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“Sa Morte Secada” Avvoltoi, Sciamani e Circoli Megalitici

di Giorgio Lecchi
Continuiamo il nostro viaggio alla ricerca di simboli, luoghi e rituali che hanno caratteristiche peculiari e,
ipoteticamente, comuni nonostante la lontananza nel tempo e nello spazio. Nei precedenti articoli
(http://www.nurnet.net/blog/la-profezia-di-monte-daccoddi-1/ ; http://www.nurnet.net/blog/la-profezia-
di-monte-daccoddi-2/ ) abbiamo parlato di simboli tra cui i “cerchi magici” che sono presenti in luoghi di
culto o comunque sacri. Il nostro viaggio di oggi consiste nell’andare ad approfondire questi simboli cercare
di trovare delle similitudini e fare dei paralleli. Questo per poter comprendere quello che determinate
costruzioni hanno potuto significare per gli antichi e quello che trasmettono a noi, ai giorni nostri (FIGURA
1).

I cerchi potrebbero essere ben rappresentati anche dai circoli di pietra megalitici. Abbiamo visto, nel
precedente articolo, che questi hanno valenze magico-rituali, mettono in comunicazione il mondo dei vivi
col mondo dei morti, dimensioni diverse, in alcuni casi, sono simboli d’acqua, di morte e rinascita, in altri
astrali e calendariali, sono costruiti in luoghi naturali particolari, con caratteristiche paesaggistiche quali la
vicinanza a corsi d’acqua, a luoghi geograficamente marcati o percorsi da energie sotterranee, quali quelle
telluriche, magnetiche, cosmiche e acustiche.

Cercheremo di legare questi siti alle pratiche religiose che vi si sarebbero svolte, in modo da attribuire una
presunta vocazione cultuale, religiosa o di altra natura, tenendo sempre ben presente che, determinati
monumenti, come quelli che analizzeremo, sono degli spazi che, da un certo periodo, venivano
“cosmizzati”, come ben documentato dallo studioso Mircea Eliade, cioè spazi in cui, dal primo solco nel
terreno fino alla posa dell’ultimo mattone, era ripetuto il primo gesto creativo dell’universo, sacralizzato e
ritualizzato in uno spazio e in un tempo indefinito, in un ritorno ciclico all’atto primordiale che, forse, viene
cristallizzato cioè racchiuso in un luogo dove esorcizzare la paura della morte, una zona franca, in quanto
tale, ne era il simbolo più appropriato poiché richiama anche l’astro, la stella il pianeta immortale nel suo
incedere perenne.

Partiamo sempre dal sito per eccellenza, non solo per maestosità, ma perché da quel luogo sono arrivati dal
Paleolitico e ripartiti alcuni dei simboli e dei rituali che vennero poi tramandati nel neolitico anche europeo,
ne abbiamo diverse tracce nella penisola italiana in Sardegna, in Sicilia e, in alcuni casi, sono giunti fino ai
giorni nostri, forse, con valenze diverse.

Abbiamo parlato più volte del sito di Gobekli Tepe (GT), sul confine turco siriano, per cui entro subito nel
merito volendo approfondire un argomento legato a questi luoghi che è lo sciamanesimo, rituale presente,
probabilmente, già dal Paleolitico e che a Gobekli Tepe ha la sua consacrazione dal decimo millennio A.C.

Ovviamente, non avendo nessun dato scritto, non abbiamo nessuna certezza, a meno che non vogliamo
considerare i “geroglifici” presenti su alcune “Perdas Fittas” dagli occhi mediorientali una specie di scrittura,
vedi la simil H o I, il cerchio, la mezzaluna, ecc., di cui non abbiamo traduzioni non essendo, al momento,
ritenute lettere ma che, comunque, possono essere considerati geroglifici nel vero senso del termine cioè
Hieros( Gr. ἱερός = Sacro, glifos (da Gr. Γλύφειν = segnare, intagliare) (FIGURA 1).

Nel contempo, come è mia abitudine, per ottenere una migliore comprensione di quello di cui stiamo
trattando, ci addentreremo in paralleli, anche arditi, con altri monumenti e riti molto lontani tra loro sia
come datazione sia come luoghi.

I circoli di Gobekli sono posti su un’altura artificiale di circa 15mt di altezza a 800m sul livello del mare, un
luogo ora brullo. Questi cerchi vennero, misteriosamente, coperti e mai più riutilizzati intorno all’8000 A.C.
Quelli scavati sono i più antichi e sono l’A (che non ha forma circolare), il B, C e D ma ce ne sono molti altri
da recuperare con diversi pilastri a T da dissotterrare.

