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Data 1632-1639
Tecnica Affresco
Il Trionfo della Divina Provvidenza e il compiersi dei suoi fini sotto il pontificato di
Urbano VIII,[1] più comunemente noto nella forma abbreviata di Trionfo della Divina
Provvidenza, è un affresco di Pietro da Cortona realizzato tra il 1632 e il 1639 nella volta
del salone del piano nobile di palazzo Barberini a Roma.[2]
Nato come esaltazione della famiglia Barberini, allora regnante sul soglio pontificio
con Urbano VIII, il ciclo mostra tramite allegorie e temi classici-mitologici quelle che sono
le virtù del casato per il buon governo.[2]
L'opera viene spesso citata come manifesto dello stile barocco in pittura, nel senso più
proprio del termine, che attraverso varie esperienze parziali dei primi anni del secolo XVII,
arrivò al suo culmine proprio con la figura di Pietro da Cortona. Con una superficie di circa
600 m² è il secondo ciclo di affreschi più grande di Roma dopo la cappella Sistina.[3]
Indice
1Storia
o 1.1La commessa
o 1.2Il tema iconografico di Francesco Bracciolini
o 1.3Gli stati d'avanzamento dei lavori
o 1.4L'inaugurazione della grande decorazione barocca
2Descrizione
3Stile
4Catalogo delle scene
5Note
6Bibliografia
7Voci correlate
8Altri progetti
9Collegamenti esterni
Fucina di Vulcano
Il tema del grande affresco venne steso dal poeta ed erudito Francesco Bracciolini, un
altro toscano (pistoiese) molto vicino al papa, segretario particolare del cardinal
nipote Antonio Barberini,[8] che scrisse un poema proprio in occasione dell'elezione
pontificia del Barberini, L'elettione di Urbano Papa VIII (iniziato in un periodo
immediatamente successivo alla nomina papale, ed edito nel 1628).[6]
Divina Provvidenza
Minerva
L'affresco traspone quello che è il concetto del Bracciolini, dove si celebra il trionfo della
famiglia Barberini con la nomina papale di Maffeo del 1623, voluta dalla Divina
Provvidenza, mediante miti, leggende ed episodi biblici, adottati come esempi per l'attuale.
[2]
Il Cortona realizzò dapprima la parte centrale della scena, quindi la cornice centrale e
la Divina Provvidenza, che interviene per l'elezione di Urbano VIII a pontefice, dopodiché
procedette con la realizzazione dei quattro angoli, definendo anche la scansione del finto
fregio marmoreo con telamoni, quindi il lato corto sul versante ovest, i due lati lunghi e
infine l'altro lato corto sul versante est, dove sono la Minerva e la caduta dei Giganti.[2]
Le quattro storie dei clipei, tratte da temi classici romani, sono collocate nelle colonne
portanti della finta architettura affrescata a mo' di cardini su cui poggiano le virtù di Urbano
VIII, mentre alla base sono altrettanti animali rappresentativi di altre virtù Barberini, quindi
il leone (Fortezza), due orsi (Sagacia), il liocorno (Temperanza) e l'ippogrifo (Perspicacia).
