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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI

“ALDO MORO”

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN


SCIENZE DELLE AMMINISTRAZIONI (LM-63)

TESI DI LAUREA
IN
DEMOGRAFIA ECONOMICA

“LO SMART WORKING E LE RELAZIONI SOCIALI”

Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa Roberta Pace

Laureando:
Dott. Filippo Ricciardi

ANNO ACCADEMICO 2019/2020


Indice

INTRODUZIONE .................................................................... pag. 5

1 COS’E’ LO SMART WORKING .................................... pag. 8

1.1 Definizione terminologica e parallelismi tra italiano e inglese


1.2 I presupposti alla diffusione globale dello smart working
1.3 Telelavoro e smart working, una distinzione necessaria
1.4 I tre pilastri dello smart working
1.5 Uso intenso delle ict
1.5.1 Hardware e devices
1.5.2 Software
1.5.3 Unified communication & collaboration technologies
1.6 Nuovo modello organizzativo del lavoro
1.6.1 ‘Le’ flessibilità, cultura, clima organizzativo, goal setting nell’organizzazione agile
1.6.2 Il leader giusto per la sfida dello smart working
1.6.3 Equilibrio vita-lavoro, un vantaggio o una criticità?
1.7 La nuova concezione degli spazi lavorativi

2 LO SMART WORKING: DEMOGRAFIA, LEGISLAZIONE E


IMPATTO DEL COVID-19 .............................................. pag. 32

2.1 Crescita del modello fino al 2019


2.1.1 Lavorare in qualsiasi momento, lavorare ovunque
2.1.2 Lo smart working in Italia nel 2019

2
2.1.3 Smart working e pubblica amministrazione
2.2 La normativa italiana
2.2.1 La legge 16 giugno 1998, n. 191
2.2.2 L’accordo quadro europeo del 2002
2.2.3 La legge 124/2015 come impulso per le pubbliche amministrazioni
2.2.4 La legge 81/2017 in materia di smart working
2.2.5 La tutela della privacy: dallo statuto dei lavoratori al GDPR
2.3 L’impatto dell’emergenza epidemiologica da covid-19 come impulso
all’applicazione del modello
2.3.1 Uno smart working “emergenziale”
2.3.2 La decretazione d’urgenza in occasione dell’epidemia

3 INDAGINE PILOTA SULL’IMPATTO DELLO SMART


WORKING SULLE RELAZIONI SOCIALI................. pag. 66

3.1 L’indagine pilota


3.1.1 Il progetto
3.1.2 Il questionario
3.1.3 I risultati
3.2 Un approfondimento sul tema: le interviste ai manager
3.2.1 Vito Carnimeo, Federmanager
3.2.2 Roberto Lorusso, Neetra
3.2.3 Francesco Pasquale, Bosch
3.3 Come cambia il mondo? Riflessione su uno scenario possibile, a
trazione “agile”

CONCLUSIONI ....................................................................... pag. 97


BIBLIOGRAFIA ...................................................................... pag. 102

3
4
Introduzione

L’oggetto di questo elaborato si impernia attorno ad un tema di assoluta


attualità: lo smart working, o come è stato mutuato nel nostro lessico, il lavoro
agile. Uno degli aspetti di particolare rilevanza che intendo affrontare è l’effetto
di questo innovativo modello organizzativo sulle relazioni sociali che gli
individui costruiscono nella loro quotidianità, sia in ambito famigliare che
lavorativo. L’obiettivo sarà, dopo aver fatto ampia disamina degli aspetti
costituenti il modello, ragionare sulle implicazioni della sua adozione, nello
specifico, in un momento storico come quello attuale di emergenza
epidemiologica da Covid-19.

Per meglio valutare ciò ho fatto ricorso a diverse metodologie: lo studio di


rapporti e lavori già presenti in letteratura, la realizzazione di un’indagine pilota
mediante somministrazione di un questionario, e un approfondimento attraverso
l’intervista face to face con tre importanti player del mondo imprenditoriale e
del lavoro, tre manager che hanno applicato il modello del lavoro agile nella
loro esperienza dirigenziale, sia prima che dopo l’insorgere della minaccia da
Covid-19.

Credo che un lavoro simile possa rivelarsi utile a diversi soggetti impegnati in
posizioni decisionali nelle organizzazioni private e pubbliche: consultando
questa tesi potranno conoscere lo smart working in generale, anche con diversi
spunti inediti, approfondire come questo interagisce con la legislazione
nazionale e con la crisi sanitaria in corso in questi mesi, farsi un idea

5
sull’impatto che questo ha sui lavoratori e sul loro modo di relazionarsi,
conoscere l’opinione di importanti decision makers, e molto altro.

Quest’opera è strutturata dunque in tre capitoli. Nel primo cerco di rispondere


in maniera esauriente ad un quesito: cos’è lo smart working? Una definizione
di smart working non è affatto facile, perché i confini di questo modello
organizzativo sono sfumati, e soprattutto non si deve confondere con il
telelavoro o remote working. Esaminerò anche quali sono i presupposti al suo
sviluppo nel nostro mondo globalizzato, per comprendere perché questo
manifesta i suoi effetti, a seconda dei paesi, in momenti differenti e con successi
alterni. Per concludere entro nel merito di quelli che definisco i tre pilastri del
lavoro agile (termine italiano adottato in normativa, che possiamo usare come
sinonimo dell’inglesismo più popolare), questi sono:

- Un uso intensivo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione:


hardware e software come “compagni di viaggio” dello smart worker;

- Un nuovo modo di organizzare il lavoro: flessibilità, cultura e clima


organizzativo, leadership e work-life balance;

- Una concezione nuova degli spazi lavorativi: come deve essere la sede di una
organizzazione che decide di investire nella conversione al lavoro agile?

Il lettore, una volta conclusa la lettura di questa prima parte, spero abbia i mezzi
per potersi addentrare nel successivo capitolo, che scruta il fenomeno da diversi
punti di vista per tratteggiarne un ritratto ancora più completo, che tiene conto
delle grandezze, anche demografiche, che caratterizzano lo smart working
prima e dopo lo scatenarsi dell’emergenza Covid-19 (spartiacque cruciale anche

6
per la sua diffusione), ma anche lo stato della normativa vigente, che si scoprirà
essere quantomeno variegata.

Infine, il lettore potrà conoscere i risultati dell’indagine pilota che ho svolto,


incentrata come ho già detto sulle relazioni sociali legate allo smart working,
posta in essere grazie al pregevole aiuto, oltre che della professoressa relatrice
Roberta Pace, anche del dott. Sergio D’Angelo, specialista della sociologia del
lavoro e dell’organizzazione. Nel terzo capitolo infatti presento l’indagine,
condividendo dunque anche il questionario che ho somministrato, e
successivamente ne espongo i risultati rilevati sul piccolo campione preso in
esame. Espongo inoltre anche una serie di tesi personali, basate (anche) sui
risultati dell’indagine pilota: c’è una correlazione tra età e desiderabilità del
lavoro agile? Quali sono le dinamiche in grado di migliorare l’esperienza di
smart working? Come percepiscono questo modello organizzativo coloro che
presentano all’interno del loro alveo famigliare persone bisognose di
assistenza? Ipotesi che risultano in parte avvalorate sia dai risultati dell’indagine
statistica, sia dalle risposte alle interviste concesse dai tre manager su
menzionati.

Rimando alle conclusioni diverse altre valutazioni frutto di un ragionamento più


ampio, su come la risposta a queste e altre domande, può dare un’idea sullo
scenario futuro e su come la nostra società potrà cambiare grazie (oppure a
causa) dello smart working.