Volevo soffermarmi sul valore simbolico delle enormi pietre a T, finemente lavorate in un unico blocco,
pietre lisce, con angoli perfetti, in alcuni casi con braccia che si chiudono sull’ombelico, terminano con il
capo costituito dalla parte orizzontale della lastra, il volto assente( mi ricordano alcune statuette di dee
cicladiche anche sarde nonostante alcuni pilastri abbiano caratteristiche maschili), con altorilievi e
bassorilievi di notevole fattura lavorati nella dura pietra, molto più eleganti di quelle più famose, per il
momento, di Stonehenge, assai più grezze nonostante siano state erette migliaia di anni dopo (FIGURA 1).

Questi megaliti sono in parte inseriti nei muri fatti di pietre a secco, sono alti in genere intorno ai 4mt,
larghi mezzo mt, pesanti diverse tonnellate e guardano con il lato più corto verso il centro, come se
assistessero a un’assemblea o in ammirazione dei due più grandi pilastri centrali che potrebbero
rappresentare, secondo lo scopritore, antenati, demoni o divinità.

Ci sono fino a 14 pilastri all’interno di cerchi dal diametro di 10, 20 e più metri, di peso superiore alle dieci
tonnellate. Tutta la struttura è incassata all’interno di una collina interamente artificiale, le T sono inserite
in piedistalli scavati nella lastra basaltica su cui poggia l’intero sito, lastra completamente levigata.

Quale fu la motivazione di un’immane sforzo per erigere monumenti in un periodo dove non esisteva
ancora la stanzialità e la popolazione era costituita da raccoglitori-cacciatori?

E’ un mistero, anche perché per poter compiere quell’opera erano necessari scalpellini, capi-colonna,
progettisti, trasportatori in gran quantità, sistemi di logistica, ripartizione del lavoro, si sarebbero così creati
i presupposti per la caduta di una società egualitaria a favore di una gerarchizzata.

La motivazione, secondo Klaus Schmidt, sconvolge quello che l’archeologia ha detto fino a ora; questa
sembrerebbe soprattutto di natura religiosa, il sito che risulta essere solo un luogo di culto e non abitativo,
poi ha richiesto anche sedentarietà, ci sarà voluto diverso tempo per costruirlo, quindi è probabile che fu la
spinta decisiva per iniziare un certo tipo di agricoltura, di allevamento, i primi passi verso la rivoluzione
neolitica.
Tale teoria fu, in parte, supposta dallo studioso Jacques Cauvin che parlò già negli anni 90 di “movente
interno” e non di cause esterne (clima, malattie, meteoriti, ecc., teoria di Gordon Childe), come “cagione”
del passaggio dalla caccia e dalla raccolta all’agricoltura, cioè un cambiamento spirituale come arma per
poter differenziarsi dagli altri. Cambiamento spirituale dato dai vari culti officiati a livelli molto più ampi, tra
cui quello dei crani rimodellati, dalla complessa statuaria, dall’architettura e dai numerosi petroglifi, Cauvin
quindi parla di “rivoluzione simbolica” del Neolitico. Tutto quello scoperto, successivamente, gli darà
ragione, lui come Klaus Schmidt, furono derisi e presi per pazzi dall’Archeologia ufficiale.

In questi luoghi sono state trovate centinaia di ossa di animali tra cui volpi, gazzelle, leopardi, uri, serpenti,
cinghiali, asini selvatici, tartarughe, ragni, avvoltoi, gru e altre tipologie di uccelli. Non sono state ancora
segnalate ossa umane, a parte dei crani che hanno subito delle lavorazioni, a testimonianza di un culto
molto praticato anche in altri siti dell’epoca, come citato poco fa. Animali che sono scolpiti tramite basso e
altorilievi, la maggior parte sui pilastri. Cosa rappresentassero insieme ai pilastri stessi è difficile da dire, ma
uno sforzo tale non giustificherebbe la rappresentazione per uno scopo decorativo, qui c’è molto di più. Gli
animali avevano un ruolo insieme alle figure antropomorfe dei pilastri a T?

Avevano funzione apotropaica? Richiamavano miti ancestrali? Oppure partecipavano a rituali religiosi? Non
si sono rinvenute nel sito le famose statuine o rappresentazioni di dee madri come per le diverse città
neolitiche post preceramiche, a parte una (ma di epoca successiva ai primi cerchi) di cui parleremo
successivamente. Sicuramente non ci sono quelle con misure abbondanti simbolo di fertilità, cosa che porta
a pensare a un concetto opposto. Quindi siamo di fronte a un luogo di morte?

