Sei sulla pagina 1di 48

CONCETTI TRADIZIONALI

DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO


E LORO EVOLUZIONE
Atti del Convegno tra giovani studiosi
tenutosi alla Sapienza il 2 febbraio 2017

a cura di

A NDREA C ARBONE - E NRICO Z AMPETTI

ESTRATTO

JOVENE EDITORE
NAPOLI 2018
DIRITTI D’AUTORE R ISERVA TI
© Copyright 2018
ISBN 978-88-243-2589-9

JOVENE EDITORE
Via Mezzocannone 109 - 80134 Napoli - Italia
Tel. (+39) 081 552 10 19 - Fax (+39) 081 552 06 87
web site: www.jovene.it e-mail: info@jovene.it

I diritti di riproduzione e di adattamento anche parziale della presente opera


(compresi i microfilm, i CD e le fotocopie) sono riservati per tutti i Paesi. Le
riproduzioni totali, o parziali che superino il 15% del volume, verranno
perseguite in sede civile e in sede penale presso i produttori, i rivenditori, i
distributori, nonché presso i singoli acquirenti, ai sensi della L. 18 agosto
2000 n. 248. È consentita la fotocopiatura ad uso personale di non oltre il
15% del volume successivamente al versamento alla SIAE di un compenso
pari a quanto previsto dall’art. 68, co. 4, L. 22 aprile 1941 n. 633.

Printed in Italy Stampato in Italia


ALFREDO MOLITERNI

LE PERDURANTI INCERTEZZE E CRITICITÀ


NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA

SOMMARIO: 1. Lo studio del diritto privato dell’amministrazione pubblica tra mito


e realtà. – 2. La difficile configurazione di un “sistema” della contrattuali-
stica pubblica. – 3. L’incerto regime e il variabile ambito di estensione degli
accordi amministrativi. – 4. Le incertezze nella fase esecutiva dei contratti
pubblici tra diritto nazionale e diritto europeo: il problema dell’autotutela.
– 5. Le incertezze nei criteri per il riparto di giurisdizione. – 6. I principali
fondamenti teorici delle più diffuse opzioni ricostruttive. – 7. Una prospet-
tiva di ricostruzione del diritto privato per la tutela dell’interesse pubblico.

1. Lo studio del diritto privato dell’amministrazione pubblica tra mito


e realtà
Il problema dell’utilizzo del diritto privato da parte dei pubblici
poteri ha assunto e continua ad assumere un rilievo centrale nello stu-
dio e nel processo di costruzione del diritto delle amministrazioni pub-
bliche1. Tale fenomeno, infatti, offre una prospettiva privilegiata per in-
dagare la questione dei limiti e dei confini del diritto pubblico e della
stessa specialità del diritto amministrativo. Ma il ricorso dell’ammini-
strazione a tecniche e strumenti privatistici per il perseguimento dei
propri fini istituzionali consente altresì di interrogarsi sulla posizione
costituzionale dell’amministrazione nell’ordinamento, nonché di con-
frontarsi con il problema del riparto di giurisdizione, soprattutto al
fine di sondare la natura e la specificità della tutela offerta dal giudice
amministrativo rispetto a quella del giudice ordinario2.

1 Sulla perdurante attualità di tale questione all’interno del dibattito sulla distinzione
tra pubblico e privato nel diritto amministrativo, M. D’ALBERTI, Diritto amministrativo e di-
ritto privato: nuove emersioni di una questione antica, in Riv. trim. dir. pubbl., 2012, 1019 ss.
2 Sulle prospettive offerte dallo studio del diritto privato rispetto a tutti i fenomeni
organizzativi e funzionali della p.a., e sulle problematiche che esso solleva rispetto alla po-
sizione costituzionale dell’amministrazione, si veda, per tutti, V. CERULLI IRELLI, Ammini-
strazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011.
226 ALFREDO MOLITERNI

Non stupisce pertanto che la questione del diritto privato della


p.a. abbia fortemente risentito delle diverse vicende, sensibilità e sta-
gioni che, a partire dal secolo scorso, hanno contraddistinto la scienza
del diritto amministrativo, soprattutto nel lungo processo di assesta-
mento e di sistematizzazione di tale disciplina rispetto agli altri settori
del diritto3.
Come è noto, il problema teorico di verificare la disciplina appli-
cabile ai pubblici poteri che agiscono in forme negoziali o consensuali
ha assunto un rilievo significativo soltanto nel momento in cui si è per-
venuti alla “edificazione” di un sistema amministrativo fondato su ca-
tegorie e principi autonomi4: e infatti, è solo con l’affermazione di una
sorta di coincidenza – anche di matrice ideologica – tra interesse pub-
blico e regime di diritto pubblico che viene messa in discussione la pos-
sibilità di applicare integralmente il diritto privato a quelle relazioni
che, ancorché strutturate secondo logiche non imperative, vedevano
comunque coinvolti i pubblici poteri5. Di qui, la negazione della titola-
rità in capo ai soggetti pubblici di una effettiva capacità negoziale6 o,
comunque, la limitazione finalistica di tale capcità all’interesse pub-
blico7; ma anche la pressoché totale negazione, a livello dottrinario, di
qualsiasi spazio per una teorica del contratto di diritto pubblico, a dif-

3 Sul punto sia consentito il rinvio a A. MOLITERNI, Amministrazione consensuale e di-


ritto privato, Napoli, 2016, spec. cap. 1.
4 Su tali vicende M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative. Aspetti della contrat-
tualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981; B. SORDI, Pubblica amministrazione,
negozio, contratto: universi e categorie ottocentesche a confronto, in Dir. amm., 1995, 491 ss.;
più di recente, A. SANDULLI, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Ita-
lia (1800-1945), Milano, 2009.
5 Nella prospettiva di O. RANELLETTI, Il concetto di “pubblico” nel diritto, in Riv. it.
sc. giur., 1905, XXXIX, 383 ss., infatti, il concetto di “pubblico” verrebbe ad abbracciare
tutta l’attività sociale dello Stato, «anche quando essa si esplichi senza alcuna coazione
sulle persone cui si dirige». Proprio tale convincimento fu alla base del processo di pub-
blicizzazione di molti rapporti negoziali della p.a., ma anche della riconduzione dello
stesso fenomeno dell’impresa pubblica all’interno della nozione di ente pubblico e nell’al-
veo della personalità dello Stato: anche su tale profilo, SANTI ROMANO, La teoria dei diritti
pubblici subiettivi, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, diretto da
V.E. Orlando, Milano, 1987, vol. I, 146 ss.
6 E ciò, soprattutto allorquando è stata abbandonata la teorica della “doppia-perso-
nalità” dello Stato: sul punto, SANTI ROMANO, Principii di diritto amministrativo italiano,
Milano, 1901, 567, il quale chiarisce che l’ente pubblico è titolare «di una sola personalità
e di una sola capacità, che si esplica in campi distinti, ma il cui regolamento, anche quello
di diritto privato, mette capo sempre al diritto pubblico, che ne determina, se non altro, i
motivi».
7 Si vedano, in particolare, i contributi di M. GALLO, I rapporti contrattuali nel diritto
amministrativo, Padova, 1936 e di C. CAMMEO, I contratti della pubblica amministrazione,
Firenze, 1937.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 227

ferenza di quanto si stava affermando nell’ordinamento tedesco8. In so-


stanza, l’edificazione di una netta separazione tra l’ordinamento ammi-
nistrativo e l’ordinamento generale, derivante dalla necessità di proce-
dere ad una sistematizzazione compiuta dei principi e degli istituti ti-
pici e propri dell’amministrazione, ha favorito la progressiva
marginalizzazione delle tecniche e degli strumenti privatistici nella
stessa sistematica del diritto amministrativo9. Tutto ciò ha trovato ri-
scontro nello stesso tentativo di prospettare una categoria unitaria di
attività amministrativa che dovrebbe consentire al «diritto pubblico»
di «condurre sotto il suo dominio anche l’attività delle pubbliche am-
ministrazioni svolte in regime di diritto privato»10.
L’occasione per una rivisitazione dei rapporti tra pubblico e pri-
vato nella disciplina delle amministrazioni pubbliche è stata indubbia-
mente favorita da una serie di trasformazioni politiche, economiche e
sociali che hanno inciso, a partire dal secondo Novecento, sulla stessa
struttura dei rapporti tra Stato, società civile e soggetti privati11. So-
prattutto grazie al contributo di Massimo Severo Giannini vengono
messi in discussione molti di quei capisaldi su cui si era formato il si-
stema amministrativo nel primo Novecento e che avevano condotto
alla marginalizzazione del diritto privato12. Innanzitutto, si nega qual-
siasi coincidenza tra interesse pubblico e regime di diritto pubblico,
posto che all’infuori dei rapporti autoritativi l’amministrazione po-
trebbe comunque perseguire i propri fini istituzionali attraverso le ca-
tegorie generali del diritto civile (contratto e impresa)13; inoltre, viene
affermata la tendenziale pienezza della capacità negoziale dei soggetti

8 Si veda, in chiave assai critica, la posizione di F. CAMMEO, La volontà individuale e


i rapporti di diritto pubblico (contratto di diritto pubblico), in Giur. it., IV, 1900, 7 ss. Limi-
tate aperture si registrarono solo in U. FORTI, Natura giuridica delle concessioni ammini-
strative, in Giur. it., IV, 1900, 409 ss., il quale ravvisava uno spazio per un rapporto bilate-
rale e paritetico tra Stato e cittadino.
9 Come evidenziato da B. SORDI, Pubblica amministrazione, negozio, contratto: uni-
versi e categorie ottocentesche a confronto, in Dir. amm., 1995, 386, a partire da questo mo-
mento «l’amministrazione si sta costruendo come ordinamento chiuso, a sé stante, perfet-
tamente autonomo e auto-concluso: un ordinamento con propri istituti, ma anche con una
propria teoria generale, fondata su principi giuridici diversi, ‘speciali’, rispetto a quelli con-
tenuti nel codice civile».
10 A. AMORTH, Osservazioni sui limiti all’attività amministrativa di diritto privato, in
Arch. dir. pubbl., 1938, 540.
11 S. CASSESE, Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna, 1971, 59 ss.
12 Sul punto, M. D’ALBERTI, Gli studi di diritto amministrativo: continuità e cesure fra
primo e secondo Novecento, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 1293 ss.
13 Tale prospettiva, risulta ampiamente sviluppata da Giannini nel lavoro su L’atti-
vità amministrativa, Roma, 1962, ove è significativo il fatto che le prime cento pagine ri-
guardino l’attività negoziale, mentre le successive sessanta l’attività procedimentale.
228 ALFREDO MOLITERNI

pubblici che sarebbe limitata (e limitabile) solo dal legislatore14; si valo-


rizza, infine, l’operatività di istituti pienamente negoziali anche nell’or-
dinamento amministrativo, con conseguente rifiuto di costruzioni
ibride o miste, come quella del contatto di diritto pubblico15. Tali capi-
saldi della sistematica gianninina influenzeranno il dibattito del secondo
Novecento e, al tempo stesso, favoriranno lo sviluppo di un importante
filone di studi volto a “riabilitare” lo spazio di applicazione del diritto
privato non solo nei tradizionali contratti di appalto, ma anche con ri-
guardo ai c.d. “contratti ad oggetto pubblico” concernenti in partico-
lare i servizi pubblici, i beni pubblici, le sovvenzioni e l’urbanistica16.
Tuttavia, tali importantissime aperture teoriche all’ingresso del di-
ritto privato nel sistema amministrativo non hanno condotto ad un vero
“stravolgimento” del sistema nella direzione auspicata da Giannini17.
Oltre alle molteplici resistenze emerse nella prassi e nella giurispru-
denza amministrativa, anche sul piano teorico si assisterà, a partire da-
gli anni Ottanta, ad un processo di rifondazione e di ripensamento del
senso stesso della specialità del diritto amministrativo che si era tentato
di mettere in discussione nel secondo dopo-guerra. In sostanza, la radi-
calità della teorica gianniniana costituisce l’occasione per un ripensa-
mento delle tradizionali categorie dogmatiche del diritto amministrativo
e per un aggiornamento del senso e delle ragioni della sua specialità.
In particolare, da più parti viene rigettata l’equivalenza gianniniana
tra l’attitività pubblicistica e l’attività autoritativa, posto che il regime
pubblicistico – e, con esso, il principio di legalità in funzione di indi-
rizzo ma anche di garanzia dei terzi – dovrebbe estendersi a qualsiasi
manifestazione dell’amministrazione, ancorché espressa in forme nego-
ziali18. In questa prospettiva, si fa strada l’idea che la dimensione fun-
14 Sul punto, M.S. GIANNINI, L’attività amministrativa, cit., 20; successivamente, il ri-
fiuto della «capacità speciale» delle persone giuridiche pubbliche viene precisato in ID.,
Diritto amministrativo, Milano, 1993, vol. II, 351 ss.
15 Si veda ancora M.S. GIANNINI, L’attività amministrativa, cit., 25 ss. Nella stessa
prospettiva, F. LEDDA, Il problema del contratto nel diritto amministrativo, Torino, 1965,
111 ss.
16 Si vedano, tra gli altri: A. BARDUSCO, La struttura dei contratti delle pubbliche am-
ministrazioni, Milano, 1974, 62 ss.; D. SERRANI, Lo Stato finanziatore, Milano, 1971; V.
MAZZARELLI, Le convenzioni urbanistiche, Bologna, 1979; M. D’ALBERTI, Le concessioni, cit.,
passim.
17 Per riprendere l’immagine di M.S. GIANNINI, Amministrazione pubblica, in Enc.
delle scienze sociali, 1991, 526, il quale, alle soglie del nuovo millennio, immaginava la pre-
senza di amministrazioni pubbliche «munite di un piccolo arsenale di poteri autoritativi
che permetteranno loro di intervenire nei momenti critici o per la cura di quei pochi inte-
ressi pubblici che non potranno esser gestiti con gli strumenti di diritto privato».
18 G. FALCON, Le convenzioni pubblicistiche. Ammissibilità e caratteri, Milano, 1984,
140 ss. Sulla rilevanza del principio di legalità-indirizzo inteso come vincolo di scopo che
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 229

zionale sia la caratteristica tipica di tutta l’attività dei pubblici poteri e


dello stesso ordinamento amministrativo19: e proprio ciò impedirebbe
una reale e piena estensione delle tecniche privatistiche in tale ambito.
Tale nuova prospettiva ricostruttiva della specialità amministrativa
ha ricevuto un ampio consenso sia nella dottrina, sia nella giurispru-
denza maggioritaria e, di fatto, continua a condizionare la stessa
odierna concezione dei rapporti tra pubblico e privato nella disciplina
amministrativa. Da questo punto di vista, quindi, lo stesso apparente
entusiasmo che, a partire dagli anni Novanta, ha accompagnato l’im-
magine dell’amministrazione “paritaria” e, più in generale, la stagione
delle privatizzazioni nell’organizzazione e nell’attività dei pubblici po-
teri20 non ha condotto a risultati significativi sul piano concreto. Gli
stessi interventi normativi volti a favorire un avanzamento della disci-
plina privatistica sono stati di fatto frenati, nella loro concreta portata
applicativa, da una serie di processi ermeneutici di – più o meno espli-
cita – “ripubblicizzazione”21.
Naturalmente – stante l’evidente e innegabile penetrazione di tec-
niche e dinamiche privatistiche nella concreta realtà dei rapporti ammi-
nistrativi – non può più sostenersi, come invece avvenuto nelle prima
metà del secolo scorso, che l’utilizzo degli strumenti provenienti dal di-
ritto civile rappresenti un fenomeno marginale o “eccentrico” nell’ordi-
namento amministrativo: si pensi solo, al di là del settore dei contratti
pubblici, alla grande proliferazione di soggetti societari e di natura pri-
vatistica per l’assolvimento di compiti e funzioni pubbliche, anche di
tipo regolatorio22; alla grande diffusione nel settore ambientale di stru-
menti economici e di mercato23; all’ampio utilizzo – per finalità pubbli-
si estende anche all’attività di diritto privato, si veda C. MARZUOLI, Principio di legalità e at-
tività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982, 146 ss.
19 Sulla sistematizzazione della prospettiva funzionale quale tratto tipico dell’ordina-
mento amministrativo, si veda A. ROMANO, Introduzione, in L. MAZZAROLLI (e altri), a cura
di, Diritto amministrativo, III ed., Bologna, 2001, vol. I, 56 s.; F.G. SCOCA, Attività ammi-
nistrativa, in Enc. dir., Agg. VI, Milano, 2002, 75 ss.; G. ROSSI, Principi di diritto ammini-
strativo, Torino, 2010, 21 ss.
20 Su tali vicende, S. CASSESE, Le privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello
Stato?, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, 579 ss.; sui diversi modi di intendere la privatizza-
zione, C. MARZUOLI, Le privatizzazioni fra pubblico come soggetto e pubblico come regola, in
Dir. pubbl., 1995, 393 ss.
21 Come evidenziato da G. NAPOLITANO, Pubblico e privato nel diritto amministrativo,
Milano, 2003, 155 ss.
22 Sul tema, per tutti, M. D’ALBERTI, Poteri regolatori tra pubblico e privato, in Dir.
amm., 2013, 607 ss.
23 Su cui si veda M. CAFAGNO, Principi e strumenti di diritto dell’ambiente, Torino,
2007; M. CLARICH, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in Dir. pubbl., 2007, 219 ss.;
A. LOLLI, Modelli di amministrazione sussidiaria: strumenti economico-volontari per la tutela
dell’interesse pubblico, Bologna, 2008.
230 ALFREDO MOLITERNI

che – di sistemi di certificazione riconosciuti e legittimati dal mercato e


non già dai pubblici poteri24; ma anche al forte sviluppo di tecniche pri-
vatistiche di composizione e risoluzione delle controversie25.
E tuttavia, pur non essendo realmente contestata – né a livello dot-
trinario, né sul piano giurisprudenziale – la possibilità (e l’utilità) per le
amministrazioni pubbliche di avvalersi di mezzi di azione nati e svilup-
patisi nel (e per) l’ordinamento dei privati26, è ormai largamente condi-
visa l’idea che tali strumenti siano di per sé tecnicamente inidonei all’a-
deguato perseguimento delle esigenze tipiche e proprie dell’ammini-
strazione: il che imporrebbe un processo di necessario adattamento
strutturale di tali strumenti alle specifiche esigenze e valori del settore
pubblico27. Proprio in questa prospettiva va letta, ad esempio, l’affer-
mazione della logica “sostanzialista” nello studio dei fenomeni ammini-
strativi che, in reazione a molti processi di privatizzazione, ha consen-
tito di estendere la disciplina pubblicistica sia alle fattispecie privatisti-
che delle amministrazioni pubbliche, sia all’attività di soggetti privati
collegati – in maniera più o meno intensa – con il settore pubblico28.
Con specifico riguardo all’attività negoziale dei pubblici poteri si
è in particolare assistito ad un processo di riconduzione e di adatta-
mento al diritto pubblico di molte forme consensuali utilizzate dalle
amministrazioni, in pressoché tutti i settori di azione delle amministra-
zioni pubbliche. In particolare, risultano assai diffusi degli orienta-
menti giurisprudenziali che, sia in sede civile che in sede amministra-
tiva, tendono a rafforzare in chiave pubblicistica i frammenti di specia-
lità che si ricavano dall’ordinamento con riguardo all’attività negoziale
dei soggetti pubblici, anche al fine di farne discendere una serie di con-
seguenze sul piano del riparto di giurisdizione.

