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UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
Sezione giuridica – 7
Volumi pubblicati
Sezione giuridica
1. B. Bertarini, Tutela della salute, principio di precauzione e mercato del medicina-
le. Profili di regolazione giuridica europea e nazionale, 2016.
2. M. Belletti, Corte costituzionale e spesa pubblica. Le dinamiche del coordinamen-
to finanziario ai tempi dell’equilibrio di bilancio, 2016.
3. E. Menegatti, Il salario minimo legale. Aspettative e prospettive, 2017.
4. B. Bertarini, La riqualificazione delle aree di crisi industriale complessa. L’inter-
vento pubblico tra mercato e persona, 2017.
5. C. Golino, L’intervento pubblico per lo sviluppo economico delle aree depresse tra
mercato e solidarietà, 2018.
6. F. Cicognani - F. Quarta (a cura di ), Regolazione, attività e finanziamento delle
imprese sociali. Studi sulla riforma del terzo settore in Italia, 2018.
7. G. Marchianò, Regolamentazione amministrativa delle libertà economiche nel mer-
cato comune, 2018.
Sezione sociologica
1. S. Sicurella, Da quel giorno mia madre ha smesso di cantare. Storie di mafia,
2017.
Giovanna Marchianò
Regolamentazione
amministrativa
delle libertà economiche
nel mercato comune
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La Collana
Ubi societas, ibi jus. Questo antico adagio romano dimostra oggi tutta la sua
validità nell’indicarci quanto sia cruciale, per la scienza e per l’agire pratico, col-
legare fra loro i cambiamenti sociali studiati dalla sociologia e il diritto che cerca
di dare loro una regolazione normativa. I contatti e l’influenza reciproca tra diritto
e sociologia stanno crescendo di continuo ed i docenti dell’una come dell’altra
disciplina sono scientificamente persuasi della loro scelta. L’auspicio è che il di-
partimento di sociologia e diritto dell’economia possa esercitare un influsso non
trascurabile su alcuni campi della ricerca e della riflessione scientifica di settore,
talora soddisfatti del loro status quo (con un atteggiamento spesso isolazionista),
talora troppo ancorati alla distinzione tra conoscenza dei principi astratti e cono-
scenza e fruizione dei fatti e delle pratiche sociali. Già da tempo sono emerse con-
nessioni e mediazioni tra principi e realtà in una proficua reciproca fertilizzazione
che è il contrassegno essenziale della posizione culturale del dipartimento; vale a
dire una concezione della conoscenza che non è puro e semplice rispecchiamento
di una realtà statica fuori ed indipendentemente dall’uomo-cittadino ma attività,
non solo teorica, essa stessa aspetto della realtà in trasformazione. È così che la
conoscenza dei nessi reali, nella dialettica fra le diverse forze umane e le forme di
società, assume una sua dignità autonoma, caratteristica del dipartimento. Contro
ogni assolutizzazione del metodo di ogni scienza particolare, contro ogni restri-
zione degli orizzonti e l’impoverimento contenutistico di certa scienza ufficiale.
Ciò non toglie che il diritto e la sociologia possano rivendicare la diversità dei
metodi di indagine e degli strumenti conoscitivi propri ma al contempo comporta
che nella sussidiarietà reciproca possano ‘vivere’ all’interno dei contesti socio-
economici imprimendo il loro rispettivo impulso.
Entrambi possono estroflettere le proprie forze per riconoscere e concorrere a
superare le necessità delle collettività ed i loro impulsi indifferibili. Si pensi ad
esempio alle materie di studio come l’autorità e la famiglia, l’impresa e la società,
il lavoro e l’economia, l’imposizione fiscale e la solidarietà sociale, la società
attiva e la società acquiescente, l’industria e l’ambiente con i relativi contrasti,
il potere della comunità e quello del singolo, il sistema bancario-creditizio e le
relative connessioni.
Oggi sembra stiano per cadere o per lo meno oscillano pericolosamente i pre-
supposti di ogni legge eppure la legge risulta una condizione cronica della società
contemporanea, dando luogo a situazioni talora paradossali talora sfuggenti all’in-
terno delle quali l’uomo continua a vivere. Sembra essere messo in discussione
il legame della legge con il territorio, ma al contempo il legame ritorna quasi in
un moto perpetuo sicché il diritto continua ad irradiarsi con ordini, condiziona-
menti, decisioni mentre la società tenderebbe a sottrarsene o a rovesciarli, perché
la legge pretende una sorta di eternità dei principi che la sottendono mentre la
società non vorrebbe essere sottratta ai flussi del tempo con intenzioni infuturanti
progettuali autonome. È questa una delle tipiche occasioni in cui scienze socio-
logiche e giuridiche consentono di affrontare ‘insieme’ e contemporaneamente
nuovi campi di possibilità costruttive, in una molteplicità ordinata che assicura
la non contraddittorietà logica della possibilità della sua costruzione. Il diritto e
la sociologia non sono ricavabili uno dall’altra ma possono riscontrarsi coinci-
denze proficue nell’equilibrio continuo delle procedure di libera scelta, pensando
simultaneamente gli apparenti opposti, ordine-arbitrarietà, possibilità-necessità,
affermazione-negazione. Costituiscono l’uno l’altrimenti dell’altra e al contempo
la prossimità dell’altra al primo, senza mai sentirsi identici, pur integralmente
affidati al lavoro di restaurazione degli istituti. Dispersioni e disaggregazioni pos-
sono assillarli, essendo entrambi essenza di se stessi, ciò che rende raro equivo-
carli, ma si influenzano reciprocamente nell’esposizione con cui si fanno cono-
scere e con cui sono stati.
Entrambi superano l’astratta separazione tra tempo vero e tempo apparente e
sono dediti al presente per comprenderlo e sostanziarlo, abbracciando la vita in sé
con la chiarezza che ne divide e ne rapporta le diverse dimensioni.
Sono discipline che realizzano ‘il possibile’, oltre ogni errante radice, nell’i-
dea del dover essere della pienezza del presente e quindi entrambe contengono
principi universali disincarnati da ogni terra e da ogni luogo, liberi dalla crescente
instabilità del termine stesso di Stato.
Gli studiosi del dipartimento conoscono la necessità delle domande e la dif-
ficoltà frequente delle risposte, ma il domandare e il rispondere sono per loro
elementi di una stessa dimensione e quotidiana abitudine di assumerli come un
unico contesto.
Domanda e risposta sono due termini incommensurabili, e gli studiosi del di-
partimento lo sanno, perciò sono attenti a non sprofondare nella dimensione della
domanda, quando è riconosciuta priva di scopo e perciò inutile, avendo come fine
la verità in quanto próblema. Così non percorrono vie di fuga, auspicando che la
verità prenda forma, se non oggi, un’altra volta, con la pazienza di ottenerla.
È così che il dipartimento di sociologia e diritto dell’economia può essere
inteso come labirinto protettivo degli studiosi rivolti al possibile delle risposte,
anche se spesso si celano.
Nella fondamentale proposizione di far coincidere esistenza e costruibilità di
cose nuove, con approfondito vaglio critico, nell’equilibrio delle due discipline,
aperte una all’altra con lucidità.
Il dipartimento è dunque la forma di accoglienza che facilita e nutre il succes-
so della ricerca, attività istintiva e fertile dei suoi componenti che insieme reagi-
scono al controllo esercitato sulle questioni dall’abitudine; con le loro narrazioni
plurali tra il caos dei diritti, le istituzioni, le tradizioni giuridiche e sociali, i sog-
getti politici in cerca di legittimazione, i poteri nascosti che così tanto ricordano
la crisi attuale, le nuove patrie, le tendenze isolazioniste, l’essere in relazione.
Ed è il luogo dell’ascesa di giovani intraprendenti che con le loro intuizioni
creano una grande realtà, né impaludata né burocratica, vero riferimento in una
globalità sempre più frammentata, in attesa del futuro, con coraggio morale in
tempi squilibrati e storti di società subalterne e dilatate.
Sociologia e diritto dell’economia si sono accostate l’una all’altro nell’am-
bito di un nuovo dipartimento per la specifica funzione morale e sociale delle
discipline e del ruolo dei loro studiosi. L’idea del ‘compito’ delle due discipline
è stata centrale per il loro accostamento; tanto da sembrare strettamente legata
e finanche suggerita da un’idea morale della società e del sistema giuridico. A
questa idea si è affiancata poi la volontà di una intensa attività pubblica e di una
altrettanto viva produzione scientifica.
La prossimità tra sociologi e giuristi ha messo in luce il valore politico delle
norme e definita la loro funzione in relazione al sistema sociale ed economico e
ha sottolineato il differente grado di adeguatezza pubblico-politica in vista della
loro applicazione. Si sono trovati così a lavorare gomito a gomito numerosi intel-
lettuali, in una schiera che ha riunito nella figura dello studioso attitudini di vita
e vocazioni in una misura in parte anche lontana dalla tradizione accademica.
Le due discipline hanno una propria unità intrinseca, guidate da propri principi
originali ma le accomuna uno spirito che è lo sforzo di contrastare con puntuali
riferimenti e analisi ogni decadenza, ogni sincretismo sui tempi attuali, articolan-
do un senso nuovo dell’uomo in sé, del mondo, del dualismo tra l’uno e l’altro,
del dinamismo societario, della conoscenza della verità sulla condizione umana
individuale e collettiva.
L’accostamento delle due discipline può rappresentare l’opportunità di pos-
sibili novità nel metodo o nella attualità delle ricerche che sono gli elementi che
intendono caratterizzare la Collana, aperta ai lavori anche di sperimentazione,
o nella messa a fuoco del proprium di ogni disciplina, tutti considerati come
compito e come responsabilità di ogni studioso. È questa la risposta a studi mi-
stificatori e sedicenti scientifici di alcuni anni passati che enunciavano il crollo
di tutti i principi e di tutte le regole. Questa Collana ha una funzione ordinante,
regolatrice e costruttiva nel nostro sistema sociale, economico e giuridico, e vuo-
le essere espressione di un sistema di valori economici, giuridici e sociali subito
associati al concetto di persona umana senza restringere l’orizzonte scientifico ad
una sola epoca storica. È così che le cose possono ‘svelare’ la loro esistenza a chi
le interroga seriamente, visitandole più volte, senza tuttavia svelare del tutto da
dove vengono.
Risulta chiaro che la Collana contiene due punti di vista, entrambi necessari,
nella comprensione della realtà, ma differenti e vuole superare le difficoltà o le
perplessità che un loro avvicinamento ha più volte suscitato, soprattutto per la dif-
fidenza di alcuni studiosi, nonostante siano coscienti della ormai imprescindibile
natura interdisciplinare della ricerca, che si tratti di interdisciplinarietà interna o
esterna; anche perché soltanto così si evita sicuramente che ogni scienza rifletta
esclusivamente su se stessa e sul proprio ruolo e non prenda in considerazione
riflessi, relazioni, interferenze che non possono non stimolare.
La Collana del dipartimento costituisce perciò il punto d’incontro speculativo
tra le culture degli studiosi afferenti alla struttura e ha l’ambizione di avvalorare
i loro apporti dediti al ritrovamento del senso vero della realtà; così ad esempio
il giurista va oltre i classici confini dell’interpretazione della legge che non ne
esauriscono obbligatoriamente il compito scientifico e il sociologo va oltre i con-
fini delle regole sociali vigenti in una certa collettività, analizzandone il senso, le
funzioni e le finalità di cambiamento della collettività stessa.
Risulta così che le due discipline, diritto e sociologia, possono affrontare nuo-
vi argomenti tra scienza e politica, sottolineando la centralità del concreto rispetto
all’astratto in una concludenza armoniosa.
IX
INDICE
pag.
INTRODUZIONE
PREMESSA METODOLOGICA E OBIETTIVI DELLA RICERCA 1
CAPITOLO I
IL PROCESSO DI AMMINISTRATIVIZZAZIONE
DEL DIRITTO EUROPEO
CAPITOLO II
EVOLUZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA ED
EFFETTI NELLA REGOLAMENTAZIONE
AMMINISTRATIVA DELLE LIBERTÀ ECONOMICHE
pag.
CAPITOLO III
PROFILI AMMINISTRATIVI DELLA LIBERA
CIRCOLAZIONE DI PERSONE, DEI LAVORATORI
AUTONOMI E DEI LAVORATORI SUBORDINATI
CAPITOLO IV
PROFILI AMMINISTRATIVI DELLA LIBERA
CIRCOLAZIONE DEI BENI CON PARTICOLARE
RIFERIMENTO ALLE DOGANE
BIBLIOGRAFIA 201
1
INTRODUZIONE
PREMESSA METODOLOGICA
E OBIETTIVI DELLA RICERCA
1
Tale tesi trova una concreta critica da parte di F. BASSANINI, nella Prefazione a M.P.
CHITI-A. NATALINI (a cura di), Lo Spazio amministrativo europeo, Il Mulino, 2012, il quale
osserva a p. 13, nota 23, che nonostante l’inarrestabile forza espansiva del diritto comunita-
2
rio non si può pensare che «… queste regole comuni comportino automaticamente una con-
formazione della disciplina delle amministrazioni nazionali a quella dell’amministrazione
europea, in ispecie se dovesse prevalere una interpretazione “forte” del principio dell’indi-
pendenza dell’amministrazione europea, stabilito dall’art. 298 TFUE: interpretazione forse
accettabile nel contesto dell’attuale assetto istituzionale dell’Unione (di cui si auspica il su-
peramento verso una più forte integrazione politica e una più robusta legittimazione demo-
cratica); ma – a mio avviso – non compatibile con i principi della democrazia rappresenta-
tiva, che non può non affidare alle istituzioni politiche amministrative il compito di stabilire
gli obiettivi delle politiche pubbliche e dunque delle attività delle amministrazioni, fermo il
rispetto dell’imparzialità della loro azione e dell’autonomia dei dirigenti nella loro gestione».
2
S. CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in Riv. dir. it. pubbl.
comunitario, pp. 292 ss.
3
M. P. CHITI, La legittimazione per risultati dell’Unione europea quale “Comunità di
diritto amministrativo”, in Riv. it. dir. pubbl., 2016, pp. 416-417.
4
Occorre far riferimento a Jean Monnet, al quale si deve riconoscere l’avvio verso l’Eu-
ropa unita; tuttavia egli riteneva che non si potesse ipotizzare una federazione europea di
Stati se non in modo graduale, avviando un’integrazione in alcune funzioni e potestà pubbli-
che. A J. Monnet si contrapponeva Altiero Spinelli, il quale era, con altri, l’autore del Mani-
festo di Ventotene e proponeva il superamento dello Stato-Nazione e una struttura europei-
stica di tipo più politico, mirando ad uno Stato federale. Nel “Manifesto di Ventotene”, scrit-
to a due mani da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, si delineava una nuova democrazia euro-
pea e la fine dello Stato-Nazione. Il concetto di “integrazione europea” si inseriva all’interno
di un contesto che aveva caratterizzato l’Europa post-secondo conflitto mondiale: unire gli
3
Stati tra di loro in un contesto cooperativo affinché sia garantito il concetto di pace e di de-
mocrazia. Veniva istituito un Coordinamento internazionale tra i movimenti europeisti e il
congresso fu incentrato sulle diverse idee di unità europea: federalisti, che volevano un’Eu-
ropa sulla base del federalismo americano con la creazione di organizzazioni di poteri sovra-
nazionali; unionisti, che volevano sviluppare intese intergovernative ed erano cauti verso
l’ipotizzare limitazioni alle sovranità nazionali. In ogni caso, tra le due tesi all’inizio ha pre-
valso quella di Monnet, attraverso la creazione della Comunità europea del carbone e
dell’acciaio, di seguito, con la Comunità europea dell’energia atomica e con la Comunità
europea economica. Pertanto, diversamente da quanto si ritiene, l’ordinamento europeo na-
sce non solo con finalità economiche ma anche con l’obiettivo politico quanto meno di man-
tenere la pace e attivarsi per la promozione del benessere. Nella celebre dichiarazione di
Schuman, del 9 maggio 1950, emergeva la necessità di mettere in comune le produzioni di
base dei vari Paesi e istituire una nuova Alta Autorità, le cui decisioni vincolavano i Paesi
membri. L’Alta Autorità era incaricata del funzionamento dell’intero sistema ed era compo-
sta di personalità indipendenti, scelti in comune accordo dai Governi. La progressiva evolu-
zione del progetto d’integrazione che si fondava su basi economiche mirava, tuttavia, ad
un’unione politica. Scriveva Schuman nel 1963: «I nostri Stati europei sono una realtà sto-
rica; sarebbe psicologicamente impossibile farli scomparire. In realtà la loro diversità è un
pregio […] la politica europea non è assolutamente in contraddizione con l’ideale patriotti-
co che nutre ognuno di noi». Il vero è che, pur non potendo in questa sede approfondire gli
apporti che ciascuno dei Padri fondatori dell’Europa proponevano, una caratteristica che li
accomunava nelle loro diversità, compreso Adenauer e De Gasperi, è rappresentata dalla
consapevolezza che, con la seconda guerra mondiale, si è pervenuti al crollo dei vecchi si-
stemi statali i quali non avevano saputo fungere da barriera soprattutto alla seconda guerra
mondiale. Per una ricostruzione di questa fase, si rinvia a J.H.H. WEILER, La Costituzione
europea, Il Mulino, 2003, p. 93.
5
G. DELLA CANANEA, I principi dell’amministrazione europea, Giappichelli, 2017, p.
15. Si veda altresì M.S. GIANNINI, Brevi considerazioni sul trattato della Comunità europea
di difesa ora in Scritti 1949-1954, Giuffrè, 2004; S. MICOSSI-G.L. TOSATO (a cura di)
L’Unione europea nel XXI secolo. “Nel dubbio per l’Europa”, Il Mulino, 2007. In senso
conforme, M.P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, III ed., Giuffrè, 2008, p. 520.
4
6
G. DELLA CANANEA, L’amministrazione europea e il suo diritto, in G. DELLA CANA-
NEA-C. FRANCHINI (a cura di), I principi dell’amministrazione europea, II ed., Giappichelli,
2013, cap. 1, p. 8.
7
Come osservato da S. CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in
Riv. it. dir. comunit., 2002, pp. 292 ss. Rileva l’A. che, in un primo momento l’ordinamento
europeo, mentre ha sviluppava il potere legislativo e il potere giudiziario, tralasciava quello
esecutivo poiché l’esecuzione era propria degli apparati amministrativi statali. Ciò è dovuto
al fatto che il potere amministrativo ha rappresentato e rappresentava una delle prerogative
più sensibili degli Stati. Quando questa prima esperienza rilevò la sua insufficienza, non te-
nendo conto delle necessarie continuità tra legislazione e amministrazione, furono istituiti
organi e procedimenti chiamati a controllare l’esecuzione nazionale del diritto comunitario;
si trattava per lo più di organi misti composti da rappresentanti nazionali e da funzionari co-
munitari. In epoca più recente l’Unione non si limita a vigilare sull’esecuzione nazionale del
diritto europeo, ma assume direttamente compiti esecutivi per l’esecuzione diretta e l’eser-
cizio congiunto comunitario-nazionale dei compiti pubblici, secondo il modello dell’utiliz-
zazione degli uffici d’altro ente per lo sviluppo di funzioni amministrative proprie. Ecco per-
ché è in questa fase che Cassese inserisce il fenomeno definito «arena pubblica» ovvero la
formazione di rapporti triangolari privati – amministrazioni nazionali – Commissione euro-
pea senza peraltro dover anche tener conto dell’influenza del diritto comunitario sul diritto
nazionale.
8
S. CASSESE, op. loc. ult. cit. Si deve proprio a Cassese l’utilizzo della nozione di «orga-
nizzazione composita» in rapporto all’Unione europea e gli studi del profilo amministrativo
dell’«ordinamento» europeo. Si veda S. CASSESE, La crisi dello Stato, Laterza, 2002, p. 71.
Si veda, altresì, S. CASSESE, Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli Stati?, Il Mulino,
2016, p. 41.
5
9
Tutto nasce dal declino della nozione di Stato e dalle difficili relazioni tra autorità e so-
cietà civile. Richiama S. CASSESE, nello scritto Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli
Stati?, cit., pp. 31 ss., che, l’indebolimento della nozione di Stato trovò prima in Léon Du-
guit, l’affermazione del declino dello Stato. In Italia, S. Romano, arrivò a proporre di sosti-
tuire al concetto di Stato quello di ordinamento giuridico. Il terzo fu C. Schmitt, che sostituì
il concetto di democrazia con quello di «policrazia». Per Léon Duguit si rinvia a Le trasfor-
mazioni dello Stato, in A. BARBERA-C. FARALLI-M. PANARARI (a cura di), Antologia di scrit-
ti, Giappichelli, 2004, pp. 147 ss. Per S. ROMANO, si rinvia allo scritto L’ordinamento giuri-
dico (1917-18), Sansoni, 1946, pp. 25 ss; si veda altresì C. SCHMITT, Dialogo sul potere,
Adelphi, 2012, pp. 52 ss. Tali Autori vengono ripresi nello scritto, G. MARCHIANÒ, Il diritto
oltre lo Stato: effetti positivi e negativi della globalizzazione, in Collana del Dipartimento di
Sociologia e Diritto dell’Economia, Università di Bologna, Cedam, 2017.
10
Si veda ancora, S. CASSESE, Territori e potere, cit., p. 41, dove l’A. offre un quadro
puntuale mediante l’esame dei tratti che distinguono l’organizzazione amministrativa euro-
pea rispetto a quella tradizionale statale. Tuttavia, si osservi come l’A. rilevi che l’Europa
«vive di crisi» che non riguarda un potere pubblico «nella sua fase di maturità ormai stabi-
lizzato ma un potere pubblico in fase di crescita … [trattasi] di un’istituzione a formazione
progressiva»; tale processo evolutivo ha consegnato una legittimazione «politica» all’Unio-
ne attraverso l’assorbimento dei valori dello stato di diritto.
6
11
Sul concetto di amministrazione multi livello, la dottrina si è posta in modo critico ri-
spetto a questa definizione in quanto, con tale termine, si potrebbe presupporre una connota-
zione gerarchica dei vari livelli di amministrazione. Valga per tutti, G. DELLA CANANEA,
L’amministrazione europea e il suo diritto, cit., pp. 27 ss.: «L’attitudine della formula dot-
trinale dell’organizzazione multi-livello a fornire una connotazione morfologica dell’Unione
europea solleva dubbi. Nel tentativo di cogliere un tratto saliente dell’Unione europea, essa
impiega il termine “livello”, che, però, è criticabile. Nella scienza politica si è giustamente
osservato che il termine “livello” ha una “decisa connotazione gerarchica”. Nell’Unione,
piuttosto, vi è una pluralità di arene, più o meno ampie. In esse, inoltre, si realizza una va-
rietà di forme di interazione tra i vari pubblici poteri: integrazione, cooperazione, competi-
zione». In verità, talvolta il termine è utilizzato solo per indicare il livello statale e il livello
comunitario, senza tuttavia connotazioni gerarchiche bensì di funzione amministrativa co-
mune (ex art. 197 TFUE) tra i vari soggetti istituzionalmente chiamati ad attuare la fase ese-
cutiva ed è questo il profilo che viene nel testo ripreso.
7
12
Usualmente il termine armonizzazione è usato in senso non tecnico, infatti, come ri-
corda L. TORCHIA, Il Governo delle differenze, Il Mulino, 2006, p. 55, nota 4, nella formula-
zione originaria del Trattato di Roma non ricorreva il termine armonizzazione, rinvenibile
soltanto in relazione alle imposte indirette (art. 99) mentre nell’art. 100 si utilizzava il termi-
ne riavvicinamento fra legislazione nazionale al fine di eliminare le distorsioni della concor-
renza. Il termine armonizzazione è stato invece introdotto nell’Atto Unico ed è ora usato fre-
quentemente anche in senso non tecnico. La stessa A. peraltro richiama la complementarietà
fra armonizzazione e mutuo riconoscimento, p. 67, nota 29. Detta tesi viene fatta propria nel
presente lavoro.
13
S. CASSESE, Diritto amministrativo comunitario e diritti amministrativi nazionali, in
M.P. CHITI-G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Giuffrè, 2007,
p. 9; M.P. CHITI, La costruzione del sistema amministrativo europeo, in M.P. CHITI (a cura
di), Diritto amministrativo europeo, Giuffrè, 2013, pp. 50 ss. Rileva l’A. che le amministra-
zioni nazionali non si presentano come uffici decentrati della Comunità bensì come apparati
che trovano il proprio ancoraggio negli ordinamenti nazionali e che operano solo indiretta-
mente in funzione della Comunità stessa. «Quest’ultima, in effetti, si presenta al momento
della sua istituzione, come un organismo ibrido, che combina tratti tipici di un’organiz-
zazione internazionale (ad esempio l’istituzione di un Consiglio a composizione intergover-
nativa) con istituti che potrebbero preludere a un sistema federale o confederale (ad esem-
pio l’Assemblea parlamentare)».
8
9
CAPITOLO I
IL PROCESSO DI AMMINISTRATIVIZZAZIONE
DEL DIRITTO EUROPEO
1
Sostiene la tesi che il concetto di «integrazione» sia un concetto giuridico, P.M. HUBER,
Recht der Europaischen Integration, Vahlen, 2002, p. 1. Si veda altresì L. TORCHIA, Il Go-
verno delle differenze, Il Mulino, 2006, p. 55, nota 4, nella quale l’A. sottolinea come il ter-
mine di armonizzazione sia un termine usato in modo atecnico in quanto il Trattato di Roma,
nell’art. 100, oggi art. 94, prevedeva il riavvicinamento delle legislazioni nazionali al fine di
eliminare le distorsioni della concorrenza; vedi, a tal proposito, R. BARATTA, L’equivalenza
delle normative nazionali ai sensi dell’art. 100 B del Trattato Ce, in Riv. dir. eur., 1993, pp.
727 ss., il quale rileva che il termine armonizzazione è stato introdotto nell’Atto Unico, ed è
oggi usato frequentemente.
10
2
S. TORRICELLI, L’europeizzazione del diritto amministrativo italiano, in L. DE LUCIA-
B. MARCHETTI (a cura di), L’amministrazione europea e le sue regole, Il Mulino, 2015, pp.
247 ss. Sul punto la dottrina si è variamente espressa, basti richiamare, non con volontà
esaustive, S. CASSESE La costituzione europea, in Quad. costituzionali, 1991, nonché G.
DELLA CANANEA, L’organizzazione amministrativa della Comunità europea, in Riv. dir.
pubbl. comunit., 1993; F. MERUSI, Le leggi del mercato, Il Mulino, 2002, nonché E. CHITI-
C. FRANCHINI, L’integrazione amministrativa europea, Il Mulino, 2003; S. CASSESE, Lo spa-
zio giuridico globale, Laterza, 2003; G. ZAGREBELSKY Diritti e Costituzione dell’Unione
Europea, Laterza, 2003; M.P. CHITI-A. NATALINI, Lo spazio amministrativo europeo,
Astrid-Il Mulino, 2012; S. CASSESE, Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli Stati?, Il Mu-
lino, 2016.
3
G. BELLANTUONO, La regolazione dei mercati europei: verso una nuova distinzione fra
diritto pubblico e diritto privato, in Atti del IV Congresso nazionale SIRD, Trento, 24-26
settembre 2015, in G.A. BENACCHIO-M. GRAZIADEI (a cura di), Il declino della distinzione tra
diritto pubblico e diritto privato, Editoriale Scientifica, 2016. L’A. nella sua relazione, osserva
come la regolamentazione dei mercati europei, chiami in causa la distinzione pubblico/privato
sotto due profili: obiettivi perseguiti e strumenti utilizzati. La regolamentazione europea lascia, in
casi limitati, spazio alla regolamentazione nazionale che rappresenta sostanzialmente l’eccezione
alla regola generale. Meritano di essere sottolineate la diversità tra gli obiettivi e gli strumenti
della regolamentazione a livello europeo rispetto a quella nazionale: il diritto europeo adotta la
«tecnica regola-eccezione» lì dove i diritti nazionali fanno riferimento al rapporto «diritto
pubblico-diritto privato». È questo uno scenario nel quale, pur non addentrandosi nel presente
lavoro, non può non rappresentare un punto particolarmente interessante e di assoluto rilievo.
Sulle trasformazioni della regolamentazione, si veda altresì, S. AMOROSINO, Trasformazioni dei
mercati, nuovi modelli regolatori e mission del diritto dell’economia, in Il Diritto dell’economia
Vol. 29, n. 90, (2/2006), pp. 339 ss. il quale, dopo aver messo in evidenza i tratti che costituiscono
i minimi comuni denominatori delle discipline delle attività economiche, rileva come si debba
tener conto delle variabili, ovvero delle diverse configurazioni che caratterizzano i vari mercati
nonché della pluralità delle fonti soggettive della regolamentazione e dell’eterogeneità e struttura
degli organi pubblici.
4
In verità l’affermarsi di uno Stato regolatore e l’incremento dell’attività regolativa, de-
rivano dal declino dello «Stato gestore». «A quest’ultimo veniva attribuita la missione di
11
6
Sullo Stato regolatore si rinvia a G. MAJONE op. ult. cit., p. 22, in cui si evidenzia come
l’attività regolatrice dello Stato «[…] inteso come terzo super partes munito di poteri norma-
tivi e autoritativi, dal quale ci si attende un impegno di tali poteri efficace pubblicamente
giustificabile, in quanto sorretto da buone ragioni, risponde ad esigenze che appartengono a
tutte le società politiche, o almeno a tutte le società politiche liberal-democratiche, e non
soltanto alle società occidentali odierne […]». Si rinvia altresì a R. PINI, Amministrazione
pubblica e comunità. Intese perdute, limiti varcati e possibile cooperazione per il bene co-
mune, Cedam, 2007.
7
S. AMOROSINO, op. cit., p. 341: «Passando dalle regolations al ramo della scienza giu-
ridica che tenta di dare di esse [variabili] una visione sistemica – il diritto dell’economia –
viene a rilevare ch’esso è connotato da “tre elementi peculiari”, anche se non esclusivi:
a) la “mutevolezza” vale a dire l’estrema “rapidità di evoluzione” diacronica delle atti-
vità economiche – a causa dei fattori tecnologici, economico sociali e geopolitici – e, “a ca-
scata” dei rispettivi mercati e delle relative regolazioni; con tali tumultuose evoluzioni de-
vono fare i conti i giuristi dell’economia;
b) la “tecnicità”, vale a dire la massiccia presenza – nelle regolazioni di settore – di
norme, criteri e parametri tecnici, o di derivazione tecnica e “filtrati” dal linguaggio giuri-
dico, relativi a ciascun ambito di attività economica (ad esempio: i disciplinari di produzio-
ne di vini) e di tipo di mercato (ad esempio i mercati regolamentati, internazionalizzati o
multilaterali di negoziazione di prodotti o strumenti finanziari); l’interazione tra categorie
giuridiche e parametri tecnici è un secondo elemento di complicazione per i giuristi;
c) il “sincretismo strutturale”, vale a dire la “compresenza costitutiva” di materiali giuri-
dici – nozioni, istituti, figure soggettive, forme organizzatorie, procedure, atti precettivi – di
diversa provenienza: privatistica, pubblicistica, o anche di teoria generale (ad esempio il con-
cetto di: “potere”, “funzione”, “autonomia”, “accordo”, ”figura soggettiva”, “fattispecie”)».
8
G. DELLA CANANEA, I principi dell’amministrazione europea, cit., p. 16. «… Non era
certo intenzione dei politici creare un’amministrazione ampia, sul modello di quelle proprie
dell’esperienza degli unici ordinamenti che esercitavano il controllo sul territorio, sulle per-
sone e sui beni che in esso si trovavano, cioè quelli statali: non di Monnet e neppure di De
13
Gaulle e degli altri governanti europei, preoccupati come erano di conservare le proprie
prerogative».
9
Sotto questo profilo, L. TORCHIA, op. cit., pp. 19 ss. «… In quello spazio è possibile la
coesistenza (e l’applicazione) di regole nazionali diverse, equivalenti ai fini della protezione
degli interessi tutelati dal diritto europeo. La determinazione delle condizioni di equivalenza
è, questa sì, centralizzata e desumibile direttamente dalle norme primarie o specificata con
la normativa secondaria, oltre che articolata quanto ai profili applicativi, dalla giurispru-
denza della Corte di giustizia».
14
amministrativa, ora con propri organi ora avvalendosi degli organi degli Sta-
ti membri, ora attraverso organi misti giacché appartenenti a entrambi i li-
velli istituzionali. «In tal modo, si raggiunge [o meglio si tende al raggiun-
gimento di] un equilibrio fra istanze distinte: quella della pluralizzazione
delle strutture organizzative in conseguenza della peculiarità delle funzioni
europee, quella della unitarietà di riferimento delle relative attività
all’Unione e quella della snellezza della struttura dell’amministrazione so-
vranazionale» 10.
I modelli, rectius: i rispettivi moduli di organizzazione europea, pur pre-
sentandosi assai diversi tra loro, trovano legittimazione nei principi fondanti
dell’ordinamento comunitario contenuti nei trattati che hanno dato luogo,
anche grazie alla giurisprudenza della Corte di giustizia, all’acquis comuni-
ter. Primo fra tutti, il principio di legalità, il quale, prescrivendo l’obbligo
della conformità dell’attività amministrativa a quella di regolamentazione
«normativa», secondo quanto previsto nella maggior parte degli Stati mem-
bri, assume tuttavia connotati molto ampi, in quanto è volto alla verifica che,
le istituzioni, gli organi e gli organismi che emanano atti singolari, ne abbia-
no la competenza e siano state osservate le regole procedurali. In questi ter-
mini, il principio di legalità viene a concatenarsi ad altri principi che posso-
no assumere contenuti più specifici: basti pensare al principio d’imparzialità
che, sancendo la separazione dei regolatori amministrativi rispetto alle scelte
politiche, si propone quale criterio organizzatorio volto a imporre, proprio in
tema di libertà economiche, la piena concorrenza e l’effettività del mercato
comune; a questo si aggiunga che l’azione dei regolatori deve ispirarsi al
principio del buon andamento che impone anche alle istituzioni comunitarie
10
C. FRANCHINI, L’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, in M.P. CHITI (a
cura di), Diritto amministrativo europeo, Giuffrè, 2013, pp. 209 ss. Il principio di legalità,
com’è noto, rappresenta un principio fondamentale dell’Unione europea appartenente alla
tradizione costituzionale comune degli Stati membri, codificato dalla Carta dei Diritti Fon-
damentali dell’Unione, già elaborato dalla giurisprudenza della CGCE, ulteriormente previ-
sto dall’art. 7 della CEDU. Ma per ciò che attiene la differenza tra il principio di legalità tra-
dizionalmente inteso, il principio di legalità, nel quadro dei poteri amministrativi europei, si
veda S. BATTINI, L’Unione europea quale origine del potere pubblico, in M.P. CHITI (a cura
di), Diritto amministrativo europeo. Principi e istituti, II ed., Giuffrè, 2008, pp. 27 ss.: «Il
diritto europeo si ispira alle medesime istanze, riconducibili al concetto di Stato di diritto
(anche in rapporto alla legalità delle pen: C. Giust. Ce, sentenza Advocateen voor de We-
reld Vzw c. Leden van de Ministerraad del 2007, C-303/059,ma con alcune varianti. Anziché
far discendere dal principio di legalità un ulteriore vincolo all’azione amministrativa, nel
senso che i provvedimenti dai quali discendano effetti sfavorevoli nei confronti dei privati
debbano corrispondere ai tipi previsti dalle norme, il giudice comunitario non esclude la
validità degli atti hors nomenclauture, ossia innominati o misti».
15
11
Corte giust., I grado, sez. III, 17 febbraio 1989, C-105/96.
12
E. CHITI, I principi dell’integrazione amministrativa, in E. CHITI-C. FRANCHINI (a cura
di), L’integrazione amministrativa europea, cit., pp. 112 ss. L’A. rileva che accanto ai prin-
cipi richiamati anche nel testo, vi sono poi quelli specifici dell’equilibrio istituzionale, di
competenza, di autonomia nonché di distribuzione delle funzioni e di divisione del lavoro tra
soggetti differenti.
13
Sul principio di proporzionalità si rinvia a F. TRIMARCHI BANFI, Canone di proporzio-
ne e test di proporzionalità nel diritto amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 2/2016, pp. 361
ss. In particolare osserva l’A. che, analizzato nel suo percorso logico, il principio di propor-
zionalità è scandito in tre stadi che corrispondono rispettivamente alla verifica della misura
in esame: «1. Sia idonea allo scopo perseguito; 2. Sia necessaria nel senso di non sostituibi-
le con altra misura, non meno efficace allo scopo e meno incisiva per gli interessi contrap-
posti; 3. Sia proporzionata in senso stretto in quanto non impone all’interesse antagonista
un sacrificio eccessivo se confrontato con il vantaggio conseguito dall’altro. Nel terzo sta-
dio ha luogo la verifica del bilanciamento degli interessi che entrano in conflitto nel caso di
specie».
16
14
C. FRANCHINI, L’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, cit., p. 210.
«Come è evidente, si tratta di un insieme di concetti di portata universale. Tuttavia, essi in-
cidono, se pure in via indiretta, anche sull’organizzazione: infatti, tenuto conto che presup-
pongono un ragionevole adeguamento dei mezzi rispetto ai fini, risultano determinanti an-
che per la individuazione dei modelli di volta in volta più convenienti, affermandosi come
elementi di condizionamento delle scelte organizzative».
17
l’esercizio dei poteri spettanti alle diverse istituzioni, sia a livello interorga-
nico sia a livello intersoggettivo; il secondo invece consente il riconosci-
mento alle istituzioni europee della potestà di darsi indirizzi propri al fine di
adottare le scelte organizzative interne in funzione dei loro compiti istituzio-
nali.
Nel complesso detti principi incorporano «valori» che, per effetto del-
l’azione di adeguamento operata nel corso degli anni anche in sede giuri-
sprudenziale, devono considerarsi come propri dell’ordinamento europeo;
gli stessi danno luogo a un higher law che prevale rispetto ai diritti naziona-
li. Inoltre, tali valori determinano conseguenze rilevanti sul complesso degli
uffici che sono preposti alla cura degli interessi dell’Unione europea con
particolare riferimento ai settori che hanno sviluppato una maggiore attività
esecutiva tramite un decentramento che vede coinvolti gli apparati degli Sta-
ti membri.
Sicché, nella stessa regolamentazione, è possibile riconoscere globalmen-
te una forma di bilanciamento degli interessi in gioco: si tratta di un bilan-
ciamento non solo influenzato dal grado di armonizzazione delle normative
comunitarie che ne sono ovviamente il presupposto ma anche da considera-
zioni relative all’apparato pubblico di ciascuno Stato membro, in quanto le-
gate alla struttura «multi-livello» della regolamentazione europea, di cui si
parlerà in seguito.
teresse comunitario ma, detta cura, avviene secondo criteri e modalità tipi-
che di ciascuno Stato membro. «La funzione amministrativa, proprio perché
comune, non è più esclusivamente nazionale, anche quando affidata ai sin-
goli Stati membri, e tuttavia non è solamente comunitaria» 15. Nell’ottica del
profilo funzionale l’esecuzione diretta è individuabile in alcuni ambiti che,
per loro stessa natura o meglio per la natura degli interessi in gioco, richie-
devano una gestione condivisa, spettante quindi anche alla Commissione;
l’esecuzione indiretta prevede che l’esecuzione dell’atto venga attribuita alle
amministrazioni dei singoli Paesi. In tal modo, si attua una divisione dei
compiti tra le istituzioni sovranazionali e le amministrazioni degli Stati
membri, secondo un criterio collegiale e orizzontale. «Si tratta di un’inter-
pretazione funzionalmente complementare al principio di esecuzione indiret-
ta, poiché in entrambi i casi, l’obiettivo consiste nel tutelare l’indipendenza
di due ordini di autorità: delle amministrazioni nazionali dalle autorità co-
munitarie, nel primo caso; della Commissione dalle incursioni dei Governi e
delle istituzioni interne degli Stati membri, nel secondo» 16.
I modelli amministrativi che affiorano in questo quadro – nonché in que-
sto periodo – sono rinvenibili per lo più negli uffici collegiali istituiti presso
l’Unione, composti da rappresentanti nazionali e da autorità europee: si assi-
ste alla creazione di uffici istituiti o individuati, per effetto di un obbligo di-
sposto in sede nazionale e diretto allo Stato, al quale sono assegnati determi-
nati compiti stabiliti dalla normativa europea.
La nascita dell’amministrazione europea deve quindi inquadrarsi nella ti-
pologia del sistema istituzionale dell’Unione il cui elemento caratterizzante
era rappresentato dalla condivisione dei poteri tra Consiglio e Commissione:
di conseguenza anche la fase per così dire amministrativa del diritto euro-
peo, era condivisa tra Commissione e Consiglio 17. Nel Trattato CE l’esecu-
15
P. CHIRULLI, Amministrazione nazionale ed esecuzione del diritto europeo, in L. DE LU-
CIA-B. MARCHETTI (a cura di), L’amministrazione europea e le sue regole, Il Mulino, 2015.
16
E. CHITI, I principi dell’integrazione amministrativa, cit., p. 17. Si sottolinea che «…
l’esigenza di salvaguardare l’autonomia delle istituzioni delle amministrazioni nazionali è
implicita sia nelle scelte di Hallstein con riguardo alla Commissione, sia in quelle di Mon-
net sull’Alta autorità nel periodo 1952-1953, che dell’esperienza comunitaria rappresenta il
modello e la fonte di ispirazione».
