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INDICE

1. LA TRADIZIONE
1. Aspetti generali
2. Tradizione dall'Antico al Nuovo Testamento
3. Tradizione nel Nuovo Testamento
4. Chiesa e tradizione apostolica
5. Tradizione apostolica e tradizione ecclesiastica
6. Terminologia teologica relativa alla tradizione
7. Scrittura e tradizione nel Concilio Vaticano II
2. IL MAGISTERO
1. Aspetti introduttivi
2. Ministero della verit: S. Scrittura ed era post-apostolica
3. Magistero esercitato in modo ordinario: ufficio e soggetti
4. Magistero esercitato in modo straordinario: oggetto
5. Magistero autentico e forma ordinaria non infallibile
6. Non infallibilit, "oggetti indiretti", assenso
3. I DOGMI
1. Aspetti introduttivi
2. Dogma, Scrittura, storia della Chiesa
3. Le diverse "prospettive" sui dogmi
4. Funzioni ecclesiali del dogma
5. Immutabilit e storicit del dogma
6. Sviluppo dei dogmi
7. Interpretazione dei dogmi
4. LA TEOLOGIA
1. Aspetti introduttivi
2. Modelli teologici
3. L'epoca contemporanea
4. Criteri e principi per la teologia
5. Teologia e filosofia
6. Teologia e scienze
5. I RAPPORTI FRA MAGISTERO E TEOLOGI
1. Elementi introduttivi
2. La Commissione teologica internazionale
3. Il Documento "Magistero e teologia" (1975)
4. "Donum Veritatis"
6. PROBLEMI E QUESTIONI SPECIFICHE SULLA FEDE
1

1. Fede e uomo contemporaneo


2. Il "dono" della fede
3. Nascita, crescita o morte della fede
4. Lo scandalo del male e della sofferenza
5. Senso e valore della croce
6. Fede e Chiesa nel mondo attuale

1. LA TRADIZIONE

1. Aspetti Generali
Il termine generale traditio (trasmissione) deriva dal latino tradere, che significa trasmettere. In
senso generale esso esprime uno dei fatti pi tipicamente umani, riscontrabile in tutte le societ, civilt
e culture: la tradizione. un fenomeno necessario che riguarda ogni uomo, perch lo inserisce nella
sua comunit e sua storia, dalle quali assume il linguaggio, il pensiero, i valori, la sensibilit, i modi di
sentire e di pensare ecc. Da essa dipende la continuit culturale, umana e spirituale che raccorda le
generazioni che si succedono, trasmettendo loro: finalit, significati, valori, idee, esperienze, ecc., che
costituiscono il patrimonio vitale di ogni persona e le radici ineliminabili di ogni societ e cultura.
Poich tradizione, ragione, cultura, civilt e religione crescono assieme, la tradizione assume uno
specifico rilievo anche nellambito religioso. In esso, sotto varie forme e modi (credenze, riti, simboli,
azioni cultuali, preghiere ecc.) trasmette gli elementi fondamentali per la vita e la religione.
In tempi pi recenti, il termine ha assunto due significati: i contenuti trasmessi nel tempo e i diversi
modi della loro trasmissione (tradizioni orali, scritte, ecc.). Spetta al pensiero contemporaneo
(antropologia) il merito di aver richiamato lattenzione sul grande potenziale sociale, spirituale e
umano contenuto e offerto dalle tradizioni. Esso, in particolare, ha notato che queste rendono possibile
lo stabilirsi dellidentit dei singoli e dei gruppi, in una costante dialettica storica. Senza le tradizioni,
le persone e i gruppi verrebbero sradicati culturalmente, divenendo manipolabili e
strumentalizzabili dai diversi poteri. Ci deriva dal fatto che, perdendo il senso della propria identit
non saprebbero pi identificare i loro fini, significati e valori fondamentali. In definitiva, perderebbero
lo stesso senso della vita. Per questi motivi, i contenuti delle tradizioni sono estremamente ampi,
coinvolgendo lintera esistenza di persone e gruppi. Di conseguenza esse vanno analizzate con grande
rispetto, mai disgiunto da un rigoroso senso critico, al fine di poter discernere ci che in esse orienta
positivamente persone e gruppi verso il loro futuro autentico.
Come per le culture, anche per le loro tradizioni resta valida lesigenza di garantire la continuit e
fecondit vitale mediante la traduzione dei loro valori in nuove espressioni e forme pi adeguate e
valide alle sempre nuove esigenze. Ci esige la loro interpretazione autentica, ponendo la necessit di
armonizzare i loro tre processi fondamentali della conservazione, continuit e innovazione. Questi
aspetti generali si applicano pure alla societ che componevano il mondo biblico, nelle quali la
tradizione religiosa sintegrava a tutto un sistema di tradizioni umane, che ne costituirono la civilt e le
culture. Mediante queste acquisizioni, che pongono in reciproca relazione ragione e tradizione,
rivalutando entrambe, il pensiero contemporaneo ha superato le concezioni limitate e unilaterali del
pensiero moderno, sia di stampo illuminista, che contrapponevano ragione e tradizione, sia di stampo
romantico che ponevano la tradizione al di sopra della ragione.

2. Tradizione: dallAntico al Nuovo Testamento


Le realt trasmesse mediante la tradizione rimangono sovente assai maggiori e pi complesse delle
formulazioni orali e scritte con le quali vengono trasmesse. La realt, infatti, non pu essere mai
espressa in modo totale e perfettamente adeguato, mediante gli strumenti umani di cui necessita. Di
qui, per le realt della fede, il detto fides terminatur non ad enuntiabile sed ad rem (termine della
fede non sono i suoi enunciati ma le sue realt). Ci tanto pi vero per la Rivelazione divina biblicocristiana, depositata nelle tradizioni storiche che dovevano e devono servire a comunicarla1.
NellAntico Testamento, il luogo e il mezzo normale della tradizione biblica fu il popolo di Dio,
soprattutto nella sua vita familiare e cultuale. In esso e da esso, venne costantemente conservato e
tramandato il patrimonio degli eventi salvifici, insieme a una grande quantit dinsegnamenti e di
norme, che regolavano quasi tutti gli aspetti della vita familiare, sociale, religiosa e civile. Questo
patrimonio, denominato, poi, con termine tecnico: deposito, ha dato a Israele la sua specifica e
particolare fisionomia. Ha, soprattutto, reso possibile la continuit spirituale del popolo di Dio,
dallepoca patriarcale alle soglie del Nuovo Testamento.

P. Lengsfeld, Tradizione e Bibbia. Loro rapporto, MS, I, 610 ss.

La caratteristica tipica, che lo rese specifico e unico, fu la convinzione, presente fin dagli inizi, che
gli elementi della propria tradizione non erano semplici fenomeni culturale o religiosi, ma la
Rivelazione esplicita della volont di Dio, manifestata per mezzo di suoi inviati e intermediari. Per
questo motivo, essa fu definita deposito sacro, fondato esclusivamente sulla volont e azione di Dio.
Di qui la perenne presenza di due caratteri complementari dei suoi elementi: la stabilit e il progresso.
Stabilit e progresso caratterizzano gli sviluppi della Rivelazione, incessantemente esplicitata e
completata. Se si vuole esprimere il significato profondo della tradizione dIsraele e della sua
funzione, bisogna dire che essa lattualit delle Rivelazione divina, che svolge il suo compito
riproponendo nella realt del presente gli interventi divini attuali nel passato2. Pertanto, se da un lato,
Rivelazione e Tradizione costituirono un fenomeno storico, dallaltro non si riducono mai a questo,
perch entrambe, operando nella storia, rimangono superiori ad essa, in quanto il loro sviluppo non
di ordine puramente umano ma, prima di tutto, divino.
Dio stesso, infatti, che le ha attuate, ad opera dei suoi intermediari, ossia di persone che ha scelto,
chiamato e inviato. Per questo se ne sottolinea loriginalit e lunicit. Come in tutte le culture pi
antiche, agli inizi, la tradizione si trasmise oralmente. Le tradizioni orali, in seguito, furono fissate in
forme scritte, secondo le norme letterarie che vigevano nelle varie culture, dalle quali presero i pi
diversi elementi: racconti, cronache,storie, scritti giuridici, atti ufficiali, poemi, canti, preghiere, detti,
proverbi ecc. Si hanno cos molteplici generi letterari che vanno riscoperti e studiati accuratamente,
per essere compresi correttamente. Nella Scrittura, inoltre, accanto a queste forme comuni e pi
generali, troviamo anche quelle proprie e specifiche, quali i discorsi sacerdotali e profetici, le sentenze
sapienziali, le formule rituali, le preghiere ecc.

3. Tradizione nel Nuovo Testamento


Il passaggio dalla forma orale a quella scritta cristallizz la Tradizione in quelle forme che
assunsero importanza e valore crescente e che noi conosciamo. Le Scritture, a loro volta, nate e
sviluppatesi per lazione e sotto linflusso dello Spirito Santo, fornirono al popolo di Dio la norma
divina della sua vita e della sua fede. Se guardiamo alla dinamica con cui la Tradizione si costitu,
possiamo vedere che, in una fase pi avanzata della sua storia, sotto lazione dello Spirito Santo, il
popolo di Dio riun, riordin ed elaboro per iscritto tutto ci che, fin dai tempi pi antichi, era stato
conservato, fissato e trasmesso oralmente. Ci in quanto la fede dIsraele doveva sempre avere in essa
la sua guida e norma di vita. Alle soglie del Nuovo Testamento questo sacro deposito della tradizione
era gi conservato nella sua forma scritta che, nel suo insieme, costituiva il corpo di libri detto Sacra
Scrittura o Sacre Scritture e che i cristiani chiamano Antico Testamento.
Anche riguardo a Ges Cristo si form una tradizione orale che precedette quella scritta. Le
primitive comunit ecclesiali svolsero un ruolo notevole nel raccogliere, tramandare e formulare il
messaggio e gli insegnamenti sia di Ges che degli Apostoli. Agli inizi della vita di Ges, tuttavia, nel
popolo di Dio, oltre alle forme parlate e scritte, vigeva pure unistituzione organizzata che, ad opera di
sacerdoti, dottori, maestri sviluppava insegnava e diffondeva la varie spiegazioni e interpretazioni
della Scrittura e della tradizione. Questo insieme accomunava, dunque, una duplice realt. Da un lato
conteneva tutto ci che nel Nuovo Testamento venne poi denominato, con valutazione positiva, in vari
modi quali: tradizione degli anziani (Mc 7,5), tradizione dei padri (Gal 1,14), costumi tramandati
da Mos (At 6,14). Questa era la parte che Ges stesso dichiar di non essere venuto ad abolire, ma a
completare e attuare (Mt 5,17). Vi era, per, anche unaltra parte, che scribi e farisei chiamavano
tradizione degli anziani, che Ges distinse sempre dalla Legge e dai Profeti e giudic talora
severamente (Mt 15,1-20), tradizioni degli uomini (Mc 7,7-9), di cui proclam la caducit e dalla
quale liber i suoi discepoli e seguaci (Col 2,22).
Egli aveva tutta lautorit per farlo e le folle riconobbero subito che egli non insegnava alla maniera
degli scribi, ma con ben altra autorit (Mc 1,22). Egli confer pure ai suoi discepoli il compito e
lautorit di trasmettere i suoi insegnamenti (Me 28,19). Inoltre, comp nuovi segni e azioni, i
sacramenti, che comand di ripetere nel suo Nome, dopo di lui (1Co 11,23). Con essi, dopo aver

F. Ardusso, Tradizione, NDT. 1770: G. von Rad, Teologia dellAntico Testamento, Brescia 1972-1974; J.
Beumer, La tradition orale, Paris 1967.

completato quegli elementi della tradizione antica che dovevano essere completati, inizi una nuova
tradizione, che doveva subentrare a quella antica, come base della vita redenta e dellinterpretazione
rinnovata di tutta la Scrittura, la Legge e i Profeti. per questo che i suoi discepoli, ora divenuti
Apostoli, ordinavano ai primi cristiani di vivere tutti gli insegnamenti che essi trasmettevano, come
avevano ricevuto da Cristo. Tutto questo insieme di azioni, parole e dottrine compiute da Cristo,
assieme a quelle attuate dagli Apostoli nel suo Nome e secondo la sua autorit, costitu loggetto della
tradizione apostolica, che divenne la sostanza delle vita della Chiesa e fu in gran parte fissato nelle
nuove Scritture, ossia il Nuovo Testamento.
Gli Apostoli furono dunque anche lorgano di conservazione, trasmissione e interpretazione di tutto
ci che da Cristo stesso era stato compiuto e a loro affidato, perch lo conservassero e lo
tramandassero fedelmente. A loro volta, essi conferirono ai loro successori nel governo delle comunit
cristiane, ai quali trasmisero la loro autorit (1Tm 1,3; 2Tm 4,2; Tt 1,9; 2,1; 3,1), il compito di
conservare, trasmettere e interpretare questo deposito. Da allora, questa istituzione finalizzata alla
fedele custodia e trasmissione del sacro deposito non venne mai meno

4. Chiesa e tradizione apostolica


Il luogo naturale della tradizione apostolica fu la Chiesa universale nelle sue comunit locali. Ci
traspare particolarmente nella vita di fede, morale, cultuale e sacramentale delle Chiese. Il momento
pregnante, del costituirsi e del trasmettere la comunit nella comunione, dato dai e risiede nei
sacramenti. Con essi si istituisce lintero corpo della comunit, come luogo nel quale convergono i
diversi doni dello Spirito (Ef 4,11-13. 16; Lumen Gentium 12). Il battesimo esprime la dimensione
diacronica ossia la trasmissione della fede attraverso il tempo e i tempi. Leucaristia, Pasqua del
Signore con noi, perennemente rinnovata, esprime e attua la dimensione sincronica ossia il simultaneo
convergere della comunit nella stessa fede e nellunica carit, che unisce con Dio e con i fratelli..
Come gi era avvenuto nellAntico Testamento, ma con estrema rapidit e tempestivit, la tradizione
venne fissata nella Scrittura.
NellAntico Testamento essa aveva per base lautorit degli inviati di Jahw (profeti). Nel Nuovo
Testamento la tradizione scaturita da Cristo e trasmessa dagli e mediante gli Apostoli, conflu nelle
forme scritte che vennero dette Nuovo Testamento. La fonte, ora, oltre allo Spirito Santo era il Cristo
Risorto, al quale dato ogni potere in cielo e sulla terra. Egli confer agli Apostoli anche lautorit per
interpretare in modo normativo lAntico Testamento (Mt, 5,20-48) e istruire su tutte le cose che
dovevano essere fatte e insegnate in suo nome (Mt 28,20). La dottrina di Cristo la stessa del Padre
che lo ha inviato. Gli Apostoli devono trasmetterla con lautorit del Figlio e dello Spirito Santo. Chi li
ascolta, ascolta Cristo e chi non li ascolta, non ascolta Lui. Gli apostoli esercitarono il mandato,
insegnando, spiegando ed esplicitando i significati e i valori riguardanti Ges, la sua persona, parole e
azioni, che dovevano essere insegnate ed esplicitate. Limportanza della tradizione e la necessit di
attenersi ad essa venne particolarmente sottolineata nelle lettere pastorali di Paolo e nella prima lettera
di Pietro.
In esse si indica la necessit di non ricondurre mai la spiegazione della Scrittura a proprie
interpretazioni private, ma di rispettare e accogliere quelle del ministero competente a interpretare.
Infine, si sottolinea il vincolo strettissimo che lega la tradizione apostolica e la successione apostolica
(1Pt 1,20)3. Lambito vivo in cui si svolse la tradizione apostolica fu la Chiesa. Il suo vertice fu il suo
ministero sacramentale e cultuale.

5. Tradizione apostolica e tradizione ecclesiastica


Quanto visto finora conferma che la tradizione ecclesiale non si mai realizzata n espressa in una
collettivit anonima, ma in una comunit viva conscia delle propria origine non puramente umana e in
una comunione strutturata e gerarchica. Tale comunit si riconosceva come il nuovo popolo di Dio, il

J. Ratzinger, K. Rahner, Episcopato e primato, Brescia 1966, 45-69; A, Gautier H. Amman, Il sacerdote nel
secondo secolo, in H. Urs von Balthasar, B. Bro, O. Gonzales, Chi il Vescovo?, Milano 1984; C Dagens,
Gerarchia e Comunione: i principi dellautorit allorigine della Chiesa ib., 40-51; J.H. Walgrave, Le tensioni
fondamentali nella storia della Chiesa ib., 73-84.,

Corpo mistico di Cristo, da lui guidato, governato e vitalizzato dallo Spirito Santo. In essa fu sempre
viva la coscienza che in tale Corpo-comunit-popolo continuavano le stesse azioni di Cristo e che le
funzioni degli Apostoli e dei loro successori continuavano a essere svolte in conformit alla sua
autorit e ai suoi comandi. In base a questa esperienza e convinzione matur la certezza che il criterio
della fede risiede nella Tradizione ecclesiale, ossia nellautentico deposito apostolico, conservato nella
Chiesa per la grazia e lassistenza continua dello Spirito Santo. Esso non pu, quindi, essere mai
sostituito dal criterio parziale e tardivo della sola scriptura.
La tradizione la base della stessa Scrittura. Lo stesso Spirito Santo che ispir i profeti e gli
agiografi dellantico e nuovo popolo di Dio, e fece procedere alla stesura della Sacra Scrittura, ora
assiste con la sua grazia quanti hanno ricevuto il divino mandato e la funzione di continuare lopera
apostolica ( 1Tm 4,14; 2Tm 1,6). Il popolo di Dio, di generazione in generazione, ricevette fedelmente
e conserv il deposito (1Tm 6,20; 2Tm 1,12-14), di cui esplicit, nel corso dei tempi e secondo le
diverse esigenze, tutta le virtualit, rendendolo Scrittura e tradizione ecclesiastica. Esso conserv e
difese sempre la certezza che la vera responsabilit e purezza della tradizione non si basa sui soggetti
umani, ma sul Signore stesso e il suo Paraclito, ossia il suo Spirito Santo (Gv 14,16), che continua,
fino alla fine dei tempi, la vera tradizione4. Fino alla morte dellultimo Apostolo la tradizione
apostolica pot progredire nella misura in cui gli Apostoli ricordavano le parole e azioni di Cristo e ne
esplicitavano il senso.
La tradizione ecclesiastica invece ricevette il deposito ormai fissato, che la Chiesa deve piamente
ascoltare, santamente custodire, fedelmente esporre (Dei Verbum 8). Nello stesso paragrafo, Dei
Verbum sottolinea anche il modo in cui, in tutti i tempi, la tradizione di origine apostolica progredisce
nella Chiesa con lassistenza dello Spirito Santo. Il testo, che riveste particolare importanza, dice:
cresce infatti la comprensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la
contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (Lc 2, 19 e 51), sia con
lintelligenza data da una pi profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di
coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verit. Cos la
Chiesa, nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verit divina, finch in essa
vengono a compimento le parole di Dio.

