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Autori
Barbara Belfiori
Dirigente medico, Clinica di Malattie Infettive,
Dipartimento di Medicina, Ospedale Santa Maria
della Misericordia, Perugia
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Presentazione
Ho condiviso il lavoro con la Dr. ssa Barbara Belfiori, che si è occupata per
molto tempo della problematiche delle infezioni a trasmissione parenterale, in
particolare di quelle da virus della immunodeficienza acquisita e delle epatiti
nel personale sanitario, e quindi ho lasciato a lei la trattazione di queste
patologie.
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Indice
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Capitolo 1. Interazione macrorganismo/microrganismo
L’interazione macrorganismo/microrganismo non è sempre uguale, perché si possono
avere variabili relative a entrambi. Le diverse condizioni sono indicate nella Tabella 1.1.
Condizione Definizione
Simbiosi Il macrorganismo e il microrganismo traggono reciproco vantaggio
Contaminazione Presenza di microrganismi patogeni senza replica
Colonizzazione Presenza di microrganismi patogeni con replica, senza invasione dei
tessuti e manifestazioni cliniche
Infezione Acquisizione di un microrganismo patogeno
Malattia Presenza di microrganismi patogeni con replica, invasione dei
tessuti e manifestazioni cliniche
Le variabili più rilevanti del macrorganismo sono rappresentate dal suo stato di salute,
mentre quelle del microrganismo sono la virulenza, la patogenicità, la concentrazione o la
carica infettante. Un altro aspetto è rappresentato dalle modalità con cui il microrganismo
si trasmette, dalla maggiore o minore capacità che esso ha di resistere nell’ambiente
esterno e dalla sua contagiosità. La trasmissione può essere diretta da uomo a uomo o
indiretta tramite oggetti, alimenti o vettori animati. Il meningococco, il virus del morbillo e
quello della varicella sono poco resistenti e si inattivano rapidamente nell’ambiente
esterno; la trasmissione di questi microrganismi richiede un contatto diretto con il soggetto
infetto (trasmissione diretta). I virus dell’epatite resistono in forma infettante a lungo, anche
mesi, nei liquidi attraverso i quali si può trasmettere l’infezione.
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Capitolo 2. Agenti eziologici di infezione
La parete cellulare è un involucro rigido che avvolge il corpo batterico. La sua componente
fondamentale è il peptidoglicano, una sostanza glicopeptidica costituita da catene
polisaccaridiche composte da N-acetil-glicosamina e N-acetil-muramico interconnesse da
ponti oligo-peptidici, con prevalenza diversa nei batteri Gram-negativi e in quelli Gram-
positivi. La parete cellulare è presente in tutte le specie batteriche ad esclusione dei
micoplasmi, e manca di acido muramico nelle clamidie.
Il citoplasma e il materiale nucleare sono costituiti in gran parte da acqua, proteine, lipidi,
carboidrati e minerali. Il citoplasma ha un alto contenuto di RNA organizzato per l’80% in
ribosomi (RNA ribosomiale), o per la restante quota in forma solubile (RNA solubile).
Il materiale genico, o cromosoma batterico, è una lunga catena di DNA. In alcune specie
sono presenti frammenti di DNA extracromosomici e non indispensabili per la
sopravvivenza del batterio. Sono definiti "episomi" quando possono anche alternare la loro
posizione extra cromosomica, integrandosi con il DNA cromosomico, o "plasmidi" quando
questa integrazione non è possibile. Più frequentemente questi frammenti
extracromosomici codificano per caratteri di resistenza agli antibiotici e possono essere
scambiati tra batteri della stessa specie, ma anche di specie diverse.
I virus sono agenti filtrabili, sub cellulari e sub microscopici, che mancano di meccanismi
energetici e biosintetici. La composizione dei virus non è comparabile con quella della
cellula procariotica, e la replicazione richiede la partecipazione attiva della cellula ospite.
Dal punto di vista strutturale, presentano il “core” di acido nucleico (DNA o RNA) e il
“capside” che lo avvolge, di natura proteica. Le proteine del capside e dell’acido nucleico
sono strettamente integrate a formare il nucleocapside, che nei virus più semplici si
presenta in forma di unità ripetute (capsomeri). La membrana esterna lipoproteica non è
sempre presente. Alcuni virus più grandi hanno all’interno una polimerasi che permette di
iniziare la replica virale rapidamente, dopo l’ingresso nell’ospite.
I viroidi sono semplici molecole di RNA circolare, senza proteine associate ma dotati di
capacità infettante.
I miceti o funghi e i parassiti hanno dimensioni maggiori e sono più evoluti, con
organizzazione e struttura simile a quella degli organismi superiori (vegetali, animali).
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b) le muffe, che si sviluppano con micelio filamentoso (ife);
c) i lieviti, formati da cellule ovoidali e sferiche che si riproducono per gemmazione.
Alcuni funghi crescono sia come muffe che come lieviti: sono detti "dimorfi" e sono
endemici di alcuni paesi. Appartengono ai funghi dimorfi: Istoplasma capsulatum,
Coccidiodies immitis, Blastomyces dermatitidis e altri.
I protozoi sono microrganismi unicellulari eucariotici (hanno un vero nucleo), con struttura
cellulare chiaramente differenziata in citoplasma e nucleo; relativamente grandi, sono
considerati le più basse forme di vita animale e si riproducono per scissione binaria o
multipla (fase schizogonia). Alcuni possiedono anche forme sessuate; altri hanno cicli
asessuati e sessuati in ospiti diversi e alcune specie, quando le condizioni di vita
diventano sfavorevoli, possono dare origine a forme cistiche.
Gli elminti sono classificati sulla base del loro aspetto e di quello delle loro uova;
producono infezioni asintomatiche fino a forme gravi in relazione alla specie, alla carica
infettante e alle caratteristiche dell’ospite.
Gli atropodi comprendono numerose specie e possono provocare patologie con diversi
meccanismi, inclusa la trasmissione di altri agenti infettivi.
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Capitolo 3. Patogenesi delle malattie infettive
I diversi microrganismi hanno diversa capacità di produrre malattia, cioè una differente
patogenicità. La patogenicità è espressa dalla virulenza, dall'invasività, dall'aderenza e
dall'eventuale produzione di tossine (Tabella 3.1). In base alla patogenicità, i
microrganismi possono essere suddivisi in simbionti, commensali e patogeni.
Fattore Definizione
Virulenza Capacità di danneggiare le cellule dell’ospite. Variazioni di
patogenicità dei vari ceppi o tipi di una stessa specie.
Aderenza Capacità del microrganismo di aderire ad uno specifico
recettore cellulare.
Invasività Capacità di penetrare e diffondere.
Produzione di tossine Sostanze capaci di dare specifiche condizioni patologiche.
I fattori di difesa dell’ospite alle infezioni comprendono fattori non immunitari e fattori
immunitari.
Tra i fattori non immunitari un ruolo prominente è occupato dalla barriera cutanea e da
quella mucosa, che quando sono integre bloccano il passaggio dei microorganismi. In
alcune situazioni è possibile identificare la lesione cutanea o mucosa, che è la “porta di
ingresso” attraverso la quale il microorganismo è penetrato nell’ospite. Un altro fattore
protettivo è la flora microbica presente su ogni superficie dell’ospite, e specifica per ogni
sito, che interferisce con l’impianto di microorganismi patogeni occupando i siti recettoriali
di alcune cellule.
Alla difese non immunitarie contribuiscono anche fattori umorali come il complemento e la
fagocitosi ad opera dei macrofagi e dei leucociti polimorfonucleati; alcuni di questi fattori
sono il presupposto per l’attivazione e l’amplificazione di meccanismi di difesa immunitari
specifici, con la produzione delle citochine.
L’immunità cellulare o tessutale (CMI) dipende dai linfociti T a lunga sopravvivenza degli
organi linfatici che circolano anche attraverso il sangue, e riveste un ruolo importante nella
resistenza ad alcuni microrganismi e ad alcuni patogeni intracellulari obbligati tra cui i
micobatteri, nel rigetto dei trapianti e nella risposta ai tumori. L’espressione più classica di
questo tipo di immunità è la risposta cutanea alla inoculazione di antigeni di
Mycobacterium tuberculosis nell’avambraccio, nota come test cutaneo della tubercolosi
(TST).
I linfociti T derivano dai precursori midollari che migrano nel timo durante la vita fetale e il
primo periodo dopo la nascita. I linfociti T sono pochi nel midollo osseo dove prevalgono
quelli B, e sono il 60% dei linfociti circolanti nel sangue. I linfociti T hanno recettori
antigene specifici e sono attivati dagli antigeni preparati dai macrofagi. Dal contatto
linfocita T/antigene specifico derivano l’attivazione di altri linfociti e la produzione di cellule
citotossiche e di citochine, che agiscono a loro volta sulla rete immunitaria stessa.
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Numerose condizioni cliniche, in alcuni casi provocate da mutazioni genetiche ereditarie,
in altri indotte da stati patologici come la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS),
comportano un anomalo funzionamento dell’immunità specifica con associate complicanze
infettive.
Le malattie infettive si manifestano in genere con uno stato tossinfettivo più o meno
accentuato che comporta malessere, astenia, mialgia, cefalea, inappetenza, sudorazione.
Nelle forme prolungate, la cute e le mucose presentano un certo grado di pallore dovuto
all’anemia. Frequente la perdita di peso. La febbre è un altro parametro quasi costante, ed
è importante identificare quattro valori al giorno, insieme a quello della frequenza cardiaca.
Di ausilio per l’inquadramento diagnostico risultano anche le caratteristiche della curva
termica: valore massimo, ritmo giornaliero, tipo di curva, associazione con brivido e/o con
alterazioni della frequenza cardiaca.
Per quanto riguarda gli esami ematochimici, le malattie infettive ad eziologia batteria in
prevalenza determinano un incremento del numero dei globuli bianchi (leucocitosi), dei
neutrofili (neutrofilia), della velocità di eritrosedimentazione (VES) e delle proteina C-
reattiva (PCR).
Nell’inquadramento diagnostico delle malattie infettive hanno valore anche i dati relativi
allo stile di vita del soggetto, al lavoro e alle attività ricreative, inclusi i viaggi. Inoltre, è
importante la conoscenza dei vari stadi della malattia caratterizzati da durata e sintomi
specifici. In particolare, sono da differenziare il periodo di incubazione, di invasione, di
stato, di remissione e di convalescenza, e sapere che la malattia si può manifestare in
modo diverso (forme atipiche) o con i sintomi delle complicanze (forme complicate).
Per quanto riguarda il decorso, si distinguono forme acute, subacute e croniche in base
all’intensità dei sintomi e alla durata di essi: meno di 2 mesi per le patologie acute, 2-6
mesi per le subacute e oltre 6 mesi per le croniche.
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Capitolo 4. Laboratorio di microbiologia: accertamenti diagnostici
Il laboratorio di microbiologia può intervenire su entrambi gli aspetti mediante esami diretti
alla dimostrazione del microrganismo o di parti di esso in materiali biologici (Tabella 4.1),
della risposta immunitaria umorale (risposta anticorpale) o cellulo-mediata indotta dal
contatto con il microrganismo (metodo indiretto), e alla valutazione dell'attività di specifici
antimicrobici mediante lo studio della sensibilità in vitro.
Metodo Tecnica
Osservazione Esame microscopico a fresco
Esame microscopico dopo colorazione semplice (blu di
metilene, arancio di acridina, cotton-blu, iodio, e al.)
Esame microscopico dopo colorazione differenziale (Gram,
Ziehl-Neelsen, e al.)
Isolamento Coltura
Ricerca antigeni Immunofluorescenza, agglutinazione, sonde con o senza
amplificazione e al.
Biologia molecolare Ricerca di materiale genico con o senza amplificazione
Esame microscopico
• Gram
• Blu di metilene
• Arancio di acridina
• Ziehl-Neelsen
• Auramina-rodamina
• Calcofluor white
• Cotton blu
• May-Grunwal Giemsa modificato
• Immunofluorescenza diretta o indiretta
• Inchiostro di China
• Liquido di Lugol (soluzione iodio-iodurata al 2%)
Figura 4.1: Colorazione di Gram: cocchi Gram-positivi (4. 1a), batteri Gram-negativi (4.1b).
4.1a 4.1 b
La acido alcol resistenza dei micobatteri viene utilizzata per evidenziare nei campioni i
bacilli alcol-acido resistenti come Mycobacterium spp. (Figura 4.2).
Sono disponibili terreni di coltura liquidi, utilizzati per inoculare materiali sterili come il
sangue o il liquido cerebrospinale, che favoriscono la crescita del microrganismo presente
nel campione, e terreni solidi nei quali è possibile valutare le caratteristiche morfologiche
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delle colonie batteriche, che sono utilizzati per la semina di campioni non sterili. Si
possono inoltre utilizzare terreni con resine, quando il paziente ha già assunto antibiotici, o
terreni che favoriscono la crescita dei microrganismi anaerobi, oppure terreni selettivi che
rendono più facile lo sviluppo di alcune specie rispetto ad altre (ad es. il brodo selenite,
utilizzato per la ricerca di Salmonella spp. nelle feci).
Figura 4.3: piastre di agar cioccolato con sviluppo di colonie di stafilococchi (4.3a), e
piastre di agar sangue con sviluppo di colonie di streptococchi β-emolitici (4.3b)
4. 3a
4. 3b
Dopo essere inoculati, i terreni sono messi in incubazione per un periodo variabile fino a
qualche settimana; possono essere incubati a diversa temperatura, con differente
concentrazione di O2 o in anaerobiosi, oppure in atmosfera arricchita di anidride carbonica
(CO2), a seconda della specie che si sta ricercando.
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Emocolture
Sono utilizzate per la diagnosi eziologica delle infezioni setticemiche. Di solito vengono
inoculati terreni non selettivi, che supportano la crescita della maggior parte dei batteri. Il
prelievo va fatto prima di somministrare la terapia antibiotica, in numero di 2/3 set (1 set =
1 brodo per aerobi e 1 brodo per anerobi), a distanza di 15 minuti nei pazienti più gravi o a
distanza di 2 ore in quelli stabili, subito prima della puntata febbrile. Vengono inoculati 10
ml di sangue per bottiglia e i campioni vengono mantenuti a temperatura ambiente in
caso di chiusura del laboratorio. Generalmente si procede con la subcoltura solo in caso di
positività e cioè intorbidamento macroscopico del brodo o rilevazione della crescita con
sensori.
Con tale termine si intende il campione prelevato in contenitori sterili, dopo aver urinato
alcune gocce, in modo tale da ridurre l’eventuale contaminazione con batteri presenti a
livello dell’uretra e dei genitali. Possono essere esaminati anche campioni prelevati da
catetere, da puntura sovra pubica o da cistostomia.
Non va mai esaminata la punta del catetere urinario, e il campione deve essere
processato entro 2h dal prelievo. Generalmente, sono considerate significative urino
colture con conte di batteri ≥105 colonie formanti unità (CFU)/ml. Se il campione non
centrifugato viene colorato con la colorazione di Gram e all’esame microscopico si rilevano
batteri, con una quasi totale certezza si può ritenere che la concentrazione di patogeni
nelle urine sarà ≥105 CFU/ml.
