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1. LA TRADIZIONE
1. Aspetti generali
2. Tradizione dall'Antico al Nuovo Testamento
3. Tradizione nel Nuovo Testamento
4. Chiesa e tradizione apostolica
5. Tradizione apostolica e tradizione ecclesiastica
6. Terminologia teologica relativa alla tradizione
7. Scrittura e tradizione nel Concilio Vaticano II
2. IL MAGISTERO
1. Aspetti introduttivi
2. Ministero della verit: S. Scrittura ed era post-apostolica
3. Magistero esercitato in modo ordinario: ufficio e soggetti
4. Magistero esercitato in modo straordinario: oggetto
5. Magistero autentico e forma ordinaria non infallibile
6. Non infallibilit, "oggetti indiretti", assenso
3. I DOGMI
1. Aspetti introduttivi
2. Dogma, Scrittura, storia della Chiesa
3. Le diverse "prospettive" sui dogmi
4. Funzioni ecclesiali del dogma
5. Immutabilit e storicit del dogma
6. Sviluppo dei dogmi
7. Interpretazione dei dogmi
4. LA TEOLOGIA
1. Aspetti introduttivi
2. Modelli teologici
3. L'epoca contemporanea
4. Criteri e principi per la teologia
5. Teologia e filosofia
6. Teologia e scienze
5. I RAPPORTI FRA MAGISTERO E TEOLOGI
1. Elementi introduttivi
2. La Commissione teologica internazionale
3. Il Documento "Magistero e teologia" (1975)
4. "Donum Veritatis"
6. PROBLEMI E QUESTIONI SPECIFICHE SULLA FEDE
1
1. LA TRADIZIONE
1. Aspetti Generali
Il termine generale traditio (trasmissione) deriva dal latino tradere, che significa trasmettere. In
senso generale esso esprime uno dei fatti pi tipicamente umani, riscontrabile in tutte le societ, civilt
e culture: la tradizione. un fenomeno necessario che riguarda ogni uomo, perch lo inserisce nella
sua comunit e sua storia, dalle quali assume il linguaggio, il pensiero, i valori, la sensibilit, i modi di
sentire e di pensare ecc. Da essa dipende la continuit culturale, umana e spirituale che raccorda le
generazioni che si succedono, trasmettendo loro: finalit, significati, valori, idee, esperienze, ecc., che
costituiscono il patrimonio vitale di ogni persona e le radici ineliminabili di ogni societ e cultura.
Poich tradizione, ragione, cultura, civilt e religione crescono assieme, la tradizione assume uno
specifico rilievo anche nellambito religioso. In esso, sotto varie forme e modi (credenze, riti, simboli,
azioni cultuali, preghiere ecc.) trasmette gli elementi fondamentali per la vita e la religione.
In tempi pi recenti, il termine ha assunto due significati: i contenuti trasmessi nel tempo e i diversi
modi della loro trasmissione (tradizioni orali, scritte, ecc.). Spetta al pensiero contemporaneo
(antropologia) il merito di aver richiamato lattenzione sul grande potenziale sociale, spirituale e
umano contenuto e offerto dalle tradizioni. Esso, in particolare, ha notato che queste rendono possibile
lo stabilirsi dellidentit dei singoli e dei gruppi, in una costante dialettica storica. Senza le tradizioni,
le persone e i gruppi verrebbero sradicati culturalmente, divenendo manipolabili e
strumentalizzabili dai diversi poteri. Ci deriva dal fatto che, perdendo il senso della propria identit
non saprebbero pi identificare i loro fini, significati e valori fondamentali. In definitiva, perderebbero
lo stesso senso della vita. Per questi motivi, i contenuti delle tradizioni sono estremamente ampi,
coinvolgendo lintera esistenza di persone e gruppi. Di conseguenza esse vanno analizzate con grande
rispetto, mai disgiunto da un rigoroso senso critico, al fine di poter discernere ci che in esse orienta
positivamente persone e gruppi verso il loro futuro autentico.
Come per le culture, anche per le loro tradizioni resta valida lesigenza di garantire la continuit e
fecondit vitale mediante la traduzione dei loro valori in nuove espressioni e forme pi adeguate e
valide alle sempre nuove esigenze. Ci esige la loro interpretazione autentica, ponendo la necessit di
armonizzare i loro tre processi fondamentali della conservazione, continuit e innovazione. Questi
aspetti generali si applicano pure alla societ che componevano il mondo biblico, nelle quali la
tradizione religiosa sintegrava a tutto un sistema di tradizioni umane, che ne costituirono la civilt e le
culture. Mediante queste acquisizioni, che pongono in reciproca relazione ragione e tradizione,
rivalutando entrambe, il pensiero contemporaneo ha superato le concezioni limitate e unilaterali del
pensiero moderno, sia di stampo illuminista, che contrapponevano ragione e tradizione, sia di stampo
romantico che ponevano la tradizione al di sopra della ragione.
La caratteristica tipica, che lo rese specifico e unico, fu la convinzione, presente fin dagli inizi, che
gli elementi della propria tradizione non erano semplici fenomeni culturale o religiosi, ma la
Rivelazione esplicita della volont di Dio, manifestata per mezzo di suoi inviati e intermediari. Per
questo motivo, essa fu definita deposito sacro, fondato esclusivamente sulla volont e azione di Dio.
Di qui la perenne presenza di due caratteri complementari dei suoi elementi: la stabilit e il progresso.
Stabilit e progresso caratterizzano gli sviluppi della Rivelazione, incessantemente esplicitata e
completata. Se si vuole esprimere il significato profondo della tradizione dIsraele e della sua
funzione, bisogna dire che essa lattualit delle Rivelazione divina, che svolge il suo compito
riproponendo nella realt del presente gli interventi divini attuali nel passato2. Pertanto, se da un lato,
Rivelazione e Tradizione costituirono un fenomeno storico, dallaltro non si riducono mai a questo,
perch entrambe, operando nella storia, rimangono superiori ad essa, in quanto il loro sviluppo non
di ordine puramente umano ma, prima di tutto, divino.
Dio stesso, infatti, che le ha attuate, ad opera dei suoi intermediari, ossia di persone che ha scelto,
chiamato e inviato. Per questo se ne sottolinea loriginalit e lunicit. Come in tutte le culture pi
antiche, agli inizi, la tradizione si trasmise oralmente. Le tradizioni orali, in seguito, furono fissate in
forme scritte, secondo le norme letterarie che vigevano nelle varie culture, dalle quali presero i pi
diversi elementi: racconti, cronache,storie, scritti giuridici, atti ufficiali, poemi, canti, preghiere, detti,
proverbi ecc. Si hanno cos molteplici generi letterari che vanno riscoperti e studiati accuratamente,
per essere compresi correttamente. Nella Scrittura, inoltre, accanto a queste forme comuni e pi
generali, troviamo anche quelle proprie e specifiche, quali i discorsi sacerdotali e profetici, le sentenze
sapienziali, le formule rituali, le preghiere ecc.
F. Ardusso, Tradizione, NDT. 1770: G. von Rad, Teologia dellAntico Testamento, Brescia 1972-1974; J.
Beumer, La tradition orale, Paris 1967.
completato quegli elementi della tradizione antica che dovevano essere completati, inizi una nuova
tradizione, che doveva subentrare a quella antica, come base della vita redenta e dellinterpretazione
rinnovata di tutta la Scrittura, la Legge e i Profeti. per questo che i suoi discepoli, ora divenuti
Apostoli, ordinavano ai primi cristiani di vivere tutti gli insegnamenti che essi trasmettevano, come
avevano ricevuto da Cristo. Tutto questo insieme di azioni, parole e dottrine compiute da Cristo,
assieme a quelle attuate dagli Apostoli nel suo Nome e secondo la sua autorit, costitu loggetto della
tradizione apostolica, che divenne la sostanza delle vita della Chiesa e fu in gran parte fissato nelle
nuove Scritture, ossia il Nuovo Testamento.
Gli Apostoli furono dunque anche lorgano di conservazione, trasmissione e interpretazione di tutto
ci che da Cristo stesso era stato compiuto e a loro affidato, perch lo conservassero e lo
tramandassero fedelmente. A loro volta, essi conferirono ai loro successori nel governo delle comunit
cristiane, ai quali trasmisero la loro autorit (1Tm 1,3; 2Tm 4,2; Tt 1,9; 2,1; 3,1), il compito di
conservare, trasmettere e interpretare questo deposito. Da allora, questa istituzione finalizzata alla
fedele custodia e trasmissione del sacro deposito non venne mai meno
J. Ratzinger, K. Rahner, Episcopato e primato, Brescia 1966, 45-69; A, Gautier H. Amman, Il sacerdote nel
secondo secolo, in H. Urs von Balthasar, B. Bro, O. Gonzales, Chi il Vescovo?, Milano 1984; C Dagens,
Gerarchia e Comunione: i principi dellautorit allorigine della Chiesa ib., 40-51; J.H. Walgrave, Le tensioni
fondamentali nella storia della Chiesa ib., 73-84.,
Corpo mistico di Cristo, da lui guidato, governato e vitalizzato dallo Spirito Santo. In essa fu sempre
viva la coscienza che in tale Corpo-comunit-popolo continuavano le stesse azioni di Cristo e che le
funzioni degli Apostoli e dei loro successori continuavano a essere svolte in conformit alla sua
autorit e ai suoi comandi. In base a questa esperienza e convinzione matur la certezza che il criterio
della fede risiede nella Tradizione ecclesiale, ossia nellautentico deposito apostolico, conservato nella
Chiesa per la grazia e lassistenza continua dello Spirito Santo. Esso non pu, quindi, essere mai
sostituito dal criterio parziale e tardivo della sola scriptura.
La tradizione la base della stessa Scrittura. Lo stesso Spirito Santo che ispir i profeti e gli
agiografi dellantico e nuovo popolo di Dio, e fece procedere alla stesura della Sacra Scrittura, ora
assiste con la sua grazia quanti hanno ricevuto il divino mandato e la funzione di continuare lopera
apostolica ( 1Tm 4,14; 2Tm 1,6). Il popolo di Dio, di generazione in generazione, ricevette fedelmente
e conserv il deposito (1Tm 6,20; 2Tm 1,12-14), di cui esplicit, nel corso dei tempi e secondo le
diverse esigenze, tutta le virtualit, rendendolo Scrittura e tradizione ecclesiastica. Esso conserv e
difese sempre la certezza che la vera responsabilit e purezza della tradizione non si basa sui soggetti
umani, ma sul Signore stesso e il suo Paraclito, ossia il suo Spirito Santo (Gv 14,16), che continua,
fino alla fine dei tempi, la vera tradizione4. Fino alla morte dellultimo Apostolo la tradizione
apostolica pot progredire nella misura in cui gli Apostoli ricordavano le parole e azioni di Cristo e ne
esplicitavano il senso.
