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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Anno Accademico 2012-2013

La notte in musica

Genesi ed evoluzione del notturno


musicale

Elena Roveda

Referente del progetto: Prof. Piero Boitani

SSAS - Scuola Superiore di Studi Avanzati


Indice

Introduzione………………………………………………………………………...3

I. La notte in musica………………………………………………………...……..4

II. La nascita del notturno…………………………………………………………5

III. J. Field e F. Chopin a confronto…………………………………....………….7

IV. L’apogeo con Chopin …………………………………….……………...……12

V. Franz Schubert………………………………………………………....………14

VI. Robert Schumann……………………………………………………..………16

VII. Franz Liszt…………………………………………………………....…....…18

VIII. Felix Mendelssohn-Bartholdy…………………………………..……………20

IX. Prima di Field…………………………………………………………………23

X. Il notturno francese………………………………………….…………………27

XI. La scuola russa………………………………………………...………………32

XII. Nel Novecento……………………………………………….………………38


2
Introduzione

[…]
Already with thee! tender is the night, I cannot see what flowers are at my feet,
And haply the Queen-Moon is on her throne, Nor what soft incense hangs upon the boughs,
Cluster'd around by all her starry Fays; But, in embalmed darkness, guess each sweet
But here there is no light, Wherewith the seasonable month endows
Save what from heaven is with the breezes blown The grass, the thicket, and the fruit-tree wild;
Through verdurous glooms and winding mossy ways. […]

J. Keats, Ode to a Nightingale

“A piece suggesting night, usually quiet and meditative in character, but not invariably so”. Il tal modo è
definita la forma musicale del notturno nel New Grove Dictionary of Music and Musicians. Sebbene questa
definizione sia estremamente sintetica, essa sottolinea la peculiare funzione evocativa del notturno
senza inquadrare tale forma all’interno di uno schema fisso ed estraneo alla variazione. Sono molti i
compositori che hanno contribuito all’evoluzione del notturno negli ultimi due secoli: l’importanza di
questa forma musicale è cresciuta, il suo linguaggio si è ampliato, ha usufruito delle tradizioni musicali
di compositori di diverse nazionalità. È importante ricordare che i notturni vennero originariamente
composti per il repertorio pianistico: la generazione romantica si affezionò fin da subito sia alla forma
del notturno che al pianoforte moderno, sviluppando e migliorando le capacità armoniche del notturno
quanto la tecnica pianistica, giungendo infine alla creazione di autentici capolavori. Così, il notturno è
rimasto fedelmente legato a quello strumento musicale estremamente duttile, capace di esprimere al
meglio il carattere coloristico ed evocativo dei suoni e che aveva visto la luce nella sua forma definitiva
non molti decenni prima, nella stessa epoca di profondo cambiamento, insieme a molti artisti con nuovi
valori da comunicare e che dunque necessitavano di nuovi mezzi espressivi. Successivamente la forma
del notturno venne applicata anche a composizioni orchestrali.

3
I. La notte in musica

[…] Tutti i suoni suonano in un altro modo


Todos os sons soam de outra maneira quando tu giungi.
Quando tu vens. Quando tu entri ogni voce si abbassa,
Quando tu entras baixam todas as vozes, nessuno ti vede entrare.
Ninguém te vê entrar. Nessuno si accorge di quando sei entrata,
Ninguém sabe quando entraste, se non all'improvviso, nel vedere che tutto si
Senão de repente, vendo que tudo se recolhe, raccoglie,
Que tudo perde as arestas e as cores, che tutto perde i contorni e i colori,
E que no alto céu ainda claramente azul e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e
Já crescente nítido, ou círculo branco, ou mera luz bianco all'orizzonte,
nova que vem, già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso
A lua começa a ser real. biancore,
la luna comincia il suo giorno.
F. Pessoa, Ode a noite

Le figurazioni melodiche, ma soprattutto armoniche, che il notturno rese possibili sono innumerevoli; il
fine di tali costruzioni è sempre però quello evocativo, che tende a stimolare nell’ascoltatore
l’immaginazione e la riflessione. Ogni campo dell’arte si è da sempre occupato della notte, del cielo
stellato, della bellezza ammaliatrice della luna, poiché ancora più antica è l’attrazione che l’uomo ha
manifestato di fronte alla notte, l’assenza totale della chiara luce solare; esso è il più ordinario dei
fenomeni naturali, ma allo stesso tempo uno dei più temuti a diversi livelli di consapevolezza. Tramite il
notturno, dunque, il compositore tenta di esprimere in musica la propria concezione dell’ambiente
notturno e le emozioni che di fronte ad esso prova. In tal modo il notturno, pur conservando il
carattere meditativo ed immaginativo, presenta un ampio spettro di variabilità, a seconda dell’animo del
compositore, ma anche dell’ascoltatore. Ed infatti il notturno, proprio per la sua natura profondamente
intima, non sempre risveglia le medesime sensazioni nell’animo di chi riceve il brano rispetto a chi lo ha
composto.
Pertanto, nel notturno è possibile percepire la tranquillità meditativa, la quiete dell’animo di fronte ad
un paesaggio che è anch’esso calmo, silenzioso, che induce appunto ad intime riflessioni. Possono
essere evocati sentimenti di curiosità, di fermento, si può descrivere l’incontro segreto degli amanti. Può
esprimere la meraviglia per un ambiente totalmente stravolto dalla mancanza di luce: i contorni confusi,
l’assenza dei colori, i riflessi argentei della luna possono trasformare un luogo tanto conosciuto in un
ambiente estraneo. Come ciò può far sentire l’uomo in simbiosi con la natura, può però anche
risvegliare timori ed inquietudini; non raramente il morire del giorno dispone l’animo umano alla
tristezza e ad una amara disillusione. Così un brano può descrivere drammaticamente la disposizione
umana interiore, sia che essa sia dominata dalla gioia per una notte limpida e amena, o al contrario dai

4
turbamenti per i “fantasmi” ed i ricordi che l’oscurità richiama, per gli incubi di cui nessuno è
sprovvisto.
Quando le tenebre rendono vano il più complicato e formidabile dei cinque sensi, la vista, allora i suoni
assumono un più alto significato. Soprattutto in un ambiente naturale l’uomo può scoprire un
caleidoscopio sonoro che durante le ore diurne non può essere avvertito, il più debole suono diviene
ben percepibile. Se dunque l’oscurità della notte rende i fenomeni sonori tanto importanti, quale arte se
non la musica può essere la più adatta a tale opera evocatrice?
La notte può anche evocare mondi fantastici o misteriosi, o il sogno, dove regna una natura incantata.
L’atmosfera sospesa e affascinante creata dal notturno è quindi perfetta per ritrarre un mondo magico
popolato dalle più diverse creature magiche. In tal caso è di particolare effetto il notturno per orchestra,
nel quale soprattutto gli archi, i legni ed il corno possono tratteggiare splendidamente un scenario
arcano, attingendo in particolar modo alla tradizione folcloristica del nord ed est Europa. Così le
tenebre non sono più luogo di riflessione e le ore notturne divengono anzi un momento di festa tanto
atteso, lo spazio solitario viene sostituito da folle festanti e variopinte, la notte è azione e non riposo, sia
per l’uomo che per le più insolite creature fantastiche.

II. La nascita del notturno


John Field è considerato dai musicologi l’inventore della forma notturno. Sebbene questo termine fosse
stato utilizzato già nel XVIII secolo per designare i brani più diversi, la forma del notturno nei suoi
caratteri canonici venne definita ed impiegata efficacemente per la prima volta proprio da Field, che nel
1814 pubblicò a Lipsia i primi tre Notturni, scritti a partire dal 18121. Prima di allora con il termine
“Notturno” si indicavano in modo generale ed approssimativo diverse tipologie di composizioni, con
l’unico requisito comune di essere pensate per un esecuzione notturna ed in luoghi aperti: una sorta di
musica da camera, ma in giardino, eseguita da gruppi strumentali, spesso di legni e ottoni. Field nacque
a Dublino il 26 Luglio 1782 e ben presto si rivelò essere un enfant prodige del pianoforte. Figlio e
nipote di musicisti, fu il pianista più celebre della sua epoca e un compositore di ugual fama2. Egli
sperimentò l’ultima invenzione musicale, il pianoforte, che a differenza del clavicembalo aveva la
possibilità di colorare il suono gradualmente dal piano al forte ed era inoltre dotato del pedale di
risonanza. Field capì la potenzialità di quest’ultimo e quale progresso della tecnica e della sonorità
sarebbe stato possibile grazie al pianoforte. Sviluppò pertanto uno stile compositivo che sarebbe stato
poi portato all’apice delle sue possibilità da Chopin: grazie al pedale Field fu in grado di espandere i
modelli dell’accompagnamento ed intensificò l’intreccio degli armonici. Poté infatti evitare l’utilizzo del
basso albertino fin troppo sfruttato nella musica del tempo ed inadatto a tessere una ampia trama

1 NEW GROVE 2001, v. 18, p. 11; TEMPERLEY 1988, p. 337.


2 BRANSON 1972, p. 1.
5
armonica, senza per questo rinunciare alla combinazione di espressività della melodia e dinamismo
dell’armonia. In passato tale problema era stato risolto affidando separatamente melodia ed armonia ad
un duo pianistico, ma tale soluzione non permetteva la libera interpretazione che era invece possibile ad
un esecutore singolo. Il pedale permetteva anche all’accompagnamento di espandersi spazialmente e
non limitarsi all’ampiezza della mano del pianista3.
Sembra che l’iniziale periodo di studio del giovane John Field sia stato estremamente sofferto a causa
della severità dei suoi primi maestri, ovvero il padre ed il nonno. Poi fu seguito da Tommaso Giordani
ed iniziò a farsi apprezzare dai suoi concittadini. Trasferitosi a Londra divenne in seguito allievo di
Muzio Clementi, con il quale intraprese diverse tournées per esibirsi in sale prestigiose, riscuotendo un
ampio successo di pubblico e di critica. Tuttavia la tradizione ci ha tramandato l’immagine di un
controverso rapporto tra maestro e allievo: Clementi è stato spesso dipinto come un uomo avido,
geloso del suo allievo dal quale venne presto superato; inoltre il giovane dovette lavorare per molti anni
nel negozio di pianoforti del maestro che aveva sul giovane un ascendente molto autoritario. Ad ogni
modo, Field e Clementi giunsero infine in Russia, tappa fondamentale per il perfezionamento del
giovane pianista e per la formazione del suo stile compositivo. Field rimase a lungo a San Pietroburgo,
protetto dal mecenatismo della nobiltà locale, allontanandosi da Clementi e dal suo stile4. In questo
ambiente gli fu possibile ascoltare melodie dell’opera italiana, brani romantici e coloristicamente fioriti,
che furono poi assimilati nelle sue composizioni, soprattutto nei notturni. La sua reputazione crebbe
costantemente e i suoi estimatori parlavano con entusiasmo delle sue brillanti esecuzioni caratterizzate
da una “sognante malinconia”. Tra i suoi discepoli si annoverano nomi importanti come Glinka 5 . In
seguito alla sua affermazione in campo musicale egli intraprese una vita bohémien; spesso giungeva in
ritardo alle lezioni e si lasciò ben presto un matrimonio alle spalle e diverse amanti. Il carattere sempre
più scontroso e la vita sregolata causarono il declino della sua salute e ben due volte venne diffusa la
notizia della sua morte. Come si è già detto, nel 1814 vennero mandati in stampa i suoi primi tre
Notturni a cui ne seguirono altri tre sotto il nome di Romanze; sembra infatti che Field non fosse
inizialmente sicuro del nome da assegnare a composizioni di questo genere, inoltre utilizzò
frequentemente nei successivi Notturni (ne compose 18, senza contare quei brani classificabili come
notturni, sebbene Field li abbia intitolati Serenata, Pastorale o Romanza) alcune melodie o intere sezioni
armoniche che possono essere ritrovate in precedenti composizioni (in particolar modo nelle tre
Romanze), anche se meno sviluppate. Ad esempio il Notturno No. 8 non è altro che la sua Pastorale,
dalla quale eliminò 34 battute e ne rielaborò la forma6, giungendo ad una più completa maturazione del
suo stile romantico.

3 TEMPERLEY 1988, pp.


337-338.
4 Ibidem, p. 335.
5 BRANSON 1972, pp. 2-5.
6 Ibidem, p. 6.