24 Sul tema, A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze” private. Poteri pubblici e cer-
tificazioni di mercato, Milano, 2010.
25 Su cui si vedano i contributi contenuti in G. FALCON, B. MARCHETTI, Verso nuovi
rimedi amministrativi? Modelli giustiziali a confronto, Padova, 2015. Con particolare riferi-
mento alla diffusione di Corti non statali nel contesto globale, S. Cassese, La funzione co-
stituzionale dei giudici non statali. Dallo spazio giuridico globale all’ordine giuridico globale,
in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, 609 ss.
26 Su cui, per tutti, V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e diritto privato, cit.,
passim.
27 L’emersione di una sorta incompatibilità tecnica – e non più ideologica come af-
fermatosi all’inizio del secolo scorso – è messa in luce da B.G. MATTARELLA, L’imperatività
del provvedimento amministrativo, Padova, 2000, 178 ss.
28 Si veda, tra gli altri, F. MERUSI, La natura delle cose come criterio di armonizzazione
comunitaria nella disciplina sugli appalti, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1997, 39 ss., il quale
guarda con favore alla «vanificazione della c.d. “fuga nel diritto privato” a seguito della
identificazione della “vera natura pubblica della cosa”».
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 231

In tale contesto si è inoltre assistito al consolidamento di una serie


di categorie dogmatiche che, pur non trovando un concreto riscontro
nel diritto positivo, continuano a condizionare la sistematica dell’agire
consensuale della p.a., anche a livello manualistico: si pensi all’esalta-
zione di una rigida distinzione tra un’attività di diritto privato e un’at-
tività amministrativa di diritto privato, ovvero a quella tra contratti
strumentali dell’amministrazione e contratti diretti all’esercizio di una
funzione pubblica; o, infine, alla distinzione tra i contratti di diritto
pubblico e i contratti di diritto privato speciale29.
Al di là delle diverse sfumature e differenze, queste distinzioni mi-
rano innanzitutto a distinguere – e a isolare – tutti quei rapporti nego-
ziali variamente incidenti su una funzione pubblica, o caratterizzati da
un oggetto pubblico, che sarebbero modellati sulla disciplina pubblici-
stica degli accordi amministrativi: di qui, la tendenza giurisprudenziale
ad ampliare il richiamo ai regimi consensuali “intermedi” – special-
mente attraverso il riferimento all’art. 11 della l. n. 241/1990 – anche
nei casi in cui ciò non sia realmente giustificato dai concreti obiettivi
pratici che si vogliono conseguire (in termini di controllo o di felssibi-
lità)30. Ma anche i restanti rapporti negoziali sarebbero comunque con-
traddistinti da un regime non pienamente riconducibile al diritto pri-
vato, essendo costellati, a tutela del pubblico interesse, da molteplici
presìdi pubblicistici non solo nella fase di formazione del rapporto, ma
anche nella relativa fase di esecuzione: di qui il diffuso riferimento al
concetto di “diritto privato speciale”.
All’interno di tale cornice, il quadro teorico dell’amministrazione
consensuale sembrerebbe ormai aver ricevuto una sufficiente stabiliz-
zazione, sia a livello dottrinario che giurisprudenziale. E tuttavia, se dal
29 Come evidenziato da B. ARGIOLAS, B.G. MATTARELLA, Attività amministrativa e
moduli convenzionali, in C. FRANCHINI (a cura di), I contratti con la pubblica amministra-
zione, Torino, 2007, vol. I, 90 ss., le ricostruzioni teoriche sul diritto privato dell’ammini-
strazione pubblica hanno spesso sopravvalutato la valenza di alcune distinzioni che sono
state assunte come immutabili, senza verificare adeguatamente la realtà giuridica dei rap-
porti negoziali: da questo punto di vista, si sottolinea la valenza tendenzialmente descrit-
tiva della stessa distinzione tra accordi e contratti che non sarebbe in grado «di delineare
le caratteristiche dell’agire consensuale delle pubbliche amministrazioni»; molti «tendono
a trascurare, infatti, rilevanti tendenze in atto, desumibili estendendo l’osservazione dalle
norme alla prassi amministrativa»; così come, partendo dalla «mera considerazione delle
previsioni normative concernenti le singole ipotesi di accorso» tendono a «sopravvalutare
taluni profili distintivi tra gli strumenti»; in questo contesto «la scienza giuridica finisce per
occuparsi della disciplina applicabile agli accordi – talvolta, invertendo il metodo d’analisi,
partendo dai modelli ricostruttivi elaborati in dottrina e tentando di incasellare all’interno
di essi le diverse ipotesi normative – senza considerare quella concretamente applicata».
30 E ciò, soprattutto al fine di assicurare un controllo funzionale del giudice ammi-
nistrativo sulle vicende esecutive del rapporto.
232 ALFREDO MOLITERNI

piano astratto e teorico si passa all’analisi del diritto vivente emerge


che la concreta dinamica dei rapporti amministrativi di tipo negoziale è
in realtà ancora caratterizzata da molteplici criticità, incertezze e con-
traddizioni che rischiano di mettere in discussione la stessa possibilità
di continuare a fare riferimento, nel nostro ordinamento, ad un vero e
proprio “sistema” della contrattualistica pubblica31.
In particolare, le criticità più rilevanti possono essere ricondotte
essenzialmente a tre ordine di considerazioni. In primo luogo, è ancora
assente un sistema coerente e chiaro della contrattualistica pubblica: ci
troviamo dinnanzi all’assoluta eterogeneità di nomina negoziali (con-
tratti pubblici, convenzioni, accordi, concessioni-contratto) a cui non
corrisponde una chiara disciplina e un preciso (e prevedibile) regime
giuridico da applicare. In secondo luogo, vi è assoluta incertezza nella
disciplina e nel regime concernente la fase esecutiva di molti rapporti
negoziali che sono ancora problematicamente sospesi tra la “logica ne-
goziale” e la “logica funzionale”, la quale tuttavia rischia di conferire
un’eccessiva instabilità al rapporto che, peraltro, non appare sempre
giustificata da specifiche e concrete ragioni di interesse pubblico. In-
fine, va evidenziata l’assoluta incertezza ed eterogeneità dei criteri e dei
meccanismi di riparto che, tuttavia, molto spesso costituiscono la vera
ragione di una certa qualificazione del rapporto (con recessi e penali
che sono ricostruiti come espressione di un potere autoritativo e non
già negoziale). Di tali criticità ci si occuperà brevemente nelle pagine
che seguono per poi tentare di prospettare, nel paragrafo conclusivo,
alcune possibili (e auspicabili) prospettive di evoluzione del sistema.

2. La difficile configurazione di un “sistema” della contrattualistica


pubblica
Come si è anticipato, uno dei principali profili di criticità è rap-
presentato dal fatto che nel nostro ordinamento continua ad essere as-
sente un sistema generale di classificazione degli strumenti negoziali
della p.a. che possa condurre a delle chiare conseguenze dal punto di

31 Sul punto sia consentito ancora il rinvio a A. MOLITERNI, Amministrazione consen-


suale e diritto privato, cit., 342 ss.
32 Come dimostra la stessa incertezza con cui l’interprete si muove tra i diversi no-
mina consensuali (contratto, convenzione, concessione-contratto, accordo): emblematica
della grande confusione terminologica – e di regime – che caratterizza l’esame delle tipo-
logie consensuali “ad oggetto pubblico” appare TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14
novembre 2006, n. 1718, ove si precisa che «gli accordi contrattuali che accedono all’accre-
ditamento, al pari delle convenzioni stipulate nel sistema dell’assistenza sanitaria di cui alla
Legge n. 833/1978 (Cass., 28 aprile 1995, n. 4683; 27 aprile 1995, n. 4679; 24 novembre
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 233

vista del regime concretamente applicabile32. D’altra parte, l’attuale


contesto normativo e la concreta evoluzione giurisprudenziale rendono
difficilmente applicabili, sul piano concreto, molte delle tradizionali
classificazioni teoriche, come quella volta a distinguere il regime giuri-
dico dei diversi rapporti negoziali in ragione della (più o meno intensa)
strumentalità all’interesse pubblico33.
Parimenti incerto risulta il criterio classificatorio fondato sulla na-
tura dell’oggetto: e ciò, non solo per la grande difficoltà sottesa all’in-
dividuazione dello stesso “oggetto” di un rapporto negoziale – posto
che talvolta si fa riferimento al bene, talvolta alla prestazione, altre
volte alla funzione34 –, ma anche per la grande difficoltà nell’indivi-
duare dei criteri sufficientemente chiari che consentano di accertarne
la natura effettivamente “pubblica”, come dimostra l’esempio dei rap-
porti negoziali sui beni pubblici (ove il regime pubblicistico tende ad
essere giustificato anche per i beni del patrimonio disponibile) o il caso
dei rapporti in materia di servizi pubblici (ove il servizio pubblico ma-
terialmente imprenditoriale è spesso affidato anche attraverso veri e
proprio contratti di appalto)35.
D’altra parte, la peculiarità della posizione ricoperta dall’ammini-
strazione nell’ordinamento appare caratterizzare in maniera trasversale

1994, nn. 9970 e 9971; 15 marzo 1993, n. 3053), sono assimilabili ai contratti di diritto pub-
blico (Cons. St., sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7188) o ai contratti accessivi a provvedimenti
(TAR Campania, Salerno, 6 febbraio 2004, n. 92) e sono dunque inquadrabili nello schema
delle concessioni di pubblico servizio, per le quali permane la giurisdizione esclusiva del giu-
dice amministrativo» (corsivo aggiunto).
33 Su cui, ad esempio, V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e diritto privato,
cit., 22, il quale traduce tale distinzione distinguendo dall’attività meramente privatistica
un’attività amministrativa di diritto privato, caratterizzata dal fatto che «il modulo nego-
ziale deve necessariamente seguire discipline differenziate rispetto a quelle operanti nel-
l’ambito dei rapporti interprivati, intese ad assicurare che anche in tale ambito, i principi
che reggono la funzione amministrativa vengano rispettati»; tale attività si contrappor-
rebbe ad un «un ambito propriamente privato delle pubbliche Amministrazioni, come sog-
getti di diritto comune, un ambito di gestione meramente patrimoniale nel quale non si
esprime amministrazione in senso sostanziale come cura necessaria, attraverso azioni con-
crete, di interessi della collettività».
34 Come evidenziato da V. RICCIUTO, A. NERVI, Il contratto della pubblica ammini-
strazione, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del notariato, diretto da P. Per-
lingieri, Napoli, 2009, 229 ss., nello stesso Codice dei contratti pubblici non appare age-
vole individuare esattamente l’oggetto del contratto: a volte si fa riferimento alle presta-
zioni, a volte al settore di riferimento, altre volte ancora al valore economico.
35 D’altronde, anche in sede civilistica è stata lucidamente evidenziata da N. LIPARI,
Le categorie del diritto civile, Milano, 2013, 176, «l’ambiguità del dettato del codice civile
– che utilizza l’espressione “oggetto” talvolta per indicare la prestazione, altre volte per de-
signare il bene economico sul quale la medesima incide»; il che avrebbe condotto la dot-
trina «a formulare una nozione variegata e non più unitaria dell’oggetto del contratto in-
troducendo una visione realistica e relazionale dell’oggetto».
234 ALFREDO MOLITERNI

– seppur con diversi livelli di gradazione – le diverse manifestazioni


con cui si esercita la relativa attività consensuale, senza possibilità di di-
stinguere in maniera netta un’attività realmente privatistica da un’atti-
vità sostanzialmente amministrativa esercitata solo in forme negoziali
in base alla più o meno diretta rilevanza dell’interesse pubblico nella
specifica fattispecie negoziale36: e ciò a meno di non voler negare la
presenza di ragioni di interesse pubblico rispetto alla corretta costru-
zione di un’autostrada, alla corretta pulizia di un ospedale o al corretto
funzionamento dei terminali acquistati dalle amministrazioni per il
tempestivo rilascio delle carte di identità elettroniche37.
In questa prospettiva, i diversi tentativi di classificazione dell’atti-
vità negoziale della p.a. prospettati nel corso del tempo – i quali, in ul-
tima analisi, hanno sempre mirato a distinguere, nell’ambito dei rap-
porti negoziali, alcuni strumenti consensuali di diritto pubblico o, co-
munque, radicalmente alternativi al diritto privato –, oltre a non
ricevere alcun riscontro sul piano normativo, appaiono privi di conse-
guenze significative sul piano pratico, considerata soprattutto l’assenza
nel nostro ordinamento di una vera e propria disciplina del contratto
di diritto pubblico38.

36 Sul punto già C. MARZUOLI, Principio di legalità, cit., 73 ss., secondo cui anche l’at-
tività comunemente considerata come “privata”, essendo rivolta al perseguimento di un in-
teresse pubblico, non appare differire dall’attività amministrativa di diritto privato. E ciò
dal momento che la stessa attività di approvvigionamento di beni e risorse per le esigenze
dell’amministrazione – tradizionalmente considerata attività privatistica in senso stretto e
quindi espressione della capacità negoziale dei soggetti pubblici – appare comunque fun-
zionale alla soddisfazione delle esigenze e dei bisogni pubblici. Si veda anche S. CIVITARESE
MATTEUCCI, Contributo allo studio del principio contrattuale nell’attività amministrativa, To-
rino, 1997, 98, il quale sottolinea la necessità di superare il «tradizionale criterio fondato
sulla mediatezza/immediatezza del rapporto tra attività dell’amministrazione e interesse
pubblico» al fine di distinguere l’attività di diritto privato da quella di diritto pubblico an-
che se esercitata in forme consensuali.
37 Come è stato evidenziato in dottrina, infatti, «la finalizzazione del contratto al per-
seguimento degli scopi dell’ente si confà sia ai contratti che direttamente perseguono que-
sti ultimi sia a quelli che li realizzano solo indirettamente, procurando all’ente i mezzi e i
beni a ciò necessari»: così, lucidamente, M. DUGATO, Atipicità e funzionalizzazione nell’at-
tività amministrativa per contratti, Milano, 1996, 19 ss., il quale propone il riferimento al
concetto di «attività amministrativa per contratti» per indicare ogni manifestazione dell’a-
gire negoziale della p.a. (29).
38 D’atra parte, come è stato evidenziato da E. BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione
nei contratti di diritto pubblico, Milano, 1996, 58, la distinzione tra contratti civilistici e
contratti di diritto pubblico si dovrebbe invece fondare, innanzitutto, su una precisa di-
stinzione di regime posto che «è palese che solo laddove tale regime giuridico sia suffi-
cientemente definito la categoria del contratto di diritto pubblico può risultare idonea a
svolgere le funzioni di ordine sistematico che le sono proprie: ad essere cioè strumento per
l’applicazione di regole simili a casi simili, e per l’applicazione di regole specifiche coerenti
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 235

Netta è, da questo punto di vista, la differenza tra il nostro ordi-


namento e i sistemi francese e tedesco, cui pure molto spesso si tende
a fare riferimento in chiave comparatistica. Tali modelli, infatti, pur
con le indubbie differenze, appaiono comunque caratterizzati da una
disciplina assolutamente chiara e stabile che si fonda su una consoli-
data elaborazione giurisprudenziale o su un intervento legislativo pun-
tuale. Ad esempio, in Francia, la giurisprudenza del Conseil d’État ha
elaborato – a partire dagli anni Trenta del secolo scorso – una vera e
propria “teoria generale dei contratti amministrativi”39 che si applica a
fattispecie e a ipotesi ormai sufficientemente chiare e definite (e su cui
vi è ampia condivisione a livello dottrinario)40; ma che, soprattutto, si
fonda su un regime radicalmente antitetico rispetto al diritto civile e in
grado di “piegare”, in chiave esorbitante, tutte le vicende consensuali
concernenti l’esercizio di una funzione o di un servizio pubblico41. Tale

con i principi di fondo della materia». Sul punto di veda anche G. MANFREDI, Accordi e
azione amministrativa, Torino, 2001, 78 ss., secondo cui in assenza di un regime giuridico
contrattual-pubblicistico ben definito qualunque tentativo di ibridazione delle categorie
giuridiche entro schemi e modelli intermedi, rischia di privare tali relazioni giuridiche di
quella necessaria esigenza di certezza e di stabilità del rapporto che dovrebbe comunque
contraddistinguere uno strumento che ambisce a porsi come vera alternativa al provvedi-
mento unilaterale.
39 Su cui già J. RIVERO, Droit administratif, Paris, 1960, 90 ss., il quale inseriva tali
contratti nel Titolo Terzo relativo a «Les actes de l’administration». Anche nella più recente
sistematica proposta da Y. GAUDEMET, Traité de droit administratif, XVI ed., Paris, 2001,
vol. I, 671 ss., i contratti amministrativi, pur essendo collocati in un Titolo separato ri-
spetto agli «Actes administratifs unilatéraux», continuano ad essere ricondotti all’interno
del Livre su «Les actes administratifs». Di recente, sulla teoria e la nozione di contratto am-
ministrativo, si veda L. RICHER, Droit des contrats administratifs, Paris, 2010, 15 ss.
40 Quanto al problema dell’ambito di estensione di tale categoria, si considerano am-
ministrativi innanzitutto quei contratti che sono definiti tali dalla legge: si vedano i casi di
«qualification par la loi» indicati da L. RICHER, ult. op. cit., 109 ss., tra cui assumono parti-
colare rilievo i contratti di appalto pubblico («marches des travaux publics») ricondotti en-
tro tale categoria dall’art. 2 della legge 2001-1168 dell’11 dicembre 2001: rispetto a tali
contratti, la giurisprudenza del Tribunal des conflits (5 juillet 1999, Commune de Sauve c/
Société Gestetner et Union des groupements d’achats publics (UGAP) c/ société SNC Activ
CSA) ha precisato che non è necessaria l’analisi degli indici giurisprudenziali. All’infuori di
tali ipotesi legislative, trovano applicazione «les critères jurisprudentiels» che sono ormai
chiaramente recepiti in tutte le trattazioni dottrinarie quale principale fonte di regolazione
dell’ambito di applicazione della fattispecie (si veda ancora L. RICHER, ult. op. cit., 90 ss.):
tra questi assume rilievo il criterio della presenza di «clauses exorbitantes du droit commun»
(criterio che viene fatto risalire a Conseil d’État, 31 juillet 1912 - Société des Granits des
Vosges); ma anche quello del «service public» o del «travail public». Infine, a partire da
Conseil d’État, 19 gennaio 1973, Société d’exploitation électrique de la rivière du Sant, un
contratto può comunque essere definito come amministrativo dal giudice sulla base dell’e-
sistenza di un «régime exorbitant du droit commun».
41 Il che giustifica la giurisdizione piena del Consiglio di Stato che, con riguardo ai
contratti di appalto, consente di assicurare la tutela dei terzi mediante la teoria dell’atto
236 ALFREDO MOLITERNI

disciplina, che è sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo,


costituisce il vero e proprio baricentro del sistema cui si riconducono
la maggior parte dei rapporti negoziali, anche di derivazione europea42.
Quanto all’ordinamento tedesco, una volta superatosi il problema
teorico dell’ammissibilità del contratto di diritto pubblico43, la legge
generale sul procedimento ha compiutamente regolato i negozi che in-
cidono sui «rapporti di diritto pubblico»44: la relativa disciplina legi-
slativa – per cui si applica in via integrativa il Codice civile e le norme
sul procedimento amministrativo – regola dettagliatamente tutti gli
aspetti e le vicende del rapporto, come il regime di invalidità e la posi-
zione a dei terzi45. Tuttavia, a differenza del contrat administratif, non è
possibile parlare di un regime effettivamente esorbitante rispetto al di-
ritto comune, nonostante sia riconosciuto un potere di recesso del-