17
Si veda Atto Unico europeo, 1986, nonché la disposizione contenuta negli artt. 145,
155, Trattato CEE. Il potere di decisione è concentrato nella mani del Consiglio (art. 145
del Trattato CEE) al quale spetta adottare le decisioni primarie della Comunità e decidere
se conferire alla Commissione «le competenze […] per l’attribuzione delle norme ad esso
attribuite». L. DE LUCIA-B. MARCHETTI, L’amministrazione europea e le sue regole, Il Mu-
lino, 2015, p. 141.
19
18
C. FRANCHINI, L'organizzazione amministrativa dell'Unione Europea, in E. CHITI-C.
FRANCHINI (a cura di), L’integrazione amministrativa europea, cit., cap. II, par. 2, p. 59: «…
in relazione alla continua diffusione di forme e di momenti di cooperazione tra autorità na-
zionali di settore e autorità comunitarie e, più specificamente, allo sviluppo di una comples-
sa attività di partecipazione delle singole amministrazioni sia alla fase di formazione che a
quella di applicazione delle decisioni comunitarie, si sono affermate nuove esigenze di col-
legamento con le istituzioni dell’Unione europea. Conseguentemente, si è resa necessaria la
creazione di uffici con competenza specifica, che intrattengono direttamente relazioni giuri-
diche con gli organi comunitari».
19
Corte giust., C-137/1992, Hüls/Commissione, P-DEP. Nella sentenza si legge: «A que-
sto fine, l’art. 12, primo comma, del regolamento interno in vigore all’epoca dei fatti preve-
deva che “gli atti adottati dalla Commissione, in riunione o mediante procedura scritta, so-
no autenticati, nella o nelle lingue in cui fanno fede, dalle firme del Presidente e del Segre-
tario esecutivo”. Lungi dall’essere, come sostiene la Commissione, una semplice formalità
destinata ad assicurarne la memoria, l’autenticazione degli atti, prevista dall’art. 12, primo
comma, mira a garantire la certezza del diritto fissando, nelle lingue che fanno fede, il testo
adottato dal Collegio. Essa permette così di controllare, in caso di contestazione, la perfetta
corrispondenza dei testi notificati o pubblicati con il testo adottato dal Collegio e, quindi, la
loro corrispondenza con la volontà dell’autore dell’atto».
20
20
E. CHITI, I principi dell’integrazione amministrativa, cit., p. 23: «Le linee essenziali
dell’originaria concessione dell’istituzione sovranazionale, dunque, divengono rapidamente
obsolete, sicché all’inizio degli anni sessanta il disegno di una Commissione strutturata co-
me un collegio ed operante come puro governo comunitario non corrisponde più alla realtà
dei fatti. Per un verso l’istituzione sovranazionale ha assunto in via definitiva i tratti di isti-
tuzione multifunzionale, chiamata a partecipare all’esercizio della funzione legislativa e
dell’attività di controllo, ma titolare anche di attribuzioni amministrative. Per l’altro, la sua
organizzazione interna si è complicata ed è divenuta più autonoma rispetto al collegio dei
commissari».
21
Regolamento Interno della Commissione n. 63/41, art. 11, in GUCE, 1963, n. 817, Ri-
correndo alla procedura scritta in un certo senso si pone un’eccezione rispetto al principio
della collegialità che usualmente è il tratto caratteristico del funzionamento della Commis-
sione. Secondo tale procedura, infatti, ogni commissario prepara una versione preliminare
dell’atto e la invia agli altri membri in forma scritta, indicando l’accordo dei vari uffici, i
motivi della proposta ed i suoi tratti essenziali. Entro una settimana i commissari possono
porre il veto, sospendono la procedura di approvazione, altrimenti l’atto si intende adottato.
21
22
E. CHITI, op. ult. cit., p. 21. «Al riguardo, va evidenziato come il funzionamento reale
dell’istituzione sovrannazionale abbia rivelato ben presto i limiti del modello descritto, so-
prattutto con riferimento a quei casi in cui la Commissione è dotata di compiti di esecuzione
diretta, i quali, se pur concepiti come eccezioni al principio dell’esecuzione decentrata, ri-
guardano taluni settori essenziali del progetto economico europeo, come la concorrenza e
gli aiuti di Stato».
22
strativa delle stesse; un impegno comune dei due ordini di autorità (ordina-
mento nazionale e ordinamento comunitario) volti entrambi al rispetto delle
norme elaborate in sede comunitaria. Detta interdipendenza implica tuttavia
l’accettazione che i membri dell’ordinamento comunitario non solo siano le-
gati a quest’ultimo dagli obblighi assunti, ma che si facciano carico degli
impegni comuni in merito anche alla fase esecutiva. In verità l’impostazione
sopra richiamata deve ascriversi al più ampio disegno originario dei rapporti
tra ordinamento interno e ordinamento comunitario che, inevitabilmente, ha
subito un’evoluzione significativa via via che l’azione comunitaria veniva
«di fatto» a incidere anche nella fase di esecuzione degli atti comunitari per
il raggiungimento degli interessi di quest’ultimo.
Si è assistito così al fenomeno dell’«amministrativizzazione» della Com-
missione che ha portato alla nascita dei «comitati» col compito di affiancare
le istituzioni nei processi decisionali, sempre più tecnici e complessi, dando
luogo a quel processo di «costituzionalizzazione della Comunità» che, a ca-
scata, ha inciso sull’integrazione amministrativa degli Stati.
Di questo secondo profilo non si può sottacere il ruolo determinante as-
sunto dalla giurisprudenza dell’Alta Corte di giustizia che, nelle sue varie
pronunce, non ha seguito l’ordinaria tecnica interpretativa del diritto inter-
nazionale in base al quale i trattati vincolano solo gli Stati contraenti, ha ri-
tenuto di dover optare, invece, per un’interpretazione di tipo finalistico, pro-
pria degli ordinamenti federali. In questa evoluzione vi è in verità l’evolu-
zione non solo dell’Unione ma altresì della stessa Commissione, la quale,
quant’anche dotata come si era detto in precedenza, di esecuzione diretta in
specifici settori, è venuta inevitabilmente ad ampliare la sua funzione esecu-
tiva con particolare riferimento a taluni settori essenziali del processo eco-
nomico europeo. Così, la Commissione è venuta ad acquisire poteri esecuti-
vi in gangli propri della politica europeistica.
23
Sul dibattito dei problemi sollevati dall’applicazione degli artt. 290 e 291 TFUE, si ve-
da M. SAVINO, La comitologia dopo Lisbona: alla ricerca dell’equilibrio perduto, in Giorn.
23
dir. amm., n. 10/2010, pp. 1041 ss. «Avversata dal Parlamento europeo, che la considera il
retaggio di un equilibrio istituzionale anacronisticamente sbilanciato in senso intergoverna-
tivo. Trattata con sospetto dal Consiglio per ragioni opposte, ovvero per la sua attitudine a
de-politicizzare le decisioni e a colludere con quegli stessi funzionari europei che dovrebbe
controllare. Tradita persino da questi ultimi, cioè dalla Commissione, pronta a sacrificare il
principale strumento di cooperazione con le amministrazioni nazionali pur di assecondare
la nouvelle vague della “democratizzazione” della governance europea, da cui la Commis-
sione stessa si sente minacciata. L’Unione sembra aver, così, individuato uno dei capri
espiatori della sua crisi di consensi nella comitologia, arcano sistema di collegi amministra-
tivi (266 nel 2009) attraverso il quale funzionari nazionali co-decidono con la Commissione
i contenuti delle circa duemila misure secondarie annualmente approvate dall’Unione».
Sempre di M. SAVINO, per un quadro più generale del problema si rinvia al volume I co-
mitati nell’Unione europea. La collegialità amministrativa negli ordinamenti compositi,
Giuffrè, 2005, pp. 105 ss.
24
Sull’individuazione concreta degli «elementi essenziali», secondo la giurisprudenza
consolidata, l’essenzialità è predicato di taluni elementi specifici riscontrabili nell’atto di ba-
se e in quello delegato. «L’apprezzabile tentativo, da parte della Corte, di rafforzare i pa-
rametri valutativi di una nozione cardinale nei rapporti tra le fonti, non può impedire di
considerare la “oggettività” di tali requisiti nel quadro di un rapporto dinamico tra legisla-
zione ed esecuzione, che, al di là delle mere clausole di stile, tenga conto non già delle for-
me di cui i rispettivi atti devono il nomen, ma dell’ampiezza e quantità degli interessi rap-
presentati nella sede in cui, volta per volta, ci si accinge a modificare la disciplina della ma-
teria». G. VOSA, “Nuovi elementi essenziali” ovvero nel posto della normativa delegata nel-
la sistematica delle fonti del diritto europeo, in Riv. it. dir. pubbl. comp., nn. 3-4/2014, p. 619.
25
Il sistema politico amministrativo dell’Unione europea è composto non soltanto dalle
istituzioni e dai loro apparati burocratici ma anche dagli apparati amministrativi e/o buro-
cratici degli Stati membri, che vengono sempre più ad essere chiamati a partecipare al
processo di elaborazione nella fase esecutiva-applicativa delle disposizioni normative euro-
pee di carattere derivato.
24
26
E. CHITI, op. ult. cit., p. 33.
27
M. SAVINO, La comitologia dopo Lisbona, cit., p. 1042. «La comitologia nasce nel
1962, in un contesto nel quale la distinzione tra legislazione ed esecuzione – come spesso
accade nelle organizzazioni internazionali – è assente. Nel disegno originario, “la Commis-
sione propone e il Consiglio dispone” mentre l’attuazione delle decisioni del Consiglio com-
pete in via esclusiva alle amministrazioni nazionali. L’attività esecutiva rientra nella sfera
di sovranità degli Stati membri».
28
M. SAVINO, op. ult. cit. pp. 1042 ss. Si veda altresì, C. FRANCHINI, L’organizzazione
amministrativa dell’Unione europea, cit., pp. 217 ss. «[…] vengono introdotti nei primi anni
sessanta dello scorso secolo per sopperire all’eccessivo carico di lavoro nel settore del-
l’agricoltura e, nonostante le resistenze iniziali della Commissione … superate peraltro dal-
la giurisprudenza […] si diffondono abbastanza rapidamente […] I principali sono tre in-
nanzi tutti i comitati definiti dalla comitologia, istituiti dal Consiglio nel contesto della dele-
ga della Commissione di una serie di poteri discrezionali, composti da funzionari e dalle
autorità coinvolte e soggetti a una parziale razionalizzazione con decisione del Consiglio n.
1987/373 del 13 luglio 1987 e con successiva decisione del Consiglio n. 1999/468 del 28
giugno 1999; poi, i comitati del Consiglio, incaricati della presentazione della preparazione
delle decisioni dei ministri; infine i comitati di esperti istituiti talora dal Consiglio, talaltra
dalla Commissione, composti normalmente da un funzionario di quest’ultima e da esperti
nazionali, che sono regolati da norme settoriali».
25
scrutinio diretto del Consiglio, detentore ultimo – per conto degli Stati – del
potere decisionale.
I «comitati» si configurano sostanzialmente quali uffici comunitari ai
quali è attribuita un’attività specialistica di natura tecnico-scientifica; com-
posti da membri designati dalle amministrazioni centrali-nazionali e dal-
l’amministrazione centrale comunitaria, diversamente da quanto si vedrà a
proposito delle agenzie. Si tratta in sostanza di organismi a composizione
mista con competenze specializzate ai quali è affidato il compito di favorire
la composizione degli interessi tra le amministrazioni nazionali e quelle so-
vranazionali, nella fase di preparazione della decisione dell’Unione. All’ori-
gine, la «comitologia» non si poneva in conflitto rispetto all’equilibrio isti-
tuzionale dell’Unione, tanto nel processo decisionale primario così come in
quello secondario. Il proliferare dei comitati ha fatto però sorgere numerose
incertezze in merito al rapporto con la Commissione e col Consiglio: si deve
tuttavia tener conto che, nel conferire le competenze di esecuzione agli stes-
si, la Commissione detiene sempre il potere di sottoporre l’esercizio della
funzione «a determinate modalità» e, parallelamente, lo stesso Consiglio
conserva sempre la facoltà di «… riservarsi in casi specifici, di esercitare
direttamente competenze di esecuzione». Elementi, questi, che mirano a
mantenere inalterato il sistema istituzionale; non a caso tale osservazione ha
rappresentato la motivazione che in una delle prime sentenze della Corte di
giustizia funge da base per legittimare gli interventi dei comitati 29.
Gli organismi in questione sono caratterizzati da una «doppia ausiliari-
tà» 30, sia nei confronti della Commissione sia nei confronti degli Stati mem-
bri, ciò in quanto i comitati coadiuvano la Commissione ma, nello stesso
tempo, essendo formati da rappresentanti degli Stati membri, hanno una
funzione di orientamento anche verso questi ultimi 31.
29
Einfuhr – und Vorratsstelle fur Getreide und Futtermittel c. Köster, Berodt & Co.,
C-25/70, in Raccolta, 1970, p. 1161. La Corte, chiarita la distinzione tra norme primarie e
secondarie in ambito comunitario, stabilisce che il procedimento del comitato di gestione
rientra tra le condizioni alle quali, secondo l’art. 155 (ora art. 211), il Consiglio può subordi-
nare l’esercizio, da parte della Commissione, dei poteri ad essa attribuiti. In particolare,
«senza alterare la struttura della Comunità né i rapporti fra le istituzioni, il comitato di ge-
stione consente [...] al Consiglio di attribuire alla Commissione dei poteri di attuazione no-
tevolmente estesi, pur riservandosi, se del caso, di avocare a sé la decisione».
30
C. FRANCHINI, L’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, cit., pp. 218 ss.
31
Occorre rammentare come un primo importante cambiamento risalga al 2006 allorché
venne inserita nella disciplina della comitologia una procedura speciale che differenziava, in
modo netto, gli atti quasi legislativi dagli atti esecutivi. Su pressione del Parlamento europeo
l’approvazione degli atti secondari, aventi requisiti di portata generale e l’incidenza su atti
26
legislativi, viene sottoposta alla c.d. procedura di regolamentazione con controllo. La proce-
dura contempla un duplice controllo sulle misure quasi legislative proposte dalla Commis-
sione: al parere del comitato, previsto per tutte le misure esecutive dettate dalla Commissio-
ne ai sensi dell’art. 102 TCE, si aggiunge il controllo diretto da parte delle autorità legislati-
ve. A esse è assegnato il potere di veto che consente di bloccare l’approvazione della misura
secondaria proposta dalla Commissione.
32
E. CHITI, L'organizzazione amministrativa dell'Unione Europea, in M. CHITI-C. FRAN-
CHINI (a cura di), op. cit., cap. I, par. II, p. 34. In tempi relativamente brevi si è pervenuti co-
sì all’istituzione, da parte del Consiglio, di Comitati di gestione in taluni settori nonostante le
resistenze della stessa Commissione mediante la previsione di un numero quantitativamente
più significativo di quelli che vengono usualmente definiti comitati di «regolamentazione»,
rispetto a quelli c.d. «consultivi» – corrispondenti ai comitati di gestione quanto alla compo-
sizione ma dotati di poteri di condizionamento delle decisioni della Commissione stessa.
33
In forza di quanto dispone la Decisione del Consiglio, 2006/512 CEE del 17 luglio
2006. Si veda in particolare l’art. 1, comma 2, della decisione si legge: «È necessario ricor-
rere alla procedura di regolamentazione con controllo per le misure di portata generale in-
tese a modificare elementi non essenziali di un atto adottato secondo la procedura di cui
all’articolo 251 del trattato, anche sopprimendo taluni di questi elementi, o completandolo
con l’aggiunta di nuovi elementi non essenziali. Tale procedura deve consentire ai due rami
dell’autorità legislativa di effettuare un controllo preliminare all’adozione di siffatte misure.
Gli elementi essenziali di un atto legislativo possono essere modificati soltanto dal legislato-
re in base al trattato».
34
Gemeente Anhem, Gemeente Rheden e BFI Holding BV, 10 novembre 1998, C-360/96,
in Raccolta [1998] 1-73.
27
35
M. SAVINO, La comitologia dopo Lisbona, cit., p. 1044. Osserva nella nota 15 l’A. che,
ove si volesse tentare un parallelismo con le fonti di diritto interno, gli atti delegati del-
l’Unione potrebbero essere assimilati ai decreti legislativi (data l’assenza di una legge dele-
ga) più che ai regolamenti governativi «delegificanti» o integrativi.
36
Comparando la nozione di delega contenuta nell’art. 76 della nostra Costituzione si
deve tener conto della linea seguita dalla Corte costituzionale che ha modellato l’istituto
della delega secondo una concezione non formalistica bensì sostanzialistica, volta a valoriz-
zare la continuità regolativa tra normazione parlamentare e normazione governativa. Com’è
stato osservato, «l’indizio principale di una costruzione ibrida, che emerge fin dalle prime
pronunce, notoriamente si radica nella teoria della norma interposta, in base alla quale la
Corte ammette – a dispetto dei criteri generali di risoluzione delle antinomie – che una fonte
di diritto sia vincolata da altra fonte gerarchicamente equiordinata e cronologicamente
anteriore. La motivazione formale che la sostiene si rivela da sola insufficiente dinanzi alla
constatazione che limiti ulteriori – non direttamente riconducibili al disposto costituzionale
– siano parimenti ritenuti vincolanti per il decreto delegato, nonostante la natura formale
non sovraordinata della legge di delega che li contiene. Ulteriore spia dell’introduzione di
una gerarchia di contenuti nei rapporti tra delega e decreto legislativo, sulla falsa riga del
28
modello europeo, è senz’altro la modulazione dei “principi e criteri direttivi”, che ha as-
sunto nel tempo, come noto, una conformazione assai elastica». Così, testualmente, G.
VOSA, op. cit., p. 286.
37
M. SAVINO, Il nuovo esecutivo europeo: dalla bicefalia alla polisinodia, in M.P.
CHITI-A. NATALINI (a cura di), Lo spazio amministrativo europeo. Le pubbliche ammi-
nistrazioni dopo il Trattato di Lisbona, Il Mulino, 2012, p. 119. Com’è stato osservato «nei
decenni successivi, questo disegno – fondato sulla in distinzione tra legislazione ed
esecuzione e sulla “rinazionalizzazione” attraverso la comitologia dei poteri affidati alla
Commissione – si consolida e si diffonde in tutti i settori di intervento della Comunità».
38
Decisione del Consiglio, 1987/373 del 13 luglio 1987: «– Considerando che il Consi-
29
glio conferisce alla Commissione, negli atti che esso adotta, le competenze di esecuzione
delle norme che stabilisce; Considerando che il Consiglio può sottoporre l’esercizio di tali
competenze a determinate modalità e che può anche riservarsi, in casi specifici, di esercita-
re direttamente competenze di esecuzione; – Considerando che per rendere più efficace il
processo decisionale della Comunità occorre limitare i tipi di procedure cui il Consiglio può
ricorrere in futuro; che occorre di conseguenza stabilire determinate regole cui devono con-
formarsi tutte le nuove disposizioni che prevedono modalità per l’esercizio delle competenze
conferite dal Consiglio alla Commissione; – Considerando che la presente decisione non
deve pregiudicare le modalità di esecuzione delle competenze della Commissione contem-
plate negli atti anteriori alla sua entrata in vigore e che deve essere possibile, all’atto della
modalità o della proroga di detti atti, adattare queste modalità per conformarle a quelle
previste dalla presente decisione o mantenere le modalità esistenti. Articolo 1: Tranne in
casi specifici per i quali si riserva di esercitare direttamente competenze di esecuzione, il
Consiglio conferisce alla Commissione, negli atti che esso adotta, le competenze di esecu-
zione delle norme che esso stabilisce. Il Consiglio precisa gli elementi essenziali di tali com-
petenze. Il Consiglio può sottoporre l’esercizio di tali competenze a determinate modalità
che devono essere conformi alle procedure elencate agli articoli 2 e 3», col che è evidente
che Commissione e comitati possono integrare e persino modificare le norme approvate dal
Consiglio venendo a svolgere un’attività materialmente legislativa.
30
39
Tuttavia, tale distinzione non sempre è stata avallata dalla Corte di giustizia tant’è che
nelle famose sentenze C/427/12, c.d. Biocidi e nella sentenza C/65/13 Parlamento c. Com-
missione, la Corte, privilegiando una lettura contenutistica, ha desunto l’impossibilità di se-
parare nettamente l’ambito legislativo o quasi legislativo (ex art. 290 TFUE) dall’ambito
esecutivo (ex art. 291 TFUE). Resiste invece la tradizionale condivisione verticale delle
competenze esecutive accentrate per il tramite della comitologia. Infatti la Commissione
continua a condividere quella quota di potere con le amministrazioni che ne sono titolari in
via primaria. Tuttavia, assumono sempre più rilievo gli atti quasi legislativi o atti delegati ex
art. 290 TFUE; l’esclusione della comitologia comporta il venir meno della condivisione con
gli Stati membri del potere delegato alla Commissione e d’altro canto gli atti delegati vengo-
no ascritti ad una funzione legislativa: solo gli atti di esecuzione implicano l’esercizio di
competenze di natura propriamente esecutiva.
40
J. BAST, Tipologie di atti dell’amministrazione europea, in L. DE LUCIA-B. MARCHET-
TI (a cura di), L’amministrazione europea e le sue regole, cit., pp. 74 ss. «Le istituzioni inte-
ressate hanno quindi ritenuto che il nuovo regime stabilito dall’art. 291 TFUE per gli atti di
esecuzione della Commissione, potesse essere applicato soltanto dopo l’entrata in vigore
delle regole previste dal paragrafo 3. Nel febbraio del 2011 il Parlamento europeo e il Con-
siglio hanno quindi adottato il c.d. regolamento comitologia (Reg. 182/2011). Esso ha sosti-
tuito la c.d. decisione comitologia adottata ai sensi dell’art. 202 TCE ed entrato in vigore il
1° marzo 2011. Ogni riferimento alle procedure di controllo disciplinate dalla decisione
comitologia si intende quindi automaticamente riferito alle procedure che sono succedute a
esse ai sensi del regolamento. La nuova procedura tipica dei comitati è la “procedura
d’esame” che combina vari elementi dei precedenti comitati di gestione e regolamentazione».
31
41
Art. 290 TFUE: «1. Un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di
adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati
elementi non essenziali dell’atto legislativo. Gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli
obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Gli elementi essenziali di
un settore sono riservati all’atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega
di potere. 2. Gli atti legislativi fissano esplicitamente le condizioni cui è soggetta la delega,
che possono essere le seguenti: a) il Parlamento europeo o il Consiglio possono decidere di
revocare la delega; b) l’atto delegato può entrare in vigore soltanto se, entro il termine
fissato dall’atto legislativo, il Parlamento europeo o il Consiglio non sollevano obiezioni. Ai
fini delle lettere a) e b), il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei membri che lo
compongono e il Consiglio delibera a maggioranza qualificata. 3. L’aggettivo “delegato” o
“delegata” è inserito nel titolo degli atti delegati».
42
M. SAVINO, L’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, in L. DE LUCIA-B.
MARCHETTI (a cura di), L’amministrazione europea e le sue regole, cit., pp. 41 ss. Anche di
recente il disegno regolatorio generale del mercato unico/interno è stato nuovamente tratteg-
giato nella «strategia del mercato unico» attraverso un’analisi presentata alla Commissione
sullo stato di integrazione dei mercati e sulla competitività dell’Unione europea.
32
43
E. CHITI, Le trasformazioni delle agenzie europee, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, p. 1.
44
Comunicazione della Commissione del 2005 nel progetto di accordo inter istituzionale
relativo all’inquadramento della agenzie europee di regolazione, in esso si rileva che, in
mancanza di un coordinamento e di un quadro comune il ricorso, a tali agenzie «rischia di
sfociare in una situazione poco trasparente e poco comprensibile per il cittadino, che po-
trebbe inoltre compromettere la certezza del diritto».
33
45
C. FRANCHINI, Amministrazione italiana e amministrazione comunitaria: la coammini-
strazione nei settori d’interesse comunitario, Cedam, 1992, p. 37; E. CHITI, Le agenzie eu-
ropee. Unità e decentramento nell’amministrazione comunitaria, Cedam, 2002, pp. 56 ss.
Non è questa la sede ma merita di essere ricordato che in questo periodo che vengono altresì
istituite l’agenzia europea
34
46
Nel Regolamento n. 58/2003: «Per poter assumere pienamente le sue responsabilità
dinanzi ai cittadini, la commissione deve concentrarsi in via prioritaria sulle sue missioni
istituzionali. È quindi opportuno che essa possa delegare a terzi alcuni compiti relativi alla
gestione di programmi comunitari. L’esternalizzazione di taluni compiti di gestione può
inoltre costituire un modo per realizzare con maggiore efficacia gli obiettivi perseguiti da
detti programmi comunitari. […] L’esternalizzazione dei compiti di gestione deve tuttavia
restare entro i limiti del sistema istituzionale creato dal trattato. Ciò significa che non pos-
sono essere esternalizzate le missioni che il trattato assegna alle istituzioni e che comporta-
no un margine di discrezionalità per tradurre in atto scelte politiche […] Il ricorso
all’esternalizzazione è, del resto, possibile solo dopo un’analisi costi-benefici […] Una for-
ma di esternalizzazione consiste nel fare ricorso ad organismi di diritto comunitario dotati
di personalità giuridica, denominati qui di seguito “agenzie esecutive”». Da qui la nascita
della agenzie esecutive istituite per svolgere determinati programmi comunitari aventi sede a
Bruxelles o a Lussemburgo vicino alla Commissione europea. Diverse invece sono le agen-
zie che non rientrano nella precedente fattispecie. Con Comunicazione della Commissione
europea al Parlamento europeo e al Consiglio, in data 11 marzo 2008, vengono disciplinate
le c.d. «agenzie decentrate» sostanzialmente soggetti di diritto pubblico europeo dotati di
personalità giuridica istituiti con atto di diritto derivato e incaricati di svolgere compiti speci-
fici in ambito tecnico-scientifico. Pur tuttavia, a parere di chi scrive, non esiste una vera e
propria distinzione in quanto anche le agenzie decentrate sovente hanno funzione di agenzie
esecutive; per cui se è vero che all’inizio si poteva ben delineare la diversità tra agenzie ese-
cutive ed agenzie decentrate, oggi risulta particolarmente difficoltoso.
36
47
E. CHITI, Le trasformazioni delle agenzie europee, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 1/2010,
p. 57: «Il processo di agentification nell’ordinamento europeo, in effetti, rappresenta un
segmento particolarmente significativo dell’organizzazione amministrativa dell’Unione, sia
sotto il profilo quantitativo sia sotto quello qualitativo: sotto il profilo quantitativo, perché
la crescita delle agenzie europee negli ultimi due decenni è stata costante e le agenzie euro-
pee sono ormai il tipo di figura organizzativa complessa, non meramente collegiale, preva-
lentemente nell’amministrazione europea; sotto il profilo qualitativo perché il gioco di forze
che governa le agenzie europee è assai complesso e coinvolge le diverse istituzioni politiche
e le amministrazioni nazionali, oltre che i privati». Si veda, altresì, C. FRANCHINI, L’orga-
nizzazione amministrativa dell’Unione europea, cit., p. 220. «La scelta del modello del-
l’agenzia è riconducibile a quattro esigenze diverse. In primo luogo, quella di razionalizzare
l’esercizio di alcune funzioni, talvolta assicurando un regime giuridico sovranazionale che
si affianca, con modalità differenti, a quelli propri degli Stati membri, talaltra modificando
la disciplina europea preesistente e migliorando la distribuzione dei compiti tra le autorità
dell’Unione, talaltra ancora prevedendo un regime che consente la realizzazione a livello
europeo di attività precedentemente svolte dalle autorità nazionali in modo tra loro non
coordinato. In secondo luogo, quella di lasciare immutato il ruolo e la posizione della
Commissione, in quanto attraverso le agenzie si realizza un decentramento di attività che,
per motivi di ordine politico e tecnico, non possono essere svolti direttamente dalle ammini-
strazioni centrali. In terzo luogo, quella di realizzare moduli organizzativi che consentano la
partecipazione, oltre che di funzionari europei, anche di esperti e di rappresentanti dei set-
tori interessati, similmente a quanto accade nell’esperienza dei comitati, così da consentire
l’integrazione, per un verso, e il coordinamento, per l’altro, tra i vari uffici titolari di attri-
buzione che operano a differenti livelli».
48
Secondo C. TOVO, Le agenzie decentrate dell’Unione europea, in Collana Centro In-
ternazionale di Ricerche sul Diritto Europeo dell’Università di Bologna (CIRDE), Editoriale
Scientifica, 2016, p. 34, quest’ultima caratteristica sarebbe proprio delle agenzie decentrate
ma in verità le agenzie nascono per svolgere compiti esecutivi del diritto dell’Unione.
37
49
C. TOVO, op. cit., p. 74. Si veda la nota 40, p. 75, ove l’A. riporta: «Si può ritenere
infatti che gli atti mediante i quali le agenzie esercitano poteri di esecuzione e delegati
figurino tra quelli adottati con procedura sui generis, i quali a loro volta insieme agli atti
delegati ad alcuni degli atti di esecuzione, compongono il novero delle misure non
legislative aventi portata generale, secondo la puntuale categorizzazione proposta dalle
conclusioni dell’Avvocato generale Kokott del 17 gennaio 2013 Inuit e a./Parlamento e
Consiglio».
38
50
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 18 marzo 2014, «Ricorso di annullamento –
Scelta della base giuridica – Articoli 290 TFUE e 291 TFUE – Atto delegato e atto di esecu-
zione – Regolamento (UE) n. 528/2012 – Articolo 80, paragrafo 1 – Biocidi – Agenzia euro-
pea per le sostanze chimiche – Determinazione delle tariffe da parte della Commissione»,
nella causa C-427/12, ove al punto 38 si legge: «Quando il legislatore dell’Unione conferi-
sce alla Commissione, in un atto legislativo, un potere delegato in virtù dell’articolo 290,
paragrafo 1, TFUE, quest’ultima è chiamata ad adottare norme che integrano o modificano
determinati elementi non essenziali di tale atto. Conformemente al secondo comma di tale
disposizione, gli obiettivi, il contenuto, la portata nonché la durata della delega di potere
devono essere esplicitamente delimitati dall’atto legislativo che conferisce una tale delega.
Detto requisito implica che l’attribuzione di un potere delegato mira all’adozione di norme
che si inseriscono nel quadro normativo quale definito dall’atto legislativo di base». Pari-
menti al punto 39 si legge: «Quando invece lo stesso legislatore conferisce un potere di ese-
cuzione alla Commissione sulla base dell’articolo 291, paragrafo 2, TFUE, quest’ultima è
chiamata a precisare il contenuto di un atto legislativo, per garantire la sua attuazione a
condizioni uniformi in tutti gli Stati membri».
39
cizio della competenza delle agenzie è subordinato a due tipi di limiti che
operano ex ante ed ex post rispetto all’esercizio della delega: il primo riserva
al legislatore comunitario sia la definizione degli elementi essenziali della
materia e l’esplicita delimitazione degli obiettivi, contenuto e portata della
delega (criterio sostanziale) nonché la determinazione della durata di tale de-
lega (criterio temporale); il secondo ordine di limite all’esercizio di poteri
delegati è individuabile nella facoltà, da parte del Consiglio o del Parlamen-
to, di porre in essere la revoca della delega sia esercitando un potere di veto
sia un diritto di opposizione: si tratta, in verità, di strumenti meramente fa-
coltativi che possono essere conferiti dal legislatore al Parlamento europeo o
al Consiglio o a entrambi. Da un punto di vista sostanziale è evidente che,
per ciò che attiene gli atti di esecuzione, la loro adozione è sempre subordi-
nata alla verifica dell’esigenza «di condizioni uniformi di esecuzione» di
«atti giuridicamente vincolanti dell’Unione». Ciò trova conferma nell’orien-
tamento assunto dal giudice comunitario fin dal 1958, con riferimento al
Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio 51; nella
giurisprudenza di tale periodo la Corte di giustizia aveva escluso la legittimi-
tà della delega di poteri che attribuissero ad organismi terzi una «libertà
d’apprezzamento» tale da concretarsi in un vero e proprio potere discrezio-
nale. La ragion d’essere di una siffatta limitazione, secondo la più accredita-
ta dottrina alla quale si aderisce 52, va rinvenuta nel «principio dell’equilibrio
istituzionale», che costituisce la garanzia fondamentale prevista dal trattato,
così come richiamata in precedenza. Gli obiettivi comunitari, infatti, «non
sono imposti alla sola Alta Autorità» bensì alle «istituzioni della Comunità
... nell’ambito delle loro rispettive attribuzioni e nell’interesse comune».
Così, se in base al principio di «effetto utile» non è consentito escludere la
possibilità di porre in essere una delega di poteri a organismi terzi – purché
51
Meroni & co. Industrie metallurgiche c. Alta Autorità, C-9/56; e Meroni & co. Indu-
strie metallurgiche c. Alta autorità, C-10/56. Nella sentenza in esame si legge che gli obiet-
tivi comunitari «non vengono imposti alla sola Alta Autorità» bensì «alle istituzioni della
Comunità … nell’ambito delle loro rispettive attribuzioni e nell’interesse comune».
52
E. CHITI, Le trasformazioni delle agenzie europee, loc. cit., p. 6, nota 7. Rileva l’A.
come «se il principio di effetto utile non consente di escludere la possibilità di una delega di
poteri ad organismi terzi, purché sia necessaria la realizzazione degli obiettivi individuati
dalla disposizione rilevante, rispetto all’equilibrio dei poteri circoscrive il possibile ambito
della delega ai poteri di mera esecuzione. Sulla base di questo orientamento, la scienza giu-
ridica e le varie istituzioni europee, tra cui la Commissione, hanno concluso che l’istituzione
di nuovi organismi europei potrebbe considerarsi legittima ai sensi del Trattato solo là dove
essa risulti necessaria per la realizzazione degli obbiettivi che i poteri attribuiti alla Comu-
nità intendono realizzare e non siano delegati poteri che comportino un reale margine di
apprezzamento».
40
ciò sia necessario per la realizzazione degli obiettivi individuati dalla dispo-
sizione rilevante – il rispetto dell’equilibrio dei poteri implica circoscrivere
il possibile ambito della delega a poteri di mera esecuzione. In conformità a
quest’orientamento, la scienza giuridica e le varie istituzioni europee, tra cui
la Commissione, hanno concluso che la creazione di nuovi organismi euro-
pei potrebbe considerarsi legittima ai sensi del trattato solo là dove essa ri-
sulti necessaria per la realizzazione degli obiettivi che i poteri attribuiti alla
Comunità intendono realizzare e non siano delegati poteri che comportino
un reale margine di apprezzamento 53. Anche quest’aspetto, fa propendere a
definire gli atti posti in essere dalle agenzie atti di «amministrazione indiret-
ta», in quanto i limiti previsti nell’atto di delega risultano o dovrebbero risul-
tare particolarmente incisivi. Pur tuttavia, rispetto ai comitati, si assiste a un
maggior coinvolgimento delle amministrazioni nazionali, dato questo che
rappresenta quel «filo rosso» che dalle prime forme di «amministrazione di-
retta e indiretta» porteranno, poi, alla coamministrazione.
Vi è da osservare che gli atti di esecuzione, a differenza degli atti delega-
ti, ex art. 291 TFUE, attribuiscono ai soli Stati membri il potere di controllo
sull’esercizio delle competenze di esecuzione da parte della Commissione.
Nonostante che l’art. 291, par. 3, TFUE, equipari Parlamento e Consiglio in
merito al controllo dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite
alla Commissione, a ben vedere, tale controllo è riconosciuto dalla stessa
norma di diritto primario in via esclusiva agli Stati membri; con Regolamen-
to (UE) n. 182/2011 del Parlamento e del Consiglio 54, è nata l’esigenza di
disciplinare i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte de-
gli Stati membri, in merito all’esercizio delle competenze di esecuzione at-
tribuite alla Commissione. Si deve tener presente che quest’ultima ha cerca-
to un accordo con le altre istituzioni politiche su un modello generale di
53
Sul punto si rinvia a K. LENAERTS, Regulating the Regulatory Process: “Delegation of
Powers” in the European Community, in European Law Review, 1993, p. 23 ss.; X.A.
YATAGANAS, Delegation of Regulatory Authority in the European Union – The relevance of
the American Model of Independent Agencies, Harvard Jean Monnet Working Papers, n.
3/2001 e G. DE BÚRCA, The Institutional Development of the EU: a Constitutional Analysis,
in P. CRAIG-G. DE BÚRCA (a cura di), The Evolution of EU Law, Oxford University Press,
1998, pp. 55 ss., 77.
54
Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16
febbraio 2011, nel quale sono stabiliti i principi generali relativi alle modalità di controllo da
parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla
Commissione. Nel considerando 10 si legge: «È opportuno stabilire i criteri intesi a definire
la procedura da seguire per l’adozione degli atti di esecuzione da parte della Commissione.
Per conseguire una maggiore coerenza, i requisiti procedurali dovrebbero essere propor-
zionati alla natura e all’impatto degli atti di esecuzione da adottare».
41
55
La caratteristica in parola, consente di distinguere le agenzie dalle istituzioni europee
ma anche dalle direzioni generali.
56
C. TOVO, op. cit., p. 38: «Tutti gli atti istitutivi delle agenzie decentrate, fatta eccezio-
ne per gli statuti delle prime due agenzie costituite nel 1975 (CEDEFOP ed EUROFOUND),
attribuiscono espressamente personalità giuridica a tali enti. Qualora tali atti avessero inte-
so conferire alle agenzie la sola personalità giuridica di diritto nazionale, le norme di diritto
derivato non avrebbero attribuito agli organismi – in tutti gli Stati membri e in aggiunta alla
personalità giuridica – la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche
delle rispettive legislazioni nazionali.
42
57
E. CHITI, Le trasformazioni delle agenzie europee, cit., p. 60: «Questo nuovo tipo di
agenzie europee, peraltro, non dovrebbe essere confuso con altre figure dell’organizzazione
amministrativa europea incentrate sulla formula della indipendenza. Esso si differenzia, an-
zitutto, dalla figura in cui l’indipendenza trova la sua massima forza ed estensione, quella
del sistema europeo della banche centrali coordinato dalla Banca centrale europea, giacché
in quel caso la Commissione, quale organismo indipendente dai governi nazionali ma legato
alla maggioranza politica espressa dal Parlamento europeo, è del tutto esclusa dall’eser-
cizio della funzione. Altrettanto netta è la distinzione dalle ipotesi nelle quali l’esecuzione
della regolazione europea è affidata ad un sistema comune composto da autorità indipen-
denti nazionali e coordinate dalla sola Commissione, senza che sia istituita un’agenzia euro-
pea, come avviene nel settore della concorrenza». Si rinvia anche a C. TOVO, op. cit., pp. 48 ss.
43
58
Si rinvia sul punto a G. AMATO, Autorità semi-indipendente ed autorità di garanzia, in
Riv. trim. dir. pubbl., n. 3/1997, pp. 659 ss. Fin da allora osservava Amato che l’esercizio dei
poteri da parte delle agenzie decentrate, analogamente a quanto avviene nel caso delle auto-
rità amministrative indipendenti, è inquadrabile in procedure disciplinate nei loro elementi
fondamentali da atti legislativi e presuppone una precedente attività di indirizzo generale e il
conferimento di ambiti di regolazione da parte del legislatore. Secondo l’A. questo potere di
derivazione espone l’autorità al rischio di correzioni legislative da parte del Parlamento che
potrebbero far venir meno l’indipendenza funzionale. Sul punto si rinvia anche a C. TOVO,
op. cit., p. 56, il quale, sulla base delle pronunce della Corte di giustizia che hanno confer-
mato il carattere strumentale relativo della nozione comunitaria d’indipendenza, ritiene che
detta nozione faccia sì che la dimensione istituzionale dell’autonomia sia subordinata a quel-
la funzionale «il carattere dell’imparzialità in altri termini prevale sulla separatezza».
44
brio fra gli interessi delle diverse parti. Proprio da tale risoluzione emerge il
carattere «funzionalmente orientato» che la nozione d’indipendenza acquista
nell’Unione, incentrata sul concetto di terziarietà e di neutralità degli inte-
ressi coinvolti nei quali tali agenzie operano, in modo da garantire il regolare
funzionamento del sistema.
Si appalesa che la nozione di autonomia e quella della personalità giuri-
dica, hanno carattere biunivoco: l’attribuzione della personalità implica il
riconoscimento dell’autonomia ma quest’ultima costituisce, al tempo stesso,
uno degli elementi costitutivi della prima 59. L’autonomia istituzionale delle
agenzie si manifesta, tuttavia, con il conferimento di competenze di organiz-
zazione interna all’ente, mediante l’adozione di un regolamento interno.
Infine, stante la mancata previsione da parte dei trattati ci si è posti il
problema del rapporto tra le agenzie e le nozioni di «organo» ed «organi-
smo», sovente utilizzati nell’ordinamento comunitario. Si osservi che, per
organo in genere, s’intende un centro di potere il cui esercizio dà luogo ad
atti e rapporti imputabili alla Comunità; la nozione di organismo, invece,
presuppone un ente distinto dall’organizzazione comunitaria, sotto il profilo
dell’imputazione giuridica della propria attività ma caratterizzato da una
«funzione di sussidiarietà rispetto a essa». Prendendo a parametro i sopra
esposti concetti, si perviene all’affermazione che le agenzie possono essere
definite come organismi dell’Unione; il legislatore europeo ha, infatti, inteso
espressamente far riferimento alla loro natura di centro d’imputazione distin-
to dall’apparato dell’Unione stessa, quant’anche strumentale al consegui-
mento dell’esercizio dei compiti affidati alla Comunità.
