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L'IDEA DI MONDO
I.
Tatto
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L'IDEA DI MONDO
2.
Preposizioni
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Glossa
3. Tavoletta di cera
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Glossa
Da alcuni decenni a questa parte, il processo di accumulazione capitalistico poggia in misura crescente, e talvolta preponderante, su risorse che possono essere usate pi volte da molti
soggetti, senza nulla perdere della loro consistenza iniziale: conoscenze, invenzioni, apparati comunicativi ecc. Ci spiega perch l'odierna produzione di merci sfoggi spesso quel connubio
di poiesis e praxis, prestazione lavorativa e azione politica, che
il segno di riconoscimento dell'attivit di uso. Spiega perch
le mansioni cui si adibiti in fabbrica o in ufficio richiedano la
phronesis non meno della techne. Spiega perch la materia prima
su cui si interviene sia potenza reificata, realt del possibile, tavoletta di cera. Predisposte a un uso ripetuto e plurale, le risorse
epistemiche e linguistiche sono per catturate, computate, scambiate come se fossero beni consumabili una sola volta e da un
unico soggetto. Per intendersi: una conoscenza biologica trattata alla stregua di un metro cubo di gas, di cui nulla resta dopo
essere stato bruciato. cos che l'economia politica, scienza della
scarsit, governa i fenomeni che pi la contraddicono e, anzi, fa
di essi il proprio autentico baricentro. Questo sistematico quid
pro quo, grazie al quale l'uso viene trasfigurato a consumo, l'asse portante del capitalismo contemporaneo, ma anche un focolaio della sua crisi permanente.
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Glossa
L'uso della vita legato a doppio filo all'uso del linguaggio.
Non concepibile l'epimeleia heautou, la cura di s, senza l'epimeleia logou, la cura dei propri discorsi. E viceversa, beninteso. Una osservazione di Wittgenstein (1969, pp. 154 sg.) aiuta
a chiarire la faccenda: "Un segno pur sempre l per un essere
vivente, dunque questa deve essere una cosa essenziale al segno".
-Gi, ma come si definisce un essere "vivente"? Sembra che qui
io sia pronto a definire l'essere vivente ricorrendo alla capacit di utilizzare un linguaggio segnico. E in effetti il concetto di
essere vivente ha una indeterminatezza del tutto simile a quella
del concetto "linguaggio". Per spiegare che cos' un segno linguistico, devo soffermarmi sull'impiego che ne fa un vivente; per
spiegare che cos' un vivente, devo menzionare la sua propensione a servirsi dei segni linguistici. Rimandando l'uno all'altro
e sostenendosi a vicenda, i due termini, vita e logos, rivelano la
loro comune indeterminatezza. Ora, proprio l'indeterminatezza a rendere possibile, anzi inevitabile, l'uso. Usabili, appunto
perch indetenninati, sono sia la vita sia il linguaggio; entrambi
abbisognano di una ininterrotta modulazione, cos da circostanziarsi in spartiti o copioni ben articolati (abitudini, ruoli, gerghi,
tropi retorici). A esprimere questa duplice usabilit provvede la
componente pi indeterminata del linguaggio: le preposizioni.
Ci che fissa e poi modifica i significati verbali , s, l'uso, come
recita lo slogan wittgensteiniano, ma, si badi, l'uso della vita da parte
dei parlanti. Quest'ultimo si realizza anche con i discorsi, ma ncin si
limita di sicuro a essi. Il contenuto semantico di 'quadro', 'amore',
'santit', 'soldi', 'addizione' non dipende tanto dal modo in cui utilizziamo tali vocaboli, quanto dall'intreccio di attivit linguistiche e
non-linguistiche in cui si esplica l'utilizzazione della nostra esistenza. Stanley Cavell ha scritto (1979, pp. 246 sg.): Non si possono
usare le parole per fare ci che noi facciamo con esse finch non si
iniziati alle forme di vita che danno a quelle parole lo scopo che
esse hanno nella nostra vita. Giusto, a patto per di intendere per
<<forme di vita>> niente di pi e niente di meno che i diversi usi cui
soggetta la vita.