«détachable», il cui annullamento, tuttavia, non comporta generalmente la caducazione del


contratto: su tale teorica L. RICHER, ult. op. cit., 177 ss.
42 Va tuttavia evidenziato che, nonostante i profili di indubbia specialità del con-
tratto amministrativo, a fronte dell’esercizio dei poteri esorbitanti sono state previste in fa-
vore del privato alcune regole molto importanti a tutela dell’equilibrio finanziario del con-
tratto, che rappresentano «la contre-partie des prérogatives de l’administration» (così, J. RI-
VERO, Droit administratif, cit., 103): sul tema, di recente, L. RICHER, ult. op. cit., 257 ss. ove
sono chiaramente graduate tutte le possibili conseguenze patrimoniali a seconda che il rap-
porto cessi per «faite du prince», ovvero per responsabilità del privato, o per fatto fortuito
e imprevisto o, infine, come normale sviluppo dell’alea del negozio.
43 Come è noto, nell’originaria prospettiva di Otto Mayer (O. MAYER, Zur Lehere von
öffentlichrechtlichen Verträge, in Archiv für Öffentliches Recht, 3, 1888, 3 ss. e 9 ss.) la pa-
rità delle parti presupposta alla nozione di contratto sarebbe stata inconcepibile nel caso
dei rapporti pubblicistici, considerato che la pienezza di poteri dell’autorità statale avrebbe
dovuto sempre consentirle di intervenire sulla posizione giuridica dell’amministrato e,
quindi, di modificare unilateralmente l’assetto del rapporto.
44 Il cuore dell’istituto è rappresentato dalla presenza di quel «rapporto giuridico
nell’ambito del diritto pubblico» («Ein Rechtsverhältnis auf dem Gebiet des öffentlichen
Rechts») individuato quale punto di riferimento dal par. 54 della legge sul procedimento
ove si regolano le condizioni di ammissibilità di tale contratto («Zulässigkeit des öffentlich-
rechtlichen Vertrags»): tra i modelli di riferimento vi è il contratto di transazione (Ver-
gleichsvertrag) – finalizzato, ai sensi del par. 55, alla stabilizzazione di situazioni giuridiche
di diritto pubblico «incerte» attraverso una reciproca cessione – e il contratto di scambio
(Austauschvertrag) che, ai sensi par. 56, può essere concluso «se la controprestazione è pre-
vista nel contratto per uno scopo determinato e favorisce l’autorità nell’adempimento dei
suoi compiti pubblici»: anche su tali profili, si veda E. SCHMIDT-ASSMANN, Das allgemeine
Verwaltungsrechts als Ordnungsidee, Berlin-Heidelberg, 2006, 341 ss.
45 In particolare, per quanto concerne l’invalidità, il par. 59 (1) della legge sul pro-
cedimento – a conferma della chiara natura contrattuale dell’istituto – fa innanzitutto rife-
rimento alle ipotesi di nullità del codice civile: e, quindi, anche a tutte le ipotesi relative al
vizio del consenso; per i contratti che si stipulano con i privati, il par. 59 (2) richiama an-
che le ipotesi di invalidità dell’atto amministrativo (par. 44). Con riguardo alla tutela dei
terzi, il par. 58 prevede che il contratto di diritto pubblico che incida sulla posizione dei
terzi possa divenire efficace solo se «il terzo lo approvi per iscritto».
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 237

l’amministrazione «per evitare o eliminare gravi pregiudizi al bene co-


mune»46. Ma soprattutto, diversamente dall’ordinamento francese, al
di fuori degli stretti e rigorosi ambiti di applicazione del contratto di
diritto pubblico47, vi è una larga e chiara applicazione degli strumenti e
dei principi privatistici che, anche per i contratti di derivazione euro-
pea, vedono la cognizione del giudice ordinario.
Una simile chiarezza e linearità non appare invece caratterizzare il
nostro ordinamento, ove molti rapporti negoziali continuano ad essere
problematicamente sospesi tra il diritto pubblico e il diritto privato e
ove non si è comunque pervenuti all’elaborazione di una disciplina ge-
nerale sul contratto di diritto pubblico, stante anche le incertezze sol-
levate dalla disciplina degli accordi amministrativi di cui all’art. 11 (su
cui, infra, par. 3)48.
D’altra parte, va evidenziato che i molteplici interventi normativi
che si sono susseguiti negli ultimi anni non hanno contribuito a supe-

46 Così, al par. 60 (1), il quale, tuttavia, prima di prevedere tale potere eccezionale di-
sciplina le condizioni che consentono alle parti di adeguare e modificare consensualmente
il regolamento negoziale in ragione del mutamento delle condizioni di fatto o di diritto su
cui si è fondato l’equilibrio sinallagmatico originario: è quindi esclusa la possibilità di rico-
noscere in capo alla parte pubblica uno ius variandi e, soprattutto, lo stesso adeguamento
viene a configurare un vero e proprio diritto del contraente che sia stato leso dalla soprav-
venienza, come dimostra il fatto che lo stesso, in caso contrario, potrebbe sciogliersi unila-
teralmente dal rapporto.
47 Quanto al concreto ambito di utilizzo dell’istituto – sebbene sia la stessa legge sul
procedimento ad individuare il concetto di rapporto giuridico di diritto pubblico (parr. 1
e 9) – nei casi in cui risulti difficile ricostruire la natura del rapporto (perché ad esempio
l’oggetto è suscettibile di essere regolato da un atto privatistico), la dottrina ha fatto riferi-
mento, tra le altre cose, anche al fatto che si applichino determinate regole speciali di di-
ritto pubblico, ovvero che sia presente un obbligo di emanare un determinato atto ammi-
nistrativo o, infine, che dal rapporto siano sorti diritti e obblighi di natura pubblica: anche
su tali profili, tra i contributi specifici successivi all’entrata in vigore della legge, si vedano
H. MAURER, Der Verwaltungsvertrag - Probleme und Möglichkeiten, in DVBl, 1989, 789 ss.;
H. MAURER, B. BARTSCHER, Die Praxis des Verwaltungsvertrags im Spiegel der Rechtspre-
chung, 2 vol., Konstanz, 1997; W. HÖFLING, G. KRINGS, Der verwaltungsrechtliche Vertrag:
Begriff, Typologie, Fehlerlehre, in JuS, 2000, 505 ss.; F. REIMER, Mehrseitige Verwaltungsver-
träge, in VerwArch. Bd., 2003, 543 ss.; M. WERNER, Allgemeine Fehlerfolgenlehre für den
Verwaltungsvertrag, Baden-Baden, 2008. Nella dottrina italiana, si veda in particolare A.
MASUCCI, Trasformazioni dell’amministrazione e moduli convenzionali. Il contratto di diritto
pubblico, Napoli, 1988.
48 D’altra parte, l’incertezza della disciplina interna, e la grande lontananza dalle ca-
tegorie consensuali del diritto tedesco e francese, è confermata anche dal fatto che, con ri-
guardo agli stessi accordi amministrativi, non sono mancate ricostruzioni – soprattutto
dottrinarie – che anche di recente hanno cercato di dimostrare la possibilità di applicare
alla fase esecutiva di tali rapporti quasi tutte le norme di diritto privato in materia di ob-
bligazioni e contratti: in questo senso, M. RENNA, Il regime delle obbligazioni nascenti dal-
l’accordo amministrativo, in Dir. amm., 2010, 27 ss.
238 ALFREDO MOLITERNI

rare il disordine e l’opacità del sistema: il che si deve ricondurre anche


al fatto che molti dei limiti concretamente imposti all’attività negoziale
dei pubblici poteri sono stati introdotti in occasione degli interventi di
riduzione della spesa o di contrasto a fenomeni corruttivi e, quindi, al
di là di una logica di intervento sistematico in materia di diritto privato
dell’amministrazione pubblica49. Da questo punto di vista, l’attività ne-
goziale ha rappresentato il “veicolo” o l’occasione per perseguire
obiettivi di rilievo pubblico di carattere spesso contingente.
Ma anche nell’ambito delle leggi generali e degli interventi più or-
ganici in materia (come quello del recente Codice dei contratti pub-
blici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) emergono molteplici incer-
tezze di “sistema” che si ripercuotono sulla concreta disciplina appli-
cabile, soprattutto per quanto attiene l’esatto ambito di applicazione
della normativa. Problematica è l’estensione della normativa europea
ad alcuni contratti attivi della p.a. (come quelli aventi ad oggetto i beni
pubblici o le dismissioni), nonostante l’operatività – ai sensi dell’art. 4
del Codice – di principi comuni a qualsiasi contratto pubblico. Ma so-
prattutto è ancora incerta la possibilità di applicare le norme e i prin-
cipi del Codice dei contratti pubblici a figure negoziali che, sul piano
interno, sono state tradizionalmente in chiave di forte specialità: si
pensi solo all’incerto rapporto che intercorrere tra molte figure con-
cessorie di lavori e servizi pubblici già conosciute nel nostro ordina-
mento e la disciplina del “contratto di concessione” ora regolata pie-
namente dal diritto europeo.
In sostanza, siamo dinanzi ad un contesto normativo che non
aiuta a superare, ma anzi favorisce, molte delle incertezze e delle con-
traddizioni che si riscontrano nella concreta ricostruzione dei diversi
rapporti giuridici negoziali della p.a.: i limiti pubblicistici all’applica-
zione del diritto privato si fondano prevalentemente su criteri eteroge-
nei e su esigenze contingenti, spesso affidati a norme scarsamente coor-
dinate tra di loro che accentuano (e non risolvono) le tradizionali diffi-
coltà dell’interprete50.

49 Per una ricognizione di tali limiti sia consentito il rinvio a A. MOLITERNI, Ammini-
strazione consensuale e diritto privato, cit., 114 ss.
50 Come sottolineato già da G. MANFREDI, Accordi e azione amministrativa, cit., 49, il
sintomo «della persistenza del pregiudizio anticontrattuale» troverebbe manifestazione an-
che nell’atteggiamento che conduce la scienza giuspubblicistica a evitare di qualificare
come contratti gli strumenti negoziali che si riscontrano in molti settori tradizionalmente
definiti come pubblici, «preferendosi di volta in volta, quasi con voluta imprecisione, fare
ricorso a vocaboli che evocano la nozione di contratto ma che non implicano una chiara e
inequivoca scelta definitoria».
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 239

3. L’incerto regime e il variabile ambito di estensione degli accordi am-


ministrativi
Una delle principali difficoltà in cui si imbatte l’interprete che vo-
glia analizzare il sistema dei contratti pubblici nel nostro ordinamento
attiene all’incerta ricostruzione del regime e dell’ambito di applica-
zione degli accordi amministrativi per cui si assiste ad un problematico
intreccio tra la “logica” civilistica dell’adempimento e quella pubblici-
stica della funzione, fondata sul paradigma dell’eccesso di potere51.
D’altra parte, l’art. 11 della l. 241/1990 non ha offerto una solida
base teorica per la costruzione di una disciplina giuridica stabile e ben
definita, stante anche le grandi incertezze che caratterizzano la con-
creta formulazione della norma52. Né la giurisprudenza è riuscita a sup-
plire a tale situazione rendendosi artefice della costruzione di un re-
gime negoziale realmente autonomo rispetto a quello del codice civile,
come le era consentito dalla stessa “clausola di compatibilità” di cui al-
l’art. 11 (e come è invece avvenuto in Francia per i contrats administra-
tifs rispetto ai quali il Conseil d’État è vero «maître de sa jurispru-
dence»53). In sostanza, l’art. 11 ha soltanto eliminato l’ostacolo formale
alla negoziabilità del potere e alla sostituzione di moduli unilaterali con
moduli negoziali, ma non ha affatto contribuito a definire un sistema
negoziale di diritto pubblico54: il che, peraltro, appare confermato dal

51 Si tratta di un profilo ben sottolineato – ancorché con riguardo ai soli rapporti ad


oggetto pubblico – da E. BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione, cit., 157 ss., il quale guarda
con favore all’intreccio tra la «logica della funzione amministrativa» – cioè «la logica della
inesauribilità del potere e della costante strumentalità ai pubblici interessi delle scelte in
cui si concreta» – e la «la logica del contratto» che comporta la sussistenza di relazioni
«realmente vincolanti per entrambe le parti del rapporto» (260 ss.).
52 Basti pensare che attorno ad ogni singola disposizione della norma sono emerse
interpretazioni completamente difformi: così per il riferimento all’assenza di un «pregiudi-
zio dei diritti dei terzi», al necessario «perseguimento del pubblico interesse», al richiamo
ai soli «principi» (e alla “clausola di compatibilità” ivi prevista), alla sottoposizione ai «me-
desimi controlli» del provvedimento, nonché al «recesso per sopravvenuti motivi di pub-
blico interesse».
53 Sul punto, M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2017, 311, il
quale sottolinea la centralità che dovrebbe acquisire la giurisprudenza nella costruzione del
regime degli accordi amministrativi: e ciò anche alla luce dell’esperienza dei contrats admi-
nistratifs, ove il giudice amministrativo è vero «maître de sa jurisprudence» rispetto alle mo-
dalità di utilizzo del diritto privato per ricostruire il regime di tali strumenti.
54 Il più delle volte, la giurisprudenza si limita a sottolineare la non riconducibilità
degli accordi al contratto di diritto privato, senza tuttavia precisare in cosa si concretizzi,
da un punto di vista del regime giuridico, tale diversità. Da questo punto di vista, come
sottolineato da G. MANFREDI, Accordi e azione amministrativa, cit., 78, anche dopo l’entrata
in vigore dell’art. 11 le figure contrattuali che si ha timore di ricondurre pienamente nel-
l’alveo del diritto privato continuano a rimanere caratterizzate da «una gravissima indeter-
240 ALFREDO MOLITERNI

fatto che il richiamo a tale norma non rappresenta la sola tecnica di li-
mitazione del diritto privato utilizzata dalla giurisprudenza per valoriz-
zare la “pubblicità” del rapporto, continuando a rinvenirsi nel diritto
vivente diverse ricostruzioni che, a fini diversi, richiamano anche il mo-
dello a “doppio-grado”55.
D’altra parte, molte delle difficoltà di definire una disciplina giu-
ridica compiuta dei negozi di diritto pubblico sono da ricondursi non
solo alle incertezze della norma dal punto di vista del regime applica-
bile, ma, soprattutto, all’incerto rapporto tra l’art. 11 e le preesistenti
discipline settoriali relative ai c.d. “accordi necessari tipici”56: da que-
sto punto di vista, l’art. 11 è stato talvolta inteso come una sorta di
“contenitore” privo di una connotazione giuridica pregnante ed entro
cui far confluire le più diverse fattispecie negoziali che si rivelassero in
qualche modo incompatibili – sulla base di ragioni e presupposti di-
versi – con un regime integralmente privatistico57. E così recentemente
si è ribadito che alla fattispecie di cui all’art. 11 sarebbero sia da ricon-
dursi rapporti negoziali “non patrimoniali” incidenti sull’esercizio del
potere discrezionale, sia tutti quei rapporti negoziali di tipo patrimo-
niale – variamente denominati – aventi ad oggetto un bene pubblico:
per entrambe le fattispecie opererebbe comunque la clausola limitativa
dell’applicazione dei soli principi in materia di obbligazione e contratti
sancita dall’art. 1158.

minatezza, dato che rimane incerta sia la loro qualificazione, sia l’individuazione della
disciplina applicabile».
55 Come chiarito di recente da Cons. St., sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256, all’art. 11
sono da ricondursi anche le convenzioni «che accedono all’esercizio di potestà ammini-
strativa (anche latamente) concessoria»; e tuttavia, in tali casi l’applicazione delle disposi-
zioni in tema di obbligazioni e contratti «presuppone pur sempre la persistenza (ed imma-
nenza) del potere pubblico, dato che l’atto fondativo del rapporto tra amministrazione e
privato non è la convenzione, bensì il provvedimento, rispetto al quale la prima rappre-
senta solo uno strumento ausiliario, idoneo alla regolazione (subalterna al provvedimento)
di aspetti patrimoniali del rapporto, nell’ambito di una più ampia finalità di pubblico inte-
resse che ispira l’azione amministrativa».
56 La dottrina che ha meglio approfondito tali tematiche ha, in questa prospettiva,
attribuito valenza generale all’art. 11, entro cui sarebbero ricompresi i c.d. «accordi neces-
sari “tipici”», e cioè tutti quei casi di «convenzioni e contratti già tipizzati dalle discipline
di settore e non posti in alternativa al provvedimento»: così G. GRECO, Accordi ammini-
strativi tra provvedimento e contratto, Torino, 2003, 159.
57 In senso critico rispetto «all’enfasi con la quale si tende troppo spesso a sottoli-
neare la rilevanza giuridica degli accordi di cui all’art. 11», si veda A. ROMANO, Riflessioni
dal convegno: autoritarietà, consenso e ordinamento generale, in Annuario AIPDA 2011, cit.,
380.
58 Si veda Cons. St., n. 2256/2017, ove si chiarisce che «sotto la comune dizione di
“accordi”, sono richiamati (e succintamente disciplinati) sia moduli più propriamente pro-
cedimentali, cioè attinenti alla definizione dell’oggetto dell’esercizio del potere provvedi-
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 241