6
Nel 1831 egli con riluttanza accettò l’invito di esibirsi a Londra ed intraprese una nuova serie di concerti
europei. Tuttavia la sua salute continuò a peggiorare e, giunto al culmine della notorietà, morì nel 1837.
Altri pianisti che lo videro esibirsi descrissero con ammirazione “his enchanting legato, his tenderness and
elegance and his beautiful touch”. In Francia era conosciuto come “il Racine del piano”, fu anche paragonato
a Paganini per essere uno straordinario esecutore ed allo stesso tempo un compositore non meno
notevole. Nell’ultimo periodo Field conobbe Mendelssohn che apprezzò in modo particolare la sua
tecnica pianistica ricca di sfumature. Field fu anche uno dei pianisti preferiti del giovane Frédéric
Chopin, la cui abilità pianistica veniva frequentemente paragonata a quella del grande maestro irlandese,
tanto che molti gli chiedevano se fosse un discepolo di Field7. Chopin amava eseguire le composizioni
di Field, in particolare il suo Concerto in La bemolle ed i Notturni8. Era anche solito far studiare ai
propri allievi i Notturni ed i Concerti di Field accanto a Clementi, Bach, Hummel, Beethoven, Weber,
Schubert, Mendelssohn e Liszt.
John Field venne considerato il più grande pianista di quegli anni ed un compositore non meno
influente. Tuttavia la sua fama diminuì nei decenni successivi, molti furono i pianisti e compositori che
per bravura si sostituirono a Field nell’immaginario comune (Chopin in primis) ed egli venne ridotto ad
autore minore; ancora oggi rimane largamente dimenticato e pochi sono gli studi analitici delle sue
opere.

III. J. Field e F. Chopin a confronto


Confrontando le partiture dei due compositori, analizzandone le melodie, gli abbellimenti, i bassi ed il
carattere è facile notare alcuni tratti compositivi comuni, che mostrano quale ampia influenza abbia
esercitato Field sulle innovazioni musicali di Chopin. Anche per quanto riguarda la titolatura, oltre che
per la forma Chopin, riprese il termine “Notturno” da Field.
L’andamento sinuoso della frase melodica, che con carattere lirico cade ripetutamente nella fascia grave
per poi rialzarsi nel registro più acuto è un tratto che si trova spesso in Chopin, ma ancora prima era
stata la firma di Field:

Chopin, Notturno Op. 28 No. 2.

Field, Notturno No. 1.

7 Ibidem, p.9.
8 Come sappiamo dalla testimonianza di un suo allievo, Mikuli. BRANSON 1972, p. 25.
7
E le somiglianze non terminano qui. Anche il modo di variare le frasi è simile e colpisce
particolarmente l’affinità dell’accompagnamento, che entrambi i compositori fanno spesso muovere
attraverso ampi salti intervallari:

Field, Notturno No. 9.

Chopin, Notturno Op. 9 No. 2.

Parte del disegno musicale di Field è spesso recuperato da Chopin nella stessa tonalità, o addirittura la
melodia derivata da Field può iniziare sulla stessa nota oltre che nella medesima tonalità (come
nell’esempio precedente). Chopin, come Field, utilizzò certe figurazioni nei bassi che diverranno tipiche
del suo stile, come il far seguire ad una singola nota grave, due o più accordi in levare (in tempo
ternario) di circa un’ottava più acuti.
Altri espedienti comuni sono la ripetizione di una cellula ritmico-melodica trasposta all’ottava superiore:

Field, Notturno No. 5.

Chopin, Notturno Op. 32 No. 1.

i lunghi passaggi di accordi ripetuti insistentemente:

Field, Notturno No. 5.

Chopin, Notturno Op. 32 No. 2.

8
e certi moduli ritmici che arricchiscono in modo originale la melodia:

Field, Notturno No. 17.

Chopin, Rondeau Op. 16.

In molti passaggi dei Notturni di Field troviamo tra l’ultimo levare di una battuta ed il primo
movimento della successiva una nota ripetuta. Field utilizzò questo tipo di abbellimento soprattutto per
introdurre una nuova frase, mentre Chopin se ne servì all’interno o in conclusione della frase stessa.
Field si servì anche della prassi ampiamente sperimentata della polilinearità, ossia della tecnica di
intrecciare due linee melodiche all’interno della medesima figurazione. Anche questa tecnica venne in
seguito sviluppata al meglio da Chopin, come si può vedere in questi esempi:

Field, Notturno No. 2.

Chopin, due esempi da Berceuse.

Questo schema, relativo al secondo esempio fra i tre sopra


proposti,
mostra la polilinearità che caratterizza la figurazione
esaminata.

9
In Chopin si ritrovano molti pattern nei quali è percepibile l’influenza di Field, a volte essi sono ripresi
in maniera addirittura identica, nella stessa tonalità:

Field, Notturno No. 17.

Chopin, Polacca Op. 53.

Anche osservando i fluenti e spesso cromatici arabeschi di Chopin, oltre che le sue cadenze, si può
comprendere quanto lo studio e l’ascolto di Field, oltre che l’ammirazione che provava per lui,
determinarono lo stile chopiniano. Ecco come da una nota ribattuta gemina un fluente disegno
decorativo, contemporaneamente alla chiara intensificazione ritmica che da una croma puntata giunge
alla biscroma, per poi aumentare nuovamente le durate fino alla semiminima (e durante questa fioritura
non viene dimenticato l’elemento originario della nota ribattuta):

Field, Notturno No. 8.

Gli abbellimenti di Field matureranno al


punto da divenire fondamentali per la
caratterizzazione dolce e sognante di certi
temi; come esempio si riportano le prime due
battute e la conclusione del Notturno No. 12
in Sol Maggiore, dove l’elegante
accompagnamento fa della tastiera le corde di
un’arpa (da notare l’ampiezza di registro nei
bassi che è giunta oltre le tre ottave):

Field, Notturno No. 12.

10
Nel 1833 Chopin ascoltò Field eseguire in concerto proprio questo Notturno. Certamente rimase
affascinato dalla delicatezza di questi virtuosismi ed il suo genio gli permise di superare Field anche in
ciò. L’intensità e la fantasia delle figurazioni virtuosistiche di Chopin divenne il suo tratto distintivo; ed
inoltre i suoi virtuosismi e cromatismi, sebbene accresciuti in modo estremo, rimangono melodici e
funzionali9.
Quanto detto non significa che Field abbia inventato dal nulla le numerose tecniche e figure musicali
che utilizza, alcune delle quali sono state qua esaminate, in quanto anche lui è stato influenzato dai
contemporanei e dalla tradizione precedente. Ha utilizzato però tali esperienze, la sua abilità pianistica e
la sua inventiva per creare una struttura musicale regolare ed originale, dove la melodia romantica è
affidata alla voce più acuta, mentre i bassi accompagnano distendendo gli accordi in arpeggi di ampio
respiro. Dal confronto fra i Notturni di Field e di Chopin emerge che ogni parametro viene dilatato da
quest’ultimo, dall’estensione complessiva all’intervallo massimo della melodia, dall’ampiezza del basso al
numero di tonalità toccate nel corso del brano e alle note estranee all’armonia introdotte. Proprio il
cromatismo conferisce spesso ai Notturni di Chopin un velo di inquietudine e amarezza, che riflette lo
stato d’animo del compositore, in particolar modo nelle composizione del periodo viennese: “Dove Field
sorride, Chopin fa una smorfia ghignante; dove Field sospira, Chopin geme; dove Field scrolla le spalle, Chopin contorce il
corpo intero[…]”, scrisse l’autorevole critico L. Rellstab, mentre Field, avendo ascoltato Chopin in
concerto a Parigi, lo avrebbe giudicato un “talento malato” 10. Infatti i dieci mesi trascorsi tra Vienna,
Monaco e Stoccarda furono per lui infelicissimi, tanto che rischiò di giungere alla follia: crisi
d’isterismo, perdita di sicurezza e angoscia, mentre il desiderio di rivedere Varsavia e i volti amici lo
ossessionava 11 . La situazione politicamente instabile della terra natia non fece che aggravare le sue
preoccupazioni e dalle pagine del suo diario emerge la personalità di un uomo tormentato da infausti
pensieri. Nei Notturni di questi mesi (Notturno No. 10, Tre Notturni Op. 9 e Tre Notturni Op.10)
compare l’atteggiamento emotivo che più allontana Chopin da Field, ovvero tratti gotici e cupi12. Nel
successivo soggiorno a Parigi egli ritrovò la serenità, insieme a vecchie conoscenze tra i fuggiaschi
polacchi rifugiatisi nella capitale francese, e anche questo nuovo stato emotivo influì nelle composizioni
di quegli anni.

9 Per ulteriori approfondimenti si rimanda a BRANSON 1972, pp. 31-46.


10 RATTALINO 1991, p. 68.
11 Ibidem, p. 62.
12 Nella lettera a Jan Matuszyński del 26 dicembre 1830 Chopin descrive la visita alla chiesa gotica di S. Stefano: “Dietro di me

una tomba, sotto di me una tomba…Soltanto sopra di me una tomba mancava. M’irrompeva dentro una cupa armonia…Sentivo più forte che
mai la mia totale solitudine…” (RATTALINO 1991, p. 69).
11
IV. L’apogeo con Chopin

Qual rugiada o qual pianto Perché ne l’aria bruna


quai lagrime eran quelle s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
che sparger vidi dal notturno manto
gir l’aure insino al giorno?
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna Fur segni forse de la tua partita,
di cristalline stelle un puro nembo vita de la mia vita?
e l’erba fresca in grembo?
T. Tasso, Qual rugiada o qual pianto

Molta fu l’influenza esercitata dallo stile compositivo romantico di Field su Chopin, tuttavia sono
ancora molti gli studiosi che professano l’assoluta originalità dei Notturni di Chopin o che non
considerano affatto Field come fonte d’ispirazione. Tra coloro che invece hanno individuato un saldo
legame fra gli stili dei due compositori si possono ricordare Heinrich Dessauer13, David Ewen14 e David
Branson 15 . Dunque Field anticipò Chopin, o meglio Chopin portò a maturazione il percorso
compositivo intrapreso qualche decennio prima da Field. Ciò diventa chiaro osservando come già nei
Notturni di Field siano presenti certe caratteristiche prese poi a modello e rese celebri da Chopin:
l’accompagnamento ad ampi arpeggi accordali (Rattalino li definisce “violoncellistici”) che conferiscono
al brano un andamento fluttuante, gli abbellimenti leggeri, i suoni sospesi e prolungati per mezzo dei
pedali, lo stratificarsi degli armonici, lo sprigionarsi tramite la melodia di emozioni simili nelle opere di
entrambi. È quindi importante analizzare i Notturni di Chopin oggettivamente, ponendo da parte la
corrente di pensiero che lo ha a lungo considerato alla stregua di un idolo inviolabile, ma senza
toglierne gli indiscussi meriti. Infatti il notturno venne realmente sviluppato al meglio e reso popolare
dal genio di Chopin, che ne scrisse 21 tra il 1827 e il 184616, tuttavia non si può ignorare che già Field
aveva posto le basi stilistiche del notturno. Inoltre altri artisti oggi meno conosciuti hanno influenzato
le sonorità di Chopin, come Johann N. Hummel, un amico e collaboratore di Field17.
In primo luogo, Chopin risolse il principale difetto delle composizioni di Field, ossia la debolezza della
forma: in diversi Notturni, come in brani più complessi, manca una sicura costruzione delle sezioni, la
struttura non ha una precisa direzione divenendo in diversi punti incoerente e non equilibrata. Chopin
esplorò sapientemente le sonorità del pianoforte, esprimendo una più ampia varietà di emozioni
rispetto a quanto aveva fatto Field, le cui melodie sono sempre nostalgiche o melanconiche. Inoltre egli
sviluppò a fondo la struttura della frase, che in Field diviene sovente prevedibile in modo un po’
tedioso ed in diversi casi divengono visibili i retaggi della cultura classicista. Chopin utilizza

13 In John Field, his Life and his Works, 1912.


14 In Encyclopaedia of Concert Music.
15 In John Field and Chopin, 1972.
16 RATTALINO 1991, pp. 125-126.
17 Per ulteriori approfondimenti sull’influenza musicale di Hummel su Chopin si rimanda a BRANSON 1972, pp. 146-167.

12
intensivamente come accompagnamento degli arpeggi che si dilatano nello spazio, tanto da giungere
abitualmente a coprire tre ottave, operazione raramente tentata da altri compositori contemporanei 18,
fatta eccezione per Field, come abbiamo già potuto vedere.

Notturno Op. 55 No. 2, batt. 17-20. Anche questa progressione armonica utilizza gli ampi arpeggi tipici dello stile di Chopin.

