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OSCAR WILDE

Il fantasma di
Canterville
illustrazioni di Maurizia Rubino

a cura di
Davide Francioni
Nota al testo

Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde venne pubblicato la prima volta


nel 1886 sulla «Court and Society Review». La versione che qui presentia-
mo – rivolta ai bambini a partire dagli 8 anni – è stata ricavata dal testo
in lingua inglese contenuto nella raccolta Complete Shorter Fiction, a cura
di I. Murray, Oxford World’s Classic, 2008. Per rispettare il più possibile
l’opera originale, l’adattamento è stato curato secondo questi criteri: i ca-
pitoli I, III e V sono stati tradotti omettendo soltanto quei riferimenti alla
cultura inglese e alla cultura americana di fine Ottocento che sarebbero
risultati di più difficile comprensione a un piccolo lettore; nei II-IV-VI e
VII, invece, allo scopo di snellire il ritmo narrativo, sono stati effettuati
alcuni tagli che tuttavia non alterano la trama, né lo stile dell’autore.

Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde (tit. originale The Canterville Ghost). Volu-
me allegato a Un’estate fantastica 3. Non vendibile separatamente.

Illustrazioni: Maurizia Rubino


Editor: Davide Francioni
Impaginazione: Rosa Collevecchio
Copertina: Paolo Bernacca

Stampato in Italia

© 2010 Centro Produzione Editoriale srl


via Ruscitti, Zona Industriale S. Atto – Teramo

www.liscianiscuola.it

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La casa editrice è a disposizione sia degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, sia per
eventuali involontarie omissioni nella citazione delle fonti.
I
uando il signor

Q Otis, ambascia-
tore degli Stati
Uniti d’America, ac-
quistò Canterville Cha-
se, tutti gli dissero che
stava compiendo una
grande sciocchezza. Non c’era dubbio, infatti,
che quel posto fosse infestato dai fantasmi.
Lo stesso Lord Canterville, uomo onesto e
molto scrupoloso, si sentì in dovere di infor-
marlo al riguardo il giorno in cui discussero
le condizioni della vendita.
«Non abbiamo voluto viverci più neanche
noi» disse Lord Canterville «da quando la mia
prozia, la duchessa di Bolton, ebbe una specie
di crisi isterica a causa di due mani scheletri-
che che le si poggiarono sulle spalle mentre

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si stava vestendo per venire a cena. Mi creda,
signor Otis, lo spettro è stato visto da diversi
membri della mia famiglia e anche dal parro-
co, il reverendo Augustus Dampier, che è un
docente del King’s College, a Cambridge.

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«Dopo quel brutto incidente capitato alla
duchessa» proseguì «nessuno dei nostri giova-
ni domestici volle restare con noi e Lady Can-
terville non riusciva più a dormire la notte per
colpa di quei misteriosi rumori che proveni-
vano dal corridoio e dalla biblioteca».
«Signore» rispose l’ambasciatore «prende-
rò mobili e fantasma in blocco. Vengo da
un paese moderno, dove tutto può essere
comprato col denaro; e sono sicuro che, se
in Europa esistesse qualcosa di simile a un
fantasma, l’avremmo già portato da noi per
esporlo in uno dei nostri musei, o addirittura
al circo».
«Temo che quel fantasma esista davvero» ri-
batté Lord Canterville, sorridendo. «Lo cono-
sciamo da tre secoli, dal 1584 per la precisio-
ne, e da allora appare ogni volta che sta per
morire un membro della nostra famiglia».
«Be’, fa così anche il medico di famiglia!...
Lord Canterville, i fantasmi non esistono e mi

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chiedo se la natura possa fare delle eccezioni
per l’aristocrazia inglese».
«In America siete senza dubbio molto...
vicini alla natura!» rispose Lord Canterville,
il quale non aveva colto l’ultima battuta del
signor Otis. «Ma se non vi dà fastidio avere
uno spettro in casa, allora tanto meglio. Ri-
cordi, però, che io l’ho messa in
guardia».
Qualche settimana
dopo l’affare fu con-
cluso e il signor Otis
si trasferì a Canter-
ville Chase in-
sieme alla fami-
glia. Sua moglie,
la signora Otis,
era una donna
di mezz’età, che
da giovane era sta-
ta una delle ragaz-

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ze più belle di New York; Washington, il pri-
mogenito, era un giovanotto alto e biondo
che i genitori avevano chiamato così in ono-
re di George Washington, il primo presidente
degli Stati Uniti d’America; Virginia E. Otis, la
secondogenita, era invece una quindicenne
molto carina e delicata, che amava andare a
cavallo e di cui il giovane du-
ca di Chesire s’era per-
dutamente innamo-
rato fin dal primo
giorno in cui l’ave-
va vista cavalcare
ad Hyde Park;
infine, c’erano i
simpatici gemel-
lini, soprannomi-
nati “stelle e stri-
sce” tanto erano
impertinenti quei
due ragazzi.