Abbiamo detto prima che sono state trovate numerose ossa di animali, forse servivano per rituali o per
libagioni, tutte le varie tipologie di fiere, qui rappresentate, sarebbero diventate sacre nelle civiltà a venire,
pensiamo ai serpenti, al toro o gli uri, di cui abbiamo qualche raffigurazione, le stesse stele a T, forse
richiamano anche questo, potrebbero far pensare a una divinità bifronte; l’azzardo è giustificato dal fatto
che una statua con due volti è stata trovata nelle vicinanze (statua rinvenuta nella località di Gaziantep).
Voglio azzardare ancora di più, si perché questi presunti dei bifronti e la schiera di alcuni animali scolpiti li
ritroveremo in Mesopotamia, in Egitto, in Sardegna e in Toscana, solo per citare i più rappresentativi,
millenni dopo. Sono forse questi di Gobekli i loro antenati? (FIGURA 2 e 3).

I pilastri di Gobekli li ritroviamo anche a Karahan Tepe (che deve essere ancora scavata) e Nevali Cori, un
sito di poco posteriore, siamo sempre nel neolitico preceramico, che presenta costruzioni civili con
incredibili soluzioni tecniche per l’epoca, come anche, del resto, nella vicina Cayouni (le famose case con
pianta a griglia, a celle, con fondazioni a canali, con pavimento a terrazza, solo per citare le tecniche più
sopraffini di 9000 anni A.C.). A differenza di Gobekli Tepe che viene ritenuto un luogo esclusivamente ad
uso cultuale-religioso, i pilastri sono più piccoli e inferiori di numero, sono stati trovati in un luogo costruito,
anche qui, con mura a secco di forma rettangolare( presente anche a GT), con un totale di 12 pilastri (come
in un cerchio già visto che io chiamo cerchio dello zodiaco sempre a GT) e con due centrali che si guardano
e formano una specie di porta rivolta a nord (forse verso la stella polare, la stella degli sciamani?).

Oltre ai pilastri sono state trovate delle statue (anche nella vicina Nevali Cori) di cui, alcune, vengono
ritenute dei totem formati da più figure che sono degli uccelli (avvoltoi) che avvinghiano delle teste di
uomini, c’è poi una statua, con fattezze di uccello, sono visibili le ali e il viso umano.
Continuando la carrellata di oggetti fortemente simbolici, abbiamo la statua di calcare e occhi di ossidiana
dell’uomo itifallico di Urfa, forse, rappresentante un antenato importante, sotto il collo si trova un curioso
disegno a V che richiama altri simboli a V trovati in successivi siti limitrofi e anche molto lontani come in
alcune Domus de Janas o su vasi della cultura di Ozieri. Inoltre sono presenti statue totem inquietanti
formate da tre parti in cui si vedono, in alto, un figura con il volto rovinato con fattezze non umane,
animalesche, che sembra partorire un essere ibrido sempre con il volto non identificabile da cui fuoriesce
una figura chiaramente umana. Sono sculture incredibili, mai viste prima, di difficile interpretazione
(FIGURA 2).

Alcuni rilievi del pilastro dell’avvoltoio, così chiamato per la presenza di questi volatili, presentano questi
volatili uno con le ali spiegate con vicino una specie di cerchio, che potrebbe rappresentare una testa, sotto
un uomo itifallico appunto privo di testa accanto a un uccello, forse una gru, dalle gambe umane che ha
portato Klaus Schmidt (lo scopritore del sito) a elaborare una teoria molto interessante. (Ne parleremo
diffusamente).

Questo mi permette di introdurre il tema principale dell’articolo cioè lo sciamanesimo e alcuni rituali ad
esso legati, come disse lo stesso archeologo appena citato” forse G.T. era un luogo dove avvenivano riti di
morte, in particolare riti scarnificatori come quelli che avvengono tuttora in India e in Iran.

Secondo la loro concezione, il corpo doveva essere ripulito per non contaminare i quattro sacri elementi:
acqua, fuoco, aria, terra, esponendolo alla “sepoltura al sole” sopra una roccia per essere ripulito dagli
avvoltoi, alcune razze particolari lasciano cadere sulle rocce sottostanti il corpo scarnificato per ridurlo in
vari pezzi, una volta ripulito il corpo, le ossa venivano riposte in tombe scavate nella roccia o tombe
megalitiche. In altri casi il rituale avveniva su torri dette del silenzio (Dakhmeh), dove ancor oggi in Iran e
India viene consumato il rituale su impalcature di legno e argilla alte da 10 a 30 metri, che sostengono una
piattaforma esposta ai venti. La piattaforma ha una circonferenza rialzata e inclinata verso l’interno, tre
cerchi concentrici talvolta suddivisi in celle e ha al suo centro un’apertura o un pozzo. Quello che rimane
della scarnificazione viene gettato dentro il pozzo fino a riempirle completamente. Qui i cadaveri vengono
disposti da speciali addetti, i Nāsāsālar (letteralmente, “coloro che si prendono cura di ciò che è impuro”),
gli unici che hanno la facoltà di toccare i morti: gli uomini vengono sistemati nel cerchio esterno, le donne
in quello mediano e i bambini in quello più interno.

