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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “ROMA TRE”

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA GIURISPRUDENZA
LMG/01

TESI DI LAUREA
in

Filosofia del diritto

“Reasonable accomodation e diversity management:


strumenti di tutela del pluralismo”

Relatore: Chiar.mo Laureanda:


Prof. Fabrizio Mastromartino matr. :488085
Alexia Lepore

Anno Accademico 2022 – 2023


REASONABLE ACCOMODATION E DIVERSITY MANAGEMENT:
STRUMENTI DI TUTELA DEL PLURALISMO

Indice
Capitolo Primo ............................................................................. - 11 -
1.1 Contesto in cui si sviluppa l’accomodation come pratica a garanzia del
multiculturalismo.................................................................................- 11 -
1.1.1 Interculturalismo in ambito giuridico e nelle Costituzioni. ............. - 14 -
1.2 Definizione di “accomodation” e elementi costitutivi. ........................- 16 -
1.2.1 Due casi emblematici: il caso Kirpan ed il caso Multani. ................ - 20 -
1.3 Diritti tutelati dall’accomodation.........................................................- 27 -
1.3.1 Giurisprudenza della Corte di Strasburgo: sentenza Eweida and others
v. United Kingdom, Corte EDU, 15 gennaio 2013 .......................... - 40 -
1.3.2 Obiezione di coscienza e “Freedom to resign” ................................ - 51 -
1.3.3 Caso Hamidovic contro Bosnia Herzegovina .................................. - 62 -

Capitolo Secondo .......................................................................... - 67 -


2.1 Principi fondamentali sanciti nel TFUE e nella carta dei diritti
fondamentali dell’UE. .........................................................................- 67 -
2.1.1 Messaggi normativi a monte e a valle. ............................................. - 73 -
2.2 Pluralismo e diversity management. ....................................................- 79 -
2.2.1 Il radicamento del concetto di diversità nel contesto europeo. ........ - 89 -
2.3 Le Carte europee della diversità ..........................................................- 92 -
2.3.1 Le Carte della Diversità: i casi francese, tedesco, belga e spagnolo. - 94 -

Bibliografia ................................................................................. - 100 -

I
Alla mia Famiglia

II
INTRODUZIONE
L’accomodamento ragionevole è un principio fondamentale nel contesto del di-

ritto e dell’etica che mira a promuovere l’uguaglianza e l’inclusione delle persone

con disabilità o esigenze particolari. Questo principio si basa sulla convinzione che

la società dovrebbe fare sforzi ragionevoli per adattare le proprie norme, politiche

e pratiche al fine di consentire a tutte le persone di partecipare pienamente alla vita

sociale, economica e culturale. In questo saggio, esploreremo l’accomodamento ra-

gionevole in dettaglio, analizzando la sua importanza, le sfide associate e i benefici

che può portare a individui e società; è un concetto radicato nel diritto internazio-

nale dei diritti umani e in molte legislazioni nazionali. Ad esempio, la Convenzione

delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006 sottolinea l’im-

portanza dell’accomodamento ragionevole come un diritto fondamentale. Inoltre,

leggi come l’Americans with Disabilities Act negli Stati Uniti o la Legge 104/92 in

Italia richiedono che i datori di lavoro, i fornitori di servizi e le istituzioni pubbliche

adottino misure ragionevoli per consentire alle persone con disabilità di partecipare

pienamente alla società.

L’accomodamento ragionevole è essenziale per promuovere l’inclusione delle

persone con disabilità o esigenze particolari. Questo principio riconosce che le per-

sone sono diverse e che le norme o le pratiche standard non sempre sono adatte a

tutti. L’accomodamento ragionevole consente alle persone di superare le barriere

che potrebbero altrimenti limitare le loro opportunità e la loro partecipazione nella

società.

Un esempio classico è l’accomodamento delle persone con disabilità fisiche nei

luoghi di lavoro. Questo può includere l’installazione di rampe per carrozzine o

l’adattamento delle postazioni di lavoro in modo che siano accessibili a tutti. Grazie

III
a queste misure, le persone con disabilità possono lavorare in modo indipendente e

contribuire al loro massimo potenziale.

Nonostante i suoi vantaggi evidenti, può presentare sfide pratiche ed etiche. Una

delle principali sfide è determinare ciò che costituisce un accomodamento “ragio-

nevole”. Questo può variare notevolmente in base al contesto e alle risorse dispo-

nibili. Cosa è ragionevole in un’azienda multinazionale potrebbe non essere lo

stesso in una piccola impresa.

Inoltre, può sorgere il dilemma etico di quanto una società debba andare oltre

per fornire accomodamenti. Ad esempio, se un dipendente richiede un accomoda-

mento costoso che mette a rischio la sostenibilità finanziaria dell’azienda, dove

tracciamo la linea tra l’obbligo di accomodamento e il diritto dell’azienda di man-

tenere la sua stabilità economica?

Un’altra sfida è rappresentata dalle possibili resistenze o pregiudizi da parte di

individui o organizzazioni. Alcune persone potrebbero percepire l’accomodamento

come un onere ingiusto o un privilegio per pochi. Questo può portare a controversie

e conflitti.

Nonostante le sfide, l’accomodamento ragionevole offre numerosi vantaggi sia

a livello individuale che a livello sociale. Per le persone con disabilità o esigenze

particolari, l’accomodamento può significare l’opportunità di vivere una vita indi-

pendente, di lavorare, studiare e partecipare alla comunità. Ciò può migliorare no-

tevolmente la qualità della vita di queste persone e contribuire al loro benessere

emotivo e fisico.

Dal punto di vista sociale, favorisce l’uguaglianza e l’inclusione, promuovendo

una società più diversificata e rispettosa delle differenze. Inoltre, può contribuire

IV
all’innovazione e alla creatività, poiché l’inclusione di individui con prospettive

diverse può portare a nuove idee e soluzioni.

Per comprendere meglio il concetto di accomodamento ragionevole, conside-

riamo alcuni esempi pratici:

Nel Lavoro: Un dipendente con disabilità visiva richiede un software di lettura

dello schermo per svolgere compiti informatici. L’azienda fornisce il software e

forma il dipendente su come utilizzarlo.

Nella Scuola: Uno studente con disabilità di apprendimento riceve tempi ag-

giuntivi durante gli esami per compensare le sue difficoltà di lettura. Questo acco-

modamento gli consente di dimostrare il suo apprendimento in modo equo.

Nei Luoghi Pubblici: Un centro commerciale installa segnaletica in Braille per

aiutare le persone non vedenti a navigare all’interno del centro.

È importante riconoscere che l’accomodamento ragionevole non è un diritto as-

soluto. Deve essere bilanciato con altri interessi legittimi, come la sicurezza pub-

blica, la sostenibilità economica e il rispetto delle norme di base. Ad esempio, un

albergo potrebbe non essere obbligato a fornire un accomodamento ragionevole se

ciò mette a rischio la sicurezza degli altri ospiti.

Questo bilanciamento può portare a decisioni complesse e a dibattiti etici. Tut-

tavia, è fondamentale affrontare queste sfide con sensibilità ed equità, cercando

sempre soluzioni

L’accomodamento ragionevole è un principio fondamentale del diritto che ha

l’obiettivo di garantire l’uguaglianza di opportunità per tutte le persone, indipen-

dentemente dalle loro limitazioni fisiche, mentali o sociali. In un mondo sempre più

multiculturale, l’accomodation diventa un aspetto fondamentale del diritto, che

V
consente di preservare la diversità culturale e promuovere l’integrazione sociale.

Tale principio implica l’obbligo di modificare l’ambiente di lavoro, le politiche e le

pratiche di un’organizzazione al fine di consentire a un individuo di svolgere le sue

mansioni nel miglior modo possibile, al fine di superare le limitazioni o le barriere

che l’individuo potrebbe incontrare a causa di disabilità fisiche, mentali o altre cir-

costanze particolari.

L’obiettivo di questa tesi è quello di analizzare il concetto di accomodamento

ragionevole e la sua applicazione in diversi contesti giuridici. In particolare, si esa-

mineranno i fondamenti teorici e giuridici dell’accomodamento ragionevole, i casi

giudiziari in cui è stato invocato e le sfide che le organizzazioni possono incontrare

nel fornire accomodamenti ragionevoli ai propri dipendenti. Inoltre, è importante

sottolineare come la definizione dei limiti dell’accomodamento ragionevole debba

essere guidata dal rispetto dei diritti di tutti gli individui coinvolti, senza ledere i

diritti fondamentali di terzi. Infatti, la pratica dell’accomodamento ragionevole non

può essere utilizzata come pretesto per escludere una persona o per violare i diritti

degli altri membri della comunità. Piuttosto , il riconoscimento della diversità e

l’accomodamento ragionevole rappresentano una strada fondamentale per garantire

l’inclusione e la convivenza pacifica delle diverse comunità nella società contem-

poranea.

Nella prima parte della tesi, verrà fornita una panoramica sul contesto in cui si

sviluppa l’accomodamento, sulle basi giuridiche dell’accomodamento ragionevole,

concentrandosi sulle leggi nazionali e internazionali che ne regolamentano l’appli-

cazione. Si analizza l’interculturalismo in ambito giuridico e nelle Costituzioni, evi-

denziando come la tutela della diversità culturale sia diventata una questione

VI
centrale in molti Paesi del mondo.

Il capitolo continua poi con una definizione di “accomodation” e dei suoi ele-

menti costitutivi, prendendo in considerazione due casi emblematici: il caso Kirpan

ed il caso Multani. Si esamina come in questi casi la pratica dell’accomodation

abbia permesso di rispettare la diversità culturale e di conciliare i diritti delle mino-

ranze religiose con quelli della maggioranza.

Nella terza sezione del primo capitolo, si affronta la questione dei diritti tutelati

dall’accomodation. Si esamina la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in par-

ticolare la sentenza Eweida and others v. United Kingdom, del 15 gennaio 2013, e

si discute il diritto alla “freedom to resign”. Infine, si esamina il caso Hamidovic

contro Bosnia Herzegovina, per evidenziare come l’accomodation possa rappresen-

tare una soluzione per tutelare i diritti delle minoranze e promuovere l’integrazione

sociale. In conclusione, il primo capitolo di questa tesi fornisce una panoramica del

contesto in cui si sviluppa l’accomodation come pratica a garanzia del multicultu-

ralismo, definendo il concetto di “accomodation” e i suoi elementi costitutivi. La

tesi mira a contribuire alla comprensione di questo importante principio giuridico e

alla sua effettiva applicazione nella vita di tutti i giorni.

Il secondo capitolo di questa tesi approfondisce la gestione e la valorizzazione

della diversità nel diritto dell’Unione Europea. Si analizzano i principi fondamen-

tali sanciti nel TFUE e nella carta dei diritti fondamentali dell’UE, con un focus sui

messaggi normativi a monte e a valle nel diritto dell’Unione Europea; in breve, i

messaggi normativi a monte sono i principi e i valori di base sanciti nelle fonti

normative primarie, mentre i messaggi normativi a valle sono le norme, le politiche

e le pratiche specifiche che vengono adottate per mettere in atto tali principi nel

VII
contesto pratico dell’UE. I messaggi normativi a monte forniscono il fondamento

teorico e giuridico, mentre i messaggi normativi a valle rappresentano l’applica-

zione pratica di tali principi attraverso strumenti giuridici concreti.

Inoltre, si esamina il concetto di pluralismo e di diversity management, con par-

ticolare attenzione al radicamento del concetto di diversità nel contesto europeo.

Inoltre, viene esaminato il ruolo delle Carte europee della diversità nella ge-

stione e nella valorizzazione della diversità nel diritto dell’UE. Si esaminano i casi

francese, tedesco, belga e spagnolo, accennando alle politiche adottate a livello na-

zionale e regionale per promuovere la diversità culturale e il rispetto dei diritti delle

minoranze.

Infine, il capitolo si conclude con una riflessione sulle implicazioni della ge-

stione e della valorizzazione della diversità nel diritto dell’UE per la promozione

dell’integrazione sociale e la lotta contro la discriminazione. Si esplora come l’UE

stia cercando di promuovere la diversità culturale attraverso politiche e programmi

di finanziamento, e come questi sforzi stiano contribuendo a creare una società eu-

ropea più inclusiva e rispettosa della diversità culturale.

In conclusione, il secondo capitolo di questa tesi fornisce una panoramica delle

politiche e delle normative dell’UE per la gestione e la valorizzazione della diver-

sità culturale, con particolare attenzione alle Carte europee della diversità. La tesi

mira a contribuire alla comprensione di questi importanti principi giuridici, per pro-

muovere l’integrazione sociale e il rispetto della diversità culturale in Europa.

Insieme, questi due capitoli forniscono una sintetica panoramica delle politiche

e delle normative giuridiche, per di più, stanno a testimoniare di come la libertà

religiosa sia un diritto umano fondamentale, sancito dalla Convenzione europea dei

VIII
diritti dell’uomo, pur suscettibile di entrare in conflitto con altri diritti e interessi.

La Corte europea dei diritti dell’uomo è chiamata a bilanciare questi interessi con-

trapposti e a stabilire i limiti entro cui l’ambito protettivo della libertà religiosa si

estende. Tuttavia, ci sono ancora molte questioni aperte riguardo a come tracciare

questi limiti e a come conciliare la libertà religiosa con altre esigenze sociali e di

sicurezza. La pronuncia della Corte nella vicenda Hamidovic segna un passo avanti

verso un’interpretazione più ampia dell’ambito protettivo dell’art. 9 della Conven-

zione, ma ancora molti interrogativi rimangono irrisolti. In generale, questi due ca-

pitoli vogliono sottolineare che la tutela della libertà religiosa rappresenta una sfida

per le corti europee, che devono trovare un equilibrio tra la tutela dei diritti fonda-

mentali dei singoli e l’interesse della società nel suo complesso.

È importante riconoscere che la promozione dell’integrazione sociale e della di-

versità culturale non è solo un obiettivo giuridico, ma anche un obiettivo sociale ed

educativo. È necessario quindi creare una società europea che promuova il rispetto

della diversità culturale, in cui le persone possano sentirsi libere di esprimere la

propria identità culturale e di partecipare alla vita sociale, economica e politica del

paese in cui vivono.

In questo contesto, l’accomodamento ragionevole rappresenta una pratica im-

portante per garantire il rispetto dei diritti delle minoranze e la loro piena parteci-

pazione alla vita sociale ed economica. Tuttavia, come si è visto, la sua applica-

zione richiede un equilibrio tra i diritti delle minoranze e i diritti della maggioranza,

e deve essere basata su criteri chiari e oggettivi per evitare abusi.

In sintesi, la promozione della diversità culturale e l’accomodamento ragione-

vole rappresentano due principi fondamentali per la costruzione di una società

IX
europea inclusiva e rispettosa della diversità culturale. La tesi mira a contribuire a

questa importante riflessione, auspicando che i principi esaminati possano essere

applicati in modo efficace e giusto nella vita di tutti i giorni, per creare un’Europa

più giusta e solidale per tutti.

X
CAPITOLO PRIMO

PRATICA DELL’ACCOMODATION

1.1 Contesto in cui si sviluppa l’accomodation come pratica a


garanzia del multiculturalismo
Il termine “multiculturalismo” è entrato nel linguaggio giuridico in momenti di-

versi a seconda del contesto geografico e delle sfide sociali dovute all’aumento

dell’eterogeneità culturale.

Il Canada è stato il primo Paese a introdurre il multiculturalismo come politica

ufficiale attraverso il Multiculturalism Act1 del 1988. Questa politica riflette l’im-

portanza della diversità culturale nella società canadese2, composta da una vasta

gamma di culture, lingue e religioni. Il governo canadese promuove la diversità

culturale attraverso leggi e politiche che enfatizzano l’uguaglianza e il rispetto per

tutte le culture3.

1
Il Canadian Multiculturalism Act è una legge canadese introdotta nel 1988 dal
Parlamento del Canada in risposta a dibattiti sulla diversità culturale e linguistica nel Paese.
Questo atto è stato promulgato dopo anni di discussione riguardo al bilinguismo e al
biculturalismo iniziati negli anni ‘60, con tensioni tra francofoni e anglofoni. Inoltre, la
questione dei diritti degli aborigeni, noti come le Prime Nazioni, era una fonte di conflitto.
Nel 1971, il Primo Ministro Pierre Trudeau aveva introdotto la Multiculturalism Policy of
Canada, segnando un passo storico verso una politica multiculturale. Nel 1982, la Canadian
Charter of Rights and Freedom aveva confermato l’impegno del Canada verso il
multiculturalismo. Nel 1985, è stata emanata la Broadcasting Policy Reflecting Canada’s
Linguistic and Cultural Diversity, riconoscendo l’importanza dei media in lingue non
ufficiali. Nel 1988, durante il governo di Brian Mulroney, il Canadian Multiculturalism Act
è stato approvato, stabilendo ufficialmente il multiculturalismo come valore fondamentale
della società canadese. Cfr. ‘Canadian Multiculturalism - Background Paper Archiviato il
23 maggio 2013 in Internet Archive.’, Publication N°2009-20-E, 15 settembre 2009,
revisionata il 14 maggio 2013, sul sito del Parlamento del Canada.
2
Piciocchi, C., “L’interculturalismo nel diritto costituzionale: una storia di parole”.
DPCE online, 39(2). 2019.
3
La Carta canadese dei diritti e delle libertà, è una dichiarazione dei diritti incorporata
nella Costituzione del Canada; essa forma la prima parte della Legge costituzionale del
1982. Il suo scopo è quello di garantire diritti politici ai cittadini canadesi, e diritti civili a

- 11 -
Il contesto giuridico canadese rappresenta un importante punto di riferimento per

la comprensione del concetto di multiculturalismo. Questo contesto ha attirato l’at-

tenzione di studiosi, specialmente in Paesi in cui il multiculturalismo è emerso suc-

cessivamente. Il sistema legale canadese è utile per esaminare il significato giuri-

dico di un concetto che ha anche una dimensione politica, come evidenziato dalla

giurisprudenza della Corte suprema canadese.

La parola “multiculturalismo” è spesso menzionata nella giurisprudenza cana-

dese, ma non si trova comunemente nelle decisioni della Corte costituzionale ita-

liana. Tuttavia, la dottrina italiana e di altri Paesi lo ha utilizzato ampiamente per

descrivere la crescente diversità sociale e le relative sfide. Un importante contributo

alla comprensione del multiculturalismo è stato il libro di Will Kymlicka, “Cittadi-

nanza Multiculturale”, pubblicato nel 1995.

Va notato che il Canada presenta peculiarità, come la presenza di popolazioni

indigene, che lo avvicinano ad altri Paesi come l’Australia e alcune nazioni suda-

mericane, dove il multiculturalismo è parte della costituzione. Questa realtà è meno

comune in Europa, a parte i Sami. Inoltre, la coesistenza di gruppi linguistici anglo-

foni e francofoni è un elemento centrale nella concezione del multiculturalismo in

Canada.

La comprensione del multiculturalismo è complicata dalla sua stretta connes-

sione con il contesto sociale in cui viene considerato. Anche quando diventa un

concetto giuridico, rimane influenzato e definito dalla società stessa. Inoltre, il ter-

mine “multiculturalismo” è polisemico, cioè può avere diversi significati a seconda

chiunque si trovi in Canada, rispetto alle politiche e alle azioni di tutti i livelli di governo.

- 12 -
del contesto in cui è utilizzato4.

Nella letteratura giuridica, il multiculturalismo è una teoria che riguarda la rela-

zione tra il diritto e la cultura. Essa sostiene che la giustizia giuridica dovrebbe

essere adattata alle esigenze e alle tradizioni culturali delle diverse comunità cultu-

rali all’interno di una società. Questo approccio favorisce la diversità dei valori cul-

turali, la tolleranza e la protezione dei diritti umani e delle libertà individuali all’in-

terno di contesti culturalmente diversi.

La letteratura giuridica sul multiculturalismo esplora temi come il conflitto tra

le norme culturali e il diritto, la creazione di norme giuridiche che rispettino la di-

versità culturale e l’equilibrio tra la tutela dei diritti individuali e la protezione delle

tradizioni culturali.

Il termine “multiculturalismo” ha diverse interpretazioni a seconda del contesto5:

1. In senso positivo, è visto come una celebrazione della diversità culturale e

un impegno per l’uguaglianza e il rispetto per tutte le culture.

2. In senso negativo, può essere considerato una minaccia per l’identità cultu-

rale dominante e una fonte di divisione e conflitto sociale.

3. In senso politico, è una politica pubblica che promuove la diversità culturale

e la tolleranza, sostenendo la protezione dei diritti umani e delle libertà indi-

viduali.

4. In senso sociologico, rappresenta la presenza di molte culture diverse all’in-

terno di una società e le interazioni tra di esse.

4
Op. cit., Piciocchi, L’interculturalismo nel diritto costituzionale: una storia di parole,
2019.
5
Lanzillo Maria Laura, “il Multicultualismo” in Biblioteca Essenziale, edizione digitale
:ottobre 2015, Editori Laterza, Bari.

- 13 -
Dunque, il significato del multiculturalismo varia a seconda del contesto e della

prospettiva di chi lo utilizza6

Secondo il filosofo e politico canadese Will Kymlicka, il fallimento del multi-

culturalismo può essere attribuito a vari fattori, tra cui la mancanza di rispetto e

comprensione tra gruppi culturali diversi, politiche pubbliche inadeguate, eccessivo

accentramento del potere e mancanza di partecipazione politica da parte delle mi-

noranze culturali. In sintesi, Kymlicka ritiene che il fallimento del multiculturali-

smo possa derivare da una combinazione di questi fattori7.

1.1.1 Interculturalismo in ambito giuridico e nelle Costituzioni.

Il declino del multiculturalismo e l’ascesa dell’interculturalismo sono stati in-

fluenzati da un cambiamento nell’approccio delle società alla diversità culturale. Il

multiculturalismo ha promosso la coesistenza di culture diverse all’interno di una

società, ma ha anche enfatizzato la necessità di mantenere le culture separate, por-

tando a una separazione tra i gruppi culturali e mancanza di integrazione.

L’interculturalismo, d’altra parte, sottolinea la cooperazione e il dialogo tra le

culture, promuovendo l’integrazione e il rispetto reciproco. Si concentra sulla crea-

zione di una società inclusiva in cui tutte le culture sono valorizzate e i gruppi cul-

turali lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni.

La transizione dal multiculturalismo all’interculturalismo è dovuta a una mag-

giore consapevolezza delle sfide e delle opportunità legate alla diversità culturale e

6
L’indagine è stata condotta nel progetto di ricerca Multiculturalism Policy Index della
Queen’s University di Kingston , Ontario. Con specifico riferimento al Canada , inoltre il
rapporto L.Brosseau ,M.Dewing, Canadian Multiculturalism Background Paper, Ottawa,
Canada 2018
7
W.Kymlicka , The Three Lives of Multiculturalism, in S. Guo, L.Wong (a cura di) ,
Revisiting Multiculturalism in Canada: Theories, Policies, and Debates, Rotterdam ,2015.

