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Il 21 Aprile del 1956 a Milano nasceva Il Giorno.

Liniziativa era stata di Enrico Mattei, presidente dellENI che per comprensibili motivi volle restare in incognito. La direzione giornalistica venne affidata a Gaetano Baldacci, la veste grafica a Giusepe Trevisani. Fu una novit assoluta perch fino a quel momento i tipografi avevano impaginato loro pi meno empiricamente i giornali, senza unimpostazione stilisticamente definita. Baldacci era stato un inviato del Corriere della sera diretto (1952-1961) da Mario Missiroli, un inviato scomodo (Ottone) per il suo anticonformismo politico. Anche per questo le sue ambizioni si sposavano a meraviglia con tale progetto. Qual era questo progetto? Si articolava in due parti essenziali. Una giornalistica e una politica. La parte politica presto detta: moderata apertura ai socialisti, e conseguente appoggio alla prospettiva dell incombente centro-sinistra. La parte giornalistica strettamente connessa alla prima. Si trattava di proporre un quotidiano di tipo nuovo, per una linea politica nuova. La formula giornalistica nuova, per lItalia, era stata individuata nellibridazione di un contenuto pi popolare con quello usualmente serio di giornali come il Corriere della Sera o La Stampa. Per capire dove tale contenuto pi maneggevole e di ampia diffusione dovesse incunearsi, si deve brevemente delineare quello dei quotidiani seri. Essi constavano essenzialmente di due sezioni: una politica, la cui cronaca era arida e noiosa e i cui commenti erano invece prolissi, dotti e quasi iniziatici. Laltra, letteraria in senso proprio. Vi trovavano spazio i racconti dei principali scrittori italiani, pubblicati in forma di elzeviro prima di essere raccolti in volume. Anche questa sezione era sostanzialmente iniziatica, poteva essere letta da chi aveva gli strumenti per capire e apprezzare un saggio di Emilio Cecchi, un racconto di Moravia, un reportage o una meditazione di Guido Piovene. In questo quadro lo spazio libero poteva essere individuato essenzialmente nella divulgazione. Un giornalismo davvero moderno doveva anzitutto impadronirsi dei

gangli nodali attraverso cui la cultura alta e quella popolare avevano da tempo consolidato i loro rapporti. Il pi importante di questi gangli era certamente il cinema, e Baldacci si assicur per seguirlo Pietro Bianchi, che era sicuramente il migliore critico cinematografico allora in attivit. Bianchi era nato a Parma nel 1909, allievo e amico di Attilio Bertolucci, era un francesista agguerrito, oltre che un principe del giornalismo militante. Le critiche cinematografiche di Bianchi erano delle lezioni, garbate, misurate divertenti e accessibili in cui ritesseva continuamente il rapporto tra cinema, letteratura ed esperienza quotidiana. Erano colte ma non necessariamente destinate agli iniziati. Fanno ancora testo, tanto vero che vengono offerte da numerosi siti specializzati. Quando la televisione si afferm in modo definitivo, negli anni Sessanta a Bianchi si affianc Morando Morandini, per la critica televisiva. Alla morte di Bianchi nel 1976 egli prese il suo posto e lo tenne fino al 1998. Altro settore fondamentale della cultura popolare era lo sport. Baldacci decise di ingaggiare per i servizi sportivi Gianni Brera, che dopo aver lasciato la direzione della Gazzetta dello Sport, cui era approdato giovanissimo, era andato egli Stati uniti come free lance, e ne era tornato da poco. Brera invent la critica sportiva italiana, ne costru il linguaggio e i concetti. Anche qui si pu parlare di mediazione fra cultura alta e cultura popolare. Nel senso che Brera dissemin le sue critiche di storia e letteratura, ma anche in quello, meno evidente, che la vita sportiva poteva e doveva essere compresa e valutata secondo criteri limpidamente razionali. Questo carattere di mediazione si accentu ancor di pi con larrivo di Giorgio Bocca nel 1960, data la sua capacit di rendere accettabile la politica anche ai non addetti ai lavori. La letteratura infine trov sul nuovo giornale molto spazio, soprattutto le sue voci non conformiste, da Gian Carlo Fusco a Pier Paolo Pasolini, a Giorgio Manganelli.

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