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Diario Di Un Uomo Tradito PDF
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DIVORZIATE.
Guillaume era infedele a Madeleine fin dall’inizio del loro matrimonio. Madeleine si era rassegnata. In
un primo tempo aveva ricalcitrato un po’, perch’ i favori che Guillaume le prodigava ancora a tratti la
rendevano sensibile al fatto di spartirli con altre; le piacevano e non le bastavano mai. Ma le scappatelle
di suo marito erano brevi. Perch’ tornava? Non se lo chiedeva; vi vedeva una specie di prova d’amore,
e trovava nel perdono un voluttuoso compiacimento, e lacrime dolci. Non era gelosa: si illudeva di
riprendere una per una alle ladre tutte le grazie che avevano ottenuto. In seguito, l’indifferenza di
Guillaume risultò evidente. Era sempre più gentile e sempre meno premuroso. Madeleine finiva per
trovarsi sempre sola, cosa che non andava giù a quella giovane donna, ancora curiosa dell’intimità
come di un nuovo universo. Tuttavia la tenerezza della paziente neofita trovava ancora modo di
sfogarsi, anche senza essere ricambiata. Quella tenerezza, fatta in gran parte di una sensualità duttile, si
nutriva di una presenza fantasmatica e di tracce impercettibili in una camera deserta. Ma anche, a poco
a poco, in altre parti del suo essere, si sentiva lambita e devastata da un brivido di solitudine.
Quel brivido era alimentato e fatto più acuto, senza che lei se ne rendesse conto, dal fatto che i Pradon
erano a Berlino, dove Guillaume lavorava all’ambasciata in qualità di esperto commerciale. Sulle prime
Madeleine, sposina novella, s’era molto divertita a frequentare i teatri, i cinema, i locali notturni di una
Berlino ancora borghese. Godeva della sottile differenza che sembra esserci tra i divertimenti di una
grande città e quelli di un’altra grande città. Per un po’ credette che un film americano non fosse lo
stesso agli Champs-Elys’es e al Kurfurstendam. Non conosceva abbastanza i locali di Montparnasse, e
secondo lei al di là del Tiergarten era tutto un altro? pittoresco? E poi c’erano i magnifici, inesauribili
musei. E l’acquario, strano paradiso dalla luce tramata d’ombra fine. E poi imparava il tedesco.
Ma quella Berlino fatta solo di spettacoli non le bastava.
Non c’è niente di più inumano della vita dei diplomatici all’estero. Vita di gente di mondo, con intorno
un vuoto ancora maggiore. I diplomatici dei diversi paesi formano un mondo a parte, e gli autoctoni
che li frequentano, specializzati in quella frequentazione, formano intorno a loro un secondo cerchio
d’isolamento. I diplomatici non hanno più contatti con nessun popolon’ col loro, n’ con quello presso il
quale vivono. Bisognerebbe che i diplomatici si mescolassero a tutti gli strati del popolo che li ospita.
Ma non ne hanno il tempo. All’interno del loro mondo, i diplomatici sono divisi in consorterie. Si
direbbe che esistano per rendere ancora più aspre e scoraggianti le differenze nazionali. Ti accorgi che
tutto quel fior fiore della borghesia che si saluta e scambia discorsi meticolosamente cortesi, sotto sotto
hanno una paura matta gli uni degli altri. Hanno l’aria di avere le stesse maniere e gli stessi gusti
civilizzati, le stesse abitudini e le stesse concezioni fondate sulla ragione, e invece si denigrano, si
sospettano e si odiano l’un l’altro, come bottegai ignoranti venuti da paesi diversi che si incontrino in
viaggio e che la mistica da due soldi dei giornali scagli gli uni contro gli altri. Quando Guillaume
cominciò a trascurarla, Madeleine avvertì quindi un gran freddo in mezzo a quel mondo privo di
effusioni, completamente assorbito da fiacchi odi meccanici. Fu perciò contentissima dell’arrivo, un bel
mattino, di Eva, che aveva conosciuto sui campi sportivi, ai tempi della scuola, venuta come
corrispondente di un giornale parigino. Le due donne uscirono molto insieme. Eva aveva parecchio da
fare, ma appena poteva rispondeva alle istanze di Madeleine che la chiamava continuamente al
telefono. Si trovavano bene insieme. Prima di tutto appartenevano alla stessa generazione. Entrambe
avevano fatto studi superficiali, illusoriamente liberali, e preso il diploma. Entrambe avevano poi fatto
molto sport: nel tennis si erano classificate piuttosto bene in seconda categoria, e questo aveva lasciato
il segno su di loro. In secondo luogo si completavano. Madeleine era più graziosa, più mutevole, più
imprevedibile, più sensibile. Eva più bella, più monotona, più intelligente. Tutte e due, ragazze d’oggi,
molto libere a parole e nelle intenzioni, timide in realtà, tardivamente novizie, anche dopo il
matrimonio, nel mondo dell’esperienza e dell’amore. Madeleine confidava le sue pene a Eva,
parlandole così continuamente di Guillaume. Questi, di cui lei vantava il fascino e la crudeltà, non c’era
mai quando Eva veniva a trovare Madeleine. Nonostante fosse sposata già da un po’, Madeleine, nel
timore di far qualcosa di sgradito al marito, che aveva voltato le spalle alla maggior parte delle sue
amiche di una volta, stava ben attenta a non imporgli Eva, di cui però gli imbottiva le orecchie la
mattina mentre lui si vestiva. Eva accettava di buon grado quella sua condizione furtiva, temendo di
riuscire sgradita per la sua scarsa importanza a quel signore dall’avvenire eccezionale, che non aveva
tempo da perdere ed era così difficile in fatto di donne.
D’altronde, gli inizi della sua vita di donna non le avevano dato una grande fiducia in se stessa. Era
stata sposata a un giornalista molto noto, già in là con gli anni. Quel bacucco, ancora gagliardo e
attivissimo, continuava dopo anni a essere sedotto dal proprio successo e non pensava ad altro. E il
successo per lui non consisteva nell’affinare sempre più la propria intelligenza, nel perfezionare la
propria autorevolezza sui fatti, ma nel piacere alle dame titolate - sì, ne esistono ancorarendendo il più
insipido possibile il suo pensiero, e nel guadagnare moltoscrivendo di tutto e vendendolo a chiunqueper
trattar bene quelle dame. Eva era stata per lui una brillante conquista: era giovane, ben fatta, piacente.
Ma alle duchesse non piacque: troppo esuberante, troppo grezza. Fu ripudiata. Tanto più che era povera
e di modesti natali; e il bacucco aveva perduto la sua sensualità a forza di vivere in un mondo illusorio.
Arrivando a Berlino Eva era ancora sotto il segno della sconfitta. Un giorno, tuttavia, Eva incontrò
Guillaume. Eva era bella, per essere la migliore amica della moglie di Guillaume, cosa che avrebbe
dovuto renderla sgradevole. Guillaume era attraente e presentato come un oggetto d’adorazione a Eva
da una donna sensuale e sottomessa. Erano fatti l’uno per l’altra, anche se non si fossero piaciuti. Ma si
piacquero.
Madeleine non si accorse di nulla. Non pensava che la sua migliore amica potesse avere del fascino e
se qualcuno, in quel momento, le avesse fatto delle domande e le avesse tolto il velo dagli occhi,
avrebbe detto che Guillaume non poteva essere attirato da una perdente.
Del resto, Guillaume ed Eva non lasciarono trapelare nulla dei loro sentimenti: un battito di ciglia era
loro bastato per capire il reciproco desiderio. Ricevuto quell’unico caldo sguardo, Eva s’impadronì del
pretesto che non si era ripetuto per seppellirlo in fondo a se stessa e sostenere di non aver sentito nulla.
Quanto a Guillaume, a cui piaceva avere qualcosa in serbo, aspettò tranquillamente l’occasione
propizia.
Eva pot’ credersi stupita quando una sera Guillaume, trovandola sola, andò diritto alla sua bocca.
Quanto mi piacete! E io, vi piaccio?chiese la bocca di Guillaume, che restava a un dito da quella di
Eva, sorpresa ma consenziente. Sì, improvvisamente.
Come, no?
Guillaume cadde dalle nuvole, vedendo che Eva resisteva tranquillamente ai suoi pressanti inviti. Gli
concedeva abbondantemente la bocca, ma rifiutava di dar seguito a quell’incontro.
E va bene, se volete saperlo,tagliò corto lei,non sarò la vostra amante. Mi piacete, non sarò tanto
stupida da pretendere di nascondervelo. Ma non ingannerò Madeleine... Del resto stavo andando via.
Domani questo episodio sarà bell’e dimenticato e potrò guardarla senza fare smorfie. Buonasera.