- 14 -
al desiderio di società più inclusive e integrate. L’uso del termine “interculturali-

smo” nel contesto giuridico, poi, specialmente nelle Costituzioni8, indica un cam-

biamento culturale in cui la gestione della diversità culturale è vista come respon-

sabilità non solo dei politici, ma anche della società civile9; nel settore dell’istru-

zione10, è un segno di un recente cambiamento culturale in cui la gestione della

diversità culturale è vista come una responsabilità non solo dei responsabili politici

del governo (policy makers), ma anche della società civile . Il compito del legisla-

tore e delle istituzioni è quello di mettere i cittadini in condizione di comprendere

il significato che può derivare da altri valori culturali e norme comportamentali di-

verse da quelle assunte dal più ampio contesto sociale.

La competenza interculturale è ora considerata fondamentale e dovrebbe essere

promossa in tutti i settori, con istituzioni e ordinamenti che assumono la responsa-

bilità di creare un quadro concettuale in cui il termine “multiculturalismo” acquisi-

sce significato. Tuttavia, rimane una questione chiave: la diversità culturale richiede

una “accomodation” adeguata per garantire la sostenibilità e evitare disparità

8
Stato interculturale, cfr. Bagni, S. “Lo Stato interculturale: una nuova eutopia?
“.Bologna. 2017.
9
Op. cit., Piciocchi, L’interculturalismo nel diritto costituzionale: una storia di parole,
2019.
10
Il ruolo cruciale dell’istruzione e il suo legame con l’idea di interculturalità sono
evidenziati in documenti adottati dal Consiglio d’Europa quali: Consiglio D’Europa ,
Recommendation Rec (2001) 15 of the Committee of Ministers to member states on history
teaching in twenty-century Europe a favore dell’insegnamento della storia; Consiglio
D’Europa, Recommendation CM/Rec (2011)6 of the Committee of ministers to member
states on intercultural dialogue and the image of the other in history teaching (Adopted by
the Committee of Ministers on 6 July 2011 at the 1118th meeting of the Ministers’Deputies)
sul dialogo interculturale e l’uso dell’altro nell’insegnamento della storia secondaria dove
viene affrontato anche il tema dell’insegnamento della storia come presupposto per
l’interculturalismo educativo nel quale si favorisca la diffusione di materiali che di fronte
agli stereotipi reagiscono con la comunicazione e la comprensione del diverso da sé
attraverso anche il coinvolgimento responsabile di docenti e studenti come appare nella
Recommendation CM/Rec(2009)4 of the Committee of Ministers to member states on the
education of Roma and Travellers in Europe. del Consiglio d’Europa,

- 15 -
razziali.

In questo contesto, la parola “accomodation” assume un ruolo cruciale per com-

prendere appieno questo passaggio e riflette la necessità di trovare un modo per

gestire e accogliere adeguatamente le diverse identità culturali in una società inter-

culturale.

1.2 Definizione di “accomodation” e elementi costitutivi.


Il termine “accommodation” nel contesto delle riflessioni sul multiculturalismo

è spesso difficile da tradurre in italiano, soprattutto nell’ambito giuridico. La parola

“accomodamento” talvolta viene utilizzata per tradurre il termine inglese, ma que-

sta traduzione coglie solo in parte la complessità del concetto, poiché si riferisce

principalmente a un risultato, ossia l’accordo basato su un compromesso, che rap-

presenta solo una parte della questione più ampia11.

La difficoltà di traduzione non deriva tanto dalla lingua quanto dalla difficoltà

di trovare un equivalente funzionale che esprima lo stesso significato. Negli Stati

Uniti e in Canada, il termine “accomodation” appare nelle normative giuridiche e

nei discorsi delle corti ed è parte di un processo dialogico che può portare all’attri-

buzione di “diritti speciali” in base all’identità religiosa e/o culturale di un individuo

11
L’accomodamento, secondo il Vocabolario Treccani, può essere descritto come
segue:
«Si tratta di un termine che indica l’atto di adattarsi o raggiungere un accordo reciproco
tra parti coinvolte in una disputa al di fuori del contesto giuridico, noto come transazione
extragiudiziale. Inoltre, nell’esegesi biblica, l’accomodamento implica citare passi della
Bibbia in modo indipendente dal loro significato originale, applicandoli a situazioni o
persone diverse da quelle descritte nel testo originale. In ambito meccanico, si riferisce
all’accomodamento elastico, un fenomeno che si verifica durante i cicli di isteresi elastica,
comportando la graduale eliminazione di tale isteresi. Infine, in fisiologia e ottica,
l’accomodamento si riferisce all’adattamento dell’occhio o di uno strumento ottico per
consentire la visione chiara di un oggetto, con il termine “accomodazione” utilizzato
principalmente per descrivere questo processo nell’occhio.»

- 16 -
o di un gruppo.

Anche in Europa, esistono casi in cui vengono attribuiti “diritti speciali”, come

ad esempio l’obiezione di coscienza, che consente l’esenzione da determinati ob-

blighi in virtù delle convinzioni culturali o religiose di un individuo, indipendente-

mente dall’appartenenza a un gruppo. Al di là di questi diritti “classici,” gli ordina-

menti europei riconoscono anche altre forme di riconoscimento legale della diver-

sità culturale, come la possibilità di praticare la macellazione rituale in deroga alle

norme giuridiche standard o il diritto di astenersi dal lavoro o dagli obblighi scola-

stici in occasione di festività religiose non maggioritarie.

Nell’ambito del dibattito sul multiculturalismo, le parole svolgono un ruolo cru-

ciale. È importante distinguere tra i “diritti speciali,” che rappresentano eccezioni

riconosciute in virtù dell’identità culturale o religiosa, e i diritti fondamentali appli-

cati a nuove realtà culturali o religiose. Ad esempio, il controverso diritto di indos-

sare il velo islamico rientra nella libertà di indossare simboli religiosi, che non cam-

bia a seconda della natura del simbolo in sé, ma è soggetta agli stessi limiti (possi-

bilità di identificazione, buon costume, pubblica sicurezza, ecc.) senza vincolarsi a

un significato specifico12.

L’accomodamento è un principio giuridico che richiede ai datori di lavoro, agli

enti pubblici e ad altre istituzioni di prendere in considerazione le richieste di acco-

modamento basate su ragioni religiose, culturali o di salute, a condizione che tali

richieste non causino un onere eccessivo.

12
Op. cit., Piciocchi, L’interculturalismo nel diritto costituzionale: una storia di parole,
2019.. pag 1297

- 17 -
Gli elementi costitutivi dell’accomodamento ragionevole13 sono:

1. Richiesta valida: La persona che richiede l’accomodamento deve farlo per

ragioni religiose, culturali o di salute.

2. Obbligo di considerare la richiesta: Il datore di lavoro, l’ente pubblico o

l’istituzione deve prendere in considerazione la richiesta di accomoda-

mento.

3. Burden undue: L’accomodamento non deve causare un onere eccessivo.

4. Soluzione equa: L’accomodamento deve essere equo e inclusivo, garan-

tendo che la persona che lo richiede sia trattata equamente rispetto agli

altri.

5. Scopo legittimo: La richiesta di accomodamento deve essere giustificata

da uno scopo legittimo e non deve essere utilizzata per discriminare o per-

seguire fini illeciti.

In sintesi, l’accomodamento presuppone che la richiesta sia valida, che venga

presa in considerazione e che sia fornita un adeguato accomodamento, se possibile,

senza causare un onere eccessivo e garantendo l’uguaglianza di trattamento e lo

scopo legittimo14.

Il concetto giuridico di “accommodation” è una modalità tipica del ragionamento

legale nordamericano che comporta un obbligo legale, anziché una mera preferenza

personale o buona volontà. Questo concetto è stato ampiamente esemplificato nei

casi giuridici canadesi riguardanti il riconoscimento di identità culturali e religiose.

Pannia P., “la diversità rivendicata: giudici,diritti e culture, tra Italia e Regno Unito.
13

Uno studio comparato” , CISR , centro italiano per lo sviluppo della ricerca, CEDAM.
14
Bruzzone S., “L’inclusione lavorativa egli accomodamenti ragionevoli: prime
riflessioni”, in Bollettino speciale Adapt, 18 maggio 2016, n.7

- 18 -
Nel contesto di richieste legate alla vita quotidiana, come il diritto di indossare

abbigliamento religioso (come il turbante per i Sikh) o di avere giorni di assenza

dal lavoro diversi da quelli contrattualmente stabiliti, i tribunali hanno enfatizzato

l’obbligo di avviare un dialogo. Tuttavia, gli esiti di tali casi possono variare, poiché

il diritto di un lavoratore Sikh di indossare il turbante in ufficio o il diritto degli

studenti di cibo conforme alle loro credenze religiose non sono sempre garantiti.

Inoltre, l’obbligo di accommodation, soprattutto nel contesto lavorativo, esiste solo

se non comporta un eccessivo onere per l’azienda.

Le corti sono chiare nel sottolineare che, di fronte a richieste sincere e serie,

prendere in considerazione soluzioni alternative non è un’opzione, ma un obbligo.

Anche se una soluzione pratica potrebbe non essere sempre possibile, l’obbligo di

avviare un dialogo rimane.

Questo obbligo di dialogo non riguarda solo la parte a cui è rivolta la richiesta di

accommodation (come il datore di lavoro o la scuola), ma anche il richiedente, che

deve essere disposto ad accettare una soluzione compatibile con le sue richieste, se

gliene viene offerta una.

In questa prospettiva, il processo dialogico dell’accommodation sembra fornire

una dimensione giuridica al concetto politico di reciproca comprensione, imponen-

dolo anche quando non nasce spontaneamente. Questa dimensione potrebbe essere

meno presente in ordinamenti in cui il dialogo non è tradizionalmente enfatizzato,

distanziandosi quindi dal mondo giuridico.

Emerge una prospettiva più ampia che collega la società e il diritto, il pluralismo

sociale e le norme giuridiche. Questo legame è essenziale per il multiculturalismo

- 19 -
al fine di evitare un senso di inadeguatezza e garantire la sua sostenibilità.

L’interculturalismo, specialmente nell’ambito dell’istruzione, sembra rispon-

dere a questa esigenza, dando voce alla necessità di creare un terreno comune les-

sicale e concettuale per la pluralità culturale, non solo come compito della politica,

ma anche del diritto.

1.2.1 Due casi emblematici: il caso Kirpan ed il caso Multani.

In un recente caso italiano, si è verificato un dibattito riguardo ai rapporti tra

ordinamenti giuridici e identità culturali. Nel 2013, un uomo di fede Sikh è stato

fermato dalla polizia per il possesso di un pugnale cerimoniale chiamato Kirpan. È

stato accusato in base all’articolo 4 della legge n. 110 del 197515 relativo al possesso

di armi o oggetti atti ad offendere. L’imputato è stato condannato, ma ha fatto ri-

corso in Cassazione. Tuttavia, la Suprema Corte ha confermato la condanna, soste-

nendo che l’aspetto religioso non era rilevante16.

Questo caso ha scatenato un ampio dibattito17, e in molti hanno fatto riferimento

15
Art. 4 legge n. 110 del 1975: «(…) Senza giustificato motivo, non possono portarsi,
fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale
acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde,
bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente
come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di
luogo, per l’offesa alla persona (…)».
16
Negri, A., “Sikh condannato per porto del kirpan: una discutibile sentenza della
Cassazione su immigrazione e” valori del mondo occidentale”: Nota a Cass., sez. I, sent.
31 marzo 2017 (dep. 15 maggio 2017), n. 24048, Pres. Mazzei, Rel. Novik, Imp. Singh”.
DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO, 2017(7-8), 246-250. 2017.
https://air.unimi.it/bitstream/2434/547561/2/DPC%20%7C%20Sikh%20condannato%
20per%20porto%20del%20kirpan%3A%20una%20discutibile%20sentenza%20della%20
....pdf
17
Cfr. Op. cit., Piciocchi, L’interculturalismo nel diritto costituzionale: una storia di
parole, 2019. p. 1300. La sentenza suscitò un’ampia risonanza per una delle motivazioni
che conteneva: «(i)n una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa
richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società
di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della
cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 Cost. che valorizza il

- 20 -
a una sentenza della Corte suprema canadese chiamata Multani, che affronta la que-

stione del Kirpan. Nel caso canadese, uno studente Sikh aveva portato accidental-

mente il suo Kirpan a scuola18, scatenando un dibattito sulla sua ammissibilità a

causa del potenziale rischio. La Corte suprema canadese ha bilanciato la libertà re-

ligiosa con le esigenze di sicurezza scolastica, stabilendo la possibilità di una “rea-

sonable accommodation”.

La Corte ha riconosciuto che il comportamento dello studente era una manife-

stazione sincera della sua fede religiosa e ha stabilito che, essendo Sikh ortodosso,

non poteva indossare un Kirpan fatto di materiale diverso dal metallo. Pur ricono-

scendo le preoccupazioni per la sicurezza degli studenti, la Corte ha sostenuto che

il livello di sicurezza dovrebbe essere ragionevole, non assoluto. In altre parole, se

fosse stato necessario, sarebbe stato possibile installare metal detector all’ingresso

della scuola e vietare oggetti pericolosi come forbici, compassi, mazze da baseball,

ma non il Kirpan, purché fosse stato indossato in modo sicuro sotto i vestiti dello

studente. Questa misura è stata considerata un esempio di “reasonable

pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della
civiltà giuridica della società ospitante. È quindi essenziale l’obbligo per l’immigrato di
conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di
inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i
principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico
che la disciplina. La decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha
consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza ne impone
il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le
leggi vigenti nel Paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società
ospitante. La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di
arcipelaghi culturali configgenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi
l’unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro Paese che individua la sicurezza
pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti
atti ad offendere».
18
Cfr. Multani v. Commission scolaire Marguerite-Bourgeoys, [2006] 1 S.C.R. 256,
2006 SCC 6. https://scc-csc.lexum.com/scc-csc/scc-csc/en/item/15/index.do

- 21 -
accommodation”19.

Il Tribunale di primo grado aveva condannato l’imputato, sostenendo che le

usanze religiose non potevano abrogare le norme penali. L’imputato aveva cercato

di annullare la sentenza, invocando l’art. 19 della Costituzione, sostenendo che il

kirpan fosse un simbolo religioso giustificato dalla sua fede.

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, seguendo un orientamento

giurisprudenziale precedente del 2016 che aveva stabilito che il motivo religioso

non poteva giustificare il porto in pubblico del kirpan. Questa decisione ha suscitato

molta attenzione a differenza delle pronunce del 2016, principalmente a causa del

richiamo alla conformità ai “valori del mondo occidentale” da parte degli immi-

grati, un concetto vago e controverso.

Avverso tale sentenza, l’imputato ha interposto impugnazione per saltum20 , che

ne ha chiesto l’annullamento per violazione dell’art. 4, l. n. 110/1975, in quanto il

porto di coltello era giustificato dalla sua religione e trovava tutela nell’art. 19

Cost.21: il coltello Kirpan, come il turbante, era un simbolo del credo dei sikh e il

porto del medesimo costituiva adempimento del dovere religioso.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato e sottolineando la

valenza del precetto costituzionale dell’art. 19 Cost. e i principi di sicurezza e di

ordine pubblico22.

19
Cassazione penale sez. I, 31 Marzo 2017, n.24084
20
Dispositivo dell’art.569 codice di procedura penale, «La parte che ha diritto di
appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione».
21
Art.19 Cost. «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in
qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in
pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.»
22
A. Negri, Sikh condannato per porto del kirpan: una discutibile sentenza della
cassazione su immigrazione e “valori del mondo occidentale”, Nota a Cass., sez. I, sent.
31 marzo 2017 (dep. 15 maggio 2017), n. 24048, Pres. Mazzei, Rel. Novik, Imp. Singh, in

- 22 -
I Supremi giudici hanno richiamato, in termini generali, il fatto che l’assenza di

giustificato motivo è prevista come elemento di tipicità del fatto-reato (Sez. Un.

pen., 9 luglio 1997, n. 7739), ed hanno affermato che il giustificato motivo, richiesto

dall’art. 4, comma 2, l. n. 110/1975, ricorre « quando le esigenze dell’agente siano

corrispondenti a regole relazionali lecite rapportate alla natura dell’oggetto, alle

modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi

dell’accadimento e alla normale funzione dell’oggetto » (cfr. Cass. pen., Sez. I, 14

gennaio 2008, n. 449823; e più di recente Cass. pen., Sez. I, n. 24739/201624).

Nel caso in questione, il Collegio giudicante ha respinto l’argomento secondo

cui il gesto di portare un coltello avrebbe potuto costituire una giustificazione le-

gale. Questo è stato fatto sulla base dell’idea che in una società multietnica, la

Penale contemporaneo.
23
Cassazione penale sez. I, 14/01/2008, n.4498 ARMI E MATERIE ESPLODENTI -
Porto abusivo : « Il “giustificato motivo” del porto degli oggetti di cui all’art. 4, comma 2,
l. 18 aprile 1975, n. 110, ricorre solo quando particolari esigenze dell’agente siano
perfettamente corrispondenti a regole comportamentali lecite relazionate alla natura
dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del
portatore, ai luoghi dell’accadimento, alla normale funzione dell’oggetto.»
24
CONSIDERATO IN DIRITTO, Cassazione penale sez. I, 01/03/2016, (ud.
01/03/2016, dep. 14/06/2016), n.24739 : Il ricorso è stato accolto in quanto la sentenza
impugnata non ha correttamente interpretato e applicato la legge del 18 aprile 1975, numero
110, articolo 4. Secondo la decisione della Corte, il “giustificato motivo” rilevante ai sensi
di questo articolo non può essere quello dichiarato successivamente dall’imputato o dalla
sua difesa, ma deve essere immediatamente espresso e verificabile dai verbalizzanti.
Inoltre, le ragioni che spingono una persona a portare un’arma fuori dalla propria abitazione
devono rispettare regole comportamentali lecite relative alla natura dell’oggetto, alle
modalità di verifica dei fatti, alle condizioni personali del portatore, ai luoghi dell’incidente
e alla normale funzione dell’oggetto.
Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che il motivo religioso addotto dall’imputato, in
quanto membro della religione Sikh che richiede ai fedeli di portare un pugnale chiamato
“kirpan”, non esclude automaticamente la rilevanza penale del fatto. Questo perché il
motivo religioso è stato dichiarato in seguito al controllo e perché la libertà di culto o di
fede ha dei limiti, come sancito dall’articolo 8 della Costituzione italiana, che impedisce
agli statuti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica di entrare in conflitto con le
leggi italiane e con le norme per la tutela della sicurezza pubblica.
Di conseguenza, la sentenza impugnata è stata annullata e il caso è stato rinviato per un
nuovo esame, tenendo conto dei principi giuridici stabiliti dalla Corte.

- 23 -
convivenza tra individui di diverse etnie richiede l’identificazione di un nucleo co-

mune in cui gli immigrati e la società ospitante devono trovare un punto di riferi-

mento. Se l’integrazione non richiede necessariamente l’abbandono della propria

cultura di origine, in linea con quanto previsto dall’articolo 2 della Costituzione,

che valorizza il pluralismo sociale, il limite insormontabile è rappresentato dal ri-

spetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. Pertanto, è

essenziale che gli immigrati si inseriscano nella società ospitante e verifichino in

anticipo la compatibilità dei loro comportamenti con i principi che la regolano e la

liceità di tali comportamenti in relazione all’ordinamento giuridico che la governa.

Non è accettabile che l’attaccamento ai propri valori, anche se legittimi secondo le

leggi del Paese di origine, porti alla violazione consapevole dei valori della civiltà

ospitante.

Di conseguenza, non vi sono restrizioni alla libertà di religione e al libero eser-

cizio del culto, a meno che i relativi rituali non siano contrari all’ordine pubblico,

inteso come la convivenza pacifica e la sicurezza. Questo principio è stato ribadito

anche nella sentenza della Corte Costituzionale numero 63/2016, che ha sottoli-

neato l’importanza di bilanciare la libertà di culto con gli interessi costituzionali

legati alla sicurezza, all’ordine pubblico e alla convivenza pacifica.

Inoltre, l’articolo 9, comma 2, della Convenzione Europea per i Diritti

dell’Uomo afferma che la libertà di manifestare la propria religione o il proprio

credo può essere soggetta solo a restrizioni previste per legge, necessarie in una

società democratica per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della mo-

rale pubblica, o per la protezione dei diritti e delle libertà degli altri. La giurispru-

denza europea ha confermato la possibilità per uno Stato di limitare la libertà di

- 24 -
manifestare una religione se l’uso di tale libertà entra in conflitto con la protezione

dei diritti e delle libertà degli altri, della sicurezza e dell’ordine pubblico.

Dopo questa decisione, è emerso un ampio dibattito, e talvolta è stato fatto rife-

rimento a un caso canadese come esempio di accomodamento in una prospettiva

comparata.

Il caso Multani riguarda la questione del bilanciamento tra la libertà religiosa

delle persone che indossano il Kirpan, un simbolo religioso Sikh, e le esigenze di

sicurezza. In Canada, le Corti hanno affrontato questa questione in diversi contesti,

con risultati variabili. In alcuni casi, è stato confermato il divieto di indossare il

Kirpan in determinati luoghi, mentre in altri contesti, la regolamentazione legale è

stata interpretata in modo meno restrittivo. Ad esempio, in situazioni legate all’ac-

cesso agli aerei e alle aule parlamentari, le considerazioni sulla sicurezza hanno

spesso prevalso sulla libertà religiosa delle persone.25.

Nel 2001, G e suo padre B, entrambi seguaci della religione sikh ortodossa, si

trovarono nel mezzo di una controversia legale riguardo all’uso del kirpan, un pu-

gnale simbolico richiesto dalla loro fede. G aveva accidentalmente fatto cadere il

suo kirpan nel cortile della scuola che frequentava. Il consiglio scolastico aveva

autorizzato G a indossare il kirpan a scuola a condizione che fosse sigillato all’in-

terno dei vestiti e rispettasse determinate condizioni. G ed i suoi genitori avevano

accettato quest’accordo.

Tuttavia, il consiglio di amministrazione della scuola aveva rifiutato di ratificare

l’accordo, sostenendo che l’uso del kirpan violava il codice deontologico della

25
Cfr. SUPREME COURT OF CANADA, Multani v. Commission scolaire Marguerite-
Bourgeoys, [2006] 1 S.C.R. 256, 2006 SCC 6.

- 25 -
scuola che vietava il porto d’armi. Questa decisione era stata confermata dal consi-

glio di amministrazione del consiglio scolastico. Successivamente, il padre di G, B,

aveva presentato un’istanza legale presso la Corte di Cassazione, cercando una di-

chiarazione che annullasse la decisione del consiglio di amministrazione.