In alcuni condizioni, elencate nella Tabella 4.4, e a giudizio del medico, è possibile
considerare significative urino colture con cariche batteriche <105 CFU/ml
Tabella 4.4: condizioni in cui sono significative cariche batteriche urinarie <105 CFU/ml
(modificata da Mandell, Duglas, and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease.
Philadelphia 7th Ed, 2010).
• Età pediatriche
• Maschi
• Presenza di catetere vescicale
• Recente terapia antibiotica
• Introduzione di abbondante quantità di liquidi
• Presenza di sintomi urinari e leucociti nel sedimento
• Ostruzione delle vie urinarie
• Pielonefrite ematogena
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Feci
I campioni fecali sono esaminati per la diagnosi di diarrea infettiva, compresa la diarrea da
antibiotici causata da Clostridium difficile. I campioni sono raccolti in contenitori non
necessariamente sterili, ma non devono essere contaminati da carta igienica o urine. Per
sintomi insorti almeno 3 giorni dopo il ricovero in ospedale, non dovrebbero essere
ricercati patogeni enterici quali Salmonella spp o Yersinia spp, mentre è appropriata la
ricerca di C. difficile. Colture per Aeromonas, Plesiomonas, Yersinia, Shigella, Listeria
vengono generalmente allestite su specifica richiesta del medico, mentre E.coli O157
entero-emorragico deve essere ricercato in tutti i pazienti con feci ematiche e sindrome
emolitico-uremica. Le feci possono essere esaminate anche per la ricerca di Clostridium
botulinum nei pazienti con sospetto botulismo. In questi casi, sono di ausilio nella diagnosi
anche i test che evidenziano la tossina nelle feci, ma soprattutto è significativa la sua
dimostrazione nel sangue. Per la ricerca di Mycobacterium tuberculosis nei casi di
tubercolosi intestinale, e di M. avium complex nelle micobatteriosi disseminate dei pazienti
con infezione da immunodeficienza acquisita (HIV/AIDS), sono esaminati 2 gr di feci
formate e 5 gr di feci liquide, che sono decontaminate prima di essere seminate negli
specifici terreni di coltura.
Per le colture virali sono necessarie colture cellulari, con conseguenti maggiori difficoltà
tecniche.
L’esempio più classico della risposta cellulo-mediata è la prova cutanea per la tubercolosi,
nota con gli acronimi TST o PPD, e permette la diagnosi di contatto con Mycobacterium
tuberculosis (Figura 4.5a e 4.5b).
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Figura 4.5: test di intradermoreazione tubercolinico (4.5a)
http://enfamilia.aeped.es/sites/enfamilia.aeped.es/files/styles/4col/public/images/articulos/1
024px-mantoux_tuberculin_skin_test.jpg?itok=LQ297qG1, risposta positiva (4.5b).
4. 4b
4. 4a
Il test di diffusione misura l’alone di inibizione della crescita batterica, mentre il metodo
della MIC definisce la concentrazione di antibiotico che inibisce la crescita del batterio. È
anche possibile valutare la sensibilità definendo la presenza dei geni codificanti per una
specifica resistenza.
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Capitolo 5. Prevenzione delle infezioni
Il problema delle infezioni ospedaliere – o meglio infezioni correlate all'assistenza –
nasce formalmente nel 1950, con l'obiettivo di prevenire la trasmissione ospedaliera delle
infezioni da Staphylococcus aureus. Successivamente sono state prese in considerazione
altre patologie e sono stati creati comitati di controllo specifici, con l’obbiettivo di
monitorare l’incidenza e i fattori di rischio, e di elaborare protocolli specifici di gestione
delle procedure a maggior incidenza di complicanze infettive. Più recentemente, le
infezioni associate all’assistenza sono state incluse negli eventi indesiderati dell'assistenza
sanitaria, e l’obbiettivo principale dei comitati di controllo è la prevenzione, piuttosto che il
monitoraggio.
La prevenzione delle infezioni correlate all'assistenza si basa su alcuni punti che, con
possibili variazioni nelle diverse strutture sanitarie, includono: 1) sorveglianza; 2)
isolamento dei pazienti con patogeni trasmissibili; 3) identificazione e gestione di una
epidemia; 4) educazione; 5) salute del personale; 6) monitoraggio dell’uso degli antibiotici;
7) sviluppo di protocolli di prevenzione; 8) igiene dell’ambiente; 9) valutazione di nuovi
prodotti. Alcune strutture sanitarie comprendono anche il miglioramento della qualità
assistenziale e della sicurezza del paziente.
Isolamento
Negli ultimi decenni si è assistito a un aumento del numero di pazienti che necessitano di
isolamento, oltre che a una più globale applicazione delle precauzioni che devono essere
attuate non solo nell’ambiente ospedaliero per diverse ragioni: per citarne alcune,
l’incremento dei casi di tubercolosi e delle infezioni da microorganismi multi resistenti ai
chemio antibiotici, e la comparsa di nuove epidemie come quella da coronavirus, virus
influenzali e virus Ebola. Tali eventi hanno anche determinato la trasformazione di alcuni
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reparti di degenza in degenze differenziate, atte alla gestione del paziente con specifiche
patologie e al controllo della loro diffusione mediante il rafforzamento delle precauzioni
standard e la rielaborazione di linee guida specifiche.
Precauzioni standard
Si stima che meno del 50% degli operatori sanitari si attiene a questa procedura e che
l’aumento della pratica del 1,5-2,0% potrebbe ridurre del 25-50% l’incidenza delle infezioni
correlate alla assistenza. Molte di queste patologie sono infatte trasmesse per contatto,
principalmente delle mani, e il metodo più utile per la prevenzione delle infezioni
nosocomiali è proprio il lavaggio delle mani. Il lavaggio rimuove facilmente i
microorganismi transitori (in genere patogeni nosocomiali); al contrario i microorganismi
residenti – come stafilococchi coagulasi negativi, corinebatteri, micrococchi poco virulenti
e quindi con patogenicità limitata e in situazioni specifiche – difficilmente vengono
allontanati con il lavaggio. Per l’igiene delle mani, che si ribadisce va praticata prima e
dopo il contatto e subito dopo aver sfilato i guanti, si utilizzano soluzioni a base di alcol,
mentre Il lavaggio con sapone è da riservare quando le mani sono macroscopicamente
sporche.
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Oltre al lavaggio delle mani, gli operatori che lavorano in reparti con pazienti a più alto
rischio di infezioni devono porre particolare cura anche all’igiene delle unghie,
mantenendo la lunghezza di quelle naturali a meno di1/2 cm ed evitando quelle artificiali e
gli smalti.
I guanti sono indossati dagli operatori per prevenire la contaminazione delle mani con
microorganismi, e per prevenire l’esposizione al sangue o ad altri liquidi biologici
potenzialmente infetti. L’uso di guanti non sostituisce il lavaggio delle mani. I guanti
devono essere cambiati dopo aver toccato un sito contaminato, come una ferita infetta,
prima di toccarne uno non contaminato.
È indispensabile usare solo siringhe e aghi monouso, come anche farmaci in confezione
monouso. Ogni dispositivo tagliente va eliminato in appositi contenitori.
Precauzioni specifiche
Per quanto riguarda le precauzioni specifiche si devono considerare la modalità con cui i
microrganismi si trasferiscono da un soggetto all’altro o dall’ambiente all’ospite (Tabelle
5.1 e 5.2).
Nella trasmissione per via aerea possono intervenire particelle di dimensioni ≤5µ, che si
producono mentre il paziente parla, tossisce, starnuta o è sottoposto a procedure
diagnostiche come la broncoscopia, o a procedure terapeutiche come ad esempio
l’aerosol terapia. Queste particelle di piccole dimensioni restano sospese nell’aria e
possono essere inalate raggiungendo le vie aeree inferiori. Inoltre si possono spostare da
uno spazio all’altro, per cui è indispensabile che il soggetto infetto sia ricoverato in una
camera singola, se possibile con pressione negativa, e che le porte della camera siano
sempre chiuse. Alcune patologie infettive sono sempre trasmesse per via aerea ma con
particelle di dimensioni superiori a 5µ; l’ospite si infetta quando le goccioline si depositano
sulle mucose del naso, della bocca e/o delle congiuntive. Queste particelle non sono
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sospese e non si spostano da una camera all’altra, per cui il paziente viene ricoverato in
una camera singola non a pressione negativa.
Nella trasmissione per contatto il microrganismo viene trasferito per contatto diretto con il
soggetto, o indiretto per il contatto con oggetti o superfici contaminate.
Tabella 5.1: precauzioni standard nei diversi tipi di isolamento (modificata da Mandell,
Duglas, and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 8th Ed,
2015).
Schermo facciale/protezione occhi per tutte le procedure che generano aerosol o schizzi di
sangue, liquidi corporei secrezioni, escrezioni
Camice per tutte le procedure che generano aerosol o schizzi di sangue, liquidi corporei
secrezioni, escrezioni
Guanti per toccare sangue, liquidi biologici, secrezioni, escrezioni, mucose, cute non integra.
Rimuovere dopo l’uso e prima di toccare superfici, oggetti non contaminate e altri pazienti
Lavaggio delle mani dopo contatto con sangue, liquidi, secrezioni, escrezioni oggetti, superfici
contaminate, dopo sfilato i guanti e tra un paziente e l’altro
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Tabella 5.2: precauzioni in relazione alle diverse patologie (modificata da Mandell, Duglas,
and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease, Philadelphia 8th Ed, 2015).
Pidocchi;
Rotavirus;
Rosolia congenita;
SARS;
Scabbia;
**Varicella;
**Vaiolo;
**Varicella-Zoster
Yersiniosi;
Leggenda *MDR=multi-drug resistant microorganisms,**isolamento da contatto e aereo
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Per quanto riguarda il controllo delle infezioni nel personale sanitario durante l’attività
lavorativa, sono disponibili protocolli specifici per la profilassi delle infezioni a trasmissione
parenterale come le epatiti e il virus HIV, la tubercolosi e altre. Anche in questo contesto
l’educazione, la diffusione delle informazioni e l’applicazione corretta dei protocolli sono
aspetti imprescindibili per un efficace controllo.
La profilassi attiva si basa sull’uso dei vaccini. Rispetto all'immunità passiva ha il vantaggio
di conferire immunità di lunga durata (mesi-anni), ma ha lo svantaggio che la protezione
richiede alcune settimane, e quindi non permette la prevenzione immediata di una
patologia infettiva. Sono disponibili vaccini costituti da microrganismi vivi attenuati o
vaccini con patogeni uccisi, vaccini con antigeni ricavati dai patogeni o sintetizzati in vitro
oppure con tossine del microrganismo inattivate (anatossine).
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Capitolo 6. Tetano
Definizione
Si tratta di una patologia infettiva caratterizzata dallo stato di contrattura persistente della
muscolatura striata con esacerbazioni parossistiche, causata dalla tossina di Clostridium
tetani.
Eziologia
Epidemiologia
L’incidenza globale del tetano è di 1 milione di casi all’anno (18/100.000), per la maggior
parte in pazienti dopo i 60 anni e di sesso femminile. Nei paesi economicamente meno
sviluppati il tetano è gravato da una mortalità del 20-30%, che nel 50% dei casi riguarda i
neonati; al contrario, nei paesi più industrializzati la mortalità è molto bassa.
C. tetani è molto diffuso in natura, ed è presente in quantità abbondante nei terreni coltivati
con concimi animali e nell’intestino degli erbivori. Il clima tropicale e il terreno argilloso
sono ulteriori condizioni che favoriscono lo sviluppo del microrganismo. C. tetani è stato
identificato anche nelle feci umane con un'incidenza pari al 5%, ma l’intestino umano non
è l’habitat ottimale e il batterio vi persiste solo per periodi limitati.
Patogenesi e sintomi
Il periodo di incubazione del tetano – cioè l’intervallo tra l’ingresso del microrganismo e il
primo sintomo – dura da pochi giorni a settimane o mesi, in media 4-21 giorni, e nella
maggior parte dei casi è asintomatico. In alcuni pazienti viene riferita dolenzia in
corrispondenza della ferita, fascicolazioni dei muscoli, senso di malessere e insonnia.
Il quadro clinico può essere più o meno grave e si differenziano 3 gradi di tetano in base
alla durata del periodo di incubazione, alla lunghezza del periodo di invasione o di onset,
alla diffusione e intensità delle crisi parossistiche (Tabella 6.1).
Tabella 6.1: classificazione del tetano (S. Pauluzzi. Corso di lezioni di malattie infettive, 2°
Ed. Galeno, Perugia, 1988).
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In tutte le forme di tetano manca la febbre. L’evoluzione clinica del tetano, se non
interviene la morte nella fase acuta, è la guarigione.
Diagnosi e terapia
La diagnosi di tetano è clinica. Utile anche la determinazione del titolo di anticorpi anti-
tetano nel siero. Il trattamento prevede la somministrazione di antitossina, la vaccinazione,
la toilette della ferita chirurgica e la terapia antibiotica.
Tabella 6.2: profilassi post esposizione del tetano (modificata da DN Gilbert, HF Chambers,
GM Eliopoulous, MS Saag. The Sanford Antimicrobial guide to antimicrobial therapy.
Sperryville VA. 44th Ed. 2014).
TD TIG TD TIG
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Capitolo 7. Rabbia
La rabbia è una malattia infettiva acuta sostenuta dal virus rabico. È una zoonosi che può
colpire tutti gli animali a sangue caldo; accidentalmente anche l’uomo si può ammalare,
manifestando una encefalite a esito quasi costantemente letale.
Eziologia
In virus della rabbia è un virus della famiglia Rabdhovirus, genere Lyssavirus. Il virione
contiene RNA e all’esterno un involucro e un capside con simmetria elicoidale. Il virus
cresce su uova embrionate di pollo, di anatra e diverse linee cellulari umane e animali. È
inattivato da solventi lipidici, ultravioletti, luce solare e dal calore a 60°C per 5’.
Il virus appena isolato dall’animale viene definito virus “da strada” e provoca la malattia
dopo un periodo di incubazione generalmente lungo; si replica anche nei tessuti extra
nervosi e forma inclusioni citoplasmatiche nei neuroni, i corpi di Negri, che sono materiale
nucleo-capsidico. Passaggi successivi, nel cervello di coniglio, danno origine al “virus
fisso”. Il virus così modificato è caratterizzato da un periodo di incubazione più breve, 4-6
giorni, da una maggiore patogenicità per il coniglio ma minore per l’uomo; si replica solo
nel tessuto nervoso, e raramente forma corpi inclusi.
Epidemiologia
Tutti gli animali a sangue caldo sono suscettibili alla rabbia, ma solo alcuni trasmettono
l’infezione. L’uomo in genere è contagiato dagli animali domestici.
La rabbia è una zoonosi diffusa in tutto il mondo con l’eccezione di alcune isole
dell'Australia, l’Antartide, la Nuova Zelanda, il Regno Unito, l’Irlanda e le Hawai.
