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A tavola con i sovrani La Reggia di Venaria racconta i pranzi del potere in Italia

Fino al 28 gennaio in mostra piatti, bicchieri, mise en place delle corti italiane: un percorso di
quattro secoli con 200 oggetti selezionati anche grazie a dipinti e arredi

Alla presenza, in prima fila, dell'assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone, e
in assenza invece della sua collega alla Cultura Vittoria Poggio, è stata inaugurata alla
Reggia di Venaria la mostra Sovrani a tavola. Pranzi imbanditi nelle corti italiane (fino al 28
gennaio, a cura di Andrea Merlotti, Silvia Ghisotti e Clara Goria).

Allestita nelle Sale delle Arti, propone un articolato e talvolta complicato percorso attraverso la
curiosa storia dei pranzi di papi, principi e re. Il pranzo reale e di corte è un momento
presente nell'immaginario di tutti noi, che è però stato raramente rappresentato dalla grande
pittura. Grazie a una complessa ricerca che ha individuato e radunato circa 200 tra dipinti,
arredi da tavola, servizi in porcellana e in argento provenienti dalle principali corti italiane, si è
riusciti a ricostruire la storia e l'iconografia dei pranzi di sovrani e regnanti.

«Per il titolo abbiamo scelto la parola "sovrani" invece di "re" perché tra i regnanti delle corti
italiane pochi erano davvero re, mentre c'erano principalmente principi, granduchi e duchi. E,
soprattutto, c'era il Papa»: cosi Merlotti ha spiegato il titolo Sovrani a tavola, che potrebbe in
effetti titillare non pochi sovranisti in tutt'Europa.

L'arco temporale dei materiali esposti è ampio, e va dal '500 ai primi anni del '900. Nelle 14
sale che accolgono la mostra, corrispondenti ad altrettante sezioni cronologiche (ma con
focus curiosi come Bevande esotiche e Caricature), ci si muove fisicamente dalle cucine per
passare attraverso i saloni di rappresentanza e arrivare infine alla «sala da pranzo»,
invenzione tutta ottocentesca.

Il bell'allestimento di Lorenzo Greppi prende il via proprio con le cucine, illustrate attraverso
una serie di dipinti che rappresentano cuochi e anche una cuoca, soggetto rarissimo perché
di norma la donna era relegata a ruoli marginali. Un caso quasi unico di cuoca, ritratta alle
prese con la preparazione della selvaggina, è nel dipinto di Bernardo Strozzi (detto Il
Cappuccino) dal titolo La cuoca (1625 circa e proveniente dai Musei di Strada Nuova -
Palazzo Rosso di Genova).

Tra le altre opere in mostra si possono ammirare il Banchetto di nozze di Ferdinando di


Toscana e Cristina di Lorena (1589) di Domenico Crespi «il Passignano» (proveniente dal
Kunsthistorisches Museum di Vienna) e Un tè a Evian di Ludwig Guttenbrunn (1787,
proveniente da una collezione privata inglese e per la prima volta esposto in pubblico) in cui
sono ritratti i principi di Piemonte Carlo Emanuele I di Savoia e Maria Clotilde di Borbone
insieme ad alcune dame inglesi.

Per la prima volta è inoltre presentata una versione ridotta della mise en place in uso nel
Palazzo Reale di Napoli ai tempi di Ferdinando IV, con porcellane del Servizio delle Vedute
Napolitane (detto anche dell'Oca), realizzato nel 1793 insieme a modelli di biscuit del Dessert
per 60 coverti, provenienti dalla Reggia di Capodimonte.

Il Quirinale di Roma, residenza dei Savoia dal 1870, ha prestato tre importanti servizi della
corte d'Italia provenienti dalla raccolta di oggetti per la tavola reale della fine dell'800,
realizzati per tre diverse mise en place : quella per la prima colazione, per la seconda
colazione e per il pranzo.

Per gli amanti dei menu (introdotti soltanto nel XIX secolo) la sala 11 ne offre una selezione
molto interessante, laddove la sala 6 è dedicata alle bevande esotiche, tè, caffè e cioccolata.
Qui si possono ammirare uno splendido servizio di Meissen proveniente da Palazzo Madama
a Torino e un servizio di porcellana viennese firmata Ginori proveniente invece da Palazzo
Pitti a Firenze.
Nella sala 9 è la volta della Manifattura Reale di Sèvres con i bicchierini per il gelato bianchi e
verdi, mentre la sala 10 è dedicata alle caricature che ironizzano sui pranzi dei sovrani. Ma
due dei pezzi più affascinanti trovano posto nella sala dedicata alla cucina: un piatto e
un'alzatina smaltati provenienti dal Museo Stibbert di Firenze, vero scrigno di bizzarrie
collezionistiche.
Focus su De Lai Caccia ai quadri
La Fondazione Martino Dolci dedica mostra e monografia al geniale artista-meccanico

L a caccia alle opere è aperta, ma il tempo stringe. La Fondazione Martino Dolci ha deciso di
dedicare la 24esima monografia della propria collana, e la prima antologica nella nuova sede
di via Raffaello 163, a Luigi (Gino) De Lai, artista nato a Tignale nel 1891 e morto a Salò nel
1960.

La mostra si aprirà il 16 dicembre ma i lavori per il catalogo (biografia a cura di Marcello Zane,
saggio critico di Giovanna Galli, bibliografia a cura di Roberta Ferretti) già fervono e chi
avesse opere o disegni di De Lai è pregato di segnalarlo al segretario della Fondazione,
Ermes Pasini (telefono 328/8373014). De Lai fu una singolare figura di genio della meccanica
e pittore autodidatta di sorprendente bravura. Come tecnico firmò i brevetti di un gancio per
carri ferroviari, di una seminatrice automatica, di un cinguettio meccanico, di un tappo
dosatore, di porta-ombrelli per bici e per moto. Come artista fu generoso di creazioni,
parsimonioso nelle mostre. Esponeva nelle collettive con Dolci, Garosio, Togni. Lo notò il
solito Giannetto Valzelli che lo definì «genialoide e polivalente, ma pure eccentrico e
lunatico». Rare le personali: un'asta di successo a Brescia, mostre a Bergamo e Mantova,
Pisa e Gardone Riviera. Per arrotondare il reddito e mantenere i cinque figli dipingeva, una ad
una, le scatole con le caramelle della Cedrinca. Oggi sono oggetti d'arte.

I quadri (la Fondazione ne ha già rintracciati ottanta) sono in prevalenza paesaggi gardesani,
dipinti con un nitore che allude ai manifesti pubblicitari e li supera per poesia, incanto, magia.
Il presidente della Fondazione Dolci Eugenio Busi avverte: «De Lai sarà una sorpresa per il
pubblico bresciano. Per dipingere così ci voleva una gran testa e una gran tecnica: De Lai
sapeva far respirare il Garda nei suoi quadri». La nipote Anna Aliprandi ricorda: «Il nonno era
un inventore, un musicista capace di suonare mandolino e contrabbasso, un pittore
bravissimo. Rendergli omaggio è un dovere».

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