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Era una bella serata di luglio quando gli
Otis si recarono nella loro nuova dimora in-
glese, a pochi chilometri dalla stazione di
Ascot. Ma, non appena giunsero al castello, il
sole si oscurò e cominciarono a cadere gros-
se gocce di pioggia.
Ad attenderli, sulle scale, trovarono la si-
gnora Umney, l’anziana domestica dei Can-
terville che, dopo essersi presentata, li con-
dusse nella grande biblioteca, dove aveva
preparato il tè.
Guardandosi intorno, la signora Otis notò
una strana macchia vicino al caminetto e dis-
se, rivolgendosi alla domestica: «Temo che
laggiù sia stato versato qualcosa».
«Sì, signora, è stato versato del sangue» ri-
spose la domestica, con voce bassa.
«Che orrore!» esclamò la signora Otis. «Bi-
sogna farlo sparire subito!».
La domestica, allora, sorrise e, sempre con
voce bassa, disse: «È impossibile far sparire

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quella macchia di sangue. Essa si trova nel
punto esatto dove, nel 1575, Sir Simon de
Canterville uccise la moglie, Lady Eleanore
de Canterville. Sir Simon le sopravvisse an-
cora nove anni, poi sparì in circostanze mi-
steriose e il suo corpo non fu mai più ritro-
vato. La macchia di sangue è molto ammirata
dai turisti che visitano il castello».

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«Che sciocchezza!» proruppe Washington,
il primogenito degli Otis. «L’impareggiabile
Super-smacchiatore e Detergente Pinkerton
la farà sparire in un batter d’occhio» e, così
dicendo, si mise subito a strofinare il pavi-
mento con uno strano bastoncino.
La macchia, in effetti, sparì dopo pochi
istanti; tuttavia il giovane non fece in tem-
po a gioire della sua impresa che un lampo
illuminò la stanza e il tuono che seguì fece
balzare tutti in piedi, mentre la vecchia do-
mestica cadde a terra, svenuta.
Poco dopo, la signora Umney rinvenne
e, ancora terrorizzata, avvertì gli Otis delle
terribili sventure che sarebbero accadute in
quella casa. Sia l’ambasciatore che sua mo-
glie, però, la rassicurarono: loro non aveva-
no affatto paura dei fantasmi...

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II

L
a tempesta in-
furiò tutta la
notte, ma non
successe nulla di par-
ticolare. Il mattino se-
guente, tuttavia, quan­
do gli Otis scesero a far colazione, videro di
nuovo l’orribile macchia di sangue sul pavi-
mento.
«Non credo che sia colpa del Super-smac-
chiatore» disse Washington «perché l’ho te-
stato su qualsiasi cosa. Dev’essere stato il
fantasma». Così si mise a strofinare la mac-
chia per la seconda volta. Ma il secondo gior-
no riapparve ancora. Ed era lì anche il terzo
giorno, nonostante la biblioteca fosse stata
chiusa a chiave dal signor Otis in persona.
La cosa, ormai, interessava tutta la famiglia: il

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signor Otis pensò di essere stato troppo scet-
tico circa l’esistenza dei fantasmi, la signora
Otis volle iscriversi alla Società di parapsico-
logia e Washington scrisse una lunga lettera
a due esperti di fenomeni paranormali in cui
chiedeva delucidazioni circa la permanenza
di macchie di sangue nei luoghi dei delitti.
Quel giorno tutti i dubbi circa l’oggettiva esi-
stenza dei fantasmi sparirono per sempre.
La sera successiva gli Otis approfittarono
del fresco per fare una gita in carrozza. Ma
nessuno fece cenno al fantasma e l’argomen-
to non venne sfiorato neanche al ritorno, du-
rante la cena. Poi, alle undici in punto, ognu-
no si ritirò nella propria stanza e alle undici e
trenta tutte le luci del castello si spensero.
Poco dopo, il signor Otis fu svegliato da
uno strano rumore che giungeva dal corri-
doio. Era un rumore metallico e gli sembrò
che si stesse avvicinando alla porta. Allora
decise di alzarsi, accese la candela e guardò

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l’orologio. Era l’una in punto. L’ambasciatore
non si sentiva affatto agitato e si tastò il polso:
il battito era regolare. Quello strano rumore,
però, continuava e insieme si sentiva, chia-
ramente, un rumore di passi. Così, si infilò le
pantofole, prese una fiala dal borsello da toi-
lette e aprì la porta. Proprio davanti a sé vi-