Fatte queste premesse, non certo con intenti esaustivi, in merito ai carat-
teri propri che in genere sono rinvenibili nelle agenzie esecutive, occorre os-
servare che, l’assetto delle stesse, apparentemente consolidato, è venuto via
via a modificarsi: ciò è imputabile alla spinta delle agenzie ad accentuare la
loro indipendenza rispetto alle istituzioni politiche, compresa la Commissione.
Negli ultimi anni, a seguito della crisi finanziaria del 2008, il modello di
agenzia europea è andato a implementarsi e a differenziarsi; ciascuna di que-
ste agenzie, istituite con regolamento, presenta caratteri precipui e non sem-
pre connessi all’esecuzione.
Pertanto, ciò che s’intendeva e s’intende evidenziare, è appunto lo sche-
ma generale delle agenzie quale modulo collegato all’esecuzione in materia
59
C. TOVO, op. cit., p. 50. «Così l’ordinanza 14 Novembre 1963, Lassalle/Parlamento,
15/63, EU:C:1963:47, nel secondo punto delle motivazioni, secondo la quale tra gli elementi
che “costituiscono il fondamento” della personalità giuridica “vanno in ispecie annoverati
l’autonomia e la responsabilità, sia pure entro un ambito limitato”».
45
60
Si veda M. PERASSI, Regolatori comunitari e nazionali nello scenario europeo. Model-
li decentrati e a rete, in Analisi giur. econ., Rivista web, n. 2/2002, p. 505. Rileva l’A. come
«… talvolta la rete può essere vista come un soggetto unitariamente responsabile della rac-
colta e analisi di dati e successivamente dell’elaborazione di dati affidabili e comparabili;
un soggetto che opera per effetto dell’attività di coordinamento dell’agenzia».
61
C. FRANCHINI, L’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, cit., pp. 223 ss.
46
che l’esercizio delle funzioni venga attribuito a soggetti non solo pubblici
ma anche privati, comporta una concezione plurilaterale dell’attività pubbli-
ca venendo ad evidenziarsi la perdita del centro della titolarità della funzio-
ne. Alcuni caratteri di questa figura organizzativa possono essere rinvenuti
anche nei sistemi comuni formati da autorità indipendenti nazionali che si
aggregano a livello ultra statale per condividere la funzione di regolamenta-
zione e di vigilanza dei mercati, incidendo sul processo sia di formazione sia
di attuazione (ed è questo l’aspetto che più ci interessa) del diritto europeo.
Dagli anni ’90 vengono a crearsi da parte delle istituzioni, nuovi uffici,
incaricati di gestire e coordinare sistemi amministrativi composti di autorità
nazionali e sovranazionali, operanti sia nei vari settori economici sia nel
campo dei settori sociali. Si osservi come, sotto il profilo funzionale queste
strutture, si caratterizzano per l’esercizio di specifici compiti di natura tecni-
ca e non discrezionale (come nelle esperienze precedenti) con l’obiettivo di
migliorare la cooperazione tra il livello nazionale e quello europeo; la novità
sta nel fatto che, sotto il profilo istituzionale, tali organi si pongono come
amministrazioni interne all’ordinamento europeo che agiscono in via auto-
noma giacché poste al di fuori dell’apparato amministrativo della Commis-
sione in senso stretto, quant’anche a essa collegate. La scelta di modelli di
«coamministrazione» è quella di razionalizzare l’esercizio di talune funzio-
ni, talvolta assicurando un regime giuridico sovranazionale che si affianca,
con modalità differenti, a quella propria degli Stati membri, altre volte modi-
ficando la disciplina europea preesistente e migliorando la distribuzione dei
compiti tra le varie autorità. Il vero è che, attraverso tali modelli, si viene a
operare un decentramento dell’attività della Commissione per la gestione di
taluni settori, richiedenti un’integrazione tra funzionari europei e i vari uffici
titolari di attribuzioni a diversi livelli 62. A differenza del modello di esecu-
62
Si osservi come a seguito della crisi finanziaria, con regolamenti del Parlamento euro-
peo e del Consiglio n. 1093/2010, 1094/1010 e 1095/2010 del 24 novembre 2010, sono state
istituite rispettivamente l’Autorità bancaria europea, l’Autorità europea delle assicurazioni,
delle pensioni aziendali e professionali e l’Autorità europea degli strumenti finanziari del
mercato. Queste nuove autorità sono tendenzialmente autonome rispetto alle istituzioni poli-
tiche; hanno potere di vigilanza micro prudenziale, fanno parte del sistema europeo di Auto-
rità di vigilanza finanziaria, composta dal Comitato europeo per il rischio sistemico CERS,
costituito dal Regolamento del Parlamento europeo e dal Consiglio n. 1092/2010 del 24 no-
vembre 2010.
47
63
Si veda quanto disposto dalla Corte di giustizia nel caso Simmenthal C-106/1977. Con
questa pronuncia, la Corte stabiliva che «in forza del principio della preminenza del diritto
comunitario le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente
applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo
di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi
disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche – in quanto
dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme
interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri – di impe-
dire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero
incompatibili con norme comunitarie». In altre parole, la disposizione europea, giacché fonte
direttamente applicabile, prevale sulla norma interna, anche se successiva; di conseguenza il
giudice nazionale ha «… l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tute-
lare i diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente
contrastanti della legge interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria».
l’estensione del principio della superiorità del diritto comunitario anche sotto il profilo am-
ministrativo con la sentenza Ciola C-224/1997; La Corte di giustizia ha infatti precisato, in
tale ultima sentenza, che il diritto dell’Unione è idoneo a imporsi, in generale, su qualsiasi
atto o fatto avente valore «normativo», rispetto alle norme costituzionali degli Stati membri
ma anche sugli atti amministrativi a carattere particolare. Sul punto, C. FRANCHINI, Ammini-
strazione italiana e amministrazione comunitaria. La coamministrazione nei settori di inte-
48
resse comunitario, in A. D’ATENA (a cura di), Studi in onore di Pierfrancesco Grossi, Ce-
dam, 2012, p. 178.
64
E. CHITI-C. FRANCHINI (a cura di), L’integrazione amministrativa europea, cit., pp. 66
ss. «Oltre che per la contitolarità della funzione e per il fine unitario, il modello della
coamministrazione si distingue per la necessità di una espressa previsione normativa comu-
nitaria che sancisca l’affidamento ad un’autorità a livello nazionale dei compiti previsti per
l’effettiva realizzazione degli obiettivi da perseguire. La scelta di costituire ex novo un or-
ganismo specifico serve a mantenere l’unicità della funzione ai fini della tutela dell’in-
teresse comunitario, evitando oltretutto qualsiasi contrasto, anche solo potenziale, con si-
tuazioni nazionali già consolidate».
49
65
C. FRANCHINI, op. cit., p. 71.
66
E. CHITI, op. cit., p. 50. «Inoltre, il completo svolgimento dell’attività dell’organismo
ultra statale ha posto in piena evidenza la natura anche amministrativa della Commissione,
mentre l’inventiva istituzionale delle autorità comunitarie ha prodotto la prima significativa
forma di integrazione amministrativa tra ordinamenti degli Stati membri e ordinamenti delle
Comunità europee, quella dei comitati che affiancano le istituzioni in processi decisionali
sempre più tecnici e complessi, esprimendo la competenza riunita della burocrazia degli
Stati membri di fronte alla Commissione».
67
E. CHITI, op. ult. loc. cit.
50
CAPITOLO II
EVOLUZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA
ED EFFETTI NELLA REGOLAMENTAZIONE
AMMINISTRATIVA DELLE LIBERTÀ ECONOMICHE
tegrazione del mercato comune e quindi con una finalità di natura politica e
non di natura meramente economica 1; nello stesso tempo l’accento veniva
posto sulla salvaguardia del processo competitivo nonché sulla tutela della
libertà economica. Questi ultimi due obiettivi sono influenzati dalle prospet-
tive della scuola ordoliberale 2, che costituisce un approccio giuridico eco-
nomico del diritto della concorrenza sostanzialmente diverso dalla disciplina
antitrust americana. Solo negli anni successivi il diritto comunitario sulla
concorrenza si è gradualmente evoluto verso finalità efficientistiche, venen-
dosi a sottolineare soprattutto l’obiettivo di accrescere il benessere dei con-
sumatori; ma accanto a questo obiettivo non si può non prendere in esame
l’ampio spettro di finalità politiche che rimane presente nello sviluppo della
materia 3. Il vero è che esiste una netta interdipendenza tra la politica della
concorrenza e le altre politiche, quale ad esempio la politica ambientale e
quella sociale; cosicché i soli modelli economici, basati sulla teoria dei prez-
zi e dei giochi, non sono in grado di fornire un adeguato orientamento al-
l’Unione.
Il primo riferimento normativo è rinvenibile negli artt. 65 e 66 del Tratta-
to sulla Comunità europea per il carbone e l’acciaio-CECA (1951); il secon-
do e più incisivo richiamo a tale principio è rinvenibile nell’art. 3, lett. f) del
Trattato istitutivo delle Comunità europee CEE (1957) che prevedeva, tra gli
altri obiettivi, quello di «garantire una libera concorrenza nel mercato co-
mune». A questa finalità erano originariamente dedicati gli artt. 85 e 94 del
Trattato CEE «che, fortemente influenzati dalla legge antitrust americana,
1
G. AMATO, Il potere e l’antitrust, Il Mulino, 1998, p. 13. Si veda, altresì, R. VAN DEN
BERGHE-A. GIANNACCARI, L’approccio più economico nel diritto comunitario della concor-
renza, in Mer., conc., reg., anno XVI, n. 3/2014, p. 395.
2
Le autorità alleate di occupazione decisero nel dopoguerra di importare in Europa la di-
sciplina antitrust nordamericana; da qui la tesi, sovente sostenuta che le norme comunitarie
sulla concorrenza siano state modellate sulla scorta dei divieti previsti dallo Sherman Act. I
principi di concorrenza nell’ordinamento comunitario, sono stati in verità influenzati dalla
scuola ordoliberale di Friburgo elaborando un approccio originale per individuare la forma
più consona di politica di concorrenza e proponendo linee guida per definire le norme giuri-
diche più appropriate. Secondo la scuola di Friburgo la concorrenza avrebbe dovuto proteg-
gere gli individui dal potere economico privato e tale libertà, insieme alle libertà politiche,
dovevano rappresentare il punto centrale della costituzione economica della società. Così era
condivisa la prospettiva fondante del liberalismo classico: la concezione della libertà econo-
mica quale corollario della libertà politica. Tuttavia, si discostano dal pensiero liberale tradi-
zionale per la mancanza di fiducia in un mercato non regolamentato, al fine di conseguire i
benefici della concorrenza. Da qui la necessità di disporre d’un quadro giuridico che disci-
plinasse le condotte scaturenti dal mercato che si ponessero in contrasto col principio stesso.
3
Si rinvia a N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Laterza, 2004, pp. 31 ss.
55
4
L. MC GOWANS, La politica della concorrenza, in S. FABBRINI-F. MORATA (a cura di),
L’Unione europea. Le politiche pubbliche, Laterza, 2002, pp. 58 ss. Merita di essere osserva-
to che l’influenza americana non è stata solo un’influenza derivante da una disciplina anti-
trust già emanata, ma si è trattato di una vera e propria influenza politica anche da parte dei
giuristi statunitensi, presenti nella sede dell’ambasciata americana di Parigi, che fornirono
aiuto nella redazione dei divieti. Si veda L.F. PACE, I fondamenti del diritto antitrust euro-
peo: norme di competenza e disciplina applicativa dalle origini alla costituzione euoropea,
Giuffrè, 2005, p. 52.
5
L.F. PACE, La nascita del diritto della concorrenza in Europa: la redazione degli arti-
coli 85 e 86 CEE e il Reg. 17/1962, in L.F. PACE (a cura di), Dizionario sistematico del dirit-
to della concorrenza, Jovene, 2013, pp. 4 ss. La redazione del Regolamento n. 17/1962, rap-
presenta il primo regolamento di attuazione delle norme di concorrenza della CEE.
56
6
M. LIBERTINI, voce Concorrenza, in Enc. dir., Milano, 2010, pp. 191 ss. (specifica-
mente, pp. 222 ss.). Occorre osservare come l’influenza di queste teorie, si diffusero in Ger-
mania presso la Scuola di Friburgo, dopo la seconda guerra mondiale, trovando la propria
principale esposizione in F. BÖHM, Freiheit und Ordnung, Baden-Baden, 1980; W. EUCKEN,
Die Grundlagen der Nationalökonomie, Springer Verlag Berlin, Heidelberg, 1989. Il Volu-
me fu pubblicato per la prima volta nel 1940 e fin da allora vennero indicate le basi della
Scuola di Friburgo; W. RÖPKE, Die Krise des Kollektivismus, München, 1947. Esse si fon-
dano sull’idea che «la politica della concorrenza» si debba spostare dalla dimensione
«dell’intervento punitivo» – deviante «dall’ordine naturale delle cose» – verso «un interven-
to amministrativo permanente di promozione, contro le tendenze naturali dei mercati a irri-
gidirsi nella difesa delle posizioni di potere». Così M. LIBERTINI, op. cit., p. 216.
7
Il ruolo attivo delle autorità regolative è assunto in assonanza ai dettami del pensiero ordoli-
berale della scuola di Friburgo. In ogni caso, occorre sottolineare come il mercato, «da mero luo-
go deputato allo svolgimento dell’attività economica e di scambio, è divenuto una istituzione, con
finalità e mezzi propri». M. LIBERTINI, op. cit., p. 192. Parallelamente occorre far riferimento a N.
IRTI, op. cit., p. 99, il quale sottolinea come «[…] il mercato è un locus naturalis, ma un locus
artificialis, ossia un sistema di relazioni governato dal diritto: insomma non un istituto originario
e spontaneo, ma un istituto giuridico. Il mercato non è trovato, ma costruito dal diritto».
57
zione, desumono che detto principio sia divenuto un «mero mezzo» e non il
«fine» dell’economia europea 8: il passaggio da mezzo a obiettivo ha avuto
effetti rilevanti come si vedrà in seguito 9. In verità parrebbe, dalle sentenze
della Corte di giustizia, che si possa sostenere che nulla è cambiato non po-
tendo intravedersi alcun ridimensionamento del principio della concorrenza
rispetto alle precedenti statuizioni, fermo restando che la concorrenza man-
tiene il ruolo di punto focale per porre in essere tutti gli strumenti necessari a
limitare le c.d «asimmetrie informative» del mercato, secondo quell’impo-
stazione richiamata dalla scuola di Friburgo. Indubbiamente, le regole della
concorrenza sono rimaste il fulcro nel quale l’Europa intende operare
nell’ambito del mercato unico, come si desume testualmente dal Trattato di
Lisbona: «L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo
sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sul-
la stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente compe-
titiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un eleva-
to livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente …». È evi-
dente che l’accento è stato posto alla salvaguardia del processo competitivo
e sulla tutela delle libertà economiche evolvendosi, non solo in direzione di
8
F. DENOZZA, La concorrenza come mezzo e come fine, in P. BILANCIA-M. D’AMICO (a
cura di), La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona, Giuffrè, 2009, pp. 166 ss. «In ogni
caso merita di essere sottolineato come la concorrenza, che nei Trattati antecedenti faceva
parte dei mezzi principali di azione dell’Unione, nel Trattato di Lisbona si osserva in genere
che detto principio regolatorio dell’attività economica sia stato “relegato” nel Protocollo.
Questa è la mera descrizione, comunemente esposta, di ciò che è avvenuto, diversa tuttavia,
dal merito della questione ovvero dalle reali implicazioni di tale evoluzione. Sul punto si è
aperto un acceso dibattito dottrinale: i “sostenitori” (in prima linea la Commissione e i suoi
Funzionari) della concorrenza quale principio imminente, fanno leva sul fatto che il Trattato
di Lisbona non ha cambiato l’impostazione dei precedenti Trattati poiché anche il Protocol-
lo è vincolante come il trattato stesso. Su un piano formale la concorrenza menzionata nel
Protocollo anziché nel testo principale non può essere interpretata come una sorta di “de-
classamento” del principio in parola, tuttavia su un piano sostanziale si osserva che nella
legislazione europea la concorrenza non è mai stata considerata un obiettivo per l’Unione
ma solo un mezzo e la nuova collocazione sembra sostenere tale tesi».
9
F. DENOZZA, La concorrenza come mezzo o come fine, cit., p. 166: «Il vero è che nella
giurisprudenza della Corte di giustizia, la concorrenza rimane uno degli strumenti di rea-
lizzazione del Trattato, strumento che soprattutto negli anni precedenti aveva dato alla di-
sciplina della concorrenza una forza espansiva, anche per ragioni di tipo ideologico-siste-
matico e non solo per ragioni tecnico-esegetiche. In ogni caso l’art. 119, TFUE, richiede
che la politica economica dell’Unione sia condotta conformemente al principio di un’eco-
nomia di mercato aperta e in libera concorrenza ma soprattutto della concorrenza fa il ful-
cro della propria trattazione il Protocollo n. 27, il quale prevede che il mercato interno
comprenda un sistema che assicuri che la concorrenza non sia falsata aggiungendo che
l’Unione si impegna ad adottare tutte le misure necessarie a tal fine».
58
10
R. VAN DEN BERGH-A. GIANNACCARI, op. cit., pp. 395 ss.
11
Si deve riconoscere anche nel settore in questione, l’estremo rilievo della giurisprudenza
della Corte di giustizia che «è chiamata da un lato, ad individuare i principi applicabili;
dall’altro a plasmarne il contenuto»; D. MINIUSSI, La nozione di servizio pubblico locale tra
diritto europeo e ordinamento nazionale, in Il diritto dell’economia, vol. 26, n. 80/2013, p. 129.
12
Si rammenti, senza alcun tipo di volontà esaustiva, che le misure a tutela della concor-
renza possono essere suddivise in tre tipi d’intervento: 1. Le misure antitrust, qualificate
come «misure legislative di tutela in senso proprio»; 2. Le misure che prescrivono l’apertura
dei mercati e le eliminazioni delle restrizioni dell’accesso ai medesimi, qualificate come mi-
sure dirette a tutelare la concorrenza «nel mercato»; 3. Le misure che perseguono i fini di
assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in
modo da realizzare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici, qualifi-
cati con le misure dirette a tutela della concorrenza «per il mercato». Si osservi che l’ottica
concorrenziale deve inserirsi nella prospettiva di un miglioramento della qualità delle presta-
zioni erogate a garanzia dell’utente. Si veda F. MERUSI, La regolazione dei servizi di interes-
se economico generale nei mercati (parzialmente) liberalizzati: una introduzione, in La re-
golazione dei servizi di interesse economico generale, Giappichelli, 2010, p. 10.
59
13
A. TIZZANO, La Corte di giustizia e lo sviluppo del diritto antitrust, in G. TESAURO (a
cura di), Concorrenza ed effettività della tutela giurisdizionale tra ordinamento dell’Unione
europea e ordinamento italiano, Editoriale Scientifica, 2013, pp. 25 ss.
60
nazionale degli Stati membri 14. È evidente che la base del principio in paro-
la poggia su un criterio economico che riconosce l’insostituibile ruolo della
concorrenza per soddisfare i bisogni dei soggetti e la sua capacità di coordi-
nare l’economia alla politica, secondo la c.d. «economia sociale del merca-
to», ciò fa sì che «… tale tradizione, muovendo da questi presupposti è co-
munque giunta a ritenere necessario – come si esprimeva Luigi Einaudi sul-
la scorta delle riflessioni di Wilhelm Röpke – intervenire sulle modalità con-
crete di funzionamento del capitalismo storico per realizzare l’uguaglianza
dei punti di partenza» 15. Tanto più che è ormai acquisito che non sempre i
mercati possono auto correggersi soprattutto quando un’impresa acquista
una posizione privilegiata o dominante sì da ostacolarne l’ingresso alle nuo-
ve imprese; né è possibile che un’eventuale distorsione della concorrenza,
possa essere corretta, intervenendo sul piano della domanda «per esempio,
di fronte al bisogno di un farmaco salvavita la disponibilità a pagare trova
un limite solamente nella capacità economica di chi ha bisogno di quel far-
maco. In casi come questi, i prezzi eccessivi aggravano le disuguaglianze e
sono particolarmente odiosi sul piano dell’equità sociale» 16.
Senza pretese di approfondimento in merito agli studi economici in mate-
ria di concorrenza, ai fini del presente lavoro rileva che l’impostazione di
fondo della regolamentazione comunitaria è quella secondo la quale detene-
re una posizione dominante nel mercato costituisce, in alcuni casi, un allar-
me oggettivo sull’equilibrio dello stesso (restrizioni per oggetto), altre volte
14
Corte giust., 13 febbraio 1969, causa 14/68, Walt Wilbelm, ove la Corte di giustizia
aveva riconosciuto la possibilità di un’applicazione parallela delle norme dell’Unione e di
quelle nazionali rispetto ad una stessa intesa, ma ciò solo nell’ipotesi in cui non ne venisse
pregiudicata l’uniforme applicazione all’interno del mercato comune delle norme dell’Unio-
ne sulle intese e il pieno effetto dei provvedimenti adottati in applicazione delle stesse.
15
Relazione annuale del Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mer-
cato, G. PITRUZZELLA, Roma, 16 maggio 2017. Si deve a Röpke l’analisi e il progetto politi-
co ordoliberale della «terza via» il quale si snoda attraverso una valutazione delle logiche di
cui sono portatori i principali attori individuati nel pensiero politico moderno: l’individuo e
lo Stato. La «terza via» viene a creare un «pluralismo sano» basato sulla teoria della società
articolata in cerchie diverse (giuridica, politica ed economica), ognuna delle quali è connessa
alle altre. L’articolazione sociale è data da un lato dalla connessione reciproca dell’ambito
economico giuridico e politico e, dall’altro, dall’assenza di primato assiologico e ontologico
di una cerchia rispetto alle altre. Tutto ciò porta alla nozione di «interventismo liberale» ov-
vero, lo Stato s’impegna a fornire un quadro giuridico nel quale l’economia di mercato possa
funzionare secondo giustizia e modo conforme alla natura umana. Lo Stato non interviene in
senso stretto nella sfera economica ma influenza il mercato. L’ordine giuridico economico è
l’ambito nel quale lo Stato deve istituire, gestire e proteggere un’economia di mercato affin-
ché possa dare spazio all’esercizio della libertà economica.
16
G. PITRUZZELLA, op. loc. cit.
61
17
Nella Relazione di G. Pitruzzella, si fa l’esempio dell’intervento antitrust del settem-
bre 2016, in merito a un abuso per prezzi eccessivi, nel quale sarebbe incorsa la multinazio-
nale Sudafricana Aspen. Il caso riguarda i prezzi di un gruppo di farmaci antitumorali, utiliz-
zato soprattutto da bambini e anziani, individuati con la denominazione complessiva di
«farmaci Cosmos». Aspen, dopo aver acquisito i diritti di commercializzazione di tali farma-
ci, dal loro originario titolare (GlaxoSmithKline), ha avviato una negoziazione con l’AIFA
per ottenere un incremento del loro prezzo. Dopo una lunga trattativa conclusasi nel 2014,
l’Aspen ha conseguito un aumento dei prezzi di circa il 300%, aumenti del tutto ingiustificati
e sganciati dai costi di produzione sostenuti, cosicché l’eccessiva sproporzione tra costi e
prezzo, nonché lo specifico contesto in cui devono essere inserite le condotte delle imprese,
hanno portato a ravvisare «un abuso di sfruttamento” e a sanzionare l’impresa.
18
Così, espressamente, nella sentenza Corte giust., C-234/89, Delimitis, nella quale, al
punto 17 così si esprime «Ne consegue che il mercato di riferimento, corrisponde in questa
causa, a quello della distribuzione della birra nei pubblici esercizi non osta questa constata-
zione la circostanza che fra le due reti di distribuzione esiste una certa interferenza, e cioè
che le rendite nel commercio al dettaglio consentono ai nuovi concorrenti di far conoscere
le loro marche e di fruire della loro reputazione per accedere al mercato dei pubblici eserci-
zi. In secondo luogo, il mercato considerato è delimitato dal punto di vista geografico … per
valutare se l’esistenza di più contratti di fornitura di birra ostacoli l’accesso al mercato così
delimitato si deve passare successivamente all’esame della natura e della impostazione del
62
20
R. PARDOLESI, voce Le intese verticali, in L.F. PACE (a cura di), Dizionario sistemati-
co del diritto della concorrenza, cit., p. 80.
21
R. VAN DEN BERGH-A. GIANNACCARI, op. cit., p. 405. Gli A. hanno altresì osservato
come le restrizioni verticali possano avere effetti ambivalenti sia sui prezzi sia sui costi di
transazione.
22
Sentenza del Tribunale di I grado, 15 settembre 1998, Cause riunite T-374, T-375, T-
384 e T-388/94, European Night Services Ltd (ENS), Eurostar (UK) Ltd, Union internatio-
nale des chemins de fer (UIC), NV Nederlandse Spoorwegen (NS) e Société nationale des
chemins de fer français (SNCF) c. Commissione delle Comunità europee, in Raccolta, p. II-
03141. Si vedano, tra l’altro, ex multis, anche le sentenze del Tribunale, 9 luglio 2003, C-T-
224/00, Archer Daniels Midland c. Commissione, in Raccolta, p. II-2597; del 12 luglio
2001, cause riunite T-202, T-204 e T-207/98, Tate & Lyle c. Commissione, in Raccolta, p.
II-2035; del 11 marzo 1999, C-T-141/94, Thyssen Stahl A.G. c. Commissione, in Raccolta, p.
II-347; del 6 aprile 1995, C-T-148/89, Trèfilunion c. Commissione, in Raccolta, p. II-1063.
64
già citate Linee direttrici sull’applicazione dell’art. 81, par. 3, del Trattato,
sancisce al paragrafo 20 che: «Le restrizioni per oggetto, quali la fissazione
dei prezzi e la ripartizione del mercato, provocano riduzioni della produzio-
ne ed aumenti dei prezzi, determinando una cattiva allocazione delle risor-
se, in quanto i beni e i servizi richiesti dai consumatori non vengono prodot-
ti. Tali restrizioni determinano inoltre una riduzione del benessere dei con-
sumatori, i quali devono pagare un prezzo più elevato per i beni e i servizi
in questione». Nelle sentenze della Corte di giustizia, le due metodologie
vengono entrambe richiamate talvolta valutando gli effetti dei comporta-
menti anticoncorrenziali, altre volte invece, sanzionando il comportamento
ex se 23.
Il regolatore istituzionale più rilevante relativo al controllo della concor-
renza, o se si vuole del «contenitore concorrenza», è rappresentato dalla Di-
rezione Generale che conobbe il suo maggiore sviluppo solo dopo la secon-
da metà degli anni ’80, nonostante che la sua istituzione risalga al Regola-
mento n. 17/1962. Tra i vari poteri della Direzione Generale pare opportuno
rammentare quello della condanna al pagamento di ammende e multe per
mancata osservanza delle regole della concorrenza, che possono ammontare
fino al 10% del volume degli affari realizzati dall’impresa durante l’ultimo
esercizio commerciale. Com’è stato rilevato, nonostante le norme europee
sulla concorrenza abbiano seguito modelli americani e tedeschi da un punto
di vista della gestione amministrativa, la DG Concorrenza presenta un’im-
pronta squisitamente francese. L’agente predispone un draft da sottoporre a
cinque membri della DG al Gabinetto della Commissione e al servizio legale
e ciascuno di tali membri predispone un proprio parere da inviare all’agente
responsabile. Solo dopo l’agente responsabile può agire, il ch’è indice della
collegialità ma anche dell’autonomia di cui si avvale la DG.
L’evoluzione di detto organo è significativa poiché nel corso dei primi
23
S. PELLERITI, L’art. 101 TFUE e la rule of reason europea: nuovi spunti della Corte di
giustizia dell’Unione europea, in Dir. comm. internaz., n. 1/2016, p. 298. «In conclusione, se
da un lato è inevitabile rinvenire nelle sentenze del giudice europeo alcune analogie con i
metodi statunitensi di valutazione delle intese, non sembra, per questo, corretto classificare
le restrizioni “per oggetto” e “per effetto” ex art. 101, TFUE, come mere trasposizioni delle
dottrine per se rule e rule o reason. Tali parametri possono aver rappresentato un punto di
partenza per la normativa europea antitrust, ma sono stati ulteriormente sviluppati ed adat-
tati in coerenza con le caratteristiche del mercato comunitario, attraverso un sistema di
analisi delle intese complessivamente diverso rispetto a quello d’oltreoceano. Il sistema di
esenzioni di cui al paragrafo 101.3 è infatti spinto al di là di quanto previsto dalla dottrina
statunitense, non limitandosi a consentire semplicemente una valutazione dell’intesa in ter-
mini di efficienza economica, ma valorizzando anche la valutazione in termini di tutela di
interessi pubblicistici».
65
vent’anni della sua attività si è via via trasformato da braccio passivo e pu-
ramente amministrativo della Commissione, a soggetto attivo nel settore in
esame. I fattori a cui può essere imputata tale trasformazione sono molteplici
ma come si vedrà in seguito, l’approvazione del regolamento sul controllo
delle concentrazioni nel 1989, divenne presto elemento caratterizzante della
politica europea della concorrenza. Oggi la critica più fondata a tale organi-
smo è rappresentata dalla lentezza nel trattare i casi a essa sottoposti soprat-
tutto nei settori di cui si parlerà in seguito; certo è che in questi anni la DG
sulla concorrenza ha sortito effetti positivi ed effetti negativi: positivo è
l’istaurarsi di un regime concorrenziale pieno, coeso e globale nel mercato
interno, negativo è sicuramente l’eccessiva burocratizzazione dell’organi-
smo in questione. Dai rapporti tra DG e Stati membri, è possibile intravedere
lo sviluppo dei legami anche di tipo amministrativo sorti in materia, sui qua-
li via via si farà riferimento.
24
L. TORCHIA, Il Governo delle differenze, Il Mulino, 2006, p. 29 «La modernizzazione
della politica della concorrenza ha così portato ad un assetto nel quale un’unica disciplina,
definita a livello europeo, viene applicata ad autorità diverse poste in rete su tutto lo spazio
europeo, senza che a questo corrisponda però una definizione della competenza di ciascuna
autorità in termini territoriali. Il sistema non può definirsi, dunque, né accentrato né decen-
trato ma presenta invece caratteristiche proprie che lo distinguono dagli assetti tipici degli
Stati federali come gli Stati Uniti».
67
25
TFUE, Art. 197: «1. L’attuazione effettiva del diritto dell’Unione da parte degli Stati
membri, essenziale per il buon funzionamento dell’Unione, è considerata una questione di
interesse comune. 2. L’Unione può sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a migliorare
la loro capacità amministrativa di attuare il diritto dell’Unione. Tale azione può consistere
in particolare nel facilitare lo scambio di informazioni e di funzionari pubblici e nel sostene-
re programmi di formazione. Nessuno Stato membro è tenuto ad avvalersi di tale sostegno.
Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la proce-
dura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure necessarie a tal fine, ad esclusione di
qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. 3.
Il presente articolo non pregiudica l’obbligo degli Stati membri di attuare il diritto del-
l’Unione né le prerogative e i doveri della Commissione. Esso non pregiudica le altre dispo-
sizioni dei trattati che prevedono la cooperazione amministrativa fra gli Stati membri e fra
questi ultimi e l’Unione».
68
26
Il Regolamento n. 1/2003, si presenta come qualcosa di nuovo, come una rottura nei
confronti del passato. Si sostanzia, più precisamente, in un intervento che, a differenza di
quanto avviene nel Regolamento n. 17, tiene nella dovuta considerazione i protagonisti della
scena, in particolare gli Stati membri e le imprese, ai quali è assegnata una maggiore respon-
sabilità nel dare attuazione concreta alle norme del trattato in materia di intese e abuso di
posizione dominante.
69
27
Già nel vigore del Regolamento n. 1984/83, nella sentenza Delimitis, la Corte di giu-
stizia (28 febbraio 1991, causa C-234/89) sottolineava alcuni punti specifici della normativa
antitrust: si veda il concetto di mercato di riferimento, il ruolo della Commissione, il garanti-
re a tutte le imprese interessate l’accesso al mercato (nella fattispecie ai produttori nazionali
di birra).
28
Art. 3, comma 1, Regolamento n. 1/2003: «Quando le autorità garanti della concor-
renza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in
materia di concorrenza ad accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concor-
date ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del trattato che possano pregiudicare il com-
mercio tra Stati membri ai sensi di detta disposizione, esse applicano anche l’articolo 101
del trattato a siffatti accordi, decisioni o pratiche concordate. Quando le autorità garanti
della concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione
nazionale in materia di concorrenza agli sfruttamenti abusivi vietati dall’articolo 102 del
trattato, esse applicano anche l’articolo 102 del Trattato».
29
L. TORCHIA, op. cit., p. 164: «L’equivalenza fra le attività delle diverse autorità risul-
ta, quindi, predeterminata, non solo sul piano della definizione delle regole, ma anche sul
piano dell’applicazione e dell’attuazione di quelle regole in tutti gli ordinamenti nazionali e
70
rità garante della concorrenza stia indagando su un caso sul quale un’altra
autorità intende indagare, o per il quale ha ricevuto una denuncia, costituisce
per le altre autorità, motivo sufficiente per sospendere il proprio procedi-
mento; tuttavia, qualora un’Autorità garante della concorrenza di uno Stato
membro stia svolgendo un procedimento, ciò non inibisce alla Commissione
di avviare il medesimo procedimento previa consultazione con quest’ultima,
come stabilito nell’art. 11, ult. comma, Regolamento n. 1/2003 30.
Resta inteso che la Commissione rimane pur sempre l’autorità più idonea
nel caso in cui l’oggetto dell’indagine sia rappresentato da un accordo tran-
sfrontaliero o che riguardi società multinazionali; parimenti la Commissione
ha il potere di avocare a sé l’indagine, avviata da un’ANC di uno Stato
membro. Com’è stato osservato il potere di avocazione, insieme con altre
previsioni contenute nel Regolamento n. 1/2003, «relative al rapporto tra
autorità nell’ambito della REC, ha portato a qualificare il nuovo network
come una rete sui generis, altamente giuridicizzata e formalizzata, in cui al-
la parità dei nodi si sostituisce un rapporto di sovra-sotto ordinazione che
discende dalla supremazia funzionale riconosciuta alla Commissione» 31.
Nel regolamento si prevede, inoltre, il divieto delle autorità nazionali del-
la concorrenza di assumere determinazioni che si pongano in contrasto con
decisioni già assunte dalla Commissione nonché la facoltà delle ANC di
consultare la Commissione e l’obbligo della Commissione di consultare un
comitato consultivo, composto dai rappresentanti delle ANC, prima di adot-
tare la decisione. Proprio nel Regolamento n. 1/2003 viene a sottolinearsi la
necessità dello scambio d’informazioni tra le ANC e tra queste e la Com-
missione, sia pure prevedendosi, in capo alle autorità nazionali, l’esistenza
di un vero e proprio obbligo gravante su quest’ultime relativo a fornire alla
Commissione tutte le informazioni in loro possesso. Lo scambio d’informa-
zioni acquista quindi connotati non solo di una migliore allocazione dei casi
e di una decisione più ponderata ma anche l’esercizio di potere di controllo
da parte della Commissione sul lavoro delle ANC sì da applicare il diritto
previsto dall’Unione. Il vero è che la collaborazione tra Commissione e Au-
torità garante della concorrenza degli Stati membri, avviene ex art. 12, pro-
prio attraverso un continuo scambio d’informazioni sicché, come espressa-
della competenza ad applicare gli articoli 81 e 82 del trattato. Qualora un’autorità garante
della concorrenza di uno Stato membro stia già svolgendo un procedimento, la Commissio-
ne avvia il procedimento unicamente previa consultazione di quest’ultima».
31
S. DEL GATTO, La rete europea della concorrenza: una rete a maglie troppo larghe?,
in Riv. it. dir. pubbl. comunit., n. 5/2016, p. 1266, nota 19. Rileva l’A. nel testo che «È dun-
que preferibile che vi sia un’unica autorità a procedere seppur coordinandosi e consultan-
dosi con altre ove necessario, sia a livello nazionale che a livello sovranazionale. È tuttavia
possibile, se ciò è giustificato da una migliore e più efficace attuazione delle norme anti-
trust, che il caso venga “riattribuito” ovvero passato ad un’autorità ritenuta più idonea, la
c.d. well placed authority, individuata secondo i criteri fissati nella Comunicazione sulla
cooperazione all’interno della Rete europea per la concorrenza. Vi sono poi alcune clausole
di chiusura, volte a scongiurare (e a risolvere) eventuali conflitti tra autorità … è previsto
che la Commissione è sempre l’autorità più idonea nel caso di uno o più accordi o pratiche
comprese le reti di accordi o di pratiche simili – che – incidono sulla concorrenza in più di
tre Stati membri».
72
32
Comunicazione della Commissione sulla Cooperazione nella Rete Europea per la Con-
correnza (2004/C-101/03) … [i]nsieme le ANC e la Commissione formano una rete di pub-
bliche autorità: agiscono insieme nell’interesse generale e in stretta cooperazione per tute-
lare la concorrenza. La rete è un forum di discussione dove cooperare per dare attuazione
alla politica europea in materia di concorrenza. [...], [La rete] è la base per la creazione e il
mantenimento di una cultura comune della concorrenza in Europa.
33
In tale senso si veda l’esplicito richiamo di cui al considerando 15 del Regolamento n.
1/2003, che così recita «La Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati
membri dovrebbero formare insieme una rete di pubbliche autorità che applicano le regole
di concorrenza comunitarie in stretta cooperazione. A tal fine è necessario istituire dei mec-
canismi di informazione e di consultazione. La Commissione, in stretta collaborazione con
gli Stati membri, stabilirà e sottoporrà a revisione altre modalità di cooperazione all’in-
terno della rete».
73
ne tra tutte le imprese del mercato unico, con l’obiettivo di garantire un cor-
retto funzionamento del mercato stesso 34; di conseguenza, in caso di viola-
zione di tali regole, la Commissione può infliggere sanzioni alle imprese che
siano incorse in tali comportamenti, per l’ammontare massimo del 10% del
loro fatturato. Il vero è che con l’applicazione della normativa antitrust si
mira a prevenire e controllare i c.d. trust o altri monopoli di fatto e di diritto,
che potrebbero sorgere nel mercato comunitario.
In questo quadro giuridico, un particolare rilievo assume la tormentata di-
sciplina dei c.d. «programmi di clemenza», già previsti nel 1996 a cui ha fat-
to seguito il secondo Programma di clemenza del 2002 e il terzo del 2006,
modificati nel testo del 2012 del Model Leniency Programme 35.
A seguito di ciò, l’AGCM, ebbe ad adottare un provvedimento ad hoc 36
per disciplinare, nel dettaglio, l’ambito di applicazione e i requisiti per ac-
cedere al provvedimento favorevole. È evidente che l’obiettivo dei pro-
grammi di clemenza è quello di far emergere tali fenomeni i quali, spesso
occulti, possono essere individuabili solo a seguito di precise indicazioni di
una delle parti; tuttavia, i Leniency Programs si riferiscono solo a restri-
zioni della concorrenza derivanti dalle fattispecie codificate nell’art. 101
TFUE 37. Di fatto, nell’Unione europea non esiste ancora un sistema unifi-
34
Autorità garante della concorrenza e del mercato, Normativa antitrust comunitaria, in
http://www.agcm.it/unione-europea/normativa-antitrust-comunitaria.html. Come affermato
dall’autorità garante, la tutela della concorrenza è dunque perseguita anche attraverso la pre-
visione di un vantaggio per l’impresa oltre che attraverso la minaccia di una sanzione.
35
Comunicazione della Commissione concernente l’immunità delle ammende o la ridu-
zione del loro importo, nel caso di cartelli tra imprese – 2006/C, 298/11, in GUCE, C-298,
dell’8 dicembre 2006. Si rammenti che, oltre a quello della Commissione, sono stati adottati,
altri 26 Programmi nazionali di clemenza, che si inseriscono nel quadro delle competenze
parallele degli Stati membri e in particolare delle autorità garanti della concorrenza, in rela-
zione all’applicazione dell’art. 101 TFUE. Il Parlamento, nella Risoluzione del 26 marzo
2009, aveva posto l’accento sul fatto che «l’applicazione del programma di clemenza con-
tribuisce in modo decisivo a far emergere cartelli segreti, consentendo in tal modo l’avvio di
azioni da parte dei privati e chiede che siano esaminati strumenti per garantire che sia man-
tenuta l’attrattiva dell’applicazione del programma di clemenza». Sul punto si rinvia a S.
RONCO, Programmi di clemenza e private enforcement: bilanciamento di interessi tra “pen-
titismo concorrenziale” e diritto al risarcimento del danno antitrust, in Pol. dir., n. 3/2006,
p. 463, nota 7.
36
Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni. Con D.L. 4 lu-
glio 2006, n. 223 (così come modificato nella legge di conversione del 4 agosto 2006, n.
248) il legislatore italiano ha provveduto ad adeguare l’ordinamento interno alle previsioni
del Regolamento CE n. 1/2003.
37
Così S. DEL GATTO, op. cit., p. 1267. Si veda, altresì, C. PESCE, Il programma di cle-
menza europeo e la tutela dei singoli, in Dir. UE, n. 1/2011, pp. 145 ss.