La tradizione ecclesiastica invece ricevette il deposito ormai fissato, che la Chiesa deve piamente
ascoltare, santamente custodire, fedelmente esporre (Dei Verbum 8). Nello stesso paragrafo, Dei
Verbum sottolinea anche il modo in cui, in tutti i tempi, la tradizione di origine apostolica progredisce
nella Chiesa con lassistenza dello Spirito Santo. Il testo, che riveste particolare importanza, dice:
cresce infatti la comprensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la
contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (Lc 2, 19 e 51), sia con
lintelligenza data da una pi profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di
coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verit. Cos la
Chiesa, nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verit divina, finch in essa
vengono a compimento le parole di Dio.
Y. Congar, La tradizione e la vita della Chiesa, Catania 1964; R.P.C. Hansen, Tradition in the Early
Church, London 1962; Y. Congar, La tradizione e le tradizioni, 2 vv., Roma 1961-1965.
5
R. Fabris, Pietro, II, DTB, 1169-1170; J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Brescia 1974; A. Meredith,
Teologia della tradizione, Catania 1971.
di riferimento per la tradizione: i profeti e gli Apostoli. Linterpretazione autentica deve dunque tener
presente il valore profetico dellAntico Testamento e la sua efficaci in forza dellispirazione divina.
Inoltre, dopo Cristo, tutto lAntico Testamento va letto in prospettiva cristologica, che indica Cristo
come compimento e fine, sia della Rivelazione che della Scrittura. Di conseguenza, senza lazione
dello Spirito Santo, linterpretazione di vari punti della S. Scrittura, difficili da capire, pu essere
stravolta a propria rovina (2Pt 3, 15-16) anzich salvezza. Ci premesso, il criterio ermeneutico
vorrebbe sottolineare che non liniziativa umana, ma lo Spirito Santo a presiedere allinterpretazione.
Quanto al criterio interpretativo, esso sembra particolarmente espresso in Dei Verbum 12, che
sottolinea lesigenza di una piena coerenza, da parte della comunit credente, nel testimoniare e vivere
la tradizione e la fede comune. Queste distinzioni fecero seguito ai problemi sollevati nel corso dei
secoli, in particolare dalle divisioni della Chiesa nel secolo XVI.
2. IL MAGISTERO
1. Aspetti introduttivi
I temi e problemi inerenti al Magistero della Chiesa si comprendono correttamente collocandoli
nel loro contesto appropriato. Per Lumen Gentium 22 esso dato dallesigenza di esercitare nella
Chiesa il ministero o servizio della verit, in modo supremo pieno e universale.
Questaffermazione richiede alcune premesse. Il Signore ha affidato alla sua Chiesa, comunit
escatologica e comunione gerarchica dei credenti, la missione di testimoniare e portare, a tutta
lumanit e fino alla fine dei tempi, La Rivelazione e la Salvezza divina, donataci nella sua
persona, vita, azioni, grazia, verit e dottrina. Questo fine ha stabilito anche i mezzi volti a rendere
la Chiesa indefettibile nella sua testimonianza alla verit e nel suo servizio di salvezza. I contenuti
della Rivelazione e Salvezza, nei loro aspetti veritativi e dottrinali, costituiscono il sacro deposito
della Parola di Dio. Dei Verbum ha precisato che: la sacra tradizione e la sacra Scrittura
costituiscono un solo deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa (n. 10).
Lo stesso testo ricorda che, aderendo ad essa, tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori,
persevera assiduamente nellinsegnamento degli Apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione
del pane e nellorazione (At 2,42). Ci solleva il problema delle modalit vive per la
conservazione, interpretazione e annuncio dei contenuti della Rivelazione e Salvezza, affidata da
Dio alla Chiesa, sotto la guida del collegio apostolico, costituito dai suoi Apostoli e dai loro
successori. La pienezza di quei poteri, compresi quelli dottrinali, appartiene ora allinsieme dei
vescovi che, avendo pace e comunione fra loro e con il Vescovo di Roma come loro capo, formano
una sola cosa nellunit. Fondamento di questa pace e comunione lo Spirito Santo che, con la sua
assistenza, fa progredire nellunit della fede tutto il Corpo di Cristo (Lumen Gentium 25). Il
Magistero, quindi, dipende dalla fede della Chiesa ed al suo servizio per guidarla, interpretando
autenticamente e spiegando la Parola di Dio. Fine ed essenza del suo servizio, quindi, fare
perseverare tutta la Chiesa in tutta la verit (indefettibilit).
Gli scrittori del II secolo: Ignazio di Antiochia, Egesippo, Ireneo, poi Tertulliano, indicheranno
nella successione apostolica la norma della vera dottrina insegnata dalla Chiesa. Si guarda gi
alla certezza della successione ininterrotta dei vescovi, dagli Apostoli. Ad essa conferisce
particolare valore il carattere sacramentale della Chiesa e dei membri del Magistero. Nella Chiesa,
infatti, ordinazione episcopale e missione costituiscono ununit intrinseca. Linserimento
sacramentale nel ministero episcopale per mezzo dellimposizione delle mani e linvocazione dello
Spirito Santo la forma indispensabile per la trasmissione della successione apostolica ed
ecclesiale1. Nella storia della Chiesa risulta sempre pi chiaro che lepiscopato lorgano
autorizzato e responsabile della fede cristiana. Nel primo millennio, la figura del vescovo come
maestro e teologo si consolida sempre pi. Di fatto, molti grandi vescovi sono anche grandi teologi,
Padri e Dottori della Chiesa. Il problema dei rapporti fra magistero e teologi, perci, praticamente
non esiste. Sorger solo nel millennio successivo, ossia nel Medioevo.
Con la modernit (e il razionalismo, illuminismo ecc.), nella proporzione in cui la cultura
considera ladesione alla verit unopzione o scelta o decisione personale e insindacabile
dellindividuo, i teologi insisteranno sempre pi sullimportanza della conoscenza. La Chiesa
dovr difendere sempre pi lautentica realt delladesione alla verit rivelata come culto reso a
Dio nella fede e come santificazione, che pu avvenire solo nella verit di Dio e di Cristo (Gv
17,17). Il compito della Chiesa e del Magistero si dovr concentrare, sempre pi, sul condurre ogni
persona a un adesione personale, intima, profonda, convinta e totale alla Verit che Dio2.
romano Pontefice, in forza del loro mandato divino diretto, ossia della missione divina ricevuta da
Cristo (Mt 28,18-20). Ogni singolo vescovo esercita il Magistero in forma ordinaria per mandato
ricevuto da Dio con lordinazione. Sono quindi titolari di esso il Papa, ogni singolo vescovo e
lepiscopato nel suo insieme. Tale Magistero detto autentico perch, esercitato in nome e per
autorit di Cristo, gode dellassistenza dello Spirito Santo, per esprimere fedelmente le verit che
insegna.
Ad esso corrisponde, da parte dei fedeli, il dovere di un religioso ossequio della volont e
dellintelligenza (Lumen Gentium 25), secondo i diversi gradi di adesione dovuti alla verit3, come
vedremo nei prossimi capitoli. In questo modo, lintera comunit ecclesiale o Chiesa (come unit e
comunione dei credenti), con la sua struttura gerarchica ministeriale (ossia di servizio), risulta
portatrice della Rivelazione e delle sue verit rivelate. Al riguardo, Lumen Gentium (n. 12)
sottolinea esplicitamente lufficio profetico del popolo di Dio che aderisce infallibilmente alla
fede trasmessa ai santi una volta per tutte. Linfallibilit del Magistero finalizzata e indirizzata a
perenne sostegno di questa indefettibilit. Quindi lindefettibilit e linfallibilit della Chiesa non
sono soltanto una sua immunit passiva dagli errori ma una positiva esperienza e intelligenza della
verit delle cose trasmesse (Dei Verbum 8) e un retto giudizio che penetra sempre pi
profondamente nel vivere la verit, crederla, e annunciarla (Lumen Gentium 12).
Nel popolo di Dio, lazione dello Spirito Santo conserva e mantiene sempre il genuino senso
della fede e lautentico istinto della fede. Essi uniscono tutti i fedeli nella comune e identica
professione di fede. Lumen Gentium, nn. 12 e 35, sottolinea la finalit del senso della fede:
sostenere il retto giudizio del popolo di Dio, perch penetri sempre pi a fondo la fede e lapplichi
pienamente alla sua vita. Se al Magistero compete la formulazione verbale del Credo, a tutti i
fedeli, definiti Santi dalla Scrittura, compete la testimonianza e attuazione vivente di tutte le
verit del Vangelo. Questaspetto, da sempre, il pi importante e decisivo, e lo sar sempre pi, di
fronte al pluralismo di idee, concetti e posizioni che vige nelle culture e societ del presente e del
futuro. Testimonianza ed attuazione distinguono i cosiddetti cristiani di nome e i battezzati in senso
puramente statistico e anagrafico, dai veri fedeli impegnati in unautentica vita e testimonianza di
fede.
J. Colson, Les fonctions ecclsiales aux deux premier sicles, Paris 1956; G. Sala, Magistero cit., 427.
W. Kern, E. Niemann, Gnoseologia teologica, Brescia 1984, 169; K. Rahner, Discussioni attorno al
magistero ecclesiastico, in Nuovi Saggi, V, Roma 1975.
4
dintelligenza, ragione, coscienza, volont, libert ecc.) che la condizione decaduta delluomo ha
reso difficilmente accessibili alla ragione.
Non sempre facile distinguere fra oggetto primario e secondario, perch non facile accertare
quali siano le verit secondarie rispetto alla Rivelazione e come queste si colleghino ad essa. Per la
teologia sistematica, tuttavia, importante farlo, sovente si trovano perch nei pronunciamenti
magisteriali ed molto utile poterle distinguere. Si tratta di un campo ampio e importante per la
ricerca e la riflessione teologica, che pu offrire un prezioso aiuto al Magistero. in questambito
che, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, si concentrata la riflessione teologica, per
fronteggiare i problemi che, col loro continuo e rapido sorgere, sfidano la ragione e la coscienza dei
credenti. Ad esso si collega il problema del Magistero esercitato in forma ordinaria, autentica, ma
non infallibile.
provvisoriet. I credenti devono conoscerli, riconoscerli, rispettarli e seguirli per quanto e ove
possibile, in proporzione alle loro capacit e competenze, e contribuire pure, nei debiti modi loro
possibili, alla loro chiarificazione5. Da tempi antichissimi, infatti, in simili questioni, la Chiesa si
avvalsa della communis aestimatio peritorum ossia del giudizio di persone esperte e competenti,
pur sapendo che anchesse sono soggette a incertezze, errori e mutazioni di giudizio.