La Corte Superiore aveva accolto la richiesta dichiarando nulla la decisione del

consiglio di amministrazione e autorizzando G a indossare il kirpan con alcune re-

strizioni. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva annullato questa sentenza, stabilendo

che il controllo della sicurezza dovrebbe essere ragionevole anziché assoluto. Inol-

tre, la Corte d’Appello aveva ritenuto che il divieto assoluto di indossare un kirpan

non fosse una delle alternative ragionevoli disponibili.

La Corte d’Appello aveva concluso che la decisione del consiglio di amministra-

zione violava la libertà religiosa di G secondo la Carta canadese dei diritti e delle

libertà e la Carta dei diritti umani e delle libertà del Québec. Tuttavia, questa viola-

zione era giustificata in base a determinati articoli di legge.

La Corte aveva respinto gli argomenti a favore del divieto assoluto di indossare

il kirpan, sostenendo che il rischio di uso violento del kirpan da parte di G o di altri

studenti era molto basso. Inoltre, non erano stati segnalati incidenti violenti relativi

all’uso del kirpan nelle scuole. La Corte aveva sottolineato che, sebbene non fosse

necessario attendere il verificarsi di danni per agire, le preoccupazioni sulla sicu-

rezza dovevano essere chiaramente dimostrate per giustificare la violazione di un

diritto costituzionale.

Infine, la Corte aveva respinto l’argomento secondo cui il kirpan doveva essere

vietato come simbolo di violenza, sottolineando la natura simbolica del kirpan e il

rispetto per la tolleranza religiosa e i valori del multiculturalismo in Canada. La

- 26 -
sentenza aveva quindi stabilito che G potesse indossare il suo kirpan a scuola, se-

guendo le restrizioni stabilite dalla Superior Court tenendo conto di quanto conte-

nuto nella Carta dei diritti canadesi a riguardo delle minoranze religiose26.

Se alcuni studenti ritengono ingiusto che G possa indossare il suo kirpan a scuola

mentre non è loro permesso di avere coltelli in loro possesso, spetta alle scuole

adempiere al loro obbligo di infondere nei loro studenti questo valore che è alla

base stessa della nostra democrazia. Un divieto totale di indossare il kirpan a scuola

mina il valore di questo simbolo religioso e indirizza, agli studenti, il messaggio

che alcune pratiche religiose non meritano la stessa protezione di altre 27. “Acco-

gliere” G e permettergli di indossare il suo kirpan a determinate condizioni dimostra

l’importanza che la nostra società attribuisce alla protezione della libertà di reli-

gione e al rispetto delle sue minoranze. Gli effetti deleteri di un divieto totale supe-

rano quindi i suoi effetti benèfici.

1.3 Diritti tutelati dall’accomodation


Il diritto ha sempre svolto un ruolo fondamentale nella creazione di identità so-

ciali e antropologie specifiche. Ogni grande operazione giuridica ha delineato un

proprio modello di persona, che non si limitava a riflettere la natura umana, ma

risultava da una complessa selezione di ciò che poteva essere incluso nel contesto

giuridico e ciò che doveva rimanerne escluso. Questo processo ha contribuito a de-

finire ciò che significa essere un essere umano in un contesto giuridico così come

riportato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che ha

26
Canadian Charter of Rights and Freedoms, art. 27
27
In argomento, vedi Ferri, M. “Gli accomodamenti ragionevoli in materia di libertà
religiosa tra giurisprudenza della Corte europea e della Corte canadese”.
http://digital.casalini.it/3108887 2015. p. 321

- 27 -
portato a una controversia tra coloro che vedevano i diritti del cittadino come una

formalizzazione dei diritti naturali e coloro che li consideravano come una trasfor-

mazione dell’umanità indistinta in una cittadinanza situata. Questo ha creato una

nuova antropologia, distinguendo tra l’uomo e il cittadino, e affidando alla legge la

definizione del cittadino.

Anche in epoche precedenti, come nella Magna Carta del 1215, i diritti degli

“uomini liberi” non rappresentavano un diritto naturale intrinseco, ma erano il ri-

sultato di negoziazioni tra diverse parti. Questo processo di attribuzione di diritti

attraverso il diritto è comune a molte evoluzioni moderne nella ripartizione del po-

tere tra pubblico e privato.

Nel corso della storia, il diritto ha contribuito a cambiare l’antropologia domi-

nante, come nel caso del passaggio dall’individualismo proprietario, associato al

Code civil, al diritto del lavoro, che ha definito l’antropologia moderna basata sul

lavoro. Questo cambiamento non riguardava solo un settore specifico del diritto,

ma ha avuto un impatto profondo sulla fondazione dei rapporti privati e sulle rela-

zioni sociali.

La proprietà è diventata un elemento chiave nella definizione della libertà e

dell’eguaglianza, poiché solo l’eguaglianza nel possesso poteva portare al supera-

mento delle disuguaglianze.

Questo cambiamento ha portato a una asimmetria tra il proprietario e il cittadino,

ma è stato mitigato dall’uso del soggetto astratto, che ha consentito di astrarsi dalla

concretezza dei rapporti economici. Tuttavia, l’uso politico di questa astrazione ha

spesso ridotto il soggetto a uno scheletro isolato, separato dal contesto e dalle con-

dizioni materiali.

- 28 -
Per ripristinare l’eguaglianza e costruire un contesto in cui libertà ed eguaglianza

possano dialogare, è necessario passare dal soggetto alla persona, che meglio tiene

conto della vita individuale e delle relazioni sociali. Questo processo porta a una

nuova antropologia, espressa attraverso la costituzionalizzazione della persona28.

Nel 1959 è stata creata in Europa una nuova Corte internazionale di giustizia, la

Corte europea dei diritti dell’uomo, che, a giudicare dalla qualità dei suoi membri,

è tra le migliori al mondo e le cui attività future potrebbero avere un profondo im-

patto sullo sviluppo del diritto internazionale. Questa corte è stata istituita in base

alla Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fon-

damentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950.

La Convenzione è stata preparata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Eu-

ropa, su proposta dell’Assemblea consultiva, ed è entrata in vigore il 3 settembre

1953, quando era stata ratificata da dieci Stati membri. Cinque altri Stati l’hanno

ratificata successivamente, quindi tutti i membri del Consiglio d’Europa ne sono

ora parte, ad eccezione della Francia.

La Convenzione impegna le Parti contraenti a garantire a tutte le persone all’in-

terno della loro giurisdizione una serie di diritti e libertà, tra cui il diritto alla vita,

il diritto alla libertà e alla sicurezza della persona, la libertà da tortura, schiavitù e

servitù, la libertà da arresti arbitrari, detenzione o esilio, il diritto a un processo

equo, la libertà da interferenze arbitrarie nella vita privata e familiare, nella casa e

nella corrispondenza, la libertà di pensiero, coscienza e religione, la libertà di opi-

nione ed espressione, la libertà di riunione e associazione, la libertà di aderire a

28
Cfr. Rodotà, S. “Il diritto di avere diritti”, Gius. Laterza & Figli Spa. 2012. pp.179-
183

- 29 -
sindacati, il diritto a sposarsi e fondare una famiglia. Questi diritti e libertà sono

tratti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani adottata dall’Assemblea gene-

rale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, sebbene siano definiti in modo molto

più dettagliato nella Convenzione europea. Inoltre, nella Convenzione europea, essi

costituiscono oggetto di precise obbligazioni legali, a differenza della Dichiara-

zione universale, che era una dichiarazione solenne di intenzioni senza valore le-

gale. In seguito, con la firma di un Protocollo il 22 marzo 1952, sono stati aggiunti

tre diritti aggiuntivi: il diritto di proprietà, il diritto dei genitori di scegliere l’istru-

zione dei loro figli e il diritto a elezioni libere.

Per garantire il rispetto delle disposizioni della Convenzione, è stato istituito un

meccanismo di applicazione, davanti al quale le Parti possono essere chiamate a

rispondere se non adempiono ai loro obblighi. In primo luogo, è stata creata la Com-

missione europea dei diritti dell’uomo, composta da un numero di membri pari a

quello delle Alte Parti contraenti, a cui, ai sensi dell’articolo 24 della Convenzione,

qualsiasi Parte può segnalare una presunta violazione della Convenzione da parte

di un’altra Parte. Questo è il classico tipo di azione tra Stati, in cui un governo può

presentare un reclamo contro un altro governo per mancato adempimento dei suoi

obblighi secondo il diritto internazionale. In aggiunta a ciò, c’è anche il diritto di

petizione individuale. Ai sensi dell’articolo 25, la Commissione può ricevere peti-

zioni da «…qualsiasi persona, organizzazione non governativa o gruppo di indivi-

dui che afferma di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti

contraenti dei diritti stabiliti in questa Convenzione». Tuttavia, la giurisdizione

della Commissione è soggetta a due condizioni: che la Parte oggetto del reclamo

abbia dichiarato di riconoscere il diritto di petizione individuale e che almeno altri

- 30 -
cinque Stati abbiano fatto dichiarazioni simili. Infatti, nove dei quindici membri del

Consiglio d’Europa hanno riconosciuto la competenza della Commissione a rice-

vere petizioni individuali, e questo rimedio è ora disponibile per circa 90 milioni di

europei. Una condizione per il suo esercizio è il previo esaurimento dei rimedi lo-

cali; molte richieste individuali sono state respinte per non conformità con questa

regola. Un altro motivo frequente di inammissibilità è che i fatti oggetto del reclamo

sono avvenuti prima dell’entrata in vigore della Convenzione. Importanti casi esa-

minati dalla Commissione riguardano la legalità del Partito Comunista Tedesco, la

detenzione senza processo di un presunto membro dell’Esercito Repubblicano Ir-

landese e due casi portati dalla Grecia contro il Regno Unito in merito alle misure

d’emergenza a Cipro.

L’Italia avrebbe ratificato la Convenzione solo nel 195529. A causa del diverso

grado di stabilità democratica e del non uniforme livello di apertura nei confronti

del diritto internazionale delle Costituzioni dei Paesi fondatori, non vi era un con-

senso unanime su quale fosse il grado di integrazione a cui avrebbe dovuto ambire

il sistema convenzionale.

Si arrivò all’istituzione di una Corte con competenza ad accertare le violazioni

della Convenzione da parte degli Stati membri che venne istituita nel 1959 nella

quale vengono definiti diritti e libertà fondamentali che gli stati firmatari «ricono-

scono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione30».

È da ricordare, inoltre, che l’art. 14 CEDU precisa che: «Il godimento dei diritti

29
Cfr. Robertson, A. H., “The European Court of Human Rights”. Am. J. Comp. L., 9,
1. 1960..
30
CEDU, Art.1

- 31 -
e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza

nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore,

la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazio-

nale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od

ogni altra condizione31».

In questo processo generale di internazionalizzazione dei diritti fondamentali in

cui si inserisce la Convenzione europea dei diritti umani, va inserito anche il pro-

cesso di integrazione europea. La Corte di giustizia di Lussemburgo farà sovente

riferimento alla CEDU nelle sue sentenze, e proprio con una sua sentenza del 1969

dichiara che i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi fonda-

mentali della comunità europea32, dando il via ad un trend giurisprudenziale. La

tutela dei diritti fondamentali è entrata a far parte del panorama europeo non solo a

livello giurisprudenziale ma anche attraverso l’azione comunitaria.

Le autorità degli Stati dovrebbero riconoscere la possibilità all’individuo di at-

tuare le proprie scelte in ambito religioso, limitandosi a controllare che le pratiche

e i precetti religiosi siano rispettosi dei principi costituzionali.

Nell’ambito del diritto europeo la libertà di coscienza e religione è ampliamente

trattata. All’interno della CEDU l’art. 9 sulla libertà di pensiero, coscienza e reli-

gione stabilisce che: «Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza

31
CEDU, Art.14
32
Corte di giustizia Europea., sent. 12 dicembre 1969, causa 29/69, Erich stauder c.
Ville d’Ulm – Sozialamt, Sentenza in diritto capoverso 7: « Ciascuno degli Stati membri
può pertanto scegliere fra vari metodi di individualizzazione. Così interpretata, la
disposizione di cui è causa non rivela alcun elemento che possa pregiudicare i diritti
fondamentali della persona, che fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di
cui la Corte garantisce l’osservanza.» https://eur-lex.europa.eu/legal-
content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:61969CJ0029 pag. 425

- 32 -
e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come

la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o

collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pra-

tiche e l’osservanza dei riti33».

Il principio di laicità, che si riferisce alla separazione tra religione e stato, è so-

stenuto da diverse disposizioni oltre alla tutela della libertà di religione. Queste di-

sposizioni, direttamente o indirettamente, influenzano il fenomeno religioso e defi-

niscono il principio di laicità. Alcuni punti salienti includono:

1. Libertà di riunione (articolo 11): Garantisce il diritto di riunirsi pacifica-

mente, inclusi i gruppi religiosi che possono organizzare incontri o manife-

stazioni.

2. Diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8): Protegge la

sfera personale e familiare delle persone, comprese le pratiche religiose

all’interno della vita privata.

3. Libertà di sposarsi (articolo 12): Assicura il diritto di sposarsi, indipen-

dentemente dalla religione degli sposi.

4. Ricorso effettivo innanzi alle istanze nazionali (articolo 13): Garantisce

il diritto delle persone di presentare reclami riguardanti le violazioni dei loro

diritti, compresi quelli legati alla religione, a organi giurisdizionali nazio-

nali.

5. Diritto dei genitori all’educazione religiosa dei figli (articolo 2, Primo

Protocollo addizionale CEDU del 1952): Consente ai genitori di impartire

33
CEDU, Art.9

- 33 -
un’educazione religiosa o filosofica ai loro figli, in conformità con le pro-

prie convinzioni.

6. Divieto di discriminazione (articolo 14 CEDU): Vieta qualsiasi tipo di

discriminazione, inclusa quella basata sulla religione, nei diritti e nelle li-

bertà riconosciute dalla Convenzione.

Queste disposizioni contribuiscono a garantire la libertà religiosa e a stabilire un

quadro in cui la religione e lo stato rimangono separati, promuovendo la laicità34.

All’interno dello stesso articolo, tuttavia, viene previsto un limite a questa li-

bertà, lo stesso presente anche in molti altri articoli: «La libertà di manifestare la

propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da

quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una

società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute

o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui»35.

Nel materiale normativo di cui si parla, la giurisdizione di Strasburgo ha iniziato

a influenzare direttamente la questione della laicità nei primi anni ‘90 del secolo

scorso. Questo è stato fatto basandosi sui principi di eguaglianza e non discrimina-

zione, che sono diventati fondamentali per risolvere casi in cui c’era il sospetto di

un trattamento diseguale tra gruppi religiosi di diverse denominazioni e prove-

nienze. Questi principi sono diventati parametri chiave per stabilire se un sistema

legale è laico o meno, secondo la prospettiva del costituzionalismo contemporaneo.

Un punto importante è stato il ruolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

34
Cfr. Alicino, F. “Costituzionalismo e diritto europeo delle religioni”, Cedam. 2011.
pp. 238-239.
35
CEDU, Art.9

- 34 -
nel condannare la Grecia per discriminazioni legate al dominio costituzionalmente

protetto della Chiesa ortodossa orientale su tutte le altre religioni. Questo privilegio

è stato riconosciuto da una legge del 1939 ed è stato oggetto di critiche da parte di

alcuni studiosi.

Negli anni 2000, con l’aumento dell’immigrazione da Paesi tradizionalmente le-

gati alla religione musulmana, le denunce alla Corte di Strasburgo hanno assunto

una nuova importanza. La Corte è stata chiamata a definire non solo casi indivi-

duali, ma anche la dimensione collettiva del diritto alla libertà religiosa, come sta-

bilito nelle disposizioni convenzionali. Ad esempio, nel caso “Cha’re Shalom Tse-

dek”, membri di un’associazione ebraica ultra-ortodossa hanno sostenuto la legitti-

mità della macellazione rituale al di fuori dei luoghi autorizzati dalla legge francese.

La sentenza riflette il fatto che il giudice europeo considera la Convenzione Eu-

ropea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) come un sistema giuridico autonomo, con ten-

denza a prevalere su altri sistemi giuridici nazionali. Pertanto, il principio di laicità

deve essere interpretato principalmente in base alle disposizioni della CEDU e non

solo a quelle stabilite a livello nazionale. Per quanto riguarda l’articolo 14 della

CEDU, che è stato invocato per contestare la legge statale, il giudice di Strasburgo

ha sostenuto che questo articolo completa altre clausole normative della Conven-

zione e dei suoi Protocolli, ma non ha una validità indipendente ed è pertanto ap-

plicabile solo per la protezione dei diritti e delle libertà garantite dalla Convenzione

stessa.

Di conseguenza, i poteri statali hanno il legittimo diritto di limitare l’azione delle

confessioni religiose, poiché tra i compiti di uno Stato laico, democratico e plurali-

sta c’è anche quello di mantenere la pace religiosa e il benessere sociale, che

- 35 -
implicano il rispetto della salute pubblica36.

Le restrizioni imposte alla libertà di religione e a tutte quelle libertà connesse

alla religione non sembrano necessarie, specialmente considerando il posto centrale

dei diritti fondamentali sanciti dall’ordinamento convenzionale. Si afferma che an-

che in un contesto sovrastatale, dovrebbero essere riconosciute le libertà delle mi-

noranze religiose senza limitare i diritti individuali..

Dato che la Corte deve operare in un contesto normativo complesso con relazioni

tra diverse entità statali e organizzazioni religiose, sembra favorire l’autonomia

confessionale dei gruppi religiosi principali per preservare la pace religiosa, ma allo

stesso tempo cerca di tutelare sia la sfera interiore dell’individuo che la sua mani-

festazione esteriore della libertà religiosa.

La giurisprudenza della Corte ha dimostrato una tendenza a non rispettare ade-

guatamente i principi di eguaglianza e non discriminazione, e a giustificare lo status

speciale a favore di alcune confessioni religiose a scapito di altre. Si evidenzia l’im-

portanza del rapporto tra i sistemi confessionali individuali e il principio di egua-

glianza, insieme alla protezione dei diritti umani fondamentali.

Fondamentale in questo contesto è il rapporto tra i singoli sistemi confessionali

e il principio di eguaglianza, tra il diritto alla differenza e la tutela dei diritti umani

fondamentali37.

In un sistema laico e costituzionale, il diritto fondamentale alla libertà religiosa

è centrato sull’individuo come suo primo e ultimo punto di riferimento. Questo non

36
Cfr. Op. cit., Alicino, Costituzionalismo e diritto europeo delle religioni, 2011.. pag.
240
37
Ibidem pag. 253

- 36 -
significa ignorare la dimensione collettiva e comunitaria di una determinata reli-

gione: un individuo può sempre aderire a una religione che lo aiuta ad esercitare la

libertà di pensiero e di coscienza, o affermare la propria personalità, come sottoli-

neato dalla Carta italiana.

Tuttavia, in alcuni casi, è necessario riconoscere prerogative alle organizzazioni

sociali con connotazioni religiose, poiché ciò facilita l’esercizio del diritto alla dif-

ferenza. È importante ricordare che l’obiettivo principale è il riconoscimento e il

rispetto dei diritti fondamentali, che sono principalmente diritti individuali. Questi

diritti proteggono le persone dalla costrizione e dalla violenza perpetrate da uno

Stato, una cultura o una religione dominante che spesso non tollera il dissenso.

In alcune culture, l’individuo e i suoi diritti possono essere sopraffatti dalla col-

lettività, dove il processo di individuazione e di autodeterminazione personale è

visto come un’apostasia metafisica. In queste situazioni, l’essere collettivo diventa

un’unità operativa governata dalle sue regole decisionali, e il potere istituzionale

può trasformarsi da mezzo a fine, subordinando gli obiettivi ideologici o religiosi

alla sua stessa esistenza.

Questo comporta il pericolo di consegnare l’individuo alla cultura, alle sue ge-

rarchie interne non necessariamente democratiche e alla sua capacità di esercitare

condizionamenti psicologici e fisici, limitando la libertà individuale.

La vecchia logica del potere sovrano che non ammette compromessi è una mi-

naccia, e questa logica può essere sfruttata attraverso formule retoriche come “espe-

rienza comunitaria”, “senso di appartenenza popolare” e altre. La libertà religiosa è

emersa come il primo diritto culturale fondamentale in questo contesto.

Tuttavia, è importante evitare le tentazioni e mantenere separati il diritto secolare

- 37 -
e il diritto religioso per garantire il rispetto della libertà religiosa. Le autorità pub-

bliche devono permettere agli individui di fare le proprie scelte religiose, ma de-

vono anche verificare che le pratiche e i precetti religiosi siano conformi ai principi

costituzionali. Le Costituzioni nazionali, in particolare in Europa, stanno vivendo

un rinnovato interesse in questo settore, influenzate dalla destatalizzazione del co-

stituzionalismo e dal diritto europeo.

Questo è evidente nelle dinamiche politiche, giuridiche e culturali che hanno

recentemente caratterizzato il dibattito in Francia su questa questione fondamen-

tale38.

Dopo l’entrata in vigore della legge del 15 marzo 2004, che vieta l’uso di simboli

religiosamente evidenti nelle aule delle scuole pubbliche, l’associazione Collectif

Contre l’Islamophobie (CCI) ha dichiarato che queste disposizioni violano palese-

mente i diritti umani, compreso il principio di laicità, che ha l’obiettivo di garantire

la neutralità dello Stato, la libertà di religione e il rispetto del pluralismo. Questi

principi sono ritenuti universali, non solo all’interno del Paese39.

Secondo il CCI, questa legge viola i diritti individuali delle ragazze che hanno

liberamente scelto di indossare il velo, discriminando così un particolare credo re-

ligioso e una specifica categoria di credenti. Queste argomentazioni sono supportate

38
Ibidem pp. 72-76
39
CCI, Le bilan de la loi du 15 mars 2004 et de ses effets pervers in
www.islamophobie.net/ pag. 3 « Le principe de laïcité, qui n’a pas d’autre objet que de
garantir la neutralité de l’Etat, la liberté de religion et le respect du pluralisme, a été bafoué
par l’Etat lui-même, au vingt et unième siècle par l’adoption d’une loi d’exception : la loi
du 15 mars 2004 portant sur le principe de laïcité, le port de signes et tenues manifestant
ostensiblement une appartenance religieuse.» trad. « Il principio di laicità, che non ha altro
scopo se non quello di garantire la neutralità dello Stato, la libertà della religione e del
rispetto del pluralismo, è stato disprezzato dallo Stato stesso, nel XXI secolo, con
l’adozione di una legge eccezionale: la legge del 15 marzo 2004 relativa al principio di
laicità, l’uso di segni e abiti che dimostrino apparentemente l’appartenenza religiosa.»

- 38 -
da norme dei documenti approvati da importanti organizzazioni sovranazionali

come l’ONU, il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea, che rappresentano un

avanzato modello di costituzionalismo destatalizzato.

