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Trionfo della Divina Provvidenza

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Trionfo della Divina Provvidenza e il
compiersi dei suoi fini sotto il pontificato
di Urbano VIII

Scudo Barberini (particolare del Trionfo della


Divina Provvidenza)

Autore Pietro da Cortona

Data 1632-1639

Tecnica Affresco

Ubicazione Palazzo Barberini, Roma

Coordinate 41°54′13″N 12°29′25″E

Coordinate: 41°54′13″N 12°29′25″


E (Mappa)

Il Trionfo della Divina Provvidenza e il compiersi dei suoi fini sotto il pontificato di
Urbano VIII,[1] più comunemente noto nella forma abbreviata di Trionfo della Divina
Provvidenza, è un affresco di Pietro da Cortona realizzato tra il 1632 e il 1639 nella volta
del salone del piano nobile di palazzo Barberini a Roma.[2]
Nato come esaltazione della famiglia Barberini, allora regnante sul soglio pontificio
con Urbano VIII, il ciclo mostra tramite allegorie e temi classici-mitologici quelle che sono
le virtù del casato per il buon governo.[2]
L'opera viene spesso citata come manifesto dello stile barocco in pittura, nel senso più
proprio del termine, che attraverso varie esperienze parziali dei primi anni del secolo XVII,
arrivò al suo culmine proprio con la figura di Pietro da Cortona. Con una superficie di circa
600 m² è il secondo ciclo di affreschi più grande di Roma dopo la cappella Sistina.[3]

Indice

 1Storia
o 1.1La commessa
o 1.2Il tema iconografico di Francesco Bracciolini
o 1.3Gli stati d'avanzamento dei lavori
o 1.4L'inaugurazione della grande decorazione barocca
 2Descrizione
 3Stile
 4Catalogo delle scene
 5Note
 6Bibliografia
 7Voci correlate
 8Altri progetti
 9Collegamenti esterni

Storia[modifica | modifica wikitesto]


La commessa[modifica | modifica wikitesto]

Papa Urbano VIII

Introdotto ai Barberini dall'amico Marcello Sacchetti, Pietro da Cortona era all'epoca un


valido artista che si dedicava soprattutto ai temi tratti dall'antico, ma non ancora il
protagonista della scena. La prima commissione per la potente famiglia papale sono gli
affreschi nella chiesa di Santa Bibiana (1624-1626), appena restaurata dal Bernini, dove il
pittore inizia a primeggiare, come dimostra il confronto col conterraneo Agostino Ciampelli,
pure impiegato nel ciclo, dallo stile più statico e aneddotico.[4]
Il successo di questa commissione fece sì che il cardinale Maffeo Barberini, nel frattempo
diventato papa col nome di Urbano VIII, assegnasse al pittore una commissione ancora
più ambiziosa, la decorazione del salone di rappresentanza (24×14,5×18 m),[5] l'ambiente
più importante del nuovo palazzo della sua famiglia, costruito nel frattempo da Carlo
Maderno e poi da Gianlorenzo Bernini (attivo proprio nel piano nobile, nella sala, che
ampliò, e in buona armonia col pittore) e Francesco Borromini.[6][4]
In prima istanza la commessa, decretata da Taddeo Barberini, fu inoltrata al suo
protetto, Andrea Camassei, pittore manierista toscano, già attivo a palazzo Barberini.[7] Fu
poi proprio il pontefice, stando alle parole del Passeri, a virare sul Cortona la commessa,
comunque su intercessione del cardinale Francesco, a suo volta protettore del
pittore: «Don Taddeo e tutti i signori Barberini, gli assegnarono il voltone della sala grande
[...] espressi per la penna del Signor Francesco Bracciolini dell'Api. Questa volta poi, per
mutazione di parere e di fortuna, fu dal medesimo Pontefice collocata al sig. Pietro da
Cortona: et egli nello spazio di quattordici anni la ridusse a quella bellezza che hoggi si
vede [...]».[6]
La presenza di collaboratori fu limitata ad operazioni tecniche, con scarsa autonomia
rispetto al maestro, al quale viene dopotutto riferita la totalità dell'autografia. Tra i presenti,
citati nei documenti, ci furono Giovan Francesco Romanelli, Giovanni Maria
Bottalla e Pietro Paolo Baldini, pagati dieci scudi al mese per tutto il tempo della
realizzazione.[7]
Il tema iconografico di Francesco Bracciolini[modifica | modifica wikitesto]