75
38
S. RONCO, op. cit., p. 465.
39
In particolare, si veda la Comunicazione della Commissione sulla cooperazione
nell’ambito della rete delle autorità garanti sulla concorrenza del 27 aprile 2004.
76
40
Il nuovo testo del Leniency Programme chiarisce e semplifica le informazioni che de-
vono essere fornite dalle imprese che intendono rivolgersi a più di un’autorità garante della
concorrenza in caso di procedimenti istruttori. Le maggiori novità introdotte riguardano
quanto segue:
– tutti i richiedenti un trattamento favorevole che si rivolgano alla Commissione, in casi
incidenti sulla concorrenza di più di tre Stati membri, saranno in grado di presentare la do-
manda di trattamento favorevole, redatta in forma semplificata (Summary Application) alle
autorità nazionali garanti della concorrenza. Precedentemente solo il primo richiedente, cioè
il richiedente l’immunità, aveva il diritto di utilizzare la domanda in forma semplificata ai
sensi del MPL, anche se alcune Autorità avevano già esteso il diritto a tutti i candidati;
– la European Competition Network (ECN) ha concordato un modello uniforme di do-
manda di trattamento favorevole redatta in forma semplificata, che le imprese saranno in
grado di utilizzare in tutti gli Stati membri;
– la ECN ha pubblicato altresì un elenco di autorità che accettano il Summary Applica-
tion in inglese;
– altre modifiche attengono chiarimenti sulle condizioni che i richiedenti devono soddi-
sfare per poter beneficiare del trattamento favorevole, in particolare sul dovere di cooperare
e sulla portata dei programmi di clemenza, che si estendono, oltre che ai cartelli segreti, an-
che a cartelli che includono elementi verticali;
– il nuovo testo chiarisce inoltre che le autorità garanti, membri della ECN, dovrebbero
fornire lo stesso livello di protezione contro la divulgazione delle dichiarazioni di clemenza
scritte e orali.
77
41
Il sistema del marker consente di presentare una domanda incompleta e di chiedere
all’autorità di fissare un termine entro il quale la domanda dovrà essere perfezionata, con la
conseguenza che se la richiesta di un marker viene accolta e la domanda perfezionata entro il
termine stabilito dall’autorità, l’istanza di accesso al programma si considera pervenuta in
forma completa alla data di accoglimento della richiesta del marker. Con l’intento di evitare
elementi di «rigidità» della procedura, la disciplina italiana non prevede, invece, degli sca-
glioni percentuali di riduzione delle sanzioni in relazione alla tempestività della collabora-
zione prestata.
42
Direttiva 2014/104/UE, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il ri-
sarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del dirit-
to della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea.
78
sensi del diritto nazionale della concorrenza». Prima della nuova direttiva, il
problema si era, sia pure in modo diverso, già proposto; l’autorità, come
emerge dalla Relazione del 2013, per rendere appetibile la collaborazione
del privato, aveva previsto una serie di correttivi, volti a riconoscere l’immu-
nità penale delle persone fisiche appartenenti all’impresa che collabora non-
ché a escludere la responsabilità solidale dell’impresa che ottiene l’immunità
nell’ambito dell’azione di danno: pur tuttavia tale impostazione è rimasta
inattuata. I problemi invece diventano ancora più complessi in base alla
nuova direttiva in merito all’applicazione del precitato art. 9, poiché, nella
legislazione nazionale, non è rinvenibile una previsione volta a coordinare,
in maniera espressa, decisioni amministrative (antitrust) e quelle dei giudici
di liti private in materia antitrust 43. L’innovatività di una siffatta disposi-
zione, pone numerosi problemi per l’ordinamento italiano, soprattutto se si
tiene conto che l’illecito antitrust è sempre stato considerato un illecito am-
ministrativo e quindi il giudice amministrativo può verificare la sola legitti-
mità dell’atto dell’autorità antitrust; è invece del giudice ordinario la valuta-
zione dei fatti per ciò che attiene la tutela risarcitoria richiesta da terzi.
Di fronte al sistema italiano, l’applicazione dell’art. 9 ha diviso la dottri-
na poiché la diposizione in esame sembrerebbe implicare una perdita di co-
gnizione da parte del giudice ordinario, in merito all’accertamento dell’illi-
ceità, già oggetto di decisione dell’autorità garante. È stato osservato che «la
perdita della cognizione piena del giudice ordinario in ordine all’accerta-
mento della illiceità, già oggetto della decisione dell’Autorità del garante,
se non altrimenti compensata porterebbe ad un deficit (complessivo) di tute-
la giurisdizionale, che sarebbe difficilmente compatibile con i nostri precetti
costituzionali e che finirebbe per contrastare con la stessa direttiva […]» 44.
Nel nostro ordinamento il rapporto tra le vicende procedimentali antitrust
– di natura amministrativa – e i giudizi civili risarcitori sono concettualmen-
te basati sull’autonomia dei due giudizi, principio cardine del nostro sistema
che discende dall’autonomia del giudizio civile rispetto al giudizio ammini-
strativo per l’asimmetria dei rispettivi giudizi: quello amministrativo volto
alla caducazione dell’atto, quello civile all’accertamento della conformità al
diritto di vicende materiali. Il giudice ordinario, investito di una questione
risarcitoria per un illecito antitrust definitivamente accertato dall’autorità
43
B. GILIBERTI, Public e private enforcement nell’art. 9, co. I, direttiva antitrust 104/2014.
Il coordinamento delle tutele: accertamento amministrativo e risarcimento danni nei rap-
porti privatistici, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., n. 1/2016, pp. 77 ss.
44
G. GRECO, L’accertamento delle violazioni del diritto della concorrenza e il sindacato
del giudice amministrativo, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., n. 5/2016, pp. 990 ss.
79
45
E. CANNIZZARO, Le politiche di concorrenza, in G. STROZZI (a cura di), Diritto
dell’Unione europea, III ed., Giappichelli, 2000, p. 263. Rileva l’A. che «questa impostazio-
ne non viene scalfita neanche nei recenti progetti di riordino della materia, i quali non sem-
brano aprire degli spazi di manovra più ampi nell’interpretazione dell’art. 81, par. 1».
81
46
Sentenza 13 luglio 1966, cause riunite 56-58, in Raccolta, 1966, pp. 458 ss. In tale sen-
tenza la Corte rileva che «la concorrenza può essere alterata ai sensi dell’art. 81, paragrafo
1, non solo da accordi che la limitano fra le parti, ma anche da accordi che impediscono o
restringono la concorrenza che potrebbe aver luogo tra una di esse e i terzi».
82
47
Regolamento (CE) n. 2790/1999 della Commissione del 22 dicembre 1999, in GUCE,
n. L. 366 del 29 dicembre 1999. Sono particolarmente rilevanti il considerando 8 dove si
legge: «qualora la quota del mercato rilevante attribuibile al fornitore non superi il 30%, si
può presumere che gli accordi verticali che non contengano alcune restrizioni aventi effetti
anticoncorrenziali gravi siano in genere atti a determinare un miglioramento nella produ-
zione e nella distribuzione e a riservare agli utenti una congrua parte dell’utile che ne deri-
va. Nel caso di accordi verticali comportanti obblighi di fornitura esclusiva, è la quota di
mercato dell’acquirente a determinare gli effetti complessivi di tali accordi sul mercato» e il
considerando 9: «qualora la quota di mercato superi la soglia del 30%, non è possibile pre-
sumere che gli accordi verticali che ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 81,
paragrafo 1, implichino generalmente vantaggi oggettivi di natura ed ampiezza tali da com-
pensare gli svantaggi che determinano sotto il profilo della concorrenza».
48
E. CANNIZZARO, op. cit., p. 273. «L’esistenza di una posizione dominante non è vietata
dal diritto della concorrenza, purché acquisita attraverso comportamenti che utilizzino le
normali dinamiche economiche del mercato. Né è vietato piuttosto uno sfruttamento abusivo,
atto a ridurre le capacità competitive degli altri operatori – e conservare quindi artificial-
mente la posizione dominante –, ovvero di realizzare politiche di mercato che si avvalgano
dell’assenza o della ridotta concorrenza a danno dei consumatori».
83
49
Occorre tener presente che il concetto di posizione dominante ha in sé profili economi-
ci perché indica un notevole grado d’indipendenza di una specifica impresa rispetto agli altri
competitor.
84
50
Sentenza 17 novembre 1987, nel caso Philip Morris Inc.
51
Regolamento CEE n. 4064/1989 del Consiglio del 21 dicembre 1989, relativo al con-
trollo delle operazioni di concentrazione tra le imprese; a questo ha fatto seguito il Regola-
mento n. 1310/1997. Il Regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio, dal 1° maggio 2004
sostituito dal Regolamento CE del Consiglio, ha introdotto a livello comunitario una disci-
plina sul controllo preventivo di tutte le operazioni di concentrazione nelle quali il fatturato
delle imprese interessate, superi determinate soglie. In tali casi, prima di realizzare l’opera-
zione, le imprese devono darne comunicazione alla Commissione che può vietare l’operazio-
ne allorché la concentrazione ostacoli in modo significativo una concorrenza effettiva nel
mercato comune o in una parte sostanziale di esso, in particolare mediante la creazione o il
rafforzamento di una posizione dominante.
85
52
Anche le concentrazioni tra imprese con sede fuori del mercato unico possono avere
conseguenze sui mercati europei, se le imprese interessate vi operano.
86
53
Si veda COM(201)14, p. 19. Sul tema si rinvia a M.A. STEFANELLI, Osservazioni criti-
che sulla regolamentazione giuridica delle micro e piccole medie imprese. La dimensione
“minore” come misura per una regolamentazione dell’industria e per la ripresa economica,
in G. LEMME (a cura di), Diritto ed economia nel mercato, Cedam, 2014, pp. 216 ss., ove si
osserva che «per far fronte all’attuale grave crisi economica e sociale è necessario ripartire
dalla PMI, ripensando ad essa come strumento di inclusione finanziaria e sociale, come fon-
te di nuove relazioni economiche sociali».
54
Il vero è che sia a livello comunitario che a livello nazionale – nonché internazionale –
si sono adottate nuove strategie per rispondere ai problemi che, anche a causa della crisi
economica ma non solo imputabile ad essa, hanno impattato proprio le PMI ovvero le picco-
le e le piccolissime imprese le quali peraltro in un momento di crisi vengono chiamate a far
sentire il loro peso specifico nell’economia del mercato unico.
87
55
La situazione europea non appare molto diversa da quella degli Stati Uniti, ove, non a
caso, sin dal 1953, è stato elaborato lo Small Business Administration che potrebbe essere
considerato il «precursore» dello Small Business Act europeo.
56
Sostanzialmente i principali obiettivi dello SBA sono il miglioramento dell’approccio
politico globale allo spirito imprenditoriale, l’informazione dei processi decisionali al princi-
pio «pensare anzitutto in piccolo» e l’offerta di aiuto alle PMI nell’affrontare i problemi che
ne ostacolano la crescita e lo sviluppo. Per un’ampia individuazione delle tematiche in meri-
to alle PMI si rinvia al volume M.A. STEFANELLI, Il riconoscimento normativo delle piccole
e medie imprese, Cedam, 2011.
88
57
La revisione dello SBA conclude elencando alcuni esempi di «buone pratiche» riguar-
danti l’attuazione dei dieci principi fondanti, da parte degli Stati membri, nei primi due anni
dopo la Comunicazione del 2008. Un esempio di buona pratica nell’attuazione del primo
principio, sulla gratificazione dello spirito imprenditoriale, è rappresentato dallo statuto di
«auto-imprenditore» promosso dalla Francia nel 2009, per consentire a qualsiasi cittadino di
creare facilmente un’impresa e di beneficiare di una serie di esenzioni fiscali nei primi tre
anni. L’esempio di «seconda possibilità» è invece fornito dall’Estonia che, con la legge di
riorganizzazione del 2008, ha introdotto un’alternativa alla procedura fallimentare che con-
sente alle imprese di sopravvivere in caso di problemi temporanei di solvibilità. Nella Re-
pubblica Ceca dal 2009 la «scatola dei dati» mira a semplificare il trasferimento dei dati e la
comunicazione tra imprese e amministrazioni. Per l’attuazione del principio «pensare anzi-
tutto in piccolo», nell’aprile 2010 il Governo italiano ha istituito un gruppo di lavoro perma-
nente per monitorare l’attuazione dello SBA nel nostro Paese, pubblicando ogni anno un
rapporto sulla situazione delle PMI e proporre iniziative in questo contesto.
89
sa, particolarmente rilevanti. Ciò trova conferma nella survey che ha accom-
pagnato l’elaborazione delle Direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE, nelle quali
univoca è stata l’osservazione da parte dei soggetti coinvolti del fatto che il
procedimento a evidenza pubblica fosse eccessivamente complesso, soprat-
tutto per le PMI.
Gli strumenti contenuti nelle nuove direttive, volte a coinvolgere anche
nel settore in questione le PMI, sono numerosi e di diversa tipologia. Il Par-
lamento europeo, nella Risoluzione del 25 ottobre 2011, sulla modernizza-
zione degli appalti pubblici (2011/2048(INI)) al punto 28, così rileva «in vi-
sta del riesame della normativa europea in materia di appalti pubblici [si
appalesa] l’opportunità di norme … più aperte verso le PMI». In verità la
Commissione europea, fin dal 2008, aveva emanato il c.d. Codice europeo
delle buone pratiche che agevolino l’accesso delle PMI ai contratti di ap-
palti pubblici, ma per molto tempo tale sollecitazione è rimasta lettera morta
proprio perché l’amministrazione trovava e trova meno oneroso (sia per la
tempistica sia per l’impegno) svolgere dei grandi appalti piuttosto che appal-
ti di piccole dimensioni. Per raggiungere l’obiettivo di una maggiore parte-
cipazione delle PMI gli strumenti e i meccanismi prospettati sia dall’Unione
sia coerentemente (almeno sotto questo profilo) dalla legge italiana, sono
eterogenei e si sovrappongono sia pure inseriti nella più ampia macro area
della semplificazione degli appalti. Già la direttiva comunitaria prevedeva
che, ove fosse possibile, le amministrazioni frazionassero l’appalto in lotti
funzionali, ciò al fine di conseguire un maggiore coinvolgimento delle PMI,
come già sollecitava il Libro Verde del 2011, normativizzando tale principio
nelle Direttive del 2014 58.
Nella legge delega di recepimento delle direttive del 2014, è riproposta la
suddivisione in lotti la quale assume una natura quasi obbligatoria preve-
dendosi che, fermo restando il ricorso alle centrali di committenza, deve es-
sere salvaguardata l’esigenza di garantire la suddivisione in lotti nel rispetto
della normativa dell’Unione europea. Con la suddivisione in lotti, anche la
piccola e media impresa dovrebbe poter partecipare agli appalti, non poten-
do in questo caso la stazione appaltante richiedere requisiti eccessivamente
gravosi per lotti di medie dimensioni. Parimenti si prevede, sempre al fine di
facilitare l’accesso alle micro, piccole e medie imprese, una maggiore diffu-
sione d’informazioni e un’adeguata tempistica nonché l’innovazione tecno-
58
Tale disciplina era già stata prevista nel Decreto Salva Italia il quale all’art. 2, comma
1-bis, così recita «… nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici,
al fine di favorire l’accesso alle piccole medie imprese, le stazioni appaltanti devono ove
possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali».
90
59
Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, 16 gennaio 2013, pubblicata in
G.U. il 12 aprile 2013, n. 86. Legge 28 novembre 2005, n. 246, art. 14, commi 24-ter e 24-
quater. Infine si tenga conto del D.P.C.M. 28 maggio 2014, contenente il Programma per la
misurazione e la riduzione dei tempi dei procedimenti amministrativi e degli oneri regolatori
gravanti su imprese su cittadini, ivi inclusi gli oneri amministrativi, in G.U. 24 luglio 2014,
n. 170. Come è stato rilevato dall’ANCE nell’Audizione rispetto alla prima bozza di legge
delega, il divieto di gold plating, trova espressamente fondamento nel comma 24-ter, art. 14,
legge n. 246/2005, che ne definisce natura e caratteristiche; mancherebbe, invece, l’espresso
richiamo al comma 24-quater della norma sopra citata, che consentirebbe di derogare al di-
vieto in questione, nell’ipotesi in cui si versi in circostanze eccezionali, consentendo, in tali
ipotesi, il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria. Come rilevato opposto
a tale principio è il recepimento c.d. copy out che consiste invece nell’attenersi alla formula-
zione delle disciplina così come contenuta nella legislazione dell’Unione. Pertanto, nel rece-
pimento delle normative dell’Unione, i Governi nazionali si trovano nell’alternativa o di ri-
produrre fedelmente l’atto comunitario, oppure di prevedere le ragioni per cui ritengono ne-
cessaria l’applicazione del principio del gold plating. Nella Relazione presentata da P. Man-
tini, si sottolinea come detto principio possa assumere significati ulteriori. Si veda lo scritto
Divieto di gold plating e semplificazione normativa nel recepimento delle direttive su appalti
e concessioni, in http://www.osservatorioappalti.unitn.it.
91
mento delle proprie fatture da parte delle amministrazioni, a grave danno per
l’impresa stessa, talché, proprio il ritardato pagamento viene sovente indivi-
duato come uno dei motivi per cui le piccole imprese hanno eluso la parteci-
pazione alla domanda pubblica. Onde evitare tale fenomeno, nel gennaio
2011 il Consiglio ha adottato la Direttiva 2011/7/UE contro i ritardi di pa-
gamento, imponendo alle amministrazioni il saldo dei pagamenti entro trenta
giorni e fissando un limite di sessanta giorni per i pagamenti tra le imprese,
salvo esplicito accordo fra le stesse 60. Tale direttiva entrata in vigore in Ita-
lia, con l’art. 10 della legge n. 180/2011 (Statuto delle imprese) a tutt’oggi
non ha ancora sortito una generale applicazione, anche a causa della crisi
economica in cui versano gli enti locali, per cui non si può sostenere che la
direttiva abbia, di fatto, azzerato il fenomeno sopra descritto. Non a caso il
nostro Paese rischia il deferimento alla Corte di giustizia in quanto, nono-
stante un’obiettiva accelerazione nel pagamento delle forniture, non si è an-
cora verificato il rispetto delle tempistiche previste nella direttiva sopra cita-
ta. Cosicché, si può affermare che, almeno in Italia, la direttiva ha solo argi-
nato in un qualche modo il fenomeno del ritardato pagamento, senza tuttavia
adottare una politica risolutoria.
Un ulteriore punto nodale, questa volta sotto il profilo organizzativo,
consiste nell’agevolare anche le PMI o attraverso l’espandersi nel mercato
comune o mediante la costituzione nello stesso di filiali; a tal fine la Com-
missione si propone di adottare un regolamento volto a definire lo statuto di
una nuova forma di società «Società Privata europea, SPE» con l’obiettivo
di creare uno strumento uniforme, a livello europeo, che consenta di porre in
essere una struttura societaria flessibile, tale da permettere di risolvere il
problema degli obblighi onerosi per le PMI, allorché, ad esempio, si trovino
a costituire filiali in forma societaria diversa in tutti gli Stati membri nei
quali intendano esercitare la loro attività. In sede d’interventi comunitari
torna la figura dello SME Envoy, ovvero il rappresentante per le PMI che
funge o meglio dovrebbe fungere da interfaccia tra Commissione europea e
PMI, al fine di rappresentare, davanti alla Commissione, i problemi propri di
tale tipo di operatori economici, garantendo che gli interessi e i bisogni spe-
60
Inoltre la Commissione ha cominciato a utilizzare un «test PMI» nelle sue valutazioni
d’impatto. Per quanto riguarda la concessione del credito, è stato istituito un forum perma-
nente sul finanziamento delle PMI che riunisce rappresentanti delle imprese, banche, opera-
tori del mercato e altre istituzioni finanziarie, per cercare soluzioni che permettano di supera-
re i diversi ostacoli pratici incontrati, mentre l’accesso ai mercati (in particolare per gli ap-
palti pubblici) sta migliorando, poiché le PMI dovrebbero essere oggi soggette a minori one-
ri amministrativi acquisendo maggiori possibilità di presentare offerte congiunte.
92
61
Fin dal 2007 è stato proposto dall’Europa un ambizioso programma di riduzione del
25% degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese, secondo un modello sviluppato in
Olanda ma utilizzato in tutto il mondo, noto come Standard Cost Model (SCM). Tra questi
merita di essere segnalato come proprio in tema di normativa sulla semplificazione, una par-
ticolare disciplina si è avuta in riferimento alla fatturazione IVA: nel 2010 è stata adottata
dal Consiglio una direttiva che ha equiparato le fatture elettroniche a quelle cartacee ed è sta-
ta offerta la possibilità alle imprese con fatturato inferiore a € 2.000.000 annui, di beneficiare
di un sistema facoltativo di contabilità di cassa che consente loro di differire la contabilità
IVA, fino al ricevimento del pagamento da parte dei loro clienti.
Nell’ambito della semplificazione degli oneri burocratici si prevede l’applicazione, ad
esempio del principio «una sola volta» secondo il quale le autorità pubbliche devono aste-
nersi dal richiedere una seconda volta informazioni, dati, documenti o certificati che siano
già stati forniti dal soggetto economico anche nel contesto di altre procedure.
La via della semplificazione degli oneri amministrativi è stata seguita da tutti gli Stati
membri che hanno adottato sistemi diversi ma tutti finalizzati alla «sburocratizzazione» di
talune incombenze ricadenti sull’operatore privato.
93
62
Sia consentito rinviare a G. MARCHIANÒ, Il rating delle imprese non può rimanere una
delle tante grida manzoniane nell’individuazione delle misure premiali, in Riv. Informator,
n. 1/2015, p. 78.
63
Gli sportelli unici sono dei portali di e-government che permettono agli operatori di
conoscere quali siano le leggi, i regolamenti e le formalità che si applicano alla prestazione
di servizi, completare online le formalità amministrative (compilando la modulistica e pre-
sentando la documentazione necessaria digitalmente). Non occorre più presentarsi ai singoli
uffici di ciascun’autorità competente nei diversi Paesi, in ogni Paese dell’Unione le formalità
possono essere espletate online tramite un solo punto di accesso proprio lo Sportello Unico.
In Italia, i Comuni e le Camere di commercio hanno realizzato l’alleanza sullo Sportello uni-
co per le attività produttive (Suap). È stato siglato un Protocollo dai presidenti di Anci,
Unioncamere e Infocamere, per estendere l’utilizzo della piattaforma «impresainungiorno»
al maggior numero di Comuni italiani, affinché gli adempimenti svolti dagli imprenditori per
la gestione della propria attività siano interamente digitali ma anche omogenei e standardiz-
zati. La piattaforma, precisa Unioncamere, costituisce il punto unico di contatto a livello na-
zionale per poter accedere ai servizi degli Sportelli unici per le attività produttive.
94
vazione in vari settori, gli Stati offrono un finanziamento alle giovani socie-
tà, altri finanziano centri di ricerca o poli di competitività cui partecipano
università, mentre alcuni erogano degli «assegni-innovazione» che permet-
tono alle PMI di acquistare know-how e servizi di consulenza 64.
A questi fini sono stati proposti nuovi strumenti finanziari per dar modo
alle start-up e alle imprese a rapida crescita di espandersi nei mercati
dell’Unione e nei mercati globali (per esempio prestiti, capitale di rischio e
finanziamenti a rischio condiviso); viene prevista altresì un’ulteriore sempli-
ficazione dei programmi dell’Unione per la ricerca e l’innovazione nonché
per i diritti di proprietà intellettuale a prezzi accessibili e l’uso strategico dei
bilanci per gli appalti 65. Come si vede, l’aiuto che le amministrazioni degli
Stati membri, in base alla regolamentazione politica devono porre in campo
per recuperare il tessuto economico rappresentato dalle PMI, non si presenta
in modo univoco ma si presenta attraverso un favor incidente su un’ampia
gamma d’interventi che vanno, come si diceva, dall’accesso al credito al so-
stegno dell’innovazione. Tutto ciò ovviamente, si riverbera sull’amministra-
zione degli Stati membri i quali ancora, per taluni versi, si muovono in modo
non univoco quasi che la fase amministrativa delle scelte politiche, contenu-
te nelle disposizioni assunte dall’Unione, sia un quid facoltativo.
Tuttavia, proprio in quest’ultimo periodo, l’azione dell’amministrazione
degli Stati membri sembra più incisiva, ad esempio lì dove l’Unione europea
preveda l’accesso a finanziamenti che mirino al raggiungimento degli obiet-
tivi sopra richiamati. In questo senso le stesse PMI possono ritrovare quelle
agevolazioni europee, quegli incentivi che le consentirebbero di sviluppare
la propria azione che talvolta non trovano nello Stato di appartenenza. Infi-
ne, sotto il profilo dello sviluppo dell’imprenditorialità, la Commissione sol-
lecita i Paesi membri ad attuare le raccomandazioni contenute nello SBA per
la riduzione del tempo e del costo per la creazione di un’impresa e per la
concessione di una seconda opportunità agli imprenditori, riducendo i termi-
ni per la riabilitazione e la liquidazione dei debiti dopo il fallimento degli
imprenditori onesti.
64
Nel campo delle sfide ambientali, in Olanda è stata creata nel 2008 la Fondazione per
la conoscenza e l’innovazione nella tecnologia energetica e ambientale, una rete di società,
istituti di ricerca e amministrazioni regionali e locali che cofinanziano progetti di prodotti e
tecnologie ecologiche.
65
Un ulteriore supporto verso le PMI è rappresentato dal sostegno per l’internazionaliz-
zazione delle stesse, anche mediante l’erogazione di aiuti finanziari per la promozione delle
esportazioni, strategie di accesso ai mercati e partecipazione a fiere commerciali. A tal fine,
in Francia è stato sperimentato un sistema di mentoring che consiste nell’aiuto che le grandi
società offrono alle PMI in questo processo.
95
Sia pure a macchia di leopardo tutti i Paesi dell’Unione hanno fatto pro-
prie le sollecitazioni provenienti dalla Commissione poiché lo sviluppo delle
PMI rappresenta un problema comune tra tutti gli Stati membri sicché la ri-
cerca di soluzioni anche di tipo amministrativo, al fine di coinvolgere nel
mercato europeo dette imprese, risulta quale problema di carattere generale
cui si tenta di dare una risposta.
Nel maggio del 2010 il nostro Paese ha approvato la Direttiva del Presi-
dente del Consiglio dei Ministri di attuazione dello Small Business Act, rico-
noscendo l’importante ruolo delle PMI nel sistema economico italiano, so-
prattutto in termini di occupazione e valore aggiunto. Grazie a questo prov-
vedimento si è potuta affiancare alla politica industriale già esistente per le
imprese di grandi dimensioni, una «nuova (e complementare) politica pro-
duttiva» riferita alle piccole e medie imprese.
Il Ministero dello Sviluppo Economico, conscio della presenza di squilibri
regionali sul territorio nazionale, dell’importante ruolo svolto dai distretti in-
dustriali, dalle filiere produttive e dai sistemi locali di sviluppo, ha adottato
un approccio che tratta con attenzione i problemi e i fattori dello sviluppo lo-
cale, caldeggiando l’adozione, da parte delle singole Regioni, di uno «SBA
regionale». Al tempo stesso si è reso rilevante monitorare il coordinamento
dei piani regionali con quello nazionale e, a sua volta, con quello europeo.
A tal fine sono state adottate la legge n. 180/2011, denominata «Statuto
delle imprese» e la «Legge annuale per le Micro PMI», prevista dall’art. 18
della legge n. 180/2011. Lo «Statuto delle imprese» ha come finalità il so-
stegno per l’avvio di nuove imprese, in particolare da parte di giovani e
donne, la valorizzazione del potenziale di crescita, di produttività e d’inno-
vazione delle Micro PMI, riservando a queste e alle reti d’impresa una quota
minima d’incentivi. Sempre la legge n. 180, istituisce presso il Ministero
dello Sviluppo Economico, la figura del Garante per le Micro PMI italiane,
con i compiti di monitoraggio dell’attuazione dello SBA, elaborazione di
proposte per lo sviluppo del sistema e coordinamento tra i Garanti istituiti
presso le Regioni. Si prevede altresì che, entro il 30 giugno di ogni anno il
Governo, su proposta del Ministero dello Sviluppo Economico e sentita la
Conferenza unificata Stato-Regioni, presenti al Parlamento un Disegno di
Legge per la tutela e lo sviluppo delle Micro PMI, che definisca gli interven-
ti in materia per l’anno successivo. Viene inoltre pubblicato (già a partire dal
2009) un rapporto annuale predisposto dal Ministero dello Sviluppo Econo-
mico che monitora le iniziative adottate a favore delle PMI in relazione agli
obiettivi dello SBA. Come già detto, la Commissione effettua ogni anno una
valutazione sul grado di attuazione della Comunicazione sullo SBA da parte
di ciascun Paese membro: dall’analisi del caso italiano emerge che nel pe-
96
riodo che va dal 2008 al 2013, l’Italia ha avviato (se non conseguito) impor-
tanti progressi nel promuovere e supportare il sistema delle PMI, in partico-
lare nell’attuazione del principio sull’aiuto a beneficiare delle opportunità
offerte dal mercato unico sia nella promozione dell’imprenditorialità sia
nell’offrire la «seconda possibilità», mentre è ancora carente in ambito di
appalti pubblici, aiuti di Stato, accesso al credito e puntualità dei pagamenti.
Sin dalla firma del Trattato di Roma del 1957 la politica degli aiuti di
Stato è stata elemento integrante della regolamentazione della concorrenza
ciò in quanto, al termine della seconda guerra mondiale con lo sviluppo dei
commerci su scala internazionale, si è avvertita la necessità di evitare gli ef-
fetti distorsivi che le sovvenzioni statali e le politiche protezionistiche pro-
vocavano tra gli operatori economici dei diversi Paesi aderenti al mercato
comune. Fino agli anni ’70 il problema degli aiuti afferisce a un ambito in
un certo senso limitato ciò in quanto, da un lato il mercato comune è un pro-
cesso ancora in fieri, dall’altro si scontra con regimi nazionali di aiuti conso-
lidati nel tempo. La situazione italiana ne è un chiaro esempio, basti pensare
alle sovvenzioni, alle agevolazioni che hanno interessato il nostro Paese ne-
gli anni ’50, le quali s’intensificano nei decenni successivi investendo settori
nevralgici dell’economia nazionale 66.
A partire dagli anni ’90 si assiste a una netta inversione in materia di aiu-
ti, imputabile da un lato al completamento del mercato interno varato con il
Libro Bianco della Commissione del 1984 e sancito dall’Atto Unico europeo
del 1987, dall’altro ai vincoli di bilancio imposti dal Trattato di Maastricht.
«La prima circostanza rende più evidente la necessità di contrastare le di-
storsioni prodotte dagli aiuti sul funzionamento di un mercato concorrenzia-
le; la seconda costringe gli Stati a fare i conti coi disavanzi di bilancio e
quindi a limitare le risorse disponibili per erogazioni e incentivi» 67.
66
G.L. TOSATO, L’evoluzione della disciplina degli aiuti di Stato, in C. SCHEPISI (a cura
di), La modernizzazione della disciplina sugli aiuti di Stato, Giappichelli, 2011, p. 4.
«L’intervento [italiano] si rileva massiccio specie in talune direzioni quali il Mezzogiorno,
l’export, le imprese pubbliche, il sostegno dei campioni nazionali. In pratica se la normativa
comunitaria esercita una qualche influenza sul comportamento delle piccole e medie impre-
se, aperto all’iniziativa privata della concorrenza, i suoi effetti permangono pressoché inesi-
stenti nei riguardi del settore bancario e delle grandi imprese e delle imprese pubbliche in
genere».
67
G.L. TOSATO, op. ult. cit., p. 5.
97
68
Rileva la Commissione che l’assistenzialismo statale è di breve durata e tende a spo-
stare le difficoltà da uno Stato ad un altro. In ogni caso per una ricostruzione storica si rinvia
a M. MEROLA-N. PESARESI, La crisi delle imprese e il diritto dell’Unione europea in mate-
ria di aiuti: cenni storici tendenze e prospettive, in F. BONELLI (a cura di), Crisi di imprese:
casi e materiali, Giuffrè, 2011, pp. 367 ss., inquadrano questo cambiamento nel contesto
mutato a seguito dei Consigli europei di Stoccolma (2001) e di Barcellona (2002), nei quali
gli Stati hanno deciso di contrarre e di reindirizzare le risorse finanziarie, dirigendole princi-
palmente verso obiettivi orizzontali e di coesione sociale.
69
C. BUZZACCHI, Aiuti di Stato tra misure anti-crisi ed esigenze di modernizzazione: la
politica europea cambia il passo?, in Conc. e merc., fasc. 1/2013, p. 77. «La particolare
contestualità dei due processi può essere letta in una qualche misura secondo un nesso di
causalità, dal momento che il massiccio ricorso ad interventi di sostegno da parte degli Stati
membri a favore del settore finanziario ha mosso le istituzioni comunitarie e gli studiosi alla
riflessione, per comprendere come possa essere reimpostato il controllo comunitario su que-
98
ste erogazioni, non solo in termini procedurali ma soprattutto sotto il profilo delle finalità
che l’Unione persegue nel valutare l’ammissibilità delle sovvenzioni e delle agevolazioni
statali; tuttavia occorre osservare che l’esigenza della modernizzazione delle procedure è
sorta già prima del 2008, e dunque indipendentemente dalla crisi che ancora perdura, e sca-
turisce dalla consapevolezza di un funzionamento tuttora insoddisfacente degli strumenti
regolativi in materia di aiuti di Stato».
70
Occorre rammentare a tal proposito la Comunicazione del 13 ottobre 2008 nonché
quella del 5 dicembre 2008: in queste due comunicazioni è di tutta evidenza lo sbilanciamen-
to verso le istituzioni finanziarie ma, si osservi, come fossero già state emanate comunica-
zioni in materia di aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in diffi-
coltà nel 2004, inoltre lo State Aid Action Plan del 2005, aveva già ridefinito la nozione di
impresa in difficoltà, di aiuti per il salvataggio, di aiuti per la ristrutturazione.
71
G. TESAURO, Il diritto dell’Unione europea, Cedam, 2010, p. 630.
72
Sentenza 22 marzo 1977, Steinke, C-78/76, in Raccolta, 1977, p. 595.
99
73
Si veda sul punto G. ZANCHI, L’aiuto di Stato incompatibile, il suo recupero e il diritto
privato, in Europa e dir. priv., n. 3/2014, pp. 1051 ss.
74
M. BRISACANI, Gli aiuti di Stato e le misure di concorrenza fiscali dannose, in Manua-
le di fiscalità internazionale, Ipsoa, 2014, p. 1996. Il nuovo sistema appare sicuramente me-
no rigido rispetto a quello contenuto nell’art. 4, Trattato CECA, in quanto improntato all’esi-
genza di tener conto dell’interesse economico di ciascuno Stato. Com’è stato osservato «in
quest’ottica, l’art. 107 TFUE, non individua un divieto di aiuti di Stato tout court ma un più
elastico anche se altrettanto stringente divieto di aiuti di Stato compatibili. La disposizione
intende sostanzialmente privilegiare un sistema di controllo sugli aiuti piuttosto che un di-
vieto prevedendo, ovviamente, la possibilità di eliminarli, nonché di procedere al recupero,
qualora questi dovessero produrre effetti distorsivi sulla concorrenza e sugli scambi tra gli
Stati membri. Allo stesso tempo rispetto al Trattato CECA, tale sistema ha un campo di ap-
plicazione più ampio riferito a qualunque settore e qualificato in senso soggettivo, poiché
diretto agli Stati e non alle imprese destinatarie viceversa delle complementari norme anti-
trust».
75
Proprio sulla selettività degli aiuti si rinvia a L. CALZOLARI, La selettività degli aiuti di
Stato e il principio di parità di trattamento delle imprese nella recente giurisprudenza della
Corte di giustizia, in Dir. comm. internaz., n. 2/2015, pp. 48 ss. L’A. sottolinea come «la
selettività può essere territoriale o materiale e inoltre può derivare dalla discrezionalità
dell’Autorità pubblica nella determinazione dei destinatari dell’aiuto, anche se la scelta si
100
77
In ogni caso è noto come non esista una definizione di «aiuti di Stato» sicché gli stessi
possono assumere forme diverse: contributi, esenzioni da imposte e tasse, assunzioni di fi-
deiussioni a condizioni particolarmente vantaggiose, fornitura di beni o servizi a condizione
di favore, garanzie, concessione di terreni ed edifici a titolo gratuito e a prezzi estremamente
convenienti. L’art. 107 TFUE, sembra far riferimento agli aiuti compatibili rispetto agli aiuti
incompatibili: nel par. 2 sono compatibili con il mercato interno: «a) gli aiuti a carattere so-
ciale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazio-
ni determinate dall’origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati
dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti concessi all’economia
di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione
102
me, quindi, non si può più parlare di regola ed eccezione poiché il divieto di
erogazione degli aiuti non è più una regola precettiva, quanto piuttosto un
principio di carattere dinamico che consente pari dignità alle varie ipotesi di
scollamento dal principio in parola.
È l’art. 107, par. 1, TFUE, che precisa le condizioni che devono essere
presenti affinché un intervento costituisca un aiuto di Stato «compatibile» o
«incompatibile»: prima di tutto vi deve essere un trasferimento di risorse sta-
tali ovvero un’agevolazione proveniente direttamente o indirettamente da
fondi statali (incluse le risorse di autorità nazionali, regionali o locali, ban-
che e fondazioni pubbliche, ecc.); «incompatibile» è invece il vantaggio
economico che l’aiuto verrebbe a conferire all’impresa perché si concretiz-
zerebbe in un beneficio che la stessa non avrebbe ottenuto nel corso della
normale attività; l’aiuto «compatibile» deve essere ispirato al criterio della
selettività ovvero per costituire aiuto di Stato «compatibile», la «misura»
non deve essere generale e indiscriminata bensì di carattere selettivo appli-
candosi a uno specifico settore economico (aiuti settoriali) e/o a un determi-
nato territorio (aiuti regionali) così da non incidere sull’equilibrio esistente
tra un’impresa e i suoi concorrenti.
In definitiva, come già accennato, l’aiuto per essere «incompatibile» deve
avere l’effetto di alterare la concorrenza attraverso un miglioramento della
posizione del suo beneficiario rispetto a un determinato mercato a discapito
dei suoi potenziali concorrenti.
La Commissione è quindi chiamata a compiere, caso per caso, quello che
è definito balancing test al fine di verificare la tollerabilità valutandone i
possibili effetti negativi qualora l’aiuto non sia diretto al perseguimento di
finalità particolarmente meritevoli. Il vero è che la Commissione europea,
della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici
provocati da tale divisione». Cinque anni dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il
Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente
lettera. Nel par. 3 possono considerarsi compatibili con il mercato interno: «a) gli aiuti de-
stinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente
basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di
cui all’art. 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli
aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse
europeo oppure a porre rimedio ad un grave turbamento dell’economia di uno Stato mem-
bro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni eco-
nomiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune
interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio,
quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura
contraria all’interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del
Consiglio, su proposta della Commissione».
103
insieme alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, è venuta
ad applicare direttamente le disposizioni in materia di concorrenza del-
l’Unione (artt. 101-109 TFUE) al fine di assicurare una concorrenza leale e
in condizioni di parità tra tutte le imprese sì da contribuire a un miglior fun-
zionamento del mercato interno 78. Il controllo che il trattato affida alla
Commissione non è quello concernente l’adeguatezza dell’aiuto ma è quello
relativo alla potenziale distorsione concorrenziale imputabile all’aiuto stes-
so; la Commissione in ogni caso, ha un ampio margine di discrezionalità in
merito all’opportunità e alla compatibilità degli aiuti, pur sotto il controllo
della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado: ma al giudice comu-
nitario non spetta sostituire la propria valutazione a quella della Commissio-
ne, dovendosi limitare alla verifica del rispetto delle norme di procedura, della
motivazione e dei requisiti richiesti per la legittimità degli atti comunitari.
Una particolare attenzione deve essere riservata all’evoluzione dell’inter-
vento in materia di aiuti da parte della Commissione a fronte di aziende
pubbliche; l’iniziativa in parola si inserisce nella complessiva opera di mo-
dernizzazione nell’ambito dell’Unione in merito agli aiuti di Stato, annun-
ciata dalla Commissione europea nel corso del 2012 79. Tuttavia, in tale set-
tore il tema degli aiuti di Stato assume sfumature proprie che meritano una
riflessione a parte. Occorre a tal fine rammentare che, fino a tutti gli anni ’70
si è assistito, da parte dell’Unione, all’adozione in materia del c.d. «principio
di neutralità» (art. 295 TCE), che implicava che gli Stati fossero liberi di
istituire e organizzare imprese pubbliche, le quali, per quest’attività, si rite-
nevano immuni dalle regole comunitarie sugli aiuti.
Dagli anni ’80 in poi è venuto a prevalere il criterio di «parità di tratta-
mento» fra imprese pubbliche e private (art. 106, par. 1, TFUE) con la con-
seguenza che le imprese pubbliche sono soggette alle regole di mercato e
della concorrenza allo stesso modo di quelle private. È in questo quadro che
la Commissione sviluppa il c.d. «criterio dell’investitore privato»; ne conse-
gue che gli investimenti statali alle imprese pubbliche possono considerarsi
leciti solo se, anche un imprenditore privato, avesse agito al pari dell’impre-
sa pubblica altrimenti, anche queste ultime vengono a ricadere sotto l’egida
del divieto degli aiuti. È in questa fattispecie che rientrano quelle forme di
aiuti definite prestiti, o assunzioni di partecipazioni da parte dello Stato o di
78
All’interno della Commissione è la Direzione generale della concorrenza (DG COMP)
il soggetto principale nell’esercizio di tale potere.