Nel caso di G.T. i cadaveri sarebbero stati deposti sulle “panche” in pietra che corrono lungo il perimetro
dei cerchi, in alcuni ci sono 3 cerchi concentrici il rituale dovrebbe essere stato simile a quello prima
descritto, probabilmente, il mistero della mancanza del tetto potrebbe essere ricondotto a questa
spiegazione, in ogni caso quando si arriverà a scavare la base rocciosa del tempio di Gobekli potremo
sapere se ci sono ossa che hanno subito questo trattamento.

Simili rappresentazioni sono presenti anche a Catal Huyuk, dove sono dipinti sui muri all’interno di alcune
case, avvoltoi che, su una torre, si stanno occupando di corpi umani in attesa di essere gettati a terra, vicino
ci sono altri avvoltoi con sembianze umane, con accanto una testa separata dal corpo. Presentano anche
delle specie di uova all’interno dei loro corpi contenenti forse l’anima degli scarnificati. Qui come in altri siti
neolitici vi era l’abitudine di seppellire i morti o quello che ne rimaneva sotto il pavimento delle case. Forse
case -santuario dove è stato scoperto di recente che non era pratica abituale ma veniva effettuata solo su
alcune persone, forse personaggi importanti o rappresentativi di qualcosa (FIGURA 2).

Altro esempio di rito scarnificatorio e di torre del silenzio ante litteram è quella di Gerico (città dell’attuale
Cisgiordania). Questa enigmatica struttura chiamata “torre” di Gerico è ancora oggetto di studi (F IGURA 2).

La costruzione in pietra massiccia, sembrerebbe, dagli ultimi studi effettuati, essere utilizzata per riti
cultuali. Dalla piccola apertura sulla parte superiore della torre, si accede ad una scala che conduce ad un
ambiente ipogeo. Le popolazioni erano costituite da cacciatori-raccoglitori che praticavano riti sacri tra cui
quello scarnificatorio. La scala che sale rappresenta l’ascesa verso il cielo e riporta ai voli simbolici degli
sciamani. E’ possibile, quindi, che i primi abitanti di Gerico abbiano riprodotto una costruzione con una
camera ipogea per celebrare i loro riti sacri.

Di questi trisavoli dei nuraghi, ancora più antiche, in Siria, sono le 5 torri di Tell Qaramel (9.650 A.C.), dal
diametro di 6 mt e spessore di ,1,5 mt, ritenute luogo di rifugio o di rituali dove sono state rinvenute ossa di
uccelli e avvoltoi alcune ricoperte di ocra rossa.

Questo è anche il caso di siti come Jerf el Ahmar in cui si trova un cerchio simile a quello di GT e glifi con
scolpiti un avvoltoio, somigliante a quelli di Catal H., serpenti con testa a fungo come le teste dei serpenti e
la dea di GT e come diverse dee egeo anatoliche sparse per il Mediterraneo (FIGURA 3).

Ora facciamo un salto spazio temporale e parliamo di un luogo lontano da quelli visti finora ma a noi vicino,
siamo nel neolitico sardo la zona è quella di Ittiri, l’avvoltoio sempre il protagonista indiscusso. Faccio anche
una premessa che vale per tutti i luoghi che visiteremo o abbiamo visitato riportando le parole
dell’archeologo che ha studiato questo sito, Giacobbe Manca:

“La stessa archeologia trae ampia parte della “linfa” culturale proprio dall’indagine sugli esiti della morte,
nei cui monumenti parrebbe proprio – in buona misura -, sintetizzarsi quei contenuti distintivi e connotativi
del grado culturale di un popolo (FIGURA 7).