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de, nella pallida luce della luna, un vecchio
dall’aspetto terribile. I suoi occhi erano rossi
come carboni ardenti, i lunghi capelli grigi
gli ricadevano sulle spalle in lunghe ciocche
sparpagliate, l’antico abito che indossava era
sporco e strappato e, dai polsi e dalle cavi-
glie, gli pendevano pesanti manette e catene
arrugginite.
«Egregio signore» disse il signor Otis «le
devo chiedere, gentilmente, di oliare le sue
catene. Le ho portato, a tal proposito, una
piccola fiala di Lubrificante Sole Tammany.
Dicono che sia molto efficace già con una
sola applicazione. Glielo lascio qui, sul tavo-
lo, vicino alle candele della camera da letto.
Sarò felice di fornirle un’altra fiala qualora ne
avesse ancora bisogno». Detto questo, l’am-
basciatore americano chiuse la porta e tornò
a letto.
Per un attimo, il fantasma di Canterville
restò senza parole, tanto era indignato. Poi,

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con rabbia, scaraventò la fiala sul pavimen-
to e scappò per il corridoio, lanciando grida
cavernose ed emettendo una spettrale luce
verde.
Mentre stava raggiungendo la cima della
scale, apparvero due piccole figure vestite
di bianco e, subito dopo, un grosso cuscino
gli sfiorò la testa. A quel punto si rese conto
che non c’era tempo da perdere e scompar-
ve attraverso la pa-
rete. Poi, la casa ri-
cadde nel silenzio
assoluto.
Rifugiatosi in una
stanza segreta del-
l’ala sinistra del ca-
stello, il fantasma si
appoggiò a un rag-
gio di luna per ri-
prendere fiato e si
mise a riflettere su

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quello che gli era capitato. Mai, in tutta la sua
plurisecolare carriera, era stato così pesante-
mente insultato. Ripensò allora all’episodio
della duchessa di Bolton e alla crisi isterica
che ebbero quattro domestiche solo per aver
sentito le sue grida provenire da una delle
camere da letto. Ripensò anche al rettore del-
la parrocchia, a cui aveva spento le candele
mentre stava uscendo dalla biblioteca e che,
da allora, era in cura dallo psichiatra.

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E ripensò all’anziana Madame de Tremouil-
lac, anche lei colpita da crisi isterica dopo
aver visto uno scheletro seduto sulla poltro-
na accanto al camino, intento a leggere il suo
diario. Si ricordò persino della terribile notte
in cui il malvagio Lord Canterville fu trovato
mezzo soffocato nel suo spogliatoio, con un
fante di quadri ficcato in gola! Poco prima di
morire, infatti, egli confessò di aver barato al
gioco e vinto a Charles James Fox circa cin-

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quantamila sterline proprio con quella carta
che, giurava, il fantasma gli aveva fatto in-
ghiottire.
Con l’orgoglio tipico di un artista, il vec-
chio fantasma rievocò tutte le sue imprese
più celebri e sorrise ripensando alla sua ulti-
ma apparizione nei panni di “Ruben il Rosso”
ovvero il “Bebè Strangolato”, o al suo debut-
to da “Gibeon lo Scarno” ovvero il “Vampiro
della Brughiera di Bexley”.
E dopo tutto questo, pensava, doveva arri-
vare una moderna e rozza famiglia americana
ad offrirgli il... Lubrificante Tammany! Nes-
sun fantasma era mai stato trattato in questo
modo! Insomma, decise di vendicarsi.

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III

L
a mattina do­
po, durante la
colazione, gli
Otis discussero a
lungo del fantasma.
L’ambasciatore ame-
ricano s’era un po’ offeso, ovviamente, nel
notare che il suo regalo non era stato accet-
tato. «Non intendo fargli del male» disse. «An-
zi, considerando che egli abita in questa casa
da tanto tempo, penso che non sia cortese
tirargli addosso cuscini» (a queste parole, ov-
viamente, i gemelli scoppiarono a ridere...).
«D’altra parte» proseguì «se si rifiuta di usare il
Lubrificante, dovremo togliergli le catene. È
impossibile dormire con quel baccano fuori
dalla camera da letto».
Gli Otis, tuttavia, non furono più disturbati

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per il resto della settimana, fatta eccezione
per la macchia di sangue sul pavimento del-
la biblioteca, che si rinnovava ogni mattina,
nonostante la porta venisse chiusa a chiave
tutte le sere dal signor Otis e le finestre fosse-
ro sbarrate. Tra l’altro, il colore della macchia
cambiava ogni giorno e ciò suscitava diversi
commenti. Alcuni giorni era di un rosso sbia-
dito, altre volte di rosso vermiglio, altre an-
cora di rosso porpora e un giorno addirittura
di un brillante verde smeraldo. Questi cam-
biamenti di colore divertivano molto gli Otis,
tranne la giovane Virginia che, inspiegabil-
mente, rimaneva sempre sconvolta alla vista
della macchia e quasi scoppiò in lacrime il
giorno che la vide di color verde smeraldo.
La seconda apparizione del fantasma av-
venne la domenica sera. Gli Otis s’erano ap-
pena ritirati nelle loro stanze quando sentiro-
no un tremendo fracasso giungere dall’atrio.
Si precipitarono lungo le scale e videro che