Tuttavia, lo stesso richiamo all’art. 11 non ha consentito di risol-


vere le numerose incertezze e incoerenze che hanno tradizionalmente
caratterizzato la disciplina di molti rapporti ad “oggetto pubblico”,
contribuendo spesso solo a regolare il riparto di giurisdizione59. Per
molti di questi rapporti – incidenti direttamente sull’esercizio di fun-
zioni o su oggetti pubblici in materia di urbanistica, servizi pubblici,
beni pubblici, incentivi e programmazione economica – emerge infatti
una forte frizione tra la logica funzionale e quella negoziale60: la posi-
zione del privato può essere sempre incisa dall’esercizio di poteri rico-
struiti in chiave discrezionale – e sottoposti al regime dell’atto ammini-
strativo – fino al punto di ritenere che la situazione soggettiva sorta dal
negozio consista solo in un «diritto condizionato»61. Come ha recente-

mentale, sia accordi con contenuto più propriamente contrattuale, veri e propri contratti
ad oggetto pubblico – secondo una definizione comunemente invalsa – in quanto discipli-
nanti aspetti patrimoniali connessi all’esercizio di potestà. La presenza contemporanea
delle due figure rende distinta e, per così dire, “asimmetrica” l’applicazione delle stesse
norme desumibili dall’art. 11, quali, in particolare, il comma 2, relativo all’applicabilità dei
principi del codice civile in tema di obbligazioni e contratti, ovvero il comma 4, concer-
nente la possibilità offerta alla P.A. di recesso dall’accordo. Per un verso, dunque, la gene-
rale disciplina dell’art. 11 trova applicazione (anche) nel caso di “convenzioni” con conte-
nuto patrimoniale, afferenti tuttavia al previo esercizio di potestà (quegli atti bilaterali che
sono ordinariamente ricondotti alla categoria definita come “contratti di diritto pubblico”
o “a oggetto pubblico”); per altro verso, essa deve applicarsi anche ad ipotesi in cui, difet-
tando ogni “substrato patrimoniale”, il richiamo – ad esempio – alla applicabilità dei prin-
cipi del codice civile in tema di obbligazioni e contratti, risulta avere un ambito di appli-
cazione se non nullo, certamente più ristretto».
59 In assenza di un sistema chiaro e ben definito sul regime applicabile, i principali
tentativi ricostruttivi di un modello generale di consensualità amministrativa per i c.d. rap-
porti “ad oggetto pubblico” finiscono comunque per dare prevalenza alla logica pubblici-
stica attraverso la previsione di poteri discrezionali esorbitanti ed eccezionali o, comunque,
estendendo il regime tipico dell’atto amministrativo per garantire la funzionalità e l’impu-
gnabilità dei terzi (si veda in questo senso E. BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione, cit., 157
ss.). Isolati appaiono, invece, i tentativi di valorizzare maggiormente la dimensione parite-
tica della norma sugli accordi, sottolineando ad esempio che essa sarebbe una “norma
ponte” verso l’ordinamento civilistico (S. CIVITARESE MATTEUCCI, Contributo allo studio,
cit., 147 ss.), ovvero valorizzando più nettamente, in maniera non dissimile da quanto ge-
neralmente avvenuto per i rapporti a “doppio grado”, la presenza di uno «iato» tra il mo-
mento pubblicistico, costitutivo del rapporto, e quello dell’esecuzione dello stesso da cui
sarebbero sorte ordinarie obbligazioni (M. RENNA, Il regime delle obbligazioni, cit., 27 ss.).
60 D’altra parte, in dottrina, proprio con riguardo a tali rapporti si è ammesso che le
regole e i rimedi civilistici possano essere derogati non solo da specifiche previsioni di
legge, ma anche in ragione del contrasto con le esigenze di funzionalizzazione: così E.
BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione, cit., 176, secondo cui anche l’art. 1372 deve essere sot-
toposto al vaglio di compatibilità «con le peculiari esigenze pubblicistiche connesse ai rap-
porti in questione, e con i principi speciali che di esse sono espressione» (177).
61 TAR Lazio, Roma, sez. II, 21 giugno 2011, n. 5535, ove si precisa il rapporto con-
cessorio su beni pubblici «implica sempre l’attribuzione al privato di un diritto condizio-
242 ALFREDO MOLITERNI

mente chiarito il giudice amministrativo con riferimento ad una con-


venzione urbanistica, «nei casi di contratto ad oggetto pubblico la
Pubblica amministrazione mantiene comunque la sua tradizionale po-
sizione di supremazia; tali contratti non sono disciplinati dalle regole
proprie del diritto privato, ma meramente dai principi del codice civile
in materia di obbligazioni e contratti, sempre in quanto compatibili e
salvo che non sia diversamente previsto»62.
Particolarmente critica è la situazione relativamente ai rapporti
consensuali sui beni pubblici, ove pure si continua ad avvertire come
prioritaria la necessità di assicurare poteri pubblicistici di controllo sul
rapporto, a prescindere da specifiche disposizioni di legge63. Proprio in
ragione di ciò, ad esempio, si è legittimata l’operatività di un potere ge-
nerale di recesso per motivi di pubblico interesse anche con riguardo a
beni del patrimonio disponibile, in virtù della riconduzione del con-
tratto di affitto al modello dell’accordo amministrativo64. Parimenti,
con riguardo alla locazione di un bar in un edificio pubblico, l’atto di
disdetta della parte pubblica non è stato ricondotto al recesso civili-
stico ma ad «un provvedimento amministrativo di sostanziale revoca»,
con conseguente sottoposizione dello stesso al sindacato sull’eccesso di
potere65.

nato, che può essere unilateralmente soppresso dall’amministrazione stessa con la revoca
dell’atto di concessione, in caso di contrasto con il prevalente interesse pubblico».
62 Così Cons. St., n. 2256/2017, ove si sottolinea il fatto che, con riguardo a tali rap-
porti, «la giurisprudenza – certamente escludendo una acritica applicazione delle norme
del codice civile – ha avuto modo di affermare: – che l’impegno assunto dall’amministra-
zione attraverso l’accordo non può risultare vincolante in termini assoluti, in quanto esso
riguarda pur sempre l’esercizio di pubbliche potestà (Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2001,
n. 354); – che il c.d. “autovincolo” derivante all’amministrazione da un accordo può per-
dere successivamente consistenza a seguito del confronto delle posizioni caratterizzanti le
fasi successive del procedimento (Cons. St., sez. IV, 9 novembre 2004 n. 7245)».
63 Peraltro, tale tendenza alla pubblicizzazione dei rapporti convenzionali in materia
di beni pubblici opera anche a discapito della stessa volontà manifestata dalle parti: se-
condo Cons. St., sez. IV, 1 marzo 2010, n. 1167, ad esempio, «l’attribuzione ai privati di
beni del demanio o del patrimonio indisponibile, qualunque sia la terminologia adottata
nella convenzione ed ancorché essa abbia connotazioni privatistiche è riconducibile esclu-
sivamente alla figura della concessione».
64 Così TAR Toscana, Firenze, sez. II, 30 dicembre 2011, n. 2077, là dove – relativa-
mente al «contratto di affitto stipulato da un Comune ed avente a oggetto la cessione dello
sfruttamento di agri marmiferi in favore di terzi» – si afferma che «la oggettiva finalità di
interesse pubblico sottesa allo sfruttamento di una cava di marmo implica necessariamente
l’esercizio dei corrispondenti poteri pubblicistici da parte dell’ente proprietario della cava,
a prescindere dall’acquisizione della cava stessa al patrimonio disponibile».
65 In questo senso Cons. St., sez. V, 15 novembre, 2010, n. 8040 ha valorizzato il
fatto che l’amministrazione non avrebbe adeguatamente motivato l’atto di scioglimento
alla luce del pubblico interesse.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 243

Ma anche con riguardo ai rapporti consensuali in materia di servi-


zio pubblico, le vicende concernenti la fase esecutiva – ancorché larga-
mente dominate e permeate nella prassi dalle regole che governano le
obbligazioni contrattuali66 – risultano ancora in larga parte “intrec-
ciate” alle vicende del potere discrezionale, soprattutto al fine di ga-
rantire la possibilità per l’amministrazione di sottrarsi unilateralmente
al rapporto obbligatorio e, al tempo stesso, di porre in essere un più in-
tenso controllo sullo svolgimento dell’attività del concessionario67. In
questa prospettiva, atti formalmente e strutturalmente negoziali sono
sottoposti al regime amministrativo nonostante la loro adozione sia es-
senzialmente fondata sull’accertamento di inadempienze del privato68:
e tuttavia, appare difficile conciliare nell’ambito di un unico rapporto
convenzionale l’«applicazione piena ed integrale delle regole civilisti-
che in materia di imputabilità dell’inadempimento, di prova del danno
cagionato e di congruità e proporzionalità della relativa penalizza-
zione» con la legittimazione di un potere discrezionale del soggetto
pubblico nell’irrogazione della penale69. In sostanza, la logica dell’a-

66 Sul punto appare significativa la sentenza Cons. St., sez. IV, 23 dicembre 2010, n.
9347, in materia di adempimento di un rapporto concessorio di pubblico servizio relativo
all’installazione e alla manutenzione degli apparecchi da gioco lecito, ove si precisa che
nella fase di esecuzione del rapporto convenzionale «debbano trovare applicazione piena
ed integrale le regole civilistiche in materia di imputabilità dell’inadempimento» e che il
rapporto concessorio debba essere assoggettato alle «comuni regole civilistiche in tema di
adempimento-inadempimento, nonché di obblighi di buona fede delle parti del contratto
(art. 1375 c.c.)».
67 Sul punto si veda TAR Lazio, Roma, sez. II, 26 novembre 2009, n. 11851, che ha
legittimato la coesistenza di un potere discrezionale di irrogazione delle penali con la
«piena ed integrale applicazione delle regole civilistiche in materia di imputabilità dell’ina-
dempimento, di prova del danno cagionato e di congruità e proporzionalità della relativa
penalizzazione», riconducendo a tal fine la convenzione concessoria all’accordo ammini-
strativo di cui all’art. 11.
68 Incertezze emergono, da questo punto di vista, rispetto alla natura dei poteri di
scioglimento, ancorché previsti dal regolamento negoziale sulla base di clausole risolutive
espresse: si veda TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 6 luglio 2009, n. 1230; ma soprattutto con
riguardo alla possibilità di irrogare una penale in caso di inadempimento del concessiona-
rio che sarebbe rimesso all’esercizio della «potestà discrezionale dell’amministrazione con-
cedente, e, indi, dell’esercizio di funzioni autoritative, non investenti l’area dei diritti sog-
gettivi»; in tali ipotesi «la controversia radica specificamente la verifica di legittimità delle
modalità con le quali detta potestà è stata esercitata» (così TAR Lazio, sez. II, 14 aprile,
2008, n. 3173).
69 Come sostenuto, invece, con riferimento alle penali in un rapporto concessorio di
servizio pubblico da Cons. St., sez. V, 20 maggio 2011, n. 3023. D’altronde, anche secondo
la Cassazione (sez. un., 17 maggio 2013, n. 2111), «l’applicazione al gestore del trasporto
pubblico di una “penale” da parte dell’amministrazione concedente, ancorché il relativo
potere sia previsto in un atto qualificato “contratto”, non costituisce espressione di una fa-
coltà improntata ad un rapporto paritario, ma attenga all’esplicazione di quegli specifici
244 ALFREDO MOLITERNI

dempimento contrattuale viene inevitabilmente a collidere con il rico-


noscimento di un potere che può essere attivato sulla base di presup-
posti anche differenti da quelli strettamente negoziali e che, soprat-
tutto, sarà sottoposto ad un controllo del giudice sulla base di criteri e
parametri anche diversi da quelli volti a verificare l’esistenza delle ina-
dempienze e la correttezza negoziale dei comportamenti assunti70.
D’altra parte, a conferma delle incertezze e delle tensioni tra la logica
negoziale e quella funzionale, va evidenziato che non mancano casi in
cui la giurisprudenza ha invece ricondotto l’intero rapporto negoziale
in materia di servizi pubblici al vero e proprio contratto di appalto
pubblico71.
Molte incertezze continuano altresì a caratterizzare anche altri
rapporti consensuali (come quelli in materia urbanistica) ove pure non
vi è un problema di riparto di giurisdizione, stante la sicura operatività
della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativa su tutte le fasi
del rapporto. Esemplificativa di tale tendenza è una recente pronuncia
del Consiglio di Stato in materia di convenzioni urbanistiche che, dopo
aver ricondotto una convenzione urbanistica agli accordi amministra-
tivi, ha escluso la possibilità di ricostruire le clausole penali contrat-
tualmente previste – e stabilite peraltro anche dalla legge – come delle
penali privatistiche, essendo invece espressione di un potestà sanziona-
toria di tipo pubblicistico72: secondo il giudice, infatti, a differenza di

poteri di vigilanza e controllo sulla corretta gestione del servizio pubblico, come tale costi-
tuente l’irrogazione di una vera e propria sanzione».
70 In questa prospettiva non appare comprensibile la distinzione funzionale che è
stata fatta tra le penali civilistiche e quelle pubblicistiche da Cons. St., sez. III, 13 novem-
bre e 4 dicembre 2007, parere n. 3926: mentre infatti lo scopo delle clausole penali civili-
stiche sarebbe «quello di liquidare preventivamente il danno e, contemporaneamente,
avere un mezzo indiretto di coazione inteso ad assicurare l’adempimento dell’obbliga-
zione», nell’ambito delle convenzioni concessorie la penale avrebbe «solo una funzione
coercitiva indiretta, essendo essa indipendente dalla sussistenza o meno di un danno effet-
tivo, ed operando ogniqualvolta si verifichi il dato obiettivo dell’inadempimento».
71 Come nel caso della gestione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi
urbani (Cass., sez. un., ord. 22 agosto 2007, n. 17829).
72 Si tratta della già citata pronuncia Cons. St., n. 2256/2017, ove si precisa che «l’i-
stituto della “penale”, presente nelle ipotesi di esercizio di potere amministrativo amplia-
tivo della sfera giuridica dei privati (non solo, dunque, nelle ipotesi di esercizio di potere
concessorio, ma anche autorizzatorio), ha certamente natura sanzionatoria e salvaguarda il
raggiungimento delle finalità di pubblico interesse sottese all’esercizio del potere». E in-
fatti, secondo il giudice amministrativo, «pur nella consapevolezza della controversa na-
tura, anche nell’ambito dei contratti e rapporti tra privati, della clausola penale prevista
dall’art. 1382 c.c., – se cioè essa abbia solo funzione rafforzativa del vincolo contrattuale e
di liquidazione in via preventiva e forfettaria del danno (in tal senso, Cass., sez. V, 27 set-
tembre 2011, n. 19702; sez. I, 22 settembre 2011, n. 19358), ovvero anche natura sanzio-
natoria, come è pur sostenibile argomentando (anche) dalla affrancazione della penale
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 245

quanto si verifica nei rapporti privatistici, in tali ipotesi «il bene giuri-
dico inciso non è, dunque, il patrimonio della pubblica amministra-
zione, bensì il più generale interesse pubblico che costituisce ad un
tempo la ragione causale della concessione/convenzione ed il fine al
quale deve essere orientata l’azione del privato (al di là delle ovvie fi-
nalità individuali)»; in questa prospettiva, «la penale costituisce la san-
zione per la lesione arrecata all’interesse pubblico, quell’interesse –
come si è detto – che sorregge sul piano motivazionale l’adozione
stessa del provvedimento e/o la stipula della convenzione»73. Tale pro-
nuncia assume un rilievo paradigmatico del più generale approccio del
giudice amministrativo al tema dei contratti pubblici anche perché,
con essa, il giudice di appello giunge a riformare la sentenza di primo
grado solo ed esclusivamente al fine di prospettare una ricostruzione
marcatamente pubblicistica del rapporto (e in particolare delle clau-
sole penali), nonostante ciò non fosse in alcun modo necessario ai fini
dell’esito finale del giudizio che ha visto comunque confermato il ri-
getto delle contestazioni dei privati già stabilito dal giudice di primo
grado, a dispetto della qualificazione privatistica della penale irrogata
dal Comune74: il che, peraltro, conferma in maniera evidente la ten-
denziale neutralità delle tecniche rispetto all’esigenza di assicurare la
migliore tutela dell’interesse pubblico (su cui, infra, par. 7).

4. Le incertezze nella fase esecutiva dei contratti pubblici tra diritto na-
zionale e diritto europeo: il problema dell’autotutela
Anche al di là degli accordi amministrativi e dei rapporti ad og-
getto pubblico, il regime giuridico dei contratti pubblici si caratterizza
dalla prova del danno subito – appare evidente la difficile applicazione (nei limitati sensi
di liquidazione preventiva e forfettaria del danno) dell’istituto ai contratti di diritto pub-
blico, nei quali sia la causa che l’oggetto sono conformati dalla finalità di pubblico inte-
resse perseguita dall’amministrazione (ed in certa misura, anche dal privato contraente)
per il tramite dell’accordo».
73 In sostanza, secondo Cons. St., n. 2256/2017, la penale «non si lega in via esclu-
siva e diretta al danno per inadempimento dell’obbligazione e dunque per mancanza della
prestazione economicamente valutabile, che si era tenuti a rendere, ma si collega innanzi
tutto alla mancata realizzazione della finalità di pubblico interesse che governa l’azione
della pubblica amministrazione e che, come si è detto, conforma diversamente anche la
causa del contratto. In altre parole, e se si intende riguardare la penale dal punto di vista
dell’accordo/contratto, l’evento illecito (frutto di azione e/o omissione del privato con-
traente) non incide sull’adempimento dell’obbligazione e, dunque, sul contenuto contrat-
tuale (come nel caso dell’art. 1382 c.c.), bensì, ex post, sulla causa del contratto, e dunque
sulla “funzione obiettiva economico-sociale del negozio” per come conformata dalla stru-
mentalità dello stesso al raggiungimento di finalità di pubblico interesse, che legittimano
l’agire della pubblica amministrazione ed il conferimento di potere alla medesima».
246 ALFREDO MOLITERNI

per l’incerta operatività dei principi e delle regole del diritto privato
che, in molti casi, rischia di vanificare le stesse ragioni sottese all’uti-
lizzo degli strumenti negoziali da parte dell’amministrazione. Ciò si ve-
rifica, innanzitutto, in virtù dell’attribuzione di una valenza “forte” alla
procedura amministrativa che precede la stipula del contratto, con
conseguente subordinazione del regime negoziale a quello pubblici-
stico ad esso presupposto75. Ma la giurisprudenza non manca di valo-
rizzare la specialità della disciplina che caratterizzerebbe tali contratti
anche dopo la stipula del contratto, in ragione dell’incidenza dell’inte-
resse pubblico sulla causa e sull’oggetto del rapporto76.
In questa prospettiva, molte incertezze riguardano soprattutto la
ricostruzione dei diversi poteri sanzionatori e di controllo che contrad-
distinguono l’esecuzione e la gestione dei contratti pubblici77. In parti-
colare, non mancano interpretazioni che tentano di ricostruire molti
dei poteri affidati alla parte pubblica in chiave discrezionale e autorita-
tiva, valorizzando, talvolta, la speciale funzione di controllo sui requi-
siti soggettivi del contraente privato, altre volte la peculiare finalità
pubblicistica dell’intervento, altre volte ancora la peculiarità della di-
sciplina procedimentale che ne regola l’esercizio: per questa via, la giu-