Fucina di Vulcano

Il tema del grande affresco venne steso dal poeta ed erudito Francesco Bracciolini, un
altro toscano (pistoiese) molto vicino al papa, segretario particolare del cardinal
nipote Antonio Barberini,[8] che scrisse un poema proprio in occasione dell'elezione
pontificia del Barberini, L'elettione di Urbano Papa VIII (iniziato in un periodo
immediatamente successivo alla nomina papale, ed edito nel 1628).[6]

Divina Provvidenza
Minerva

L'affresco traspone quello che è il concetto del Bracciolini, dove si celebra il trionfo della
famiglia Barberini con la nomina papale di Maffeo del 1623, voluta dalla Divina
Provvidenza, mediante miti, leggende ed episodi biblici, adottati come esempi per l'attuale.
[2]

Il Cortona realizzò dapprima la parte centrale della scena, quindi la cornice centrale e
la Divina Provvidenza, che interviene per l'elezione di Urbano VIII a pontefice, dopodiché
procedette con la realizzazione dei quattro angoli, definendo anche la scansione del finto
fregio marmoreo con telamoni, quindi il lato corto sul versante ovest, i due lati lunghi e
infine l'altro lato corto sul versante est, dove sono la Minerva e la caduta dei Giganti.[2]
Le quattro storie dei clipei, tratte da temi classici romani, sono collocate nelle colonne
portanti della finta architettura affrescata a mo' di cardini su cui poggiano le virtù di Urbano
VIII, mentre alla base sono altrettanti animali rappresentativi di altre virtù Barberini, quindi
il leone (Fortezza), due orsi (Sagacia), il liocorno (Temperanza) e l'ippogrifo (Perspicacia).
[2]
Nelle quattro scene laterali sono raffigurate scene che alludono al buon governo di
Urbano VIII: le virtù militari (scena del Trionfo della Pace), quelle religiose e spirituali
(scena del Trionfo della Religione), quelle della ragione (scena della Cacciata dei vizi di
Ercole) e infine quelle della giustizia (scena di Minerva che combatte i giganti).[2]
Gran parte dei temi allegorici descritti dal Bracciolini, e quindi raffigurati poi dal Cortona,
sono di nuova invenzione e non rimandano a l compendio iconografico di Cesare Ripa.[9]
Gli stati d'avanzamento dei lavori[modifica | modifica wikitesto]

Scorcio della volta


La sala

Le fasi del lavoro sono ben documentate: al 1630 risale il completamento strutturale della
sala; dal 25 settembre 1631 a giugno 1632 si registrano lavori di falegnameria per
innalzare i ponteggi e le impalcature su cui il Cortona e i suoi collaboratori avrebbero poi
lavorato; il 18 novembre 1632 iniziano i lavori ad affresco; nel 1633 avviene una breve
interruzione per assolvere alla commessa dei padri filippini di Santa Maria in Vallicella, per
la quale furono realizzati gli affreschi con gli Angeli che reggono i simboli della Passione in
sacrestia; nel 1637 i lavori sono interrotti a causa di un soggiorno di sei mesi a Firenze del
Cortona, dove si fermò in occasione del viaggio che fece al seguito di Giulio Sacchetti, che
intanto si recava a Bologna dove fu nominato legato pontificio; il 12 dicembre 1637 i
ponteggi vengono momentaneamente smontati per consentire la visita illustre al cantiere
di Francesco I d'Este; nel 1638 i lavori continuarono con una certa speditezza, fino alla
conclusione nel 1639.[10]
I lunghi tempi di gestazione si spiegano dunque anche con l'attività del pittore in altri
cantieri, su tutti gli affreschi in Santa Maria in Vallicella e alla prima parte della stufetta di
Palazzo Pitti a Firenze, ma probabilmente anche commesse architettoniche, come il
progetto per la villa del Pigneto e quello del rifacimento della chiesa dei Santi Luca e
Martina a Roma.[11]