6. Terminologia teologica relativa alla tradizione


Per la vastit dei suoi contenuti e della sue forme di espressione, la tradizione pu essere
considerata sotto diverse prospettive, che vengono indicate mediante differenti termini. In senso ampio
e formale essa indica leconomia della salvezza. Infatti la salvezza comporta un grande processo di
tradizioni, che parte dal Padre e, attraverso le missioni del Figlio e dello Spirito Santo, raggiunge il
popolo di Dio. Cristo e la sua Chiesa sono il tramite universale per raggiungere tutta lumanit. Questo
senso ampio e formale include, quindi, tutta la realt cristiana e indica la trasmissione stessa del
cristianesimo. in questambito che si distingue fra le tradizioni apostoliche che sono le tradizioni
non scritte, che la Chiesa dei primi secoli faceva gi risalire agli Apostoli, e le tradizioni ecclesiastiche
che sono le tradizioni di origine ecclesiastica (istituzioni, riti, discipline ecc.) costituitesi nel corso
storico della vita della Chiesa.
In senso ristretto, invece, la tradizione indica la trasmissione della Rivelazione operata-con e
contenuta-in un mezzo diverso dalla S. Scrittura. In questambito si riconosce fra tradizione costitutiva
che offre contenuti non sempre reperibili nella S. Scrittura e la tradizione dichiarativa, interpretativa e
normativa che spiega e interpreta il contenuto della S. Scrittura. Al riguardo, riferendosi alla seconda
lettera di Pietro, esegeti e teologi sottolineano come particolarmente significativi due criteri: quello
ermeneutico e quello interpretativo5. I due termini non sono forse dei pi chiari e felici, ma vorrebbero
indicare due punti di riferimento gi sottolineati nellera apostolica. Pietro, infatti, indic come punti

Y. Congar, La tradizione e la vita della Chiesa, Catania 1964; R.P.C. Hansen, Tradition in the Early
Church, London 1962; Y. Congar, La tradizione e le tradizioni, 2 vv., Roma 1961-1965.
5

R. Fabris, Pietro, II, DTB, 1169-1170; J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Brescia 1974; A. Meredith,
Teologia della tradizione, Catania 1971.

di riferimento per la tradizione: i profeti e gli Apostoli. Linterpretazione autentica deve dunque tener
presente il valore profetico dellAntico Testamento e la sua efficaci in forza dellispirazione divina.
Inoltre, dopo Cristo, tutto lAntico Testamento va letto in prospettiva cristologica, che indica Cristo
come compimento e fine, sia della Rivelazione che della Scrittura. Di conseguenza, senza lazione
dello Spirito Santo, linterpretazione di vari punti della S. Scrittura, difficili da capire, pu essere
stravolta a propria rovina (2Pt 3, 15-16) anzich salvezza. Ci premesso, il criterio ermeneutico
vorrebbe sottolineare che non liniziativa umana, ma lo Spirito Santo a presiedere allinterpretazione.
Quanto al criterio interpretativo, esso sembra particolarmente espresso in Dei Verbum 12, che
sottolinea lesigenza di una piena coerenza, da parte della comunit credente, nel testimoniare e vivere
la tradizione e la fede comune. Queste distinzioni fecero seguito ai problemi sollevati nel corso dei
secoli, in particolare dalle divisioni della Chiesa nel secolo XVI.

7. Scrittura e Tradizione nel Concilio Vaticano II


Il Concilio Vaticano II, con la Dei Verbum, ha integrato diversi punti, che da soli o isolati
rimanevano unilaterali. Inseriti nella totalit vivente di cui fanno parte, essi possono esprimere tutta la
loro verit. Loriginale e profonda innovazione ha portato a non guardare pi la Tradizione e la
Scrittura sotto laspetto e prospettiva delle fonti, bens sotto laspetto della trasmissione della
Rivelazione e della storia della salvezza. Ci ha fatto emergere il senso della loro viva unit e del
reciproco legame essenziale, che si pu sintetizzare nei seguenti punti principali: a) Rivelazione,
tradizione e Chiesa sono legate da un rapporto strettissimo, poich la Rivelazione si realizza nella
tradizione viva di una comunit credente (n. 7); b) Tutta la comunit portatrice della tradizione,
mentre il compito specifico del Magistero di assicurarne lautenticit (n. 8, 10); c) La trasmissione
della Rivelazione non riguarda solo la dottrina, ma anche la vita e il culto (n. 8); d) La Tradizione,
come processo vitale in seno alla comunit, comporta anche un progresso o sviluppo, inteso come
crescita di comprensione ed esplicitazione delle realt e parole trasmesse (n. 8); e) Tradizione e
scrittura, senza perdere nulla del loro valore, formano un tutto indissociabile e costituiscono un solo
sacro deposito della parola di Dio, affidata alla Chiesa, in cui la Scrittura costituisce il vertice e il
centro (n. 8, 9, 10). Di qui lindicazione di norma normans non normata.

2. IL MAGISTERO

1. Aspetti introduttivi
I temi e problemi inerenti al Magistero della Chiesa si comprendono correttamente collocandoli
nel loro contesto appropriato. Per Lumen Gentium 22 esso dato dallesigenza di esercitare nella
Chiesa il ministero o servizio della verit, in modo supremo pieno e universale.
Questaffermazione richiede alcune premesse. Il Signore ha affidato alla sua Chiesa, comunit
escatologica e comunione gerarchica dei credenti, la missione di testimoniare e portare, a tutta
lumanit e fino alla fine dei tempi, La Rivelazione e la Salvezza divina, donataci nella sua
persona, vita, azioni, grazia, verit e dottrina. Questo fine ha stabilito anche i mezzi volti a rendere
la Chiesa indefettibile nella sua testimonianza alla verit e nel suo servizio di salvezza. I contenuti
della Rivelazione e Salvezza, nei loro aspetti veritativi e dottrinali, costituiscono il sacro deposito
della Parola di Dio. Dei Verbum ha precisato che: la sacra tradizione e la sacra Scrittura
costituiscono un solo deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa (n. 10).
Lo stesso testo ricorda che, aderendo ad essa, tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori,
persevera assiduamente nellinsegnamento degli Apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione
del pane e nellorazione (At 2,42). Ci solleva il problema delle modalit vive per la
conservazione, interpretazione e annuncio dei contenuti della Rivelazione e Salvezza, affidata da
Dio alla Chiesa, sotto la guida del collegio apostolico, costituito dai suoi Apostoli e dai loro
successori. La pienezza di quei poteri, compresi quelli dottrinali, appartiene ora allinsieme dei
vescovi che, avendo pace e comunione fra loro e con il Vescovo di Roma come loro capo, formano
una sola cosa nellunit. Fondamento di questa pace e comunione lo Spirito Santo che, con la sua
assistenza, fa progredire nellunit della fede tutto il Corpo di Cristo (Lumen Gentium 25). Il
Magistero, quindi, dipende dalla fede della Chiesa ed al suo servizio per guidarla, interpretando
autenticamente e spiegando la Parola di Dio. Fine ed essenza del suo servizio, quindi, fare
perseverare tutta la Chiesa in tutta la verit (indefettibilit).

2. Ministero della verit: S. Scrittura ed era post-apostolica


A questo riguardo, per la Scrittura, la Chiesa colonna e sostegno della verit (1 Tm 3,15).
il luogo in cui la buona e sana dottrina viene custodita fedelmente (Tt 1,9; 1 Tm 1,10; 4,6; 2 Tm
4,3) da quanti sono rivestiti dellautorit di Cristo. La fede cristiana, a sua volta, la conoscenza
della verit (Tt 1,1; 1 Tm 2,4; 4,3; 2Tm 2,25; 3,37). Ges, Figlio di Dio e Parola del Padre, colui
che pu rivelare tutta la verit di Dio e della creazione. Per questo venuto a rendere testimonianza
(Gv 18,37) e a proclamare tutta la verit (Gv 8,40-45). Ora, ritornato al Padre, continua la sua
missione per mezzo del suo Paraclito, Spirito Santo di verit, che guida tutta la sua Chiesa, con i
suoi credenti, in tutta la verit (Gv 16,3). Queste espressioni di Giovanni indicano efficacemente il
senso e laspetto dinamico di tale compito. Paolo, a sua volta, sottolinea il Vangelo come parola di
verit (Col 1,5; Ef 1,13). La verit del Vangelo (Gal 2,5. 14) la parte o eredit della casa di
Dio (1 Tm 3,15) ossia della Chiesa. Questa verit di Cristo divenuta la dottrina degli Apostoli,
punto di riferimento e istanza autorizzata per conoscere le parole del Signore. Le lettere pastorali
descrivono una Chiesa nella quale listituzione e il ministero presentano gi caratteri e contorni ben
netti e in cui la stessa condanna (anatema) ha la funzione di salvaguardare la certezza.
Il termine dottrina degli Apostoli non significa che essa sia stata inventata da loro ma, al
contrario, che da loro stata ricevuta per ritrasmetterla intatta (parlabon, pardok) (1Co 11,23;
15,3). Dio ha destinato alla salvezza e al Regno dei cieli tutta lumanit che, per conseguire
entrambi, deve ricevere e conoscere tutta la verit (Gal 1,9; Rm 16,17; 2 Gv 10). Di qui il mandato
missionario di annunciare e predicare il vangelo a tutte le genti (Lc 24,47), in tutto il mondo (Mc
16,15), fino agli estremi confini della terra (At 1,8) e fino alla fine dei tempi (Mt 28,20). Alla
Chiesa, quindi, spettano il dovere e il diritto di far conoscere a tutti la dottrina del Signore. Questo
compito esige una particolare assistenza dello Spirito Santo, Spirito di verit che, unita alla grazia
di Cristo, d alla Chiesa lautorit e il potere di attuarlo. In sintesi gli scritti del Nuovo Testamento,
che preannunciano e delineano gi il passaggio dallera apostolica a quella post-apostolica,
indicano lo sviluppo che, nel secondo secolo, porter alla stabilizzazione e riconoscimento generale
del ruolo e ufficio dei vescovi (Lumen Gentium 25).
6

Gli scrittori del II secolo: Ignazio di Antiochia, Egesippo, Ireneo, poi Tertulliano, indicheranno
nella successione apostolica la norma della vera dottrina insegnata dalla Chiesa. Si guarda gi
alla certezza della successione ininterrotta dei vescovi, dagli Apostoli. Ad essa conferisce
particolare valore il carattere sacramentale della Chiesa e dei membri del Magistero. Nella Chiesa,
infatti, ordinazione episcopale e missione costituiscono ununit intrinseca. Linserimento
sacramentale nel ministero episcopale per mezzo dellimposizione delle mani e linvocazione dello
Spirito Santo la forma indispensabile per la trasmissione della successione apostolica ed
ecclesiale1. Nella storia della Chiesa risulta sempre pi chiaro che lepiscopato lorgano
autorizzato e responsabile della fede cristiana. Nel primo millennio, la figura del vescovo come
maestro e teologo si consolida sempre pi. Di fatto, molti grandi vescovi sono anche grandi teologi,
Padri e Dottori della Chiesa. Il problema dei rapporti fra magistero e teologi, perci, praticamente
non esiste. Sorger solo nel millennio successivo, ossia nel Medioevo.
Con la modernit (e il razionalismo, illuminismo ecc.), nella proporzione in cui la cultura
considera ladesione alla verit unopzione o scelta o decisione personale e insindacabile
dellindividuo, i teologi insisteranno sempre pi sullimportanza della conoscenza. La Chiesa
dovr difendere sempre pi lautentica realt delladesione alla verit rivelata come culto reso a
Dio nella fede e come santificazione, che pu avvenire solo nella verit di Dio e di Cristo (Gv
17,17). Il compito della Chiesa e del Magistero si dovr concentrare, sempre pi, sul condurre ogni
persona a un adesione personale, intima, profonda, convinta e totale alla Verit che Dio2.

3. Magistero esercitato in modo ordinario: ufficio e soggetti


Consideriamo ora il Magistero dal punto di vista dellufficio, poich in questo senso che si
pone la definizione del Magistero, espressa in Dei Verbum 10: Lufficio dinterpretare
autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa stato affidato al solo Magistero vivente della
Chiesa, la cui autorit esercitata in nome di Ges Cristo. Lo stesso paragrafo precisa anche che il
Magistero non al di sopra della Parola di Dio, ma al suo servizio, cos come non al di sopra
della Chiesa, ma al suo servizio. Da tale compito derivano alcuni doveri complementare che
incombono al Magistero: 1) attingere allunico deposito della fede tutto ci che si propone a
credere come rivelato da Dio; 2) ascoltarlo piamente; 3 ) custodirlo santamente; 4) esporlo
fedelmente. Poich lannuncio delle verit rivelate da Dio, per il bene della Chiesa, deve essere
assolutamente protetto da ogni errore, il Signore ha pure posto il Magistero in grado di esercitare il
suo compito in modo infallibile.
Lo Spirito Santo, quindi, per garantire lindefettibilit della Chiesa nel suo essere e operare, con
eguale assistenza assicura pure linfallibilit del servizio magisteriale. A questo proposito si
distinguono due situazioni diverse, espresse con i termini ormai accettati, ma non del tutto corretti,
di Magistero ordinario e straordinario. In realt il Magistero uno e unico, diverse sono solo le
forme in cui esso pu essere esercitato: Lespressione teologicamente corretta, quindi, Magistero:
esercitato in forma ordinaria ed esercitato in forma straordinaria. Inoltre, il Magistero unico pu
essere esercitato da vari soggetti. Dal punto di vista dei soggetti, per la Chiesa universale lo
esercitano: 1) Il collegio episcopale con e sotto il suo capo, ossia tutti i vescovi, successori degli
Apostoli sotto lautorit del Sommo Pontefice, successore di Pietro; 2) Il Sommo Pontefice,
Vescovo di Roma e successore di Pietro. Per ogni chiesa locale (diocesi) lo esercita il rispettivo
Vescovo, sempre sotto lautorit suprema del Sommo Pontefice.
Ciascuno di questi soggetti opera nel modo specifico, corrispondente al proprio ambito. Il
Magistero del collegio episcopale, legittimamente convocato e radunato a Concilio dal Papa, e
quello del Papa valgono per lintera chiesa universale. Il Magistero del Vescovo avente pace e
comunione con il Sommo Pontefice e gli altri Vescovi viene esercitato nella propria Chiesa locale.
Il Magistero esercitato in forma ordinaria mediante lannuncio ordinario e linsegnamento
abituale della fede e dei costumi (morale), da parte dei successori degli Apostoli, i Vescovi e il
1

Commissione Teologica Internazionale, Lapostolicit della Chiesa e la successione apostolica, 1974;


J. Colon, Lvque dans le communauts primitives, Paris 1951.
2
G. Sala, Magistero, DTI II, 424-425; M.K. Lehmann, Magistero e teologia, in H. Urs von Balthasar, B.
Bro, O. Gonzales de Cardedal, Chi il Vescovo?, Milano 1984, 52-60; J Ratzinger, Teologia e governo della
Chiesa, ib. 61-72; O Gonzales de Cardedal, Chi il Vescovo?, 102-125.

romano Pontefice, in forza del loro mandato divino diretto, ossia della missione divina ricevuta da
Cristo (Mt 28,18-20). Ogni singolo vescovo esercita il Magistero in forma ordinaria per mandato
ricevuto da Dio con lordinazione. Sono quindi titolari di esso il Papa, ogni singolo vescovo e
lepiscopato nel suo insieme. Tale Magistero detto autentico perch, esercitato in nome e per
autorit di Cristo, gode dellassistenza dello Spirito Santo, per esprimere fedelmente le verit che
insegna.
Ad esso corrisponde, da parte dei fedeli, il dovere di un religioso ossequio della volont e
dellintelligenza (Lumen Gentium 25), secondo i diversi gradi di adesione dovuti alla verit3, come
vedremo nei prossimi capitoli. In questo modo, lintera comunit ecclesiale o Chiesa (come unit e
comunione dei credenti), con la sua struttura gerarchica ministeriale (ossia di servizio), risulta
portatrice della Rivelazione e delle sue verit rivelate. Al riguardo, Lumen Gentium (n. 12)
sottolinea esplicitamente lufficio profetico del popolo di Dio che aderisce infallibilmente alla
fede trasmessa ai santi una volta per tutte. Linfallibilit del Magistero finalizzata e indirizzata a
perenne sostegno di questa indefettibilit. Quindi lindefettibilit e linfallibilit della Chiesa non
sono soltanto una sua immunit passiva dagli errori ma una positiva esperienza e intelligenza della
verit delle cose trasmesse (Dei Verbum 8) e un retto giudizio che penetra sempre pi
profondamente nel vivere la verit, crederla, e annunciarla (Lumen Gentium 12).
Nel popolo di Dio, lazione dello Spirito Santo conserva e mantiene sempre il genuino senso
della fede e lautentico istinto della fede. Essi uniscono tutti i fedeli nella comune e identica
professione di fede. Lumen Gentium, nn. 12 e 35, sottolinea la finalit del senso della fede:
sostenere il retto giudizio del popolo di Dio, perch penetri sempre pi a fondo la fede e lapplichi
pienamente alla sua vita. Se al Magistero compete la formulazione verbale del Credo, a tutti i
fedeli, definiti Santi dalla Scrittura, compete la testimonianza e attuazione vivente di tutte le
verit del Vangelo. Questaspetto, da sempre, il pi importante e decisivo, e lo sar sempre pi, di
fronte al pluralismo di idee, concetti e posizioni che vige nelle culture e societ del presente e del
futuro. Testimonianza ed attuazione distinguono i cosiddetti cristiani di nome e i battezzati in senso
puramente statistico e anagrafico, dai veri fedeli impegnati in unautentica vita e testimonianza di
fede.

4. Magistero esercitato in modo straordinario: oggetto


Il Magistero viene pure esercitato in modo straordinario secondo le esigenze richieste da
situazioni o circostanze eccezionali. Solitamente queste situazioni riguardano verit di fede o di
morale sulle quali sorta qualche controversia, che esige una risposta autorevole. Neppure in tali
casi il Magistero comunica qualche nuova verit rivelata, ma opera affinch le verit consegnate
alla Chiesa siano pienamente tutelate e comprese nella loro integrit. Si chiama modo straordinario
perch viene esercitato con atti non ordinari, che possono essere o dichiarazioni di un Concilio
ecumenico o definizioni solenni con le quali il Papa si pronuncia davanti a tutta la Chiesa, su
qualche punto della dottrina di fede o dei costumi. Nel linguaggio teologico si dice che il Papa
parla ex cathedra quando si pronuncia: 1) nel suo ufficio di Pastore e Maestro di tutta la Chiesa e
tutti i cristiani; 2) impegnando esplicitamente la sua suprema autorit; 3) per definire una dottrina
di fede o di morale; 4) da credere e osservare da tutta la Chiesa. In questo caso egli gode
dellassistenza specifica dello Spirito Santo. In tutti gli altri casi, in cui esercita in forma ordinaria il
suo ufficio di Pastore e di Maestro, gode dellassistenza generale dello Spirito Santo e il suo
magistero viene detto autentico. Abbiamo gi accennato al contenuto del magistero. Esso viene
detto oggetto e distinto in diretto e indiretto. Oggetto del Magistero sono tutte le verit contenute
nella Rivelazione, assieme a quelle che sono necessarie per il suo annuncio e la sua difesa4.
Oggetto primario diretto sono le verit direttamente ordinate alla vita eterna, che Dio stesso ha
voluto rivelarci per la nostra salvezza (Dei Verbum 11). Oggetto secondario indiretto sono le
verit secondarie, non rivelate direttamente da Dio, ma cos connesse alloggetto primario che,
senza di esse, lannuncio efficace di questo sarebbe impossibile. Si tratta, quindi, di verit per s
accessibili alla ragione naturale (ad es. che luomo capace di conoscere la verit, dotato
3

J. Colson, Les fonctions ecclsiales aux deux premier sicles, Paris 1956; G. Sala, Magistero cit., 427.
W. Kern, E. Niemann, Gnoseologia teologica, Brescia 1984, 169; K. Rahner, Discussioni attorno al
magistero ecclesiastico, in Nuovi Saggi, V, Roma 1975.
4

dintelligenza, ragione, coscienza, volont, libert ecc.) che la condizione decaduta delluomo ha
reso difficilmente accessibili alla ragione.
Non sempre facile distinguere fra oggetto primario e secondario, perch non facile accertare
quali siano le verit secondarie rispetto alla Rivelazione e come queste si colleghino ad essa. Per la
teologia sistematica, tuttavia, importante farlo, sovente si trovano perch nei pronunciamenti
magisteriali ed molto utile poterle distinguere. Si tratta di un campo ampio e importante per la
ricerca e la riflessione teologica, che pu offrire un prezioso aiuto al Magistero. in questambito
che, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, si concentrata la riflessione teologica, per
fronteggiare i problemi che, col loro continuo e rapido sorgere, sfidano la ragione e la coscienza dei
credenti. Ad esso si collega il problema del Magistero esercitato in forma ordinaria, autentica, ma
non infallibile.