7
Capitolo primo

COS’È LO SMART WORKING

1.1 – Definizione terminologica e parallelismi tra Italiano e Inglese

Quando ci si approccia alla parola composta “smart working” è doveroso


innanzitutto constatare, come è evidente, che ci troviamo davanti ad un
Inglesismo, ossia un termine che mutuiamo dalla lingua inglese, come spesso
accade nella nostra modernità, specie per termini riguardanti il mondo del
lavoro e più in generale dell’economia. La traduzione letterale, che però non è
pienamente calzante, suonerebbe come “lavoro intelligente” ma nel contesto
nazionale, soprattutto per via di interventi normativi abbastanza recenti1, si è
diffusa la formula “lavoro agile” per riferirsi allo stesso concetto, che
approfondiremo a breve.

Tornando al termine originale, quello inglese, è curioso constatare che dizionari


britannici come il Cambridge e il Collins non abbiano ancora acquisito tale
termine, ricerchiamo quindi una definizione soddisfacente in fonti diverse:

“An approach to organizing work that aims to drive greater efficiency and
effectiveness in achieving job outcomes through a combination of flexibility, autonomy

1 Art. 14 legge 124/2015, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche

8
and collaboration, in parallel with optimizing tools and working environments for
employees”2.

Possiamo tradurre in italiano questa definizione di Michael Armstrong, senza


snaturarne il senso: “Un approccio all’organizzazione del lavoro che mira a
raggiungere maggior efficienza ed efficacia attraverso una combinazione di
flessibilità, autonomia e collaborazione, parallelamente all’ottimizzazione nell’uso di
strumenti e ambienti di lavoro per i collaboratori”.

Rimanendo in ambito di definizione, è interessante osservare anche quella che


l’ordinamento italiano individua nelle normative di riferimento, che
approfondiremo a breve. Il legislatore, nel 2017, definisce così il lavoro agile:

“Modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante


accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e
senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti
tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene
eseguita in parte all’interno di locali aziendali e, senza una postazione fissa, in parte
all’esterno, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e
settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”3.

2 Armstrong, Michael., Armstrong’s handbook of human resource management practice, 12th edition. Kogan Page, London, 2012,
pag. 142
3 Art. 18 capo II, Legge 22 maggio 2017 n. 81, Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure
volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato

9
1.2 – I presupposti alla diffusione globale dello smart working.

Per capire meglio il successo dello smart working, occorre esaminare i


presupposti che hanno portato alla sua nascita: in questo paragrafo li
evidenzierò in maniera introduttiva, perché saranno utili nel secondo capitolo
di questa tesi, quando proverò a tracciare un ritratto storico e attuale del
fenomeno, anche e soprattutto ricostruendone, per quanto possibile, la
demografia.
La prima e forse più importante conditio sine qua non dello sviluppo del nuovo
modello è da ricercare nel progresso tecnologico, che analizzerò più avanti, in
quanto è anche uno dei caratteri fondamentali del lavoro agile. Fatto sta che lo
smart working senza le moderne tecnologie sarebbe impensabile: sarebbe forse
concepibile poter lavorare in team, a distanza, senza le comodità delle ICT
(information and communication tecnologies) come Internet? Certamente no.
Secondo presupposto dello smart working è a mio avviso la diffusione dei più
moderni modelli organizzativi che pongono l’attenzione su motivazione e
soddisfazione (che si influenzano a vicenda) al fine di aumentare la produttività
delle risorse umane. Tra le teorie sulla motivazione che è il caso di ricordare c’è
la scala dei bisogni di Maslow4 in cui una posizione di rilievo assumono i
bisogni della sfera sociale e quelli di autorealizzazione, che interessano
inevitabilmente la vita lavorativa. Altra innovazione della cultura organizzativa
centrale per comprendere il successo del lavoro agile, è sicuramente

4 Maslow, Abraham H., the Maslow business reader, John Wiley e sons, New York, 2000, pag. 3. “Maslow’s hierarchy of
needs is still frequently cited by all types of professionals… there are at least five sets of goals which we may call basic
needs. These are briefly physiological, safety, love, esteem and self-actualization…”

10
l’empowerment5 come processo di responsabilizzazione e autonomizzazione
dei collaboratori. In fine, l’emergere del concetto di impegno organizzativo6,
che consiste nello stimolare nel lavoratore un sincero senso di appartenenza
all’organizzazione, che risulta cruciale in un modello come quello dello smart
working, che presuppone un controllo meno costante del lavoratore.

1.3 – Telelavoro e smart working, una distinzione necessaria

Nel mondo “virato”7 dal terribile virus Covid-19, il termine smart working è
diventato parte del vocabolario collettivo, ed è forse anche questo ad avermi
spinto ad avventurarmi nella stesura di questo lavoro, che spero possa essere
utile a fare chiarezza su tale modello, e se non questo, almeno a comprendere
che c’è una differenza abissale tra lo smart working e quello che si è diffuso a
macchia d’olio durante la quarantena e nelle fasi successive, che appare più
simile al più vetusto telelavoro, una pratica affatto innovativa nel panorama dei
modelli organizzativi.
Se infatti il lavoratore fa a casa, magari a causa delle misure per il contenimento
dell’epidemia, ciò che faceva in ufficio, e in più utilizza solo skype8… no, non
sta facendo smart working.
Il telelavoro è definito dal dizionario Treccani come:

5 Quello di empowerment è un concetto attribuito in primis nell’ambito dell’emancipazione femminile, da R. Moss


Kanter, quale strumento di cambiamento e di ridefinizione dell’assetto del potere nelle organizzazioni, attraverso un
processo di responsabilizzazione e autonomizzazione.
6 È inteso come la condizione personale propria del commitment: il soggetto si impegna perché condivide gli obiettivi
ultimi dell’organizzazione stessa, cioè ha senso di appartenenza.
7 Mondo virato è una locuzione coniata nel numero 3/20 di Limes, rivista italiana di geopolitica, dedicato alle
conseguenze geopolitiche della pandemia di coronavirus.
8 Applicativo di messaggistica istantanea e videochiamate

11
“telelavóro s. m. [comp. di tele- e lavoro]. – Lavoro effettuato a distanza grazie
all’utilizzo di sistemi telematici di comunicazione; in particolare, lavoro a domicilio
realizzabile mediante il collegamento a una rete di comunicazioni che consente il
trasferimento immediato dei dati”

Come desumibile da tale definizione, il telelavoro ha in comune con il lavoro


agile solo alcuni aspetti, quale l’uso obbligato di tecnologie ICT e la
delocalizzazione dell’ambiente di lavoro. Invece, come vedremo più avanti, lo
smart working non prevede una totale delocalizzazione dell’ambiente
lavorativo, cosa possibile nel telelavoro, ma anzi pone enfasi su un nuovo modo
di concepire gli spazi aziendali, perché questi restano cruciali nella vita
lavorativa, specie in alcune fasi, come il processo creativo.
Altra forte distinzione tra le due modalità di intendere il lavoro, sta nel fattore
della flessibilità degli orari di lavoro, infatti come affermano Arianna Visentini
e Stefania Cazzarolli9, il telelavoro come inteso nell’accordo quadro europeo
siglato a Bruxelles il 16 luglio 2002 e recepito in Italia il 9 giugno 2004, a
differenza dello smart working prevede l’allestimento di postazioni a norma
presso il domicilio del dipendente e impone il rispetto del principio temporale
di regolarità nell’effettuare la prestazione da casa.
Tuttavia è possibile intendere il telelavoro come un “antenato” dello smart
working, se vogliamo, il punto di partenza di un processo evolutivo che
arricchito dai presupposti che prima ho accennato (nuove tecnologie e nuova
cultura organizzativa), ha portato alla nascita del lavoro agile.
L’idea che le nuove tecnologie potessero rivoluzionare la “geografia del lavoro”
circolava già negli anni ’60 negli Stati Uniti, e ciò portò già negli anni ’80 a

9 Visentini Arianna, Cazzarolli Stefania, smart working: mai più senza, Franco Angeli, Milano, 2019

12
pronosticare che circa il 40% della forza lavoro Americana avrebbe lavorato in
questo modo entro il 2000, principalmente nella forma dell’home-working
(lavoro da casa). Tale stima non si avverò, nonostante pregevoli sforzi
dell’amministrazione Americana come il “clean air act10”, in quanto la
percentuale nel 1999 si attestò a 15,7 milioni di addetti, pari al 12,9% della forza
lavoro11. Sullo sviluppo demografico del telelavoro torneremo nel successivo
capitolo, in quanto risulta un interessante termine di paragone con lo sviluppo
del lavoro smart.