Si identificano due forme diverse di malattia: la rabbia urbana trasmessa dal cane e quella
silvestre, nella quale intervengono gli animali selvatici. La prima è legata al randagismo dei
cani ed è scomparsa in Italia. Rimane in alcune aree dei Balcani, nei paesi dell’ex URSS,
in gran parte dell’Africa, Asia, Sud-America. La rabbia silvestre è diffusa in Europa e
anche in Italia settentrionale, tra le volpi e altri animali. Le volpi diffondono l’infezione con il
morso agli altri animali selvatici, ma possono essere colpiti anche bovini, gatti, e cani
domestici e randagi.
Mentre in Europa i cani e gli animali selvatici rimangono la causa più frequente di rabbia,
in alcuni paesi anche i carnivori, i piccoli roditori (scoiattoli, topi, cincillà e altri) e i pipistrelli
insettivori possono trasmettere il virus rabico.
27
La rabbia dei pipistrelli è stata diagnosticata in molti stati dell’Europa e in particolare in
Olanda, Danimarca e Germania, ma anche in Polonia, Francia, Spagna, Regno Unito,
Svizzera, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ucraina e Russia. Gli studi molecolari hanno
dimostrato una differenziazione genetica fra i Lyssavirus responsabili della rabbia e nei
pipistrelli insettivori europei sono stati identificati due genotipi, denominati rispettivamente
European Bat Lyssavirus 1 e 2 (EBLV1 e EBLV2). La prevalenza di EBLV nei pipistrelli è
ancora limitata; delle 33 specie di pipistrelli insettivori presenti in Europa, circa il 95% dei
casi ha interessato Eptesicus serotinus, ma molte altre specie di pipistrelli sembrano
coinvolte nell’epidemiologia dell’EBLV. Il riscontro di Lyssavirus nei pipistrelli insettivori
europei, i casi di rabbia in animali domestici e selvatici riconducibili al virus rabbico dei
pipistrelli e i rari casi di rabbia dei pipistrelli nell’uomo, hanno messo in luce rischi inattesi e
sono emersi interrogativi in merito ai metodi utilizzati per il controllo della rabbia, inclusa
l’efficacia della profilassi vaccinica post esposizione.
Nel cane la saliva è infetta 3-7 giorni prima della comparsa dei sintomi clinici. Il contatto
con animali rabici dà malattia nel 50% dei casi circa.
Patogenesi e sintomi
Quanto più è alto l’inoculo virale e la concentrazione di virus nella regione interessata,
tanto più breve è il periodo di incubazione e la gravità della malattia. Il periodo di
incubazione della rabbia varia da 10 giorni-alcuni anni, in media 1-3 mesi.
28
Nella fase prodromica il paziente presenta febbre, anoressia, cefalea, malessere,
formicolii, parestesie, dolore nella zona della morsicatura.
Dopo alcuni giorni si manifesta uno stato di ansia e irritabilità, oppure di depressione. A
volte sono presenti anche sudorazione, salivazione, aumento della sensazione dolorosa e
del tono muscolare, polipnea (aumento della frequenza respiratoria), midriasi (dilatazione
delle pupille) e gradualmente nel giro di una settimana si instaurano tutti i segni della fase
di eccitazione o furiosa, che può persistere fino al decesso. In questa fase l’ansia è
angosciante, è presente cefalea intensa, rachialgie, ipertonia muscolare con tremori e
spasmi laringo-tracheo-bronchiali che possono essere provocati dal semplice movimento
dell’aria (aerofobia) e dalla ingestione di acqua (idrofobia). Le crisi di aggressività e le
convulsioni diventano sempre più frequenti e il decesso sopraggiunge dopo 4-5 giorni, in
genere per insufficienza respiratoria. Abituali anche le convulsioni, le alterazioni della
frequenza cardiaca e del ritmo del respiro, ritenzione urinaria e stipsi.
In alcuni casi alla fase furiosa segue la fase paralitica nella quale gli spasmi muscolari si
risolvono e compaiono emiplegie, paralisi dei nervi cranici, incontinenza urinaria, apatia,
torpore fino al coma e all’exitus per insufficienza cardiaca.
In altri casi ancora, nella rabbia paralitica manca del tutto la fase eccitatoria, e dalla fase
prodromica si passa a uno stato di coma irreversibile, senza le tipiche manifestazioni
eccitatorie.
A tutt’oggi, non c’è alcuna terapia certa disponibile, una volta che i sintomi sono iniziati. In
letteratura viene segnalato un solo paziente sopravvissuto senza terapia post esposizione
(PET) e trattato con protocollo Wisconsin (ribavirina+amantadina), oltre a tre pazienti
sopravvissuti con PET.
Lavare tutte le ferite con acque e sapone e irrigare con iodio povidone.
La profilassi anti rabbica sembra essere sicura in gravidanza e quindi può essere
somministrata, se indicato.
In caso di morso da animale è necessario seguire una procedura specifica definita dal
Servizio di Sanità Pubblica ed eventualmente provvedere alla vaccinazione. Di seguito
viene riportata la modulistica da compilare e da inviare via FAX al Servizio di Sanità
Pubblica della Regione Umbria (Figura 7.1).
30
Figura 7.1: schema di segnalazione morso animale da inviare al Servizio di Sanità Pubblica della Regione
Umbria.
31
Capitolo 8. Febbre tifoide (tifo addominale, ileo-tifo)
È una infezione sistemica causata da Salmonella typhi che si manifesta con febbre,
alterazioni del sensorio, disturbi dell’apparato digerente, ingrandimento della milza
(splenomegalia), esantema maculo-papuloso, riduzione del numero dei globuli bianchi
(leucopenia) e dei neutrofili (neutropenia).
Microbiologia
S. typhy ha come unico ospite l’uomo. L’infezione è trasmessa per via oro-fecale ed è
dovuta alla contaminazione di acqua o cibi con materiale fecale di malati o portatori sani. I
portatori sono più pericolosi nel diffondere l’infezione in quanto asintomatici, e possono
eliminare il microrganismo nell’ambiente anche per tutta la vita.
Particolare importanza nella diffusione della malattia riveste la contaminazione delle acque
dolci utilizzate per l’irrigazione e dell’acqua di mare con allevamenti di frutti di mare con
materiale fecale umano.
La più alta incidenza di tifo si registra nel Sud-Est asiatico con oltre 100 casi/100.000
abitanti/anno. L’incidenza è correlata con la scarsa presenza di adeguate norme igieniche.
In Italia si osservano casi sporadici di importazione, contratti soprattutto durante soggiorni
o viaggi in paesi con maggiore incidenza. Da considerare anche la possibilità di
trasmissione sessuale.
Patogenesi e sintomi
32
La malattia non trattata viene classicamente suddivisa un 4 settenari con sintomi specifici,
che corrispondono in parte allo stadio evolutivo delle lesioni anatomiche intestinali
riassunte nella Tabella 8.1.
Tabella 8.1: manifestazioni cliniche del tifo in relazione alle settimane di malattia (modificata
da M. Moroni, R. Esposito, F. De Lalla. Malattie infettive. Masson, Milano, 2003).
Emocoltura positiva
nel 90% dei casi
33
Diagnosi
Elementi di estrema utilità sono le lesioni cutanee (roseole tifose), le emocolture positive in
oltre 90% dei casi nel primo settenario di malattia, e la sierodiagnosi di Widal. Questo test
è una reazione ematica con la quale si possono ricercare anticorpi anti antigene somatico
O, che compaiono per primi e ridiscendono in 2-3 mesi, e anticorpi anti antigene flagellare
H, che aumentano più tardivamente e rimangono elevati per anni, con minore significato
diagnostico. La reazione di Widal di solito è positiva solo al secondo settenario, e
significativa quando il titolo di anticorpi è ≥100. Da evidenziare che anticorpi anti-O e anti-
H sono positivi anche in caso di vaccinazioni o infezioni con altre salmonelle, ma in questi
casi il titolo, e soprattutto quello degli anti O, è più basso e più fugace.
La coprocoltura (coltura delle feci) è positiva nel 75% dei casi durante il 3° settenario in
pazienti non trattati e non ha utilità nella diagnosi di tifo ma nell’identificazione dei
portatori.
Terapia e profilassi
La terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici per via endovenosa nei casi più
gravi, o per via orale nelle forme più lievi.
È disponibile un vaccino orale o iniettivo con batteri uccisi che produce una protezione dei
riceventi in circa l’80% dei casi con durata di non oltre 6 mesi, e un vaccino orale
attenuato cui si associa immunità in circa il 75-90% dei casi, che persiste per circa 2 anni.
Evitare l’ingestione di acqua o alimenti (mitili, frutta, verdura, latte non pastorizzato)
contaminati da materiali fecali contenenti Salmonella. Gli insetti, in particolar modo le
mosche, possono fungere da vettori passivi. L’uomo, malato o portatore, è l’unica sorgente
di infezione.
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Capitolo 9. Brucellosi
È una malattia infettiva febbrile che colpisce alcuni animali e l’uomo (antropo-zoonosi),
nota anche con i nomi di febbre maltese, o febbre ondulante o febbre folle; può avere un
decorso sia acuto che sub acuto, ma esistono infezioni croniche e forme recidivanti.
Microbiologia
Le brucelle sono moderatamente sensibili al calore e uccise a 60°C per 10’. Vanno
facilmente incontro alla dissociazione tra forme lisce e rugose, con perdita della virulenza.
Nel siero degli ospiti suscettibili sono presenti specifiche sostanze che favoriscono la
crescita delle forme lisce virulenti.
In passato erano identificate 6 specie diverse di brucelle (B. melitensis, B. abortus, B. suis,
B. canis, B. ovis, B. neotomae, B. pinnipediae, B. ceti, B. microti) (Tabella 9.1), ma studi
genomici hanno definito che esiste una sola specie (B. melitensis) con diverse bio-varianti.
Tuttavia, si tende a mantenere la vecchia nomenclatura.
Epidemiologia
Il serbatoio naturale delle brucelle sono gli animali domestici da cui l’infezione viene
trasmessa all’uomo. La trasmissione interumana è eccezionale.
Nell’animale infetto le brucelle provocano aborto e sono eliminate con i prodotti abortivi, le
secrezioni vaginali, le feci e le urine. Di notevole significato per la diffusione della malattia
è l’eliminazione delle brucelle con il latte; infatti, soprattutto nelle mucche, le brucelle
causano una mastite cronica con la presenza del batterio nel latte che può persistere per
tutta la vita. Anche le carni degli animali malati sono infette. Nell’ambiente le brucelle
possono sopravvivere a lungo (settimane nella polvere e mesi nell’acqua) e contaminare
anche alimenti vegetali (ortaggi) e aree lontane.
L’infezione umana avviene principalmente per ingestione di latte crudo o derivati freschi da
latte non pastorizzato in cui le brucelle possono sopravvivere fino a 6 mesi a 4-8°C o di
altri alimenti contaminati; per via transcutanea, tramite il contatto di piccole lesioni cutanee
con materiali infetti; oppure per via aerea o congiuntivale, mediante inalazione o contatto
con batteri dispersi nell’aria.
35
La malattia è prevalentemente rurale e primaverile; a rischio maggiore sono alcuni
lavoratori come allevatori, veterinari e macellai.
Tabella 9.1: specie di brucella, ospite animale e patogenicità per l’uomo (modificata da
Mandell, Duglas, and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th
Ed, 2010).
B. abortus Bovini Si
B. suis Maiali Si
B. neotomae Topi No
B. microti Volpi No
Patogenesi e sintomi
I microrganismi che sfuggono alla fagocitosi e alla uccisione dei neutrofili migrano nei
linfonodi regionali, dove si moltiplicano con successiva invasione ematica e diffusione a
36
tutti gli organi, in particolare a quelli ricchi di cellule monociti e macrofagi, quindi midollo
osseo, linfonodi, milza, fegato.
Il quadro clinico della brucellosi è estremamente polimorfo sia per decorso (acuta, sub-
acuta tossica) che per gravità (subclinica, tipica, ipertossica). In alcuni casi si hanno
esclusivamente manifestazioni da localizzazione d’organo.
Dopo un'incubazione di 2-3 settimane (8-10 giorni), raramente fino a mesi, insorge un
quadro clinico generalmente subacuto con febbre o febbricola ad andamento del tutto
irregolare, e ben tollerata. Le condizioni generali del paziente sono discrete anche quando
la temperatura raggiunge valori superiori a 39°C. Altre manifestazioni sono: dolori delle
grosse articolazioni, dei muscoli, cefalea, anoressia, sudorazione abbondante con odore
caratteristico (stallatico). È descritto anche ingrossamento del fegato, della milza e dei
linfonodi.
In corso di brucellosi cronica le localizzazioni più spesso evidenti sono a carico del
sistema nervoso con meningite (più frequente), encefalite, mielite, meningo-radicolite; a
carico dell'apparato locomotore con osteo-artrite (sacro-ileite e coxite più frequente),
spondilite fino pseudo-Pott; dell'apparato urogenitale con pielonefrite, orchite; dell'apparato
cardiovascolare con endocardite (ulcero-vegetante a prognosi grave); e dell'apparato
emolimfopoietico con linfoadenopatie marcate, splenomegalia marcata. Altre possibili
localizzazioni sono respiratorie, oculari, cutanee (sopratutto alle mani, con lesioni
eritemato-papulari pruriginose).
La brucellosi in gravidanza si associa ad aborto spontaneo nel 43% dei casi nei primi 2
mesi, e a morte intrauterine nel 2% dei casi nel 3° trimestre. Il rischio abortivo viene ridotto
con la terapia.
37
Da ricordare che la brucellosi può essere trasmessa dalla madre la figlio anche con il
latte.
Diagnosi
Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, nella brucellosi si ha un moderato incremento
della velocità di eritro-sedimentazione (VES), e la conta dei globuli bianchi è normale o
diminuita.
La coltura del sangue è positiva nel 70% delle infezioni da B. melitensis e nel 50% di
quelle da B. abortus. La coltura dell’aspirato midollare è più sensibile dell'emocoltura,
sopratutto nelle forme a decorso protratto e croniche.
Altre indagini utili ai fini diagnostici sono la ricerca degli anticorpi mediante reazione di
agglutinazione di Wright o altre metodiche.
Il test di agglutinazione è positivo, con titolo 1:160, nel 90-95% delle infezioni acute e
subacute a partire da 14 giorni. La percentuale di positività si riduce fino al 40% nelle
infezioni croniche per la presenza di anticorpi incompleti (IgG), con possibilità anche di
falsi negativi del test. In questi pazienti la presenza di anticorpi incompleti può essere
evidenziata ripetendo il test dopo l’aggiunta di antiglobuline umane (reazione di
agglutinazione secondo Coombs).
Terapia e profilassi
Vaccini
Sono disponibili vaccini con batteri morti, vaccini da batteri vivi e attenuati, e vaccini
preparati con frazioni batteriche.
Il vaccino ucciso è indicato per il solo uso veterinario (vaccinazione di ovini, bovini) ed è
sconsigliato nell’uomo, in quanto può scatenare gravi reazioni allergiche.
I capi vaccinati con vaccini vivi attenuati non hanno risposta sierologica, per cui rimane la
possibilità di utilizzare le indagini sierologiche per la diagnosi in caso di malattia.
È possibile l’esposizione accidentale dell’uomo, con sviluppo dei sintomi della brucellosi.