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una grossa arma-
tura s’era staccata
dal suo piedistal-
lo, cadendo sul
pavimento, e che,
seduto su una
se­dia dalla spal-
liera alta, c’era il
fantasma di Can-
terville intento a
massaggiarsi le
ginocchia, tutto
sofferente.
I gemelli, che s’erano portati appresso le
loro scacciacani, scaricarono due pallottole
sul vecchio fantasma con la precisione di chi
si è addestrato a lungo sul proprio maestro
di calligrafia; mentre l’ambasciatore gli puntò
il revolver in faccia, urlando: «Mani in alto!».
Il fantasma, allora, lanciò un grido rabbio-
so e sgusciò tra loro lasciandosi alle spalle

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una scia di nebbia che spense la candela di
Washington e fece ripiombare tutti nel buio.
Poco dopo, raggiunta la cima delle scale, pri-
ma si riprese un attimo, poi si lasciò andare
nella sua celebre risata demoniaca che, in più
di un’occasione, si era rivelata decisamente
utile! Si diceva, infatti, che quella risata aves-
se fatto venire i capelli grigi a Lord Raker in
una sola notte e che ben tre domestiche fran-

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cesi di Lady Canterville, per causa sua, fos-
sero andate via terrorizzate prima della fine
del mese di prova. Per questo il fantasma fe-
ce esplodere la sua risata più agghiacciante,
che riecheggiò in ogni angolo del castello.
L’eco della risata non s’era ancora spenta,
quando si aprì una porta, da cui uscì la si-
gnora Otis avvolta in una vestaglia azzurra.
«Mi spiace che lei stia così male» disse. «Le ho
portato una boccetta di sciroppo del dottor
Dobell. È un ottimo rimedio per l’indigestio-
ne». Il fantasma, a quel punto, decise di tra-
sformarsi nel grosso cane nero, uno dei suoi
travestimenti più spaventosi, ma un rumore
di passi lo fece esitare un attimo, e così pensò
di rimediare diventando fosforescente e sva-
nendo, poco prima che arrivassero i gemelli.
Quando tornò in camera sua era distrutto e
si fece prendere dalla più violenta agitazione.
La volgarità dei gemelli e il rozzo materiali-
smo della signora Otis lo avevano letteral-

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mente disgustato; ma quello che
lo deprimeva di più era il non
essere riuscito a indossare l’ar-
matura. Era convinto che persino
quei moderni americani sarebbe-
ro rimasti terrorizzati di fronte a
uno spettro con l’armatura! Quel-
la, infatti, era la sua corazza per-
sonale. L’aveva indossata con grande
successo al torneo di Kenilworth e
aveva ricevuto i complimenti niente
meno che dalla regina Elisabetta in
persona. Purtroppo, però, quan-
do aveva provato ad entrarci, era
stato completamente soggioga-
to dal peso dei pettorali e del
casco d’acciaio ed era rovinato a
terra pesantemente, sbattendo en-
trambe le ginocchia e ferendosi le nocche
della mano destra.
Nei giorni seguenti si sentì molto male e

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non mise piede fuori dalla
sua stanza, tranne che per ri-
pristinare la solita macchia di
sangue. Alla fine si ristabilì e
pensò di mettere in atto un terzo
tentativo per spaventare l’amba-
sciatore americano e la sua famiglia.
Decise di apparire il 17 agosto, di
venerdì e questo era il suo piano: sarebbe
piombato in silenzio nella stanza di Washin-
gton Otis, avrebbe farfugliato qualcosa da-

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vanti al suo letto e si sarebbe pugnalato la
gola tre volte al ritmo di una musica di sotto-
fondo. Poi, dopo aver lasciato quel giovanot-
to in uno stato di completo terrore, sarebbe
entrato nella camera del signor Otis e di sua
moglie, avrebbe poggiato una mano schele-
trica sulla fronte della signora e sussurrato al-
l’orecchio del marito tremante i segreti degli
ossari. Alla giovane Virginia che, per la verità,
non l’aveva mai insultato ed era sempre gra-
ziosa e gentile, non sapeva bene cosa fare.
Forse sarebbe bastato solo un urlo sepolcra-
le dall’armadio della sua stanza... Era invece
assai determinato ad impartire una sonora le-
zione ai gemelli: li avrebbe prima paralizzati
per la paura comparendo tra i loro due lettini
sotto forma di un gelido cadavere verde; poi
avrebbe iniziato a volteggiare per la stanza
nei panni del famossissimo “Daniel il Muto”
ovvero “lo Scheletro del Suicida”.
Alle dieci e mezzo sentì che gli Otis stava-