1.4 – I tre pilastri dello smartworking

È ora il momento di addentrarsi in un’analisi più profonda del modello, e a tale


scopo trovo utile individuare tre fattori, o pilastri, che costituiscono elementi
identificativi dello stesso:

• ICT e altri strumenti;

• Un nuovo modello organizzativo del lavoro;

• Una nuova concezione degli spazi lavorativi;

10 Il Clean Air Act del 1963 è una legge federale degli Stati Uniti progettata per controllare l'inquinamento atmosferico a
livello nazionale
11 Campodell’Orto Sergio, Gori Massimo, conoscere il telelavoro, Franco Angeli, Milano, 2000. Pag. 34-35

13
1.5 – ICT e altri strumenti

Nell’affermazione dello smart working, la tecnologia gioca un ruolo cruciale, e


tra questa, particolare importanza è data alle ICT, ovvero le information and
communications technologies.

Del resto è una caratteristica propria dell’era dell’informazione che oggi stiamo
vivendo, e che caratterizzerà certamente anche gli anni a venire. Le ICT
comprendono tutte quelle risorse atte a manipolare, trasmettere e gestire
l’informazione, di natura hardware e software. Nel nostro caso, le tecnologie
ICT permettono agli smart workers di condividere dati e informazioni,
collaborare in tempo reale o fare riunioni a distanza, ad esempio con servizi di
video-conference, ma anche condividere l’accesso a Pc dislocati ai due angoli
del globo. Come è evidente, queste potenzialità fanno sì che non sia più
necessario riunire costantemente la forza lavoro in un unico sito, che è la sede
dell’organizzazione, ma è sufficiente mettere a loro disposizione tali strumenti,
e le conoscenze per sfruttarli al meglio.

La risorsa principale per poter attuare una transizione allo smart working è
certamente la connessione Internet, che deve essere sempre più veloce e
affidabile, di pari passo con la crescita vorace del volume dei dati e della
delicatezza degli stessi (con implicazioni inevitabili sulla sicurezza). Una
soluzione adeguata ed auspicabile per l’operatività tipica degli uffici è disporre
di una connessione “a banda ultra larga”, con una velocità di trasmissione dati
di c.a. 100 Mbit/s, tuttavia esistono contesti dove è necessaria una rete più

14
veloce, per completare la transizione alla c.d. industria 4.0.12 è importante che
tale risorsa infrastrutturale sia diffusa su larga scala per fare in modo che in un
territorio sia possibile organizzare il lavoro sulla base dei dettami del lavoro
agile.

Altra risorsa strategica a questo fine è la capacità di immagazzinare dati in


gran quantità e in maniera sicura, in quanto ogni addetto ogni giorno durante la
sua attività lavorativa produce megabyte, o gigabyte di dati. I modi per
immagazzinare dati sono molteplici, a seconda delle dimensioni
dell’organizzazione si usufruirà della memoria interna dei devices utilizzati, di
sistemi di cloud storage, o di server aziendali. Un luogo simbolo di questa
crescente esigenza di immagazzinare dati sono i data center, enormi depositi
centralizzati che sostituiscono i server aziendali, grazie a enormi vantaggi in
termini di costo, scalabilità13 e sicurezza. Per le organizzazioni più piccole
esistono addirittura servizi online di storage praticamente gratuiti, quali
Dropbox o Google Drive, che permettono anche un upgrade del servizio (in tal
caso a pagamento) in caso di crescita delle esigenze di spazio necessario.

1.5.1 Hardware e devices

Gli hardwares e devices necessari per il lavoro agile sono l’insieme di


dispositivi elettronici utili allo sfruttamento delle tecnologie che stiamo

12 Il Piano Nazionale Industria 4.0 (oggi Piano nazionale Impresa 4.0) offre alle aziende italiane strumenti per cogliere le
opportunità dell’innovazione e del digitale legate alla quarta rivoluzione industriale.
13 In informatica, la caratteristica di un sistema software o hardware facilmente modificabile nel caso di variazioni notevoli

della mole o della tipologia dei dati trattati.

15
osservando. Tra queste un ruolo preponderante hanno i Pc (personal computer),
preferibilmente laptop (meglio se dotati di una webcam per le videochiamate),
quindi portatili, per aumentare al massimo la flessibilità dei luoghi di lavoro:
questi versatili strumenti permettono di utilizzare tutti i software che fanno parte
dell’”armamentario” del lavoratore agile, come strumenti di produttività
d’ufficio14, programmi per la progettazione, ma anche servizi per project
management, agende virtuali, servizi di video conference. Non perderanno
tuttavia importanza dispositivi come fax, scanner e stampanti, fintanto che non
sarà giunta a compimento la completa dematerializzazione dei documenti,
traguardo ancora lontano nella maggior parte dei paesi. Da non sottovalutare è
anche l’importanza di uno strumento che ogni individuo porta con sé
quotidianamente, lo smartphone, il quale non è utile solo per comunicare, ma
anche per tenere d’occhio l’agenda, a volte in aggiunta a dispositivi come i
tablet, che coniugano la praticità del cellulare con dimensioni dello schermo più
adatte a farne uno strumento di produttività. Utensili pratici sono anche cuffie e
microfono, che permettono di ascoltare contenuti audio-video anche in luoghi
pubblici, e di parlare in videochiamate.

1.5.2 Software

Passiamo adesso ai softwares, cioè strumenti immateriali utili al lavoratore


agile: c’è da premettere che quasi ognuno dei software e programmi che citerò,
è disponibile in opzioni gratuite, ma anche in versioni più complete o

14 Quali i software Microsoft Office, o le sue alternative, anche open source.

16
professionali a pagamento, dunque molto dipende dalle necessità delle
organizzazioni, che dovranno sopportare costi tanto più alti quanto più alta è la
complessità dell’organizzazione stessa. Importante per la sicurezza in smart
working è certamente l’utilizzo di un servizio di virtual private network (VPN),
che permette di effettuare una connessione ad Internet mediata da un server che
dispone di standard di sicurezza elevati. Passiamo ora agli strumenti
imprescindibili per il lavoratore agile:

▪ Strumenti di comunicazione istantanea: li usiamo anche nella vita


quotidiana, sia da Pc che da dispositivi mobili, sebbene non
professionali, sono il metodo più semplice e immediato per comunicare
con colleghi, clienti, fornitori, o stakeholders in genere. Possiamo farlo
attraverso messaggistica istantanea, ma anche messaggi vocali e
videochiamate. Alcuni dei servizi più utilizzati in questo ambito sono gli
sms e le telefonate (attraverso la rete telefonica), ma anche e sempre più
di frequente servizi on app che sfruttano la sola connessione internet
(VoIP15): whatsapp, telegram, skype sono alcuni esempi.