5. Magistero autentico e forma ordinaria non infallibile


Il Magistero autentico, esercitato in modo ordinario non infallibile, consente ulteriori
chiarificazioni riguardo allinfallibilit. La Chiesa, infatti, deve affrontare ogni giorno molteplici
problemi concreti, di notevole rilievo per la sua vita, quella dei fedeli e dellumanit. Tali difficolt
non sempre costituiscono un impedimento diretto per la salvezza eterna, ma non sono neppure
neutre o innocue nei suoi confronti. Solitamente riguardano argomenti importanti e significativi di
vari campi, come leconomia, la medicina, la bioetica, le teorie scientifiche, le scelte sociali,
culturali, politiche, professionali ecc. Linfallibilit magisteriale non significa che il Magistero sia
preservato da ogni errore, in ogni scelta o decisione riguardante questi problemi. Daltra parte,
nellera contemporanea, proprio in queste aree che si registra una crescita di problemi sempre pi
vasti e complessi. Si ha pure un numero crescente di aree problematiche, legate alla
complessificazione della vita umana e della convivenza sociale. La loro problematicit colpisce le
stesse discipline (scienze e filosofie) che se ne occupano, provocandone valutazioni profondamente
discordanti e talora contraddittorie.
Infine, la crescente rapidit con cui i problemi sorgono e si sviluppano rende sempre pi difficili
e prolungatele ricerche e le analisi che ne consentano una soddisfacente comprensione. Manca,
quindi, sempre pi la necessaria chiarezza per la loro comprensione. Molti di questi problemi, per
la loro delicatezza o incidenza sulla vita delle persone e dei gruppi, rendono imprescindibile, per il
Magistero, il dovere di dare qualche orientamento. Si tratta di orientare non solo la Chiesa e i
credenti, ma anche gruppi, culture umane e la stessa umanit a giudicare e agire correttamente,
nellintreccio di condizionamenti negativi, distorsioni ideologiche e pressioni dinaccettabili
interessi occulti. Questi problemi, per la loro stessa natura, normalmente non costituiscono oggetto
diretto del Magistero. Di conseguenza, secondo alcuni, il Magistero, sugli argomenti sui quali non
pu o non deve pronunciarsi in modo infallibile, dovrebbe soltanto tacere, lasciando ogni giudizio e
decisione alla coscienza dei singoli.
Questa impostazione si mostrata sempre pi insoddisfacente, spingendo a pi accurate
ricerche e riflessioni. Un documento episcopale, che ha maggiormente chiarito i vari aspetti al
riguardo, stato elaborato dalla Conferenza Episcopale Germanica. Per esso il dilemma che
costringerebbe il Magistero nellinsuperabile alternativa di: pronunciare decisioni assolutamente
obbliganti o tacere, lasciando ogni scelta e decisione allarbitrio dei singoli, poggia du di una
concezione inadeguata della verit salvifica e della sue formulazioni. Pertanto va corretta o
respinta. A tal fine, va sottolineato, in primo luogo, che lincertezza di cui si parla non riguarda la
fede ma la materia e i contenuti sui quali essa deve pronunciarsi. In secondo luogo, il fatto che
nella vita quotidiana o in suoi settori specifici (scienze, tecnologie, medicina, economia, politica
ecc.) si presentino situazioni che esigono di prendere comunque, qui e ora, decisioni basate su
conoscenze non assolutamente certe non uneccezione ma la norma.
In terzo luogo, anche in situazioni cos nuove, complesse, non ancora completamente chiarite,
che possono comportare gravi errori per le persone e lumanit, la Chiesa ha sempre e comunque il
dovere essenziale di: a) illuminare le coscienze dei credenti e dellumanit su materie importanti e
sovente decisive; b) difendere la sostanza della fede. Il fatto che per determinati motivi il Magistero
non possa proporre insegnamenti infallibili, non lo costringe necessariamente al silenzio. Esiste
infatti una terza possibilit: pronunciare orientamenti e decisioni che, pur non essendo infallibili,
hanno tuttavia un determinato grado di obbligatoriet bench unito a un certo grado di
9

provvisoriet. I credenti devono conoscerli, riconoscerli, rispettarli e seguirli per quanto e ove
possibile, in proporzione alle loro capacit e competenze, e contribuire pure, nei debiti modi loro
possibili, alla loro chiarificazione5. Da tempi antichissimi, infatti, in simili questioni, la Chiesa si
avvalsa della communis aestimatio peritorum ossia del giudizio di persone esperte e competenti,
pur sapendo che anchesse sono soggette a incertezze, errori e mutazioni di giudizio.

6. Non infallibilit, oggetti indiretti, assenso


Pu essere utile illustrare largomento con un esempio recente. Negli anni 1980, alcuni medici
cristiani chiesero alla Sede Apostolica un pronunciamento autorevole sulla morte cerebrale. Nel
1981, il Pontificio Consiglio Cor Unum, nel documento Dans le cadre, al n. 51, citando un
discorso di Pio XII (24.11.1957) commentava: indubbiamente non ci si pu aspettare dalla scienza
medica qualcosa di pi di una descrizione di criteri che permettano di stabilire che la morte
sopravvenuta, ma ci che il Papa intende dire che questo giudizio appartiene alla medicina e non
alla competenza della Chiesa 6. Di conseguenza: a) non si pronunci; b) ricord ai competenti
responsabili la necessit della massima prudenza dovuta al permanere di molte incertezze sulla
definizione medica della morte; c) prese atto del crescente consenso nel considerare morto
lessere umano in cui si constata la totale irreversibile mancanza di attivit cerebrale (morte
cerebrale)7.
Per quanto riguarda largomento che stiamo trattando, questa ferma distinzione fra le diverse
competenze della Chiesa e della scienza estremamente importante. Lo stesso dicasi del
riconoscimento del valore, ma anche della provvisoriet, del parere degli esperti. Il contesto storico
e socio-culturale riguardava forti pressioni sulla S. Sede, da parte di autorevoli ambienti scientifici
a livello mondiale, perch si pronunciasse ufficialmente su una questione di decisiva importanza
per lumanit quale se la morte dellessere umano consta della morte cerebrale. In tali
circostanze il S. Padre non emise alcun pronunciamento diretto n alcuna dichiarazione ufficiale,
come gli chiedevano. Non rimase, per, neppure in silenzio. Al contrario, per mezzo di un organo
autorevole del Magistero ecclesiale conferm che la Chiesa non pu fare proprie n affermazioni
di ordine scientifico, n criteri scientifici (in questo caso quello per stabilire la morte delluomo
mediante la morte cerebrale). In pi, non si limit a questa affermazione, ma chiar le condizioni
in cui legittimo far credito al giudizio prudente di coloro alla cui competenza scientifica spetta la
determinazione del fatto della morte8. Abbiamo qui un chiaro esempio del comportamento del
Magistero nei casi di decisioni basate su conoscenze non assolutamente certe e, insieme, del
riferimento alla communis aestimatio peritorum9. Il problema dellassenso al Magistero, come
vedremo, ritorna pi volte nel trattare di Magistero, dogmi e teologia. Nel capitolo 3, 3
vedremo che tale assenso opera: 1) della Grazia e dello Spirito Santo; 2) dellintelligenza e
ragionevolezza delluomo; 3) della libera volont che risponde positivamente alla Parola di Dio.
Nel capitolo 5, 4, riguardo ai gradi di assenso approfondiremo invece lassenso dovuto ai
pronunciamenti magisteriali riguardanti dottrine non espresse con atti definitivi, riguardanti:
lintelligenza profonda della Rivelazione e di ci che ne esplicita il contenuto; la conformit di una
dottrina con le verit di fede; eventuali concezioni incompatibili con la fede e la dottrina ecclesiale.
Qui anticipiamo soltanto che, in tali casi, lassenso dovuto a questi pronunciamenti quello del
religioso ossequio di volont e intelligenza, che spiegheremo pi avanti nel suo luogo
appropriato10.

Lettera dei Vescovi tedeschi a quanti hanno nella Chiesa lincarico di predicare la fede, in
LOsservatore Romano, 15 dicembre 1967, p. 5, n. 8; o Ed. Esperienze, Fossano 1968. Per un breve
commento cf. Kern, Niemann, Gnoseologia cit., 166.
6
Conseil Pontifical Cor Unum, Dans le Cadre, 1981, EV 7/1261.
7
EV 7/1262.
8
EV 7/1264.
9
G. Gismondi, Fede, scienza, etica da Gaudium et Spes a Veritatis Splendor, in Antonianum, 70 (1995),
542.
10
Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, Citt del
Vaticano, 1990, n. 23.

10

Ricordiamo qui che fra le forme di oggetto indiretto vengono considerate anche le seguenti: 1)
Conclusioni teologiche che derivano da una proposizione rivelata e da unaltra non rivelata, come
un principio filosofico. La loro validit dipende dalla verit delle premesse, che si fondano sul
sapere umano e dalla correttezza dellargomentazione seguita. Per questo motivo alcuni le
denominano verit solo virtualmente rivelate. 2) Preamboli della fede (preambula fidei) ossia
presupposti per unaccoglienza motivata delle verit rivelate (esistenza di Dio, sopravvivenza dopo
la morte, possibilit dei miracoli ecc.). 3) Fatti dogmatici ossia conoscenze aventi un legame
estrinseco con le verit salvifiche (connotazioni del contesto storico come: carattere veramente
ecumenico di un Concilio, attribuzioni di certe affermazioni a un determinato autore ecc.). 4)
Canonizzazioni. Anche per gli oggetti indiretti vedremo, nel luogo indicato, i vari gradi di assenso
richiesti.

11

3. I DOGMI

1. Aspetti introduttivi
Il Catechismo della Chiesa Cattolica descrive i dogmi come verit contenute nella rivelazione
divina, o che hanno con essa una necessaria connessione, proposte al popolo cristiano in modo
definitivo e in una forma che obbliga a unirrevocabile adesione di fede (n. 88). Li definisce: luci sul
cammino della nostra fede che lo rischiarano e rendono sicuro. Indica pure lo stretto legame organico
fra i dogmi e la nostra vita spirituale (n. 89). Ricorda inoltre che tra le verit della dottrina cattolica vi
un ordine gerarchico, che dipende dal loro diverso nesso col fondamento della fede cristiana (n. 90).
Per lesperienza della fede cristiana, dunque, lesistenza dei dogmi essenziale. Per questo, gi il
Concilio Vaticano I aveva dichiarato che: per fede divina e cattolica si deve credere tutto ci che
contenuto nella parola di Dio, scritta o tramandata, e che la Chiesa, con decisione solenne o mediante
il Magistero ordinario, propone a credere come rivelato da Dio (DS 3011).
Nella modernit, la cultura ha contestato la fede cristiana in base allassunto che solo la scienza in
grado di dare certezze. Nel postmoderno, invece, la contesta in base allassunto opposto, che nessuna
forma di conoscenza: scienza, filosofia, religione possa raggiungere la certezza. Nessuna forma di
sapere, quindi, potrebbe possedere o stabilire dogmi, che impedirebbero la libert del pensiero. In
effetti a un livello razionale puramente naturale, ogni pretesa dogmatica arbitraria e insostenibile. Il
problema dei dogmi teologici, tuttavia, non si pone allo stesso livello, per cui non cos semplice e
richiede molte distinzioni e approfondimenti. Prima di parlare genericamente di essi, occorre
analizzare lesperienza delluomo e dei gruppi. Scienze sociali e filosofia, infatti, hanno messo in luce
che, come nessuna persona o gruppo pu progredire n sopravvivere senza le tradizioni, non pu
neppure progredire n sopravvivere senza verit e valori aventi carattere incondizionato e formulabili
in proposizioni comunicabili.
Verit e valori costituiscono la base e il presupposto dellidentit di persone, societ e culture e
come tali sono la base indispensabile della loro libert e progresso. Ci significa che dogma e libert
non si contrappongono, perch tutta lesistenza umana si fonda su verit e valori. Ci che conta che
siano rispettate due condizioni fondamentali: 1) che essi siano autentici; 2) che non sidentifichi (o
equivochi) nessun valore, e nessun senso e significato profondo di una verit con le forme storiche
contingenti con cui viene espresso. Riconoscendo che la storia si fonda sullapertura illimitata e mai
del tutto esauribile dello spirito umano, si comprende come unespressione storica, in ogni epoca,
realizzi unanticipazione parziale, che consente di cogliere il tutto nel frammento. Ci spiega anche
perch la parola immutabile di Dio, durante il lungo processo della Rivelazione, sia stata espressa con
e in parole umane, sempre limitate e finite nella loro possibilit di espressione.
Ci vale pure riguardo alla Rivelazione su Ges Cristo. Ges la Rivelazione definitiva di Dio
nella carne umana e la verit definitiva su Dio e sulluomo che deve essere dichiarata e testimoniata
pubblicamente a tutti i tempi, le culture e nazioni. Egli pure levento a carattere escatologico oltre il
quale non pu darsi alcun progresso della Rivelazione (Eb 1,1) perch, essendo pienezza e
compimento, non una fine senza futuro ma il nuovo inizio al quale promesso un futuro
eterno. Egli, grazie allo Spirito Santo, continua a rendersi presente nella Chiesa, nella sua novit
escatologica, rendendo sempre giovane e vivo il suo messaggio. Questo dinamismo della Rivelazione
e della verit divina in Cristo fonda lesistenza dei dogmi e il loro sviluppo, come esplicitazione e
approfondimenti continui di ci che gi implicito nella Rivelazione originaria1.

2. Dogma, Scrittura, storia della Chiesa


Nellantichit, il verbo doko, radice di dogma, aveva diversi significati come: credere, ritenere,
deliberare. Il sostantivo dogma diede origine al verbo dogmatizo, usato nel linguaggio profano,
religioso e giuridico-amministrativo, per significare: imporre delibere o comandare2. Alcuni
propongono che esso, nel linguaggio ecclesiale indicasse, piuttosto, il significato pi antico di: ci
1

Z. Alszeghy, M- Flick, Lo sviluppo del dogma cattolico, Brescia 1967; AA.VV. , Lo sviluppo del dogma
secondo la dottrina cattolica, Roma 1953; W. Kasper, Dogma (sviluppo del), in ET, 220-224; D. Bonifazi,
Immutabilit e relativit del dogma secondo la teologia contemporanea, Roma 1959; M. Y. Congar, La
tradizione e le tradizioni, 2 vv., Roma 1964-1965; W. Kasper, Il dogma dotto la parola di Dio, Brescia 1968.
2
H. H. Esser, Comandamento, in DCBNT, 314.

12

che apparso giusto3. La S. Scrittura negli scritti tardivi della traduzione dei LXX, documentabile gi
dal II secolo a. C., lo us nel senso di ordine o disposizione (cf. Est 4,8; Dan 2,13; 4Mac 4,23). In
3Mac 1,3 indicava, invece, le prescrizioni divine della Legge mosaica e, in 2Mac, 15,36, le delibere
prese nella comunit. Nel Nuovo Testamento il termine usato per indicare gli ordini dellautorit
civile, in Lc 2,1 (il censimento di Augusto), At 17,7 ed Eb 11,23. In At 16,4, dogmata indica le
disposizioni del collegio apostolico per le comunit di missione. Nei contesti in cui il termine indica
gli editti delle autorit umane, vi traspare un senso dimpotenza o subordinazione dei poteri terreni, di
fronte allopera salvifica divina.
Alcuni pongono lo sviluppo ecclesiale del termine, nel periodo che intercorse da At 16,4, al secolo
IV. In esso si sarebbe evoluto verso i sensi di: verit e dottrina autorevole, obbligatoria per tutta la
cristianit, e prescrizione giuridica della Chiesa che esige assenso intellettuale4. La concezione pi
specifica di dogma, detta pure in senso stretto, viene invece considerata una conseguenza del
Concilio Vaticano I, per cui sarebbe piuttosto recente. Presso i Padri della Chiesa e durante il
medioevo il termine era inteso in senso largo, vale a dire di una dottrina, una sentenza, un principio
o una massima. Quanto i cristiani parlavano di dogmata li intendevano nel senso generale di dottrine
cristiane rivelate da Dio e credute dalla fede, senza accentuare particolarmente le definizioni del
Magistero 5. Sarebbe dal secolo XVIII che il senso stretto, nel significato attuale, avrebbe cominciato
ad insinuarsi. Il riferimento esplicito alla definizione della verit, da parte del Magistero, sarebbe poi
divenuto un elemento sempre pi importante e, infine, centrale.
Comunque sia, la realt del dogma si progressivamente chiarita come: a) esplicitazione dei
contenuti dottrinali impliciti nelle affermazioni della rivelazione; b) loro chiarificazione e
riformulazione in concetti e termini pi precisi o aggiornati, secondo le esigenze culturali delle varie
epoche e dei nuovi problemi sorti nel corso della vita e della storia della Chiesa. Nellera moderna, la
funzione definitoria del Magistero ha evidenziato il ruolo essenziale, proprio della Chiesa, di rendere
presente il Vangelo, nel corso della storia, nel tessuto delle istanze emergenti, per rispondere alle
esigenze pi urgenti delluomo e dellumanit. Ci non potrebbe avvenire mediante pure ripetizioni
dei suoi contenuti, poich occorre inserire vitalmente, nella cultura e nelle coscienze, la sua verit, i
suoi valori e tutti i suoi contenuti. Quanto alla distinzione fra il senso largo e quello stretto del dogma,
emersa la legittimit e validit di entrambi.
Il senso stretto consente notevole spazio alla libert nella Chiesa, permettendo molteplici
espressioni dellantica dottrina, che rendono possibili gli ulteriori sviluppi necessari. Il senso ampio, a
sua volta, risponde allesigenza di non separare mai la fede oggettiva da quella soggettiva e di non
isolare mia il dogma dalla verit e dottrina pi ampia annunciata dalla Chiesa. Queste esigenze
derivano dal fatto che i contenuti della fede sono sempre immensamente maggiori delle proposizioni
in cui vengono formulati6. Nella modernit emerso che, nonostante la loro grandiosit, le concezioni
patristiche e del primo medioevo presentavano pure dei limiti. Essi consistevano nel non distinguere a
sufficienza fra le verit di Dio e la testimonianza umana della verit (ad opera della Chiesa), che la
rende vitalmente presente nel corso della storia7.

3. Le diverse prospettive sui dogmi


I dogmi, esaminati nella prospettiva dei contenuti, non mostrano alcuna fissit o cristallizzazione
della fede e delle verit cristiane. Al contrario, ne palesano il dinamismo vitale, che fa cogliere,
sempre pi profondamente ed estensivamente, il senso della Parola e del Vangelo. questo
dinamismo che porta a nuove definizioni dogmatiche, evidenziando diverse prospettive, che le
rendono relativamente numerose. Nella prospettiva della comunicazione e proclamazione, secondo le
esigenze dei diversi ambienti storici e culturali, il dogma pu essere definito: una ripresentazione della
Parola di Dio nel corso della storia, ad opera della Chiesa, per proclamare o difendere la fede, in

DDT, 205.
Esser, 315.
5
D. Bonifazi, Dogma, DTI, I, 709.
6
Kasper, Il dogma sotto la parola di Dio, 50.
7
Bonifazi, Dogma, 710.
4

13

determinate circostanze storico-culturali e per determinate esigenze. In questo caso si evidenzia la


necessit di mediare il Vangelo eterno della salvezza con le istanze emergenti dalla storia.
Nella prospettiva della comprensione e del linguaggio il dogma costituisce la definizione di un
preciso contenuto di fede, mediante un linguaggio determinato e preciso, ricavato, quando
necessario, anche da termini filosofici e categorie culturali di una data epoca. Anche in questo caso
valgono i criteri dellanalogia, somiglianza/dissomiglianza, storicit, ambivalenza/ambiguit e limiti
del parlare umano. Ci non significa alcun relativismo, agnosticismo o scetticismo, ma la sana
consapevolezza che anche affermazioni limitate, storicamente e culturalmente condizionate,
consentono di esprimere contenuti incondizionati, perennemente validi. Nellambito del dogma,
questo criterio va considerato nel contesto della Chiesa come comunit viva, che si prolunga nella
storia, attraversando tutte le epoche, culture e situazioni. Nella prospettiva antropologica il dogma
costituisce una proposta e un appello rivolti alla libera responsabilit delluomo, da parte della Chiesa,
che esprime la sua fede vissuta, come norma di unautentica vita nella fede.
Nella prospettiva della forma il dogma distinto come verit di fede divina e di fede ecclesiale (o
cattolica). Ci sottolinea la presenza, in esso, di due elementi complementari. Il primo la rivelazione
divina, il secondo la definizione della Chiesa. Il dato rivelato, infatti, verit e dottrina insieme. Il
dogma, a sua volta, una verit e dottrina che ripresenta, nel suo modo specifico, il dato, la verit e la
dottrina rivelati. Le formule dogmatiche hanno valore oggettivo nel rappresentare gli oggetti di fede
della realt divina, pur nei limiti imperfetti della conoscenza analogica delle realt divine, propria
delluomo. La mediazione della Rivelazione attuata dalla Chiesa si svolge, tuttavia, in diversi modi
complementari e indispensabili: krygma, catechesi e dogma. Krygma e catechesi esprimono
lannuncio e lapprofondimento vivo del Vangelo. Catechesi e dogma consentono lapprofondimento
dellesperienza di fede e la formazione permanente nella fede, della comunit dei credenti.
Tutte queste prospettive fanno emergere il problema dellassenso personale ai dogmi, che verr
svolto nel capitolo quinto. Qui anticipiamo soltanto che esso esprime la decisione libera e responsabile
del credente di accogliere la Parola di Dio che lo interpella. In esso convergono, quindi: 1) la grazia
dello Spirito Santo; 2) lintelligenza e ragione delluomo; 3) la libera responsabilit. In questo
paragrafo abbiamo visto come i dogmi riesprimano e riattualizzino loriginaria formulazione biblica,
rendendo presente il Vangelo nelle pi diverse epoche storiche e circostanze culturali. Il passaggio dal
krygma al dogma consegue alla necessit di far vivere in modo attuale e consapevole i valori e le
verit biblico-evangelici, nella vita personale ed ecclesiale. Fa parte, dunque, della mediazione
attualizzante della Chiesa, volta a rispondere alle istanze umane, evitando le interpretazioni indebite o
errate del dato rivelato (eresie), emergenti nel corso della storia. Lo stesso va detto delle forme di
linguaggio dossologico e storico-esistenziale. La necessit di completarle con quelle concettuali e
dottrinali esprime lesigenza di attualizzare la verit rivelata secondo le richieste emergenti nel corso
della storia. Lo sviluppo della dimensione dottrinale presente nel krygma , quindi, un compito
specifico della Chiesa, del Magistero e della teologia.