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no andando a letto. Per un po’ fu disturbato
dai selvaggi scoppi di risa dei gemelli, ma alle
undici e un quarto piombò il silenzio assoluto
e, a mezzanotte in punto, fece la sua sortita.
Si sentiva solo il ritmico russare dell’amba-
sciatore. Il fantasma, allora, sbucò dai pan-
nelli di legno della parete con un sorriso ma-
lefico e si diresse verso la camera del povero
Washington. Il vento gli soffiava le lunghe

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ciocche grigie sul viso e agitava il sudario in
modo raccapricciante. Giunse il momento di
agire: emise una risata soddisfatta ma, poco
prima di svoltare l’angolo, cadde all’indietro
lanciando un urlo di terrore e portandosi le
mani scheletriche sul
viso. Proprio di fron-
te a lui, si ergeva uno
spettro orribile, con
la testa enorme, pe-
lata, la faccia pallida
e la bocca infuoca-
ta. Quell’essere mo-
struoso teneva un
falcetto di acciaio
luccicante con la
mano destra e ave-
va appeso sul pet-
to un cartello, con
una strana scritta a
caratteri antichi.

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Non avendo mai visto prima un fantasma,
egli ne fu ovviamente molto spaventato. E,
subito dopo aver lanciato un’altra, furtiva oc-
chiata a quello spirito, scappò via nella sua
stanza, trascinando via il lenzuolo svolazzan-
te lungo il corridoio.
Tornato nella sua
stanza, il fantasma cer-
cò di farsi coraggio e
pensò che quel nuovo
nemico potesse aiu-
tarlo in qualche mo-
do nella sua battaglia
contro gli Otis. Decise
dunque di incontrarlo
la mattina successiva,
ma non appena giun-
se sul posto, si trovò
dinanzi uno spettaco-
lo orrendo: lo spettro
stava appoggiato con-

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tro il muro, in una posizione innaturale, e il
falcetto di acciaio luccicante gli era caduto a
terra. Allora, decise di prenderlo tra le brac-
cia, per tirarlo su, ma con suo grande stupore
si ritrovò a stringere un lenzuolo bianco e un
manico di scopa, mentre una grande zucca
vuota, ovvero la testa, gli rotolava fra i piedi!
Il fantasma non capiva, così afferrò il car-
tello e lesse le seguenti, orribili parole:

IL FANTASMA DE OTIS
L’UNICO ED ORIGINALE
DIFFIDATE DALLE IMITAZIONI
TUTTI GLI ALTRI SONO FALSI

Improvvisamente tutto gli fu chiaro: era


stato ingannato! Così, umiliato e offeso, si ri-
tirò nella sua stanza a leggere libri di cavalle-
ria antica.

31
IV

N
ei giorni succes-
sivi il fantasma
se ne restò chiu-
so nella sua
stanza. Si
sentiva molto stanco e de-
presso per tutte quelle umi-
liazioni e smise di occuparsi
persino della famosa macchia
di sangue. «Gli Otis non la
vogliono» pensava. «Del resto,
sono persone troppo volgari e
rozze per poterla apprezzare».
Ciononostante, lo spettro non
rinunciò alle sue abitudini pluri-
secolari, come quella di appari-
re il primo e il terzo mercoledì
di ogni mese lungo il corridoio,

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borbottando frasi senza senso. Nello stesso
tempo, però, non sapeva più come uscire al-
lo scoperto senza incappare nell’ennesima
figuraccia. Gli Otis, infatti, non gli davano
tregua: presero a stendere lungo il corridoio
delle corde nelle quali inciampava nel buio
e, una notte, addirittura, il fantasma scivolò
sopra una striscia di burro che i gemelli ave-
vano spalmato sul pavimento.
Quest’ultimo affronto lo fece
arrabbiare così tanto che volle
compiere un ultimo sforzo
per riaffermare la sua di-
gnità. Con uno scatto
d’orgoglio, decise
di far visita a quei
due studentelli di
Eton, impersonan-
do il terribile “Rupert
il Temerario”, ossia il
“Conte Decapitato”.