79
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato
Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni «Modernizzazione degli aiuti di
Stato dell’UE» COM (2012), n. 209 dell’8 maggio 2012.
104
un ente pubblico a capitale d’impresa; infatti, anche nei casi sopra richiama-
ti, la Corte di giustizia ha seguito il criterio dell’investitore privato, che ope-
ra in una normale economia di mercato 80.
Com’è stato osservato «nell’ambito della politica della concorrenza», la
disciplina degli aiuti di Stato sembra essere volta al raggiungimento di un
punto d’incontro tra libertà di concorrenza e diritto alla promozione dello
sviluppo dei territori e dei settori più svantaggiati, secondo quanto emerge
dal documento presentato dalla Commissione del 2005 81. Alla luce di questi
fattori, viene a operarsi un bilanciamento tra effetti positivi ed effetti negati-
vi degli aiuti in taluni settori particolari della vita consociativa che coinvol-
gano imprese pubbliche e/o imprese private. L’applicazione degli aiuti di
Stato si viene così a caratterizzare sostanzialmente per una sottrazione alle
norme di concorrenza di alcune attività in virtù del loro carattere solidaristico,
col che viene ad ampliarsi il campo degli interventi pubblici che possono esse-
re attuati senza preventiva notifica o assenso della Commissione (aiuti per la
ricerca, occupazione, ambiente, formazione e PMI sotto la soglia de minimis).
Tuttavia, permane la regola del divieto di aiuti di Stato qualora questi mi-
nino la concorrenza del mercato; per determinare gli effetti sulla concorren-
za, la Commissione deve anticipatamente definire i mercati rilevanti sotto
l’aspetto geografico e del prodotto che sarebbero intaccati dagli aiuti statali.
In questa prospettiva la Commissione ha proposto l’utilizzo del criterio del
parametro «benessere sociale» per verificare la compatibilità dell’aiuto. Det-
to criterio, in linea di massima esemplificazione, è costituito da due elemen-
ti: il surplus dei consumatori – in altre parole s’individua in quanto di meno
i consumatori pagano rispetto a quanto sarebbero disposti a pagare per quel
prodotto o quel servizio – il surplus dei produttori – ovvero quanto essi ri-
cavano dalla vendita del prodotto rispetto ai costi –. Inoltre, il «benessere
sociale» tiene conto non solo della somma dei surplus dei consumatori e dei
produttori ma anche di come il benessere sia poi distribuito tra i Paesi e i cit-
tadini, per cui a ben vedere, detta analisi non può esimersi dal dover tener
conto anche del criterio di equità distributiva.
La Commissione europea ha adottato, il 21 maggio 2014, il nuovo Rego-
lamento generale di esenzione per categoria (GBER) contenente la lista de-
gli aiuti di Stato esentati, il quale sostituisce il Regolamento precedente ap-
provato nel 2008. Le finalità del GBER sono prima di tutto quelle di ridurre
gli oneri amministrativi per le autorità pubbliche e i tempi di attesa per i be-
80
Sentenza 10 luglio 1986, Belgio c. Commissione (Meura) C-234/84, in Raccolta, 1986,
2263. Si veda altresì la sentenza Alfa Romeo, Italia c. Commissione, C-305/89.
81
M. BRISACANI, op. cit., p. 1992.
105
82
In merito all’equità la Commissione menziona:
1. Gli aiuti a finalità regionale (contemplati nell’art. 107, par. 3).
2. Gli aiuti alla fornitura di servizi di interesse economico generale SIEG. Un aiuto ai
servizi d’interesse economico generale è lecito a condizione che il vantaggio conseguente al
perseguimento dell’interesse comune ecceda la restrizione concorrenziale che ne consegue.
3. Gli aiuti diretti a favorire l’inserimento professionale dei lavoratori svantaggiati e
[…] disabili.
4. Gli aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione
5. Gli aiuti ai prodotti e ai servizi culturali compresi quelli tesi a preservare la diversità
culturale.
83
In merito all’effetto diretto dell’art. 108, par. 3, TFUE, si richiamano le famose sen-
tenze Costa/Enel (Corte giust., 15 luglio 1964, C-6/64) ribadito, tra le altre, nella più recente
sentenza Corte giust., 5 ottobre 2006, C-368/04, Transalpine Ölleitung in Österreich GmbH
e altri/Finanzlandesdirektion für Tirol e altri.
106
84
Sul punto si veda, O. PORCHIA, L’effettività dei rimedi interni nella giurisprudenza
dell’Unione in materia di aiuti di Stato, in G. TESAURO (a cura di), Concorrenza ed effettivi-
tà della tutela giurisdizionale tra ordinamento dell’Unione europea e ordinamento italiano,
cit., pp. 374 ss.
85
Si veda in tal senso Corte giust., 5 ottobre, 2006, C-368/04, Transalpine Ölleitung in
Österreich GmbH e altri c. Finanzlandesdirektion für Tirol e altri.
107
86
Cfr. E. GAMBARO, Le difese dell’impresa beneficiaria a fronte dell’ordine di recupero
del giudice nazionale, ex art. 108, TFUE, e della Commissione e dello Stato membro, ex art.
107, TFUE, in L.F. PACE (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza,
cit., p. 638 ss.
87
Regolamento (UE) n. 1589/2015 del Consiglio del 13 luglio 2015 recante modalità di
applicazione dell’art. 108 TFUE, in GUCE, 24 settembre 2015, n. L. 248 del, che ha recen-
temente riformato, abrogandolo, il precedente regolamento (CE) n. 659/1999, in GUCE, 27
marzo 1999, n. L. 83, p. 1.
88
Tale è, del resto, anche il senso della riflessione condotta da A. BRANCASI, La tutela
della concorrenza mediante il divieto di aiuti di Stato, in Dir. pubbl., n. 1-2/2010, pp. 195
ss., che ricostruisce due differenti concezioni di «concorrenza»: in un caso concorrenza co-
me nozione strutturale, che vede la presenza di un numero sufficientemente ampio di opera-
108
tori ciascuno dei quali in grado di esprimere un livello di offerta talmente limitato da non
influenzare i prezzi, nell’altro caso concorrenza come allocazione efficiente delle risorse,
come sistema in grado di assicurare l’ottimo paretiano. L’A. qualifica più rigorosa la secon-
da concezione rispetto alla prima: ed è rispetto a questa seconda che osserva l’evoluzione
della politica degli aiuti di Stato, nella quale la discrezionalità della Commissione discende
da valutazioni più complesse in relazione ai fallimenti del mercato.
89
Si veda G. CAPAREZZA FIGLIA, Concorrenza e contratto nei mercati dei servizi pubbli-
ci locali, in Dir. impr., n. 1/2012, p. 51. Si rinvia al punto 17 del «Libro Verde sui servizi di
interesse generale». Per una lettura di carattere fondamentale cfr. Servizi pubblici e servizi
(economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl., 1999, pp. 371, ss.; S. CASSESE, La nuova co-
stituzione economica, II ed., Laterza, 2000, pp. 86 ss; G.F. CARTEI, Il servizio universale,
Giuffrè, 2002, pp. 258 ss.; L. BERTONAZZI-R. VILLATA, Servizi di interesse economico gene-
rale, in M.P. CHITI-G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, vol. IV,
II ed., Giuffrè, 2009, pp. 1791 ss.; D. GALLO, I servizi di interesse economico generale. Sta-
to mercato e welfare nel diritto dell’Unione europea, Giuffrè, 2010, pp. 20 ss.
90
G. NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, Il Mulino, 2009, p. 31. «Da un
lato si individuano soluzioni comuni agli ostacoli alla costruzione di un mercato interno. I
vincoli tecnici ed economici rappresentati dalla difficile duplicabilità delle reti; le posizioni
dominanti degli operatori già titolari di dritti particolari ed esclusivi; la debolezza contrat-
109
92
Si rinvia a quanto detto nel capitolo precedente sull’evoluzione del concetto di aiuti di
Stato.
93
Si veda in tal senso, la sentenza 30 aprile 1974, C-155/73, Sacchi, in base alla quale si
osserva che l’Unione si astiene dal sindacare le scelte politiche degli Stati membri relativa-
mente all’organizzazione dei SIEG, cosicché l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi non
costituisce ex se una misura contraria al trattato.
94
Tant’è che la problematicità di accorpare la materia, emerge anche nella Comunica-
zione della Commissione europea del 20 dicembre 2011 COM (2011), Un cadre de qualité
pour les services d’intérêt général, con la quale si è tentato di elaborare un quadro discipli-
nare dei servizi quale categoria «ampia» al cui interno possono essere ricomprese varie tipo-
logie di servizi, tra i quali, anche quelli di interesse economico generale.
95
Il vero è che la Corte delinea il concetto di servizio economico, utilizzando criteri ne-
gativi e non positivi. Si può dunque affermare che la categoria dei servizi d’interesse econo-
mico generale comprende quelle categorie di servizi pubblici a rilevanza economica che gli
Stati (e le loro eventuali articolazioni territoriali) assumono nella loro piena responsabilità.
111
96
Comunicazione della Commissione, I servizi di interesse generale in Europa, 20 set-
tembre 2000, COM (2000), 580 def.; par. 28.
97
L’acronimo SSIG sta per Servizi Sociali di interesse generale. Risoluzione del Parla-
mento europeo del 14 marzo 2007 sui servizi sociali di interesse generale dell’Unione euro-
pea [2006/2134 (INI)]. Merita di essere segnalato come in tale contesto la Commissione eu-
ropea nell’individuare i principi posti a base dell’art. 106 TFUE, ebbe a richiamare, oltre al
principio di neutralità rispetto alla proprietà pubblico o privata delle imprese e a quello della
libertà di definizione dei servizi, il principio di proporzionalità, il quale implica che i mezzi
utilizzati per consentire l’adempimento delle missioni di interesse generale, non debbono
dare origini a distorsioni non indispensabili nel mercato. Sul punto si rinvia a D. MINIUSSI,
112
op. cit., p. 129. Sull’applicazione del principio di proporzionalità in materia di servizi pub-
blici, si rinvia a R. CAVALLO PERIN, I principi come disciplina giuridica del pubblico servi-
zio tra ordinamento interno ed ordinamento europeo, in Dir. amm., 2000, p. 48.
98
Com’è noto l’atteggiamento di neutralità della Comunità in tale settore viene abbando-
nato nel periodo intercorrente tra l’Atto Unico Europeo del 1986 e il Trattato di Maastricht
del 1992. Nasce, infatti, in quel periodo, una nuova consapevolezza del ruolo dei servizi
pubblici non solo negli ordinamenti interni ma anche nell’iter di integrazione dei mercati
comunitari. In tal senso si veda Corte giust., 19 marzo 1991, C-202/88, Repubblica Francese
c. Commissione, nella quale si rileva una crescente valorizzazione degli obiettivi economici
della Comunità venendo ad assumere un ruolo prioritario, la tutela della libertà economica.
In particolare si può sostenere che in questo periodo si tende a restringere la portata della
deroga contenuta nell’art. 86, comma 2, in virtù del fatto che si ritiene che le deroghe al
principio della concorrenza non possono essere consentite in base alla sola presenza di un
interesse generale ma debbono essere proporzionali al raggiungimento della missione affida-
ta alle imprese erogatrici del servizio.
99
Un semplice richiamo storico all’evoluzione del settore, risulta chiarificatore dell’at-
tuale sistemazione delle linee portanti del sistema. Basti pensare che già nel Trattato di Ro-
ma, si parlava di un’eccezione all’applicazione delle regole della concorrenza. Nelle succes-
sive modifiche dei trattati è stata fortemente accentuata la rilevanza dei SIEG venendosi a
sottolineare il ruolo degli Stati membri nei loro confronti. Nel 1997 le nuove disposizioni del
Trattato di Amsterdam sottolineavano, da un lato l’«importanza dei servizi di interesse eco-
nomico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione nonché il loro ruolo nella pro-
mozione della coesione sociale e territoriale» prevedendosi quindi che «la Comunità e gli
Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell’ambito del campo di applicazione del
presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni
113
vizi pubblici diventano così parte integrante del mercato interno e di seguito
l’intervento comunitario diventa oggetto «di una strategia unitaria diretta
all’insieme dei servizi di interesse economico generale esplicitata e conti-
nuamente aggiornata in apposite iniziative della Commissione» 100. Ciò de-
riva dal fatto che l’Unione europea è venuta ad abbandonare l’atteggiamento
di sostanziale neutralità circa le scelte nazionali concernenti l’istituzione e
l’organizzazione dei servizi pubblici, al fine di dare attuazione, anche in tale
ambito, alla «decisione di sistema» 101 del trattato in merito a una regolamen-
tazione tipica di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza 102. Il
Libro Bianco della Commissione europea ripresenta l’idea di una responsa-
bilità condivisa tra Unione e Stati membri, nella disciplina e nella regola-
mentazione dei servizi di interesse generale; così tra il 2002 e il 2004, si as-
siste a una crescente europeizzazione del regime dei servizi pubblici: il dirit-
to comunitario non si limita più a imporre la modifica di singoli aspetti delle
discipline nazionali ma pone le basi per un vero e proprio ordinamento eu-
ropeo dei servizi di interesse economico che si estende dalla cornice legisla-
tiva alla fase amministrativa-regolativa. Anche per questo tema, occorre par-
tire dal fatto che nell’Unione l’espressione «regole di concorrenza» assume
un contenuto giuridico specifico, poiché, come recita l’art. 119 TFUE, l’U-
nione deve adottare una «politica economica condotta conformemente al
che consentano loro di assolvere i loro compiti». Il Trattato di Lisbona è ritornato a occupar-
si della materia facendo salva la competenza degli Stati membri di fornire, far eseguire e fi-
nanziare tali servizi. Non va infine dimenticato il più volte citato Protocollo allegato n. 26
sui servizi di interesse generale SIG, ove si legge che, tra i valori comuni dell’Unione con
riguardo al settore dei SIEG, si manifesta «il ruolo essenziale e l’ampio potere discrezionale
delle autorità nazionali, regionali e locali, di fornire, commissionare e organizzare servizi di
interesse economico generale il più vicino possibile alle esigenze degli utenti». Per un ex-
cursus storico si rinvia a D. SORACE, I servizi pubblici economici nell’ordinamento nazionale
ed europeo alla fine del primo decennio del XXI secolo, in Dir. amm., n. 1-2/2010, pp. 1 ss.
100
G. NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, cit., p. 34.
101
L’espressione è di N. IRTI, op. cit., p. 23. Rileva l’A. come in origine la Corte di giu-
stizia in merito all’ammissibilità della deroga alle norme del trattato in tema di concorrenza,
si sia limitata a verificare la sussistenza di tale sfera di sovranità riservata senza giungere a
sindacarne la ragionevolezza, né in merito alla loro istituzione, né in merito alle scelte con-
cernenti l’organizzazione nonché il regime di tali servizi, in quanto espressione della sovra-
nità degli Stati. F. MARCOU, Il servizio pubblico di fronte al diritto comunitario, in Il Filan-
gieri, 2004, pp. 26 ss.
102
T. BONETTI, I servizi pubblici locali di rilevanza economica dalla instabilità naziona-
le alla deriva europea, in Riv. Munus, n. 2/2012, p. 427. Si deve quindi tener conto del fatto
che, al fine di configurare il c.d. «Statuto dei servizi locali di rilievo economico» vengano a
concorrere «una serie di principi ed una pluralità di atti normativi, a partire da quelli relati-
vi all’apertura della libera concorrenza del mercato di riferimento».
114
103
Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione euro-
pea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di
interesse economico generale (2011) 9404, Bruxelles, 20 dicembre 2011. Non si può in que-
sta sede richiamare se non ai fini di mera rammentazione gli interventi che la Commissione
europea ha avviato, venendo a creare un vero e proprio dibattito coinvolgente numerosi sta-
keholder, per giungere a un processo di consultazione e adottare un nuovo Pacchetto di nor-
me. Si veda in questo senso la Comunicazione della Commissione europea (COM 2011-146
del 23 marzo 2011) «Riforma delle norme UE in materia di aiuti di Stato, relativamente ai
servizi di interesse economico generale».
104
Corte giust., 21 settembre 1999, C-202/88, Francia c. Commissione; si veda altresì
Corte giust., 20 aprile 2010, C-265/08, Federutility a c. Autorità per l’energia elettrica ed il
gas.
105
F. TRIMARCHI BANFI, Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto
dell’Unione e nella costituzione (all’indomani della dichiarazione di illegittimità e delle
norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), in Riv. it. dir. pubbl. comunit., n.
5/2012, pp. 741 ss.
115
106
Nella famosa sentenza Telecom Austria, Corte giust., 7 dicembre 2000, C-324/98, Te-
laustria, si rinvia all’obbligo di trasparenza volto a garantire, a favore di ogni potenziale of-
ferente, un livello di pubblicità che consenta l’apertura degli appalti di servizi alla concor-
renza. L’interpretazione della Corte di giustizia è stata estesa successivamente anche ai ser-
vizi pubblici locali nella sentenza Coname (Corte giust., 21 luglio 2005, C-231/03, Coname).
107
Sentenza pronunciata nella causa C-196/08, punto 50; ma così già le sentenze pronun-
ciate nella causa C-410/04, punto 23, C-458/03, punti 51-52.
108
Si veda la sentenza della Corte giust., 22 maggio 2003, C-18/2011. Interessante risulta
anche il rinvio alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2012, n. 5409, ove il
giudice amministrativo di appello rileva: «In via di principio va considerato che la distinzio-
ne tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo cosicché
non è possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura
economica (secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazio-
nale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in par-
116
ticolare dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei
rischi connessi a tale attività ed anche dell’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in
questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001). In sostanza, per
qualificare un servizio pubblico come avente rilevanza economica o meno è ragionevole
pensare che si debba prendere in considerazione non solo la tipologia o caratteristica mer-
ceologica del servizio (vi sono attività meramente erogative come l’assistenza agli indigen-
ti), ma anche la soluzione organizzativa che l’ente locale, quando può scegliere, sente più
appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini (ad esempio servizi della cultura e del
tempo libero da erogare, a seconda della scelta dell’ente pubblico, con o senza copertura
dei costi) […] (invero, la dicotomia tra servizi a rilevanza economica e quelli privi di rile-
vanza economica può anche essere desunta dalle norme privatistiche, coincidendo sostan-
zialmente con i criteri che contraddistinguono l’attività di impresa nella previsione dell’art.
2082 Cod. civ. e, per quanto di ragione, dell’art. 2195 o, per differenza, con ciò che non vi
può essere ricompreso) […]».
109
Sono state considerate, ad esempio, tipiche prerogative dei pubblici poteri, prive di
carattere economico, il controllo e la polizia dello spazio aereo (Corte giust., 19 gennaio
1994, C-364/92, SAT Fluggesellschaft c. Eurocontrol, in Raccolta, 1994, pp. 1-43); l’attività
di sorveglianza anti-inquinamento delle acque portuali (Corte giust., 18 marzo 1997, C-
343/95, Diego Calì & Figli s.r.l. e Servizi ecologici porto di Genova s.p.a., in Raccolta,
1997, pp. 1-1547); l’istruzione nazionale (Corte giust., 27 settembre 1988, C-263/86, Hum-
bel, ivi, 1988, p. 5365, punti 17-19). È stata, invece, considerata impresa ai fini dell’applica-
zione delle regole di concorrenza comunitarie, l’ufficio pubblico di collocamento (Corte
giust., 11 dicembre 1997, C-55/96, Job centre, cit., punti 21 e 22; Corte giust., 23 aprile
1991), mentre per l’attività di previdenza e assistenza sociale si è rilevato che la stessa non
ha carattere economico, quando sia basata sul principio di solidarietà, cioè si fondi su un siste-
ma di affiliazione obbligatoria che assicuri l’equilibrio finanziario dell’ente gestore e le presta-
zioni versate siano indipendenti dall’importo dei contributi (Corte giust., 17 febbraio 1993,
cause riunite C-159/91 e C-160/91, Poucet e Pistre c. AGF e Concava, ivi, 1993, pp. 1-637).
110
Una conferma proviene dall’art. 1, comma 3, Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servi-
zi nel mercato interno, ove si legge che «La presente Direttiva lascia impregiudicata la li-
bertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto comunitario, quali essi ri-
tengano essere servizi d’interesse economico generale, in che modo tali servizi debbano es-
sere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti concessi dagli Stati, e a
quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti».
111
In riferimento alla rilevanza economica dei servizi (il trattato usa l’espressione Servizi
di interesse economico generale) e alla qualificazione dei soggetti incaricati dei servizi come
117
rantire la corretta erogazione del servizio rispetto alle finalità cui è preposto,
le autorità pubbliche dei singoli Stati membri potranno imporre agli operato-
ri obblighi di servizio pubblico, in altre parole concedere diritti esclusivi o
speciali 112. Se i SIEG esercitano un’attività economica soggetta a obblighi
di servizio – dato che in assenza di quest’obbligo l’attività non verrebbe ga-
rantita alla collettività – ne deriva che la mancata convenienza economica
comprometterebbe la mancata erogazione e quindi il mancato esercizio del
servizio stesso; solo in questa ipotesi l’offerta del servizio presuppone l’in-
tervento dei pubblici poteri in termini di aiuti rectius: compensazioni.
L’attività economica di cui si fa carico il SIEG, è svolta sulla base di un
obbligo di servizio, ovvero trattasi di un’attività che il mercato non «forni-
rebbe» spontaneamente, proprio a causa della mancanza di convenienza
economica; sicché solo l’intervento surrogatorio dei pubblici poteri è in gra-
do di garantire agli utenti le relative prestazioni. Le attività di erogazione di
servizi al di là dell’esercizio dei pubblici poteri, sono in linea teorica di ca-
rattere economico e, in quanto tali, devono essere liberamente svolte sul
mercato. La qualificazione di una certa attività come «servizio d’interesse
economico generale» presuppone, non solo che se ne ravvisi un interesse
pubblico alla prestazione, ma altresì, che si accerti l’incapacità del mercato a
garantire tale prestazione; per questa via proprio il «fallimento» del mercato
giustifica l’azione dei pubblici poteri e consente un loro intervento che deve,
tuttavia, essere proporzionato rispetto al fine che s’intende raggiungere 113.
imprese, viene a ribadirsi che l’ottica comunitaria è propriamente di natura economica, tal-
ché la Corte nel definire la categoria dei servizi pubblici a rilevanza economica, si basa sul
concetto di impresa e di attività di impresa.
112
L’identificazione del servizio pubblico come attività economica, non è nuova
nell’ordinamento italiano, basti rinviare a due sentenze della Corte cost., 17 marzo 1988, n.
203 e 20 dicembre 1988, n. 104, ove il giudice delle leggi già rilevava quella correlazione
essenziale tra la nozione di servizio pubblico e la nozione di impresa.
113
Sul punto si rinvia a M. LOTTINI, La concezione statica e la concezione dinamica
dell’attività economica: una recente sentenza della Corte di giustizia in materia di servizi so-
ciali, in Riv. dir. pubbl. comunit., n. 6/2009, p. 1567, ove l’A. rileva: «Il fatto che la Commis-
sione nei vari documenti relativi ai servizi di interesse generale affermi che gli Stati membri
sono liberi di definire ciò che considerano essere un servizio di interesse generale, nonché di
decidere le relative modalità di gestione, non deve trarre in inganno. La scelta pubblica può
considerarsi libera solo in linea di principio, visto che la stessa deve avvenire nel rispetto
dell’art. 86 e della relativa interpretazione fornita dalla Corte di giustizia». Si rinvia, altresì, a
R. FERRARA, Profili della disciplina dei servizi di interesse economico generale: aiuti di Stato
e principi dell’Unione europea in materia di concorrenza, in Il Diritto dell’economia, vol. 26,
n. 81 (2-2013), p. 327, il quale sinteticamente ma efficacemente sottolinea a tal proposito
«In questo quadro, mi sembra infatti del tutto palese che se si possono ben avere, da un
lato, imprese marginali, incapaci (transitoriamente e provvisoriamente) di stare sul merca-
118
to in condizioni di virtuale parità concorrenziale, non è meno vero, dall’altro lato, che vi
sono ugualmente servizi pubblici a vocazione e destinazione obiettivamente universale che
non appare economicamente conveniente organizzare e prestare, ad esempio in una peculia-
re realtà territoriale e/o per determinate categorie o classi di utenti».
114
Si è osservato che l’idea del mercato concorrenziale erroneamente può essere inter-
pretata come capacità auto regolativa del mercato stesso. «Nei servizi pubblici non è possibi-
le introdurre una regolazione finalizzata alla creazione di un mercato perché non è configu-
rabile un mercato rilevante […]. Mancando la possibilità del contraddittorio fra una plura-
lità di imprese, manca la possibilità di passare dalla erogazione di pubblici servizi ad un
mercato concorrenziale fra una pluralità di imprese”. Testualmente F. MERUSI, Le leggi del
mercato, Il Mulino, 2002, pp. 75-76.
115
R. FERRARA, op. loc. cit., il quale rileva che trattandosi di servizi non è ipotizzabile
che all’interno di uno stesso Paese vi siano zone in cui un servizio sia erogato rispetto a zone
in cui un servizio non sia erogato, oppure vi siano condizioni di ineguaglianza di erogazione
del servizio stesso. «Si può ovviare a tali situazioni di ineguaglianza formale e sostanziale
facendo ricorso, come è ben noto, a differenti opzioni strategiche: grazie al principio di sus-
sidiarietà (anche in senso orizzontale) e pertanto consentendo lo svolgimento in regime di
outsourcing di attività di prestazioni nei confronti dei cittadini, oppure in altro modo. Ad
esempio – e sarà questo il caso di aiuti di Stato – compensando quelle imprese che accettino
di operare, pur in condizione di minor redditività, in favore di quelle classi e categorie di
utenti che sarebbero svantaggiate qualora non fossero messi in campo gli opportuni inter-
venti di perequazione (rectius, di perequazione economico-sociale)».
116
Sentenza della Corte giust., 24 luglio 2003, C-280/00 Altmark Trans e la Nahverkeh-
119
rsgesellschaft Altmark GmbH, riguardante il rilascio alla prima, da parte del Governo della
regione di Magdeburg, di concessioni relative a servizi di linea nei servizi di trasporto.
117
In realtà il passaggio è rappresentato dall’originaria applicazione dell’art. 92, n. 1 del
Trattato divenuto in seguito art. 87, n. 1, CE. Nel frattempo il citato art. 87 del Trattato CE è
diventato l’attuale art. 107 TFUE, dal quale si desume che l’aiuto di Stato a favore di un’im-
presa che operi per la gestione di un SIEG, sarà compatibile con le regole europee della con-
correnza in presenza delle quattro condizioni contenute nella Sentenza della Corte di giusti-
zia Altmark.
118
G. LO SCHIAVO, Dalla giurisprudenza Altmark all’adozione del pacchetto «Almunia».
Chiarimenti sulla portata delle compensazioni concesse per la prestazione dei servizi di in-
teresse economico generale, in Riv. dir. pubb. comunit., n. 6/2012, pp. 1279 ss. Si rammenti
come il regolamento sugli aiuti c.d. de minimis ossia di modesta entità, individua quegli in-
terventi per i quali non è necessaria la preventiva attivazione della notifica del dossier alla
Commissione perché essa possa esercitare ogni opportuno controllo. Pur tuttavia occorre
rammentare il Regolamento 25 aprile 2012, n. 360, avente ad oggetto l’applicazione degli
artt. 107 e 108 TFUE, aiuti di importanza minore de minimis concessi ad imprese che forni-
scano servizi di interesse economico generale.
119
S’introduce così il tema della compensazione (in senso a-tecnico) rappresentato dal
fatto che possono essere forniti ai soggetti erogatori dei servizi in parola, sostegni finanziari
specifici da parte delle autorità degli Stati membri, condizionati dalla necessità di una valu-
tazione/comparazione con i principi della tutela della concorrenza. In questo senso è ripreso
quanto stabilito nella famosa Sentenza Altmark del 24 luglio 2003, C-280/00, in base alla
quale la compensazione non costituirebbe aiuto di stato a condizione che siano chiari gli ob-
blighi dei servizi d’interesse generale, i parametri stabiliti ex ante e l’affidamento trasparente
mediante gara a un’impresa che garantisca il minor costo per la collettività. La caratteristica
120
della gestione dei SIEG, deve essere individuata: – nella natura economica dell’attività che
presuppone una remunerazione; – nel principio di neutralità pubblico-privato del soggetto
gestore.
120
I principi per escludere che si incorra nel divieto di aiuto di Stato sono: – l’impresa
beneficiaria deve essere incaricata dell’assolvimento degli obblighi di servizio pubblico (in-
carico); – i parametri in base al quale viene calcolata la compensazione devono essere pre-
viamente definiti in modo obiettivo e trasparente (trasparenza); – la compensazione non può
eccedere quanto necessario per coprire interamente o in parte, i costi originati dall’adempi-
mento degli obblighi di servizio pubblico, tenuto conto degli introiti relativi agli stessi, non-
ché di un margine di utile ragionevole per il suddetto adempimento (proporzionalità); – la
scelta dell’impresa affidataria deve essere effettuata nell’ambito di una procedura di selezio-
ne pubblica (efficienza) oppure il livello della necessaria compensazione deve essere deter-
minato sulla base di un’analisi dei costi che un’impresa media, gestita in modo efficiente al
fine di poter soddisfare le esigenze di servizio pubblico richieste, avrebbe dovuto sopportare
per adempiere tali obblighi, tenendo conto degli introiti ad essi attinenti nonché di un margi-
ne di utile ragionevole per il suddetto adempimento. Si veda altresì la decisione della Com-
missione del 21 ottobre 1997, 97/744/CE alle disposizioni in materia di lavoro della legisla-
zione portuale italiana.
121
Il c.d. pacchetto Monti-Kroes assunto nel 2005, rappresenta una risposta degli organi
dell’Unione alle sollecitazioni derivanti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea.
Tale pacchetto consta di tre strumenti operativi: la Decisione della Commissione del 28 no-
vembre 2005, riguardante l’applicazione dell’art. 86, par. 2, del Trattato CE agli aiuti di stato
sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate
imprese incaricate della gestione di servizio di interesse economico generale [notificata con
il numero C(2005) 2673] (pubblicata in GUCE, 29 novembre 2005); la Direttiva 2006/11/CE
della Commissione del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanzia-
rie tra Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di
talune imprese (pubblicata in GUCE, 17 novembre 2006); la Comunicazione della Commis-
sione relativa agli aiuti di stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di ser-
vizio pubblico (pubblicata nella GUCE del 29 novembre 2005).
122
In particolare il procedimento si dipana sostanzialmente:
1. Una comunicazione che chiarisce alcuni concetti fra i quali le ipotesi in cui l’attività di
servizio pubblico, si può considerare come avente o non avente natura economica;
2. Una decisione di esenzione che chiarisce quali sono le condizioni rispettate dalle quali
l’autorità pubblica, che affida la gestione di un servizio pubblico, è svincolata dall’obbligo di
una previa autorizzazione della Commissione europea, prima di concedere la compensazio-
ne, così si è ritenuto che qualunque concessione di un vantaggio con risorse pubbliche a fa-
vore di un’impresa o di un settore produttivo, deve essere preventivamente autorizzato dalla
Commissione europea;
3. Una comunicazione che renda trasparenti i criteri in base ai quali la Commissione ope-
ra la valutazione sulla compatibilità della compensazione con le regole del TFUE.
121
123
Il Pacchetto Almunia costituisce un notevole passo avanti per inquadrare la natura del-
le compensazioni, come evidenziato anche dalla prima decisione della Commissione relativa
ad un caso di compensazione a fondo perduto per una rete di imprese nel settore postale in-
glese, per le quali si estendeva la disciplina dei SIEG per gli anni 2012/2015. La Commis-
sione veniva non solo ad analizzare la compatibilità delle misure adottate rispetto alla nor-
mativa sugli appalti pubblici, ma altresì il calcolo della compensazione. In particolare, la
Commissione è venuta ad elaborare una dettagliata valutazione dei costi che l’impresa
avrebbe dovuto sostenere con e senza il conferimento del SIEG. Da questa decisione emerge
che il Pacchetto Almunia viene a costituire un punto di riferimento nella futura prassi deci-
sionale della Commissione, contribuendo a generare maggiore certezza giuridica per valutare
le compensazioni per l’erogazione di un pubblico servizio.
124
T. BONETTI, op. cit., p. 422. Rileva l’A. che la sentenza deve essere segnalata per la
coerenza intrinseca delle argomentazioni del giudice costituzionale, rispetto a quanto deter-
minato nell’atto di ammissione della richiesta del referendum popolare.
122
125
La Corte costituzionale ha escluso, al contrario, l’ammissibilità dell’iniziativa refe-
rendaria che chiedeva la soppressione dell’art. 150 del D.Lgs. n. 152/2006, il quale – sia pu-
re già in buona parte abrogato – armonizzava la disciplina delle modalità di affidamento del-
la gestione del servizio idrico, con quella dei servizi pubblici locali a rilevanza economica; la
Corte ha altresì escluso la richiesta di abrogare alcune parti di disposizioni contenute nel già
citato art. 23-bis, D.L. n. 112/2008. Si è rilevato in G. CARAPEZZA FIGLIA, op. cit., p. 40. Se-
condo il giudice costituzionale, l’art. 4 del D.Lgs. 13 agosto 2011, n. 138, si presentava co-
me la reintroduzione della disciplina precedentemente abrogata in sede referendaria, venen-
dosi così a violare il precetto di «divieto di ripristino» desumibile dall’art. 75 Cost.
126
Rileva il giudice costituzionale «[…] le poche novità introdotte dall’art. 4 accentuano
la drastica riduzione delle ipotesi degli affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che, la
consultazione referendaria, aveva inteso escludere […] mentre l’intento abrogativo espresso
con il referendum, riguardava pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica
… non potendosi ritenere che l’esclusione del servizio idrico alla quale veniva applicata la
disciplina in parola fosse satisfattiva della volontà espressa dalla consultazione popolare”.
La Corte, già in quella sede, aveva chiaramente rilevato che, l’abrogazione richiesta, riguar-
dava una normativa generale, prevalente su quella di settore, salvo che per i settori esclusi
«[…] l’astratta riconducibilità alla previsione dell’art. 23 bis di un’indefinita pluralità di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, d’altro canto, non avrebbe consentito di for-
mulare un quesito diretto ad abrogare tale disciplina, solo con riferimento ad alcuni settori
di servizi pubblici, tenendo conto altresì dell’efficacia meramente ablativa e non propositiva
o additiva dell’istituto referendario». Sul punto si rinvia a T. BONETTI, op. cit., p. 422, ove si
conviene con l’A. che il parametro del giudizio di costituzionalità viene identificato con
l’art. 75 Cost.: «[…] L’art. 4, D.l. n. 138/2011, cioè, viola il “divieto di ripristino di disci-
plina normativa abrogata” da referendum popolare in base al quale al legislatore è preclu-
sa la possibilità, ancorché corrispondente ad una precisa scelta politica, di far rivivere la
normativa abrogata – anche solo in via transitoria – a fronte della “peculiare natura del
referendum, quale atto-fonte dell’ordinamento […] Piuttosto, sulla scia di una lettura unita-
ria della trama costituzionale ed in un’ottica di raccordo tra gli strumenti di democrazia
diretta e quelli propri del sistema rappresentativo, il vincolo derivante dall’abrogazione re-
ferendaria sembra risiedere nella necessità di evitare che l’esito della consultazione […]
venga posto nel nulla, vanificandosi il relativo effetto utile, in assenza di significativi muta-
menti politici e/o delle condizioni fattuali».
127
T. BONETTI, op. cit., p. 42 «In un’occasione precedente relativa al giudizio di costitu-
zionalità dell’art. 23-bis, D.l. n. 112/2008, invece, la Corte aveva espressamente escluso che
siffatta previsione rappresentasse un’“applicazione necessitata” dal diritto europeo, inte-
grando solamente una delle diverse discipline possibili della materia che il legislatore
avrebbe potuto legittimamente adottare senza violare il primo comma dell’art. 117 Cost.; in
123
altri termini, l’introduzione di regole concorrenziali più rigorose di quelle richieste a livello
europeo non è imposta dall’ordinamento comunitario» «[…] e, dunque, non è costituzio-
nalmente obbligata […], ma neppure si pone in contrasto […] con la normativa comunita-
ria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un
minimo inderogabile per gli Stati membri». Peraltro, merita di essere segnalato come l’A. a
p. 430, rilevi che la decisione viene ad incidere sulle scelte di politica del diritto «[…] che,
sulla base di una lettura minimalista degli esiti referendari, il legislatore aveva tentato di
ripristinare in seno all’ordinamento nazionale con l’introduzione di norme censurate, addi-
rittura accentuandone le logiche e le finalità pro-concorrenziali nel e per il mercato».
128
In questa prospettiva occorrerà esaminare il c.d. «pacchetto SIEG» adottato a Bruxel-
les il 20 dicembre 2011, riguardo a talune prescrizioni contenute nel D.L. c.d. «Salva Italia»,
convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché le frammentarie disposizioni dettate
dall’art. 34 del D.L. n. 179/2012, convertito in legge n. 221/2012, ove è rinvenibile una serie
di previsioni, con specifico riferimento a taluni servizi e a taluni modelli di gestione, sul pa-
radigma giuridico comunitario. Per un quadro generale del tema si rinvia a R. CAVALLO PE-
RIN, op. cit., p. 106; D. MINIUSSI, op. cit., pp. 120 ss.
129
Da qui la considerazione che, proprio in virtù del rinvio all’ordinamento comunitario,
contenuto nella sentenza della Corte quale principio cardine della materia, si sviluppa, nel
settore in esame, quell’assetto pro-concorrenziale cui faceva riferimento anche la disciplina
antecedente al referendum. Il chiarimento imposto dalla Corte è che o il servizio viene svolto
dichiaratamente in un regime di privativa, sottraendolo dalla categoria dei servizi pubblici a
rilevanza economica come per il servizio idrico, o la regola generale vuole che tali servizi
siano svolti in un regime concorrenziale. Infatti, la Corte sottolinea come il disegno com-
plessivo dei referendum, legati «da un medesimo intento “politico”, è [sia] quello di far tra-
scorrere l’acqua dallo statuto normativo dei servizi di interesse economico generale a quel-
lo dei servizi sociali, dominato, secondo la relazione introduttiva del Comitato promotore,
da un modello pubblicistico di gestione imperniato sull’azienda speciale».
124
130
Il vero è che servizio pubblico in Italia, è sempre stato visto in senso monopolistico o
comunque tendente al monopolio, ciò in quanto l’azione dei pubblici poteri nel settore, è sta-
ta caratterizzata dall’adozione di criteri privi di qualsiasi connotazione imprenditoriale Con
effetti negativi da un punto di vista economico ciò a differenza, peraltro, del monopolio clas-
sico che è invece tendenzialmente remunerativo per il soggetto dominante. Sul principio del-
la concorrenza in generale si rinvia a L.F. PACE, Diritto europeo della concorrenza, Cedam,
2007, pp. 134 ss.
131
In F. TRIMARCHI BANFI, Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto
dell’Unione e nella Costituzione, cit., pp. 727 ss.: «[…] là dove viene affermato l’impegno
degli Stati membri e dell’Unione ad adottare una politica economica condotta conforme-
mente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza». Rileva l’A.
che il termine concorrenza viene ad assumere significati diversi soprattutto se si equipara
l’art. 117 della Costituzione italiana coi principi comunitari. Nel diritto europeo l’espres-
sione regole di concorrenza viene ad assumere un significato giuridico preciso, in quanto
sono tali le regole raccolte nel capo I del titolo settimo del trattato. A questo specifico signi-
ficato occorrerà dunque far riferimento quando si utilizza l’espressione regole di concorrenza
nel senso del diritto europeo. Nell’art. 117 della Costituzione la concorrenza oggetto di tutela
è la c.d. «concorrenza economica» vale a dire quella che si realizza tra una pluralità di pro-
duttori di beni o servizi. Dalla concorrenza economica ci si può attendere l’orientamento del-
le risorse verso gli impieghi che sono più convenienti per i singoli competitori e, mediamen-
te, per la collettività nel suo insieme.
132
Si tratta della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consi-
glio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, L’Atto per il
125
mercato unico, COM (2011). Nell’Atto per il mercato unico sono previsti i nuovi impegni
dell’Unione volti a rafforzare la dimensione sociale attraverso la valorizzazione dell’impren-
ditoria sociale. La stessa impostazione la si ritrova nella Comunicazione della Commissione
sull’Applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compen-
sazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale, C (2011)
9404 del 20 dicembre 2011.