4. Funzioni ecclesiali del dogma


Linterrogativo sulla fondazione biblica o, almeno, sulla legittimazione biblica del dogma, richiede
una risposta. Al riguardo si deve dire che, nella Bibbia e nel Vangelo, risultano presenti le seguenti
dimensioni della verit rivelata: a) storica, funzionale e salvifica; b) ontologica, essenziale ed
esistenziale; c) concettuale, dottrinale e teologica. La Scrittura evidenzia, dal suo interno, i rapporti fra
krygma e dogma. Nel Nuovo Testamento, infatti, troviamo: professioni e confessioni di fede,
interpretazioni dellAntico Testamento da parte della Chiesa primitiva, riletture post-pasquali degli
eventi pre-pasquali e assunzioni di elementi culturali dallambiente circostante. Tutto ci reso
elemento espressivo delle verit e realt cristiane, ecc., consentendo di apprezzare la complementariet
di Scrittura e dogma. La Scrittura esprime la ricchezza poliedrica e vitale della fede, mentre il dogma
ne esprime lunit e coerenza concettuale. Questa complessa realt spiega e legittima il continuo
passaggio dalle confessioni primitive di fede alle formulazioni successive e alle definizioni dottrinali.
Le funzioni ecclesiali del dogma, quindi, sono molteplici: confessionale-dossologica, dottrinale,
prolettico-escatologica ecc. La dimensione confessionale-dossologica traspare maggiormente nelle
confessioni di fede pi antiche e rimane sempre essenziale per esprimere la fede della Chiesa in ogni
momento della sua storia e anche nelle definizioni dogmatiche. Le dossologie, tuttavia, riguardo alle
varie forme di krygma e catechesi sollevano pure problemi di regolamentazione dei concetti e del
14

linguaggio. Ci introduce la seconda funzione dottrinale volta a tutelare la precisione, correttezza,


purezza dottrinale e unit della fede. Sotto questaspetto i dogmi delimitano lalveo nel quale scorre lo
sviluppo dellautentica fede, evitando le sempre possibili deviazioni. La funzione proletticoescatologica esplicita i contenuti della Rivelazione come fermento positivo della storia e come
tensione fra il gi, imperfetto e provvisorio e il futuro non ancora definitivo.

5. Immutabilit e storicit del dogma


Il Magistero ecclesiastico ha insistito pi volte sul valore assoluto e immutabile dei dogmi,
respingendo ogni tentativo di relativismo dogmatico. La dichiarazione Mysterium Ecclesiae ha
ricordato che il significato delle formule dogmatiche rimane sempre vero e coerente, anche quando
venga ulteriormente chiarito e compreso. A questo riguardo la teologia si avvale di alcuni principi
relativi sia alla Rivelazione che alla ragione. Riguardo alla ragione umana, sottolinea che il valore di
verit, oggettivit e assolutezza metafisica possibile per determinate affermazioni umane. Riguardo
alla Rivelazione, sottolinea che la Rivelazione pubblica, oggetto della fede cattolica, giunta a
compimento con gli Apostoli. Per questo motivo la Chiesa ha sempre considerato se stessa come
custode fedele dellinviolabile deposito della fede, ossia della Rivelazione trasmessa dagli Apostoli.
Come unica fonte delle sue definizioni dogmatiche vi la dottrina divino-apostolica trasmessa da
Scrittura e Tradizione. Non si mai considerata, invece, rivelatrice di nuove verit.
Riguardo ai dogmi evidenzia che la Chiesa, difendendo la sua infallibilit, ha sempre riconosciuto
il valore permanente, assoluto e immutabile dei dogmi, che non possono mai includere verit non
contenute, in qualche modo, nel dato rivelato. Inoltre, ha sempre sostenuto che ogni verit di fede
conserva sempre il significato originario inteso da Dio nella Rivelazione. Abbiamo gi ricordato al
cap. 1, 3, limportante affermazione della Dei Verbum n. 8, che la comprensione delle cose e delle
parole trasmesse cresce con la contemplazione e con lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro
(Lc 2,9, 19, 51). A sua volta, la loro maggiore intelligenza data da una pi profonda esperienza delle
cose spirituali e dalla predicazione dei vescovi che, con la successione episcopale, hanno ricevuto un
carisma sicuro di verit. Per tutto questo, nel corso dei secoli, la Chiesa tende incessantemente alla
pienezza della verit divina, finch in essa vengano a compimento le parole di Dio (Dei Verbum 8, 910).
Di conseguenza, Gaudium et Spes (n. 62) ha invitato i teologi a ricercare modi sempre pi atti di
comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca, perch altro il deposito p le verit
della fede, altro il modo in cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso significato e il
senso profondo. Ha sottolineato, inoltre, lesigenza di servirsi delle differenti culture per diffondere
e spiegare il messaggio cristiano nella sua predicazione a tutte le genti, per studiarlo, approfondirlo e
meglio esprimerlo nella vita liturgica e della comunit dei fedeli n. 58). Di qui il ripetuto invito a
distinguere il significato immutabile delle verit della fede dalle loro espressioni varie molteplici e
storicizzate.

6. Sviluppo dei dogmi


Tutto questo richiama il problema gi accennato dello sviluppo dei dogmi. Per comprenderne i
delicati e complessi fenomeni dobbiamo collocarlo nel suo pi ampio contesto salvifico, dal quale
riceve senso e significato. La teologia contemporanea lo sottolinea maggiormente, in vista di una
dottrina generale e globale dello sviluppo dei dogmi8. W. Kasper ha delineato i seguenti elementi,
come contesto o sfondo generale del problema. Lo Spirito Santo, con la sua azione e i suoi doni,
introduce i credenti nella verit tutta intera secondo lesplicita promessa di Cristo (Gv 16,13; cf.
14,26). In questo senso, Scrittura e tradizione appaiono uno specchio nel quale la Chiesa contempla
Dio e la sua verit e in cui trova espressione leredit apostolica. Ci fonda la necessit di ritornare
continuamente alle fonti, per crescere nella comprensione della fede. Quanto ai ruoli, il Magistero
stimola, accompagna criticamente e conclude il processo di sviluppo dei dogmi, come crescente
esplicitazione e comprensione del senso generale della fede.
La riflessione teologica, invece, prepara e facilita il compito del Magistero, aiutandolo con tutti gli
strumenti storici, logici, dialettici,analogici, di convenienza, convergenza dindizi, ecc. a sua
8

Kasper, Dogma, 225.

15

disposizione. La teologia, inoltre, si fa carico di elaborare una comprensione del Vangelo sempre pi
rinnovata e approfondita, secondo le richieste e le sfide sollevate dal mutare delle situazioni e dal
continuo sorgere di problemi umani, morali e spirituali. Tutto ci, per la Chiesa, esprime i segni dei
tempi cui prestare la massima attenzione. Lo sviluppo dei dogmi, quindi, non nasce da esigenze
puramente concettuali e intellettuali, ma dallimpatto della fede con le sempre nuove situazioni
storiche, individuali, sociali, culturali ed ecclesiali, sovente difficili e urgenti. Lo studio storico dei
dogmi mostra che le grandi dispute teologiche non si risolvono solo trattando singole e determinate
verit, ma elaborando un comprensione generale pi profonda, ampia, attuale ed efficace della fede
cristiana, a partire sia dalle verit fondamentali che da quelle specifiche, oggetto di contesa.
Esso mostra pure che, sovente, sconvolgimenti e distorsioni ereticali sono reazioni scorrette a
situazioni complesse e a problemi difficili. Sono reazioni scorrette: le scorciatoie intellettuali, gli
eccessivi adattamenti, le sintesi premature e superficiali, i rifiuti di confronti, gli irrigidimenti ostinati
e immotivati, le negazioni, isolamenti o assolutizzazioni di un unico aspetto, le esagerazioni o
riduzioni di aspetti particolari ecc. La lista sarebbe assai pi lunga. Ci spiega perch le conseguenze
negative delle eresie non consistano solo nella negazione di qualche verit, ma anche nello spingere la
ricerca, riflessione, sviluppo o elaborazione di una dottrina verso direzioni sbagliate. In tutti questi
casi, la risposta della Chiesa volta a mettere in luce i vari aspetti genuini e specifici della verit e dei
dogmi. Essa dimostra come si possano sottolineare gli uni, senza negare o sminuire gli altri.
Il segreto del successo, in questo delicatissimo compito, sta nel ricercare la verit in modo
equilibrato, con reciproco rispetto e amore ed evidenziando sempre gli aspetti salvifici e liberatori di
ogni verit e dottrina9. A tal fine occorre, come gi detto, rispettare lordine gerarchico delle verit 10
derivante dal loro rapporto col fondamento della fede cristiana, che Cristo (fondamento cristologico).
Teologia dello sviluppo e storicit del dogma sono regolate, dunque, dai seguenti principi
fondamentali: 1) Ogni verit dogmatica deve essere contenuta esplicitamente o implicitamente nel
dato rivelato, che intende chiarire o esplicitare. 2) Ogni dogma successivo deve porsi in continuit
omogenea col significato di quelli gi definiti (evoluzione omogenea). 3)Occorre controllare con cura i
modi in cui un dogma incluso nella Rivelazione: limplicito va esplicitato; il gi espresso va
riformulato in termini attuali. 4) Nello studio dello sviluppo rimane sempre essenziale ritornare al dato
biblico originario, sovente pi fruttuoso del riferimento agli sviluppi dogmatici legati a contesti
storico-culturali particolari. 5) Le modalit razionali dello sviluppo possono essere molteplici: logicodiscorsive, intuitivo-vitali, concettualizzazioni, apprensioni concettuali riflesse ecc. 6) La Scrittura
rimane il testo originario, qualificato e normativo insostituibile (norma normans non normata) in cui
emerge la Parola eterna di Dio. 7) Il dogma esplicita pure lesperienza ecclesiale del Cristo.
Ricerca e riflessione contemporanea hanno messo in luce che il pensiero e il linguaggio umano
rimangono sempre inadeguati ad esprimere la pienezza, ricchezza, profondit e totalit della realt.
Ci vale, a maggior ragione, per i misteri divini. Il dogma, quindi, rimane un asserto vero, ma parziale,
perch non pu n deve esaurire tutto il mistero contenuto nella verit divina. Pertanto, realt divina e
dato rivelato trascendono ogni loro espressione in formule dogmatiche. Queste, tuttavia, rappresentano
un definitivo punto di riferimento, necessario e obbligante per ogni ulteriore espressione della fede.

7. Interpretazione dei dogmi


Ogni realt pu essere considerata da numerosi punti di vista, sempre nuovi e da prospettive
complementari, che integrano, arricchiscono, e completano quelle precedenti. Ci vale pure per le
realt divine e salvifiche. La concezione storica dei dogmi e lesigenza di una loro interpretazione,
quindi, non comporta alcun relativismo o scetticismo. Essa si basa sulla duplice convinzione che, nei
dogmi, la verit sempre presente col suo valore definitivo e, tuttavia, pu essere ulteriormente
esplicitata, nello stesso senso e nella stessa affermazione (eodem sensu, eadem sententia). Ci
possibile per la struttura stessa del dogma, come affermazione ecclesiale della Parola vincolante di Dio
che: 1) si rende presente nella parola umana; 2) va interpretata come asserzione di fede e verit
salvifica; 3) viene attestata come vera e tale intende essere. Certamente il confine fra dogma formale e
dottrina vincolante della Chiesa non sempre facile da determinare. Ma ci non sembra neppure
necessario. Vi sono, infatti, affermazioni fondamentali del Credo Apostolico che non furono mai
9

Kasper, Dogma, 226.


Unitatis Redintegratio 11.

10

16

definite formalmente e tuttavia, sono essenziali e vincolanti. Inoltre i dogmi vanno sempre posti in
relazione con lintera fede e dottrina della Chiesa.
Ci premesso, linterpretazione di un dogma data dalla mediazione fra la situazione in cui esso fu
definito e la nostra situazione attuale. Ci significa che da un lato si deve sapere, con la maggiore
precisione possibile, ci che esso veramente intende dire. Daltro lato si deve cercare di trasmetterne e
comunicarne il contenuto nel modo pi esatto ed efficace. Ci impegna pure termini, prospettive di
pensiero e linguaggio pi comprensibili ed efficaci. Il punto centrale dato dal distinguere il contenuto
profondo che una definizione dogmatica intende esprimere, dai mezzi e modi in cui lo esprime. Si
tratta di capirne lintenzione profonda attraverso i suoi mezzi espressivi. La prima va sempre
conservata, sui secondi si pu e deve esercitare un rigoroso discernimento critico cristiano. A questo
fine vanno accuratamente sottolineati i seguenti elementi: 1) contenuto inteso; 2) rivestimento
espressivo; 3) schema noetico o modello di pensiero; 4) modo di presentazione. Il contenuto la parte
prioritaria che va sempre salvaguardata, mentre le altre parti possono essere rielaborate o espresse
meglio. Questo compito ecclesiale richiede unintensa partecipazione di teologi e storici del dogma e
della teologia. La garanzia dellinterpretazione autentica, che attualizzi il valore perenne e salvi
lirreformabilit dei dogmi poggia, invece, sullassistenza dello Spirito Santo garantita al Magistero
nellesercizio del suo ministero ecclesiale11.

11

Bonifazi, Dogma, 716-717; Kasper, Dogma, 221-223.

17

4. LA TEOLOGIA

1. Aspetti introduttivi
In questo capitolo approfondiremo i rapporti della Teologia con la Tradizione, il Magistero e i
dogmi, ossia gli elementi sviluppati nei precedenti capitoli. Nellantichit classica il termine teologia
era usato in ambito profano, filosofico, extra-cristiano. Per Platone, ad es. teologia era lo stato
mitologico che precede il vero sapere. Di qui lesigenza di liberare le mitologie e le leggende dai loro
aspetti ingenui o addirittura sconvenienti, al fine di farne emergere il logos, ossia la ragione e la verit
che in essi si nascondevano 1. Per Aristotile la teologia era la scienza che si occupa di ci che eterno
e, quindi, anche della causa eterna delluniverso, ossia del suo divino motore immobile2. Il massimo
livello della filosofia teoretica era, dunque, la filosofia teologica che si spingeva fino al divino3. I
filosofi greci non ambivano al titolo di teologi, che lasciavano a quanti si occupavano di mitologie e
culti degli dei. Neppure la S. Scrittura e i Padri della Chiesa usarono questo termine.
Il contenuto di esso deriv dalla crescente diffusione del cristianesimo nel mondo romano e del suo
forte impatto con la cultura ellenistica. Il termine entr assai lentamente nellambito cristiano e ancor
pi lentamente assunse rilievo e significato come discorso cristiano su Dio. Poich mondo romano e
cultura ellenista opposero formidabili ostacoli allannuncio cristiano, costrinsero anche lintelligenza
della fede a un arduo lavoro per presentare, difendere e vivere autenticamente la fede cristiana. Il
pensiero greco precristiano aveva approfondito, in particolare, tre importanti aspetti: a) il legame fra
teologia e mito; b) la critica al discorso mitologico; c) il rapporto fra filosofia e suprema sapienza. Da
parte sua il pensiero cristiano svilupp: a) il legame con la Parola di Dio; b) la sistematica ricerca della
Parola di Dio nella parola umana; c) il rapporto fra Sapienza e mistero di Dio, origine e fine della
creazione delluomo.
Il pensiero greco cercava la conoscenza sapienziale di tutta la realt (senso filosofico), mentre il
pensiero cristiano cercava lautentica Sapienza (in senso biblico) trascendente e divina. Vi erano,
quindi, numerosi punti di dialogo e di confronto. Per il pensiero cristiano la sfida nasceva soprattutto
dalla perenne pretesa universalista del messaggio evangelico, che esige forme espressive, concetti,
discorsi, termini e linguaggi adeguati. Due esigenze, in particolare, furono sempre alla base dello
sviluppo teologico dellannuncio: 1) la sua comprensione universale, che nasceva dal mandato di
Cristo di fare discepole tutte le nazioni della terra (Mt 28,19); 2) la salvaguardia della sua autenticit e
specificit, come sale della terra e luce del mondo (Mt 5,13). Di qui la perenne necessit di una
riflessione profonda, a tutto campo, sulla Rivelazione e la fede, e sulla vita e le culture delluomo. in
questo contesto problematico che nasceva la teologia
Un altro carattere del messaggio, da approfondire teologicamente, era il fatto che per i cristiani, in
senso specifico, Ges non mai passato ma continua ad essere presente e futuro. Questo perch
Egli il Signore, il Figlio di Dio fatto uomo per salvare gli uomini e lumanit. Egli , insieme, la
Rivelazione e il suo maggior Mistero. Questa consapevolezza deve rimanere sempre alla base di ogni
riflessione di fede e sulla fede (teologia). Per affrontare questa sfida, cos difficile e ardua, la fede, fin
dagli inizi, si avvalse di tutti gli strumenti dellintelligenza, del pensiero e della ragione, in particolare
della storia e della filosofia. Dovette quindi procedere a purificare ed elevare i loro concetti e le loro
categorie fondamentali, soprattutto della filosofia e della metafisica (Giustino, Ireneo, Ignazio,
Origene ecc.). Alcuni hanno visto in questoperazione unellenizzazione del messaggio. Studi pi
accurati hanno dimostrato che pi esatto parlare di cristianizzazione della cultura classica.
Fin dagli inizi, infatti, la teologia mantenne fermo il suo specifico carattere ecclesiale, muovendo
da Tradizione, Scrittura e dottrina ecclesiale, approfondite per mezzo di unintelligenza argomentativa.
Essa non abbandon n attenu mai il suo specifico cristiano vale a dire la fede in Dio, che si
rivelato pienamente nel suo Figlio, Ges Cristo. Il cristianesimo, quindi, rimane sempre sotto la
rivendicazione e linterpellanza di Dio, per la mediazione unica di Cristo. Cristo rimane
ordinariamente accessibile nella sua comunit credente (Chiesa) e nella trasmissione della sua verit
(Tradizione e Scrittura), per cui la conoscenza, comprensione e mediazione dello specifico cristiano
1

Platone, Repubblica, 379a.


Aristotele, Metafisica, XII, 6-10.
3
Ib., B 1000 a 9.
2

18

legata allattuazione di Cristo e del suo Regno, nella sua Chiesa e per mezzo di essa. In essa e per
essa, Ges dona ai credenti la sua persona, parola, luce, immagine di Dio, salvezza, mediazione, via,
verit e vita eterna4.