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Erano anni che non
appariva con quel trave-
stimento e impiegò più di tre ore per ulti-
mare tutti i preparativi. Alla fine, soddisfatto
del suo aspetto, arrivò davanti alla camera
dei gemelli , all’una e un quarto della notte.
Pensando di fare un ingresso trionfale, spa-
lancò la porta con violenza, ma una brocca
d’acqua gelida gli si rovesciò addosso, infra-
diciandolo tutto. Il povero fantasma sentì le

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risatine dei gemelli e, sconvolto, si rintanò
nella sua stanza dove rimase per tutto il gior-
no seguente, bloccato da un fortissimo raf-
freddore.
Ma non era finita. Il 19 settembre, durante
l’ennesima spedizione notturna in occasione
della quale aveva assunto le sembianze di
“Giona l’Insepolto” ossia il “Ladro di Cadave-
ri Cherstey Barn”, allor-
ché si stava dirigendo
verso la biblioteca,
gli balzarono ad-
dosso due figure
che si agitavano
follemente e gli
gridavano «Buu!»
nell’orecchio. Ter-
rorizzato, scappò
lungo le scale, ma
venne bloccato da
Washington Otis, che

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era armato di una lunga canna per annaffia-
re. Circondato e in preda alla disperazione,
fu costretto a dileguarsi attraverso la stufa di
ghisa e, da lì, giunse in camera sua stravolto
e ricoperto di fuliggine.
Da quella volta non si fece più vivo duran-
te la notte, tanto che gli Otis credettero che
il fantasma avesse abbandonato per sempre
il castello. Informarono di questo anche Lord
Canterville, che si rallegrò molto con l’amba-
sciatore americano.
In realtà, il vecchio fantasma si trovava an-
cora nella sua stanza e, nel frattempo, aveva
anche pensato di spaventare il giovane Duca
di Chesire il quale, innamoratissimo di Vir-
ginia, da qualche tempo frequentava il ca-
stello. Ma il timore di imbattersi di nuovo nei
due gemelli l’aveva dissuaso.

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V
ualche giorno

Q dopo, Virgi-
nia e il Duca
di Chesire uscirono
per una cavalcata sui
prati di Brockley. Nel
saltare una siepe,
Virginia si strappò
la divisa da cavallerizza e, al ritorno, preferì
rientrare dalla scala sul retro in modo che
nessuno potesse vederla.
Passando davanti alla camera degli arazzi, la
ragazza notò qualcuno all’interno e, pensan-
do che fosse la domestica di sua madre, en-
trò per chiederle se le poteva rammendare la
divisa. Con grande sorpresa, vide il fantasma
di Canterville in persona, che se ne stava se-
duto accanto alla finestra a guardare le foglie

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morte trascinate dal vento.
Aveva un’aria molto triste
e malinconica, al pun-
to che Virginia, invece
di scappare in camera
sua e chiudersi a chia-
ve, fu mossa a pietà e
provò a confortarlo.
«Mi dispiace per lei»
disse la ragazza. «Ma
i miei fratelli torne-
ranno a Eton domani,
così, se si comporterà
bene, nessuno la distur-
berà più».
«È assurdo chiedermi di comportarmi be-
ne» rispose lo spettro, stupito che quella ra-
gazzina così gentile gli stesse rivolgendo la
parola. «È assurdo!... Io dovrei sbattere le mie
catene e urlare attraverso i buchi delle ser-
rature e vagare nella notte... È la mia unica

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ragione di esistere!».
«Non è affatto una
ragione di esistere!»
ribatté Virginia. «Lei è
stato molto malvagio!
La signora Umney ci
ha raccontato che ha
ucciso sua moglie».
«Sì, lo ammetto» ri-
spose il fantasma stiz-
zito. «Ma questi sono
affari di famiglia, che
non vi riguardano».
«È una cosa terribile
uccidere qualcuno» disse
Virginia, con tono molto serio.
«Oh, come odio l’astratto moralismo! Mia
moglie era una donna bruttissima, non era
capace di stirarmi i vestiti e per giunta non
sapeva nulla di cucina... Comunque, non im-
porta, acqua passata... Ma insomma, anche

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se l’avevo uccisa, non è stato meno malva-
gio, da parte dei suoi fratelli, farmi morire di
fame!».
«Morire di fame! Oh, signor Fantasma, vo-
glio dire, signor Simon, è molto affamato? Ho
qui con me degli ottimi sandwich, ne vuole
un po’?».
«No, grazie, sono anni che non mangio;
ma è molto gentile da parte tua tutto questo.
Sei gentile, molto
più del resto della
tua orribile, rozza,
volgare e disone-
sta famiglia».
«Basta!» esclamò
Virginia. «È lei ad
essere orribile, e
rozzo, e volgare, e
anche disonesto,
perché sa di aver-
mi rubato tutti i

40
colori a tempera per dipingere quella stupida
macchia di sangue in biblioteca! Prima mi ha
rubato tutti i rossi, tanto che non posso più
dipingere nessun tramonto. E poi anche il
verde smeraldo... Dove mai s’è visto un san-
gue verde? È proprio ridicolo!».
«Ebbene, è vero» disse il fantasma, «Cosa
potevo farci? Non è facile, al giorno d’oggi,
procurarsi del sangue vero. Ma è stato tuo
fratello a cominciare con quel suo Smacchia-
tore Pinkerton. Per quanto riguarda i colori,
poi, è una questione di gusto. Noi Canterville,
ad esempio, abbiamo il sangue blu, ma a voi
americani queste cose non interessano...».
«Lei non sa niente dell’America, anzi, le
consiglio di emigrare e di farsi una cultura!
Mio padre sarà felice di pagarle il viaggio.
Conosco tanti americani che sarebbero di-
sposti a sborsare migliaia di dollari per avere
un nonno fantasma!».
«Non credo che l’America mi piacerebbe».