▪ Servizi di videoconferenze: anche definite meeting solutions, sono delle


piattaforme online che permettono di effettuare riunioni con molti
partecipanti, condividere anche il desktop con essi, esaminare insieme
documenti e progetti. Anche in questo caso le piattaforme esistenti sono
molte e spesso abbastanza sovrapponibili sia per quanto concerne i
prezzi, sia per le potenzialità a disposizione dell’utente: alcuni esempi
sono Zoom, Microsoft teams, Google hangout. La mia esperienza

15 VoIP – voice over IP – voce tramite protocollo internet, sono servizi che permettono di effettuare telefonate
sfruttando la sola rete internet

17
personale mi ha portato a servirmi di tutte queste soluzioni. Nell’ambito
della pubblica amministrazione, uso Zoom per la partecipazione alle
sedute di Consiglio Comunale, come previsto in ossequio alle norme di
contrasto al Covid-19, in ambito accademico ho utilizzato Microsoft
teams per lavorare a questa tesi, ma anche per svolgere sedute d’esame,
inoltre ho utilizzato Google Hangouts per la vita privata e per lavoro:
tutte queste soluzioni sono di facile utilizzo e gratuite, almeno nelle loro
impostazioni di base.

▪ Social media: questi ultimi sono principalmente considerati come un


mezzo di condivisione e svago, ma è bene sapere che anche i social
media più comuni hanno ottime potenzialità in ambito lavorativo: ad
esempio Facebook, il più famoso tra i social network, permette la
creazione di gruppi chiusi di utenti e di pagine, spesso utilizzate sia per
far conoscere le organizzazioni all’esterno, sia per lo scambio di
informazioni all’interno. C’è poi LinkedIn, considerato “il social
network dei professionisti”, ideale per fare rete, cercare personalità e
organizzazioni in ambito business, ma anche cercare e offrire lavoro.

▪ Suites per il project management: che il lavoro si svolga in ufficio, o da


remoto, assumono sempre maggiore importanza le piattaforme per la
gestione di progetti lavorativi. Si possono installare sul proprio device
oppure utilizzare direttamente su browser16. Questi strumenti
permettono di pianificare il proprio lavoro, insieme a quello dell’intero

16 Il web browser è un'applicazione per l'acquisizione, la presentazione e la navigazione di risorse sul web. Tali risorse
(come pagine web, immagini o video) sono messe a disposizione sul World Wide Web (la rete globale che si appoggia
su Internet), su una rete locale o sullo stesso computer dove il browser è in esecuzione.

18
team di progetto, per monitorare quotidianamente i progressi, la mole di
lavoro suddivisa, eventuali criticità. Nello smart working funge da vero
e proprio ufficio virtuale, utilizzabile per condividere files di progetto,
messaggiare, darsi appuntamenti e fissare scadenze. Le soluzioni sul
mercato sono molte, anche in questo caso si può scegliere una suite
gratuita, ed eventualmente passare ad un pacchetto a pagamento per
implementare le più avanzate funzionalità. I prezzi partono da 10 € al
mese per utente, ma possono essere creati pacchetti aziendali a prezzi
negoziabili. Un’ottima suite che offre un servizio completo
gratuitamente è Trello: oltre a bacheche e strumenti propri, permette di
integrare altre app, che magari il gruppo di lavoro già usa, come Google
Drive, Slack o Dropbox, e con la sincronizzazione su tutti i dispositivi,
si può accedere in qualsiasi momento. Personalmente ho utilizzato Trello
per alcuni miei lavori in ambito digital advertisement, utilizzando
soltanto le opzioni più basilari di condivisione con il gruppo. Un altro
strumento che ho utilizzato, in maniera più professionale e approfondita,
è Teamwork, una delle più apprezzate suite, nell’ambito di un’esperienza
di stage in un’agenzia di comunicazione e marketing: è stato possibile
grazie ad essa condividere i compiti (task) di ciascun progetto tra tutti i
cinque membri dell’agenzia, con la possibilità di attingere a documenti
e interagire anche da casa, ad esempio nei giorni di malattia.

▪ Strumenti per simulare workshop: nell’attività lavorativa tradizionale


spesso si dedicano momenti a riunioni finalizzate a fare brainstorming17,

17 Metodo decisionale, usato spec. in pubblicità, in cui la ricerca della soluzione di un dato problema è effettuata mediante

sedute intensive di dibattito e confronto delle idee e delle proposte espresse liberamente dai partecipanti.

19
con diagrammi di flusso, mappe mentali e ogni altro strumento utile a
stimolare la creatività. Come ho già accennato in un paragrafo
precedente, il lavoro creativo è una delle criticità dello smart working,
essendo una fase che esige un dialogo diretto e proattivo. Un tool che
permette di simulare tali momenti, attenuando tale difficoltà, è Miro, che
permette appunto di simulare una lavagna online.

▪ Strumenti per la produttività in cloud: Google drive. Torno a citare


questo interessante servizio della casa di Mountain view18 che permette
di lavorare con fogli di scrittura, di calcolo, presentazioni e molto altro,
direttamente in cloud, con la possibilità di condividere in tempo reale i
documenti con infinite persone, semplicemente inserendone un indirizzo
e-mail.

1.5.3 Unified communication & collaboration technologies

Per chiudere questo paragrafo, ho scelto un argomento che “abbraccia” gran


parte delle tecnologie finora accennate, e che rappresenta un indicatore forte di
quanto matura sia l’implementazione dello smart working in una realtà
organizzativa: si tratta delle tecnologie di unified communication &
collaboration. È l’infrastruttura complessa che supporta “la gestione di ogni
tipo di comunicazione, interna ed esterna all’impresa, in modo unitario e
indipendente dai mezzi adottati per veicolare i contenuti attraverso infrastrutture
e strumenti integrati… con importanti risparmi nei costi di set-up e gestione dei
diversi servizi…” come definita dall’osservatorio sullo smart working del

18 È la sede del gruppo Alphabet, public company che controlla, tra le altre, Google

20
Politecnico di Milano. Proprio i benefici di costi nel breve periodo, hanno
incoraggiato negli ultimi anni importanti investimenti in realtà italiane (e non)
di dimensioni diverse.

1.6 – Un nuovo modello organizzativo del lavoro

Il secondo pilastro che intendo analizzare, è l’aspetto organizzativo del lavoro.


Tale aspetto assume significati differenti nel lavoro autonomo, e nel lavoro di
gruppo, dove quest’ultimo è quello che prospetta le maggiori criticità.

Come abbiamo già avuto modo di vedere nel primo paragrafo, quando ho
provato a dare una definizione dello smart working, la legge 81/2017 parla di
un rapporto di lavoro subordinato, le cui modalità di esecuzione sono stabilite
tra le parti, sulla base di fasi, cicli e obiettivi (su cui si basa anche la
retribuzione), superando precisi vincoli di orario e luogo di lavoro (flessibilità)

Quando si affronta il tema dell’organizzazione del lavoro in un contesto


collettivo, il primo sguardo non può che posarsi sull’approccio del management,
in particolare di quelli che rispondono alla carica di responsabili delle risorse
umane. Gli organizzatori devono pensare e guidare questo cambiamento
attraverso diversi interventi:

✓ Promozione e valorizzazione dei contributi innovativi dei collaboratori,


in particolare i nativi digitali sono spesso al contempo le “matricole”
dell’organizzazione ma anche i più probabili catalizzatori di scelte smart;

✓ Bilanciamento tra vita personale e lavoro (work-life balance);

21
✓ L’incoraggiamento all’autonomizzazione e responsabilizzazione;

✓ Redazione di policy che non discriminino, anzi incoraggino il nuovo


modello;