2. Modelli teologici
Questo specifico cristiano stato elaborato ed espresso mediante vari modelli teologici. I primi
furono quello patristico e alto medievale, nei quali conflu la riflessione della Chiesa degli inizi. Essi
sottolineavano il felice scambio di Cristo, che ci dona le sue ricchezze divine (santit, verit, vita
divina), prendendo su di s le nostre miserie umane (peccato, condanna, morte, limiti, debolezze ecc.).
Veniva pure sviluppata la portata cosmica della Redenzione e la trasformazione (santificazione,
divinizzazione) delluomo, che riceve il dono divino di grazia e salvezza, mediante lilluminazione e la
verit divina5. Quanto al modello altomedievale, inser nella teologia lesigenza di cercare o introdurre,
nel sistema complessivo della fede, le rationes necessariae per ogni verit. Nella fase matura, invece,
la crescente tensione e scontro fra tradizione accolta nella fede e conoscenza autonoma, sostenuta dal
sapere aristotelico, port a una progressiva riduzione della pretesa cognitiva della teologia e a una
maggiore consapevolezza critica del rapporto fede-sapere.
La teologia, quindi, si esprimeva come sapere-sentire religioso, superiore o totalizzante, che
consente di percepire, giudicare e agire in vista della propria perfezione e beatitudine. Tale sapere
veniva centrato sul mistero di Cristo, riletto nel cosmo, nella storia e nellessere. Lo si cercava
nellAntico e Nuovo Testamento, letti alla luce della fede della Chiesa. S. Agostino viene indicato
come il migliore esempio di tale modello, mentre, come limiti, vengono considerati: una certa
imperfezione storico-critica nella lettura della Scrittura; la sovrapposizione degli elementi filosofici;
limpostazione eclettica. Essi avrebbero causato uninsufficiente distinzione fra i diversi elementi
dialettici: naturale e soprannaturale, filosofia e teologia, intuizione e ragione, fede e ragione, affetto e
ragione, ascesi/mistica e teologia razionale.
Il modello della Scolastica, invece, si caratterizza per il confronto fra il dato rivelato e la filosofia
aristotelica, corretta e integrata, in senso cristiano, da S. Tommaso. Nel suo pensiero, lattivit pi alta
quella intellettuale-concettuale, la cui forma pi elevata la scienza, intesa come conoscenza certa
ed evidente di una cosa, mediante le sue cause necessarie. In questo senso, la metafisica vista come
la scienza somma. I limiti di questo modello sono indicati nello spostamento dal piano salvifico
storico, religioso, affettivo, volontario, contemplativo e dossologico, a quello ontologico, essenzialista,
metafisico e dialettico. Tale deriva port alla progressiva separazione della teologia dalla vita
spirituale, liturgica, mistica, pastorale e operativa6. La maggior cesura dai modelli precedenti fu
consumata nellet moderna. Dapprima vi fu Lutero che accus i teologi scolastici di volere arrivare a
Dio con la forza della ragione, anzich attenersi alla sola croce. Per questo contrappose a quella che
chiamava theologia gloriae la certezza della salvezza nel Signore crocifisso, ossia la sua theologia
crucis. Pi tardi, le filosofie della soggettivit, in base ai loro principi, interpretarono la fede
riducendone i contenuti entro i limiti della pura ragione e della morale naturale (Kant, Religione entro
i limiti della semplice ragione, 1793).
Hegel, a sua volta, (Lezioni sulla filosofia della religione, 1821-1831) interpret il cristianesimo
come religione assoluta in cui il mistero esiste solo per lintelletto ma non per la ragione. Sostenne,
quindi che, nella morte in croce, attraverso lindividualit di quelluomo unico, lo spirito irruppe,
realizzando luniversalit della comunit spirituale. In questa temperie, la scuola cattolica di Tubinga
tent di presentare il cristianesimo come la rivelazione integrale di unidea divina che pervade il
mondo e che nel cristianesimo primitivo si presentata in forma di normativa per ogni tempo, ma
rimase del tutto isolata. La neoscolastica si oppose al romanticismo, idealismo, kantismo, hegelismo,
obiettando che inglobavano panteisticamente, in un processo storico, la trascendenza divina,
4

H. Waldenfels, Teologia fondamentale, Cinisello B., 1988, 17-22.


W. Kern, Teologia, in ET, 1009-1011; W Pannenberg, Epistemologia teologica, Brescia 1975; Id.,
Rivelazione come storia, Bologna 1969; D. Bonifazi, Filosofia e cristianesimo, Roma 1968; Y.M. Congar,
Situation et tches prsentes de la Thologie, Paris 1972; F. Fevrier, P. Clair, Clefs pour une thologie, Fribourg
1974; S. Fausti, Ermeneutica teologica Bologna 1975; Le pi recenti epistemologie: Popper-Hempel. Atti del
XVIII convegno di assistenti universitari di filosofia, Padova, 1973.
6
C. Vagaggini, Teologia, in NDT, 1559-1577.
5

19

sopprimendone la libert. In tale clima culturale, pure la neoscolastica accentu, nella teologia, la
comprensione concettuale di una dottrina e verit atemporale, priva della sua ineliminabile
componente storica (storia della salvezza)7.
Tenuto conto di ci, dunque, si pu parlare di un modello positivo-scolastico in cui dapprima
aument la preoccupazione della prova razionale e apologetica e diminu la relazione con la Scrittura e
la Tradizione. Ne deriv un successivo impegno verso un pi approfondito rapporto con la Scrittura e
la Tradizione e il riconoscimento della necessit di ripristinare un rapporto pi equilibrato e armonioso
fra la dimensione razionale-concettuale e tutte le altre.

3. Lepoca contemporanea
Nel XX secolo il pluralismo culturale provoc pure un pluralismo di proposte e risposte teologiche.
Si parl molto di teologie: politica, delle realt terrene, della prassi, della liberazione ecc., la cui
esistenza fu effimera pur offrendo qualche contributo. Tale pluralismo deriv in gran parte dal
notevole ampliamento dellesperienza umana, conseguente allespansione delle scienze, delle tecniche
e alla crescente complessificazione della vita sociale. Neppure la teologia, quindi, pu sottrarsi al
dialogo con le attuali culture dellumanit, n ignorare il pluralismo delle diverse concezioni
filosofiche sullesistenza umana, il mondo, la storia. Inoltre deve tenere conto dei problemi sollevati
dai progressi tecnoscientifici. Una delle esigenze attualmente pi sentite quella di affrontare le forme
pi preclusive dellantropocentrismo e dello scientismo contemporanei, al fine di aprire un ampio
dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso8.
Al riguardo la lunga esperienza storica della teologia ha consentito di collaudare lutilit dei
seguenti criteri: 1) La comprensione approfondita della fede esige la teologia, come sistematica
riflessione critica sulla fede e su tutto ci che essa comporta. 2) La teologia non pu fare a meno degli
strumenti elaborati dallesercizio critico dellintelligenza su la realt (scienze, filosofie) e su se stessa
(filosofia, metafisica). 3) La teologia non pu rinunciare al suo discernimento critico sui saperi umani
(scienze, filosofie), tenuto conto del loro pluralismo. 4) La filosofia, pur costituendo un momento
stabile, allinterno del pensiero teologico, rimane uno strumento fragile, ambiguo, parziale,
provvisorio, che non pu costituire la misura della fede o il criterio della sua riduzione. 5) Fra
fede e filosofia esistono sempre tensioni e momenti conflittuali, per cui la teologia non pu far proprio
alcun sistema filosofico, n alcuno di questi pu esserle imposto o anteposto. 6) Criterio preferenziale
per una filosofia pu essere la sua apertura e compatibilit nei confronti dei punti decisivi e
determinanti della fede (trascendenza e libert assoluta di Dio sul mondo, libert e responsabilit
delluomo, radicale apertura umana alleventualit di una Rivelazione ecc.) (Optatam Totius, 15). 7)
Ogni filosofia pu offrire problemi, elementi utili e sfide di cui la teologia deve tener conto nel suo
impegno di mostrare ai contemporanei la credibilit della fede. 8) Per la teologia essenziale e
irrinunciabile non trasporre acriticamente alcun elemento o sistema filosofico o scientifico, nella sua
comprensione della fede cristiana. 9) Il contesto pluridisciplinare e i rapidi mutamenti culturali non
consentono pi alle singole discipline di valorizzare tutti i dati disponibili, per cui soffrono sempre
uninsuperabile incompletezza. 10) Di fronte alla crescente complessificazione concettuale e
socioculturale, teologia, filosofia e scienze devono sempre pi dialogare e adottare modalit di ricerca
e riflessione inter- e trans- disciplinare9. 11) Per evitare la vanificazione culturale conseguente
allenorme frantumazione di esperienze e conoscenze, la teologia deve rivalutare le costanti
permanenti delluomo e della natura, senza sminuire lattenzione al mutabile10.

4. Criteri e principi per la teologia


Nella recente riflessione teologica ha acquisito un certo rilievo il criterio ultimo della teologia.
Esso riguarda: la Parola di Dio, la fede in essa e i limiti della ragione. Riguardo alla ragione si deve
rilevare, in accordo con la gnoseologia classica e la pi recente epistemologia, che essa una facolt
7

Kern, Teologia, 1012.1013; H. Fries, Teologia fondamentale, Brescia, 1987; 164-166.


Vagaggini, Teologia,1579-1598; Id., La ricerca della sintesi nella dottrina teologica di Dio, in AA.VV., I
teologi del Dio vivo. La trattazione teologica di Dio oggi, Milano 1968.
9
J. Alfaro, Rivelazione cristiana. Fede e teologia, Brescia 1986, 140-157.
10
Waldenfels, Teologia fondamentale, 31.
8

20

storicamente strutturata e condizionata da errori, mutamenti, modifiche, limiti e contingenze, che


esigono sempre attenta e rigorosa critica. Lidentificazione e scoperta di questi elementi negativi
richiede tempi lunghi. Il teologo sa che la Parola di Dio e la fede, rendendo coscienti di tali limiti,
possono condurre lintelligenza a maggior realismo, equilibrio e apertura a nuovi spazi e dimensioni.
Ci vale per ogni applicazione di strumenti razionali e prospettive culturali alla teologia. Possono
mutare le stesse prospettive adottate dai teologi. Attualmente la prospettiva considera la Rivelazione
come salvezza, nella quale Dio si autorivela liberamente, e dona, nel Figlio Ges Cristo, la salvezza a
ogni singolo e allintera umanit.
Dio si rivela salvando e salva rivelandosi, vale a dire manifestando la sua trascendenza nella storia.
Per questo la teologia pu parlare su Dio, muovendo dalla Parola di Dio incarnatasi in Cristo. Ci
esige che Dio rimanga il soggetto e non diventi un oggetto. La teologia deve quindi conservare sempre
il suo carattere mistagogico o senso del mistero, espresso nellatteggiamento orante e contemplativo,
assai pi che in quelli concettualizzanti e raziocinanti. Ci essenziale per non ostacolare o
stravolgere col suo parlare umano il parlare di Dio. Inoltre la teologia deve salvaguardare la sua
specifica ecclesialit, poich il suo interlocutore autentico la comunit ecclesiale e non i teologi,
singoli o in gruppo. La teologia, infatti, una funzione vitale, teoretica e pratica con la quale il popolo
di Dio si orienta e indirizza alla Parola divina. Il teologo, quindi, deve servire la Parola di Dio nella e
per la comunione, vita e missione della Chiesa.
Ci viene detto in modo molto sintetico mediante i due grandi principi e fondamenti dellautentico
teologare: la Parola di Dio la norma suprema (norma normans non normata) e la Chiesa la norma
prossima (norma normans normata). Spetta alla comunit ecclesiale, quindi, valutare e giudicare i
risultati del lavoro teologico. Il consenso ecclesiale dato dal vero sensus fidei dei fedeli, di cui parte
essenziale lapprovazione del Magistero. Questo anche il principio criteriologico ed epistemologico,
costitutivo e ultimo della teologia, necessario per collaborare allinterpretazione autentica del
Magistero e contribuire a una sempre maggiore comprensione della Parola di Dio11. Tali principi e
presupposti costitutivi esistono per ogni disciplina, scienza e sapere, al fine di tutelarne lidentit,
autenticit e libert, evitandole di snaturarsi o dissolversi. Se quelli teologici finora esposti non
venissero osservati, la teologia si ridurrebbe a una delle scienze della religione, perdendo la propria
identit e venendo meno ai propri compiti.
Fra questi vi la funzione critica, altamente profetica, verso il mondo, la cultura e tutti i fenomeni
che non sono Dio. Di essa, anche la stessa modernit sembra aver compreso, infine, la necessit e
insostituibilit12. Non va dimenticato, infatti, che compito della teologia indicare ci che non ma
che dovrebbe essere. Infine, la sua critica comporta pure la critica delle critiche e lautocritica,
fondate sul discernimento evangelico 13. Solo questo giusto equilibrio fra coscienza credente e
coscienza critica consente di discernere, valutare e avanzare evangelicamente proposte migliori. Di qui
il duplice aspetto della funzione critica della teologia. Il primo laspetto interno che comporta: a) la
critica negativa di eventuali difetti, abusi o dissonanze dalla Parola; b) la critica positiva volta alla
ricerca del meglio; c) lautocritica o disponibilit a rivedere sempre le proprie posizioni, metodi e
risultati (autocritica della critica). Il secondo laspetto esterno che comporta: a) la critica negativa
dei processi mondani e profani che mirano a plasmare il mondo; b) la critica positiva che valorizza la
speranza e lo spirito di profezia propri della fede biblico-cristiana14; c) lautocritica del proprio
servizio reso allannuncio, predicazione e catechesi.

5. Teologia e filosofia
Rimane tuttora vivo il problema del rapporto fra teologia, filosofia e scienza. Come si visto,
limpatto della fede cristiana e del pensiero greco liber la ragione umana dalla mitologie, ma non
elimin lautentica teologia. Questa spost il discorso da Dio come primo principio delluniverso a
11

Dei Verbum 10.


G. Gismondi, Scienza, filosofia e teologia come istanze critiche, in Nuova civilt delle macchine, 15
(1997), n. 1-4, 193-207.
13
G. Gismondi, Religione fra modernit e futuro, Assisi 1998.
14
W. Kern, H. J. Pottmeyer, Trattato di gnoseologia teologica, Brescia, 1990, 275-279; Waldenfels,
Teologia fondamentale, 27-30.
12

21

Dio Padre e Creatore di tutti gli uomini . La filosofia che continu a considerare Dio un oggetto fin
col declassarlo da oggetto unico e supremo a uno dei tanti, perdendolo. A suo riguardo, il tema
fondamentale divenne lessere esistente che fonda ogni esistente, identificato con Dio, senza chiedersi
come Dio entrasse in tutto ci. Inoltre, la vecchia tensione fra mito e ragione fu trasferita nel rapporto
fra autorit e ragione, delegittimando sempre pi lautorit a favore dellautonomia della ragione.
Linesauribile ricchezza del logos come analisi, sintesi, teoresi, operativit ecc., venne frantumata e
ridotta a dicotomia fra lintelletto inteso in modo hegeliano e la razionalit come facolt strumentale e
di calcolo. Tenendo conto di queste premesse e delle altre sottolineate in questo capitolo, possiamo
configurare il confronto e rapporto fra filosofia e teologia, pi o meno in questi termini:
1. Filosofia e teologia sono diverse e distinte, la prima rimane indispensabile alla seconda,
costringendola a ripensare sempre continuamente il messaggio e la fede cristiana.
2. Filosofia e teologie sono unite dagli interrogativi fondamentali delluomo, ai quali la teologia
intende offrire le sue risposte.
3. Per la teologia, la rivendicazione dellautonomia della filosofia diviene un valido stimolo a
risolvere le tensioni fra autonomia ed eteronomia.
4. Gnoseologia ed epistemologia convergono nel dimostrare linesistenza di unautonomia assoluta,
poich ogni scienza e filosofia esigono fondamenti e presupposti.
5. Storia e antropologia mostrano che ogni sapere gravato da condizionamenti storici, ambientali
e socioculturali, che vanno sempre verificati, criticati e modificati.
6. Per scienze e filosofia, riguardo a Dio, la massima conoscenza consiste nella consapevolezza di
non conoscerlo.
7.Nonostante i suoi limiti e insuccessi, la filosofia non pu rinunciare a cercare affermazioni dotate
di senso, nuove vie da percorrere ed esaminare le proposte positive di salvezza riguardanti gli
interrogativi fondamentali delluomo.
8. La teologia cristiana, oltre al suo ruolo trascendente esprime pure un modo storico e concreto
dinterpretare lesistenza, che considera il rapporto fra filosofia e teologia nei termini di domanda e
risposta.
9. Filosofia e teologia, senza risolversi luna nellaltra, mostrano notevoli intersezioni
problematiche, interconnessioni sistematiche e analogie metodologiche da analizzare e valutare
accuratamente15.

6. Teologia e scienze
Dobbiamo ora considerare il confronto fra teologia e scienza nei suoi due aspetti: i rapporti fra
teologia e scienza e la scientificit della teologia. Anche qui occorre rifarsi agli inizi, in prospettiva
storica. Il sapere scientifico nacque dallintento della filosofia di capire se stessa, delimitando tutto ci
che aveva aspetto mitologico. Dapprima essa si concep come episteme (scienza), poi se ne distacc
considerandola una conoscenza subordinata. La subordinazione, che includeva differenza e distanza,
divenne un concetto essenziale, che mise in moto un processo di separazione ed emancipazione della
scienza. Ci la port a una radicale diversit da quella filosofia che, alle origini, si era identificata con
essa, pur conservandone gli stessi fini: la conoscenza certa e incontrovertibile. Lepoca moderna segn
il suo passaggio da sapere dotto e deduttivo (dottrina) a sapere come processo di ricerca, caratterizzato
dai postulati di neutralit, assenza di pregiudizi, libert dai valori, apertura critica, confronto
intersoggettivo, onest intellettuale ecc.
Fino alla met del XX secolo la scienza si consider, in senso teoretico e formale, un sistema di
proposizioni ipotetiche induttive e teoriche deduttive capaci di confrontarsi direttamente con la realt,
mediante esprimenti oggettivi che dovevano fondere verifica empirica e giustificazione logica. Dalla
fine del XIX secolo a tuttoggi essa apparsa sempre pi un sapere relativo ed ipotetico. Non pi
considerata la descrizione rigorosa, esatta e oggettiva della natura, indipendentemente da Dio e
dalluomo. Essa descrive solo la natura subordinata allapproccio specifico della scienza e al suo modo
di porre i problemi. Anzich offrire immagini definitive della natura offre solo immagini parziali e
provvisorie dei rapporti fra essa e gli operatori scientifici. Non d mai certezze definitive, ma
15

Waldenfels, Teologia fondamentale, 74-77.

22

congetture parziali, provvisorie, modificabili e in un certo senso precarie. Se la teologia assumesse per
se stessa questo modello di scientificit e i suoi caratteri si svuoterebbe della propria autenticit,
privandosi della propria identit e significato e alterando la propria funzione. La scientificit della
teologia, se vogliamo proprio usare questo termine, che per essa risulta ormai sempre pi inadeguato,
deve partire dalle esigenze intrinseche e irrinunciabili del suo oggetto e del suo metodo. In breve, la
teologia non pu rinunciare a una scientificit propria, strutturata sulle sue esigenze intrinseche. La sua
scientificit deve scaturire dal suo interno, determinando i modi in cui pu essere realizzata nei diversi
ambiti e tempi. Tutto questo in piena sintonia con la convinzione attuale che non possono esistere
criteri comuni per stabilire la scientificit di tutte le discipline16. Quelli proposti da H. Scholz nel
1930: 1) assenza di contraddizioni nei loro assiomi fondamentali; 2) deduzioni corrette dagli assiomi;
3) precisione e intelligibilit intersoggettiva, sono troppo generici per ogni disciplina, compresa la
teologia17. La teologia cristiana, come rendiconto metodico del fondamento e contenuto della fede
(teologia fondamentale) ha raggiunto sviluppi non riscontrabili in nessunaltra religione. La
consapevolezza delle problematiche inerenti al suo carattere scientifico, quindi, deve porsi in un
contesto pi generale e globale. Per questi motivi, ogni confronto con le altre discipline esige una
previa critica inter- e trans-disciplinare su vari livelli: 1) discussioni dei presupposti (fondamenti,
possibilit, limiti, aporie, interrogativi, finalit, compiti ecc.); 2) riflessioni etico-critiche sul servizio
della scienza allumanit; 3) scambi dinformazioni (oggettive, metodologiche, di confine, ecc.).

16
17

Waldenfels, Teologia fondamentale, 78-81.


