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Dispensa Immunologia Riassunti Abbas PDF
Dispensa Immunologia Riassunti Abbas PDF
immunologia
Riassunti del libro “Abbas – Immunologia”
Dispensa di immunologia
6.2.1 Processamento per la presentazione MHC II
6.2.2 Processamento per la presentazione MHC I
Capitolo 1. Proprietà delle risposte
immunitarie, p.2
1.1 Immunità innata e adattativa, p.2
1.2 Tipologie di risposta adattativa, p.3 6.3 Significato della presentazione in
1.3 Elementi comuni delle risposte adattative, p.3 complessi, p.29
1.4 Componenti cellulari della risposta 6.4 Presentazione di antigeni lipidici delle
adattativa, p.3 molecole CD1, p.29
1.5 Riassunto delle risposte immunitarie ai
microbi, p.4 Capitolo 7. Recettori antigenici e molecole accessorie
Indice
dei linfociti T, p.29
Capitolo 2. Immunità innata, p.5 7.1 αβ-TCR per antigeni MHC-associati, p.30 1
7.1.1 Ruolo del TCR nel riconoscimento dell’antigene
2.1 Caratteristiche generali, p.5 7.2 Proteine CD3 e ζ del complesso TCR, p.31
2.1.1 Recettori per PAMP
7.2.1 Struttura
2.2 Componenti dell’immunità innata, p.7 7.2.2 Funzione
2.2.1 Barriere epiteliali 7.3 Recettori antigenici dei linfociti γδ, p.31
2.2.2 Fagociti e risposte infiammatorie
2.2.3 Cellule NK 7.4 Recettori antigenici delle cellule NK-T, p.32
2.2.4 Proteine circolanti 7.5 Corecettori e recettori costimolanti nelle
cellule T, p.32
7.5.1 CD4 e CD8: Corecettori coinvolti nell’attivazione d elle
Capitolo 3. Cellule e tessuti del sistema immunitario cellule T MHC- ristrette
7.5.2 Recettori costimolanti ed inibitori della famiglia CD28
adattativo, p.12 7.5.3 CD2 e la famiglia SLAM di recettori costimolanti
3.1 Cellule del sistema immunitario 7.5.4 Altre molecole accessorie dei linfociti T
adattativo, p.12
3.1.1 Linfociti Capitolo 8. Sviluppo linfocitario, p.34
3.1.2 APC
8.1 Riarrangiamento dei geni recettoriali, p.35
3.2 Anatomia e funzioni dei tessuti linfoidi, p.14 8.1.1 Organizzazione dei loci per le IG
3.2.1 Midollo osse
8.1.2 Organizzazione dei loci per TCR
3.2.2 Timo 8.1.3 Ricombinazione V(D)J
3.2.3 Linfonodi e sistema linfatico
3.2.4 Milza 8.2 Sviluppo dei linfociti B, p.37
3.2.5 Sistema immunitario cutaneo 8.3 Maturazione dei linfociti T, p.39
3.2.6 Sistema immunitario mucosale 8.3.1 Ruolo del timo
3.3 Vie e meccanismi di homing e ricircolo 8.3.2 Stadi di maturazione linfocitaria
8.3.3 Processi di selezione
linfocitario, p.16 8.3.4 Linfociti T γδ
3.3.1 Homing dal sangue ai linfonodi dei linfociti T
8.3.5 Cellule NK-T
3.3.2 Migrazione ai siti infiammatori
3.3.3 Migrazione delle cellule della memoia
3.3.4 Homing dei linfociti B
Capitolo 9. Attivazione dei linfociti T, p.41
9.1 Attivazione dei linfociti CD4, p.41
Capitolo 4. Anticorpi ed antigeni, p.17 9.2 Attivazione dei linfociti CD8, p.41
4.1 Produzione e distribuzione degli 9.3 Molecole costimolatorie, p.41
anticorpi, p.17 9.4 Trasduzione del segnale, p.42
4.2 Struttura molecolare, p.18 9.5 Attenuazione della risposta, p.45
4.2.1 Interazione con l’antigene
4.2.2 Riconoscimento dell’antigene
Capitolo 10. Attivazione delle cellule B e produzione di
anticorpi, p.45
Capitolo 5. Complesso maggiore di 10.1 Caratteristiche generali della risposta
istocompatibilità, p.21 umorale, p.45
5.1 Scoperta dell’MHC, p.21 10.2 Riconoscimento dell’antigene e attivazione
5.1.1 Scoperta nel topo
5.1.2 Scoperta nell’uomo
antigene-indotta, p.46
10.2.1 Trasduzione del segnale
5.2 Struttura delle molecole MHC, p.22 10.2.2 Ruolo dei recettori CR2/CD21 come corecettori per le
5.2.1 Molecole MHC di classe I cellule B
5.2.2 Molecole MHC di classe II 10.2.3 Risposte funzionali dei linfociti B agli antigeni
5.3 Legame con il peptide, p.23 10.3 Risposte anticorpali helper-dipendenti ad
5.4 Organizzazione genomica ed espressione antigeni proteici, p.48
dell’MHC, p.23 10.3.1 Sequenza degli eventi nelle risposte anticorpali T-dipendenti
10.3.2 Attivazione degli helper
10.3.3 Presentazione dell’antigene dalle cellule B e migrazione
10.3.4 Effetto aptene-carrier
Capitolo 6. Processamento dell’antigene e presentazione 10.3.5 Attivazione delle cellule B helper-dipendente
ai linfociti T, p.24 10.3.6 Reazione del centro germinativo
10.3.7 Switching dell’isotipo delle catene pesanti
6.1 APC, p.25 10.3.8 Maturazione dell’affinità
6.1.1 Presentazione ai linfociti T naive 10.3.9 Differenziazione dei linfociti B in plasmacellule secernenti
6.1.2 Presentazione ai linfociti T differenziati anticorpi
6.2 Biologia del processamento antigenico, p.26 10.3.10 Generazione di cellule della memoria e risposte umorali
secondarie 15.5 Immunità ai virus, p.76
10.4 Risposte anticorpali ad antigeni T- 15.5.1 Immunità innata ai virus
indipendenti, p.53 15.5.2 Immunità adattativa ai virus
15.5.3 Evasione immunitaria dei virus
10.5 Feedback anticorpale: regolazione della
15.6 Immunità ai parassiti, p.77
risposta umorale, p.54 15.6.1 Immunità innata ai parassiti
Capitolo 11. Tolleranza immunologica, p.54 15.6.2 Immunità adattativa ai parassiti
11.1Caratteristiche generali e meccanismi della
tolleranza, p.54 Capitolo 16. Immunologia dei trapianti, p.77
11.2 Tolleranza dei linfociti T, p.55 16.1Risposta al trapianto allogenico, p.77
11.2.1 Tolleranza centrale nei linfociti T 16.1.1 Riconoscimento degli alloantigeni.
11.2.2 Tolleranza periferica nei linfociti T 16.1.2 Attivazione dei linfociti alloreattivi
11.3 Tolleranza dei linfociti B, p.57 16.2 Meccanismi effettori del rigetto, p.78
11.3.1 Tolleranza centrale nei linfociti B 16.3 Prevenzione e trattamento del rigetto da
11.3.2 Tolleranza periferica nei linfociti B allotrapianto, p.79
Indice
11.4 Tolleranza indotta da antigeni proteici 16.3.1 Ridurre l'immonogenicità.
estranei, p.58 16.3.2 Immunosoppressione
11.5Omeostasi del sistema immunitario: 16.3.3 Induzione di tolleranza. 2
terminazione delle normali risposte immuni, p.58 16.4 Trapianti, p.80
Capitolo 17. Immunità e tumori, p.80
17.1 Antigeni tumorali, p.81
Capitolo 12. Citochine, p.59 17.2 Risposta immunitaria, p.82
12.1 Recettori, p.59 17.2.1 Risposta innata
12.2 Citochine che regolano l'immunità 17.2.2 Risposta specifica.
innata, p.60 17.3 Elusione delle risposte immunitarie, p.83
12.3 Citochine che mediano la risposta 17.4 Immunoterapia dei tumori, p.83
adattativa, p.61
12.4 Citochine che stimolano l'ematopoiesi, p.63 Capitolo 18. Malattie causate dalle risposte immunitarie:
ipersensibilità ed autoimmunità, p.84
Capitolo 13. Meccanismi effettori dell'immunità cellulo- 18.1 Patologie causate da anticorpi, p.85
mediata, p.63 18.2 Patologie causate da linfociti T, p.85
13.1 Tipi di reazioni cellulo-mediate, p.63 18.3 Patogenesi dell’autoimmunità, p.86
13.2 Linfociti CD4 effettori, p.64
13.2.1 Risposte immunitarie mediate da th1
13.2.2 Risposte immunitarie mediate dai linfociti Th2
Capitolo 19. Ipersensibilità immediata, p.87
13.3.Risposte mediate dai linficiti CD8 19.1 Produzione di IgE, p.88
effettori:CTL, p.65 19.2 Legame delle IgE a mastociti e basofili, p.89
13.4 Linfociti T della memoria, p.66 19.3 Ruolo di mastociti, basofili ed
eosinofili, p.89
19.3.1 Mediatori derivati dai mastociti
Capitolo 14. Meccanismi effettori dell’immunità 19.4 Reazioni dell’ipersensibilità immediata, p.91
umorale, p.66 19.5 Suscettibilità genetica, p.92
14.1 Caratteristiche generali dell’immunità 19.6 Patologie allergiche nell’uomo, p.92
umorale, p.66
14.2 Neutralizzazione di microbi e tossine, p.67 Capitolo 20. Immunodeficienze congenite ed
14.3 Opsonizzazione anticorpo-mediata e acquisite, p.93
fagocitosi, p.67 20.1 Immunodeficienze congenite, p.93
14.3.1 Fagociti e recettori Fc
20.1.1 Difetti dell’immunità innata
14.3.2 Citotossicità cellulomediata anticorpo dipendente
20.1.2 Immunodeficienze gravi combinate
14.4 Il sistema del complemento, p.68 20.1.3 Deficienze anticorpali: difetti nello sviluppo e nell’attivazione
14.4.1 Vie di attivazione del complemento dei linfociti B
14.4.2 Recettori per proteine del complemento 20.1.4 Difetti nell’attivazione e nella funzione dei linfociti T
14.4.3 Regolazione dell’attivazione del complemento 20.1.5 Disordini multisistemici con immunodeficienza: atassia
14.4.4 Funzioni del complemento telangectasia
14.4.5 Evasione del complemento
14.5 Funzione degli anticorpi in siti anatomici
specifici, p.72 Appendice. Schema delle citochine, p.97
14.5.1 Immunità mucosale A.1 Risposta innata, p.97
14.5.2 Immunità neonatale A.2 Risposta adattativa, p.100
A.3 Citochine ematopoietiche, p.101
Capitolo 15. Immunità ai microbi, p.73
15.1 Caratteristiche generali, p.73
15.2 Immunità ai batteri extracellulari, p.73
15.2.1 Immunità innata ai batteri extracellulari
15.2.2 Immunità adattativa ai batteri extracellulari
15.2.3 Effetti dannosi delle risposte immunitarie
15.2.4 Evasione immunitaria dei batteri extracellulari
15.3 Immunità ai batteri intracellulari, p.74
15.3.1 Immunità innata ai batteri intracellulari
15.3.2 Immunità adattativa ai batteri intracellulari
15.3.3 Evasione immunitaria dei batteri intracellulari
15.4 Immunità ai funghi, p.75
15.4.1 Immunità innata ed adattativa ai funghi
Capitolo 1. Proprietà delle risposte immunitarie
1.1 Immunità innata e adattativa
Le cellule e le molecole responsabili dell’immunità costituiscono il sistema immunitario e la loro
risposta collettiva e coordinata all’introduzione di sostanze estranee è detta risposta immunitaria.
Una definizione più precisa di risposta immunitaria è reazione a componenti microbiche così come
a macromolecole (proteine/polisaccaridi) e piccole molecole che vengono riconosciute come estranee,
senza tener conto delle conseguenze fisiopatologiche di tale reazione.
L’immunità innata fornisce la prima linea di difesa contro i microbi. Questi meccanismi reagis-
cono solamente ai microbi e rispondono essenzialmente nello stesso modo alle infezioni ripetute. I
principali componenti dell’immunità innata sono:
1. Barriere fisiche e chimiche 2
2. Cellule fagocitiche, cioè neutrofili e macrofagi, e natural killer
Esistono risposte immunitarie che sono stimolate invece dall’esposizione ad agenti infettivi e che au-
mentano in grandezza ed efficacia ad ogni successiva esposizione: si tratta dell’immunità acquisi-
ta/adattativa. L’immunità acquisita è in grado di riconoscere un grande numero di sostanze mi-
crobiche e non, e la capacità di riconoscimento è talmente alta da giustificare il titolo di
immunità specifica. I principali agenti dell’immunità acquisita sono i linfociti e i loro prodotti di
secrezione, come gli anticorpi. Le sostanze estranee in grado di indurre risposte immunitarie
specifiche sono dette antigeni.
Evoluzione del sistema
immunitario
I meccanismi specializzati di difesa che costituiscono la risposta adattativa sono esclusivi dei
vertebrati.
• Tutti gli organismi pluricellulari esprimono i toll-like receptor, responsabili dell’avvio delle
reazioni di difesa
• Gli invertebrati sono in grado di riconoscere trapianti di tessuto estraneo, attività che nei
vertebrati è dipendente dalla risposta immunitaria adattativa. Negli invertebrati queste reazioni
sono mediate da cellule di tipo fagocitico che però non sono in grado di generare una
memoria per il tes- suto trapiantato. Queste evidenze indicano che anche gli invertebrati sono
in grado di esprimere molecole (forse precursori del MHC) per distinguere il self dal non self.
Immunizzazione L’immunità protettiva nei confronti di un microbo può essere indotta dalla rispos-
ta dell’ospite o dal trasferimento di anticorpi/linfociti specifici. L’immunità indotta dall’esposizione 3
diretta all’antigene è detta immunità attiva in quanto l’individuo immunizzato gioca un ruolo atti-
vo; l’inoculazione di anticorpi/linfociti specifici crea invece un tipo di immunità che non prevede
l’esposizione dell’immunizzato all’antigene: si parla di immunità passiva. Un esempio di immunità
passiva naturale è il trasferimento di anticorpi materni al feto. In ambito clinico l’immunità ad un
microbo viene sempre misurata in maniera indiretta, cercando la presenza dei prodotti dell’immunità
o amministrando derivati purificati del microbo e misurando la reazione indotta.
1. Iniziare le risposte ai microbi che prevengono, controllano ed eliminano le infezioni. Questo ruolo
è fondamentale in quanto se viene eliminata l’immunità innata e mantenuta la sola adattativa
l’organismo risulta comunque molto più suscettibile alle infezioni.
2. Stimolare le risposte adattative e influenzarne meccanismi ed efficacia.
Alcune componenti dell’immunità innata sono sempre funzionanti, anche prima dell’infezione: queste
componenti sono le barriere fornite dalle superfici epiteliali della cute, del tratto GI e di quello respira-
torio. Altre componenti sono inattive ma pronte a rispondere rapidamente ai microbi: queste includono
i fagociti e il sistema del complemento.
– Acidi nucleici esclusivamente non-self, tra cui ds-RNA o con sequenze non-self, tra cui
sequenze non metilate di CpG DNA.
– Proteine che iniziano con N-formilmetionina
– LPS, acidi teicoici e oligosaccaridi ricchi in mannosio
Grazie alla specificità per strutture microbiche l’immunità innata non potrà mai reagire contro
il self; per contrasto l’immunità adattativa non reagisce contro il self solamente perchè i linfociti
autoreattivi vengono eliminati: per questo motivo l’immunità adattativa è alla base delle malattie
autoimmuni mentre quella innata non presenta questo problema.
• L’immunità innata riconosce strutture microbiche fondamentali alla sopravvivenza del patogeno,
in modo da evitare che questo possa disfarsene per evitare il controllo immunitario.
• I recettori per i PAMPs includono sia molecole associate alla cellula sulle membrane cellulari che
proteine solubili nel sangue e nei fluidi extracellulari. In generale l’attivazione di questi recettori
produce una trasduzione del segnale che attiva funzioni infiammatorie e antimicrobiche oppure
facilita l’assorbimento del microbo all’interno delle cellule.
• I recettori per i PAMPs sono codificati da DNA non riarrangiato somaticamente, quindi il numero
di combinazioni possibili è basso: sono riconoscibili circa 1000 pattern molecolari. L’immunità
adattativa, sfruttando un riarrangiamento somatico dei geni, è invece in grado di riconoscere
almeno 107 pattern molecolari diversi. In sostanza dunque l’immunità innata riconosce classi di
microbi, mentre quella adattativa riconosce antigeni diversi dei diversi microbi e perfino antigeni 6
diversi dello stesso microbo.
• L’immunità innata riconosce anche le cellule host danneggiate o stressate in quanto queste es-
primono molecole normalmente rare nelle cellule sane. Tra queste molecole vanno inserite le HSP
(Heat Shock Protein), alcune molecole simil MHC-1 e alcuni fosfolipidi di membrana. In questo mo-
do l’immunità innata può contribuire all’eliminazione di cellule infette anche se i prodotti microbici
non sono esposti in superficie.
Lectine tipo C Le lectine tipo C sono molecole C a++ -dipendenti che legano carboidrati e che sono
espresse principalmente su macrofagi, cellule dendritiche ed altri leucociti. Queste molecole
riconoscono strutture di carboidrati non presenti sulle cellule di mammifero: tra di esse quella
più nota è il recettore per il mannosio.
NLRs Sono una famiglia di molecole citoplasmatiche che fungono da sensori intracellulari di
infezione batterica. Molte NLRs riconoscono il peptidoglicano comunemente presente nelle pareti
batteriche; a seguito del riconoscimento si ha il reclutamento della protein kinasi RICK che inizia la
cascata che termina con l’attivazione dei fattori di trascrizione κB e AP-1 (gli stessi dei TLR, quindi
produzione di citochine e altri mediatori).
Proteine CARD Il dominio CARD (Caspase Activation and Recruitment Domain) è contenuto in
re- cettori citoplasmatici che legano RNA virale e che attivano cascate segnalatorie che terminano
con l’attivazione dei fattori di trascrizione IRF-3 e κB che stimolano l’espressione di interferoni
antivirali di tipo I. 7
Defensine Le defensine sono piccoli peptidi caratterizzati da tre ponti disolfuro; esistono tre famiglie
di defensine (α, β e φ) distinte sulla base della posizione dei ponti. Grandi produttrici di defensine
α sono le cellule del Paneth nell’intestino, questo per limitare il numero di microbi nel lume. Alcune
defensine sono prodotte in modo costitutivo ma la loro secrezione può essere stimolata da citochine o
prodotti microbici. In altre cellule le defensine sono invece prodotte solo in risposta ad uno stimolo.
L’azione protettiva delle defensine include sia tossicità diretta per i microbi che attivazione delle cellule
coinvolte nelle risposte infiammatorie.
Catelicidine Le catelicidine sono espresse dai neutrofili e dai vari epiteli. Un precursore di 18kD
viene trascritto e digerito proteoliticamente in due peptidi, entrambi protettivi. Il frammento C- ter -
minale, detto LL-37, ha tossicità diretta per molti organismi e attiva diverse risposte leucocitarie,
oltre alla capacità di legare e neutralizzare LPS. L’altro frammento potrebbe anch’esso avere attività
antimicrobiche ma il suo ruolo è meno chiaro.
Gli epiteli delle barriere e le cavità sierose contengono certi tipi di linfociti, tra i quali i linfociti T -
intraepiteliali e il tipo B-1 delle cellule B che riconoscono e rispondono ai microbi comunemente in-
contrati. Alcune popolazioni dei linfociti T e B hanno bassa diversità perchè c’è poca ricombinazione
genica: queste riconoscono strutture comunemente espresse dalle specie microbiche, in pratica ri-
conoscono i PAMPs. I linfociti T-intraepiteliali sono presenti nell’epidermide della cute e negli epiteli
delle mucose: queste cellule hanno ruolo immunitario in quanto secernono citochine, attivano i fagociti
e uccidono le cellule infette. La cavità peritoneale contiene invece la popolazione B-1 dei linfociti B,
i cui recettori antigenici sono immunoglobuline; molte cellule B-1 producono anticorpi specifici verso
antigeni polisaccaridici e lipidici, tipo LPS. Individui normali hanno infatti anticorpi verso questi bat-
teri, spesso presenti nell’intestino, senza avere alcun segno di infezione: questi anticorpi sono detti
anticorpi naturali e sono in gran parte prodotti dalle cellule B-1. Una terza popolazione di cellule
presente sotto molti epiteli è quella dei mastociti che rispondono alle infezioni secernendo citochine e
mediatori lipidici dell’infiammazione.
2. Riconoscimento
3. Ingestione
4. Distruzione
In aggiunta a questo i fagociti producono citochine che svolgono importanti ruoli nelle risposte innate 8
ed adattative e nella riparazione dei tessuti.
Neutrofili I neutrofili, detti anche leucociti polimorfonucleati, sono la popolazione più abbondante
dei globuli bianchi circolanti. Si tratta di cellule sferiche con diametro 12−15µm il cui nucleo si presenta
segmentato in tre/cinque lobuli. Il citoplasma contiene due tipi di granuli; il tipo più abbondante è
pieno di enzimi quali lisozima, collagenasi ed elastasi: questo granulo si colora molto poco e infatti i
neutrofili appaiono con citoplasma chiaro. Il resto dei granuli è formato da lisosomi contenenti enzimi
microbicidi tra i quali defensine e catelicidine. I neutrofili vengono prodotti nel midollo osseo e
originano dalla stessa linea dei fagociti mononucleati. Un uomo adulto produce più di 1011 neutrofili al
giorno, ciascuno dei quali circola nel sangue per circa sei ore. Se un neutrofilo circolante non
viene reclutato entro queste sei ore va incontro ad apoptosi e viene fagocitato dai macrofagi
residenti in milza e fegato.
Fagociti mononucleati Queste cellule originano nel midollo osseo, circolano nel sangue e infine
mat- urano e diventano attive nei vari tessuti. La prima cellula che entra nel sangue periferico
dopo aver lasciato il midollo è indifferenziata e prende il nome di monocita. Una volta entrati nei
tessuti i monoc- iti maturano e diventano macrofagi, che assumono diverse forme dopo
l’attivazione da parte di stimoli esterni quali i microbi. I macrofagi attivati si possono fondere tra
loro a formare cellule giganti multin- ucleate. La nomenclatura dei macrofagi varia a seconda del
tessuto per indicarne la posizione: nel SNC si parla di cellule della microglia, nel fegato di cellule
del Kupffer, nel polmone di macrofagi alveolari e nell’osso di osteoclasti. Le cellule di tipo
macrofagico sono le più antiche filogeneticamente nel mediare l’immunità innata: sono presenti
ad esempio nella Drosophila e anche nelle piante. I macrofagi rispon- dono alle infezioni
rapidamente quanto i neutrofili ma hanno un emivita molto più lunga, grazie anche al fatto che a
differenza di questi ultimi possono dividersi al sito infiammatorio. Per questo motivo i
macrofagi sono le cellulle effettrici dominanti dopo uno o due giorni dall’infezione.
Reclutamento dei leucociti ai siti di infezione Neutrofili e monociti vengono reclutati per
legame con molecole di adesione sulle cellule endoteliali e per chemotassi. Il reclutamento è un
processo a più step, ciascuno dei quali orchestrato da diverse molecole.
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Adesione Le citochine (TNF e IL-1) oltre all’attivazione delle integrine aumentano l’espressione en-
doteliale dei loro ligandi, in particolare VCAM-1 (Vascular Cell Adhesion Molecule, il ligando
dell’integrina VLA-4) e ICAM-1 (Intercellular Cell Adhesion Molecule, il ligando per le inte-
grine LFA-1 e Mac- 1). Il risultato finale è che i leucociti si attaccano saldamente
all’endotelio, riorganizzano il loro citoscheletro e si allontanano dalla superficie endoteliale.
Trasmigrazione Le chemochine stimolano i leucociti adesi a migrare attraverso gli spazi endoteliali
lungo il gradiente chimico; altre proteine, tra cui CD31, giocano un ruolo in questo passaggio. I
leucociti presumibilmente producono enzimi che li aiutano nell’attraversare la barriera.