Questo nuovo modello costituzionale influisce sulla relazione tra lo Stato e i

gruppi religiosi nei Paesi membri, compresa la Francia, come dimostra la giurispru-

denza del Consiglio costituzionale. Ad esempio, in una sentenza del 19 novembre

200440, il Consiglio ha sottolineato la necessità di conciliare la libertà di religione

con il principio di laicità, impedendo a chiunque di sfruttare le proprie credenze

religiose per evitare l’applicazione delle regole comuni tra le autorità pubbliche e i

cittadini.

Inoltre, il Consiglio si è riferito alla sentenza Leyla Sahin emessa dalla Corte

europea di Strasburgo, che riguardava il velo islamico indossato da studentesse uni-

versitarie in Turchia41. La sentenza del Consiglio costituzionale fa uso di riferimenti

normativi sovrastatali, come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU)

e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta UE), per ribadire i

pilastri costituzionali della V Repubblica, in particolare il principio di laicità.

La CEDU garantisce la libertà di pensiero, di coscienza e di religione all’articolo

9, ma stabilisce anche che queste libertà possono essere limitate da restrizioni legali

necessarie in una società democratica. Questo principio di limitazione si applica

anche ad altri diritti fondamentali come la libertà di espressione e la libertà di riu-

nione e associazione. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo

40
A riguardo della ratifica della Costituzione Europea che però, a seguito delle vicende
dei referendum francese e olandese del 2005, non è mai entrato in vigore.
41
Corte CEDU, Grande Camera, sent. 10 novembre 2005, n. 44774/98, Leyla Sahin c.
Turquie (che conferma il giudizio emesso dalla Quarta sezione il 29 giugno 2004).
https://www.lawpluralism.unimib.it/api/print?template=template&id=182&lang=it

- 39 -
ha spesso allargato notevolmente il margine di apprezzamento degli Stati membri

nella limitazione di tali diritti, rendendo le disposizioni normative di principio scar-

samente operative. Questo è evidente nella vasta e criticata giurisprudenza della

Corte europea in materia di libertà religiosa, influenzata anche dall’affare Sahin42.

1.3.1 Giurisprudenza della Corte di Strasburgo: sentenza Eweida and others


v. United Kingdom, Corte EDU, 15 gennaio 2013

La sentenza Eweida and others v. United Kingdom43, emessa dalla Corte Europea

dei Diritti dell’Uomo il 15 gennaio 2013, è una decisione fondamentale che riguarda

il delicato bilanciamento tra la protezione della libertà di coscienza e la prestazione

lavorativa dei dipendenti. In questa sentenza, la Corte ha affrontato quattro distinti

casi44, riuniti in un unico procedimento ai sensi dell’art. 42 del Regolamento della

Corte, poiché tutti presentavano questioni simili relative alla violazione dell’art. 9

della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La sentenza ha introdotto una distinzione chiara tra due concetti chiave: la “li-

bertà di credere” (freedom to believe) e la “libertà di agire” (freedom to act). Questa

distinzione è cruciale perché mette in luce la differenza tra la mera libertà di credere

in una determinata religione o filosofia e la libertà di manifestare queste convinzioni

attraverso azioni o simboli religiosi.

I quattro casi trattati nella sentenza Eweida riguardavano dipendenti che avevano

42
Op. cit., Alicino, Costituzionalismo e diritto europeo delle religioni, 2011.. pp. 76-79
43
Corte EDU, Eweida and others v. United Kingdom, 15 gennaio 2013
44
Ricorsi 48420/10, 59842/10, 51671/10 and 36516/10, casi in cui la Corte ha respinto
sia l’istanza di un ufficiale di stato civile volta a sottrarsi alla celebrazione di unioni
monosessuali (Ladele), sia quella di un impiegato nel settore dell’impiego privato, che
rifiutava di svolgere attività di consulenza psico-sessuale a favore delle same-sex
couples(McFarlane). Gli altri due ricorsi (Eweida e Chaplin) riguardavano invece
rivendicazioni relative alla possibilità di manifestare la propria appartenenza confessionale
sul luogo di lavoro, indossando simboli religiosi.

- 40 -
sollevato questioni relative alla loro libertà di coscienza e al conflitto tra questa

libertà e gli obblighi imposti dai loro datori di lavoro. La sentenza ha considerato

se la protezione dell’art. 9 potesse estendersi efficacemente ai rapporti di lavoro, sia

nel settore pubblico che in quello privato, e se potesse limitare gli obblighi contrat-

tuali e i diritti dei dipendenti in modo tale da influenzare l’autonomia negoziale.

Un caso emblematico riguardava Nadia Eweida, un’hostess della compagnia ae-

rea British Airways, a cui era stato vietato indossare una croce cristiana visibile

sopra l’uniforme a causa delle restrizioni sul dress code aziendale. La compagnia

aveva stabilito che i dipendenti potevano indossare simboli religiosi solo sotto l’uni-

forme. Tuttavia, la signora Eweida aveva scelto di continuare a indossare la croce

in modo visibile. Il medesimo protocollo prevedeva anche la possibilità di derogare

alla norma citata qualora il lavoratore fosse tenuto a indossare determinati oggetti

in virtù di specifici obblighi di natura religiosa45: in ragione di ciò in passato dero-

ghe erano state ammesse per i turbanti e i braccialetti d’argento dei sikh, così come

l’hijab delle donne musulmane46 ma in risposta, non tenendo conto di queste circo-

stanze, la compagnia l’aveva sospesa senza stipendio fino a quando non avesse ri-

spettato il protocollo aziendale. Le era stata anche offerta un’opzione lavorativa

alternativa che non richiedeva la divisa o il contatto con i clienti, ma aveva rifiutato

l’offerta.

Le corti precedenti avevano respinto il suo ricorso e negato il risarcimento dei

45
“Nessuna deroga, secondo la compagnia, nel caso della signora Eweida, dal momento
che per la fede cristiana non sussiste obbligo di indossare la croce” riferimento ad A.Borghi
in Sulla libertà di manifestare le proprie opinioni religiose nel luogo di lavoro: brevi note
in merito ai casi Achbita e Bougnaoui, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale.
46
Taranto S., Il simbolismo religioso sul luogo di lavoro nella più recente
giurisprudenza europea, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n.1 del 2014.

- 41 -
danni per discriminazione indiretta, sostenendo che aveva scelto volontariamente

un lavoro che non consentiva la sua pratica religiosa.

La sentenza Eweida ha stabilito importanti linee guida per affrontare situazioni

simili, offrendo una cornice giuridica per valutare i conflitti tra la libertà religiosa

o di coscienza e gli obblighi lavorativi. Ha sollevato domande chiave sulla limita-

zione dell’autonomia negoziale e sulla necessità di trovare un equilibrio tra i diritti

dei dipendenti e le esigenze aziendali, gettando le basi per futuri casi legati a questo

tema complesso.

La seconda ricorrente, la signora Chaplin, lavorava come infermiera presso

l’ospedale pubblico Royal Devon and Exeter NHS Foundation Trust, che aveva

una politica per le uniformi basata sulle linee guida del Dipartimento della Salute.

Queste linee guida consentivano al personale di indossare determinati abiti o gioielli

per motivi religiosi o culturali, previo accordo con il proprio superiore.

Tuttavia, quando sono state introdotte nuove uniformi con uno scollo a V, alla

ricorrente è stato chiesto di rimuovere la sua catenina e croce, che indossava per

ragioni personali, poiché si riteneva che potessero rappresentare un rischio di le-

sioni per i pazienti e per la stessa dipendente. Le è stata offerta la possibilità di

trovare un compromesso, come indossare la croce sotto una maglietta a collo alto,

attaccarla al suo distintivo di riconoscimento o persino svolgere un lavoro diverso

dall’infermieristica.

Il tribunale dell’impiego aveva concluso che in questo caso non vi era discrimi-

nazione, poiché l’ospedale aveva come priorità la sicurezza e la salute dei pazienti,

senza interferire con le convinzioni personali della dipendente.

Mentre nell’affare Chaplin non è stata identificata alcuna violazione dell’articolo

- 42 -
9, nel caso Eweida il Regno Unito è stato condannato. Gli argomenti presentati dai

giudici per giustificare tali risultati sono significativi e consentono di delineare le

richieste della Convenzione in merito all’indossare segni religiosi sul luogo di la-

voro.

Nel caso Chaplin, l’interdizione per l’infermiera di indossare una croce al collo

non è stata considerata “sproporzionata” né “discriminatoria”. La Corte ha sottoli-

neato all’unanimità che l’interdizione aveva lo scopo di “proteggere la salute e la

sicurezza delle infermiere e dei pazienti” e che altre infermiere di confessione cri-

stiana o di altre fedi avevano subito restrizioni simili.

Il ragionamento europeo mostra una certa oscillazione o esitazione iniziale nella

valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza. Inizialmente, la Corte sembra va-

lutare direttamente la solidità delle prove di tali rischi, ma successivamente si affida

all’valutazione delle autorità nazionali, concedendo loro una “ampia discreziona-

lità”. La Corte ritiene che “i responsabili degli ospedali siano più competenti nel

prendere decisioni sulla sicurezza medica rispetto a un tribunale, in particolare a un

tribunale internazionale privo di prove dirette”. Questa posizione può sembrare cu-

riosa, poiché sembra che la Corte si affidi ciecamente alle autorità nazionali senza

giustificare adeguatamente la sua decisione. Tuttavia, ciò non sembra congruente

con l’aumento delle restrizioni imposte dalla Convenzione evidenziato nel caso

Eweida e altri.

Nonostante la mancanza di una condanna nel caso Chaplin, si nota comunque un

rafforzamento del controllo europeo. In linea con il cambiamento di paradigma pre-

cedentemente menzionato, la Corte afferma che “il diritto di manifestare la propria

religione indossando visibilmente una croce è un elemento importante per

- 43 -
l’infermiera ricorrente e deve pesare significativamente rispetto ad altri obblighi”.

La Corte sembra persino suggerire che il datore di lavoro aveva offerto un compro-

messo all’infermiera, proponendo di indossare una croce sotto forma di spilla o di

nasconderla sotto un camice con collo alto, ma l’infermiera aveva rifiutato, soste-

nendo che ciò non era sufficientemente conforme alle sue convinzioni religiose.

Tuttavia, non è chiaro se una violazione sarebbe stata constatata se il datore di

lavoro non avesse proposto questo compromesso. La Corte sembra aver semplice-

mente voluto evidenziare l’intransigenza della ricorrente e, allo stesso tempo, lo

spirito conciliante del datore di lavoro. Tuttavia, questa osservazione richiama

l’idea di un “accomodamento ragionevole”47.

La terza ricorrente, la Signora Ladele, era un’impiegata del London Borough of

Islington48, responsabile dei registri pubblici49. Quando nel Regno Unito è stato in-

trodotto il Civil Partnership Act nel 2005, che ha permesso l’unione civile tra per-

sone dello stesso sesso, l’ufficio di Islington ha deciso che tutti i dipendenti respon-

sabili dei registri dovessero occuparsi anche delle unioni civili50. Tuttavia, la

47
Hervieu, N., “Un nouvel équilibre européen dans l’appréhension des convictions
religieuses au travail”. Stato, Chiese e pluralismo confessionale. 2013. pp. 7-9
48
Uffici pubblici della periferia di Londra
49
Per una caratterizzazione completa della faccenda cfr. Pérez-Madrid, F., “Objeción
de conciencia y uniones civiles entre personas del mismo sexo: comentarios acerca del caso
Ladele vs. Reino Unido”. Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico
del Estado, 32(3). 2013.
50
Secondo regolamento dell’ente pubblico: «Islington è orgogliosa della sua diversità
e il consiglio si impegna a combattere la discriminazione in tutte le sue forme. L’obiettivo
è che “Dignità per tutti” sia l’esperienza del personale di Islington, dei residenti e degli
utenti dei servizi, indipendentemente dall’età, dal genere, dalla disabilità, dalla fede, dalla
razza, dalla sessualità, dalla nazionalità, dal reddito o dallo stato di salute. [...] Il consiglio
promuoverà la coesione comunitaria e l’uguaglianza per tutti i gruppi, ma si concentrerà
soprattutto sulla discriminazione basata sull’età, sulla disabilità, sul genere, sulla razza,
sulla religione e sulla sessualità. [...] In generale, Islington promuoverà la coesione
comunitaria promuovendo valori e comprensione condivisi nella comunità, basati
sull’uguaglianza, il rispetto e la dignità per tutti. [...] La politica del consiglio è che tutti
debbano essere trattati in modo equo e senza discriminazioni.»

- 44 -
Signora Ladele si è rifiutata di presiedere tali cerimonie civili per persone dello

stesso sesso, sostenendo che ciò era contrario alle sue convinzioni religiose. L’isti-

tuzione pubblica ha avviato un procedimento disciplinare contro di lei, ma in se-

guito ha deciso di esonerarla dalla celebrazione delle cerimonie delle unioni civili,

sia tra persone dello stesso sesso che tra persone di sesso opposto, pur richiedendo

che svolgesse altre mansioni amministrative legate alle unioni civili. La Signora

Ladele ha rifiutato questa proposta ed è stata licenziata.

La CEDU ha sostenuto che il licenziamento della Signora Ladele fosse legittimo.

Ha ritenuto che, nel bilanciare il diritto di una coppia omosessuale a registrare la

propria unione con il diritto della dipendente a manifestare la propria fede religiosa

e il suo rifiuto di celebrare unioni omosessuali, il Regno Unito potesse privilegiare

il primo. La CEDU ha sottolineato la necessità di evitare la discriminazione delle

coppie omosessuali e ha riconosciuto che i Paesi hanno un ampio margine di ap-

prezzamento nella definizione dei diritti giuridici delle coppie omosessuali.

La CEDU ha anche valutato la proporzionalità della sanzione e ha notato che la

fede religiosa della Signora Ladele era forte, ma che non aveva manifestato la sua

avversione per le coppie omosessuali al momento dell’assunzione. Inoltre, ha sot-

tolineato l’obiettivo di “non discriminazione” dell’ente pubblico. Pertanto, ha rico-

nosciuto il massimo margine di apprezzamento alle Corti nazionali e ha sostenuto

che la decisione del Regno Unito era congruente con tale margine.

Nell’opinione dissenziente, due giudici hanno sottolineato che il caso dovrebbe

essere considerato non tanto in termini di libertà di credo, ma in termini di libertà

di coscienza. Hanno notato che il termine “coscienza” è espressamente tutelato

nell’articolo 9 della CEDU nel suo primo comma, ma non è menzionato nel secondo

- 45 -
comma che riguarda i limiti. Pertanto, hanno sostenuto che la libertà di coscienza

goda di massima protezione e non dovrebbe essere soggetta a limitazioni. Hanno

anche evidenziato che al momento dell’assunzione della Signora Ladele non esi-

steva la legge sulle unioni civili, quindi non si può parlare di obiezione di coscienza

tardiva, e che il Civil Partnership Act non vieta espressamente l’obiezione di co-

scienza, che era stata ammessa in altri uffici pubblici.

Nella controversia in esame, i giudici dissenzienti51 hanno criticato la decisione

della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) riguardo al caso della Signora

Ladele, dipendente pubblica britannica che aveva sollevato un’obiezione di co-

scienza riguardo alla registrazione delle unioni civili omosessuali. Ecco un rias-

sunto dei principali punti sollevati dai giudici dissenzienti:

1. Manca considerazione del contesto legislativo: La CEDU accenna solo bre-

vemente al fatto che in alcuni municipi britannici era stata permessa l’obie-

zione di coscienza ai dipendenti in occasione dell’entrata in vigore del Civil

Partnership Act. Inoltre, non considera il fatto che gli enti locali non erano

obbligati ad assegnare a tutti i dipendenti il compito di registrare le unioni

civili, quindi la Signora Ladele avrebbe potuto essere esonerata da tale man-

sione senza violare norme.

2. Riferimento fuori luogo all’obiezione di coscienza successiva: La CEDU

menziona l’obiezione di coscienza successiva della donna, nonostante al

momento dell’assunzione il Civil Partnership Act non fosse ancora entrato

51
A favore del rigetto del ricorso della Signora Ladele si sono espressi cinque giudici
su sette,
mentre la dissenting opinion è stata manifestata dai giudici restanti: De Gaetano e
Vucinic.

- 46 -
in vigore, rendendo quindi l’obiezione iniziale fuori luogo.

3. Possibilità di evitare pregiudizi ai diritti delle coppie omosessuali: La

CEDU avrebbe potuto riconoscere alla dipendente il diritto di obiettare

senza pregiudicare i diritti delle coppie omosessuali, dato che altri impiegati

avrebbero potuto svolgere la stessa mansione. Il servizio pubblico non sa-

rebbe stato compromesso.

4. Violazione del principio di uguaglianza: Nonostante lo scopo dell’ufficio

pubblico fosse promuovere l’uguaglianza tra le persone, la CEDU ha violato

questo principio rigettando l’obiezione di coscienza della dipendente. Que-

sto avrebbe potuto essere evitato senza pregiudicare i diritti delle coppie

omosessuali.

5. Mancanza di argomentazione stringente sull’uso del margine di apprezza-

mento: La CEDU sembra basare la sua decisione sull’uso del margine di

apprezzamento nazionale senza fornire una spiegazione dettagliata di questa

scelta, trascurando gli elementi specifici del caso.

6. Logica applicata alla controversia: La CEDU si è concentrata sulla contrap-

posizione tra la libertà religiosa della dipendente e il diritto alla non discri-

minazione degli omosessuali, senza considerare adeguatamente il rapporto

di lavoro e il diritto del datore di lavoro a ricevere la prestazione contrat-

tuale.

7. Possibilità di incertezza nell’applicazione di obiezioni di coscienza52: Se si

52
In breve, l’articolo 9.2 dovrebbe principalmente proteggere l’obiezione di coscienza,
mentre la libertà di coscienza in senso stretto (ovvero la formazione dei propri
convincimenti personali) è già protetta dall’articolo 9.1 della CEDU. Questo è
particolarmente vero se si considera che non sarebbe accettabile ammettere comportamenti
basati sulla libertà di coscienza che vanno contro i principi fondamentali dello Stato di

- 47 -
adottasse una logica basata sulla tutela dei terzi, potrebbe creare incertezza

rispetto alla protezione dei diritti dei lavoratori e dei datori di lavoro in casi

simili, come l’obiezione di coscienza riguardante la procreazione assistita.

8. Interpretazione letterale dell’art. 9: I giudici dissenzienti notano che inter-

pretare letteralmente l’art. 9 potrebbe portare a un’ampia riconoscenza

dell’obiezione di coscienza, il che potrebbe essere problematico e andare

contro le leggi nazionali.

In definitiva, i giudici dissenzienti ritengono che la CEDU avrebbe dovuto con-

siderare in modo più approfondito il contesto specifico del caso e adottare una lo-

gica diversa basata sulla protezione dei diritti dei lavoratori e dei datori di lavoro,

evitando così di compromettere i diritti delle coppie omosessuali senza motivo53.

Il quarto e ultimo caso riguarda il Signor McFarlane, un consulente di fede cat-

tolica in un centro per la terapia di coppia54. Inizialmente, pur non approvando le

relazioni omosessuali a causa della sua religione, aveva accettato di lavorare con

coppie omosessuali per fornire supporto psicologico, ma ha avuto problemi quando

gli è stato chiesto di offrire consulenza sessuale a una coppia gay. Questo era in

contrasto con le sue convinzioni religiose, e dopo un procedimento disciplinare è

stato licenziato.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha respinto anche questo caso, sottoli-

neando che il ricorrente aveva scelto volontariamente di lavorare in una società che

diritto.
53
Sorda, E. “Lavoro e fede nella Corte di Strasburgo. Note a margine della sentenza
Eweida e altri c. Regno Unito”. In Forum di quaderni costituzionali (Vol. 14). 2013. pp.
17-22
54
Ancora per una intera trattazione delle cronache del caso cfr. Op. cit., Pérez-Madrid,
Objeción de conciencia y uniones civiles entre personas del mismo sexo: comentarios
acerca del caso Ladele vs. Reino Unido, 2013.

- 48 -
accoglieva tutte le coppie e non consentiva ai terapisti di scegliere i propri clienti.

La Corte ha richiamato il concetto di “freedom to resign” (libertà di dimettersi), ma

ha affermato che non poteva essere l’unico elemento determinante.

Tuttavia, all’interno di una opinione dissidente relativa al caso della Signora La-

dele, è stata espressa una critica al ragionamento della Corte rispetto al caso di

McFarlane. I due giudici dissenzienti sostengono che entrambi i casi avrebbero do-

vuto essere esaminati non tanto in termini di libertà religiosa, ma di libertà di co-

scienza. Ritengono che, sebbene la Signora Ladele avesse subito un cambiamento

nelle condizioni di lavoro che contraddiceva le sue convinzioni, McFarlane era pie-

namente consapevole delle condizioni di lavoro e aveva scelto volontariamente di

accettarle. Pertanto, avrebbe dovuto essere tenuto a rispettarle.

Inoltre, nel caso di McFarlane, il suo rifiuto di svolgere le mansioni richieste

metteva in pericolo l’adempimento dell’obbligazione contrattuale fondamentale e

vanificava il rapporto di lavoro. La Corte ha cercato di rafforzare la tutela delle

coppie omosessuali, ma ha indebolito la protezione degli interessi del datore di la-

voro e il suo diritto a ricevere la prestazione contrattualmente prevista.

In sintesi, sebbene la Corte abbia menzionato la libertà di dimettersi nel caso

McFarlane, l’ha fatto in modo mitigato, preferendo bilanciare la libertà religiosa del

ricorrente con il diritto alla non discriminazione dei clienti omosessuali. Tuttavia,

secondo l’opinione dissidente, questo caso sarebbe stato più adatto per una pacifica

applicazione del principio della “freedom to resign”, permettendo al dipendente di

dimettersi se le sue convinzioni religiose rendevano impossibile l’adempimento

delle mansioni contrattuali.

In conclusione, l’analisi dei quattro casi e delle decisioni della Corte Europea dei

- 49 -
Diritti dell’Uomo (CEDU) presenta alcune osservazioni chiave:

1. Uso del margine di apprezzamento: La CEDU ha utilizzato il margine di

apprezzamento in modo significativo per bilanciare la libertà religiosa con

altri interessi. Tuttavia, in alcuni casi (terzo e quarto), potrebbe averlo fatto

in modo eccessivamente generoso, mancando una rigorosa analisi dei fatti.

2. Vizio logico nell’uso del margine di apprezzamento: Nei casi del terapista

e della dipendente di Islington, c’è un’apparente difetto logico nell’uso del

margine di apprezzamento. La limitazione della libertà religiosa non sembra

essere giustificata dalla necessità di proteggere la società democratica o l’or-

dine pubblico, ma piuttosto dalla protezione dei diritti dei terzi, senza un’ar-

gomentazione stringente.