74 Così ancora Cons. St., n. 2256/2017, ove si precisa che la parziale fondatezza del-
l’appello non comporta «la riforma della sentenza impugnata, ma solo la sua conferma con
diversa motivazione, posto che – pur riconosciuta la natura pubblicistica degli accordi, del
potere esercitato, della penale e degli atti di sua irrogazione – i motivi riproposti proprio
sulla base di tali presupposti (sub lett. a) in parte e sub lett. da a1) ad a5) dell’esposizione
in fatto), risultano comunque infondati».
75 D’altra parte, la disciplina strutturale dell’evidenza pubblica è stata richiamata an-
che al fine di sindacare la legittimità della scelta dell’ente pubblico di istituire una società:
si veda Cons. St., ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10.
76 Come chiarito da Cons. St., sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3653, anche nei contratti
ad evidenza pubblica «una volta scelto il contraente, il contratto stipulato successivamente
alla fase di evidenza pubblica non rifluisce “immediatamente” nella più generale disciplina
del codice civile e delle ulteriori disposizioni che eventualmente regolano il rapporto pa-
trimoniale consensualmente instaurato tra privati. Ciò è a tutta evidenza negato dalla stessa
presenza di una (copiosa) disciplina speciale che normalmente assiste il momento genetico
e quello funzionale del contratto, e che non può che giustificarsi se non in ragione della
“particolare natura” dello stesso; laddove tale “particolare” natura non è costituita dall’es-
servi la pubblica amministrazione quale soggetto contraente, bensì dall’essere la causa e
l’oggetto del contratto differentemente conformati, in ragione delle finalità di interesse
pubblico perseguite con il contratto, e dunque con l’adempimento delle obbligazioni as-
sunte per il tramite delle rispettive prestazioni (a seconda dei casi, l’opus o il servizio)».
77 Sul punto, d’altra parte, già G. GRECO, I contratti dell’amministrazione tra diritto
pubblico e privato, Milano, 1986, 51, aveva evidenziato l’«insoddisfacente dommatica della
fase di esecuzione degli appalti di opere pubbliche» che si caratterizzerebbe per una «con-
fusione dei linguaggi giurisprudenziali» e per un «uso promiscuo di istituti tra loro incom-
patibili».
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 247

risprudenza ricostruisce in chiave pubblicistica soprattutto i poteri di


scioglimento attivati per il venir meno di una serie di requisiti sogget-
tivi del contraente che ne minano l’affidabilità78.
D’altra parte, lo stesso legislatore non aiuta a far chiarezza sul
punto, come dimostra il recente intervento del correttivo al Codice dei
contratti pubblici (d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56) che, con riguardo alla
disciplina del potere di risoluzione di cui all’art. 108, ha inserito una
previsione che fa riferimento alle modalità e ai vincoli per l’esercizio
del potere di annullamento di ufficio: in particolare, il co. 1-bis chiari-
sce che, nelle ipotesi in cui si debba pervenire alla risoluzione del con-
tratto pubblico durante il periodo di sua efficacia, «non si applicano i
termini previsti dall’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n.
241»79. Tale esplicito riferimento sembrerebbe disvelare la volontà del
legislatore di considerare comunque il potere di risoluzione come un
potere pubblicistico di autotutela: diversamente, non sarebbe stato ne-
cessario escludere la sola applicazione dei termini in materia di annul-
lamento di ufficio posto che l’intera disciplina di cui all’art. 21-nonies
non avrebbe dovuto trovare applicazione trattandosi del mero eserci-
zio di una potestà privatistica di scioglimento anticipato soggetta ai soli
limiti e alle regole di esercizio previsti dalla legge o derivanti dall’ap-
plicazione dei principi di correttezza e di buona fede80.
Ma tra i maggiori profili di incertezza e criticità della disciplina
viene in considerazione il problema della legittimazione di un potere di
autotutela decisoria “esterno” al negozio che, intervenendo sulla fase a
monte dell’evidenza pubblica, è in grado di incidere indirettamente
sull’efficacia del vincolo contrattuale.
Pacificamente ammessa è, in particolare, la possibilità per l’ammi-
nistrazione di disporre l’annullamento di ufficio dell’aggiudicazione
78 Come nel caso del recesso fondato sulla acquisizione della informativa prefettizia
sul sospetto di infiltrazioni di tipo mafioso che è ricondotto dalla giurisprudenza all’auto-
tutela interna in chiave pubblicistica (Cons. St, sez. V, 9 settembre 2013, n. 4467; Cons. St.,
sez. III, 26 settembre 2014, n. 4852). Si veda anche TAR Sardegna, sez. I, 24 gennaio 2012,
n. 52 che ha ricostruito in chiave pubblicistica la risoluzione per decadenza della SOA.
79 Come è noto, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, «il provvedimento
amministrativo illegittimo, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di inte-
resse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal
momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi
economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e te-
nendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità
connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo».
80 Va evidenziato che tale intervento era stato suggerito anche dal Consiglio di Stato
con il parere n. 2777 del 28 dicembre 2016 ed è stato poi confermato nel parere sul cor-
rettivo del 30 marzo 2017, n. 782.
248 ALFREDO MOLITERNI

anche dopo la stipula del contratto, purché nei limiti e alle condizioni
di cui all’art. 21-nonies, l. n. 241/1990: come chiarito dal giudice am-
ministrativo «un simile potere di annullamento in autotutela, nel pre-
minente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione ammi-
nistrativa anzitutto da parte della stessa Amministrazione procedente»,
deve riconoscersi a quest’ultima «anche dopo l’aggiudicazione della
gara e la stipulazione del contratto (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 26
giugno 2015, n. 3237), con conseguente inefficacia di quest’ultimo, e
trova ora un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme
della l. n. 124 del 2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, co. 1,
della l. n. 241 del 1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti
attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi com-
prensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa»81.
A tacer dell’utilizzo strumentale che si può fare di un potere che
comunque spesso consente all’amministrazione di far valere – a danno
del privato – una illegittimità che lei stessa ha contribuito a determi-
nare nel corso del procedimento di aggiudicazione (quantomeno in
virtù di un comportamento omissivo di controllo)82, i problemi mag-
giori riguardano il fatto che l’effettivo spazio per ricorrere a tale isti-
tuto viene comunque a dipendere dalla concreta (e variabile) possibi-
lità di rinvenire un’attività pubblicistica preliminare che abbia contri-
buito effettivamente a formare la volontà negoziale e a orientare le
scelte poi riversate sul piano negoziale83: con ciò determinandosi una
81 Così Cons. St., sez. III, 22 marzo 2017, n. 1310 che ribadisce «la totale correttezza
della sentenza impugnata, laddove ha osservato che “al venir meno con effetti ex nunc del
provvedimento di affidamento del servizio conseguente agli evidenziati vizi genetici,
senz’altro consegue la caducazione del contratto, in ragione del vincolo di stretta conse-
guenzialità funzionale che avvince tali atti”».
82 Esemplificativa è in tal senso è la sopramenzionata pronuncia del Consiglio di Stato
in materia di servizi sanitari (Cons. St., n. 1310/2017) che legittima un potere di annulla-
mento di ufficio dell’aggiudicazione perché il privato non era in possesso dei requisiti pre-
scritti per l’esercizio dell’attività sanitaria (accreditamento regionale): e ciò, nonostante il
bando non li avesse espressamente richiesti, né l’amministrazione concretamente accertati al
momento di svolgimento della gara. A tacer del condivisibile risultato cui si perviene nel
caso di specie – rispetto all’interesse generale sotteso alla prestazione del servizio de quo –,
non appare convincente, sotto il profilo dell’esigenza di affidamento e di certezza del di-
ritto, legittimare un potere di annullamento di ufficio sulla base del fatto che il requisito in
oggetto doveva essere comunque noto all’operatore di settore pur non essendo previsto dal
bando di gara (secondo il giudice, infatti, l’operatore «non poteva fare alcun legittimo affi-
damento sulla circostanza che di tale requisito, sol perché non menzionato espressamente
negli atti precedenti, potesse fare a meno, costituendo esso un presupposto implicito, ma
necessario, della stessa erogazione del servizio, come essa poteva e doveva ben sapere»).
83 Si veda, in questo senso, Cons. St., ad. plen., 5 maggio 2014, n. 13, la quale ha di-
chiarato il difetto di giurisdizione sulla impugnativa proposta avverso il provvedimento re-
gionale di annullamento in autotutela dell’autorizzazione alla sottoscrizione di contratti di
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 249

differenza ingiustificata tra gli strumenti negoziali che si fondano su


un’attività preliminare strutturata e formalizzata e gli strumenti nego-
ziali caratterizzati da un’attività propedeutica informale – o comunque
soggetta a minori vincoli legislativi – per i quali, del tutto paradossal-
mente, verrebbe ad essere assicurata una maggiore stabilità del rap-
porto, potendo questo essere dichiarato invalido o inefficace solo dal
giudice ordinario84. Le profonde incertezze giurisprudenziali che sono
conseguite – soprattutto in virtù dell’intreccio con i poteri privatistici
di scioglimento già previsti dal regolamento negoziale – sono state solo
in parte risolte dalla giurisprudenza, la quale ha cercato di limitare gli
spazi per l’attivazione di poteri pubblicistici valorizzando il fatto che,
in molti casi, non fosse realmente presente una fase procedimentale
propedeutica al contratto sui cui poter agire attraverso l’autotutela
esterna85.
Ma assai più problematica, sotto il profilo dell’intreccio tra stru-
menti pubblicistici e strumenti privatisici, è la possibilità di attivare il
potere di revoca sull’aggiudicazione. Recentemente, tuttavia, gli spazi
per l’esercizio di tale potere sono stati fortemente limitati dalla giuri-
sprudenza amministrativa: ma ciò è avvenuto soprattutto per gli ap-
palti di lavori, dove si è potuta utilmente valorizzare la presenza di un
potere legislativo di risoluzione equiparabile funzionalmente al recesso
privatistico e che, secondo il giudice amministrativo, andrebbe sempre
preferito da parte della p.a. al fine di ottenere lo scioglimento antici-
pato di un rapporto già valido ed efficace86.

derivati poiché il riferimento al contenuto dei contratti in tali atti era ancora generico: e in-
vece, «perché possa darsi corso ad autotutela, con conseguente produzione dell’effetto ca-
ducante del contratto a valle, occorre che l’atto presupposto assuma il carattere dell’atto
realmente prodromico rispetto alla successiva contrattazione, ossia si configuri come de-
terminazione autoritativa procedimentalizzata e riferita ai contenuti essenziali dell’opera-
zione da porre in essere».
84 Esemplificativa è, da questo punto di vista, la vicenda dei contratti derivati e di fi-
nanziamento del debito, rispetto ai quali le amministrazioni hanno spesso cercato di atti-
vare una serie di poteri di autotutela pubblicistica incidenti sulla fase propedeutica alla sti-
pula del negozio, facendo valere anche la mancata convenienza economica del contratto: la
giurisprudenza ha tuttavia cercato di limitare gli spazi per l’attivazione di poteri pubblici-
stici valorizzando il fatto che, in molti casi, non era realmente presente una fase procedi-
mentale propedeutica al contratto sui cui poter agire attraverso l’autotutela esterna.
85 Con ciò lasciando aperto uno spazio problematico per l’esercizio di tali poteri là
dove si fosse in presenza di una fase pubblicistica: si veda, ancora, Cons. St., ad. plen., n.
13/2014.
86 Si veda Cons. St., ad. plen., 20 giugno 2014, n. 14 ove si esclude il potere di revoca
una volta stipulato il contratto di affidamento di lavori pubblici, pur continuando a rite-
nersi legittimo tale potere per gli altri contratti della p.a. Da questo punto di vista, «resta
perciò impregiudicata, nell’inerenza all’azione della pubblica amministrazione dei poteri di
250 ALFREDO MOLITERNI

Al contrario, il giudice ha invece considerato un potere formal-


mente qualificato come “risoluzione” dalla stazione appaltante come
un vero e proprio potere di revoca in quanto il contratto, pur essendo
stato eseguito in via anticipata, non era stato ancora stipulato87. Nello
specifico, in tali circostanze è stato chiarito che la revoca può essere
giustificata in tre fattispecie: «a) revoca per sopravvenuta non corri-
spondenza dell’appalto alle esigenze dell’amministrazione; b) revoca
per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie ovvero per so-
pravvenuta non convenienza economica dell’appalto (fra le tante,
Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2016, n. 1599, sez. III, 29 luglio 2015, n.
3748); c) revoca per inidoneità della prestazione descritta nella lex spe-
cialis a soddisfare le esigenze contrattuali che hanno determinato l’av-
vio della procedura (sulla quale, ampiamente, Cons. Stato, sez. III, 29
novembre 2016, n. 5026)»88. In particolare, nel caso in cui le sopravve-
nute ragioni di interesse pubblico derivino da comportamenti scorretti
dell’aggiudicatorio manifestati successivamente all’aggiudicazione defi-
nitiva, ci si troverebbe dinanzi ad una ipotesi di «revoca-sanzione, poi-
ché la caducazione degli effetti del provvedimento è giustificata da
condotte scorrette del privato beneficiario di precedente provvedi-
mento favorevole dell’amministrazione»89; in queste ipotesi, peraltro,

autotutela previsti dalla legge, la possibilità: a) della revoca nella fase procedimentale della
scelta del contraente fino alla stipulazione del contratto; b) dell’annullamento d’ufficio del-
l’aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 1, co.
136, l. n. 311 del 2004, nonché concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la ca-
ducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità
funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso».
87 Si veda Cons. St., sez. V, 11 gennaio 2018, n. 120, secondo cui «ove un provvedi-
mento sia stato adottato ai sensi l’art. 136 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, evocandosi, di tal
guisa, il potere di risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e
grave ritardo e, tuttavia, il contratto di appalto non sia mai stato stipulato, ci si trova al
cospetto di un provvedimento di revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies l. 7 agosto 1990,
n. 241».
88 Così Cons. St., n. 120/2018.
89 Così, ancora, Cons. St., n. 120/2018, ove si precisa che comunque si tratta pur
sempre di «“motivi di pubblico interesse”, successivi al provvedimento favorevole (o suc-
cessivamente conosciuti dalla stazione appaltante, e per questo “sopravvenuti”)». D’al-
tronde, «tra i “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” ben possono rientrare anche
comportamenti scorretti dell’aggiudicatario che si siano manifestati successivamente all’ag-
giudicazione definitiva (fattispecie già conosciuta in giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, sez.
V, 12 giugno 2017, n. 2804 avente ad oggetto il mancato assolvimento agli obblighi contri-
butivi emerso successivamente all’aggiudicazione; Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2016, n.
3054, ove la revoca era giustificata dal rifiuto dell’aggiudicatario di stipulare il contratto
prima che fossero modificate talune clausole contenute nel capitolato di gara; Cons. Stato,
sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 143, revoca giustificata per violazione delle clausole dei Pro-
tocolli di legalità; e TAR Liguria, sez. II, 27 gennaio 2017, n. 55)».
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 251

«l’amministrazione non è tenuta a soppesare l’affidamento maturato


dal privato sul provvedimento a sé favorevole e, d’altra parte, non ri-
corrono pregiudizi imputabili all’amministrazione e ristorabili me-
diante indennizzo poiché ogni conseguenza, ivi comprese eventuali
perdite economiche, è imputabile esclusivamente alla condotta del pri-
vato (non dando luogo a responsabilità dell’amministrazione, neppure
da atto lecito)»90.
Tuttavia, al di là dei contratti di appalto, ove l’esercizio del potere
di revoca è stato fortemente ristretto dopo la stipula del contratto, ri-
mangono comunque ancora profonde incertezze con riguardo agli altri
strumenti contrattuali, per i quali la giurisprudenza continua a ritenere
legittima l’attivazione di un potere pubblicistico espressivo dello ius
poenitendi, stante l’assenza di un’esplicita potestà privatistica di risolu-
zione del rapporto91.
Ma le maggiori frizioni tra i poteri di autotutela pubblicistici e i ri-
medi privatistici nella relazione negoziale riguardano soprattutto quei
rapporti concessori che sono ormai stabilmente regolati dal diritto eu-
ropeo. Significativo è il fatto che, nell’ambito dello stesso corpus nor-
mativo del Codice dei contratti pubblici, da un lato, si definisca la con-
cessione come un «contratto» e, dall’altro, si introduca una disciplina
dell’esecuzione delle concessioni costellata da previsioni e poteri pub-
blicistiche, come si evince in maniera assai chiara e significativa dalla
stessa rubrica dell’art. 176 che, a seguito del recente correttivo del
2017, reca l’intestazione «Cessazione, revoca d’ufficio, risoluzione per
inadempimento».
D’altronde, lo stesso legislatore europeo aveva espressamente in-
dicato i tre casi che legittimavano la risoluzione dal rapporto («termi-
nation»)92. In primo luogo, il caso in cui «il concessionario avrebbe do-
vuto essere escluso ai sensi dell’articolo 80» (art. 176, co. 1, lett. a); e,