L’accumulo di leucociti nei tessuti è uno dei componenti fondamentali dell’infiammazione. Il processo
di trasmigrazione è basato sull’espressione di varie moleole di adesione e varie chemochine; ad esempio
la migrazione dei neutrofili si basa sul legame LFA-1/ICAM-1 e sui recettori per le chemochine CXCR1
e CXCR2, entrambi leganti CXCL8 mentre i monociti utilizzano il legame VLA-4/VCAM-1 e il recet-
tore CCR2 legante CCL2. La progressione temporale di espressione di questi elementi garantisce che
vengano prima reclutati i neutrofili (ore/giorni) e poi i monociti (giorni/settimane).
Fagocitosi dei microbi La fagocitosi è un processo attivo di inglobamento di grandi particelle (di-
ametro oltre i 0.5µm). L’uccisione dei microbi avviene all’interno delle vescicole formate per fagocitosi,
in modo da proteggere il fagocita dai processi potenzialmente dannosi.
Il primo passo nella fagocitosi è il riconoscimento del microbo. Neutrofili e macrofagi riconoscono
solo cellule non self perchè esprimono recettori specifici per i microbi, recettori tra i quali si contano
quelli per i PAMPs, le lectine tipo C e gli scavenger. Un secondo gruppo di recettori riconosce proteine
dell’host che ricoprono i microbi: queste proteine sono dette opsonine e comprendono anticorpi, pro-
teine del complemento e lectine. Il processo che porta alla copertura del microbo con opsonine è detto
opsonizzazione. Uno dei metodi più efficaci di opsonizzare i microbi è ricoprirli di anticorpi; queste
molecole hanno da un lato una regione che lega l’antigene e dall’altro una regione, detta regione Fc,
che interagisce con le cellule effettrici del sistema immunitario. I fagociti esprimono recettori ad alta
affinità (FcγRI) per gli anticorpi IgG: poichè gli anticorpi sono prodotti della difesa adattativa, si ha qui
un caso particolare in cui l’immunità adattativa attiva quella innata.
Quando un microbo o una particella lega un recettore sul fagocita la membrana plasmatica si
redistribuisce e si estende intorno al microbo per poi chiudersi attorno ad esso formando una vescicola
detta fagosoma. Il fagosoma viene portato all’interno della cellula dove si svolgerà l’uccisione del
microbo da un lato e la presentazione ai linfociti T dall’altro.
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Uccisione dei microbi fagocitati La fusione del fagosoma con i lisosomi crea un fagolisosoma dove
si concentrano quasi tutti i meccanismi microbicidi. I principali meccanismi sono:
• Produzione di enzimi proteolitici nel fagolisosoma. Tra i più importanti nei neutrofili è l’elastasi,
una serina proteasi. Un secondo enzima importante è la catepsina G: topi KO mostrano incapacità
di uccidere i batteri se mancano queste molecole.
• Conversione dell’ossigeno molecolare in ROS che distruggono i microbi. Il principale enzima coin-
volto è l’ossidasi fagocitica, un enzima indotto da molti stimoli tra cui interferone e segnali dai
TLRs. Questo enzima converte l’ossigeno in radicali liberi con NADPH come cofattore nel processo
chiamato burst respiratorio. L’ossidasi agisce inoltre come pompa protonica generando un gradi-
ente elettrochimico tra le membrane del vacuolo: questo crea il pH necessario per attivare elastasi
e catepsina G. La malattia granulomatosa cronica è il risultato di una deficienza ereditata di
uno dei componenti del sistema dell’ossidasi.
• Oltre ai ROS vengono prodotti intermedi reattivi dell’azoto, in particolare ossido nitrico (NO)
grazie all’azione della ossido nitrico sintasi inducibile (iNOS). Nel fagolisosoma NO si combina con
perossido o superossido di idrogeno per produrre molecole altamente reattive in grado di uccidere
i microbi.
Una forte attivazione di neutrofili e macrofagi può danneggiare i tessuti normali dell’ospite per rilas-
cio degli enzimi lisosomiali, di ROS e di NO: se questi prodotti entrano nell’ambiente extracellulare
diventano estremamente pericolosi.
Funzioni accessorie dei macrofagi attivati Oltre all’uccisione fisica dei microbi i macrofagi attivati
servono molte altre funzioni di difesa. In aggiunta al TNF e all’IL1 già citate i macrofagi producono
IL-12 che stimola le cellule NK e le T a produrre interferone gamma. Alte concentrazioni di LPS in-
ducono patologia sistemica caratterizzata da coagulazione disseminata, collasso vascolare e anormalità
metaboliche: tutti risultati di alti livelli di citochine secrete dai macrofagi attivati. I macrofagi attivati
producono infine fattori di crescita per fibroblasti e cellule endoteliali per aiutare il rimodellamento
tissutale che segue le infezioni o i danni in generale.
2.2.3 Cellule NK
Le cellule NK fanno parte di una linea di cellule legata ai linfociti e riconoscono le cellule infette o
stressate rispondendo con uccisione diretta o con la secrezione di citochine infiammatorie. Queste
cellule costituiscono fino al 20% delle cellule mononucleate di sangue e milza e sono rare negli altri tes-
suti linfoidi. Oltre all’uccisione diretta queste sono una grande fonte di interferone gamma che attiva
i macrofagi per far uccider loro i microbi ingeriti. Le cellule NK sono derivate da precursori midollari e
appaiono come grandi linfociti pieni di granuli citoplasmatici; queste cellule non sono linfociti T o B e
non subiscono riarrangiamento somatico: usano recettori codificati nel DNA germinale.
Attivazione L’attivazione delle cellule NK è regolata dal bilancio tra i segnali in arrivo dai recettori
attivanti e da quelli inibenti. In generale i segnali attivanti devono essere bloccati da quelli inibitori per
evitare l’attivazione della NK e l’attacco a cellule normali. Molti dei recettori sulle cellule NK riconoscono
molecole MHC-1; queste molecole espongono vari peptidi tra cui quelli derivanti dai microbi per il
riconoscimento da parte dei linfociti T C D8+ (le cellule NK usano però recettori di tipo diverso dai
linfociti T per il riconoscimento).
I recettori attivanti rilevano un vasto gruppo di molecole espresse da cellule stressate, infette o
trasformate. Uno dei recettori più studiati è NKG2D che lega una famiglia di proteine simil MHC
che si trovano nelle cellule infettate da virus e in quelle tumorali. Un altro tipo di recettore, CD16,
lega le porzioni Fc di alcune classi di IgG e pertanto porta la cellula NK ad uccidere cellule ricoperte
di anticorpi (opsonizzate). Quando la segnalazione ha inizio si attivano cascate kinasi-dipendenti che
portano all’avvio dell’attività citotossica verso le cellule portanti il ligando e alla produzione di citochine.
I recettori inibitori si legano a molecole MHC-1 normalmente espresse nelle cellule sane. L’avvio di
questi pathway porta all’attivazione di fosfatasi che competono con le kinasi stimolate dalle vie attivanti:
in questo modo le cellule sane sono protette dall’uccisione NK-mediata. Il più vasto gruppo di recettori
inibitori è quello dei KIRs (Killer cell Immunoglobulin-like Receptor) che legano appunto molecole MHC.
Un secondo importante recettore è CD94/NKG2A che lega una molecola MHC detta HLA-E. 11
Lo sviluppo e le attività delle NK sono stimolate anche da citochine, in particolare IL-15 e IL-12
prodotte dai macrofagi sono fattori di crescita per queste cellule.
Il sistema del complemento consiste in parecchie proteine plasmatiche che vengono attivate dai
microbi e il cui ruolo è distruggere il patogeno e generare infiammazione. Il riconoscimento avviene
secondo tre vie: classica, alternativa e lectina dipendente. La via classica sfrutta una proteina, detta
C1, che riconosce gli anticorpi IgM, IgG1 e IgG3 legati alla superficie di un microbo. La via alternativa,
filogeneticamente più antica ma scoperta dopo, è innescata dal riconoscimento diretto delle strut-
ture microbiche ed è dunque parte dell’immunità innata. La via lectino-dipendente è innescata da
una proteina detta MBL (Mannose-Binding Protein) che riconosce i residui di questo zucchero: una
volta avvenuto il riconoscimento si porta ad attivare una delle proteine della via classica in assenza di
anticorpi grazie ad una serina proteasi associata.
Il riconoscimento risulta nel reclutamento sequenziale di altre proteine in complessi di proteasi. La
proteina centrale del complemento, C3, viene spezzata e il suo segmento maggiore, C3b, viene deposi-
tato sul microbo riconosciuto: questo serve da opsonina per promuovere la fagocitosi. Il segmento
minore, C3a, viene rilasciato e promuove l’infiammazione agendo da chemoattrattore per i neutrofili.
C3b lega altre proteine del complemento per formare una proteasi che spezza la proteina C5 in C5a
e C5b. C5a stimola l’afflusso di neutrofili al sito di infezione mentre C5b inizia la formazione di un
complesso delle proteine C6, C7, C8 e C9 che vengono assemblate in un poro di membrana che causa
la lisi della cellula bersaglio.
Pentrassine Molte delle proteine che riconoscono i microbi fanno parte della famiglia delle pentras-
sine, all’interno della quale si include la proteina C reattiva (CRP), l’amiloide P serico (SAP) e la
pentrassi-na PTX3. Le concentrazioni plasmatiche di CRP sono molto basse negli individui sani ma
possono aumentare di mille volte durante le infezioni: questo aumento è dovuto all’azione stimolante di
IL-6 ed IL-1 sul fegato. In generale la sintesi delle pentrassine è aumentata da queste interleuchine e si
parla di reattivi di fase acuta. Sia CRP che SAP si legano a diverse specie differenti di batteri e funghi.
CRP è un opsonina e può anche attivare il complemento lungo la via classica.
Collectine e ficoline Le collectine sono una famiglia di proteine all’interno della quale tre riconoscono
pattern molecolari nel sistema immunitario innato: si tratta di MBL, SP-A ed SP-D. MBL è un opsonina
che attiva il complemento lungo la via della lectina oltre che media una fagocitosi diretta. Le proteine
surfactanti A e D si trovano negli alveoli del polmone e agiscono anch’esse come opsonine per facilitare 12
la fagocitosi da parte dei macrofagi alveolari. Le ficoline sono proteine plasmatiche simili alle collectine
ma con la differenza che non possiedono un dominio lectina tipo C (calcio dipendente).
• I linfociti naive migrano attraverso gli organi linfoidi periferici dove riconoscono gli antigeni e
iniziano le risposte immunitarie. Linfociti effettori e della memoria si sviluppano dalla progenie
dei linfociti naive stimolati in questo modo.
• Linfociti effettori e della memoria circolano nel sangue verso i siti di ingresso antigenico dove
vengono efficacemente trattenuti.
• Si può ottenere immunità protettiva per trasferimento da individui immuni a individui suscettibili
di linfociti e loro derivati.
• Alcune immunodeficienze, sia congenite che acquisite, sono associate a riduzione linfocitaria.
• I recettori specifici per gli antigeni sono prodotti dai linfociti e da nessun’altra cellula.
I linfociti consistono di diverse famiglie differenti in funzionalità e in prodotti proteici, tuttavia molto
simili dal punto di vista morfologico.
I linfociti B, le cellule che producono anticorpi, sono così chiamati perchè negli uccelli maturano
nella borsa di Fabrizio. Nei mammiferi i primi stadi di maturazione di queste cellule si svolgono in-
vece nel midollo osseo. I linfociti T sono così chiamati per via dei loro precursori che originano nel
midollo ma migrano e maturano nel timo. I linfociti B e T consistono poi di sottogruppi con funzioni
e caratteristiche fenotipiche distinte. I maggiori gruppi dei B sono le cellule B follicolari, le cellule B
marginali e le cellule B-1; per i linfociti T i maggiori sottogruppi sono i linfociti T-Helper e i linfociti
T-Citotossici cui recentemente si sono aggiunti i linfociti T C D4+ regolatori.
I linfociti B e T hanno recettori antigenici distribuiti in modo clonale, esistono cioè molti cloni di
queste cellule con diverse specificità. I geni che codificano i recettori sono formati per ricombinazione
di segmenti di DNA durante la maturazione: essendo questo un evento in parte random il numero di
combinazioni generabile è nell’ordine dei milioni. Alcuni sottogruppi, ad esempio le cellule B-1, sono
limitati nell’uso dei loro segmenti di DNA e quindi il loro repertorio è molto limitato.
Le proteine di membrana espresse dalle varie popolazioni linfocitarie possono essere usate per dis-
tinguere le varie classi. Ad esempio molti linfociti T -Helper presentano la molecola CD4 mentre molti
dei T -Citotossici presenta la molecola CD8. La nomenclatura dei markers linfocitari usa il numero CD,
dove CD sta per Cluster di Differenziazione.
Classe Funzione Recettore/specificità Markers
Linfociti T αβ
C D4+ helper Attivazione macrofagi TCR αβ C D3+ , C D4+ , C D8−
Differenziazione linfociti B Complessi peptide-MHCII
C D8+ citotox Uccisione diretta di cellule TCR αβ C D3+ , C D4− , C D8+
infette e tumorali Complessi peptide-MHCI 13
Regolatori Regolazione/tolleranza TCR αβ C D3+ , C D4+ , C D25+
Linfociti T γδ Helper e citotossica TCR αβ C D3+ , altri CD variabili
Linfociti B Produzione Ig Ig Recettori Fc, MHCII, CD19 e 21
Cellule NK Citotossicità diretta Rec. attivanti e inibitori C D16+
Cellule NK-T Regolazione TCR αβ per lipidi-CD1 C D16+ , C D3+
Sviluppo e attivazione dei linfociti I linfociti, come ogni cellula del sangue dopo la nascita,
originano da cellule staminali nel midollo osseo. Tutte le popolazioni vanno poi incontro ad
una complessa maturazione durante la quale esprimono i recettori antigenici e acquisiscono le
giuste caratteristiche morfofunzionali. I linfociti B maturano in parte nel midollo osseo, entrano in
circolo, popolano gli organi linfoidi periferici e completano li la loro maturazione. I linfociti T
maturano completamente nel timo ed entrano poi in circolo per popolare anch’essi gli organi
linfoidi periferici. Le cellule B e T mature sono dette linfociti naive. A seguito di attivazione
antigenica, i linfociti vanno poi incontro a successive modifiche fenotipiche e funzionali.
L’attivazione dei linfociti è composta di una serie di step della quale il primo è la sintesi di
nuove proteine, tra le quali recettori per le citochine e citochine, passo richiesto per i cambiamenti
successivi. Le cellule naive vanno incontro a proliferazione in un processo detto espansione
clonale: il numero di cellule T specifiche può aumentare di 5·105 mentre quello di cellule B di 5·103 .
In associazione all’espan- sione clonale si ha anche il differenziamento in cellule effettrici, la cui
funzione è eliminare l’antigene. Alcuni linfociti stimolati si differenziano in cellule della memoria,
la cui funzione è invece mediare la risposta secondaria a esposizioni successive allo stesso
antigene. Le caratteristiche fondamentali delle varie fasi linfocitarie sono:
• Linfociti naive. I linfociti naive sono linfociti T o B maturi che non hanno mai
incontrato un antigene: questa condizione può durare al massimo tre mesi prima di
attivare l’apoptosi. Questi linfociti sono difficili da riconoscere morfologicamente ma in
generale sono abbastanza piccoli. Il loro ciclo cellulare è bloccato in fase G0 e si sbloccherà
solo a seguito di stimolazione. La sopravvivenza dei linfociti naive dipende dall’attività dei
recettori antigenici, probabilmente stimolati da auto antigeni, e dalle citochine.
Probabilmente i naive riconoscono debolmente vari antigeni self in modo da garantirsi
una sopravvivenza a livello basale. Le citochine sono fondamentali e i naive esprimono
recettori in modo costituitivo: fondamentale è in particolare IL-7 e il fattore attivante le
cellule B (BAFF).
3.1.2 APC
Una APC è una cellula che presenta gli antigeni ai linfociti T. Le principali APC sono le cellule 14
dendritiche. Un tipo specializzato di APC, detto cellula dendritica follicolare, presenta gli antigeni
ai linfociti B durante fasi particolari delle risposte umorali. Le APC collegano le risposte innate alle
risposte adattative, e fanno parte dunque di entrambi i sistemi.
Fagociti mononucleati I macrofagi contenenti microbi ne presentano gli antigeni alle cellule T dif-
ferenziate effettrici, le quali attivano poi i macrofagi per uccidere i microbi stessi. Questo processo è
il più importante meccanismo di immunità cellulo mediata nei confronti dei microbi intracellulari. La
funzione dei fagociti mononucleati è la fagocitosi e la produzione delle citochine che reclutano e
attivano altre cellule nell’ambito della risposta innata; in ambito adattativo i macrofagi hanno ruolo
nella digestione ad esempio dei patogeni opsonizzati.
Cellule dendritiche follicolari Le FDC sono presenti nei follicoli linfatici di linfonodi, milza e tessuti
linfoidi delle mucose e non sono derivate da precursori midollari. Le FDC intrappolano gli antigeni in
complesso con gli anticorpi o i prodotti del complemento e li presentano per il riconoscimento da parte
dei linfociti B.
3.2.2 Timo
Il timo è la sede di maturazione delle cellule T e ha parenchima diviso in corticale e midollare. La
corticale appare come una densa regione fatta di linfociti T, mentre la midollare è meno densamente
popolata. I linfociti nel timo, detti anche timociti, sono linfociti T a vari stadi di maturazione; in
generale le cellule più immature sono verso la corticale, e le più pronte sono verso la midollare.
3.2.4 Milza
La milza, organo di 150g nell’adulto, appare suddivisa in polpa bianca e polpa rossa. Le regioni
ricche in linfociti dell’organo sono la polpa bianca e si presentano organizzate intorno ad un’arteriola
centrale. L’arteria centrale è circondata da un manicotto di linfociti, quasi tutti T, che forma la guaina
linfoide periarteriolare. Numerosi piccoli rami dell’arteriola centrale passano attraverso le guaine e
drenano in un seno vascolare detto seno marginale. Oltre il seno marginale esiste una regione distinta,
detta zona marginale, che forma il limite della polpa bianca ed è costituita da linfociti B e macrofagi
specializzati. La segregazione dei linfociti T nelle guaine e dei B nei follicoli e nelle zone marginali è un
processo dipendente da citochine e chemochine come nel caso dei linfonodi: CXCR5/CXCL13 per i B,
CCR7/CCL19-CCL21 per i T.
La milza è anche un importante organo per la filtrazione del sangue. Rami arteriolari dell’arteria
splenica terminano in una vasta rete di sinusoidi al cui interno sono presenti molti eritrociti, macrofagi
e cellule dendritiche oltre a linfociti e plasmacellule: è questa la polpa rossa. La polpa rossa purifica
il sangue dai microbi e dai globuli rossi danneggiati. La milza è la principale sede di digestione dei
microbi opsonizzati: individui che ne sono privi sono quindi particolarmente suscettibili a infezioni
da preumococco e meningococco, batteri per i quali l’opsonizzazione è la principale via di eliminazione.
1. Il rolling è in questo caso mediato dalla selectina-L che lega una adressina (PNAd, Peripheral
Node Addressin) sul’endotelio delle venule ad endotelio alto.
2. L’adesione stabile è mediata dalle integrine LFA-1 e VLA-4.
3. L’affinità delle integrine è aumentata dalle chemochine CCL19 e CCL21, delle quali in particolare
la prima è costitutivamente espressa dalle venule ad endotelio alto. Per entrambe queste molecole
il recettore è CCR7.
Le cellule naive andate incontro ad homing ma che non hanno incontrato l’antigene ritornano al flusso
sanguigno in un processo dipendente da un chemoattrattore detto sfingosina 1-fosfato (S1P); questa
molecola è concentrata nel sangue e nei linfonodi rispetto ai tessuti. S1P lega un recettore (S1P1)
accoppiato a proteina G specifico e i segnali che si generano stimolano il movimento delle cellule T
naive lungo il gradiente S1P, quindi al di fuori del parenchima nodale. I linfociti T naive circolanti
esprimono poco il recettore per S1P in quanto essendo la molecola concentrata nel sangue si ha in-
ternalizzazione del recettore. Quando un naive entra nel linfonodo servono poi ore per ripristinare il
recettore e quindi si ha tempo di interagire con le APC. A seguito dell’attivazione il linfocita riduce l’e-
spressione di S1P1 e rimane nel linfonodo per alcuni giorni, il tempo di differenziarsi; a differenziazione
avvenuta S1P1 torna ad essere espresso e la cellula lascia il linfonodo in direzione dei tessuti periferici.
La migrazione delle cellule T naive nella milza è meno regolata, e il trasferimento è guidato da
fattori passivi piuttosto che dal coinvolgimento di selectine, integrine o chemochine. Pur essendo una
migrazione meno efficiente, il numero di linfociti di passaggio per la milza è enorme: almeno metà del
totale attraversa l’organo ogni giorno.
Regioni variabili V Ogni anticorpo ha due catene leggere e due pesanti che vanno a delimitare due
siti di legame per due antigeni. La maggior parte delle differenze tra due anticorpi risiede in tre piccoli
segmenti delle due regioni variabili: questi tre segmenti detti regioni ipervariabili sono situati nelle
anse che connettono i β foglietti adiacenti nel dominio Ig e hanno una lunghezza di circa 10 amminoaci-
di. Le tre regioni ipervariabili dette CDR1, CDR2, CDR3, della catena pesante si associano a quelle
della catena leggera per formare quella struttura tridimensionale che costituisce il sito di legame per
l’antigene. Le sequenza adiacenti a tali regioni sono altamente conservate e mantengono la forma dei
domini Ig pressochè identica nei diversi anticorpi.
Regioni costanti C Gli anticorpi sono divisi in classi e sottoclassi in base alle differenze nella strut-
tura presenti nelle regioni costanti delle catene pesanti. Le diverse classi anticorporali, dette isotipi,
sono IgA, IgE, IgM, IgG e IgD. IgA e IgG sono ulteriormente divise in IgA 1 e 2 e IgG 1, 2, 3 e 4.
Le catene pesanti di uno stessi isotipo hanno la medesima sequenza amminoacidica e tali catene
vengono nominate con la lettere greca corrispondente al loro isotipo (α, ε, γ, µ, δ). Isotipi diversi
svolgono funzioni diverse, infatti abbiamo visto essere le regioni C delle catene pesanti a determinare
il tipo di interazione e quindi di risposta delle cellule effettrici. Gli anticorpi sono capaci nonostante
la loro forma a Y di legare antigeni situati a 180 gradi tra loro grazie alla loro flessibilità dovuta a due
fattori:
• capacità dei domini Vh (v delle catene pesanti) di ruotare attorno al corrispondente dominio Ch
• Specificità: Gli anticorpi sono estremamente specifici essendo in grado di distinguere minime
differenze nella struttura chimica degli Ag, addirittura la variazione di un singolo residuo am-
minoacidico. Tuttavia alcuni possono legarsi anche a un Ag normalmente non correlati a causa
della cosiddetta cross-reattività, tale fenomeno può essere la cause dell’insorgenza di malattie
immunitarie.
Abbiamo detto che è la porzione Fc a determinare la funzione effettrice. Tuttavia si è visto che i
sistemi effettori sono attivati dalla porzione Fc solo se l’anticorpo è contemporaneamente legato nella
porzione Fab, inoltre per attivare i recettori Fc (FcR) delle cellule effettrici servono almeno due molecole
anticorporali legate a “ponte”per ciascuna cellula. Nelle cellule B sono normalmente espressi le IgM
e IgD, queste una volta legato l’antigene possono andare incontro a una modificazione della Fc detta
switching isotopico che fa variare la regione C ma non la V, quindi varia l’effetto ma non il ligando.
Capitolo 5. Complesso maggiore di istocompatibilità
Il sistema umorale combatte gli antigeni extracellulari in due modi: ne blocca l’azione e ne promuove
l’eliminazione. Nel caso di antigeni extracellulari abbiamo visto che il testimone passa ai linfociti T che
tuttavia necessitano di recettori esposti sulle cellule bersaglio che presentino l’antigene ai propri recet-
tori.Questa funzione è svolta dal complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Vi sono due principali
prodotti genici dell’MHC :le molecole MHC di classe I che presentano gli Ag ai linfociti citotossici e le
molecole di classe 2 che li presentano ai linfociti helper. 21
• Sono geni espressi in codominanza in modo da massimizzare il numero di molecole MHC sintetiz-
zabili
Il set di alleli MHC di un individuo è definito aplotipo.
• Sono tutte formate da una tasca extracellulare per legare il peptide e da una coppia di domini Ig
ancorati alla cellula.
• I domini Ig sono non-polimorfici e sono i reponsabili delle interazioni e legame con i linfociti T.