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5. L'animale maldestro
L'uso di s si fonda sul distacco da s. Mette radi-
~i nella ~ancata aderenza all'ambiente nel quale siamo nondimeno situati e alle pulsioni psichiche che di
volta in volta ci padroneggiano. A venire utilizzata
una esistenza con cui non sempre ci si immedesima,
che non si possiede appieno e che, pur non essendo
di certo estranea, neanche risulta pienamente familiare. L'uso della vita compare l dove la vita si presenta
come un compito e, insieme, come lo strumento che
consente di assolvere questo compito. Detto altrimenti: l'uso della vita attiene alla specie che, oltre a vivere,
deve rendere possibile la propria vita.
Nell'impiego del proprio corpo, l'animale umano
maldestro, esposto all'errore e al colpo a vuoto. In
un dibattito recente, un filosofo autorevole ha sostenuto che questo carattere difettivo, assente negli altri
animali, non impedisce tuttavia un uso di s anche nel
caso dell'uomo. Non sono d'accordo. Ritengo che si
possa parlare a buon diritto di uso di s soltanto (dunque non 'anche' o 'perfino') a proposito di un essere
maldestro, segnato da una parziale inettitudine, votato all'incertezza. Maldestro, o neotenico (cio cronicamente infantile), il vivente distaccato da s medsimo, che mai coincide del tutto con le sue opere e i suoi
giorni: ma, come dicevo poc'anzi, sono per l'appunto
questo distacco e questa non-coincidenza a consentire
l'uso della vita.
6. Avere
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o almeno una imperfetta fusione, tra l'attributo e l'ente cui si attaglia. Lo scarto in questione non comporta,
ovviamente, che il primate Homo sapiens possa separarsi dalla sua natura o riplasmarla a piacimento, ma che
questa natura, n labile n cangiante, predisposta fin
dal principio a utilizzazioni dissimili.
Si usa quel che si ha. L'animale umano, presso il
quale sono la vita e il linguaggio, non cessa mai di farne uso. Egli ha, e quindi usa, la sua essenza. Ma usare
la propria essenza (ousia o quid est, nel lessico antico)
non cosa diversa dall'usare se stessi. In 'y a (o presso) x', sia y sia x si riferiscono a un unico e medesimo
soggetto, per esempio a una donna di nome Raissa. A
variare soltanto l'aspetto su cui si appunta il riferimento: se y denota Raissa come insieme di attitudini e
qualit usabili, x segnala invece, in Raissa, la capacit
di usare le attitudini e le qualit che sono a lei. Coesistono e interagiscono, qui, i due significati speculari .
dell'aggettivo latino habilis (che non a caso discende
in linea diretta da habere, 'avere'): 'prestarsi all'uso' e,
all'opposto, 'essere in grado di usare'. Questo aggettivo si addice tanto a una gonna comoda e ardita, quanto a colei che sa indossarla con studiata noncuranza.
L'uso di s riservato al vivente che, avendo la propria
essenza, habilis in entrambe le accezioni del termine.
7 Fenomeni istituzionali
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mento, esercizi prolungati, procedimenti sperimentali, acquisizione di tecniche, osservanza di regole. Gli
tisi di s non sono istintivi, n quindi naturali o spontanei. Tutt'al pi, diventano tali: la loro facilit non
altro che una difficolt superata; la grazia che talvolta
li caratterizza lascia intravedere in controluce l'origina~ia goffaggine.
L'addestramento, le tecniche, le regole di cui si nutre l'inclinazione a servirsi della propria vita costituiscono il fondamento antropologico (cio metastorico)
delle istituzioni. A dire meglio: essi sono i fenomeni
istituzionali, pervasivi e multiformi, che, solo a certe
condizioni e mai per intero, si cristallizzano in vere e
proprie istituzioni. Va da s che i fenomeni istituzionali, ossia le tecnologie del s indagate da Foucault
(1988), sono un campo di battaglia, non un territorio
liberato. Questo campo persiste pressoch inalterato,
al pari della pastura eretta o della facolt di linguaggio; mutevoli e sorprendenti sono, invece, gli esiti della
battaglia. Le lotte di classe hanno come posta in palio
il modo in cui si usa la vita. Non mancano di inventare
usanze inaudite, in grado di confin~e quelle fin l prevalenti nel museo degli orrori. Modificando le forme
tradizionali della epimeleia heautou, possono generare
istituzioni in rotta di collisione con la sovranit statale
e la compravendita della forza-lavoro, con il Ministero
degli Interni e il Fondo Monetario Internazionale.