133
Il comma 2 dell’art. 106 TFUE, che come noto va letto in combinato disposto al
comma 1, ammette deroghe qualora ciò risulti necessario per permettere alle imprese incari-
cate di servizi di interesse economico generale, di assolvere i compiti loro assegnati. Si os-
servi infine che nel comma 3 dello stesso articolo, viene attribuito alla Commissione il pote-
re di vigilanza sul rispetto delle disposizioni precitate. «Le imprese incaricate alla gestione
dei servizi di interesse economico generale, o avente carattere di monopolio fiscale, sono
sottoposte alle norme dei Trattati, e, in particolare, alle regole di concorrenza nei limiti in
cui l’applicazione di tali norme, non osti all’adempimento in linea di diritto e di fatto, della
specifica missione a loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in
misura contraria agli interessi dell’Unione”. Si veda inoltre l’art. 1, Protocollo n. 26, all.,
TFUE, in merito all’ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali
degli Stati membri, circa l’organizzazione dei SIEG. Sul punto rilevante ai fini della rico-
struzione del quadro giuridico, R. FERRARA, op. cit., pp. 324 ss., ove l’A. osserva che «Se
appare in qualche modo evidente un orientamento per così dire liberale, o meglio meno in-
tensamente “liberista” nei riguardi dell’organizzazione dei SIEG, in quanto ne vengono col-
ti e riconosciuti i profili socialmente rilevanti, non è, tuttavia, meno ferma e incondizionata
la riconduzione della loro disciplina ai principi costitutivi (e “costituzionali”) dell’Unione
europea in materia di concorrenza e di mercato interno». Ciò emerge con evidenza dal Li-
bro Verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003 (COM-2003-2007) ove si
sottolinea che si è di fronte all’ipotesi di un servizio offerto alla collettività alla cui erogazio-
ne è stato attribuito un ruolo specifico nell’interesse pubblico, senza alcun riferimento al
soggetto che presta il servizio. Inoltre si osservi che al punto 44 del Libro Verde testualmen-
te si legge: «Per quanto riguarda la distinzione fra servizi di natura economica e servizi di
natura non economica [essa fa riferimento ad] ogni attività che implica l’offerta di beni e
servizi su un dato mercato. In tale contesto giova notare che gli strumenti giuridici
dell’Unione sono oggetto di discussione nell’ambito della Convenzione europea. In realtà,
gli articoli 24-28 del progetto preliminare del trattato costituzionale delineano [delineava-
no] il quadro degli strumenti giuridici proposti. Pertanto, i servizi economici e non econo-
mici possono coesistere all’interno dello stesso settore e talora possono essere forniti dallo
stesso organismo. Inoltre, se da un lato può non esserci mercato per la fornitura alla popo-
lazione di particolari servizi, dall’altro potrebbe esserci un mercato a monte in cui le impre-
se contrattano con le autorità pubbliche per la fornitura di questi servizi. Per questi mercati
a monte valgono le regole del mercato interno, della concorrenza e degli aiuti di Stato». Si
intende focalizzare l’attenzione su questo aspetto in quanto, come si vedrà in seguito, soven-
te la dottrina italiana e la giurisprudenza, anche della Corte costituzionale, hanno ignorato gli
aspetti peculiari relativi al profilo che induce l’Unione alla famosa distinzione tra servizi di
interesse generale e servizi di interesse economico generale.
126
134
D. SORACE, op. cit., p. 2, il quale osserva che i «[…]“servizi di interesse economico
generale” (SIEG) e “servizi pubblici” sono due locuzioni nate in ambienti ed epoche diver-
se, il cui senso è ancora in discussione dal momento che il significato della prima non è an-
cora stabilizzato ma ha comunque destabilizzato quello della seconda. Bisogna dunque
prender le mosse dalla prima locuzione, a proposito della quale, peraltro, nella dottrina eu-
ropea, c’è chi definisce quelle abitate dai SIEG “murky waters” che avrebbero bisogno di
“light and transparency”». Secondo un approccio ormai in uso si tende a identificare i SIEG
con i servizi di interesse economico generale, secondo quanto stabilito dall’art. 6 TFUE.
135
D. SORACE, op. loc. cit. Occorre osservare che la Direttiva 2006/123/CE, relativa ai
servizi nel mercato interno, all’art. 1, par. 3, comma 2: «[…] lascia impregiudicata la libertà
degli Stati membri di definire, in conformità del diritto comunitario, quali essi ritengano es-
sere SIEG, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità
delle regole sugli aiuti concessi agli Stati, e a quali obblighi specifici essi debbano essere
soggetti». Si rinvia a H. BONURA, I servizi pubblici locali privi di rilevanza economica e la
potestà organizzatoria degli enti locali, in Giorn. dir. amm., n. 4/2013, p. 402. Per quanto
attiene all’ampio dibattito sulla nozione di impresa nel quadro del diritto europeo rapportata
al principio di concorrenza, si veda E. SCOTTI, I principi informatori dei servizi pubblici lo-
cali, in H. BONURA-M. CASSANO (a cura di), L’affidamento e la gestione dei servizi pubblici
locali a rilevanza economica, Giappichelli, 2011, p. 32; F. DELLO SBARBA, I servizi pubblici
locali, Giappichelli, 2009, p. 102.
136
La Commissione fa riferimento a tutti gli operatori economici, anche quelli che si so-
no affacciati nel mercato di recente come le fondazioni che coniugano l’attività economica
con le finalità di carattere sociale, il cui sviluppo è diverso a causa delle differenti discipline
nazionali. Emerge quindi la possibilità di emanare un nuovo atto di comunicazione Social
Business Initiative con l’intento di fornire gli elementi per valorizzare, nel contesto comuni-
tario, le attività economiche ad alto impatto sociale e di innovazione. Si osservi invece come
tendenzialmente, sia radicata una diversa impostazione nel nostro ordinamento tant’è che, an-
che di recente, la Corte dei Conti, nel parere n. 195/2009, discostandosi dall’impostazione co-
munitaria, rileva che non può qualificarsi come attività economica la produzione di beni o ser-
vizi erogati gratuitamente o a prezzo politico «in quanto ciò fa oggettivamente escludere la
possibilità di coprire i costi coi ricavi, il ché porterebbe ad escludere un’attività di impresa».
127
137
Da qui la Commissione europea nel «Libro Verde sui servizi di interesse generale»
(COM-2003-2007) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si ap-
plicano soltanto alle attività economiche dopo aver precisato che la distinzione tra attività
economiche e non economiche, ha carattere dinamico ed evolutivo, così che non sarebbe
possibile fissare a priori un elenco definitivo di servizi di interesse generale di natura non
economica.
138
Quanto alla generalità dell’interesse, rilevante per i servizi in questione, nessuna indi-
cazione è desumibile dall’art. 106 TFUE, e questo può spiegare, di per sé, l’assenza di tenta-
tivi di individuazione in termini oggettivi. Così D. SORACE, op. cit., p. 3, ove si legge: «Per-
tanto, da un lato si era soliti affermare un’ampia discrezionalità degli Stati membri nel per-
seguire i loro interessi mediante i SIEG […]. Da un altro lato, la questione era posta in ter-
mini procedurali, per esempio, esigendosi che in un qualche modo risultasse dagli atti di
causa che delle attività che si pretendeva fossero considerate di interesse economico gene-
rale avessero un carattere specifico rispetto a quello di altre attività della vita economica
[…]. Le statuizioni sul ruolo degli Stati membri, riguardante specificamente i SIEG, inserite
alla fine degli anni ‘90 tra le disposizioni di diritto comunitario primario […] hanno contri-
buito a risaldare l’approccio non ontologico alla questione, ancora più chiaramente esplici-
tato dalla Direttiva 123/2006/CE sui servizi, là dove essa esclude la propria applicazione ai
SIEG affermando […] “di lasciare impregiudicata la libertà, per gli Stati membri, di defini-
128
re […] quali essi ritengano essere SIEG” (art. 1, par. 3, comma 2)». Sul punto si rinvia an-
che a D. MINIUSSI, op. cit., il quale, a p. 122, sottolinea che i trattati ripudiano la locuzione
«servizio pubblico» pervenendo a privilegiare quella di «servizio di interesse economico ge-
nerale». «Quest’ultima disposizione, da un lato conferma l’assoggettamento a tutte le norme
dei Trattati, in particolare a quelle in materia di concorrenza, delle imprese incaricate della
gestione dei servizi di interesse economico generale; dall’altro prevede la possibilità di de-
rogare all’applicazione di dette norme, qualora essa osti all’adempimento, in linea di diritto
o di fatto, alla specifica missione affidata alle imprese incaricate della gestione di servizi di
tale natura. La creazione di questa nuova locuzione non si ferma al dato prettamente nomi-
nalistico. Essa, infatti, costituisce una vera e propria categoria giuridica nuova, sconosciuta
agli ordinamenti degli Stati membri, creata dal diritto europeo al fine di sfuggire alla poli-
semia che, da sempre, caratterizza le nozioni tradizionali del servizio pubblico elaborate
negli ordinamenti degli Stati membri».
139
Sul punto M. MARESCA, Crisi della Comunità di diritto nell’Unione europea, in Dir.
e pol. UE, n. 3/2007, pp. 51-70.
140
M. MARESCA, op. cit., p. 48.
141
Sentenza della Corte cost. n. 325/2010, punto 6.1. D’altro canto, anche la dottrina, pur
criticando il rilievo che la Corte ha voluto dare al profilo dell’affidamento a terzi, per quanto
riguarda l’accostamento in parola sembra, invece, favorevole allo stesso; si conviene con il
giudice costituzionale sull’accomunare i servizi di interesse economico generale (ex art. 106
129
volta di tale affermazione non è solo nel rinvio alle procedure a evidenza
pubblica per l’affidamento del servizio che ne è una mera conseguenza, ben-
sì nel richiamo al principio della concorrenza, quale principio imminente
delle attività economiche ascrivibili alla nozione di servizio pubblico eco-
nomico.
D’altro canto, proprio da tale presupposto, emerge la rilevanza assunta
ultimamente dal tema in oggetto, che deriva dal «peso finanziario» che i
SIEG 142 sono venuti ad assumere da un punto di vista macroeconomico;
aspetto, questo, che rende evidente la necessità di un ripensamento in tutti
gli Stati membri, compresa l’Italia, dei presupposti logico-giuridici del setto-
re, soprattutto per i riflessi che le attività da essi esercitate, hanno sul merca-
to, sulla concorrenza e da ultimo sul profilo economico 143. Infine, occorre
rammentare che la previsione di cui all’art. 14 TFUE, introduce un diritto di
garanzia del cittadino utente nei confronti dello Stato, tenuto all’erogazione
di un servizio d’interesse generale, che può trovare nell’art. 106 TFUE, un
suo strumento 144.
TFUE) ai servizi pubblici di rilevanza economica come prospettato nel nostro ordinamento.
Vedi F. TRIMARCHI BANFI, Procedure concorrenziali, cit., pp. 739 ss. Per una visione orga-
nica del tema si rinvia a M. CLARICH, Servizio pubblico e servizio universale, evoluzione
normativa e profili ricostruttivi, in Dir. pubbl., 1999, pp. 181 ss., al quale si aderisce nella
tesi che evidenzia come la nozione di servizio universale non sia venuta ad acquisire una di-
mensione concettuale autonoma rispetto a quella di servizio pubblico.
142
Basti rammentare che, come si è sottolineato nell’audizione alla Camera Affari costi-
tuzionali, Camera dei Deputati, 25 gennaio 2012, i servizi pubblici locali coinvolgono oltre
137.000 lavoratori e danno luogo a un fatturato di circa 35 miliardi di euro, con un’incidenza
sul PIL nazionale del 3%; non v’è dubbio che il settore sia importante per la nostra economia
e le modifiche proposte implicano un intervento che incide sul 3% del PIL nazionale. Si ve-
da sul punto, G.F. CARTEI, I servizi di interesse economico generale tra riflusso dogmatico e
regole di mercato, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005, pp. 1221 ss.
143
A. ARGENTATI, La storia infinita della liberalizzazione dei servizi in Italia, in Merc.,
conc., reg., n. 2/2012, p. 358: «Il tema ha assunto priorità nell’agenda delle Istituzioni co-
munitarie con lo sviluppo dei processi di liberalizzazione dei grandi servizi a rete, che han-
no eroso consolidate situazioni di monopolio e aperto alla concorrenza i relativi mercati.
Parallelamente al progredire di tali processi si è acquisita consapevolezza che l’affermarsi
dei canoni dell’economia aperta e di mercato, se ha consacrato la libera concorrenza in tale
settore, non sempre ha comportato una maggiore libertà per le imprese negli altri settori di
mercato. In ambiti cruciali dell’economia comunitaria (quali i servizi, appunto) è rimasto
infatti intatto un gran numero di regolazioni amministrative, spesso di antica origine, di
ispirazione non di rado corporativa, introduttive di limiti assai dettagliati e incidenti sullo
sviluppo di attività transfrontaliere».
144
La normativa italiana prevede che l’ente, ove voglia sottrarre al mercato un particola-
re servizio, debba svolgere una precisa istruttoria, che dia conto delle ragioni che hanno por-
tato a sottrarre al mercato taluni servizi. La ratio della disciplina indica il percorso attraverso
130
il quale l’ente locale può gestire anche un servizio pubblico economico in regime di privati-
va o decidere di liberalizzare una determinata attività economica sia pure rientrante
nell’alveolo del servizio pubblico tout court. L’impostazione desumibile dal dato legislativo
si dipana nel necessario iter procedimentale volto a pervenire a una progressiva oggettiviz-
zazione dei parametri che dovrebbero rappresentare la giustificazione della scelta tra servizio
pubblico e settori liberalizzati. La procedura individua nell’art. 4, che era volto a motivare il
perché una certa attività fosse sottratta al mercato e soprattutto era volta a creare una vera
liberalizzazione delle attività economiche, la si può desumere dalle norme richiamate nel te-
sto. Nessuno contesta che a seguito di un’oggettiva istruttoria gli enti locali possano assume-
re direttamente la gestione di un servizio, ma ciò non porta l’esclusione tout court della libe-
ralizzazione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica. Gli enti locali per assicurare ai
cittadini-utenti l’erogazione di servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni e
servizi rivolti a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile di una
determinata comunità, sono tenuti, secondo quanto disposto dal comma 5 dell’art. 4, legge n.
148/2011, a definire, preliminarmente, le eventuali compensazioni economiche delle aziende
esercenti i servizi stessi nei limiti delle disponibilità di bilancio destinati allo scopo, tenendo
conto, altresì, dei proventi derivanti dalle tariffe.
145
Quanto fin qui osservato, trova conferma nella disciplina dettata dall’art. 34, D.L. 18
ottobre 2012, n. 179, nella versione definitiva, contenuta nella legge n. 221/2012, ove si san-
cisce la necessità di garantire la libera concorrenza «secondo condizioni di pari opportunità
ed un corretto e uniforme funzionamento del mercato» per assicurare ai consumatori condi-
zioni di accessibilità ai beni e ai servizi su tutto il territorio. Nell’art. 34, D.L. n. 179/2012,
convertito in legge n. 221/2012, al comma 20, viene stabilito al riguardo che «per i servizi
pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina euro-
pea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata infor-
mazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di
un’apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ra-
131
gioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affi-
damento prescelta e che definisce i contenuti specifici di servizio pubblico e servizio univer-
sale indicando le compensazioni economiche se previste».
146
Si osservi, peraltro, che il requisito dell’accessibilità, anch’esso espressamente men-
zionato dal comma 1, art. 4, legge n. 148/2011, come già richiamato dalla dottrina, deve es-
sere inteso sia come fruibilità «fisica» del servizio senza eccessive difficoltà, soprattutto in
relazione a fattori geografici e socio-urbanistici, sia come sostenibilità economica per gli
utenti.
147
M. COZZIO, Appalti pubblici e Unione europea: qualcosa sta cambiando? Più flessi-
bilità, semplificazione e certezza delle regole: le principali richieste dell’Europarlamento
per la modernizzazione del settore, www.osservatorioappaltipubblici.it, 25 ottobre 2011.
132
148
Sia consentito il rinvio al nostro elaborato: Prime osservazioni in merito alle direttive
di coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Direttive nn. 17
e 18/2004 del 31 marzo 2004, in Riv. trim. app., n. 3/2004, pp. 854 ss.
149
L’attività legislativa dell’Unione che ha scandito il processo di modernizzazione della
politica europea sugli appalti pubblici, ha visto un’accelerazione significativa in risposta alle
esigenze del mercato sia interno che comunitario. In questa sede, in particolare, meritano di
essere rammentate:
– la Comunicazione della Commissione: «Verso un atto per il mercato unico – Per un’e-
conomia sociale di mercato altamente competitiva – 50 proposte per lavorare, intraprendere
e commerciare insieme in modo più adeguato» [COM (2010)0608] nella quale viene dichia-
rata la volontà di intervenire con disposizioni ad hoc sulla legislazione europea degli appalti
pubblici, con l’obiettivo di aggiornare le procedure di aggiudicazione e migliorare le politi-
che di sviluppo 2010;
– il c.d. Rapporto Monti presentato alla Commissione europea «Una nuova strategia per
il Mercato unico» (maggio 2011);
– il Libro Verde «Sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti
pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti» [COM (2011)] 27
gennaio 2011;
– la Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 sulla modernizzazione degli
appalti pubblici [2011/2048 (NI)];
– la Proposta della Commissione europea per la direttiva sugli appalti pubblici [COM
(2011) 896/2] del 20 dicembre 2011;
– le Direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE.
133
150
Tutto ciò deriva dalla constatazione che le autorità pubbliche in Europa, spendono
circa il 18% del PIL in acquisti di beni, servizi e opere risultando necessario dare una rispo-
sta al mercato che tenga conto di tali dati.
151
Si veda F FRACCHIA, I contratti pubblici come strumento di accentramento, in Riv. it.
dir. pubbl. comunit., n. 6/2015, p. 1529, ove si legge: «A guardare congiuntamente le vicen-
de evolutive indotte dall’irruzione dei due principali interessi nell’ambito della contratta-
zione pubblica (concorrenza e sostenibilità finanziaria), si può notare come la torsione fun-
zionale subita dall’istituto dei contratti abbia sicuri effetti sull’assetto complessivo della di-
sciplina. Tutto ciò, tuttavia, non segue traiettorie omogenee».
152
Libro Verde del 2011 «Sulla modernizzazione della politica della UE in materia di
appalti pubblici». Si veda altresì la Comunicazione della Commissione del 27 Gennaio
2011, ove si legge: «L’attuale generazione di Direttive sugli appalti pubblici, ossia le Diret-
tive 2004/17/CE e 2004/18/CE, rappresenta l’ultima fase di una lunga evoluzione del 1971
con l’approvazione della Direttiva 71303 CE. Mediante procedure trasparenti e non discri-
minatorie, queste Direttive mirano soprattutto ad assicurare che gli operatori economici
possano beneficiare a pieno delle libertà fondamentali nel campo degli appalti pubblici».
134
153
M. BERTOLISSI-V. ITALIA, La semplificazione delle leggi e dei procedimenti ammini-
strativi, Jovene, 2015; si veda, in particolare, da p. 31 ss. Il testo presenta spunti di estremo
rilievo nel contesto dei principi generali del diritto in tema di semplificazione delle leggi e
dei procedimenti amministrativi. Proprio sui procedimenti amministrativi, che è l’aspetto che
più interessa in tale sede, si sottolinea «… come la semplificazione dei procedimenti deve
essere considerata da un particolare angolo visuale, e si deve fermare l’attenzione sul con-
tenuto di essi, non in relazione alle fasi temporali, ma al contenuto, essenziale o non essen-
ziale del procedimento stesso (p. 106). Il che porta a distinguere le parti essenziali del proce-
136
dimento dalle parti non essenziali del procedimento. «Il vero vincolo tra le parti del proce-
dimento, è quello che vieta la semplificazione e la riduzione degli elementi essenziali, e cioè
l’elemento iniziale e l’elemento finale della decisione. In particolare, l’elemento decisionale
è quello che deve essere assunto rapidamente, perché i ritardi causati dall’ossequio a tutti i
vari passaggi possono provocare un danno ingiusto o maggiore di quello che può essere
causato da eventuali illegittimità che si sono inserite in alcuni dei singoli passaggi. È una
scelta determinata dal bilanciamento, dove l’esigenza della semplificazione degli atti proce-
dimentali amministrativi si pone come elemento necessario e determinante … il procedimen-
to amministrativo semplificato è un procedimento ridotto, dove l’elemento determinante ap-
pare quello – seguendo le linee di un decisionismo politico legislativo – che è caratterizzato
dall’elemento conclusivo della decisione che determina anche l’efficacia» (p. 108).
154
M. BERTOLISSI-V. ITALIA, op. cit., pp. 109 ss. Si osserva che «… questa legge che
stabilisce la sintesi del procedimento amministrativo, e quindi anche questo procedimento
amministrativo sintetizzato e semplificato deve essere osservato. Il vincolo che nasce da
questo procedimento amministrativo sintetizzato e semplificato deriva dalla legge, e la legge
deve essere evidentemente osservata». Ciò implica che gli elementi essenziali del procedi-
mento, anche in quello sintetizzato e semplificato, sono tutti presenti dalla fase iniziale a
quella decisionale.
137
155
G. FIDONE, La corruzione e la discrezionalità amministrativa: il caso dei contratti
pubblici, in Giorn. dir. amm., n. 3/2015, p. 227, ove l’A. così rileva in tema di corruzione: «I
fenomeni più diffusi sono i bandi su misura e le specifiche tecniche su misura: una stazione
appaltante, al momento della redazione della lex specialis di gara e dei documenti tecnici,
che delineano il contratto di cui ha bisogno, potrebbero richiedere prestazioni, caratteristi-
che, requisiti che, se pure in apparenza pensati per una gara pubblica, in realtà sono predi-
sposti ad hoc per una o più imprese pre-individuate, le quali divengono le uniche concreta-
mente candidate ad aggiudicarsi il contratto. In questo modo si vanificano gli strumenti di
trasparenza e di controllo, predisposti per la fase di aggiudicazione, determinando la viola-
zione della concorrenza e degli interessi degli altri operatori economici, sostanzialmente
impossibilitati a vincere la gara».
138
156
Sul punto si rinvia a quello che gli economisti definiscono effetto di «selezione avver-
sa» ovvero la situazione in cui le modifiche nei rapporti tra le parti spingono una delle due a
rinunciare al rapporto con l’altra, lasciando il posto a soggetti che presentano in misura mi-
nore la caratteristica preferita dall’altra parte; variando le condizioni di un contratto viene a
variare la selezione dei contraenti sfavorevoli per la parte che ha modificato a suo vantaggio
le condizioni. Si rinvia a M. BERTOLISSI-V. ITALIA, op. cit., pp. 116 ss.
139
157
F. FRACCHIA, L’amministrazione come ostacolo, in Il Diritto dell’economia, Vol. 26,
n. 81/2013, pp. 361 ss. Nel presente lavoro si sono utilizzati taluni concetti-espressione che
l’A. ha richiamato in via generale in merito ai problemi del rapporto privato/pubblica ammi-
nistrazione. A parere di chi scrive, molti dei concetti utilizzati dall’A., si attanagliano in mo-
do specifico alla contrattualistica pubblica e pertanto si è reputato di poterli mutuare onde
mettere in evidenza il peso specifico che le prassi amministrative tradizionali riflettono sulla
disciplina della domanda pubblica.
158
In realtà sotto l’etichetta di soft law s’intende far riferimento a misure amministrative
quali atti interpretativi, linee guida, disposizioni e bandi tipo, sulla cui vincolatività diventa
difficile dare risposta. Il meccanismo dovrebbe ispirarsi alla vecchia tematica delle circolari
interpretative, dove appunto l’amministrazione si adeguava alla circolare ma poteva disco-
starsene sotto la responsabilità del funzionario e previa espressa motivazione. In tal modo si
verrebbero a sindacare oltre che a porre in essere meccanismi di responsabilità, le scelte del
funzionario amministrativo.
159
D’altro canto che il settore degli appalti – ammesso e non concesso che si possa parla-
re di un singolo settore trattandosi in verità di una pluralità di settori legati da principi gene-
rali di regolazione – impatti la pubblica amministrazione, è cosa ben nota tant’è che sia la
normativa europea sia la legge italiana danno per presupposto una maggiore professionalità
delle stazioni appaltanti nella gestione delle gare per l’affidamento e l’esecuzione dei con-
tratti pubblici.
140
160
Si veda in tal senso la Com. (2002) 714, p. 24, ove si osserva come «… l’accesso li-
mitato alla finanza nelle fasi iniziali e intermedie nel ciclo di vita, l’assenza di qualificazio-
ni, il peso della normativa e di un carico fiscale relativamente più elevato contribuiscono a
limitare la crescita delle PMI». M.A. STEFANELLI, Osservazioni critiche sulla regolamenta-
zione giuridica delle micro e piccole medie imprese. La dimensione “minore” come misura
per una regolamentazione dell’industria e per la ripresa economica, in G. LEMME (a cura
di), Diritto ed economia nel mercato, cit., pp. 216 ss.
161
Sull’interpretazione del gold plating la dottrina si è variamente espressa stante la dif-
ficoltà di un inquadramento «cogente» a un principio che tale non è. Oltretutto come è stato
141
Si rammenti tuttavia che la Commissione europea fin dal 2010 162, nel ri-
badire che gli Stati membri in sede di attuazione delle direttive in materia
godono di una discrezionalità particolarmente ampia (potendo aumentare gli
obblighi di comunicazione, aggiungere requisiti procedurali o applicare re-
gimi sanzionatori più rigorosi rispetto a quanto previsto dal legislatore euro-
peo), sottolinea come l’introdurre livelli di regolamentazione superiori ri-
spetto a quanto richiesto dall’Unione, pur non incidendo sul livello di legali-
tà sia annoverabile fra le «bad practice» in quanto, una tale disciplina, com-
porterebbe costi ultronei e per l’amministrazione e per le imprese a danno
del mercato interno 163.
La ratio seguita dall’Unione appare evidente: consentire la massima par-
tecipazione nel confronto concorrenziale nonché l’accesso alla domanda
pubblica anche di imprese che, sia per dimensioni o perché di recente istitu-
zione, risultino meno attrezzate sotto questo profilo rispetto ad altri operatori
del settore, tenendo presente però, gli obiettivi più ampi dell’accesso al mer-
cato e del principio di concorrenza proposti dalle nuove direttive.
Proprio perché la materia degli appalti a livello europeo è caratterizzata,
oggi, da quella «multifunzionalità» di cui si diceva in precedenza, non stupi-
sce che connessa alla regolamentazione della stessa risulti afferente il tema
del rating delle imprese. Già nel corso dell’elaborazione della Direttiva
2014/24/UE, sovente, si è fatto riferimento ai c.d. «criteri reputazionali»,
anche sulla scorta di quanto proposto nel Libro Verde 2011, ove si sollecita-
vano gli Stati membri ad adottare sistemi di qualificazione basati appunto su
tali «criteri», intendendosi, per essi, tutte quelle informazioni sulla vita
dell’impresa che non afferiscono sostanzialmente a requisiti in merito alle
qualità tecniche o economiche dell’aspirante contraente. Interessante, sotto
questo profilo appare il dibattito svoltosi proprio in sede di proposta di diret-
tiva comunitaria (20 dicembre 2011) sfociata poi nella Direttiva 2014/
24/UE, sul c.d. rating delle imprese. Si osservi che, con la previsione di un
rating delle imprese, l’Unione mirava e mira a valorizzare il comportamento
tenuto dagli operatori economici soprattutto in fase di esecuzione del con-
tratto nonché tutti i rapporti sorti tra le imprese e la stazione appaltante an-
che dopo l’aggiudicazione, comprese ad esempio le relazioni che i collauda-
tori presentavano alla fine del lavoro o più in generale il comportamento te-
nuto dall’impresa nei confronti del fisco rispetto ai contributi sociali e al pa-
gamento dei propri dipendenti. La previsione in parola è venuta a meno nel
163
Come rilevato opposto a tale principio è il recepimento c.d. copy out che consiste in-
vece nell’attenersi alla formulazione della disciplina così come contenuta nella legislazione
europea. Pertanto, nel recepimento delle normative dell’Unione, i Governi nazionali si tro-
vano nell’alternativa o di riprodurre fedelmente l’atto comunitario, oppure di prevedere le
ragioni per cui ritengono necessaria l’applicazione del principio del gold plating. Nella Rela-
zione presentata da P. Mantini, si sottolinea come detto principio possa assumere significati
ulteriori. Si veda lo scritto di P.L. MANTINI, Divieto di gold plating e semplificazione norma-
tiva nel recepimento delle direttive su appalti e concessioni, Relazione al convegno organiz-
zato dall’Università Bocconi, 14 maggio 2015, Le nuove Direttive appalti e il loro recepi-
mento, in http://www.osservatorioappalti.unitn.it.
143
164
In tal senso al considerando 101 della precitata direttiva, si consente alle amministra-
zioni «di avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffi-
dabili, per esempio a causa della violazione di obblighi ambientali o sociali … o che l’ope-
ratore economico ha violato i suoi obblighi inclusi quelli relativi al pagamento di imposte o
contributi previdenziali … o che nell’esecuzione di precedenti appalti pubblici hanno messo
in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi sostanziali per esempio manca-
ta fornitura o esecuzione, carenze significative del prodotto o del servizio fornito, che lo
rendono inutilizzabile per lo scopo previsto o comportamenti scorretti che hanno dato adito
a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico … nell’applicare motivi di esclusione
facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al
principio di proporzionalità».
144
CAPITOLO III
PROFILI AMMINISTRATIVI DELLA LIBERA
CIRCOLAZIONE DI PERSONE, DEI LAVORATORI
AUTONOMI E DEI LAVORATORI SUBORDINATI
SOMMARIO: 1. Principi generali della libera circolazione delle persone nel quadro delle liber-
tà economiche. – 1.1. L’interesse pubblico e le deroghe al diritto di circolazione. – 1.2.
Aspetti generali sulla libertà di circolazione dei lavoratori e dei prestatori di servizi.
1. PRINCIPI
GENERALI DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE NEL
QUADRO DELLE LIBERTÀ ECONOMCHE
1
L’indagine privilegia quest’ultimo profilo poiché, le diverse legislazioni degli Stati
membri non ancora sotto taluni aspetti omogeneizzate, risente della persistenza di barriere
che condizionano la libertà di circolazione delle «persone» per esercitare attività economi-
che. Un tema principe, sul quale però non è possibile in questa sede far riferimento, attiene
ad esempio, all’applicazione dei contratti collettivi di lavoro di uno Stato membro e in par-
ticolare dello Stato italiano. Infatti, indipendentemente dai vincoli posti dal mercato interno,
una legge nazionale che applichi l’intero sistema di diritto del lavoro nazionale ai lavoratori
stranieri distaccati, si porrebbe in contrasto con la Convenzione di Roma, prima ancora che
con la Direttiva 96/71 e l’art. 49 TCE. «Che poi, nel trasporre tali principi negli ordinamenti
interni, i giudici nazionali abbiano spesso adottato un approccio “annessionista”, finendo
per applicare le tutele lavoristiche ben al di là di quanto ammesso dalla Convenzione di
Roma è altra questione, che ha a che fare con l’assenza di un adeguato regime sanziona-
torio capace di garantire il rispetto delle fonti di diritto internazionale». Si veda S. GIUB-
BONI-G. ORLANDINI, La libera circolazione dei lavoratori, Il Mulino, 2007, p. 89.
146
presentata dal fatto che, la libera circolazione delle persone, pur costi-
tuendo una delle libertà fondanti dell’Unione, è una materia che si pone
su più livelli d’indagine che vanno dalla nozione stessa di libera circola-
zione nel territorio del mercato unico – quale nozione fondante per il di-
ritto del «cittadino europeo» – al concetto di libera circolazione, connes-
so alle attività produttive, ovvero la possibilità per il «cittadino europeo»
di poter essere lavoratore (autonomo o subordinato) in qualsiasi Stato
membro. Si rammenti che, come si legge nel considerando 3 della Diret-
tiva 2004/38/CE, la libera circolazione dei lavoratori aventi cittadinanza
dell’Unione, si estrinseca in uno status fondamentale dei cittadini degli
Stati membri «quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione
e di soggiorno» 2.
In via generale il principio ispiratore di tutta la normativa in materia di li-
bera circolazione, afferisce al c.d. «principio antidiscriminatorio» 3 che, sia
pure come si vedrà in seguito, coniugato con altri principi derivanti dal pro-
filo di accesso al mercato, mantiene una sua peculiare funzione regolatoria
di tale libertà sì da connotare la materia in esame in modo specifico rispetto
alle altre libertà economiche.
Il peso economico della libera circolazione delle persone deriva dal fatto
che la principale motivazione dei cittadini europei di avvalersi di tale libertà,
è costituita dalla ricerca del lavoro, seguita da ragioni familiari 4. La libera
2
Sempre nel considerando 3 della Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 29 aprile 2004 (relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari
di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il
regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/
CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (Testo
rilevante ai fini del SEE) si legge che «... È pertanto necessario codificare e rivedere gli
strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavora-
tori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto
di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione».
3
Sulla discriminazione si rinvia, tra le tante, alla sentenza Commissione, C-278/94,
Commissione c. Regno del Belgio e alla sentenza Corte giust., C-237/94, John O’Flynn. Si
vedano altresì, le osservazioni elaborate dalla Commissione europea, 15 gennaio 2014, volte
a rendere più chiara, nei limiti della materia, la libera circolazione delle persone. In tali os-
servazioni, la Commissione mette in luce come la lotta contro la discriminazione dei lavora-
tori degli Stati membri e la sensibilizzazione al diritto dei cittadini dell’Unione, a lavorare in
altri Paesi dell’Unione.
4
Nel 2012, tra tutti i cittadini dell’Unione residenti in un altro Paese dell’Unione (citta-
dini mobili dell’Unione) più di tre quarti (78%) erano di età lavorativa (15/64 anni), rispetto
al 66% dei cittadini italiani. In media, come rileva la Commissione europea, il tasso di occu-
pazione dei cittadini mobili dell’Unione (67,7%) era fin da allora superiore a quello dei cit-
tadini nazionali (64,6%). I cittadini mobili dell’Unione non occupati (studenti, pensionati,
persone non attive) rappresentano solo una percentuale limitata.
147
5
S. GIUBBONI-G. ORLANDINI, op. cit., p. 115. «Riprendendo più analiticamente gli obiet-
tivi del sistema di coordinamento, può osservarsi come questo tenda nell’ordine a: a) impe-
dire differenze di trattamento a danno dei lavoratori migranti in base alla nazionalità; b)
prevenire conflitti positivi o negativi di legge individuando la (sola) legislazione di volta in
volta applicabile; c) scongiurare censure e interruzioni nella carriera previdenziale del sog-
getto, garantendo che vengano presi in considerazione, ai fini della maturazione del diritto
come del calcolo delle prestazioni, tutti i periodi assicurativi utili in ambito comunitario: d)
rimuovere eventuali condizioni di residenza ai fini della erogazione delle prestazioni del-
l’Unione europea».
148
6
Commissione europea, La Commissione europea difende la libera circolazione delle
persone, 15 gennaio 2014 ove testualmente si legge: «La mobilità della forza lavoro nell’UE
non va solo a vantaggio dei lavoratori coinvolti, ma anche delle economie degli Stati mem-
bri. Avvantaggia i paesi ospitanti perché consente alle aziende di coprire posti di lavoro che
resterebbero altrimenti vacanti nonché di produrre beni e fornire servizi che altrimenti non
potrebbero assicurare. Ed è vantaggiosa per i paesi di origine dei cittadini, poiché la mobi-
lità consente a lavoratori, che altrimenti avrebbero minori possibilità di lavorare, di trovare
posti di lavoro, di garantire in tal modo il mantenimento delle loro famiglie nel paese
d’origine e di acquisire abilità ed esperienza di cui resterebbero altrimenti sprovvisti. In se-
guito, una volta rientrati nel loro paese d’origine, questi lavoratori beneficiano dell’espe-
rienza acquisita».
149
7
F. BANO, Diritto del lavoro e libera prestazione di servizi nell’Unione europea, Il Mu-
lino, 2009, p. 71.
8
S. GIUBBONI-G. ORLANDINI, op. cit., p. 16.
9
Corte giust., 12 febbraio 1974, C-153/73, Sotgiu, in Raccolta, 1974, p. 153, par. 11.
Corte giust., 23 maggio 1996, C-237/94, O’Flynn, in Raccolta, 1996, I, p. 2617, par. 18. An-
cora dalla sentenza O’Flynn, par. 19, si ricava l’enunciato del principio in parola, Leit motiv
della giurisprudenza della Corte in materia di «limiti» alle regole del trattato.
150
ostative consentendo però, a tutela dei diritti del lavoratore europeo, che il
provvedimento possa essere impugnato dai soggetti che ne subiscono gli ef-
fetti davanti ai giudici dello Stato membro fino ad arrivare alla Corte di giu-
stizia.
Il vero è che, il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, si so-
stanzia nell’inapplicabilità delle disposizioni legislative o delle pratiche
amministrative interne a ciascuno Stato, che comportino discriminazioni di-
rette o indirette nei confronti dei cittadini di un altro Stato.
Si ha quindi la nullità sia delle clausole discriminatorie derivanti da con-
tratti collettivi individuali o delle altre regolamentazioni collettive concer-
nenti l’accesso all’impiego, sia dell’atto amministrativo con il quale detta
decisione viene assunta, ciò in ossequio al principio dell’efficacia orizzonta-
le e verticale dell’art. 39 TCE, che è quello accolto in prevalenza dalla Corte
di giustizia come sopra richiamato. In Italia, può configurarsi come vinco-
lante solo quella parte delle regolamentazioni collettive relative ai minimi di
retribuzione del contratto, in virtù della nota interpretazione giurisprudenzia-
le basata sulla «precettività» dell’art. 36 Cost., letto congiuntamente all’art.
2099, comma 2, c.c., che permette di considerare «di fatto» vincolate all’ob-
bligo retributivo, tutte le imprese del settore cui il contratto si riferisce 10.
In realtà, come si diceva all’inizio, anche il diritto di circolazione deve
essere coniugato con le libertà economiche che i trattati hanno posto a base
del mercato comune fermo restando un profilo di sostanziale diversità tra la
libertà di circolazione e le altre libertà economiche previste dall’Unione: «…
natura che l’ha resa sin dall’origine il principale canale di evoluzione della
dimensione sociale europea e poi l’ha trasformata in un vettore del processo
di emersione della cittadinanza dell’Unione» 11.
10
S. GIUBBONI-G. ORLANDINI, op. cit., p. 89. «I margini di discrezionalità degli Stati
membri possono risultare ulteriormente ridotti se si accoglie la lettura che delle disposizioni
in parola viene fatta dalla Commissione, per la quale gli Stati che intendano avvalersi di
una delle due tipologie di contratti collettivi privi di efficacia erga omnes indicate dalla di-
rettiva, devono farne esplicita menzione nella legge con la quale questa è recepita. Per tale
ragione la stessa Commissione conclude che, dal momento che nessuno Stato interessato è
stato esplicito sul punto, si deve ritenere che nei sistemi privi di contratto collettivo erga
omnes ai lavoratori distaccati “si applicano solo le condizioni di lavoro e di occupazione
definite dalle disposizioni legislative”».
11
S. GIUBBONI-G. ORLANDINI, op. cit., p. 32. Si osservi come la Corte di giustizia ha
sempre qualificato la libertà di circolazione dei lavoratori come diritto fondamentale, fin da-
gli anni ’80, come emerge nella causa C-152/82 Forcheri ove ai punti 10 e 11 si legge:
«L’art. 48 del Trattato stabilisce che la libera circolazione dei lavoratori è garantita nel-
l’ambito della Comunità al più tardi alla scadenza del periodo transitorio. Essa implica
l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla cittadinanza, fra i lavoratori degli
151
Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
Tanto dalla prassi legislativa della Comunità, quanto dalla costante giurisprudenza della
Corte si desume che il diritto di libera circolazione non deve essere inteso in senso stretto.
Come è detto nella motivazione del regolamento del Consiglio n. 1612/68, esso costituisce
per i lavoratori e per la loro famiglia un diritto fondamentale, giacché la mobilità della ma-
nodopera nella Comunità deve costituire per il lavoratore uno dei mezzi che gli garantisco-
no la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro e di facilitare il pro-
prio avanzamento sociale».
12
È nel 1968 che termina la fase del processo d’integrazione comunitaria ancora carat-
terizzata dal potere statuale di porre limiti all’accesso del mercato nazionale: il Regolamento
n. 1612 /1968, cui si affianca la Direttiva 68/360/CEE, ha costituito la fonte derivata sulla
quale basare le specificazioni dei diritti del lavoratore che si muove all’interno dell’Unione.
Sul punto si veda S. GIUBBONI-G. ORLANDINI, op. cit., p. 13. Com’è stato osservato, grazie
all’opera della Corte di giustizia, si sono progressivamente estesi i diritti del lavoratore, un
processo che si è arrestato alle «colonne d’Ercole» della prestazione di un collegamento tra
chi tale libertà esercita e il mercato del lavoro e dello Stato ospitante.
13
Direttiva 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al
soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità,
oggi abrogata dalla direttiva 2004/38/CE, che ha «assorbito» anche la direttiva 64/221/CEE
per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno
degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità
pubblica. Il regolamento n. 1251/1970 relativo al diritto dei lavoratori di rimanere sul territo-
rio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego, anch’esso «superato» dal testo del-
la direttiva del 2004, è stato abrogato dal regolamento n. 365/2006.
14
Direttiva 90/366/CEE, relativa al diritto di soggiorno degli studenti, poi sostituita dalla
Direttiva 93/96; Direttiva 90/365/CEE, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati
152
e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale; Direttiva 90/364/CEE rela-
tiva al diritto di soggiorno dei cittadini degli Stati membri che non ne beneficiano in virtù di
altre disposizioni del diritto comunitario. Anche queste direttive sono state abrogate dalla
Direttiva 2004/38/CE.