Dobbiamo credere che i riti funerari della preistoria siano stati, nella loro più intima essenza umana, non
molto dissimili dall’attuale folklore nel mondo, e solo da essi possiamo trarre le suggestioni di quelli che
dovettero essere i diversissimi culti – che inevitabilmente ci sfuggono -, anche se ai nostri occhi moderni
essi acquistano un “sapore” tanto pungente e lontano da spingere il nostro orgoglio a rifiutarci di accoglierli
quale parte del nostro passato più remoto. Ci si rifiuta, ad esempio, di accogliere anche la sola idea che i
nostri diretti antenati praticassero il sacrificio umano e il connesso cannibalismo, ancorché spinto da
precise esigenze pratiche e/o rituali. Eppure, in questa direzione paiono ineludibilmente portare moltissime
delle risultanze archeologiche provenienti dalle sepolture europee, a principiare almeno dal paleolitico
superiore”.
L’archeologo poi continua dicendo quanto sia difficile il percorso che lo studioso deve intraprendere vista la
mancanza di fonti scritte dirette o la presenza di fonti cui far riferimento ma troppo lontane dai reperti
studiati, quindi molte volte si può facilmente ed inevitabilmente cadere nella “fabula”.

La Sardegna era, non abbiamo certezze in merito, terra ricca di avvoltoi, il gipeto, il monaco il grifone (forse
come quello rappresentato sui pilastri di G.T.). E’ un animale necrofago (dal greco νεκρός=morto e
φαγεῖν=mangiare), si nutre di carcasse, alcuni di ossa, altri di piccoli animali, riduce il rischio di infezioni
dovute alla putrefazione delle carogne, con la sua opera di pulizia (FIGURA 1).

Dagli albori del tempo questo animale è stato ritenuto sacro e importante nei riti funebri perché con il suo
“lavoro” purificava l’anima liberandola dal peso del corpo corruttore del luogo inviolabile, per cui libera dal
fardello, poteva essere trasportata dall’animale psicopompo verso le stelle, forse la stella polare, ritenuta
dagli sciamani casa delle anime, il così detto rito della sepoltura celeste, in uso anche più tardi in diversi
paesi. Come dice la studiosa Gabriella Brusa Zappellini l’avvoltoio è stato il primo vero sacerdote
dell’umanità con quel suo moto rotatorio segnala il cibo e quindi la morte, con una danza curiosa, agitando
il becco, porta il morto in cielo dando inizio a un nuovo ciclo, tra l’altro questo ricordo ancestrale può aver
addirittura influito sulla creazione di un simbolo molto conosciuto: la svastica.

L’usanza del rito è probabile che sia stata tramandata anche nei periodi successivi al neolitico. In ogni caso
qualche antecedente lo abbiamo nel Natufiano per passare al Prepottery A/B con GT, Jerf El Ahmar e Nevali
Cori dove scene che accomunano quasi sempre gli avvoltoi al corpo umano privo di testa e al culto del
cranio, che, come vedremo, prenderà piede dall’8200 al 7000 a.C., durante il PPNB medio e recente
soprattutto nel levante e in Siria, da Gerico a AIn Ghazal, da Kfar Hahoresh a Tell Ramad e a Tell Aswad.

Sono presenti in Egitto predinastico e in Sumer, delle tavolette o stele dette” stele degli avvoltoi” (2.470
A.C. quella di Sumer) che rappresentano scene di battaglia, quella predinastica è forse la più antica scena di
battaglia, dove sono raffigurate vittime con fattezze semite o camite che vengono dilaniate da avvoltoi e da
altri animali.

Nella seconda vi è la celebrazione della vittoria di Lagash sulla vicina Umma, sono rappresentati il re
Eannatum con i suoi soldati e sotto gli sconfitti con gli avvoltoi in procinto di portare via teste e braccia,
inoltre compare il demone Imdugud con le ali aperte. Il dio Ningirsu-Ninurta (che in alcune stele viene
ritratto con in mano una specie di doppio tridente o fulmine che ricorda il tridente di Jerf al Ahmar o i
capovolti di Laconi), è rappresentato con in mano un avvoltoio e stringe una grande rete piena di prigionieri
nudi. Queste stele sembrano legare certe associazioni con altre figure per cui nulla ci vieta di pensare a
eredità molto più in là nel tempo (FIGURA 3 e 6).

Molti autori antichi parlano degli avvoltoi come esseri femminili che partorivano per partenogenesi, cioè
per riproduzione asessuata, aiutati da varie divinità del vento, mi vengono in mente le dee madri neolitiche
e altre dee uccello (oltre alla Vergine Maria). Quale sia, sempre che ci sia stato, il passaggio dall’avvoltoio,
animale totemico accompagnatore di anime, alla divinità femminile che toglie e dà la vita è difficile dire. Un
testo protocristiano” Phisiologus” sostiene che l’avvoltoio, se gravido, vola in India a prendere “la pietra del
parto”. Questa è cava e ha al suo interno un cuore di pietra che crepita; quando la femmina ha le doglie,
prende la pietra, vi si siede e partorisce senza sofferenza.
Questa partenogenesi avveniva grazie a specifici venti creati da un dio come nella Antica Roma, (anche per i
romani avere gli avvoltoi che li seguissero in battaglia era pratica diffusa) di nome Vulturnus dio del vento
di Sud-est.