90 Così Cons. St., n. 120/2018.


91 Si vedano, a commento di Cons. St., ad. plen., n. 14/2014, le osservazioni di G. PI-
PERATA, L’autotutela interna e l’autotutela esterna nei contratti pubblici, in Giorn. dir. amm.,
2015, 77 ss., secondo cui il giudice amministrativo «mentre, da un lato, sbarra la strada al
potere di revoca, una volta stipulato il contratto di affidamento di lavori pubblici, dall’al-
tro, sembra ammettere la legittimità del ricorso all’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990,
quando ad essere in discussione è lo scioglimento di altri vincoli negoziali assunti dall’am-
ministrazione pubblica»: in sostanza, essa «ribalta l’orientamento finora seguito dal giudice
amministrativo, ma lo fa in maniera parziale, in quanto non pare voler dare un’interpreta-
zione valida per tutti i contratti dell’amministrazione pubblica».
92 Si veda l’art. 44 della direttiva 2014/23/UE che, nella versione inglese, descrive le
condizioni e i requisiti che consentono agli Stati membri di regolare l’ipotesi di «termina-
tion of concessions» e che, nella versione italiana della direttiva sono indicati come i casi di
«risoluzione delle concessioni». Per il Codice si va invece l’art. 176, co. 1.
252 ALFREDO MOLITERNI

ancora, il caso di violazione degli obblighi gravanti sulle amministra-


zioni in sede di aggiudicazione (lett. b); e, infine, il caso in cui inter-
venga una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di affi-
damento (lett. c)93. Da questo punto di vista, in virtù della chiara pre-
determinazione delle condizioni di lo scioglimento, il legislatore
europeo ha inteso chiaramente ridurre i margini di discrezionalità del-
l’amministrazione nella valutazione sulla cessazione anticipata del rap-
porto, anche al fine di assicurare la parità di trattamento tra gli opera-
tori economici e quindi conferire maggiore certezza e stabilità alle re-
lazioni giuridiche con il settore pubblico94.
Tuttavia, va evidenziato che il legislatore interno, se da un lato ha
recepito le ipotesi di cessazione anticipata tassativamente previste dal-
l’ordinamento europeo, dall’altro, nel recente correttivo del 2017, ha
espressamente previsto la possibilità per la p.a. di ricorrere in via gene-
rale a «l’esercizio dei poteri di autotutela»95. D’altra parte, anche prima
di tale intervento, lo stesso potere di risoluzione negoziale di matrice
europea era sembrato essere stato inteso in chiave pubblicistica alla
luce del riferimento – operato al comma 2 – all’impossibilità di appli-
care per esso i termini previsti dall’art. 21-nonies per l’annullamento di
93 Si veda l’art. 176, co. 1, lett. b) del Codice: «la stazione appaltante ha violato con
riferimento al procedimento di aggiudicazione, il diritto dell’Unione europea come accer-
tato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea».
94 Opera in tale senso, peraltro, la stessa previsione espressa del potere di risoluzione
del rapporto per inadempimento del concessionario, che sembra non lasciare spazio all’at-
tivazione del risalente potere di disdetta per cui trova invece piena applicazione l’art. 1453
c.c (come espressamente previsto dal comma 7 dell’art. 176 del Codice). Peraltro, in que-
sto caso il legislatore ha anche previsto l’obbligo della stazione appaltante di comunicare al
concessionario e ai finanziatori l’intenzione di risolvere il rapporto al fine di consentire a
questi ultimi di individuare un eventuale soggetto subentrante: si veda l’art. 176, co. 8:
«Nei casi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause imputabili al
concessionario, la stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario e agli enti fi-
nanziatori l’intenzione di risolvere il rapporto. Gli enti finanziatori, ivi inclusi i titolari di
obbligazioni e titoli analoghi emessi dal concessionario, entro novanta giorni dal ricevi-
mento della comunicazione, possono indicare un operatore economico, che subentri nella
concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti o analoghe a
quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affi-
data, con riguardo allo stato di avanzamento dell’oggetto della concessione alla data del su-
bentro». Diversamente, «in tutti i casi di cessazione del rapporto concessorio diversi dalla
risoluzione per inadempimento del concessionario, il concessionario ha il diritto di prose-
guire nella gestione ordinaria dell’opera, incassandone i ricavi da essa derivanti, sino all’ef-
fettivo pagamento delle suddette somme per il tramite del nuovo soggetto subentrante,
fatti salvi gli eventuali investimenti improcrastinabili individuati dal concedente unita-
mente alle modalità di finanziamento dei correlati costi» (co. 5-bis).
95 Si veda il nuovo art. 176, co. 1, come modificato dall’articolo 104, co. 1, lett. a),
del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 253

ufficio96. Ma soprattutto, si era comunque legittimata l’attribuzione di


un potere generale di revoca «per motivi di pubblico interesse»97: e ciò,
peraltro, senza differenziare le conseguenze economiche della revoca
da quelle della risoluzione98.
In sostanza, alla luce di tale complessiva disciplina di recepi-
mento, ci troviamo dinanzi al paradosso che su rapporti espressamente
definiti come “contratti” dal legislatore si può esercitare – in virtù di
una previsione esplicita di legge – un vero e proprio potere di autotu-
tela pubblicistico99. Ciò, peraltro, si pone in forte discontinuità con la
disciplina previgente, ove invece la revoca per pubblico interesse era
espressamente prevista solo per i casi di project financing100: il che era
stato correttamente interpretato dalla giurisprudenza come la con-
ferma dell’esclusione di un potere generale di autotutela su tutte le
concessioni di lavori101.

96 Si veda l’art. 176, co. 1, che con riguardo alle ipotesi di cui alle lett. a), b), c) pre-
vede che «non si applicano i termini previsti dall’articolo 21-nonies della legge 7 agosto
1990, n. 241».
97 Si veda l’art. 176, co. 4 del Codice.
98 In particolare, all’art. 176, co. 4 del Codice si prevede che «qualora la concessione
sia risolta per inadempimento della amministrazione aggiudicatrice ovvero quest’ultima re-
vochi la concessione per motivi di pubblico interesse spettano al concessionario: a) il va-
lore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel
caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente so-
stenuti dal concessionario; b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conse-
guenza della risoluzione, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei
contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse; c) un indennizzo a
titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10 per cento del valore delle opere an-
cora da eseguire ovvero, nel caso in cui l’opera abbia superato la fase di collaudo, del va-
lore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico finanziario allegato alla concessione
per gli anni residui di gestione».
99 D’altra parte, la scarsa linearità della disciplina emerge in maniera evidente sin
dalla lettura della rubrica dell’art. 17: «cessazione, revoca d’ufficio, risoluzione per ina-
dempimento e subentro».
100 Già l’art. 158 del d.lgs. n. 163/2006, nel disciplinare il rimborso al concessiona-
rio e ai relativi finanziatori anche obbligazionisti, prevedeva affianco alle ipotesi in cui «il
rapporto di concessione sia risolto per inadempimento del soggetto concedente» anche il
caso in cui «quest’ultimo revochi la concessione per motivi di pubblico interesse»; al co. 3
si precisava che «l’efficacia della revoca della concessione è sottoposta alla condizione del
pagamento da parte del concedente di tutte le somme previste dai commi precedenti».
101 Si veda Cons. St., ad. plen., 20 giugno 2014, n. 14, che, dopo aver distinto i con-
tratti di appalto dai rapporti concessori per i quali resta consentita «la revoca di atti am-
ministrativi incidenti sui rapporti negoziali» (e in particolare sui rapporti «relativi alle con-
cessioni contratto»), chiarisce che con riguardo alle concessioni di lavori «quando il legi-
slatore ha ritenuto di consentire la revoca “per motivi di pubblico interesse” a contratto
stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza
di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158
del codice)». D’altra parte il potere di autotutela è stato ammesso essenzialmente per mo-
254 ALFREDO MOLITERNI

Tuttavia, al di là delle non chiare indicazioni normative, va evi-


denziato che anche sul piano giurisprudenziale permangono orienta-
menti che continuano a mettere in discussione la possibilità di appli-
care le regole di diritto privato alla fase esecutiva delle concessioni di
lavori, nonostante sia ormai pienamente accettata la caratterizzazione
economico-funzionale del rapporto concessorio a vantaggio della tra-
dizionale prospettiva autoritativa dello stesso102. Recentemente, ad
esempio, il giudice amministrativo ha chiarito che «la pur riconosciuta
natura contrattuale all’atto in esame (concessione-contratto di lavori e
servizi pubblici) non comporta di per sé la diretta applicazione delle
norme del codice civile in tema di obbligazioni e contratti»103; in que-
sta prospettiva, «è solo in ragione di una analisi dettagliata e specifica,
che tenga conto delle considerazioni ora espresse, che può concludersi
per la applicabilità (o meno) di norme ed istituti del codice civile ai
contratti della pubblica amministrazione (anche in attuazione di
quanto previsto dall’art. 1323 cod. civ.), in tutti quei casi (contratti ad
oggetto pubblico, contratti ad evidenza pubblica), in cui il contratto,

tivi di legittimità, venendo ad incidere sull’atto di affidamento per illegittimità della fase ad
evidenza pubblica: si veda TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 19 marzo 2015, n. 206, ove si
chiarisce che «il potere di autotutela è stato correttamente esercitato per perseguire il me-
desimo interesse leso dal provvedimento di aggiudicazione contrario alle regole comunita-
rie poste a tutela dei principi di concorrenza, trasparenza ed imparzialità nella scelta del
contraente destinato a realizzare opere eseguite con risorse pubbliche. Il Comune, confor-
mandosi alla sentenza della Corte di giustizia, ha inteso reintegrare la violazione di tali va-
lori ed anche in ciò è oggettivamente riscontrabile la valutazione di preminenza dell’inte-
resse pubblico». In altri casi è stato inoltre escluso che la p.a. potesse far valere dall’esterno
dei poteri di autotutela pubblicistica nei confronti della società mista affidataria di un
project financing posto che, a differenza di quanto avviene per i servizi pubblici, essa po-
trebbe ricorrere solo agli strumenti negoziali proprio del diritto privato: in questo senso,
Cons. St., sez. V, 21 luglio 2015, n. 3631.
102 Su cui sia consentito il rinvio a A. MOLITERNI, Il regime giuridico delle concessioni
di pubblico servizio tra specialità e diritto comune, in Dir. amm., 2012, 567 ss. Ad esempio,
secondo Cons. St., sez. V, 16 gennaio 2013, n. 236, «nel quadro normativo derivante dal
d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, sussiste l’unica categoria della concessione di lavori pubblici,
onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e
concessione di gestione dell’opera (o di costruzione e gestione congiunte), ove prevale il
profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l’attività organizza-
tiva e direttiva dell’opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di
giurisdizione; ciò in quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica dell’opera non co-
stituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la contropresta-
zione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall’art. 143 del codice».
Nello stesso senso Cass., sez. un., 9 novembre 2012, n. 19391. Nello stesso senso anche
Cass., sez. un., 27 dicembre 2011, n. 28804, con riguardo ad una fattispecie relativa ad una
procedura di finanza di progetto, relativamente alla disciplina del rapporto convenzionale
che regolava i rispettivi diritti ed obblighi delle parti.
103 Così Cons. St., sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3653.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 255

dotato di “tipicità” propria conferita da norme di diritto pubblico, non


risulta, fin dal suo momento genetico, regolato dal diritto privato»104. E
proprio in virtù di tale principio, nel caso di specie il giudice ammini-
strativo giunge ad escludere l’applicabilità della risoluzione del con-
tratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, posto che, nelle conces-
sioni di lavori, il «sinallagma contrattuale è rappresentato dalla obbli-
gazione assunta dalla Pubblica Amministrazione ad assegnare la
gestione dell’opera a colui che la ha realizzata (unicamente oppure uni-
tamente al pagamento di un prezzo) a fronte della obbligazione consi-
stente nella prestazione di realizzazione dell’opera»105. In questa pro-
spettiva, «mentre nei casi normalmente considerati dall’art. 1467 cod.
civ. l’avvenimento esterno al rapporto contrattuale incide sulla corri-
spettività delle prestazioni così come originariamente pattuite, deter-
minando o meno la possibilità di risoluzione a seconda che esso sia o
meno “straordinario e imprevedibile”, nel caso della concessione di la-
vori pubblici, l’avvenimento esterno incide non già direttamente sulla
corrispettività della prestazione della Pubblica Amministrazione, bensì
sull’andamento dell’attività dalla quale il privato stesso ha stimato di
trarre il corrispettivo di quanto da lui già realizzato»: per questo mo-
tivo, l’avvenimento esterno può consentire lo scioglimento del rap-
porto solo ed esclusivamente nel caso in cui esso sia in grado di met-
tere in seria discussione la possibilità astratta per il concessionario di
raggiungere un possibile equilibrio tra le attribuzioni patrimoniali, ben
al di là della normale del contratto e del mercato106.

104 Così ancora Cons. St., n. 3653/2016.


105 Per questo motivo, secondo Cons. St., n. 3653/2016, «nella concessione di lavori
pubblici, dalla parte dell’amministrazione, si configura un’obbligazione ad un mezzo per-
ché si possa conseguire un equilibrio economico dell’operazione regolata dal contratto,
non l’assunzione di una obbligazione con prestazione diretta e quantificata: in altre parole,
l’amministrazione non definisce, con il consenso del privato, la propria prestazione patri-
monialmente valutabile, ma solo il modo di conseguirla».
106 In particolare Cons. St., n. 3653/2016 precisa che «se, dunque, l’avvenimento
esterno al rapporto contrattuale influisce sul mezzo per conseguire l’equilibrio tra le pre-
stazioni e non già direttamente sulla prestazione, ciò comporta che non sfugge al concetto
di “alea normale” tutto ciò che, essendo collegato a fluttuazioni, anche accentuate ma non
per questo “straordinarie” del mercato e alle sue dinamiche, incide sull’utile di gestione
del privato e, pertanto, non può comportare una sopravvenuta sproporzione tra le presta-
zioni. Solo nel caso in cui il mezzo (cioè la gestione per il tempo contrattualmente definito)
si dimostri, in virtù di un avvenimento “straordinario ed imprevedibile”, essere divenuto
strutturalmente inidoneo a far conseguire, anche solo potenzialmente, un possibile equili-
brio tra le attribuzioni patrimoniali, solo in questo caso potrà escludersi l’alea normale del
contratto, il rischio (collegato all’andamento della gestione), accettato dal privato e tanto
più immanente (come ipotesi “normale” e/o prevedibile) quanto più ampio è il tempo di
gestione contrattualmente previsto».
256 ALFREDO MOLITERNI

In definitiva, anche l’analisi del diritto vivente conferma la persi-


stente problematicità – per gli stessi contratti regolati dal Codice dei
contratti pubblici – dell’intreccio tra regime pubblicistico e regime pri-
vatistico nella disciplina di esecuzione del rapporto che vede il proprio
fondamento teorico nell’esigenza di assicurare l’applicazione variabile
della disciplina privatistica per valorizzare le specifiche esigenze fun-
zionali sottese all’attuazione del rapporto107.

5. Le incertezze nei criteri per il riparto di giurisdizione


Va infine sottolineato che i sopradescritti profili di incertezza ri-
scontrabili sul piano sostanziale sono resi ancora più problematici dal
fatto che le concrete soluzioni interpretative adottate di volta in volta
dalla giurisprudenza si ripercuotono gravemente sul piano giurisdizio-
nale108. D’altra parte, è innegabile che molti orientamenti pubblicistici
sono stati condizionati dalle concrete conseguenze che determinate so-
luzioni potevano avere sotto il profilo del riparto di giurisdizione: e ciò,
soprattutto a seguito della centralità che – dopo l’intervento della
Corte costituzionale nel 2004 – è tornato ad avere il criterio dell’eser-
cizio del “potere” rispetto e quindi, con esso, il problema della qualifi-
cazione giuridica concreta degli atti dell’amministrazione e delle corri-
spondenti situazioni soggettive dei privati109.
In tale contesto, le vicende e le controversie concernenti la fase
preliminare alla stipula del negozio sono ormai pacificamente ricon-
dotte alla giurisdizione amministrativa: e ciò anche quando non sia po-
sta in essere una vera e propria gara. Anche alla luce di ciò, una volta
risolta normativamente – anche dal punto di vista del riparto di giuri-
sdizione – la questione del rapporto tra l’annullamento degli atti pre-
supposti e il contratto ad essi accessivo, i problemi interpretativi mag-
giori in punto di riparto vengono essenzialmente a riguardare la fase
esecutiva del negozio, rispetto alla quale convivono almeno tre diversi
sistemi, l’uno a tendenziale prevalenza del giudice ordinario (nel caso

107 Sul punto sia consentito il rinvio a A. MOLITERNI, Amministrazione consensuale,


cit., 430 ss. e 476 ss.
108 Sulla tradizionale criticità che ha rivestito il problema del criterio di riparto nel
nostro sistema amministrativo, si veda già M.S. GIANNINI, Presentazione, a H.W.R. WADE,
Diritto amministrativo inglese, Milano, 1969, il quale denunciava come esso rappresentasse
un «sinistro perturbatore dell’amministrazione della giustizia».
109 Non a caso, prima del 2004, era stato sottolineato da G. NAPOLITANO, Pubblico e
privato, cit., 163, che a seguito dell’ampia affermazione della giurisdizione esclusiva
avrebbe probabilmente perso di importanza la qualificazione pubblicistica di singoli mo-
menti dell’attività negoziale.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 257

dei contratti disciplinati dal codice dei contratti pubblici), l’altro a ten-
denziale prevalenza del giudice amministrativo (in virtù del riferimento
alla giurisdizione esclusiva in materia di accordi) e un altro fondato
sulla compresenza di entrambe le giurisdizioni (per i rapporti conces-
sori di beni e servizi pubblici e in materia di contratti di finanzia-
mento)110.
Tuttavia si tratta di criteri di riparto che, innanzitutto, si fondano
su parametri non sempre omogeni, al punto che alcune fattispecie ne-
goziali del tutto coincidenti sotto il profilo funzionale sono state con-
cretamente ricondotte a tutti e tre i diversi modelli, a seconda dei pro-
fili sostanziali del rapporto di volta in volta valorizzati dall’interprete.
Il caso più evidente riguarda gli strumenti consensuali in materia di
servizi pubblici per cui vige un criterio normativo – che ha come pre-
supposto l’esistenza di un rapporto concessorio – che affida alla giuri-
sdizione amministrativa tutte le controversie esecutive, ad eccezione
dei soli profili economici e indennitari; e tuttavia se lo strumento con-
venzionale è ricondotto – come spesso avviene – al modello degli ac-
cordi amministrativi, la giurisdizione amministrativa coprirà anche tali
controversie patrimoniali111; sul versante opposto, invece, se viene va-
lorizzata (come pure talvolta si verifica) la dimensione contrattuale
della relazione – sulla scia del processo europeo di avvicinamento dei
contratti di concessione agli appalti pubblici – la giurisdizione ordina-
ria tenderà a coprire tutte le vicende esecutive della relazione.
Ma al di là del problema dell’incerto ambito di applicabilità dei
diversi modelli di riparto, uno dei profili di maggiore perplessità del si-
stema riguarda il fatto che, generalmente, l’attribuzione di una deter-
minata giurisdizione sulle vicende relative all’esecuzione del rapporto
non è mai realmente esclusiva: per ogni vicenda concernente l’esecu-
zione del rapporto è infatti possibile rinvenire eccezioni al criterio ge-
nerale di riparto, attraverso la valorizzazione della natura “sostanziale”
dell’atto e, talvolta, in ragione della finalità ultima perseguita dall’am-
ministrazione. Il che conduce ad un’artificiosa frammentazione delle
diverse questioni controverse rispetto alla medesima relazione nego-

110 Su tali tre modelli sia ancora consentito il rinvio a A. MOLITERNI, Amministra-
zione consensuale, cit., 292 ss.
111 D’altra parte, il rischio di un’abrogazione tacita della norma sulle concessioni an-
che alla luce di tale previsione è stato evidenziato da F. FRACCHIA, Concessione amministra-
tiva, in Enc. dir., Ann., I, Milano, 2007, 271. Sul punto S. GIACCHETTI, Gli accordi dell’art.
11 della legge n. 241 del 1990 tra realtà virtuale e realtà reale, in Dir. proc. amm., 1997, 520
ss., evidenziava che la riconduzione dei contratti accessivi alle convenzioni all’istituto del-
l’accordo amministrativo avrebbe fatto venir meno la norma di cui all’art. 5 della legge
TAR in materia di riparto di giurisdizione sulle concessioni di pubblici servizi.
258 ALFREDO MOLITERNI

ziale che stride con le esigenze di concentrazione e, quindi, di effetti-


vità della tutela.
Con riguardo ad esempio ai contratto di appalto, continuano ad
essere attribuiti determinati frammenti della fattispecie negoziale al
giudice amministrativo: e ciò sia in virtù di una espressa previsione di
legge (come in materia di revisione dei prezzi), sia perché certi poteri
sono talvolta ricostruiti dall’interprete in chiave pubblicistica in quanto
funzionali ad assicurare rilevanti interessi pubblici (come nel caso del-
l’informativa prefettizia o della SOA), sia perché i poteri affidati alla
p.a. sono sottoposti a maggiori vincoli procedurali da parte del legisla-
tore. Inoltre, le esigenze di tutela della concorrenza rispetto alla fase
esecutiva potrebbero condurre ad una ulteriore estensione della giuri-
sdizione amministrativa per assicurare ai terzi concorrenti di contestare
le illegittime rinegoziazioni o modifiche al rapporto poste in essere
dalle parti: con la paradossale conseguenza di affidare certi episodi
della relazione negoziale al giudice ordinario se oggetto di una conte-
stazione tra le parti contrattuali, ovvero al giudice amministrativo se
oggetto di una contestazione da parte del terzo112.
Naturalmente la compresenza delle diverse giurisdizioni per le vi-
cende esecutive dello stesso negozio appare più rilevante – e assai più
problematica – soprattutto con riguardo al modello di riparto fondato
sulla esplicita “coabitazione” dei due ordini giurisdizionali, il quale
conduce molto spesso ad una sorta di frazionamento artificioso della
relazione negoziale: il che rende decisivo il ruolo dell’interprete ri-
spetto alla concreta qualificazione della fattispecie e del singolo atto
dell’amministrazione, con conseguente incremento dei profili di incer-
tezza per i soggetti privati.
E così, con riguardo ai contratti di finanziamento o di sovvenzione
sono chiamati in causa giudici diversi a seconda dei profili posti alla
base della contestazione dell’amministrazione nei confronti del privato
beneficiario del contributo: là dove l’amministrazione faccia valere il
venir meno di determinate condizioni soggettive in capo a quest’ul-
timo, ovvero contesti l’assenza ab origine dei requisiti anche oggettivi