W. Kern, F. J. Niemann, Gnoseologia teologica, Brescia 1984, 28.

23

5. RAPPORTI FRA MAGISTERO E TEOLOGI

1. Elementi introduttivi
Nella seconda met del secolo XX, soprattutto nel clima del grande rinnovamento postconciliare, il
tema dei rapporti fra teologia e Magistero fu particolarmente vivo e approfondito. Su di esso furono
elaborati due documenti di particolare importanza e autorevolezza. Il primo, della Commissione
Teologica Internazionale, fu approvato in forma specifica e pubblicato nel 1975, col titolo Magistero
e Teologia. Il secondo, della Congregazione per la Dottrina della Fede apparve nel 1990 col titolo
Donum Veritatis. Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo. Presenteremo i punti salienti di
entrambi, richiamando brevemente alcuni elementi antecedenti, per una loro migliore comprensione.
Nel periodo e nel dibattito conciliare diversi teologi rilevarono lesigenza di un maggior impegno
teologico del magistero nelle sue dichiarazioni e insegnamenti. K. Rahner, considerato allora uno dei
maggiori teologi, molto franco e critico, espresse questa sensibilit nel seguenti termini: Il Magistero
potrebbe ridiventare tranquillamente un po pi teologico, assumersi parzialmente e a modo proprio
compiti dei teologi, che forse ha lasciato troppo a questi e ai predicatori della fede da essi dipendenti1.
In altri termini, i teologi chiedevano al Magistero che nei suoi documenti, oltre alle autorevoli
asserzioni magisteriali, inserisse anche, per quanto possibile, convincenti argomentazioni teologiche.
Alcuni auspicavano dalla Curia Romana anche sollecitazioni positive e costruttive, oltre a quelle di
condanna. Tutto ci al fine di consentire un ulteriore avanzamento nella collaborazione fra pastori e
teologi, che aveva dato ottimi risultai durante il Concilio. Ci conferma che il corretto rapporto col
Magistero e i suoi documenti uno degli elementi strutturali e imprescindibili della ricerca e
riflessione teologica. Si avvertiva, dunque, lurgenza di associare ricerca e riflessione scientifica e
responsabilit pastorale, in unepoca in cui i problemi e le questioni sono diventati sempre pi
complessi e la vita sempre pi condizionata dalla mentalit tecnoscientifica e da un crescente
pluralismo culturale e filosofico. importante notare che, gi nel Sinodo episcopale del 1967, furono
formulate numerose richieste di formare una Commissione Teologica Internazionale che rispondesse a
questi fini.

2. La Commissione Teologica Internazionale


Esse vennero accolte e gi nel 1969 la Commissione pot tenere la sua prima riunione. Era formata
da trenta teologi scelti fra una rosa di nomi proposti dalle Conferenze Episcopali di tutto il mondo.
Non era un organismo della Curia, ma un corpo autonomo, collegato agli organi direttivi della Chiesa.
Suo Presidente il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. I suoi membri rimangono
in carica per cinque anni e si riuniscono una volta allanno per una settimana. Sceglie i suoi temi di
studio, tenendo conto delle richieste e desideri manifestati dagli organi direttivi della Chiesa. Cerca di
ricondurre a un denominatore comune le posizioni dei membri, volutamente scelti da tutti i Continenti
e aree del mondo, perch esprimano le condizioni, esperienze ed esigenze culturali pi varie. Laspetto
pi interessante del suo lavoro lemergere di una prospettiva teologica comune allinterno di un
legittimo pluralismo teologico. I diversi teologi si sforzano di esprimere una voce unitaria sulle
questioni esaminate, dato che la teologia e rimane una. Alla Commissione si chiedono, quindi, non
tanto tesi originali di tipo personale, ma una comunione di pensiero e di riflessione sullunica fede
della Chiesa. Il dialogo, a volte, prolungato e difficile, dovendo coinvolgere metodi e forme di
pensiero diversi, al fine di compiere un comune cammino di fede.
Per poter superare queste difficolt, nel corso del tempo, la Commissione ha ritoccato i suoi Statuti,
che prevedono ora una duplice forma di approvazione dei suoi documenti: La prima detta
approvazione formale o in forma specifica e avviene quanto la maggioranza assoluta dei membri
della Commissione, presenti alla sessione plenaria, approvano tutto il testo, comprese le idee, le
formule e la presentazione. La seconda detta approvazione generale o in forma generica e
avviene quando la Commissione accetta solo le idee principali del testo che, per il resto, rimane sotto
la responsabilit dei suoi autori. Allatto della pubblicazione, la forma di approvazione ottenuta viene
indicata in una nota2.
1
2

K. Rahner, Magistero e teologia, in Dio e Rivelazione. Nuovi saggi, VII, Roma 1981, 111.
J. Ratzinger, Praefatio, in Commissio Theologica Internationalis, Documenta, Citt del Vaticano 1988, 7-

11.

24

3. Il Documento Magistero e Teologia (1975)


Il documento Magistero e teologia stato pubblicato in forma specifica nella forma di 12 tesi,
corredate da un commento. Le tesi sono suddivise in tre parti: la prima tratta gli elementi comuni a
Magistero e teologi nelladempiere al loro compito (tesi 2-4); la seconda riguarda le cose in cui
differiscono (tesi 5-9); la terza indica come regolare i reciproci rapporti (tesi 10-12).
NellIntroduzione la prima tesi definisce i termini: Magistero e teologi. Per Magistero intende il
compito dinsegnare che, per istituzione di Cristo, proprio del collegio episcopale o dei singoli
vescovi uniti col Sommo Pontefice in comunione gerarchica. Per teologi intende: quei membri della
Chiesa che, per gli studi e la vita vissuta nella comunit del fede della Chiesa, sono qualificati ad
approfondire la Parola di Dio, secondo il metodo scientifico proprio della teologia e anche ad
insegnare, in forza della missione canonica.
Quanto agli elementi comuni la tesi n. 2 ricorda che consistono nel conservare, penetrare, esporre,
insegnare e difendere il sacro deposito della Rivelazione3, a servizio del popolo di Dio e per la
salvezza di tutto il mondo. La priorit di tale servizio risiede, anzitutto, nel mettere al sicuro la
certezza della fede. A questo i due soggetti provvedono in maniere diverse, senza separazione. La tesi
n. 3 sottolinea che, in questo comune servizio, i due soggetti sono egualmente vincolati: 1) dalla
Parola di Dio; 2) dal sensus fidei della Chiesa nel quale, dai tempi passati ad oggi, luniversalit dei
fedeli, che hanno lunzione dello Spirito Santo, non pu sbagliarsi4; 3) dai documenti della
tradizione; 4) dalla cura pastorale e missionaria per il mondo. Evidenzia, inoltre, la necessit del
carattere pastorale e missionario della scientificit teologica. La tesi n. 4 rileva che, bench diversi, il
modo collegiale e personale di esercitare la funzione del Magistero e del teologo, rimangono comuni.
Devono, perci, essere tradotti in pratica mediante lunione corresponsabile, fattiva e collegiale dei
membri del Magistero e dei singoli teologi, fatta salva lindispensabile responsabilit personale dei
secondi.
Dopo aver appurato gli elementi comuni, nella seconda parte, il documento procede allanalisi delle
differenze. La tesi n. 5 dichiara che il compito del Magistero di difendere autorevolmente lintegrit
cattolica e lunit della fede e dei costumi. Da esso derivano le seguenti peculiari funzioni: 1)
interpretare autenticamente la Parola di Dio; 2) condannare le opinioni pericolose per la fede e i
costumi cristiani; 3) insegnare le verit pi attuali del proprio tempo; 4) considerare le varie verit alla
luce della totalit. Ai teologi invece compete la mediazione fra il Magistero e il popolo di Dio 5. Essi,
in particolare: 1) sottopongono a sempre nuove ricerche gli eventi e le parole salvifiche; 2) le
esaminano alla luce dei nuovi problemi suscitati dalla nuove scoperte tecnoscientifiche e dalle ricerche
storiche e filosofiche6; 3) collocano i richiami del Magistero in sintesi di pi ampio respiro, mediante
un lavoro dinterpretazione dottrinale e di presentazione, adeguato alle esigenze del proprio tempo
(diffondere, difendere, approfondire, illustrare, spiegare, giustificare ecc.).
La tesi n. 6 tratta la diversa autorit di cui godono il Magistero e i teologi. Il Magistero deriva la
propria autorit dallordinazione sacramentale, che formale ossia carismatica e insieme giuridica
(canonica) e costituisce i diritti e doveri magisteriali. Lautorit dei teologi specificamente teologica
e deriva dalla loro qualificazione scientifica, nella scienza della fede. Essa non esiste senza
unesperienza viva e pratica della fede. Inoltre deve essere veramente ecclesiale, inserita nella scala
delle autorit che provengono dalla Parola di Dio. Per questo, per insegnare, si esige pure la conferma
della missione canonica. La tesi n. 7 puntualizza il compito ecclesiale, ufficiale e istituzionale del
Magistero, volto a edificare il proprio gregge nella verit e santit7. La funzione teologica, esclusa
quella che richiede una peculiare missione canonica (insegnare, predicare), pu essere esercitata da
qualunque battezzato, purch viva in comunione di fede e di carit con la Chiesa e sia dotato della
necessaria competenza scientifico-teologica .

Paolo VI, Allocuzione al Congresso Internazionale di Teologia del Concilio Vaticano II (1 ottobre 1966), in
AAS 58 (1966), 891.
4
Lumen Gentium 12.
5
Paolo VI, l. c., 892.
6
Gaudium et Spes 62.
7
Lumen Gentium 27.

25

La tesi n. 8 si occupa della libert del Magistero e dei teologi. Il Magistero, per sua natura e
istituzione, libero nellesercizio dei propri compiti ecclesiali. La libert dei teologi, invece,
condizionata dalla loro responsabilit scientifica ed ecclesiale. Essa rimane, comunque, assai ampia,
per cui non deve divenire arbitraria o troppo estesa. Si deve dunque ricordare sempre che
nellesercizio di tutte le libert si deve osservare il principio morale della responsabilit personale e
sociale8. La libert responsabile dei teologi include pure il rispetto verso il Magistero e lo studio dei
suoi documenti ecclesiali presenti e passati. Comporta pure una funzione critica positiva e non
distruttiva. La tesi n. 9 riguarda le tensioni riscontrabili nellesercizio dei rispettivi compiti. Esse sono
considerate inevitabili e viste come forze vitali, stimolanti e utili a far svolgere le reciproche funzioni
in modo dialogico e comunitario.
La terza parte studia i modi in cui si possono regolare i rapporti fra teologi e Magistero. La tesi n.
10 sottolinea limportanza e necessit di un dialogo concreto, che consenta al Magistero una maggior
comprensione teologica della fede e dei costumi e alla teologia la convalida che le conferisce certezza.
La tesi n. 11 ricorda che a questo dialogo si apre il vastissimo campo della verit, che va investigata,
non come qualcosa dincerto o sconosciuto, ma come realt veramente rivelata e affidata alla Chiesa. I
confini del dialogo, quindi, sono gli stessi della verit della fede. Se si continua a conservare la
comunione nella fede, il dialogo per s non ha limiti, anche se non pu durare allinfinito. Vi sono,
invece, le violazioni del dialogo da evitare. Il documento indica, in particolare: loccupazione
unilaterale del terreno del dialogo; il ricorso a pressioni interne o esterne o coercizioni, dalluna o
laltra parte. La tesi n. 12 riguarda gli eventuali processi dottrinali. Per avviarli devono essere state
esaurite tutte le possibilit di raggiungere un consenso. Per scambiarsi le reciproche posizioni, le parti
possono avvalersi di colloqui personali, corrispondenza, scambio di scritti ecc., riguardanti le opinioni
in discussione. Anche nel caso di dolorose decisioni inevitabili, la correttezza morale del
procedimento dialogico e fraterno va rispettata.

4. Il documento Donum Veritatis


Il 24 maggio 1990, La Congregazione per la Dottrina della Fede eman lIstruzione sulla vocazione
ecclesiale del teologo (Donum Veritatis), strutturata in quattro parti: 1) La verit dono di Dio al suo
popolo; 2) La vocazione del teologo; 3) Il Magistero dei Pastori; 4) Magistero e teologia. Essa
sviluppa pi ampiamente e sistematicamente i contenuti delle 12 tesi del precedente documento
Magistero e teologia (1975), riguardo alle due funzioni vitali nella Chiesa (n. 40). NellIntroduzione il
documento sottolinea alcuni principi di fondo: la necessit della fede e dottrina cristiana per risolvere
i problemi fondamentali e decisivi dellesistenza (chi sono, da dove vengo, dove vado, ecc.): la
teologia come esigenza irrinunciabile. Della teologia sottolinea che, come servizio della dottrina,
deve rimanere nella verit (Gv 8,31) e tener conto dei sempre nuovi problemi posti allo spirito umano
(n. 1). Nella prima parte descrive le basi su cui essa si fonda: la forza unificante, liberatrice e unitrice
della verit; il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo cristiano; limpossibilit di errori di
fede per la totalit dei fedeli che esprime il suo consenso universale in materia di fede e costumi (nn.
3-4)9; la necessit che tutto il popolo cristiano renda sempre pi viva e profonda la propria fede (2Tm
1,6) (n. 5).
La seconda parte sottolinea la funzione del teologo: acquisire, insieme al Magistero,
unintelligenza sempre pi profonda della Parola di Dio e aiutare il popolo di Dio a rendere conto a
chiunque della propria speranza. Dichiara, quindi, la teologia parte integrante del comando di Ges di
fare discepole e ammaestrare tutte le nazioni (Mt 28,19). Essa lo attua rendendo la fede comunicabile
anche a coloro che ancora non conoscono Cristo (nn. 6-7). Nel corso dei secoli, la teologia si
sviluppata come vero e proprio sapere scientifico, per cui il teologo deve rispettarne le esigenze
epistemologiche, il rigore critico e il controllo razionale di ogni tappa della sua ricerca. A tal fine, deve
discernere criticamente e utilizzare le acquisizioni filosofiche, storiche, scientifiche (scienze umane).
Deve pure valorizzare gli elementi della cultura e dellambiente che consentono di illuminare meglio i
vari aspetti dei misteri della fede (nn. 8-10). Nei nn. 11 e 12 il documento espone una serie di principi
teoretici e pratici molto importanti per lepistemologia, metodologia e deontologia dellimpegno
teologico. Ad essi vanno aggiunti quelli espressi nella quarta parte, che formano tuttinsieme un
8
9

Dignitatis Humanae 7.
Lumen Gentium 12.

26

coerente e omogeneo insieme di principi epistemologico-metodologico-deontologici, sia per la


teologia che per i teologi. Essi sono i seguenti:
1. Le nuove proposte teologiche esigono molte correzioni e ampliamenti di prospettiva prima di
giungere al momento in cui tutta la Chiesa possa accettarle, per cui richiedono un dialogo fraterno
prolungato, un dibattito oggettivo rigoroso, apertura e disponibilit a modificare le proprie opinioni
(n. 11)10.
2. La libert di ricerca si attua nella disponibilit ad accogliere la verit, che si presenta alla fine
di una ricerca, a condizione che non siano intervenuti elementi estranei alle esigenze del metodo
corrispondente al proprio oggetto, che la Rivelazione trasmessa e interpretata nella Chiesa, sotto
lautorit del Magistero e accolta nella fede (n. 12).
3. Nelle questioni dibattute, a elementi fermi ed elementi necessari si mischiano pure elementi
congetturali e contingenti che possono essere riconosciuti solo a distanza di tempo (n. 24).
4. Anche per la teologia, in quanto funzione ecclesiale, vige la regola della duplice unit: a)
della verit, riguardante la comunione di fede; b) della carit, riguardante la comunione ecclesiale,
che non devono mai essere danneggiate dalle divergenze (n. 26).
Il documento espone anche alcuni principi per poter superare, quando si presentino, serie
difficolt ad accogliere un insegnamento magisteriale non irreformabile. Essi sono:
5. Dedicare unapprofondita e paziente riflessione a comprendere tale insegnamento nei suoi
contenuti, ragione e motivi e manifestare al Magistero i problemi sollevati, per poterlo riproporre in
modo pi appropriato e meglio argomentato (nn. 29-30).
6. Fino a che la difficolt permane, rimanere disponibili a ulteriori esami pi approfonditi della
questione (n. 31).
La parte terza elenca i vari aspetti del Magistero dei Pastori: 1) affermare il carattere definitivo
dellAlleanza che Dio ha instaurato con il suo popolo, per mezzo di Cristo (n. 14); 2) interpretare
autenticamente la Rivelazione, in materia di fede e di costumi, con lassistenza dello Spirito Santo (n.
15); 3) proporre in modo definitivo enunciati non contenuti nelle verit di fede, ma ad esse
intimamente connessi. Questi comprendono anche gli insegnamenti morali conoscibili dalla ragione
naturale, ma resi difficilmente accessibili dopo il peccato originale (n. 16). I singoli vescovi esercitano
il Magistero autentico solo in comunione col Romano Pontefice e con gli altri vescovi sparsi nel
mondo o riuniti in concilio ecumenico (n. 19).
La parte quarta approfondisce i rapporti fra Magistero e teologia. Entrambi godono di doni e
funzioni diverse, finalizzate a conservare il popolo di Dio nella verit che libera, per poter essere
luce delle nazioni. La teologia: a) acquisisce in modo riflesso una conoscenza sempre pi profonda
della parola di Dio contenuta nella Scrittura e trasmessa dalla tradizione viva della Chiesa; b) chiarisce
linsegnamento della Rivelazione di fronte alle istanze della ragione; c) lo organizza in forma organica
e sistematica (n. 21).
Ai diversi pronunciamenti magisteriali corrispondono diversi gradi di assenso. 1) I pronunciamenti
solenni su verit di fede e di costumi esigono ladesione della fede teologale. 2) I pronunciamenti
espressi con atti definitivi su verit di fede e di costumi non direttamente rivelate, ma strettamente ed
intimamente connesse con la Rivelazione, richiedono una ferma accettazione. 3) Le dottrine non
espresse con atti definitivi, volte a favorire unintelligenza pi profonda della Rivelazione e di ci che
ne esplicita il contenuto o a richiamare la conformit di una dottrina con le verit dei fede, o mettere in
guardia da concezioni incompatibili, richiedono un religioso ossequio di volont e intelligenza (n. 23).
I nn. 24-31 riguardano i principi epistemologici, metodologici e deontologici che abbiamo gi
anticipato (al capitolo 2, sul Magistero autentico e forma ordinaria non infallibile e Non
infallibilit, oggetti, indiretti, assenso circa le questioni che implicano principi fermi ed elementi
congetturali e contingenti. La sezione successiva riguarda il dissenso, problema ecclesiale assai vivo
nei primi decenni del post-concilio. Il dissenso descritto come: atteggiamenti di sistematica e
pubblica opposizione al Magistero, le cui cause sono: il liberalismo ideologico-filosofico, per il quale
10

Giovanni Paolo II, Discorso ai teologi ad Alttting, 18.11.1980: AAS 73 (1981), 104; Id., Discorso ai
membri della Commissione Teologica Internazionale, 26.10.1979: AAS 71 (1979), 1428-1433; Paolo VI
Discorso ai membri della Commissione Teologica Internazionale, 11.10.1972: AAS 64 (1972), 682.

27

il libero giudizio individuale pi importante della verit (n. 32); lipercritica, il pluralismo come
relativismo; la non salvaguardia del significato obiettivo e dellunit della fede (n. 34);
lidentificazione sociologica delle opinioni dei singoli con il senso soprannaturale della fede (n. 35);
la confusione della libert dellatto personale di fede con la libert nei confronti della verit (n. 36); la
legittimazione del proprio dissenso col dovere di seguire la propria coscienza.
Essi dimenticano che loggetto in questione la verit di un assunto e non le decisioni morali
personali. Per determinare la verit degli enunciati dottrinali per la comunit, quindi, la facolt
appropriata non pu essere la coscienza individuale, che non n indipendente, n infallibile, ma vale
solo per giudicare la liceit dei propri atti (n. 38). Il documento conclude elencando alcuni argomenti
per legittimare il dissenso, che denotano una grave carenza di senso della verit e senso della Chiesa:
enfatizzare il valore delle opinioni maggioritarie; esercitare pressioni di opinione pubblica sul
Magistero; organizzare il dissenso fra i teologi; ritenere uniche portatrici di verit la base o le
comunit autonome; autoproclamarsi porta-parola profetici di esse (n. 39). La conclusione un
invito a cercare le soluzioni dei casi difficili nel dialogo fiducioso, nello spirito di accoglienza della
Parola e nella comunione di verit e carit, propri della comunione ecclesiale (nn. 40-42).

28

6. PROBLEMI E QUESTIONI SPECIFICHE SULLA FEDE


Esaminiamo ora alcuni problemi connessi alla vita di fede, maggiormente discussi nel nostro
tempo, per completare la nostra riflessione, rispondendo ad alcune difficolt pi vive o sentite. Essi
riguardano il cammino di fede nelluomo contemporaneo, il significato del termine dono applicato
alla fede, i modi in cui la fede pu crescere e divenire matura oppure deperire e morire, lostacolo alla
fede costituito dallo scandalo per la sofferenza di giusti e innocenti, le vie della fede della Chiesa nel
mondo attuale.