Lettera dei Vescovi tedeschi a quanti hanno nella Chiesa lincarico di predicare la fede, in
LOsservatore Romano, 15 dicembre 1967, p. 5, n. 8; o Ed. Esperienze, Fossano 1968. Per un breve
commento cf. Kern, Niemann, Gnoseologia cit., 166.
6
Conseil Pontifical Cor Unum, Dans le Cadre, 1981, EV 7/1261.
7
EV 7/1262.
8
EV 7/1264.
9
G. Gismondi, Fede, scienza, etica da Gaudium et Spes a Veritatis Splendor, in Antonianum, 70 (1995),
542.
10
Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, Citt del
Vaticano, 1990, n. 23.
10
Ricordiamo qui che fra le forme di oggetto indiretto vengono considerate anche le seguenti: 1)
Conclusioni teologiche che derivano da una proposizione rivelata e da unaltra non rivelata, come
un principio filosofico. La loro validit dipende dalla verit delle premesse, che si fondano sul
sapere umano e dalla correttezza dellargomentazione seguita. Per questo motivo alcuni le
denominano verit solo virtualmente rivelate. 2) Preamboli della fede (preambula fidei) ossia
presupposti per unaccoglienza motivata delle verit rivelate (esistenza di Dio, sopravvivenza dopo
la morte, possibilit dei miracoli ecc.). 3) Fatti dogmatici ossia conoscenze aventi un legame
estrinseco con le verit salvifiche (connotazioni del contesto storico come: carattere veramente
ecumenico di un Concilio, attribuzioni di certe affermazioni a un determinato autore ecc.). 4)
Canonizzazioni. Anche per gli oggetti indiretti vedremo, nel luogo indicato, i vari gradi di assenso
richiesti.
11
3. I DOGMI
1. Aspetti introduttivi
Il Catechismo della Chiesa Cattolica descrive i dogmi come verit contenute nella rivelazione
divina, o che hanno con essa una necessaria connessione, proposte al popolo cristiano in modo
definitivo e in una forma che obbliga a unirrevocabile adesione di fede (n. 88). Li definisce: luci sul
cammino della nostra fede che lo rischiarano e rendono sicuro. Indica pure lo stretto legame organico
fra i dogmi e la nostra vita spirituale (n. 89). Ricorda inoltre che tra le verit della dottrina cattolica vi
un ordine gerarchico, che dipende dal loro diverso nesso col fondamento della fede cristiana (n. 90).
Per lesperienza della fede cristiana, dunque, lesistenza dei dogmi essenziale. Per questo, gi il
Concilio Vaticano I aveva dichiarato che: per fede divina e cattolica si deve credere tutto ci che
contenuto nella parola di Dio, scritta o tramandata, e che la Chiesa, con decisione solenne o mediante
il Magistero ordinario, propone a credere come rivelato da Dio (DS 3011).
Nella modernit, la cultura ha contestato la fede cristiana in base allassunto che solo la scienza in
grado di dare certezze. Nel postmoderno, invece, la contesta in base allassunto opposto, che nessuna
forma di conoscenza: scienza, filosofia, religione possa raggiungere la certezza. Nessuna forma di
sapere, quindi, potrebbe possedere o stabilire dogmi, che impedirebbero la libert del pensiero. In
effetti a un livello razionale puramente naturale, ogni pretesa dogmatica arbitraria e insostenibile. Il
problema dei dogmi teologici, tuttavia, non si pone allo stesso livello, per cui non cos semplice e
richiede molte distinzioni e approfondimenti. Prima di parlare genericamente di essi, occorre
analizzare lesperienza delluomo e dei gruppi. Scienze sociali e filosofia, infatti, hanno messo in luce
che, come nessuna persona o gruppo pu progredire n sopravvivere senza le tradizioni, non pu
neppure progredire n sopravvivere senza verit e valori aventi carattere incondizionato e formulabili
in proposizioni comunicabili.
Verit e valori costituiscono la base e il presupposto dellidentit di persone, societ e culture e
come tali sono la base indispensabile della loro libert e progresso. Ci significa che dogma e libert
non si contrappongono, perch tutta lesistenza umana si fonda su verit e valori. Ci che conta che
siano rispettate due condizioni fondamentali: 1) che essi siano autentici; 2) che non sidentifichi (o
equivochi) nessun valore, e nessun senso e significato profondo di una verit con le forme storiche
contingenti con cui viene espresso. Riconoscendo che la storia si fonda sullapertura illimitata e mai
del tutto esauribile dello spirito umano, si comprende come unespressione storica, in ogni epoca,
realizzi unanticipazione parziale, che consente di cogliere il tutto nel frammento. Ci spiega anche
perch la parola immutabile di Dio, durante il lungo processo della Rivelazione, sia stata espressa con
e in parole umane, sempre limitate e finite nella loro possibilit di espressione.
Ci vale pure riguardo alla Rivelazione su Ges Cristo. Ges la Rivelazione definitiva di Dio
nella carne umana e la verit definitiva su Dio e sulluomo che deve essere dichiarata e testimoniata
pubblicamente a tutti i tempi, le culture e nazioni. Egli pure levento a carattere escatologico oltre il
quale non pu darsi alcun progresso della Rivelazione (Eb 1,1) perch, essendo pienezza e
compimento, non una fine senza futuro ma il nuovo inizio al quale promesso un futuro
eterno. Egli, grazie allo Spirito Santo, continua a rendersi presente nella Chiesa, nella sua novit
escatologica, rendendo sempre giovane e vivo il suo messaggio. Questo dinamismo della Rivelazione
e della verit divina in Cristo fonda lesistenza dei dogmi e il loro sviluppo, come esplicitazione e
approfondimenti continui di ci che gi implicito nella Rivelazione originaria1.
Z. Alszeghy, M- Flick, Lo sviluppo del dogma cattolico, Brescia 1967; AA.VV. , Lo sviluppo del dogma
secondo la dottrina cattolica, Roma 1953; W. Kasper, Dogma (sviluppo del), in ET, 220-224; D. Bonifazi,
Immutabilit e relativit del dogma secondo la teologia contemporanea, Roma 1959; M. Y. Congar, La
tradizione e le tradizioni, 2 vv., Roma 1964-1965; W. Kasper, Il dogma dotto la parola di Dio, Brescia 1968.
2
H. H. Esser, Comandamento, in DCBNT, 314.
12
che apparso giusto3. La S. Scrittura negli scritti tardivi della traduzione dei LXX, documentabile gi
dal II secolo a. C., lo us nel senso di ordine o disposizione (cf. Est 4,8; Dan 2,13; 4Mac 4,23). In
3Mac 1,3 indicava, invece, le prescrizioni divine della Legge mosaica e, in 2Mac, 15,36, le delibere
prese nella comunit. Nel Nuovo Testamento il termine usato per indicare gli ordini dellautorit
civile, in Lc 2,1 (il censimento di Augusto), At 17,7 ed Eb 11,23. In At 16,4, dogmata indica le
disposizioni del collegio apostolico per le comunit di missione. Nei contesti in cui il termine indica
gli editti delle autorit umane, vi traspare un senso dimpotenza o subordinazione dei poteri terreni, di
fronte allopera salvifica divina.
Alcuni pongono lo sviluppo ecclesiale del termine, nel periodo che intercorse da At 16,4, al secolo
IV. In esso si sarebbe evoluto verso i sensi di: verit e dottrina autorevole, obbligatoria per tutta la
cristianit, e prescrizione giuridica della Chiesa che esige assenso intellettuale4. La concezione pi
specifica di dogma, detta pure in senso stretto, viene invece considerata una conseguenza del
Concilio Vaticano I, per cui sarebbe piuttosto recente. Presso i Padri della Chiesa e durante il
medioevo il termine era inteso in senso largo, vale a dire di una dottrina, una sentenza, un principio
o una massima. Quanto i cristiani parlavano di dogmata li intendevano nel senso generale di dottrine
cristiane rivelate da Dio e credute dalla fede, senza accentuare particolarmente le definizioni del
Magistero 5. Sarebbe dal secolo XVIII che il senso stretto, nel significato attuale, avrebbe cominciato
ad insinuarsi. Il riferimento esplicito alla definizione della verit, da parte del Magistero, sarebbe poi
divenuto un elemento sempre pi importante e, infine, centrale.
Comunque sia, la realt del dogma si progressivamente chiarita come: a) esplicitazione dei
contenuti dottrinali impliciti nelle affermazioni della rivelazione; b) loro chiarificazione e
riformulazione in concetti e termini pi precisi o aggiornati, secondo le esigenze culturali delle varie
epoche e dei nuovi problemi sorti nel corso della vita e della storia della Chiesa. Nellera moderna, la
funzione definitoria del Magistero ha evidenziato il ruolo essenziale, proprio della Chiesa, di rendere
presente il Vangelo, nel corso della storia, nel tessuto delle istanze emergenti, per rispondere alle
esigenze pi urgenti delluomo e dellumanit. Ci non potrebbe avvenire mediante pure ripetizioni
dei suoi contenuti, poich occorre inserire vitalmente, nella cultura e nelle coscienze, la sua verit, i
suoi valori e tutti i suoi contenuti. Quanto alla distinzione fra il senso largo e quello stretto del dogma,
emersa la legittimit e validit di entrambi.
Il senso stretto consente notevole spazio alla libert nella Chiesa, permettendo molteplici
espressioni dellantica dottrina, che rendono possibili gli ulteriori sviluppi necessari. Il senso ampio, a
sua volta, risponde allesigenza di non separare mai la fede oggettiva da quella soggettiva e di non
isolare mia il dogma dalla verit e dottrina pi ampia annunciata dalla Chiesa. Queste esigenze
derivano dal fatto che i contenuti della fede sono sempre immensamente maggiori delle proposizioni
in cui vengono formulati6. Nella modernit emerso che, nonostante la loro grandiosit, le concezioni
patristiche e del primo medioevo presentavano pure dei limiti. Essi consistevano nel non distinguere a
sufficienza fra le verit di Dio e la testimonianza umana della verit (ad opera della Chiesa), che la
rende vitalmente presente nel corso della storia7.
DDT, 205.
Esser, 315.
5
D. Bonifazi, Dogma, DTI, I, 709.
6
Kasper, Il dogma sotto la parola di Dio, 50.
7
Bonifazi, Dogma, 710.
