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Sa Morte Secada- Avvoltoi, Sciamani e Circoli

Megalitici.
IV parte
di Giorgio Lecchi

CIRCOLO MEGALITICO DI ITTIRI “SA FIGU” (SARDEGNA)

CIRCOLO MEGALITICO POGGIO ROTA (TOSCANA)


Ritorniamo, per un attimo, all’omphalos che segnala anche un luogo sacro, un luogo dove
convergono le genti che provengono da varie parti o anche centro di aggregazione che Klaus
Schmidt ha descritto come anfizionia, cioè luogo abitato nei d’intorni di una zona sacra, definizione
utilizzata per l’antica Grecia per siti come Delfi dove il centro aggregativo era il tempio di Apollo,
ma questo venne esteso anche per centri Sumeri, Filistei ed Ebrei. L’anfizionia è un centro
organizzativo di culto ma assolve anche compiti di tipo militare e sociale. L’archeologo si è chiesto
se Gobekli Tepe possa essere stata un’anfizionia dell’età della pietra, io mi farei la stessa domanda
per aree come monte d’Accoddi, dove è presente addirittura un simbolo importante cioè l’uovo,
come Ittiri ed altre zone che visiteremo.

Un’altra ipotesi molto interessante è quella inerente al fatto che nella mitologia sumera vi era un
luogo ritenuto estremamente sacro, situato tra i monti Zagros e la catena del Tauro di nome Du.ku,
la montagna sacra. Secondo la tradizione qui furono inventati elementi vitali per lo sviluppo della
civiltà come l’agricoltura, l’allevamento e la tessitura, erano adorate delle divinità senza nome
chiamate Annunaki, se mettiamo insieme questi elementi, dice sempre Schmidt, cioè
un’antichissima regione agricola, una montagna sacra, dei senza nome e li mettiamo in relazione
con i pilastri stilizzati riuniti in cerchio in posizione preminente, non potrebbe esserci dietro il sito
di Gobekli Tepe il monte Du.ku e dietro i pilastri antropomorfi gli dei Annunaki? Sono passati
millenni da allora e anche se più di recente dall’inizio della Civiltà Sumera così come da quella
sarda ma è possibile che con le migrazioni neolitiche qualcosa di questi elementi analizzati si sia
irradiato in varie zone almeno come simbolo? Io penso che la zona di origine d tutto ciò, l’alta
Mesopotamia, abbia irradiato insieme ai movimenti di uomini con animali e vegetali delle prime
migrazioni neolitiche, facilitati da un territorio quale l’Anatolia privo di barriere naturali, eredità
cultuali e culturali portate in Europa attraverso un bacino, il mediterraneo, che deve essere visto non
come un ostacolo ma come elemento unificante.

SIGILLO SUMERO CON MONTAGNA A DUE CIME, ORIGINE MITICA DEGLI DEI SUMERI: DU.KU.

Rimaniamo ancora sul tema cerchi megalitici, in questi casi non sappiamo con certezza se ci furono
rituali scarnificatori anche se il luogo porta a pensarlo, sto parlando di Carahunge e Metsamor siti
Armeni che sono distanti da GT ma ancor di più dalla Sardegna. Vedremo che anche qui non siamo
poi così lontani come si potrebbe pensare.

Questa è una zona ricca di ossidiana specialmente presso il lago di Van, sappiamo che a Gobekli
Tepe l’ossidiana arrivava da diverse parti anche distanti parecchi km, in ogni caso, anche dopo la
scomparsa di questo luogo, questa zona, probabilmente, fu sotto l’influsso di culture come quella di
Halaf e Ubaid per il controllo del minerale (6000/4000 A.C.). Quindi ci sono stati contatti in diverse
epoche.