1. Fede e uomo contemporaneo


Luomo in questione ladulto contemporaneo, il cui itinerario di fede necessariamente lungo,
complesso e impegnativo per lintera persona: intelligenza, volont, libert, sensibilit, affettivit,
cultura, educazione, esperienze, vita morale, ambiente, societ ecc. Per questuomo laccesso alla fede
richiede unadeguata preparazione. Essa diversa, secondo la sua situazione di vita: gratificante e
appagante oppure insoddisfacente e inappagante. Anche le condizioni pi appaganti, tuttavia, non lo
sottraggono alle situazioni difficili o negative, sovente prolungate e profonde, proprie di ogni essere
umano. Certamente la stragrande maggioranza dellumanit tuttora afflitta dalle necessit pi
elementari: vitto, abitazione, salute. Vengono, subito dopo alcune pi elevate, come: istruzione,
lavoro, famiglia ecc. Esse provocano, sempre e in diversi modi, incertezza, insicurezza e inquietudini.
Anche quanti non sono soggetti a queste, per condizioni economico-sociali favorevoli o piacevoli, o
per aver raggiunto un grado di felicit che ritengono stabile, sono soggetti a scontentezze e
insoddisfazioni proprie della condizione umana. Basti pensare ai problemi radicali: del senso della
vita, della fragilit, caducit e labilit di ogni esistenza e situazione terrena, degli insuccessi, dolori,
perdite o morte di persone care ecc. Nessuno ne al riparo. Anche per coloro cui tutto sembra andare
meglio, la morte sprofonda, nel suo nulla senza ritorno, i momenti pi felici. Anche per essi la vita
lanticamera della morte.
Nulla permane o ha consistenza, tutto finisce e si dissolve senza lasciare traccia. Ogni esistenza
felice e fortunata, di fronte a tutto ci, diventa irrazionale, assurda, disperata. N rassegnazione n
ribellione possono risolvere nulla. Se luomo un puro prodotto casuale, gettato nel mondo dalla
necessit o da unevoluzione cieca, neppure per i pi fortunati vale la pena di vivere. Tutte questi
aspetti e in particolare la radicale insoddisfazione, inquietudine, precariet, finitezza, assurdit della
vita e della morte che ne consegue, se affrontati sul serio, possono divenire un preambolo, precondizione o introduzione a un cammino di fede. Luomo contemporaneo, tuttavia, abituato a
rifiutarle e rimuoverle, fuggirle, anzich affrontarle. Di qui i suoi malesseri inguaribili. Al contrario,
affrontandole, potrebbe iniziare un percorso sul quale incontrare il problema religioso e di Dio. Alle
molte domande che questitinerario solleva, la fede cristiana ha sempre offerto risposte appropriate.
Alla domanda: da dove viene luomo? Essa risponde dallamore e dallintelligenza di Dio che,
liberamente, lo ha creato. Alla domanda: dove va? Risponde: a condividerne la stessa esistenza beata
di Bene e di Amore delle Persone divine. Alla domanda: chi luomo? Risponde: limmagine e
somiglianza del Dio che Verit, Amore, Bene infinito. Alla domanda: chi Dio? Risponde: la Bont,
Amore, Verit, Vita infinita. Alla domanda: che senso ha la morte? Risponde: passare alla vita eterna
del corpo e dello spirito, definitivamente liberi da ogni male. A queste risposte, lesigente e inquieto
cuore umano pu attingere la pace, la gioia e la beatitudine della vita eterna e resurrezione.
La fede annuncia che solo Ges il Cristo, il Figlio del Dio vivente libera pienamente dalla tirannia
di ogni male, in questa vita e in quella eterna: chiunque vive e crede in me non morr in eterno (Gv
11,26). La fede dice che Dio non mai n assente n lontano da chi lo cerca. Anzi, proprio lui ad
avvicinarci e cercarci per primo. Oggi la ricerca di Lui muove sovente dagli interrogativi sul senso
della vita. Dio va sempre incontro ed vicino a chi si pone queste domande, illuminandolo,
orientandolo e sostenendolo nel suo cammino. Egli opera, tuttavia, mediante le circostanze pi
comuni: letture, incontri con persone, rapporti con ambienti e situazioni, esperienze umane e spirituali,
contraddizioni e insuccessi ecc. Lincontro decisivo sempre quello con la sua Parola, annunciata
dalla Chiesa, in una delle tante forme. In esso, lannuncio, la grazia, linvito a credere, hanno la
massima efficacia. Occorrono, tuttavia, anche momenti di silenzio e di riflessione, molto difficili nel
mondo attuale. Aiuta anche una sincera apertura ai valori dello spirito, bench i valori cristiani in larga
parte trascendono e contraddicono i valori umani anche pi elevati. Al cristiano, infatti, si chiede di:
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perdere la vita per il Vangelo; donarla o immolarla, per amore dei fratelli e dei nemici; praticare
lumilt, il servizio, la logica dellultimo posto; rinunciare anche a beni legittimi per lamore altrui ecc.
Per la ragione umana tutto ci follia e stoltezza. Alla fede si oppone anche una stabile o duratura
condizione di vita nel peccato. Ostacolo ancora maggiore lorgoglio, che pone lio al centro di tutto:
orgoglio spirituale (intellettuale, filosofico, scientifico, ideologico ecc.); orgoglio materiale (beni,
denaro, possesso, potere, prestigio ecc.). Anche la sensualit, come ricerca del piacere in tutte le sue
forme e fine a stesso, costituisce un ostacolo grave e talora insormontabile. Per superare tutte queste
difficolt il Signore offre il suo aiuto esterno, ossia lappello incessante della Chiesa alla conversione
(cambiamento di mentalit, atteggiamenti, comportamenti e vita) e laiuto interno che la potenza
della sua grazia operante nelle profondit pi autentiche delluomo. Essa purifica da ogni
attaccamento al peccato, illumina il valore e il significato vitale delle verit proposte, attrae a Cristo e
al Padre. In tutti questi modi ladulto sostenuto a comprendere che la fede apertura fiduciosa e
libera allamore che Dio ci offre, accoglienza della sua relazione personale e della profonda
comunione di vita con lui, assenso intelligente e ragionevole alle grandi verit salvifiche che Egli ci
rivela, obbedienza e fedelt agli inviti, desideri e comandi che ci rivolge, riconoscimento dei propri
peccati dai quali ci libera, umile invocazione che ci ottiene il suo aiuto e salvezza.

2. Il donodella fede
Quanto finora considerato spinge a chiarire unespressione giusta, ma sovente male interpretata: la
fede come dono. A tal fine occorre richiamare alcuni aspetti gi trattati: 1) la fede dono
assolutamente libero e gratuito di Dio; 2) tale dono Dio lo d a tutti, perch non esclude nessuno dalla
sua volont universale di salvezza; 3) il dono della fede si esprime in un cammino lungo e
complesso nel quale sintrecciano natura e soprannatura, che correttamente compreso sia nei suoi
singoli passi che nel suo svolgimento totale; 4) ogni passo muove da Dio che, essendo sempre il primo
ad assumere liniziativa salvifica, si fa incontro alluomo, fin dallinizio del suo itinerario di fede e in
ogni passo in cui lo sostiene e guida fino al compimento definitivo. Esso consiste sia nella convinzione
esplicita di fede che nella ricezione del battesimo; 5) Dio, nel donare, rispetta sempre la libert della
persone umane, di cui accoglie le risposte convinte, libere e responsabili, senza le quali il dono
rimarrebbe inoperante; 6) in ogni risposta positiva Dio sostiene, con la sua grazia, le libere decisioni
positive delluomo, fino alla pienezza e perfezione della fede.
Nella sua vita, ogni persona chiamata a rispondere, migliaia di volte. Ogni risposta positiva fa
avanzare e perfezionare. Ogni risposta negativa fa fermare e/o arretrare. Tale cammino non mai
puramente intellettuale, ma coinvolge lintera persona e la sua vita, come profonda esperienza vitale in
cui la grazia del Padre attrae amorosamente al Figlio; la grazia di Cristo, elevato in Croce e risorto,
attira al Padre; lo Spirito Santo, asseconda interiormente la duplice attrazione, affinch tutti
riconoscano in Ges il Cristo, il Figlio di Dio incarnato, morto e risorto, Salvatore e Redentore di tutta
lumanit. Il dono esattamente questo dialogo dinamico di fede e di amore che percorre tutta la
nostra vita, valorizzandone ogni momento e circostanza. La circostanza specifica del nostro tempo la
grande complessificazione socioculturale e il suo divario dai valori e dalla vita di fede. Assorbiti o
sconcertati da questi immensi e inesauribili problemi, molti battezzati e credenti rimangono a livelli
del tutto rudimentali e infantili della loro esperienza e conoscenza di fede. Di fatto non conoscono il
messaggio cristiano nella sua integrit, profondit e ampiezza. Rimangono, quindi, prigionieri di
vecchie idee e di pregiudizi infondati e superficiali, come quelli espressi dallilluminismo e
razionalismo del 18 secolo, dal materialismo, idealismo, positivismo, scientismo del 19 secolo, dal
pensiero debole del 20 secolo. Ad essi si aggiungono i luoghi comuni anticlericali o contrari alle
religioni. Tali pregiudizi antireligiosi e anticristiani, ripetuti acriticamente, assieme ad altri giudizi
generici, sommari ed errati rendono molto ardua una riflessione serena sulla fede cristiana..
Vanno poi considerati attentamente anche i condizionamenti: familiari (genitori e parenti avversi o
indifferenti alla religione); scolastici (insegnanti agnostici, scettici, atei, positivisti, materialisti ecc.);
sociali (ambienti di lavoro o si residenza) ecc. Gli ostacoli provocati da questi pregiudizi e
condizionamenti rendono estremamente arduo, coraggioso e impegnativo ogni cammino di fede.
Occorrono personalit forti, serene, equilibrate e libere, che lattuale socio-cultura non in grado di
formare. Tali personalit esigono coraggio, senso critico, anticonformismo, originalit, capacit di
riflessione autonoma ecc., non facilmente alla portata di tutti. Anche le persone umanamente pi
dotate incontrano molti ostacoli e prove nel loro cammino verso una fede adulta, solida e matura.
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Vecchi dubbi e nuove difficolt possono sempre ripresentarsi. Unaltra difficolt nasce dal desiderio
inattuabile di vedere risultati, trovare riscontri visibili, sentire la propria fede. Sommando tutte
queste difficolt pu diventare facile per un credente pensare di non avere pi fede o di non averne
mai ricevuto il dono. Si tratta, tuttavia di impressioni e idee fallaci. Un autentico cammino di fede,
come conferma anche lesperienza dei Santi, i suoi maggiori campioni, comporta prove e difficolt
interne ed esterne di ogni genere, dubbi e incertezze, entusiasmo e aridit. Essi sono non solo
necessari, ma benefici. Del resto situazioni analoghe ricorrono in ogni ambito della vita e del sapere.
Difficolt, oscurit e misteri si incontrano in ogni area della conoscenza. A maggior ragione, Dio, la
sua azione, le sue relazioni con luniverso e con noi, comportano misteri ben maggiori, altrimenti non
sarebbe Dio. I misteri della fede, quindi, sono tali, non in quanto realt astruse o affermazioni
irrazionali, ma in quanto verit tanto profonde e vaste da superare i limiti della nostra ragione e
comprensione. Mediante la grazia, tuttavia, essi illuminano la nostra intelligenza, vita e ragione. Se
ogni persona umana un mistero per ogni altra, quanto pi possono e devono esserlo le Persone
divine, infinite e assolute per definizione.
Per molte verit rivelate ci difficile comprendere come si rapportino lun laltra. Sappiamo che
Dio infinito amore, bont, verit, misericordia, perdono e giustizia ma non sappiamo come questi
suoi attributi si rapportino fra loro. Il credente, nel suo sempre rinnovato sforzo di comprensione,
allarga gli orizzonti della propria vita, intelligenza e ragione. Come avviene anche per altri aspetti
della vita, il grande dono della fede, non coltivato adeguatamente o trascurato, si attenua fino ad
estinguersi, potendo giungere allincredulit. luomo, quindi, che si autoesclude o si estranea dalla
fede, nonostante ogni aiuto e sforzo contrario di Dio. Solo Dio pu giudicare quanto tale abbandono
sia colpevole, perch colpa e peccato presuppongono la consapevolezza del dovere di coltivare tale
dono. Chi trascura di cercare, istruirsi, riflettere, non pu sentirsi tranquillo, poich misconosce che
ogni dono divino esige sempre unadeguata corrispondenza e responsabilit in chi lo riceve. Di fronte
a prove, difficolt e timori di aver perso o non ricevuto la fede, dobbiamo sempre chiederci, con onest
e sincerit, se abbiamo fatto davvero tutto il possibile per corrispondere e collaborare a tale dono.

3. Nascita, crescita o morte della fede


Nelle obiezioni e difficolt si chiama in causa la fede, mentre, in realt, ogni credente dovrebbe
mettere in causa suo modo di credere. La fede una realt viva e concreta che esiste solo nelle
persone. Come le persone, quindi, nasce, cresce, produce frutti, oppure stenta, si ammala, illanguidisce
e muore. Nelle persone essa nasce in seguito al dono gratuito e generoso di Dio (grazia) col quale lo
Spirito agisce interiormente, aprendo la volont e la mente delluomo ad accoglierlo. Una volta
accolto, il dono di fede diviene una disposizione abituale e cosciente. Nei bambini questa disposizione
rimane allo stato germinale, che leducazione cristiana dovr sviluppare. Negli adulti disposti alla
conversione, la fede infusa gi prima del battesimo e li sostiene nel cammino, facendo loro superare
difficolt, ostacoli e dubbi. Il battesimo perfeziona il dono di fede, portandolo a pienezza e rendendo i
battezzati definitivamente figli di Dio e membri del Corpo mistico di Cristo (Chiesa). La fede in
quanto abito (habitus) eguale per tutti. Varia, invece, la sua misura, in proporzione al compito che il
Signore assegna a ciascuno, nella missione della Chiesa a favore dellumanit. Per potere crescere,
maturare, consolidarsi e produrre buoni frutti la fede esige nutrimento e cure: 1) preghiera; 2)
incessante purificazione (lotta al peccato, ascesi); 3) assidua partecipazione ai sacramenti, soprattutto
lEucaristia, mistero della fede; 4) attento ascolto, meditazione e approfondimento della Parola di
Dio; 5) pratica delle virt e delle opere di carit; 6) forti esperienze di Dio (ritiri, esercizi spirituali)
studio assiduo delle verit cristiane ecc.)
In questo processo di maturazione, lapprofondimento sistematico e costante delle verit della fede
riveste decisiva importanza, per viverle in modo sempre pi convinto, fondato, motivato e maturo.
Tale approfondimento deve sempre adeguarsi e proporzionarsi alle conoscenze che ogni persona
raggiunge a livello sociale, professionale e culturale. La prova di tale adeguamento data dalla
capacit di rispondere a ogni domanda od obiezione sulle verit essenziali come: esistenza di Dio,
Creazione, Incarnazione e Resurrezione di Cristo, morale cristiana, ultime realt ecc. Ci non
difficile poich il pensiero cristiano fina dagli inizi, ossia da venti secoli ha sviluppato risposte
esaurienti e appropriate a ogni dubbio, problema, critica o accusa rivolta contro la fede da sistemi
filosofici, scienze, ideologie, religioni, culture, ecc. Oltre a queste ragioni che potremmo definire
negative ed esterne ve ne sono altre, positive e interne, assai pi importanti, perch la conoscenza
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approfondita dei misteri delle Persone divine, della vita e dottrina di Cristo, del piano universale di
salvezza consente di vivere e leggere ogni realt alla luce del Vangelo, del regno e dei suoi valori. In
questo modo possibile vivere in modo sapienziale, vasto e profondo, le ricchezze della verit
rivelata. Questaccresciuta comprensione contribuisce a far crescere nella carit efficace ed operosa,
ad aumentare la fiducia e intimit con le Persone divine, a testimoniare davanti al mondo, a servire con
maggiore dedizione la Chiesa e i fratelli. Infine la comprensione profonda delle verit rivelate rende
pi forti nel credere e nellaffrontare i sacrifici e le sofferenze che la fede e la vita comportano.
Vi una differenza sostanziale, infatti, fra una fede tiepida e abitudinaria e una fede sempre pi
convinta, testimoniata nella speranza ed espressa nella carit, in ogni situazione della propria vita. Per
contro, la fede sociologica, anagrafica, abitudinaria, residuale la forma pi gracile, insicura e
insoddisfacente, propria di personalit cristiane immature, infantili o adolescenziali. Essa, ricevuta in
modo puramente passivo, non orienta n unifica la vita dei battezzati, riducendosi a una pratica
religiosa, osservanza di comandamenti e precetti e accettazione fideistica di ci che la Chiesa propone.
La prudenza e saggezza pastorale esortano a non disprezzarla, n spegnerla, ma ravvivarla, perch la
persona che la vive cos poveramente, aiutata dalla grazia divina, possa giungere a una fede personale
convinta. Questo passaggio alla fede adulta e matura, ispiratrice e unificatrice della vita, detto
conversione continua, poich esige scelte e decisioni per Cristo sempre pi personali, convinte,
motivate, libere e responsabili. Esse rendono il credente pi capace di resistere alle crescenti difficolt,
dubbi, avversit, anzich rivoltarsi contro Dio o abbandonare la Chiesa. Tale fede matura consente di:
dare senso alle situazioni pi negative o umanamente peggiori; aprirsi al dialogo e confronto; superare
critiche e contestazioni; testimoniare i grandi valori evangelici.
Per giungere a tale livello occorrono sia lo studio sapienziale delle verit divine, che la lotta
quotidiana alle prove e tentazioni di ogni tipo, che il Signore provvidamente permette per purificare e
fortificare la nostra fede. In queste notti od oscurit della nostra vita, il credente cammina,
illuminato dalla Parola di Dio, come lampada che brilla in luogo oscuro, finch non spunti il giorno e
la stella del mattino si levi nel cuore (2Pt 1,19). Cos sorretto, affronta le prove e tentazioni a causa
della fede: martirio, persecuzione, opposizioni, discriminazioni, umiliazioni ed emarginazioni. Oggi
lopposizione atea e irreligiosa, dopo molti fallimenti e crolli, ha perso la violenza del passato,
divenendo pi subdola o sottile. Oltre ad essa, rimangono sempre vive le prove in forma di: dubbi e
incertezze sulle verit fondamentali della fede; aridit spirituali; senso di assenza, silenzio o
lontananza di Dio (notti della fede). Si tratta di prove con le quali il Signore purifica e rafforza la fede
dei credenti e della Chiesa. Non bene comprese o affrontate potrebbero essere occasione, ma non
causa, di diminuzione della fede. Non sono, infatti, le prove a causare le morte della fede, ma la scarsa
attenzione e impegno nel rafforzarla e nel curarla. La perdita, di solito, non mai immediata o
repentina, ma lenta e progressiva. Chi non consapevole di negare una verit divina insegnata nella
Chiesa non commette apostasia o eresia, ma scade nella non credenza, tipica di chi trascura la propria
fede.
Unaltra forma di fede inferma consiste nel credere solo quelle verit che pi piacciono o fanno
comodo. Ci facilitato dagli attuali stili di vita: trascuratezza delle realt religiose e spirituali;
interesse esclusivo o accentuato per le realt materiali (denaro, prestigio, piaceri e comodit); illusione
che scienza e tecnologia possano risolvere i problemi umani; preoccupazioni per il lavoro e il
sostentamento (negli strati sociali pi deboli). Certamente apostasie, eresie formali, ostinazioni
colpevoli nellincredulit e perdite volontarie della fede esistono anche oggi. Sono colpe gravi che
pregiudicano la salvezza eterna. Sappiamo, tuttavia, che Dio non abbandona mai luomo ai suoi
peccati o allaccecamento spirituale e morale, ma opera per convertirlo e salvarlo. Non dobbiamo
disperare di quanti perdono per propria colpa la fede.