Cartiglio con le tre api Barberini che lavorano i campi

Alla parentesi fiorentina risalgono diverse missive che consentono di avere maggiormente
delineato quello che è lo stato dell'arte: Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente IX,
all'epoca cardinale molto vicino agli ambienti Barberini, in una lettera del 5 giugno 1637
scrive circa la speranza che aveva il Cortona di riuscire a finire il Trionfo della Divina
Provvidenza per giugno dello stesso anno; tuttavia questa evenienza fu scongiurata a
seguito del viaggio in Toscana che poi interessò il pittore.[12] Raggiunto il granducato,
un'ulteriore lettera del pittore trasmessa il 20 luglio del 1637 al cardinale Francesco
Barberini a Roma, racconta della commessa di Ferdinando II de' Medici sull'Età dell'uomo,
nonché la sua volontà di finirli entro agosto, così da ritornare poi nell'Urbe e completare il
ciclo Barberini.[12] Tuttavia da un'altra corrispondenza di settembre risulta che i due cicli
che stava eseguendo erano ancora incompleti, e inoltre ne restavano altri due da
effettuare, che a quel punto si sarebbero realizzati in un secondo momento, in occasione
di un ritorno a Firenze del Cortona.[12]
Di ritorno a Roma da Firenze, il Romanelli viene allontanato da Pietro da Cortona perché
accusò i due suoi collaboratori, llui e Bottalla, di aver brigato contro il maestro durante la
sua assenza, proponendosi ai committenti per la conclusione degli affreschi, forse
confidando troppo nelle proprie capacità.[13] Il Bottalla però, artista forse più docile e
ossequioso, rimase tra gli aiuti del Cortona, mentre il Romanelli fu definitivamente
allontanato.[13] È comunque sicuro che il tentativo dei due non venne accolto, poiché
durante l'assenza del Cortona non vennero pagati gli stuccatori per preparare gli intonaci,
pertanto lasciando intendere che non si effettuò alcuna pittura.[13] La vicenda, raccontata
da Filippo Baldinucci, fu anche alla base della rottura dell'armonia di intenti tra Pietro da
Cortona e Bernini, quest'ultimo che cercò invano di proteggere Romanelli.[10]
Il 24 settembre del 1639 in una lettera inviata al suo ospitante a Firenze, Michelangelo
Buonarroti il Giovane, si evince che l'opera romana è pressoché conclusa, e quindi nel
marzo dell'anno nuovo il Cortona si sarebbe recato nuovamente presso la corte medicea
per completare i due cicli mancanti della sala della Stufa.[12]
L'inaugurazione della grande decorazione barocca[modifica | modifica
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Furore