L'uso della vita si avvale di tecniche e ha sempre
una tonalit istituzionale. lecito supporre, anzi, che
proprio esso stia all'origine delle nozioni di 'tecnica' e
di 'istituzione'. Da ci segue che l'uso di s e delle cose
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8. Il pronome 'noi'
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Lungi dal prediligere la solitudine, l'uso di s si inscrive fin dal principio nella sfera pubblica, accomunando il singolo vivente a una moltitudine pi o meno
estesa di suoi simili. Anche o soprattutto per questo
esso un fenomeno istituzionale (tassello permanente
deile istituzioni strettamente intese, inclini a ogni sorta di metamorfosi). Non anonimo, ma neanche interiore, l'uso di s mette capo al pronome 'noi'.
Inviso ai filosofi squisiti perch simbolo di sguaiate
insurrezioni operaie e portavoce della sordida complicit tra gli oppressi, questo pronome si colloca a
mezza strada tra la prima persona grammaticale, l"io'
che prende la parola,, e le altre due, il 'tu' cui rivolto
il discorso e l" egli' che all'enunciazione in corso resta
estraneo. mile Benveniste (1946, p. 278) osserva che
il 'noi' non una moltiplicazione di oggetti identici, bens un congiungimento tra l"io' e il 'non-io' .
Il 'non-io' implicito nel 'noi' pu assumere due volti
diversi: 'me + voi' o 'me + loro'. Nel primo caso, il
'noi' attesta l'unit dell"io' con una pluralit di 'tu'
compresenti ('voi'); nel secondo caso, invece, il 'noi'
indica la convergenza tendenziale tra l"io' e un insieme di 'egli' per il momento assenti ('loro' ).
Nell'utilizzazione della vita, sempre imperniata
sul 'noi', prevale ora la prossimit familiare del 'me +
voi', ora la distanza non priva di incognite (e anche di
rischi) del 'me + loro'. In ambedue i frangenti, per,
questo 'noi' qualcosa di diverso dal congiungimento di elementi definibili[ ... ]. Il motivo che ' noi' non
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Il
o. La cura di s
Secondo Foucault, l'uso della vita esige una ininterrotta cura di s. Il motivo intuibile: non potremmo
servirei efficacemente della nostra esist~nza, se non
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adottassimo giorno dopo giorno i provvedimenti necessari per fare di essa uno strumento ben temperato,
duttile, polivalente. Accurato chi predispone il proprio organismo psicofisico ai pi vari impieghi, preoccupandosi di garantire la sua costante maneggiabilit.
Nelle lezioni pubblicate con il titolo L'ermeneutica
del soggetto (2001), Foucault analizza le forme che ha
preso la cura di s nella societ ellenistica e nel cristianesimo delle origini. Ecco qualche esempio risaputo:
l'esame di coscienza, il rendiconto epistolare a un amico degli eccessi e delle carenze che hanno costellato il
pomeriggio appena trascorso, gli esperimenti mentali
sui diversi modi di reagire a eventi imprevisti, i precetti ascetici, la confessione, l'accorta amministrazione di
una vocazione o di una abilit, il ragionamento controfattuale ('se non fossi il musica o la cortigiana che
in effetti sono, allora agirei cos e cos'), l'allenamento
a recitare la parte di molti personaggi della commedia umana, l'evocazione congetturale di emozioni attualmente non condivise, la prontezza nel passare la
frontiera tra generi di discorso del tutto eterogenei.
Che cosa ricaviamo da questo elenco (e dal suo prolungamento virtuale)? Qual , insomma, il midollo del
concetto di cura?