In latino vultur è l’avvoltoio, la radice vol/vel e tur sono radici antiche che arrivano dalla mesopotamia,
secondo l’eminente linguista Giovanni Semerano. Altra interpretazione è che derivasse dal monte Vultur
vicino Venosa dove nidificavano all’interno del cono vulcanico essendo ricco di vegetazione.

Vulturnus è divinità con diverse accezioni, dio dei venti malefici per i romani, divinità, secondo Kurt Latte,
che deriva dall’etrusca Verthune, che poi sarebbe Voltumna-Vertunna o Jana Vertunna, assimilabile a
Norzia (dall’accadico=river, acque fecondatrici) dea del tempo, della fecondità che ogni anno batte con un
martello il chiodo sul muro del tempio per sancire la fine dell’anno passato. Ricorda un po le sacerdotesse
accabadoras che, con un colpo di mazzetta, mettevano fine a una vita, quindi segnavano la chiusura di un
tempo, di un ciclo di vita nell’antica Sardegna o le tre parche, tra cui Atropo che, in uno specchio etrusco è
rappresentata con un martello in mano (FIGURA 3).

Norzia era moglie di Iano Vertunno ovvero Giano bifronte che deriva, a sua volta, da Culsans, entrambe
divinità dei solstizi d’inverno e d’estate, custodi delle porte che guardano da una parte al mondo dei morti
dall’altra a quella dei vivi, un simbolo di morte e rinascita come lo è il nostro avvoltoio, come lo sono forse i
pilastri di Gobekli con la testa che ricorda un Giano bifronte ante litteram oppure come le statuette
neolitiche con due teste di Ain Ghazal e Cayouni fino ad arrivare al Marduk Babilonese e ad esseri bi e
quadrifronti di diversi sigilli mesopotamici (FIGURA 2,3,4,5).

I nostri avvoltoi sono sempre ben presenti ancora in ambito greco ed etrusco con i demoni Εὐρυνόμη
Eurinome Figlia di Oceano e Teti, madre delle Cariti (Hes. Theog. 358; 907).), sinistro demone blu sedeva
sulle spoglie di un avvoltoio che divorava i cadaveri sepolti nella terra lasciandone solo le ossa (Pausan. 10,
o come l’etrusco Tuchulca dall’accadico uklu=buio), dal volto di avvoltoio e con in mano dei serpenti, e
concludiamo con Charun che, come le accabadoras, metteva fine alle vita con un martello. Figure simili che
si intrecciano fin dalla notte dei tempi (FIGURA 4 e 5).

Ci siamo fatti prender la mano ma torniamo a Ittiri e all’archeologo Giacobbe Manca che ci guiderà nel sito
molto particolare dove è presente a 450mt sul livello del mare, su una collina che domina il paesaggio
circostante, un recinto megalitico incredibile per quello che dovrebbe aver rappresentato nell’eneolitico
sardo ma forse ancora più antico. La zona è ricca di evidenze archeologiche che vanno dalle tombe di
Giganti alle Domus fino ai nuraghe. Caratteristica che troviamo in alcune altre zone della Sardegna.

Ma quello che invece non troviamo comunemente in questi luoghi è proprio questo teatro naturale
costituito da megaliti disposti a semicerchio di 10 mt circa in modo che ci fosse maggior visibilità per i
partecipanti al rituale o per mancanza delle pietre che una volta avrebbero potuto formare un cerchio, un
luogo di aggregazione che avrebbe potuto portare genti da varie parti dell’isola (FIGURA 6).
Ma lasciamo descrivere il luogo direttamente all’archeologo:” Si tratta di un singolare recinto costituito da
otto grossi blocchi megaliti di dimensioni varie e forma irregolarmente parallelepipeda, ora tendenti allo
sviluppo verticale, ora a robuste lastre, tutti (quelli residui) disposti assai appressati, come ortostati e di
coltello; sono posizionati ad arte, come a realizzare un’area appartata, riservata e nascosta alla vista, in
forma di capiente semicerchio con circa 9/10 metri di diametro. La superficie così racchiusa mostra la nuda
roccia, priva della cotica erbosa, di un alto gradone calcareo, che brusco si affaccia sulla china e su un vasto
e incantevole panorama determinato dal susseguirsi di valli profonde e di altrettanti pianori, sui quali
sorgono, distanti nello scenario, gli abitati di Uri, Tissi, Ossi e quindi Sassari e Porto Torres.