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«E perché?» chiese Virginia. «Non abbiamo
abbastanza rovine o luoghi d’interesse stori-
co, immagino!».
«Macché, per la vostra marina militare e,
soprattutto, per le vostre brutte maniere!».
«Be’, buona sera! Dirò a mio padre di con-
cedere ai gemelli una settimana di vacanza
in più!».
«Per favore, Virginia, non andar via» implo-
rò il fantasma. «Sono così solo e infelice e
non so più che fare, vorrei soltanto dormi-
re... Sono ormai trecento anni che non dor-
mo e sono stanco!».
Di fronte a quelle parole, Virginia sbarrò gli
occhi, meravigliata, e gli si avvicinò tremante.
«Oh, povero, povero fantasma» mormorò la
ragazza. «Non hai un posto dove dormire?».
«Oltre la pineta» egli rispose, con voce so-
gnante «c’è un piccolo giardino, dove l’erba
cresce alta e rigogliosa; lì fioriscono le stelle
bianche della cicuta e l’usignolo canta tutta la

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notte. Tutta la not-
te canta e la luna
fredda splende sul
giardino e il tasso
tende i suoi rami
giganteschi a chi
vi si addormenta».
Gli occhi di Vir-
ginia si riempiro-
no di lacrime.
«Stai parlando
del Giardino della
morte» bisbigliò,
coprendosi il viso con le mani.
«Sì, la morte dev’essere così bella. Dimen-
ticare tutto e raggiungere finalmente la pace!
Tu puoi aiutarmi, puoi aprire per me i portali
della morte, perché l’amore ti accompagna
sempre e l’amore è più forte della morte».
Virginia tremò e un brivido freddo le attra-
versò la schiena.

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Poi il fantasma parlò di nuovo: «La vecchia
profezia scritta sulla finestra della biblioteca
dice che una giovane ragazza dovrà piange-
re con me i miei peccati, perché io non ho
lacrime, e dovrà pregare per la mia anima,
poiché io non ho fede. Se tu farai tutto que-
sto, l’Angelo della morte avrà pietà di me».
Virginia si alzò all’improvviso e disse: «Ebbe-
ne, chiederò all’Angelo di avere pietà di te».
A quelle parole, il fantasma baciò la ragaz-
za con la grazia dei tempi andati. Poi la con-
dusse attraverso la stanza. Sugli arazzi erano
ricamati minuscoli cacciatori che le intimava-
no, insieme ad animali orrendi con le code
da lucertole e gli occhi da rospo, di torna-
re indietro. «Torna indietro, piccola Virginia!
Potremmo non vederti più!». Ma Virginia non
diede loro ascolto. Quando giunsero in fon-
do alla sala, il fantasma si arrestò e bofonchiò
frasi incomprensibili. Virginia aprì gli occhi e
vide il muro dileguarsi come la nebbia e poi

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si ritrovò davanti una caverna oscura. Il ven-
to soffiava intorno a loro. «Presto!» gridò il
fantasma. «Altrimenti non faremo in tempo!».
Subito dopo, i pannelli di legno si chiusero e
la stanza degli arazzi ripiombò nel silenzio.

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VI

C
irca dieci minuti do-
po suonò la cam-
pana per il tè. La
signora Otis, non vedendo
scendere Virginia, mandò
un domestico al piano di
sopra a chiamarla. Costui disse che non era
riuscito a trovare la signorina e, all’inizio, la
donna non si preoccupò più di tanto di quel
ritardo. Poi, quando scoccarono le sei, la si-
gnora Otis cominciò ad agitarsi.
Tutti si misero in cerca della ragazza: i fra-
telli andarono a cercarla in giardino, mentre
il signor Otis e la moglie ispezionarono tutte
le stanze del castello, ma di Virginia non c’era
traccia. A quel punto, l’ambasciatore sospet-
tò che la ragazza fosse stata rapita da una
carovana di zingari a cui, qualche giorno pri-

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ma, aveva concesso di accamparsi nel parco
della proprietà. Infatti, quando si accorse che
i nomadi erano fuggiti all’improvviso, prima
avvertì la polizia e poi decise di partire alla
volta di Ascot, sperando di poterli trovare an-
cora nei dintorni del paese.
Il giovane duca di Chesi-
re, sconvolto, volle par-
tire insieme al signor