22
5.2.1 Molecole MHC di classe I
Queste molecole sono espresse su tutte le cellule nucleate .Sono costituite da due catene polipep-
tidiche legate non covalentemente, una catena α codificata da MHC e una β non codificata da MHC
detta β microglobulina. La catena α è per due terzi extracellulare mentre la parte carbossiterminale è
all’interno della cellula. La parte esterna è costiuita da tre segmenti α1, α2 e α3. I segmenti ammino
terminali α1 e α2 sono i siti in cui vi sono le regioni polimorfe e vanno a contribuire nella formazione
della tasca. La regione α3 è conservata identica e contiene un’ansa per il legame con i CD8. La catena
β non contribuisce né alla tasca né all’ansa di ancoraggio: essa è legata non covalentemente con la
regione α3. Affinche il complesso di classe I possa essere esposto sulla superficie necessita che sia in
tal modo assemblato e che inoltre sia legato ad un peptide antigenico.
• Geni a tipo classe I situati tra HLA-A e HLA-C che codificano proteine espresse in associazione
alla β2- microglobulina chiamate molecole di classe IB,fra cui HLA-G importante nel
riconoscimento da parte delle NK.
Lo straordinario polimorfismo delle molecole MHC si è generato per conversione genica e non per
mutazioni puntiformi, ovvero mediante sostituzione di intere sequenze geniche con altre
provenienti da geni vicini senza però reciproca ricombinazione.
Abbiamo detto che le molecole di classe I sono espresse costitutivamente su quasi tutte le
cellule nucleate, i loro effettori, ovvero i linfociti CD8 che hanno lo scopo di uccidere le cellule infettate,
devono essere in grado infatti di uccidere qualsiasi cellula infettata, quindi le molecole di classe I
presentano microbi intracellulari. Le molecole di classe II invece sono espresse solo su cellule
dendritiche, linfociti B e macrofagi. Le molecole di classe II forniscono un sistema per presentare
peptidi derivati da micror - ganismi extracellulari ai linfociti C D4+ helper che hanno il compito di
attivare i linfociti B a produrre anticorpi e i macrofagi a eliminare i microbi extracellulari fagocitati.
L’espressione di queste molecole di MHC è aumentata in presenza di citochine:
• IFNα IFNγ, IFNβ ,TNF e LT prodotti precocemente durante la risposta innata vanno ad
aumentare l’espressione delle MHC di classe I. Questo è uno dei meccanismi con il quale la 24
immunità innata stimola la specifica.
• Totale dipendenza dalle APC. I linfociti T riconoscono solamente i peptidi presentati sulle molecole
MHC espresse dalle APC.
• Totale dipendenza dall’MHC. Questa proprietà è alla base della cosiddetta restrizione al self
MHC. La restrizione all’MHC deriva dalla maturazione dei linfociti nel timo; in questa fase i lin- fociti
che esprimono recettori per MHC vengono fatti sopravvivere, quelli che non riconoscono queste
molecole vengono invece eliminati. Questo dimostra come le molecole MHC siano parte integrante
dei ligandi dei linfociti T. Fondamentale è poi la reattività a molecole MHC non self: questo processo
è alla base del rigetto dei trapianti.
• I linfociti C D4+ riconoscono MHC II, i linfociti C D8+ riconoscono MHC I. La ragione è che CD4 lega
direttamente la classe due del MHC, mentre CD8 lega la classe I.
• I C D4+ legano soprattutto proteine extracellulari internalizzate dalle APC, mentre i C D8+ legano
soprattutto proteine endogene. La ragione di questa differenza sta nel pathway seguito dalle APC per
presentare questi due tipi di antigeni.
Esiste inoltre un sistema di presentazione antigenico accessorio che è specializzato per gli antigeni
lipidici. La molecola CD1 (simil MHCI nonpolimorfica) viene espressa su molte APC ed epiteli e ha il
compito di presentare i lipidi a una popolazione di cellule T stranamente non MHC-ristretta.
6.1 APC
Tutte le funzioni dei linfociti T dipendono dalle loro interazioni con altre cellule. In generale la risposta
antigene specifica di queste cellule richiede la partecipazione delle APC che catturano, trasformano e
presentano l’antigene. Le APC svolgono due importanti lavori nell’attivazione delle cellule T:
• Convertono antigeni proteici in peptidi e li presentano associati come complessi MHC. La conver -
sione prente il nome di processing.
• Alcune APC forniscono stimoli accessori per i linfociti T: questi costimolanti sono richiesti per
una piena risposta dei linfociti, specialmente i C D4+ naive.
La funzione di presentazione è stimolata dall’esposizione a prodotti microbici. Le cellule dendritiche e i
macrofagi esprimono TLR che rispondono ai microbi aumentando l’espressione dell’MHC e dei costi-
molanti e attivando le APC che producono citochine. In aggiunta le cellule dendritiche e i macrofagi 25
attivati esprimono recettori per chemochine che ne causano la migrazione ai siti di infezione.
Per indurre una risposta dei linfociti T ad un antigene proteico per via sperimentale è necessario
somministrare anche sostanze chiamate adiuvanti. Gli adiuvanti possono essere prodotti microbici o
sostanze che ne mimano le caratteristiche.
Differenti tipologie cellulari agiscono da APC per attivare i linfociti T naive. Le cellule dendritiche
sono le più efficaci nell’attivare i naive C D4+ e C D8+ . I macrofagi presentano antigeni ai C D4+ già
differenziati (effettori) mentre i linfociti B presentano gli antigeni ai linfociti T helper durante le risposte
umorali. Cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B esprimono sia MHC II che costimolanti e possono
dunque attivare i linfociti T C D4+ : sono pertanto definite APC professionali.
• Migrano di preferenza nelle stesse regioni di linfonodo all’interno delle quali circolano i linfociti T
naive.
Gli antigeni possono arrivare al linfonodo anche in soluzione nel plasma: una volta a destinazione
verranno processati dai macrofagi e dalle cellule dendritiche residenti.
Il processo di accumulo degli antigeni è potenziato da due accorgimenti anatomici. Il primo è rap-
presentato dalle collezioni di tessuto linfoide secondario che caratterizzano le superfici mucosali dei
tratti GI e respiratorio; le collezioni di tessuto definite in modo più chiaro sono le placche del Peyer
dell’intestino e le tonsille faringee. Il secondo accorgimento è il costante controllo del sangue da parte
della milza, all’interno della quale risiedono APC apposite.
Le cellule dendritiche possono ingerire cellule infette o tumorali e presentare gli antigeni di queste
cellule ai linfociti T C D8+ . Le cellule dendritiche hanno la speciale abilità di ingerire queste cellule e di
presentarne gli antigeni su molecole MHCI: questa via è diversa dalla solita (normalmente le sostanze
fagocitate finiscono su MHCII e riconosciute dai CD8+ ) e prende il nome di cross-presentazione.
La generazione dei peptidi per MHCII a partire da antigeni endocitati prevede la degradazione
proteolit- ica di queste molecole in una serie di step ben definita.
Cellule dendritiche e macrofagi esprimono un’ampia gamma di recettori superficiali per riconoscere
strutture microbiche; in aggiunta i macrofagi esprimono anche recettori per la porzione Fc degli an-
ticorpi e recettori per la proteina C3b del complemento. A seguito dell’internalizzazione gli antigeni
proteici si trovano localizzati in vescicole intracellulari dette endosomi. Gli endosomi sono vescicole a
pH acido che contengono enzimi proteolitici.
Le molecole MHC II vengono sintetizzate nel RE e trasportate agli endosomi in associazione ad una
proteina detta catena invariante (Ii ) che occupa le sedi di legame con il peptide. Le catene α e β delle
molecole MHC II vengono sintetizzate in maniera coordinata e si associano tra loro nel RE. I dimeri
nascenti sono strutturalmente instabili e il loro folding viene assistito dalle chaperonine. La catena
invariante si associa ai dimeri sempre all’interno del RE; questa molecola si trova in una posizione tale 27
da impedire alle nuove molecole di legare antigeni eventualmente presenti nel RE. La catena invariante
promuove inoltre il folding corretto e dirige le molecole neoformate verso gli endosomi e i lisosomi.
Le molecole di MHC II vengono a questo punto secrete dal Golgi all’interno di vescicole dirette agli
endosomi: queste si fonderanno poi insieme con il risultato che le molecole a questo punto si troveranno
nella stessa vescicola che contiene i peptidi generati dalla proteolisi. La fusione delle vescicole porta
alla formazione di quello che prende il nome di compartimento di classe MHCII o MIIC: questa
struttura contiene tutto quello che serve per l’associazione peptide-MHC; i contenuti precisi del MIIC
sono dunque
1. Enzimi proteolitici
2. Molecole MHCII
3. Catena invariante Ii
4. Peptidi di derivazione antigenica
5. Molecola HLA-DM
All’interno del MIIC la catena Ii viene dissociata grazie all’azione di enzimi proteolitici e della molecola
HLA-DM: vengono così scoperti i siti di legame e i peptidi si legano. L’eliminazione della catena invari-
ante lascia una catena di 24 aminoacidi associata all’MHC: questa prende il nome di CLIP ed è ancora
in grado di bloccare il legame con i peptidi. La molecola HLA-DM si occupa di eliminare CLIP; questa
molecola è codificata all’interno del MHC ed è simile alle molecole di classe due ma ha molte differenze:
non è polimorfica, non associa la catena invariante e non viene espressa sulla superficie cellulare. In
breve HLA-MD è uno scambiatore di peptidi: rimuove clip e facilita la sua sostituzione con il peptide
digerito.
Le molecole di MHCII presentano una sede aperta di legame peptidico, per questo grandi peptidi o
anche proteine intere possono legarsi e venire poi tagliate alla lunghezza giusta per il riconoscimento: il
risultato è che normalmente vengono create catene lunghe dai dieci ai trenta aminoacidi.
Le molecole di MHC II vengono stabilizzate dal legame con il peptide, e questi complessi vengono ind-
irizzati alla superficie per il riconoscimento: in questo modo solo le MHC II correttamente assemblate
possono essere poste all’esterno. Alla fine di questa serie di step la cellula presenta moltissimi comp-
lessi sulla sua superficie, la maggior parte dei quali presenta proteine self normali: non esiste infatti
un meccanismo di riconoscimento del self dal non self in questo ambito. Come è possibile dunque che i
linfociti vengano attivati da cellule che mostrano soprattutto molecole self? Questo è possibile perchè i
linfociti sono estremamente sensibili: bastano pochissimi riconoscimenti dei complessi giusti, anche
meno di cento, per generare una risposta specifica; cento complessi rappresentano meno dello 0,1% di
tutti i complessi espressi. Come è possibile però che i linfociti non reagiscano contro le molecole self
presentate? Questa seconda proprietà è dovuta al fatto che i linfociti in grado di riconoscere molecole
self non esistono normalmente: vengono eliminati durante la fase di maturazione nel timo.
6.2.2 Processamento per la presentazione MHC I
28
I peptidi associati a MHCI sono prodotti per degradazione di proteine citosoliche: vengono poi
trasportati nel RE e assemblati alle molecole MHCI nascenti.
• Fonti di antigeni citosolici
Gli antigeni estranei possono essere prodotti virali o di altri microbi intracellulari. Nelle cellule tumorali
molti geni possono produrre proteine antigeniche che vengono riconosciute da CTL MHC I ristretti.
• Degradazione proteolitica delle proteine citosoliche
La sintesi e l’assemblaggio delle molecole MHC I sono processi multistep che richiedono il legame con il
peptide. Le catene α e β2 vengono sintetizzate nel RE e il folding corretto viene garantito da varie
chaperonine. All’interno del reticolo i dimeri scarichi rimangono attaccati a TAP grazie alla tapasina; a
seguito dell’ingresso di un peptide attraverso TAP si ha il taglio di questo a una dimensione corretta da
parte di una aminopeptidasi detta ERAP (Endoplasmic Reticulum Amino Peptidase). Il peptide a
questo punto lega la molecola MHCI e il complesso viene rilasciato dalla tapasina, esce dal RE e viene
trasportato sulla superficie cellulare. In assenza di peptide i dimeri sono instabili e non possono essere
trasportati fuori dal RE: vanno probabilmente incontro a degradazione in situ.
I complessi in uscita dal RE vengono mobilitati sulla membrana grazie all’esocitosi di vescicole. Una
volta posti nella sede definitiva i complessi vengono riconosciuti dai linfociti C D8+ .
• Immunodominanza. Gli epitopi di proteine complesse che generano una risposta più forte nelle
cellule T sono i peptidi generati dalla proteolisi nelle APC e che legano più avidamente le molecole di
MHC. In un individuo esposto a un antigene proteico multideterminante la maggior parte delle cellule T
sarà specifica verso uno o due sequenze aminoacidiche dette epitopi immunodominanti.
• Responsività immunitaria geneticamente controllata. L’espressione di particolari alleli MHC II in
un individuo ne determina la capacità di rispondere a particolari antigeni. I geni della risposta
immunitaria che controllano le risposte anticorpali sono infatti parte dell’MHC II e determinano la
capacità di risposta in quanto cambia la capacità di legare i diversi peptidi antigenici.
30
7.2.1 Struttura
Le tre proteine CD3 sono omologhe tra loro, e le regioni extracellulari di tutte contengono un singo-
lo dominio simil-Ig: queste tre proteine sono dunque membri della superfamiglia delle Ig. I domini
citoplasmatici variano da 44 a 81 aminoacidi di lunghezza e ciascuno contiene una copia di una se-
quenza conservata detta ITAM (Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif) che gioca un ruolo
fondamentale nella segnalazione da parte del complesso.
La catena ζ ha una piccola regione extracellulare, una transmembrana e una lunga regione cito-
plasmatica contentente tre ITAM.
L’espressione del complesso TCR richiede la sintesi di tutti i suoi componenti. Nei linfociti T maturi
infatti l’intero complesso viene prodotto nel RE e trasportato sulla membrana.
7.2.2 Funzione
Il primo evento intracellulare a seguito del riconoscimento antigenico è la fosforilazione dei residui di
tirosina contenuti nei domini ITAM di CD3 e ζ da parte di kinasi quali Lck o Fyn. Lck si associa alle
code citoplasmatiche di CD4 e CD8, Fyn a CD3. Le fosfotirosine così create diventano siti di attacco per
una tirosin kinasi, ZAP-70, che viene reclutata dalla catena ζ e porterà alla variazione dell’espressione
genica delle cellule T.
7.5.1 CD4 e CD8: Corecettori coinvolti nell’attivazione delle cellule T MHC- ristrette
Le cellule T αβ mature esprimono CD4 o CD8, ma mai entrambi. Queste strutture interagiscono con
entrambe le classi di MHC quando i TCR della cellula riconoscono i complessi MHC-peptide dell’APC.
La funzione principale è nella trasduzione del segnale al momento del riconoscimento, ma possono
anche aumentare l’efficacia del legame tra cellula T ed APC. Nel pool dei linfociti maturi circa il 65%
esprime CD4 e il 35% CD8.
Struttura Entrambi i corecettori sono glicoproteine transmembrana facenti parte della superfamiglia
Ig. CD4 viene espresso come monomero e presenta quattro domini simil-Ig extracellulari, una regione
transmembrana e una coda basica citoplasmatica. I due domini simil-Ig amino terminali del CD4
legano il dominio β2 non polimorfico dell’MHCII.
Le molecole CD8 esistono quasi sempre sotto forma di eterodimeri di due catene dette CD8α e
CD8β. Entrambe presentano un singolo dominio Ig extracellulare, una regione transmembrana e la
coda citoplasmatica basica. Il dominio Ig di CD8 lega il dominio α2 non polimorfico delle molecole di
MHCI.
Funzione La separazione delle risposte dei linfociti C D4+ e C D8+ è dovuta alla capacità di queste
molecole di legare solamente una classe di MHC e non l’altra.
• CD4 è in grado di legare MHCII e viene espresso sui linfociti i cui TCR riconoscono i complessi
peptidici di questo tipo. Quasi tutti i linfociti C D4+ sono cellule di supporto che producono
citochine.
• CD8 è in grado di legare le molecole MHCI. Quasi tutti i linfociti C D8+ sono linfociti citotossici il cui
ruolo è sradicare le infezioni intracellulari. Esistono linfociti C D4+ con funzioni citotossiche ma sono
comunque MHCII ristretti.
CD4 e CD8 partecipano ai primi eventi segnalatori dopo il riconoscimento del complesso MHC-peptide.
Queste funzioni sono mediate da una tirosin chinasi specifica dei linfociti T che prende il nome di
Lck: questo enzima è associato in modo non covalente alle code sia del CD4 che del CD8. Quando un
linfocita riconosce il complesso MHC l’interazione di CD4/8 con l’MHC porta il corecettore e la sua Lck
nelle vicinanze del CTR; Lck a questo punto fosforila i domini ITAM delle proteine CD3 e ζ e da il via
alla segnalazione. 33
2. Riarrangiamento dei geni per il recettore. Elemento chiave della maturazione linfocitaria che
avviene nei linfociti B immaturi nel midollo osseo e nei linfociti T immaturi nel timo. A partire
da un numero modesto di geni grazie a tagli, ricongiungimenti ed aggiunte si genera un numero
elevatissimo di esoni differenti che codificano per il recettore, tutto questo prima dell’incontro con
l’antigene.
3. Selezione dei linfociti “utili” ed eliminazione di quelli pericolosi. Le cellule che non esprimono un
recettore o pre-recettore corretto muoiono per apoptosi; quelle che sono in grado di legare con
bassa avidità gli MHC vengono portate avanti nella maturazione dalla selezione positiva; quelle
che legano con elevata avidità antigeni self vengono eliminate dalla selezione negativa fenomeno
detto delezione clonale; Possono anche andare incontro a un successivo riarrangiamento del
recettore detto editing recettoriale.
4. Proliferazione.
Orientamento verso le linee B e T L’orientamento dipende dalle istruzioni ricevute dalla superficie
della cellula seguite dall’induzione di specifici fattori trascrizionali. Lo stadio precoce dello sviluppo
è caratterizzato dalla proliferazione stimolata soprattutto dall’IL-7 prodotta dalle cellule stromali di
midollo e timo. Mutazioni nel recettore per questa citochina portano ad immunodeficienze quali le
SCID.
Il complesso della ricombinasi riconosce specifiche sequenze dette RSS situate nel 3’ del segmento V
e 5’ del segmento J; tali sequenze sono costituite da una sequenza altamente conservata di 7 nucleotidi 36
detta eptamero distaccata da una sequenza spaziatrice d 12 o 23 nucleotidi da una seconda sequenza
conservata di 9 nucleotidi detta nonamero. Un enzima specifico una volta avvicinati i due eptameri
(uno adiacente a V e uno adiacente a J) taglia l’elica tra il segmento V e J e il rispettivo eptamero,
successivamente segue l’unione dei due segmenti codificanti e l’eliminazione del frammento contentente
le RSS sotto forma di anello. In alcuni casi gli eptameri sono situati entrambi a destra sia di V che di J
in tal caso è necessaria una inversione del Dna intermedio e le RSS tagliate non vengono eliminate ma
rimangono nel cromosoma. La ricombinazione tra due segmenti si verifica solo uno è fiancheggiato da
uno spaziatore di 12 e l ’altro di 23: è la cosiddetta regola 12/23.
1. sinapsi: i due segmenti codificanti e le RSS adiacenti vengono in contatto tra loro grazie alla
formazione di un anello sul cromosoma.
Generazione della diversità linfocitaria L’enorme diversificazione dei linfociti B e T è dovuta so-
prattutto al riarrangiamento dei geni per il recettore (IG e TCR). Questa diversificazione è dovuta a una
diversità combinatoria dovuta semplicemente alle diverse combinazioni possibili tra i diversi segmenti
V,J e D e a una diversità giunzionale data dalla aggiunta e rimozione di nucleotidi dai segmenti V, J 37
e D. Quest’ultima è mediata da diversi meccanismi:
• primo meccanismo è la rimozione di nucleotidi dalla sequenza germinale alle estremità del gene a
opera di una endonucleasi.
• un secondo è la aggiunta di nuove sequenze nucleotidiche alle giunzioni scisse da Artemis. Se
la scissione è asimmetrica i nucleotidi aggiunti devono essere complementari a quelli del tratto
parallelo e tali nucleotidi sono detti nucleotidi P.
• ultimo meccanismo di diversità giunzionale è la aggiunta casuale di un massimo di 20 nucleotidi
non codificati da alcuno stampo detti nucleotidi N mediata da un’enzima chiamato TdT.
La massima diversificazione si ha nella regione CDR3 delle Ig e TCR che si forma nei siti di ricom-
binazione V(D)J. Proprio per la sua elevata specificità la sequenza dei nucleotidi contenuta in questa
regione funziona come marcatore clonale specifico: in questo modo nei tumori linfocitari si può stabilire
quale clone è la causa.
Durante la maturazione, le cellule della linea linfocitaria B passano attraverso stadi distinti caratter -
izzati da markers specifici e Ig caratteristiche. Il precusore più precoce destinato a diventare linfocita B
è detto linfocita pro-B; queste cellule non producono alcuna Ig e possono essere distinte per l’espres-
sione di molecole di superficie quali CD19 e CD10. Le proteine Rag sono espresse per la prima volta a
questo stadio e la prima ricombinazione nei geni delle Ig ha luogo nel locus della catena pesante. I
passi di questa prima ricombinazione sono:
Se il riarrangiamento della catena pesante ha successo la cellula smette di essere chiamata linfocita
pro-B e passa alla fase di linfocita pre-B. I linfociti pre-B sono cellule B in sviluppo che esprimono la
proteina Igµ ma che devono ancora riarrangiare il locus per la catena leggera. La catena pesante µ è
infatti associata con le proteine λ5e VpreB dette surrogati delle catene leggere. L’insieme di catena
pesante, catene leggere surrogate e proteine trasduttrici dette Igα e Igβ formano quello che prende
il nome di recettore pre-B. Nelle cellule con riarrangiamenti in frame del locus IgH è il pre-BCR a
fornire i segnali di transizione da fase pro-B a fase pre-B. I segnali in arrivo da questo recettore sono
responsabili dell’espansione in termini numerici di questa popolazione linfocitaria. 38
Numerose molecole segnalatrici sono necessarie sia al BCR che al pre-BCR per superare il check-
point. Una tirosin chinasi detta Btk (Bruton’s tyrosine kinase) è attivata a valle di questi recettori ed è
necessaria per la sopravvivenza e la maturazione della cellula oltre la fase di linfocita pre-B. Mutazioni
nel gene Btk portano alla patologia detta agammaglobulinemia X-linked.
Il complesso pre-BCR regola i successivi riarrangiamenti dei geni Ig in due modi. In primo luogo se
una proteina µ viene prodotta da un locus ricombinato in un cromosoma il pre-BCR blocca la ricom-
binazione sull’altro cromosoma omologo. Se il primo arrangiamento non è invece produttivo viene
consentita la ricombinazione V(D)J sull’omologo. Grazie a questa attività in ogni clone solo un allele è
espresso mentre l’altro è in configurazione germinale e non è utilizzato: ci si riferisce a questo processo
con il termine di esclusione allelica. Il secondo sistema in cui il pre-BCR regola la ricombinazione è lo
stimolo al riarrangiamento del gene per la catena leggera.
Nel successivo stadio di maturazione si ha il riarrangiamento dei geni delle catene leggere che pro-
ducono le rispettive proteine: queste vanno ad associarsi alla catena pesante µ formando l’IgM com-
pleta. La cellula a questo punto esprime IgM e viene detta cellula B immatura. La produzione di una
catena leggera κ inibisce il riarrangiamento del locus per la catena λ e viceversa: le Ig hanno dunque
sempre la stessa catena leggera grazie a questo processo detto di esclusione dell’isotipo della catena
leggera.
Sottogruppi diversi di linfociti B sviluppano a partire da progenitori diversi. Le HSC derivate dal
fegato fetale sono precursori delle cellule B tipo B-1; le HSC derivate dal midollo danno invece origine
alla maggior parte dei linfociti B. Questo secondo gruppo di cellule passa rapidamente attraverso due
stadi che lo orienta verso lo sviluppo o di cellule B della zona marginale o di cellule B follicolari. La
maggior parte dei linfocti B maturi è di tipo follicolare e coesprime le catene pesanti µ e δ: presentano
dunque sia IgD che IgM nella forma di membrana. L’espressione simultanea delle due diverse catene
pesanti è dovuta a splicing alternativo dello stesso mRNA. La coespressione di IgD ed IgM si accompa-
gna all’acquisizione di competenza funzionale e abilità di ricircolo: a questo punto si parla dunque di
linfocita B maturo. I linfociti B maturi naive sono capaci di rispondere agli antigeni e sono destinati a
morire in pochi mesi se non incontrano l’antigene per il quale hanno grande affinità.