Raccattò lestamente la borsa e la pelliccia e uscì in un lampo. Poco tempo dopo, d’altronde,
raffazzonata l’inchiesta, lasciava Berlino.
Un anno dopo Eva, una notte, era sola su una nave. Andava su e giù e fumava una sigaretta in mezzo
alle stelle.
E s’era detta: ®Guillaume è infelice con Madeleine. Ha il diritto di lasciarla. Una volta che l’avrà
lasciata, avrà il diritto di scegliersi la donna che vuole. Dovrei rimaner tabù, in tal caso? Sarebbe troppo
crudele¯. Ma Guillaume avrebbe avuto il coraggio di divorziare, se non pungolato da un desiderio
contrastato? S’era detta ancora: ®Non voglio ridurmi a quei compromessi di cui si compiacciono le
altre donne con Madeleine e Madeleine con loro. Mi degraderei, così come lei si è degradata.
Preferisco perdere Guillaume¯.
Aveva rischiato di perderlo, ma aveva anche tentato la sorte di vincerlo meglio.
... Era tardi. Eva passeggiava da sola sul ponte superiore. La sua mente ronzava e addensava sempre più
su di lei un’idea di disastro. Si era comportata male, e senza guadagnarci niente. Il senso di inutilità
apriva il varco al rimorso.
Qualche mese più tardi Eva era al cinema, a Parigi, una sera, con amici. Improvvisamente scorse
Madeleine nell’ombra. La ferita, che cominciava a rimarginarsi, si riaprì. Trasalì e si rincantucciò nella
poltroncina.
Poi le venne voglia di vedere, di sapere. Dall’epoca dei fatti aveva viaggiato quasi tutto il tempo; aveva
poche conoscenze in comune con Madeleine, evitava di parlare della sua ex amica, e così non sapeva
nulla di lei. Spalancò gli occhi nell’ombra. Madeleine rimase un profilo enigmatico. Durante il breve
intervallo Eva vide che anche Madeleine era con amici, di entrambi i sessi. Le tornarono in mente i
cinema di Berlino, e il recente passato ridiventò il presente. ®Guillaume, dove sei? Madeleine, che
cosa ti ho fatto?¯. La fine del film, tuttavia, la prese alla sprovvista. Si sarebbe trovata faccia a faccia
con Madeleine! Infatti, mentre lei aspettava di uscire dalla sua fila, Madeleine si trovava nel corridoio
centrale, e la vide. Si guardarono con occhi dilatati dallo stupore e dallo sgomento che provano i soldati
innocenti che la battaglia getta uno contro l’altro. Poi abbassarono gli occhi e pensarono solo a sparire
tra la folla.
Ma i loro sguardi si cercavano. E, inesorabilmente, gli amici di Eva e quelli di Madeleine, in fila dietro
di loro, le sospingevano una verso l’altra.
Era bastata un’occhiata perch’ ciascuna si facesse un’idea dell’altra. ®Si veste meglio di prima¯, aveva
rilevato Eva. ®Ha l’aria fiera, direi trionfante. Trionfa della mia sconfitta... Ma no, ha l’aria contenta e
buona. Forse Guillaume? Ma no, è a Berlino. Un altro? Di già?¯.
Le ombre del ricordo così recente passavano e ripassavano sul viso di Madeleine, ma sembrava che non
riuscissero a fissarsi su un volto più pieno, più saldo di quello che Eva aveva conosciuto. Nel momento
in cui si trovarono fianco a fianco nel corridoio centrale, fu Madeleine che, senza peraltro guardare Eva
e con una bruschezza seccata, perch’ le seccava parlare, buttò là:Telefonami... Vieni a trovarmi
domani, dopo pranzo.
La violenza ironica della sua voce aveva fatto voltare gli amici di Eva.
Ma guarda, sei venuta,le disse con lo stesso tono, nell’ombra del piccolo ingresso in cui le aveva aperto
la porta. La seguì nell’appartamentino, dove subito si gettò su una poltrona, senza quasi guardarla. Non
le aveva teso la mano, ma la sua ironia non sembrava rivolgersi a Eva in particolare.
Sì.
Si scambiarono un sorriso misto.
Ne valeva proprio la pena,disse lentamente Madeleine. Ma non c’era asprezza nella sua voce. Forse che
il solo fatto di avere nuovamente una casa la rendeva superiore a Eva che abitava in albergo, e il
sentimento di quella superiorità la rabboniva?
Eva domandò bruscamente:
Ti manca molto, Guillaume?
Sì...
Ma...?
Ho un amante... tanto caro.
Sei di nuovo innamorata?
Non lo so. E’ buffo. Ho sofferto terribilmente, quando Guillaume mi ha scritto da Berlino di restare a
Parigi, ma avevo già sofferto tanto anche prima. Fu in quel momento, d’altronde, che mi sono resa
conto di aver sofferto tanto prima... Ti ho odiata, sono corsa a dirtelo... Adesso non lo so più.
Ami... quell’uomo?
Non lo so. Non lo saprò mai più, credo. Sono contenta, ma non sento più niente di forte come con
Guillaume. Eppure, provo più piacere forse con... G’rard. E poi, lavoro. Sono preoccupata, spesso
stanca. Lo sai com’è.
Eva la guardava con stupore e disapprovazione. Madeleine se ne accorse.
Sei stupita. Tu invece soffri.
Madeleine, smettendo di andare su e giù, tornò verso di lei. Si guardarono. Poi scossero tutt’e due la
testa. In fondo... E’ facile dirlo, ora,mormorò Madeleine.Hai ragione.
E si ributtò in una poltrona.
Eva si lanciò:
Sì, sarebbe stato disgustoso. Ci saremmo disgustate l’un l’altra; se avessimo fatto una cosa del genere
saremmo state tutt’e due disgustose.
Oh! io ero abbastanza disgustosa in quel momento. Ero così debole, così vile. Avevo una sola idea: che
non se ne andasse. Eva non l’ascoltava a sua volta. Non voleva lasciarsi sfuggire lo scrupolo tardivo
che accarezzava da quella notte sulla nave. Avrei potuto dirgli un ®no¯ più definitivo, non baciarlo
rimuginò ad alta voce.
Ahimè sì, siamo state allevate per sposarci. Lo sposerai, l’altro? Qualche volta ci penso, per abitudine.
Ma sto prendendo anche l’abitudine di non pensarci più.
Madeleine, tu fai la spavalda, ma in fondo sei piena di rimpianti.
Avresti preferito restare con Guillaume.
Ero vile. Perdere ®mio¯ marito mi sembrava una catastrofe irrimediabile. Ma adesso vedo che non ne
sono morta. ®E invece sì, cara mia, sei morta¯, pensò Eva. Soltanto ora, davanti alla cupa portata del
disastro, conosceva un vero rimorso. E’ perch’ anche tu lavori,disse, per mascherare il sentimento di
pietà che le saliva al viso.
Sì, ero in gran parte disarmata a causa di questo: la mia ignoranza della vita. Non avevo soldi e non
sapevo fare nulla. Vedevo davanti a me solo solitudine e miseria, una dopo l’altra. Il lavoro dà una
specie di personalità.
Oh! non esageriamo,esclamò Madeleine con un improvviso scatto d’ira.E’ un’abitudine; ti acquieta, ti
fa dimenticare. Io invece mi piaccio più di prima, di quando facevo la raffinata, sulla scia di quel
famoso e grottesco giornalista. Il tuo lavoro è più libero del mio. Ma... sei sola? Nessuno?
No, non mi sono data da fare.
Tu soffri.
Oh! ti prego, niente pietà.
Eva si era a poco a poco incupita. Si accorgeva che il sentimento del giorno prima era stata
un’illusione. Provava ancora amicizia per la Madeleine che era mortache lei aveva ucciso. Ma quel
sentimento apparteneva anch’esso al passato. In realtà, non voleva più bene a Madeleine. La Madeleine
che le stava davanti era una persona nuova, sconosciuta, di un’indifferenza, di un cinismo ripugnanti.
Tutto quello che aveva sofferto per lei era stato inutile, ridicolo e inutile. In fondo la gente è
indifferente anche al male che gli altri le fanno, non solo al bene.
Se ne andò, delusa, disgustatapiù delusa che disgustata. Il suo personaggio crollava insieme a quello di
Madeleine. Era di quel personaggio patetico la sua vittimache era vissuta dopo che Guillaume se n’era
andato. Aveva voluto toccare con mano quella sanguinosa prova della sua esistenza. Si trovava davanti,
invece, una persona in ottima salute, che con le cicatrici s’era fatta una nuova pelle. ®Questa persona
deve fare uno sforzo per vincere la sua spensieratezza, in modo da interessarsi alla mia sofferenza, a
questa sofferenza in cui mi sono sostituita a lei. Si è scaricata su di me e adesso riesce a stento ad
accordare uno sguardo a me e al mio fardello¯.