Circolo di di Carahunge

Tra le montagne dell’attuale Armenia, sorge il sito megalitico di Carahunge (da “cara”, pietra e
“hunge”, voce, suono). Il luogo è ritenuto una necropoli ed è stato datato da un’equipe di Monaco di
Baviera tra il bronzo intermedio e il l ferro, alcuni studiosi però lo datano al 5.500 A.C. Le zone
circostanti portano a pensare a un sito molto antico, basti pensare alla vicina Metsamor presente dal
neolitico e città fiorente fino al periodo della civiltà di Urartu. Abbiamo parlato di anfizionie e
questo era un centro oracolare in cui si praticavano riti dedicati agli Dei. Dove sacerdotesse davano
responsi, erano guaritrici, mettevano in contatto con le anime dei morti, diciamo le nipoti delle o
degli sciamani. Come simboli dei centri oracolari vi erano delle piante e delle pietre ovali o coniche
in genere associate a serpenti o intessuti da ragnatele di serpenti, come abbiamo già visto in altri
luoghi tra cui Etruria, Grecia, per citare i più recenti fino ad arrivare alla Sardegna, Egitto, Sumer e
anche nella stessa Gobekli Tepe.

Queste pietre come abbiamo già visto sono dette omphalos cioè pietre ombelico per cui questi centri
erano detti ombelico del mondo. In genere erano posti su alture, vette gemellari facilmente
individuabili come appunto il monte Ararat dove si trova Metsamor (zona tra l’altro vulcanica). Gli
antichi erano a conoscenza della cosiddetta” geografia sacra” e costruivano anche su particolari
punti detti “geodetici” “cioè servivano a marcare punti della Terra con conosciuta latitudine e
longitudine oltre al fatto che erano catalizzatori e convogliatori di forze telluriche, di energie
magnetiche e cosmiche utilizzati per scopi terapeutici o rituali, oltre a essere, in alcuni casi vicini, a
zone ricche di ossidiana e di altri metalli.

Altri simboli erano due uccelli, in genere piccioni o colombe, che probabilmente servivano per
mettere in comunicazione i vari centri oracolari. Oltretutto in questo sito è presente una muraglia
ciclopica del secondo millennio A.C., una delle più antiche fonderie di metalli e uno dei più antichi
osservatori astronomici che precede quelli babilonesi di ben 2000 anni. Contiene il primo esempio
documentato della divisione dell’anno in dodici parti. Questo quindi dimostra la vocazione del
territorio per queste tipologie di monumenti che lo accomuna anche a Carahunge dove alcuni
studiosi ritengono che ci siano legami tra il complesso monumentale armeno e Stonehenge, datato
al III millennio a.C. L’onfalo, secondo il mito è anche la pietra vomitata da Crono-Saturno, fatta
ingoiare dalla moglie Gea per evitare che venisse mangiato il figlio Zeus che avrebbe usurpato il
trono del marito; pietra che arrivò a Delfi.
Il Prof. Heoruni pensa che Metsamor sia un osservatorio astronomico: Il sito si presenta con
numerose pietre basaltiche di cui 84 su 223 presentano dei fori ben levigati circolari simili a quelli
visti a Gobekli Tepe anche se in alcuni casi molto più piccoli. Secondo la sua teoria, poco
accreditata dall’accademia, sembra che tali fori siano puntati su solstizi ed Equinozi. L’allineamento
delle pietre corrisponde alla costellazione del Cigno, in cui alcuni popoli scorsero, però, un
avvoltoio.

Ma il sito l’ho considerato in virtù del fatto che sembra simile a quello di Ittiri e con funzioni non
solo astronomiche ma appunto rituali come quello scarnificatorio.

Se aggiungiamo il fatto che la forma del sito ricorda un avvoltoio e che ci sono numerosi reperti del
vicino museo di Yerevan che vanno dal Paleolitico all’età medievale, in particolare, anfore
finemente decorate con triangoli o v, clessidre, spirali, serpenti, rane, avvoltoi, musi di ariete e di
toro, tutto ciò porta in questa direzione.

Ora come nostra abitudine con un volo pindarico passiamo in Sardegna e andiamo ad approfondire
alcuni concetti di sciamanesimo e rito di scarnificazione legati sempre a luoghi esistenti e che si
possono toccare con mano.

Siamo stati a Ittiri, ora passiamo ai cerchi megalitici di Arzachena studiati anche dal Lilliu o da chi
per lui.

Nel contempo vorrei citare alcuni passi di Dolores Turchi tratti da “tracce di sepolture secondarie
nei sinodi del XVI secolo”.