4
13
15
disposizione. La teologia, inoltre, si fa carico di elaborare una comprensione del Vangelo sempre pi
rinnovata e approfondita, secondo le richieste e le sfide sollevate dal mutare delle situazioni e dal
continuo sorgere di problemi umani, morali e spirituali. Tutto ci, per la Chiesa, esprime i segni dei
tempi cui prestare la massima attenzione. Lo sviluppo dei dogmi, quindi, non nasce da esigenze
puramente concettuali e intellettuali, ma dallimpatto della fede con le sempre nuove situazioni
storiche, individuali, sociali, culturali ed ecclesiali, sovente difficili e urgenti. Lo studio storico dei
dogmi mostra che le grandi dispute teologiche non si risolvono solo trattando singole e determinate
verit, ma elaborando un comprensione generale pi profonda, ampia, attuale ed efficace della fede
cristiana, a partire sia dalle verit fondamentali che da quelle specifiche, oggetto di contesa.
Esso mostra pure che, sovente, sconvolgimenti e distorsioni ereticali sono reazioni scorrette a
situazioni complesse e a problemi difficili. Sono reazioni scorrette: le scorciatoie intellettuali, gli
eccessivi adattamenti, le sintesi premature e superficiali, i rifiuti di confronti, gli irrigidimenti ostinati
e immotivati, le negazioni, isolamenti o assolutizzazioni di un unico aspetto, le esagerazioni o
riduzioni di aspetti particolari ecc. La lista sarebbe assai pi lunga. Ci spiega perch le conseguenze
negative delle eresie non consistano solo nella negazione di qualche verit, ma anche nello spingere la
ricerca, riflessione, sviluppo o elaborazione di una dottrina verso direzioni sbagliate. In tutti questi
casi, la risposta della Chiesa volta a mettere in luce i vari aspetti genuini e specifici della verit e dei
dogmi. Essa dimostra come si possano sottolineare gli uni, senza negare o sminuire gli altri.
Il segreto del successo, in questo delicatissimo compito, sta nel ricercare la verit in modo
equilibrato, con reciproco rispetto e amore ed evidenziando sempre gli aspetti salvifici e liberatori di
ogni verit e dottrina9. A tal fine occorre, come gi detto, rispettare lordine gerarchico delle verit 10
derivante dal loro rapporto col fondamento della fede cristiana, che Cristo (fondamento cristologico).
Teologia dello sviluppo e storicit del dogma sono regolate, dunque, dai seguenti principi
fondamentali: 1) Ogni verit dogmatica deve essere contenuta esplicitamente o implicitamente nel
dato rivelato, che intende chiarire o esplicitare. 2) Ogni dogma successivo deve porsi in continuit
omogenea col significato di quelli gi definiti (evoluzione omogenea). 3)Occorre controllare con cura i
modi in cui un dogma incluso nella Rivelazione: limplicito va esplicitato; il gi espresso va
riformulato in termini attuali. 4) Nello studio dello sviluppo rimane sempre essenziale ritornare al dato
biblico originario, sovente pi fruttuoso del riferimento agli sviluppi dogmatici legati a contesti
storico-culturali particolari. 5) Le modalit razionali dello sviluppo possono essere molteplici: logicodiscorsive, intuitivo-vitali, concettualizzazioni, apprensioni concettuali riflesse ecc. 6) La Scrittura
rimane il testo originario, qualificato e normativo insostituibile (norma normans non normata) in cui
emerge la Parola eterna di Dio. 7) Il dogma esplicita pure lesperienza ecclesiale del Cristo.
Ricerca e riflessione contemporanea hanno messo in luce che il pensiero e il linguaggio umano
rimangono sempre inadeguati ad esprimere la pienezza, ricchezza, profondit e totalit della realt.
Ci vale, a maggior ragione, per i misteri divini. Il dogma, quindi, rimane un asserto vero, ma parziale,
perch non pu n deve esaurire tutto il mistero contenuto nella verit divina. Pertanto, realt divina e
dato rivelato trascendono ogni loro espressione in formule dogmatiche. Queste, tuttavia, rappresentano
un definitivo punto di riferimento, necessario e obbligante per ogni ulteriore espressione della fede.
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definite formalmente e tuttavia, sono essenziali e vincolanti. Inoltre i dogmi vanno sempre posti in
relazione con lintera fede e dottrina della Chiesa.
Ci premesso, linterpretazione di un dogma data dalla mediazione fra la situazione in cui esso fu
definito e la nostra situazione attuale. Ci significa che da un lato si deve sapere, con la maggiore
precisione possibile, ci che esso veramente intende dire. Daltro lato si deve cercare di trasmetterne e
comunicarne il contenuto nel modo pi esatto ed efficace. Ci impegna pure termini, prospettive di
pensiero e linguaggio pi comprensibili ed efficaci. Il punto centrale dato dal distinguere il contenuto
profondo che una definizione dogmatica intende esprimere, dai mezzi e modi in cui lo esprime. Si
tratta di capirne lintenzione profonda attraverso i suoi mezzi espressivi. La prima va sempre
conservata, sui secondi si pu e deve esercitare un rigoroso discernimento critico cristiano. A questo
fine vanno accuratamente sottolineati i seguenti elementi: 1) contenuto inteso; 2) rivestimento
espressivo; 3) schema noetico o modello di pensiero; 4) modo di presentazione. Il contenuto la parte
prioritaria che va sempre salvaguardata, mentre le altre parti possono essere rielaborate o espresse
meglio. Questo compito ecclesiale richiede unintensa partecipazione di teologi e storici del dogma e
della teologia. La garanzia dellinterpretazione autentica, che attualizzi il valore perenne e salvi
lirreformabilit dei dogmi poggia, invece, sullassistenza dello Spirito Santo garantita al Magistero
nellesercizio del suo ministero ecclesiale11.
11
17
4. LA TEOLOGIA
1. Aspetti introduttivi
In questo capitolo approfondiremo i rapporti della Teologia con la Tradizione, il Magistero e i
dogmi, ossia gli elementi sviluppati nei precedenti capitoli. Nellantichit classica il termine teologia
era usato in ambito profano, filosofico, extra-cristiano. Per Platone, ad es. teologia era lo stato
mitologico che precede il vero sapere. Di qui lesigenza di liberare le mitologie e le leggende dai loro
aspetti ingenui o addirittura sconvenienti, al fine di farne emergere il logos, ossia la ragione e la verit
che in essi si nascondevano 1. Per Aristotile la teologia era la scienza che si occupa di ci che eterno
e, quindi, anche della causa eterna delluniverso, ossia del suo divino motore immobile2. Il massimo
livello della filosofia teoretica era, dunque, la filosofia teologica che si spingeva fino al divino3. I
filosofi greci non ambivano al titolo di teologi, che lasciavano a quanti si occupavano di mitologie e
culti degli dei. Neppure la S. Scrittura e i Padri della Chiesa usarono questo termine.
Il contenuto di esso deriv dalla crescente diffusione del cristianesimo nel mondo romano e del suo
forte impatto con la cultura ellenistica. Il termine entr assai lentamente nellambito cristiano e ancor
pi lentamente assunse rilievo e significato come discorso cristiano su Dio. Poich mondo romano e
cultura ellenista opposero formidabili ostacoli allannuncio cristiano, costrinsero anche lintelligenza
della fede a un arduo lavoro per presentare, difendere e vivere autenticamente la fede cristiana. Il
pensiero greco precristiano aveva approfondito, in particolare, tre importanti aspetti: a) il legame fra
teologia e mito; b) la critica al discorso mitologico; c) il rapporto fra filosofia e suprema sapienza. Da
parte sua il pensiero cristiano svilupp: a) il legame con la Parola di Dio; b) la sistematica ricerca della
Parola di Dio nella parola umana; c) il rapporto fra Sapienza e mistero di Dio, origine e fine della
creazione delluomo.
Il pensiero greco cercava la conoscenza sapienziale di tutta la realt (senso filosofico), mentre il
pensiero cristiano cercava lautentica Sapienza (in senso biblico) trascendente e divina. Vi erano,
quindi, numerosi punti di dialogo e di confronto. Per il pensiero cristiano la sfida nasceva soprattutto
dalla perenne pretesa universalista del messaggio evangelico, che esige forme espressive, concetti,
discorsi, termini e linguaggi adeguati. Due esigenze, in particolare, furono sempre alla base dello
sviluppo teologico dellannuncio: 1) la sua comprensione universale, che nasceva dal mandato di
Cristo di fare discepole tutte le nazioni della terra (Mt 28,19); 2) la salvaguardia della sua autenticit e
specificit, come sale della terra e luce del mondo (Mt 5,13). Di qui la perenne necessit di una
riflessione profonda, a tutto campo, sulla Rivelazione e la fede, e sulla vita e le culture delluomo. in
questo contesto problematico che nasceva la teologia
Un altro carattere del messaggio, da approfondire teologicamente, era il fatto che per i cristiani, in
senso specifico, Ges non mai passato ma continua ad essere presente e futuro. Questo perch
Egli il Signore, il Figlio di Dio fatto uomo per salvare gli uomini e lumanit. Egli , insieme, la
Rivelazione e il suo maggior Mistero. Questa consapevolezza deve rimanere sempre alla base di ogni
riflessione di fede e sulla fede (teologia). Per affrontare questa sfida, cos difficile e ardua, la fede, fin
dagli inizi, si avvalse di tutti gli strumenti dellintelligenza, del pensiero e della ragione, in particolare
della storia e della filosofia. Dovette quindi procedere a purificare ed elevare i loro concetti e le loro
categorie fondamentali, soprattutto della filosofia e della metafisica (Giustino, Ireneo, Ignazio,
Origene ecc.). Alcuni hanno visto in questoperazione unellenizzazione del messaggio. Studi pi
accurati hanno dimostrato che pi esatto parlare di cristianizzazione della cultura classica.
Fin dagli inizi, infatti, la teologia mantenne fermo il suo specifico carattere ecclesiale, muovendo
da Tradizione, Scrittura e dottrina ecclesiale, approfondite per mezzo di unintelligenza argomentativa.
Essa non abbandon n attenu mai il suo specifico cristiano vale a dire la fede in Dio, che si
rivelato pienamente nel suo Figlio, Ges Cristo. Il cristianesimo, quindi, rimane sempre sotto la
rivendicazione e linterpellanza di Dio, per la mediazione unica di Cristo. Cristo rimane
ordinariamente accessibile nella sua comunit credente (Chiesa) e nella trasmissione della sua verit
(Tradizione e Scrittura), per cui la conoscenza, comprensione e mediazione dello specifico cristiano
1
18
legata allattuazione di Cristo e del suo Regno, nella sua Chiesa e per mezzo di essa. In essa e per
essa, Ges dona ai credenti la sua persona, parola, luce, immagine di Dio, salvezza, mediazione, via,
verit e vita eterna4.
2. Modelli teologici
Questo specifico cristiano stato elaborato ed espresso mediante vari modelli teologici. I primi
furono quello patristico e alto medievale, nei quali conflu la riflessione della Chiesa degli inizi. Essi
sottolineavano il felice scambio di Cristo, che ci dona le sue ricchezze divine (santit, verit, vita
divina), prendendo su di s le nostre miserie umane (peccato, condanna, morte, limiti, debolezze ecc.).