✓ uso sempre più diffuso di strumenti di auto-valutazione, auto-sviluppo,


auto-formazione, auto-apprendimento, auto-narrazione19;

✓ Implementazione di strumenti ICT e formazione al loro uso per i


collaboratori meno esperti: l’evoluzione e diffusione degli strumenti, che
nel paragrafo precedente ho analizzato, è proprio uno stimolo che genera
cambiamento nel modo di intendere il lavoro, di organizzarlo, a
prescindere dal ruolo che si occupa, dal dirigente all’ultimo stagista;

✓ Lavoro per obiettivi, valutati sulla base di indicatori di risultati coerenti


e veritieri;

✓ Sdoganamento della flessibilità rispetto a spazio, tempo e strumenti;

Gabriele Gabrielli, docente di HR alla LUISS “Guido Carli”, sulla rivista online
dell’associazione Italiana per la direzione del personale (Aidp) pone interessanti
domande che riguardano l’organizzazione del “nuovo” modello lavorativo che
stiamo esaminando:

“possiamo assumere l'ipotesi che tutti abbiano la vocazione imprenditoriale e che


vogliano diventare davvero imprenditori, accollandosi i rischi conseguenti e
autodeterminando il proprio lavoro? La filosofia del lavoro agile e le forme di smart

19 Gabrielli G. (2017), Lavoro agile e smart working: due facce di un unico approccio, HR On Line, 12.

22
working, insieme alle opportunità offerte dalla tecnologia, sembrerebbero infatti
incentivare questa ipotesi”

A mio parere attribuire a tutti uno spirito imprenditoriale sembra un’ipotesi


iperbolica poco aderente alla realtà, infatti anche nel modesto insieme dei
lavoratori che possono abbracciare il modello di lavoro agile per caratteristiche
tecniche dell’impiego, certamente non tutti saranno pronti ad una visione di
questo tipo del loro ruolo in azienda. E ancora:

“in questo scenario, sarebbe ancora appropriato guardare al tempo come criterio più
adeguato per determinare la retribuzione, o non sarebbe preferibile puntare diritti al
risultato?”20

A tal riguardo sono in accordo con l’autore, in quanto come emerge dalla
maggior parte della letteratura di settore, una delle conseguenze cardine del
passaggio allo smart working, è proprio la transizione ad una retribuzione basata
sugli obiettivi raggiunti, o al minimo, un contesto di monitoraggio dell’attività
svolta che influenza la retribuzione (premi, bonus, ecc…).

Di solito si osserva che il passaggio allo smart working si presenta in realtà


organizzative che hanno deciso di attuare un corposo “processo di change
management”21. Convertire una organizzazione allo smart working, per la
scuola di alta formazione “Luigi Martino”22, significa:

20 Gabrielli G. (2017), Lavoro agile e smart working: due facce di un unico approccio, HR On Line, 12
21 riflessione e sintesi di vari aspetti organizzativi e funzionali necessari per
definire, o ridefinire, la cultura d’impresa ossia
la propria identità, il proprio posizionamento sul mercato comprendendo a fondo anche il contesto competitivo e
sociale in cui l’impresa è inserita.
22 Loris Beretta, Bernardina Calafiori, Giada Rossi, Sergio Vianello, smart working: le regole applicative, commissione lavoro
Odcec Milano (quaderno n. 76)

23
“permettere di lavorare ovunque con tempi autogestiti, quindi il clima di fiducia e di
commitment, ossia di forte identificazione del lavoratore con l’impresa, deve essere
massimo. Anche il carattere del lavoratore e le sue attitudini vanno attentamente
valutate in modo da avere la certezza di poter davvero contare sulle persone scelte. A
livello strategico occorre dimenticarsi organigrammi e relazioni sociali classiche, si
deve pensare l’impresa più come un sistema neuronale che un sistema
gerarchicamente organizzato”.

Valutazioni di scenario a parte, mi soffermerò nei successivi paragrafi su alcuni


degli aspetti già citati che rappresentano i più innovativi del lavoro agile in
ambito di organizzazione del lavoro.

1.6.1 ‘Le’ flessibilità

Il “le” è doveroso, proprio perché ci troviamo ad analizzare non una, ma diverse


flessibilità: quella nella gestione del tempo di lavoro, quella nella scelta del
luogo e quella nella scelta degli strumenti.

In questo senso, sono sempre più familiari termini peculiari che identificano il
lavoratore in maniera innovativa. Lo smart worker caratterizzato da flessibilità
e autonomia nella scelta degli spazi di lavoro sarà definito distant o mobile
worker, e potrà esercitare le proprie mansioni non più solo dalla sede aziendale
ma letteralmente da qualsiasi luogo (una spiaggia, casa propria, un parco, uno
spazio di coworking, ecc…). Quello con particolare flessibilità dei tempi di
lavoro sarà il flexible worker (da non confondere con il collaboratore esterno
che organizza la sua prestazione in piena autonomia essendo slegato da un

24
rapporto subordinato con l’organizzazione), che potrà organizzare gli orari di
impiego con maggiore libertà, sempre che ciò non comporti una impossibilità
di collaborare anche solo “a distanza” con i colleghi. E ancora il lavoratore agile
particolarmente pratico all’uso degli strumenti più disparati sarà etichettato
come adaptive worker23, e lavorerà indifferentemente con mezzi aziendali o
messi a disposizione dall’azienda, o propri.

In ciascuno di questi ambiti, flessibilizzare il lavoro vuol dire adeguarlo alle


esigenze del dipendente, a maggior ragione in particolari fasi della sua vita
lavorativa, senza che ciò si traduca in un peggioramento della situazione
lavorativa, come avviene in alcuni casi, con la precarizzazione della posizione
contrattuale e reddituale dello stesso. Se così non fosse, non si verificherebbe
quel miglioramento della soddisfazione del lavoratore a cui si attribuisce
l’aumento di produttività che è una delle motivazioni per attuare un programma
di implementazione del lavoro agile.

1.6.2 Cultura, clima organizzativo, goal setting nell’organizzazione agile

Nel far sì che una transizione ad organizzazione agile abbia successo, sono tanti
i fattori da tenere in conto. Alla base c’è la cultura organizzativa, un concetto
sempre più caro ai decision makers delle organizzazioni, a maggior ragione da
quando Edgar Schein24 la definì come un insieme coerente di assunti
fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato,

23 Polimi ripensare lavoro


24 Psicologo Statunitense contemporaneo, i suoi principali studi riguardano la cultura organizzativa

25
imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione
interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati
validi e perciò da poter essere insegnati ai nuovi membri come modo corretto
di percepire e pensare in riferimento a quei problemi. Una visione della cultura
organizzativa basata su valori dinamici, e non statici come erano intesi prima,
nella scuola di pensiero razional-strumentale, è un requisito fondamentale
perché si generi cambiamento, il quale è sempre accompagnato da un “salto nel
vuoto”.

La cultura condiziona e influenza il clima organizzativo, un concetto ampio che


comprende l’insieme di percezioni basilari che gli individui sviluppano
nell’ambiente lavorativo. Un clima organizzativo favorevole, genera
soddisfazione e motivazione nei membri: far sì che si crei tale clima è quindi
una responsabilità importante dei decisori aziendali. In dottrina, tra le più
moderne teorie sulla motivazione, c’è quella del goal setting, che è uno degli
aspetti imprescindibili dello smart working; si tratta di impostare obiettivi non
semplicistici né utopistici che i singoli addetti (con compiti determinati e chiari),
anche in team di lavoro, devono raggiungere. Lungo tutto il processo lavorativo
è necessario che i responsabili guidino il team con una serie di feedback, capaci
di stimolare i membri (ovunque si trovino). Un passaggio importante
nell’impostazione degli obiettivi, è la partecipazione alle decisioni da parte di
tutti i collaboratori coinvolti: questo permette di centrare al meglio tali obiettivi,
ma genera anche maggiore motivazione da parte dei soggetti inclusi nelle scelte.