39
Capitolo 10. Tossinfezioni alimentari
Gli alimenti possono essere anche veicolo di tossine non batteriche (Tabella 10.1), e
alcune presenti nei pesci (Tabella 10.2) o nei funghi (Tabella 10.3) provocano quadri clinici
sovrapponibili a quelli delle tossinfezioni alimentari da microrganismi.
Nausea, vomito, dolori ≤1h (5-15 min) Metalli pesanti (rame, zinco, cadmio,
addominali stagno) provocano irritazione della
mucosa gastrica e intestinale
40
Tabella 10.2: intossicazione da tossine presenti nei pesci e nei crostacei (modificata da
Mandell, Duglas, and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th
Ed, 2010).
41
Tabella 10.3: intossicazione da funghi (modificata da Mandell, Duglas, and Bennet.
Principles and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th Ed, 2010)
Tornando alle tossinfezioni alimentari da microrganismi, i quadri clinici più frequenti sono:
gastroenterite acuta, sindrome dissenterica, sindrome colerica, colite cronica. Altri quadri
clinici sono il botulismo, le sindromi sistemiche (sepsi e meningoencefalite da Listeria),
oltre alle manifestazioni post infettive come l’artrite reattiva e la sindrome di Guillan-Barré.
42
Tabella 10.4: agenti eziologici di alcune tossinfezioni alimentari e alimento implicato
Microorganismo Alimento
incubazione 1-6 h
incubazione 8-12 h
43
Tabella 10.5: agenti eziologici di tossinfezioni alimentare, clinica, laboratorio, patogenesi
(modificata da Mandell, Duglas, and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease.
Philadelphia 7th Ed, 2010).
44
Staphylococcus aureus
Circa il 50% di Stafilococco aureo può produrre una tossina termostabile (100°C per 30’)
capace di provocare una sintomatologia gastroenterica con un intervallo molto breve tra
l’ingestione dell’alimento che contiene la tossina e l’insorgenza dei sintomi. Si tratta di una
esotossina di cui si conoscono 5 diversi tipi antigenicamente distinti (A-D), e tutti
termostabili.
La principale riserva di S. aureo è l’uomo, che può essere malato (foruncolosi) o portatore
sano (naso, faringe, ascelle). La produzione di tossina avviene al di fuori dell’ospite
nell’alimento (latte, latticini, creme, gelati, prosciutto, carne in scatola, pesce) che se
inquinato dallo stafilococco durante la preparazione e conservato in maniera inappropriata
permette lo sviluppo dello stafilococco e la produzione e la liberazione della esotossina,
che si accumula nell’alimento senza alterarne le caratteristiche organolettiche.
L’ingestione di cibi contenenti tossina in quantità sufficiente determina dopo un periodo di
incubazione di 4-6 h dolori addominali, diarrea, vomito, astenia, scialorrea, sudorazione,
ipotensione.
Gastroenteriti da salmonella
Le salmonelle sono enterobatteri Gram-negativi non formanti spore, anaerobi facoltativi e
mobili che crescono nei comuni terreni di coltura. Resistono al congelamento in acqua e a
talune sostanze chimiche come i sali biliari o il verde brillante, che invece inibiscono altri
enterobatteri e pertanto vengono aggiunti ai terreni di coltura per il loro isolamento dalle
feci.
Dal punto di vista biochimico le salmonelle non fermentano il lattosio, riducono i nitrati a
nitriti, non possiedono citocromo ossidasi, producono acido e di solito gas dal glucosio con
l’eccezione di S. tiphy che, a differenza dalle altre salmonelle, produce acido ma non gas
dal glucosio.
La struttura antigenica delle salmonelle comprende antigeni flagellari (H) inattivati dal
calore (≥60°C) che danno una risposta anticorpale prevalentemente IgG, antigeni somatici
(O) di natura lipoproteina, termostabili (100°C) inducenti prevalentemente una reazione
anticorpale di tipo IgM, antigene K situato all’estremità periferica del batterio e antigene Vi
45
termolabile (60°C per 1 h), la cui presenza è incostante e in passato si legava alla
virulenza. La caratterizzazione di questi antigeni in laboratorio permette di differenziare le
numerose specie di salmonelle presenti in natura ma essendo una metodica piuttosto
indaginosa, in genere è fatta solo in laboratori di riferimento e nella maggior parte dei casi
ci si limita al riconoscimento degli antigeni somatici O identificando i 6 principali gruppi (A,
B, C1, C2, D, E) a cui appartengono all’incirca il 99% delle salmonelle patogene per
l’uomo e per gli animali a sangue caldo.
La più recente revisione tassonomica delle salmonelle identifica 2 sole specie nelle quali si
differenziano 7 sotto-specie e 2500 siero-tipi (sierovar), vedi Tabella 10.6. La specie S.
enterica sottospecie enterica include le salmonelle non tifoidee e S. typhy. I sierotipi più
diffusi in Italia sono: S. typhimurium, S. enteritidis, S. panama, S. heidelberg.
Le salmonelle si ritrovano nel pollame, incluse le uova per contaminazione del guscio,
nelle carni per contaminazione con materiali vari, in tutti gli animali domestici (cani, gatti,
criceti, tartarughe), nei frutti di mare, nelle verdure e nelle acque contaminate. Esistono i
portatori umani cronici o transitori da identificare prontamente in ambiente lavorativo e/o
ospedaliero, tra cui soprattutto i reparti pediatrici.
46
Tabella 10.6: classificazione delle salmonelle (modificata da Mandell, Duglas, and Bennet.
Principles and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th Ed, 2010).
Totale 2541
La prognosi è favorevole, ma può essere più grave nelle età estreme e nei pazienti
immunocompromessi. Importante valutare anche lo stato di “portatore”, definendo un
protocollo di controllo della diffusione del microrganismo.
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Altri agenti eziologici di tossinfezione alimentare
Bacillus cereus
B. cereus è un batterio Gram-positivo, sporigeno aerobio-anaerobio facoltativo, isolato
facilmente nel terreno, nella polvere e nei vegetali. È isolato anche dal latte e dagli
insaccati (salsicce). Gli alimenti più frequentemente contaminati dal batterio o dalle spore
sono le farine, i cereali, le creme, i budini, i gelati e la purea di patate. Questa malattia
consiste in una patologia gastro-enterica con vomito e diarrea dovuta all’effetto di una
enterotossina che si può ritrovare negli alimenti o viene prodotta nell’intestino. Il batterio
produce due diversi tipi di tossine correlate a due diverse forme cliniche. Una,
termostabile, associata al consumo di cereali e farine, dopo un breve periodo di
incubazione di 1-6 h provoca nausee e vomito senza diarrea. L’altra, termolabile, dopo un
periodo di incubazione più lungo di 8-12 h, causa prevalentemente dolori addominali e
diarrea, ed è associata al consumo di carni e vegetali.
Clostridum perfringens
Vibrio parahaemolyticus
Campylobacter spp sono batteri Gram-negativi, mobili. Si conoscono diverse specie di cui
alcune causano più frequentemente quadri gastro-intestinali, mentre altre sono associate
a patologie sistemiche (Tabella 10.7).
Tabella 10.7: specie di Campylobacter e quadri clinici (modificata da Mandell, Duglas, and
Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th Ed, 2010).
C. jejuni C. fetus
C. fetus
Campylobacter spp. si trova nel lume intestinale di numerosi animali della catena
alimentare umana come pollame, bovini, suini e ovini ma non negli uccelli, nei cani e nei
gatti. Dagli animali infetti il microorganismo viene eliminato con le feci e contamina
l’ambiente. L’uomo si può infettare attraverso l’ingestione di acqua o di alimenti
contaminati. È noto il anche contagio inter-umano con trasmissione oro-fecale.
L’incubazione è in genere di 2-4 giorni (media 1-7), cui seguono sintomi generici e
febbricola 24-48 ore prima dei sintomi gastro-enterici. Le feci sono infiammatorie, ma
prevalentemente ematiche, in numero di 10-15 scariche al giorno con dolore addominale e
febbre.
49
Lysteria monocytogens
Negli ultimi decenni alcuni virus sono stati associati a malattie gastro-enteriche. Questi
agenti virali sono responsabili della maggior parte dei decessi nei bambini con età <5 anni
nei paesi a più basso regime economico, e fonte di notevole morbosità in quelli
industrializzati. Si possono presentare in forma sporadica o epidemica che interessa
comunità come famiglie, scuole, ospedali.
L’infezione diffonde per via oro fecale. Un possibile veicolo è anche l’acqua contaminata e
i frutti di mare provenienti da acque costiere infette. Viene descritta anche una diffusione
per via aerea soprattutto nella infezioni da Norwalk virus. I contatti adulti di bambini
sintomatici possono risultare infetti, e quindi trasmettere l’infezione anche se asintomatici.
Nella tabella 10.8 sono riassunte le caratteristiche cliniche delle principali intossicazioni
alimentari di origine virale.
50
Tabella 10.8: Caratteristiche cliniche delle più frequenti gastro-enteriti virali (modificata da
Moroni M, Esposito R, De Lalla F. Malattie Infettive. Masson, Milano, 2003).
Gli alimenti e l’acqua possono essere veicolo, oltre che di batteri e virus, anche di
parassiti, e in particolare di: amebe, Toxoplasma gondii (carne non cucinata), Trichinella
(cacciagione, maiale non cucinata), Giardia (alimenti crudi), Criprosporidium (succo di
mela non pastorizzato), Anisakis (pesce crudo) e al.
51
Capitolo 11. Botulismo
Le spore vengono uccise a 120°C. La presenza di sale e l’ambiente acido le rendono più
sensibili al calore, in ambiente alcalino o neutro sono uccise solo se esposte a 100°C per
5 h. Resistono a basse temperature fino a -18°C.
Alla germinazione delle spore e allo sviluppo di forme vegetative si associa la produzione
di tossina della quale si identificano 7 tipi, denominati A, B, C, D, E, F, G. I tipi A, B, E e
eccezionalmente il C e l’F sono responsabili di malattia umana, il tipo C e il tipo D causano
malattia prevalentemente negli animali. La produzione di tossine in condizioni di
anaerobiosi è favorita da temperature >30°C, tuttavia, la tossina E viene sintetizzata
anche a temperatura di 6°C. Inoltre, la tossina E viene acquisita con il consumo di carne e
di pesce.
La tossina botulinica è termolabile e distrutta dal calore, 100°C per 20 minuti, ma resiste
al pH acido dello stomaco.
52
Il botulismo è una malattia rara, grazie alla diffusa consapevolezza di questa grave
patologia. In Italia sono diagnosticate poche decine di casi all’anno.
Clinica
Dopo un intervallo di 12-36 ore, con range di 2h-14gg, che corrisponde al periodo di
incubazione, si manifestano disturbi gastroenterici come nausea, vomito, dolori addominali
e meteorismo che non dipendono dalla tossina; seguono astenia, stanchezza, giramento
di testa, paralisi e disturbi secretori con secchezza della bocca e del faringe, secchezza
congiuntivale.
Il sensorio è integro e sono assenti disturbi della sensibilità. Anche la febbre manca, a
meno che il paziente non presenti complicanze infettive.
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percentuali di letalità: tipo A 60-70 %, B 10-30 % e E 30-50 %, globalmente ridotta al
10% con adeguata terapia.
La guarigione permette il recupero totale dei deficit neurologici senza immunità, in quanto
anche in questa malattia come nel tetano la dose letale è molto bassa e inferiore a quella
immunogena.
Tabella 11.1: sintomi più frequenti di botulismo (modificata da Mandell, Duglas, and
Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th Ed, 2010).
Sintomi %
Disfagia 96
Bocca asciutta 93
Diplopia 91
Disartria 84
Visione indistinta 65
Nausea 64
Diagnosi
Per la conferma nei casi sospetti si possono utilizzare test che consentono l’identificazione
della tossina nel sangue, nel succo gastrico, nelle feci oppure nell’alimento. Il metodo più
sensibile per l’identificazione della tossina è l’inoculazione del filtrato in cavie o topolini di
laboratorio, al quale segue il decesso per paralisi motoria e midriasi in 2 giorni con effetto
inibitorio dell’antitossina. L’esame colturale con l’isolamento di C. botulinim dal sangue,
dalle feci e dal cibo implicato è raramente positivo.
Una volta confermata la diagnosi, nel caso indice è consigliato somministrare antisiero in i
dose inferiori alla dose necessaria anche alle persone asintomatiche che hanno
consumato lo stesso cibo contaminato.
Il botulismo va evitato con una preparazione e conservazione del cibo adeguata, un forte
indice di sospetto, una pronta diagnosi e una tempestiva somministrazione di antitossina.
Negli USA, per il personale a rischio come i tecnici di laboratorio e i militari, è disponibile
un vaccino con anatossina pentavalente (ABCDE).
55
Capitolo 12. Amebiasi
Entamoeba histolytica è un protozoo intestinale invasivo che causa l’amebiasi. Il termine
amebiasi sta a indicare la presenza di E. histolytica nell’organismo, ed è indipendente
dalle manifestazioni cliniche. Si possono avere infezioni senza invasione dei tessuti
(presenza del parassita nel lume intestinale con emissione di cisti), oppure malattie di tipo
colitico con invasione della parete intestinale ed eventualmente disseminazione e
localizzazione in altri organi.
Esistono diverse specie di amebe e tutte possono infettare l’uomo, ma solo E. histolytica è
in grado di invadere la parete intestinale e causare forme disseminate. Tra le specie non
patogene si trovano E. dispar, morfologicamente indistinguibile da E. histolytica ma
differenziabile mediante caratterizzazione genomiche e metodiche immuno-emzimatiche,
Entamoeba dispar, Iodameba butschlii, Entamoeba coli, Endolimax nana, Entamoeba
polecki e Entamoeba hartmanni. Ognuna di queste specie può infettare il lume
dell’intestino, e è generalmente considerata non patogena. Eccezionalmente E. polecki,
Dientamoeba fragilis e Lodamoeba bustchlii sono state associate a quadri diarroici.
Entamoeba gengivalis vive nel cavo orale. Naegleria, Acanthamoeba, Balamuthia e
Sappina sono amebe che vivono libere nelle acque dolci e possono causare
meningoencefaliti acute e subacute, e infezioni dell’occhio in forma di cheratiti.
Il ciclo vitale di E. histolytica comincia con la forma cistica quadri-nucleata presente nelle
feci e nell’ambiente. Le cisti possono sopravvivere nelle feci a 15°C ≤12 giorni, nell’acqua
a 15°C per settimane e a 4-8°C per alcuni giorni. Resistono anche al congelamento. Le
cisti, dopo essere ingerite e aver superato la barriera gastrica, si sviluppano nel colon in
trofozoiti (4 da ogni ciste). I trofozoiti sono in grado di aderire, invadere i tessuti e evadere
le difese immunitarie, oltre che degradare le IgA secretorie e nel lume intestinale si
moltiplicano per divisione binaria, fino a quando le condizioni chimico fisiche (perdita di
acqua delle feci) non determinano di nuovo la formazione di cisti; sono presenti nelle feci
diarroiche ma non sopravvivono nell’ambiente esterno, e non costituiscono un problema
per la diffusione.