Alcuni giorni dopo Eva andò a un piccolo ballo privato dato da alcuni amici ricchi ed eleganti. Le tornò
d’un tratto il buonumore, fece colpo, si divertì e finì per flirtare con un giovane tedesco, che aveva già
conosciuto a Berlino. Tornando a casa verso le due del mattino si ricordò di Madeleine, e
improvvisamente si mise a ridere, con l’inevitabile grossolanità della convalescenzaquella stessa
grossolanità che le aveva dato tanto fastidio nella sua amica. In quel momento capì chiaramente che
tutti quegli scrupoli sulla nave le erano venuti troppo tardi, e di avere perduto. L’indomani fu svegliata
da una telefonata di Madeleine.
Sei ancora a letto? E il giornale?
Non credeva alle dichiarazioni di Philippe. Quelle parole la seducevano e la spaventavano insieme.
Prima di Philippe aveva conosciuto solo uomini d’affari piuttosto semplici e li reputava più fidati di
quel giornalista che parlava di tuttocompreso il suo amorecon frenesia.
La sua resistenza esasperò i sensi di Philippe, che le strappava appuntamento su appuntamento, e a ogni
appuntamento brani di confessione; e le ragioni che lei gliene diede con sincero positivismo resero più
amaro il suo modo di allora di vedere le cose. Philippe era stato smobilitato e la sua vita era cambiata
dall’oggi al domani. Fino allora non aveva mai avuto problemi di soldi; vivendo presso i genitori, agiati
borghesi, disponeva della sua paga: ora non più. E fino allora, anche, era stato un potenziale borghese:
doveva dare gli esami che stava preparando prima della guerra per entrare all’Ispettorato delle Finanze.
Ora, di colpo, vi aveva rinunciato, col proposito di vivere della sua penna. Il suo temperamento nervoso
era stato colpito dalle sofferenze di un anno di fanteria e la rabbia che lo possedeva gli dava l’illusione
di una grande forza personale. S’era messo a scrivere come si respira, senza preparazione. Collocava
qualche articolo a destra e a manca.
Il giovane, elegante ufficiale si trasformò di colpo in un vecchio studente dai sogni tardivamente
incerti. Mariette si conformò nell’idea che si era fatta fin dal primo momento: Philippe non poteva
assicurarle quell’arrotondamento reso indispensabile dal suo irrisorio salario e che d’altronde non
aveva mai voluto accettare se non da un uomo che aveva amato e da un altro che stimava. Philippe non
poteva, quindi, come lei a tratti aveva cominciato a sperare, sostituire quest’ultimo, la cui goffaggine a
letto le raffreddava il cuore; aveva conosciuto la miseria, e dall’infanzia cercava di starne lontana con
tutte le sue forze. Non capiva l’atteggiamento temerario di Philippe verso quella miseria che non
conosceva. Difendeva da lui tutto quello che s’era conquistata.
Disgraziatamente, se aveva già conosciuto certe raffinatezze materiali, ne voleva delle altre. Ora,
accadeva che quelle raffinatezze Philippe gliele offrisse mettendo in pericolo le prime. Senza alcun
potere sul denaro, gettava su ogni cosa sguardi indifferenti o sprezzanti nell’appartamento riempito a
poco a poco dalla liberalità dei due laboriosi amanti. Ma in quel letto a cui faceva togliere le lenzuola di
seta trascinava Mariette in un’esaltazione dei sensi e del cuore che a poco a poco si faceva troppo
preziosa per la giovane donna. Lui apparteneva a una borghesia più raffinata di quella del costruttore di
cinema, che si era fatto da s’; la cosa faceva piacere a Mariette, che allo stesso tempo si stupiva e si
divertiva della sguaiatezza dei compagni di Philippe. Le era difficile lottare contro diversi piaceri.
L’agiatezza dei genitori di Philippe gli permetteva di coltivare una certa mollezza e un certo gusto per
la sensualità. Viveva ancora con loro, e quel punto d’appoggio gli consentiva quella sua bohème
arrogante. Mariette non aveva un punto d’appoggio altrettanto solido. E per questo Philippe era
pericoloso per lei. Giunse il momento in cui dovette riconoscere che Philippe non poteva più essere
tenuto da parte e che bene o male doveva riservargli un posto a fianco dell’altro. Appena l’ebbe
ammesso, Philippe se ne accorse e cambiò. Dall’oggi al domani, si fece più esigente e le chiese di
congedare l’altro.
Non prometteva affatto di rimpiazzare ciò che lei avrebbe perduto; non aveva un soldo. Lei avrebbe
dovuto lasciare l’appartamento, il suo prossimo futuro di donna sposata. Le sarebbero rimasti i mille
franchi al mese della sua casa di mode. Con due parole Philippe demoliva disinvoltamente tutti gli
sforzi di Mariette dall’età di quattordici anni.
Si ribellò. Per rompere con Philippe confessò tutto all’altro, chiedendogli di perdonarla e di difenderla
da un nemico, un uomo egoista e ingiusto.
L’altro credette di perdonare, ma a poco a poco cedette al rancore; fece parlare la portinaia, che ammise
le ricadute di Mariette, e un bel giorno decise di finirla. Con le sue chiavi di amante ufficiale entrò
nell’appartamento mentre Mariette non c’era, fece man bassa dei pochi gioielli che le aveva regalato e
se ne andò per non tornare mai più.
Mariette, dall’oggi al domani, si rassegnò all’eroismo che peraltro si presentava, nei primi tempi, come
una voluttà infinita che più nulla poteva fermare.
Una voluttà con cui Philippe non chiedeva altro che accecarsi, per non vedere la piega che in un batter
d’occhio aveva già preso la sua vita. Se non s’era più curato del suo avvenire all’Ispettorato delle
Finanze era perch’ aveva un sogno ambizioso. Pensava di diventare rapidamente uno dei principali
giornalisti politici del suo tempo e alcuni colleghi, che s’erano già fatti strada, avevano vantato a destra
e a manca la sua vena risentita. Altri scuotevano la testa e si rifiutavano di vedere in Philippe altro che
un dilettante che non aveva imparato a scrivere e non si decideva a farlo. Avevano ragione loro.
Philippe, che nei limiti di un mestiere ben determinato avrebbe probabilmente fatto miracoli, si perdette
nelle prospettive incerte e ingannevoli del giornalismo. Non trovò la disciplina che lui solo poteva
darsi; fu vittima di quella negligenza subito decisiva che fa dimenticare a un giovane di definire le sue
doti attraverso il lavoro. Dopo alcuni fallimenti nella grande stampa, si ridusse a scrivere per una
gazzetta di guerra. Sebbene là, come altrove, gli avessero rifiutato una posizione importante, nutriva
ancora delle illusioni. Mariette, così diffidente quando s’erano incontrati, aveva perduto a poco a poco
il senso della realtà; cominciò a credere nell’avvenire di Philippe nel momento in cui appariva
definitivamente compromesso agli occhi di giudici più imparziali.
Aveva bisogno di quella speranza per sopportare i primi tormenti della sua nuova vita. Nel giro di un
anno non aveva quasi più vestiti n’ scarpe. Vendette la pelliccia per pagare l’affitto; non riusciva a
rassegnarsi a lasciare l’appartamento.
Philippe le rinfacciava di non riuscire a fare a meno dei suoi miseri averi; lui non aveva alcun bisogno
di comodità. Cominciò allora a prendere delle abitudini che l’avrebbero accompagnato tutta la vita.
Quell’uomo, che era stato un giovane borghese curato, uno studente scrupoloso, in guerra s’era
scoperto un’indole imperiosamente rozza. Si abbandonò completamente alle delizie animalesche e
modeste della pigrizia. Un pacchetto di sigarette al giorno e il cinema ogni tanto, un pomeriggio in
barca sulla Marne: questo è l’amore, non chiedeva altro. Le chiacchiere con tizio o caio, la calda
atmosfera del giornale, i minuti privilegi che il suo mestiere gli garantiva nella vita parigina, finivano
per fargli dimenticare le sue ambizioni. Era un bell’uomo, e avrebbe potuto avere molto successo con le
donne se non fosse stato fedele. Fedeltà fatta di gelosia, perch’ non aveva dimenticato quant’era stato
difficile conquistare Mariette, e la professione di lei lo teneva in una salutare inquietudine. Basta che
una donna abbia resistito un’ora a un uomo per conservare un lungo prestigio, anche se gli si è data
mani e piedi legati. Lei si consolava di non avere più vestiti, dato che era così ben amata nuda. Ma, alla
lunga, quel prestigio si consumava. Philippe cominciava a guardarsi intorno. Tanto più che la maggiore
libertà di Mariette aveva diminuito la sua, di cui era già ferocemente geloso, come può esserlo uno
scapigliato borghese che ricuperi così l’avarizia. Aveva voluto che Mariette fosse tutta per lui, ma non
gli passava affatto per la testa di ricambiarla. Volendo mantenere i contatti con la famiglia, nemmeno
per un attimo pensò di vivere con lei. Le amiche di Mariette, che, ricche o povere, si erano commosse
per il sacrificio che questa faceva all’amore, erano prossime all’indignazione. Ma Mariette spiegava
loro i privilegi di Philippe, che lei credeva fossero quelli dell’artista, che erano in realtà quelli del
ragazzo di buona famiglia.