Veniva pure sviluppata la portata cosmica della Redenzione e la trasformazione (santificazione,
divinizzazione) delluomo, che riceve il dono divino di grazia e salvezza, mediante lilluminazione e la
verit divina5. Quanto al modello altomedievale, inser nella teologia lesigenza di cercare o introdurre,
nel sistema complessivo della fede, le rationes necessariae per ogni verit. Nella fase matura, invece,
la crescente tensione e scontro fra tradizione accolta nella fede e conoscenza autonoma, sostenuta dal
sapere aristotelico, port a una progressiva riduzione della pretesa cognitiva della teologia e a una
maggiore consapevolezza critica del rapporto fede-sapere.
La teologia, quindi, si esprimeva come sapere-sentire religioso, superiore o totalizzante, che
consente di percepire, giudicare e agire in vista della propria perfezione e beatitudine. Tale sapere
veniva centrato sul mistero di Cristo, riletto nel cosmo, nella storia e nellessere. Lo si cercava
nellAntico e Nuovo Testamento, letti alla luce della fede della Chiesa. S. Agostino viene indicato
come il migliore esempio di tale modello, mentre, come limiti, vengono considerati: una certa
imperfezione storico-critica nella lettura della Scrittura; la sovrapposizione degli elementi filosofici;
limpostazione eclettica. Essi avrebbero causato uninsufficiente distinzione fra i diversi elementi
dialettici: naturale e soprannaturale, filosofia e teologia, intuizione e ragione, fede e ragione, affetto e
ragione, ascesi/mistica e teologia razionale.
Il modello della Scolastica, invece, si caratterizza per il confronto fra il dato rivelato e la filosofia
aristotelica, corretta e integrata, in senso cristiano, da S. Tommaso. Nel suo pensiero, lattivit pi alta
quella intellettuale-concettuale, la cui forma pi elevata la scienza, intesa come conoscenza certa
ed evidente di una cosa, mediante le sue cause necessarie. In questo senso, la metafisica vista come
la scienza somma. I limiti di questo modello sono indicati nello spostamento dal piano salvifico
storico, religioso, affettivo, volontario, contemplativo e dossologico, a quello ontologico, essenzialista,
metafisico e dialettico. Tale deriva port alla progressiva separazione della teologia dalla vita
spirituale, liturgica, mistica, pastorale e operativa6. La maggior cesura dai modelli precedenti fu
consumata nellet moderna. Dapprima vi fu Lutero che accus i teologi scolastici di volere arrivare a
Dio con la forza della ragione, anzich attenersi alla sola croce. Per questo contrappose a quella che
chiamava theologia gloriae la certezza della salvezza nel Signore crocifisso, ossia la sua theologia
crucis. Pi tardi, le filosofie della soggettivit, in base ai loro principi, interpretarono la fede
riducendone i contenuti entro i limiti della pura ragione e della morale naturale (Kant, Religione entro
i limiti della semplice ragione, 1793).
Hegel, a sua volta, (Lezioni sulla filosofia della religione, 1821-1831) interpret il cristianesimo
come religione assoluta in cui il mistero esiste solo per lintelletto ma non per la ragione. Sostenne,
quindi che, nella morte in croce, attraverso lindividualit di quelluomo unico, lo spirito irruppe,
realizzando luniversalit della comunit spirituale. In questa temperie, la scuola cattolica di Tubinga
tent di presentare il cristianesimo come la rivelazione integrale di unidea divina che pervade il
mondo e che nel cristianesimo primitivo si presentata in forma di normativa per ogni tempo, ma
rimase del tutto isolata. La neoscolastica si oppose al romanticismo, idealismo, kantismo, hegelismo,
obiettando che inglobavano panteisticamente, in un processo storico, la trascendenza divina,
4
19
sopprimendone la libert. In tale clima culturale, pure la neoscolastica accentu, nella teologia, la
comprensione concettuale di una dottrina e verit atemporale, priva della sua ineliminabile
componente storica (storia della salvezza)7.
Tenuto conto di ci, dunque, si pu parlare di un modello positivo-scolastico in cui dapprima
aument la preoccupazione della prova razionale e apologetica e diminu la relazione con la Scrittura e
la Tradizione. Ne deriv un successivo impegno verso un pi approfondito rapporto con la Scrittura e
la Tradizione e il riconoscimento della necessit di ripristinare un rapporto pi equilibrato e armonioso
fra la dimensione razionale-concettuale e tutte le altre.
3. Lepoca contemporanea
Nel XX secolo il pluralismo culturale provoc pure un pluralismo di proposte e risposte teologiche.
Si parl molto di teologie: politica, delle realt terrene, della prassi, della liberazione ecc., la cui
esistenza fu effimera pur offrendo qualche contributo. Tale pluralismo deriv in gran parte dal
notevole ampliamento dellesperienza umana, conseguente allespansione delle scienze, delle tecniche
e alla crescente complessificazione della vita sociale. Neppure la teologia, quindi, pu sottrarsi al
dialogo con le attuali culture dellumanit, n ignorare il pluralismo delle diverse concezioni
filosofiche sullesistenza umana, il mondo, la storia. Inoltre deve tenere conto dei problemi sollevati
dai progressi tecnoscientifici. Una delle esigenze attualmente pi sentite quella di affrontare le forme
pi preclusive dellantropocentrismo e dello scientismo contemporanei, al fine di aprire un ampio
dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso8.
Al riguardo la lunga esperienza storica della teologia ha consentito di collaudare lutilit dei
seguenti criteri: 1) La comprensione approfondita della fede esige la teologia, come sistematica
riflessione critica sulla fede e su tutto ci che essa comporta. 2) La teologia non pu fare a meno degli
strumenti elaborati dallesercizio critico dellintelligenza su la realt (scienze, filosofie) e su se stessa
(filosofia, metafisica). 3) La teologia non pu rinunciare al suo discernimento critico sui saperi umani
(scienze, filosofie), tenuto conto del loro pluralismo. 4) La filosofia, pur costituendo un momento
stabile, allinterno del pensiero teologico, rimane uno strumento fragile, ambiguo, parziale,
provvisorio, che non pu costituire la misura della fede o il criterio della sua riduzione. 5) Fra
fede e filosofia esistono sempre tensioni e momenti conflittuali, per cui la teologia non pu far proprio
alcun sistema filosofico, n alcuno di questi pu esserle imposto o anteposto. 6) Criterio preferenziale
per una filosofia pu essere la sua apertura e compatibilit nei confronti dei punti decisivi e
determinanti della fede (trascendenza e libert assoluta di Dio sul mondo, libert e responsabilit
delluomo, radicale apertura umana alleventualit di una Rivelazione ecc.) (Optatam Totius, 15). 7)
Ogni filosofia pu offrire problemi, elementi utili e sfide di cui la teologia deve tener conto nel suo
impegno di mostrare ai contemporanei la credibilit della fede. 8) Per la teologia essenziale e
irrinunciabile non trasporre acriticamente alcun elemento o sistema filosofico o scientifico, nella sua
comprensione della fede cristiana. 9) Il contesto pluridisciplinare e i rapidi mutamenti culturali non
consentono pi alle singole discipline di valorizzare tutti i dati disponibili, per cui soffrono sempre
uninsuperabile incompletezza. 10) Di fronte alla crescente complessificazione concettuale e
socioculturale, teologia, filosofia e scienze devono sempre pi dialogare e adottare modalit di ricerca
e riflessione inter- e trans- disciplinare9. 11) Per evitare la vanificazione culturale conseguente
allenorme frantumazione di esperienze e conoscenze, la teologia deve rivalutare le costanti
permanenti delluomo e della natura, senza sminuire lattenzione al mutabile10.
20
5. Teologia e filosofia
Rimane tuttora vivo il problema del rapporto fra teologia, filosofia e scienza. Come si visto,
limpatto della fede cristiana e del pensiero greco liber la ragione umana dalla mitologie, ma non
elimin lautentica teologia. Questa spost il discorso da Dio come primo principio delluniverso a
11
21
Dio Padre e Creatore di tutti gli uomini . La filosofia che continu a considerare Dio un oggetto fin
col declassarlo da oggetto unico e supremo a uno dei tanti, perdendolo. A suo riguardo, il tema
fondamentale divenne lessere esistente che fonda ogni esistente, identificato con Dio, senza chiedersi
come Dio entrasse in tutto ci. Inoltre, la vecchia tensione fra mito e ragione fu trasferita nel rapporto
fra autorit e ragione, delegittimando sempre pi lautorit a favore dellautonomia della ragione.
Linesauribile ricchezza del logos come analisi, sintesi, teoresi, operativit ecc., venne frantumata e
ridotta a dicotomia fra lintelletto inteso in modo hegeliano e la razionalit come facolt strumentale e
di calcolo. Tenendo conto di queste premesse e delle altre sottolineate in questo capitolo, possiamo
configurare il confronto e rapporto fra filosofia e teologia, pi o meno in questi termini:
1. Filosofia e teologia sono diverse e distinte, la prima rimane indispensabile alla seconda,
costringendola a ripensare sempre continuamente il messaggio e la fede cristiana.
2. Filosofia e teologie sono unite dagli interrogativi fondamentali delluomo, ai quali la teologia
intende offrire le sue risposte.
3. Per la teologia, la rivendicazione dellautonomia della filosofia diviene un valido stimolo a
risolvere le tensioni fra autonomia ed eteronomia.
4. Gnoseologia ed epistemologia convergono nel dimostrare linesistenza di unautonomia assoluta,
poich ogni scienza e filosofia esigono fondamenti e presupposti.
5. Storia e antropologia mostrano che ogni sapere gravato da condizionamenti storici, ambientali
e socioculturali, che vanno sempre verificati, criticati e modificati.
6. Per scienze e filosofia, riguardo a Dio, la massima conoscenza consiste nella consapevolezza di
non conoscerlo.
7.Nonostante i suoi limiti e insuccessi, la filosofia non pu rinunciare a cercare affermazioni dotate
di senso, nuove vie da percorrere ed esaminare le proposte positive di salvezza riguardanti gli
interrogativi fondamentali delluomo.
8. La teologia cristiana, oltre al suo ruolo trascendente esprime pure un modo storico e concreto
dinterpretare lesistenza, che considera il rapporto fra filosofia e teologia nei termini di domanda e
risposta.
9. Filosofia e teologia, senza risolversi luna nellaltra, mostrano notevoli intersezioni
problematiche, interconnessioni sistematiche e analogie metodologiche da analizzare e valutare
accuratamente15.