Il 5 dicembre 1639 papa Urbano VIII, che secondo lo storico Joachim von Sandrart si
recava quotidianamente in loco per vedere lo stato di avanzamento del cantiere, visita
l'affresco terminato.[14] Appena scoperto il successo fu straordinario, come testimoniano le
numerosissime incisioni, copie e descrizioni. La sua influenza ebbe eco internazionale,
con un'intera generazione di artisti che, formandosi a Roma, ne riproposero e divulgarono
le soluzioni in molte imprese.[15]
Compiuta quando il Cortona aveva 36 anni, quest'opera risulterà essere la più notevole
della Roma del Seicento, capofila della grande decorazione barocca a fresco, che si
sarebbe poi protratta da quel momento fino alla fine del Settecento, degna di "rivaleggiare"
nel campo delle arti con gli altri grandi cicli del passato, quindi con quello
dei Carracci nel palazzo Farnese, o quelli vaticani di Raffaello e Michelangelo, a cui il
papa stesso paragonò la "sua" opera.[14][16]
Il compenso per il lavoro svolto dal Cortona non fu elargito con uno stipendio mensile,
come invece avvenne per i collaboratori, ma fu liquidato a conclusione dell'opera, per un
totale di 3.910 scudi[8]: di cui 2.000 scudi per l'opera in sé, mentre la restante parte
provenivano dalla rendita per i titoli di cui fu insignito dai Barberini durante la commessa.[16]
[17]

Il ciclo ha ricevuto nel 1971, 1981 e 1993, diversi interventi di restauro che hanno
riguardato la rimozione di ridipinture precedenti eccessivamente invasive nonché di
svariati fenomeni del bottaccioli.[2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Cartiglio con il Sole Barberini

Ampio più di 600 metri quadrati, il ciclo è diviso in uno schema fluido, dove sono assenti le
nette cesure schematiche del secolo precedente, e in cui le figure dialogano e si
richiamano l'un l'altra, culminando nella scena centrale.[3] Le zone sono cinque (quattro
laterali e una centrale), con una finta cornice monocroma, interrotta agli angoli da
medaglioni ottagonali. Su tre lati sono raffigurati al centro del registro inferiore del finto
fregio marmoreo, cartigli monocromi che descrivono i successi Barberini.

Sileno

Crono

L'angolo con Telamoni e tritoni reggenti il clipeo ottagonale con la Prudenza di Fabio Massimo e, in basso, due
orsi (Sagacia)

Al centro si vede la Divina Provvidenza, dotata di scettro, e circondata da un alone


luminoso che allude alla sua emanazione divina. Dietro di essa stanno
sedute Giustizia, Pietà, Potenza, Verità, Bellezza e Pudicizia, mentre poco sopra vola
l'Immortalità, rappresentata come Urania e reggente una corona di stelle con cui rende
onore in cielo agli uomini dotti. Alludono al tema del tempo e dell'eternità Crono, con la
falce, mentre divora uno dei suoi figli, e le tre Parche, che filano la vita degli uomini. Sopra,
al culmine della rappresentazione, le tre virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) reggono
una corona d'alloro che nella forma richiama uno stemma, entro cui volano
le api Barberini, componendone appunto l'emblema familiare. Altre personificazioni sono
la dea Roma col triregno (allusione al papato) e la Gloria (secondo una parte della critica
la Religione)[8], con le chiavi di san Pietro. Allude al papa in carica anche il putto che, a un
angolo, porge una corona d'alloro, come a incoronare le virtù di poeta di Maffeo Barberini.
Agli angoli i medaglioni sono retti da coppie di telamoni e tritoni e sono decorati da scene
della storia romana a monocromo bronzeo che allegoricamente descrivono virtù morali dei
Barberini, a loro volta associati agli animali rappresentati appena sotto.[18] Sono così
accoppiati la scena della Prudenza di Fabio Massimo e due orsi, a simboleggiare Sagacia;
la Temperanza di Scipione e un liocorno per la Temperanza; la Storia di Muzio Scevola e
il leone come emblema di Fortezza; la Giustizia di Tito Manlio e l'ippogrifo per la
Perspicacia.[18]
Le quattro rappresentazioni laterali celebrano, con allusioni al "buon governo" sotto i
Barberini, imprese del papa e dei suoi nipoti. Nel primo lato lungo si trova il Trionfo della
Religione e della Spiritualità, con la Scienza che guarda in alto, affiancata dal Divino Aiuto,
la Religione e la Purezza. A destra Sileno porge la ciotola a un ragazzo che gli versa del
vino, mentre alcune ninfe si bagnano a una fonte. A sinistra la Lascivia si alza da un letto
mentre Cupido viene scacciato dall'Amor Celeste. In basso al centro della finte cornice
marmorea è un cartiglio con dipinto a monocromo con un'impresa Barberini, ossia due api
che tirano un aratro e una terza che le guida con la frusta.[19] Al lato opposto è la Pace in
trono, consigliata dalla Prudenza che invia una fanciulla a chiudere le porte del tempio di
Giano (che stavano aperte nell'Antica Roma durante i periodi di guerra). Ciclopi lavorano
nelle officine per fabbricare armi, mentre il Furore viene disarmato dalla Mansuetudine e
deve stare fermo su una catasta d'armi.[20] Sul cartiglio al centro del registro inferiore del
fregio è invece raffigurato il Sole, simbolo dei Barberini.[21]