Ciononostante riusciva ancora a difendersi, e le capitò di uscire con altri uomini; provava piacere, per
la durata di una cena, a dominarli con facilità.
Forse Mariette e Philippe si sarebbero separati senza dolore, se non fosse intervenuto un fatto gravido
di conseguenze: Mariette rimase incinta. Era abituata a certe pratiche, era ben addestrata da Philippe,
aveva represso profondamente in s’, a quell’epoca, la speranza di sposarsi; perciò non si meravigliò
della decisione di Philippe.
Tesoro, lo capisci anche tu, non abbiamo soldi. Col mio mestiere...
Ah! se avessi soldi, sarei felicissimo di avere un bambino da te.
Ma... che vuoi?
La decisione fu presa rapidamente e senza grande emozione n’ da una parte n’ dall’altra. Quelle poche
parole decisero di colpo la sorte di quei due esseri. I mezzi di fortuna usati da Mariette, e che in altre
occasioni l’avevano risparmiata, stavolta ebbero ragione della sua salute di donna. Rimase menomata
come tante altre, dopo aver rischiato di morire.
Philippe, che, fino allora, tanto nei confronti di Mariette che di se stesso era stato principalmente uno
sconsiderato e un incosciente, tutto preso dal suo egoismo giovanile, si riscosse a metà. Fu assalito da
un violento rimorso: per la prima volta in vita sua, malgrado l’esperienza in guerra, si scontrava con il
sentimento dell’irreparabile. La morte, che aveva sfiorato tante volte nelle Argonne o in Piccardia,
entrava per la prima volta nel suo cuore. Tuttavia sconvolse solo a metà le sue inclinazioni e le sue
abitudini. Ma se delle decisioni assolute non seguono immediatamente un tale sconvolgimento morale,
ci si accorge più tardi che non è servito a nulla. Fu così che quella nuova tenerezza, dolorosa e
compassionevole, che unì nuovamente Philippe a Mariette convalescente, assicurò la futura infelicità di
lei.
Fu quello di cui si rese conto poco tempo dopo il suo amico Xavier Cormont. Questi occupava nella
stampa di destra un posto alquanto incerto, sul tipo di quello che Philippe avrebbe potuto occupare col
minimo sforzo nella stampa di sinistra. Malpagato e trattato ruvidamente dai colleghi, Cormont
sviluppava un talento ineguale ma tenace. Sembrava aver rinunciato alle grandi ambizioni e ostentava
in ogni cosa una saggezza un po’ affettata.
Qualche volta pranzava con la coppia, ascoltava le confidenze di Philippe e intuiva quelle di Mariette,
che trasparivano sul suo viso chiaro, ora segnato.
Perch’ non lasci Mariette?domandò un giorno a Philippe con la bisbetica lucidità dei vecchi amici.
Come? Ma se l’amo,rispose questi, e subito assunse un’espressione ansiosa.
L’ami ancora. Non aspettare di non amarla più. Se la lasci al momento giusto, soffrirete meno tutti e
due, soprattutto lei. E poi... E poi?
Quanti anni ha?
Trentaquattro.
Non sarà bella ancora per molto. Le belle bionde come lei si sciupano, se non altro col lavoro.
Sì, lo so,mormorò Philippe,il suo mestiere è sfibrante; nessuna continua così a lungo.
Per dirla chiara e tonda, lasciala quando è ancora in tempo per trovarsi un amante più serio di te.
Contrariamente a quello che si aspettava Cormont, Philippe non protestò contro la morale borghese che
gli era stata così ricordata. Ora capiva che per Mariette, che era onesta, il ricorso a un uomo capace di
lavorare per lei era solo un ripiego, una difesa maldestra ma necessaria contro la prematura decadenza
che le sue belle carni bianche non meritavano.
Ma non voleva guardare le cose in faccia, si rifugiava in giuramenti, in formidabili esecrazioni del
traditore che sarebbe stato un giorno. Vecchio mio, non la lascerò mai. Ho rovinato la sua vita per
incoscienza ed egoismo. Era fatta per avere bambini, con quei fianchi. C’era in lei una sorgente
inesauribile di salute e di fecondità. Quando la coscienza grida nella via, la gente, che sa bene di quali
eccessi potrebbe essere capace se le aprisse la porta senza precauzione, le getta dalla finestra una delle
sue azioni, una sola. Del resto Philippe aveva scelto la più atroce.
Non puoi restare con lei tutta la vita.
Perch’ Cormont lo diceva con tanta sicurezza? Pensava soprattutto che Philippe si sarebbe stufato,
presto o tardi, di quella vita disordinata, che in lui si sarebbe ridestato il borghese e che Mariette
sarebbe stata la prima vittima di quel cambiamento. Giudicando le cose da se stesso, che, bravo
giornalista senza grande notorietà e che metteva su pancia, sotto sotto sognava un comodo matrimonio,
si sbagliava. Ma sbagliava solo circa la china che avrebbe scelto il tedio di Philippe.
La prima cosa che venne meno fu quella che sembrava più solida: il richiamo dei sensi. Per parecchi
anni Philippe era stato un amante totalmente devoto, assolutamente fedele. Ne erano garanti la sua
povertà e il suo orgoglio, oltre alla naturale concentrazione dei suoi sensi, che, proiettata su altri oggetti
che non una donna, avrebbe potuto fare di lui un artista. Improvvisamente parlò dei lunghi ritardi della
sua curiosità, reclamò la libertà. Cominciò a tormentare Mariette. Erano anni che pretendeva di fare di
lei una donna ®moderna¯, aperta a tutte le indulgenze consigliate da una certa filosofia della natura,
una libertaria, premunita contro la tirannia del sentimentalismo. Ma, sotto la sua apparente
acquiescenza, la sensibilità di Mariette era rimasta tale e quale, pronta a nutrire la sua sofferenza.
Philippe ebbe delle avventure, e, non volendo ingannarla, la straziò con gli artigli di un cinismo che,
sempre più acuminati, armarono un po’ alla volta un vero e proprio sadismo. Tornava spesso da lei, ma
per tormentarla meglio. La sensualità che le riportava versava su di lei l’acido dei paragoni più sleali.
Una donna può singhiozzare tutti i giorni per mesi, per anni.
La nostra vita è un inferno!gridò lui un giorno. Aveva fatto di tutto perch’ fosse così. E, da allora,
l’idea della separazione entrò in lui. E in lei. Faceva un male atroce all’uno e all’altra. Per lui era la fine
della sua coscienza. Dopo l’aborto di Mariette aveva imperniato la sua vita, con miserabile futilità,
sull’idea negativa che, se non avrebbe mai fatto molto bene alla sua compagna, non le avrebbe mai
fatto neanche molto male. In quanto a lei, tutte le promesse con cui la vita l’aveva lusingata qualche
anno prima, pensava spesso di attirarle di nuovo, di ricondurle sul suo destino. Bench’ vedesse i difetti
e le debolezze di Philippe, aveva ancora fiducia in lui. E’ difficile, per una donna senza educazione e
che ha poca esperienza del mondo, misurare il valore di un uomo e soprattutto ridimensionare quello di
un amante che esercita su di lei una completa autorità fisica. Anche lei pensava, come Philippe, che
fosse misconosciuto e che un giorno o l’altro un miracolo avrebbe illuminato i suoi amici, che entrambi
sospettavano lo mettessero in ombra senza parere presso i direttori dei giornali. Al di là di questa
fantasticheria si riposava in tutta innocenza su un futuro più positivo: le risorse borghesi che la
meschina esistenza del suo amante continuava a racchiudere, la sua futura eredità, che un giorno
avrebbe dovuto dividere con le due sorelle sposate a ufficiali dell’esercito. Aveva sempre sopportato
che Philippe vivesse coi genitori, perch’ quell’abitudine costituiva un legame tra un passato miserabile,
sempre più lungo, e un avvenire riposante e comodo, sempre più breve, ahimè! Mariette che, a
trentacinque anni, cambiava ancora vestito cento volte al giorno in un camerino di place Vendome,
riposava in tutta innocenza il suo bel corpo esausto su quella promessa d’avvenire. Ma, soprattutto,
contava sul matrimonio. Questa dolcezza, senza figli, non è che un’amara illusione, ma per milioni di
donne senza risorse e senza famiglia, sperdute nel deserto delle città, può ingannare l’angoscia di essere
sole.