6. Teologia e scienze
Dobbiamo ora considerare il confronto fra teologia e scienza nei suoi due aspetti: i rapporti fra
teologia e scienza e la scientificit della teologia. Anche qui occorre rifarsi agli inizi, in prospettiva
storica. Il sapere scientifico nacque dallintento della filosofia di capire se stessa, delimitando tutto ci
che aveva aspetto mitologico. Dapprima essa si concep come episteme (scienza), poi se ne distacc
considerandola una conoscenza subordinata. La subordinazione, che includeva differenza e distanza,
divenne un concetto essenziale, che mise in moto un processo di separazione ed emancipazione della
scienza. Ci la port a una radicale diversit da quella filosofia che, alle origini, si era identificata con
essa, pur conservandone gli stessi fini: la conoscenza certa e incontrovertibile. Lepoca moderna segn
il suo passaggio da sapere dotto e deduttivo (dottrina) a sapere come processo di ricerca, caratterizzato
dai postulati di neutralit, assenza di pregiudizi, libert dai valori, apertura critica, confronto
intersoggettivo, onest intellettuale ecc.
Fino alla met del XX secolo la scienza si consider, in senso teoretico e formale, un sistema di
proposizioni ipotetiche induttive e teoriche deduttive capaci di confrontarsi direttamente con la realt,
mediante esprimenti oggettivi che dovevano fondere verifica empirica e giustificazione logica. Dalla
fine del XIX secolo a tuttoggi essa apparsa sempre pi un sapere relativo ed ipotetico. Non pi
considerata la descrizione rigorosa, esatta e oggettiva della natura, indipendentemente da Dio e
dalluomo. Essa descrive solo la natura subordinata allapproccio specifico della scienza e al suo modo
di porre i problemi. Anzich offrire immagini definitive della natura offre solo immagini parziali e
provvisorie dei rapporti fra essa e gli operatori scientifici. Non d mai certezze definitive, ma
15
22
congetture parziali, provvisorie, modificabili e in un certo senso precarie. Se la teologia assumesse per
se stessa questo modello di scientificit e i suoi caratteri si svuoterebbe della propria autenticit,
privandosi della propria identit e significato e alterando la propria funzione. La scientificit della
teologia, se vogliamo proprio usare questo termine, che per essa risulta ormai sempre pi inadeguato,
deve partire dalle esigenze intrinseche e irrinunciabili del suo oggetto e del suo metodo. In breve, la
teologia non pu rinunciare a una scientificit propria, strutturata sulle sue esigenze intrinseche. La sua
scientificit deve scaturire dal suo interno, determinando i modi in cui pu essere realizzata nei diversi
ambiti e tempi. Tutto questo in piena sintonia con la convinzione attuale che non possono esistere
criteri comuni per stabilire la scientificit di tutte le discipline16. Quelli proposti da H. Scholz nel
1930: 1) assenza di contraddizioni nei loro assiomi fondamentali; 2) deduzioni corrette dagli assiomi;
3) precisione e intelligibilit intersoggettiva, sono troppo generici per ogni disciplina, compresa la
teologia17. La teologia cristiana, come rendiconto metodico del fondamento e contenuto della fede
(teologia fondamentale) ha raggiunto sviluppi non riscontrabili in nessunaltra religione. La
consapevolezza delle problematiche inerenti al suo carattere scientifico, quindi, deve porsi in un
contesto pi generale e globale. Per questi motivi, ogni confronto con le altre discipline esige una
previa critica inter- e trans-disciplinare su vari livelli: 1) discussioni dei presupposti (fondamenti,
possibilit, limiti, aporie, interrogativi, finalit, compiti ecc.); 2) riflessioni etico-critiche sul servizio
della scienza allumanit; 3) scambi dinformazioni (oggettive, metodologiche, di confine, ecc.).
16
17
23
1. Elementi introduttivi
Nella seconda met del secolo XX, soprattutto nel clima del grande rinnovamento postconciliare, il
tema dei rapporti fra teologia e Magistero fu particolarmente vivo e approfondito. Su di esso furono
elaborati due documenti di particolare importanza e autorevolezza. Il primo, della Commissione
Teologica Internazionale, fu approvato in forma specifica e pubblicato nel 1975, col titolo Magistero
e Teologia. Il secondo, della Congregazione per la Dottrina della Fede apparve nel 1990 col titolo
Donum Veritatis. Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo. Presenteremo i punti salienti di
entrambi, richiamando brevemente alcuni elementi antecedenti, per una loro migliore comprensione.
Nel periodo e nel dibattito conciliare diversi teologi rilevarono lesigenza di un maggior impegno
teologico del magistero nelle sue dichiarazioni e insegnamenti. K. Rahner, considerato allora uno dei
maggiori teologi, molto franco e critico, espresse questa sensibilit nel seguenti termini: Il Magistero
potrebbe ridiventare tranquillamente un po pi teologico, assumersi parzialmente e a modo proprio
compiti dei teologi, che forse ha lasciato troppo a questi e ai predicatori della fede da essi dipendenti1.
In altri termini, i teologi chiedevano al Magistero che nei suoi documenti, oltre alle autorevoli
asserzioni magisteriali, inserisse anche, per quanto possibile, convincenti argomentazioni teologiche.
Alcuni auspicavano dalla Curia Romana anche sollecitazioni positive e costruttive, oltre a quelle di
condanna. Tutto ci al fine di consentire un ulteriore avanzamento nella collaborazione fra pastori e
teologi, che aveva dato ottimi risultai durante il Concilio. Ci conferma che il corretto rapporto col
Magistero e i suoi documenti uno degli elementi strutturali e imprescindibili della ricerca e
riflessione teologica. Si avvertiva, dunque, lurgenza di associare ricerca e riflessione scientifica e
responsabilit pastorale, in unepoca in cui i problemi e le questioni sono diventati sempre pi
complessi e la vita sempre pi condizionata dalla mentalit tecnoscientifica e da un crescente
pluralismo culturale e filosofico. importante notare che, gi nel Sinodo episcopale del 1967, furono
formulate numerose richieste di formare una Commissione Teologica Internazionale che rispondesse a
questi fini.
K. Rahner, Magistero e teologia, in Dio e Rivelazione. Nuovi saggi, VII, Roma 1981, 111.
J. Ratzinger, Praefatio, in Commissio Theologica Internationalis, Documenta, Citt del Vaticano 1988, 7-
11.
24
Paolo VI, Allocuzione al Congresso Internazionale di Teologia del Concilio Vaticano II (1 ottobre 1966), in
AAS 58 (1966), 891.
4
Lumen Gentium 12.
5
Paolo VI, l. c., 892.
6
Gaudium et Spes 62.
7
Lumen Gentium 27.
25
La tesi n. 8 si occupa della libert del Magistero e dei teologi. Il Magistero, per sua natura e
istituzione, libero nellesercizio dei propri compiti ecclesiali. La libert dei teologi, invece,
condizionata dalla loro responsabilit scientifica ed ecclesiale. Essa rimane, comunque, assai ampia,
per cui non deve divenire arbitraria o troppo estesa. Si deve dunque ricordare sempre che
nellesercizio di tutte le libert si deve osservare il principio morale della responsabilit personale e
sociale8. La libert responsabile dei teologi include pure il rispetto verso il Magistero e lo studio dei
suoi documenti ecclesiali presenti e passati. Comporta pure una funzione critica positiva e non
distruttiva. La tesi n. 9 riguarda le tensioni riscontrabili nellesercizio dei rispettivi compiti. Esse sono
considerate inevitabili e viste come forze vitali, stimolanti e utili a far svolgere le reciproche funzioni
in modo dialogico e comunitario.
La terza parte studia i modi in cui si possono regolare i rapporti fra teologi e Magistero. La tesi n.
10 sottolinea limportanza e necessit di un dialogo concreto, che consenta al Magistero una maggior
comprensione teologica della fede e dei costumi e alla teologia la convalida che le conferisce certezza.
La tesi n. 11 ricorda che a questo dialogo si apre il vastissimo campo della verit, che va investigata,
non come qualcosa dincerto o sconosciuto, ma come realt veramente rivelata e affidata alla Chiesa. I
confini del dialogo, quindi, sono gli stessi della verit della fede. Se si continua a conservare la
comunione nella fede, il dialogo per s non ha limiti, anche se non pu durare allinfinito. Vi sono,
invece, le violazioni del dialogo da evitare. Il documento indica, in particolare: loccupazione
unilaterale del terreno del dialogo; il ricorso a pressioni interne o esterne o coercizioni, dalluna o
laltra parte. La tesi n. 12 riguarda gli eventuali processi dottrinali. Per avviarli devono essere state
esaurite tutte le possibilit di raggiungere un consenso. Per scambiarsi le reciproche posizioni, le parti
possono avvalersi di colloqui personali, corrispondenza, scambio di scritti ecc., riguardanti le opinioni
in discussione. Anche nel caso di dolorose decisioni inevitabili, la correttezza morale del
procedimento dialogico e fraterno va rispettata.
Dignitatis Humanae 7.
Lumen Gentium 12.
26
Giovanni Paolo II, Discorso ai teologi ad Alttting, 18.11.1980: AAS 73 (1981), 104; Id., Discorso ai
membri della Commissione Teologica Internazionale, 26.10.1979: AAS 71 (1979), 1428-1433; Paolo VI
Discorso ai membri della Commissione Teologica Internazionale, 11.10.1972: AAS 64 (1972), 682.
27
il libero giudizio individuale pi importante della verit (n. 32); lipercritica, il pluralismo come
relativismo; la non salvaguardia del significato obiettivo e dellunit della fede (n. 34);
lidentificazione sociologica delle opinioni dei singoli con il senso soprannaturale della fede (n. 35);
la confusione della libert dellatto personale di fede con la libert nei confronti della verit (n. 36); la
legittimazione del proprio dissenso col dovere di seguire la propria coscienza.
Essi dimenticano che loggetto in questione la verit di un assunto e non le decisioni morali
personali. Per determinare la verit degli enunciati dottrinali per la comunit, quindi, la facolt
appropriata non pu essere la coscienza individuale, che non n indipendente, n infallibile, ma vale
solo per giudicare la liceit dei propri atti (n. 38). Il documento conclude elencando alcuni argomenti
per legittimare il dissenso, che denotano una grave carenza di senso della verit e senso della Chiesa:
enfatizzare il valore delle opinioni maggioritarie; esercitare pressioni di opinione pubblica sul
Magistero; organizzare il dissenso fra i teologi; ritenere uniche portatrici di verit la base o le
comunit autonome; autoproclamarsi porta-parola profetici di esse (n. 39). La conclusione un
invito a cercare le soluzioni dei casi difficili nel dialogo fiducioso, nello spirito di accoglienza della
Parola e nella comunione di verit e carit, propri della comunione ecclesiale (nn. 40-42).
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perdere la vita per il Vangelo; donarla o immolarla, per amore dei fratelli e dei nemici; praticare
lumilt, il servizio, la logica dellultimo posto; rinunciare anche a beni legittimi per lamore altrui ecc.