I grandi blocchi calcarei, come detto, sono strettamente affiancati, salvo nel tratto occidentale, dove è
lasciata ad arte un’apertura poco larga, quasi un ingresso appena sufficiente, mentre intorno a Sud è una
seconda apertura dovuta, però, alla rimozione di uno dei blocchi, spinto all’interno dello spazio. Un terzo,
ampio varco è anche nella parte orientale, ma anche in questo caso non si può intendere come spazio
d’accesso, quanto piuttosto come un vuoto dovuto all’assenza di alcuni blocchi megalitici – certo per
antiche asportazioni -, apparentemente proiettati nella china.

Nello spazio curvilineo interno, verso Sud, dove svetta il blocco più alto, come fosse un segnacolo
emergente, trova spazio una sorta di nicchia semi rettangolare, quasi ad ottenere un angolo ancora più
riservato; in quei pressi è al suolo quanto sopravvive di una lastra. É bene dire subito che questo
monumento, mai descritto in passato, per forma e struttura non trova, ad oggi, corrispondenze con altri
simili nell’Isola, né appare chiara quale potesse essere la sua funzione originaria. Muto per la letteratura
archeologica, si configura come un poderoso recinto ma, per la sua stessa natura megalitica, per
l’estensione relativamente contenuta e per la posizione all’estremo margine del pianoro, non può certo
essere definito un chiuso per animali, né – tanto meno -, un’abitazione per persone.

Volendo procedere per approssimazione e per esclusione, date le caratteristiche formali e costruttive,
questo silenzioso edificio potrebbe essere un singolare luogo di culto rivolto a divinità del Nord (com’era
aggettivato, ad esempio il fenicio Bahal Saphon!), un recinto nell’ambito del quale si potevano ricavare
linee di orientamento astronomico, magari con valore calendariale: ma tutto questo non appare proprio
convincente, né si hanno elementi concreti per dirlo. La stessa scelta del luogo non depone proprio per un
osservatorio astronomico, che meglio poteva trovare senso, se proprio si volesse, al culmine del rialzo, con
diverso orizzonte sui quadranti luminosi e non al limitare più basso della collina, esposto al rigore del Nord
(e sempre ammesso che allora se ne avesse la necessità)”.

Qual è la funzione di questo sito? Avevo accennato in precedenti articoli, la teoria di questo studioso Sardo
che interpreta questo monumento come torre del silenzio dove i cadaveri venivano appesi sulle enormi
pietre ed esposti alle intemperie e alla scarnificazione degli avvoltoi, altri pensano che siano solo lapidi, io
ritengo invece che le ossa che venivano raggruppate in questo sito, andavano a finire anche nelle Domus de
Janas, che sono presenti nella zona come le Domus di Sa Figu, c’è ne sono di epoche diverse pluricellulari
con ambiente centrale e locali laterali più piccoli con pianta a croce, modificate nel tempo fino ad arrivare a
quelle più recenti a prospetto architettonico
Le più antiche domus danno l’impressione di essere molto simili a luoghi sotterranei già visti in Toscana
nella Tuscia e, in parte, vicino alle città della Cappadocia come Neveshir, Derinkuyu, Goreme. Queste tombe
sembrerebbero molto adatte a sepolture secondarie e probabilmente lo furono, vista la vicinanza al cerchio
megalitico dove si sarebbero celebrati riti sciamanici, forse anche nelle stesse domus. Qui inoltre trovarono
il suonatore di luneddass itifallico che mi ricorda vagamente alcune statue dello stesso genere di G.T e di
altri siti neolitici (FIGURA 7).

Anche secondo l’archeologo i monumenti circostanti in particolare domus e tombe dei giganti servivano per
deposizioni secondarie, ammettendo tra l’altro che le sepolture che più sono utilizzate dal neolitico in poi
nell’isola non sono quelle a inumazione, come viene riferito, a torto, in molti studi ma quelle di deposizione
delle ossa o quello che rimaneva dopo il lauto pasto dei nostri sacerdoti alati, tra l’altro ci sono specie che
mangiano anche le ossa più piccole e fanno cadere dall’alto lo scheletro per poter frammentare il tutto e
ottenere più cibo. La testa forse veniva separata prima dal corpo e scarnificata, con altri metodi, per poi
essere conservata come reliquia e utilizzata per una sorta di culto degli antenati.