Ed ecco che Philippe la ripiombava in un’indigenza peggiore di quella dei suoi quattordici anni,
quando, apprendista arrivata a Parigi, non sapeva di essere bella e la sera camminava, con le scarpette
scalcagnate, verso una soffitta vuota.
Se non ti amo più,gridò Philippe col viso contratto dalla paura, niente può far sì che ti ami ancora. E se
non ti amo più, non posso più vivere con te.
Si fermò e la guardò. Gli sembrava di affondare un coltello e di veder sgorgare il sangue. Il rosso
zampillo fu questo grido:
E allora vattene!
Perch’ due vittime, anzich’ una sola? Se mi uccido, devo morire con te? Se resto con te, la mia vita è
finita.
Pensava con orrore alla noia che adesso guastava le sue serate con lei.
Ti ho dato tutta la fine della mia giovinezza, mormorò Mariette.
Non è una ragione per prenderti la mia maturità. Quel giorno Philippe doveva sputar fuori tutto. Lei si
ammantò della propria ignominia.
Sono senza soldi, la bellezza se ne va, finirò a fare l’operaia.
Lui batt’ i pugni contro il muro.
Non cambiare discorso,digrignò.Una cosa è l’amore e un’altra i soldi. Non avrai meno soldi senza di
me che con me. Aveva dimenticato quello che le aveva fatto perdere. Mariette tacque. Non osava più
pensare all’eredità di Philippe, e non aveva più n’ voglia n’ speranza di piacere a uno di quegli uomini
sicuri come quelli che l’aspettavano una volta in place Vendome. In quelle tenebre, cercava a tentoni
l’ira come una scatola di fiammiferi che può appiccare un incendio salutare, annientare il passato; ma la
sua mano asservita non la trovava. Philippe ripeteva:
Sono due cose diverse.
Non osò però aggiungere: ®Se tu avessi soldi, saresti meno triste di lasciarmi¯. Sentì che sarebbe stato
odiosamente stupido: il dolore non si misura. Non gli rimase che ripetere a pappagallo le sue massime
libertarie:
Anche tu avresti potuto cessare di amarmi e aver voglia di andartene con un altro. Il rischio era
reciproco.
Ma Mariette non era libera di non invecchiare più in fretta di Philippe. Lottava come poteva contro
quella fatalità. Ora, l’unione dell’uomo e della donna è un’assicurazione del più debole contro il più
forte, e spesso del più anziano contro il più giovane. E’ la necessità che fonda l’istituto del matrimonio,
e s’impone nella convivenza con forza ancora maggiore, perch’, in questo caso, agisce più direttamente
sul segreto delle coscienze. In una convivenza, dopo qualche anno, il più debole guarda l’altro ed è
prossimo a riposare infine sull’idea di averlo assoggettato definitivamente. Se l’altro ha ancora
abbastanza forza avverte la minaccia, pianta tutto e si cerca un compagno più giovane.
Mariette, donna buona, senza malizia, senza amici, senza famiglia, senza educazione, di fronte a un
uomo che aveva un po’ di tutto questo sembrava senza difese: aveva però un’alleata, la pietà, che si
aggirava intorno al cuore dell’altro.
Philippe si difendeva fieramente da quella adescatrice. Certo, se fosse stato più forte nella lotta con gli
uomini, avrebbe avuto il diritto di difendersi da quella sirena, i cui canti melliflui ti attirano su isole di
desolazione. Ma, e l’unico rimorso che ebbe fu questo, riusciva a essere duro solo con le donne. Del
resto, subdolamente, s’era sempre difeso da Mariette: per esempio, non aveva mai voluto vivere con
lei. Se non la lasciava adesso, avrebbe dovuto ammettere una buona volta i suoi legami e finire per
andare a stare da lei. Quella prospettiva l’obbligò bruscamente, dopo dieci anni, a riconoscere tutto
quello che a Mariette mancava per soddisfarlo e tutto quello che poteva ancora trovare al di fuori di lei.
Ormai maturo, spenta la voluttà, Philippe si rendeva conto che quella donna, che esigeva da lui il resto
della sua vita, era la causa del male che si era fatto. Era vero che lei non aveva nessun senso
dell’ambizione. Se non fosse stata bella, non sarebbe mai uscita dalla miseria; non aveva mai avuto la
minima intuizione di valori superiori; perciò non aveva potuto fare a Philippe nessuna critica salutare
n’ spronarlo con l’ironia. Senza volere, aveva lasciato che Philippe si perdesse nella pigrizia e nella
faciloneria. Una reazione tardiva e vana, un oscuro rancore sollevò Philippe contro di lei. Un uomo non
perdona alla sua compagna le proprie debolezze. Le cose, crudelmente, andarono per le lunghe.
Passarono due o tre anni. Bisognava, per finirla, che una volontà s’imponesse a Philippe e a Mariette,
entrambi incapaci di avanzare o indietreggiare. Questa volontà fu quella di una donna che si innamorò
di Philippe. Si vide allora che questi era animato dalla voglia di trovare qualcosa di meglio di Mariette,
ma che aveva passato troppo tempo con lei per poter ormai innalzarsi molto al di sopra di lei. Aveva
messo su pancia, i denti macchiati di nicotina, si lavava poco e tutti i suoi discorsi spiravano rancore.
Ren’e Loret era una giovane giornalista in cui Philippe trovava un interlocutore per le interminabili
chiacchiere che andavano sostituendo, sempre più in lui, la lettura e lo studio. Più istruita, non era bella
come Mariette; ma il suo tipo fisico ricordava in modo evidente, come capita spesso, il tipo
dell’abbandonata. Ammirava Philippe, che era superiore, sotto tutti gli aspetti, agli amanti che aveva
avuto fino allora, e che erano per l’appunto quei mediocri colleghi che nei caffè costituivano la risibile
corte di Philippe. Era altrettanto urgente, per lei, conquistare un’ombra, quanto per Mariette conservare
quella che l’aveva affascinata così a lungo. Diede risolutamente battaglia, e vedendo che Philippe si
barcamenava e sembrava voler dividere il suo tempo tra lei e Mariette, ebbe il coraggio di lasciare il
lavoro e di fare la fame in Spagna per parecchi mesi, pur di farsi desiderare.
Quando tornò, Philippe non vedeva Mariette da un mese. Una sera tornò per dirle che la lasciava.
Mariette urlò, comprò una pistola. Qualcosa la salvò, una lieve impurità nella sua vita.
Aveva continuato a tenere il suo appartamentino di Neuilly. Con quali soldi? Aveva fatto credere
all’amante di aver avuto un forte aumento di stipendio. Ma, di quando in quando, vedeva un socio del
suo ex amico. un uomo scialbo e puntuale che non pareva chiedere più di quei pochi minuti durante i
quali lei si lasciava ammirare di quando in quando.
Una sera che aveva rifiutato di ricevere quest’uomo e che, sola, andava mulinando l’idea dell’omicidio,
quell’uomo entrò a forza in casa sua.
Aveva intuito il suo stato d’animo. Quell’uomo non era molto sensibile, ma la gelosia che nutriva da
mesi, in silenzio, nei confronti di Philippe, aveva fatto di lui, per sempre, lo schiavo di Mariette. In un
impeto di gioia esclamò:
Dopo tutto, l’avete pur tradito con me!
Quelle parole, che fecero arrossire Mariette, le tolsero per un attimo la coscienza del suo diritto; rimase
disarmata.
IL TRUCCO MESCHINO.
Quando vedevo insieme il grosso Robert Fournier e Maud Galland, mi domandavo ogni volta qual era
il loro segreto. Perch’, insomma, c’era qualcosa di anormale nell’affiatamento di quella coppia. Non
tanto perch’ lui la manteneva e lei si faceva mantenere; tutti i rapporti umani si reggono sul denaro. Il
denaro deve circolare, passare di mano in mano. Chi ne ha lo dà a chi non ne ha. E, naturalmente, una
donna bella ha più soldi di una donna brutta. Ma n’ Maud n’ Fournier erano persone volgari. Non
riuscivi a pensare che l’uno o l’altro dei due si accontentasse trionfalmente della semplicità di questo
rapporto, come fa la maggior parte della gente. Fournier era un uomo fine, l’ultimo grande mercante di
quadri, e Maud una donna tanto buona quanto fiera, a giudicare dai suoi discorsi. Ora, Fournier era
talmente brutto che non ci si poteva immaginare il loro accoppiamento se non come una cosa orribile.
