, destinato a conquistare una fama che talvolta, come nel
caso de La gazza ladra, arriva a superare quella della stessa opera.

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