La studiosa parla di tombe di giganti come sepolture secondarie dei defunti data la difficoltà nel
togliere le lastre di copertura e le piccole dimensioni del portello della stele che creerebbe difficoltà
nel passaggio dei corpi che necessitavano, in ogni caso, che venissero, prima della deposizione,
scarnificati.

In merito a questo viene citato il prof. Cleto Corrain, massimo studioso dei sinodi diocesani (in
questo caso di quelli di Sardegna, Sicilia e Corsica) che insieme al collega Pierluigi Zampini espone
ciò:” Chiudiamo con la più sconcertante informazione sinodale in merito alle tradizioni funebri. Si
tratta di una chiara documentazione del rito della doppia sepoltura: le ossa dissepolte vengono
liberate con ogni mezzo delle parti non ancora decomposte per essere riseppellite definitivamente”.

Notizia sconcertante che i due studiosi così riportano:” E’ proibito estrarre I cadaveri dei fedeli
delle sepolture, spogliarli delle loro vesti e sventrarli, ridurli in pezzi e spesso esporli al fuoco per la
cottura immerse in acqua”. Questo si afferma nel sinodo di Messina del 1588. Prescrizioni che
riguardano anche altre pratiche comuni in questi paesi tra cui impiego di prefiche, lamenti funebri
con capelli strappati, graffi sul volto, culto delle anime dei decollate, scongiuri e altre pratiche. Cose
che venivano fatte di nascosto per non incorrere in scomuniche o pesanti pene. La stessa Dolores
Turchi poi parla di pratica che ha origine nel periodo neolitico e cita Catal Huyuk con i sui dipinti di
cui abbiamo ampiamente parlato, anche secondo lei potrebbe, molto probabilmente, esserci un filo
rosso che da quelle terre, dopo le migrazioni neolitiche, sia arrivato in Sardegna, come già esposto
precedentemente.

TESCHI RIMODELLATI DI TELL ASWAD SIRIA

Parla anche di una pratica diffusa in Sardegna ancora nel secolo scorso che è quella del culto dei
crani, abbiamo visto tale pratica a Gobekli Tepe, Nevali Cori, Gerico, tra le più interessanti a
Cayouni, dove un’intera sala prima ovale e in seguito quadrangolare era adibita a questo rito
chiamata “the skull building “edificio dei crani” proprio perché sono stati individuati una quantità di
ossa tra cui diversi crani di circa 400-500 persone contenute in piccole celle a forma di cassa. Nella
sala principale era presente una grande pietra simile ad un altare e al di fuori del locale vi erano
diversi menhir che circondavano la zona aperta adiacente.

POGGIO ROTA CIRCOLO MEGALITICO IN TOSCANA

In alcuni casi il cranio presentava dei fori e parliamo dei più antichi, in altri invece si comincia a
cospargerli di ocra rossa o a decorarli e rimodellarli. Il docente di Protostoria dell’Università di
Roma Tor Vergata Mario Federico Rolfo così si esprime: “…la pratica di rimuovere i crani dai
corpi dei morti si sviluppa nell’area siro-palestinese durante il PPNB [Neolitico preceramico B
(7300 -6650 a.C.)], fino a divenire una vera e propria caratteristica cultuale. Si associa al culto dei
morti che vengono inumati, acefali, al di sotto del pavimento delle case; le teste asportate vengono
ritrovate generalmente o all’interno delle abitazioni in nicchie apposite, oppure seppellite a parte in
fosse apposite. Nel tempo la pratica si specializza e si complica arrivando alla produzione di crani
umani sopramodellati in argilla allo scopo di riprodurre le fattezze del volto del defunto. Al posto
degli occhi si ha l’applicazione di conchiglie marine, e al posto dei capelli l’utilizzo di cordame
vegetale applicato con bitume, in alcuni casi si nota anche l’applicazione di pittura a evidenziare
alcune caratteristiche fisiche, come i baffi. Ad Hebron e a Nahal Hemar sono state rinvenute invece
maschere in pietra raffiguranti sommariamente i tratti di un volto umano”. Probabilmente abbiamo,
successivamente, il passaggio dai crani modellati alle maschere funebri. Questo rituale, con qualche
particolare diverso, lo troviamo anche a Gerico e ad Ain Gazal, qui è curioso notare che furono
trovate due statuette di animali trapuntate da punte di frecce come in un rituale vodoo.
Anche in Sardegna un qualcosa di simile veniva fatto con il culto delle anime dei decollati e
l’immersione dei crani nei corsi d’acqua nei periodi di siccità. Il fatto che i Sinodi proibissero tutto
ciò è dimostrazione del fatto che fossero culti molto praticati anche se segretamente.