3. Freedom to resign (libertà di dimettersi): La CEDU ha cercato di superare

o temperare la teoria della “freedom to resign” in questi casi, sottolineando

che dovrebbe essere solo uno degli elementi del ragionamento. Questa è una

novità importante nella giurisprudenza relativa alla libertà religiosa.

4. Obiezione di coscienza: La CEDU ha confermato la deducibilità dell’obie-

zione di coscienza sotto l’art. 9 CEDU come possibile manifestazione della

libertà religiosa.

5. Principio di proporzionalità e bilanciamento dei diritti: La CEDU tende a

risolvere i conflitti relativi alla libertà religiosa applicando il principio di

proporzionalità e bilanciando i diritti delle diverse parti coinvolte, cercando

di evitare logiche rigide.

6. Considerazione della libertà religiosa indipendentemente dalla natura del

precetto: La CEDU ha enfatizzato che la valutazione della libertà religiosa

- 50 -
di un individuo deve essere basata sulla sua importanza soggettiva, indipen-

dentemente dalla natura vincolante del precetto religioso.

7. Mancanza di esame rigoroso degli elementi di fatto: In alcuni casi, la CEDU

sembra non avere esaminato in modo adeguato tutti gli elementi di fatto dei

ricorsi, limitandosi a considerare alcuni di essi.

8. Approccio logico ai conflitti: La CEDU ha omesso di considerare attenta-

mente la relazione tra le tutele del lavoratore, del datore di lavoro e la natura

del rapporto di lavoro sottostante nei casi in questione. Questo ha portato a

un bilanciamento centrato sui diritti dei terzi a scapito di una considerazione

più completa degli interessi in gioco.

In definitiva, la sentenza Eweida avrebbe potuto essere un caso guida per la li-

bertà religiosa nel rapporto di lavoro, ma alcune decisioni della CEDU hanno la-

sciato aperti alcuni dubbi e potrebbero aver mancato l’opportunità di stabilire prin-

cipi chiari per l’applicazione dell’art. 9 CEDU in questo contesto. La CEDU

avrebbe potuto sfruttare questa occasione per fornire orientamenti utili sia alle Corti

nazionali che ai legislatori, ma invece ha spesso adottato un approccio poco rigo-

roso e basato su un uso ampio del margine di apprezzamento55.

1.3.2 Obiezione di coscienza e “Freedom to resign”

Quando la Corte, negli ultimi due casi citati, ha messo in opera un vaglio di

proporzionalità tra obblighi assunti nei confronti del datore di lavoro per regola-

menti preordinati e giusto sindacato sul diritto del lavoratore di aver rispettato il

55
Op. cit., Sorda, Lavoro e fede nella Corte di Strasburgo. Note a margine della
sentenza Eweida e altri c. Regno Unito, 2013. pp. 24-30

- 51 -
proprio credo e la propria coscienza, ha ripercorso tutti gli elementi della fattispecie

per decretare che la possibilità di rassegnare le dimissioni potesse essere un ele-

mento per alimentare il bilanciamento degli interessi in gioco:

“While the Court does not consider that an individual’s decision to enter into a
contract of employment and to undertake responsibilities which he knows will
have an impact on his freedom to manifest his religious belief is determinative of
the question whether or not there been an interference with Article 9 rights, this is
a matter to be weighed in the balance when assessing whether a fair balance was
struck.”56

Il fattore più importante da considerare nelle situazioni esaminate riguarda la

tutela del servizio pubblico essenziale coinvolto e il fatto che il datore di lavoro

stava cercando di garantire l’accesso a tutti i membri, rispettando l’esigenza di non

discriminazione. Questo approccio è coerente con i casi in cui il fattore religioso è

rilevante per il datore di lavoro e si verifica un conflitto tra l’orientamento dell’or-

ganizzazione e i doveri di lealtà e i diritti individuali del dipendente. In tali casi,

l’obbligo di fedeltà che il dipendente ha assunto sarà valutato in base alle sue qua-

lifiche e alle responsabilità svolte, cercando un equilibrio proporzionale tra le li-

bertà individuali dell’individuo, garantite almeno dalla possibilità di dimettersi, e

l’autonomia del gruppo.

Pertanto, se le funzioni svolte sono intrinsecamente legate alle finalità ideologi-

che dell’istituzione, l’organizzazione potrà legittimamente licenziare un dipendente

che manifesti posizioni contrarie a tali finalità, poiché il riconoscimento dell’obie-

zione comporterebbe una compromissione delle mansioni da svolgere e potrebbe

56
EDU, C. (2013). Eweida and others v. United Kingdom. Retrieved 07/08/2023 from
http://www.articolo29.it/decisioni/corte-europea-dei-diritti-umani-eweida-e-altri-c-regno-
unito-decisione-del-15-gennaio-2013/ par. 109

- 52 -
danneggiare il rapporto contrattuale e la capacità professionale del lavoratore.

È importante notare che il riconoscimento o il rifiuto di esenzioni individuali in

questi casi non costituisce una violazione del principio di non discriminazione sta-

bilito dall’articolo 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e

dalla Direttiva 78/2000/CE del 27 novembre 2000. Questo perché la nozione di di-

scriminazione include ora anche pratiche discriminatorie per effetto, ma nel con-

tempo si è affermato un concetto ampio di parità, che si riferisce all’uguaglianza di

opportunità per tutti i membri. Pertanto, una differenza di trattamento non costituirà

discriminazione se è necessaria per l’esercizio delle attività lavorative essenziali57.

Nell’affare McFarlane, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha principalmente

esaminato la questione della libertà di coscienza e di religione, trascurando in parte

le implicazioni potenzialmente discriminatorie della controversia. Questo è stato

dovuto alla natura privata del datore di lavoro coinvolto. Di conseguenza, la respon-

sabilità convenzionale delle autorità pubbliche è stata considerata in termini di “ob-

bligo positivo dello Stato di proteggere i diritti [del ricorrente] in materia di libertà

religiosa”58. Tuttavia, la questione è stata apparentemente meno dibattuta poiché i

giudici europei hanno concordato all’unanimità nel respingere l’asserzione di vio-

lazione dell’articolo 9, da solo o in combinazione con l’articolo 1459. Questo perché,

a differenza della segretaria nell’affare Ladele, il consulente in psicologia sessuale

si era volontariamente e consapevolmente impegnato in un programma professio-

nale legato a una politica di uguaglianza che non discriminava le coppie di clienti

57
Valente, V., “Tutela della coscienza, tra freedom to resign e indeclinabilità delle
funzioni pubbliche”. Stato, Chiese e pluralismo confessionale. 2016.
58
Op. cit., EDU, Eweida and others v. United Kingdom, 2013. Par. 108
59
Ibidem Par. 110

- 53 -
in base all’orientamento sessuale60. Anche se la dottrina del “freedom to resign” è

stata abbandonata, la Corte può comunque tener conto di questo fatto per valutare

se è stato raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco61.

Purtroppo, la Corte non ha stabilito un parallelo tra l’obbligo per un dipendente

di rispettare la politica interna definita dal datore di lavoro e il diritto all’autonomia

delle comunità religiose. Questo diritto è ampiamente riconosciuto a Strasburgo e

consente a certi datori di lavoro confessionali di imporre vincoli specifici per le

posizioni che coinvolgono un’etica basata sulla religione o sulle convinzioni. Tut-

tavia, è alquanto curioso che alcune persone si oppongano alla libertà di un datore

di lavoro, in particolare privato, di promuovere una politica di uguaglianza, mentre

allo stesso tempo si rallegrino del fatto che il datore di lavoro confessionale goda

di una libertà analoga. In ogni caso, anche in questo caso, la decisione di non stabi-

lire una violazione è stata basata sulla “ampia discrezionalità” concessa alle autorità

statali. Questa discrezionalità permette loro di tollerare “l’azione di un datore di

lavoro che desideri implementare la sua politica di offerta di servizi senza alcuna

discriminazione”62.

Alla luce della cautela del ragionamento europeo, è importante evitare di trarre

conclusioni affrettate. Optando per “affidarsi alla discrezionalità del legislatore na-

zionale per risolvere queste delicate questioni”, i giudici europei “hanno evitato di

aprire la scatola di Pandora”63.

Da un lato, la sentenza Eweida e altri non impedisce un sistema nazionale che

60
Ibidem Par. 109
61
Ibidem
62
Ibidem
63
McCrea, R., “European Court of Human Rights Decision in Eweida and Others v.
UK”. UK (January 31, 2013). 2013.

- 54 -
riconosca individualmente a un dipendente pubblico il diritto di rifiutare di cele-

brare l’unione di una coppia dello stesso sesso per motivi religiosi. Tuttavia, questo

meccanismo ha un forte limite convenzionale: la sua attuazione non può portare alla

negazione dell’efficacia del diritto riconosciuto a livello nazionale alle coppie dello

stesso sesso. In questo senso, la controversia sull’aborto costituisce un parallelo

perfetto. Anche in questo caso, la Corte ha sempre rifiutato di riconoscere un diritto

convenzionale all’aborto ma contemporaneamente, condanna le situazioni in cui,

quando uno Stato ha stabilito questo diritto nel suo ordinamento giuridico, una

donna è stata privata dell’accesso all’aborto a causa di ostacoli pratici, come l’in-

vocazione generalizzata del diritto di coscienza da parte del personale medico. In

questo senso, se uno Stato riconosce a tutte le coppie il diritto al partenariato civile

o al matrimonio, una possibile “clausola di coscienza” a favore degli ufficiali di

stato civile rispetterà la Convenzione solo se è concepita in modo che ogni coppia

possa comunque ottenere la celebrazione della loro unione.

D’altra parte, se una “clausola di coscienza” a livello nazionale non è vietata, la

giurisdizione europea non ha comunque riconosciuto un diritto convenzionale

all’”obiezione di coscienza” che i dipendenti potrebbero invocare. Recentemente, a

Strasburgo, c’è stato un cambiamento di giurisprudenza su questo punto. Un “diritto

all’obiezione di coscienza” nei confronti del servizio militare è stato solennemente

riconosciuto sotto l’articolo 949. È vero che ci sono molte differenze tra il caso

Bayatyan64 e i casi Eweida e altri. In particolare, il consenso europeo e

64
Il caso di Bayatyan contro l’Armenia è stato affrontato dalla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo (CEDU) e ha coinvolto il richiedente, Vahan Bayatyan, che ha rifiutato di
svolgere il servizio militare in Armenia a causa delle sue convinzioni religiose. La
decisione della CEDU in questo caso è significativa in quanto riguarda la protezione del
diritto all’obiezione di coscienza ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

- 55 -
internazionale identificato nel 2011 a sostegno della soluzione riguardava solo il

contesto del servizio militare. Ma i giudici maggioritari rimasero muti su questo

punto e si rifugiarono nella discrezionalità nazionale.

Un atteggiamento più volontaristico e esplicito sarebbe stato preferibile. Ad

esempio, la Corte avrebbe potuto collocare questi casi McFarlane e soprattutto La-

dele sotto la bandiera dell’”accomodamento ragionevole” tra le convinzioni reli-

giose e gli obblighi professionali. Limiti rigorosi a un tale accomodamento avreb-

bero potuto essere stabiliti, soprattutto nel caso Ladele, in cui i giudici avrebbero

potuto fare affidamento sull’idea che gli ufficiali di stato civile rappresentano lo

Stato. In quanto tali, sono soggetti a un “dovere di neutralità e imparzialità”65. Sic-

come lo Stato deve intervenire in maniera imparziale nessun individuo può presu-

mere che proprie ideologie, che siano religiose o di altra natura, seppur in obiezione

di coscienza, possano pregiudicare il diritto altrui di avere le disposizioni di diritto

precluse.

Un’altra scelta, sebbene più difficile, era disponibile anche alla Corte per giusti-

ficare la sua decisione di non menzionare l’obiezione di coscienza: riconoscere

chiaramente che il rifiuto di concedere pari diritti alle coppie dello stesso sesso viola

i valori convenzionali. Alla fine, il cuore della questione è di natura valoriale. È su

questo terreno dei valori che l’antagonismo delle posizioni appare più evidente.

L’opinione parzialmente dissidente e veementemente espressa dai giudici Vučinić

e De Gaetano lo dimostra chiaramente, quando criticano aspramente “l’ossessione

politicamente corretta” nel caso Eweida.

Bayatyan v. Armenia, Ric. n° 23459/03


65
Op. cit., EDU, Eweida and others v. United Kingdom, 2013. Par. 81

- 56 -
In un periodo in cui l’uguaglianza dei diritti a favore di tutte le coppie è oggetto

di accese discussioni, è comprensibile che la Corte esiti ad impegnarsi su questo

terreno dei valori che non le riesce sempre bene ma l’opacità del ragionamento mo-

rale e giuridico dei giudici maggioritari rende la loro soluzione meno chiara, inde-

bolendola di conseguenza66.

La materia coinvolge diversi ambiti giuridici, dall’ambito del servizio militare67

al sistema sanitario, dove il predetto diritto deve essere contemperato con la premi-

nente tutela della salute, come risulta dall’art. 32 della Costituzione italiana e

dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Per conciliare i due interessi contrastanti relativi all’obiezione di coscienza e alla

libertà di coscienza, è fondamentale comprendere il contesto giuridico e costituzio-

nale in cui questi diritti operano.

L’obiezione di coscienza è il diritto di un individuo a rifiutarsi di compiere

un’azione che contravviene alle sue convinzioni morali o religiose. Questo diritto

può essere problematico quando entra in conflitto con leggi o norme stabilite dallo

Stato. Tuttavia, alcuni accademici suggeriscono che l’obiezione di coscienza può

avere radici nella libertà di coscienza, un principio fondamentale che garantisce la

libertà di credere e praticare la propria religione o seguire le proprie convinzioni

morali.

La conciliazione di questi interessi può avvenire attraverso un equilibrio tra il

66
Op. cit., Hervieu, Un nouvel équilibre européen dans l’appréhension des convictions
religieuses au travail, 2013.
67
Nel 1972 il legislatore intervenne con la Legge n. 772/1972 per la disciplina
dell’obiezione di coscienza in materia di servizio militare, per la soluzione del conflitto tra
libertà di coscienza e il dovere di servire la Patria anche prestando il servizio militare ai
sensi dell’Articolo 52 della Costituzione Italiana.

- 57 -
diritto all’obiezione di coscienza e l’interesse pubblico alla legge e all’ordine. Que-

sto equilibrio può essere stabilito attraverso l’elaborazione di leggi e regolamenti

che riconoscano il diritto all’obiezione di coscienza ma stabiliscano anche limiti

chiari per garantire il rispetto delle leggi e dei diritti degli altri cittadini.

In definitiva, la conciliazione di questi interessi contrastanti richiede una rifles-

sione attenta sia sul diritto all’obiezione di coscienza che sulla libertà di coscienza,

cercando un equilibrio che rispetti entrambi all’interno del quadro legale esistente.

In ambito dei diritti, si affronta non solo la questione della libertà rispetto all’au-

torità, ma anche i moti della coscienza e come ciascun individuo si identifica ri-

spetto agli altri, riconoscendo e rispettando la coscienza altrui. La libertà di co-

scienza, all’interno dei diritti fondamentali, solleva la questione del vivere insieme

e del rispetto reciproco come base della convivenza.

Quando la libertà cerca di trasformarsi in obiezione ai doveri legali, il contesto

costituzionale diventa cruciale. La Costituzione italiana non menziona direttamente

l’obiezione di coscienza, ma il suo impianto personalista è rilevante in questo con-

testo. Tuttavia, a differenza di altre costituzioni, la Costituzione italiana non pre-

vede un diritto esplicito all’obiezione di coscienza.

In Italia, l’obiezione di coscienza è riconosciuta principalmente attraverso leggi

specifiche, ad esempio, per il servizio militare. Tuttavia, manca una legge sufficien-

temente flessibile e una chiara definizione di obiezione nel contesto della Costitu-

zione italiana.

L’obiezione di coscienza può essere suddivisa in due categorie: quella che non

influisce direttamente sui diritti altrui e quella che invece li colpisce. Quest’ultima

categoria è diventata importante nel contesto sanitario, in cui si discute

- 58 -
dell’obiezione a praticare l’aborto, la somministrazione di farmaci contraccettivi e

altre pratiche mediche. La sfida è definire i limiti dell’obiezione di coscienza, spe-

cialmente quando gli obiettori cercano di impedire queste prestazioni.

Ci sarebbe da approfondire la questione sull’obiezione di coscienza nell’ambito

dell’aborto farmacologico68.

Quando l’obiezione di coscienza è prevista e regolamentata dalla legge, rappre-

senta un’opzione legalmente attribuita a chi, trovandosi in conflitto tra un obbligo

stabilito dalla legge e un obbligo della sua coscienza, sceglie di adottare comporta-

menti alternativi legittimi. Questo permette di conciliare la scelta individuale con il

funzionamento ordinato della società.

Nel contesto attuale, la questione dell’obiezione di coscienza, specialmente

quando coinvolge professionisti, è sempre più rilevante, soprattutto in questioni

bioetiche e bio-giuridiche complesse che riguardano i diritti fondamentali dell’in-

dividuo.

Questo dibattito è particolarmente frequente nel settore sanitario, dove emergono

questioni che richiedono un riconoscimento o un dibattito sull’obiezione di co-

scienza e le sue implicazioni. L’espansione dell’istanza di autodeterminazione, so-

prattutto in ambito sanitario, crea conflitti tra diverse libertà, in cui l’autonomia del

paziente richiede la collaborazione di professionisti con obblighi etici o morali di-

versi.

Un esempio cruciale è l’obiezione di coscienza nelle pratiche di interruzione vo-

lontaria della gravidanza (IVG). Qui, si deve trovare un difficile equilibrio tra la

68
Di Lauro, P. “Obiezione di coscienza e aborto farmacologico”. 2015.

- 59 -
tutela della salute della donna e la libertà del medico di seguire la propria coscienza,

anche se in conflitto con le richieste legali della paziente. La legge 194/78 ha disci-

plinato queste pratiche, cercando di bilanciare questi valori in conflitto.

L’articolo 9 della legge 194/78 specifica le attività da cui gli obiettori sono eso-

nerati e quelle a cui l’obiezione non si applica. Tuttavia, la determinazione precisa

di cosa costituisca oggetto di obiezione può risultare complessa e ambigua, con in-

terpretazioni contrastanti.

Inoltre, la legge riconosce il diritto all’obiezione di coscienza al personale sani-

tario e agli ausiliari, ma la sua interpretazione varia tra i giudici ordinari e la giuri-

sprudenza amministrativa. Mentre alcuni sostengono una visione ampia del diritto

all’obiezione, altri la vedono in modo più restrittivo. La chiave di questa interpre-

tazione riguarda la natura delle attività e la loro idoneità a turbare la coscienza

dell’obiettore.

In sintesi, l’obiezione di coscienza rappresenta un equilibrio delicato tra diritti

individuali e leggi, specialmente in settori come la sanità e le questioni bioetiche, e

la sua interpretazione può variare notevolmente tra i diversi contesti giuridici.

La legge 194/1978, nota come “legge per la tutela della maternità e l’interruzione

volontaria di gravidanza”, stabilisce che nessuno può essere soggetto a coercizione,

responsabilità o discriminazione a seguito della decisione di rifiutarsi di praticare

un aborto (art. 9). Tuttavia, questa disposizione solleva una serie di questioni in

quanto coinvolge due interessi contrastanti: da un lato, le donne hanno il diritto

legale di porre fine alle loro gravidanze, e dall’altro, i professionisti medici hanno

la facoltà di rifiutarsi di eseguire aborti in base alle loro convinzioni religiose. La

sfida sta nel bilanciare questi due interessi opposti.

- 60 -
Per comprendere se l’obiezione di coscienza abbia una base costituzionale, è

importante affrontare la questione dello status giuridico dell’obiezione di coscienza

nell’ordinamento italiano. Sebbene non esista un requisito costituzionale formale,

alcuni studiosi ritengono che l’obiezione di coscienza possa essere radicata nella

libertà di coscienza sancita in vari articoli della Costituzione italiana, come gli arti-

coli 2, 13, 19 e 21. Secondo questa prospettiva, il diritto all’obiezione di coscienza

può essere considerato un “diritto costituzionale di quarta generazione”.

Tuttavia, c’è anche chi sostiene che la Costituzione italiana non riconosce espli-

citamente il diritto all’obiezione di coscienza come avviene in alcuni altri Paesi. In

effetti, il quadro costituzionale italiano non contiene norme specifiche che creino il

diritto all’obiezione di coscienza in modo inequivocabile.

L’articolo 54 della Costituzione italiana sottolinea che “tutti i cittadini hanno il

dovere di essere fedeli alla Repubblica e di rispettarne la Costituzione e le leggi”.

Pertanto, l’obiezione di coscienza deve essere espressamente prevista dalla legge

per esistere come diritto. In altre parole, il diritto all’obiezione di coscienza esiste

solo se il legislatore lo riconosce esplicitamente.

La Corte costituzionale italiana ha concluso che il diritto all’obiezione di co-

scienza è strettamente collegato alla libertà di coscienza ed è garantito dagli articoli

2, 19 e 21 della Costituzione, in quanto espressione del principio di laicità. Tuttavia,

è essenziale mantenere un equilibrio tra interessi costituzionali in conflitto.

Inoltre, è importante considerare il rapporto tra gli assetti legislativi italiani e

quelli dell’Unione Europea. L’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea riconosce il diritto alla libertà di coscienza ma stabilisce che

l’esercizio di tale libertà deve essere disciplinato dalle leggi nazionali. Gli Stati

- 61 -
membri devono trovare un equilibrio tra il diritto all’obiezione di coscienza e altri

interessi concorrenti, considerando il contesto giuridico dell’Unione Europea.

1.3.3 Caso Hamidovic contro Bosnia Herzegovina

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso una sentenza che rappresenta

una novità nel contesto giuridico sovranazionale europeo. Nel caso Hamidovic v.

Bosnia Herzegovina69, la Corte ha stabilito che il rifiuto di consentire a un testimone

di prestare giuramento indossando il simbolo della sua confessione religiosa costi-

tuisce una violazione dell’articolo 9 della Convenzione europea per i diritti

dell’uomo (CEDU), che riguarda la libertà di religione.

Il ricorrente aveva subito gravi conseguenze, tra cui l’incarcerazione, a causa del

suo rifiuto di testimoniare a testa scoperta. Questa sentenza rappresenta il secondo

caso in cui la Corte europea ha accolto istanze provenienti da una minoranza mu-

sulmana, il primo essendo stato il caso Ahmet Arslan e altri c. Turchia70.