Ci viene incontro a sostegno di ciò, un importante archeologa del secolo scorso, la Ferrarese Ceruti riguardo
uno scavo presso una domus de janas complessa nel Sassarese, così si esprime:” Il rito funebre
documentato nella tomba XVI della necropoli Su Crucifissu Mannu è costituito dall’inumazione secondaria
di parti di scheletri (resti cranici, ossa lunghe, ecc.) deposto in cumuli di pietre sulla sommità dei quali si
trovava il resto cranico e che questo rito è da mettersi in relazione alla cultura di Bonnanaro”. Ritrovamenti
simili sono attestati ad Alghero località Abbiu, a M.D’Accoddi e in altri luoghi della Sardegna.

Ad avvalorare questa tesi, oltre a questi monumenti, è anche il fatto che il rito avviene ancora oggi nel
centro della città indiana di Bombay e praticato dai Parsi, discendenti degli antichi Persiani, che non sono
degli aborigeni di una sperduta tribù, ma i produttori di auto più importanti dell’India, hanno un
grandissimo parco e all’interno una torre del silenzio con più di un centinaio di avvoltoi, numero necessario
per portare a termine, velocemente, questa pratica.

Rimaniamo nei dintorni di Ittiri dove abbiamo un’altra Domus interessante quella di Musellos, qui apro una
breve parentesi su dei luoghi molto particolari, non circolari come la gran parte di quelli che analizzeremo
ma che potrebbero avere le stesse funzioni. La particolarità è che sono presenti, all’esterno della tomba,
nel primo caso, scale scavate nella pietra simili alle scale rupestri di Yelpin in Armenia, a quelle del Masso
del diavolo di Pietramarina in Sicilia o alle scale della grotta delle 12 nicchie di Vallerano presente in Tuscia.
Queste portano a uno spiazzo superiore dove, ipoteticamente, potevano avvenire rituali di scarnificazione e
osservazioni astronomiche ma sarebbero ricerche da approfondire, visto che la questione non penso sia
ancora stata posta (FIGURA 8).

Giacobbe Manca ritiene che il cerchio megalitico di Ittiri sia unico, come del resto anche altri già visti in
precedenza ma qualche parallelo è possibile farlo. Pur con differenze strutturali ma con un’attinenza alla
specifica funzione, ci sono altri due cerchi megalitici in zona costituiti da diversi blocchi e lastre ortostate,
nell’area nord di Noddule , in zona Nuoro nelle vicinanze ci sono monumenti che risalgono al nuragico fino
al Neolitico, l’impianto della struttura vista la disposizione richiama un uso essenzialmente funerario o
cultuale, non di capanne ad uso abitativo o recinto di animali, si può anche escludere la copertura superiore
come dolmen (FIGURA 7).

L’altro monumento costituito da due recinti di semplici blocchi, quello di Punta Presa Lasinosa ha delle
similitudini calzanti, è ritenuto anch’esso “torre silenziosa”. La posizione è in cima a un rilievo roccioso
sempre ventilato a ridosso del famoso scivolo della fertilità. Secondo Manca i riti di fertilità e di morte qui
accostati non danno solo vantaggi materiali ma rimandano a profonde motivazioni psicologiche e spirituali
che vanno dalla necessità di procreare a quella di esorcizzare il male e la paura della corporeità (inclusa la
paura per l’errare delle anime) “ma anche quello di ricondurre la sanità del gruppo sociale, rinsaldandolo,
con le risorse e le prerogative degli antenati”.

Figura 1a. Avvoltoio

Figura 1b. Maimone costume barbaricino

Figura 1c. Pilastro di GT con “geroglifici”e mani sull’ombelico,

Figura 1d. Pilastro con tori e la statua piu’antica del mondo

Figura 1e. Pilastro di GT con animali capovolti

Figura 2a.

Figura 2b. Statua bifronte Gaziantep pag.5, paragonabile a Giano

Figura 2c. Torre di Gerico utilizzata per riti scarnificatori

Figura 2d. Pitture di Catal Huyuk con rito scarnificatorio e “capovolto”

Figura 3a. Cerchio megalitico JERF-EL-AHMAR Sito Siriano

Figura 3b. Statue di AIN GHAZAL, a doppia testa che richiamano mito di Giano e divinita’ bifacciali
mesopotamiche (3c) e sarde (3d)

Figura 3e. Paletta degli Avvoltoi Egitto predinastico.

Figura 4. Dio Etrusco Tuculka, mezzo uomo e mezzo avvoltoio

Figura 5. Acabbadora, Specchio etrusco con le tre Ninfe, tra cui Atropo con un martello in mano

Figura 6. Cerchio megalitico di Ittiri

Figura 7. Città sotterranea Cappadocia

Figura 8. Ittiri, Domus sa Musellos

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