Chopin fu attratto dall’opera italiana e molto di essa si può ritrovare nelle sue melodie cantabili.
Secondo i suoi ammiratori dell’epoca solo Field possedeva un simile tono arioso derivato da autori
operistici come Bellini. Chopin sviluppò tali elementi cantabili nei suoi Notturni raggiungendo eccellenti
risultati e possiamo notare l’evoluzione nel tempo di tale struttura anche analizzando non solo i suoi
Notturni, ma anche altre composizioni (in particolar modo i Preludi e gli Improvvisi). Egli tuttavia evitò
di utilizzare alcuni mezzi espressivi di cui si erano invece molto serviti i suoi predecessori come anche i
contemporanei: trilli difficili, tremoli, trame musicali che prevedono l’incrocio delle mani sulla tastiera,
rapidi movimenti accordi spezzati, pattern di ottave suonate alternativamente dalle due mani. Robert
Collet ha ipotizzato che tale rifiuto possa essere stato determinato dai limiti pianistici di Chopin, ma ciò
è molto improbabile. È utile invece considerare che Chopin non ricercò nel pianoforte l’imitazione
delle sonorità orchestrali e dense/corpose , elementi percussivi e ritmiche martellanti, come invece fece
Beethoven. Certamente la ricerca musicale di Chopin era improntata a sperimentare nuovi colori, e per
questo impiegò e approfondì i virtuosismi, ma non volle prendere a modello un altro strumento o
l’orchestra 19. Per la realizzazione di un nuovo suono Chopin moltiplicò anche le linee melodiche e
stratificò i livelli armonici, tuttavia l’atmosfera rimane diradata e leggera grazie all’uso degli arpeggi al
posto di densi accordi: dunque le voci non sono distintamente separate e la linea melodica emerge
spesso dalla nota più acuta di ampi arpeggi. “The piano texture, however, is considerably more intricate, which the
notation faithfully reflects” 20. Al valore ed all’efficacia del pedale concorre anche l’uso dominante del legato,
e di ogni sua sfumatura, diligentemente segnato in partitura. Il legato, oltre che gli abbellimenti di cui si
arricchiscono i suoi brani più maturi, conferisce ai Notturni chopiniani un’inconfondibile fluidità,
necessaria a valorizzare lo stile cantabile.
Nel Notturno Op. 37 No. 2, ad esempio, un nuovo suono è raggiunto grazie all’aumento di note estranee
all’ armonia mediante un intensivo uso del cromatismo, che satura gli accordi, ed aumentando

18 CHECHLINSKA 1988, p. 159.


19 Ibidem, p. 145.
20 Ibidem, p. 156.

13
21
l’ampiezza di registro dell’accompagnamento . Non di rado, inoltre, le voci superiori e
l’accompagnamento dialogano fra di loro. La struttura abituale è formata da diversi livelli armonico-
melodici che si fondono e si separano ripetutamente, e con grande maestria, creando così una sonorità
dinamica ed in continuo cambiamento. Tutti questi accorgimenti compositivi, hanno permesso a
Chopin di creare strutture musicali di grande eterogeneità: è difficile trovare due Notturni con la
medesima tipologia di texture, e dunque con la stessa sonorità22.

V. Franz Schubert
Über allen Gipfeln Su tutte le vette
.
Ist Ruh; è quiete;
In allen Wipfeln in tutte le cime degli alberi
Spürest du senti un alito
Kaum einen Hauch; fioco;
Die Vögelein schweigen im Walde. gli uccelli son muti nel bosco.
Warte nur, balde Aspetta, fra poco
Ruhest du auch. Riposerai anche tu.

W. Goethe, Über allen Gipfeln

Anche se i risultati più compiuti furono raggiunti da Chopin, la forma del notturno continuò a evolversi
grazie ad altri grandi compositori, appropriandosi man mano dei tratti caratteristici delle successive
epoche e correnti musicali. Certamente fu uno dei generi più popolari durante il Romanticismo.
Di Schubert conosciamo un solo Notturno (D. 897) in Mi bemolle maggiore, scritto nel 1827 ma
pubblicato postumo23. E mentre nello stesso anno Chopin iniziò a comporre i suoi primi Notturni per
piano, Franz Schubert utilizzò la forma del notturno in un trio per pianoforte, violino e violoncello. La
scelta di questo nuovo organico permise a Schubert di comporre un brano di rara e incantevole bellezza
e di arricchire il genere del notturno di nuovi timbri e sonorità (egli iniziò a studiare musica come
violinista e tra le sue prime composizione figurano diversi quartetti d’archi). Il brano, in forma di
Adagio, era forse originariamente un movimento del Trio per pianoforte, violino e violoncello Op. 100, ma
non conosciamo il motivo della sua successiva eliminazione dall’opera. La prima sezione descrive con
leggerezza la perfezione della notte, la quiete della natura. Con sguardo calmo possiamo godere del
paesaggio ritratto inizialmente dagli accordi arpeggiati del pianoforte (pp, appassionato) sui quali si
appoggia la melodia lenta e omoritmica degli archi, secondo un disegno che caratterizza l’intero brano.

21 CHECHLINSKA 1988, p. 161.


22 CHECHLINSKA 1988, p. 165.
23 EINSTEIN 1978, pp. 326-327.

14
Notturno, batt. 3.

L’atmosfera diviene sospesa, innaturalmente fuori dal tempo, proprio come certi paesaggi notturni,
mossa unicamente dalla ripetitiva ma elegante semicroma puntata seguita dalla biscroma ribattuta sul
tempo forte della battuta seguente. Quando il tema passa al pianoforte, i due archi accompagnano con
leggerissimo pizzicato; intanto, questa prima sezione continua ad oscillare tra la tonica Mi bemolle
maggiore e la tonalità di dominante. Questa parte iniziale termina in un crescendo (il cui effetto è
amplificato dal ritmo sincopato) che irrompe trionfalmente sul fortissimo in Mi maggiore della sezione
seguente. Il disegno del pianoforte diviene un brillante e fluente susseguirsi si semicrome che si
inseguono in un ripetersi di moti ascendenti e discendenti. Gli archi riprendono il materiale principale,
imitati dalle risposte del pianoforte: la vivacità di questa sezione in continua preparazione, sembra
dipingere un paesaggio naturale (o uno stato interiore dell’animo) che inizia a risvegliarsi, a “prepararsi”
appunto al primo albeggiare. Al crescendo segue un decrescendo che, grazie ad una lunga progressione
che crea nuovamente un’atmosfera diradata, ritorna alla tonalità e al materiale di partenza, a cui si
aggiunge l’evoluzione della parte pianistica ora caratterizzata da un arpeggio discendente, con note
ribattute e alternate a pause. Una nuova cadenza intensifica la trama sonora giungendo in Do maggiore.
Il brano continua ad evolversi seguendo lo stesso metodo, alternando cioè un carattere sommesso e
tranquillo a zone improvvisamente più energiche, e continuando a trasformare il materiale. Infine il
brano si conclude con l’ultima rarefazione a cui si aggiungono i trilli acuti del pianoforte. Questo
Notturno è emblematico del pathos pienamente romantico che caratterizza il XIX secolo in musica, della
melodia fluida e della struttura alternativamente all’unisono o imitativa.

In queste ultime
battute del
Notturno di
Schubert è
possibile
riconoscere il
pathos romantico.

15
VI. Robert Schumann

[…] Non sono peccatori, non sono colpevoli, sono poveri stupidi!
Ah, Signore! Quando si ha l’aspirazione suprema di raggiungere la
natura divina, di mettere nell’uomo la scintilla di Prometeo – Signore!
Ci si trova d’improvviso su una roccia che strapiomba – l’abisso si
apre davanti a noi! Ed un inganno diabolico ci mostra in basso, bene
in basso, quello che avevamo sognato di vedere sopra le stelle!

E. T. A. Hoffmann, La chiesa dei gesuiti di G. in Racconti Notturni

I quattro notturni composti da Schumann sotto il nome di Nachtstücke (Op. 23) mostrano un carattere
ben diverso da quello appena analizzato in Schubert. Robert Schumann li scrisse nel 1839, nelle ultime
settimane del suo soggiorno viennese24. Essi si allontanano molto anche dal romanticismo dolce ed
elegante di Chopin. Il genio tormentano di Schumann non utilizzò il notturno per descrivere eleganti
incontri notturni e delicati paesaggi; al contrario l’ascoltatore non può immaginare altro che una notte
senza luna, buia e agitata. Chi visita un simile paesaggio è assalito dall’inquietudine e da diverse
sfumature di oscurità, fino a sprofondare nel buio assoluto. Le frequenti digressioni e i repentini cambi
di tono conferiscono un senso grottesco all’insieme: sono diversi infatti i passaggi caratterizzanti da
un’inaspettata allegria buffa e “meccanica”, in cui la melodia accelera pian piano o si esaurisce come ad
un automa potrebbe esaurirsi la spinta della molla, per poi mutare in un’esplosione sonora simile a
lamenti. Tutte queste tematiche, compreso il carattere grottesco, l’ironia (l’atteggiamento che assume
l’uomo per dissimulare la propria limitatezza) e il topos dell’automa meccanico (oggetto inquietante
perché simile nel movimento all’uomo, eppure inanimato), si ritrovano frequentemente nella fantasia
romantica. Certamente Schumann, come molti altri, si ispirò alla letteratura, soprattutto ai racconti di
Hoffmann (anch’essi intitolati Nachtstücke, tra i quali da ricordare è certamente “Der Sandmann”,
tradotto “L’Orco Insabbia”, la cui storia tenebrosa è affollata da alchimisti, patti con Satana, automi,
pazzia e azioni delittuose) e di Tieck, Contessa, Bonaventura e Arnim25. I quattro brani non hanno
titolo, sebbene in una prima fase egli li avesse chiamati “Processione funebre”, “Una bizzarra
compagnia”, “Festeggiamenti notturni” e “Canone per voci sole”. Prima ancora egli aveva pensato di
intitolare la serie “Leichenphantasie” (letteralmente “Fantasia della salma”), idea abbandonata su
consiglio di Clara Wieck, una brillante pianista a cui era legato sentimentalmente26. L’atmosfera cupa e
lugubre, i toni sinistri e dolorosi fin qui descritti trovano spiegazione nel periodo particolarmente
difficile che Schumann stava consumando in quei mesi e che pesò ulteriormente sulla sua fragilità
emotiva: suo fratello Eduard morì e la situazione economica della famiglia Schumann, già non molto

24 JENSEN 2012, p. 165.


25 Ibidem, p. 48; p. 165.
26 EDLER 1991, p. 20.

16
felice, si aggravò sempre più. Inoltre Schumann dovette affrontare le proprie crisi di nervi e la delusione
del soggiorno a Vienna, durante il quale intendeva crearsi una certa reputazione sulla scena musicale e
fare nuovi stimolanti incontri con compositori e musicisti, mentre egli rimase isolato e ricevette
raramente delle critiche positive. Liszt fu tra i suoi pochi amici che lo assistettero e lo supportarono
artisticamente; egli aveva spesso difeso Schumann nei suoi scritti ed in quest’occasione eseguì anche
alcuni suoi brani pubblicamente27.
Dopo il ritorno a Lipsia e a causa della morte del fratello, Schumann fu costretto a vendere l’azienda
paterna; inoltre moltissimi erano ormai i dissidi con il padre di Clara, tanto che i due fidanzati dovettero
rivolgersi alla Corte d’appello, portando Schumann all’ennesima crisi nervosa28. Egli si convinse che i
Nachtstücke fossero stati un segno premonitore della morte del fratello: scrisse a Clara che egli vedeva
“processioni funebri, bare, gente infelice e disperata” 29, quando ancora non si era deciso riguardo al titolo delle
composizioni e la propria superstizione lo indusse a credere di aver udito durante il viaggio di ritorno
un corale suonato da tromboni, esattamente nel momento in cui il fratello sarebbe spirato. “Si possono
vedere più occhi nell’oscurità e gufi che stelle” disse Liszt a proposito dei Nachtstücke dell’amico 30 . Certo la
propensione verso macabre visioni e il declino della sua salute mentale contribuirono all’incoerenza del
suo stile compositivo, ma è importante sottolineare che ciò dipese anche dal suo linguaggio allusivo,
difficilmente comprensibile per un vasto pubblico di non-esperti. Anche nei suoi Notturni egli preferisce
sviluppare il materiale non in senso classico, ma rimodellando il tema, come accade nella forma della
variazione; la struttura classica tende dunque ad essere trascurata, mentre la trama compositiva assume
rilevanza per poter connettere tra loro temi apparentemente semplici, ma poi sviluppati nei modi più
imprevedibili (ad esempio, alludendo a contromelodie non esplicite). Non esitò a servirsi di audaci
cromatismi, di una tecnica del pedale inusuale per quegli anni e di ritmi sincopati 31. Richiami letterari e
musicali, riferimenti autobiografici e allusioni al proprio mondo mentale privato rendevano i suoi brani
enigmatici, pienamente accessibili solo a Schumann stesso. Al pubblico non era concesso di conoscere
quali connessioni collegassero nella mente del compositore le citazioni più diverse, mentre egli
utilizzava certi temi o progressioni unicamente poiché richiamavano in lui le precise emozioni che aveva
provato nell’idearli la prima volta. Alcuni critici hanno anche ipotizzato che egli si servisse di un sistema
di crittografia musicale (di cui la parola-chiave più frequente sarebbe “Clara”)32.
“Ahimè, mi sembrava di guardare nelle profondità di un’anima che è stata ferita a morte, ma che osa lamentarsi solo
sotto il velo di una pungente ironia” 33.

27 JENSEN 2012, p. 166.


28 EDLER 1991, p. 20.
29 Lettera del 7 Aprile 1839 (JENSEN 2012, p. 166); Clara rimase la più fedele esecutrice dei suoi brani e sua confidente.
30 Ibidem, p. 165.
31 ABRAHAM 1988, pp. 121-122.
32 Ibidem, pp. 118-121.
33 E. T. A. Hoffmann , La chiesa dei gesuiti di G. in Racconti Notturni.