La sentenza solleva diverse questioni importanti. In primo luogo, se essa sia coe-

rente con la recente giurisprudenza riguardante i simboli religiosi nello spazio pub-

blico, che si è sviluppata principalmente in Turchia e Francia. In secondo luogo, il

contesto socio-culturale e politico della Bosnia Herzegovina ha influenzato la defi-

nizione del caso, andando oltre l’approccio comune della Corte europea, che di so-

lito evita di estendere il proprio giudizio oltre il “forum internum”.

La sentenza in questione sembra anche differire dai casi riguardanti le questioni

di genere, come nel caso S.a.s. c. Francia, in cui la Corte europea aveva assolto la

69
Corte europea dei diritti dell’uomo, Hamidovic c. Bosnia Herzegovina, IV sez., n.
57792/15, 5 dicembre 2017.
70
Corte europea dei diritti dell’uomo, Ahmet Arslan e altri c. Turchia, II sez., n.
41135/98, 23 febbraio 2010,

- 62 -
Francia per aver impedito a una giovane donna musulmana di indossare il velo isla-

mico all’università. Tuttavia, le questioni relative alla neutralità dello spazio pub-

blico rimangono di grande importanza.

La Corte europea ha rilevato un’ingerenza statale nella libertà religiosa del ri-

corrente, senza giustificazione alla luce delle limitazioni ammesse dall’articolo 9

della CEDU. Questo indica una volontà più incisiva da parte della Corte nel garan-

tire la libertà religiosa, superando la dottrina del “margine di apprezzamento sta-

tale.”

Il caso Hamidovic v. Bosnia Herzegovina rappresenta quindi una discontinuità

rispetto ai casi riguardanti il velo islamico in Francia e Turchia, così come quelli

relativi al turbante indossato dalla minoranza Sikh.

Un altro aspetto rilevante, spesso trascurato nelle sentenze europee, è la que-

stione della discriminazione, che è presente anche in questo caso. La Corte tende a

considerarla come una violazione secondaria rispetto alla violazione principale o

sostanziale. Tuttavia, in alcune sentenze, come nel caso Izzettin e altri c. Turchia71,

la Corte ha cominciato a prestare maggiore attenzione alla dimensione discrimina-

toria72.

Nel caso Hamidovic v. Bosnia Herzegovina, la Corte europea dei diritti

dell’uomo ha esaminato la conformità delle azioni dello Stato nei confronti del ri-

corrente, un testimone in un procedimento penale, che aveva rifiutato di deporre

senza indossare il copricapo religioso della sua fede musulmana della minoranza

71
Corte europea dei diritti dell’uomo, Izzettin e altri c. Turchia, [Grande Camera], n.
62649/10, 26 aprile 2016
72
Nardocci, C., “Oltre il velo: la Corte europea dice sì al copricapo musulmano in
un’aula giudiziaria, ma supera la rigida prospettiva della State Neutrality: a margine di
Hamidović c. Bosnia Herzegovina”. Osservatorio costituzionale, 2018(2), 101-120. 2018.

- 63 -
dei Wahhabi/Salafi. L’autorità giudiziaria di prima istanza aveva espulso il ricor-

rente dall’aula, lo aveva condannato per oltraggio alla Corte e gli aveva inflitto una

multa di circa 1955,83 euro, decisione confermata in appello con la sola riduzione

della pena pecuniaria.

La Corte costituzionale della Bosnia Herzegovina aveva respinto il ricorso del

ricorrente, sostenendo che non vi era violazione degli articoli 9 e 14 della Conven-

zione europea per i diritti dell’uomo. Tuttavia, aveva indicato un problema con l’ar-

ticolo 6 della CEDU riguardante la conversione automatica della pena pecuniaria

in pena detentiva, richiedendo una modifica della legge.

Il ricorrente si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sostenendo che

l’ingerenza statale nel suo diritto alla libertà religiosa non era giustificata ai sensi

del secondo paragrafo dell’articolo 9 della Convenzione, poiché mancava di base

legale e rappresentava una misura sproporzionata. Ha anche invocato l’articolo 14

CEDU, affermando di essere stato oggetto di discriminazione religiosa.

Il governo ha ammesso l’ingerenza nel diritto alla libertà religiosa del ricorrente

ma ha sostenuto che vi era una base legale per l’azione del giudice, poiché si basava

sull’articolo 242, § 3, del codice di procedura penale nazionale, che concedeva

all’autorità giudiziaria una discrezionalità ampia nella gestione del processo. Inol-

tre, l’azione del giudice aveva lo scopo legittimo di proteggere la laicità dello Stato

e la neutralità dello spazio pubblico, specialmente in un procedimento penale per

terrorismo a sfondo religioso.

In sintesi, il caso riguardava il rifiuto di un testimone musulmano di deporre

senza il suo copricapo religioso, portando alla sua espulsione dall’aula e a una con-

danna. Il ricorrente ha sostenuto la violazione dei suoi diritti alla libertà religiosa e

- 64 -
alla non discriminazione, mentre il governo ha difeso l’azione del giudice in base

alla legge nazionale e ai principi di laicità e neutralità dello spazio pubblico. La

Corte europea dei diritti dell’uomo è stata chiamata a decidere sulla conformità di

queste azioni alla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.

La Quarta Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha esaminato le la-

mentele del ricorrente nel caso Hamidovic v. Bosnia Herzegovina, concentrandosi

principalmente sul secondo paragrafo dell’articolo 9 della Convenzione europea per

i diritti dell’uomo (CEDU). In questo caso, non era in discussione la limitazione

della manifestazione esterna della religione del ricorrente, ma piuttosto l’obbligo

impostogli di rimuovere il copricapo durante un procedimento giudiziario.

La Corte ha ritenuto che questo obbligo rappresentasse un’ingerenza pacifica ai

sensi del primo paragrafo dell’articolo 9 della CEDU, ma tale ingerenza poteva es-

sere giustificata solo se aveva una base legale adeguata e ragionevole ai sensi del

secondo paragrafo. Il governo bosniaco aveva sostenuto che il divieto era previsto

dall’articolo 242, § 3, del codice di procedura penale nazionale e che poteva essere

giustificato per preservare la laicità dello Stato e la neutralità dello spazio pubblico,

soprattutto in un procedimento penale per terrorismo a sfondo religioso.

La Corte europea ha accettato l’argomentazione del governo bosniaco, soste-

nendo che il divieto aveva una base legale accessibile e prevedibile nei suoi effetti,

anche se derivava da un atto regolamentare interno all’autorità giudiziaria. Tuttavia,

alcuni giudici hanno sollevato dubbi sulla flessibilità con cui la Corte ha interpretato

il requisito della base legale.

La criticità maggiore è derivata dall’assenza di un fondamento giuridico chiaro

per il divieto opposto al ricorrente, il che sembrava in contrasto con il principio di

- 65 -
legalità. La Corte ha sottolineato che ogni interferenza nei diritti convenzionali deve

avere una base legale e che la norma deve essere formulata con precisione per orien-

tare i cittadini e evitare discrezionalità eccessive. In questo caso, la norma nazionale

e il regolamento non sembravano soddisfare questi requisiti.

La Corte avrebbe potuto limitarsi a constatare la mancanza di una base legale

adeguata, ma invece ha affrontato il caso con un’interpretazione flessibile, am-

pliando la misura in cui una limitazione ai sensi del primo paragrafo poteva dirsi

prevista dalla legge. Questo approccio potrebbe avere implicazioni significative per

il sindacato della Corte su casi simili in futuro.

In definitiva, la sentenza Hamidovic rappresenta un’importante decisione sulla

presenza di simboli religiosi nello spazio pubblico, ma la sua interpretazione fles-

sibile della base legale solleva dubbi sulla coerenza con il principio di legalità san-

cito nella CEDU73.

73
Ibidem

- 66 -
CAPITOLO SECONDO

GESTIONE E VALORIZZAZIONE DELLA DIVERSITÀ NEL DIRITTO DELL’UE


2.1 Principi fondamentali sanciti nel TFUE e nella carta dei di-
ritti fondamentali dell’UE.
Gli “accomodamenti ragionevoli” sono adattamenti o modifiche che i datori di

lavoro possono apportare alle loro politiche o ambienti di lavoro per consentire ai

dipendenti con esigenze diverse di svolgere il loro lavoro in modo efficace. Questi

adattamenti mirano a rimuovere le barriere che impediscono ai dipendenti di parte-

cipare pienamente alla vita lavorativa e di utilizzare al meglio le proprie capacità.

Gli accomodamenti possono variare in base alle esigenze dei dipendenti e alle cir-

costanze del luogo di lavoro, come modifiche alle attrezzature, adeguamenti fisici,

riduzione dell’orario di lavoro, adattamento delle politiche aziendali, flessibilità

nell’organizzazione del lavoro, adeguamento del vestiario o l’assegnazione di un

assistente personale. Tuttavia, devono essere “ragionevoli” e non devono causare

un onere eccessivo per il datore di lavoro, che può scegliere di non effettuare tali

modifiche se ciò avesse un impatto negativo sulla produttività o sui costi aziendali74.

In generale, gli accomodamenti ragionevoli sono progettati per consentire ai

74
Basaglia, S., Cuomo, S., & Simonella, Z. “L’organizzazione inclusiva: Pari
opportunità e diversity management”, EGEA spa. 2022.

- 67 -
dipendenti di svolgere il proprio lavoro in modo efficace, eliminando le barriere

legate alle loro esigenze personali75.

La normativa europea attuale non richiede ai datori di lavoro di adottare misure

di accomodamento ragionevole per le persone che desiderano manifestare la propria

religione sul luogo di lavoro. Tuttavia, alcuni Paesi, come l’Olanda, hanno adottato

un’interpretazione ampia delle leggi antidiscriminatorie, consentendo l’adozione di

accomodamenti ragionevoli per coloro che desiderano manifestare la loro religione.

Alcuni esperti legali suggeriscono di estendere i principi degli accomodamenti

ragionevoli, originariamente previsti per le persone con disabilità, anche alle per-

sone che desiderano manifestare la loro religione o altre caratteristiche protette dalla

legge antidiscriminatoria.

A livello europeo, le istituzioni dell’Unione Europea incoraggiano la promo-

zione dell’inclusione e della diversità nei luoghi di lavoro attraverso il diversity

management. Questo approccio consiste nell’adozione di politiche e pratiche volte

a valorizzare la diversità all’interno delle organizzazioni, creando ambienti di la-

voro inclusivi in cui le differenze sono apprezzate e rispettate76. Il diritto antidiscri-

minatorio è avanzato in molti aspetti, ma sembra non essere adeguato per affrontare

le sfide di una società sempre più pluralista e complessa. Pertanto, le istituzioni

dell’UE stanno sempre più affidando al diversity management il compito di pro-

muovere l’uguaglianza e l’inclusione nei luoghi di lavoro.

La normativa europea attuale si concentra principalmente sugli accomodamenti

75
Basaglia S., Cuomo S., Simonella Z., L’organizzazione inclusva. Pari opportunità e
diversity management. Editore: Egea, 2022. Collana: SDA. Leading management.
76
Ferrari, V. “Funzioni del diritto: saggio critico-ricostruttivo” (Vol. 207), Laterza.
1987. 91

- 68 -
ragionevoli solo per le persone con disabilità e non affronta direttamente la que-

stione dei motivi religiosi, soprattutto nel settore privato. Ciò solleva interrogativi

sulle ragioni di questa limitazione e sulle conseguenze di tale assenza di normativa

specifica, in particolare per quanto riguarda l’uso di simboli religiosi da parte delle

lavoratrici musulmane e le implicazioni sul luogo di lavoro77.

Attualmente, le imprese private sono responsabili di valorizzare e accomodare

la diversità, inclusa quella religiosa, nei luoghi di lavoro. Tuttavia, ci sono due sfide

principali da considerare. In alcuni Paesi, sta emergendo una crescente tendenza al

nazionalismo e alla percezione negativa delle persone di diverse religioni, spesso

sostenuta anche a livello istituzionale78. Questo porta alla razzializzazione79 delle

persone di religione islamica e a episodi di odio verso di loro. Inoltre, c’è una dif-

ficoltà nel bilanciare il diritto di manifestare la propria religione sul luogo di lavoro

con la libertà d’impresa, come sancito dalla CDFUE80. La giurisprudenza della

Corte di Giustizia dell’Unione europea non offre chiare soluzioni per affrontare

questo conflitto.

L’interazione di questi fattori nei vari contesti nazionali e le diverse opinioni

sulla manifestazione di religioni “diverse” possono aggravare le disuguaglianze nei

luoghi di lavoro, specialmente nei Paesi con istituzioni nazionali poco accoglienti

o stigmatizzanti. Tuttavia, esistono esempi positivi in cui il diversity management

ha superato i requisiti legislativi per accomodare le esigenze delle persone di

77
Bello, B. G., “Accomodamenti ragionevoli basati sulla religione tra diritto
antidiscriminatorio e diversity management”. Stato, Chiese e pluralismo confessionale.
2020.
78
Frisina, A. “Razzismi contemporanei: le prospettive della sociologia”, Carocci. 2020.
79
Intesa come differenziazione tra gruppi umani come derivanti da fattori biologici.
80
Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

- 69 -
religione islamica81.

Per promuovere l’integrazione di tali misure nel diritto antidiscriminatorio e nel

diversity management, si propone di adottare una prospettiva interculturale. Questo

significa considerare le diverse culture e religioni come risorse da valorizzare piut-

tosto che problemi da risolvere. Questo approccio richiede la collaborazione di tutti

gli attori coinvolti, tra cui datori di lavoro, sindacati, organizzazioni della società

civile e autorità pubbliche, per promuovere una cultura di accoglienza e rispetto

reciproco82.

La funzione di orientamento sociale del diritto si riferisce alla capacità del diritto

di fornire una guida comportamentale per i membri della società83. Il diritto agisce

come un quadro coerente e universale per le decisioni delle persone in varie situa-

zioni sociali.

La funzione di orientamento sociale del diritto affronta due principali sfide: la

coerenza e la pretesa di universalità. La coerenza riguarda la necessità che il diritto

sia coerente e uniforme nelle sue regole e principi, mentre la pretesa di universalità

implica che il diritto debba essere applicabile a tutti i membri della società, indi-

pendentemente dalla loro posizione sociale, culturale o etnica. Queste problemati-

che diventano cruciali nel contesto delle istituzioni europee e nella formulazione di

norme, politiche e misure di diversity management che devono tenere conto della

81
Op. cit., Basaglia, Cuomo and Simonella, L’organizzazione inclusiva: Pari
opportunità e diversity management, 2022.
82
Op. cit., Bello, Accomodamenti ragionevoli basati sulla religione tra diritto
antidiscriminatorio e diversity management, 2020.
83
L’esperto inserisce la funzione di orientamento sociale tra le tre principali funzioni
del diritto, insieme alla risoluzione dei conflitti dichiarati e alla legittimazione del potere,
poiché queste funzioni non possono essere ulteriormente semplificate o ridotte. Op. cit.,
Ferrari, Funzioni del diritto: saggio critico-ricostruttivo, 1987. p. 91

- 70 -
diversità culturale e sociale della popolazione.

La funzione di orientamento sociale del diritto indica che il diritto non è solo un

insieme di regole, ma anche un sistema di modelli che influenzano il comporta-

mento delle persone. Questi modelli sono istituzionalmente coordinati e possono

guidare le decisioni su qualsiasi questione comportamentale nell’interazione so-

ciale. Tuttavia, l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche possono

essere influenzate da variabili diverse, tra cui il potere di coloro che interpretano il

significato delle norme stesse. Di conseguenza, il diritto può essere soggetto a in-

certezza e cambiamenti a seconda delle dinamiche sociali e dei conflitti. Nel conte-

sto dell’Unione Europea, la difficile conciliazione tra una prospettiva orientata al

mercato e l’affermazione dei diritti fondamentali può complicare il raggiungimento

di una coerenza complessiva del sistema giuridico. Tuttavia, i principi generali del

sistema giuridico contribuiscono a definire una coerenza di fondo84.

In questo contesto complesso, le istituzioni europee riconoscono il valore degli

accomodamenti ragionevoli basati sulla religione, sebbene in modo meno vinco-

lante rispetto alle politiche e al diversity management basato sulla volontà indivi-

duale. Il diritto non può dettagliare ogni aspetto della vita sociale, poiché i cambia-

menti sociali spesso superano la capacità delle norme giuridiche di adeguarsi rapi-

damente. Tuttavia, il diritto ha ancora il ruolo cruciale di guidare la società, in

quanto è un sistema flessibile che può essere aggiornato in risposta alle nuove sfide

sociali, anche attraverso l’interpretazione evolutiva delle norme giuridiche da parte

dei giudici. In altre parole, il diritto può adattarsi ai mutamenti culturali e sociali,

84
Cuomo, S., & Mapelli, A. “Diversity management: gestire e valorizzare le differenze
individuali nell’organizzazione che cambia”, Guerini e associati. 2007.

- 71 -
rimanendo un punto di riferimento per la società.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) svolge un ruolo cruciale

nella promozione dei diritti umani e nell’interpretazione delle leggi antidiscrimina-

torie. Ha sviluppato una giurisprudenza innovativa che estende la protezione contro

la discriminazione in casi come la discriminazione per associazione85, la concezione

non binaria del genere86 e le discriminazioni multiple87. Le decisioni della CGUE

possono influenzare notevolmente la società e l’opinione pubblica, contribuendo a

cambiare le norme sociali e a promuovere la protezione dei diritti umani. Tuttavia,

ci sono sfide nell’applicare la legge antidiscriminatoria, specialmente per quanto

riguarda l’espansione degli accomodamenti ragionevoli oltre la disabilità.

Organizzazioni non governative e studiosi del diritto antidiscriminatorio lavo-

rano per estendere le protezioni antidiscriminatorie e promuovere politiche di acco-

modamento ragionevole basate su fattori diversi dalla disabilità. Tuttavia, le im-

prese e le istituzioni possono resistere a tali cambiamenti e sostenere politiche di

neutralità o autonomia imprenditoriale per giustificare la discriminazione.

In generale, si sta affrontando la tensione tra un’interpretazione innovativa delle

85
Corte giust., 17 luglio 2008, Coleman, causa C-303/06, in cui la CGUE considera la
connessione oggettiva tra il fattore di discriminazione e il soggetto discriminato più del
fatto che quest’ultimo sia caratterizzato da tale fattore (nel caso in oggetto si tratta di una
lavoratrice madre di un figlio disabile); Corte giust., 16 luglio 2015, Chez, causa C-83/14,
che estende la protezione ai casi di discriminazione indiretta per associazione con persone
di origine rom.
86
Considerando 3 della Direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio,
del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità
di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (Gazzetta
ufficiale n. L 204 del 26 luglio 2006, pp. 23-36).
87
Corte giust., 10 luglio 2008, Feryn, causa C-54/07, punto 2, in cui questa Corte
afferma che integra una discriminazione la dichiarazione del datore di lavoro di non voler
assumere “persone cosiddette ‘alloctone’” al momento dell’annuncio di lavoro, perché
inibisce la possibilità di candidarsi da parte di soggetti che si riconoscono in tale
caratteristica.

- 72 -
leggi antidiscriminatorie e le preoccupazioni delle imprese e delle istituzioni ri-

guardo all’autonomia e alla neutralità. L’interpretazione della CGUE delle leggi

antidiscriminatorie può svolgere un ruolo fondamentale nel guidare la società verso

una maggiore protezione dei diritti umani e nella promozione di politiche di acco-

modamento ragionevole basate su fattori diversi dalla disabilità.

Le norme giuridiche, comprese quelle contro la discriminazione, sono messaggi

rivolti a tutti i membri della società e servono come guida per prevedere le conse-

guenze dei comportamenti. Tuttavia, non tutti automaticamente conformano il loro

comportamento alle norme giuridiche o condividono i valori della legge88. È fonda-

mentale diffondere la conoscenza di queste norme tra le persone interessate89.

È importante notare che la giurisprudenza in materia di diritto antidiscriminato-

rio è in continua evoluzione, e i datori di lavoro devono essere consapevoli di pos-

sibili cambiamenti nella sua interpretazione. Al momento, la mancata adozione di

accomodamenti ragionevoli basati sulla religione non comporta necessariamente

conseguenze dal punto di vista del risarcimento dei danni.

Affinché le norme giuridiche siano efficaci, devono essere chiare nella formula-

zione e diffuse in modo comprensibile per tutti i cittadini, garantendo così la capa-

cità del diritto di orientare il comportamento quotidiano.

2.1.1 Messaggi normativi a monte e a valle.

Analizziamo in dettaglio i tre aspetti chiave riguardanti il processo legislativo

nelle democrazie contemporanee:

1. Diversità degli attori legislativi: Nel processo legislativo, il legislatore non

88
Op. cit., Ferrari, Funzioni del diritto: saggio critico-ricostruttivo, 1987. pp. 141-145
89
Ibidem p. 125

- 73 -
è più considerato come un singolo ente autorevole ma come un insieme di

posizioni e interessi che convergono per la produzione delle leggi. Questo

coinvolge una serie di attori esterni, tra cui esperti, lobby, organizzazioni non

governative (ONG) e gruppi di pressione90. Questi attori esterni cercano di

influenzare le leggi in base ai cambiamenti sociali in corso. Questo significa

che le leggi spesso rappresentano compromessi tra diverse posizioni e pos-

sono essere influenzate da interessi esterni91. La complessità di questo pro-

cesso rende i testi normativi il risultato di negoziati e interazioni tra molte

parti interessate.

2. Variabilità politica: Il legislatore è soggetto a cambiamenti nel tempo, in

quanto i governi e le coalizioni politiche cambiano. Questo porta a sensibilità

politiche diverse che possono influenzare l’applicazione delle leggi in modi

diversi. Inoltre, i giudici hanno il compito di interpretare e applicare le leggi,

e questa interpretazione può variare a seconda dei contesti politici e sociali.

I giudici, quindi, svolgono un ruolo importante nell’evoluzione del diritto nel

tempo, fungendo da “creativi del diritto” che tengono conto delle realtà mu-

tevoli e delle sfumature delle leggi92.

3. Intenzioni del legislatore: Le leggi possono essere influenzate dalle inten-

zioni dichiarate o non dichiarate del legislatore93. Le intenzioni dichiarate

servono a rendere le leggi più accettabili attraverso comunicazioni pubbliche

90
Ibidem pp. 132-133
91
Ibidem
92
Lamorgese, A., “L’interpretazione creativa e il valore del precedente nella
giurisdizione ordinaria”. Federalismi.it. Rivista di diritto pubblico, italiano, europeo, XVII.
2018. p. 5
93
Op. cit., Bello, Accomodamenti ragionevoli basati sulla religione tra diritto
antidiscriminatorio e diversity management, 2020.

- 74 -
o dibattiti parlamentari. Tuttavia, le intenzioni non dichiarate possono essere

omesse per vari motivi, come il mantenimento del consenso, la creazione di

una maggiore forza persuasiva o la concessione di un margine interpretativo

più ampio. Per comprendere appieno le intenzioni del legislatore, è necessa-

rio fare riferimento a documenti preparatori, dibattiti parlamentari, dichiara-

zioni di attori politici al di fuori del processo legislativo e contestualizzare il

testo giuridico all’interno del quadro più ampio delle leggi e delle politiche.