15
S. GIUBBONI-G. ORLANDINI, op. cit., p. 68.
16
Si osservi come l’Italia solo nel 2007 con D.L. 6 febbraio 2007, n. 30, ha recepito la
Direttiva 2004/38/CE, relativa ai diritti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circo-
lare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Pubblicato in G.U. il 27
marzo 2007.
153
che emergano quei motivi tassativamente previsti dalla legge che trovano la
propria disciplina derivata nel capo VI, Direttiva 2004/38/CE. Ma c’è di più,
l’intera direttiva, a ben vedere, contiene profili amministrativi diretti agli
Stati membri di estremo rilievo: così, ad esempio, tutte le disposizioni volte
a garantire il diritto di uscita e d’ingresso in uno Stato sono subordinate al-
l’espletamento di specifiche formalità amministrative, indicate nell’art. 8
della direttiva in questione. Si osservi tuttavia che nella direttiva la defini-
zione della «cittadinanza europea» quale «status fondamentale» non ha im-
pedito di mantenere significativi limiti alla libertà di circolazione, primo fra
tutti quello della «autosufficienza economica», confermato anche nella Di-
rettiva 2004/38/CE, sia pure in modo più sfumato rispetto ai precedenti atti
derivati. Ciò comporta che si vincoli lo Stato membro all’adozione di atti
amministrativi che motivino in modo oggettivo e puntuale le eccezioni alla
regola generale della libertà di circolazione, atto suscettibile di giustiziabilità
a tutela del diritto in esame, come specificamente indicato nell’art. 31, Diret-
tiva 2004/38/CE 17. Si prevede infatti che l’interessato possa accedere ai
mezzi d’impugnazione giurisdizionale e, all’occorrenza, amministrativi del-
lo Stato membro ospitante o con ricorso o con richiesta di revisione preve-
dendosi anche la possibilità di richiesta di ordinanza provvisoria di sospen-
sione del provvedimento negativo.
Fermo restando che i mezzi d’impugnazione sono volti alla verifica della
legittimità del provvedimento, in essi possono altresì essere sollevati vizi
inerenti all’eventuale violazione del principio di proporzionalità, così come
previsti nell’art. 28.
17
Direttiva 2004/38/CE, art. 31, Garanzie procedurali «1. L’interessato può accedere ai
mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro
ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adotta-
to nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. 2.
Laddove l’impugnazione o la richiesta di revisione del provvedimento di allontanamento sia
accompagnata da una richiesta di ordinanza provvisoria di sospensione dell’esecuzione di
detto provvedimento, l’effettivo allontanamento dal territorio non può avere luogo fintanto-
ché non è stata adottata una decisione sull’ordinanza provvisoria, salvo qualora: – il prov-
vedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale, o – le persone
interessate abbiano precedentemente fruito di una revisione, o – il provvedimento sia fonda-
to su motivi imperativi di pubblica sicurezza di cui all’art. 28, paragrafo 3. 3. I mezzi di im-
pugnazione comprendono l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e del-
le circostanze che ne giustificano l’adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia
sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall’articolo 28. 4. Gli Stati membri
possono vietare la presenza dell’interessato nel loro territorio per tutta la durata della pro-
cedura di ricorso, ma non possono vietare che presenti di persona la sua difesa, tranne qua-
lora la sua presenza possa provocare gravi turbative dell’ordine pubblico o della pubblica
sicurezza o quando il ricorso o la revisione riguardano il divieto d’ingresso nel territorio.
154
18
Regolamento n. 492/2011 del 5 aprile 2011: art. 7, Esercizio dell’impiego e parità di
trattamento: «1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio
degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quel-
lo dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in par-
ticolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricolloca-
mento se disoccupato. 2. Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori na-
zionali. 3. Egli fruisce altresì, allo stesso titolo ed alle stesse condizioni dei lavoratori na-
zionali, dell’insegnamento delle scuole professionali e dei centri di riadattamento o di rie-
ducazione. 4. Tutte le clausole di contratti collettivi o individuali o di altre regolamentazioni
collettive concernenti l’accesso all’impiego, l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni
di lavoro e di licenziamento, sono nulle di diritto nella misura in cui prevedano o autorizzino
condizioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori cittadini degli altri Stati membri».
155
19
L. PRUDENZANO, Sulla nazionalità della funzione pubblica e la libera circolazione dei
lavoratori, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., nn. 3-4/2015, p. 977. L’A. richiama le tappe prin-
cipali che hanno portato alla privatizzazione del pubblico impiego, prima di tutto bisogna
ricordare il parere reso dal Consiglio di Stato nel 1990 che, per la prima volta, ha fatto pro-
prio l’orientamento della Corte di giustizia, ammettendo il cittadino europeo nel settore pub-
blico ad eccezione degli impieghi che implicano la partecipazione all’esercizio di pubblici
poteri. Subisce l’influenza della giurisprudenza comunitaria, anche l’art. 37 del D.Lgs. n.
29/1993, il quale, prevedendo l’accesso ai pubblici uffici dei cittadini membri dell’Unione,
rinvia al decreto del Consiglio dei Ministri, l’individuazione dei posti esclusi da tale accesso.
Di seguito il D.P.C.M. n. 174/1994, ha elaborato un’elencazione ritenuta tassativa, per i qua-
li è richiesto imprescindibilmente il possesso della cittadinanza italiana. Da ultimo il D.Lgs.
n. 165/2001, ha previsto che i cittadini degli Stati membri dell’Unione, possano accedere al
pubblico impiego nei posti che non implichino esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri.
Rileva l’A. «… così facendo il legislatore ha pertanto recepito i presupposti individuati dal-
la Corte di Lussemburgo, aggiungendone uno (l’attinenza alla tutela dell’interesse nazionale)
e tralasciandone un altro (quello della non marginalità all’esercizio dei pubblici poteri)».
20
D.P.C.M. 7 febbraio 1994, n. 174: «Regolamento recante norme sull’accesso dei citta-
dini degli Stati membri dell’Unione europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni
pubbliche», pubblicato in G.U. il 15 marzo 1994, n. 61, data inserimento testo di legge: lu-
glio 1996.
21
Corte giust., 30 giugno 2006, C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti Srl:
sentenza ove la Corte chiarisce che talune attività di consulenza e assistenza fiscale non co-
stituiscono partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri e che, di conse-
156
In via generale, la più recente dottrina riconosce che per espressa disposi-
zione dell’art. 10, comma 2, Cost., la condizione giuridica dello straniero è
rimessa al legislatore ordinario ovviamente in conformità alle norme conte-
nute nei trattati internazionali 22. Proprio sul tema in esame, merita il richia-
mo ad una famosa sentenza della Cassazione, ove si legge che «… Nell’or-
dinamento giuridico nazionale, solo in tempi relativamente recenti ha trova-
guenza, non rientrano nella deroga di cui all’art. 51 TFUE. Estratto dalla sentenza: «45 […]
gli articoli del TFUE, ponendo una deroga alla regola fondamentale della libertà di stabili-
mento (e alla libera prestazione di servizi, ndr), sono soggetti a un’interpretazione che limita
la loro portata a quanto è strettamente necessario per tutelare gli interessi che le stesse
norme permettono agli Stati membri di proteggere. 46. Pertanto, secondo una giurispruden-
za costante, la deroga prevista da questi articoli va limitata alle attività che, considerate di
per sé, costituiscono una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri.
47. Occorre constatare che il controllo della conformità dei dati esposti nella dichiarazione
alla documentazione allegata, anche se in realtà raramente viene in discussione dall’ammi-
nistrazione finanziaria, non costituisce una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di
pubblici poteri, ma una misura destinata a preparare o a facilitare lo svolgimento dei com-
piti che spettano all’amministrazione finanziaria. 49. Occorre quindi constatare che le atti-
vità riservate […]. non rientrano nella deroga di cui agli artt. 51 e 62 TFUE. 50. Gli artt.
del TFUE devono essere interpretati nel senso che si oppongono ad una normativa naziona-
le, quale quella di cui trattasi nella causa principale, che riserva esclusivamente a determi-
nati soggetti (ndr) il diritto di esercitare talune attività di consulenza e di assistenza in mate-
ria fiscale».
22
Cass., Sez. lav., sentenza 19 ottobre-13 novembre 2006, n. 24170: «1. In estrema sin-
tesi, il ricorrente sostiene che la legge 482/68 (poi sostituita dalla legge 68/1999) non con-
diziona la tutela dei disabili, ai fini dell’avviamento al lavoro, al possesso della cittadinanza
e la giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale 454/98) ha sancito che il lavoratore
straniero è equiparato a quello italiano (primo motivo); che le norme della Costituzione (ar-
ticoli 2, 10, 38 e 51), nel garantire i diritti fondamentali e il rispetto degli impegni interna-
zionali dello Stato, impongono di interpretare la legislazione ordinaria nel senso che lo
straniero può essere escluso dall’accesso soltanto in relazione a particolari impieghi pub-
blici e con l’intermediazione del legislatore (secondo motivo); che, se sono ammissibili de-
roghe all’articolo 51 Costituzione (introdotte dalla legge 189/02, in tema di assunzione di
cittadini extracomunitari come infermieri professionali nel servizio sanitario nazionale), non
appare giustificata l’interpretazione restrittiva dell’articolo 41 Tu 286/98 e della convenzio-
ne Oil 143/75 (terzo motivo); che il provvedimento impugnato ha violato gli articoli 2, 41 e
44 D.Lgs. 286/98, siccome il principio di parità dei lavoratori e la repressione di qualsiasi
comportamento discriminatorio hanno determinato l’abrogazione implicita delle disposizio-
ni (Dpr 487/1994) che escludono lo straniero extracomunitario dall’accesso al lavoro pub-
blico (quarto motivo). 2. I quattro motivi di ricorso contengono altrettante argomentazioni
svolte a sostegno della tesi (invia logica, pregiudiziale ed assorbente) che il requisito della
cittadinanza italiana per gli impiegati pubblici deve ritenersi abrogato, fatta eccezione per
gli impieghi costituiti per lo svolgimento di funzioni pubbliche essenziali, nonché della tesi
(subordinata) che il requisito in questione non opera nella materia della speciale tutela ga-
rantita ai disabili. Vanno perciò esaminati unitariamente, seguendo l’indicato ordine logico
degli argomenti …».
157
23
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sul-
la condizione dello straniero, pubblicato in G.U. 18 agosto 1998, n. 191, suppl. ord. n. 139.
24
Dalla sentenza in esame si legge che «… nell’ambito dello stesso sistema normativo si
iscrivono le disposizioni del citato D.Lgs. 286/98, come integrate dalla legge 189/02, il cui
articolo 22, lettera r bis), ha aggiunto alle tipologie di lavoratori già previste la categoria
degli infermieri professionali, da assumersi con contratto di lavoro subordinato presso
strutture I sanitarie pubbliche e private. Da ciò risulta che i medesimi, se autorizzati all’e-
sercizio della professione in Italia, possono essere assunti senza limitazioni da i datori di
lavoro privati con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; presso le strutture
159
pubbliche, invece, l’assunzione è consentita solo se con rapporto di lavoro a tempo determi-
nato, fuori, quindi, dell’organico dell’amministrazione datrice di lavoro. Ne discende che la
norma, in disparte la questione (irrilevante nella controversia) della sua conformità all’ar-
ticolo 51 Costituzione, introduce una deroga circoscritta e limitata alla regola della cittadi-
nanza italiana comunitaria per l’assunzione alle dipendenze delle Pa. Non può servire, per-
tanto, a sorreggere la tesi dell’esistenza di un principio generale di ammissione dello stra-
niero non comunitario al lavoro pubblico».
25
La ricognizione dei dati normativi, secondo la sentenza in esame, conduce alla vigenza
nell’ordinamento dell’art. 2 del D.P.R. n. 487/1994, norma regolamentare che, come osser-
vato sopra, risulta ormai “legificata” dal menzionato art. 70 del D.Lgs. n. 165/2001, toglien-
do qualsiasi fondamento alla tesi secondo cui sarebbe stata abrogata per incompatibilità dal-
l’art. 2 del D.Lgs. n. 286/1998.
160
dalla legge 26. Osserva la Corte che «… anche ad accettare … una lettura ri-
duttiva, sono le altre norme costituzionali sopra richiamate ad offrire suffi-
ciente copertura alla disciplina ordinaria preclusiva dell’accesso al lavoro
pubblico dei cittadini extracomunitari nell’ambito di una scelta che qualifi-
ca speciale il lavoro pubblico e lo assoggetta a regolamentazione particola-
re … Deve altresì confutarsi la tesi secondo cui la norma sulla cittadinanza,
vigente formalmente, sarebbe contrastante con un principio generale ormai
acquisito dall’ordinamento nella parte in cui accorda la tutela antidiscrimi-
natoria. Sul terreno del diritto sostanziale, la discriminazione è comporta-
mento illecito, non configurabile, ovviamente, se tenuto in esecuzione di di-
sposizioni normative; su quello della tutela, è evidente che deve trattarsi del
necessario riflesso della protezione accordata dal diritto sostanziale, – il
quale – è nel senso della permanente vigenza della norma che prevede il re-
quisito della cittadinanza italiana, disposizione che regola una materia spe-
cifica, qual è l’accesso al lavoro alle dipendenze della Pa, non potendo,
quindi, operare il canone ermeneutico dell’incompatibilità con la disciplina
sui lavoratori immigrati …».
La Corte conclude rilevando che «… in materia di rapporti con la Pa,
viene riconosciuta la parità di tutti gli aspiranti lavoratori non in termini
assoluti e totali ma “nei limiti e nei modi previsti dalla legge” 27 ... Inoltre,
nell’articolo 7 della Convenzione dei diritti dell’uomo (resa esecutiva con
legge 881/77), non si rinviene … alcun precetto che includa tra i diritti fon-
damentali la parità di trattamento di cittadini e stranieri in materia di requisi-
ti di accesso ai pubblici impieghi. Piuttosto, la norma si limita a precludere
discriminazioni tra lavoratori già assunti e non già tra concorrenti» 28.
26
Come rileva la Corte di Cassazione, a cui ci si spira, l’intento dei costituenti fu quello
di «garantire che i fini pubblici fossero perseguiti e tutelati nel migliore dei modi, e di pun-
tare per questo sui cittadini, nei quali si riteneva esistente una «naturale compenetrazione
dei fini personali in quelli pubblici; nondimeno, la formulazione della norma sembra offrire,
spunti per una lettura restrittiva del riferimento agli “uffici pubblici”, limitata cioè all’eser-
cizio di attività autoritative».
27
Corte cost. n. 120/1967 e n. 241/1974; vedi anche, in tema di diritti fondamentali che
vanno riconosciuti indipendentemente dalla cittadinanza, Corte cost. n. 432/2005.
28
«Quanto alla legge 158/81 – Ratifica ed esecuzione delle convenzioni numeri 92, 133
e 143 dell’Organizzazione internazionale del lavoro nella parte in cui impegna a garantire
allo straniero emigrante un trattamento identico a quello dei cittadini nazionali», la giuri-
sprudenza antecedente alla sentenza in esame aveva già precisato che per dare concreta at-
tuazione alle disposizioni della convenzione, non bastava l’ordine di esecuzione impartito
dalla legge di ratifica, essendo necessaria l’emanazione di specifiche norme da parte dello
Stato membro, ovvero l’intervento della della contrattazione collettiva (Cass. n. 1062/1999).
Pertanto, ogni Stato membro per il quale la convenzione sia in vigore s’impegna a formulare
161
ed attuare una politica nazionale diretta a promuovere e garantire, con metodi idonei alle cir-
costanze ed agli usi nazionali, la parità di opportunità e di trattamento in materia di occupa-
zione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali, nonché di libertà
individuali e collettive per le persone che si trovino legalmente su suo territorio.
29
Riprendendo l’ultima parte della sentenza precitata, si legge testualmente: «Va ora
esaminata la tesi secondo cui sarebbe la speciale tutela dei lavoratori disabili ad imporre
all’interprete di ritenere che, per il loro collocamento obbligatorio, l’assunzione alle dipen-
denze di Pa prescinde dal requisito della cittadinanza. La tesi è sostenuta principalmente
richiamando la sentenza costituzionale 454/98, che ha ritenuto non fondata la questione di
costituzionalità degli articoli 1 e 5 della legge 943/86, a proposito del collocamento dei la-
voratori extracomunitari immigrati, sollevata sotto il profilo dell’assenza di una norma che
affermi il diritto degli extracomunitari invalidi disoccupati ad ottenere l’iscrizione negli
elenchi degli aspiranti al collocamento obbligatorio. In ragione della equiparazione dispo-
sta dalla norma dell’articolo 2, D.Lgs. 286/98, argomenta la Corte, occorrerebbe, per rite-
nere esistente la denunziata omissione, “rinvenire una norma che esplicitamente o implici-
tamente neghi ai lavoratori extracomunitari, in deroga alla piena uguaglianza, il diritto in
questione”. 5.1. Con questa sentenza, in materia di principio di parità, la Corte costituzio-
nale ha ritenuto che parità e piena eguaglianza di diritti, come previste dall’articolo 2,
comma 2, del D.Lgs. 286/98, trovano immediata applicazione nell’ordinamento: non è ne-
cessaria una norma specifica che affermi il diritto del lavoratore extracomunitario a godere
di singoli diritti, in quanto la garanzia legislativa già di per sé equipara gli extracomunitari
ai cittadini nel godimento dei diritti stessi, “salvo che le convenzioni internazionali o lo
stesso Tu dispongano diversamente”. Giova ricordare che la stessa Corte costituzionale,
con la sentenza 249/95 ha affermato, sotto il vigore della legge 943, che, grazie al principio
di parità, si applicano al lavoratore extracomunitario anche i principi derivanti dalla legi-
slazione comunitaria, che, in quanto validi per il cittadino italiano, debbono essere necessa-
riamente altrettanto validi per l’extracomunitario. Analoga impostazione risulta seguita,
sempre in materia di ammissione al collocamento, da questa Corte (3345/1998), la quale ha
in proposito modificato un precedente contrario indirizzo (vedi Cassazione 6167/94). 5.2.
Ma tutto ciò non può giovare alla tesi del ricorrente alla stregua di tutte le considerazioni
già svolte nell’esame della tesi secondo cui non sarebbe più vigente il requisito della citta-
dinanza per l’accesso al lavoro subordinato pubblico. Va, in primo luogo precisato che la
speciale disciplina sul collocamento obbligatorio degli invalidi va ricondotta non all’assi-
stenza sociale (articolo 38, comma 1, Costituzione; articolo 41 d.lgs. 286/98), ma alle forme
di attuazione del diritto che “gli inabili e i minorati” hanno, a norma dell’articolo 38, terzo
comma, della Costituzione, all’avviamento professionale (cfr. Corte costituzionale 38/1960 e
n. 55 del 1961), diritto del quale gode anche lo straniero avente titolo ad accedere al lavoro
subordinato nel territorio dello Stato in condizioni di uguaglianza con i cittadini, non essen-
162
dovi, sotto questo profilo, ragione di differenziarne il trattamento rispetto al cittadino italia-
no. Ora. spetta pur sempre al legislatore stabilire le condizioni di accesso a speciali forme
di lavoro subordinato o autonomo, esprimendo la stessa Costituzione il principio di non pa-
rificazione dello straniero con il cittadino e l’ordinamento, con il complesso di norme già
esaminate, mediante scelta conforme al dettato costituzionale, ha stabilito il requisito della
cittadinanza per l’accesso al lavoro pubblico. Non è, quindi, condivisibile la tesi che la legi-
slazione di sostegno dei lavoratori disabili non incontri la limitazione della disciplina parti-
colare della materia dell’impiego pubblico, costituzionalmente legittima anche nella parte in
cui non deroga al requisito della cittadinanza per le categorie protette. 5.3. Del resto, la
stessa sentenza costituzionale 454/98, avverte esplicitamente che il principi di parità può
essere derogato da convenzioni internazionali, da norme dello stesso Tu sull’immigrazione o
altre disposizioni speciali presenti nell’ordinamento giuridico nazionale, che disciplinino
particolari settori negando, esplicitamente o implicitamente, al cittadino extracomunitario,
in deroga alla “piena uguaglianza”, la possibilità di esercitare un diritto invece riconosciu-
to al cittadino italiano o comunitario. Giova anche richiamare la sentenza 120/67 della Cor-
te costituzionale, secondo cui il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costitu-
zione va letto in connessione con l’articolo 2 e con l’articolo 10 comma 2 della Costituzione,
“il primo dei quali riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell’uomo, men-
tre l’altro dispone che la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in con-
formità delle norme e dei trattati internazionali”. 6. Il ricorso va, dunque, rigettato in base
al seguente principio di diritto: “Il requisito del possesso della cittadinanza italiana, richie-
sto per accedere al lavoro alle dipendenze delle Pa dall’articolo 2 Dpr 487/94 norma ‘legi-
ficata’ dall’articolo 70, comma 13, D.Lgs. 165/01 – e dal quale si prescinde, in parte, solo
per gli stranieri comunitari, nonché per casi particolari (articolo 38 D.Lgs. 165/01; articolo
22 D.Lgs. 286/1998), si inserisce nel complesso delle disposizioni che regolano la materia
particolare dell’impiego pubblico, materia fatta salva dal D.Lgs. 286/98, che, in attuazione
della convenzione Oile 175/75, resa esecutiva con legge 158/81, sancisce, in generale, pari-
tà di trattamento e piena uguaglianza di diritti per i lavoratori extracomunitari rispetto ai
lavoratori italiani; né l’esclusione dello straniero non comunitario dall’accesso al lavoro
pubblico (al di fuori delle eccezioni espressamente previste dalla legge) è sospettabile di il-
legittimità costituzionale, atteso che si esula dall’area dei diritti fondamentali e che la scelta
del legislatore è giustificata dal1e stesse norme costituzionali (articolo 51, 97 e 98 Costitu-
zione)”».
30
Sempre a proposito della già richiamata sentenza della Cass. n. 24170/2006 si veda la
nota a sentenza di M. AGOSTINI, Il cittadino extra comunitario non può accedere all’impiego
pubblico, in Riv. it. dir. lav., 2007; P. PASSAGLIA, In tema di parità tra cittadini italiani e
stranieri nel diritto al lavoro, in Foro it., 2007, p. 62 ss.; R. FOGLIA, Sull’accesso degli ex-
tracomunitari agli impeghi pubblici, in Riv. sic. soc., 2008, p. 681 ss.
163
31
Corte cost., 15 aprile 2011, n. 139, in Giust. cost., 2011, p. 1797; si veda altresì in Riv.
it. dir. lav., 2011, p. 1184, con nota di A. ASTENGO, Extra comunitari e pubblico impiego: la
parla alla Corte costituzionale? La Corte costituzionale non ha inteso esprimersi sulla que-
stione dell’asserita incompatibilità della norma, di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 165/2011, vol-
ta ad impedire l’estensione ai cittadini extra comunitari l’accesso dei posti di lavoro nella
P.A., nonostante il principio di parità di trattamento di cui alla convenzione OIL n.
143/1975. La sentenza resa dalla Corte in sede di rinvio pregiudiziale, ha rilevato che, il giu-
dice a quo, non avendo sostenuto tale questione avanti alla Corte di giustizia, non consenti-
rebbe una decisione da parte della Corte costituzionale.
32
Si veda a tal proposito, la sentenza del TAR Lazio, sez. II-quater, sentenze 24 maggio
2017, n. 6171 e n. 6172.
164
33
Le cinque azioni in parola sono:
1. Contrastare i matrimoni di convenienza: la Commissione europea aiuterà le autorità
nazionali ad attuare la normativa dell’Unione che consente loro di lottare contro il potenziale
abuso del diritto alla libera circolazione, elaborando, la data era prevista entro la primavera
del 2014, un manuale su come contrastare i matrimoni di convenienza.
2. Applicare la normativa dell’Unione sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale:
la Commissione ha collaborando strettamente con gli Stati membri per fornire chiarimenti
sulla prova della «residenza abituale», prevista dalla normativa dell’Unione sul coordina-
mento dei sistemi di sicurezza sociale (Regolamento (CE) n. 883/2004), in una guida pratica
pubblicata il 13 gennaio 2014 (IP/14/13). In base ai rigidi criteri di questa prova, i cittadini
che non lavorano possono accedere alla sicurezza sociale in un altro Stato membro solo dopo
aver effettivamente trasferito il loro centro d’interesse in tale Stato (ad esempio, se vi risiede
la loro famiglia).
3. Affrontare le problematiche poste dall’inclusione sociale: aiutare gli Stati membri a ri-
correre in modo ancor più efficace al Fondo sociale europeo per affrontare il problema
dell’inclusione sociale: nel periodo di programmazione 2014-2020 almeno il 20% della do-
tazione FSE destinata a ciascuno Stato membro (rispetto alla percentuale attuale del 17%
circa) deve essere investito nella promozione dell’inclusione sociale e nella lotta contro la
povertà e ogni forma di discriminazione. Il FSE sarà inoltre in grado di finanziare il poten-
ziamento delle capacità di tutti i soggetti interessati a livello nazionale, regionale o locale.
Agli Stati membri di origine e di destinazione dei cittadini mobili dell’Unione saranno forniti
orientamenti strategici per lo sviluppo di programmi d’inclusione sociale con il sostegno del
FSE. La Commissione intende portare avanti il proprio lavoro per contribuire a potenziare la
capacità di utilizzo efficiente dei fondi strutturali e d’investimento europei da parte delle au-
torità locali.
4. Promuovere lo scambio di pratiche ottimali tra le autorità locali: la Commissione aiu-
terà le autorità locali a condividere le pratiche ottimali acquisite in tutta l’Europa per attuare
la normativa sulla libera circolazione e affrontare la problematica dell’inclusione sociale ...
5. Garantire l’applicazione, in loco, della normativa UE in materia di libera circolazione
... La Commissione ha proposto che in tutti gli Stati membri siano istituiti centri che forni-
scano sostegno giuridico e informazioni ai lavoratori mobili dell’Unione (cfr. IP/13/372) ...
Oggi il 47% dei cittadini dell’Unione sostiene che i problemi incontrati al momento di tra-
sferirsi in un altro paese dell’Unione sono dovuti al fatto che i funzionari delle amministra-
zioni locali non hanno sufficiente dimestichezza con i diritti dei cittadini dell’Unione con-
nessi alla libera circolazione.
165
34
Tipologia delle attività qualificabili come servizi: «Ai sensi dei trattati, sono conside-
rate come servizi le prestazioni (…) in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative
alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. I servizi comprendono in
particolare: a) attività di carattere industriale; b) attività di carattere commerciale; c) atti-
vità artigiane; d) attività delle libere professioni» (art. 57 TFUE). I servizi assumono quindi
carattere generale residuale, posto che sono rappresentativi delle attività che non siano rego-
late dalle disposizioni sulla circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.
35
Corte giust., 30 novembre 1995, C-55/94.
36
L’art. 50, comma 3, Trattato CEE, così prevede: «Senza pregiudizio delle disposizioni
del capo relativo al diritto di stabilimento, il prestatore può, per l’esecuzione della sua pre-
stazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nel paese ove la prestazione è forni-
ta, alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini».
166
torio dello Stato ospitante; in ogni caso si osservi che la Corte ha esteso alla
libertà di stabilimento la nozione di interesse generale che può essere la ra-
gione se non esclusiva ma principe, a sostegno di eventuali limitazioni della
libertà di stabilimento da parte di uno Stato membro 37. Quanto alla categoria
dei servizi, in essa sono espressamente ricomprese dall’art. 50 TCE, le atti-
vità di carattere industriale, commerciale, artigianali e quelle relative alle li-
bere professioni: non si tratta come noto di un’elencazione tassativa ma sol-
tanto esemplificativa di un insieme vasto ed eterogeneo di attività economi-
che. Deve trattarsi ovviamente di un’attività economica retribuita e avere ca-
rattere trans-nazionale: l’attività che rileva, non deve essere circoscritta a
un’attività interna propria di uno Stato membro.
Fatte queste sommarie premesse, il diritto alla libera prestazione dei ser-
vizi è riconosciuto dal TCE ai cittadini degli Stati membri stabiliti in un Pae-
se della Comunità che non sia quello destinatario della prestazione (art. 49
TCE); due sono i requisiti richiesti contestualmente dalla norma: la cittadi-
nanza comunitaria e un preciso collegamento del prestatore dei servizi con il
territorio di uno Stato dell’Unione 38.
Nell’obiettivo di creare «uno spazio senza frontiere interne» (art. 14
TCE) e l’idea stessa di libera circolazione anche nei servizi, si pone la legit-
timità o meno per lo Stato membro di limitare o impedire l’accesso al pro-
prio mercato domestico. Come da giurisprudenza della Corte di giustizia
nella famosa sentenza Cassis De Dijon 39, avente a oggetto l’applicazione
37
Corte giust., 15 dicembre 1995, C-415/93, Bosman e Corte giust., 15 maggio 1997, C-
250/95, Futura.
38
I cittadini di un Paese terzo, com’è noto, devono invece considerarsi esclusi dalla di-
sciplina prevista dall’art. 49 del Trattato; tuttavia il Consiglio «deliberando a maggioranza
qualificata su proposta della Commissione può estendere il beneficio delle disposizioni del
presente capo ai prestatori di servizi cittadini di un Paese terzo e stabiliti all’interno della
Comunità».
39
Nel procedimento 120/78, avente ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale
proposta alla Corte, a norma dell’art. 177 del Trattato CEE, dallo Hessisches Finanz gericht
(Tribunale finanziario dell’Assia), nella causa dinanzi ad esso pendente tra Rewe-Zentral
AG, con sede in Colonia, e Bundesmonopolver-waltung für Branntwein (Amministrazione
del monopolio federale dell’alcool, domanda vertente sull’interpretazione degli artt. 30 e 37,
Trattato CEE, alla luce dell’art. 100, n. 3, del BrtwMonG (legge tedesca sul monopolio degli
alcolici). La nozione di «misura d’effetto equivalente a restrizioni quantitative all’impor-
tazione», di cui all’art. 30 TCE, va intesa nel senso che ricade del pari nel divieto contempla-
to da detta disposizione la fissazione di una gradazione minima per le bevande alcoliche, fis-
sazione contenuta nella legislazione di uno Stato membro, qualora si tratti dell’importazione
di bevande alcoliche legalmente prodotte e messe in commercio in un altro Stato membro.
Nel procedimento n. 120/78, avente ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale pro-
posta alla Corte, a norma dell’art. 177, Trattato CEE, dallo Hessisches Finanz gericht (Tri-
167
bunale finanziario dell’Assia), nella causa dinanzi ad esso pendente tra Rewe-Zentral AG,
con sede in Colonia, e Bundesmonopolverwaltung für Bran-ntwein (Amministrazione del
monopolio federale dell’alcool, domanda vertente sull’interpretazione degli artt. 30 e 37,
Trattato CEE, alla luce dell’art. 100, n. 3, del BrtwMonG (legge tedesca sul monopolio degli
alcolici). La Corte, nel 1979, affermò che qualsiasi bene legalmente prodotto e venduto in
uno Stato membro deve, in linea di massima, essere ammesso sul mercato di ogni altro Stato
membro. Gli unici ostacoli al libero scambio, perciò, sono giustificabili solo sulla base di
esigenze imperative tassativamente previste (efficacia dei controlli fiscali, protezione della
salute pubblica, lealtà delle transazioni commerciali e difesa dei consumatori) e per motivi di
interesse generale. Dall’analisi delle pronunce della Corte successive alla Cassis de Dijon,
sono enucleabili i seguenti principi: – gli Stati, in mancanza di una regolamentazione comu-
ne o di un’armonizzazione, restano liberi di regolare, sul proprio territorio, tutto quanto ri-
guarda la commercializzazione, il consumo, l’etichettatura e la designazione dei prodotti; –
tale libertà non deve concretarsi, però, in misure suscettibili di frapporre ostacoli al commer-
cio comunitario; – una regolamentazione nazionale in materia costituisce un intralcio agli
scambi comunitari quando non sia giustificata da esigenze imperative.
Inoltre, per questa via, la Corte inizia a far riferimento al principio di mutuo ricono-
scimento che, come rilevato da F. BANO, op. loc. cit. «rappresenta, per così dire, la proie-
zione dinamico-operativa della dottrina degli ostacoli. Più esatto sarebbe dire che la Corte
elabora una propria versione del principio, il quale in effetti è declinabile in modi diversi a
seconda del contesto giuridico-istituzionale di riferimento».
40
Säger, C-76/90 [1991], in Raccolta, 1991, p. I-4221 [gli artt. 177 e 59 sono ora gli artt.
267 e 56 TFUE]. Rileva la Corte: «Si deve quindi risolvere la questione dichiarando che
l’art. 59 del Trattato osta ad una normativa nazionale che vieta ad una società avente in un
altro Stato membro di fornire a titolari di brevetti sul territorio nazionale un servizio di sor-
veglianza e di rinnovo di questi brevetti mediante il versamento delle tasse previste al ri-
guardo, in quanto in forza di detta normativa quest’attività è riservata ai soli titolari di una
particolare qualifica professionale, quale quella di consulente in materia di brevetti».
41
S.M. CARBONE-A. TARAMASSO, Libera prestazione di servizi, tariffe professionali e
professione di avvocato, in Dir. comm. internaz., n. 2/2005, p. 232.
168
42
F. BANO, op. cit., p. 77. «[…] il combinato disposto degli artt. 49 e 50 TCE impone la
soppressione oltre che delle discriminazioni praticate nei confronti dei prestatori di servizi,
“di qualsiasi restrizione, anche qualora si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e
a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare o da ostacolare maggior-
mente le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamen-
te servizi analoghi”. Non si ferma al rispetto del generale principio di eguaglianza, ma con-
sidera illegittimi tutti i fattori – discriminatori e non – che oggettivamente ostacolino l’in-
gresso del prestatore nel mercato locale».
43
Una rilevante disciplina della regolamentazione dei servizi nel mercato interno è rin-
venibile nella c.d. direttiva servizi, nota come Direttiva Bolkenstein dal nome del relatore al
Parlamento europeo relativa ai servizi nel mercato interno, G.U., 27 dicembre 2006, n. L
169
376, pp. 36-68. Art. 1, Oggetto: – «1. La presente direttiva stabilisce le disposizioni generali
che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la
libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei
servizi stessi».
44
Direttiva 2006/123/CE, 12 dicembre 2006. Art. 16, Libera prestazione di servizi: «1.
Gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato mem-
bro diverso da quello in cui sono stabiliti. Lo Stato membro in cui il servizio viene prestato
assicura il libero accesso a un’attività di servizi e il libero esercizio della medesima sul pro-
prio territorio. Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o
l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti
principi:
a) non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente di-
scriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede; b) ne-
cessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicu-
rezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente; c) proporzionalità: i requisiti sono tali da
garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è neces-
sario per raggiungere tale obiettivo. 27.12.2006 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea
L. 376/57.
2. Gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da
un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendo i requisiti se-
guenti:
a) l’obbligo per il prestatore di essere stabilito sul loro territorio; b) l’obbligo per il pre-
statore di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti, compresa l’iscrizione in un
registro o a un ordine professionale sul loro territorio, salvo i casi previsti dalla presente
direttiva o da altri strumenti di diritto comunitario; c) il divieto imposto al prestatore di do-
tarsi sul loro territorio di una determinata forma o tipo di infrastruttura, inclusi uffici o uno
studio, necessaria all’esecuzione delle prestazioni in questione; d) l’applicazione di un re-
170
tante (host state control) sia pure nel rispetto dei principi già indicati nelle
pronunce della Corte di giustizia, ovvero dei principi desumibili dai trattati.
Infatti, dette pronunce, anticipando in parte il contenuto della direttiva in
esame, sono tutte rivolte a oggettivizzare «i motivi imperativi» d’interesse
generale che possono giustificare regimi autorizzatori o altre restrizioni,
sempre che essi siano necessari, proporzionati e non discriminatori.
Diversamente, il principio della libera circolazione dei servizi, accolto
nella versione definitiva della direttiva, fa sì che la prestazione di questi ul-
timi, risponda alle regole del Paese non di provenienza del prestatore ma con
riferimento al Paese in cui i servizi sono prestati.
La Direttiva servizi interviene anche su molti altri aspetti, fra cui quelli
che riguardano le professioni regolamentate, segnatamente: il riconoscimen-
to e l’accesso al mercato dei professionisti provenienti da altri Stati del-
l’Unione; la definizione dei corrispettivi professionali; le comunicazioni
commerciali; le società professionali; gli strumenti a tutela dei clienti. Meri-
ta di essere segnalata la sentenza della Corte, Grande Sezione, 17 luglio
2014, C-58/13 e C-59/13 che nel quadro della libera circolazione delle per-
sone, secondo quanto previsto dall’art. 1, par. 1, Direttiva 98/5/CE, ribadisce
quanto già la Corte aveva avuto modo di constatare instituendo un meccani-
smo di mutuo riconoscimento dei titoli professionali di avvocati migranti che
desiderino esercitare con il titolo conseguito nello Stato membro di origine 45.
Nella sentenza Lussemburgo, la Corte rileva come «… il diritto dei citta-
dini di uno Stato membro di scegliere da un lato, lo Stato membro nel quale
gime contrattuale particolare tra il prestatore e il destinatario che impedisca o limiti la pre-
stazione di servizi a titolo indipendente; e) l’obbligo per il prestatore di essere in possesso
di un documento di identità specifico per l’esercizio di un’attività di servizi rilasciato dalle
loro autorità competenti; f) i requisiti, a eccezione di quelli in materia di salute e di sicurez-
za sul posto di lavoro, relativi all’uso di attrezzature e di materiali che costituiscono parte
integrante della prestazione del servizio; g) le restrizioni alla libera circolazione dei servizi
di cui all’articolo 19.
3. Allo Stato membro in cui il prestatore si reca non può essere impedito di imporre re-
quisiti relativi alla prestazione di un’attività di servizi qualora siano giustificati da motivi di
ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente, e in con-
formità del paragrafo 1. Allo stesso modo, a quello Stato membro non può essere impedito
di applicare, conformemente al diritto comunitario, le proprie norme in materia di condizio-
ni di occupazione, comprese le norme che figurano negli accordi collettivi.
4. Entro il 28 dicembre 2011 e previa consultazione degli Stati membri e delle parti so-
ciali a livello comunitario, la Commissione trasmette al Parlamento europeo e al Consiglio
una relazione sull’applicazione del presente articolo, in cui esamina la necessità di propor-
re misure di armonizzazione per le attività di servizi che rientrano nel campo d’applicazione
della presente direttiva».
45
Sentenza Lussemburgo c. Parlamento e Consiglio, C-168/98, EU C-2000: 598, punto 56.
171
46
In tal senso si veda anche la sentenza Commissione c. Spagna, C-286/06, EU: C: 2008:
586.72.
172
47
Cfr. Corte giust., 21 giugno 1974, C-2/74, Reyners e Corte giust., 3 dicembre 1974,
C-33/74, Van Binsbergen. La Corte di giustizia ha altresì negato che la professione di avvo-
cato possa rientrare tra le eccezioni previste dall’art. 55 TCE, posto che «tra le attività che
implicano l’esercizio di pubblici poteri (di cui alla stessa norma) non rientrano né la consu-
lenza e l’assistenza legali, né la rappresentanza e la difesa delle parti in giudizio, neppure
se l’esercizio di tali attività costituisce un obbligo o un’esclusiva voluti dalla legge». Tale
orientamento è stato largamente confermato da tutta la giurisprudenza successiva, ed in par-
ticolare nei casi Thieffry (Corte giust., 28 aprile 1977, C-71/76) e Kloop (Corte giust., 12 lu-
glio 1984, C-107/83) sul diritto di stabilimento, Gullung (Corte giust., 19 gennaio 1988, C-
292/86) sulla libera prestazione dei servizi professionali di avvocato, Ghebard (Corte giust.,
30 novembre 1995, C-55/94) sulla linea di discrimine tra le due nozioni citate e, da ultimo,
Wouters (Corte giust., 19 febbraio 2002, C-309/99).
48
Nella Risoluzione parlamentare citata nel testo, al punto 9 il Parlamento rileva che la
necessità di promuovere la concorrenza nelle professioni deve essere conciliata con quello di
mantenere norme puramente etiche proprie a ciascuna professione e di rispettare i compiti di
interesse pubblico affidati alle libere professioni. Al punto 11, inoltre, si legge che sono ne-
cessarie norme nel contesto specifico di ciascuna professione, in particolare quelli riguardan-
ti l’organizzazione, le qualifiche, l’etica professionale, la vigilanza, la responsabilità, l’im-
parzialità e la competenza dei membri della professione o norme destinate ad impedire con-
flitti di interesse purché offrano agli utenti finali l’assicurazione di godere delle necessarie
garanzie e non costituiscano restrizioni della concorrenza.
173
49
Si vedano, in particolare, gli artt. 6 e 7 della Direttiva 77/249/CEE. Art. 6: «Ogni Stato
membro può escludere gli avvocati dipendenti, legati da un contratto di lavoro ad un ente
pubblico o privato, dall’esercizio delle attività di rappresentanza e di difesa in giudizio di
questo ente nella misura in cui gli avvocati stabiliti in detto Stato non siano autorizzati ad
esercitare tali attività.
Art. 7: «1. L’autorità competente dello Stato membro ospitante può chiedere al presta-
tore di servizi di documentare la propria qualità di avvocato. 2. In caso di inadempienza
agli obblighi vigenti nello Stato membro ospitante previsti dall’articolo 4, l’autorità compe-
tente di quest’ultimo ne determina, secondo le proprie norme di diritto e di procedura, le
conseguenze e, a tal fine, può farsi comunicare informazioni professionali utili sul prestato-
re . Essa informa l’autorità competente dello Stato membro di provenienza di ogni decisione
presa. Le comunicazioni non pregiudicano il carattere riservato delle informazioni fornite».