Come raffigurarsi senza disgusto quel corpaccio bolso, quella bocca deforme su carni così delicate, così
fresche, malgrado i trentacinque anni passati? Andavo abbastanza spesso da Maud Galland, che
riceveva poche, scelte persone. Aveva l’aria felice, libera, piena di dignità. Aveva forse un amante
segreto che la consolava a usura? Come mai, comunque, non serbava rancore a Fournier? Gli parlava
con una gentilezza che non era simulata, ci avrei messo la mano sul fuoco. E lui rispondeva col tono di
un uomo che non è n’ un solenne incosciente n’ un cinico del compiacimento.
Eppure... Pure la gentilezza di Maud non mi tornava. E quanto a lui, c’era una sfumatura di rispetto un
po’ troppo calcolato nella sua discrezione con lei.
Quella sera mi chiedevo ancora una volta qual era la tara che pareggiava quei due pesi. La cosa mi
interessava perch’ sentivo che era un equilibrio vivo, ottenuto sulla vita non senza difficoltà; mi pareva
di vederli fremere, bench’ n’ l’uno n’ l’altra si lasciassero sfuggire alcun gesto che potesse apparirmi
come un indizio. Di colpo, stanco di chiedere a questo e a quellopiù o meno sempre con la stessa
risposta: ®Ma lei ne è molto innamorata! Si è fatta così tranquilla!...¯mi decisi a intervenire di persona,
a tentare una prova. ®Le farò un po’ di corte¯, mi dissi. ®So di non piacerle; la prima volta che l’ho
vista, ho capito subito che non avrei mai avuto alcun potere su di lei. Ma, se non altro, il suo modo di
reagire mi darà forse un’indicazione. E poi vedrò anche come lui prende il mio tentativo¯.
Detto fatto. Mi avvicinai a Maud. che discorreva con P..., il pittore, e rideva a gola spiegata. Maud è
una donna bianca, rosa, bionda, che spira una sensualità felice. Non era difficile, ahimè!, fingere di
esserne innamorato. Naturalmente lei si accorse subito del mio cambiamento. Quegli stupidi dei miei
occhi avevano parlato prima che avessi trovato le parole adatte.
Che diavolo vi prende?mi domandò tranquillamente, dopo avermi dato un po’ di corda.
Vi dico stasera quello che avevo voglia di dirvi la prima volta, su quella barca dove ci hanno presentati.
Ma è una storia vecchia.
Chi sa?
Tuttavia siccome aveva l’aria di divertirsi, guardai Fournier con la coda dell’occhio. Sì, mi sorvegliava,
ma senza darlo a vedere. Insomma, che diavolo vi prende?ripet’.
Il suo sorriso aveva già reso impossibile e ridicola la mia simulazione. Non mi restava che essere
sincero:
Io non vi piaccio; ma, se vi piacessi, dovrei fare ancora a meno di voi?
Ah! siete come tutti gli altri: volete sapere se sono innamorata di Fournier.
Ma certo.
Allora non vi rispondo,mi disse con un tono bruscamente più duro, scoccandomi un’occhiata mista di
rimprovero e di disprezzo. Ogni conversazione, ogni relazione diventa impossibile, lo sapete, se non
c’interessiamo un po’ ai segreti degli altri. Sì, ma io sono decisa a barare.
Bene, eccomi respinto senza beffe ma col danno. Ci voltammo le spalle. Mi avvicinai a Fournier. Mi
sentivo in vena di sincerità, così di colpo:
Mio caro Fournier, cinque anni di lealtà spazzati via in un attimo.
Stasera ho provato a corrompere Maud.
Vedo,mi rispose fissandomi.
Riscontrai in quello sguardo una certa parentela con quello di Maud.
Mi sentii più vicino al loro segreto, e questo m’impazientì. Maud, vedendomi con Fournier, tornò verso
di me. Disse con un riso schietto, senza malizia:
Lui sì che fa il suo dovere. Mi ha finalmente fatto la sua dichiarazioncella. Mi mancava il suo suffragio.
Sì,dissi con un sorriso di convenienza, siamo tutti e tre contentissimi.
Ebbene! figuratevi che due mesi dopo Fournier mi telefonò in ufficio.
Un giorno, verso le sei:
E’ libero stasera? Venga a cena da me.
Avevo un impegno senza importanza; mi prese una speranza improvvisa, e risposi spudoratamente:
Mi libererò.
Cenammo insieme, noi due soli. Quell’uomo brutto si circonda di cose bellissime, e non le ama
d’amore venale. Parlammo di questo e quello. Sembrava piuttosto distratto, preoccupato, triste.
Improvvisamente alzò la testa e disse con un sorriso amaro:
Volevate sapere come stanno le cose tra me e Maud. Ebbene, stasera ve lo dirò. Non ne ho mai parlato
con nessuno, ma sono stanco di portare questa croce. Tanto peggio se andrete a raccontarlo in giro.
Attento, Fournier, potreste rimpiangere di aver parlato. Mi detestereste, cosa che non vorrei.
Fece un gesto per allontanare queste parole enfatiche.
Non sono mai andato a letto con Maud. Sono una persona onesta, io. So quanto sono brutto e quanto la
mia bruttezza aumenti accanto a quella donna così bella, no? Ho posto l’astinenza come condizione
della nostra relazione. Ho un’altra amante. Una sola; non sono un dongiovanni: troppo sensuale. Vado
spesso da lei, che d’altronde, nel suo genere, è altrettanto bella di Maud, forse più bella, più giovane.
Faccio sempre in modo di essere esausto quando vedo Maud. Con questo sistema sono sempre riuscito
a trattenermi: non mi è mai sfuggito un gesto.
S’interruppe bruscamente e si alzò dal tavolo a cui eravamo ancora seduti:
Andiamo in biblioteca,disse.
Credetti che rimpiangesse la sua brusca confessione e che non avrebbe più detto nulla. Aveva parlato
con un tale orgoglio! Improvvisamente quell’omaccione fiacco aveva mostrato una specie di statura
virile. Ma mi offrì uno dei suoi ottimi sigari e riprese:Ebbene! mi faccia delle domande, su.
Forse ha detto abbastanza, Fournier.
E va bene! no,dichiarò con un piacere in cui balenava un pensiero amaro, attuale,non mi ha creduto.
Furbacchione,non potei fare a meno di ironizzare,l’avete fatta ingelosire.
Non subito. Per un anno tutto ha funzionato benissimo. Il mio era un gioco prudente. Ma a poco a poco
lei ha perso la pazienza. E allora?
Mi ha teso delle trappole, mi ha fatto la corte. Rise mettendo in mostra i denti guasti.
Mi ha quasi desiderato,concluse.
E i suoi occhi cercavano nei miei il disgusto. Per sfuggire il suo sguardo dissi qualcosae, naturalmente,
fu un’uscita infelice. Era quello che voleva.
Ora non trionfava più. Era stata solo un’ondata di ricordi. Visibilmente provava qualcosa, in quegli
istanti, che si ripercuoteva sui bei momenti della sua memoria, offuscandoli. Mi racconti,dissi con voce
paterna, un po’ per curiosità un po’ per distrarlo dai suoi attuali pensieri.
Sì; una sera, dopo un piccolo ricevimento da lei, stavo andando via, come tutte le altre volte; mi ha
trattenuto. Era molto bella, e turbata... moralmente turbata -. (Non contava più frottole; la sua grassa
faccia era tutta gialla).Mi ha detto che la umiliavo, che ero un mostro, che le faceva orrore aver
accettato un simile patto, che lo sapeva che ero un uomo normale. Poi, dopo una pausa, mi inferse un
colpo improvviso: ®So che avete un’altra amante!¯, mi gettò in faccia. Ma io mi irrigidii e non battei
ciglio. Mi accorsi subito che non sapeva nulla e che solo l’istinto l’aveva portata vicino alla verità. Non
faceva che ripetere la stessa vaga lagnanza: ®Voi mi umiliate¯.
Ebbi un momento di esitazione. Mi aveva teso una vera e propria trappola, ma più profonda di quanto
pensasse. Perch’, d’un tratto, mi faceva vedere tutto l’ignobile secondo fine che si celava,
effettivamente, dietro la mia generosità. Non sono certo uno stupido, non credo esistano sentimenti
nobili come quelli che si vedono a teatro. Sapevo d’aver agito per passione, per passione della bellezza
e per amore verso di leima anche che c’era un rancore anticipato nello slancio con cui mi ero gettato in
quell’avventura. E quel rancore non mi sembrava diminuire minimamente la forza legittima della mia
passione; ne era l’inevitabile contropartita. Ma poi la realtà ti sorprende sempre. Per un lungo momento
mi persi d’animo davanti a quell’ignominioso sfondo che brutalmente si faceva avanti, diventava
primissimo piano...