17
VII. Franz Liszt
“Quale inesauribile ricchezza di variazioni ha offerto generosamente nell’abbellimento del suo pensiero! Con quale raro
gusto vi si potrebbe avvolgere intorno, senza soffocarlo, la più sottile trama di arabeschi!”. Queste sono le parole che
ritroviamo nel saggio che Liszt scrisse come prefazione all’edizione del 1859 dei primi sei Notturni di
Field. Tali lodi sono espresse proprio nei confronti di John Field, di cui il compositore e pianista
ungherese fu un grande estimatore; egli ammirò il suo stile, l’eccezionale inventiva, la dolcezza espressa
dalla melodia. Egli scrive anche: “Non vi è traccia di affettazione nel suo talento; ben lontano da ciò, la sua
raffinatezza possiede tutta la semplicità propria dell’istinto, che diletta in infinite modulazioni di semplici e lieti accordi,
espressione dei sentimenti di cui il cuore è ricolmo” 34.
Nello stesso saggio egli loda il titolo “Notturno” scelto da Field, poiché è nella notte che l’uomo, libero
dalle preoccupazioni del giorno, può immergersi nella contemplazione interiore. Successivamente
accenna ai Notturni di Chopin, nell’ascolto dei quali prova piacere per la bellezza dell’armonia e allo
stesso tempo un incessante senso di smarrimento e agitazione. I suoi Notturni incantano l’ascoltatore
più di quelli di Field ma sono meno tranquilli e velati da una profonda angoscia, da una dolcezza
straziante. “Egli vola più in alto, sebbene le sue ali siano più ferite”. Liszt rimase legato a Chopin da un
profondo rapporto di stima e amicizia. Egli creò la moderna tecnica pianistica e fu uno dei musicisti che
più influenzò le generazioni successive, il più acclamato del tempo ed emblema del genio romantico del
pianista virtuoso. Le sue composizioni sono pervase da una moltitudine eterogenea di sentimenti, ma
ugualmente appassionati e puri.
Egli collaborò a lungo anche con Schumann, comprendendone il genio e difendendolo nei suoi scritti,
conobbe Berlioz, Wagner e Beethoven (sono rimasti celebri nella tradizione i primi incontri tra il
dodicenne Listz e il maturo Beethoven, il quale inizialmente si dimostrò freddo; tuttavia dopo averlo
sentito eseguire qualche brano, Beethoven si alzò e abbracciò sul palco il piccolo Liszt) 35. Liszt era
dunque un compositore perfettamente calato nel clima romantico e nella mondanità, brillante,
acclamato e chiacchierato, sicuro di sé, un giovane alla ricerca di ogni genere d’emozioni e dal carattere
opposto a quello di Schumann. Non era tuttavia un uomo arrogante, al contrario continuò per tutta la
vita ad esercitarsi al pianoforte per migliorare la propria tecnica. “È un giovane che pensa assai, che sogna, che
vuole andare al fondo di tutto. Il suo cervello è agile e straordinario come la sua mano […] Le sue espressioni sono come il
suo tocco, naturali e senza pretese. Un’anima appassionata, un’anima di fuoco, ma candida, semplice, tenera, mutevole,
ora votata alla disperazione ora alla tenerezza, poi in balia dell’amore e della gelosia, poi affranta e abbattuta; un’anima
che si sfoga in musica, ecco il segreto di Liszt” 36. Si interessava a molti campi del sapere, i molteplici aspetti
della sua personalità, spesso fra loro opposti, hanno influenzato il suo stile; viaggiò moltissimo, tanto da

34 SCHIRMER 1902.
35 ROSTAND 1961, pp. 9-10.
36 Da un’appassionata pagina del diario tenuto nel 1832 dalla sua allieva Valérie Boissier, ROSTAND 1961, p. 120.

18
divenire cosmopolita, conosceva e collaborava con i compositori del suo tempo, e come loro prese
parte alle discussioni stilistiche che animavano l’ambiente musicale di allora, principalmente nei salotti
di Parigi, Vienna e Londra 37 . Pertanto non stupisce che anche lui, nell’immensa mole delle sue
composizioni, si sia dedicato al notturno, e non solo nelle opere letterarie.
Nel 1850, durante il periodo artisticamente proficuo del soggiorno a Weimer, pubblicò tre Notturni (che
aveva iniziato ad elaborare nel 1843 circa), intitolando l’opera Liebesträume (“Sogni d’amore”) 38 ; tra
questi il terzo è certamente il più celebre. In essi la tradizione del Lied, di cui Liszt è stato uno dei
principali esponenti, è ben riconoscibile: ad esempio, il suo secondo Notturno venne scritto come
arrangiamento per pianoforte della canzone “Gestorben war ich”39.

Notturno No. 1, batt.


77-79. L’indicazione
“quasi Recitativo” instaura
un parallelismo tra la
melodia della tastiera e la
voce umana.

I suoi Liebesträume sono estremamente raffinati, caratterizzati da una leggerezza difficilmente


descrivibile; anche dove è percepibile la malinconia della melodia, vi è sempre un velo di dolcezza. Le
indicazioni agogiche date in partitura sono eloquenti: “sotto voce”, “dolce cantando”, “più animato con
passione”, “dolcissimo”, “smorzando”, “leggerissimo”, “languendo”, “quasi Arpa”, etc. L’attitudine
sognatrice di Liszt si esprime in questi tre brani al meglio: il terzo Notturno riesce a rileggere il Lied “O
lieb, so lang du lieben kannst”, di cui è la trascrizione pianistica, con delicata ironia, senza patetismi o
affettazione. Tale brano, rispetto alla versione originale cantata, è musicalmente più conciso, con un
inequivocabile climax, non interrotto da strofe in recitativo abbastanza banali, le quali tramutano il
messaggio del Lied in un mediocre “ama quanto ti è possibile”, ben lontano dal Sogno d’amore della
trascrizione pianistica40. Onnipresente è l’accompagnamento arpeggiato e arioso, la melodia si spinge
nel registro più acuto del pianoforte, soprattutto nelle repentini “voli” ascendenti e discendenti delle
cadenze e la tecnica del pedale utilizzata da Liszt riempie i Notturni di espressività, alternando battute
dall’armonia rarefatta e sospesa ad altre molto più dense e ricche di tensione. Gli accenti drammatici ed
i “ritardando” contribuiscono ad accrescere tale tensione, che viene sciolta con grazia appassionata.
Liszt è stato in grado di conferire ad ogni accordo dei suoi Liebesträume un certo alone, un riverbero, che
dona ai brani un’atmosfera dolcemente incantata.

37 SEARLE 1988, pp. 200-201.


38 PARK 2009, p. 15.
39 ARNOLD 2002, p. 167.
40 HAMILTON 2005, p. 204.

19
Liszt scrisse diversi altri notturni pianistici, fra cui emergono l’Improvviso pubblicato nel 1877 ma
composto anni prima (S 191), chiamato anche Notturno dall’autore e En rêve (S 207) composto nel
1885 41. Il primo è chiaramente un brano del Liszt virtuoso, mentre En rêve (“In un sogno”) ha un
carattere differente: la melodia è essenziale e dolce. Come un sogno, esso si distende tra rallentamenti
ed accelerazioni, tra pause e riprese, mantenendo sempre un’andatura sospesa nell’atmosfera rarefatta;
alcuni gesti in questo brano richiamano apertamente un ambiente onirico, come i lunghi trilli, le
decorazioni della melodia e la struttura che aspira a raggiungere il registro più acuto (su quarantasette
battute le ultime ventuno vedono entrambi i righi in chiave di violino). Inoltre l’accompagnamento,
anch’esso essenziale, è però intarsiato da cromatismi, la melodia si arresta in modo inaspettato a battuta
15 e per sei battute sembra aver smarrito la strada nella notte. Poi si riprende con sicurezza senza
abbandonare la dolcezza del tocco; una progressione discendente offre l’accesso al finale con lunghi
trilli in acuto e la graduale rarefazione dell’accompagnamento. Infine questo breve brano termina in una
serie di accordi, progressivamente di maggiore durata fino alla corona dell’ultima battuta, dove
l’accordo con la quinta al basso non permette un totale scioglimento della tensione accumulata,
lasciando così nell’ascoltatore un’impressione di attesa, di sospensione.

VIII. Felix Mendelssohn-Bartholdy


The iron tongue of midnight hath told twelve.
Lovers, to bed; 'tis almost fairy time.

W.Shakespeare, A Midsummer Night's Dream

Mendelssohn si formò a Berlino nel clima culturale della Restaurazione, studiando dunque Bach,
Händel, Haydn e Mozart. Tuttavia presto si avvicinò allo stile di Beethoven e Weber, non rimanendo
indifferente alla nuova estetica romantica. Sebbene egli si dedicò anche alla composizione per
pianoforte, egli raggiunse la celebrità grazie alla produzione orchestrale ed è in essa che lo stile
compositivo di Mendelssohn raggiunge l’apice: uno stile che tende a servirsi dei modelli classici, ma
riletti con grande libertà. Del resto, fin da giovane si era avvicinato alla musica da camera, più che ai
grandi virtuosi del pianoforte.
Uno dei suoi migliori capolavori è senza dubbio A Midsummer Night’s Dream (Op. 61), ispirato
all’omonima commedia di Shakespeare. Durante i primi anni della sua carriera egli ne scrisse
l’Ouverture, ma solo nel 1843 Mendelssohn compose gli altri movimenti come musica di scena per una
rappresentazione della commedia shakespeariana42. Fra questi movimenti vi è un Notturno (No. 7), che
conclude il III Atto e accompagna il sonno degli amanti. La sonorità di questo brano è certamente

41 Ibidem, p. 106.
42 KÖHLER-BARTLITZ 1989, p. 174.
20
diversa, più eterogenea, rispetto a quella dei notturni pianistici finora esaminati. Come nei notturni per
piano il tema dell’amore è tra gli elementi principali, tuttavia quest’opera si distingue anche per
un’atmosfera incantata e magica43. “Sogno di una notte di mezza estate” è un’opera che si presta alla
ricerca sonora, in quanto ritrae il regno notturno delle fate e dei folletti, tra cui vi sono alcuni tra i
personaggi principali dell’opera, ossia Puck, Oberon e Titania. Sogno e realtà, personaggi fantastici e
umani si confondono nella notte, fino a divenire indistinguibili nel bosco fatato: “Are you sure/That we
are awake? It seems to me/That yet we sleep, we dream” (Demetrio, IV Atto, Scena I).
L’apertura del brano è affidata al solo di corno e fagotti, a cui presto si aggiunge la sezione degli archi.
Replicano le fluide terzine degli archi; l’intensa e toccante melodia d’apertura viene ripresa e sviluppata
in conclusione del brano secondo la forma ABA’; la dolcezza del Notturno, che deve conciliare il sonno
dei quattro amanti, è raggiunta non solo grazie alla melodia-cantilena e al timbro calmo del corno, ma
anche tramite il dolce dialogo della sezione centrale fra archi e strumenti solisti, che si scambiano il
tema modificandone il timbro.
Il materiale originario è incessantemente trasformato, nell’opera si susseguono un caleidoscopio di
variazioni sulla medesima idea musicale; ad esempio, le prime due note del corno (si-mi) richiamano
come un eco il tetracordo iniziale dell’Ouverture,

Ouverture, batt. 8.

Notturno, batt. 1-2.

il quale ricompare ripetutamente nell’opera in forme variate (ovviamente si ripresenta nell’accordo


conclusivo del Notturno in Mi maggiore, tuttavia bisogna notare la soluzione timbrica del pizzicato degli
archi che “riempiono” il tetracordo accompagnando l’arrivo dell’accordo di tonica) 44 . Tale motivo
primigenio si manifesta ripetutamente in tonalità maggiori e minori, da tetracordo discendente evolve in
pentacordo, si ripresenta dall’Ouverture fino alle ultime battute dell’opera e l’armonia complessiva
sembra derivare sempre dalle trasformazioni e derivazioni di questo fil rouge. In quest’opera, dunque,
Mendellsohn anticipò in parte la tecnica wagneriana del leitmotiv, o “melodia infinita”; ciò spiega anche
il largo utilizzo di cromatismi, che altrimenti compaiono raramente in Mendellsohn45.

43 EDEN-SAREMBA 2009, p. 133.


44 TODD 2003, p. 460.
45 WERNER 1984, pp. 537-539.

21
Esempi del Leitmotiv in diversi movimenti
del Sogno di una notte di mezza
estate.

Le progressioni armoniche conferiscono a certi passaggi una tensione che non disturba tuttavia la
quiete del bosco incantato. Lo spessore polifonico aumenta con l’aggiunta di strumenti fino a giungere
all’utilizzo completo dell’orchestra; dopo questo culmine, Mendelssohn alleggerisce l’armonia tramite la
rarefazione timbrica; in questo diminuendo termina il Notturno. Oltre alle sezioni strumentali già citate,
anche flauto e oboe svolgono una funzione melodica importante, grazie alle qualità timbriche di questi
legni che possono descrivere al meglio l’incanto di un ambiente fantastico, se impiegati nel loro registro
migliore, come Mendelssohn non esita a fare.