Selezione dei linfociti B maturi La selezione nei linfociti T maturi è molto ben definita e precisa,
mentre nell’ambito dei linfociti B è un processo molto meno rigido. Le cellule B immature che ri-
conoscono antigeni self con troppa avidità vengono indotte a cambiare la loro specificità tramite il
processo di editing recettoriale. In questo processo si ha riattivazione dei geni Rag, con una seconda
ricombinazione dei geni della catena leggera: normalmente viene modificata la catena leggera κ e questo
altera la specificità del recettore. Se l’editing fallisce si ha selezione negativa, un processo responsabile
almeno in parte del mantenimento della tolleranza dei linfociti B; il riconoscimento dell’antigene in
questo caso porta a morte apoptotica. Quando la transizione a linfocita B maturo I gD + I gM + è com-
pletata, il riconoscimento dell’antigene non porta più ad apoptosi o a editing ma a proliferazione e
differenziazione.
Linfociti B-1 e linfociti della zona marginale Molte delle cellule B-1 esprimono la molecola CD5 che
può essere usata come marker; nell’adulto grandi quantità di queste cellule si trovano nel peritoneo e
nelle mucose. Questi linfociti secernono spontaneamente IgM che spesso reagiscono con polisaccaridi
e lipidi: questi anticorpi sono detti anticorpi naturali in quanto prodotti senza immunizzazione, anche 39
se si sospetta che sia la flora intestinale ad indurne la produzione.
I linfociti della zona marginale si trovano nella milza e rispondono ad antigeni polisaccaridici generan-
do anticorpi naturali. Il marker per queste cellule è CD21.
2. L’assenza congenita di timo, come nella sindrome di DiGeorge, porta a un ridotto numero di
linfociti T in circolo e nei tessuti linfoidi e a pesanti carenze di risposte mediate da questo tipo di
cellula
Il timo involve spontaneamente con l’avanzare dell’età, ma poichè i linfociti T della memoria hanno una
vita anche di oltre vent’anni il bisogno di nuovi linfociti T diminuisce negli anziani.
I linfociti T in fase di sviluppo nel timo sono detti timociti e non esprimono TCR e nemmeno CD4 o
CD8. Nella corteccia timica queste cellule esprimono per la prima volta il TCR (αβ o γδ) e per quelle che
esprimono il tipo αβ inizia anche la maturazione verso il sottogruppo C D4+ o C D8+ . L’ambiente del timo
fornisce gli stimoli necessari per la proliferazione e la maturazione dei timociti; molti di questi stimoli
arrivano direttamente dalle cellule del timo, cioè cellule epiteliali, macrofagi o cellule dendritiche. La
migrazione dei timociti in questo tipo di ambiente garantisce interazioni fisiche con le altre cellule,
passaggio necessario per la maturazione. Due tipologie di molecole prodotte dalle cellule timiche non
linfoidi sono importanti per la maturazione:
• Le molecole MHC di classe I e II espresse su cellule epiteliali e dendritiche. Le interazioni tra i
timociti in maturazione e queste molecole sono essenziali per la selezione del repertorio linfoci-
tario.
• Citochine e chemochine secrete dalle cellule stromali. La più importante è IL-7, inoltre le chemo-
chine CCL19 e CCL21, legandosi al recettore CCR7, guidano i timociti nell’attraversamento del
timo.
I timociti corticali più immaturi, di recente giunti dal midollo, contengono i geni per il TCR in
configurazione terminale e quindi non esprimono TCR, CD3 o catene ζ e nemmeno CD4 o CD8: queste
cellule vengono dette timociti doppio negativi o cellule pro-T. Come nel caso dei linfociti pro-B, le
proteine Rag vengono espresse per la prima volta in questa fase: il riarrangiamento dei geni porta alla
transizione verso la fase pre-T e il seguente sviluppo del linfocita αβ. Il riarrangiamento, se svolto
con successo, porta alla traduzione di una catena beta funzionante che viene espressa sulla superficie
della cellula in associazione con una proteina invariante detta pre-Tα. L’insieme di catena beta, catena
invariante pre-Tα, proteine CD3 e proteina ζ prende il nome di complesso pre-TCR. I segnali dal pre-
TCR mediano la sopravvivenza dei timociti e la loro espansione proliferativa; i segnali mediano inoltre
l’inizio della ricombinazione del locus per la catena alfa e guidano la transizione da fase doppio negativa
a fase doppio positiva. I segnali del pre-TCR inibiscono inoltre ulteriori riarrangiamenti della catena β
limitando l’accessibilità della cromatina.
Nello stadio successivo di maturazione i timociti esprimono sia CD4 che CD8 e sono dunque detti
timociti doppio positivi. Questi timociti esprimono inoltre il recettore per chemochine CCR7 e quindi
migrano verso la midollare del timo. A questa fase la cellula esprime l’eterodimero completo αβ del TCR.
In caso di incapacità di riarrangiare la catena α del TCR il timocita muore per apoptosi. Importante,
il riarrangiamento del gene per la catena alfa causa la delezione del locus δ: questa cellula non potrà
quindi mai più diventare un linfocita γδ. In virtù della neo acquisita capacità di rispondere agli antigeni,
i timociti doppio positivi subiscono selezione positiva o negativa: le cellule che subiscono il processo
maturano in linfociti C D4+ o C D8+ , quindi diventano timociti singolo positivi. I timociti singolo
positivi entrano nella midollare e lasciano infine il timo per andare a popolare i tessuti linfoidi periferici.
40
8.3.3 Processi di selezione
Il repertorio linfocitario immaturo non selezionato consiste di linfociti T i cui recettori possono ri-
conoscere qualsiasi antigene peptidico presentato su una molecola MHC qualsiasi. In ogni individuo gli
unici linfociti T utili sono quelli specifici per i peptidi non-self presentati dalle molecole MHC self; par -
allelamente, i linfociti T che riconoscono antigeni self con troppa avidità sono potenzialmente pericolosi
perchè possono innescare processi autoimmuni.
Quando i timociti doppio positivi esprimono per la prima volta il TCR questo incontra peptidi self
presentati su molecole MHC delle cellule timiche epiteliali. La selezione positiva è il processo per
cui i timociti i cui TCR riconoscono blandamente questi peptidi e le molecole MHC associate vengono
stimolati a sopravvivere. La selezione negativa è invece il processo in cui i timociti i cui TCR riconoscono
troppo avidamente i peptidi self o le molecole MHC vengono eliminati per prevenire reazioni contro
l’organismo stesso.
Selezione positiva Se il TCR di un timocita riconosce le molecole MHC I associate al peptide e allo
stesso tempo il CD8 interagisce con l’MHC, questo riceve segnali che ne evitano la morte e promuovono
il proseguimento della maturazione. Per procedere il linfocita doppio positivo può continuare ad es-
primere CD8 e il TCR ma può smettere di esprimere CD4; il risultato è un linfocita T C D8+ MHC I
ristretto. Un processo totalmente analogo avviene per produrre un linfocita C D4+ MHC II ristretto.
Durante la transizione da doppio positivo a singolo positivo gli helper diventano C D4+ C D8− mentre i
citotossici C D4− C D8+ .
8.3.4 Linfociti T γδ
Questo tipo di linfociti ha una linea di sviluppo totalmente a parte: una esclude l’altra. La diversità del
repertorio di queste cellule è limitata perchè vengono usati solo pochi dei segmenti V, D e J disponibili:
questi linfociti servono infatti a difendersi da un numero limitato di microbi il cui incontro è molto
frequente alle barriere epiteliali.
Il TCR non possiede attività enzimatica intrinseca e si trova associato al complesso CD3 e alla catena ζ
formando il complesso del TCR che possiede, nel versante citoplasmatico, strutture dette domini
ITAM: la fosforilazione di questi domini dà inizio alla trasduzione del segnale. Si assiste all’attivazione
di via di trasduzione parallele che confluiscono nell’attivazione di determinati fattori di trascrizione;le
vie sono principalmente tre:
• la via della calcineurina che attiva NFAT
Queste tre vie sono a loro volta attivate mediante specifiche tirosin chinasi che mediano il segnale tra
TCR e gli enzimi sopra citati.
Tirosin chinasi Una volta formato il complesso del TCR quando il recettore si lega all’antigene e
MHC una tirosin chinasi chiamata Lck associata a CD4 e CD8 si sposta vicino alle sequenze ITAM del
complesso CD3 e della catena ζ attivandosi e fosforilando le tirosine in esse contenute. Queste tirosine
fosforlate fungono da ancoraggio per un’altra tirosin chinasi chiamata ZAP -70 che una volta legatasi
viene anche essa fosforilata da Lck attivandosi e andando a fosforilare numerosi substrati che fungono
da proteine adattatrici di altre molecole coinvolte nella trasduzione del segnale. Altro gruppo di chinasi
importanti sono le PI-3 chinasi attivate dalla costimolazione di CD28: questi enzimi catalizzano la
generazione di fosfatidil inositolo tre fosfato (PIP3 ) a partire dal PIP2 di membrana. Le attività delle 43
chinasi citate sono regolate da specifiche tirosine fosfatasi reclutate dal complesso TCR e chiamate
SHP-1 e SHP-2 che inibiscono la trasduzione del segnale e un’altra è la SHIP.
Formazione della sinapsi immunologica La regione di contatto tra il linfocita T e la sua APC prende il
nome di sinapsi immunologica. Le molecole che vengono subito spostate verso il centro di questa
struttura sono il complesso TCR, i corecettori CD4 o CD8, i recettori per i costimolatori (CD28) e vari
enzimi associati. La segnalazione viene avviata all’interno di questa struttura sovramolecolare.
Reclutamento e attivazione delle proteine adattatrici ZAP-70 si porta a fosforilare parecchie pro-
teine adattatrici in grado di legarsi a molecole segnalatorie. Le proteine adattatrici presentano domini
ricurrenti di tipo SH2 o SH3 che consentono loro di formare cluster di enzimi in tempi rapidi. Un
evento chiave dell’attivazione del linfocita T è la fosforilazione da parte di ZAP-70 della proteina adatta-
trice LAT, la quale è in grado di legarsi direttamente alla fosfolipasi Cγ 1; la fosfolipasi è una molecola
fondamentale che recluta altre proteine tra le quali SLP-76 e Grb-2.
Via della MAP chinasi La via Ras è iniziata a seguito del legame del TCR e porta all’attivazione di ERK,
membro fondamentale della famiglia delle MAP kinasi che porta alla mobilitazione di diversi fattori di
trascrizione. Ras nella sua forma inattiva è legato ad una molecola di GDP che, quando viene sostituita
da una di GTP, è responsabile dell’attivazione. L’attivazione di Ras coinvolge le proteine LAT e Grb-2,
in quanto la catena di eventi è la seguente:
1. Fosforilazione di LAT da parte di ZAP-70
Esistono tre MAP kinasi principali nei linfociti T, delle quali il prototipo è ERK. L’attivazione di ERK lo
porta a traslocare nel nucleo e a fosforilare una proteina detta Elk, la quale stimola la trascrizione di
Fos, un componente del fattore di trascrizione AP-1.
In parallelo all’attivazione lungo la via Ras si ha il reclutamento di una piccola proteina detta Vav, la
quale scambia GTP per GDP su una proteina detta Rac. Rac in forma attiva inizia una cascata
segnalatoria parallela che termina nell’attivazione della MAP kinasi JNK che si porta a fosforilare c-Jun,
il secondo membro del fattore di trascrizione AP-1.
44
Attivazione dei fattori di trascrizione I fattori di trascrizione che sono attivati nei linfociti T a seguito
del riconoscimento antigenico sembrano critici per quasi tutte le risposte di queste cellule e sono:
NFAT Questo fattore è richiesto per l’espressione di IL-2, IL-4, e TNF. Questo fattore è presente in for -
ma inattiva serina-fosforilata nei linfociti T a riposo. La sua attivazione è legata alla calcineurina, che
defosforila la molecola e ne svela la sequenza di localizzazione nucleare.
AP-1 Questo fattore in realtà è una famiglia di molecole leganti DNA. La molecola meglio compresa è
quella formata dalle subunità c-Jun e Fos. AP-1 sembra essere un punto di convergenza di
parecchie vie segnalatorie attivate dal riconoscimento antigenico.
NF-κB Questo fattore è essenziale per la sintesi di parecchie citochine. Nei linfociti a riposo la molecola è
presente in complesso con inibitori specifici (IκB) che ne bloccano l’ingresso nel nucleo; i segnali del TCR
causano l’ubiquitinazione degli inibitori, quindi la loro degradazione e quindi il ripristino della capacità
del fattore di entrare nel nucleo.
Recettori inibitori Il prototipo del recettore inibitorio è CTLA-4, di cui però si sa poco del mecca- 45
nismo di azione. Normalmente questa molecola è sequestrata in vescicole intracellulari che vengono
rapidamente mobilitate con la formazione della sinapsi immunologica. Nella sinapsi CTLA-4 potrebbe
competere con CD28 per legare le molecole B7 o reclutare fosfatasi che bloccano l’attivazione dei domini
ITAM.
L’altro recettore inibitorio di interesse è PD-1, indotto in linfociti B, T e monociti a seguito dell’at-
tivazione. PD-1 ha due ligandi, PD-L1 e PD-L2, omologhi ai B7 ed espressi su cellule dendritiche
attivate, monociti e altre cellule. Il recettore contiene sul lato citoplasmatico dei domini ITIM che
contribuiscono al reclutamento delle fosfatasi SHP-1 e SHP-2 che attenuano il segnale.
• Le risposte anticorpali agli antigeni proteici richiedono i linfociti T helper C D4+ che riconoscono
gli antigeni e hanno ruolo fondamentale nell’attivazione dei B. Per questo motivo le proteine sono
classificate come antigeni timo dipendenti.
• Le risposte anticorpali agli antigeni multivalenti, con epitopi polisaccaridici e lipidici, non richiedono i
linfociti helper. Per questo motivo gli antigeni polisaccaridici e lipidici sono definiti timo indipen- denti.
• I linfociti attivati differenziano in plasmacellule, alcune delle quali continuano a produrre an-
ticorpi per anni, e in cellule della memoria. Le risposte umorali originano agli organi linfoidi
periferici, ma alcune plasmacellule migrano da questi al midollo osseo dove si stabiliscono per
anni producendo bassi livelli di anticorpi che forniscono protezione immediata per i microbi da
essi riconosciuti.
• Lo switching degli isotipi e la maturazione dell’affinità sono tipici delle risposte T -dipendenti agli
antigeni proteici. Lo switching è stimolato direttamente dai segnali in arrivo dalle cellule T, tra i
quali la molecola CD40L e varie citochine. La maturazione riguarda la generazione di mutazioni
somatiche ad alta frequenza in geni Ig V riarrangiati e la consequente selezione delle cellule B
con grande affinità per l’antigene originale. La natura della risposta umorale varia inoltre in
funzione del distretto anatomico: ad esempio i tessuti linfoidi mucosali sono adattati a produrre
grandi quantità di IgA.
8. Migrazione delle cellule B attive verso il follicolo, formazione di centri germinali nel follicolo.
Nei centri germinali si ha marcato switching, mutazioni somatiche, maturazione dell’affinità e
generazione delle cellule della memoria.
9. Generazione di plasmacellule a lunga vita che migreranno poi nel midollo osseo.
2. I linfociti B sono in grado di presentare il loro antigene a concentrazioni anche 106 volte minori
rispetto all’antigene che non riconoscono in quanto l’internalizzazione via BCR è estremamente
efficiente.
49
3. I linfociti B nei coniugati cellula T -cellula B sono esposti ai segnali portati da CD40L e da alte
concentrazioni di citochine T -derivate, in parte per via della formazione delle sinapsi immuno-
logiche.
2. Per avere risposta carrier e aptene devono essere fisicamente associati, la somministrazione sep-
arata non fornisce reazione.
3. L’interazione è MHCII ristretta, cioè gli helper collaborano solo con i linfociti B che esprimono
queste molecole che vengono riconosciute come self dai T.
I linfociti helper attivati secernono citochine che agiscono insieme a CD40L per stimolare la prolif-
erazione e la produzione di anticorpi di diversi isotipi. Le citochine servono per due scopi principali in
ambito di risposte anticorpali:
Il riconoscimento dell’antigene nei linfociti B aumenta l’espressione dei recettori per le citochine, molecole
presenti ad alte concentrazioni nelle sedi di contatto con il linfocita helper. Le citochine helper -derivate,
soprattutto IL-2, IL-4 e IL-21, potenziano proliferazione e differenziazione dei linfociti B, allo stesso
modo delle citochine BAFF e APRIL della famiglia del TNF. La citochina IL-6, prodotta da macrofa-
gi, linfociti T e altre cellule, è invece un fattore di crescita per cellule B già differenziate e secernenti
anticorpi.
L’attivazione contribuisce all’iniziale formazione di foci extrafollicolari di cellule B attivate che pos-
sono andare incontro a differenziazione e switching dell’isotipo. Ognuno dei foci formati contiene
qualche centinaio di plasmablasti e plasmacellule, i cui anticorpi prodotti possono contribuire a for -
mare immunocomplessi che hanno un ruolo nell’iniziare la reazione di formazione del centro germinale.
50
10.3.6 Reazione del centro germinativo
L’iniziale risposta agli antigeni dei linfociti B si ha nella zona tra i follicoli linfoidi e le zone T; dopo
quattro-sette giorni dall’esposizione alcuni dei linfociti B attivati migrano in profondità del follicolo e
iniziano a proliferare rapidamente, formando il centro germinativo. All’interno del centro germinativo
la zona scura contiene cellule B rapidissime a proliferare: in cinque giorni un singolo linfocita può
generare cinquemila cellule figlie. Ogni centro germinativo contiene cellule derivate da un unico clone o
al massimo da un paio. La progenie, formata da cellule più piccole, va incontro a differenziazione e
selezione nella zona chiara del centro.
L’architettura dei follicoli linfoidi e dei centri germinativi dipende dalla presenza delle cellule den-
dritiche follicolari. Le FDC si trovano solo nei follicoli ed esprimono recettori per il complemento (CR1,
CR2 e CR3) e per Fc ma non esprimono molecole MHCII. Le lunghe code citoplasmatiche di queste cel-
lule formano un’impalcatura attorno alla quale si forma il centro germinativo. Le cellule B proliferanti
si posizionano nella zona scura del centro, che presenta poche FDC, mentre la progenie si distribuisce
nelle zone più esterne.
La formazione del centro germinativo è impedita in soggetti con difetti nello sviluppo dei linfociti T o con
mutazioni in CD40 o CD40L; questo fenomeno è dovuto al fatto che il centro viene costruito solo a
partire da cellule B attivate, e l’interazione CD40:CD40L è fondamentale nelle prime fasi dell’attivazione.
• Batteri con capsule ricche in polisaccaridi stimolano la produzione di IgM i quali poi favoriscono il
complemento, la fagocitosi e l’opsonizzazione.
• Gli antigeni polisaccaridici, che non necessitano l’aiuto degli helper, stimolano IgM.
• Molti virus e batteri stimolano la produzione di IgG, che bloccano l’ingresso dei patogeni nella
cellula e ne facilitano la fagocitosi. Virus e batteri attivano gli helper del sottogruppo TH 1 che
producono interferone γ, il principale induttore di switching a catena γ nelle cellule B.
• I parassiti elmintici generano risposte di tipo principalmente IgE, anticorpi che partecipano al-
l’uccisione eosinofilo-mediata dei patogeni. Gli anticorpi IgE sono anche alla base delle reazioni
allergiche. Gli elminti attivano gli helper del sottogruppo TH 2 i quali producono IL-4, principale
induttore di switching verso la catena pesante ε.
In aggiunta a questo meccanismo, anche la sede anatomica influenza lo switching. I linfociti B delle
mucose producono soprattutto IgA, l’anticorpo più efficace nell’essere trasportato attraverso gli epiteli;
lo switch è stimolato dal transforming growth factor β (TGF-β ) prodotto da parecchie cellule nelle
mucose. Il recettore TACI (substrato sia per APRIL che per BAFF) ha anch’esso un ruolo critico nello
switch verso IgA.
Il principale meccanismo molecolare di switching è un processo detto ricombinazione switch in cui
il segmento genico riarrangiato VDJ di una cellula B si ricombina con un gene della regione C a
valle mentre il DNA in mezzo viene eliminato. Questi eventi ricombinatori coinvolgono sequenze
nucleotidiche dette regioni switch poste negli introni J-C alle estremità 5’ di ogni locus CH ; queste
regioni sono lunghe 1-10kb, contengono numerose ripetizioni di GC e si trovano a monte di ogni gene
codificante catene pesanti ad eccezione del gene δ. A monte di ogni regione di switch c’è un piccolo
esone detto esone I (per iniziatore della trascrizione) preceduto da un promotore. CD40 e le citochine
stimolano lo switching rendendo più accessibile il DNA di una specifica regione C e inducendo poi la
trascrizione attraverso l’esone I, la regione di switch e l’esone CH . Questi trascritti, detti trascritti
germinali, non codificano proteine ma hanno un ruolo fondamentale nello switch.
La trascrizione germinale è accompagnata dall’accessibilità di un particolare gene C a rotture e
riparazioni del DNA; come risultato l’esone riarrangiato VDJ giusto a monte della regione di switch µ si
accoppia con la regione C a valle trascrizionalmente attiva.
L’enzima chiave richiesto per lo switching è la deaminasi attivazione-indotta (AID). AID è una
DNA deaminasi che converte la citosina in uracile all’interno di template di DNA a singolo filamento.
La trascrizione produce sempre una piccola bolla di DNA a singolo filamento mentre il complesso della
polimerasi scorre lungo il filamento codificante; dato che il DNA nella bolla è a singolo filamento ecco
che può subire l’azione di AID. Un enzima detto uracil N-glicosilasi rimuove a questo punto i residui
di uracile creati da AID generando siti abasici che vengono eliminati dall’endonucleasi Ape1. I buchi
su entrambi i filamenti contribuiscono alle rotture sia alla regione Sµ che al locus a valle coinvolto nello
switching di quel particolare isotipo. L’esistenza di rotture nelle due regioni di switch causa la delezione
del DNA interposto e l’unione delle due giunzioni da parte dei sistemi di riparazione di questo tipo di
danno.
53
10.5 Feedback anticorpale: regolazione della risposta umorale da parte dei re-
cettori Fc
Gli anticorpi secreti inibiscono la continua attivazione delle cellule B formando complessi antigene-
anticorpo che si legano in simultanea ai recettori antigenici ed ai recettori Fc sui linfociti B antigene
specifici: questa è la spiegazione del fenomeno di feedback anticorpale, cioè della downregolazione 54
della produzione di anticorpi da parte delle IgG secrete. Gli anticorpi IgG inibiscono i linfociti for -
mando appunto complessi che si legano ad un recettore per la forzione Fc della molecola chiamato
recettore Fcγ II (Fcγ RIIB o CD32). Il dominio citoplasmatico del recettore contiene un dominio a sei
amminoacidi condiviso con altri recettori di questo tiipo che mediano segnali negativi; per analogia
con gli ITAM questo dominio viene chiamato ITIM (Immunoreceptor Tyrosin-based Inhibition Motif).
Quando il recettore viene stimolato il dominio ITIM viene fosforilato formando un sito di attacco per
l’inositolo 5-fosfatasi SHIP; SHIP idrolizza un fosfato su PIP3 e in questo modo termina la risposta del
linfocita all’antigene. Il complesso antigene anticorpo interagisce simultaneamente sia con il recettore
antigenico che con quello per la porzione Fc, portando la fosfatasi inibitoria vicina al recettore anti-
genico da bloccare. L’importanza dell’inibizione attraverso FcγRIIB è dimostrata nei topi KO per questo
gene. Un polimorfisfmo in questo gene è stato collegato al lupus eritematoso sistemico nell’uomo.
I linfociti B esprimono un altro recettore inibitorio detto CD22, una lectina che lega acido sialico. Il
ligando naturale non è conosciuto e non si sa come si attivi ma si sa che topi KO mostrano una enorme
attivazione dei linfociti B. Il lato citoplasmatico della molecola contiene un ITIM che da fosforilato lega
la tirosin fosfatasi SHP-1; questa fosfatasi si porta a rimuovere un fosfato sui domini ITAM e quindi
blocca il segnale del BCR.