Nel contesto dell’Unione Europea (UE), questo processo legislativo complesso

coinvolge più organi decisionali, tra cui la Commissione europea, il Parlamento

europeo e il Consiglio dell’Unione europea, con rappresentanza degli Stati membri

e delle loro diverse visioni94. Tuttavia, le intenzioni del legislatore dell’UE possono

essere ancora più complesse da individuare, in quanto l’UE cerca di bilanciare la

promozione dei diritti umani con la dimensione economica. Ad esempio, le direttive

europee contro la discriminazione cercano di proteggere i diritti umani e promuo-

vere l’occupazione e l’integrazione sociale attraverso l’eliminazione delle discrimi-

nazioni, ma forniscono accomodamenti ragionevoli solo per le persone con disabi-

lità95.

La Direttiva 2000/78/CE, focalizzata sulla prevenzione della discriminazione in

materia di occupazione e lavoro nell’Unione Europea (UE), ha due obiettivi princi-

pali:

94
Favell, A., & Guiraudon, V., “The sociology of the European Union: an agenda”.
European Union Politics, 10(4), 550-576. 2009.
95
Ad esempio, nel caso delle direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE, il Memorandum
esplicativo chiarisce che la necessità di tutelare i soggetti dalle discriminazioni sulla base
dell’origine razziale o etnica derivava sia dal persistente razzismo nei Paesi membri, sia
dalla necessità di prevedere degli standard minimi di tutela in vista dei futuri allargamenti
dell’UE

- 75 -
1. Parità di opportunità e standard minimi di protezione96: La direttiva

mira innanzitutto a garantire la parità di opportunità per tutti i cittadini eu-

ropei nel contesto dell’occupazione e del lavoro. Questo significa che nes-

sun individuo dovrebbe essere oggetto di discriminazione in queste sfere a

causa di caratteristiche come l’origine razziale o etnica, la religione o le

convinzioni personali, l’età, la disabilità o l’orientamento sessuale. Inoltre,

la direttiva stabilisce standard minimi di protezione per affrontare queste

forme di discriminazione.

2. Accomodamenti ragionevoli per le persone con disabilità: La direttiva

riconosce la necessità di garantire l’uguaglianza di opportunità per le per-

sone con disabilità. A tal fine, introduce il concetto di “accomodamenti ra-

gionevoli” che gli Stati membri devono fornire per consentire alle persone

con disabilità di partecipare pienamente al mercato del lavoro e alla società.

Gli accomodamenti ragionevoli sono misure speciali o adattamenti che pos-

sono essere apportati per soddisfare le esigenze specifiche delle persone con

disabilità.

La direttiva offre anche una certa flessibilità agli Stati membri. Questi possono

mantenere accordi nazionali esistenti e promuoverne l’attuazione attraverso la con-

trattazione collettiva97. Inoltre, le direttive europee non consentono un abbassa-

mento delle tutele esistenti a livello nazionale. In altre parole, se uno Stato membro

96
Proposta per una Direttiva del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parità
di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, (COM(1999) 565 final),
25 novembre 1999, p. 5.
97
Proposta per una Direttiva del Consiglio che stabilisce un quadro generale, cit., p. 7;
cfr. Proposta per una Direttiva del Consiglio che attua il principio della parità di
trattamento, cit., p. 2.

- 76 -
ha già standard più elevati di protezione contro la discriminazione, la direttiva non

giustifica la loro riduzione. Le direttive europee rappresentano quindi un punto di

partenza minimo per la tutela della non-discriminazione.

Tuttavia, un limite delle direttive è che hanno fornito accomodamenti ragione-

voli solo per le persone con disabilità, trascurando altre categorie di persone, come

quelle basate sul genere o sulla cittadinanza. Questo ha limitato la portata delle di-

rettive nell’obiettivo di promuovere l’inclusione e l’uguaglianza, poiché molte per-

sone continuavano a essere escluse dal mercato del lavoro e dai servizi. Pertanto,

mentre le direttive hanno cercato di trovare un equilibrio tra le esigenze delle isti-

tuzioni europee e della società civile, hanno trascurato la necessità di fornire acco-

modamenti ragionevoli per altre categorie di persone che richiedevano tutele mag-

giori.

Per quanto riguarda la diffusione delle informazioni sulle norme antidiscrimina-

torie, le direttive europee raccomandano agli Stati membri di utilizzare “qualsiasi

mezzo appropriato” per garantire che tali informazioni siano ampiamente diffuse.

Questo è importante per rafforzare l’efficacia delle norme antidiscriminatorie e

coinvolgere una varietà di attori intermedi98, tra cui operatori giuridici, ONG, me-

dia, datori di lavoro e sindacati, nella lotta contro la discriminazione.

La diffusione delle informazioni sulle leggi antidiscriminatorie è importante, ma

da sola non è sufficiente per garantire una piena tutela contro le discriminazioni.

Gli Stati membri dell’Unione Europea (UE) hanno la possibilità di andare oltre i

minimi previsti dalle direttive europee e di estendere la tutela contro la

98
Op. cit., Ferrari, Funzioni del diritto: saggio critico-ricostruttivo, 1987. p. 128

- 77 -
discriminazione su base religiosa o su altri fattori. Inoltre, le imprese e gli enti pos-

sono adottare misure di “accomodamento ragionevole” senza violare le leggi anti-

discriminatorie.

Gli “accomodamenti ragionevoli” sono misure che possono essere adottate al

fine di eliminare o ridurre le barriere che impediscono a una persona di godere pie-

namente ed effettivamente dei suoi diritti. Queste misure possono variare a seconda

delle circostanze. Ad esempio, se una persona con disabilità ha difficoltà a salire le

scale per accedere a un edificio pubblico, un accomodamento ragionevole potrebbe

consistere nell’installazione di una rampa o di un ascensore.

Quello che è stato sottolineato è che gli accomodamenti ragionevoli non dovreb-

bero essere limitati solo alle persone con disabilità, ma dovrebbero essere estesi

anche ad altri contesti in cui si manifestano forme di discriminazione. Ad esempio,

si potrebbero adottare accomodamenti ragionevoli per garantire che le persone di

diverse religioni o orientamenti sessuali possano partecipare a eventi o attività senza

essere discriminate. Questo approccio ampliato agli accomodamenti ragionevoli di-

venta uno strumento per promuovere l’uguaglianza e la giustizia per tutti.

Nel contesto dell’UE, diversi attori giuridici, tra cui organismi di parità, giudici,

docenti universitari e avvocati, lavorano insieme per promuovere un diritto antidi-

scriminatorio più efficace e rispondente alla società. Questi attori collaborano per

diffondere conoscenza sulle norme antidiscriminatorie esistenti e per promuovere

l’implementazione di nuove norme che rispondano alle esigenze emergenti della

società. Le attività di avvocati, organizzazioni non governative (ONG) e sindacati

che si occupano di discriminazione sono fondamentali per incoraggiare i giudici e

i decisori a rispondere alle nuove esigenze emergenti dalla società attraverso

- 78 -
iniziative come il “litigio strategico,” l’advocacy e la persuasione morale.

Tuttavia, i mass media e i social media svolgono anche un ruolo importante nella

comunicazione dei messaggi normativi sulla non discriminazione. È importante no-

tare che le informazioni fuorvianti o errate possono influenzare negativamente

l’opinione pubblica e portare a generalizzazioni scorrette. In particolare, la riprodu-

zione di stereotipi negativi su gruppi religiosi o migranti può ostacolare l’effettiva

attuazione dei principi di uguaglianza e non discriminazione e la promozione degli

accomodamenti ragionevoli. In alcuni contesti, come l’Italia, il problema delle in-

formazioni fuorvianti e dei pregiudizi negativi contro migranti e richiedenti asilo è

diventato così grave da spingere a promuovere protocolli deontologici, come la

“Carta di Roma,99“ per promuovere una corretta informazione e contrastare la di-

sinformazione e gli stereotipi negativi sui gruppi più vulnerabili della società.

2.2 Pluralismo e diversity management.


La Piattaforma europea delle Carte della diversità100 è un’iniziativa promossa

dalle istituzioni europee con l’obiettivo di promuovere e incoraggiare l’inclusione

e la gestione della diversità all’interno delle organizzazioni in Europa, che possono

essere sia enti pubblici che aziende private. Questo viene fatto attraverso la sotto-

scrizione volontaria di documenti noti come “Carte della diversità”. La firma di

queste carte rappresenta un impegno formale da parte delle organizzazioni a imple-

mentare politiche e pratiche atte a promuovere la diversità e l’inclusione all’interno

99
La Carta di Roma — Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati,
vittime della tratta e migranti. Retrieved 12/08/2023 from
https://www.cartadiroma.org/cosa-e-la-carta-di-roma/codice-deontologico/.
100
Cfr. https://ec.europa.eu/info/policies/justice-and-fundamental-rights/combatting-
discrimi nation/tackling-discrimination/diversity-management/eu-platform-diversity-
charters_it.

- 79 -
del proprio ambiente di lavoro.

Le “Carte della diversità” contengono principi standardizzati che le organizza-

zioni si impegnano a seguire. Questi principi possono variare leggermente da Paese

a Paese per tener conto delle specificità culturali e normative locali, ma l’obiettivo

generale è quello di creare un ambiente di lavoro che rispetti e valorizzi la diversità

tra i dipendenti. Questa diversità può riguardare diversi aspetti, come l’origine et-

nica, l’orientamento sessuale, la religione, l’identità di genere e altre caratteristiche

personali.

La gestione della diversità, o diversity management101, è uno dei principali stru-

menti utilizzati per attuare le politiche di gestione della diversità all’interno delle

organizzazioni. Si tratta di un approccio strategico e sistematico che implica l’ado-

zione di politiche, procedure e pratiche che promuovano l’uguaglianza e l’inclu-

sione in tutti gli aspetti dell’ambiente di lavoro. Questo può includere politiche di

reclutamento mirate per aumentare la diversità della forza lavoro, programmi di

formazione per sensibilizzare i dipendenti alle questioni legate alla diversità, pro-

grammi di mentoring per favorire la crescita professionale delle persone, politiche

di valutazione basate sul merito e incentivi che promuovano la diversità, politiche

di conciliazione tra lavoro e vita privata e altre iniziative.

L’obiettivo del diversity management è creare un ambiente in cui ogni individuo

sia rispettato e valorizzato per le proprie differenze, contribuendo così a migliorare

la produttività, la creatività e l’innovazione all’interno dell’organizzazione. Inoltre,

promuove un’atmosfera di lavoro in cui nessun dipendente si senta discriminato o

101
De Vita, L., “Il diversity management in Europa e in Italia. L’esperienza delle Carte
delle diversità”. 2011.

- 80 -
svantaggiato a causa delle proprie caratteristiche personali.

Il Diversity Management (DM) è emerso negli Stati Uniti negli anni ‘60, paral-

lelamente al movimento per i diritti civili. Questo periodo storico ha portato all’at-

tenzione l’importanza della diversità e ha spinto le organizzazioni ad adottare poli-

tiche di “azioni positive” per affrontare le disuguaglianze e promuovere la diversità

nei luoghi di lavoro.

Negli anni ‘80, molte aziende americane hanno iniziato ad abbracciare iniziative

di diversity management a causa degli studi che dimostravano i benefici derivanti

dalla creazione di una forza lavoro multiculturale. Questi vantaggi includevano un

aumento della competitività, un miglioramento dei profitti e una maggiore spinta

all’innovazione. Questo ha contribuito a stabilire il diversity management come un

approccio strategico per migliorare le prestazioni aziendali e promuovere la giusti-

zia sociale negli Stati Uniti.

In Europa, il diversity management ha iniziato a prendere piede negli anni ‘90,

ma ha assunto caratteristiche diverse rispetto all’esperienza americana. Questo per-

ché il contesto europeo presentava differenze significative a livello istituzionale,

storico e sociale rispetto agli Stati Uniti. Tre principali spinte hanno favorito la dif-

fusione del diversity management in Europa:

1. L’influenza della Commissione Europea: La Commissione Europea ha pro-

mosso politiche per contrastare le discriminazioni in generale, comprese

quelle legate all’accesso al mercato del lavoro. Questo ha contribuito a

creare un clima favorevole alla promozione della diversità nelle organizza-

zioni europee.

2. La pressione degli attivisti: Gruppi di influenti attivisti hanno sostenuto

- 81 -
politiche contro le discriminazioni razziali e hanno presentato evidenze di

discriminazioni etniche e razziali nel mercato del lavoro europeo. Questa

pressione ha contribuito a spingere le organizzazioni a prendere misure per

affrontare questi problemi.

3. L’interesse delle aziende internazionali: Molte aziende internazionali, in-

fluenzate dall’esperienza americana, hanno iniziato ad adottare il diversity

management anche nelle loro operazioni europee. Queste aziende hanno ri-

conosciuto i benefici di avere una forza lavoro diversificata e hanno quindi

promosso pratiche di diversity management.

In Europa, il diversity management è stato adattato alle specificità di ciascun

Paese, tenendo conto delle diverse culture e delle esigenze locali. Questo approccio

ha incluso iniziative di reclutamento mirate a promuovere la diversità, programmi

di formazione per sensibilizzare i dipendenti alla diversità, programmi di mentoring

e networking per supportare la crescita delle persone, politiche di valutazione basate

sul merito e incentivi che promuovono la diversità, politiche di conciliazione tra

lavoro e vita privata e altre iniziative.

In sintesi, il diversity management mira a valorizzare la diversità all’interno delle

organizzazioni, migliorando non solo la giustizia sociale, ma anche la produttività,

la creatività e l’innovazione aziendale. Mentre negli Stati Uniti si è originato prin-

cipalmente come risposta alle questioni razziali, in Europa si è adattato per affron-

tare una gamma più ampia di differenze, comprese quelle legate alla religione,

all’orientamento sessuale e all’identità di genere102.

102
Ibidem

- 82 -
La gestione della diversità all’interno di un’organizzazione è di fondamentale

importanza poiché può portare a una serie di benefici che migliorano la qualità dei

risultati e il benessere organizzativo. Questa gestione si basa su una cultura che

valorizza e promuove le differenze tra le persone, creando un ambiente in cui l’at-

tenzione alle persone e la solidarietà sono al centro dell’organizzazione stessa.

Il Diversity Management è un approccio che può essere implementato per af-

frontare criticità presenti nell’organizzazione o per diventare una cultura pervasiva.

Per farlo, è necessario esplorare un sistema di variabili che descrivono l’organizza-

zione al fine di individuare gli orientamenti coerenti con la prospettiva del Diversity

Management. Questo coinvolge l’integrazione della gestione delle differenze nella

progettazione e nella cultura organizzativa, influenzando aspetti come le politiche

di gestione delle risorse umane, le politiche di sicurezza, i comportamenti dei team

e le strategie commerciali.

Nella prospettiva del Diversity Management, le differenze sono considerate un

valore aggiunto che può essere utilizzato per creare innovazione e valore. Questo si

riflette in tre aspetti principali:

1. Strategia: L’azienda deve ascoltare attentamente i clienti e coinvolgerli

nella creazione di valore per il mercato, sfruttando le diverse prospettive e

competenze per innovare. La diversità non è solo un vantaggio economico

ma contribuisce anche al benessere organizzativo.

2. Strutture: L’organizzazione deve essere incentrata sulle competenze delle

persone anziché sulle loro posizioni. Questo si realizza attraverso la crea-

zione di strutture semplici e piatte che favoriscono la collaborazione e au-

mentano la possibilità di contribuire con competenze anche attraverso

- 83 -
soluzioni come lo smart working.

3. Ruoli: Gli individui devono essere valutati per la loro capacità di influen-

zare i risultati anziché per il loro potere sulle persone. Questo richiede che

le persone conoscano le specificità reciproche e le utilizzino in modo effi-

cace, creando un ambiente in cui le differenze sono apprezzate e sfruttate

per creare valore e migliorare la vita organizzativa.

Oltre a questi aspetti, l’organizzazione deve considerare anche altri elementi

come i processi, i sistemi di gestione, la tecnologia, le relazioni, la motivazione e

l’apprendimento. I processi devono essere definiti in modo che ciascuno possa co-

struire il senso del proprio lavoro in funzione delle richieste dei clienti, promuo-

vendo l’orientamento verso gli altri e la gestione dei conflitti. I sistemi di gestione

devono connettere le parti e distribuire informazioni ai diversi livelli per facilitare

la presa di decisioni e l’operatività. Tutto ciò contribuisce a creare un ambiente di

lavoro inclusivo in cui la diversità è un fattore di valore e innovazione103.

Le tecnologie devono essere impiegate per migliorare la qualità e la sostenibilità

del lavoro, rendendolo inclusivo e accessibile anche per le persone con disabilità.

Le relazioni tra le persone devono essere incentrate sulla collaborazione e l’empo-

werment a tutti i livelli, con una leadership che promuova l’interazione e il valore

delle differenze. La motivazione deve derivare dal senso e dal valore del lavoro

svolto, e le organizzazioni dovrebbero creare ambienti che coinvolgano i dipendenti

in modo significativo.

L’apprendimento continuo è cruciale per rimanere al passo con l’innovazione e

103
Ibidem

- 84 -
prevenire la perdita di capacità lavorative. Ogni individuo ha la responsabilità di

pensare in termini di apprendimento costante.

Il Diversity Management è un approccio alle risorse umane che mira a creare un

ambiente di lavoro inclusivo che valorizzi le differenze tra le esperienze, le predi-

sposizioni e le identità del personale, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni

aziendali. Questa prospettiva è emersa negli Stati Uniti negli anni ‘90 e si è poi

diffusa in Europa, compresa l’Italia. Questo cambiamento è evidenziato da tre prin-

cipali tendenze: l’aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro, la

diversificazione dei settori di attività e delle gerarchie organizzative, e l’aumento

dell’immigrazione.

In Italia, le donne continuano a guadagnare meno degli uomini, con un gender

pay gap dell’11,5%. Inoltre, sempre più lavoratori immigrati, soprattutto da Paesi

al di fuori dell’Unione Europea, sono presenti nel mercato del lavoro italiano. Que-

sto ha portato a un significativo aumento della quota di lavoratori stranieri in vari

settori, tra cui edilizia, meccanica, ristorazione, agricoltura e assistenza alla per-

sona. Il loro peso nel mercato del lavoro italiano è cresciuto in modo significativo

anche nelle posizioni esecutive e tra i lavoratori più giovani. Ad esempio, nel settore

dell’assistenza alla persona, l’80% della forza lavoro è costituito da immigrati. Que-

sti cambiamenti nel mercato del lavoro sottolineano l’importanza della gestione

della diversità nelle organizzazioni italiane.

Il terzo aspetto rilevante per il Diversity Management riguarda l’allungamento

della vita media, che ha portato a una presenza più ampia di persone di diverse età

nelle organizzazioni, ognuna con prospettive e aspirazioni diverse. Inoltre, la ri-

forma sull’inserimento lavorativo delle persone con disabilità avviata alla fine degli

- 85 -
anni ‘90 ha incrementato l’attenzione su questo aspetto. Tuttavia, in Italia, solo il

16% delle persone con disabilità tra i 15 e i 74 anni è impiegato, in contrasto con il

40% in altri Paesi dell’OCSE e il 49% della popolazione totale. Molti dei lavoratori

con limitazioni funzionali riscontrano difficoltà legate alla salute o alle loro disabi-

lità, e l’11,7% segnala la mancanza di opportunità di lavoro flessibili.

Nonostante siano state introdotte leggi e strumenti culturali per ridurre la discri-

minazione nei confronti delle persone con disabilità e della comunità LGBT in Ita-

lia, rimangono alcune criticità. Ad esempio, manca un modello di governance a

livello nazionale che coinvolga tutti i soggetti, e il sistema è caratterizzato da com-

petenze frammentate e normative differenziate a livello regionale.

Inoltre, mentre la ricerca italiana si è gradualmente estesa per includere altre di-

mensioni della diversità organizzativa oltre al genere, come l’età, l’origine e l’espe-

rienza della disabilità, il lavoro sulla differenziazione di genere ha prodotto stru-

menti di analisi e intervento che possono essere applicati anche ad altre forme di

diversità organizzativa.

Sebbene l’Italia stia affrontando le sfide legate alla gestione della diversità orga-

nizzativa, ci sono ancora progressi da compiere per garantire l’inclusione e la non

discriminazione delle persone appartenenti a gruppi svantaggiati. Le discrimina-

zioni si verificano in vari aspetti della vita, inclusa la sfera lavorativa, con un au-

mento delle segnalazioni di atti discriminatori, soprattutto durante l’accesso all’oc-

cupazione. Le denunce di discriminazione basate su razza ed etnia sono le più co-

muni e solo quelle legate all’età diminuiscono, non di rado la discriminazione ses-

suale invece è accompagnata da pratiche più vergognose.

Negli ultimi dieci anni, è emersa la necessità di riformare e razionalizzare il

- 86 -
diritto antidiscriminatorio sia a livello nazionale che comunitario, a causa dell’ac-

cumulo di diverse fonti normative nel corso dei decenni e della significativa giuri-

sprudenza delle Corti. L’articolo 13 del Trattato di Amsterdam104 e gli articoli 21 e

23 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE hanno fornito una base giuridica rin-

novata per combattere la discriminazione.

Le direttive sulla discriminazione del 2000 hanno affrontato nuovi fattori discri-

minanti come razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, disabilità, età

e orientamento sessuale. Le direttive del 2002/73105 e del 2004/113106 sulla parità di

genere hanno esteso la nozione di discriminazione a vari fattori e settori, inclusi

l’accesso ai beni, ai servizi e alle prestazioni sociali.

Questi sviluppi hanno portato a una nuova concezione delle politiche di pari op-

portunità che mirano a valorizzare tutte le differenze tra le persone, da etnia, reli-

gione, disabilità, orientamento sessuale all’identità di genere.

La direttiva 2006/54 del Parlamento europeo va oltre le misure normative

104
Trattato di Amsterdam che modifica il trattato sull’Unione europea, i trattati che
istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi - Versione consolidata del trattato
che istituisce la Comunità europea. Gazzetta ufficiale n. C 340 del 10/11/1997 . Articolo
13 (ex articolo 6 A):
“Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell’ambito delle competenze da
esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della
Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i
provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o
l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze
sessuali.”
https://www.europarl.europa.eu/about-parliament/it/in-the-past/the-parliament-and-
the-treaties/treaty-of-amsterdam
105
Attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per
quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le
condizioni di lavoro.
106
Scopo della presente direttiva è quello di istituire un quadro per la lotta alla
discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro
fornitura, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di
trattamento tra uomini e donne.

- 87 -
coinvolgendo molteplici attori, dalle istituzioni territoriali alle parti sociali, per

combattere tutte le forme di discriminazione.