22
IX. Prima di Field
There is something haunting in the light of the moon; it has all
the dispassionateness of a disembodied soul, and something of
its inconceivable mystery.

J. Conrad, Lord Jim

Eine kleine Nachtmusik è una serenata in Sol maggiore (K 525) per quartetto d’archi composta nel 1787
da Wolfgang Amadeus Mozart e anche uno dei suoi brani più conosciuti. Come si è precedentemente
osservato, nel XVIII secolo erano già stati scritti diversi notturni, tuttavia non si erano ancora
consolidati quei caratteri che poi Field formalizzò; ne abbiamo prova in questa serenata di Mozart che,
appunto, non è stata denominata “Notturno” dal suo autore, sebbene la notte sia richiamata comunque
nel titolo. Questo è per Mozart il periodo di piena maturità compositiva. Grazie ai suoi viaggi ha potuto
fare la conoscenza di nuovi generi e di nuovi concetti musicali che hanno reso il suo stile cosmopolita.
Si dedica così al genere della sinfonia, ma non con rigida continuità: così tra le prime tre e le ultime tre
sinfonie viennesi scrisse, a Praga, Eine kleine Nachtmusik, composta grazie all’incontro di diverse
influenze stilistiche. Essa presenta infatti un’architettura sinfonica in quattro movimenti, ricorda
nell’organico il genere del divertimento e, per finire, i tratti formali dei singoli movimenti appartengono
chiaramente alla serenata, e più precisamente al notturno46. Inoltre sappiamo dalla corrispondenza di
Mozart che egli avrebbe composto anche un secondo minuetto, a noi non pervenuto, con il quale la
Serenata K 525 si sarebbe ulteriormente avvicinata al divertimento 47. Il carattere espresso qui non è
certamente quello che ritroveremo nei Notturni romantici e nemmeno nella Sonata “Chiaro di luna”,
scritta meno di quindici anni più tardi. L’esposizione del tema è esuberante e intensamente accentata,
inoltre comunica fin da subito il tono emotivo che domina l’intera opera 48 . La melodia del primo
movimento è brillante e dolce allo stesso tempo, scritta per rallegrare le serate praghesi durante feste e
ricevimenti; inoltre stupisce come un brano perfettamente compiuto come Eine kleine Nachtmusik sia
sorprendente semplice e chiaro, quasi essenziale. La voce principale, affidata al violino primo, è agile e
briosa, sostenuta dall’accompagnamento risoluto e in stile di marcia degli altri tre archi;
complessivamente il quartetto d’archi dona al brano un timbro limpido, trasparente. Il successivo
Andante è la Romanza: l’amabile melodia è affidata ai due violini, accompagnati con magistrale
equilibrio formale dai bassi; il tema principale è ripreso più volte, alternato ad una breve sezione
imitativa e ad un’altra a cui la tonalità di Do minore e l’incalzare delle quartine del violino secondo e
della viola conferiscono uno spirito insolitamente inquieto; anche la melodia è resa più dinamica
dall’uso degli abbellimenti. Infatti a questo breve episodio segue presto la ripresa del tema e di

46 CASINI 1990, p. 292.


47 RUSHTON 2006, pp. 86, 157.
48 VIGELAND 2009, p. 70.

23
quell’elegante allegria. Gli ultimi due movimenti, il Minuetto e il Rondeau, sviluppano il materiale
tematico mantenendo la chiarezza compositiva ed estendendo il dialogo tra le parti. Soprattutto nel
Rondeau il ritmo accelera ulteriormente, sottolineato dalle zone omoritmiche (o parzialmente tali) e
quindi dagli accenti, che tuttavia non rendono il brano meno leggero e scorrevole.

Nel 1832 L. Rellstab rinominò “Chiaro di luna” 49 la Sonata per pianoforte No. 14 (Op. 27, No. 2) di
Ludwig van Beethoven e con tale nome questo brano divenne tra i più celebri notturni mai composti e
subito riconoscibile ad orecchio anche dai meno esperti (tanto da irritare lo stesso Beethoven, che
vedeva i suoi lavori successivi messi in ombra dalla fama di questo brano50); tuttavia, analogamente a
quanto già detto per Eine klein Nachtmusik, quest’opera non venne intitolata “Notturno” dal suo autore.
Beethoven esplorò in questa opera la tradizionale forma-sonata, giungendo ad una nuova evoluzione
dei diversi movimenti, sia rispetto all’abituale distribuzione che alla caratterizzazione dei tempi, più
flessibile: cosiddetta sonata-fantasia. Venne denominata Sonata quasi una fantasia dallo stesso Beethoven
proprio per tale libertà formale che proietta il brano fuori dagli schemi consueti. Composta nel 1802,
l’opera è suddivisa in tre movimenti: un Adagio come movimento introduttivo “che ha carattere di una
sognante improvvisazione”, uno Scherzo come interludio e un Finale conclusivo nel quale vi è la vera e
propria forma-sonata 51 . La didascalia premessa all’Adagio recita: “Si deve suonare tutto questo pezzo
delicatissimamente e senza sordino”. Il giudizio dei critici riguardo ciò non è unanime: molti commentatori
hanno spiegato che con l’espressione “senza sordino”, ovvero senza gli smorzatori, Beethoven
intendeva che l’esecutore avrebbe dovuto suonare con il pedale di risonanza. Sebbene quest’ultimo
debba essere impiegato, tuttavia egli voleva soprattutto evitare che la delicatezza fosse data dal pedale
del sordino invece che dal tocco. Desiderava dunque che il modo in cui l’esecutore si rapportava alla
tastiera non fosse subordinato al mezzo meccanico.
La Sonata “Chiaro di Luna” fu uno dei brani più eseguiti in pubblico ed in privato dai musicisti romantici,
che però spesso ne snaturavano l’essenza per poter mettere il luce la propria bravura virtuosa. Berlioz
descrive con disappunto in un saggio del 1837 come Liszt avesse eseguito tempo prima l’Adagio
beethoveniano sostituendo alla severa e solenne tristezza del ritmo e degli accordi un gran numero di
trilli e abbellimenti, accelerando e rallentando il tempo, introducendo così nel brano un carattere
appassionato che Beethoven non desiderava 52 . L’Adagio della Sonata è invece caratterizzato da una
struggente malinconia e da un accento espressivo inconfondibile, attribuibile all’incessante svolgersi
delle lente terzine reiterate fino alla fine del brano. Non è proibito accelerare o rallentare

49 Titolo che richiamava nell’immaginazione di Rellstab la solenne quiete di una barca ondeggiante nelle acque del Lago dei
Quattro Cantoni sotto il plenilunio.
50 ROSEN 2008, p. 174.
51 GUANTI 1995, pp. 344, 346.
52 Ibidem, p. 348.

24
nell’interpretazione, ciò che è veramente importante è non interrompere il flusso delle terzine,
mantenendo l’effetto ipnotico e inarrestabile di queste. Nella sovrapposizione della terzina e della
croma puntata con semicroma della voce superiore è indispensabile resistere alla tentazione di
assecondare il ritmo della terzina alle sfumature sentimentali ricercate nella melodia53.

Adagio, esposizione del tema, batt. 5-9.

Adagio, ripresentazione della cellula


iniziale al basso, batt. 60-61.

Come si può vedere nella figura precedente, la prima frase melodica termina con cadenza perfetta sul
relativo maggiore, Mi, in maniera convenzionale: ma già in opere precedenti Beethoven aveva iniziato a
sperimentare la sostituzione del tradizionale relativo maggiore con il corrispondente minore. Pertanto il
Mi maggiore non è un punto d’arrivo, bensì viene subito alterato e portato a Mi minore. Lo stesso
accadrà poco più avanti con Si minore modulato al maggiore54.
Secondo Temperley, Beethoven iniziò a mostrare una propensione ad estendere spazialmente
l’accompagnamento per arpeggi accordali solo a partire dalle opere pianistiche pubblicate nel 1803
circa, tuttavia non portò tale tecnica ad una completa maturazione, poiché la mano sinistra non era
ancora completamente libera di arricchire di note l’accompagnamento facendo affidamento sulla nota
tenuta dal pedale (che nemmeno era segnato)55. Come già detto, nemmeno in questa Sonata l’uso del
pedale è scritto, ma è scontato il suo utilizzo: questo brano è infatti tra i primi a mostrare attenzione
verso il fatto che le vibrazioni per simpatia delle corde vicine, quando gli smorzatori sono sollevati,
richiedono qualche frazione di secondo per poter essere utile e sortire il giusto effetto, poiché la
risonanza non è immediata, ma aumenta gradualmente. Proprio questo ritardo degli armonici rende
l’atmosfera dell’Adagio leggermente confusa, dai contorni non netti, la vecchia e la nuova armonia per
un attimo si sovrappongono; tuttavia per ricreare perfettamente tale atmosfera è fondamentale la
meccanica di un pianoforte dell’epoca di Beethoven; l’esitazione armonica da lui voluta è oggi
difficilmente riproducibile sul pianoforte moderno, poiché non è possibile mantenere abbassato il

53 ROSEN 2008, p. 176.


54 Sono molte le novità armoniche introdotte o sviluppate da Beethoven nella Sonata quasi una fantasia; per una chiara e
sintetica analisi armonica si rimanda a ROSEN 2008, pp. 176-178.
55 TEMPERLEY 1975, p. 338.

25
pedale incessantemente, come richiesto dall’autore, se non nel caso di poche battute e suonando con
estrema delicatezza, oppure cambiando il pedale leggermente in ritardo o usando il mezzo pedale56.
L’ispirazione per l’Adagio potrebbe derivare dal materiale mozartiano: tra i suoi studi inediti scritti tra il
1800 e il 1803 è stata ritrovata la trascrizione in Re minore di alcune battute dell’Introduzione del Don
Giovanni (“Ah, soccorso! …son tradito”, terzetto Don Giovanni-Leporello-Commendatore nella scena
in cui quest’ultimo viene ucciso). Gli studiosi concordano nel pensare che questi schizzi siano uno
studio preliminare per l’Adagio, poiché le affinità strutturali ed espressive sono davvero molte, a partire
dalle analogie morfologiche delle terzine uniformi e modulanti secondo il moto per gradi congiunti dei
bassi, fino alla profonda affinità d’intenti, poiché entrambi brani descrivono l’ineluttabilità del destino e
la tragica contemplazione di chi ormai si sente impotente.
Il successivo Scherzo (Allegretto) è un perfetto ponte tra il primo e il terzo movimento, come già aveva
notato Liszt, che lo definì “un fiore tra gli abissi”, e grazie al largo uso dell’omoritmia mantiene il
carattere rigoroso del primo movimento. Nell’ultimo e agitato Presto Beethoven riprende in parte la
forma-sonata e la costruzione regolare di derivazione mozartiana: le semicrome si susseguono
impetuose, ma è interessante notare che la dinamica prevalente di questo brano sia il piano, mentre il
fortissimo compare solo su alcuni singoli accordi; ciononostante la violenza degli arpeggi arabescati è
ben udibile e dall’effetto sbalorditivo ancora oggi. Un tale profondo contrasto di carattere tra il primo e
l’ultimo movimento della Sonata non si era mai presentato in nessuna composizione per tastiera scritta
fino ad allora57. Il sentimento autocontemplativo “pietrificato nell’Adagio, esplode in una convulsa galoppata
verso l’abisso” (tale termine pare il più appropriato, visto a quale profondità della zona grave si spingono,
o meglio, precipitano alcuni accordi), che si arresta a tredici battute dalla doppia sbarra; tuttavia
immediatamente i volteggi delle semicrome riprendono nella loro corsa frenetica, come se la pausa
precedente fosse servita loro esclusivamente per prendere lo slancio.

L’esuberante incipit del Presto.

Presto, esposizione del tema, batt. 21-22.

56 ROSEN 2008, p. 175.


57 Ibidem, p. 178.
26
Il tema principale sembra avere un ruolo unicamente decorativo, sopraffatto dalle quartine di
sedicesimi; il suo ruolo secondario sembra essere confermato dal fatto che esso compare già alla
dominante, dunque è allo stesso tempo primo e secondo tema (la medesima cosa accade per il tema
dell’Adagio)58.
Concludendo, l’Adagio e il Finale riescono a descrivere allo stesso modo, anche se per mezzo di
elementi morfologici differenti, il turbamento umano che giunge fino all’aperto sconvolgimento
emotivo.

X. Il notturno francese

[…]
Tout était clair dans l'air léger, depuis les planètes Tutto era chiaro nell'aria leggera, dai pianeti
jusqu'aux becs de gaz. Tant de feux brillaient là- sino ai fanali a gas. Le luci che splendevano
haut et dans la ville que les ténèbres en semblaient lassù e nella città erano tante, che le tenebre
lumineuses. Les nuits luisantes sont plus joyeuses parevano illuminarsene. Le notti scintillanti
que les grands jours de soleil. […] sono più allegre che i grandi giorni di sole.