26
1.6.3 Il leader “giusto” per la sfida dello smart working

La transizione ad un modello organizzativo del lavoro come lo smart working


è una sfida importante per qualsiasi leader. Sulla base delle teorie più moderne
possiamo però affermare che esiste un modello di leadership più adatto al
cambiamento. Innanzitutto occorre uno stile di leadership “democratica25”,
dunque collegiale e partecipativo, che privilegia la condivisione delle scelte e
delle responsabilità tra i soggetti impegnati soprattutto nella fase di
implementazione del nuovo modello: infatti, i collaboratori coinvolti nella
progettazione del proprio lavoro agile, meglio comprendono il loro ruolo
(quello che l’organizzazione si attende da loro), e dunque risultano solitamente
più efficienti.

Dal punto di vista dell’approccio, il leader ideale nel nostro caso è un leader
situazionale, come definito da Fred Fiedler nella teoria della contingenza26,
ossia un leader che sappia orientarsi al singolo compito nei casi di urgenza, ma
che sappia costruire relazioni duratore e solide tra i membri. Questo leader deve
saper individuare il grado di maturità del team (che tiene conto della
competenza e della motivazione del singolo), in modo da adattare il suo
approccio al rapporto con esso sulla base di questo parametro. Hersey e
Blanchard teorizzano quattro livelli di maturità, che richiedono diversi
comportamenti del leader: da un approccio prescrittivo per i soggetti meno
maturi ad uno di forte delega per quelli più maturi27, sono dunque questi ultimi

25 Forsyth R. Donelson, Group dynamics, Wadsworth Cengage learning, Belmont USA, 2010, pag. 272 – l’autore riprende
gli studi di Lewin, Lippitt e White, dell’università dell’Idaho, sui tre principali stili della leadership.
26 Fiedler E. Fred, A Theory of Leadership Effectiveness, McGraw-Hill, 1967
27 Schermerhorn R. John, Management, John Wiley e sons, USA, 2011, pag. 320

27
i collaboratori adatti ad essere coinvolti in progetti di lavoro agile, consci della
loro forte indipendenza operativa.

In ultima analisi, per far fronte agli sconvolgimenti economici creati dalla crisi
(che in Italia prende i connotati di una stagnazione decennale) e dall’attuale
emergenza sanitaria da Covid-19, le organizzazioni dovrebbero dotarsi di leader
che abbiano in mente una vision, ossia che siano capaci di prevenire gli scenari
futuri, adattarsi alle novità, non essere refrattari al cambiamento. Questo tipo di
leadership, che punta a rendere i followers a loro volta leader, in dottrina prende
il nome di leadership trasformazionale.

1.6.4 Equilibrio vita-lavoro, un vantaggio o una criticità?

L’equilibrio vita-lavoro, anche detto work-life balance, è considerato uno dei


punti di forza dello smart working, ma è innegabile che senza un ricorso
responsabile a tale modello organizzativo, ciò può tradursi in una criticità.

Cristiano Carriero afferma che “uno dei grandi problemi di questa generazione
di professionisti sarà gestire le informazioni senza lasciarsi sopraffare da
esse”28, infatti l’esposizione ai flussi informativi generati da molteplici devices
connessi all’unisono può causare stress nel lungo periodo e incapacità di
concentrarsi nel breve. Dunque un passaggio importante della organizzazione
del lavoro dello smart worker consiste proprio nella razionalizzazione
dell’accesso alle informazioni: viene ancora in aiuto Carriero:

28 Carriero Cristiano, smart working, Hoepli, Milano, 2020

28
“essere always-on è una criticità che va affrontata e dominata, non gestita. Se il tuo
team di lavoro ti inserisce, tuo malgrado, in una chat di whatsapp, fai capire che la
cosa non ti rende né felice né produttivo. Se il mezzo preferito di qualche collega per
inviarti file è facebook, non rispondergli. E così via. Non è comunicando su qualunque
applicazione che si diventa efficienti.”29

Per non lasciare al caso questo aspetto, si va affermando la necessità di un vero


e proprio diritto alla disconnessione, come soluzione radicale al problema.
Esso, si auspica, sarà presto sulle agende dei rappresentanti sindacali, come
oggetto di negoziazione all’interno dei futuri contratti collettivi (in alcuni, molto
innovativi, questo è già avvenuto).

1.7 - La nuova concezione degli spazi lavorativi

L’ultimo pilastro di un buon progetto di smart working è la riqualificazione


degli spazi lavorativi, in un’ottica di lavoro agile. Ciò che caratterizza
maggiormente questo aspetto è la conversione di uffici personali chiusi in spazi
aperti (gli open space) dove vige una più o meno ampia libertà di movimento,
con la tendenza ad azzerare o ridurre la suddivisione gerarchica degli spazi (se
vogliamo, si tratta di una rivoluzione egualitaria nelle organizzazioni). In alcuni
casi le postazioni di lavoro negli spazi condivisi sono personali, in altri invece
sono a libero accesso, o prenotabili. La diffusione degli open space favorisce la
produttività nelle fasi che più è difficile replicare in remote working, tra tutte
sicuramente la fase creativa.

29 Carriero C., smart working, Hoepli, Milano, 2020

29
Gli spazi più innovativi sono concepiti con una differenziazione degli ambienti
in base all’uso:

• Spazi collaborativi: sono gli spazi destinati alla collaborazione e sinergia


tra membri dell’organizzazione o tra questi e soggetti esterni;
• Spazi per la concentrazione: per ovviare al rischio che in determinati
momenti un open space possa risultare caotico, spesso i progetti
prevedono degli ambienti pensati allo scopo di permettere alle risorse
umane di concentrarsi, nei migliori casi grazie anche
all’insonorizzazione delle stanze;
• Spazi per la comunicazione: sono le aree destinate alla comunicazione
tra i soggetti, sia in presenza che con individui connessi da remoto. Un
esempio interessante sono i phonebox concepiti nella nuova sede di
PWC30 a Milano, una sorta di cabine telefoniche dove il lavoratore può
telefonare e connettersi/ricare il proprio device, estraniandosi dal
contesto aperto;
• Spazi per il relax: sono delle sale del personale evolute, dove le persone
possono “staccare” dall’intensa attività lavorativa, con attività ludiche o
semplicemente conversando con i colleghi. Sempre la nuova sede PWC
a Milano, ha previsto un ampio bar da usare per il relax, come anche per
incontrare stakeholders;

Nei progetti più importanti e innovativi, sono previsti anche dei sistemi per la
gestione informatizzata dell’edificio, gli IWMS (integrated workplace
management system), che rendono ancora più smart la struttura, permettendo

30 Price Waterhouse Cooper, multinazionale operante nei servizi professionali alle aziende

30
ad esempio di prenotare in remoto gli spazi di cui si ha necessità, e per contro,
al gestore, di monitorare il tasso di occupazione degli spazi per valutare
eventuali ridimensionamenti. Di solito le aziende implementano il passaggio ad
un ambiente di lavoro concepito sui dettami del lavoro agile in occasione di una
ristrutturazione o riorganizzazione degli spazi aziendali, profittando di tale
impellenza per ragioni di costo: uno dei vantaggi per le aziende è senza dubbio
legato alla riduzione delle spese per affitti e gestione dei locali aziendali, che è
spesso molto importante nel conto economico aziendale. Un fenomeno molto
attuale è la diffusione degli spazi di co-working, ovvero degli ambienti ideati in
ottica smart working, destinati principalmente a lavoratori freelance e
professionisti vari, ma non disdegnati nemmeno da grandi aziende per
implementare uffici periferici altamente scalabili.