Per la ragione umana tutto ci follia e stoltezza. Alla fede si oppone anche una stabile o duratura
condizione di vita nel peccato. Ostacolo ancora maggiore lorgoglio, che pone lio al centro di tutto:
orgoglio spirituale (intellettuale, filosofico, scientifico, ideologico ecc.); orgoglio materiale (beni,
denaro, possesso, potere, prestigio ecc.). Anche la sensualit, come ricerca del piacere in tutte le sue
forme e fine a stesso, costituisce un ostacolo grave e talora insormontabile. Per superare tutte queste
difficolt il Signore offre il suo aiuto esterno, ossia lappello incessante della Chiesa alla conversione
(cambiamento di mentalit, atteggiamenti, comportamenti e vita) e laiuto interno che la potenza
della sua grazia operante nelle profondit pi autentiche delluomo. Essa purifica da ogni
attaccamento al peccato, illumina il valore e il significato vitale delle verit proposte, attrae a Cristo e
al Padre. In tutti questi modi ladulto sostenuto a comprendere che la fede apertura fiduciosa e
libera allamore che Dio ci offre, accoglienza della sua relazione personale e della profonda
comunione di vita con lui, assenso intelligente e ragionevole alle grandi verit salvifiche che Egli ci
rivela, obbedienza e fedelt agli inviti, desideri e comandi che ci rivolge, riconoscimento dei propri
peccati dai quali ci libera, umile invocazione che ci ottiene il suo aiuto e salvezza.
2. Il donodella fede
Quanto finora considerato spinge a chiarire unespressione giusta, ma sovente male interpretata: la
fede come dono. A tal fine occorre richiamare alcuni aspetti gi trattati: 1) la fede dono
assolutamente libero e gratuito di Dio; 2) tale dono Dio lo d a tutti, perch non esclude nessuno dalla
sua volont universale di salvezza; 3) il dono della fede si esprime in un cammino lungo e
complesso nel quale sintrecciano natura e soprannatura, che correttamente compreso sia nei suoi
singoli passi che nel suo svolgimento totale; 4) ogni passo muove da Dio che, essendo sempre il primo
ad assumere liniziativa salvifica, si fa incontro alluomo, fin dallinizio del suo itinerario di fede e in
ogni passo in cui lo sostiene e guida fino al compimento definitivo. Esso consiste sia nella convinzione
esplicita di fede che nella ricezione del battesimo; 5) Dio, nel donare, rispetta sempre la libert della
persone umane, di cui accoglie le risposte convinte, libere e responsabili, senza le quali il dono
rimarrebbe inoperante; 6) in ogni risposta positiva Dio sostiene, con la sua grazia, le libere decisioni
positive delluomo, fino alla pienezza e perfezione della fede.
Nella sua vita, ogni persona chiamata a rispondere, migliaia di volte. Ogni risposta positiva fa
avanzare e perfezionare. Ogni risposta negativa fa fermare e/o arretrare. Tale cammino non mai
puramente intellettuale, ma coinvolge lintera persona e la sua vita, come profonda esperienza vitale in
cui la grazia del Padre attrae amorosamente al Figlio; la grazia di Cristo, elevato in Croce e risorto,
attira al Padre; lo Spirito Santo, asseconda interiormente la duplice attrazione, affinch tutti
riconoscano in Ges il Cristo, il Figlio di Dio incarnato, morto e risorto, Salvatore e Redentore di tutta
lumanit. Il dono esattamente questo dialogo dinamico di fede e di amore che percorre tutta la
nostra vita, valorizzandone ogni momento e circostanza. La circostanza specifica del nostro tempo la
grande complessificazione socioculturale e il suo divario dai valori e dalla vita di fede. Assorbiti o
sconcertati da questi immensi e inesauribili problemi, molti battezzati e credenti rimangono a livelli
del tutto rudimentali e infantili della loro esperienza e conoscenza di fede. Di fatto non conoscono il
messaggio cristiano nella sua integrit, profondit e ampiezza. Rimangono, quindi, prigionieri di
vecchie idee e di pregiudizi infondati e superficiali, come quelli espressi dallilluminismo e
razionalismo del 18 secolo, dal materialismo, idealismo, positivismo, scientismo del 19 secolo, dal
pensiero debole del 20 secolo. Ad essi si aggiungono i luoghi comuni anticlericali o contrari alle
religioni. Tali pregiudizi antireligiosi e anticristiani, ripetuti acriticamente, assieme ad altri giudizi
generici, sommari ed errati rendono molto ardua una riflessione serena sulla fede cristiana..
Vanno poi considerati attentamente anche i condizionamenti: familiari (genitori e parenti avversi o
indifferenti alla religione); scolastici (insegnanti agnostici, scettici, atei, positivisti, materialisti ecc.);
sociali (ambienti di lavoro o si residenza) ecc. Gli ostacoli provocati da questi pregiudizi e
condizionamenti rendono estremamente arduo, coraggioso e impegnativo ogni cammino di fede.
Occorrono personalit forti, serene, equilibrate e libere, che lattuale socio-cultura non in grado di
formare. Tali personalit esigono coraggio, senso critico, anticonformismo, originalit, capacit di
riflessione autonoma ecc., non facilmente alla portata di tutti. Anche le persone umanamente pi
dotate incontrano molti ostacoli e prove nel loro cammino verso una fede adulta, solida e matura.
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Vecchi dubbi e nuove difficolt possono sempre ripresentarsi. Unaltra difficolt nasce dal desiderio
inattuabile di vedere risultati, trovare riscontri visibili, sentire la propria fede. Sommando tutte
queste difficolt pu diventare facile per un credente pensare di non avere pi fede o di non averne
mai ricevuto il dono. Si tratta, tuttavia di impressioni e idee fallaci. Un autentico cammino di fede,
come conferma anche lesperienza dei Santi, i suoi maggiori campioni, comporta prove e difficolt
interne ed esterne di ogni genere, dubbi e incertezze, entusiasmo e aridit. Essi sono non solo
necessari, ma benefici. Del resto situazioni analoghe ricorrono in ogni ambito della vita e del sapere.
Difficolt, oscurit e misteri si incontrano in ogni area della conoscenza. A maggior ragione, Dio, la
sua azione, le sue relazioni con luniverso e con noi, comportano misteri ben maggiori, altrimenti non
sarebbe Dio. I misteri della fede, quindi, sono tali, non in quanto realt astruse o affermazioni
irrazionali, ma in quanto verit tanto profonde e vaste da superare i limiti della nostra ragione e
comprensione. Mediante la grazia, tuttavia, essi illuminano la nostra intelligenza, vita e ragione. Se
ogni persona umana un mistero per ogni altra, quanto pi possono e devono esserlo le Persone
divine, infinite e assolute per definizione.
Per molte verit rivelate ci difficile comprendere come si rapportino lun laltra. Sappiamo che
Dio infinito amore, bont, verit, misericordia, perdono e giustizia ma non sappiamo come questi
suoi attributi si rapportino fra loro. Il credente, nel suo sempre rinnovato sforzo di comprensione,
allarga gli orizzonti della propria vita, intelligenza e ragione. Come avviene anche per altri aspetti
della vita, il grande dono della fede, non coltivato adeguatamente o trascurato, si attenua fino ad
estinguersi, potendo giungere allincredulit. luomo, quindi, che si autoesclude o si estranea dalla
fede, nonostante ogni aiuto e sforzo contrario di Dio. Solo Dio pu giudicare quanto tale abbandono
sia colpevole, perch colpa e peccato presuppongono la consapevolezza del dovere di coltivare tale
dono. Chi trascura di cercare, istruirsi, riflettere, non pu sentirsi tranquillo, poich misconosce che
ogni dono divino esige sempre unadeguata corrispondenza e responsabilit in chi lo riceve. Di fronte
a prove, difficolt e timori di aver perso o non ricevuto la fede, dobbiamo sempre chiederci, con onest
e sincerit, se abbiamo fatto davvero tutto il possibile per corrispondere e collaborare a tale dono.
approfondita dei misteri delle Persone divine, della vita e dottrina di Cristo, del piano universale di
salvezza consente di vivere e leggere ogni realt alla luce del Vangelo, del regno e dei suoi valori. In
questo modo possibile vivere in modo sapienziale, vasto e profondo, le ricchezze della verit
rivelata. Questaccresciuta comprensione contribuisce a far crescere nella carit efficace ed operosa,
ad aumentare la fiducia e intimit con le Persone divine, a testimoniare davanti al mondo, a servire con
maggiore dedizione la Chiesa e i fratelli. Infine la comprensione profonda delle verit rivelate rende
pi forti nel credere e nellaffrontare i sacrifici e le sofferenze che la fede e la vita comportano.
Vi una differenza sostanziale, infatti, fra una fede tiepida e abitudinaria e una fede sempre pi
convinta, testimoniata nella speranza ed espressa nella carit, in ogni situazione della propria vita. Per
contro, la fede sociologica, anagrafica, abitudinaria, residuale la forma pi gracile, insicura e
insoddisfacente, propria di personalit cristiane immature, infantili o adolescenziali. Essa, ricevuta in
modo puramente passivo, non orienta n unifica la vita dei battezzati, riducendosi a una pratica
religiosa, osservanza di comandamenti e precetti e accettazione fideistica di ci che la Chiesa propone.
La prudenza e saggezza pastorale esortano a non disprezzarla, n spegnerla, ma ravvivarla, perch la
persona che la vive cos poveramente, aiutata dalla grazia divina, possa giungere a una fede personale
convinta. Questo passaggio alla fede adulta e matura, ispiratrice e unificatrice della vita, detto
conversione continua, poich esige scelte e decisioni per Cristo sempre pi personali, convinte,
motivate, libere e responsabili. Esse rendono il credente pi capace di resistere alle crescenti difficolt,
dubbi, avversit, anzich rivoltarsi contro Dio o abbandonare la Chiesa. Tale fede matura consente di:
dare senso alle situazioni pi negative o umanamente peggiori; aprirsi al dialogo e confronto; superare
critiche e contestazioni; testimoniare i grandi valori evangelici.