Le cisti hanno una parete spessa e rifrangente, dimensioni di 9-16 µ, 2-4 nuclei in
relazione allo stadio maturativo, fine cromatina nucleare periferica, nucleolo centrale e
corpi cromatoidi. I trofozoiti sono più grandi 10-60 µ, un unico nucleo. Il citoplasma
contiene numerosi vacuoli e vi si possono trovare batteri ed eritrociti fagocitati.
56
Epidemiologia e sintomi
L’amebiasi è un'infezione molto diffusa, e circa il 10% della popolazione mondiale è infetta
da E. histolytica ed E. dispar. La prima è invasiva in circa il 10% dei casi, mentre E. dispar
è più frequentemente non patogena.
La lesione amebica intestinale tipica è l’ulcera a bottone di camicia o a fiasco (più piccola
in superficie che nella sottomucosa); il fondo è ricoperto da cellule necrotiche, i margini
sono sottominati e l’infiammazione è scarsa se non vi è superinfezione batterica. Nei casi
più gravi l’ulcera interessa la parete intestinale a tutto spessore, fino a provocare una
perforazione intestinale e una peritonite amebica. Nelle forme croniche si possono formare
stenosi e pseudo tumori parassitari.
Dopo l’intestino, l’organo più colpito è il fegato. Nell’ascesso epatico il danno epatico è
causato soprattutto dagli enzimi dei lisosomi dei neutrofili e dei monociti che circondano i
trofozoiti.
57
La colite fulminante è rarissima: si manifesta in soggetti defedati, immunocompromessi,
gravidanza e ha una letalità elevata per perforazione intestinale.
Colite amebica cronica non dissenterica: si manifesta in pazienti con amebiasi acuta non
trattata a distanza di mesi dalla infezione. È caratterizzata da episodi ricorrenti di diarrea
mucosa, perdita di peso, meteorismo e dolori addominali. Va in diagnosi differenziale con
le malattie infiammatorie croniche dell’intestino. Gli esami parassitologici possono essere
ripetutamente negativi; l’esame endoscopico mostra piccole lesioni ulcerative e si possono
vedere trofozoiti nelle biopsie. I test sierologici sono generalmente positivi e di ausilio nella
diagnosi. Lo 0,5-1% dei soggetti può sviluppare un ameboma: ispessimento della parete
intestinale (cieco o colon ascendente) e una massa di dimensioni considerevoli (fino a 30
cm) che sporge nel lume intestinale.
Oltre alla localizzazione epatica si può avere l'interessamento di altri organi tra cui il
polmone, la cute (amebiasi cutanea con lesioni necrotico ulcerative perineali, facilmente
sanguinanti), il cervello, la milza e l’apparato genitale.
Diagnosi
Sono utilizzati: esame parassitologico delle feci, esame microscopico aspirato ascesso,
esame endoscopico, esame istologico, ricerca di anticorpi (Tabella 12.1).
Profilassi
58
Tabella 12. 1: esami diagnostici in pazienti con amebiasi (modificata da Moroni M, Esposito
R, De Lalla F. Malattie Infettive. Masson, Milano, 2003).
Sensibilità %
Microscopico Aspirato Si NA 25
PCR Feci Si 90 -
59
Capitolo 13. Malaria
Eziologia
Il ciclo biologico dei plasmodi comprende una fase asessuta (schizogonica) nell’uomo e
una sessuata (sporogonica) nella zanzara. La fase asessuata ha diversi aspetti
morfologici. Gli sporozoiti sono inoculati dalla zanzara e maturano a livello epatico
trasformandosi in criptozoiti che rimangono latenti nel fegato, e merozoiti che si trovano
nella circolazione e nelle emazie. I merozoiti si trasformano in trofozoiti e schizonti multi
nucleati che si ritrovano all’interno delle emazie; meroziti e gametociti sono presenti in
circolo.
Ciclo biologico
Gli sporozoiti inoculati dalla zanzare nell’uomo maturano a livello epatico (fase
esoeritrocitaria primaria o schizogonia tessutale primaria). La moltiplicazione intracellulare
epatica porta a criptozoiti e criptomerozoiti. La rottura dell’epatocita con la conseguente
liberazione di merozoiti nei capillari sinusoidali e quindi nella circolazione precede la fase
asessuata eritrocitaria (schizogonia eritrocitaria). I criptozoiti epatici di P. vivax e P. ovale
possono non andare incontro alla fase shizogonica eritrocitaria per anni.
P. ovale si differenzia per l’evidenza nei globuli rossi che appaiono ingranditi e deformati di
trofozoiti in fase di crescita.
P. malariae causa la quartana, ha trofozoiti ad anello unico con alcune forme a banda che
occupano tutta la cellula eritrocitaria, che conserva dimensioni normali.
60
Nella Tabella 13.1 sono riportate le caratteristiche morfologiche più significative dei globuli
rossi parassitati, e nella Tabella 13.2 sono indicati alcuni aspetti clinici della malaria in
relazione alla specie di Plasmodium.
Emazie parassitate
Diminuite
Morfologia plasmodi
eritrocita
Fino a qualche anno fa si pensava che P. knowlesi fosse causa di malaria solo nella
scimmia Macaca mulatta e Paplio anubi, ma nel 1965 fu riportato il primo caso di malaria
umana da P. knowlesi, seguito da un altro caso nel 1971. Nel 2004 è stata segnalata una
epidemia a Kapit Division, Stato di Sarawak, Borneo Malese, e contemporaneamente è
stato segnalato che Anopheles latin, vettore di questo plasmodio che si pensava confinato
61
alle scimmie, può pungere anche l’uomo sopratutto al tramonto nelle foreste e/o ai limiti
delle foreste.
Tabella 13.2: caratteristiche cliniche della malaria in relazione alla specie (modificata da
Moroni M, Esposito R, De Lalla F. Malattie Infettive. Masson, Milano, 2003).
Parassitemia
La malaria è endemica nelle aree tropicali del mondo, in Africa, Asia, Oceania e America
latina, pur con una distruzione in continua evoluzione. La malattia è condizionata
dall’habitat del vettore (Anopheles) e dal numero di soggetti con gametociti, e viene
trasmessa da persona a persona mediante la puntura del vettore. Anopheles gambiae
complex, e in particolare A. funestus, trasmette la malaria con estrema efficienza
nell’Africa sub-Sahariana. La malaria viene trasmessa soprattutto durante la stagione delle
piogge.
La malaria può essere contratta anche con trasfusioni di sangue, trapianto d’organo e uso
di siringhe in comune.
Il periodo di incubazione è in relazione alla specie, pur con qualche variazione. Segue il
periodo di prima invasione, nel quale il sintomo principale è una febbre irregolare ma
quasi mai intermittente, comunque preceduta da brivido. L’irregolarità della curva termica
dipende dall'asincrona lisi delle emazie. Altre manifestazioni non sempre presenti sono
cefalea, vomito, rachialgie, diarrea, rantoli a medie-grosse bolle all’auscultazione del
torace e ingrandimento della milza.
Nel periodo di stato è tipico l’attacco malarico nel quale si susseguono diverse fasi. La
prima fase del brivido, che dura da ½h a 1 h, il paziente manifesta brivido e freddo intenso,
cefalea, vomito, pressione diminuita, polso piccolo e frequente. La temperatura inizia a
salire. Nello stadio del calore, della durata di 2-7 h, la temperatura raggiunge valori elevati,
la cute è arrossata e asciutta, la pressione arteriosa aumentata e non è raro il delirio. Nello
stadio della sudorazione-defervescenza si manifesta una sudorazione profusa con
normalizzazione della temperatura. L’accesso malarico recidiva ogni 48 h nella terzana da
P. falciparum, P. viviax, P. ovale, e ogni 72 h nella quartana da P. malariae.
Prescindendo dalle complicanze e dalla forma perniciosa che si associano solo alle
infezioni da P. falciparum, il decorso spontaneo della malaria è favorevole con episodi
successivi di febbre che si esauriscono dopo 3-4 mesi nelle infezioni da P. falciparum, più
a lungo in quelle da altre specie.
Le forme di malaria grave sono definite dalla presenza di almeno uno dei seguenti sintomi:
63
10) Shock
11) Incapacità di assumere cibo e liquidi
12) Vomito incoercibile
13) Iperpiressia Temperatura >40ºC.
In presenza di questi sintomi e di un dato epidemiologico c’è indicazione alla terapia anche
se l’esame emoscopico è risultato negativo.
Figura 13.1: esame microscopico: 13.1a) goccia spessa evidenza di trofozoiti; 13.1b):
striscio sottile in paziente con malaria da P. falciparum, evidenza di trofozoiti all’interno
delle emazie.
13.1a
13.1b
64
Diagnosi
L’esame cardine nella diagnostica della malaria è l’esame del sangue per la ricerca del
parassita (emoscopia), da prelevare all’inizio dell’attacco malarico. Il vetrino con la goccia
spessa nel quale il numero dei parassiti è concentrato 20-40 volte per campo, per cui ha
una sensibilità superiore, va colorato con la colorazione di Giemsa. Lo striscio di sangue
sottile, più importante per l’identificazione della specie di plasmodio, viene colorato con la
stessa metodica dopo essere stato fissato. Entrambe le tecniche possono essere utilizzate
anche per definire il grado di parassitemia. Falsi negativi dell'emoscopia si possono avere
nelle infezioni con bassa parassitemia ma anche in quelle gravi, nelle quali le emazie
infette possono rimanere bloccate nei capillari.
Nella diagnosi della malaria, e soprattutto per le infezioni da P. falciparum, sono molto
sensibili anche i test rapidi, che si basano sulla ricerca di antigeni del parassita e sono
anche di facile esecuzione da parte di personale non esperto nella diagnosi di malaria.
Prevenzione
Con l’eccezione del Malarone, un farmaco che associa atovaquone e proguanil, i farmaci
utilizzati agiscono sui parassiti dopo che sono entrati nelle emazie, per cui vanno
proseguiti per quattro settimane dopo il rientro dalle aree a rischio. Il Malarone, che agisce
anche sui parassiti nella fase di replica eso-eritrociraria del fegato, viene prescritto fino a
7 giorni dopo il rientro.
65
Capitolo 14. Febbre bottonosa
La febbre bottonosa, o malattia da zecche del Mediterraneo, è una malattia infettiva nella
maggior parte dei casi benigna, causata da Rickettsia conorii e trasmessa all’uomo dalla
zecca del cane Rhipicephalus sanguineus.
La zecca si infetta pungendo animali domestici (cane) o selvatici (cani, conigli, ovini e
bovini). Una volta acquisito il microrganismo, le zecche rimangono infette tutta la vita e
trasmettono l’infezione per via trans-ovarica anche alla progenie. L’uomo, quando
occasionalmente viene punto dalla zecca infetta, acquisisce il microrganismo attraverso la
puntura.
La febbre bottonosa è diffusa nel bacino del Mediterraneo. In Italia sono diagnosticati
all’incirca 1000 casi all’anno concentrati soprattutto in Sicilia, Sardegna, Calabria e Lazio.
L’incidenza è maggiore nei mesi estivi.
Sintomatologia
Dopo un periodo di incubazione di 5-7 giorni il paziente manifesta febbre elevata, cefalea,
astenia, artomialgie, congiuntivite, talora alterazione del sensorio. Frequentemente, in
corrispondenza della puntura della zecca è presente una lesione cutanea di tipo escara
necrotica (tache noire) con linfoadenopatia satellite, che successivamente cadendo lascia
un’ulcerazione.
Dopo 3-4 giorni compare l’esantema maculo-papulare (lenticolare), a volte con impronta
emorragica, che inizia dagli arti inferiori e poi diffonde a tutto il corpo interessando anche
le palme delle mani e le piante dei piedi.
Diagnosi
In presenza della tache noire e del dato anamnestico la diagnosi è facile e può essere
confermata con la ricerca di anticorpi del tipo IgM.
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Terapia e Profilassi
Si previene evitando il morso delle zecche e rimuovendo al più presto e con delicatezza
quelle che vengono trovate attaccate alla cute.
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Capitolo 15. Malattia di Lyme
La malattia di Lyme è una antropozoonosi trasmessa da una zecca del genere Ixodes che
infetta i mammiferi e i piccoli roditori.
I primi casi di questa patologia furono identificati nel Connecticut nel 1977, e la malattia fu
denominata artrite di Lyme, poiché la manifestazione predominante era l’artrite.
Successivamente, è stato chiarito l’aspetto sistemico e la malattia è stata rinominata
malattia di Lyme.
I casi non trattati presentano tre fasi, la prima caratterizzata da manifestazioni cutanee:
eritema cronico migrante. La seconda ha manifestazioni neurologiche e cardiologiche,
nello specifico meningite, paralisi di Bell e miocardite, oltre a sintomi osteo-articolari diffusi.
La terza fase provoca manifestazioni articolari e encefalitiche. Non raro in questa fase
anche l’interessamento cutaneo in forma di acrodermite cronica atrofizzante.
Eziologia
L’agente eziologico della malattia di Lyme appartiene al phylum spirochete, specie Borrelia
di cui sono state identificate 3 diverse specie patogene per l’uomo: B. burgdorferi sensu
stricto, presente negli Stati Uniti e in minor misura in Europa e Asia, B. afzelii e B. garinii
presente in Europa e Asia. Ciò oltre al fatto che si possono avere anche infezioni con
diverse specie contemporaneamente può giustificare la diversità delle manifestazioni
cliniche nelle diverse aree geografiche. Alle 3 specie patogene si aggiungono altre 9
raramente responsabili di malattie nell’uomo.
Epidemiologia
B. burgdorferi viene trasmessa con la puntura di zecche del genere Ixodes: I. scapularis e
I. dammini nei paesi nord est e medio orientali degli USA e I. pacificus (zecca del cervo) in
quelli dell’ovest degli USA, I. ricinus (zecca della pecora) in Europa, e I. persulcatus
(zecca della taiga) in Asia. Il serbatoio in natura è rappresentato dall’animale infetto e
l’uomo si infetta occasionalmente con la puntura della zecca come il cane e il cavallo.
Le zecche hanno un ciclo vitale di tre anni in tre fasi: larva, ninfa, acaro adulto. Per lo
sviluppo richiedono un pasto ematico da un ospite vertebrato; in particolare le ninfe si
nutrono prevalentemente dai roditori, mentre gli adulti da animali di media, grossa taglia e
più spesso dai cervi. In natura l’infezione è mantenuta dagli ospiti con spirochetemia e
anche con il passaggio delle spirochete tra le larve e le ninfe. L’uomo, come altri animali
vertebrati, sono punti occasionalmente. La trasmissione avviene durante il pasto ematico
68
per rigurgito del contenuto dello stomaco della zecca o per inoculazione della saliva
infetta.
La zecca, e in particolare la ninfa, è talmente piccola che può non essere vista, e
trasmette più facilmente l’infezione soprattutto quando adesa all’ospite per oltre 36-48 ore.
Nei paesi a clima temperato l’attività delle zecche è massima nel periodo maggio-ottobre;
in particolare, nel periodo primaverile sono più attive le ninfe, e in quello autunnale gli
adulti.
Le zecche generalmente vivono nei boschi, nella terra umida, e si aggrappano anche
all’erba alta, a cespugli, ad arbusti e alberi e rami bassi. I prati e i giardini sono un habitat
ideale per le zecche, specialmente ai bordi dei boschi e delle foreste o nei pressi di vecchi
muri in pietra, aree in cui prosperano cervi e topi.