La studiosa Alba Foschi parla anche di chiari segni di scarnificazione trovati sulle ossa con
scalfitture e segni di combustione in tombe eneolitiche nella Sardegna del centro nord. Infine cita
Editta Castaldi riguardo il sito di cui volevo parlarvi e cioè i circoli di Arzachena e dice:” Una
possibile ipotesi interpretativa è che in questi circoli si esponessero i defunti per liberarli dalla
materia deperibile. Il rito delle “sepolture secondarie” è stato, di recente, accertato per la cultura di
Bonannaro, ed era già stato supposto per I defunti deposti nelle classiche tombe dei giganti.

Questo rito è sostenibile anche perchè in grotticelle naturali e ripari si trovano numerosi cumuli
d’ossa con resti di ceramica di età nuragica del tutto simili a quelli recuperati entro i circoli e
nell’area ad esse adiacente”.

CERCHIO MEGALITICO DI ARZACHENA(SS)

Il sito dei circoli di Arzachena (presso Monte ‘Ncappidatu, Macciunita, Li Muri) ha una datazione
che va dalla fine del IV- all’inizio del III millennio a.C.

In particolare quello di Limuri presenta 4 circoli tangenti fra loro di diametro che varia dai 5 agli
8.5 mt di diametro. Costituiti da lastre conficcate nel terreno e disposte in cerchi concentrici con lo
scopo di contenere un tumulo (che appare come una collinetta artificiale) fatto di terra e pietre a sua
volta con incluse delle tombe. Due grandi cippi di granito infissi verticalmente nel terreno che mi
ricordano in parte i due pilastri di Gobekli Tepe. All’interno un piccolo cassone (coperto come un
dolmen) di pietra conteneva le ossa dei defunti. E’ stata trovata anche dell’ocra rossa, comune in
molti altri siti neolitici.” Secondo lo studioso Giovanni Lilliu questo circolo funerario-rituale
serviva per la scarnificazione dei cadaveri i quali venivano deposti nelle pietre scanalate che
costituivano la circonferenza e lasciati al sole per un lungo periodo.

Successivamente le ossa venivano raccolte e riposte nella cassetta al centro del circolo”. I reperti
ritrovati dimostrano un primo utilizzo nel Neolitico attestato da frammenti di lame in selce e vaghi
di collana in steatite. Il quinto cerchio ha una forma allungata e i circoli di pietre non lo chiudono da
un lato, lasciando aperto ‘il davanti’. I ricchi corredi fanno presumere che ci fossero personaggi di
alto lignaggio. E’ degna di nota, in particolare, una rara coppetta in steatite con presa “a rocchetto”
simile a quelle di Lipari della cultura di Diana che ha chiare ascendenze egeo anatoliche.

Torniamo al rituale e ai Sinodi, ve n’erano diversi e contrastavano queste pratiche che venivano
utilizzate in diverse parti dell’Italia meridionale. In Sardegna più che altrove il rito di
scarnificazione era radicato e ci sono perfino dei modi di dire non più attuali ma che fino al secolo
scorso erano adoperati, alcuni inquietanti come” Sa morte secada” tagliare la morte. Dolores Turchi
afferma dopo varie indagini in diversi paesi sardi che vi era reticenza nel pronunciare questa frase.
Nei primi del novecento veniva usato come modo di dire come per esempio “vuol indagare fino
all’osso” cioè vuol sapere a tutti costi oppure quando si odiava una persona così profondamente che
anche dopo morta l’odio continuava fino a quando non avessero trovato le ossa e qui è espresso in
modo chiaro il concetto di scarnificazione (secare sa morte tagliare la morte).