• Topi con mutazioni nella chinasi TCR-associata ZAP-70 sviluppano artriti e altre manifestazioni di
autoimmunità. La ragione è che la mutazione diminuisce il segnale TCR-indotto quanto basta per
interferire con la selezione negativa facendo scappare linfociti autoreattivi.
Alcuni dei linfociti T CD4+ che riconoscono gli antigeni self nel timo non vengono eliminati ma
differenziano invece in cellule regolatrici che lasciano il timo e inibiscono risposte ai tessuti self in
periferia. Difetti nella proteina AIRE non sembrano prevenire lo sviluppo di queste cellule: questo
suggerisce che i requisiti per il loro sviluppo siano diversi, anche se quel che determina la scelta tra
morte e destino regolativo resta sconosciuto.
11.2.2 Tolleranza periferica nei linfociti T
I meccanismi di tolleranza periferica sono responsabili per la mancata reazione ad antigeni self tes-
suto specifici che non sono abbondanti nel timo. La tolleranza è dovuta ad anergia, delezione o
soppressione delle cellule T, ma non è noto se su ogni cellula agisca uno solo di questi metodi o tutti
insieme.
56
• Cellule CD4+ esposte in vitro a complessi sintetici MHC+peptide in assenza di costimolanti ri-
mangono disponibili ma non sono in grado di rispondere all’antigene. L’anergia può essere evitata per
aggiunta di APC attivate in coltura o se i recettori per i costimolanti vengono attivati con gli anticorpi.
• L’anergia può essere ottenuta somministrando antigeni non self in maniera da farli riconoscere
evitando costimolazione o infiammazione. Un metodo è trasferire linfociti T con TCR specifico per un
antigene conosciuto in un topo normale da un topo transgenico. Se l’antigene è amministrato per via
sottocutanea con adiuvanti i linfociti antigene specifici proliferano nei linfonodi di zona, diventano
effettori, migrano nei follicoli linfoidi e interagiscono con le cellule B. Se l’antigene viene
somministrato in forma acquosa senza adiuvanti i linfociti mostrano una abilità ridotta di proliferare,
differenziare e migrare.
• Un antigene, come una glicoproteina virale, può essere espressa nei tessuti di un topo transgenico. Se il
topo esprimente l’antigene viene incrociato con un topo normale che esprime il TCR antigene specifico
come transgene, molti linfociti T incontreranno l’antigene self. Queste cellule diventano anergiche e
perdono la capacità di rispondere all’antigene virale. Presumibilmente anche qui si tratta di livelli
inadeguati di costimolazione.
• Un antigene proteico può anche essere espresso come self antigene sistemico, associato alle cellule o
secreto in topi transgenici. Se un linfocita incontra questi antigeni perde la sua capacità di
rispondervi.
L’anergia è il risultato di alterazioni biochimiche o genetiche che riducono la capacità del linfocita di
rispondere. Sono numerose le alterazioni biochimiche ritenute necessarie per mantenere questo stato
di mancata risposta:
1. Le cellule anergiche mostrano un blocco nella trasduzione del segnale del TCR. Non si sa a
cosa sia dovuto, a volte sembra legato a una sottoespressione del TCR, a volte al reclutamento di
molecole inibitorie quali le fosfatasi.
2. Gli antigeni self potrebbero attivare ubiquitina-ligasi cellulari che potrebbero ubiquitinare le pro-
teine TCR associate portandole a degradazione: il risultato è ancora una volta una riduzione del
segnale del TCR.
3. Quando il linfocita riconosce l’antigene self potrebbe attivare i recettori inibitori della famiglia di
CD28, le cui funzioni sono di terminare la risposta. I due recettori il cui ruolo nella tolleranza self è
meglio descritto sono CTLA-4 e PD-1. In particolare CTLA-4 compete con CD28 per i costimolanti B7
escludendolo dalla sinapsi immunitaria, inoltre porta diversi segnali inibitori che bloccano quelli che
attivano il TCR. PD-1 riconosce invece due ligandi espressi sulle APC e su altre cellule e questo
riconoscimento porta all’inattivazione del linfocita T.
Le cellule dendritiche residenti nei tessuti linfoidi e non possono presentare gli antigeni self ai linfociti T
per mantenere la tolleranza: le cellule dendritiche mature presentano infatti pochissimi costimolatori.
Le cellule dendritiche attivate sono dunque le principali APC per scatenare la risposta dei linfociti T,
mentre quelle a riposo potrebbero avere ruolo tollerogenico.
Soppressione dei linfociti autoreattivi da parte delle cellule T regolatrici La maggior parte delle 57
cellule T regolatrici esprimono alti livelli di recettore per IL-2 e CD25 ma non altri markers di at-
tivazione. Queste cellule sono generate principalmente per riconoscimento del self nel timo, ma si
sviluppano occasionalmente anche in periferia. La genesi e la sopravvivenza di queste cellule è dipen-
dente dalle citochine TGF-β e IL-2 e dalla costimolazione B7:CD28. Un fattore di trascrizione chiamato
FoxP3 è critico per lo sviluppo e la funzionalità della maggior parte di queste cellule.
Le cellule T regolatrici riconoscono gli antigeni self e da essi sono generate. Un meccanismo di con-
trollo delle risposte immunitarie di queste cellule è la secrezione della citochina immunosoppressiva
IL-10, che inibisce la funzione di macrofagi e cellule dendritiche. Altri esperimenti indicano che queste
cellule lavorano per contatto diretto con le APC o con i linfociti rispondenti, ma non si sa come eseguono
la soppressione.
Delezione dei linfociti T per apoptosi I linfociti T che riconoscono il self senza infiammazione o
che sono ripetutamente stimolati muoiono per apoptosi: questo tipo di morte è stata chiamata morte
cellulare attivazione-indotta. La morte apoptotica può avvenire secondo due vie biochimiche: via
recettoriale e via mitocondriale (Pinton).
• I linfociti T che riconoscono il self senza costimolazione o senza una risposta innata ad accompag-
narli possono attivare la proteina pro-apoptotica Bim, imboccando così la via mitocondriale per
l’apoptosi. Nelle normali risposte linfocitarie i segnali del TCR stimolano l’espressione di proteine anti
apoptotiche della famiglia di Bcl-2 che promuovono la sopravvivenza e la proliferazione della
cellula. Bim può essere attivata dal riconoscimento del self in assenza di costimolazione o fattori di
crescita e attiva a sua volta proteine effettrici che fanno scattare la morte programmata. In assenza di
forte stimolazione infatti non ci sono fattori di crescita e gli effetti di Bim non sono bilanciati dalle
proteine antiapoptotiche.
• Il ripetuto stimolo ai linfociti determina l’espressione dei recettori di morte e dei loro ligandi, e
l’attivazione di tali recettori porta a morte apoptotica. Nelle cellule CD4+ il recettore di morte
fondamentale è Fas, il cui ligando è FasL. A seguito di molte attivazioni FasL viene espresso sulla
superficie cellulare e si va a legare a Fas sulla superficie della cellula stessa o di quelle adiacenti.
L’interazione Fas:FasL attiva la cascata delle caspasi che porta a morte la cellula. Mutazioni in Fas o
FasL portano a malattie autoimmuni simili al lupus.
Le citochine sono proteine prodotte dalle cellule dell'immunità sia innata che specifica in risposta ad antigeni.Uno
specifico antigene(es intra o extracellulare)stimola la produzione di citochine specifiche che attivano precise risposte
difensive.
Le citochine nella fase di attivazione stimolano proliferazione e differenziazione,mentre nella fase effettrice attivano le
cellule deputate all'eliminazione del microrganismo. Alcune inoltre stimolano il processo di ematopoiesi.Nonostante tra
loro abbiamo moltissime differenze condividono alcune proprietà biologiche. 59
La loro secrezione è un evento di breve durata e generalmente autolimitante. Non vengono immagazzinate ma prodotte ex-
novo ogni volta mediante nuova sintesi o meccanismi di modifiche post-trascrizionali.
Le loro attività sono pleiotropiche,ovvero una citochina agisce su diversi tipi cellulari e ridondanti ,ovvero lo stesso
effetto può essere indotto da diverse citochine.
Le citochine possono influenzare la sintesi e le attvità di altre citochine agendo in sinergia o in antagonismo. Le loro
azioni possono essere locali o sistemiche a seconda che la secrezione sia autocrina ,paracrina o endocrina.
Svolgono le loro azioni legandosi a specifici recettori sulla cellula bersaglio con elevata affinità così che una bassa
espressione di recettori sia sufficiente.I livelli di espressione dei recettori possono variare in risposta a segnali esterni. Nel
caso dei linfociti ad esempio è il riconoscimento dell'antigene ad aumentarne l'espressività. La risposta cellulare in seguito
a legame con citochine consiste generalmente in modificazioni dell'espressione genica spesso attivando geni silenti,inoltre
specifiche citochine dette chemochine inducono modificazioni di affinità di specifici recettori senza interagire con la
trascrizione.La risposta cellulare a citochine è fortemente controllata da meccanismi a feedback -negativo come
fosfatasi,molecole che bloccano chinasi,inibizione dell'interazione dei fattori di trascrizione e attivazione di recettori
inattivi che competono con le citochine.
Classificazione:
Citochine che regolano l'immunità innata:prodotte soprattutto dai macrofagi in risposta ad agenti infettivi che si legano ai
TLR(LPS,Rna virale ecc).Queste agiscono sulle cellule endoteliali e leucociti per richiamare e attivare la risposta adattativa
e mediano l'infiammazione. Sono responsabili dello shock settico. TNF,IFN-γ,IL-1 e IL-12 le principali.
Citochine che regolano l'immunità adattativa:sono prodotte soprattutto dai linfociti T e stimolano crescita e
differenziamento delle diverse popolazioni linfocitarie e l'attivazione delle cellule effettrici. Responsabili del danno
tissutale e infiammazione granulomatosa. IFN-γ,IL-2,IL-4 e IL-5 le principali.
Citochine che stimolano l'emopoiesi: prodotte da cellule stromali del midollo osseo e leucociti e stimolano crescita e
differenziazione dei leucociti immaturi.
12.1 Recettori
Tutti i recettori per le citochine sono composti da una o più proteine transmembrana contenenti un dominio extracellulare
per il legame con la citochina e uno intracellulare per l'attivazione del segnale responsabile della ridondanza delle
citochine.I recettori sono classificati mediante omologia strutturale:
-Recettori di tipo 1:definiti anche dell'emopoietina legano citochine di tipo 1 ovvero che si ripiegani in quattro catene ad α
elica.Questi recettori attivano la via del Jack-STAT.
-Recettori di tipi 2:condividono mole analogie con quelli di tipo 1 ma cambiano le citochine leganti. Importante la famiglia
delle IFN.
-Recettori della famiglia di IL-1:condividono una sequenza citoplasmatica detta TIR.
-Recettori per il TNF:
-Recettori a sette domini transmembrana:sono accoppiati a proteine G.
-Recettori per la superfaglia delle Ig.
12.2 Citochine che regolano l'immunità innata.
-TNF(fattore di necrosi tumorale):
La principale sorgente è costituita dai fagociti mononucleati attivati.Lo stimolo più efficace è il legame ai TLR di
componenti microbiche.L' IFN-γ prodotto dai linfociti T e Nk potenzia la produzione di TNF.Questo viene prodotto come
proteina non glicosilata associata alla membrana e poi in seguito a scissione mediata a TACE viene secreto sotto forma di
tronco di piramide .Esistono 2 recettori per TNF ,TNFR1 e TNFR2,l'1è espresso su quasi tutti i tipi cellulari,il 2 solo sulle
cellule del sistema immunitario.Il legame ligando recettore provoca l'associazione citoplasmatica del recettore con le
proteine TRAF che inducono l'attivazione del fattore NF-κB e AP-1 che codificano per una serie di proteine coinvolte nella
risposta infiammatoria e nell'azione antiapoptotica.Infatti l'interazione di TNF può anche scatenare apoptosi se legata al 60
recet tore poiché è presente a livello citoplasmatico un cosiddetto dominio di morte che porta all'apoptosi.I suoi prodotti
genici sono in competizione con quelli di Ap-1.
Il ruolo biologico di TNF è quello di indurre il reclutamento di neutrofili e monociti nel sito di infezione.Esso stimola le
cellule endoteliali a esprimere molecole di adesione,le più imporanti sono le selettine e i ligandi per le integrine
linfocitarie.Inoltre stimola queste cellule e i macrofagi alla produzione di chemochine che aumentano l'affinità delle
integrine per i ligandi endoteliali.
Nelle reazioni infiammatorie il TNF svolge un ruolo centrale tanto che quelle dannose per l'ospite come quelle autoimmuni
possono essere minimizzate con anticorpi anti TNF.
Se secreto in grandi quantità è in grado di entrare in circolo e scatenare numerose reazioni:
-A livello ipotalamico sviluppa l'insorgenza della febbre stimolandolo a secernere prostaglandine
-A livello epatico stimola la sintesi di proteine della fase acuta quali fibrinogeno e proteina amieloide.
A concentrazioni elevate
-A livello muscolare e adiposo causa un deperimento fisico detto cachesia andando a inibire l'appetito.
-Può causare trombosi vascolare inibendo i fattori anticoagulanti e promuovendo la sintesi del fattore
tissutale.Questa sua capacità di causare necrosi tissutale è proprio quella che gli ha dato il nome.
Il cosiddetto shock settico caratterizato da collasso cardiocircolatorio,coagulazione intravascolare e alterazioni metaboliche
è proprio dovuto in caso di sepsi gravi da una abnorme produzione di TNF.
Alla famiglia dei TNF appartengono altri ligandi implicati in processi di attivazine cellulare come
Fas,CD40,BAFF , APRIL e RANK.
-Interleuchina 1:
Ha moltissime cose in comune a TNF,i principali produttori sono i fagociti mononucleati e in aggiunta anche neutrofili e
cellule endoteliali.Le attività biologiche sono pressochè identiche se non che IL-1 non è in grado di indurre apoptosi e a
livello sistemico da sola non riesce a scatenare shock settico.Il recettore è invece differente ed è rappresentato dei recettori di
tipo IL-1.Esitono due forme secrete di IL-1,α e β,quest'ultima necessita dell'enzima ICE per essere generata.L'interazione
con il recettore fa associare una proteina adattarice al dominio TIR che poi andrà ad attivare i fattori di trascrizione AP-1 e
NF-κB.Esiste un antagonista naturale alla IL-1 prodotto dai fagociti detto IL-1 ra utilizzato nella terapia soprattutto
dell'artrite reumatoide giovanile.
-Chemochine:
Sono le citochine responsabili del direzionamento dei linfociti e della migrazione dal circolo ai tessuti.Alcune sono
prodotte in risposta a una infezione e richiamano i linfociti nel focolaio,altre sono espresse
costituitivamente e regolano il normale traffico leucocitario.Esistono 50 chemochine raggrupate in 4
famiglie:CC,CXC,C,CX3C.CC e CXC sono prodotte dai linfociti e cellule tissutali principalmente in risposta a citochine
infiammatorie quali TNF e IL-1 o attraverso l'attivazione di TLR.I recettori per le chemochine sono costituiti da 7 domini
transmembrana associati a una proteina G.
Le chemochine coinvolte alla risposta infiammatoria sono prodotte da linfociti T e vanno ad aumentare l'affinità delle
integrine linfocitarie per i lignadi endoteliali.TNF e IL-1 stimolano la produzione sia delle chemochine
che dei ligandi per le integrine.
Le chemochine regolano anche il normale processo di migrazione celllulare agli organi linfoidi.Essenziale ad esempio per
l'incontro APC linfocita.Molte infezioni virali codificano recettori per chemochine che le sequestrano e che quindi
rappresentano un valido meccanismo di elusione del sistema immunitario.Es herpes virus,citomegalovirus ecc.Inoltre cellule
atipiche possono esprimere il cosiddetto recettore D6 che tuttavia è un falso recettore poiché non invia alcun segnale
intracellulre.
-Interleuchina 12:
Principale mediatore delle risposte innate a microrganismi intracellulari.Svoge inoltre un ruolo fondamentale in quelle
cellulo mediate favorendo la produzione di IFN-γ da parte di NK e linfociti T e promuove il differenziamento dei CD4 a
th1 che producono IFN-γ.Essa appartiene a una famiglia di 5 citochine le quali collaborano con lei ,da ricordare IL-23 per i
Th 17.
Le principali sorgenti di IL-12 sono i fagociti mononucleati e le APC attivate.La sua sintesi è indotta dall'attivazione
di TLR e da infezioni intracellulari,alternativamente dal legame con CD40L espresso dai linfociti T CD4 o con IFN-
γ.Il recettore per IL-12 appartiene ai recettori di tipo 1 quindi attiva la via Jack STAT principalmente STAT4.
Il-12 induce cellule Nk e linfociti T a produrre IFN-γ che andrà ad attivare nei macrofagi meccanismi battericidi.IL-12
assieme a IFN-γ induce il differenziamento in Th1 dei CD4 le quali a loro vola producono IFN-γ.IL-12 potenzia inoltre 61
l'attività citotossica dei CTL.
Risulta evidente come questa citochina rappresenti un importante punto di collegamento tra immunità innata ed adattativa
stimolandole entrambe.
-Interferoni di tipo 1.
Gli IFN 1 (NB IFN-γ non vi appartiene)sono una grande famiglia che mediano le fasi precoci della risposta innata a
infezioni virali.Sono codificati da geni sul cromosoma 9.Il recettore per gli IFN1 appartiene ai recettori di tipo 2 associati a
Jack1 e Tyk 2 che attivano STAT1 e STAT 2 che attivano IRF9 che causa la trascrizione di geni detti ISRE.Esistono
tuttavia altre vie di trasduzione.La produzione di IFN è scatenata dal riconoscimento
di Rna virale da parte di TLR associate alle membrane endosomiali e RIG-1 e MDA a livello citoplasmatico e attivano
IRF che ne induce l'espressione.
Gli IFN vanno a inibire la replicazione virale mediante trascrizione di enzimi che degradano l'Rna virale,inoltre potenziano
l'espressione di molecole MHC di classe 1 .Stimolano inoltre la sintesi di recettori per IL-12 potenziando la differenziazione
in Th1 e ne promuovono il sequestro nei linfonodi.IFN inibisce infine la proliferazione di molte cellule tra le quali i
linfociti.
Interleuchina10:
Rappresenta uno dei principali inibitori delle risposte dell'ospite.Viene prodotta principalmente dai linfocti regolatori e
macrofagi attivati.Il suo recettore appartiene ai recettori di classe 2.Agisce sui macrofagi attivati bloccandone le attività
in modo da riportare il sistema immunitario allo stato di quiescienza.Lo fa inibendo la produzione di IL-12 e inibendo
l'espressione delle molecole MHC 2 e costimolatorie.
Interleuchina 6:
Prodotta dai fagociti mononucleati è coinvolta nell'immunità sia specifica che innata.Viene prodotta principalmente
in risposta a TNF e IL-1 e con essi si rende responsabile dell'artrite reumatoide.Stimola la produzione di proteine
dlla fase acuta dal fegato e la differenziazione dei neutrofili.Stimola la crescita dei
linfociti B e la proliferazione delle plasmacellule neoplastiche.Per questa proprietà è molto utile nella
produzione di ibridomi.
Riassumendo TNF e IL-1 e chemochine agiscono nelle infezioni extracellulari sull'endotelio e sui linfociti per facilitare
migrazione,Il-12 e IFN-γ in quelle intracellulari attivando i macrofagi e la produzione di IFN-γ.
Interleuchina 2:
Importante fattore di crescita,sopravvivenza e differenziazione dei linfociti T.Agisce principalmente sulle cellule che la
producono o su quelle vicine.L'espressione del suo anticorpo è stimolata dal processo di attivazione dei linfociti naive
mediato dal riconoscimento dell'antigene.Nel caso dei linfociti regolatori essi esprimo costantemente i recettori per IL-
2.Quest'ultima è indispensabile per la loro sopravvivenza e quindi anche per la salvaguardia delle risposte immunitarie
contro antigeni self controllate da questi ultimi.Negli altri linfociti IL-2 stimola proliferazione e sopravvivenza inducendo
la sintesi della proteina anti-apoptotica Bcl-2 e promuovendone l'entrata nel ciclo cellulare.Ugualmente nelle Nk dove ne
stimola anche l'attività citotossica generando le cosiddette cellule killer attivate da linfochine.Induce infine proliferazione
e sintesi di anticorpi nei linfocit B.
Interleuchina 4.
Viene principalmente prodotta dai linfociti Th2 ed è la principale citochina responsabile dello scambio
isotopico verso le IgE nei linfociti B. Le IgE sono i principali effettori verso elminti o artropodi,infezioni verso le quali si
attivano Th2.Le IgE sono inoltre responsabili delle allergie(ipersensibilità immediata).IL-4 induce lo sviluppo dei CD4
verso i Th2 e ne induce la proliferazione inibendo invece lo sviluppo dei Th1.IL-4 assieme a IL-13 costituisce l'attivazione
alternativa dei macrofagi.Si ipotizza inoltre stimoli la peristalsi
Interleuchina 13.
62
Questa è associata alla IL-4 ed è prodotta sempre dai Th2 nelle infezioni da elminti e artropodi.Essa promuove la fibrosi
nelle fasi di riparazione nei processi infiammatori cronici,stimola la produzione di muco e induce lo scambio di classe
verso IgE nei linfociti B. Contribuisce dunque significatamente nella patogenesi dell'asma cronico.
Interleuchina 5
Citochina di tipo 1 prodotta anch'essa dai Th2 ha come principale azione la stimolazione alla proliferarzione e
differenziazione degli eosinofili.
Interferone γ.
Rappresenta la principale citochina per l'attivazione dei macrofagi e svolge importanti funzioni sia nella immunità innata
che cellulo-mediata contro i microrganismi intracellulari.La sua azione principale è quella di attivare le cellule
effettrici,non rappresenta lui stesso una citochina antivirale.Viene prodotta dalle cellule Nk,CD8 e CD4th1 di cui ne
rappresenta la principale funzione.Le cellule Nk la producono nell'ambito della risposta innata in seguiti a molecole
attivatrici presenti su cellule danneggiate o infettate oppure in risposta a
IL-12.Nella risposta adattativa è prodotta dai linfociti T in risposta al ricoscimento dell 'antigene e potenziata da
IL-12.Il recettore appartiene ai recettori di tipo 2.
Una volta prodotto IFN γ attiva i macrofagi a uccidere i microrganismi fagocitati assieme al legame CD40L- CD40.IFN
γ promuove inoltre la differenziazione dei linfociti T naive verso i Th1 attraverso l'attivazione del fattore di trascrizione
T-bet e inibisce quella dverso Th2.Questa promozione è effettuata anche mediante stimolazione dei fagociti a produrre
IL-12.
Verso i linfociti B IFN γ promuove lo scambio isotopico verso determinate sottoclassi di IgG come le IgG2 e inibisce
quello verso sottoclassi IL-4 dipendenti come le IgE.Le IgG indotte da IFN γ si legano ai recettori per Fcγ espressi sui
fagociti e attivano il complemento.IFN γ stimola infine le APC nell'espansione delle MHC di classe 1, e 2 e di molecole
costimolatorie.Complessivamente dunque promuove le reazioni infiammatorie in cui l'azione macrofagica è prevalente e
inibisce quelle in cui prevale l'azione eosinofila.
Riassumendo microrganismi intracellulari stimolano i Th1 a produrre IFN γ che attiva i macrofagi all'eliminazione dei
batteri intracellulari e stimola la produzione di anticorpi.Tutto amplificato da IL-12. Microrganismi extracellulare
pluricellulari stimolano i Th2 a produrre IL-4 e IL-5 stimolando la produzione di IgE.
Vengono utilizzate per il recupero delle funzionalità midollari in pazienti sottoposti a chemio o trapianto di midollo.
Eritropoietina(Epo)
Promuove la produzione di globuli rossi ed è prodotta dal rene in seguito a ipossia.
Sottopopolazione Th17:
Recentemente identificata la sottopopolazione Th17 è distinta dalle due sopracitate tant'è che le citochine prodotte da Th1 e
Th2 vanno a inibire la differenziazione in Th17.Questa popolazione produce IL-17,IL22.Si differenziano a partire dagli
stessi progenitori di TH1e2 in seguito a stimolazione dell'antigene e in presenza di TGF-β,IL-6 e IL-1.Si è ipotizzato che
IL-6 sia prodotta precocemente dal tessuto danneggiato che sia da sola sufficiente ad innescare la differenziazione mediata
dai fattori di trascrizione RORγt e STAT3.La citochina
IL-23 favorisce il mantenimento e la sopravvivenza dei TH17 e dunque in mancanza di T regolatori si instaura una risposta
infiammatoria la cui durata dipende da Il-6 e Il-23.Lo scopo principale dei Th17 è di proteggere contro infezioni batteriche
extracellulari e fungine.Si è scoperto essere la causa della sclerosi multipla(anche se proprio il Prof Zamboni a Ferrara
avrebbe confutato tale ipotesi trovandovi la cura) in cui ondate di Th17 danneggiavano la mielina cerebrale.