112 Naturalmente sarebbero diverse le posizioni e le azioni fatte valere nell’uno e nel-
l’altro caso: ma si potrebbe verificare che i presupposti e i fatti costitutivi posti alla base
delle diverse azioni (e conosciuti da due giudice diversi) siano gli stessi, come nel caso in
cui si debba accertare l’effettivo verificarsi di eventi esterni al rapporto che hanno reso ne-
cessaria la modifica del rapporto e che, senza tale modifica, avrebbero condotto all’ina-
dempimento del privato. D’altra parte, tale paradossale conseguenza sarebbe ancor più ac-
centuata se si ammettesse – come pure è stato prospettato in dottrina – che il terzo possa
essere legittimato anche a contestare, proprio a tutela della concorrenza, la mancata attiva-
zione da parte della p.a. dei poteri di controllo sull’adempimento del rapporto.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 259

per ottenere il finanziamento, la giurisdizione tenderà ad essere quella


amministrativa; diversamente, nel caso in cui si contestino le concrete
modalità di utilizzo delle risorse pubbliche la giurisdizione tenderà ad
essere del giudice ordinario. Si tratta, a ben vedere, di una distinzione
che in molti casi rischia di essere del tutto artificiosa e poco funzionale
alle esigenze di concentrazione della tutela e di valutazione “globale”
della relazione negoziale.
Parimenti, con riguardo a molti rapporti concessori appare assai
problematico il criterio volto a distinguere i profili economici o inden-
nitari da quelli concernenti il rispetto degli altri obblighi negoziali:
stante l’unitarietà della fattispecie negoziale e la struttura sinallagma-
tica del rapporto, tale frammentazione potrebbe ad esempio impedire
alla parte privata di sollevare – in occasione della controversia sulle
proprie violazioni contrattuali – una eccezione di inadempimento nei
confronti della parte pubblica per la mancata o incompleta correspon-
sione dei contributi economici dovuti113. E ciò a tacere del fatto che,
generalmente, le controversie affidate al giudice amministrativo con-
cernenti il rispetto degli obblighi negoziali non appaiono struttural-
mente dissimili da quelle affidate al giudice ordinario con riguardo ai
contratti di appalto o ai contratti di diritto privato: il che conduce, tra
le altre cose, alla irragionevole negazione della funzione nomofilattica
della Cassazione con riguardo ai diritti soggettivi sorti nell’ambito di
alcuni rapporti negoziali114.
Infine, anche con riguardo a quelle fattispecie che risultano fon-
date su criteri di riparto assai stabili e “totalizzanti” – come le conven-
zioni urbanistiche – non mancano casi in cui il giudice è venuto ad
escludere la giurisdizione amministrativa valorizzando la natura priva-
tistica della controversia: e ciò, talvolta, sottolineando il fatto che la vi-
cenda verteva solo sul rispetto degli obblighi negoziali, essendo già

113 Su cui sia consentito il rinvio a A. MOLITERNI, Il giudice dei servizi pubblici e
l’«araba fenice» del criterio dell’interesse pubblico, in Giorn. dir. amm., 2014, 150 ss.
114 Problematica che, in parte, si ricollega alla stessa assenza nel nostro ordinamento
di una Cassazione amministrativa che sia esclusivamente investita – e quindi non come giu-
dice di appello – del giudizio di legittimità, cioè del solo “giudizio sul diritto”: sul punto,
in una prospettiva comparata, si veda da ultimo A. MASUCCI, Le “Cassazioni amministra-
tive”. Le esperienze tedesca e francese, Milano, 2016, 10 ss. il quale correttamente evidenzia
che nell’attuale sistema «manca un giudice del diritto persino nei casi nei quali il processo
ha ad oggetto veri e propri diritti soggettivi». Sul tema si vedano già A. CORPACI, Note per
un dibattito in tema di sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, in
Dir. pubbl., 2013, 341 ss.; S. TARULLO, Giusto processo (dir. proc. amm.), in Enc. dir., Ann.,
II, t. 1, Milano, 2008, 401 ss.; C. CONSOLO, Piccolo discorso sul riparto di giurisdizione, il
dialogo fra le Corti e le esigenze dei tempi, in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, Padova,
2007, vol. IV, 61 ss.
260 ALFREDO MOLITERNI

stata rilasciata la concessione edilizia; altre volte, invece, è stata attri-


buita al giudice ordinario la cognizione sul rapporto fideiussorio ac-
cessivo alla convenzione, di cui è stata valorizzata l’autonomia rispetto
al rapporto principale, nonostante il chiaro legame funzionale con gli
obblighi assunti dal privato nella convenzione115.
In definitiva, sia la stessa previsione normativa di alcuni criteri di
riparto, sia la concreta interpretazione fornita dalla giurisprudenza ri-
schia talvolta di compromettere il principio del divieto del fraziona-
mento delle giurisdizioni – affermato anche di recente dalla Corte costi-
tuzionale116 – con conseguente pregiudizio per l’effettività della tutela.
D’altra parte, è stata anche questa la “fortuna” del richiamo interpreta-
tivo al modello dell’accordo amministrativo, la cui struttura di riparto
ha consentito, per molti rapporti ad oggetto pubblico, di assicurare un
rafforzamento del perimetro di estensione della giurisdizione ammini-
strativa sulle vicende esecutive117. Ancora una volta, quindi, si conferma
la centralità del riparto di giurisdizione rispetto alle specifiche opzioni
ricostruttive operate a livello sostanziale, come peraltro già verificatosi
con la grande diffusione, a partire dagli anni Trenta del secolo scorso,
della teoria a “doppio grado” in materia di concessioni118.

6. I principali fondamenti teorici delle più diffuse opzioni ricostruttive


L’esame della concreta disciplina sostanziale e giurisdizionale del-
l’attività negoziale dei soggetti pubblici appare ancora foriera di molte-

115 Si veda in particolare TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11 maggio 2015, n. 1137,
ove si afferma la giurisdizione amministrativa con riguardo all’«adempimento degli obbli-
ghi derivanti da convenzioni urbanistiche», mentre si affida al giudice ordinario la contro-
versia sull’escussione della garanzia per la violazione dei suddetti obblighi.
116 Il principio è stato affermato dalla Corte cost., 15 luglio 2016, n. 179 (ma nello
stesso senso si veda già Cass. civ., S.U., ord. 14 gennaio 2014, n. 584 e Cons. St., sez. IV, 12
novembre 2009, n. 7057), al fine di consentire alla parte pubblica di contestare dinanzi al
giudice amministrativo le inadempienze del privato, ma a ben vedere potrebbe essere va-
lorizzato anche al fine di verificare la legittimità di alcune ipotesi di frazionamento delle
controversie sulle vicende esecutive del medesimo rapporto.
117 D’altra parte, l’utilità della giurisdizione esclusiva in materia di accordi per molti
rapporti negoziali è sottolineata dal giudice amministrativo, il quale valorizza proprio «l’in-
timo intreccio di situazioni giuridiche soggettive a diverso livello di protezione tipico degli
accordi di cui all’art. 11 della l. n. 241 del 1990, situazioni costituenti nel loro complesso
esattamente il tipo di problemi alla cui risoluzione è volta la previsione della giurisdizione
esclusiva in subiecta materia» (così Cons. St., n. 9347/2010).
118 Come infatti evidenziato chiaramente da M. D’ALBERTI, Le concessioni ammini-
strative, cit., 279 ss. anche tale modello – che non trovava adeguato riscontro nella prassi
reale delle amministrazioni – rispondeva soprattutto alla necessità di assicurare un coerente
e chiaro criterio di riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 261

plici criticità che incidono profondamente sulla certezza delle relazioni


giuridiche e sulla stabilità dei rapporti consensualmente assunti con i
privati. Al di là delle peculiarità delle diverse fattispecie e problemati-
che considerate, molte delle criticità e delle incertezze che caratteriz-
zano la ricostruzione del sistema contrattuale della p.a. trovano il loro
fondamento teorico nella sopravvalutazione – spesso retorica – di al-
cuni concetti, o meglio, di alcune “mitologie giuridiche” che ancora
condizionano fortemente l’attività dell’interprete.
Innanzitutto, l’idea di “interesse pubblico” quale entità eterea ed
immanente che è in grado di sovrastare e condizionare internamente
ed esternamente ogni tipo di rapporto amministrativo119. Anche là
dove la giurisprudenza sembra apparentemente escludere la presenza
“immanente” dell’interesse pubblico, non si nega in concreto la possi-
bilità che esso sia in grado di condizionare esternamente e interna-
mente il rapporto, impedendo la piena applicazione del diritto pri-
vato120. E proprio nella presenza dell’interesse pubblico andrebbe rin-
tracciato il plusvalore della disciplina negoziale della p.a. che non
consente di ritenere sufficientemente idonei gli strumenti di controllo
e di adempimento sul rapporto offerti dal diritto privato, anche nel-
l’ambito di relazioni che sono riconosciute come materialmente obbli-
gatorie e aventi un chiaro contenuto patrimoniale121. D’altronde, se-

119 Si tratta della «concezione numinosa» dell’interesse pubblico di cui parlava Gian-
nini già nel 1977 nella Prefazione al Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1977, 9.
120 Come chiarito di recente da Cons. St., n. 2256/2017, nei contratti ad oggetto
pubblico, la finalità di interesse pubblico «non costituisce (né lo potrebbe) una “imma-
nenza” esterna alla convenzione/contratto, ma essa – in quanto la Pubblica Amministra-
zione persegue sempre nella sua azione interessi pubblici, in conformità al principio di le-
galità, quale che sia il modulo utilizzato – conforma il contratto medesimo, ed in partico-
lare – proprio in ragione delle definizioni che il diritto privato ne offre – gli elementi
essenziali della causa e dell’oggetto. Per un verso, infatti, la finalità di pubblico interesse
“entra” nella definizione di causa sia ove intesa quale funzione obiettiva economico-sociale
del negozio, sia ove intesa quale funzione obiettiva giuridica dell’atto; per altro verso, essa
conforma l’oggetto del contratto, ossia il contenuto del medesimo; per altro verso ancora
può modificare la stessa efficacia della convenzione/contratto, conferendole un ambito di
produzione di effetti giuridici più ampio di quello offerto al comune contratto di diritto
privato dall’art. 1372 c.c. Ciò comporta che, laddove l’interprete debba giudicare della il-
liceità della causa di un accordo/contratto pubblico, ovvero della impossibilità (materiale
o giuridica) o della illiceità dell’oggetto di tale accordo/contratto, non può non ricordare
che tali elementi essenziali sono diversamente conformati, e dunque richiedono una veri-
fica che tenga conto di tale loro specificità».
121 In questa prospettiva, sempre Cons. St., n. 2256/2017, ha valorizzato il peculiare
ruolo delle clausole penali nei contratti ad oggetto pubblico che non sarebbero funzionali
ad assicurare un «“rafforzamento” del vincolo contrattuale» e, dunque, la «garanzia di cor-
retto adempimento delle obbligazioni assunte», ma piuttosto ad assicurare la «tutela del
262 ALFREDO MOLITERNI

condo la giurisprudenza, «la stessa definizione del contratto quale


“contratto pubblico” (art. 3, d.lgs. n. 50/2016, co. 1, lett. ee), non in-
dica esclusivamente (e semplicisticamente) la presenza di un soggetto
pubblico quale parte contraente, bensì una oggettiva finalità di pub-
blico interesse perseguita per il tramite del contratto e del suo adempi-
mento»122: il che troverebbe riscontro anche nella peculiare tutela pe-
nale offerta dall’ordinamento alla corretta esecuzione dei contratti
pubblici123.
Un secondo elemento di criticità del sistema risiede nella soprav-
valutazione del significato dell’evidenza pubblica che spesso viene in-
tesa quale strumento ontologicamente indispensabile per assicurare lo
stesso esercizio dell’autonomia negoziale della p.a.: e ciò ben al di là
dei contratti di appalto, se si considera che lo schema dell’evidenza
pubblica è stato applicato anche ai processi di costituzione delle so-
cietà o all’attività negoziale di cessione di pacchetti azionari. In questa
prospettiva, è diffusa l’idea che l’evidenza pubblica sia il veicolo strut-
turalmente necessario per consentire alla p.a. di pervenire ad una ma-
nifestazione negoziale, indipendentemente dal fatto che essa sia previ-
sta e disciplinata da specifiche disposizione di legge124. In particolare,
l’evidenza pubblica sarebbe il veicolo che consentirebbe all’ordina-
mento pubblicistico di esercitare un controllo funzionale sull’opera-
zione negoziale e di assicurarsi un più intenso rapporto di condiziona-
mento del regime amministrativo su quello di diritto privato (soprat-
tutto in ragione della possibilità di attivare, su di essa, i poteri di

raggiungimento dell’interesse pubblico perseguito, e quindi del raggiungimento del risul-


tato cui si tende per il tramite del contratto, in conformità alla sua causa».
122 Così, ancora, Cons. St., n. 2256/2017.
123 Si veda ancora Cons. St., n. 2256/2017, secondo cui «è sempre la “particolarità”
del contratto pubblico a giustificare una tutela anche penale dei contratti della Pubblica
Amministrazione (art. 355, inadempimento di contratti di pubbliche forniture; art. 356,
frode nelle pubbliche forniture), dove l’interesse pubblico – che, come si è detto,
conforma causa ed oggetto del contratto – acquista rango di bene giuridico tutelato dalla
norma penale (Cass. pen., sez. VI, 27 febbraio 2013 n. 23819; 5 dicembre 2007 n. 16428;
11 novembre 2004 n. 47194)».
124 Per una critica rispetto all’accentuazione della dimensione pubblicistica e autori-
tativa nella fase di avvio dell’operazione negoziale, si veda già F. LEDDA, Per una nuova nor-
mativa sulla contrattazione pubblica, in Studi in onore di Antonio Amorth, Scritti di diritto
amministrativo, vol. I, Milano, 1982, 323 s., il quale contestava l’idea molto diffusa che «di
quest’autorità quasi opprimente non si può fare a meno, se non si vuol che l’interesse pub-
blico – e quelli individuali comunque collegati – siano ammessi al puro arbitrio dell’ammi-
nistrazione. Il rapporto tra garanzia ed autorità viene così modificato, almeno nelle sue
premesse: mentre qualunque garanzia legalmente stabilita a tutela dell’interesse collettivo
o di interessi singolari può essere pensata come una limitazione o riduzione dell’autorità,
nel nostro caso si è indotti a ritenere che, senza l’autorità, non possa aversi garanzia».
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 263

autotutela esterna)125. Ma si tratta di una prospettiva che, oltre a sacri-


ficare eccessivamente la dimensione e la logica comunque negoziale
dell’operazione che conduce alla stipula del contratto, omette altresì di
considerare l’esistenza di ordinamenti – come quello tedesco – che
hanno esattamente dimostrato la possibilità di assicurare la tutela delle
esigenze e delle ragioni pubblicistiche anche all’interno di uno schema
procedimentale regolato dai principi e dalle regole di diritto civile e co-
nosciuto prevalentemente dal giudice ordinario.
Un ultimo profilo che viene spesso menzionato in sede teorica a
sostegno dell’impossibilità di applicare pienamente la disciplina dei
privati all’attività negoziale della p.a. risiede nella rilevanza che il di-
ritto delle amministrazioni pubbliche riconosce alla posizione dei terzi
davanti al giudice amministrativo. Proprio la presenza del terzo sa-
rebbe indispensabile per assicurare la funzionalità, il rispetto della le-
galità amministrativa e la rispondenza dei rapporti giuridici della p.a.
all’interesse collettivo; e ciò non solo rispetto alla fase propedeutica
alla stipula, ma anche rispetto a molte vicende esecutive del rapporto
fino al punto di ritenere che lo stessa mancata attivazione dei poteri di
controllo della p.a. sul corretto adempimento del rapporto dovrebbe
poter essere sanzionato dal giudice amministrativo. E tuttavia, alimen-
tando l’immagine del terzo quale controllore diffuso della legalità am-
ministrativa126, si finisce per sminuire la rilevanza e le potenzialità di
tutta una serie di tecniche e di strumenti di controllo alternativi al sin-
dacato giurisdizionale che, invece, dovrebbero essere massimamente
considerati soprattutto allorché l’amministrazione abbia inteso eserci-
tare le proprie funzioni attraverso una struttura obbligatoria e, quindi,
necessariamente bilaterale. D’altronde, appare evidente che non tutti i

125 Come dimostra, tra le altre cose, il richiamo a tale modello per sindacare la le-
gittimità della scelta dell’ente pubblico di istituire una società: si veda Cons. St., A.P.,
n. 10/2011, ove si precisa che il paradigma dell’evidenza pubblica «è estensibile a tutti gli
altri casi in cui la pubblica amministrazione pone in essere un qualsivoglia negozio giuri-
dico di diritto privato»: così, «mentre per un soggetto privato il processo decisionale resta
ordinariamente relegato nella sfera interna del soggetto, e ciò che rileva è solo il negozio
giuridico finale, per un ente pubblico esso assume la veste del procedimento ammini-
strativo».
126 Come criticamente messo in luce da C. CUDIA, Funzione amministrativa e sogget-
tività della tutela: dall’eccesso di potere alle regole del rapporto, Milano, 2008, 190, «proprio
quando sembra che una certa visione della specialità del diritto amministrativo possa non
rivelarsi necessaria (la concezione che subordina la struttura della tutela avverso il potere
pubblico al primato dell’interesse pubblico che quel potere esprime), il terzo, figura al-
l’apparenza discreta e marginale, irrompe nella scena ponendosi come giustificazione
estrema della specialità amministrativa, l’ultima spiaggia dell’interesse legittimo».
264 ALFREDO MOLITERNI

“terzi” sono uguali127 e, soprattutto, nello specifico settore dell’ammi-


nistrazione negoziale, i soli “terzi” che sono realmente in grado di ag-
gredire l’attività della p.a. sono le imprese concorrenti e non già i sem-
plici cittadini che, invece, dovrebbero essere i primi soggetti interessati
alla corretta, regolare ed efficace esecuzione del rapporto negoziale:
ma, non per questo, potrebbero essere mai realisticamente caricati del
compiti di “vigilare” sulle relative vicende negoziali – in termini di ina-
dempimenti, modifiche o scioglimenti anticipati – “a tutela dell’inte-
resse pubblico”. È evidente, che, in tali casi la tutela dell’interesse
passa, necessariamente, attraverso l’attività e i poteri di controllo atti-
vabili solo ed esclusivamente dalla “parte-pubblica”128.
Anche tenendo conto di tali principali “resistenze” e obiezioni
teoriche, nel paragrafo finale si cercherà di verificare se, e in che mi-
sura, sia invece possibile prospettare delle soluzioni interpretative che
siano in grado di assicurare una maggiore certezza e semplicità nella di-
sciplina giuridica applicabile ai rapporti negoziali della p.a., provando
a districare maggiormente quel fenomeno di “embricazione” tra fram-
menti di discipline pubblicistiche e frammenti di discipline privatisti-
che che sembrerebbe ormai inevitabilmente caratterizzare l’odierno di-
ritto delle amministrazioni pubbliche129.