31
Capitolo secondo

LO SMART WORKING: DEMOGRAFIA, LEGISLAZIONE E


IMPATTO DEL COVID-19

2.1 – Crescita del modello fino al 2019

Dopo aver analizzato cos’è lo smart working nel primo capitolo, in questa
seconda parte procederò a calarlo nella realtà: inizierò in questo paragrafo da
un’analisi della diffusione del modello in Italia (e non solo) nel corso degli anni,
con particolare enfasi agli ultimi, in cui si è potuta apprezzare anche in Italia
una concreta realizzazione di progetti che hanno fatto sì che i numeri
crescessero esponenzialmente.

Nel prossimo paragrafo, invece, esaminerò come si è evoluta la normativa


Italiana in questo ambito, per valutare se ha saputo rispondere ai bisogni di
questa massiccia transizione nel modo di intendere il lavoro, e se può essere un
propulsore alla diffusione del lavoro agile, oppure un freno.

Nell’ultimo paragrafo mi concentrerò su questo 2020, consapevolmente


sottratto all’analisi del presente paragrafo, perché influenzato in maniera
decisiva dall’emergenza Covid-19: vedrò dunque l’impatto dell’emergenza

32
sanitaria sul mondo del lavoro e i provvedimenti presi dal Governo nazionale,
che come noto hanno privilegiato e incoraggiato il ricorso al lavoro agile.

La disamina della diffusione del lavoro agile nel corso degli anni non è
un’operazione semplice, in quanto i diversi autori, in diversi paesi, non hanno
individuato la medesima definizione per questo modello organizzativo,
includendo quindi nella categoria gruppi di lavoratori che in una diversa
indagine non potevano vantare tutti i caratteri necessari per essere definiti smart
workers (mi riferisco ad esempio a leve come tecnologia, organizzazione del
lavoro e rimodulazione degli spazi, di cui ho parlato nel precedente capitolo).
Inoltre, solo negli ultimi anni l’interesse verso questo fenomeno ha spinto gli
studiosi ad un puntuale lavoro di monitoraggio dei suoi sviluppi. In ogni caso,
nella mia analisi mi avvarrò delle fonti più autorevoli, concentrandomi sugli
ultimi anni, caratterizzati anche dall’affermarsi di una definizione più “netta”,
che permette quindi di prendere in considerazione dati di diverse indagini,
sempre con la dovuta cautela, ma con la convinzione che siano più omogenei.
Trovo utile offrire uno spaccato esauriente sia sul settore privato, che su quello
della Pubblica Amministrazione, essendo quest’ultima particolarmente
interessata, negli ultimi tempi, da iniziative regolamentari incentivanti da parte
del legislatore. Questa analisi demografica, nel suo complesso, permetterà un
miglior apprezzamento dei cambiamenti portati dal recente fenomeno
dell’emergenza covid-19, in collegamento con i paragrafi successivi
dell’elaborato.

2.1.1 Working anytime, anywhere.

33
Una importante fonte di dati utili a comprendere l’entità del fenomeno è la
produzione di documenti da parte delle organizzazioni internazionali (ILO31), e
in particolare dell’Unione Europea (Eurofound32). Di particolare interesse è un
report prodotto nel 2017 dallo sforzo congiunto delle due organizzazioni su
citate, che in lingua originale ha il titolo “Working anytime, anywhere: The
effects on the world of work”. Come il titolo suggerisce, l’argomento centrale
è proprio la trasformazione che il mondo del lavoro sta vivendo in direzione
“agile”.

Come accennato, sebbene sia formalmente facile tracciare un netto spartiacque


tra lo smart working nella sua forma più avanzata e completa e tra il più vetusto
telelavoro, questo diventa motivo di non poche difficoltà in un’indagine che
comprende decine di paesi del mondo. Il report in esame tende ad aggregare,
quindi, le varie sfumature in un’unica sigla: T/ICTM (telework/ICT mobile
work).

In base alle fonti, gli smart workers nei principali paesi europei sono cresciuti
ininterrottamente a partire dall’inizio del ventunesimo secolo: ad esempio in
Francia i lavoratori impegnati in questo modo sono passati dal 7% del 2007 al
12.4% del 2012, mentre in Svezia le imprese che impegnavano lavoratori in
T/ICTM sono passate dal 36% del 2003 a più della metà, 51%, del 2014; infine
per l’Italia si registra un 5% della forza lavoro (all workers) nella proiezione del

31 International labour organisation: organizzazione delle nazioni unite che dal 1919 mette insieme governi e lavoratori
di 187 paesi, per stabilire standard minimi e politiche che assicurino condizioni di lavoro degne per donne e uomini
di tutto il mondo
32 La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, un’agenzia tripartita dell’Unione
europea, il cui ruolo è mettere a disposizione le conoscenze necessarie a contribuire allo sviluppo di migliori politiche
sociali, occupazionali e relative al lavoro. Eurofound è stata istituita nel 1975 dal regolamento (CEE) n. 1365/75 del
Consiglio per contribuire alla concezione e all’instaurazione di migliori condizioni di vita e di lavoro in Europa

34
2013 svolta dall’osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano,
dato in rapida crescita come indicherò più avanti. Nel complesso nell’Unione
Europea del 2015, i lavoratori che svolgono anche solo occasionalmente le loro
mansioni in maniera agile risultavano essere il 15% mentre i telelavoratori
soltanto il 3%.

Per quanto riguarda il sesso, emerge un leggero squilibrio a favore degli uomini
(54% dei lavoratori agili, EU2833), anche se quando si parla di lavoro da casa,
chi ne usufruisce maggiormente è la donna, e questo è facilmente spiegabile
dato che ancor oggi è la donna a svolgere la maggior parte dei compiti legati
alla cura della casa e dei figli, come emerge da una indagine Eurofound sul
mondo del lavoro in Europa34. Infatti, sebbene molte donne abbiano accesso al
mercato del lavoro come mai prima d’ora, risulta ancora forte la disuguaglianza
circa le condizioni occupazionali (gap reddituale, maggior ricorso al part-time,
discriminazioni), e proprio una maggiore diffusione del lavoro agile potrebbe
risultare cruciale nell’assottigliare, se non estinguere, queste disuguaglianze.

Dando uno sguardo all’età, emerge che i lavoratori (sempre in percentuale del
totale EU28) più coinvolti in pratiche lavorative T/ICTM sono compresi nella
fascia 35-49 anni, mentre per quanto riguarda i lavoratori più anziani e quelli
più giovani, che compongono le altre due fasce (under 35 – over 50 anni)
assistiamo ad un fenomeno peculiare: tra i lavoratori dipendenti molti giovani
sono smart workers, a fronte di un minor numero di lavoratori senior, mentre
nell’ambito dei lavoratori autonomi assistiamo al fenomeno inverso: meno

33 EU28 – I 28 paesi membri dell’unione europea


34 6europeanwork pag. 13

35
lavoratori giovani e più senior. L’invecchiamento della popolazione (e quindi
dei lavoratori) in Europa è una realtà che non può essere trascurata dai policy
makers del presente e del prossimo futuro: sempre Eurofound avverte che
bisogna assicurarsi che la domanda di lavoro di una popolazione più anziana sia
coperta dall’offerta, e che le condizioni di lavoro siano sempre più adatte a far
sì che individui anziani possano continuare a lavorare più a lungo. Concedere
maggior flessibilità ai lavoratori più maturi attraverso lo smart working
potrebbe essere la risposta più efficace a tale esigenza.