Guardai Fournier che continuava ad andare su e giù tra i libri, consumando lentamente il suo sigaro, e
che non si occupava più di me. Fanfarone, ma anzitutto sincero.
Fui sul punto,continuò,di confessarle tutto. Così, senza neppure tanti stratagemmi, grazie al più
semplice moto istintivo, stava per indurmi a confessare. Un attimo, e avrei perduto la miserabile
posizione che avevo saputo conquistarmi presso quella donna...
Si arrestò bruscamente in mezzo alla stanza e si voltò verso di me. La cenere cadde dal sigaro
improvvisamente dimenticato e gli si sparse abbondantemente sul ventre:
Mi credete, vero, se vi dico che non mi aspettavo niente di più?
Mi chiedete troppo.
Dovevo averlo deluso, ma dopo un po’ riprese:
Ciò che mi salvò fu che lei dichiarò con fermezza sincera che mi avrebbe lasciato. In fondo in fondo
non credevo che l’avrebbe fatto, ma mi fece abbastanza paura da ridarmi il gusto di tentare il tutto per
tutto. Decisi subito di non dire nulla. Se si credeva capace di gettarsi dietro le spalle i miei soldi, la
tranquillità del suo avvenire, c’era in lei una certa grandezza. Meritava che continuassi a vegliare sulla
sua felicità.
E poi, improvvisamente, vidi in quale squallore saremmo caduti se le avessi confessato tutto. Provate
un po’ a pensare se d’un tratto le avessi detto: ®Ti amavo, ma avevo paura del tuo disgusto. Adesso,
forse, non ti disgusto più. Sono tuo¯. Ma mi vedete, con questa pancia, con questa bocca, ad accordarle
i miei favori, a Maud così bianca?...
Così bianca, infatti.
Si chinò subito su di me per sorprendere nei miei occhi il balenio del desiderio. Sogghignò, poi
concluse:
Mi sarei avvicinato a lei, l’avrei presa tra le braccia. “Avrebbe chiuso gli occhi...” Che orrore!
Tacque, si lasciò cadere in una poltrona, masticando il sigaro. Dopo un po’ domandai:
Andatevene, vi prego.
Stavo per obbedirle, intuendo che lì vicino doveva esserci un uomo, quando difatti questi apparve dalla
parte opposta, dietro una grossa macchina, come se avesse voluto sorprenderci. Era Bertrand Baunier.
L’avevo conosciuto a Parigi, ma non sapevo che avesse una relazione con Marguerite, cosa che mi
apparve subito chiara.
Al vedermi, il viso di Bertrand si contrasse prodigiosamente. Quella reazione eccessiva mi meravigliò
quanto quella che aveva stravolto e stravolgeva tuttora il volto fine ma tirato di Marguerite. Tuttavia
Bertrand riprese subito il controllo di se e venne verso di me tendendomi la mano con fare molto
amabile. Ma la sua voce era così turbata che mi passò per la testa l’idea che tra quei due doveva
svolgersi qualche dramma, e che un terzo, chiunque fosse, era di troppo.
Buongiorno, mio caro, da quanto tempo non ci vediamo! Bisogna venire in Spagna...
Si voltò bruscamente verso Marguerite. Ma fu con voce improvvisamente più sicura, più calma, che le
disse:
Vi conoscete? Il signor Gille X... la signora Peniel. C’era qualcosa di tranquillamente convenzionale in
quella presentazione, il che mi fece pensare che non fosse al corrente del malaugurato passato.
Meditavo di andarmene, ma Bertrand, rivolgendosi a me, si comportò come un uomo sinceramente
felice di trovare un altro per cui ha sempre nutrito una viva simpatia, oppure come uno stanco di stare
da solo con una donna.
Bertrand insistette perch’ cenassimo insieme. Non riuscii a nascondere che ero libero e solo, tanto fu
brusco il suo attacco. Mi sarei schermito meglio, forse, se all’improvviso Marguerite non avesse dato
l’impressione di dimenticare completamente il suo primo impulso e di accettare la situazione con la
massima spontaneità. Così passammo insieme la serata; facemmo anzi le ore piccole, andando dagli
zingari. Bertrand fu sorprendentemente vivace. Non era allegro, ma parlava di ogni cosa con un’ardente
malinconia, che si addiceva a quella calda sera di settembre. Si rivolse a me quasi tutto il tempo con
un’attenzione profonda, ma che non sembrava aver bisogno di lunghi sguardi per riprendere contatto
con qualcuno che conosceva bene. Ma non mi conosceva bene. Perciò, malgrado la prima impressione,
mi chiesi due o tre volte se Marguerite non gli avesse confessato qualcosa. Ma lei mi trattava ora con
una cortesia così naturale e insieme così distaccata che mi pareva poco probabile. Guardava il suo
amante altrettanto e più di quanto guardasse me, con una dolcezza fedele che mi persuase subito del
suo amore. Ne fui felice per lei, e mi abbandonai ancor più a quella bella notte, al pauroso fascino dei
canti e delle danze di una razza segreta che ogni sguardo estraneo contamina.
Mi abbandonai tanto che il giorno dopo lasciai l’albergo e presi alloggio presso i miei nuovi amici.
Bertrand e Marguerite vivevano fuori Granada, in una casa che degli amici spagnoli avevano loro
prestato, e insistevano perch’ vi passassi tre o quattro giorni. A frugar bene tra i ricordi, mi accorgo che
certi impercettibili moti che sfuggivano di quando in quando all’uno o all’altra, una contrazione del bel
viso un po’ smarrito di Bertrand e subito dopo uno sguardo troppo insistente di Marguerite su di lui,
avevano abbozzato intorno a me i fuggevoli tratti di un mistero che, alla fine, mi attirò inavvertitamente
verso di loro.
Vivemmo insieme due giorni simili alla prima notte; parlavamo molto e ci riposavamo del troppo
parlare andando a spasso e guardando ogni cosa attraverso i nostri sogni.
La seconda sera mi trovai improvvisamente in giardino e, per la prima volta, solo con Bertrand. Dal
giorno della corrida aveva preso forma tra noi, al di là di Marguerite, cosa che capita spesso tra uomini,
una sorta d’intimità. Parlammo di donne, com’era inevitabile tra due uomini che le amavano molto e
avevano loro consacrato il tempo sottratto al lavoro e all’orgoglio, per la qual cosa serbavano forse loro
rancore, ma un rancore che li legava ad esse ancora di più. La nostra conversazione intima pot’ tanto
più facilmente risolversi in una lunga confidenza in quanto simili situazioni mi predispongono sempre
al rimpianto e alla fantasticheria; quando mi trovo così, tra un uomo e una donna che sembrano molto
uniti, rifletto tristemente sulla mia vita sentimentale irrimediabilmente dispersa. Fui io a lasciarmi
andare alle confidenze. Ora mi rendo conto che Bertrand disse solo quello che era necessario per darmi
il la. Mi lagnavo per la centesima volta della mia incapacità di preferire il noto all’ignoto.
Ma di che vi lamentate?esclamò improvvisamente, con una certa amarezza.Da quello che mi dite, mi
sembra di capire che il vostro trasporto verso una donna sia inizialmente molto violento, quindi
penetrante; vi porta fino al centro del suo essere. Perch’, allora, avete l’aria di credere che qualcosa di
lei vi sfugga? Un’intelligenza sensibile può, con l’aiuto della passione, capire a fondo una persona di
colpo. Se non ammettiamo questo, allora dobbiamo dubitare di tutte le doti e di tutti i talenti. Se un
buon amante non riesce a intuire tutto della sua compagna fin dai primi amplessi fisici e mentali, forse
che un medico può a prima vista vedere attraverso un cliente, un politico i suoi avversari, un artista la
sua modella? Ma via, una donna che ti ama, nel momento stesso in cui ti dà tutto ti svela tutto di lei.
Don Giovanni correva per il mondo perch’ le sue conquiste erano rapide e gli facevano presto esaurire
le risorse di ogni luogo. Ma Don Giovanni non è stato amato.
Che cosa?mi domandò trasalendo, con una curiosità che, improvvisamente, rivelava di essere diretta a
me più che a quello che dicevo.
Io però ero trascinato dall’argomento e continuai:
No, non è stato amato. Credo profondamente che si è amati nella misura esatta in cui si ama. Don
Giovanni, non trovando il tempo di amare, non lasciava alle donne il tempo di amarlo. Ma l’hanno pure
rimpianto e pianto.
Hanno rimpianto e pianto l’amore, non lui. Tanto che agli occhi delle donne del suo tempo era
diventato un mito come lo era stato Adone, ben prima di diventarlo per i posteri. Lui mi guardava con
un curioso misto di inquietudine e di soddisfazione. Il suo silenzio mi sollecitava a spiegarmi meglio.