7. Una prospettiva di ricostruzione del diritto privato per la tutela del-


l’interesse pubblico
Un primo elemento da cui occorre partire è che la piena e reale
fungibilità del diritto privato per il perseguimento di interessi pubblici
ha ormai molteplici ancoraggi legislativi e di sistema130. D’altra parte,
127 Su cui, di recente, si veda ampiamente G. MANNUCCI, La tutela dei terzi nel diritto
amministrativo. Dalla legalità ai diritti, Sant’Arcangelo di Romagna, 2016, 273 ss., la quale
sottolinea, ad esempio, che la legittimazione in materia di appalti è ristretta dal bando di
gara e dallo specifico interesse ad aggiudicarsi l’appalto, non potendo farsi valere un gene-
rico interesse alla concorrenza.
128 D’altronde il problema dell’eccesso di tutela dei terzi, con specifico riguardo al-
l’attività privatistica della p.a., era stato già segnalato da C. MARZUOLI, Le privatizzazioni,
cit., 429 ss.
129 Valorizzano la presenza di un inestricabile intreccio tra diritto pubblico e privato
nell’attuale diritto della amministrazioni pubbliche M.P. CHITI, Monismo o dualismo in di-
ritto amministrativo: vero o falso problema?, in ID. (a cura di), Mutazioni del diritto pubblico
nello spazio giuridico europeo, Bologna, 2003, 15 ss.; S. CASSESE, Il diritto amministrativo e
i suoi principi, in ID. (a cura di), Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2015, 3 ss.
130 A partire dall’art. 1, co. 1-bis, della l. n. 241/1990. Sull’importanza di tale norma,
ex multis, N. PAOLANTONIO, Articolo 1, comma 1 bis: Principi generali dell’attività ammini-
strativa, in N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO (a cura di), La pubblica amministrazione e
la sua azione, Torino, 2005, 77 ss.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 265

lo statuto costituzionale dell’amministrazione, nel lasciare sullo sfondo


il problema del regime sostanziale dell’azione amministrativa, sembra
suggerire o, comunque, sembra confermare una certa neutralità delle
tecniche e degli strumenti utilizzati dalla p.a.131: purché, naturalmente,
il loro concreto utilizzo sia pienamente coerente con i principi e i valori
dell’ordinamento democratico, dal punto di vista del buon andamento
(efficacia, economicità ma anche equlibrio di bilancio), oltreché del-
l’imparzialità e della responsabilità132.
In secondo luogo, va evidenziato che, sul piano concreto, sembra
ormai assumere uno scarso rilievo il problema – assai dibattuto in sede
teorica – della capacità negoziale della p.a., la quale nel diritto vivente
viene ormai ritenuta tendenzialmente piena133. Tale conclusione non
appare peraltro contraddetta dal fatto che nell’ultimo decennio – so-
prattutto per esigenze di contenimento e di controllo della spesa – si
sono fortemente intensificati i vincoli legislativi alla capacità negoziale,
sia sotto il profilo dell’oggetto che degli eventuali rischi negoziali: pro-
prio tali interventi, infatti, confermano la necessità di limitare, con spe-
cifici interventi del legislatore, una capacità che continua ad essere ge-
nerale. D’altra parte, il giudice (anche amministrativo) non ha mai real-
mente esercitato un controllo sulla compatibilità concreta di un
determinato strumento o regolamento negoziale con l’interesse pub-
blico, a differenza di altri ordinamenti ove vige il principio del nec ul-
tra vires: nel nostro ordinamento, infatti, il controllo sulla concreta
compatibilità del contratto pubblico si riduce essenzialmente alla veri-
fica del rispetto dei limiti legislativi da parte della p.a. – cui segue l’e-
ventuale irrogazione di sanzioni previste espressamente dal legislatore
–, ovvero si esercita ricorrendo alle tecniche privatistiche di controllo
sul concreto esercizio dell’autonomia privata134. In ragione di ciò, può
ritenersi un dato ormai acquisito che la capacità della p.a. è solo quan-
titativamente – e non già qualitativamente – dissimile rispetto a quella
di altre persone giuridiche dell’ordinamento la cui attività è pure forte-
mente limitata dal legislatore o dall’autorità amministrativa per assicu-

131 Su cui, per tutti, V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e diritto privato,
cit., 18 ss.
132 In questo senso, C. MARZUOLI, Un diritto ‘non amministrativo’, in Dir. pubbl.,
2006, 133 ss.; ma sul punto si veda anche C. CUDIA, Funzione amministrativa, cit., 166, se-
condo cui l’asserito silenzio della Costituzione con riferimento all’amministrazione «deve
interpretarsi come un limite alla specialità del regime amministrativo, nel senso che sono
tutti i profili di supremazia a dover avere giustificazione e sostegno».
133 Si veda, ex multis, Cons. St., sez. VI, 4 dicembre 2001, n. 6073.
134 Si veda, ad esempio, Cass. civ., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11656 ove si esclude
chiaramente del nostro ordinamento l’operatività del principio del “nec ultra vires”.
266 ALFREDO MOLITERNI

rare determinate esigenze di rilievo pubblico (tutela dei consumatori,


della concorrenza, dei lavoratori, dell’ambiente e della salute)135.
Se sono vere queste affermazioni – che appaiono ormai larga-
mente condivise almeno nella loro prospettiva astratta – diviene neces-
sario riconsiderare lo stesso problema del rapporto tra diritto pubblico
e diritto privato nel sistema dell’amministrazione consensuale136.
In questa prospettiva, si rivela innanzitutto imprescindibile ridefi-
nire il peso e soprattutto il ruolo da attribuire alla fase dell’evidenza
pubblica nell’economia della fattispecie negoziale della p.a. posto che
proprio tale fase – specialmente attraverso l’autotutela pubblicistica
“esterna” – rischia di costituire un fattore perenne subordinazione
della disciplina privatistica al diritto pubblico. D’altra parte, anche le
recenti modifiche al Codice degli appalti – che hanno ampliato i mar-
gini di elasticità e di flesibilità delle amministrazioni nella gestione
delle procedure ad evidenza pubblica – sembrano andare nel senso di
valorizzare la dimensione schiettamente “negoziale” di tale fase che ha
innanzitutto la funzione di ottenere la migliore prestazione reperibile
sul mercato e che è sottoposta solo dalla legge – e per determinate esi-
genze pratiche – allo statuto amministrativo137: ma la procedimentaliz-
zazione non è sintomo del necessario esercizio di un potere pubblico
discrezionale, come conferma d’altra parte il fatto che nell’ordina-
mento tedesco anche la fase dell’evidenza pubblica ha una ricostru-
zione prevalentemente civilistica.
Venendo alla concreta disciplina applicabile alle diverse fattispecie
negoziali della p.a. occorrerà invece verificare caso per caso – sulla base
di un metodo “gradualista” o di prevalenza138 – se le esigenze funzionali
che devono essere comunque assicurate in ragione della peculiare posi-

135 In questa prospettiva potrebbe rivelarsi utile valorizzare – proprio con riguardo
all’attività contrattuale dei soggetti pubblici – la differenza che intercorre, sul piano civili-
tico, tra l’autonomia delle persone fisiche e quella delle persone giuridiche: in questo
senso, V. RICCIUTO, A. NERVI, Il contratto della pubblica amministrazione, cit., 108 ss. e
167 ss.
136 Su cui sia consentito il rinvio a A. MOLITERNI, Amministrazione consensuale e di-
ritto privato, cit., spec. 371 ss.
137 Sulla necessità di abbandonare la logica formalistica dell’evidenza pubblica al
fine di valorizzare i profili di efficienza, si veda già M. CAFAGNO, Lo Stato banditore. Gare
e servizi locali, Milano, 2001, 122 ss.
138 Su tale metodo si veda G. ROSSI, Potere amministrativo e interessi a soddisfazione
necessaria, Torino, 2011, 84, il quale, in virtù dell’assenza nel nostro ordinamento di una
nozione di «contratto di diritto pubblico» o di «rapporto amministrativo», distingue le fat-
tispecie negoziali in due categorie, sulla base della «disciplina prevalente»: le fattispecie «a
base pubblicistica, con elementi di bilateralità» e quelle «a base civilistica, con elementi di
diritto pubblico».
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 267

zione costituzionale ricoperta dall’amministrazione nell’ordinamento


possano essere garantite anche attraverso le categorie e le tecniche pri-
vatistiche e, quindi, senza ricorrere ad “aprioristiche” alterazioni pub-
blicistiche o funzionalizzanti del rapporto139. In tal senso, andrebbe si-
curamente “depotenziata” la stessa portata evocativa dell’interesse pub-
blico, spesso inteso quale entità in grado di condizionare internamente
ed esternamente la causa e la struttura del rapporto; se infatti l’ammini-
strazione ha dato vita ad una relazione negoziale con consapevolezza,
responsabiltà e, soprattutto, con un’adeguata regolamentazione del rap-
porto, il solo ed unico interesse pubblico che viene in considerazione è
quello alla corretta esecuzione del contratto e al fedele rispetto delle re-
gole negoziali pattiziamente previste (o integrate dal legislatore).
Tale schema appare pienamente applicabile per tutti quei rapporti
caratterizzati da una prevalente struttura negoziale e da una reale fun-
zione sinallagmatica: in tali casi, infatti, il diritto privato e la disciplina
generale del contratto appaiono le tecniche più indicate per assicurare
l’ottimale perseguimento degli interessi pubblici e, al tempo stesso, per
rafforzare la fiducia e la collaborazione tra settore pubblico e settore
privato. Tale area può ricoprire tutte le attività negoziali di gestione e
di attuazione di scelte politiche, venendo quindi a interessare i con-
tratti aventi ad oggetto la fornitura di lavori, di servizi (anche pubblici),
ma anche i contratti di finanziamento e i rapporti convenzionali (varia-
mente denominati) aventi ad oggetto l’utilizzo e la gestione di beni
pubblici. Naturalmente, con riguardo a tali fattispecie, troveranno
piena applicazione gli strumenti e le tecniche di flessibilità proprie del
diritto civile ai fini dell’ottimale gestione ed esecuzione del rapporto da
parte della p.a.: e questo sia in termini di rinegozazione, sia in termini
di controllo sull’adempimento, sia in termini di cessazione anticipata
per sopravvenienze. In ogni caso, ai controlli tipicamente privatististici
si potranno affiancare anche meccanismi di responsabilità e presidi di
controllo (anche non giurisdizionali) propri dell’ordinamento ammini-
strativo, purché gli stessi non vengano ad incidere sul regime di validità
del rapporto che dovrà essere regolato dal diritto civile e governato dal
solo giudice ordinario.
Da tale ampia categoria di rapporti potranno invece distinguersi
solo quelle limitate fattispecie negoziali in cui la cui dimensione multi-

139 Con ciò distinguendosi quindi l’esigenza di funzionalità dalla specifica tecnica di
funzionalizzazione che non deve necessariamente caratterizzare qualsiasi rapporto ammi-
nistrativo: sul punto, C. CUDIA, Funzione amministrativa, cit., 189, proprio con riguardo
alla possibilità che poteri speciali di matrice privatistica possano assicurare un miglior eser-
cizio della funzione, senza «funzionalizzarne» il relativo regime giuridico.
268 ALFREDO MOLITERNI

laterale appare prevalente e dove la prestazione del consenso si inseri-


sce effettivamente all’interno di una funzione pubblica non facilmente
cristallizzabile in un vero rapporto contrattuale. Solo per questi rap-
porti – grosso modo coincidenti con gli strumenti negoziali in materia
di governo del territorio o di programmazione negoziata – può rite-
nersi giustificata una compresenza di tecniche obbligatorie e principi
pubblicisitici. E proprio per tali rapporti, in cui si assiste effettiva-
mente ad una negoziazione del potere in un contesto procedimentaliz-
zato, potrà ritenersi giustificato il richiamo all’art. 11 che, tra le altre
cose, consente di attribuire al giudice amministrativo il ruolo di domi-
nus circa il grado di apertura della fattiscpecie consensuale alla disci-
plina privatistica140.
Tale prospettiva metodologica – volta a distinguere il grado di ri-
levanza della disciplina privatistica con riguardo alle diverse fattispecie
negoziali – potrebbe conferire un maggiore rilievo, quantomeno inter-
pretativo, all’art. 1, co. 1-bis della l. 241/1990: tale norma, infatti, es-
sendo inserita tra i principi generali di tutta l’azione amministrativa,
deve perlomeno imporre il necessario riferimento ermeneutico alla di-
sciplina e ai principi privatistici là dove l’amministrazione decida con-
sapevolmente e responsabilmente di ricorrere alla tecnica negoziale e,
soprattutto, là dove la specifica struttura del rapporto non richieda una
disciplina realmente speciale ma solo adattamenti puntuali disciplinati
dalla legge. E ciò, al fine di assicurare un più solido inserimento del-
l’attività negoziale della p.a. all’interno di una cornice di valori e di
principi comuni a tutti i soggetti dell’ordinamento, con conseguente ri-
conduzione del problema stesso del rapporto tra contratto civilistico e
contratto della p.a. entro una normale relazione di specialità norma-
tiva, non dissimile rispetto a quella che caratterizza altre discipline di
settore141.
Naturalmente una simile prospettiva impone innanzitutto alle am-

140 In virtù della clausola di compatibilità di cui all’art. 11, su cui M. D’ALBERTI, Le-
zioni di diritto amministrativo, cit., 343 ss., il quale sottolinea la centralità che dovrebbe ac-
quisire la giurisprudenza nella costruzione del regime degli accordi amministrativi, sulla
falsariga dell’esperienza francese.
141 D’altra parte, come evidenziato da P. RESCIGNO, Manuale di diritto privato ita-
liano, X ed., Napoli, 1992, 9, il diritto privato è il diritto «cui occorre risalire quando sia
incompleta la disciplina degli strumenti e delle attività della pubblica amministrazione».
La centralità del diritto civile per i rapporti che coinvolgono la p.a., con riguardo al con-
tratto, alla proprietà e all’impresa, è sottolineata da R. NICOLÒ, Diritto civile, in Enc. dir.,
XII, Milano, 1964, 905. Di recente, sulla centralità del contratto e degli istituti privatistici,
i quali assumerebbero una «spiccata vocazione sistematica» anche per gli altri rami del di-
ritto, si vedano V. RICCIUTO, A. NERVI, Il contratto, cit., 113.
INCERTEZZE E CRITICITÀ NEL “SISTEMA” DELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA 269

ministrazioni di dotarsi di capacità e di competenze tecniche adeguate


per poter “maneggiare” consapevolmente gli strumenti offerti dal di-
ritto privato: e questo, soprattutto se si considera che, sovente, i poteri
di autotutela pubblicistica, lungi dall’essere attivati in virtù del muta-
mento di presupposti fattuali e giuridici “esterni” alla relazione, si ren-
dono necessari essenzialmente per porre rimedio a situazioni di cattiva,
erronea – e talvolta spregiudicata – regolamentazione della disciplina
negoziale, come dimostra chiaramente la vicenda dei contratti derivati
stipulati dagli enti locali a partire dagli anni Novanta.
In secondo luogo, una simile prospettiva richiede anche la pro-
mozione di un più intenso e proficuo dialogo tra pubblicisti e privati-
sti con riguardo allo studio dell’attività negoziale della p.a.142: e questo,
al fine di ricercare le soluzioni più idonee ad assicurare – specialmente
con riguardo alla fase di esecuzione del rapporto – un’adeguata valo-
rizzazione della peculiarità della funzione ricoperta dall’amministra-
zione nell’ordinamento, senza tuttavia pregiudicare quei valori di cer-
tezza, equità e giustizia cui deve necessariamente tendere ogni tipo di
relazione negoziale nell’ordinamento.
Tutto ciò, nella prospettiva di attenuare quel latente pregiudizio
“anticontrattuale” ancora presente nella nostra cultura e tradizione
giuspubblicistica143, che sembra spesso voler addossare al diritto pri-
vato – e agli strumenti negoziali in particolare – una serie di “colpe” e
di responsabilità rispetto alla diffusione di fenomeni di maladministra-
tion che, invece, affondando le proprie radici in problemi strutturali
delle nostre amministrazioni, non dipendono certo dalla specificità
delle tecniche di volta in volta utilizzate dai pubblici poteri per il per-
seguimento dei propri fini.

142 Come, infatti, evidenziato da G. ALPA, Le stagioni del contratto, Bologna, 2012,
124, allo stato attuale il contratto continua ad essere studiato essenzialmente come «tecnica
di regolamentazione dei rapporti tra privati», mentre lo studio dei rapporti contrattuali
della p.a. è affidato «quasi per intero ai cultori del diritto pubblico».
143 Come evidenziato ad esempio da V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e
diritto privato, cit., 80, secondo cui, soprattutto in materia di beni pubblici, siamo ancora
in presenza di una giurisprudenza che sacrificando fortemente l’elemento consensuale e
paritetico del rapporto sembra ancora «operare sotto l’influsso dei vecchi idola pan pub-
blicistici». E come ha messo in luce anche da G. MANFREDI, Accordi e azione amministra-
tiva, cit., 40 s., se pure è caduta l’idea di un’amministrazione autoritativa, non è ancora
stato superato pienamente il «pregiudizio anticontrattuale ereditato dalle passate, e per
tanti versi ormai screditate, concezioni autoritarie»; si tratta di un pregiudizio che spesso
riaffiora in alcune argomentazioni della giurisprudenza e che, «pur non essendo radicato
come in passato, costituisce tuttora un tratto caratteristico, e persistente, della concettuo-
logia (se non della sensibilità) dei giuspubblicisti».

Potrebbero piacerti anche