(a) I virus e molti batteri stimolano le risposteT H 1con produzione di I gG che legano
fagociti, natural killer e attivano il complemento.
(b) I parassiti elmintici stimolano risposteT H 2con produzione di Ig E che legano e attivano
mastociti e basofili le cui citochine attivano gli eosinofili, particolarmente efficaci
nell’eliminare questi patogeni.
4. Anche se molte delle funzioni effettrici sono mediate dalle regioni costanti, tutte sono
scatenate dal legame dell’antigene alle regioni variabili.
67
14.2 Neutralizzazione di microbi e tossine
Gli anticorpi contro microbi e tossine bloccano il legame di questi a recettori cellulari in modo da
neu- tralizzarne l’infettività. Molti microbi entrano nella cellula ospite legando particolari molecole di
super - ficie a proteine o lipidi di membrana; gli anticorpi che legano queste strutture microbiche
interferiscono con la loro capacità di interagire con i recettori cellulari e possono dunque prevenire
l’infezione a causa dell’ingombro sterico. In alcuni casi bastano pochissime molecole di anticorpo
per avere variazioni conformazionali nelle molecole del patogeno che interagiscono con la cellula: si
può avere dunque un effetto allosterico dovuto agli anticorpi. Molte tossine microbiche mediano
inoltre i loro effetti patologi- ci sempre legando specifici recettori cellulari: gli anticorpi anti-tossine
bloccano stericamente queste interazioni e impediscono alla tossina di danneggiare l’ospite.
La neutralizzazione anticorpo mediata di microbi e tossine richiede solamente le regioni
leganti l’antigene dell’anticorpo, quindi può essere mediata da qualsiasi isotipo circolante o nelle
secrezioni mucosali. La maggior parte degli anticorpi neutralizzanti nel sangue è di tipo IgG, mentre
nelle mucose la maggior parte è IgA. Gli anticorpi più efficaci nell’atto della neutralizzazione sono quelli
a più alta affinità, quelli cioè risultanti dal processo di maturazione.
Recettori Fc per diversi isotipi delle catene pesanti degli anticorpi sono espressi su molte popolazioni leucocitarie; di questi
recettori i più importanti nella fagocitosi delle particelle opsonizzate sono quelli per le catene pesanti delle IgG, detti
recettoriF cγ. Esistono tre recetto riF cγcon diverse affinità per le varie sottoclassi di IgG. Il principale recettoreF cγè
dettoF cγRIe lega fortemente ne ll’uomo sia IgG1 che IgG3.F cγRIè composto da una catena alfa contenente la regione
che lega Fc in associazione con un omodimero di una proteina segnalatrice detta catenaF cRγ, omologa alla catenaζdel
TCR.
Le sottoclassi di IgG che legano in modo più efficace i recettori sono le opsonine più efficienti per promuovere la
fagocitosi: IgG1 ed IgG3.F cγRIlega gli anticorpi leg ati agli antigeni in modo più efficace rispetto agli anticorpi liberi.
Inoltre l’attivazione del recettore richiede che questo si raggruppi nel piano della membrana, qualcosa che può succedere
solo se l’attivazione è mediata da un antigene legato ad IgG. Il legame del recettore Fc sul fagocita con l’antigene
opsonizzato porta alla fagocitosi della particella e alla sua internalizzazione in un fagosoma che si porta a fondersi con il
lisosoma generando un fagolisosoma.
Il legame di particelle opsonizzate al recettore attiva i fagociti grazie al segnale trasdotto dalla catena F cRγ; questa catena
contiene dei domini ITAM sul suoi lato citoplasmatico. L’accumulo dei recet- tori dovuto all’antigene opsonizzato porta
all’attivazione di una chinasi che fosforila il dominio ITAM contribuendo al reclutamento e all’attivazione della tirosin
chinasi Syk e la conseguente apertura di vie di segnalazione. L’induzione del segnale delF cγRIfa scattare la produ
zione di diverse molecole microbicide.
1. Inizia la produzione dell’ossidasi fagocitica che catalizza la produzione di ROS citotossici per i microbi fagocitati.
2. Inizia la secrezione di enzimi idrolitici e ROS all’esterno del fagocita in modo da poter uccidere microbi extracellulari
troppo grandi per la fagocitosi
L’espressione diF cγRIsui macrofagi è stim olata dall’interferon-γ. Gli isotipi anticorp ali che meglio legano i recettoriF
cγsono prodotti dallo s witching indotto dallo stesso inteferone, inoltre questo stimola direttamente le attivita microbicide
dei fagociti.
Il recettoreF cγRI I Bè un recettore inibit orio (→10.5) già visto nel co ntesto dei segnali inibitori per i linfociti B; si 68
trova espresso in molte altre cellule immunitarie e presenta anch’esso un dominio ITIM. Nei fagociti la sua attivazione va ad
attenuare la segnalazione da parte dei recettori attivanti tra i quali ancheF cγRI. Un trattamento em pirico ma utile per
molte malattie autoimmuni è la somministrazione intravenosa di IgG che inducono l’espressione nei fagociti diF cγRI I Be
quindi la consegn a di segnali inibitori che mitigano l’infiammazione.
Le cellule NK e altri leucociti legano le cellule opsonizzate con i recettori Fc e le distruggono nel processo di citotossicità
cellulo mediata anticorpo dipendente (ADCC). Le NK usano il loro recettore per Fc, cioè F cγRI I I, per legare le cellule
opsonizzate: questo è un recettore in grado di legare solo i complessi e mai l’anticorpo monomerico. L’attivazione del
recettore porta le NK a sintetizzare e secernere citochinequali l’interferon-γoltre che a scaricare i contenuti dei loro granuli
che mediano l’uccisione delle cellule bersaglio.
Eliminazione degli elminti anticorpo mediataI parassiti elmintic i (vermi) sono troppo grossi per essere fagocitati e resistono
ai prodotti microbicidi di neutrofili e macrofagi ma possono essere uccisi da una proteina estremamente basica (detta
proteina basica principale) contenuta nei granuli degli eosinofili. Le IgG e le IgA che ricoprono gli elminti possono legarsi
ai recettori Fc degli eosinofili causan- done la degranulazione e il rilascio della proteina. In aggiunta le IgE riconoscono gli
antigeni superficiali degli elminti e possono dar vita alla degranulazione locale dei mastociti le cui chemochine e citochine
possono attrarre gli eosinofli nella sede di infezione.
1. L’attivazione del complemento richiede la proteolisi sequenziale di vari enzimi per generare nuovi complessi con
attività proteolitica. Le proteine che acquisiscono attività catalitica a seguito di azione di una proteasi sono dette zimogeni.
2. I prodotti dell’attivazione del complemento sono covalentemente attaccati alle superfici dei microbi o agli anticorpi a
loro volta legati a microbi o ad antigeni. La piena attivazione e le funzioni biologiche del complemento sono limitate alle
superfici microbiche o ai siti dove gli anticorpi legano gli antigeni e non capitano mai nel sangue.
3. L’attivazione del complemento è inibita da proteine regolatrici presenti normalmente sulle cellule dell’ospite ma assenti
su quelle microbiche. Queste proteine minimizzano i danni derivanti dal complemento all’host e allo stesso tempo
permettono l’attivazione del sistema a danno dei microbi.
La via alternativaQuesta via risulta nella proteolisi di C3 e nel legame stabile di C3b alle superfici microbiche senza
intervento di un anticorpo. La proteina C3 contiene un legame tioestere reattivo se- polto sotto un ampio dominio detto
domino tioestere. Quando C3 viene spezzata, C3b subisce modifiche conformazionali che espongono il legame tioestere. 69
Normalmente nel plasma C3 viene continuamente spezzata a bassi regimi per generare C3b nel processo detto di
“tickover”. Una piccola quantità di C3b può dunque legarsi alle superfici cellulari attraverso il legame tioestere che reagisce
con gruppi am- minici o polisaccaridici di proteine o polisaccaridi. Se questi legami non si formano C3b rimane in fase
fluida e il legame tioestere viene velocemente idrolizzato rendendo la proteina inattiva: l’attivazione del complemento non
può procedere.
Quando C3b subisce le modifiche conformazionali espone anche un sito di legame per una proteina plasmatica detta fattore
B. Il fattore B legato viene a sua volta spezzato da una serina proteasi plasmat- ica detta fattore D: questo genera un
frammento Ba e un frammento Bb che rimane attaccato a C3b. Il complesso C3bBb è la C3 convertasi della via alternativa:
spezza più molecole di C3 che generano C3b che rimane attaccato alla cellula e C3a che viene invece rilasciato.
Se il complesso C3bBb viene formato su cellule di mammifero viene rapidamente degradato grazie a diverse proteine; la
mancanza di queste proteine sui microbi consente l’attivazione della convertasi. In aggiunta un’altra proteina della via
alternativa, la properdina, può legarsi e stabilizzare il complesso e questo è favorito sulle cellule microbiche: la properdina
è l’unico regolatore positivo conosciuto per il complemento.
Alcune delle molecole di C3b generate in questo modo si legano alla convertasi stessa con formazione di un complesso che
contiene un misto di una molecola di Bb e due di C3b: questo è la C5 convertasi della via alternativa che spezza C5
iniziando gli ultimi step del’attivazione del complemento.
La via classica La via classica è in iziata dal legame della proteina del complemento C1 ai dominiC H 2 delle IgG o aiC
H 3delle IgM che hanno legato un antigene. Nell’uomo le IgG più efficaci in questo amboto sono IgG1 ed IgG3. La
proteina C1 è un complesso composto da C1q, C1r e C1s; C1q lega l’anticorpo mentre le altre due subunità sono proteasi.
La subunità C1q lega in modo specifico le regioni Fc delle catene pesantiµe di alcuneγ. Ogni regione Fc de lla Ig ha un
singolo sito di legame per C1q e ogni C1q deve legare almeno due catene pesanti per essere attivata: questo spiega perchè il
complemento si attiva solo per anticopi legati ad antigeni e non per quelli liberi. La struttura pentamerica delle IgM può
legare due molecole C1q alla volta e questa è una delle ragioni per cui questo anticorpo è più efficare nel legare il
complemento rispetto ad IgG.
C1r e C1s sono serina proteasi. L’attivazione di C1q porta all’attivazione enzimatica di C1r che spez- za e attiva C1s. La
forma attiva di C1s spezza la proteina successiva della cascata, C4, generando C4a e C4b. C4 è omologa a C3 e C4b ha un
legame tioestere interno simile a C3b che è in grado di legare complessi antigene-anticorpo: questo garantisce che
l’attivazione proceda solo in caso controllato. La proteina successiva, C2, poi complessa con C4b legata alla cellula e
viene spezzata da una molecola C1s vicina in un frammento C2a solubile e uno C2b che rimane associato a C4b. Il
complesso risul- tante C4b2b è la C3 convertasi della via classica. Il legame di questo complesso a C3 è mediato dal
frammento C4b mentre la proteolisi è catalizzata da C2b. La rottura di C3 risulta nella rimozione del frammento C3a
mentre C3b può formare legami covalenti con le superfici cellulari o con l’anticorpo dove il complemento è stato attivato.
Quando C3b è stato depositato questo può legare il fattore B e generare altra C3 convertasi lungo la via alternativa;
l’effetto finale è l’amplificazione e centinaia o migliaia di C3b finiscono con il depositarsi.
Alcune delle molecole di C3b generate lungo la via classica si legano alla convertasi e formano il complesso C4b2b3b
che funziona da C5 convertasi classica.
Esiste una insolita via anticorpo indipendente della via classica nelle infezioni da pneumococco. I macrofagi splenici
marginali esprimono una lectina di superficie detta SIGN-R1 che lega polisaccaridi pneumococcici e C1q; il legame del
batterio o del polisaccaride alla lectina attiva la via classica e promuove la copertura del pneumococco con C3b.
La via della lectina La via della lectina è ativata in assenza di anticorpi dal legame di polisaccaridi microbici a lectine
circolanti, come la lectina plasmatica legante mannosio (MBL) o le ficoline. Queste lectine solubili sono membri di una
famiglia di collectine e strutturalmente somigliano a C1q. MBL lega il mannosio insieme a serina proteasi MBL associate
(MASP) come MASP-1, MASP-2 e MASP-3. Queste proteasi formano complessi tetramerici simili a quelli formati da C1r
e C1s e MASP-2 si porta a spezzare C4 e C2. Gli eventi seguenti sono identici a quelli della via classica.
Passi successivi dell’attivazioneLa C5 convertasi g enerate nelle varie vie da il via agli ultimi passi dell’attivazione del
complemento che culminano nella formazione del complesso di attacco alla mem- brana (MAC). La convertasi genera un
frammento C5a che viene rilasciato e uno C5b che rimane at- taccato alle proteine del complemento depositate sulla
superficie cellulare. Le rimanenti proteine della cascate del complemento (C6, C7 e C8) sono strutturalmente correlate e
non hanno attività enzimatica.
70
C5b mantiene transientemente una conformazione in grado di legare C6 e C7. La componente C7 del risultante
complesso C5b,6,7 è idrofobica e si inserisce nel doppio strato fosfolipidico della membrana dove diventa un recettore ad
alta affinità per C8. C8 è un trimero composto da tre diverse catene, una delle quali lega il complesso C5b,6,7 e forma un
eterodimero con la seconda catena; la terza si inserisce invece nel doppio strato fosfolipidico. Il complesso così creato,
C5b-8 ha limitata capacità di lisare le cellule. La formazione del MAC è ottenuta dal legame di C9 al complesso. C9 è
una proteina del siero che polimerizza al sito dove è legato il complesso C5b-8 e forma pori nelle membrane
plasmatiche; questi pori permettono il passaggio di acqua e ioni e quindi la rottura delle cellule sulle quali MAC è
depositato.
Molti meccanismi di controllo sono tesi a impedire la formazione o l’attività della C3 convertasi
nelle prime fasi di attivazione, o analogamente della C5 convertasi o infine del MAC.
L’attività proteolitica di C1r e C1s è inibita da una proteina detta C1 inibitore (C1 INH), una
serina proteasi che mima i normali substrati di questi enzimi. Se C1q lega un anticorpo e
comincia l’atti- vazione, C1 INH diventa bersaglio della attività enzimatica: l’inibitore viene
spezzato e diviene legato covalentemente alle proteine del complemento, con il risultato che il
complessoC1r 2 −C1s 2 si dissocia da C1q e la via classica viene inibita. 71
Una patologia autosomica dominante, l’edema angioneurotico ereditario, è dovuto a una carenza
di C1 INH. Le manifestazioni cliniche comprendono accumuli intermittenti acuti di fluido nella
cute e nelle mucose che causano dolori addominali, vomito, diarrea e ostruzione delle vie aeree.
In questi pazienti i livelli plasmatici di C1 INH sono ridotti a meno del 30% del normale:
l’attivazione di C1 non è controllata e nemmeno il complemento in generale.
L’assemblaggio delle C3 e C5 convertasi è inibito da proteine regolatrici che legano C3b e
C4b sulle superfici cellulari. Se C3b si lega alla superficie di una cellula normale di
mammifero viene legato da parecchie proteine, tra cui MCP (Membrane Cofactor Protein), il
recettore complemento tipo
1 (CR1), DAF (Decay Accelerating Factor) e fattore H. C4b in maniera simile viene legato da DAF,
CR1, da C4BP (C4 Bingind Protein). Tutte queste proteine inibiscono per via competitiva il
legame degli altri componenti del complesso convertasi, bloccando ulteriori progressi nella cascata
di attivazione. Ovviamente queste proteine sono espresse nelle cellule di mammifero ma non in
quelle batteriche.
DAF è una proteina di membrana legata a lipidi espressa su cellule endoteliali ed eritrociti. La
carenza dell’enzime richiesto a formare i legami proteina-lipide porta al fallimento nella sua
espressione ed è alla base della patologia detta emoglobinuria parossistica notturna. La patologia è
caratterizzata da episodi ricorrenti di emolisi intravascolare, almeno in parte legati all’attivazione
incontrollata del complemento a danno dei globuli rossi: si ha così anemia emolitica cronica e
trombosi venosa.
C3b associato alle cellule viene degradato per via proteolitica dal fattore I, una serina proteasi
plas- matica attiva solo in presenza di altre proteine regolatrici. MCP, il fattore H, C4BP e CR1
sono tutti cofattori per la degradazione mediata da fattore I di C3b e C4b. L’azione di questo
fattore produce i frammenti C3b, C3dg e iC3b che non attivano il complemento ma sono
comunque riconosciuti dai recettori su fagociti e linfociti B.
La formazione del MAC è inibita dalla proteina CD59 che funziona incorporando in se stessa il
MAC in fase di assemblaggio subito dopo l’inserzione del complesso C5b-8, in pratica inibisce
l’aggiunta di C9. L’assemblaggio di MAC è inibito inoltre da proteine plasmatiche quali la
proteina S che lega il complesso C5b,6,7 impedendone l’inserimento nella membrana.
Stimolazione delle risposte infiammatorieI frammenti C5a, C4a e C3a inducono risposte
infi- ammatorie acute attivando mastociti e neutrofili. Tutti e tre questi peptidi legano i mastociti
causan- done degranulazione e rilascio di mediatori vasoattivi quali l’istamina; questi peptidi sono
anche detti anafilatossine perchè scatenano risposte caratteristiche dell’anafilassi. Nei neutrofili
C5a stimola in- oltre la motilità, l’adesione alle cellule endoteliali e (ad alte dosi) il burst
respiratorio con produzione di ROS; questa molecola potrebbe inoltre agire direttamente
sull’endotelio e indurre un aumento di permeabilità e l’espressione della selectina P che
promuove il legame dei neutrofili. Gli effetti proin- fiammatori di C5a, C4a e C3a sono mediati
da recettori specifici tra i quali il più studiato è quello per C5a. Questo recettore è di tipo
accoppiato a proteina G e viene espresso su moltissime tipologie cellulari.
I meccanismi di evasione sfruttati dai microbi possono essere divisi in tre categorie:
1. Reclutamento delle proteine regolatrici dell’host. Molti patogeni esprimono acid i sialici che
reclu- tano il fattore H inibendo così la via alternativa (il fattore H separa C3b da Bb). Alcuni
patogeni sottraggono acido sialico dalle cellule dell’host mentre altri hanno evoluto metodi di
produzione autonomi.
2. Produzione di proteine specifiche che mimano quelle regolatrici umane.E.Coliproduce una pro-
teina che lega C1q e impedisce il legame con C1r e C1s.S.Aureusproduce la proteina SCIN
che inibisce la C3 convertasi.
IgA è la più importante classe di anticorpi in questo ambito. I tratti GI e respiratorio sono le
più importanti sedi di ingresso di microbi. Nelle secrezioni mucosali le IgA legano i microbi e
le tossine nel lume e le neutralizzano impedendone l’ingresso. Il sistema immunitario mucosale
è una collezione di linfociti e altre cellule organizzato in strutture anatomich e distinte sotto gli
epiteli dei tratti GI e respiratorio. Si stima che un adulto produca due grammi di IgA al
giorno, cioè il 70% del totale. Lo switch all’isotipo IgA è stimolato da citochine della famiglia
del TNF tra le quali BAFF. La ragione dell’abbondanza di IgA nelle mucose è che lo switch
avviene in modo più efficiente in questi tessuti mucosali, inoltre i plasmablasti IgA hanno
particolare propensione per la lamina propria intestinale.
Le IgA secrete sono trasportate attraverso le cellule epiteliali grazie a un recettore Fc IgA
specifico detto recettore poli-Ig. Questo recettore è sintetizzato dalle cellule epiteliali delle
mucose ed espresso sulle superfici basali e laterali. Quando l’IgA si lega al recettore questo
viene endocitato e trasportato attivamente dall’altra parte dove viene poi spezzato per via
proteolitica e si ha il rilascio dell’IgA in asso- ciazione ad un residuo del recettore detto
componente secretorio. Questo recettore funziona soprattutto per le IgA ma è capace di
trasportare anche le IgM e questo ne giustifica il nome.
I neonati non hanno la capacità di rispondere ai microbi per parecchi mesi dopo la nascita e la
loro principale linea di difesa è l’immunità passiva dovuta agli anticorpi materni. Le IgG
materne sono trasportate dalla placenta mentre un mix di IgA ed IgG viene trasportato nel
latte. Le IgA ed IgG ingerite possono neutralizzare i patogeni che tentano di colonizzare i
visceri, e le stesse IgG sono poi trasportate in circolo; in sostanza un neonato contiene 73
essenzialmente le stesse IgG della madre.
Il trasporto delle IgG attraverso la placenta è mediato da un recettore detto recettore Fc
neona- tale, unico in quanto assomiglia alle molecole MHCI. Nel periodo postnalate il recettore
funziona nel proteggere gli anticorpi plasmatici dal catabolismo; si lega alle IgG circolanti,
promuove l’endocitosi dei complessi e in questo modo protegge l’anticorpo internalizzato dalla
degradazione intracellulare, riciclandolo poi di nuovo in circolo.
4. In molte infezioni il danno tissutale e la patologia possono essere causate dalla risposta
dell’host più che dal microbo in se.
2. Produzione di tossine. Le tossine possono essere endotossine, cioè componenti delle pareti
del batterio, o esotossine, cioè prodotti di secrezione attiva.
Sia le celluleC D4 + che leC D8 + rispondono agli antigeni proteici dei microbi fagocitati che
sono presen- tati come peptidi sulle molecole MHCII o I. Le celluleC D4 + differenziano in
effettoriT H 1dietro stimolo di IL-12 prodotta dai macrofagi e dalle cellule dendritiche. I
linfociti T esprimono CD40L e secernono IFN-γe questi due stimoli attivano i macrofagi per
produrre varie sostanze microbicide. L’interferone stimola inoltre la produzione di isotipi
anticorpali che attivano il complemento e opsonizzano i batteri per aiutarne la fagocitosi.
I batteri fagocitati stimolano i linfocitiC D8 + se gli antigeni passano dal fagosoma al citosol
o se
il batterio scappa dal fagosoma. Nel citoplasma i meccanismi microbicidi del fagocita sono
inutili e l’infezione va estirpata uccidendo la cellula.
L’eliminazione di virus intracellulari è mediata dai linfociti citotossici che uccidono la cellula
infetta. Quasi tutti i linfociti citotossici sonoC D8 + che risconoscono antigeni citosolici in
associazione a MHCI. Se la cellula che presenta l’antigene non è una APC professionista
può essere fagocitata da una di queste per attivare meglio i linfocitiC D8 + naive: si parla di
cross-priming o cross-presentazione. La piena differenziazione a linfociti citotossici richiede
l’immunità innata o le citochine prodotte dagli helper o i costimolatori sulle cellule infette.
Le risposte immunitarie alle infezioni virali possono produrre danni per azione dei linfociti
citotossici o per altre vie. Una consequenza di alcune infezioni a lungo termine, tipo epatite
B, è la formazione di immunocomplessi che si depositano nei vasi e portano a vasculite
sistemica.
3. Produzione di molecole che inibiscono la risposta immunitaria. Alcuni virus (ad esempio
poxvirus) producono proteine leganti citochine che funzionano da antagonisti competitivi.
Altri virus pro- ducono molecole simil MHCI che competono per la presentazione, altri
molecole che inibiscono l’attivazione dei macrofagi.
4. Blocco delle risposte citotossiche in infezioni croniche. Alcuni virus potrebbero aver
imparato a sfruttare i normali meccanismi di regolazione immunitaria e ad attivarli a
piacimento.
Riconoscimento indiretto
Le molecole MHC essendo comunque proteine possono venir processate ed espresse dalle APC del ricevente come se si
trattasse di semplicissimi antigeni microbici legati a MHC2.Per il fenomeno della cross-presentazione possono venire
anche presentate da MHC1 ai CD8.In questo caso sono le intere cellule del donatore a venire fagocitate da APC
professionali e poi viene presentato un antigene processato.
Particolarmente interessante è la mancanza di rigetto del feto da parte di madri incinte.Il feto esprime molecole MHC
paterne e come tali vengono riconosciute come allogenici per la madre,Tuttavia non accade alcun rigetto.Le ipotesi sono
multiple ma le più accreditate sono 2:
-le cellule trofoblastiche,ovvero quelle nella zona di comunicazione placenta-madre sono prive di
MHC e nel caso le esprimessero sono comunque prive di molecole costimolatorie.