Per migliorare l’effettività del diritto antidiscriminatorio, sono stati creati orga-

nismi chiamati “equality bodies” che promuovono azioni positive, incentivano il

dialogo tra le parti sociali e diffondono informazioni sulle normative antidiscrimi-

natorie.

La strategia dell’Unione Europea per promuovere l’uguaglianza e la non discri-

minazione mira a lottare contro le discriminazioni, valorizzare le diversità e pro-

muovere pari opportunità coinvolgendo tutti gli stakeholder e utilizzando strumenti

innovativi per affrontare la complessità delle discriminazioni.

Il nuovo approccio europeo alla lotta alle discriminazioni non si limita alla crea-

zione di leggi punitive e all’applicazione giudiziaria, ma include anche politiche di

inclusione e sensibilizzazione. L’Unione Europea cerca di promuovere politiche di

miglioramento dell’occupazione e di lotta all’esclusione sociale in parallelo

all’obiettivo normativo di combattere le discriminazioni. Questo approccio com-

bina strumenti di “hard law” e “soft law” e promuove azioni preventive oltre che

repressive. L’obiettivo è promuovere una cultura dell’inclusione coinvolgendo isti-

tuzioni, imprese e attori sociali per prevenire e contrastare le discriminazioni in

modo efficace.

In Italia, la direttiva comunitaria 2000/43 è stata recepita tramite il decreto legi-

slativo 9 luglio 2003, n. 215107, che ha istituito l’UNAR (Ufficio Nazionale

107
DECRETO LEGISLATIVO 9 luglio 2003 n. 215 - Attuazione della direttiva
2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e
dall’origine etnica.

- 88 -
Antidiscriminazioni Razziali) con l’obiettivo di garantire la parità di trattamento e

il rispetto dei diritti contro ogni forma di discriminazione basata sulla razza o

sull’origine etnica. L’UNAR ha esteso il proprio campo d’azione per includere altre

forme di discriminazione, come quelle basate su convinzioni personali e religiose,

età, disabilità, orientamento sessuale e identità di genere, in tutti i settori della vita

sociale, come il lavoro, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, l’accesso ai beni e ai ser-

vizi, e la protezione sociale. Questo ampliamento dell’ambito di competenza mira

a combattere tutte le forme di discriminazione e promuovere l’inclusione.

In Italia e in altri Paesi, si sta cercando di consolidare le competenze in un unico

organismo o di far convergere gli sforzi di diversi organismi specializzati per con-

trastare ogni tipo di discriminazione. Questa tendenza è incoraggiata dalla Com-

missione Europea, poiché dimostra l’impegno degli Stati membri nel superare le

norme minime stabilite dal diritto comunitario per sviluppare in modo significativo

la politica europea contro le discriminazioni.

2.2.1 Il radicamento del concetto di diversità nel contesto europeo.

Negli anni ‘90 è emerso un aumento delle iniziative volte a combattere le discri-

minazioni e promuovere l’integrazione lavorativa degli immigrati e delle minoranze

etniche in Europa. Questo sviluppo è stato influenzato da tre principali fattori: la

pressione di gruppi di influenza che chiedevano misure contro le discriminazioni

razziali, l’impegno della Commissione Europea a favore di misure antidiscrimina-

torie e la diffusione del Diversity Management tra le aziende internazionali, in se-

guito all’influenza degli Stati Uniti.

Ricerche comparative hanno rivelato la presenza di discriminazioni razziali

all’interno del mercato del lavoro europeo, come dimostrato da un rapporto del

- 89 -
1996 dell’European Foundation for the Improvement of Living and Working Con-

ditions. Tali discriminazioni comprendevano il rifiuto di assunzione basato sul co-

lore della pelle o l’origine migratoria, così come agevolazioni per le famiglie dei

lavoratori già assunti dall’azienda. Tuttavia, questa ricerca ha anche rivelato un ge-

nerale disinteresse da parte dei datori di lavoro, dei tecnici e dei sindacati nei con-

fronti di questi problemi, indicando che la diversità non era una priorità aziendale

in quegli anni.

Negli anni successivi, l’International Labour Organization (ILO) ha pubblicato

una ricerca sulla discriminazione contro i lavoratori immigrati e le minoranze etni-

che nel mondo del lavoro, evidenziando i meccanismi di discriminazione razziale

in entrata nel mercato del lavoro in alcuni Paesi europei. Nel 1995, le parti sociali

europee hanno firmato una dichiarazione a Firenze per la prevenzione della discri-

minazione razziale e della xenofobia e la promozione del trattamento equo sul luogo

di lavoro.

Il 2000 ha visto l’Unione Europea ratificare la Carta dei Diritti Fondamentali,

che includeva il principio di uguaglianza di trattamento e il divieto di discrimina-

zione basata sull’origine o l’origine etnica. Ciò ha spinto gli Stati membri a modi-

ficare le loro leggi in materia di uguaglianza e discriminazione, specialmente sul

luogo di lavoro.

In questo contesto, molte aziende europee hanno iniziato a considerare la diver-

sità come un valore aziendale, vedendo nella gestione della diversità un nuovo van-

taggio competitivo. Questo ha portato all’adozione di programmi di Diversity Ma-

nagement che rispondono alle sfide legate ai cambiamenti demografici, alla globa-

lizzazione e alla necessità di raggiungere mercati sempre più diversificati.

- 90 -
Tuttavia, è importante notare che il dibattito sul Diversity Management spesso

enfatizza l’aspetto universale dell’approccio, anche se la gestione della diversità

deve tener conto delle dimensioni istituzionali, politiche e sociali del contesto in cui

viene implementata per avere successo.

In sintesi, il Diversity Management non è una pratica universale che funziona

sempre allo stesso modo ovunque, ma deve essere adattato alle specificità del con-

testo in cui viene implementato. Questo significa considerare la cultura, le leggi, le

norme sociali e le esigenze dei diversi gruppi coinvolti. La gestione della diversità

non può essere imposta dall’alto ma deve coinvolgere un dialogo e il coinvolgi-

mento degli stakeholder, compresi i dipendenti, i clienti, i fornitori e le comunità

locali, per diventare efficace e sostenibile.

In Europa, le strategie di Diversity Management si concentrano maggiormente

sullo sviluppo individuale e sull’empowerment rispetto alla risoluzione dei pro-

blemi legati alla discriminazione e all’uguaglianza di opportunità come negli Stati

Uniti. Tuttavia, il contesto europeo è eterogeneo, con diverse forme di diversità e

diverse risposte alla diversità culturale e all’immigrazione nei vari Paesi. Alcuni

dubbi e critiche riguardano il fatto che il Diversity Management potrebbe enfatiz-

zare le differenze invece di eliminare la discriminazione o essere un approccio su-

perficiale alle questioni di uguaglianza108.

Alcuni ritengono che le strategie di Diversity Management dovrebbero affron-

tare questioni più profonde riguardanti il potere, lo status e il numero all’interno

della società e andare oltre l’approccio positivo e superficiale. Questo richiederebbe

108
Op. cit., De Vita, Il diversity management in Europa e in Italia. L’esperienza delle
Carte delle diversità, 2011.

- 91 -
una prospettiva più ampia e una collaborazione tra attori istituzionali e non istitu-

zionali, considerando le politiche di Diversity Management come parte di un si-

stema di governance più ampio. In questa visione, le politiche di Diversity Mana-

gement dovrebbero essere sviluppate e implementate in collaborazione con la co-

munità locale, nazionale e internazionale, per promuovere un’effettiva inclusione

sociale e diversità.

Le Carte della Diversità rappresentano la “via europea alla diversità” e sono

brevi documenti introdotti per promuovere il Diversity Management nelle organiz-

zazioni, sia private che pubbliche. Chi firma la Carta si impegna volontariamente a

promuovere la diversità all’interno dell’ambiente lavorativo e a sostenere il princi-

pio di uguaglianza senza discriminazione basata su genere, età, disabilità, prove-

nienza, origine etnica, religione e orientamento sessuale. Questo impegno volonta-

rio mira a sensibilizzare sia gli stakeholder interni (come i dipendenti) che esterni

(come i clienti) sull’importanza della diversità e dell’inclusione all’interno dell’or-

ganizzazione109.

2.3 Le Carte europee della diversità


Le Carte della Diversità sono uno strumento essenziale per promuovere il Diver-

sity Management nelle organizzazioni europee, sia private che pubbliche. Questi

documenti brevi impegnano le organizzazioni a valorizzare la diversità nei luoghi

di lavoro e a sostenere l’uguaglianza senza discriminazione basata su diversi criteri

come genere, età, disabilità, provenienza, origine etnica, religione e orientamento

sessuale dei lavoratori. Il Diversity Management in Europa è strettamente legato al

109
Ibidem

- 92 -
contesto politico, sociale ed economico in cui viene implementato.

Le Carte sono considerate una “via europea alla diversità” e mirano a ottenere

vantaggi come miglioramenti nelle assunzioni, maggiore fedeltà dei dipendenti,

maggiore creatività, risoluzione efficace dei problemi e coinvolgimento dei clienti.

Le organizzazioni che valorizzano la diversità spesso vedono un aumento dei pro-

fitti attraverso l’innovazione e risparmi in termini di efficienza. Inoltre, i dipendenti

spesso riportano un maggiore livello di soddisfazione lavorativa e lealtà verso

l’azienda110.

La Commissione Europea ha sostenuto la promozione delle Carte della Diversità

sin dal 2004 e ha incoraggiato le imprese e le amministrazioni pubbliche a conside-

rare il Diversity Management come un asset strategico. Nel 2010, ha finanziato una

Piattaforma di scambio delle Carte europee della Diversità per promuovere la di-

versità nei luoghi di lavoro in tutti i 28 Paesi dell’Unione Europea. La Piattaforma

ha fornito un forum per la condivisione di idee e buone pratiche tra i promotori delle

Carte in vari Paesi.

La Commissione Europea ha anche organizzato conferenze e prodotto docu-

menti utili per la politica, come studi, linee guida e report di valutazione, per ap-

profondire il ruolo della diversità nell’occupazione e nella crescita economica. La

Piattaforma si riunisce regolarmente tre volte all’anno e conta numerose organizza-

zioni aderenti, contribuendo a promuovere la diversità nei luoghi di lavoro in Eu-

ropa.

110
Op. cit., Bello, Accomodamenti ragionevoli basati sulla religione tra diritto
antidiscriminatorio e diversity management, 2020.

- 93 -
2.3.1 Le Carte della Diversità: i casi francese, tedesco, belga e spagnolo.

La Charte de la diversité en entreprise è una carta francese volta a promuovere

la diversità nelle imprese. Le imprese che la sottoscrivono si impegnano a rispettare

il principio di non discriminazione nella gestione delle risorse umane, ad adottare

politiche e azioni per promuovere la diversità, e a informare i propri collaboratori

dei risultati ottenuti. Queste organizzazioni si impegnano anche a sensibilizzare e

formare il personale responsabile della gestione delle assunzioni e delle carriere, a

riflettere la diversità della società in tutti i livelli aziendali e a coinvolgere i rappre-

sentanti del personale nell’elaborazione e nell’implementazione delle politiche di

diversità delle risorse umane. Inoltre, le imprese aderenti pubblicano una sezione

sulle politiche di diversità delle risorse umane nel loro rapporto annuale.

La Carta ha ricevuto il sostegno di grandi organizzazioni111, reti aziendali, asso-

ciazioni e agenzie governative ed è stata particolarmente orientata a sensibilizzare

le piccole e medie imprese, nonché le microimprese, in Francia. Le imprese aderenti

si impegnano a seguire le linee guida contenute nei sei articoli della Carta, che com-

prendono sensibilizzazione e formazione al Diversity Management, non discrimi-

nazione nella gestione delle risorse umane, riflessione della diversità della società

nei vari livelli aziendali e promozione dell’uguaglianza e della diversità tra i colla-

boratori.

La Carta ha ottenuto circa 3500 adesioni, principalmente da piccole e medie im-

prese e da organizzazioni pubbliche. Il segretariato della Carta in Francia è

111
L’idea di lanciare la Carta della diversità è emersa in seguito all’interesse suscitato
dal rapporto “Les oubliès de l’ègalitè des chance” di Yazid Sabeg, pubblicato per l’Istituto
Montaigne. Questo interesse ha portato al coinvolgimento di alcune grandi imprese
nell’Association Française des Entreprises Privées (AFEP) nella redazione del documento.

- 94 -
coordinato da IMSEntreprendre pour la Cité112, un’organizzazione affiliata a CSR

Europe che lavora con 230 aziende sui temi della responsabilità sociale d’im-

presa113.

L’iniziativa ha contribuito a creare un ampio dibattito in Francia sulla gestione

della diversità e ha portato a diverse iniziative volte a migliorare le politiche di

diversità nelle organizzazioni. È stato istituito un comitato promotore a cui hanno

partecipato diversi dipartimenti ministeriali e associazioni di impresa francesi. Sono

state organizzate iniziative come il “Tour de France de la Charte de la diversité”114

e il “Quartiers Libres pour l’Emploi”115 per valorizzare le iniziative delle imprese

nelle aree urbane.

La Carta francese rappresenta un esempio importante di iniziativa per la gestione

della diversità in Europa, con un focus sulla sensibilizzazione delle piccole e medie

imprese. Essa promuove il monitoraggio annuale delle azioni intraprese dalle

112
Les entreprises pour la citè. https://www.reseau-lepc.fr/
113
La CSR è definita dall’Unione europea come «integrazione volontaria delle
preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei
loro rapporti con le parti interessate». Nella Comunicazione della Commissione europea
per una nuova strategia sulla CSR 2011-2014 (comunicazione n.681 del 25 ottobre2011) ,
essa viene ridefinita come «responsabilità delle imprese per l’impatto che esse producono
sulla società». The European Business Network for Corporate Sustainability and
Responsibility. https://www.csreurope.org/
114
Era, nel 2006, una sorta di presentazione itinerante della Carta in 22 località diverse
della Francia.
115
Era un’iniziativa francese creata per promuovere l’occupazione nelle zone urbane
svantaggiate e affrontare il problema della disoccupazione in queste aree. Il nome
“Quartiers Libres” significa “quartieri liberi” e rappresenta l’idea di liberare questi
quartieri dallo stallo economico e sociale in cui si trovano. L’iniziativa fu stata lanciata dal
governo francese con l’obiettivo di mobilitare le imprese, le associazioni locali, i servizi
pubblici e i residenti per creare opportunità di lavoro e sviluppo economico in questi
quartieri. Tra le attività svolte nell’ambito di “Quartiers Libres pour l’Emploi” vi sono la
creazione di luoghi di lavoro, la formazione professionale, la promozione
dell’imprenditorialità, la mobilità professionale e la creazione di reti tra le imprese e le
organizzazioni locali. L’iniziativa è ancora attiva in Francia e rappresenta un esempio di
politica pubblica volta a combattere la disoccupazione nelle zone urbane svantaggiate
attraverso la mobilitazione delle risorse locali.

- 95 -
organizzazioni aderenti attraverso un questionario e ha dimostrato risultati positivi

in termini di diversità all’interno delle imprese firmatarie, in particolare per quanto

riguarda la presenza di donne manager, disabili, giovani e anziani.

La Charta der Vielfalt, la Carta della Diversità tedesca, promuove la diversità

sul luogo di lavoro in vari campi, tra cui genere, nazionalità, religione, abilità fisica,

età, orientamento sessuale, identità e filosofia di vita. Fu lanciata da quattro multi-

nazionali tedesche e sostenuta dal Ministro tedesco per l’Immigrazione, i Rifugiati

e l’Integrazione, con il patrocinio diretto dell’allora Cancelliera Angela Merkel. Le

organizzazioni aderenti si impegnano a creare una cultura aziendale basata sul ri-

spetto reciproco, a utilizzare metodi di gestione delle risorse umane che valorizzino

le competenze dei dipendenti, a riconoscere la diversità come una risorsa e a pro-

muovere la comunicazione interna ed esterna sulla Carta. Inoltre, si impegnano a

rendere pubblici gli effetti delle politiche di diversità e a coinvolgere attivamente i

dipendenti nell’attuazione della Carta.

La Carta ha avviato diverse attività, inclusa l’organizzazione del Diversity Day

in Germania, che coinvolgeva numerose organizzazioni nella promozione della di-

versità e dell’inclusione sul luogo di lavoro. La Charta pubblica anche dossier te-

matici su diversi aspetti della diversità e dell’inclusione sul luogo di lavoro. L’or-

ganizzazione promuove la partecipazione dei giovani attraverso il progetto Jugend

denkt Vielfalt in NRW, coinvolgendo giovani per discutere e proporre idee sulla

diversità sul posto di lavoro.

Un sondaggio online tra le organizzazioni aderenti rilevò che queste erano mo-

tivate dalla visibilità dell’impegno e dalla possibilità di creare reti. Le organizza-

zioni hanno sottolineato l’importanza dello scambio di buone pratiche e

- 96 -
dell’implementazione del sito web ufficiale. Le Risorse Umane hanno svolto un

ruolo importante nelle grandi imprese e nelle pubbliche amministrazioni per la ge-

stione delle politiche di diversità. Le PMI del settore privato si sono dichiarate più

soddisfatte del raggiungimento degli obiettivi rispetto alla pubblica amministra-

zione, possibilmente grazie alla loro maggiore flessibilità e minori ostacoli buro-

cratici.

Nonostante le sfide, le organizzazioni pubbliche hanno dimostrato un significa-

tivo grado di soddisfazione per il raggiungimento degli obiettivi della Charta, indi-

cando progressi verso la creazione di ambienti di lavoro inclusivi e rispettosi della

diversità.

La Carta della Diversità di Bruxelles Capitale di Regione è stata creata per pro-

muovere la diversità e la non-discriminazione sul luogo di lavoro, a seguito di un

rapporto che ha evidenziato elevati livelli di discriminazione nei confronti dei la-

voratori marocchini e turchi nell’area di Bruxelles. La Carta impegna le aziende ad

adottare politiche e azioni per promuovere la diversità, compreso l’organizzare

azioni di sensibilizzazione e formazione, applicare il principio di non discrimina-

zione in vari aspetti della gestione delle risorse umane, riflettere la diversità della

società nel personale e comunicare il loro impegno per la diversità. Le aziende ade-

renti possono ottenere un’etichetta della diversità se sviluppano un Piano della Di-

versità approvato dal comitato della Carta. Questo piano implica un’analisi detta-

gliata della diversità all’interno dell’organizzazione e la definizione di obiettivi spe-

cifici.

La Carta della Diversità spagnola è stata sviluppata da un gruppo di esperti pro-

venienti da diverse aree, con l’obiettivo di riflettere le sfide reali dei territori in

- 97 -
termini di diversità. Questa Carta promuove l’idea che la diversità è un valore po-

sitivo per la società e le imprese, portando vantaggi come creatività, innovazione e

adattabilità al mercato e alla società. La Fundación para la Diversidad en España

coordina il Charter de la Diversidad, con il sostegno del Ministero per le Pari Op-

portunità. La Carta è un impegno formale delle organizzazioni aderenti a promuo-

vere l’inclusione nei luoghi di lavoro e nella società nel complesso.

Entrambe le Carte enfatizzano l’importanza di creare ambienti di lavoro inclu-

sivi, rispettando e valorizzando le differenze di ciascun individuo. Tuttavia, è im-

portante che le aziende aderenti a queste Carte traducano questi impegni in politiche

e pratiche di gestione della diversità concrete, anziché utilizzare l’adesione come

semplice strategia di comunicazione.

La Carta della Diversità spagnola offre diverse opzioni alle imprese e alle orga-

nizzazioni per dimostrare il loro impegno verso la diversità, tra cui la sensibilizza-

zione dei dipendenti sui principi di pari opportunità e rispetto della diversità, la

promozione dell’integrazione di individui con background diversi, la facilitazione

della conciliazione tra lavoro e vita familiare, e il riconoscimento della diversità dei

clienti come fonte di innovazione. Le organizzazioni devono anche comunicare il

loro impegno per la diversità a una serie di stakeholder, compresi dipendenti, for-

nitori, organizzazioni d’impresa, amministrazioni pubbliche e altri.

Più di 670 imprese e organizzazioni, tra cui importanti nomi come PSA Peugeot

Citroën, DKV, Orange, e Allianz, hanno aderito alla Carta della Diversità spagnola.

L’adesione non richiede una tassa di iscrizione, ma le organizzazioni possono con-

tribuire finanziariamente in base alle loro dimensioni per il funzionamento della

Carta. L’organizzazione della Carta è molto attiva nell’organizzare eventi come

- 98 -
seminari, incontri e webinar sulla responsabilità sociale d’impresa e sulla diversità,

oltre a produrre studi valutativi e documenti di orientamento. La Carta ha stabilito

partenariati importanti con diverse istituzioni, tra cui la Camera di Commercio di

Madrid e università, per sostenere e promuovere politiche di diversità in Spagna.

La Carta della Diversità spagnola è, quindi, un’iniziativa che coinvolge nume-

rose aziende e organizzazioni per promuovere la diversità e l’inclusione nella so-

cietà spagnola, fornendo loro strumenti, risorse e reti di supporto per sviluppare

politiche e pratiche orientate alla diversità e all’inclusione.

La Piattaforma dell’Unione Europea delle Carte della Diversità svolge un ruolo

significativo nel supportare e promuovere le politiche di diversità tra i suoi sotto-

scrittori. Essa offre linee guida, corsi di formazione e facilita lo scambio di infor-

mazioni e buone pratiche tra le diverse Carte della Diversità in Europa. La Piatta-

forma promuove anche la cooperazione tra queste Carte, facilitando la realizzazione

di studi e pubblicazioni congiunte.

Un aspetto importante della Piattaforma è la promozione di progetti di gemel-

laggio tra le diverse Carte della Diversità, consentendo loro di apprendere recipro-

camente dalle iniziative e dalle azioni promosse dalle altre Carte. Questa coopera-

zione contribuisce alla crescita delle iniziative volontarie di Diversity Management

in Europa e dimostra i vantaggi economici derivanti dalla valorizzazione della di-

versità.

Inoltre, la Piattaforma organizza conferenze e pubblicazioni sul tema della di-

versità, coinvolgendo rappresentanti delle istituzioni europee, dei governi e delle

organizzazioni. Questi eventi forniscono un’opportunità per discutere delle sfide e

delle opportunità legate alla promozione della diversità e dell’inclusione sul luogo

- 99 -
di lavoro; facilita il collegamento tra le Carte della Diversità esistenti e quelle emer-

genti, contribuendo all’espansione di tali iniziative in tutta Europa; svolge un ruolo

chiave nella promozione e nello sviluppo delle politiche e delle pratiche di gestione

della diversità nelle organizzazioni, fornendo supporto, promuovendo la coopera-

zione e agevolando lo scambio di conoscenze e buone pratiche tra le diverse Carte

della Diversità.

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