Ercole che scaccia le Arpie

Le pareti sui lati corti mostrano, da un lato, la caduta dei Giganti, su cui si libra Minerva,
alludendo alla vittoria dell'intelligenza sulla forza bruta (in questa scena non v'è alcun
cartiglio monocromo allusivo a imprese Barberini).[21] Di rimpetto, nella parete finestrata
della facciata principale, Ercole allontana i Vizi e le Arpie, simbolo di avarizia, dov'è anche
una giovinetta con la fascia di console allude alla Giustizia, mentre la Liberalità inonda il
mondo di monete, fiori e frutta dalla sua cornucopia. Sul registro inferiore del finto fregio
marmoreo che incornicia quest'ultima scena è raffigurata, sempre entro un cartiglio a
monocromo, la Clava che germoglia.[19]
L'intero ciclo venne prima studiato in vari disegni preparatori di cui ne rimangono solo
alcuni, in collezioni pubbliche e private provenienti dalla dispersione delle collezioni
Barberini: uno studio della Venere, di Ercole e le Arpie e del tempio nella scena
del Trionfo della Pace sono agli Uffizi, altri pezzi sono invece a Londra e Oxfrord.[2] Non ci
è pervenuto il bozzetto finale, che sicuramente dovette esistere, sottoposto ai committenti
per l'approvazione finale.

Stile[modifica | modifica wikitesto]

Particolare dello scudo Barberini nel Trionfo della Divina Provvidenza


Gli affreschi vennero realizzati con un numero molto alto di "giornate", come si confà a
un'opera di queste dimensioni. Singolare è però la disomogeneità di tali tappe, a volte
molto estese, a volte ridottissime. Non si riscontrano particolari correzioni effettuate sul
ciclo, o comunque grossi rifacimenti.[9] La grande scena venne dipinta iniziando dal
tracciato della cornice architettonica, per poi procedere dal basso verso l'alto nella scena
centrale, terminando poi con le scene laterali. I toni impiegati variano notevolmente, dando
profondità alla scena e volume alle figure: dalle tinte chiarissime degli sfondi si passa a
toni più decisi per le figure in primo piano, accentuate da lumeggiature dorate ove
necessario. Tipico dell'artista è il ricorso a una tecnica in parte "puntinista", dove sui toni di
base sono sovrapposti tono su tono piccoli tocchi di pittura, che rendono la superficie
particolarmente vibrante, a tratti cangiante. È in operazioni ripetitive come queste che si
deve essere concentrato il lavoro degli assistenti.[10]