Per giungere a tale livello occorrono sia lo studio sapienziale delle verit divine, che la lotta
quotidiana alle prove e tentazioni di ogni tipo, che il Signore provvidamente permette per purificare e
fortificare la nostra fede. In queste notti od oscurit della nostra vita, il credente cammina,
illuminato dalla Parola di Dio, come lampada che brilla in luogo oscuro, finch non spunti il giorno e
la stella del mattino si levi nel cuore (2Pt 1,19). Cos sorretto, affronta le prove e tentazioni a causa
della fede: martirio, persecuzione, opposizioni, discriminazioni, umiliazioni ed emarginazioni. Oggi
lopposizione atea e irreligiosa, dopo molti fallimenti e crolli, ha perso la violenza del passato,
divenendo pi subdola o sottile. Oltre ad essa, rimangono sempre vive le prove in forma di: dubbi e
incertezze sulle verit fondamentali della fede; aridit spirituali; senso di assenza, silenzio o
lontananza di Dio (notti della fede). Si tratta di prove con le quali il Signore purifica e rafforza la fede
dei credenti e della Chiesa. Non bene comprese o affrontate potrebbero essere occasione, ma non
causa, di diminuzione della fede. Non sono, infatti, le prove a causare le morte della fede, ma la scarsa
attenzione e impegno nel rafforzarla e nel curarla. La perdita, di solito, non mai immediata o
repentina, ma lenta e progressiva. Chi non consapevole di negare una verit divina insegnata nella
Chiesa non commette apostasia o eresia, ma scade nella non credenza, tipica di chi trascura la propria
fede.
Unaltra forma di fede inferma consiste nel credere solo quelle verit che pi piacciono o fanno
comodo. Ci facilitato dagli attuali stili di vita: trascuratezza delle realt religiose e spirituali;
interesse esclusivo o accentuato per le realt materiali (denaro, prestigio, piaceri e comodit); illusione
che scienza e tecnologia possano risolvere i problemi umani; preoccupazioni per il lavoro e il
sostentamento (negli strati sociali pi deboli). Certamente apostasie, eresie formali, ostinazioni
colpevoli nellincredulit e perdite volontarie della fede esistono anche oggi. Sono colpe gravi che
pregiudicano la salvezza eterna. Sappiamo, tuttavia, che Dio non abbandona mai luomo ai suoi
peccati o allaccecamento spirituale e morale, ma opera per convertirlo e salvarlo. Non dobbiamo
disperare di quanti perdono per propria colpa la fede.
o non conforme alle esigenze etiche. In senso fisico dolore qualunque sensazione soggettiva
provocata da un male fisico. In senso psichico sofferenza una sensazione negativa provocata da un
male fisico o morale. In senso teologico il male la privazione (S. Agostino) o mancanza (S.
Anselmo) del bene dovuto. Laccento posto sulla privazione ossia sulla mancanza di qualcosa buona
che dovrebbe invece necessariamente esserci1. Per un sasso non avere la vita non un male, male
invece per un vivente. Il male pu essere naturale, ossia non addebitabile alluomo, o morale, ossia
addebitabile alluomo.
Dolore e sofferenza non sono sempre e solo male, poich sono anche segnali dallarme volti a
preservare la vita, lintegrit e la salute, evitando la distruzione e la morte del vivente. A sua volta, la
sofferenza psichica e spirituale degli esseri intelligenti nasce dalla memoria del passato e/o
dallintelligenza che prevede e anticipa il futuro. Queste due facolt sono preziose e indispensabili al
vivente libero e intelligente, consentendogli di ricordare e quindi apprendere, prevenire, agire evitando
mali, rischi e pericoli (intemperie, disastri, malattie, catastrofi ecc.). Tenuto conto di queste distinzioni
e precisazioni, oggetto di scandalo e riprovazione rimane solo il male morale, ossia scelte, decisioni e
azioni malvagie, liberamente compiute dalluomo (peccato). Giustamente, la Rivelazione e la fede
attribuiscono solo al peccato la causa e lorigine del male nel mondo. Cattivi comportamenti (peccati):
orgoglio, odio, egoismo, violenza, falsit, ingiustizia costituiscono i mali morali che provocano
conseguenze negative. Morte, dolori e sofferenze sono dovute, quindi, al peccato o abuso della libert,
col quale luomo si oppone, coscientemente e liberamente, allordine naturale e morale stabilito da
Dio.
Per mezzo di tali abusi la malvagit umana ha inondato la storia di una serie ininterrotta di crudelt
ed efferatezze, consumate su tutti e in particolare sui giusti e innocenti, come i bambini, la cui
sofferenza costituisce un ostacolo per la fede di molti. Essi si chiedono angosciati:come credere che
Dio buono e onnipotente, se non impedisce simili mali? Si cura o no delluomo? Sono domande
cariche di un grande pathos emotivo, ma razionalmente e concettualmente scorrette e ingiustificate.
Esse non tengono conto del fatto essenziale che tali sofferenze degli innocenti derivano da abusi della
libert da parte di uomini liberi e responsabili. Sono abusi della libert: violare i fondamentali diritti
umani; opprimere i deboli e gli innocenti; provocare disuguaglianze economiche e sociali, miseria e
fame; uccidere; scatenare guerre; attuare comportamenti che provocano inquinamenti, malattie,
inquinamenti e degradazioni ambientali. In questo elenco di peccati vanno posti tutti i campi di
sterminio prodotti da ogni ideologia e regime. Tutto ci opera delluomo, che calpesta e trasgredisce
le leggi di Dio, si oppone a Lui, peccando gravemente. somma irrazionalit assurdit e disonest
imputarli a Dio anzich ai loro diretti responsabili. Se Dio impedisse ogni scelta, decisione e azione
cattiva delluomo, gli toglierebbe la sua libert. Se Dio impedisse solo le conseguenze cattive di tali
scelte, decisioni e azioni, si arriverebbe allassurdo delluomo che pu continuare a compiere
impunemente tutte le azioni pi infami, scellerate e folli, poich intanto Dio ne impedisce le
conseguenze e gli effetti. Ovviamente nessuno pu auspicare tali non-soluzioni. Rimane, comunque,
anche la sofferenza degli innocenti per ragioni puramente naturali (malattie, malformazioni, ecc.).
Anche in molti di questi casi non assente la colpa o lerrore di adulti (conseguenze ereditarie di
comportamenti negatici come alcoolismo, droga, abusi sessuali ecc.).
Le impostazioni dellAntico Testamento, anche se ancora imperfette per i loro numerosi punti
controversi e oscuri, sono decisamente pi significative e sensate. Esse sottolineano chiaramente che:
1) Dio non vuole n pu volere il male permette la sofferenza come mezzo per correggere, purificare
migliorare gli uomini, come ogni buon padre verso i figli (Dt 8,6; Eb 12,7-8); 2) Dio mette alla prova i
suoi figli e amici, per confermarli nella fedelt e nellamore (saggiare il cuore Gdt 8,27); 3) molte
sofferenze sono conseguenza diretta o indiretta del peccato, che si castiga da s (Os 1,2). Questi tre
aspetti vennero poi superati da una visione pi ampia e profonda, anche se difficile da comprendere.
Tale risposta sconvolgente e decisiva preannunciata nelle profezie sul servo sofferente di Jahw (Is
53), che prefigurano Ges Cristo. Egli solo, infatti, ha dato alla sofferenza del giusto innocente,
ingiustamente perseguitato, il significato supremo di redenzione e salvezza dei peccatori. La
sofferenza dei buoni, innocenti, salva malvagi, colpevoli e peccatori. Dio cre luomo per il bene,
lamore e la beatitudine. Dopo che luomo perse tutto ci con il peccato, lo soccorse in molti modi.,
dei quali il pi efficace e decisivo il dono del proprio Figlio, che ha assunto su di s il peccato del
1
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mondo e i peccati di tutti gli uomini, per liberarli e renderli di nuovo capaci del suo amore e della sua
vita divina. Ges di Nazaret, il Cristo, il Figlio del Dio vivente, lunico e vero totalmente giusto e
innocente, ha sofferto ed morto per salvare tutti, compresi i suoi nemici e uccisori, dai loro peccati.
Dio non ha abolito la morte e il dolore, ma in lui li ha redenti e resi strumento di redenzione,
santificazione e salvezza. Ogni uomo che li soffre in unione allopera redentrice del Figlio di Dio, le
rende mezzi di vittoria. In questo modo, ogni sofferenza, dalla pi piccola alla pi grande, diviene
feconda di fecondit divina, indistruttibile, coefficiente di gloria e beatitudine eterna per chi la
accoglie e vive in, con e per Cristo. Questa la risposta divina al grande mistero del male e del dolore
di ogni innocente.
gratuitamente e generosamente si sacrifica e dona fino allultima goccia di sangue (Gv 19,34), per
risorgere e far partecipare ogni uomo alla dignit, gloria, vita eterna e beatitudine dei figli di Dio.
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ci addebitabile anche ai limiti e mancanze dei credenti. In tutte queste situazioni, riscontrabili in
tutta la storia della Chiesa, latteggiamento giusto esclude il lamento sterile e lo scoraggiamento,
esprimendosi nella pazienza sobria e magnanima, attenta a discernere le forze che possono operare per
il bene delluomo. La Chiesa, sempre chiamata a oltrepassare il presente, per preparare se stessa e
lumanit alle novit che Dio le prepara, deve affidarsi ai criteri evangelici pi efficaci e illuminanti,
delle parabole del seme di senapa (Mt 13,31-32), del sale (Mt 5,13), del lievito (Mt 13,33), della luce
del mondo (Mt 5,14-16) e del piccolo gregge (Lc 12,32; Mt 11,25). Esse mostrano la forza irresistibile
del seme, che germoglia e diventa un albero, la capacit del poco sale e lievito di preservare tutta la
pasta da insipienza, corruzione e farla crescere, la forza della luce per illuminare e orientare. Queste
metafore indicano che i valori evangelici sono essenziali e insostituibili per lumanit, operando
misteriosamente per il bene di tutti: persone, gruppi, societ, culture e intera umanit.
La fede rende pazienti verso luomo e le sue debolezze. Fa chinare su di esse con amore e spirito di
servizio libero da fini di potere. La fede porta i maggiori valori per lumanit: dignit, libert,
responsabilit, speranza, per ogni persona, famiglia e comunit. Invita ognuno a farsi piccolo seme,
piccolo gregge, sale, lievito, luce del mondo. Apre alla fiducia totale nella potenza damore del Padre
al quale tutto possibile (Mt 19,26). Conferisce umilt, serenit, mitezza, misericordia, perdono,
riconciliazione, riconoscimento dei propri limiti e delle proprie colpe. S. Francesco dAssisi ha
definito tutto ci minorit, che consente una testimonianza pi viva, coglie meglio il senso delle
differenze, apre maggiormente al dialogo, instaura rapporti pi autentici di amicizia e collaborazione.
Infine, la fede conferisce la capacit di pensare in grande, creare pazientemente convinzioni e
consensi, lavorare a un tessuto comune di valori umani per tutta lumanit, dare un senso pi reale e
autentico ai sogni di una citt di tutti4.
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SIGLE E ABBREVIAZIONI
DCBNT Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, Bologna 1989
DCF
DDP
DDT
DF
DI
DS
DT
DTAT
DTI
EC
ET
GLAT
GDR
GLNT
IBNC
MS
NDT
NDTB
SM