Balza agli occhi che le pratiche in cui si riversa la
preoccupazione per la propria utilizzabilit consistono, a loro volta, in una peculiare utilizzazione di s. La
cura, che prepara a ogni sorta di maneggio tattile della
vita, gi, in quanto tale, un tastarsi e un maneggiarsi
da parte del vivente. Pi che un preambolo dell'uso,
essa il suo raddoppiamento riflessivo. Saggiando il
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Glossa
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mitolo~
r I. Sul palcoscenico
- La recitazione
l teatrale riepiloga e amp l'fi
.
1 ca 1 procedimenti mediJnte i quali l'animale maldestro, che mai si
identifica app~eno con le azioni e le passioni di cui protagonista, si s~rve della sua esistenza. Modello impareggiabile di uso della vita e di cura di s l'attivit dell'attore. La riflessiJ ne filosofica sull' epimeleia heautou toc,ca
il culmine nelle teorie (lontanissime da rovelli e vezzi
filosofici) chelhannodissezionato questa attivit, esami~
nandone una per una le articolazioni. Pi delle opere d1
Marco Aurelib e di Tertulliano, conviene tenere sott' occhio gli scritti di Stanislavskij, Mejerchol'd, Brecht, Grotowski. Per ricostruire con precisione le tecnologie del
s, occorre vagliare le tecniche cui ricorrono guitti e
mattatori allorch allestiscono, e poi eseguono, la rappresentazione di un dramma o di una commedia.
La cura di s, volta a garantire e a perfezionare l'utilizzabilit del proprio organismo psicofisico, si dispiega con eccezionale nitore nell'arco di tem~o in eu~
l'attore prende confidenza con il personaggio che Sl
accinge a interpretare. In vista della futura performance sul palcoscenico, egli affronta un assiduo lavoro su
se stesso, durante il quale si mette alla prova con im~
provvisazioni, indagini introspettive, test congegnati
dall'immaginazione, variazioni della gestualit e della ,
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L'IDEA DI MONDO
Glossa
Nel teatro contemporaneo, il training, ossia la cura di s, costituisce spesso il fine ultimo dell'attivit dell'attore. Ci si prepara a una messa in scena sempre differita, soltanto ipotetica,
comunque inessenziale. La scuola di Grotowski ha radicalizzato
questa inclinazione a scindere l'interminabile potenziamento
della propria utilizzabilit da qualsivoglia utilizzazione effettiva. Come un ballerino pago dei quotidiani esercizi alla sbarra, o
un cantante desideroso unicamente di proseguire i suoi vocalizzi
propedeutici, l'attore nutre una tenace ripugnanza a passare dalle
prove allo spettacolo. La divaricazione tra training ed esecuzione contingente, cura e uso di s, un tratto distintivo delle attuali
forme di vita. Nella figura dell'attore interessato esclusivamente
al training si rispec.chia l'abitante delle metropoli che, volendo
rimanere sempre disponibile a tutte le parti possibili (al ruolo
del bohmien come pure a quello dell'informatico di successo
o, perch no, del rivoluzionario intransigente), si tiene alla larga
da ogni interpretazione univoca. Corrispondenza troppo vaga,
)
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12.
Effetto di straniamento
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straniamento, questa presa di distanza. Il Verfremdungseffekt, che i filosofi squisiti dileggiano come
una vecchia cianfrusaglia di pessimo gusto, porta in
superficie la radice recondita dell'uso di s, o, con pi
enfasi, d sembianze empiriche al presupposto trascendentale di tale uso. E scusate se poco.
L'abilit dell'attore brechtiano sta nel conferire un
aspetto innaturale, o addirittura inquietante, a vicende
e caratteri e modi di pensare con cui gli spettatori hanno la massima dimestichezza. La trasformazione di
ci che abituale-rassicurante in un insieme di fenomeni sorprendenti-minacciosi somiglia per certi versi
alla metamorfosi da cui scaturisce, secondo Freud, il
sentimento del pertUrbante. Con una differenza: a diventare estranea e spaventosa, nel teatro di Brecht,
l'attuale realt sociale e politica, non una remota protezione di cui godemmo nell'infanzia. Mentre il perturbante perlustrato da Freud ha una struttura diacronica (ci che un tempo fu abituale ritorna ora con un
volto minaccioso), il perturbante che Brecht intende
produrre di bel nuovo grazie al Verfremdungseffekt
rigorosamente sincronico (risulta minaccioso proprio
ci che adesso passa per abituale).