Le zecche possono mordere ovunque ma preferiscono certe aree del corpo, come dietro
le orecchie, la parte posteriore del collo, le ascelle, l’inguine e dietro le ginocchia.
In Italia i primi casi sono stati descritti nel 1987, e l’infezione sembrerebbe più frequente in
Liguria, Friuli, Veneto e nell'area dell’appennino tosco-emiliano. La malattia di Lyme è
presente nel nord-est degli Stati Uniti, Wisconsin, California, Oregon, nelle regioni
temperate dell’Europa, in Scandinavia, paesi dell’ex Unione Sovietica, Cina, Corea,
Giappone.
Il periodo di incubazione della malattia di Lyme dura in media 3-14 giorni, e talora anche
più di un mese.
La lesione cutanea (Figura 15.1) si sviluppa in corrispondenza del morso della zecca.
All’inizio consiste in una piccola maculo papula rossa che poi si estende fino a divenire e
ha un aspetto anulare, con al centro un’area di colorito rosso acceso o vescicolare o
anche necrotica; all’interno di essa o in altre sedi si possono formare altre lesioni con
morfologia simile, ma di dimensioni inferiori (eritema cronico migrante). Spesso sono
presente anche linfonodi reattivi regionali e sintomi sistemici: febbre, cefalea, meningismo,
malessere, dolori articolari e muscoalri e astenia. In alcuni anche ingrossamento del
fegato e della milza. L’eritema regredisce nel giro di qualche settimana, mentre le artralgie
e l’astenia possono persistere anche mesi. In questa fase si possono identificare le
69
borrelie nei preparati bioptici della cute; la risposta anticorpale è scarsa o ancora non
evidenziabile.
Figura 15.1: lesione cutanea primitiva della malattia di Lyme (megalo eritema infettivo).
La seconda fase è legata alla diffusione delle borrelie per via ematogena al sistema
nervoso centrale, al cuore, all’apparato muscolo scheletrico e nuovamente alla cute.
Il terzo stadio della malattia di Lyme si sviluppa da poche settimane a 2 anni dall’eritema
cronico migrante nel 60% dei soggetti non trattati, con artriti recidivanti o croniche o
manifestazioni tardive neurologiche di tipo enecefalo-mielite progressiva, oppure lesioni
cutanee quale l’acrodermatite cronica atrofizzante.
La trasmissione di B. burgdorferi al feto, per quanto possibile, sembra essere molto rara.
Tuttavia, sono stati segnalati casi di sicuro riscontro di infezione fetale con disseminazione
di borrelie a diversi organi e morte intrauterina.
La diagnosi si basa sul sospetto clinico, il dato anamnestico di morso da zecca (anche se
questo evento non viene riferito dalla maggior parte dei pazienti) e la presenza delle
lesioni cutanee tipiche del primo stadio della malattia. La conferma viene con l’isolamento
colturale di Borrelia o l’identificazione del genoma oppure indagini sierologiche.
70
lunghi, pantaloni inseriti negli stivali o nelle scarpe, abiti color pastello che aiutano a
vedere facilmente le zecche; tenere i capelli lunghi raccolti o tirati indietro in un cappello
per una maggiore protezione, non sedersi sull’erba, verificare dopo una passeggiata che
sul corpo non ci siano zecche.
Negli Stati Uniti è disponibile un vaccino consigliato in soggetti che vivono o si recano in
aree a rischio, la cui efficacia è del 46% dopo 2 somministrazioni e del 76% dopo la terza
dose.
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Capitolo 16. Leptospirosi
Eziologia
La leptospirosi è una malattia presente in tutto il mondo con alcune siero-varianti come L.
icterohaemorrhagica e L. canicola ubiquitarie e altre, come L. batviae presente solo in
alcuni paesi.
Il principale serbatoio delle leptospire sono i ratti, i roditori selvatici e gli animali domestici
come il cane, il gatto, il maiale, i bovini e gli ovini. Questi animali possono essere portatori
permanenti o transitori dopo uno stato di malattia più o meno evidente. Nell’animale infetto
le leptospire si riproducono nei reni e sono eliminate con le urine in concentrazioni molto
elevate, anche ≥106 colonie formanti unità/ml di urina, producendo un significativo
inquinamento dell’ambiente dove sopravvivono con temperature ≥22°C nel terreno umido,
nel fango e nelle acque dolci e stagnanti per lunghi periodi. Al contrario, hanno breve
sopravvivenza nei terreni asciutti.
Clinica
L’uomo si infetta con la penetrazione delle leptospire attraverso la cute sana o macerata o
attraverso le mucose, sia orale che congiuntivale.
72
Dopo un'incubazione di 1-2 settimane, a volte più breve di 4-5 giorni, si ha una fase
setticemica (prima fase) della durata di 6-9 giorni, durante la quale si ha una distribuzione
sistemica di leptospire e una reazione infiammatoria dei vasi sanguigni (vasculite) con
lesioni endoteliali che facilitano la localizzazione dei microorganismi in alcuni organi (rene,
fegato e SNC), e possibili complicanze emorragiche. A volte segue una seconda fase con
manifestazioni di localizzazione con accentuazione del danno vascolare, e reazioni
infiammatorie anche da immunocomplessi. Gli organi colpiti sono rene, fegato e sistema
nervoso centrale. La gravità dipende dalla varietà sierologica in causa, e alcuni pazienti
hanno manifestazioni aspecifiche e subcliniche.
Dopo un incubazione di 7-14 giorni, ma anche più breve (4-5) o più lunga (3 settimane), la
prima fase di malattia si manifesta con inizio brusco con brivido, febbre (39°-40° C),
mialgie intense e diffuse, artralgie, cefalea, anoressia, nausea, vomito, congiuntivite,
bradicardia relativa ± ingrossamento del fegato e della milza della durata di 5-7gg, seguita
da defervescenza per 1-2 giorni e quindi una seconda fase con ripresa della febbre fino a
39-40°C e manifestazioni da danno epatico con ittero color arancio (vasodilatazione),
manifestazioni emorragiche del naso, della cute e delle congiuntive, danno renale con
albuminuria, cilindruria, ematuria microscopica, iperazotemia, danno polmonare con
polmonite o sindrome da distress respiratorio, o cardiaco con miocardite.
La guarigione è indicata dalla caduta della febbre per lisi dopo 14-20 gg, con regressione
dell’ittero e dell’insufficienza renale.
In alcuni casi il quadro clinico è grave fino al decesso. Si possono avere anche forme
asintomatiche, ma il quadro clinico in parte è determinato dal sierotipo.
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Diagnosi
La diagnosi di leptospirosi non è facile nelle forme “non Weil “; di ausilio sono le indagini
sierologiche per la ricerca di anticorpi agglutinanti, positive tardivamente anche dopo 30
giorni di malattia e con persistenza della positività per tutta la vita, e la siero diagnosi con
ricerca di IgM con metodiche immuno-enzimatiche, positiva già nella prima settimana.
Profilassi
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Capitolo 17. Liesmaniosi
Si tratta di una malattia provocata da protozoi del genere Leishmania, che infetta l’uomo e
animali domestici e selvatici. Nell’uomo la leismaniosi si può manifestare in forma
generalizzata (leismaniosi viscerale) o localizzata, coinvolgendo la cute o le mucose
(leismaniosi muco cutanea).
Le leismanie sono protozoi asessuati dixeni, cioè con un ciclo di sviluppo nell’insetto. Non
è nota una replicazione sessuata, e quella asessuata avviene per divisione binaria
longitudinale.
Dal punto di vista morfologico, nell’uomo il parassita ha corpo rotondeggiante di 2-3µ, non
ha flagello e viene chiamato amastigote mentre nel vettore, e in particolare nel tratto
digestivo e nella proboscide, ha un corpo allungato a pera di 10-15µ, flagellato, detto
promastigote.
L’uomo si infetta dopo la puntura del vettore, un insetto dittero ematofago noto come
“pappatacio”, genere Lutzomya nelle Americhe e Phlebotomus in ogni altro paese. Delle
otto specie di flebotomo presenti in Italia, quattro sono vettori dimostrati di L. infantum, e
P. perniciosus è il più efficace. L’attività di flebotomi è tipicamente stagionale, e le femmine
ematofaghe sono presenti solo durante i mesi caldi dell’anno, da maggio a
settembre/novembre. Alle nostre latitudini e in condizioni ambientali idonee, l’intero ciclo di
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sviluppo dei flebotomi (uovo, larva, pupa e adulto) può richiedere 7-8 settimane. I
flebotomi hanno abitudini notturne e sono attivi dal crepuscolo all’alba.
Le misure di controllo contro le forme larvali dei flebotomi vettori della leismaniosi non
sono realizzabili per l’impossibilità di localizzare gli innumerevoli focolai delle larve in
natura, e la lotta è possibile solo contro i vettori adulti. Anche la riduzione della
popolazione dei flebotomi attraverso l’impiego di insetticidi è limitata per vari motivi, e
quindi la prevenzione della leismaniosi è indirizzata a limitare il contatto tra vettore e ospite
mediante l’uso topico di principi attivi ad effetto protettivo contro la puntura.
Le popolazioni più suscettibili all'infezione sono i bambini con meno di 10 anni, i giovani
adulti se sovraesposti e i pazienti immuno-compromessi.
Tabella 17.1: le più frequenti specie di Leishmania in relazione al quadro clinico prevalente
(modificata da Mandell, Duglas, and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease.
Philadelphia 7th Ed, 2010).
L. infantum,
L. chagasi
L. amazonensis,
L. venezuelensis
L. peruviana
L. panamensis
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Epidemiologia
La leismaniosi è diffusa nel mondo tranne che in Australia, Oceania e Antartide. Il numero
totale di individui a rischio raggiunge i 350 milioni, e l’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) e l’Organizzazione Mondiale dela Salute (WHO) stimano 12 milioni di
persone infettate nel mondo, con 500.000 nuovi casi di leismaniosi viscerali e 1,5 milioni di
Le manifestazioni cliniche della leismaniosi sono diverse da forme viscerali, cutanee pure
(bottone di oriente) e muco-cutanee, in relazioni alla patogenicità e al tropismo del
parassita e alla risposta immunlogica dell’ospite.
Circa il 90% delle forme viscerali si trova nel Sub-continente indiano, nel Sudan e in
Brasile, ma sono presenti casi in tutto il bacino del mediterraneo inclusa l’Italia e in
particolare in Sicilia e nelle regioni centro meridionali (Figura 17.1). Nel Sud-Est
dell’Europa la leismaniosi viscerale rappresenta un'importante patologia in pazienti con
infezioni da HIV/AIDS e altre condizioni che inducono un deficit della immunità.
Le forme cutanee sono più numerose nel Medio Oriente (Afghanistan, Arabia, Siria, Iran) e
nelle Americhe (tranne Canada, Cile, e Uruguay). La leismaniosi cutanea è un'importante
problematica in persone che per vari motivi si trasferiscono nelle aree endemiche.
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Figura 17.1: distribuzione di Lesihmania spp in Italia (Gradoni e al.).
Patogenesi, Diagnosi
La diagnosi si basa sulla dimostrazione del parassita (amastigoti) nei tessuti. Il puntato
midollare ha un tasso di positività del 60- 85%, e la puntura della milza del 98%.
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Per la coltura si usa il terreno Novy Mac Neal Nicolle (NNN) e incubazione a 22-26° C;
altri accertamenti diagnostici sono i test sierologici e la ricerca di antigeni nelle urine.
La profilassi della liesmaniosi si basa sulla diagnosi e la cura degli animali infetti: l’uomo,
nei paesi in cui è l’uomo la riserva dell'infezione, e il cane negli altri paesi.
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Capitolo 18. Legionellosi
In termine legionellosi sta a indicare le malattie causate da Legionella spp.: la polmonite,
le infezioni extrapolmonari focali e una malattia febbrile pura, la febbre di Pontiac.
Complessivamente, si stima che L. pneumophila è responsabile del 1-5% dei casi di
polmonite.
L. pneumophila è l’agente eziologico della polmonite, detta anche malattia dei legionari
perché i primi casi di malattia furono diagnosticati nel 1976, nel corso di un'epidemia di
polmonite tra i legionari riuniti a Philadelphia. In quell'occasione furono coinvolte 221
persone, e 34 andarono incontro a decesso. Dopo 6 mesi, McDade e Shepard
identificarono l’agente eziologico della epidemia in un batterio Gram-neg di difficile
isoalmento. Negli anni successivi furono messi a punto test sierologici specifici, e altre
epidemie da Legionella furono identificate in modo retrospettivo.
Legionella spp. sono batteri Gram-neg piccoli, con esigenze nutrizionali particolari; per lo
sviluppo richiedono terreni di coltura arricchiti di L-cisteina, ferro, α-ketoglutarato e
carbone - BCYEα medium. Sono batteri aerobi obbligati, che crescono a temperature tra
20-42 °C in 4-5 giorni, ma possono essere necessari periodi più prolungati.
Sono state identificate oltre 50 specie, di cui 20 capaci di infettare l’uomo. L. pneumophila
comprende 16 diversi siero-gruppi e L. pneumophila siero-gruppo 1, responsabile della
epidemia del 1976 a Philadelphia, causa il 70-90% dei casi di legionellosi nei quali il
microorgansimo viene isolato e tipizzato.
Epidemiologia
Le legionelle sono ubiquitarie nelle acque dolci ma anche nelle acque costiere a
temperature comprese tra 5->50°. Le temperature più alte comprese tra 25-40°C
supportano meglio la crescita del microrganismo. Recentemente sono state associate a
infezioni da legionella anche pozzanghere di acqua piovana, acque di inondazione, acqua
per il lavaggio delle strade e delle finestre. Nelle stesse acque si possono trovare anche
amebe a vita libera (Acanthamoeba, Naegleria, Hartmannella), e la loro presenza
supporta lo sviluppo delle legionelle che si moltiplicano più attivamente all’interno delle
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amebe. L’infezione delle amebe è anche una forma di sopravvivenza per le legionelle a
condizioni ambientali difficili, come cambiamenti della temperatura o altro.
Polmonite acuta essudativa. La malattia inizia dopo 2-10 (in media 4-6) giorni dalla
esposizione. Sono riportati casi anche con range di 1-28 giorni di incubazione.
La malattia inizia con cefalea, dolori ai muscoli, astenia, anoressia, febbre, brividi, dolori
addominali e diarrea, manifestazioni che possono essere fuorvianti e non indicative di
81
infezione delle vie respiratorie inferiori. In questa fase l’esame del torace generalmente
evidenziata sintomi di consolidazione polmonare, e l’esame radiologico del torace è
generalmente positivo. Dopo qualche ora o qualche giorno si manifesta anche tosse, con
espettorazione nel 50% dei casi e dolore toracico.