-la decidua potrebbe essere un sito immunologicamente privilegiato in cui cellule deciduali inibiscono le funzioni di
macrofagi e linfociti secernendo TGF-β.
É inoltre provato che nel feto le risposte immunitarie dipendono dai livelli di triptofano e si è formulata l'ipotesi che bassi
livelli di triptofano nella placenta le inibiscano.
Rigetto acuto:Il rigetto acuto è un processo di danno sia vascolare che parenchimale mediato sia da anticorpi che da
linfociti T e inizia dopo circa una settimana dal trapianto.In questo caso gli
anticorpi non sono preesistenti bensì vengono sviluppati dalla risposta immunitaria umorale ed è per questo che il tempo di
risposta è più lento.Il quadro istologico è caratterizzato da necrosi transmurale e infiammazione acuta dei vasi del trapianto
senza tuttavia il verificarsi di trombosi come nel caso del rigetto iperacuto.Sia linfociti CD4 che CD8 contribiscono al 79
rigetto acuto:i CD8 nella lisi delle cellule endoteliali e i CD4 nella infiammazione e e nelle reazioni DHT.
Rigetto cronico e vasculopatia:i trapianti che sopravvivono più di 6 mesi sviluppano una lenta occlusione arteriosa risultato
di una proliferazione delle cellule muscolari lisce.Queste modificazioni prendono il nome di vasculopatie del trapianto.
Questa proliferazione è dovuta a una serie di interazioni tra citochine e fattori di crescita prodotti macrofagi e cellule
endoteliali stimolati da linfociti T alloreattivi.Con il progredire della ischemia il parenchina viene sostituito da tessuto
fibroso ;questo processo fibrotico viene anche chiamato rigetto cronico.
-tipizzazione del gruppo sanguingo ABO.Questo test è effettuato per prevenire l'insorgenza di rigetto iperacuto dato da IgM.
-Tipizzazione tissutale:tipizzazione HLA:ridurre al minimo le differenze alleliche HLA espresse dalle cellule del donatore e
ricevente.Solo la tipizzazione HLA-A,B e DR sono importanti.
-Screening per la presenza di anticorpi preformati:viene mischiato il siero del ricevente con quello di diversi donatori e si
valuta la PRA,ovvero la percentuale di anticorpo reattivo che è la percentuale di cellule del donatore contro le quali il
paziente reagisce.
-Crossmatching:è il test sopracitato specifico tuttavia solo tra un donatore e il ricevente.La negatività a tale test è essenziale
per il trapianto.
16.3.2 Immunosoppressione
Il principio base su cui si basa questa tecnica è quello di inibire o uccidere il linfociti T
momentaneamente.
-L'uso di farmaci immunosoppressori è il metodo più usato e tra i più comuni sono da ricordare
ciclosporina e FK-506 entrambi importanti inibitori della calcineurina.
La calcineurina è essenziale per la trasmissione del segnale di IL-2 e altre citochine.Bloccando la calcineurina si va a inibire
attivazione e proliferazione dei linfociti T.
-Altri inibitori della proliferazione vanno ad agire su mTor e la prima scoperta è stata la
rapamicina.
-Un altro metodo è quelli di utilizzare tossine che uccidono i linfociti T in proliferazione e il primo usato è l'aziatropina ma
vista la sua tossicità il più comunemente usato è il MMF.
-Sono stati creati anche anticorpi che uccidono o inibiscono i linfociti T ad esempio OKT3 si lega al CD3 oppure un'altro
riconosce e blocca la subunità CD25.
-Ultima via è quella di bloccare le vie costimolatorie dei linfociti T ad esempio con CTLA-4 solubile o con bloccanti di
CD28.
In associazione ai farmaci T bloccanti sono regolarmente usati farmaci antinfiammatori tra cui i potenti sono i
corticosteroidi,i quali agiscono bloccando la sintesi e la secrezione di citochine soprattutto TNF e IL-1.
Ovviamente l'immunosoppressione prolungata richiesta per una sopravvivenza a lungo termine d un trapianto aumenterà
molto la suscettibilità a infezioni virali e quindi a tumori virali.Per questa ragione a soggetti trapiantati vengono
somministrate terapie antivirali come profilassi.In soggetti trapiantati,i linfomi a cellule B e a cellule della cute sono i più 80
frequenti.
16.4 Trapianti
Il trapianto xenogeno rappresenterebbe un importantissimo serbatoio vista la scarsità di donatori di trapianti. Tuttavia uno dei
principali ostacoli per l'utilizzo di tali trapianti proviene dalla presentza di anticorpi naturali che mediano il rigetto iperacuto
indirizzati verso determinanti carboidratici espressi sulle cellule di specie non concordanti.Per l'uomo ad esempio un
trapianto di organi di scimpanzè risulterebbe poco immunogenico tuttavia l'ostacolo qui è rappresentato dalle grosse diversità
anatomiche.La miglior compatibilità anatomica si ha con il maiale che risulta cosi
l'animale prediletto per gli xenotrapianti.Nel caso di xenotrapianti si osserva lo stesso rigetto iperacuto che si osserva negli
allotrapianti.
Un particolare tipo di trapianto è quello della trasfusione sanguigna.In questo caso bisogna fare particolarmente attenzione
alla compatibilità ABO.Questi antigeni ABO sono presenti su tutte le cellule compresi i globuli rossi.Una trasfusione di
sangue non compatibile provoca lisi dei globuli rossi estranei che comporta comparsa di reazioni trasfusionali che possono
essere letali per il paziente.Un'esempio è la presenza di emoglobina libera che causa grossi danni renali.
Di particolare rilevanza infine il trapianto di midollo osseo in quanto l'unico che possa essere effettuato in vivo.Esso consiste
nel trapianto di cellule staminali pluripotenti attraverso inoculo di cellule raccolte per aspirazione dal midollo osseo.
Questo trapianto è particolarmente utile per correggere deficit del sistema ematopoietico o immunitario;oppure per
correggere deficit o anomalie ereditarie in enzimi o proteine.
Prima di effettuare tale trapianto è necessario sopprimere il più possibile le difese immunitarie dell'ospite.Di particolare
rischio è l'insorgenza del cosiddetto GVHD che consiste nella reazione dei linfociti T maturi contenuti nell'inoculo contro gli
alloantigeni del paziente.Si presenta in quanto il paziente essendo immunocompromesso non è in grado di rigettare tali
cellule che dunque possono svolgere questa azione di distruzione.Si può assistere a una GVHD acuta caratterizzata dalla
morte di cellule epiteliali epatiche ,di cute e del tratto gastrointestinale che può essere letale;oppure di GVHD cronica in cui
si ha fibrosi e atrofia di questi stessi organi senza apparente morte cellulare che comunque nella forma più grave può anche
essa essere fatale.Per questo motivo si cerca di eliminare ogni forma di linfociti T maturi dall'inoculo.
Questa reazione distruttiva è tuttavia utilizzata anche nella cura di neoplasie del midollo osseo(leucemie) e di tumori solidi
disseminati sfruttando questi linfociti T estranei per uccidere le cellule proliferanti anomale.I riceventi di trapianto di midollo
osseo sono spesso accompagnati da immunodeficeza clinica probabilmente dovuta alle tecniche preparatorie al trapianto.
Alcuni antigeni tumorali sono il risultato di una mutazione di geni normali che vanno quindi a esprimere proteine
oncogeniche.
Possono essere il risultato di mutazioni a carico di proto-oncogeni o geni oncosoppressori come le proteine Ras,p53,Bcr-
Abl.Tali proteine se alterate non riescono più a controllare il ciclo cellulare e vengono processate ed esposte associate a
MHC1 oppure l'intera cellula può essere fagocitata ed gli antigeni esposti d MHC2.
Gli antigeni tumorali possono essere il risultato anche di mutazioni casuali a carico di geni non implicati nel controllo del
ciclo cellulare.Le dimostrazioni sono state che cellule trattate con cancerogeni identici sviluppavano tumori diversi
esprimenti antigeni diversi. Vuol dire che il cancerogeno va a modificare casualmente geni.Le proteine risultanti vengono
sintetizzate nel citosol e presentate mediante molecole MHC di classe 1 alle CTL.
Antigeni sviluppati in seguito a trapianto di tumori indotti da cancerogeni sono detti TSTA.In seguito a somministrazione di
tali cellule in topi che avevano gia sviluppato quel tumore e che era stato espiantao,si assisteva alla mancata comparsa
nuovamente di tumore. Ugualmente se si impiantavano i linfociti TCD8 derivati da un topo portatore di tumore in un altro
portatore dello stesso,si assisteva all'annientamento del tumore. Questa è la prima dimostrazione dell'esistenza dell'immunità
anti tumorale,oltre che un utile strumento per la lotta ai tumori mediante creazione di cloni CD8 specifici.
Alcuni antigeni tumorali sono proteine normali,normalmente espresse a bassi livelli o addirittura non espresse che in cellule
tumorali sono invece espresse in modo anomalo.Ricordiamoci sempre che non sono queste proteine a indurre il tumore o
rappresentarne meccanismo effettivo,sono solo un risultato di mutazioni che hanno portato poi alla trasformazione tumorale
e che vengono utilizzate dal sistema immunitario come segnali di neoplasia.
Dunque una di queste proteine normalmente espressa a bassi livelli è la tirosinasi.Cloni di linfociti
T ottenuti da pazienti con melanoma riconoscono peptidi derivati dalla tirosinasi.
Il fatto che tali linfociti rispondano a un antigene self senza venire eliminato dalla selezione negativa o esserne indotto
tollerante è dato dal fatto che tale antigene in condizioni fisiologiche è espresso talmente poco e talmente poche cellule da
non essere nemeno riconosciuta dal sistema immunitario e da non indurre tolleranza.
Altre proteine espresse dalle cellule tumorali sono risultato di geni normamente silenti,che però nelle cellule tumorali
vengono attivati senza comunque modificazioni della sequenza.Quindi sono proteine appartenenti al patrimonio di cellule
normali.
I prodotti dei virus oncogeni si comportano da antigeni ed evocano risposte immunitarie.In quetso caso molte delle proteine
che fungono da antigene svolgono anche un ruolo cruciale nella immortalizzazione della cellula.Molti virus sono implicati
nello sviluppo di una serie di tumori nell'uomo. Es Epstein -Bar o Papiloma virus.Le proteine antigeniche codificate dal Dna
virale vengono processate e presentate da Mhc di classe1.L'immunosorveglianza agisce in questo caso uccidendo le cellule
infettate.
Epstein-Barr virus:virus che appartiene alla famiglia degli herpes virus e che infetta i linfociti B causandone una
incontrollata replicazione.é trasmesso tramite saliva ed è ubiquitario nella popolazione mondiale.Esistono due tipi di
inbfezione:litica e latente.La prima è caratterizzata dalla lisi della cellula infettata mentre la seconda no.Molti antigeni
espressi dal Dna virale sono rilevati dal sistema immunitario.Vi sono 6 antigeni nucleari detti EBNA,due espressi sulla
membrana detti LMP,e altri espressi all'interno della cellula detti VCA.Alcuni di questi sono cruciali per la
immortalizzazione delle celulle colpite.L'infezione da EBV è uno dei fattori eziologici nello sviluppo di tumori maligni
come ad esempio il linfoma di Burkit. In soggetti giovani e sani si sviluppa la mononucleosi infettiva che poi rimrrà latente
per tutta la vita. Sono state stabilizzate in vitro linee cellulari di CTL in grado di lisare cellule infettate da EBV.La
mutazione alla base del
linfoma di Burkitt è la traslocazione del gene MYC al locus per le Ig portandone a una produzione e trascrizione
sregolata.Tuttavia in alcuni casi è sufficiente la semplice trascrizione del genoma virale senza ulteriori traslocazione per
l'insorgenza del tumore. Ovviamente deficit immunitari come malaria o HIV costituiscono un importante legame tra
l'infezione da EBV e l'insorgenza di tumore.
Antigeni oncofetali.
82
Gli antigeni oncofetali sono proteine altamente espresse dalle cellule fetali in via di sviluppo assenti poi nei tessuti adulti.Si
ritiene che i geni corrispondenti vengano repressi durante lo sviluppo ma durante la trasformazione maligna vengano
riattivati.Tali antigeni sono infatti espressi in cellule neoplastiche.C'è da puntualizzare che essi sono anche normalmente
presenti in alcuni tessuti adulti.
I due antigeni meglio caratterizzati sono CEA eAFP.CEA fa parte della famiglie delle Ig ed è espressa sulla membtana
cellulare in molti carcinomi di colon,pancreas,stomaco e mammella.AFP è una proteina solubile normalmente non presente
nel siero che invece è presente in tumori epatici o gastrici.
La maggior parte dei tumori esprime livelli elevati di glicoproteine o glicolipidi anomali.Queste forme alterate costituiscono
importanti fattori neoplastici essendo essenziali per invasione e metastasi neoplastica.Anticorpi monoclali utilizzati in
terapia ha come bersaglio proprio tali antigeni.Tra i principali glicolipidi alterati vi sono GM2,GD2,GD3.Tra le
glicoproteine abbiamo le mucine alterate in cui le catene laterali sono modificate a casua della modificazione degli enzimi
che le sintetizzano.
Molecole normalmente presenti sulle cellule di origine che permangono anche nelle cellule differenziate.
17.2.1Risposta innata
Cellule NK:sebbene il loro ruolo in vivo non sia stato ancora ben chiarito in vitro è stato dimostrato che queste sono in
grado di uccidere molti tipi di cellule tumorali,in particolare quelle cellule che non presentano MHC 1 sulla loro superficie e
quindi mancano del segnale inibitorio su NK.Inoltre molte cellule tumorali esprimono altri segnali attivatori delle NK come
MICA,MICB, eULB i
quali vengono riconosciuti dal recettore attivatorio NKG2D espresso sulle NK.L'azione delle NK è fortemente potenziata
in presenza di citochine come IL-2 e IL-12.
Macrofagi:in vitro i macrofagi sono in grado di uccidere numerose cellule tumorali nello stesso modo in cui uccidono i
microrganismi patogeni.La loro attivazione è mediata da IFN-γ.Essi producono inoltre TNF che abbiamo visto
promuovere l'uccisione di cellule tumorali mediante trombosi dei vasi che le irrorano.
-Gli antigeni tumorali possono indurre tolleranza immunologica o perchè sono antigeni self già incontrati che hanno solo
variato frequenza di espressione o perchè tali cellule tumorali riescono a presentarli in forma tollerogenica.
-I linfociti T regolatori ,i quali aumentano in caso di tumore,vanno a inibire l'attività dei linfociti T
tumore-specifici. 83
-Antigeni riconosciuti come tumore-specifici dai linfociti T ,in seguito a mutazioni avvenute nelle numerosissime mitosi
,cessano di essere espressi.Si può inoltre assistere a diminuita espressione di MHC,microglobulina e componenti
dell'apparato di presentazione dell'antigene.
-Mancata espressione di molecole costimolatorie necessarie per attivazione di CD8 e CD4.Vengono a essere indispensabili
le APC che però spesso hanno capacità captative ridotte.
-Cellule tumorali possono sopprimere le risposte tumore-specifiche ad esempio mediante secrezione di TGF-β che abbiamo
visto inibire proliferazione e attivazione di macrofagi e linfociti.Alcuni tumori esprmono inoltre il ligando Fas(FasL) che
riconosce il dominio di morte Fas presente sui linfociti e ne induce l'apoptosi.
Prendiamo in considerazione la prima strada;andiamo a vedere i diversi processi che si possono intraprendere:
-immunizzazione con cellule o antigeni tumorali:Per aiutare il lavoro dei linfociti T si possono somministrare cellule
tumorali uccise o antigeni tumorali quindi entrambi innocui a livello proliferativo per aumentare le risposte
immunitarie.Ultimamente si procede anche alla somministrazione di APC coltivate in vitro con l'antigene tumore-specifico
che rendono la presentazione ancor più efficace.Altra tecnica innovativa è la somministrazione di vaccini a Dna,ovvero
plasmidi contenenti Dna complementare a quello virale oncogeno che codifica quindi per gli stessi antigeni tumorali senza
pero stimolare proliferazione e immortalizzazione.
Tuttavia tali vaccini sono particolarmente utili nella prevenzione dei tumori, ma ancora spesso incapaci di stimolare una
risposta immunitaria abbastanza potente da eradicare il tumore gia espanso.
-potenziamento dell'immunità anti-tumorale con citochine e costimolanti:vista la difficoltà di attivazione dei linfociti T
durante il tumore si procede alla stimolazione dei linfociti tumore- specifici mediante fornitura di citochine sia per infusione
diretta che indirettamente mediante trasfettazione di geni codificanti citochine nelle cellule tumorali per indirizzare gli effetti
del sistema immunitario.L'altro meccanismo è quello di trasfettare i geni codificanti le molecole costimolatorie mancanti
,necessarie all'attivazione dei linfociti T.
Le citochine maggiormente utilizzate sono IL-2eIL-12(stimola CTL e NK),IFN-γ,TNF e soprattutto
GM-CSF.
-blocco dei circuiti inibitori:bloccando soprattutto CTLA-4 che normalmente inibisce le risposte immunitarie,tuttavia si
osservano spesso sviluppi di risposte autoimmuni poiché CTLA-4 è coinvolto nel mantenimento alla tolleranza al self
-stimolazione aspecifica del sistema immunitario:somministrazione soprattutto topica di sostanze infiammatorie o agenti che
funzionano come attivatori poloclonali dei linfociti. Molti batteri svolgono bene questo ruolo in particolare il bacillo
BCG.Anche anticorpi verso CD3 sono in grado di attivare ottimamente i linfociti T.
Il secondo meccanismo consiste nel somministrare direttamente linfociti T o anticorpi al paziente attuando una cosiddetta
immunoterapia passiva.
-Terapia cellulare adottiva:trasferimento di leucociti tumore-specifici in pazienti affetti da tumori.Le cellule trasferite
vengono ottenute a partire da cellule del paziente principalmente provenienti da due fonti: leucociti circolanti detti LAK
coltivati ad alte concentrazioni di IL-2 e reimpiantati oppure leucociti provenienti dall'infiltrato infiammatorio detti TIL.
-Effetto Graft versus leukemia(GVF):in pazienti affetti da leucemia vengono impiantati leucociti provenienti da un donatore
che siano alloreattivi nei confronti delle molecole MHC del ricevente quindi anche delle cellule tumorali.
-Terapia con anticorpi tumore-specifici:Gli anticorpi monoclonali possono eliminare le cellule tumorali con gli stessi
meccanismi usati per eliminare i microrganismi,quindi opsonizzazione,attivazione del complemento,fagocitosi e inoltre
possono anche lisare direttamente la cellula tumorale.Tuttavia essendo tali anticorpi derivati da ibridomi di topo spesso si
assisteva alla formazione di anticorpi anti-anticorpo.Si superava tale problema con l'uso di anticorpi umanizzati.Gli anticorpi
vengono spesso accoppiati a molecole tossiche o farmaci anti-tumorali per promuovere il rilascio specifico di questi in 84
corrispondenza delle cellule tumorali. Tali complessi prendono il nome di Immunotossine.Queste iniettate per via sistemica
vengono endocitate dalle cellule tumorali e le tossine vengono liberate. Tuttavia affinchè tale processo funzioni serve una
elevatissima specificità degli anticorpi e si rischia l'attacco delle tossine contro cellule normali. Inoltre possono insorgere
anticorpi anti-tossine che le eliminano prima dell'azione oppure che l'intera immunotossina venga fagocitata da fagociti
presentanti il recettore Fc appropriato.
Specifici anticorpi sono stati creati contro specifici idiotipi delle cellule B senza pero grandi risultati.Altri contro i fattori
VEGFche mediano la formazione di nuovi vasi che alimentino i tumori.
Paradossalmente il sistema immunitario oltre a rappresentare un importante sistema di lotta contro i tumori ne rappresenta
anche una importante fonte.Molti tumori nascono infatti a seguito di processi infiammatori cronici ,angiogenesi e
rimodellamento tissutale mediati proprio dall'immunità innata.
Ipersensibilità Causa
Tipo I (Immediata) IgE
Tipo II Anticorpi
Tipo III Immunocomplessi
Tipo IV Linfociti T
Molte delle patologie da ipersensibilità sono mediate dai TH 1: i linfociti T causano direttamente
l’infi- ammazione o stimolano la produzione di anticorpi che danneggiano i tessuti e quindi li
infiammano. Per contrasto le reazioni allergiche (ipersensibilità immediata) sono prototipi di
patologie TH 2 mediate nelle quali il linfocita T stimola la produzione di anticorpi di tipo IgE.
Nelle patologie dovute alla formazione e al deposito di complessi si nota che il quadro riflette il
sito di formazione del complesso e non l’antigene: queste patologie sono dunque spesso sistemiche
e non presentano particolare specificità tissutale o d’organo. I complessi antigene-anticorpo sono
prodotti costantemente durante le normali risposte immunitarie, diventano causa di malattia solo
quando sono prodotti in quantità eccessive, non vengono eliminati e si accumulano nei tessuti. I
capillari renali
sono tra i siti più comuni di deposito degli immunocomplessi per via della loro funzione di filtrazione. Il
deposito sulle pareti dei vasi porta ad infiammazione mediata sia dal complemento che dalle varie cel-
lule che riconoscono il frammento Fc; molte malattie immunologiche sistemiche hanno questo aspetto
alla base, il prototipo è il lupus erimatoso sistemico. Le manifestazioni cliniche di questa patologia
includono glomerulonefrite ed artrite che sono da attribuire alla formazione di immunocomplessi tra
DNA self o nucleoproteine e anticorpi specifici.
Malattie causate da ipersensibilità Nelle reazioni di ipersensibilità il danno tissutale deriva dai
prodotti dei macrofagi attivati, quali enzimi lisosomiali, ROS, NO e citochine infiammatorie. Reazioni
croniche di questo tipo spesso producono fibrosi per via della secrezione di citochine e di fattori di
crescita. Molte patologie autoimmuni organo specifiche sono causate da reazioni di ipersensibilità
indotte dai linfociti T autoreattivi, tra le più importanti:
1. Il diabete mellito di tipo 1 è dovuto alla presenza di linfociti e macrofagi intorno alle isole del
Langerhans i quali distruggono le cellule β produttrici di insulina.
2. La sclerosi multipla è dovuta all’azione di linfociti T C D4+ sotto gruppo TH 1/TH 17 che reagiscono
ad antigeni self della mielina nel SNC.
3. L’artrite reumatoide è probabilmente1 legata a linfociti T che riconoscono il collagene delle
cartilagini.
Le risposte immunitarie cellulomediate possono portare a danno tissutale al sito di infezione: è il caso
della tubercolosi, in cui le risposte dei linfociti T e dei macrofagi risultano in fibrosi e infiammazione
del parenchima polmonare con conseguente perdita di funzionalità.
Malattie causate da linfociti T citotossici I linfociti citotossici possono danneggiare i tessuti ucci-
dendo cellule infette il cui virus non avrebbe effetti citopatici. Alcuni virus danneggiano direttamente le
cellule infette e vengono definiti citopatici, altri sono innocui all’ospite e vengono definiti non citopati-
ci. I linfociti non possono riconoscere a priori la categoria cui appartiene un virus e quindi uccidono
anche le cellule infettate da patogeni non citopatici. Alcune forme di epatite nell’uomo sono dovute a
questo tipo di meccanismo.
• I fattori principlai che contribuiscono allo sviluppo dell’autoimmunità sono la suscettibilità ge-
netica e gli eventi scatenanti ambientali, quali le infezioni.
• Le reazioni autoimmuni verso un antigene che danneggiano i tessuti possono risultare nell’alter -
azione degli antigeni di quel tessuto e quindi nell’attivazione di altri linfociti: è il fenomeno della
diffusione dell’epitopo. Questo meccanismo spiega come mai le malattie autoimmuni siano
spesso croniche e progressive.
• L’associazione di una patologia all’HLA può essere identificata mappando un locus, ma l’associ-
azione reale potrebbe esserci con alleli linked a quello mappato e ereditati insieme. Ad esempio
un soggetto con un particolare allele HLA-DR potrebbe avere una maggior probabilità di ereditare
un particolare allele HLA-DQ: si tratta degli effetti del linkage disequilibrium.
• In molte patologie autoimmuni le molecole di HLA associate a malattia differiscono da quelle sane
nelle sedi di legame al peptide: questo conferma il concetto che le molecole MHC influenzano
l’autoimmunità controllando la selezione e l’attivazione dei linfociti T.