4. Lo scandalo del male e della sofferenza


Un altro problema interferisce fortemente sulla comprensione della fede: lapparente trionfo del
male soprattutto sui giusti e innocenti, di cui provoca la sofferenza. N la ragione umana n le
religioni sono riuscite a risolverlo in modo soddisfacente. Ci dipende anche dalla imprecisioni e
confusioni di termini e di concetti. Occorrono, quindi, alcune distinzioni. Anzitutto, male, dolore e
sofferenza non sono la stessa cosa e non vanno confusi. Il male pu essere inteso e definito in senso
fisico o morale. In senso comune male mancanza di bene e tutto ci che contrasta il bene, arreca
danno, svantaggi o incomodo. In senso morale il male ogni pensiero, azione, od omissione contraria
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o non conforme alle esigenze etiche. In senso fisico dolore qualunque sensazione soggettiva
provocata da un male fisico. In senso psichico sofferenza una sensazione negativa provocata da un
male fisico o morale. In senso teologico il male la privazione (S. Agostino) o mancanza (S.
Anselmo) del bene dovuto. Laccento posto sulla privazione ossia sulla mancanza di qualcosa buona
che dovrebbe invece necessariamente esserci1. Per un sasso non avere la vita non un male, male
invece per un vivente. Il male pu essere naturale, ossia non addebitabile alluomo, o morale, ossia
addebitabile alluomo.
Dolore e sofferenza non sono sempre e solo male, poich sono anche segnali dallarme volti a
preservare la vita, lintegrit e la salute, evitando la distruzione e la morte del vivente. A sua volta, la
sofferenza psichica e spirituale degli esseri intelligenti nasce dalla memoria del passato e/o
dallintelligenza che prevede e anticipa il futuro. Queste due facolt sono preziose e indispensabili al
vivente libero e intelligente, consentendogli di ricordare e quindi apprendere, prevenire, agire evitando
mali, rischi e pericoli (intemperie, disastri, malattie, catastrofi ecc.). Tenuto conto di queste distinzioni
e precisazioni, oggetto di scandalo e riprovazione rimane solo il male morale, ossia scelte, decisioni e
azioni malvagie, liberamente compiute dalluomo (peccato). Giustamente, la Rivelazione e la fede
attribuiscono solo al peccato la causa e lorigine del male nel mondo. Cattivi comportamenti (peccati):
orgoglio, odio, egoismo, violenza, falsit, ingiustizia costituiscono i mali morali che provocano
conseguenze negative. Morte, dolori e sofferenze sono dovute, quindi, al peccato o abuso della libert,
col quale luomo si oppone, coscientemente e liberamente, allordine naturale e morale stabilito da
Dio.
Per mezzo di tali abusi la malvagit umana ha inondato la storia di una serie ininterrotta di crudelt
ed efferatezze, consumate su tutti e in particolare sui giusti e innocenti, come i bambini, la cui
sofferenza costituisce un ostacolo per la fede di molti. Essi si chiedono angosciati:come credere che
Dio buono e onnipotente, se non impedisce simili mali? Si cura o no delluomo? Sono domande
cariche di un grande pathos emotivo, ma razionalmente e concettualmente scorrette e ingiustificate.
Esse non tengono conto del fatto essenziale che tali sofferenze degli innocenti derivano da abusi della
libert da parte di uomini liberi e responsabili. Sono abusi della libert: violare i fondamentali diritti
umani; opprimere i deboli e gli innocenti; provocare disuguaglianze economiche e sociali, miseria e
fame; uccidere; scatenare guerre; attuare comportamenti che provocano inquinamenti, malattie,
inquinamenti e degradazioni ambientali. In questo elenco di peccati vanno posti tutti i campi di
sterminio prodotti da ogni ideologia e regime. Tutto ci opera delluomo, che calpesta e trasgredisce
le leggi di Dio, si oppone a Lui, peccando gravemente. somma irrazionalit assurdit e disonest
imputarli a Dio anzich ai loro diretti responsabili. Se Dio impedisse ogni scelta, decisione e azione
cattiva delluomo, gli toglierebbe la sua libert. Se Dio impedisse solo le conseguenze cattive di tali
scelte, decisioni e azioni, si arriverebbe allassurdo delluomo che pu continuare a compiere
impunemente tutte le azioni pi infami, scellerate e folli, poich intanto Dio ne impedisce le
conseguenze e gli effetti. Ovviamente nessuno pu auspicare tali non-soluzioni. Rimane, comunque,
anche la sofferenza degli innocenti per ragioni puramente naturali (malattie, malformazioni, ecc.).
Anche in molti di questi casi non assente la colpa o lerrore di adulti (conseguenze ereditarie di
comportamenti negatici come alcoolismo, droga, abusi sessuali ecc.).
Le impostazioni dellAntico Testamento, anche se ancora imperfette per i loro numerosi punti
controversi e oscuri, sono decisamente pi significative e sensate. Esse sottolineano chiaramente che:
1) Dio non vuole n pu volere il male permette la sofferenza come mezzo per correggere, purificare
migliorare gli uomini, come ogni buon padre verso i figli (Dt 8,6; Eb 12,7-8); 2) Dio mette alla prova i
suoi figli e amici, per confermarli nella fedelt e nellamore (saggiare il cuore Gdt 8,27); 3) molte
sofferenze sono conseguenza diretta o indiretta del peccato, che si castiga da s (Os 1,2). Questi tre
aspetti vennero poi superati da una visione pi ampia e profonda, anche se difficile da comprendere.
Tale risposta sconvolgente e decisiva preannunciata nelle profezie sul servo sofferente di Jahw (Is
53), che prefigurano Ges Cristo. Egli solo, infatti, ha dato alla sofferenza del giusto innocente,
ingiustamente perseguitato, il significato supremo di redenzione e salvezza dei peccatori. La
sofferenza dei buoni, innocenti, salva malvagi, colpevoli e peccatori. Dio cre luomo per il bene,
lamore e la beatitudine. Dopo che luomo perse tutto ci con il peccato, lo soccorse in molti modi.,
dei quali il pi efficace e decisivo il dono del proprio Figlio, che ha assunto su di s il peccato del
1

E. Y. Yarnold, Male, in NDT, 810-812.

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mondo e i peccati di tutti gli uomini, per liberarli e renderli di nuovo capaci del suo amore e della sua
vita divina. Ges di Nazaret, il Cristo, il Figlio del Dio vivente, lunico e vero totalmente giusto e
innocente, ha sofferto ed morto per salvare tutti, compresi i suoi nemici e uccisori, dai loro peccati.
Dio non ha abolito la morte e il dolore, ma in lui li ha redenti e resi strumento di redenzione,
santificazione e salvezza. Ogni uomo che li soffre in unione allopera redentrice del Figlio di Dio, le
rende mezzi di vittoria. In questo modo, ogni sofferenza, dalla pi piccola alla pi grande, diviene
feconda di fecondit divina, indistruttibile, coefficiente di gloria e beatitudine eterna per chi la
accoglie e vive in, con e per Cristo. Questa la risposta divina al grande mistero del male e del dolore
di ogni innocente.

5. Senso e valore della croce


Essa pu essere compresa solo alla luce della fede, senza la quale non solo questo, ma tutti i
maggiori problemi umani diventano facilmente enigmi insolubili, contraddittori e assurdi. Il Figlio di
Dio, Ges Cristo, Risorto, ha vinto il mondo (Gv 16,33) e continua a operare nella sua Chiesa,
rendendo anchessa capace di vincere il mondo. Lo dimostrano chiaramente i suoi innumerevoli
Martiri e Santi. La domanda sul male, il dolore e il peccato coinvolge, quindi, due grandi misteri: il
mistero delliniquit (misterium iniquitatis) e il mistero della santit e salvezza (misterium sanctitatis
et salutis). La piena soluzione dei problemi del male e del dolore, quindi, offerta da tutto il
messaggio biblico-cristiano e dalla fede in Cristo, che ne spiegano il senso e il valore. La vera potenza
di Dio si mostra nellamore disarmato del suo Servo sofferente nel mistero della Pasqua: passione,
croce, sofferenza, umiliazione, tradimento, rinnegamento, abbandono e morte. Questo ha ottenuto e
costituito la sua gloria che, per ogni credente in Lui, diviene vita eterna, risurrezione e gloria. Lo
stesso destino coinvolge tutti i suoi discepoli, i cristiani, e la Chiesa intera, che sanno perch e per chi
soffrono. Croce e crocifissione non furono istituite da Dio, ma sono opera delluomo, che in esse ha
espresso tutta la sua crudelt e violenza, per incutere il massimo terrore (teterrimum supplicium =
supplizio orribile, spaventoso). il simbolo e lemblema di una delle maggiori potenze terrene di tutta
la storia, limpero romano, che se ne avvalse, come strumento di ordine e di governo, mediante il
massimo dolore, crudelt e infamia. Anche nella mentalit ebraica e giudaica, luomo che era stato
affisso a un legno era considerato maledetto da Dio. In Ges la crocifissione fra i malfattori
lultimo dolore di una lunga serie: tradimento di un discepolo, triplice rinnegamento di un altro,
abbandono di tutti eccetto Giovanni, flagellazione crudele e umiliante, percosse della soldataglia,
derisione come re da burla, scherno delle massime autorit religiose e politiche, accuse di impostore e
falso messia. Nulla della morte dignitosa e onorata di antichi saggi e filosofi, ma solo un contesto
volgare, squallido e infamante. Follia per i pagani, empiet e stoltezza per i giudei. Solo la risurrezione
e linnalzamento a Dio nella gloria riscattarono questo scandalo e diedero il vero significato salvifico a
tanta apparente stoltezza e pazzia. In ogni tempo e luogo il Messia umiliato e crocifisso, risorto e
glorificato, centro e fondamento della fede cristiana, continua ad essere segno di contraddizione,
scandalo difficile da accettare. Solo la grazia della fede consente di vedere in lui lamore supremo del
Padre, che ha tanto amato gli uomini da donare Colui che aveva pi caro: il Figlio Unigenito e
prediletto. A sua volta, il Figlio ha tanto amato gli uomini, da assumere su di s la loro condanna, per
liberarli dalla morte eterna e farne piena immagine e somiglianza divina. N Atene, n Roma n
Gerusalemme concepirono il morire per qualsiasi fratello e tanto meno per i propri nemici. Solo Ges
ha dato questa risposta definitiva a ogni domanda sul senso del male, del dolore e della sofferenza.
Per ogni uomo, quindi, la soluzione e risposta definitiva risiede nella fede nel Dio-Amore, che per
puro amore, generoso, illimitato, libero e gratuito si donato, santo e innocente, nelle mani dei suoi
nemici, empi e peccatori, per salvarli con la propria morte. Ogni morte ingiusta, ignominiosa e
dolorosa, di ogni innocente giusto, sia esso singolo, gruppo o popolo, partecipa direttamente e in modo
particolarissimo al suo dolore redentore e salvifico. Con la sua morte Cristo ha sconfitto per sempre il
peccato, il male e la morte. Con la sua risurrezione e ascensione alla destra del Padre ha aperto ai
credenti la vita divina e mostrato che lultima parola affidata allamore misericordioso e vittorioso di
Dio. Con la sua morte Ges ha reso possibile la massima aspirazione di ogni essere umano: vivere in
un mondo di pace e di fraternit, nel rispetto della libert e dignit di ogni persona. La croce, simbolo
supremo del potere, odio, violenza, crudelt giustizia iniqua delluomo stata trasformata nel simbolo
dellamore totale, infinito, del perdono, della gloria e vita divina. La risurrezione di Cristo ha mostrato
tutta la potenza invincibile della vita e dellamore divino. La fede cristiana testimonia e annuncia che
non c peccato, male, dolore, che possono resistere alla potenza dellamore divino-umano che,
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gratuitamente e generosamente si sacrifica e dona fino allultima goccia di sangue (Gv 19,34), per
risorgere e far partecipare ogni uomo alla dignit, gloria, vita eterna e beatitudine dei figli di Dio.

6. Fede e Chiesa nel mondo attuale


Resta ora da approfondire perch la fede in Cristo debba essere ecclesiale, quindi, non
individualista n fai da te. Latto di fede, infatti personale e comunitario, ossia n individualista n
collettivo. I termini persona e comunit si pongono subito nella dimensione profonda dellessere
umano, del suo spirito e delle sue relazioni. La fede, infatti, coinvolge i livelli pi profondi della
persona: intimi, comunitari e sociali. La Chiesa la comunit-comunione umano-divina scaturita dal
Cristo e manifestata nella Pentecoste, dal potente intervento delle Spirito Santo, promesso da Ges.
Per questo Spirito, il Risorto vive per sempre in essa che il suo Corpo Mistico, di cui il capo,
mentre lo Spirito Santo lanima. Nella Chiesa, quindi, Cristo e il suo Spirito Santo operano
pienamente, facendone il loro sacramento universale di salvezza. Alla sua Chiesa Cristo ha donato
tutto: grazia, Rivelazione, fede, perch tutti gli uomini possano riceverle per suo mezzo. Predicazione,
sacramenti, liturgia, culto, preghiera sono lambito normale per la fede di tutti. I bambini, che non
possono ancora credere e operare per atto proprio, ricevono tutto ci dalla Chiesa, che si prende cura
di loro, mediante la responsabilit e cura dei loro parenti2. La Chiesa annuncia e approfondisce le
verit salvifiche che tutti devono credere e insegna gli atti e azioni che devono compiere. Con i
sacramenti feconda di grazia divina tutti i momenti e aspetti significativi della vita umana.
La sua preghiera invoca per tutti la grazia salvifica meritata da Cristo. In questo modo madre e
maestra di fede, insegnando tutto ci che va creduto e vissuto per la propria salvezza. Per questo va
amata di amore sincero, come la ama Dio. Perch svolga i propri compiti, il Signore lha dotata della:
indefettibilit ossia, non venire mai meno alla conoscenza della verit divina; immunit da ogni errore
nellannunciare ed esporre verit e dottrina; infallibilit nellinterpretare e proclamare le verit e
azioni che conducono alla vita eterna. Cristo ne ha fatto la nuova patria spirituale dei cristiani sparsi in
tutto il mondo. Essa deve mostrare e garantire a tutte le genti la verit, credibilit validit e
ragionevolezza della fede cristiana. Essa annuncia e testimonia le verit divine, anche mediante la sua
prodigiosa santit e carit, visibile in tutti i secoli, nonostante i peccati e le mancanze di alcuni suoi
membri. La Chiesa, quindi, anche oggetto di fede del cristiano. I simboli della fede (o credo)
esprimono in modo diverso la fede verso le persone divine e verso la Chiesa. Per le prime dicono:
credo in, per la Chiesa dicono credo la. Essa, infatti, opera, ossia istituzione divina: Corpo
mistico, Popolo di Dio, che la grazia di Cristo e lo Spirito Santo rendono strumento di salvezza per
lumanit. Tutto ci lo crediamo e professiamo come suoi membri.
La vita cristiana vivere, pregare e operare in questa comunit reale, formata di santi e peccatori,
sempre bisognosi della grazia dello Spirito Santo e del perdono di Dio e dei fratelli. Non esiste una
chiesa immaginaria, ideale, senza difetti, ma solo questa, nella quale il Signore abita stabilmente e che
ama immensamente. Chi la ama, e rimane nella sua carit e unit, ha in s il suo Spirito Santo3. La
Chiesa presente nel mondo in molti modi diversi, secondo le varie epoche storiche e culture. Nel
mondo attuale, come altre volte in passato, in alcune sue aree, appare abbastanza alto il numero di
quanti chiedono battesimo, comunione, matrimonio e funerali religiosi. Pi ridotto, invece, il numero
di quanti la frequentano regolarmente. Minore e a volte esiguo il numero dei cristiani veramente
impegnati. Minoranze convinte, impegnate e motivate portano sovente il peso di maggioranze che
praticano in modo abitudinario, senza mostrare convinzioni molto profonde. Varia anche
laccoglienza pubblica e lattuazione pratica dei suoi insegnamenti. I media riservano alla Chiesa un
interesse quasi sempre periferico e superficiale. Alcuni le sono contrari. Un laicismo aggressivo,
appoggiato su o da gruppi di potere politico, ideologico o economico, sovente la osteggia
pesantemente. Di qui eventuali reazioni negative di alcuni cedenti: ansia e disagio per lindifferenza e
lostilit; dispiacere per la sottovalutazione di valori utili alle persone e alla societ; emarginazione
culturale e sociale ecc.
Tali reazioni si superano ricordando sempre che il messaggio cristiano va assai oltre le capacit
umane di accoglierlo e viverlo, per cui le sue realizzazioni visibili sono e saranno sempre inferiori alla
nostra immaginazione e aspettative. Margini dincomprensione e rifiuto sono sempre possibili. Parte di
2
3

Sum. Theol., III, q. 69, a. 6 ad 3:


S. Agostino, In Johan. Tr. 32,8, PL 35, 1646.

35

ci addebitabile anche ai limiti e mancanze dei credenti. In tutte queste situazioni, riscontrabili in
tutta la storia della Chiesa, latteggiamento giusto esclude il lamento sterile e lo scoraggiamento,
esprimendosi nella pazienza sobria e magnanima, attenta a discernere le forze che possono operare per
il bene delluomo. La Chiesa, sempre chiamata a oltrepassare il presente, per preparare se stessa e
lumanit alle novit che Dio le prepara, deve affidarsi ai criteri evangelici pi efficaci e illuminanti,
delle parabole del seme di senapa (Mt 13,31-32), del sale (Mt 5,13), del lievito (Mt 13,33), della luce
del mondo (Mt 5,14-16) e del piccolo gregge (Lc 12,32; Mt 11,25). Esse mostrano la forza irresistibile
del seme, che germoglia e diventa un albero, la capacit del poco sale e lievito di preservare tutta la
pasta da insipienza, corruzione e farla crescere, la forza della luce per illuminare e orientare. Queste
metafore indicano che i valori evangelici sono essenziali e insostituibili per lumanit, operando
misteriosamente per il bene di tutti: persone, gruppi, societ, culture e intera umanit.
La fede rende pazienti verso luomo e le sue debolezze. Fa chinare su di esse con amore e spirito di
servizio libero da fini di potere. La fede porta i maggiori valori per lumanit: dignit, libert,
responsabilit, speranza, per ogni persona, famiglia e comunit. Invita ognuno a farsi piccolo seme,
piccolo gregge, sale, lievito, luce del mondo. Apre alla fiducia totale nella potenza damore del Padre
al quale tutto possibile (Mt 19,26). Conferisce umilt, serenit, mitezza, misericordia, perdono,
riconciliazione, riconoscimento dei propri limiti e delle proprie colpe. S. Francesco dAssisi ha
definito tutto ci minorit, che consente una testimonianza pi viva, coglie meglio il senso delle
differenze, apre maggiormente al dialogo, instaura rapporti pi autentici di amicizia e collaborazione.
Infine, la fede conferisce la capacit di pensare in grande, creare pazientemente convinzioni e
consensi, lavorare a un tessuto comune di valori umani per tutta lumanit, dare un senso pi reale e
autentico ai sogni di una citt di tutti4.

C. M. Martini, Il seme, il lievito e il piccolo gregge, in La Civilt Cattolica, 1999, I, 3-14 .

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SIGLE E ABBREVIAZIONI
DCBNT Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, Bologna 1989
DCF

Dizionario critico di filosofia, Milano 1971

DDP

Dizionario di Paolo e delle sue lettere, Cinisello B. 1999

DDT

Dizionario di Teologia, Brescia 1968

DF

Dizionario dei filosofi, Firenze 1976

DI

Dizionario delle idee, Firenze 1977

DS

Enchiridion Symbolorum, (ed. 36 1976)

DT

Dizionario Teologico, 3 vv., Brescia 1969

DTAT

Dizionario teologico dell'Antico Testamento, 2 vv., Torino 1978-82

DTBB Dizionario di teologia biblica (Bauer), Brescia 1979


DTBD Vocabulaire de Thologie Biblique (Dufour), Paris 1970
DTC

Dictionnaire de Thologie Catholique, 15 vv., Paris 1930-72

DTI

Dizionario teologico interdisciplinare, 3 vv., Torino 1977

EC

Enciclopedia Cattolica, Citt del Vaticano 1948-1954

EDOT Expository Dictionary of Biblical Words, New York 1985


EGF

Enciclopedia Garzanti di filosofia, Milano 1988

ET

Enciclopedia Teologica, Brescia 1989

GLAT

Grande lessico dell' Antico Testamento Brescia

GDR

Grande Dizionario delle Religioni, Assisi-Casale M. 1988

GLNT

Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia 1965 ss.

IBNC

L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Pont. Com. Bib. 15.4.1993

MS

Mysterium Salutis, 11 vv., Brescia

NDT

Nuovo dizionario di teologia, Milano 1982

NDTB

Nuovo dizionario di teologia biblica, Milano 1989

SM

Sacramentum Mundi, 5 vv., Brescia 1975

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