Detto che alcuni dicono averlo sentito dai propri avi che fosse usato dalle prefiche durante i lamenti
funebri, queste strappandosi i capelli e graffiandosi sul volto cantavano le gesta del morto
rievocando le imprese compiute in vita e non si calmavano finchè” finzas a sa morte secada”, ciò
fino a che la morte non fosse tagliata. In questo caso è espresso un concetto tipico dello
sciamanesimo cioè la rinascita non sarebbe avvenuta fino alla complete pulitura del cadavere. Come
abbiamo visto le figure delle attitadoras, delle acabadoras, alcune maschere come i maimones e
similari hanno origini che si perdono nella notte dei tempi e forse sono retaggio di quelle pratiche
sciamaniche che da migliaia di anni A.C. sono arrivate fino ad oggi percorrendo diverse strade.

L’altro sito in cui sono presenti circoli megalitici con caratteristiche similari è quello di Pranu
Muttedu a Goni, il principale presenta un menhir all’entrata dove una porta ottenuta da un unico
blocco di pietra (abbiamo visto questa particolare e stupefacente caratteristica a GT e a Malta)
permette l’accesso all’interno, in cui una cista, (sempre coperta da terra in modo da formare un
tumulo) divisa in due parti, conteneva le ossa che avrebbero dovuto subire il rito della
scarnificazione. Il tumulo era circondato dal peristilio fatto da pietre messe con tecnica a “sacco”
simile a quella dei nuraghe.

Altro cerchio è quello con la triade (numero ricorrente) di pietre conficcate lungo il peristilio.
Questi luoghi sono ricchi di domus de janas, forse costruite in modo che si riempissero di acqua, per
simulare il liquido amniotico all’interno dell’utero vista la forma di alcune di queste. Non
dimentichiamoci che anche nelle Domus avvenivano deposizioni secondarie dopo riti di
scarnificazione. Sono presenti disposti linearmente una lunga serie di menhir, molto simili alla serie
itifallica presente a Metsamor, anche questi sono stati recentemente definiti marcatori di stagioni e
del tempo, sono stati scoperti allineamenti solstiziali e movimenti lunari, i monumenti dell’intero
sito sembrano avere connessioni tra loro di carattere simbolico, astrale e calendariale.

Continuiamo la carrellata di luoghi enigmatici passando dalla Toscana per poi ritornare in medio
oriente.

Sito molto interessante è quello di Poggio Rota vicino a Pitigliano in Toscana, scoperto dallo
studioso Giovanni Feo, (l’epoca sembrerebbe quella Rinaldoniana, cioè IV-III millennio A.C. dato
ottenuto da rilevazioni archeoastronomiche). Posto in luogo sopraelevato molto simile al cerchio di
Ittiri, fatto da grandi pietre conficcate verticalmente nel terreno e disposte circolarmente.
Sembrerebbe, che questi massi tufacei abbiano una direzione, traguardino il sole e le montagne
circostanti. Tra passaggi stretti, nicchie, strutture orientate sorge un tempio megalitico dove si
officiavano rituali e si osservava il cielo, anche qui abbiamo i precedenti di quello che poi sarebbe
divenuto il “templum” etrusco, lo spazio sacro, le pietre qui sono vive, orientate e divise,
divinizzate e mettono in comunione cielo e terra, divino e umano. E’ un luogo permeato dal sacer,
attraversato da forze primordiali. Ogni masso ha un compito preciso, alcuni sono rivolti verso Sirio,
altri ai solstizi e al sole, altri ancora sono coperti di fori, canaline e coppelle dove forse si
praticavano particolari riti. La dott.ssa Negroni archeologa dell‘Università di Milano e
pluridecennale studiosa di questa civiltà, il cui parere sul sito è qui riassunto:” non è dato sapere se
si tratti di pietre collegate alla roccia di base, e quindi solo scavate, dalle intemperie o da mano
umana, oppure di massi qui eretti o trasportati. Essi sono interessati da numerosi incavi simili a
coppelle, di diversa grandezza, che con ogni probabilità sono il frutto dell’erosione, tuttavia le
pareti degli incavi, quasi stretti corridoio, che dividono un masso dall’altro appaiono lisciate e
regolarizzate e inoltre alcuni segni sono inequivocabilmente di origine antropica”, suggerì di
interpellare il Professor Adriano Gaspani, ricercatore dell’Osservatorio Astronomico di Brera, il
quale dopo l’accertamento sulla natura del sito concluse:

“Possiamo ragionevolmente ipotizzare che Poggio Rota sia stato un luogo di osservazione
astronomica attivo in un’epoca grosso modo intorno al 2300 A.C.”(periodo in cui, in questi luoghi,
vi è presenza Rinaldoniana anche se finale).

Giovanni Feo prosegue dicendo che “un posto qualsiasi non era quello che cercavano, ma un luogo
speciale, da dove loro avrebbero potuto vedere in cielo un “segno” celeste: una forma a mezzaluna
rovesciata e nel centro la stella polare. Il loro concreto punto di riferimento, verso dove guardare,
era il monte più alto di tutta la regione, il monte Amiata (1.734 m). Giacobbe Manca ritiene e di
questo sono particolarmente soddisfatto, perché non sapendolo sono arrivato alla stessa
conclusione, che sia un luogo, oltre che simile a Ittiri come architettura e come natura, anche, come
lui lo definisce,” silenzioso” quindi adatto a rituali di scarnificazione. Non è d’accordo però sul
fatto che sia un osservatorio astronomico e si fosse praticato, tramite le coppelle, culti dell’acqua,
essendo le stesse messe in posizione verticale, quindi non utilizzabili per tale scopo. Su questo
concordo pienamente ma dissento sul fatto che non abbia attinenze astronomico–calendariali, come
ho sempre detto un utilizzo non esclude l’altro. Coppelle e canalette che però avrebbero dovuto far
parte di un rituale, forse in queste strutture scorreva il sangue del cadavere mentre veniva mangiato
dagli animali preposti, questa cosa tra l’altro è corroborata dalla presenza Rinaldoniana e dei loro
rituali funebri con sepolture secondarie.

POGGIO ROTA CIRCOLO MEGALITICO IN TOSCANA

“Nitida sull’orizzonte settentrionale, si staglia la sua inconfondibile vetta, come una luna rovesciata,
formata dalle sue due gobbe: è così che il posto “speciale” fu trovato dai sacerdoti-astronomi sulla
sommità di un colle, davanti al fiume Fiora, Poggio Rota. Lì, sopra un ampio masso di tufo videro il
“segno” all’orizzonte lontano: la sella del monte Amiata, con sopra la stella polare che, all’epoca,
era la stella alpha, la più luminosa della costellazione del Drago, la stella Thuban. La stella polare è
fondamentale per osservare il cielo e il movimento degli astri, perché la sua posizione, che resta
inalterata per millenni, indica la direzione nord, permettendo all’osservatore di determinare le
quattro direzioni spaziali e quindi di poter segnare lo scorrere del tempo e delle stagioni” (G.Feo)

Poggio Rota fu quindi scelto dai sacerdoti della cultura del Rinaldone perché da lì era visibile il
“segno” che loro cercavano, la sella montana con la stella polare inquadrata all’interno. A proposito
di questo argomento così scrive il prof. Scully riguardo alle montagne utilizzate anticamente come
marcatori del moto solare: “La montagna deve avere caratteristiche di grande forza scultorea, come
versanti tondeggianti, profonde gole, o anche un massiccio conico o piramidale, doppi picchi o una
marcata conca. Queste forme creano un profilo che essenzialmente è quello di un paio di corna, ma
talvolta può anche suggerire delle braccia levate o delle ali, la fenditura femminile o anche, i seni…
tutti elementi paesaggistici che rimandano all’organo femminile della Dea, in età paleolitica e
neolitica”. Questo mi ricorda le doppie cime di Catal Huyuk. e di Alatri o quelle di alcuni sigilli
mesopotamici ed egiziani.

LA MISTERIOSA CASA DEI CRANI CAYOUNU( ANATOLIA)


MENIHIR DI
METSAMOR ARMENIA

MENHIR DI GONI
Circolo megalitico Ittiri

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