• Sequenze associate a patologia di HLA sono riscontrabili in individui sani: l’espressione di un
certo gene HLA non è dunque mai causa da sola di malattia, ma è solo uno dei tanti fattori.
Non sono solo i geni MHC a determinare la suscettibilità genetica all’autoimmunità, ne esistono infatti 87
moltissimi altri esempi:
• Topi KO per CTLA-4, il recettore inibitorio dei linfociti T per B7, sviluppano autoimmunità fa-
tali con distruzione di cuore, pancreas ed altri organi. CTLA-4 normalmente induce e mantiene
l’anergia dei linfociti T agli antigeni self, se questa funzione viene compromessa si ha la patologia.
• Mutazioni nel gene AIRE portano nell’uomo alla sindrome autoimmune poliendocrina, carat-
terizzata da distruzione di parecchi organi endocrini. AIRE è richiesta per la presentazione di
proteine tessuto-specifiche sulle cellule epiteliali del timo, quindi per la selezione negativa dei
linfociti T autoreattivi.
• Topi mancanti di IL-2 (o del recettore) sviluppano splenomegalia, linfadenopatia, anemia
emolitica autoimmune e autoanticorpi anti DNA perchè mancano di cellule T regolatrici:
queste cellule necessitano di questa citochina per sopravvivere e funzionare.
Ruolo delle infezioni Nei pazienti lo scatenarsi delle malattie autoimmuni è spesso associato o
pre- ceduto da infezioni. Nella maggior parte dei casi i microorganismi infettanti non sono presenti
nelle infezioni o in generale quando si scatena l’autoimmunità: non sono dunque responsabili
direttamente e la patologia è solamente il risultato delle risposte immunitarie scatenate o disturbate
dal patogeno. I principali meccanismi di promozione autoimmune delle infezioni sono:
1. Induzione di risposte innate locali che richiamano leucociti e attivano le APC: queste
secernono citochine attivanti i linfociti T. L’infezione finisce dunque per scatenare l’attivazione
di linfociti T non specifici per il patogeno infettante.
2. I microbi infettanti possono contenere antigeni crossreattivi, cioè simili agli antigeni self: il
patogeno mima dunque antigeni dell’host. Esempio di questa strategia è la febbre reumatica
derivante dalle infezioni da streptococco: si formano anticorpi anti streptococco che reagiscono
anche a proteine del miocardio.
3. I microbi possono attivare i TLR delle cellule dendritiche, portando a produzione di citochine, o
i linfociti B autoreattivi, portando alla formazione di autoanticorpi.
Altri fattori Alterazioni anatomiche, a causa di infezioni, ischemie o traumi, possono esporre
antigeni self normalmente nascosti: esempi sono le proteine intraoculari o lo sperma. Gli ormoni
possono inoltre avere un qualche ruolo: molte malattie autoimmuni mostrano un’incidenza
maggiore nelle donne, anche se non si sa esattamente il motivo.
– Esposizione all’antigene
88
– Attivazione dei TH 2 e dei linfociti B antigene specifici
– Produzione di IgE
– Legame delle IgE ai recettori Fc di mastociti e basofili (sensibilizzazione)
– Attivazione dei mastociti per successiva esposizione allo stesso antigene
– Rilascio dei mediatori e manifestazione patologica
• Gli antigeni che scatenano l’ipersensibilità, detti allergeni, sono proteine ambientali o molecole
comuni.
• Le reazioni si manifestano in modi diversi, tra i quali le allergie della cute e delle mucose, le
allergie alimentari, l’asma e l’anafilassi sistemica. Nella forma sistemica più estrema, l’anafilassi,
i mediatori derivati dai mastociti possono restringere le vie aeree al punto di portare a morte per
asfissia.
Natura degli allergeni Gli antigeni che stimolano le risposte di ipersensibilità immediata sono pro-
teine o molecole legate a proteine alle quali l’individuo allergico è cronicamente esposto. Due sono le
caratteristiche importanti degli allergeni:
• Esposizione cronica
Attivazione dei TH2 Le cellule dendritiche epiteliali catturano gli allergeni trasportandoli ai linfonodi
dove vengono presentati ai linfociti T naive che differenziano in cellule T effettrici del sottogruppo TH 2.
Le cellule TH 2 differenziate promuovono lo switch ad IgE soprattutto tramite la secrezione di IL-4 ed IL-
13. Queste cellule sono coinvolte anche in altri aspetti della risposta immediata; l’IL-5 secreta attiva gli
eosinofili mentre IL-13 oltre allo switch stimola le cellule epiteliali (ad esempio delle vie aeree) a produrre
più muco. Oltre a stimolare la produzione di IgE, le cellule TH 2 contribuiscono all’infiammazione della
reazione tardiva: vengono infatti accumulate ai siti di infezione in risposta alle chemochine in quanto
esprimono i recettori CCR4 e CCR3.
89
Attivazione dei linfociti B e switch I linfociti B specifici per gli allergeni vengono attivati dalle cellule
TH 2 sotto l’influenza di CD40L e di altre citochine, soprattutto IL-4: si ha a questo punto anche lo
switch all’isotipo IgE (quindi catena pesante ε). Le IgE allergene-specifiche prodotte dai linfociti B
entrano in circolo e si legano ai recettori Fc dei mastociti tissutali che diventano così sensibili e pronti
a reagire ad un secondo incontro con l’antigene.
Ammine biogene Nei mastociti umani il principale mediatore di questa famiglia è l’istamina. L’is-
tamina agisce legandosi a recettori sulle cellule bersaglio; differenti tipi cellulari esprimono recettori
diversi (H1, H2, H3) riconoscibili per la loro risposta farmacologica. Le azioni legate all’istamina sono
di breve durata perchè questa viene rimossa da un sistema di trasporto ammina-specifico. L’istamina
inizia una serie di eventi intracellulari come la rottura di P I P2 a I P3 e DAG. Il legame di questa ammi-
na alle cellule dell’endotelio ne causa contrazione con conseguente aumento degli spazi endoteliali,
aumento della permeabilità vascolare e fuoriuscita di plasma verso i tessuti. L’istamina stimola
inoltre le cellule endoteliali a sintetizzare miorilassanti e vasodilatatori quali la prostaciclina o l’ossido
nitrico e quindi causa vasodilatazione. L’istamina infine causa costrizione della muscolatura liscia in-
testinale e bronchiale. La broncocostrizione nell’asma è però più prolungata degli effetti dell’istamina,
suggerendo che altri mediatori siano importanti in alcune forme di ipersensibilità immediata.
Enzimi granulari e proteoglicani Le serine proteasi neutre, tra le quali triptasi e chimasi [?],
sono i costituenti più abbondanti dei granuli dei mastociti e contribuiscono ai danni tissutali. La
triptasi in particolare si sa essere presente esclusivamente nei mastociti e il suo ritrovamento è segno
di attivazione di queste cellule. In vitro questo enzima spezza il fibrinogeno ed attiva la collagenasi. 91
I proteoglicani, tra i quali eparina e condroitin solfato, sono altri importanti contenuti dei granuli.
Queste molecole sono contenute in associazione agli altri enzimi: i vari mediatori sono rilasciati dai
proteoglicani a diverse velocità e quindi queste molecole controllano la cinetica delle reazioni di
ipersensibilità immediata.
Mediatori lipidici Il più importante mediatore derivato dall’acido arachidonico lungo la via delle ci-
cloossigenasi è la prostaglandina D2 : questa molecola agisce come vasodilatatore e broncocostrittore
ma promuove anche la chemotassi e l’accumulo dei neutrofili ai siti infiammatori. La sintesi di questa
prostaglandina può essere evitata bloccando la cicloossigenasi con aspirina o altri FANS.
I più importanti mediatori derivati dall’acido arachidonico lungo la via delle lipoossigenasi sono
i leucotrieni, in particolare LT C4 e i suoi prodotti di degradazione LT D4 e LT E4 . Queste molecole
legano recettori specifici sulle cellule muscolari lisce e causano una broncocostrizione prolungata.
Un terzo tipo di mediatore lipidico prodotto nei mastociti è il fattore attivante le piastrine (PAF) che
ha effetti di broncocostrizione diretta: le sue azioni biologiche sono però limitate perchè viene degradato
per via enzimatica.
Citochine Le citochine prodotte dai mastociti e dai basofili sono TNF, IL-1, IL-4, IL-5, IL-6, IL-13
MIP-1α e MIP-1β. Queste molecole sono responsabili soprattutto della fase tardiva della reazione.
Il NTF attiva l’espressione endoteliale di molecole di adesione e, insieme alle chemochine, giustifica
l’infiltrazione di neutrofili e monociti.
Gli eosinofili sono abbondanti negli infiltrati infiammatori della fase tardiva e contribuiscono a molti
processi patologici. Le citochine prodotte dai linfociti TH 2 promuovono l’attivazione di queste cellule e
il loro reclutamento: in particolare IL-5 è un forte attivatore e migliora la capacità degli eosinofili di
rilasciare i loro granuli. Gli eosinofili legano le cellule endoteliali che esprimono la selectina-E e il
ligando per l’integrina VLA-4. Il reclutamento ai siti infiammatori dipende inoltre dalla chemochina
CCL11 prodotta dalle cellule epiteliali che si lega al recettore CCR3. I contenuti dei granuli degli
eosinofili contengono idrolasi specifiche così come proteine particolarmente tossiche agli elminti, tra
le quali la proteina basica principale. Gli eosinofili attivati producono inoltre mediatori lipidici tra i
quali PAF, prostaglandine e leucotrieni.
Anafilassi sistemica L’anafilassi è caratterizzata da edema in molti tessuti e crollo della pressione
sanguigna a causa della vasodilatazione. Gli allergeni attivano i mastociti in molti tessuti, e i mediatori
guadagnano così accesso al letto vascolare. Il calo del tono vascolare e la fuga di plasma risultano in
cun crollo pressorio che porta a shock anafilattico spesso fatale. Gli effetti cardiovascolari sono accom-
pagnati da costrizione delle vie aeree, edema laringeo, ipermotilità intestinale e orticaria. Il trattamento
d’elezione è l’epinefrina sistemica, che contrasta gli effetto broncocostrittori e vasodilatatori.
Asma bronchiale L’asma è una patologia infiammatoria causata da ripetute ipersensibilità immediate
e tardive nel polmone. Circa il 70% dei casi è dovuto all’ipersensibilità immediata IgE mediata mentre
il 30% ha altre cause a volte scatenate da stimoli non immunitari. Gli eventi patofisiologici dell’asma
sono legati alle citochine prodotte da mastociti ed eosinofili che costringono le vie aeree. La terapia ha
al momento due bersagli: l’infiammazione e il rilassamento della muscolatura liscia dei bronchi.
Allergie cutanee Le due manifestazioni evidenti sono orticaria ed eczema. L’orticaria, essenzialmente
una reazione pomfoide acuta, può persistere per ore.
In immunologia clinica spesso si prova a limitare l’instaurarsi di reazioni allergiche con trattamenti
che riducono la quantità di IgE nel soggetto. Un approccio, la desensibilizzazione, prevede la ripetuta
esposizione a limitate quantità di antigene per via sottocutanea: il risultato empirico è l’aumento del
titolo di IgG e la diminuzione del titolo di IgE. Questo tipo di approccio è usato per la prevenzione di
reazioni anafilattiche acute (ad esempio veleni) o per poter somministrare farmaci vitali (ad esempio
pennicillina).
Capitolo 20. Immunodeficienze congenite ed acquisite
Le immunodeficienze si dividono in due grandi categorie. Le immunodeficienze congenite o primi-
tive sono il risultato di difetti genetici e conferiscono un’aumentata sensibilità alle infezioni; queste
patologie si manifestano precocemente ma occasionalmente danno manifestazione clinica in età più
avanzata. Le immunodeficienze secondarie o acquisite si sviluppano a seguito di malnutrizione,
cancro, uso di farmaci immunosoppressivi o infezioni delle cellule del sistema immunitario (da
HIV in primis). Le caratteristiche generali delle immunodeficienze sono:
• Aumento della sensibilità alle infezioni. Difetti nell’immunità umorale espongono a rischio di
infezioni batteriche, mentre difetti in quella cellulo mediata espongono a rischio di infezioni virali
o da parte di batteri intracellulari.
• Aumento del rischio di cancro. Molte delle neoplasie che insorgono in queste condizioni sono 93
dovute a virus oncogeni, ad esempio il virus di Epstein-Barr.
• Le immunodeficienze possono insorgere sia per difetti nella maturazione/attivazione dei linfociti
che per difetti nei meccanismi effettori di immunità innata o adattativa.
• Le anormalità nella maturazione e nella funzione dei linfociti T portano a immunità cellulo-mediata
carente e aumento del rischio di infezioni intracellulari. Queste patologie sono identificate tramite:
Malattia granulomatosa cronica La malattia granulomatosa cronica è una malattia rara [1 : 106 ]
della quale i due terzi dei casi presenta uno schema di ereditarietà di tipo X-linked recessivo. La
patologia è causata da mutazioni nei componenti del complesso enzimatico dell’ossidasi fagocitica.
La forma più comune è causata da una mutazione codificante la subunità alfa del citocromo b558 :
questa mutazione porta a difetti nella produzione di superossidi, cioè i ROS responsabili dell’attività
microbicida del fagocita. La mancanza di superossidi rende i fagociti incapaci di uccidere i microbi
fagocitati: si hanno infezioni ricorrenti di funghi e batteri a partire dalla prima infanzia. Le infezioni non
vengono controllate dai fagociti e quindi stimolano risposte immunitarie cellulomediate croniche
che portano a formazione di granulomi di macrofagi attivati. La patologia è spesso fatale anche se
vengono adottate forti terapie antibiotiche. L’interferone gamma stimola la trascrizione del gene phox-
91 e di altri componenti del complesso dell’ossidasi: se la produzione viene ripristinata ad un valore di
circa il 10% del normale si ha già un grande miglioramento nella resistenza alle infezioni; l’interferone
gamma è la terapia di elezione per questo tipo di patologia.
Difetti ereditari nei pathway del TLR e della segnalazione di NF-κB Alcune immunodeficienze sono
causate da difetti nelle vie di segnalazione a valle dei TLR. Mutazioni nell’inibitore della κB chinasi γ
, detto anche NEMO, contribuiscono alla condizione X-linked recessiva detta displasia ectodermica
anidrotica con immunodeficienza (zumpapà zumpapà). NEMO è fondamentale per l’attivazione di
NF-κB, se viene compromesso la differenziazione delle strutture di derivazione ectodermica è anormale
e le funzioni immunitarie ne escono danneggiate. Questi pazienti soffrono di infezioni da parte di batteri
piogeni capsulati, così come di patogeni intracellulari.
Difetti nei recettori per le citochine: X-linked Circa il 50% dei casi di SCID è X-linked e dovuto
a mutazioni nel gene codificante la catena γ comune condivisa dai recettori per le interleuchine IL-2,
IL4, IL-7, IL-9 e IL-15. Queste condizioni sono caratterizzate da problemi alla maturazione dei linfociti
T e delle NK senza cali nel numero dei linfociti B: il problema all’immunità umorale è dunque legato
solamente agli helper. La patologia è dovuta all’incapacità della citochina IL-7 di stimolare la crescita
dei timociti immaturi, e all’incapacità della citochina IL-15 di far proliferare le cellule NK.
Difetti nei recettori per le citochine: autosomiche Alcuni pazienti con un quadro patologico uguale
alle SCID X-linked mostrano ereditarietà autosomica recessiva. Le mutazioni si hanno a carico della
catena α del recettore per IL-7.
Difetti nel riciclo delle purine Circa il 50% dei casi di SCID mostra eredità autosomica recessiva, e
molti di questi casi sono legati a difetti nell’enzima adenosina deaminasi (ADA), che ha ruolo nel riciclo
delle purine. L’enzima catalizza la deaminazione dell’adenosina a 2’-deossiadenosina e dell’inosina a
2’-deossiadenosina. Il difetto porta all’accumulo di deossiadenosina e dei suoi precursori che hanno
molti effetti tossici, tra i quali l’inibizione della sintesi di DNA. I linfociti in fase di sviluppo sono
meno efficienti delle altre cellule nel degradare dATP a 2-deossiadenosina e quindi sono particolarmente
sensibili alla carenza di ADA. Una forma più rara di SCID è dovuta alla carenza di un altro enzima, la
purina nucleoside fosforilasi (PNP), anch’esso coinvolto nel catabolismo delle purine. PNP catalizza
la conversione dell’inosina in ipoxantina e della guanosina a guanina: il difetto porta ad accumulo di
deossiguanosina e deossiguanina con effetti tossici sui linfociti immaturi, soprattutto i T.
Difetti nella ricombinazione V(D)J Mutazioni nei geni RAG1, RAG2 o ARTEMIS rappresentano la
causa di un gran numero di forme autosomiche recessive di SCID. Mutazioni ipomorfiche in questi geni
portano a condizioni di ristretta generazione di linfociti B e T, immunodeficienze e autoimmunità, come
nella sindrome di Omenn.
Difetti nel checkpoint pre-TCR Rare forme di SCID sono state collegate a mutazioni nei geni codif- 95
icanti CD45 e le catene δ o ε di CD3. Un’altra forma rara è causata dalla mutazione del gene Orai1,
componente dei canali CRAC. L’attivazione dei recettori per l’antigene, così come dei recettori pre-
antigenici porta all’attivazione dell’isoforma γ della fosfolipasi C (PLCγ )e al rilascio I P3 dipendente
di calcio dal RE e dai mitocondri. Il rilascio di calcio è compensato dai canali CRAC che facilitano il
flusso di calcio dal pool extracellulare e questo processo è cruciale per l’attivazione linfocitaria.
Difetti nello sviluppo del timo: sindrome di DiGeorge Il difetto congenito si mostra come ipoplasia
o agenesi del timo e porta a difetti nella maturazione dei linfociti T, ad assenza delle ghiandole
paratiroidi (quindi anormale omeostasi del calcio e tetania) e sviluppo anomalo di volto e grandi
vasi. La patologia è causata da una delezione nel cromosoma 22q11.2. L’immunodeficienza può
essere spiegata a causa della delezione del gene TBX1 che mappa in quella regione. In questa sindrome
i linfociti T nel sangue periferico sono assenti o molto ridotti e le cellule non rispondono agli attivatori
policlonali. L’immunodeficienza può essere corretta con trapianto di timo fetale o di midollo osseo
ma normalmente non è necessaria perchè la funzionalità immunitaria tende a migliorare con gli anni.
Le ragioni del miglioramento spontaneo possono essere la presenza di tessuto timico ectopico o
l’esistenza di una sede extratimica di maturazione linfocitaria ancora non scoperta.
Deficienze selettive di isotipi di Ig La più comune è la deficienza selettiva di IgA [1 : 700] che è
inoltre la più comune immunodeficienza primaria conosciuta. Le caratteristiche cliniche sono variabili.
Molti pazienti sono normali, altri hanno infezioni occasionali e diarrea, altri hanno gravi infezioni con
danno permanente ad intestino e vie aeree. Il difetto in questi pazienti è il blocco nella differenziazione
delle cellule B a plasmacellule secernenti IgA. I geni delle catene pesanti alfa e l’espressione delle IgA
di membrana sono normali. In una piccola porzione di pazienti le mutazioni sono state individuate in
TACI, uno dei tre tipi di recettore per le citochine BAFF ed APRIL.
Le deficienze selettive delle sottoclassi di IgG sono patologie in cui il titolo delle IgG è normale
ma le concentrazioni di una o più sottoclassi sono sotto la norma. La deficienza delle IgG3 è la più
comune negli adulti, delle IgG2 nei bambini. Alcuni individui presentano infezioni batteriche ricorrenti
ma la maggior parte non ha problemi clinici.
Sindromi iper-IgM La sindrome iper-IgM X-Linked è un raro disordine associato con il difetto
dello switch verso gli isotipi IgA ed IgG; questi isotipi sono dunque carenti nel sangue e si ha 96
compensazione da parte delle IgM. Il difetto è causato da mutazioni nel gene che codifica CD40L: le
forme mutate non stimolano i linfociti B a subire lo switch. I pazienti affetti mostrano anche difetti
nell’immunità cellulo mediata e un’enorme sensibilità alle infezioni da parte del fungo Pneumocystis
jiroveci.
Rari casi di sindrome iper -IgM mostrano ereditarietà autosomica dominante. In questi casi il
difetto può essere in CD40 o in AID, l’enzima coinvolto nello switching della catena pesante.
Difetti nell’espressione di MHC I Sono state descritte anche deficienze autosomiche recessive di
MHC I associate a riduzione di funzionalità e numero di linfociti T C D8+ . In alcuni casi la patologia è
dovuta a mtuazioni nei geni codificanti le subunità TAP-1 e TAP2 del complesso TAP responsabile del
traffico di peptidi dal citosol al RE. I pazienti privi di TAP mostrano poche molecole MHC I e soffrono
soprattutto di infezioni del tratto respiratorio ma non di infezioni virali, dato discordante considerato
che la principale funzione dei linfociti citotossici è la difesa dai virus.
Difetti nella trasduzione del TCR Esempi comprendono la limitata espressione o funzionalità del
complesso TCR a causa di mutazioni nei geni CD3 ε e γ, oppure la segnalazione difettosa a causa di
mutazioni nel gene ZAP-70 o ancora la mancata espressione dei recettori IL-2. I pazienti affetti possono
avere deficienze soprattutto nella funzione delle cellule T o avere immunodeficienze miste T e B.
• Interleuchina 1
98
• Chemochine
– Fonti principali: leucociti, cellule endoteliali, epiteliali e fibroblasti. Stimolo da TNF e IL-1.
– Struttura e recettore: le due famiglie più importanti sono le chemochine CC (residui di cis-
teina consecutivi) e le chemochine CXC (residui di cisteina con un residuo interposto). I recet- tori
sono di tipo accoppiato a preoteina G: esistono dieci diversi recettori per le CC (CCR1-10) e sei
per le CXC (CXCR1-6).
– Meccanismo d’azione: attivazione di vari enzimi cellulari che mediano le configurazioni del
citoscheletro e l’affinità delle integrine.
– Attività biologiche:
∗ Reclutamento delle cellule immunitarie ai siti di infezione
∗ Regolazione del traffico linfocitario e leucocitario attraverso gli organi linfoidi periferici
∗ Promozione di angiogenesi e della guarigione delle ferite (soprattutto CXC)
∗ Sviluppo di vari organi non linfatici
• Interleuchina 12
• Interferoni di tipo I
• Interleuchina 10
– IL-6, prodotta da fagociti, cellule endoteliali e fibroblasti, stimola la sintesi delle proteine
di fase acuta e la produzione di neutrofili. Ha ruolo anche nell’immunità adattativa poichè
stimola la crescita dei linfociti B.
– IL-15, prodotta soprattutto dai fagociti, è un importante fattore di crescita e sopravvivenza
per linfociti T e cellule NK.
– IL-18, strutturalmente legata a IL-1, stimola la produzione di IFN-γ da parte dei linfociti
promuovendone il differenziamento a TH 1.
– IL-23 e IL-27 fanno da ponte tra le due immunità.
A.2 Risposta adattativa
100
• Interleuchina 2
• Interleuchina 4
• Interleuchina 5
• Interleuchina 13
• Interferone γ
– Fonti principali: cellule NK, linfociti TH 1 e C D8+ . Stimolo di IL-12 o diretto dai microbi.
– Meccanismo d’azione: via Jak-STAT
– Attività biologiche:
∗ Attivazione dei macrofagi per l’uccisione dei microbi fagocitati (insieme a CD40L)
∗ Promozione della differenziazione a TH 1
∗ Inibizione della differenziazione a TH 2
∗ Promozione dello switch a certi isotipi IgG 101
∗ Inibizione dello switch a IgE
∗ Stimolo dell’espressione di molecole MHC I e MHC II
• TGF-β
• Altre citochine
– Prodotto dalle cellule stromali del midollo, probabilmente serve a rendere le cellule staminali
attive nel ricevere altri stimoli: non promuove la formazione di colonie da solo.
• Interleuchina 7
– Secreta dalle cellule stromali di molti tessuti, stimola la sopravvivenza e l’espansione dei
precursori immaturi delle linee B e T. La mutazione dei geni correlati porta alla patologia
dell’immunodeficienza grave combinata X-Linked (SCID X-linked)
• Interleuchina 3
– Secreta dai linfociti C D4+ agisce sui progenitori midollari promuovendone l’espansione e la
differenziazione in tutti i tipi di cellula.