Per ottenere l'effetto di straniamento, l'attore proferisce le battute che gli spettano come se f~ssero citazioni tra virgolette, senza alcuna immedesimazione,
ma, anzi, nell'atteggiamento di chi prova stupore, di
chi contraddice (Brecht I 940, p. 98). E suggerisce con
accorgimenti di ogni tipo che le scelte compiute dal suo
personaggio non sono le sole concepibili: reciter in
modo da dare la pi chiara evidenza all'alternativa, da
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L'uso di s consiste i:n un intreccio di attivit linguistiche e non-linguistiche, discorsi e gesti taciturni,
domande e
fisiche, preghiere e ginocchia piegate.
sotto questo profilo, la recitazione teatrale un manuale prestigioso dei modi in cui
l'animale
utilizza la propria esistenza. La
'attore, infatti, ha il suo baricentro
sempre problematica, tra le battute
ne e i movimenti o le espressioni fi. le pronuncia. La fragilit di affetti
imperituri pu essere evocata sul pal;)Ul.ldl!lu se le parole 'tutto passa' sono acsobrio allargamento delle braccia.
E lo stesso
ovviamente, per la rappresentazione
della sorpresa o della noia, nonch per l'annuncio che
la cena servita
C' di pi. allestimento di uno spettacolo illaboratorioin cui l
scomposto l'intreccio di discorsi e
gesti che
l'uso della vita. Predisponendosi
a interpretare la lsua parte, l'attore imita il chimico: separa
. ci che in natura si presenta sempre
Vi una fase iniziale in cui
mescolato, anzi
un pugno, sorride, fugge, senza
egli deambula,
sono un ostacoloper l'azione, ne
nulla dire: le p l
guastano l'
e la fluidit. Secondo Stanislavskij,
prove opportuno che l'attore rinunci
durante le
del testo, sostituendole con suofischi, monotoni ta-ta-ti. Pi tardi, la
La sentenza di Goethe, in
,
cede
il posto a quella dell'epnnc1p10 era
in principio era il verbo. Ora la
vangelista
la scena: i movimenti e gli
parola domina
elaborati in precedenza sembrano
atteggiamenti
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passargli una lastra (cfr. Wittgenstein 1953, 2); o quali sono le manifestazioni verbali e fisiognomiche del
dubbio, dell'attesa, del dolore. Egli chiama Sprachspiele queste prove sperimentali. Il termine tedesco viene
reso in italiano c on giochi linguistici. Propongo una
traduzione diversa: recite linguistiche. La variante legittima, giacch il verbo spielen (come l'inglese to play)
significa tanto giocare quanto recitare e suonare. Ma la
traduzione alternativa presenta anche qualche vantaggio da un punto di vista schiettamente teorico. In linea
di principio, un gioco pu essere soltanto verbale; una
recita, mai. Un gioco eseguito con le parole si limita
a presupporre certe pratiche non-linguistiche; la recita,
invece, mette esplicitamente a tema l'intersezione tra
queste pratiche e i discorsi, attestando la loro inscindibilit. Un gioco (elencare i colori che si conoscono,
per esempio) si staglia sullo sfondo di una forma di vita
(quella del pittore o del commerciante di fiori); la recita
include in s il preteso sfondo, lo rende appariscente, ne
fa una figura in altorilievo (si elencano i colori mentre
si danno gli ultimi ritocchi a una tela o si lega un mazzo
di fiori).
Sia le recite linguistiche di Wittgenstein sia le rappresentazioni teatrali non concedono nulla all'invisibile. Non svolge alcuna funzione, in esse, l'interiorit
psicologica. Quel che accade sul palcoscenico, vale a
dire il reciproco rimando tra discorsi e azioni, basta e
avanza a dare conto di sentimenti, pensieri, intenzioni, desideri, ipocrisie, pene, titubanze. Lo spettatore
non ha mai bisogno di ipotizzare l'influenza di stati
mentali occulti per comprendere la condotta di Am-
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