Caduta dei Giganti

Cartiglio con la clava che germoglia

La struttura architettonica dipinta è continuamente attraversata da figure e decorazioni,


che rompono qualsiasi staticità compositiva, creando "una grande e vibrante massa in
movimento in cui l'occhio si perde, incapace di trovare un punto fermo".[22] Oltre al
movimento interno delle figure, presente già ad esempio in opere manieriste (si pensi
al Giudizio Universale di Michelangelo), la posizione dell'affresco su un soffitto, calibrata
da un'eccellente padronanza della prospettiva del "sott'in su", genera anche l'effetto
sospeso, come se le figure stessero per cadere sullo spettatore, con una duplice
sensazione di spinta verso l'alto e verso il basso.[15]
I numerosi personaggi si muovono lungo linee di forza che attraversano la scena in lungo
e largo, e sono intenti alle più varie attività, secondo un gusto variato e mai ripetitivo. [15]

Putto con la corona di alloro (particolare del Trionfo della Divina Provvidenza)

Le novità dell'opera furono evidenti fin dai contemporanei, in particolare contrapponendo


questo stile delle molte figure in movimento a quello più sobrio e statico di Andrea
Sacchi (pure attivo in palazzo Barberini con l'Allegoria della Divina Sapienza): teatro del
dibattito era l'Accademia di San Luca, di cui Pietro da Cortona fu principe dal 1634 al
1638. Paragonando la pittura alla letteratura, per Pietro da Cortona le figure compongono
un "poema epico", ricco di episodi, mentre per il Sacchi esse partecipano una sorta di
"tragedia", dove unità e semplicità sono requisiti fondamentali.[15] Anche taluni concetti
iconografici allegorici erano di nuova invenzione, frutto dell'ingegno del Bracciolini e, nella
trasposizione, del Cortona,[9] che per gran parte del ciclo la sua opera risulta realizzata di
getto, in gran libertà inventiva, senza l'utilizzo pedissequo dei cartoni preparatori, che
comunque c'erano, procedendo in tal senso direttamente col disegno a pennello sul muro
e poi via via col colorito.[23] Eventuali correzioni, probabilmente dopo una verifica dal basso
degli scorci, si effettuavano quindi con la concreta demolizione della porzione di intonaco
interessata.
Pietro da Cortona, predisponendo l'enorme affresco della volta, seppe raccogliere una
serie di fermenti culturali che avevano animato la scena artistica romana tra la fine del
Cinquecento e l'inizio del nuovo secolo: spunti da Annibale Carracci (Galleria Farnese,
1598-1600), da cui riprende la cornice marmorea affrescata che scandisce le singole
scene, seppur, a differenza dell'opera del palazzo in campo de' Fiori, qui le singole storie
dialogano tra loro formando un unico ciclo narrativo, da Rubens (Madonna della Vallicella,
1606), da Guercino (Aurora Ludovisi, 1621, la Gloria di san Crisogono, 1622, e
la Sepoltura e gloria di santa Petronilla, 1623) e da Giovanni Lanfranco (cupola di
Sant'Andrea della Valle, 1625-1628), da cui si riprende la sfondatura della volta celeste,
oltre al dinamismo spregiudicato delle sculture di Bernini.[24]

Catalogo delle scene[modifica | modifica wikitesto]


N./ Significat
Colloca
Lett Titolo Immagine Descrizione o
zione
. allegorico

Al centro è Minerva (a) che si La


imbatte sui Giganti (b), disposti ai Lato
giustizia
Minerva lati della scena, sul lato destro in corto
che
1 trionfa sui caduta. sopra
domina
Giganti l'ingres
l'orgoglio
Sul registro inferiore non vi sono so.
e l'eresia.
cartigli affrescati.

2 Trionfo Al centro è la Scienza (c) che guarda La Lato


della in alto, affiancata dal Divino Aiuto, religione e lungo
Religione e la Religione e la Purezza. A la di
della destra Sileno (d) porge la ciotola a sapienza destra.
Sapienza un ragazzo che gli versa del vino, vincono
mentre alcune ninfe si bagnano a sulla
una fonte. A sinistra la Lascivia (e) lussuria e
si alza da un letto sull'intem
mentre Cupido viene scacciato peranza.
dall'Amor Celeste.
Cartiglio:
Sul cartiglio al centro del registro le tre api
sono il
simbolo
araldico
per
eccellenza
dei
Barberini,
inferiore del fregio sono le Tre api
che in
Barberini che lavorano i campi, due
questo
che tirano un aratro e una terza che
caso
le guida con la frusta.
rappresent
ano
allegorica
mente la
dedizione
al lavoro
del casato.