Antigene
Test Coltura IFA Sierologia PCR
Urine
Secrezioni
respiratorie, liquido Siero Secrezioni
Come
Campione pleurico, sangue, Urine (doppio respiratorie,
coltura
biopsie/ campione) urine
autopsie
Semplice,
Specifico, Non
Positività lenta, non Sensibile Non tutti i Standardizzata
Commenti Tardiva
tutti i laboratori Persiste per laboratori Non kit
mesi dopo il commerciali
trattamento
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Prevenzione
Non ci sono vaccini disponibili. L’aver superato l’infezione non previene una eventuale
reinfezione. In situazioni di rischio elevato e in ospiti selezionati è possibile considerare
una profilassi antibiotica.
83
Capitolo 19. Carbonchio o antrace
Il carbonchio è la prima malattia nella quale fu definita la eziologia batterica, confermando
i quattro i criteri enunciati da Robert Kock per stabilire la relazione di causa-effetto tra un
microrganismo e una malattia. È una zoonosi che colpisce animali selvaggi e domestici e
occasionalmente l’uomo; inoltre, nei paesi industrializzati negli ultimi anni il carbonchio ha
attirato l’attenzione come malattia correlata al bioterrorismo.
Eziologia
Epidemiologia
Le manifestazioni cliniche più frequenti sono quelle cutanee (carbonchio cutaneo), seguite
dalle infezioni polmonari, gastro-intestinali e setticemiche.
84
Carbonchio cutaneo
Il periodo di incubazione di questa forma clinica è in media 2-5 giorni, dopo i quali si
sviluppa la lesione iniziale rappresentata da una piccola papula pruriginosa, che in meno
di 24 h evolve in una vescicola che si circonda di tessuto eritematoso e edematoso. La
vescicola in pochi giorni si trasforma in crosta, che aderisce ai tessuti sottocutanei e ha un
anello di nuove piccole vescicole. In 7-8° giornata si definisce la tipica escara
tondeggiante, infossata, circondata da cute edematosa e arrossata sulla quale sono
evidenti altre croste, evoluzioni delle vescicole secondarie. Dopo 3 settimane la crosta
cade, residuando edema che può essere molto importante e l’unica manifestazione clinica.
Se il carbonchio cutaneo interessa la parte superiore del torace, il collo e il volto può
anche portare a compressione della trachea (edema maligno). Non sempre coesistono
segni sistemici come febbre – che in genere non raggiunge valori elevati – cefalea o
malessere.
Tabella 19.1: carbonchio polmonare (modificata da Mandell, Duglas, and Bennet, Principles
and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th Ed, 2010).
Fasi Sintomi
Primo stadio: esordio insidioso (1-4 gg) Febbre, malessere, tosse non produttiva,
precordialgie
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La setticemia è la forma clinica più grave e incide per il 5% dei casi. Può essere
secondaria a localizzazione cutanea, polmonare o intestinale, e si manifesta con febbre
elevata, alterazioni del sensorio, insufficienza respiratoria, renale e cardiaca.
La diagnosi di carbonchio è facile nelle forme cutanee e molto complessa per le altre
forme cliniche ,nelle quali il dato epidemiologico dell’esposizione è fondamentale.
Tabella 19.2: carbonchio intestinale (modificata da Mandell, Duglas, and Bennet, Principles
and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th Ed, 2010).
Fasi Sintomi
Prima fase (2-5 gg dopo l’ingestione) Febbre, nausea, vomito, diarrea , dolori
addominali, enterorragie, ematemesi
Seconda fase (2-4 gg dopo l’insorgenza Riduzione dei dolori addominali, comparsa
dei sintomi) di ascite, tossiemia generalizzata, possibili
perforazioni intestinali
Profilassi
86
Capitolo 20. Tubercolosi
La tubercolosi (TB) è una patologia infettiva, contagiosa, causata da Mycobacterium
tuberculosis complex. Le manifestazioni cliniche coinvolgono più spesso il polmone, ma
possono essere interessati altri organi e apparati e si possono avere anche forme
disseminate, cioè con localizzazione contemporanee in più organi.
M. tuberculosis M. bovis
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L’esame colturale è un elemento importante ed essenziale nella indagini microbiologiche
per la malattia tubercolare perché, oltre a confermare la diagnosi di tubercolosi, indica la
vitalità del microorganismo. Inoltre, consente di definire la sensibilità dell’isolato ai farmaci
antitubercolari assolutamente necessaria, in considerazione della presenza in alcuni paesi
di ceppi di M. tuberculosis resistenti ai farmaci antitubercolari. A questo riguardo, di
particolare gravità sono gli isolati multi-drug resistant (MDR), cioè resistenti
contemporaneamente a isoniazide e rifampicina, e gli isolati extremly resistant (XDR), con
resistenza a isoniazide e rifampicina, più un fluorochinolone e uno dei tre farmaci anti
tubercolati di seconda linea iniettabili come amikacina, capreomicina e kanamicina (World
Health Organization, Ottobre 2006).
Epidemiologia
In Italia i nuovi casi/anno di TB sono lo 0,5%. L’incidenza è superiore negli immigrati, nei
quali è pari a quella del paese di origine.
Nella maggior parte dei casi la TB è trasmessa per aerosol di particelle di dimensioni <5µ,
sospese nell’aria, che raggiungono gli alveoli polmonari e si producono con il parlare,
tossire, starnutire e con i colpi di tosse. Anche gli aerosol che si formano durante la
medicazione di ferite cutanee sono implicati nella trasmissione.
Di rilievo il fatto che l’aria della camera del paziente con TB bacillifera è contagiosa anche
in assenza del paziente, per cui è indispensabile utilizzare gli appositi dispositivi di
sicurezza entrandovi.
Particelle di dimensioni >5µ non sono associate alla diffusione della TB, perché se
vengono inalate sono espulse con la tosse.
Il rischio di infezione è correlato all'infettività del caso indice, cioè alla quantità di batteri
che il paziente con TB disperde nell’ambiente, ed è superiore se l’esame microscopico del
paziente è positivo. Dipende anche dal tipo di contatto, ed aumenta con contatti ravvicinati
e prolungati (Tabella 20.2).
Altri fattori di rischio per la diffusione della patologia tubercolare sono l’affollamento e la
minore resistenza all’infezione, che si realizzano più frequentemente in soggetti con
condizioni di disagio sociale come senza tetto, alcolismo, tossico-dipendenza e
immigrazione.
Tabella 20.2: fattori di rischio per la diffusione della TB (modificata da Mandell, Duglas, and
Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th Ed, 2010).
Condizione Rischio
L’esame microscopico può persistere positivo per prolungati periodi dopo l’inizio della
terapia (negatività delle colture)
Tabella 20.3: fattori di rischio per TB (modificata da Mandell, Duglas, and Bennet. Principles
and Practice of Infectious Disease. Philadelphia 7th Ed, 2010).
Affollamento
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Patogenesi e Clinica
I micobatteri tubercolari inalati con le particelle di aria di dimensioni ≤5µ raggiungono gli
alveoli polmonari periferici (sub pleurici) dei lobi inferiori, dove il flusso di aria è maggiore.
Qui vengono fagocitati dai macrofagi polmonari che nei primi giorni/settimane non
riescono a controllarne la replicazione. La fagocitosi macrofagica dei micobatteri
determina la liberazione di citochine infiammatorie che richiamano altre cellule
immunitarie, nello specifico i linfociti T helper. I loro mediatori chimici sono in grado di
richiamare altri macrofagi e di attivarli.
I macrofagi attivati diventano i principali effettori della uccisione dei micobatteri, e quindi
del controllo della infezione.
Durante i primi giorni dal contatto può verificarsi la migrazione di alcuni macrofagi con
micobatteri fagocitati, ma non uccisi, nei linfonodi regionali, da dove possono superare il
filtro linfatico e trasportare i microrganismi in altri organi.
Dopo circa tre settimane dal contatto, ma talora anche dopo più tempo, la risposta
dell'immunità cellulo mediata è completa e può essere diagnosticata mediante il test
cutaneo con la tubercolinica, una proteina purificata di micobatteri (TST).
90
Diagnosi
La diagnosi di tubercolosi si avvale dell’esame clinico e della conferma eziologica con test
di laboratorio. Sono utilizzate sia indagini classiche, come l’esame microscopico con
colorazioni che evidenziano la capacità di M. tuberculosis di resistere alla decolorazione
con acido e alcol come la colorazione di Ziehl-Neelsen (Figura 20.1a), sia esami colturali
utilizzando specifici terreni di coltura (Figura 20.1b).
Terapia
Con il termine di tubercolosi latente si intende il soggetto con test tubercolinico cutaneo
(TST) positivo senza alcuna manifestazione clinica di tubercolosi. Anche questi soggetti,
se non sussistono controindicazioni, necessitano di terapia per un periodo di 9 mesi e con
uno solo dei farmaci che vengono utilizzati per la terapia della tubercolosi, soprattutto se il
soggetto presenta fattori di rischio che facilitano l’evoluzione dalla forma latente alla
tubercolosi attiva.
91
Figura 20.1a): esame microscopico dell’espettorato dopo colorazione di Ziehl-Neelsen
evidenza di bacilli alcol-acido resistenti; 20.1b): colonie di M. tuberculosis su terreno di
Lowenstein-Jensen.
20.1a
20.1b
92
Capitolo 21. Infezioni trasmesse da artropodi
Gli artopodi (zanzare, zecche, flebotomi) possono trasmettere numerose infezioni virali
all’uomo e ad altri animali. I virus trasmessi dagli artropdi sono denominati genericamente
arbovirus. Attualmente, alcuni sono stati riclassificati sulla base di caratteristiche fisico-
chimiche in cinque famiglie, mentre altri sono rimasti non classificati. Le cinque famiglie
sono: Togaviridae, Flaviviridae, Bunyaviridae, Reoviridae e Rhabdoviridae.
Gli arbovirus sono tutti virus a RNA, e la maggior parte possiede un involucro sensibile ai
solventi dei lipidi.
Le malattie da arbovirus sono diffuse nelle regioni temperate ma soprattutto nelle regioni
tropicali, dove c’è abbondanza di vettori e di ospiti. Il ciclo biologico dei virus prevede ospiti
vertebrati non umani e artopodi vettori ematofagi, principalmente zanzare e zecche. Per
alcuni virus il ciclo richiede più di un ospite vertebrato e diversi vettori: alcuni infettano più
ospiti, altri sono trasmessi da più di un vettore, e il loro mantenimento in natura è favorito
dal passaggio del virus alla progenie attraverso le uova. L’uomo si infetta quando si
intromette nel focolaio naturale per qualche cambiamento dell’ecosistema.
Nella maggior parte dei casi gli arbovirus si moltiplicano attivamente nell’intestino e nelle
ghiandole salivari dell’artopode vettore, che trasmette il virus a un ospite vertebrato.
Questo può avere una malattia clinicamente manifesta o una infezione subclinica. Sia
l’ospite infetto sintomatico che quello con infezione subclinica costituiscono una riserva del
virus.
Tranne poche eccezioni, come la Dengue e la febbre gialla, l’uomo e gli animali domestici
fungono solamente da ospite terminale, nel senso che la loro infezione non contribuisce
alla diffusione del virus, avendo valori di viremia non sufficienti alla prosecuzione del ciclo
biologico.
Dal punto di vista clinico, le principali malattie umane da arbovirus possono essere:
93
Infezioni febbrili esantematiche
Nella Tabella 21.1: virus associati alle più frequenti malattie con manifestazioni
esantematiche (modificata da Moroni M, Esposito R, De Lalla F. Malattie Infettive. Masson,
Milano 2003).
Infezione da v.
fiume Ross
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Dengue
La prima descrizione della Dengue – “malattia delle ossa rotte” – risale al 1780, quando si
verificò un'epidemia di Dengue a Philadephia. Nel 1903 fu definito che la malattia veniva
trasmessa dalle zanzare, e nel 1906 fu evidente l’eziologia virale. Successivamente, nel
1944 fu possibile isolare in vitro il virus Dengue, e furono identificati diversi sierotipi
(Dengue 1- 4) diversamente distribuiti nelle aree di endemia. I sierotipi 1, 2, 3, 4 sono
prevalenti nel Sud-Est asiatico, il 2 nelle isole del Pacifico, il sierotipo 1 e 4 in quelle dei
Caraibi. In Africa occidentale si ritrovano i sierotipi 1 e 2, in quella orientale i sierotipi 2 e 3
e in quella centro-meridionale i sierotipi 1, 2 e 4. In Europa il virus Denge può essere
trovato in Grecia, Sicilia ed Egitto.
Oltre che nell’uomo, sono descritte infezioni tra le scimmie delle foreste in Asia e in Africa,
ma le infezioni animali sembrano essere poco significative per l’uomo, la cui infezione è
sufficiente a mantenere il virus.
Il vettore responsabile della trasmissione della Dengue è una zanzara del genere Aedes,
principalmente Aedes aegypti. In Asia e Oceania intervengono anche A. albopictus
(zanzara tigre), A. polynesiensis e altre specie.
La zanzara trasmette il virus con la puntura. Essa si infetta pungendo il soggetto viremico,
e dopo l’infezione necessita di un periodo di 10-21 giorni prima che possa infettare a sua
volta. Tuttavia, considerato che la vita della zanzara è di 1-4 settimane, durante le quali
può pungere diverse volte al giorno, ogni zanzara può infettare diverse persone.
Patogenesi e clinica
La puntura della zanzara, con l'inoculazione del virus, è seguita dalla replicazione virale
nei linfonodi regionali e dopo 2-3 giorni dalla viremia, che persiste per 5 giorni, e dalla
disseminazione virale in diversi tessuti. Dopo 4-6 giorni segue la clearance virale e il
miglioramento.
Quasi tutti i pazienti sono viremici al momento della febbre, ma il virus non è più presente
nel sangue alla defervescenza.
L’intensità delle manifestazioni varia con l’età, ed è più lieve nei giovani adulti e nel
sierotipo 2 e 4.
Nella forma classica di infezione primaria la Dengue è una malattia febbrile con cefalea,
dolori muscolari e rash. La febbre è elevata con brivido; dopo 3-4 giorni, con la progressiva
riduzione della temperatura si manifesta il rash maculare, a volte scarlattiniforme, che
risparmia palme e suole, risolve con desquamazione e può lasciare lesioni petecchiali
soprattutto alla parte estensoria degli arti. Si possono avere anche modeste manifestazioni
emorragiche che sono diverse dalle emorragie che si instaurano in corso di Dengue
emorragica.
Diagnosi
Si basa sulla presenza di febbre e mialgie, e sulla valutazione della provenienza da paesi
ad endemia di Dengue. Per la conferma è possibile utilizzare indagini sierologiche, e in
particolare si possono cercare anticorpi IgM o IgG; in quest'ultimo caso è necessario
dimostrare un aumento di titolo di almeno 4 diluizioni tra 2 campioni di sangue, prelevati a
distanza l’uno dall’altro di almeno 2 settimane.
In fase acuta di malattia è possibile ricercare antigeni virali con indagini sierologiche o
mediante test di biologia molecolare.
96
Chikungunya
Questo virus è endemico dell'Africa sub-Sahariana, India, Sud-Est asiatico e isole del
Pacifico. In Africa rurale il virus è mantenuto in alcune specie di scimmie e nelle zanzare
delle foreste; in particolare, Aedes africanus e A. furcifer causano epidemie nella stagione
delle piogge.
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Tabella 21.2: alcuni Arbovirus agenti di infezioni del sistema nervoso centrale e loro
distribuzione geografica (modificata da Moroni M, Esposito R, De Lalla F. Malattie Infettive.