50
Direttiva 98/05/CE, considerando 11: «considerando che per garantire il buon funzio-
namento della giustizia occorre lasciare agli Stati membri la facoltà di riservare, mediante
norme specifiche, l’accesso ai loro pi. alti organi giurisdizionali ad avvocati specializzati,
senza ostacolare l’integrazione degli avvocati degli Stati membri che soddisfino le condizio-
ni richieste».
51
Corte giust., 19 settembre 2006, C-506/04, Graham J. Wilson c. Ordre des avocats du
barreau de Luxembourg, in Raccolta, 2006, I, pp. 8613 ss.
52
Corte giust., 19 settembre 2006, C. 193/05, Commissione delle Comunità europee c.
Granducato del Lussemburgo, in Raccolta, 2006, I, pp. 8673 ss.
53
M. IAIA, La circolazione degli avvocati e il riconoscimento del titolo professionale al-
la luce della sentenza Torresi della Corte di giustizia europea, in Dir. comm. internaz., n.
1/2015, p. 88.
174
ovvero a quello che esercita la propria attività nello Stato membro facendo
esclusivo uso del proprio titolo professionale d’origine, la seconda figura è
quella dell’avvocato «assimilato» rappresentato dal professionista che eser-
cita la propria attività con il titolo professionale rilasciato dallo Stato mem-
bro ospitante.
Nella Direttiva 98/05/CE, è previsto che gli «avvocati registrati» assuma-
no la completa assimilazione agli avvocati dello Stato membro ospitante,
qualora abbiano svolto l’esercizio dell’attività professionale per almeno tre
anni «di un’effettiva e regolare attività nello Stato membro ospitante». L’o-
nere di provare l’esercizio di tale attività incombe sull’interessato mentre
l’autorità competente può invitare l’avvocato a fornire chiarimenti e precisa-
zioni in merito alle pratiche trattate; tuttavia non possono essere richiesti
nuovi adempimenti rispetto a quelli espressamente indicati dalla direttiva.
La seconda ipotesi volta a ottenere l’assimilazione ex art. 10, direttiva stabi-
limento 54, può realizzarsi, sempre in un momento successivo alla registra-
54
Direttiva 98/05/CE, 16 febbraio 1998, ovvero «Direttiva Stabilimento». Art. 10, Assi-
milazione all’avvocato dello Stato membro ospitante: «1. L’avvocato che eserciti con il pro-
prio titolo professionale di origine e che abbia comprovato l’esercizio per almeno tre anni
di un’attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, e riguardante il diritto di
tale Stato, ivi compreso il diritto comunitario, è dispensato dalle condizioni di cui all’arti-
colo 4, paragrafo 1, lettera b) della Direttiva 89/48/CEE per accedere alla professione di
avvocato dello Stato membro ospitante. Per attività effettiva e regolare si intende l’esercizio
reale dell’attività senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quoti-
diana. 14. 3. 98 IT Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L. 77/41 Grava sull’interessa-
to l’onere di provare all’autorità competente dello Stato membro ospitante l’esercizio di tale
attività effettiva e regolare per una durata minima di tre anni nel diritto dello Stato membro
ospitante. A tal fine: a) l’avvocato fornisce all’autorità competente dello Stato ospitante
ogni informazione e documento utile, in particolare per quanto attiene al numero e alla na-
tura delle pratiche trattate; b) l’autorità competente dello Stato membro ospitante può veri-
ficare il carattere regolare ed effettivo dell’attività esercitata e, se necessario, invitare l’av-
vocato a fornire oralmente o per iscritto chiarimenti o precisazioni supplementari in merito
alle informazioni e ai documenti menzionati nella lettera a). La decisione dell’autorità com-
petente dello Stato membro ospitante di non concedere tale dispensa qualora non sia fornita
la prova che i requisiti di cui al primo comma sono soddisfatti deve essere motivata ed è
soggetta a ricorso giurisdizionale di diritto interno. 2. Un avvocato che eserciti con il pro-
prio titolo professionale di origine in uno Stato membro ospitante può in qualsiasi momento
chiedere il riconoscimento del proprio diploma a norma della Direttiva 89/48/CEE, allo
scopo di accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e di esercitarla
con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro. 3. Un
avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine, che dimostri un’attività
effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di
durata inferiore relativamente al diritto di tale Stato membro, può ottenere dall’autorità
competente di detto Stato membro l’accesso alla professione di avvocato dello Stato membro
ospitante e il diritto di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professio-
175
ne in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni di cui all’articolo 4, paragra-
fo 1, lettera b) della Direttiva 89/48/CEE, alle condizioni e secondo le modalità qui di segui-
to indicate: a) L’autorità dello Stato membro ospitante prende in considerazione l’attività
effettiva e regolare nel corso del periodo sopra precisato, nonché le conoscenze e le espe-
rienze professionali nel diritto dello Stato membro ospitante, nonché la partecipazione del
richiedente a corsi o seminari che vertono sul diritto dello Stato membro ospitante, compre-
so l’ordinamento della professione e la deontologia professionale. b) L’avvocato fornisce
all’autorità dello Stato membro ospitante tutte le informazioni e i documenti utili, in partico-
lare sulle pratiche da lui seguite. La valutazione dell’attività effettiva e regolare dell’avvo-
cato svolta nello Stato ospitante, nonché la valutazione della sua capacità di proseguire
l’attività ivi esercitata viene effettuata nell’ambito di un colloquio con l’autorità competente
dello Stato membro ospitante, che mira a verificare il carattere regolare ed effettivo dell’at-
tività esercitata. La decisione dell’autorità competente dello Stato membro ospitante di non
concedere l’autorizzazione qualora non sia fornita la prova che i requisiti stabiliti al primo
comma sono soddisfatti deve essere motivata ed è soggetta a ricorso giurisdizionale di dirit-
to interno. 4. L’autorità competente dello Stato membro ospitante può, con decisione moti-
vata soggetta a un ricorso giurisdizionale di diritti interno, non ammettere l’avvocato al be-
neficio delle disposizioni del presente articolo qualora ritenga che l’ordine pubblico sarebbe
pregiudicato, in particolare a causa di procedimenti disciplinari, di reclami o di altri inci-
denti di qualsiasi natura. 5. I rappresentanti dell’autorità competente incaricati di istruire le
domande garantiscono il segreto su tutte le informazioni ottenute. 6. L’avvocato che accede
alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante secondo le modalità previste dai
paragrafi 1, 2, e 3 ha diritto di far uso, a fianco del titolo professionale corrispondente alla
professione di avvocato nello Stato membro ospitante, del titolo professionale d’origine in-
dicato nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro d’origine».
55
Corte giust., sentenza 7 maggio 1991, C-340/89, Irène Vlassopoulou c. Ministerium
für Justiz, Bundes– und Europaangelegenheiten Baden-Württemberg.
176
56
Corte giust., 29 gennaio 2009, C-311/06, Consiglio Nazionale degli Ingegneri c. Mini-
stero della Giustizia e Marco Cavallera, in Raccolta, 2009, I, p. 415 ss.
57
Corte giust., Angelo Alberto Torresi (C-58/13) e Pierfrancesco Torresi (C-59/13) c.
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata (17 luglio 2014).
177
58
È rilevante il ragionamento della Corte di giustizia, in quanto, come ha rilevato M.
IAIA, op. cit., p. 93, era stato seguito per i rinvii proposti dalle autorità amministrative indi-
pendenti che per loro natura spesso non soddisfano a pieno le condizioni elaborate dalla giu-
risprudenza: caso emblematico in tal senso, è rappresentato dalla dicotomia tra dichiarata
ricevibilità di un rinvio pregiudiziale proposto dall’autorità spagnola competente in materia
di concorrenza (sentenza 16 luglio 1992, causa 67/91, Dirección General de Defensa de la
Competencia c. Asociación Española de Banca Privada (AEB) e altri, in Raccolta, 1992, I,
p. 4785 ss.) e la inricevibilità di un ricorso proposto invece dalla omologa autorità greca
(Sentenza Causa C-53/03 Synetairismos Farmakopoion Aitolias & Akarnanias (Syfait) e al-
tri c. GlaxoSmithKline pic e GlaxoSmithKline AEVE, già Glaxowellcome AEVE.
178
59
Risoluzione Parlamento europeo sulle regolamentazioni di mercato e le norme di con-
correnza per le libere professioni, 16 dicembre 2003.
179
CAPITOLO IV
PROFILI AMMINISTRATIVI DELLA LIBERA
CIRCOLAZIONE DEI BENI CON PARTICOLARE
RIFERIMENTO ALLE DOGANE
SOMMARIO: 1. La libertà di circolazione dei beni rectius: delle merci e l’unione doganale.
1
L. TORCHIA, Il governo delle differenze, Il Mulino, 2006, p. 69 dove l’A. nella nota 32,
ben specifica che il dibattito in materia risulta in parte superato dopo l’approvazione della
Carta dei diritti dei cittadini europei. Si tenga conto che il volume Il governo delle differenze
dell’A., è del 2006 e pertanto taluni concetti espressi nello stesso, sono stati poi ripresi nel
Trattato di Lisbona.
2
La libera circolazione delle merci fra gli Stati membri dell’Unione costituisce uno
strumento essenziale per la realizzazione del mercato interno previsto dall’art. 3 TUE. I con-
tenuti del mercato interno sono definiti dall’art. 26 TFUE, che hanno sostituito le discipline
previste dal Trattato della Comunità economica europea.
180
3
Il Trattato di Amsterdam abrogò le disposizioni diventate obsolete per la scadenza dei
termini previsti, compiendo anche in tale settore un’opera di semplificazione secondo quanto
181
disposto dall’art. 6, I. L’abrogazione delle disposizioni obsolete non pregiudicò gli effetti
giuridici già prodotti da tali disposizioni e dagli atti in vigore adottati in base ad esse. Il Trat-
tato di Amsterdam confermò le norme che stabilivano i divieti di porre ostacoli alla libera
circolazione delle merci. Si rinvia a L. SBOLCI, La libera circolazione delle merci, in G.
STROZZI-R. MASTROIANNI (a cura di), Diritto dell’Unione europea, Parte istituzionale, VI
ed., Giappichelli, 2005, p. 5.
4
C-8/74, Dassonville, in Raccolta, 1974, p. 837.
182
ferimento alle disposizioni sulla libera circolazione delle merci. Nella sen-
tenza riguardante il caso Van Gend en Loos la Corte ha attribuito portata
generale e imperativa al divieto per gli Stati membri sia di introdurre nuovi
dazi doganali o tasse equivalenti che di aumentare quelli in vigore; la Corte
ha dichiarato che «il disposto dell’art. 12 pone un divieto chiaro e incondi-
zionato ... il divieto è per sua natura perfettamente atto a produrre diretta-
mente degli effetti sui rapporti giuridici intercorrenti fra gli Stati membri e
i loro amministrati» 5. Il concetto è ripreso nel caso Lütticke ove la Corte ha
riconosciuto che il divieto sancito dall’art. 95, comma 1, CEE (art. 110,
comma 1, TFUE) prevede un divieto generale alla creazione di tributi inter-
ni contrari alla libera circolazione delle merci, poiché detta disposizione
produce effetti diretti in quanto «costituente un obbligo preciso e incondi-
zionato» 6.
In numerose sentenze la Corte ha inoltre affermato l’efficacia diretta del-
l’art. 30 CEE (art. 28 TFUE) che vieta restrizioni quantitative all’importa-
zione 7 e dell’art. 37 CEE (art. 37 TFUE) che vieta qualsiasi discriminazione
fra cittadini degli Stati membri praticata per mezzo di monopoli nazionali
aventi carattere commerciale 8. La giurisprudenza della Corte di giustizia
non si è limitata a precisare gli effetti delle principali norme in tema di libera
circolazione delle merci, in verità, essa, ha contribuito alla ricostruzione del-
le fonti in materia: in particolare la Corte ha enunciato fondamentali principi
del diritto dell’Unione europea, come il principio del mutuo riconoscimento
che è stato decisivo per superare importanti ostacoli al libero commercio tra
gli Stati membri 9. A fronte di frequenti intralci tecnici derivanti dalle singo-
le legislazioni interne le stesse tendono a essere sbarramenti rispetto alla di-
sciplina contenuta negli artt. 34-35 TFUE, che, invece, ha gettato le basi del
principio generale della libera circolazione delle merci, pur non assurgendo
a essere gli unici parametri giuridici per valutare la compatibilità dei prov-
vedimenti nazionali con le norme del mercato interno. A ben vedere, tali ar-
5
Sentenza 5 febbraio 1963, Van Gend en Loos, C-26/62, in Raccolta, 3, e più recente-
mente sentenza 23 aprile 2002, Nygard, C-234/99, ivi, p. I-3657, punto 51.
6
Sentenza 16 giugno 1966, Lütticke, C-57/65, in Raccolta, 293, punto 1. La Corte di giu-
stizia ha affermato l’efficacia diretta anche dell’art. 95, par. 2, Trattato CEE (sentenza 4 apri-
le 1968, Hauptzollamt München, C-27/67, ivi, 327, passim).
7
Sentenza 29 novembre 1978, Redmond, C-83/78, in Raccolta, 2347, spec. punto 66;
sentenza 8 novembre 1979, Denkavit Futtermittel, C-251/78, ivi, 3369, punto 3.
8
Sentenza 3 febbraio 1976, Manghera, C-59/75, in Raccolta, 91, punti 16-17; sentenza
13 marzo 1979, Hansen, C-91/78, ivi, 935, punti 15-17.
9
Sulla giurisprudenza della Corte di giustizia, a proposito del principio del mutuo rico-
noscimento, vedi C-142/05. L. SBOLCI, op. cit., pp. 55 ss.
183
nute nel Libro Bianco del 1985 sul completamento del mercato interno 10.
L’applicazione oggettiva della disciplina considerata è estesa, ciò in
quanto l’art. 28 TFUE, prevede che tale ambito abbracci «il complesso degli
scambi di merci». La Corte di giustizia ha precisato che per merci devono
intendersi «i prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire
oggetto di negozi commerciali» 11.
L’art. 34 TFUE, si applica negli scambi commerciali «tra Stati membri»
pertanto, perché trovi applicazione la normativa comunitaria, l’unico requi-
sito che deve essere soddisfatto è quello «transfrontaliero», il ché implica
che detta condizione sia accolta anche se un prodotto si limita a transitare in
uno degli Stati membri 12. Sotto questo profilo viene in rilievo anche la di-
sciplina contenuta nelle convenzioni internazionali di cui siano parti gli Stati
membri 13.
10
Gli effetti degli atti normativi derivati rispetto ai nuovi Stati membri che hanno aderito
all’Unione europea dal 1° maggio 2004, sono regolati dalla Parte terza dell’Atto relativo alle
condizioni di adesione. In senso analogo dispone la Parte terza dell’Atto relativo alle condi-
zioni di adesione di Bulgaria e Romania in vigore dal 1° gennaio 2007.
11
Sentenza 10 dicembre 1968, Commissione c. Italia, C-7/68, in Raccolta, 617, spec.
punto 1. A tal proposito vedi, tra gli altri, P. PESCATORE, Le commerce de l’art et le Marché
commun, in Rev. trim. dr. Eur. 1985, pp. 451 ss. Questa nozione di merci è stata confermata
anche dalla Corte di giustizia con la sentenza 21 ottobre 1999, Jägerskiöld, C-97/98, in Rac-
colta, pp. I-7319, punto 30. Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si ricavano, a tal
proposito, utili esemplificazioni; nell’ambito di applicazione della normativa sulla libera cir-
colazione delle merci, vanno compresi beni di varia natura: gli oggetti d’arte, ad esempio
devono essere considerati come merci, le monete non più in circolazione come valuta, rien-
trano parimenti nella definizione di merci così come i rifiuti che possono essere qualificati
come merci anche qualora non siano riciclabili ma oggetto di transazione commerciale. Sono
altresì considerati merci: nella sentenza 27 aprile 1994, Comune di Almelo, C-393/92, in
Raccolta, pp. I-1477, spec. punto 28, l’energia elettrica e il gas naturale; Sentenza 21 set-
tembre 1999, Läärä, C-124/97, Raccolta, pp. I-6067, punto 20, gli apparecchi per giochi
d’azzardo.
12
La Corte ha chiarito che la libera circolazione delle merci ha per conseguenza l’esistenza
di un principio generale di libertà di transito dei beni nell’ambito dell’Unione. C-320/03,
Commissione c. Austria, in Raccolta, 2005, pp. I-9871, punto 65.
13
Sui motivi che ammettono deroghe alla libera circolazione delle merci vedi infra, par.
12. si osservi come le norme di tali convenzioni potrebbero porre obblighi incompatibili con
quelle stabilite dall’Unione; rispetto a tali obblighi, bisogna distinguere se gli stessi nascono
da convenzioni anteriori all’adesione degli Stati membri all’Unione, nel qual caso prevale il
diritto europeo, in base al criterio di subordinazione previsto dall’art. 351 TFUE, perché la
loro osservanza può essere pretesa dagli Stati terzi, qualora siano parti di tali convenzioni
internazionali. L’osservanza degli obblighi incompatibili potrebbe invece trovare una sua
giustificazione solo nel caso in cui, detti obblighi, si pongano come deroghe alla libera circo-
lazione delle merci in base al TFUE.
185
In ogni caso alcune norme nazionali sono state ritenute estranee al campo
dell’applicazione dell’art. 34 TFUE, nell’ipotesi in cui il loro effetto restrit-
tivo sugli scambi degli Stati membri, sia del tutto aleatorio o indiretto, come
sostiene la giurisprudenza nella sentenza del 1990 nel caso di vendita ambu-
lante degli abbonamenti periodici 14.
Si può quindi pervenire all’osservazione che l’art. 34 TFUE, si applicherà
non solo ai provvedimenti nazionali che discriminano merci importate ma
anche a quelli che di diritto sembrano applicarsi in egual misura sia alle
merci nazionali sia importate ma che di fatto gravano maggiormente sulle
importazioni (l’onere specifico deriva dal fatto che le merci importate devo-
no conformarsi a due sistemi normativi: il primo disposto dallo Stato mem-
bro di produzione e l’altro dello Stato membro d’importazione). Tali norme
sono talvolta definite come «applicate senza discriminazione», come ha rile-
vato nella sentenza Commissione/Italia il giudice comunitario 15, il ché porta
all’osservazione, desumibile dalla Corte nelle cause Dassoville e successi-
vamente nella causa Cassis Dedijon, circa la non necessità della presenza di
alcun elemento discriminatorio affinché il provvedimento nazionale rientri
nell’ambito di applicazione dell’art. 34 TFUE.
I prodotti agricoli godono d’un regime speciale sulla libera circolazione
in quanto rientranti nel quadro della politica agricola dell’Unione, che pre-
vede organizzazioni comuni di mercato in determinati settori 16; solo nel-
l’ipotesi in cui i prodotti in esame non siano ricompresi nella politica agrico-
la europea, si ritiene che siano applicabili anche ad essi le regole generali
sulla libera circolazione delle merci 17.
Inoltre, una disciplina speciale è prevista dal TFUE anche per le armi, le
munizioni e il materiale bellico che figurano in un apposito elenco approvato
14
C-69/88 Kranz, in Raccolta, 1990, pp. I-583. Cfr. anche Causa C-20/03, Burnajer, in
Raccolta, 2005, pp. I-134.
15
C-110/05, Commissione c. Italia, in Raccolta, 2009, pp. I-519, punto 35.
16
Sentenza 5 ottobre 1977, Tedeschi, C-5/77, in Raccolta, 1555, spec. punto 32. Di con-
seguenza «le norme del Trattato relative alla politica agricola comune prevalgono, in caso
di divergenze, sulle altre norme relative all’instaurazione del mercato comune» (sentenza 28
novembre 1978, Redmond, C-83/78, ivi, 2347, punto 37.
17
Vedi le sentenze 20 aprile 1978, Sarl, C-80/77, in Raccolta, 927, spec. punto 19; 29
marzo 1979, Commissione c. Regno Unito, C-231/78, ivi, 1447, spec. punto 14. Le regole
sulla libera circolazione delle merci sono applicabili anche ai prodotti contemplati da
un’organizzazione comune di mercato ove le regole che istituiscono tale organizzazione non
dispongano espressamente la libera circolazione dei prodotti considerati; in tal senso la sen-
tenza 29 novembre 1978, Redmond, C-83/78, cit., spec. punto 55. Nello stesso senso, Oliver
Jarvis (assisted by), Free Movement of Goods in the European Community, London, 2003,
p. 418.
186
dal Consiglio: l’art. 346, par. 1, lett. b), consente a ciascun Stato membro di
porre limiti al loro commercio, qualora lo ritenga necessario per la tutela de-
gli interessi essenziali della propria sicurezza 18. Dal divieto del loro com-
mercio deriva ovviamente la disciplina speciale in materia di libera circola-
zione.
Gli artt. 28 e 29 TFUE, definiscono a loro volta, l’ambito di applicazione
dei divieti dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative per quel che ri-
guarda l’origine delle merci; in tale ambito sono compresi sia i prodotti ori-
ginari degli Stati membri che quelli provenienti dai Paesi terzi, purché si
trovino in «libera pratica» in uno Stato membro, in altre parole siano stati
importati da un Paese terzo in osservanza delle relative disposizioni.
Sotto il profilo soggettivo, l’ambito d’applicazione della disciplina consi-
derata, comprende in primo luogo gli Stati membri, i quali sono i destinatari
degli obblighi e di conseguenza delle norme, essendo applicabili con riferi-
mento alle misure adottate da tutte le autorità degli Stati membri, senza di-
stinzione tra autorità del potere centrale e autorità locali ciò in quanto le mi-
sure adottate dalle amministrazioni locali sono sempre imputate al rispettivo
Stato.
Dal contenuto delle norme previste nel trattato in materia, si desume che
l’attuazione di questa libertà si realizza per mezzo dell’instaurazione dell’u-
nione doganale nonché dal divieto di restrizioni quantitative all’importa-
zione e all’esportazione 19. A tal proposito occorre ricordare che, per quanto
riguarda la circolazione delle merci, non si applica il principio de minimis
ovvero la possibilità di aggirare l’ostacolo previsto dai trattati per prodotti di
scarso rilievo o sul piano economico o per il numero limitato 20. A ben vede-
re l’obiettivo palese era e rimane quello di attuare l’unione doganale in con-
formità a quanto previsto, oggi, negli artt. 28-37 TFUE. In verità le norme
del TFUE e ancor prima del TCE in materia, hanno trovato un’immediata
18
L’elenco delle armi, munizioni e materiale bellico fu adottato con decisione del Consi-
glio 225/58 del 15 aprile 1958. In proposito, cfr. N. RONZITTI, Diritto internazionale dei
conflitti armati, Giappichelli, 2014, p. 273 ss. Si veda anche la Direttiva 2008/51/CE del 21
maggio 2008, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione delle armi. La diretti-
va dispone misure di accompagnamento del mercato interno.
19
L’art. 23 TCE stabiliva che «La Comunità è fondata sopra un’unione doganale ...».
L’art. 28 TFUE dispone che «L’Unione comprende un’unione doganale ...». L’unione doga-
nale, già menzionata dall’art. 23, TCE, non può assumere più, per una modifica introdotta
dal Trattato di Lisbona, maggior rilievo rispetto al divieto di restrizioni quantitative19: en-
trambi sono in egual misura rilevanti per realizzare la libera circolazione delle merci tra Stati
membri.
20
C-67/97 Bluhme, in Raccolta, 1998, p. I-8033.
187
applicazione per effetto del costante indirizzo assunto dalla Corte di giusti-
zia europea, la quale è intervenuta ripetutamente in materia con pronunce
univoche volte a porre in essere una regolamentazione tesa alla effettività
del principio inerente la libertà di circolazione delle merci che sfocia nel-
l’unione doganale. Nonostante ciò, mancava un momento sistematico che
razionalizzasse l’intera materia; l’esigenza in parola ha fatto sì che fin dal
1992 si è dato vita a un Codice doganale quale corpo normativo che regola i
principali aspetti dell’attività doganale al quale devono attenersi gli Stati
membri. Tuttavia, detto Codice, è stato sottoposto a varie modifiche e revi-
sioni in coerenza coi cambiamenti giuridici intervenuti sia a livello comuni-
tario sia a livello internazionale, infatti si è reso necessario prevedere un
nuovo Codice entrato in vigore il 1° maggio 2016 21.
La redazione del nuovo Codice, rappresenta il punto di arrivo di un lungo
percorso normativo culminato nel Regolamento n. 952/2013, che istituisce il
Codice doganale dell’Unione con l’effetto di abrogare il Codice precedente.
Al considerando 9 si rende evidente l’obiettivo che s’intende realizzare:
«L’Unione si fonda sull’unione doganale. Nell’interesse sia degli operatori
economici sia delle autorità doganali dell’Unione, è opportuno riunire
l’attuale normativa doganale in un Codice. Partendo dal principio di un
mercato interno tale Codice dovrebbe contenere le norme e le procedure di
carattere generale che garantiscono l’applicazione delle misure tariffarie e
le altre misure di politica comune introdotte a livello dell’Unione in relazio-
ne agli scambi di merce […]». Nel merito occorre far riferimento all’art. 2
del Regolamento n. 952/2013 ove si prevede: «Alla Commissione è conferito
il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 284 che speci-
fichino le disposizioni della normativa doganale e le relative semplificazioni
per quanto riguarda la dichiarazione in dogana, la prova della posizione
doganale, l’utilizzo del regime di transito interno unionale, fintantoché non
incide sulla corretta applicazione delle misure fiscali interessate, che si ap-
plicano agli scambi di merci unionali di cui all’articolo 1, paragrafo 3. Tali
atti possono riguardare situazioni particolari inerenti agli scambi di merci
unionali che interessano solo uno Stato membro». Col ché si desume che la
21
Il 1° maggio 2016 entrano in vigore il nuovo Codice Doganale dell’Unione (CDU) e le
relative disposizioni attuative (RE), integrative (RD) e transitorie (RDT). L’agenzia ha defi-
nito una specifica strategia e un piano d’implementazione per limitare gli impatti operativi e
adottare le misure atte a garantire agli operatori di poter implementare sia delle semplifica-
zioni previste dal complesso delle disposizioni del nuovo codice sia di quelle già adottate a
livello nazionale. Il suddetto piano di implementazione è stato poi condiviso con la platea
degli operatori nel corso della riunione del Tavolo tecnico ecustoms dell’8 marzo 2016.
188
22
Regolamento (UE) 9 ottobre 2013, n. 952. La contestuale evoluzione normativa e am-
ministrativa della materia doganale ha portato non solo a una prima redazione del Codice
doganale dell’Unione, ma merita di essere segnalato come il 1° maggio 2016, sono entrati in
vigore il nuovo Codice doganale dell’Unione (CDU) e le relative disposizioni attuative (RE),
integrative (RD) e transitorie (RDT). L’agenzia ha definito una specifica strategia e un piano
d’implementazione per limitare gli impatti operativi e adottare le misure atte a garantire agli
operatori di potere beneficiare sia delle semplificazioni previste dal complesso delle disposi-
zioni del nuovo codice sia di quelle già adottate a livello nazionale. Il suddetto piano di im-
plementazione è stato poi condiviso con la platea degli operatori nel corso della riunione del
Tavolo tecnico ecustoms dell’8 marzo 2016.
23
Si veda le sentenze della Corte giust., 3 luglio 2014, C-129/13, C-130/13.
24
L’unione doganale europea gestisce il 16% circa del commercio mondiale e ogni anno
189
31
Sentenza 15 dicembre 1976, Simmenthal, C-35/76, in Raccolta, 1871, spec. punto 42,
con richiami alla precedente giurisprudenza della Corte in materia. Si veda anche la succes-
siva sentenza 8 novembre 1979, Denkavit, C-251/78, in Raccolta, 3369, spec. punto 10. Su-
gli oneri riscossi dagli Stati per ragioni di controllo sanitario delle merci.
32
Sentenza 25 gennaio 1977, Bauhuis, C-46/76, cit., spec. punti 48-51; sentenza 15 apri-
le 1997, Deutsches Milch-Kontor, C-272/95, in Raccolta, I-1905, spec. punto 40.
33
Sentenza 10 dicembre 1968, Commissione c. Italia, C-7/68, loc. cit.
34
Sentenza 17 maggio 1983, Commissione c. Belgio, C-132/82, in Raccolta, 1649, spec.
punti 12-13.
35
Sentenza 25 gennaio 1977, Bauhuis, C-46/76, cit., spec. punti 7-11; sentenza 17 mag-
gio 1983, Commissione c. Belgio, C-132/82, spec., punto 8; sentenza 22 aprile 1999, CRT
France International, C-109/98, in Raccolta, I-2237, punto 17.
36
Sentenza 25 gennaio 1977, Bauhuis, C-46/76, cit., spec. punti 27-31; sentenza 22 apri-
le 1999, CRT France International, C-109/98, cit.
37
Sentenza 25 gennaio 1977, Bauhuis, C-46/76, cit., spec. punto 25.
38
Sulla soppressione dei controlli fiscali alle frontiere tra Stati membri vedi le considera-
zioni della Corte di giustizia nella sentenza 11 novembre 1997, Eurotunnel, C-408/95, in
Raccolta, pp. I-6315, passim, e le considerazione del Tribunale di I grado nella sentenza 29
gennaio 1998, Dubois c. Consiglio, C-T-113/96, ivi, pp. II-129.
191
39
Le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni nazionali relative
alle imposte indirette sono adottate sulla base dell’art. 113 TFUE. A proposito dell’armo-
nizzazione in questa materia, si veda, tra gli altri, A. COMELLI, L’armonizzazione fiscale e lo
strumento della direttiva comunitaria in relazione al sistema dell’Iva, in Dir. e prat. trib.,
1998, pp. 1590 ss. C. ORTEGA, Uguaglianza e non discriminazione, in A. DI PIETRO (a cura
di), Per una costituzione fiscale europea, Cedam, 2008, pp. 128 ss.
40
Sull’abolizione dei controlli alle frontiere fra Stati membri a decorrere dal 1° gennaio
1993, vedi Commissione europea, La politica doganale dell’Unione europea, Lussemburgo,
Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1999, p. 9.
41
COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Il completamento del mercato interno. Li-
bro Bianco, cit., p. 40 ss. Vedi anche A. MATTERA RICIGLIANO, Les barrières frontalières à
l’intérieur de la CEE et l’action menée par la Commission pour leur démantelement, in Rev.
marché com., 1987, p. 264 ss. Il Libro Bianco sul «completamento del mercato interno»,
presentato al Consiglio europeo di Milano nel 1985, auspicò l’accordo degli Stati membri
«sull’abolizione delle barriere di qualsiasi natura, sull’armonizzazione delle norme, sul rav-
vicinamento delle legislazioni e delle strutture fiscali, sul rafforzamento della cooperazione
monetaria e sulle misure di accompagnamento necessarie per indurre le imprese europee a
collaborare». I provvedimenti, da assumere entro il 1992, prevedevano l’eliminazione delle
barriere fisiche (controlli alle frontiere intracomunitarie), l’eliminazione delle barriere tecni-
che (le diverse norme che gli Stati membri adottano per i singoli prodotti), l’eliminazione
delle barriere fiscali (diversità nazionali nell’impostazione indiretta).
42
Ivi, p. 8 ss.
43
Il sistema delle franchigie basato su limiti di valore e di quantità delle merci, istituito
con la Direttiva 69/169/CEE, Consiglio del 28 maggio 1969 (in GUCE, L 133 del 4 giugno
1969) è stato soppresso dall’art. 23, par. 4, della Direttiva 92/12/ CEE, Consiglio del 25 feb-
braio 1992 (in GUCE, 23 marzo 1992, n. L. 76).
192
44
Tuttavia, per l’acquisto di mezzi di trasporto nuovi, l’imposta indiretta deve essere cor-
risposta nello Stato d’immatricolazione per effetto di quanto disposto dall’art. 28 bis della
Direttiva 91/680/CEE, Consiglio del 16 dicembre 1991 (in GUCE, 31 dicembre 1991, n. L
376).
45
In caso di uso commerciale delle merci, l’imposta deve essere corrisposta nello Stato
in cui si trovano i prodotti ed è esigibile nei confronti di chi li detiene; in tal senso dispone
l’art. 9, par. 1, Direttiva 92/12/CEE, cit.
46
Vedi l’art. 9, par. 2, Direttiva 92/12/CEE, cit. Qualora si tratti di prodotti a base di ta-
bacco e di bevande alcoliche, gli Stati possono stabilire, come elemento di prova, livelli in-
dicativi dell’uso commerciale: si osservi che, tali livelli non possono essere inferiori a de-
terminate quantità; di conseguenza si può ammettere che per le quantità che si mantengono
entro detti livelli, il diritto dell’Unione stabilisce una presunzione del loro uso personale.
47
Gli acquisti presso i duty-free shops negli aeroporti, sugli aerei, sui traghetti e nella
zona di uno dei due terminali d’accesso al tunnel sotto la Manica da parte dei viaggiatori che
si recavano da uno Stato membro a un altro erano ammessi fino al 30 giugno 1999. In tal
senso hanno disposto l’art. 28 duodecies della Direttiva 91/680/CEE, cit., e l’art. 28 della
Direttiva 92/12/CEE, cit.
48
L. DE LUCIA-B. MARCHETTI (a cura di), L’amministrazione europea e le sue regole, Il
Mulino, 2015, p. 156.
193
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
1
Si osservi come M. Chiti, ha sostenuto nei suoi lavori come l’integrazione europea sia
nata sotto l’egida del diritto amministrativo; sotto questo profilo basti pensare alla CECA, il
cui nucleo fondante era essenzialmente amministrativo, sia pure elementi amministrativi di
carattere internazionale. La configurazione amministrativa del processo integrativo, attraver-
so l’interesse della scienza giuridica, attiene quindi ai profili concernenti la natura giuridica
degli organi sovranazionali che richiamano peraltro il dibattito sulla natura giuridica del-
l’Unione.
2
S. TORRICELLI, L’europeizzazione del diritto amministrativo italiano, in L. DE LUCIA,
B. MARCHETTI (a cura di), L’amministrazione europea e le sue regole, Il Mulino, 2015, p.
257.
196
tavia, non si può non tener conto del condizionamento che l’applicazione del
diritto comunitario, viene sempre più ad avere sugli apparati amministrativi,
anche attraverso una diffusione dei principi che l’Unione, nel suo insieme,
ha imposto a livello culturale.
Ciò porta ad osservare come, nella fase esecutiva, si assista ad una «legit-
timazione dell’Unione per risultati» 3, attraverso organismi comuni dotati di
un alto grado d’indipendenza e che risultano condizionare gli obiettivi cui
gli Stati membri devono tendere. D’altra parte, gli stessi Stati membri, par-
tecipano a questi «organismi comuni» il ché porta ad affermare che, i rap-
presentanti delle amministrazioni nazionali (vedi comitati, vedi agenzie ecc.)
già a monte, sono chiamati ad esprimere o almeno a rapportarsi con le esi-
genze degli altri Stati e dell’Unione, sia pure nel prevalente interesse comu-
nitario.
La base di una siffatta impostazione, la si rinviene negli atti fondanti del-
l’Unione europea: si legga il TFUE, ove nell’art. 298, si prevede che «nel-
l’assolvere i loro compiti le istituzioni organi e organismi dell’Unione si ba-
sano sull’amministrazione europea, aperta efficiente e indipendente». Si
tratta quindi di riconoscere che a fronte della omogenizzazione legislativa,
anzi soprattutto nelle materie in cui vi sia stato un intervento legislativo rei-
terato da parte dell’Unione (direttive di prima, seconda, terza generazione)
l’applicazione della legislazione derivata richiede, nella fase esecutiva, prin-
cipi comuni e misure «equivalenti» a cui si devono attenere gli apparati ese-
cutivi degli Stati membri.
Dalla lettura della norma del trattato è possibile desumere una nuova vi-
sione dell’«amministrazione indiretta» che porta anch’essa ad una diversa
integrazione fra gli Stati membri ma anche un’evoluzione di tutte le altre
forme che si possono definire «di federalismo di esecuzione» a favore di
un’«amministrazione comune»: amministrazione comune che trova anch’es-
sa fondamento nel trattato lì dove, le disposizioni contenute nell’art. 106 e
sviluppate nell’art. 107 TFUE, pongono a regime l’attuazione effettiva del
diritto dell’Unione da parte degli Stati e tale attuazione è ascrivibile ad
obiettivi comuni/condivisi, come si desume dall’art. 197, comma 1, TFUE.
L’esempio più significativo di tale direttrice, trova riscontro nella Carta dei
Diritti Fondamentali dell’Unione, lì dove all’art. 4, si parla di una «buona
amministrazione» applicabile a tutti gli Stati membri.
Il principio d’amministrazione comune s’impone oggi in tutta la sua rile-
vanza attraverso proprio la fase esecutiva che garantisce, o almeno dovrebbe
3
M.P. CHITI, La legittimazione per risultati dell’Unione europea quale “Comunità di di-
ritto amministrativo”, in Riv. it. pubbl. comunit., pp. 397 ss.
197
garantire, non solo i risultati a cui gli atti dell’Unione tendono ma altresì
l’adozione di modelli esecutivi comuni che s’impongono o modellano quelli
nazionali anche per motivi culturali.
A smentire tale via non rileva il riproporsi delle tesi sul deficit democrati-
co di cui soffrirebbe l’apparato europeo in quanto, la qualificazione della
stessa come «comunità di diritto», costituisce uno dei maggiori progressi
della giurisprudenza della Corte di giustizia che ha dato luogo a quel feno-
meno che gli studiosi della materia chiamano «costituzionalizzazione del-
l’Unione» e che, ad avviso di chi scrive, trattasi di un’evoluzione irreversibile.
La Corte di giustizia ha, peraltro, considerato le norme procedurali come
parte dei principi generali e, queste norme, vengono a vincolare gli Stati
membri quando agiscono nell’ambito del diritto europeo.
A ben vedere si sono sviluppati, come si è già detto nel testo, principi
dello stato di diritto quale il principio di legalità, il principio di uguaglianza,
il principio dell’indipendenza giurisdizionale, che portano a ridimensionare
la critica della carenza della legittimazione democratica dell’Unione; tant’è
che, nella sentenza Van Gend & Loos, 5 febbraio 1963 (C-26/62), si defini-
sce la Comunità quale ordinamento giuridico di nuovo genere a favore del
quale, gli Stati membri, hanno rinunziato anche se in settori delimitati, ai lo-
ro poteri sovrani. Detto ordinamento riconosce come soggetti non soltanto
gli Stati membri ma altresì i loro cittadini legittimando la giustiziabilità degli
atti a garanzia delle tutele ad essi accordate; tutto ciò comporta che i valori
dello stato di diritto, la tutela dei diritti fondamentali, le iniziative che hanno
portato all’elezione diretta del Parlamento, vengano a delineare un quadro
giuridico-istituzionale diverso in merito alla legittimazione democratica del-
l’Unione. Per questa via ne consegue la legittimazione amministrativa del-
l’Unione attraverso moduli di esecuzione comuni che, soprattutto nelle liber-
tà economiche, trovano figure sintomatiche: ne sono esempio i poteri ammi-
nistrativi in via diretta, quali quelli sanzionatori e ispettivi in materia di con-
correnza o quelli decisionali di alcune agenzie europee o i poteri ammini-
strativi assunti in collaborazione con le amministrazioni statali attraverso or-
gani o procedure composite che vengono ad incidere, restringendole o am-
pliandole, le libertà individuali.
È ben noto che l’amministrazione europea non si presenta in modo linea-
re in quanto, ad avviso di chi scrive e nonostante tesi opposte, maggiore è
l’uniformità legislativa maggiore è l’uniformità amministrativa il ché porta
al dato che non sia più accoglibile il principio che «l’Unione fa le leggi e gli
Stati membri le eseguono».
Pur essendo incontestabile che in alcune materie è determinante il ruolo
della Commissione europea e agli Stati membri non residuano spazi se non
198
4
Sentenze C-46/87 e C 227/88.
5
P. CRAIG, Sfide sostanziali e procedurali del diritto amministrativo europeo, in L. DE
LUCIA-B. MARCHETTI (a cura di), L’amministrazione europea e le sue regole, cit., p. 299.
199
giuridica con sede sociale in uno Stato membro 6. Come in molti degli ordi-
namenti interni, l’accesso può essere negato quando possa nuocere a interes-
si pubblici o privati, quali la sicurezza, la difesa, la politica finanziaria, mo-
netaria o economica, ma si tratta di eccezioni rispetto alla regola generale.
Quindi, non solo l’Unione si è dotata di proprie strutture amministrative
ma sono emersi principi propri e comuni agli Stati membri di procedimenti
amministrativi, ancora in fieri e ancora in una fase embrionale, si pensi al-
l’obbligo di motivazione che sovente manca nel procedimento amministrativo.
Pur tuttavia, questi due aspetti, quello organizzativo e l’omogenizzazione
di taluni principi procedurali, sono la testimonianza più evidente dell’esi-
stenza oggi, e in prospettiva dell’evoluzione, del diritto amministrativo eu-
ropeo.
6
Non va peraltro dimenticato che, in base al Regolamento n. 1049/2001, il diritto di ac-
cesso è riconosciuto anche alle persone fisiche che non risiedono nell’Unione e che non ab-
biano la propria sede sociale in uno Stato dell’Unione.
200
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