[2]
Nelle quattro scene laterali sono raffigurate scene che alludono al buon governo di
Urbano VIII: le virtù militari (scena del Trionfo della Pace), quelle religiose e spirituali
(scena del Trionfo della Religione), quelle della ragione (scena della Cacciata dei vizi di
Ercole) e infine quelle della giustizia (scena di Minerva che combatte i giganti).[2]
Gran parte dei temi allegorici descritti dal Bracciolini, e quindi raffigurati poi dal Cortona,
sono di nuova invenzione e non rimandano a l compendio iconografico di Cesare Ripa.[9]
Gli stati d'avanzamento dei lavori[modifica | modifica wikitesto]
Le fasi del lavoro sono ben documentate: al 1630 risale il completamento strutturale della
sala; dal 25 settembre 1631 a giugno 1632 si registrano lavori di falegnameria per
innalzare i ponteggi e le impalcature su cui il Cortona e i suoi collaboratori avrebbero poi
lavorato; il 18 novembre 1632 iniziano i lavori ad affresco; nel 1633 avviene una breve
interruzione per assolvere alla commessa dei padri filippini di Santa Maria in Vallicella, per
la quale furono realizzati gli affreschi con gli Angeli che reggono i simboli della Passione in
sacrestia; nel 1637 i lavori sono interrotti a causa di un soggiorno di sei mesi a Firenze del
Cortona, dove si fermò in occasione del viaggio che fece al seguito di Giulio Sacchetti, che
intanto si recava a Bologna dove fu nominato legato pontificio; il 12 dicembre 1637 i
ponteggi vengono momentaneamente smontati per consentire la visita illustre al cantiere
di Francesco I d'Este; nel 1638 i lavori continuarono con una certa speditezza, fino alla
conclusione nel 1639.[10]
I lunghi tempi di gestazione si spiegano dunque anche con l'attività del pittore in altri
cantieri, su tutti gli affreschi in Santa Maria in Vallicella e alla prima parte della stufetta di
Palazzo Pitti a Firenze, ma probabilmente anche commesse architettoniche, come il
progetto per la villa del Pigneto e quello del rifacimento della chiesa dei Santi Luca e
Martina a Roma.[11]
Alla parentesi fiorentina risalgono diverse missive che consentono di avere maggiormente
delineato quello che è lo stato dell'arte: Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente IX,
all'epoca cardinale molto vicino agli ambienti Barberini, in una lettera del 5 giugno 1637
scrive circa la speranza che aveva il Cortona di riuscire a finire il Trionfo della Divina
Provvidenza per giugno dello stesso anno; tuttavia questa evenienza fu scongiurata a
seguito del viaggio in Toscana che poi interessò il pittore.[12] Raggiunto il granducato,
un'ulteriore lettera del pittore trasmessa il 20 luglio del 1637 al cardinale Francesco
Barberini a Roma, racconta della commessa di Ferdinando II de' Medici sull'Età dell'uomo,
nonché la sua volontà di finirli entro agosto, così da ritornare poi nell'Urbe e completare il
ciclo Barberini.[12] Tuttavia da un'altra corrispondenza di settembre risulta che i due cicli
che stava eseguendo erano ancora incompleti, e inoltre ne restavano altri due da
effettuare, che a quel punto si sarebbero realizzati in un secondo momento, in occasione
di un ritorno a Firenze del Cortona.[12]
Di ritorno a Roma da Firenze, il Romanelli viene allontanato da Pietro da Cortona perché
accusò i due suoi collaboratori, llui e Bottalla, di aver brigato contro il maestro durante la
sua assenza, proponendosi ai committenti per la conclusione degli affreschi, forse
confidando troppo nelle proprie capacità.[13] Il Bottalla però, artista forse più docile e
ossequioso, rimase tra gli aiuti del Cortona, mentre il Romanelli fu definitivamente
allontanato.[13] È comunque sicuro che il tentativo dei due non venne accolto, poiché
durante l'assenza del Cortona non vennero pagati gli stuccatori per preparare gli intonaci,
pertanto lasciando intendere che non si effettuò alcuna pittura.[13] La vicenda, raccontata
da Filippo Baldinucci, fu anche alla base della rottura dell'armonia di intenti tra Pietro da
Cortona e Bernini, quest'ultimo che cercò invano di proteggere Romanelli.[10]
Il 24 settembre del 1639 in una lettera inviata al suo ospitante a Firenze, Michelangelo
Buonarroti il Giovane, si evince che l'opera romana è pressoché conclusa, e quindi nel
marzo dell'anno nuovo il Cortona si sarebbe recato nuovamente presso la corte medicea
per completare i due cicli mancanti della sala della Stufa.[12]
L'inaugurazione della grande decorazione barocca[modifica | modifica
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Furore