Masson 2003).
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Infezioni da virus Toscana
Il virus Toscana, famiglia Bunyaviridae genere Phlebovirus, è trasmesso attraverso la
puntura di flebotomi, in particolare Phlebotomus perniciosus e P. perfilewi. È presente
nelle regione centrali dell’Italia e in diverse nazioni dell’area Mediterranea.
Nella maggior parte dei casi si tratta di un'infezione inapparente, rilevata solo dalla
presenza di anticorpi specifici nel sangue. I pazienti sintomatici manifestano il quadro
clinico di una meningoencefalite, con reperti del liquido cerebrospinale caratteristici delle
meningiti virali. Il decorso della malattia in prevalenza è benigno, con guarigione senza
sequele neurologiche.
West Nile
Uno degli arbovirus più diffusi, è stato isolato per la prima volta nel 1937 dal sangue di una
donna febbrile nella zona ovest dell’Uganda. Subito dopo fu dimostrata la trasmissione tra
i vertebrati, e in particolare tra gli uccelli dalle zanzare, e nel 1950 furono evidenti le
possibili complicanze neurologiche. Dieci anni dopo furono descritte piccole epidemie nei
cavalli e nell’uomo nella Francia del Sud, e nel 1990 fu rilevato un notevole aumento dei
casi con diffusione del virus anche nelle regioni sud-est dell’Europa, in Russia e in
America.
Un picco di incidenza è stato riportato nel 2003: 10.000 casi totali, di cui 286 con
manifestazioni neurologiche. Tuttavia, dal 2004 è stata osservata una riduzione del
numero delle infezioni, e a tutt’oggi si registrano all’incirca 1000-1500 casi neurologici
all’anno.
Il virus causa una malattia negli uccelli e viene trasmesso dalla puntura delle zanzare.
Negli Stati Uniti d’America sono identificate 300 specie diverse di uccelli e 62 specie di
zanzare con infezione. Alcune epidemie sono preannunciate da una moria tra gli uccelli.
L’infezione è stata dimostrata anche in 30 specie diverse di vertebrati, i quali tuttavia non
hanno una viremia sufficiente da infettare la zanzare durante il pasto (ospiti terminali) e
quindi trasmettere l’infezione. Anche l’uomo è un ospite terminale.
Tra le diverse specie di zanzare il genere Culex sembra essere la più rilevante nel ciclo
enzootico, ma la specie varia in relazione all’area geografica considerata.
99
La zanzara resta infetta per tutta la sua vita; il virus può essere trasmesso alle uova, e
questo consente la sua sopravvivenza nel periodo invernale.
100
Capitolo 22. Infezione da virus della Immunodeficienza umana (HIV)
Questa malattia infettiva è caratterizzata da un grave deficit della risposta immunitaria che
favorisce l’insorgenza di infezioni opportunistiche e di insolite forme di tumori maligni.
L’HIV, di cui sono attualmente noti i sierotipi 1 e 2, appartiene alla famiglia retroviridae e al
genere Lentivirus; è un virus a RNA. Il primo sierotipo è ubiquitario ed è responsabile della
maggior parte dei casi di AIDS. Il secondo, presente soprattutto in Africa occidentale, è
meno virulento e provoca una malattia a decorso più attenuato.
Il rischio di infezione varia in relazione alla modalità di esposizione. Esistono tre diversi
modi di trasmissione: per via ematica, per via sessuale e per via materno-fetale (Figura
22.1).
Via sessuale: rapporti sia omosessuali che eterosessuali non protetti dal profilattico. Tale
modalità è la via di trasmissione più diffusa nel mondo.
Via materno-fetale: la madre sieropositiva per HIV può trasmettere l’infezione durante la
gravidanza, al momento del parto e con l’allattamento. È un tipo di trasmissione
particolarmente rilevante in Africa, soprattutto perché il latte materno non viene sostituito
con quello artificiale.
101
Figura 22.1: modalità di trasmissione della infezione da HIV.
https://www.google.it/search?q=modalit%C3%A0+trasmissione+hiv&biw=1026&bih=669&so
urce=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwjWoLKk7KfOAhVM6RQKHdDmBnMQ_AUICCgD
#imgdii=xqpbO5Z6A-UJDM%3A%3BxqpbO5Z6A-
UJDM%3A%3BwHhK2AZ8_6ZyeM%3A&imgrc=xqpbO5Z6A-UJDM%3A.
HIV è stato trovato in tutti i liquidi biologici dei soggetti infetti (urina, feci, liquido pleurico,
etc.), ma la trasmissione per queste vie è epidemiologicamente irrilevante.
La trasmissione per gli operatori sanitari con puntura accidentale è di circa 0.1-0.3%,
perché si tratta comunque di un virus abbastanza labile nell’ambiente esterno. Al contrario,
il rischio di infezione da HBV in seguito a uno stesso incidente è 45-120 volte maggiore.
HIV viene inattivato completamente dalle alte temperature (56°-60°C per 30’), e
velocemente dai comuni disinfettanti come l’ipoclorito di sodio 1.0%, l'alcool etilico 70% e i
solventi di lipidi come l’etere.
Il virus non si trasmette attraverso: strette di mano, saliva, lacrime, sudore, muco, vestiti,
asciugamani, lenzuola, punture di insetti.
102
Quadri Clinici
Il parametro su cui si basa la distinzione è l’andamento nel tempo della viremia plasmatica
(copie di virus nel plasma) e della quantità dei linfociti T CD4+ e CD8+ (che rappresentano
l’immunità cellulo-mediata).
Inesorabilmente si arriva alla fase di AIDS conclamato, dove la deplezione dei linfociti
CD4+ è talmente grave che diventa impossibile fronteggiare l’avvento delle infezioni
opportunistiche che, insieme a gravi forme di tumore, rappresentano la maggiore causa di
morte dei soggetti infetti.
Diagnosi di laboratorio
103
Terapia
La terapia preventiva deve essere iniziata il più presto possibile: l’efficacia massima si ha
nelle prime 4 ore, ma può essere iniziata fino a 72 ore dopo l’evento e proseguita per un
totale di quattro settimane.
Il test per la ricerca degli anticorpi anti HIV andrà effettuato al tempo zero (ossia al
momento dell’incidente), a 3 e a 6 mesi. Al termine di tale periodo, se il test rimane
negativo la persona non sarà più considerata a rischio di siero conversione.
104
Tabella 22.1: protocollo post esposizione
file:///C:/Documents%20and%20Settings/ThinkCentre/Documenti/Downloads/protocollo%20
operativo%20e%20modulistica%20(1).pdf
elevata
- tessuti
concentrazione
virale (colture, - materiale di laboratorio-
sospensioni sperma o secrezioni genitali
concentrate di femminili
virus)
A. paziente - infezione HIV - sierologia HIV non nota o Paziente fonte negativo
fonte nota riferita negativa
105
Figura 22.2: protocollo post esposizione
file:///C:/Documents%20and%20Settings/ThinkCentre/Documenti/Downloads/protocollo%20
operativo%20e%20modulistica%20(1).pdf.
Sessuale fonte HIV + -rapporto anale recettivo -sesso orale recettivo Sesso oro-vaginale tra donne
o insertivo senza eiaculazione o
-rapporto vaginale insertivo
recettivo o insertivo -schizzo di sperma in
-sesso orale recettivo con mucosa congiuntivale
eiaculazione
106
Capitolo 23. Epatiti
L’epatite virale è un processo infiammatorio che interessa il fegato e può essere causato
da diversi fattori quali farmaci, malattie autoimmuni, esposizione a tossici e virus.
Tra i virus identificati e riconosciuti come responsabili della maggior parte delle epatiti virali
acute e croniche vi sono il virus dell’epatite A (HAV), E, (HEV), B (HBV), C (HCV) e Delta
(HDV). Questi virus differiscono tra loro per dimensione, peso molecolare, genoma, ciclo
replicativo, assetto antigenico, vie di trasmissione ed evoluzione clinica dell’infezione
(Tabella 23.1).
107
Epatite da HAV
Agente eziologico e sue caratteristiche
Il virus penetra per via orale e si moltiplica nell’epitelio intestinale prima di arrivare al
fegato, dove si moltiplica attivamente negli epatociti, provocando lesioni di tipo
degenerativo-necrotico. Nell’ultima parte del periodo di incubazione, il virus viene eliminato
con le feci.
Epidemiologia
La malattia è diffusa in tutto il mondo, con maggiore frequenza nelle zone tropicali e
subtropicali. La diffusione del virus HAV dipende da diversi fattori:
Nelle zone a basso livello socio economico, la malattia colpisce quasi esclusivamente
l’infanzia. Nelle regioni ad alto tenore di vita, invece, l’infezione interessa prevalentemente
l’età adulta.
Modalità di trasmissione
Il virus è eliminato attraverso le feci qualche settimana prima della comparsa dell’ittero fino
ad alcuni giorni dopo.
108
L’infezione si trasmette per via oro-fecale da persona a persona. L’epidemiologia è tuttavia
sostenuta attraverso alimenti ed acqua che risultino contaminati da materiali di scarico e
attraverso operatori alimentari infetti. I più comuni veicoli alimentari sono rappresentati da
molluschi, frutta e verdura consumate crude, e da tutti gli altri alimenti per la cui
preparazione venga utilizzata l’acqua senza che sia previsto un periodo di cottura.
Il contagio può avvenire anche mediante il sangue e i suoi derivati, ma è eccezionale per
la breve durata della viremia. Presenta soprattutto un andamento stagionale simile a
quello della febbre tifoide.
Quadro clinico
Periodo itterico: in media 2-4 settimane, dove prevalgono i sintomi tipici del danno epatico
(urine ipercromiche, feci acoliche e ittero). Aumento delle transamminasi.
Forme atipiche di epatite virale A: forme fulminanti, gravi o subacute e a decorso protratto.
Diagnosi
La diagnosi è eziologica e si effettua con la ricerca delle IgM anti –HAV nel siero di
pazienti in fase acuta o convalescenti.
È possibile effettuare la ricerca diretta del virus nelle feci e nel sangue mediante PCR.
Prevenzione
Isolamento per non più di 7 giorni, a partire dalla scomparsa dell’ittero. Miglioramento delle
condizioni igienico-sanitarie, igiene personale soprattutto delle mani. Educazione sanitaria.
Immunoprofilassi attiva, ossia vaccinazione con virus inattivi. Nelle aree ad alta
endemiadovrebbero essere sottoposti tutti i bambini; nelle aree a bassa endemia la
vaccinazione è indicata nei soggetti a rischio.
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Epatite da virus E (HEV)
Risulta endemica in molti Paesi in via di sviluppo (Centro e Sud-Est asiatico, India, Medio
Oriente, Africa settentrionale, orientale, occidentale, America del Sud e Messico), e
vincolanti sono le condizioni igienico-sanitarie. Nei Paesi industrializzati rappresenta
tuttavia una malattia emergente: sebbene la maggior parte dei casi riguardi persone che
ritornano da viaggi in aree endemiche, è stato riscontrato un aumento nel numero dei casi
autoctoni anche in Italia.
Quadro Clinico
Il decorso della malattia è simile a quello causato dal virus dell’epatite A. Si differenzia
solo per il numero maggiore delle forme fulminanti e per la sintomatologia piuttosto grave
nelle donne in gravidanza, specialmente nel terzo trimestre.
La diagnosi eziologica si basa sulla ricerca degli anticorpi specifici anti-HEV mediante
tecniche imunoenzimatiche e Western Blot.
110
Epatite da virus B (HBV)
L’epatite B è una malattia del fegato trasmissibile determinata dal virus dell’epatite B.
La persona infettata, nella forma acuta, sviluppa un quadro che può variare in gravità da
una forma pauci o asintomatica a una malattia severa che richiede il ricovero.
Il virus dell'epatite B, conosciuto già dagli anni '60, è un virus con genoma a DNA,
appartenente alla famiglia degli Hepadnavirus.
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Schematicamente possiamo distinguere:
- Trasmissione sessuale
Quadri clinici
Diagnosi
La diagnosi si basa sui markers sierologici che consentono anche di distinguere tra una
forma acuta, una forma cronica e una infezione superata.
HBsAg: antigene di superificie che si presenta nella fase acuta dell’infezione e in coloro
che presentano una forma cronica. Tali soggetti possono trasmettere l’infezione.
AntiHBsAg: anticorpi che compaiono nelle persone che hanno superato l’infezione. Sono
presenti anche nei soggetti vaccinati.
Anti HBcAg: anticorpi contro l’antigene del core, compaiono nei soggetti che hanno
contratto l’infezione e persistono per tutta la vita. Si possono avere anticorpi IgM presenti
in fase acuta e entro un anno dalla infezione, e IgG che persistono tutta la vita.
112
Terapia
La terapia negli ultimi anni ha trovato grande giovamento dall’avvento di nuovi farmaci
antivirali che hanno notevolmente migliorato la prognosi rallentando la progressione verso
le complicanze.
Prevenzione
Come per l’HIV, anche per l’epatite da HBV è prevista una profilassi post esposizione nei
soggetti che abbiano avuto contatto con liquido biologico a rischio per virus a trasmissione
ematica; in questo caso, sempre dopo valutazione specialistica, la profilassi (quando
indicata) si basa sulla somministrazione sia delle immunoglobuline che della prima dose di
vaccino.
113
Epatite da virus C (HCV)
L’infezione da HCV è la causa principale di malattia epatica cronica nel mondo. Le
persone che si infettano con il virus C spesso presentano una fase acuta completamente
asintomatica, ma tendono a cronicizzare in circa il 75-90% dei casi.
Per il virus HCV, a differenza di HAV e HBV, non esiste ancora un vaccino efficace.
Il virus HCV appartiene alla famiglia dei flaviviridae, è un virus a RNA a singola elica. È
costituito da una particella sferica provvista di rivestimento esterno. Caratteristica
peculiare (come di tutti i virus a RNA) è la sua grande variabilità genomica che ha portato
ad identificare 7 genotipi principali. È inattivato dal calore secco a 60°C, dal cloroformio e
dai solventi organici.
Quadri clinici
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Diagnosi
La maggior parte delle infezioni da HCV resta non diagnosticata, in quanto asintomatica
nell’80% dei casi.
Per la diagnosi sono necessari due test distinti, eseguibili attraverso un prelievo ematico. Il
primo ricerca gli anticorpi anti HCV che tutti i soggetti venuti a contatto col virus
sviluppano, anche se questo test non è in grado di distinguere se l’infezione è pregressa o
ancora attiva. Pertanto, nei soggetti che risultano positivi va eseguito un secondo esame
ricercando l’HCV-RNA, che risulterà positivo in caso di infezione attiva.
Terapia
Prevenzione
Come già accennato, per il virus HCV non è attualmente disponibile alcun tipo di
immunoprofilassi specifica. Pertanto si può agire solo tentando di migliorare le norme
igieniche in generale, e ottimizzando i provvedimenti atti a prevenire la diffusione del virus
per via parenterale.
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24. Bibliografia
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2) Mandell, Duglas, and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease.
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3) Mandell, Duglas, and Bennet. Principles and Practice of Infectious Disease.
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