Le virtù e
il valore
che
A sinistra Ercole (f) allontana con la scacciano
clava i Vizi e le Arpie. A destra una i vizi e le Lato
giovinetta con la fascia di console arpie in corto
allude alla Giustizia, mentre favore della
Ercole la Liberalità inonda il mondo di dell'abbon parete
3 allontana i monete, fiori e frutta dalla sua danza. interna
Vizi cornucopia (g). della
Cartiglio:
facciata
Sul cartiglio al centro del registro la
princip
inferiore del fregio è la Clava che prosperità
ale.
germoglia. e fertilità
sotto il
pontificato
Barberini.

Al centro è la Pace (h) in trono,


consigliata dalla Prudenza che invia
La pace
la Podestà a chiudere le porte del
vince sulla
tempio di Giano posto a destra. Su
guerra.
quest'ultimo lato giace a terra
il Furore (i), disarmato Cartiglio: Lato
Trionfo dalla Mansuetudine e incatenato su il sole è lungo
4
della Pace una catasta d'armi. A sinistra uno dei di
i Ciclopi (l) lavorano nelle officine simboli sinistra.
per fabbricare armi. araldici
dei
Sul cartiglio al centro del registro
Barberini.
inferiore del fregio è il Sole
Barberini.
Nel registro inferiore è la Divina
Provvidenza (m), dotata di scettro e
circondata da un alone luminoso che
allude alla sua emanazione divina.
Dietro di essa stanno
sedute Giustizia, Pietà, Potenza, Ve
rità, Bellezza e Pudicizia, mentre
poco sopra vola l'Immortalità,
rappresentata come Urania che Elezione
regge una corona di stelle. In basso di Urbano
sono Crono (n), con la falce, mentre VIII
divora uno dei suoi figli, e le Barberini
tre Parche, che filano la vita degli a
Scompa
uomini. pontefice
Trionfo rto
massimo
5 della Divina Nel registro superiore, al culmine centrale
in seno
Provvidenza della rappresentazione, sono della
alla
la Fede (vestita di di volta.
volontà
bianca), Speranza (vestita di verde)
della
e Carità (vestita di rosso) che
Divina
reggono una corona d'alloro, che
Provviden
nella forma richiama uno stemma,
za.
entro cui volano le api Barberini,
componendone appunto l'emblema
familiare (o). Ancora più in alto
sono la dea Roma col triregno e
la Gloria (o la Religione), con le
chiavi di san Pietro (p). Nel vertice
alto a sinistra è un putto con una
corona di alloro (q).

Telamoni e t
ritoni che
reggono un
clipeo
ottagonale
A
monocromo
raffigurante
la Storia di Colonn
Muzio a
Scevola. affresca
- Fortezza ta
inferior
e di
sinistra.

B Leone
Telamoni e t
ritoni che
reggono un
clipeo
ottagonale
C
monocromo
raffigurante
la Temperan Colonn
za di a
Scipione. affresca
Temperan
- ta
za
inferior
e di
destra.

D Liocorno

Telamoni e t
ritoni che
reggono un
clipeo
ottagonale
E
monocromo
raffigurante
la Giustizia Colonn
di Tito a
Manlio. affresca
Perspicaci
- ta
a
superio
re di
destra.

F Ippogrifo

G Telamoni e t - Sagacia Colonn


ritoni che a
reggono un affresca
clipeo ta
ottagonale superio
monocromo re di
raffigurante sinistra.
la Prudenza
di Fabio
Massimo.
H Due orsi

Note

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