Il 5 dicembre 1639 papa Urbano VIII, che secondo lo storico Joachim von Sandrart si
recava quotidianamente in loco per vedere lo stato di avanzamento del cantiere, visita
l'affresco terminato.[14] Appena scoperto il successo fu straordinario, come testimoniano le
numerosissime incisioni, copie e descrizioni. La sua influenza ebbe eco internazionale,
con un'intera generazione di artisti che, formandosi a Roma, ne riproposero e divulgarono
le soluzioni in molte imprese.[15]
Compiuta quando il Cortona aveva 36 anni, quest'opera risulterà essere la più notevole
della Roma del Seicento, capofila della grande decorazione barocca a fresco, che si
sarebbe poi protratta da quel momento fino alla fine del Settecento, degna di "rivaleggiare"
nel campo delle arti con gli altri grandi cicli del passato, quindi con quello
dei Carracci nel palazzo Farnese, o quelli vaticani di Raffaello e Michelangelo, a cui il
papa stesso paragonò la "sua" opera.[14][16]
Il compenso per il lavoro svolto dal Cortona non fu elargito con uno stipendio mensile,
come invece avvenne per i collaboratori, ma fu liquidato a conclusione dell'opera, per un
totale di 3.910 scudi[8]: di cui 2.000 scudi per l'opera in sé, mentre la restante parte
provenivano dalla rendita per i titoli di cui fu insignito dai Barberini durante la commessa.[16]
[17]
Il ciclo ha ricevuto nel 1971, 1981 e 1993, diversi interventi di restauro che hanno
riguardato la rimozione di ridipinture precedenti eccessivamente invasive nonché di
svariati fenomeni del bottaccioli.[2]
Ampio più di 600 metri quadrati, il ciclo è diviso in uno schema fluido, dove sono assenti le
nette cesure schematiche del secolo precedente, e in cui le figure dialogano e si
richiamano l'un l'altra, culminando nella scena centrale.[3] Le zone sono cinque (quattro
laterali e una centrale), con una finta cornice monocroma, interrotta agli angoli da
medaglioni ottagonali. Su tre lati sono raffigurati al centro del registro inferiore del finto
fregio marmoreo, cartigli monocromi che descrivono i successi Barberini.
Sileno
Crono
L'angolo con Telamoni e tritoni reggenti il clipeo ottagonale con la Prudenza di Fabio Massimo e, in basso, due
orsi (Sagacia)
Le pareti sui lati corti mostrano, da un lato, la caduta dei Giganti, su cui si libra Minerva,
alludendo alla vittoria dell'intelligenza sulla forza bruta (in questa scena non v'è alcun
cartiglio monocromo allusivo a imprese Barberini).[21] Di rimpetto, nella parete finestrata
della facciata principale, Ercole allontana i Vizi e le Arpie, simbolo di avarizia, dov'è anche
una giovinetta con la fascia di console allude alla Giustizia, mentre la Liberalità inonda il
mondo di monete, fiori e frutta dalla sua cornucopia. Sul registro inferiore del finto fregio
marmoreo che incornicia quest'ultima scena è raffigurata, sempre entro un cartiglio a
monocromo, la Clava che germoglia.[19]
L'intero ciclo venne prima studiato in vari disegni preparatori di cui ne rimangono solo
alcuni, in collezioni pubbliche e private provenienti dalla dispersione delle collezioni
Barberini: uno studio della Venere, di Ercole e le Arpie e del tempio nella scena
del Trionfo della Pace sono agli Uffizi, altri pezzi sono invece a Londra e Oxfrord.[2] Non ci
è pervenuto il bozzetto finale, che sicuramente dovette esistere, sottoposto ai committenti
per l'approvazione finale.
Putto con la corona di alloro (particolare del Trionfo della Divina Provvidenza)
Le virtù e
il valore
che
A sinistra Ercole (f) allontana con la scacciano
clava i Vizi e le Arpie. A destra una i vizi e le Lato
giovinetta con la fascia di console arpie in corto
allude alla Giustizia, mentre favore della
Ercole la Liberalità inonda il mondo di dell'abbon parete
3 allontana i monete, fiori e frutta dalla sua danza. interna
Vizi cornucopia (g). della
Cartiglio:
facciata
Sul cartiglio al centro del registro la
princip
inferiore del fregio è la Clava che prosperità
ale.
germoglia. e fertilità
sotto il
pontificato
Barberini.
Telamoni e t
ritoni che
reggono un
clipeo
ottagonale
A
monocromo
raffigurante
la Storia di Colonn
Muzio a
Scevola. affresca
- Fortezza ta
inferior
e di
sinistra.
B Leone
Telamoni e t
ritoni che
reggono un
clipeo
ottagonale
C
monocromo
raffigurante
la Temperan Colonn
za di a
Scipione. affresca
Temperan
- ta
za
inferior
e di
destra.
D Liocorno
Telamoni e t
ritoni che
reggono un
clipeo
ottagonale
E
monocromo
raffigurante
la Giustizia Colonn
di Tito a
Manlio. affresca
Perspicaci
- ta
a
superio
re di
destra.
F Ippogrifo
Note