G. de Maupassant, La Nuit

Claude Debussy sviluppò nelle sue


composizioni una certa sonorità, poi
utilizzata da altri compositori francesi,
tanto da divenire la sonorità francese
per antonomasia. Debussy scrisse un
Notturno e Scherzo per violoncello e
pianoforte nel 1882 (L 26), il
celeberrimo e surreale Clair de lune per
piano all’interno della Suite bergamasque
nel 1890 (L 75), un Notturno per piano
nel 1892 (L 82) e tre Nocturnes
orchestrali nel 1897-99 (Nuages, Fêtes e
Sirènes, L 91). Debussy scrisse anche
Nocturne: Blue and Silver – Chelsea,
James Abbott McNeill Whistler, altri brani le cui particolarità timbrico-
Tate, 1871. espressive possono richiamare
l’atmosfera notturna, come Ballade à la
lune per voce e piano (L 1) nel 1879, De

58 GUANTI 1995, pp. 349-350.


27
rêve: La nuit a des douceurs de femme per voce e piano e Trois Scènes au crépuscole per orchestra. Questi due
ultimi, entrambi datati nel biennio 1892-93, sono ispirati agli omonimi poemi di Henri de Régnier e
vennero in seguito ampiamente modificati dall’autore e divennero in modo definitivo i tre Nocturnes
orchestrali L 91. Le scene descritte sono “nate da un sogno, sono scene ammalianti, malate di tristezza.
59
Inafferrabili ed evanescenti, riescono tuttavia a prendere corpo, a svolgersi” ed ogni Notturno è dominato
dall’immagine “fisica” di un elemento: l’aria per Nuages, il fuoco per Fêtes e l’acqua per Sirènes60. Il titolo
dei tre brani (e soprattutto il soggetto di Sirènes) è tratto dal poema Nocturne di Swinburne e,
probabilmente, anche dalla serie Nocturnes del pittore James Whistler. L’approccio riscontrabile nei
Nocturnes è tipicamente impressionista, in particolare sono chiari i richiami al colore di Monet, mentre
lo stesso Debussy in una sua lettera paragonò il metodo compositivo adottato nei Nocturnes ad uno
studio pittorico sul grigio, collegandosi così all’esperienza di Turner, oltre che dello stesso Monet:
ulteriore prova di ciò è il sottotitolo scelto per l’opera, ossia Harmonies en bleu et argent 61 . La
collaborazione di Debussy con i grandi esponenti di altri campi artistici fu assidua e proficua; oltre al già
citato de Régnier, si ispirò agli scritti di Mallarmé e
dei simbolisti, ai quadri degli impressionisti, ma
anche all’Art Nouveau ed in seguito alle
Avanguardie e a Picasso. Debussy e de Régnier
coltivavano la medesima visione del simbolismo in
musica ed in letteratura e la loro amicizia fu assai
proficua per entrambi. Debussy, alla ricerca di
nuove modalità di espressione musicale, scrive:
“Quando mi parlava della degradazione di certe parole della
lingua francese dovuta all’uso eccessivo, mi dicevo che questo
si poteva applicare anche a certi accordi che si erano
deteriorati nello stesso modo” 62.
Debussy, proprio come i poeti simbolisti, non
cercò di tradurre direttamente in musica i
sentimenti umani, ma si servì di un sistema

Nocturne in Black and Gold – The Falling Rocket simbolico, affascinante e sfuggevole. Scrisse Paul
James Abbott McNeill Whistler Dukas a proposito di Nuages su un settimanale:
Detroit Insitute of Arts, 1872-77.
“Egli traduce l’analogia con l’analogia grazie a una musica

59 TESTI 2003, p. 23; LOCKSPEISER 1983, pp. 75-76.


60 JANKÉLÉVITCH 1991, p. 57.
61 TESTI 2003, pp. 25-26.
62 Citato in LOCKSPEISER 1983, p. 159.

28
di cui tutti gli elementi, armonia, ritmo e melodia, sembrano in qualche misura volatilizzati nell’etere del simbolo e come
ridotti allo stato di imponderabilità” 63. Debussy fu anche molto influenzato dai modi tonali della musica
popolare non occidentale: per questo egli adottò svariate scale pentatoniche ed esatoniche,
allontanandosi dunque molto dall’armonia “canonica” ed obbligata a seguire certi criteri come
direzionalità e funzionalità64.
Debussy trovò l’ispirazione per Nuages osservando dal ponte Solferino sulla Senna della placide nuvole
65
di passaggio, “né troppo pesanti né troppo leggere: delle nuvole. È tutto qui” . Oltre al simbolismo, le
composizioni di Debussy si contraddistinguono per alcuni caratteri che le differenziano dagli altri brani
della stessa epoca; tali caratteri si manifestano perfettamente nei tre Notturni: in primo luogo, la
dimensione del silenzio è sempre molto presente ed instaura un profondo legame con la struttura
musicale, giungendo a creare un’atmosfera soffusa e lieve, ma sempre pervasa da una tensione
dinamica.

Nuages, un esempio di fascia sonora mobile nella sezione degli archi, batt. 42-45.

63 Citato in TESTI 2003, p. 32.


64 CARROZZO-CIMAGALLI 1999, p. 321.
65 Citato in Idem.

29
In secondo luogo, tale componente dinamica è realizzata in realtà mediante una concezione statica del
ritmo: l’orchestra, divisa in blocchi strumentali, produce fasce sonore quasi immobili, ma sempre
ondeggianti nello spazio di limitati intervalli. La poliritmia (spesso creata da moduli ritmici contrastanti)
contribuisce alla fitta sovrapposizione delle fasce sonore; si crea in questo modo una situazione
musicale di staticità in tensione, come in una continua preparazione. In terzo luogo, anche l’idea
formale è abbastanza statica, poiché non mira alla realizzazione di un vero e proprio climax. Al
contrario, Debussy sembra restio a sviluppare in senso tradizionale il materiale, preferendo una sorta di
“stagnazione” dei parametri musicali. Infatti gli elementi passati si attardano ostinatamente nel corso del
brano; non è un semplice ripresentarsi, bensì un persistere come echi tenaci e difficilmente liquidabili.
Tuttavia staticità non significa stabilità, e sia l’armonia che la melodia procedono in forma fluttuante,
spesso ambigua, senza riposo ed in continua tensione, ora maggiore, ora più lieve, fino a spegnersi
fondendosi gradualmente con il silenzio. La tensione musicale è creata proprio grazie alla resistenza di
parte del materiale precedente, che quindi interagisce con i nuovi argomenti creando un ambiente
dinamico ed in continua sollecitazione. Considerando il finale di ognuno dei Notturni orchestrali, ci
accorgiamo che in Nuages, a due battute dalla fine, l’armonia indugia ancora a tornare alla tonica e,
confondendo l’ascoltatore tra ambiguità e apparenze, sembra modulare a Do, per poi risolvere
effettivamente sul Si finale, ma senza annullare totalmente la tensione accumulata. In Fêtes l’equivocità
delle ultime battute è data dall’alternarsi sempre più sciolto e cedevole di 3/4 e 2/4. In Sirènes la
medesima mollezza del finale è creata dalla disgregazione di ogni parametro nell’ultimo pianissimo66.
Fêtes si allontana decisamente dall’ideale tradizionale di serena contemplazione della notte: il brano
descrive una notte animata ed esuberante, dominata da una cerimonia e dagli uomini riuniti in festa. Le
fanfare delle trombe accompagnano l’avvicinamento del corteo e il riunirsi dei festeggianti: la melodia si
ode in lontananza, poi sempre più vicina, con tono maestoso e brillante. Come l’autore stesso ammise,
il brano evoca “un corteo sfavillante e chimerico che attraversa una festa e si confonde in essa” 67 . Fêtes venne
probabilmente ispirato da una delle molte grandiose e solenni cerimonie a cui poterono assistere i
parigini quando lo zar Nicola II si recò nella capitale francese per ratificare un’alleanza tra i due paesi;
Debussy non nasconde in questo Notturno la grande emozione che dovette aver provato nell’assistere ai
lussuosi fasti dell’imperatore. L’ispirazione potrebbe anche derivare dalla lettura di La Vigile des grèves di
de Régnier, che in effetti mostra alcuni parallelismi con Fêtes, come l’evocazione delle fanfare. Altri
scritti dell’amico, come Poèmes anciens et romanesques e L’Homme et la Sirène, e alcune poesie di Swinburne
possono essere alla base dell’ispirazione di Sirènes. In Nocturne di Swinburne una sirena che sorge dal

66 JANKÉLÉVITCH 1991, p. 47.


67 Citato in LOCKSPEISER 1983, p. 75.
30
mare è un simbolo d’amore, mentre in Sirènes un coro femminile evoca dal mare le sirene, cantando a
bocca chiusa68. In seguito verrà scritta da Maurice Ravel una riduzione per pianoforte dei tre Notturni.
Tuttavia, nessuno può descrivere i tre Notturni meglio del loro stesso autore, che con queste parole le
presentò al pubblico in occasione della loro prima esecuzione integrale nel 1901: “Il titolo Nocturnes
vuole avere qui un significato più ampio e soprattutto più decorativo. Non si tratta insomma della forma abituale del
“Notturno”, ma di tutto quello che questa parola contiene di impressioni e di luci speciali. Nuages: è l’aspetto
immutabile del cielo con il lento e malinconico cammino delle nuvole che sfumano in un’agonia grigia, dolcemente tinta di
bianco. Fêtes: è il movimento, il ritmo danzante dell’atmosfera con lampi di luce improvvisa, ed è anche l’episodio di un
corteo (visione ribollente e chimerica) che passa attraverso la festa, confondendosi con essa: ma lo sfondo resta, si ostina, ed
è sempre la festa ed il suo miscuglio, di polvere luminosa che partecipa ad un ritmo totale. Sirènes: è il mare e il suo ritmo
infinito, poi, tra i raggi argentei della luna, si sente, ride e passa il canto misterioso delle sirene” 69.

Gabriel Fauré compose tredici Notturni durante la sua carriera compositiva. I primi Tre Notturni (Op. 33)
furono composti tra il 1875 e il 1883, mentre il suo ultimo Notturno è datato al 1921 (Op. 119).
Certamente il modo compositivo delle sue prime opere si trasformò nel corso degli anni, divenendo più
difficile, ricco di sonorità sature e complesse. Alcuni passaggi stilistici dei primi Notturni non vennero
più utilizzati nei suoi ultimi lavori: il suo stile divenne più risoluto e abbandonò le sonorità seducenti e
languide della corrente musicale francese di fine Ottocento, si allontanò dalla scrittura agile e
affascinante della giovinezza per avvicinarsi ad accordi dissonanti e insistenti, precedendo molti suoi
contemporanei: Debussy e Ravel erano impegnati a sviluppare un tipo di sonorità modale e fluida.
Nelle ultime opere per piano di Brahms si può invece notare un utilizzo dei parametri ritmici simile
all’uso che ne fa Fauré negli ultimi Notturni 70 . È facile riconoscere l’influenza di Chopin nei primi
Notturni, dove la linea melodica si eleva liberamente nel bel canto, spesso non osservando un tempo
rigido, ma scorrendo in passaggi di libero lirismo. Inoltre si servì di arpeggi di accompagnamento che
ampliò sensibilmente e che variò nei modi più diversi; sempre seguendo l’esempio di Chopin, Fauré
inserì nelle sue opere giovanili molti trilli, sia nella melodia che nell’accompagnamento (servendosene in
quest’ultimo caso come di un particolare pedale, molto sonoro). Anche abbandonando l’estetica
musicale di Chopin, Fauré gli rimase debitore per il desiderio di espressività e perfezione contenuto in
ogni suo rigo di pentagramma e per le audaci volute sonore71. Molti altri compositori lo influenzarono:
come Liszt esplorò i registri più acuti della tastiera, come Mendelssohn utilizzò anche sonorità più

68 LOCKSPEISER 1983, pp. 76-77; pp. 160-162.


69 Citato in TESTI 2003, p. 33.
70 NECTOUX 2004, pp. 380-381.
71 Ibidem, p. 49.

31
naïve72. Fauré compose anche un Notturno per voce e piano (1885-86, Op. 43 No. 2) e un Clair de lune
sempre per la medesima formazione (1887, Op. 46 No. 2).