Ci sono due livelli di conoscenza: la conoscenza intellettuale e la conoscenza amorosa. Il credente può
riconoscere la necessità di Dio e non amarlo. L’innamorato può cogliere con la pronta acutezza dei suoi
sensi i più minuti aspetti dell’anima di una donna e non entrarci. Allora voi credete che il tempo possa
aggiungere qualcosa all’amore? mi domandò in tono canzonatorio.
Non vi aggiunge, lo fa.
Allora quei miracoli di rapidità a cui si riferisce questa parola profana: il genio, questa parola sacra: la
grazia, non contano niente per voi?
Tacqui un momento.
No, no,ripresi,si può amare al primo sguardo e conoscere amorosamente in un minuto altrettanto bene
che in dieci anni, ma questo è possibile solo se si ha in s’ la possibilità di amare per dieci anni la
persona appena conosciuta, da cui solo circostanze esterne ci abbiano poi separato.
Aveva abbassato le palpebre su un pensiero intenso. Così, dunque,concluse con voce bassa e alquanto
solenne, voi che appartenete alla setta di Don Giovanni, voi non avete mai amato e non siete mai stato
amato.
E’ probabile di no,accordai con tono improvvisamente scontento. Ci alzammo per raggiungere
Marguerite in casa. Poi parlammo di cose indifferenti, svogliatamente, divisi dalle nostre riflessioni.
L’indomani mattina fu Marguerite che fece in modo di restare sola con me tra gli aranci.
E’ buffo,riflettei,non sembravate molto contenta d’incontrarmi e poi, dopo, avete fatto di tutto per
convincermi a venire qui.
Tacque un momento, poi mormorò:
Ma una specie di stanchezza la spingeva a parlarmi. Potete vantarvi di avere un’influenza determinante
sulla nostra storia.
La sua risata mi aveva fatto abbassare la cresta; tenevo la testa china.
Scossi la testa, sapendo come gli uomini torturino le donne chiamando menzogna ciò che per loro è
segreto, segreto riposto, da cui sboccia il fiore del nuovo amore. Le donne uccidono il passato
tacendolo, gli uomini parlandone.
Avevate altre storie da raccontargli, oltre alla mia? domandai, imitando subito e bassamente Bertrand.
Sì, non molte, ma lui si è attaccato solo alla vostra, come un pazzo.
Ora capisco la vostra emozione all’uscita dalla corrida.
Capite, ora?
Teneva la testa china, immersa in riflessioni ansiose. Non riuscivo ad afferrare il motivo di
quell’ansietà. Buttai lì, in tono scherzoso:
Ebbene! era geloso di me più perch’ non mi conosceva che perch’ mi conosceva. Adesso che mi
conosce, la sua gelosia si placherà. Posso andarmene: è già guarito.
Lei sollevò la testa bruscamente, con una grande angoscia negli occhi.
Voi dite? Ah! è così, vero? Sono perduta.
Come, perduta?
Stavo per dire: non capisco più niente. Ma intravedevo vagamente un’ipotesi; non mi diedi la briga di
formularla, aspettavo che lo facesse lei.
Siete il mio menagramo,mi disse all’improvviso, con più tristezza che rancore.
Come? Mi sembrava che aveste detto il contrario, un momento fa. Non lo so più. No, aveva ragione il
mio istinto. Questo incontro doveva essere un disastro.
Ma insomma, spiegatevi.
Lei parlò tutto d’un fiato.
E va bene! ecco. In realtà, adesso mi rendo conto di essermi servita di voi contro di lui. Contro di lui,
capite? Io l’adoro. Fin dal primo giorno ho avuto una paura matta di perderlo. So bene di non essere n’
tanto giovane n’ tanto bella. E’ un miracolo che sia stato con me così tanto. Questo miracolo si
compiva a vostre spese. Era geloso, la sua gelosia lo teneva legato a me. Si era convinto, del tutto
erroneamente, che fossi stata molto innamorata di voi, che foste stato l’uomo della mia vita, e che dopo
di voi non avrei più potuto amare un altro...
La guardavo; ero spaventato dalle parti imprevedibili e svariate e sanguinose che si recitano così da
ogni parte in tanti specchi. Questo mi dava un enorme prestigio ai suoi occhi,continuava
Marguerite.Non l’ho capito subito, e all’inizio protestai disperatamente. Grazie a Dio, non lo convinsi.
Un giorno ho capito che era la mia grande forza su di lui. Un giorno in cui era stanco di me, in cui
potevo temere il peggio e in cui il vostro nome, ch’era saltato fuori, lo ributtò su di me: mi fece una
scenata atroce e quindi mi riprese con rinnovato desiderio.
Da quel giorno non ho fatto altro che pensare a come usare la mia fortuna. Oh! non l’ho fatto in
maniera del tutto cosciente, non sono molto lucida, n’ molto abile. E l’amo troppo. E ho troppa paura.
Adesso sì che sono cosciente; adesso mi accorgo di essermi servita di voi per quanto mi era possibile.
D’altronde, può darsi che mi sia riuscito proprio perch’ non ero troppo astuta. E adesso è tutto perduto.
Ero sorpreso, commosso e anche, ahimè!, un po’ lusingato, scioccamente lusingato. M’invadeva una
sorta di voluttuoso turbamento. Ma no, non tutto è perduto,dissi macchinalmente.
Oh! sì, invece.
Ma perch’?
Oh! si rende conto benissimo che è lui che amo, che la vostra presenza non mi ha minimamente scosso.
Fors’anche intuisce che ho recitato un po’ la commedia. Ho fatto tutto il contrario di quello che avrei
dovuto fare da quando siete qui.
Avreste dovuto fare la civetta con me.
Sì, vedete bene che è una cosa vile, impossibile. E tuttavia ne va della mia felicità. Ma preferisco
rovinarmi; mi piace rovinarmi. Restammo a lungo silenziosi.
La passione animava il suo volto e i suoi occhi. Mi guardava senza vedermi, ma il suo sguardo si
posava su di me, lucido di febbre. E il suo corpo sformato, tenuto su dai nervi tesi, ritrovava linee
sorprendenti, che doveva aver avuto in gioventù; ma no, che non aveva forse mai avuto fino allora,
perch’ probabilmente non aveva mai amato così.
Sì, sentivo in me una specie di turbamento in cui c’era certo della pietà, ma dietro la pietà avanzava a
passi felpati qualcos’altro. Lei poi s’aggrappava a me, nel suo smarrimento. Era sicura della fatale
decadenza della sua vita, ma pure qualcosa in lei lottava selvaggiamente, pronto a tutto.
E poi, chi lo sa quali misteriosi contagi si propagano da una persona all’altra! E i gelosi non hanno
spesso il potere che vorrebbero avere, e non creano ciò che temono? Desiderano così disperatamente il
trionfo dell’avversario da cui aspettano la loro squisita sofferenza! Marguerite non avrebbe potuto
ricordarsi improvvisamente di tutte le attrattive che tante volte Bertrand aveva agitato intorno alla mia
figura lontana?
E poi, in fin dei conti, i nostri due corpi erano lì, uno accanto all’altro. E due corpi...
Ero assalito dalla tentazione, e mi sembrava che anche lei lo fosse. Dopo tutto, non faceva il doppio
gioco? E non è tutto incurabilmente doppio?
Con voce tremante azzardai qualche parola. Cercavo di assumere un tono ironico, amaro; e, in effetti,
nutrivo del rancore. Forse non tutto è perduto... Forse è più geloso che mai o... lo sarà... Civettare
naturalmente è fuori discussione... E nemmeno io ne sarei capace, nonostante il bene che vi auguro...
Mi interruppi vergognoso, turbato. Lei sorrideva in modo strano.
L’intrico di tanti sentimenti la faceva parere lasciva. Fino a dove ci saremmo spinti se Bertrand non ci
fosse sbucato bruscamente accanto, alla svolta di un viale, col suo modo di fare da spia?
In quel momento capimmo che tutto era perduto per Madeleine. Il nostro sussulto e la faccia che
avevamo fatto dovevano aver destato i sospetti di Bertrand; mi aspettavo anzi una scenata. Macch’,
niente. I presentimenti di Marguerite erano giusti: era guarito, guarito dalla gelosia e quindi dall’amore.
La stessa conversazione che avevo avuto con lui non aveva fatto altro che dare l’ultimo tocco alla
decisione della sua sensibilità fin dal nostro incontro nel parcheggio. Aver conosciuto lo sconosciuto
l’aveva guarito.
Dopo di che potete immaginare come andò a finire. Non amando più la sua amante, la sposò.
Presto s’innamorò di un’altra e divorziò.