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Otis, a cavallo del suo pony. I due speravano
di ottenere informazioni su quella carovana
di zingari, ma nessuno in paese sapeva nien-
te, così si rassegnarono a tornare a casa, dove
c’erano ad aspettarli Washington e i gemelli.
Dopo un po’, gli zingari furono ritrovati.
Essi, ovviamente, non avevano rapito Virgi-
nia e giustificarono la partenza improvvisa
dicendo di essersi sbagliati sulla data di una
fiera in un paese vicino.
Alla fine, il signor Otis mandò tutti a let-
to, ma proprio quando l’orologio della torre
suonò la mezzanotte, si udì un tonfo e subito
dopo un urlo. Poi, un tuono scosse la casa
e in cima alle scale si spalancò un passag-
gio segreto: proprio sul pianerottolo apparve
Virginia, pallidissima, che teneva un piccolo
scrigno in mano.
«Santo cielo!» esclamò il signor Otis. «Dove
ti eri cacciata, piccola? Non fare più questi
scherzi» e tutti si precipitarono su di lei.

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«Tesoro, grazie a Dio ti abbiamo ritrovata»
mormorò la signora Otis, baciando la ragaz-
zina ancora tremante.
«Papà» disse Virginia con calma «sono stata
col fantasma. Adesso è morto e devi venire a

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vederlo. È stato molto cattivo, ma si è pentito
sinceramente per tutto quello che ha fatto e
mi ha donato questo scrigno di gioielli prima
di morire».
Poco dopo Virginia condusse tutti, Washin-
gton in testa, attraverso il passaggio segreto
fin dentro una stanza stretta e bassa con una
piccola finestra a grata. Lì videro uno sche-
letro incatenato al muro, sdraiato a terra,
ma nella posizione di chi era proteso con le
braccia verso una bacinella, che un tempo,
aveva dovuto contenere dell’acqua. Virginia,
allora, si inginocchiò accanto allo scheletro e
iniziò a pregare. Gli altri, invece, rimasero in
silenzio ad osservare quella scena terribile: il
corpo di Lord Canterville era stato finalmen-
te ritrovato.
«Dio lo ha perdonato» disse infine Virginia,
in tono solenne.

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VII

Q
uattro giorni dopo quegli strani avve-
nimenti, intorno alle undici di sera,
un corteo funebre usciva da Canter-
ville Chase. Il carro era trainato da otto ca-
valli neri, la bara era ricoperta da un drappo
rosso porpora sul quale era ricamato lo stem-

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ma dei Canterville. Ai lati del carro cammina-
vano i domestici con le torce accese. Era un
corteo davvero maestoso.
Dal Galles era giunto appositamente anche
Lord Canterville, che seguiva per primo il cor-
teo sulla sua carrozza, insieme alla giovane
Virginia. Poi veniva il signor Otis, con la mo-
glie, Washington, i gemelli e il Duca di Chesi-
re. L’ultima carrozza era quella della signora

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Umney, la vecchia domestica. Il funerale ven-
ne celebrato dal reverendo Augustus Dampier
nel modo più solenne e, quando la bara fu
calata nella tomba, Virginia ci pose sopra una
croce fatta di fiori di mandorlo.
Il mattino seguente il signor Otis volle par-
lare con Lord Canterville di quei gioielli che
il fantasma aveva donato a sua figlia. Erano
davvero molto preziosi e l’ambasciatore non
voleva che Virginia li accettasse.
Ma Lord Canterville, da uomo onesto qua-
le era, disse all’ambasciatore che la sua fami-
glia non era a conoscenza di quei gioielli e
che non poteva riconoscerli come sua eredi-
tà, in quanto non esisteva nessun documen-
to scritto che ne provasse l’esistenza. Inoltre,
quell’uomo leale ricordò al signor Otis che
egli, al momento della firma del contratto di
cessione della proprietà, aveva dichiarato di
voler acquistare mobilia e fantasma in bloc-
co. Ciò implicava che tutto quello che appar-

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teneva al fantasma, ora apparteneva a lui.
«E poi, signor Otis» concluse Lord Cantervil-
le «Virginia ha reso un servizio tanto impor-
tante al mio antenato che, se mi appropriassi
di quei gioielli, il suo spettro salterebbe fuo-
ri dalla tomba per tormentarmi fino alla fine
dei miei giorni».

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Così l’ambasciatore, benché considerasse
i gioielli dei Canterville alla stregua di inuti-
li frivolezze tipiche dell’aristocrazia inglese,
non poté evitare che Virginia accettasse quel
dono tanto prezioso. Anzi, quando il gior-
no del matrimonio di Virginia con il duca di
Chesire, la ragazza venne presentata addirit-
tura alla regina in persona, quei gioielli de-
starono l’ammirazione generale!
Virginia e il suo spasimante, infatti, si spo-
sarono non appena quest’ultimo diventò
maggiorenne e tutti concordavano sul fatto
che i due formassero proprio una splendida
coppia.

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