Hector Berlioz compose alcuni brani definibili come notturni. Tra questi si possono ricordare il
Notturno dall’opera comica Béatrice et Bénédict (1860-62, H 138) e Le ballet des ombres (1829, H 37) per
piano e coro. Egli strinse una sincera amicizia con Liszt, Saint-Saëns e Chopin ed il suo stile venne
dunque influenzato in parte dalle opere dei colleghi, ma fu anche debitore per molte scelte armoniche a
Gluck e Beethoven. Berlioz fu un personaggio molto controverso: divise la critica del suo tempo, che in
buona parte lo ritenne un pazzo visionario, mentre da molti altri estimatori fu considerato un
compositore geniale73. In Le ballet des ombres (“La danza dei fantasmi”) le qualità timbriche dell’insieme
evocano il mondo notturno e soprannaturale di spiriti e ombre. Il coro canta in pianissimo, come
sussurrando, e si crea così un timbro grottesco, accentuato inoltre dal largo uso di settime e di
cromatismi. Un’atmosfera simile venne usata in altre composizioni che descrivevano temi funebri e
misteriosamente melanconici, come la Danse macabre (1874) di Saint-Saëns, con il quale è accomunato
anche dal tema narrativo della danza notturna. Infatti Le ballet des ombres ha come didascalia Ronde
nocturne, ossia “Festeggiamenti notturni” ed i primi versi del coro recitano: “Iniziate la danza, poiché il
giorno sta morendo e lentamente cale la luce del tramonto. Iniziate a danzare, voi fantasmi volanti, sotto il mantello della
notte”.

XI. La scuola russa

Fredda, diafana e avvilita, Ma non mi è dato il potere di consolare:


La notte ieri mi ha detto piano: Sono pallida e fredda come ghiaccio…
“Non stupirti, amico, che io sia pallida, Da noi dormono solo gli stolti, gli scellerati:
E che debba luccicare come il giorno, Non li soffocano le lacrime e le idee,
Che sino al mattino questo luccichio diafano La coscienza non ha di che rimproverarli…
Non si eclisserà nemmeno un attimo di tenebre Quelli sono puri, possono dormire.
[…]
A. Apuchtin, La notte pietroburghese

Anche i maggiori compositori della scena musicale russa esplorarono il genere del notturno,
arricchendolo di modalità espressive e formali estranee alla tradizione occidentale, come le scelte
armoniche e l’inclinazione verso la rapsodia.
Nel periodo giovanile Mikhail Glinka conobbe personalmente John Field e ne divenne allievo. Nel
1828 compose il Notturno in Mi bemolle maggiore, dove è percepibile l’influenza di Field, tuttavia la

72 Ibidem, p. 242.
73 MACDONALD 1989, 126-129.
32
struttura è ancora estremamente semplice, melodia e armonia si svolgono per di più tramite due sole
voci e Glinka si serve di ogni parametro musicale con estremo equilibrio e misura. Non vi è rottura con
la tradizione e l’esplorazione del genere è appena agli inizi, siamo ancora lontani dal notturno
chopiniano (nonostante Beethoven avesse anticipato i tempi del notturno romantico già da anni,
componendo la Sonata quasi una fantasia). Glinka scrisse un secondo notturno nel 1839, il Notturno in Fa
minore, intitolato anche La Séparation: questo brano è decisamente più maturo; Glinka aveva avuto modo
di viaggiare, soprattutto in Italia, dove era rimasto affascinato dal bel canto e dalle opere di Bellini e
Donizetti, proprio come era accaduto al suo maestro ed in generale ai compositori di quegli anni.
Rispetto al primo Notturno, La Séparation ha un nuovo carattere espressivo, maggiormente lirico, ma
anche legato alla tradizione musicale russa; vi sono nuove sonorità e una maggiore attenzione alle
qualità armoniche ed alla risonanza del pianoforte. A questo proposito è affascinante l’esito prodotto
dal tipo di scrittura delle battute iniziali del brano: il primo ottavo di ogni battuta è occupato da un
accordo (in una successione di gradi molto semplice) che subito scompare, mentre viene mantenuta la
nota più acuta dell’accordo; con questa accortezza, soprattutto se si utilizza la tecnica del pedale, tale
nota sembra emergere dall’armonia dell’accordo come se fosse un eco lontano, e mantenendo nella
memoria la sonorità delle note rimanenti dell’accordo.

La Séparation, batt.1-4.

Le voci impegnate non sono più unicamente due, ma inizia a svilupparsi l’intreccio contrappuntistico.
Colpisce soprattutto il cambiamento di tono rispetto ai suoi primi lavori: ora la melodia sembra seguire
l’andamento mesto o nostalgico dei pensieri dell’autore. È interessante anche notare l’allusione
all’Adagio di Beethoven contenuta nel tema, che è esposto per la prima volta alle battute 8-10, nel
cantabile subito dopo l’introduzione accordale sopra descritta.
A partire dal suo ritorno in patria dopo gli anni di formazione all’estero, Glinka cercò di valorizzare il
folklore russo tramite la musica “colta”, utilizzò soggetti e materiale musicale di tradizione russa ed
inaugurò il filone della musica nazionale nel suo paese. Infatti Glinka venne in seguito considerato il
padre della musica russa ed ebbe molta influenza sui compositori a lui successivi, tra i quali si
considereranno ora i più autorevoli.

33
Con Pëtr Il'ič Čajkovskij procediamo al Romanticismo maturo: egli scrisse due Notturni per pianoforte,
il primo nel 1871-72 (Op. 10 No. 1, ABA’B’) e il secondo nel nel 1873 (Op. 19 No. 4, ABA’), del quale
lui stesso ne fece poi una trascrizione per violoncello e pianoforte. Questi Notturni sono organizzati
secondo uno schema semplice e preciso, come semplice è anche la melodia caratterizzata da un forte
sentimentalismo.

Nikolaj Rimskij-Korsakov compose un Notturno in Fa maggiore per quattro corni (1888) ed un altro
arioso Notturno (rinominato anch’esso “Chiaro di luna”) inserito nella suite per l’opera Pan Voyevoda
(1902-1903). Compose anche un Notturno per piano compreso in Variazioni sul tema B-A-C-H (1878,
Op. 10 No. 4).

Di Aleksandr Borodin conosciamo due Notturni: il primo compreso nella Petite Suite per pianoforte
(1878-85) di cui è il settimo movimento, il secondo è il terzo movimento del Quartetto d’archi n. 2.
(1881). Quest’ultimo Notturno venne arrangiato nel 1887 da Rimskij-Korsakov per violino ed orchestra,
ma già nella versione originale è caratterizzato da un accentuato lirismo e da un’orchestrazione capace
di valorizzare i singoli strumenti e allo stesso tempo il timbro d’insieme. Anche da un punto di vista
ritmico, Borodin diversificò il Notturno in zone imitative, mentre in altre l’accompagnamento
omoritmico in tre archi seguono l’unica linea melodica affidata al violino; in altre parti ancora ogni
strumento segue una propria linea ritmica. Questa serie di accorgimenti rendono il brano molto
eterogeneo e mai banale, molto adatto dunque ad una trasposizione orchestrale. Inoltre, confrontando
il carattere gradevolmente malinconico di questo quartetto con il più celebre antesignano mozartiano
appare evidente a colpo d’occhio quanti mutamenti, in ogni parametro musicale, sono avvenuti nel
corso di un secolo.

Aleksandr Scriabin scrisse diversi notturni per pianoforte: un Notturno in La bemolle maggiore nel 1884-86,
Due Notturni nel 1890 (Op. 5), l’insolito Preludio e Notturno per la mano sinistra nel 1894 (Op. 9)74 e il
poema sinfonico, sempre per pianoforte, Poème-Nocturne nel 1912 (Op. 61).
Con il passaggio di secolo anche nelle composizioni di Scriabin è evidente l’aspirazione a liberarsi della
tonalità tradizionale: il Poème-Nocturne è strutturato interamente sul cromatismo, sulla dissonanza e sulla
dilatazione agli estremi del registro; inoltre il parametro melodico asseconda la sperimentazione
armonica e l’esplorazione di nuove sonorità.

74Scriabin lo compose in un periodo durante il quale accusava dolori al lato destro della clavicola in seguito ad un incidente
e poteva pertanto suonare solamente con la mano sinistra. Nonostante ciò il brano non manca di virtuosismi “acrobatici”,
tanto che gli esecutori non dotati di una eccellente tecnica pianistica nella mano sinistra preferiscono suonare il Preludio e
Notturno a due mani (BAYLOR 1974, p. 5).
34
Notturno in La bemolle maggiore, batt. 1-2
dell’esposizione e batt. 18-19 della zona di intensificazione.
In questo primo Notturno è evidente il riflesso della musica
di Chopin.

Poème-Nocturne, batt. 1-3


dall’incipit e batt. 80-81da una
sezione di sviluppo.
Il cambiamento stilistico è molto
evidente in tutti i parametri.

La maturazione dello stile di Scriabin avvenne in pochi anni, e se nei primi Notturni è molto presente
l’influenza stilistica di Chopin e immediatamente riconoscibile quale grande cambiamento sia avvenuto
nel Poème-Nocturne, nel quale Scriabin non segnò nemmeno l’armatura di chiave, indicando così che la
tonalità era tutt’altro che definita. Alcune indicazioni agogiche in questo brano molto significative per
comprenderne lo spirito sono: “comme une ombre mouvante”, “comme un murmure confus”, “avec une volupté
dormant”, e poi, improvvisamente, “cristallin, perlé”, e di nuovo “comme en un rêve” e “avec une passion
naissante”. Queste indicazioni si ripresentano più volte, sottolineando la struttura a blocchi del Poème,
con repentini mutamenti espressivi; con questa struttura formale ci troviamo ben lontano dal notturno
romantico.

Milij Balakirev, fondò il cosiddetto “Gruppo dei Cinque” con l’intento di promuovere la musica russa e
affermare la validità dei soggetti di ispirazione nazionale, in opposizione alla musica tedesca, italiana,
francese e a chi appoggiava la creazione di uno stile europeo e cosmopolita. La Russia non possedeva
uno stile armonico proprio e il “Gruppo dei Cinque” si propose di ricreare una forma musicale

35
nazionale a partire dallo studio della musica popolare. Balakirev assunse Glinka a proprio modello di
riferimento, mentre prese le distanze da altri compositori connazionali come Scriabin e Rachmaninov75.

Notturno No. 2, batt. 1-5 e 7-9.


Già nelle prime battute Balakirev espone
apertamente il tema, senza alcun
accompagnamento o abbellimento, e lo
ripresenta in forme differenti.

Negli ultimi anni si dedicò a forme musicali convenzionali, scrivendo anche tre Notturni per pianoforte
(datati al 1898, 1901 e 1902), nei quali egli si interessò alla ricerca in campo armonico ed alle modalità di
evoluzione del materiale tematico; continuò ad utilizzare le sonorità derivate dal folklore popolare e
possiamo notare come ogni Notturno sia composto da sezioni anche molto eterogenee: è evidente la
volontà di esplorare ogni parametro musicale ed ogni possibilità della tastiera e del pedale:

Notturno No. 2, batt. 68, una delle ampie


figurazioni che si estendono nello spazio musicale di
questo brano, e che Balakirev non manca di
sviluppare (una forma embrionale di questo disegno è
già presente a batt. 6).

Notturno No. 3, batt. 3-4, proposizione del tema di cui si può


riconoscerne la derivazione dal folklore nazionale.

Sergej Rachmaninov compose Tre Notturni (1887-88) e un Notturno come primo movimento all’interno
dei 7 Morceaux de salon (1893-94, Op. 10). Nei Tre Notturni, pur trattandosi di opere giovanili, è richiesta
una grande abilità tecnica. Fin da questi primi lavori è riconoscibile la matrice nazionalistica, non solo
nella linea melodica o nello stile di armonizzazione, ma anche nel carattere molto accentato e ritmato di

75 RZHEVSKY 2012, p. 260.


36
certi passaggi; l’accompagnamento è spesso formato da figurazioni veloci o accordi molto ampi e densi,
ma allo stesso tempo agili; sezioni cantabili e dalla melodia appassionata si alternano ad altre zone
omoritmiche con accordi martellanti che si rincorrono in un ritmo di danza incalzante, mentre in altre
sezioni ancora gli accordi divengono gravi e lenti come in una solenne processione.

Notturno No. 1, batt. 1-4, 36-38,


58-59, 13-15, 85-87 e 108-109 nelle
quali si mostra la varietà rapsodica dello
stile di Rachmaninov; l’elemento comune
che lega le diverse sezioni è sempre il
fattore ritmico, risoluto e preciso.

Il materiale tematico è facilmente riconoscibile e viene sviluppato dal compositore a partire da una
modulo minimo; particolare è anche l’uso del cromatismo e delle cadenze con cui Rachmaninov si
allontanò dall’armonia tradizionale. Tale aspetto stilistico è sempre più evidente nelle opere della

37
maturità, ma già nei Notturni è ampiamente presente il germe del cambiamento. L’ampia eterogeneità di
questi Notturni sembra descrivere drammaticamente le diverse emozioni che si incontrano o si
scontrano nell’interiorità dell’autore.

Edvard Grieg è stato il maggiore compositore norvegese e venne presto assunto a emblema nazionale.
Come i grandi compositori russi, anche Grieg volle comporre per valorizzare il patrimonio culturale del
proprio paese, come è palese dalle caratteristiche melodiche, armoniche e formali delle sue
composizioni. Scrisse nel 1891 un Notturno per pianoforte, compreso nei Pezzi lirici (Op. 54 No. 4) e
contraddistinto da armonie fluide e non convenzionali, che lo avvicinano all’impressionismo di
Debussy e agli stilemi di Ravel. Egli non abbandonò la corrente tardo-romantica e nei suoi brani si
riscontrano anche le influenze dei suoi predecessori; insieme ad altri tre movimenti dei Pezzi lirici, il
Notturno venne riscritto da Grieg per orchestra; tale orchestrazione venne intitolata Suite lirica.

XII. Nel Novecento


Taladrado de estrellas Trafitto da stelle
y maduro de música, e maturo di musica,
¿dónde llevas, silencio, dove porti, silenzio,
tu dolor extrahumano, il tuo dolore extraumano,
dolor de estar cautivo dolor di esser prigioniero
en la araña melódica, nella ragnatela melodica,
ciego ya para siempre cieco per sempre
tu manantial sagrado? il tuo sacro fonte?

F. García Lorca, Elegía del silencio

Il XX secolo vide l’espansione della tendenza alla disgregazione armonica già mostratasi in molti autori
di fine secolo; tale tendenza non poté esimersi dall’influire anche sulla forma del notturno.
Erik Satie compose nel 1919 cinque Notturni per pianoforte solo, nei quali si mostra la sua maturità
compositiva e le personali conquiste nel campo del cromatismo. Tutti i Notturni sono affidati ad un
fluente 12/8 ed alla forma rondò; alla mano sinistra è data una linea melodica molto lirica, anche se
intervallata ad episodi molto energici e sonori, nei quali il registro si espande alle ottave più gravi. Il
nucleo primigenio dell’opera comprendeva i primi tre Notturni, in Re maggiore, mentre il quarto ed il
quinto furono aggiunti successivamente. Inoltre gli ultimi due brani si allontanano sensibilmente dal
nucleo originario per le scelte armoniche e formali. Satie lavorò a lungo e non senza difficoltà a questi
brani, cambiando più volte idea sul progetto da seguire. Spesso il travagliato processo compositivo di
Satie non conduceva ai risultati sperati e tale autocritica è evidente nei suoi quaderni, nei quali sono
annotate con precisione alcune idee musicali, come battute iniziali, linee melodiche, scelte intervallari,
38
che sono state poi abbandonate. Sempre nei suoi quaderni troviamo alcune annotazioni riguardo il
progetto compositivo che egli intendeva seguire: nel caso del secondo Notturno, sappiamo che egli volle
servirsi di precisi intervalli, come la seconda maggiore, la quarta e quinta perfetta ed i relativi intervalli
diminuiti ed aumentati, mentre vietava categoricamente a se stesso di utilizzare l’ottava. Il disegno
formale è semplice, come se Satie respingesse un progetto troppo ricercato o articolato: tale rifiuto della
complessità influisce sulla durata, assai limitata, di ogni Notturno. Molte sue scelte compositive si posero
inoltre in aperto contrasto rispetto alle correnti musicali accademiche, come l’assiduo utilizzo di quinte
e ottave parallele, oltre alle dissonanze 76. Anche dopo aver abbandonato la musica da cabaret, ossia
nelle sue ultime opere come i Notturni, si cela tale atteggiamento antiaccademico nelle sue scelte
compositive. Del resto, tra i tratti della personalità di Satie maggiormente ricordati dalla tradizione vi
sono proprio la sua indole provocatoria, la stravaganza e la tendenza ad essere tormentato da idee fisse.
Tuttavia nei Notturni non vi è più traccia dell’ironia delle opere giovanili; al suo posto si espande
un’inconsolabile sofferenza, forse dovuta alla solitudine in cui visse negli ultimi anni, e, come si è visto,
il processo compositivo diviene più metodico. Una delle cause di tale sviluppo stilistico potrebbe essere
stata la morte di Debussy, l’amico a cui era stato legato da un rapporto tormentato quanto
indistruttibile, paragonabile in parte ad un legame tra padre e figlio. L’amicizia che legò Satie al grande
compositore presenta ancora molti lati oscuri, ma sicuramente si influenzarono vicendevolmente ed
entrambi provarono un’implicita ammirazione l’uno per l’altro, sebbene gli atti eccentrici ed
esibizionistici di Satie sembrano provare l’esatto contrario77.

Anche Dmitrij Šostakovič contribuì ad espandere il repertorio di notturni, sebbene egli utilizzò questo
termine solo per alcuni movimenti all’interno di suite più ampie e dunque non autonomi: nella Suite per
due pianoforti (1922, Op. 6 No. 3), negli Aforismi (1927, Op. 13 No. 3), nell’Amleto (1932, Op. 32a No. 1),
nel Concerto per violino n. 1 (1947-48, Op. 77 No. 1), nelle musiche per il film Cinque giorni-cinque notti
(1960, Op. 111 No. 11) e nel Quartetto per archi n. 15 (1974. Op. 144 No. 4). Il Notturno dalla Suite per due
pianoforti è l’episodio lirico dell’opera, avvolto in un atmosfera nostalgica. Il tema delicato ed affettuoso
rievoca quello del primo movimento della Suite, di cui è l’inversione e trasposizione in Re maggiore. Il
tono del Notturno, leggero e tranquillo, si accende improvvisamente più di una volta, così che la
dinamica complessiva del brano si muove da un estremo all’altro, fino al ffff a battuta 5278. Il Notturno
contenuto negli Aforismi mostra un carattere decisamente diverso, profondamente instabile ed agitato: la
divisione delle battute e la tonalità non sono segnate, mentre il tempo fluttua e muta quattro volte,
indicato solamente dalla misura del metronomo, immagine della nuova libertà formale raggiunta, ma

76 ORLEDGE 1990, pp. 77, 194-195, 197.


77 Per ulteriori approfondimenti sull’amicizia tra Satie e Debussy si rimanda a LOCKSPEISER 1983, pp. 180-185 e ORLEDGE
1990, pp. 39-67.
78 MOSHEVICH 2004, p. 26.

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allo stesso tempo anche di una precisa e scrupolosa razionalità. L’espressionismo di questo Notturno,
non definibile come tale secondo i canoni “classici” ma nel quale è visibile l’influenza di altri
compositori come Hindemith, sembra impetuoso e fuori controllo; il range dinamico si amplia ancora di
più, dal p al ffff. 79

Notturno (Aforismi), in questi due estratti si mostrano


gli estremi del fattore dinamico; il fortissimo viene associato
all’accelerazione ed all’intensificazione ritmica, mentre il
piano accompagna i suoni nel diminuendo della fine del
brano, dove il tempo viene sospeso dalle corone.

Béla Bartók compose nel 1926 la suite All’aria aperta (Szabadban), che presenta come quarto movimento
un notturno, La musica della notte. Questo brano mostra alcuni caratteri totalmente nuovi rispetto ai
notturni fin qui presentati. Già ad una prima lettura dello spartito risulta evidente l’assenza di un tema
melodico, l’inesistenza di un sistema armonico tradizionale e l’abbondante uso di cluster, emblema per
eccellenza della musica atonale e sintomo del nuovo rilievo che in quegli anni inizia ad assumere
l’elemento gestuale. Ogni cluster è anticipato da tre note ornamentali; in questo modo ogni gruppo
dissonante è costruito “gradualmente” sul levare del movimento precedente, fino a raggiungere la
completezza sul tempo forte. Gli ampi arpeggi dei notturni romantici vengono concentrati da Bartók in
brevi elementi arpeggiati, che compaiono ripetutamente nei tre pentagrammi affidati al pianoforte. Il
brano, non più fondato sull’armonia tonale, procede tramite intensificazioni e trasformazioni di alcune
cellule del materiale iniziale. Se l’aspetto armonico di questo notturno si allontana dal passato, non è da
meno la struttura, la quale, non seguendo i canoni tradizionali, si appoggia alla simmetria che governa
molti parametri80. Nel terzo pentagramma il materiale viene trasformato a partire dal materiale della

79 Ibidem, pp. 54, 57.


80 SUSANNI 2005.
40
prima battuta: più specificamente, ogni cluster è fondato sul tetracordo e sull’intervallo di quarta
diminuita del cluster iniziale:

Inoltre le diverse cellule minime si combinano in moduli più ampi, i quali vengono giustapposti l’uno
all’altro e ripetuti: si crea così una fascia sonora dinamica. Lo stesso progetto viene seguito nella linea
melodica del secondo pentagramma, formata da minime che fanno da contrappunto ai cluster ed il cui
intervallo complessivo è una terza minore.
La musica della notte, battute
iniziali.

Si differenzia sensibilmente dai modelli fin qui descritti il primo pentagramma, dove Bartók sviluppa
una minima cellula, ossia il fa diesis iniziale, esplorando i parametri ritmici e spaziali: già alla quarta
battuta compare un si nella sesta ottava (mentre il fa era alla quarta ottava) e se si prende in esame il
brano nel suo insieme si può notare come l’ampiezza spaziale continui ad espandersi sia verso il registro
grave che verso l’acuto. Sempre nel primo rigo il parametro ritmico si evolve grazie alla trasformazione
di figurazioni minimali di bicordi ribattuti e grazie ad un “prestito” dal cluster, ossia grazie ad una
trasformazione del gruppo dell’abbellimento del terzo pentagramma, che diviene:

La prosecuzione di tale evoluzione trasformerà questo breve arpeggio in una figurazione ben più
strutturata e ampia:

e poi
L’inusuale tempo del brano, 3/2, viene alternato ad un 2/2 verso la fine della prima parte del notturno,
mentre nella sezione centrale si alternano 4/4, 5/4 e 3/4. In questa seconda parte il materiale tematico
subisce le maggiori trasformazioni: le due voci più esterne raddoppiano la medesima linea melodica,
chiara e minimale, nella cui prima manifestazione ritroviamo la quarta diminuita; viene raggiunto il
culmine dell’ampiezza di registro (quattro ottave) ed il culmine polifonico (9 voci); iniziano a

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ripresentarsi certe figurazioni primigenie, come i bicordi ribattuti ed il cluster ; quest’ultimo compare
nuovamente, ma nel secondo pentagramma e privo delle note di abbellimento:

Dopo tre battute di collegamento si apre una terza sezione, nella quale si può notare un’intensificazione
del parametro ritmico e della figura del cluster, posizionato in diversi registri e di cui viene diminuita la
durata a favore della funzione ritmica. Compare una nuova frase melodica, derivata dal ribattuto, che
viene in seguito trasformata e trasposta:

All’interno di questa sezione si compie un riavvicinamento alla tonalità, testimoniato dalla suddetta
frase melodica, dalla comparsa di un armatura di chiave (ma solo nel primo pentagramma) e dall’utilizzo
di tricordi consonanti. Il ritorno alla tonalità è tuttavia solamente un miraggio, poiché alcuni elementi,
primo fra tutti il cluster, oppongono una tenace resistenza. Il legame con le sezioni precedenti è
mantenuto anche grazie all’aspetto gestuale, per cui la mano è costretta a spostarsi repentinamente da
un registro all’altro della tastiera:

Si alternano prima 8/16, 5/16 e 6/16, poi si aggiungono 3/2, 3/8, 3/4, 5/4, 4/4, così da raggiungere
uno spettro molto ampio anche per il parametro del tempo e della divisione ritmica. Anche la linea
melodica della seconda sezione viene qui ripresa e variata:

Infine la labile armatura di chiave scompare ed il brano giunge all’ultima sezione, che funge da sintesi
del notturno nel suo complesso; infatti appaiono per l’ultima volta tutti gli elementi che hanno
caratterizzato questo brano, i quali tendono a convergere su un unico suono, il sol diesis. La
polarizzazione del sol chiude il brano, sebbene potrebbe sembrare che tale operazione non si compi

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perfettamente, a causa dell’ultima nota del secondo pentagramma, ossia un fa diesis, ricordo della
minima cellula iniziale, e a causa dell’ultimo cluster del terzo pentagramma.
Ciononostante, l’eco di questi suoni estranei permette di sottolineare ancor più energicamente
l’affermazione del sol, poiché esso è l’unico suono che si impone e riesce ad emergere proprio dalle
figurazioni sonore precedenti.

La musica della notte esprime perfettamente l’idea dell’apparente immobilità della notte, in un’atmosfera
ovattata quasi sempre in pianissimo. “Apparente” poiché basta osservare con attenzione per accorgersi
che ogni paesaggio o situazione notturna sia in realtà affollata dal brulicare di suoni eterogenei e da una
dinamicità lieve, ma mai assente; per questo la tensione del brano viene mantenuta fino all’ultima
battuta ed è difficilmente sciolta dall’eco degli ultimi armonici.

Il notturno fu un genere sperimentato da molti altri compositori oltre a quelli esaminati brevemente in
questa sede: Carl Czerny, Friedrich Kalkbrenner, Vincent d’Indy, César Franck, Georges Bizet, Arnold
Schoenberg, Francis Poulenc, Nicolai Medtner, Maurice Ravel, Paul Hindemith, John Cage, György
Ligeti, Darius Milhaud, Benjamin Britten, Karlheinz Stockhausen, Lennox Berkeley e moltissimi altri.
Come si è cercato di illustrare, chi in misura maggiore e chi in misura minore, tutti hanno concorso
all’evoluzione ed alla diffusione della notte in musica.

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