2.1.2 Lo smart working in Italia nel 2019

Non è facile monitorare la diffusione e il successo dello smart working in


un’economia, e il caso Italiano non fa eccezione. Non esiste alcuna autorità
centralizzata che abbia posto in essere una mappatura coerente del fenomeno,
soprattutto nel settore privato (laddove nel pubblico, possiamo apprezzare
alcune pubblicazioni, che prenderò in esame in altro paragrafo).

Una delle realtà che meglio assolve al compito di monitoraggio che si


accennava è l’osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, uno
spin-off che condivide i suoi risultati sul portale osservatori.net, in parte
gratuitamente e in parte a pagamento.

Sulla base della stima dell’ultimo report35 in Italia nel 2019 avevamo circa
570.00036 smart workers, con una crescita del 20% rispetto ai 475000 dell’anno

35 Smart working davvero: la flessibilità non basta


36 La stima su basa si un campione di 1000 addetti in imprese con più di 10 addetti

36
precedente, a conferma della tendenza alla forte crescita del lavoro agile nel
nostro paese e non solo. In questo momento storico, in piena epidemia da Covid-
19, dopo il lockdown del 2020, l’ultima serie di dati utile alla valutazione della
crescita fisiologica del modello organizzativo in esame, è quindi proprio quella
del 2019. Infatti il 2020 è fortemente condizionato da una applicazione di tale
modello, reale o teorica, forzata dalla chiusura degli uffici e dei luoghi di lavoro
in generale: è quindi da tener presente che l’impennata nel numero di lavoratori
coinvolti in progetti di smart working, o più semplicemente di telelavoro in
questi ultimi mesi non sia il frutto di progetti studiati, ma dell’emergenza. Ma
questo tema sarà meglio approfondito in un successivo paragrafo37.

Tornando a quanto emerso dal report prima citato, emerge che tre quarti dei
dipendenti in smart working è soddisfatto del proprio lavoro, mentre tra i
colleghi che lavorano in modo tradizionale la soddisfazione è ferma alla metà,
d’altro canto, uno smart worker su tre si sente coinvolto nella realtà aziendale,
mentre tra i colleghi lavoratori tradizionali solo uno su cinque.

Secondo l’opinione del management, tuttavia, esistono benefici e criticità anche


in progetti ben implementati come quelli degli anni passati:

• Benefici: equilibrio tra vita professionale e privata, motivazione e


coinvolgimento dei dipendenti;
• Criticità: difficoltà nella gestione delle urgenze e nel pianificare le
attività;

37 L’impatto dell’emergenza epidemiologica da covid-19 come impulso all’applicazione del modello, paragrafo 2.3

37
E’ importante ricordare comunque che oltre il 40% dei manager non ha
segnalato alcuna criticità. È da ipotizzare che le realtà che non hanno riscontrato
problemi nella gestione delle urgenze e nella pianificazione possano essere
quelle che annoverano collaboratori più capaci nell’utilizzo delle nuove
tecnologie, o comunque hanno concentrato energie nel formare la forza lavoro
in tal senso: come visto nel precedente capitolo, l’uso professionale di alcuni
tools come quelli per il project management può essere un toccasana nella
risoluzione proprio di quelle criticità evidenziate dai manager interrogati nel
corso dell’indagine in esame.

Posso avvalorare questa tesi ponendo attenzione anche all’opinione degli smart
workers stessi: le criticità espresse, che comunque interessano al più il 35%
degli intervistati, sono la percezione di isolamento, le distrazioni esterne, i
problemi di comunicazione e collaborazione virtuale e la barriera tecnologica.
Tutte queste criticità sono legate, ancora, ad una scarsa “maturità digitale”,
infatti potrebbero essere risolti con un efficace uso di strumenti di online
collaboration. Ad eccezione delle distrazioni esterne, problema che può essere
mitigato tramite alcuni accorgimenti, che ho già segnalato nel primo capitolo
citando l’opera di Carriero38. In genere il lavoro in remoto viene associato alla
criticità di una mancanza di coesione data dalle rarefatte relazioni sociali
nell’ambito lavorativo. Io stesso, nell’indagine pilota effettuata39, ho constatato
che i lavoratori passati in smart working in periodo di emergenza sanitaria,
hanno subito fortemente la mancanza di relazioni, indicandola spesso come una
delle maggiori criticità. Da ciò posso dedurre che, se un progetto di smart

38 Paragrafo 1.6.4: Equilibrio vita-lavoro, un vantaggio o una criticità?


39 Terzo capitolo

38
working è progettato e implementato nei giusti tempi, e con la giusta
preparazione, si riesce a risolvere o almeno a mitigare sensibilmente il problema
relazionale.

2.1.3 Smart working e pubblica amministrazione

In tema di smart working nelle pubbliche amministrazioni Italiane, un concetto


balza subito all’occhio: il ritardo nella diffusione di questa filosofia
organizzativa rispetto a quanto abbiamo visto per il settore privato.
Un’importante indagine dell’ENEA40 restituisce un’analisi dello “stato
dell’arte”, risalente al 2017, che mostra timidi passi avanti nello sviluppo del
lavoro agile nel settore pubblico. Il rapporto usa come bacino di riferimento la
popolazione di pubblici dipendenti che in base al contratto ha le caratteristiche
per accedere al telelavoro (e dunque a forme di smart working che necessitano
della componente di remote working), usando i dati del conto annuale del
tesoro, una rilevazione di tipo censuario sulle P.A. svolta dalla Ragioneria dello
stato.

Si contano 227 amministrazioni che hanno attivato progetti di lavoro agile e/o
telelavoro, impegnando 3408 addetti. Gli enti che hanno sperimentato
maggiormente questi progetti sono le regioni, impegnando 1174 addetti
direttamente e 155 attraverso enti a loro collegati, praticamente un terzo del
totale (fig. 1, grafico 1), seguite da amministrazioni centrali ed enti di ricerca.
Ancora indietro erano i comuni, che nonostante il gran numero di addetti totali,

40 Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile

39
hanno messo in atto progetti che hanno coinvolto soltanto 343 persone, meno
delle 378 occupate nelle Università che hanno un numero totale di addetti molto
inferiore.

Tabella 1 – telelavoratori nel pubblico impiego divisi per ente

Fonte: elaborazioni proprie su dati Enea, centro ricerche Frascati, 2018

40
Figura 1 - telelavoratori nel pubblico impiego divisi per ente

Fonte: elaborazioni proprie su dati Enea, centro ricerche Frascati, 2018

Un altro dato molto chiaro è la preminenza dei progetti di smart working nelle
amministrazioni settentrionali (in un rapporto di uno a venti) o che abbiano
dipendenti dislocati in varie aree del territorio nazionale. Questo a riprova del
maggior dinamismo verso il cambiamento che caratterizza il nord del paese non
solo nel settore privato, ma evidentemente anche nella pubblica
amministrazione (tabella e grafico 2). Il centro si conferma una “via di mezzo”
con numeri importanti, anche se bisogna tenere in considerazione che Roma è
la sede di molte amministrazioni centrali, e come è evidente, queste ultime sono
spesso in ritardo nell’avvio di progetti.

41
Tabella 2 – telelavoratori nel pubblico impiego divisi per macroarea

Fonte: elaborazioni proprie su dati Enea, centro ricerche Frascati, 2018

Figura 2 - telelavoratori nel pubblico impiego divisi per macroarea

Fonte: elaborazioni proprie su dati Enea, centro ricerche Frascati, 2018

42
Infine, in merito a questa indagine dell’ENEA, è emerso un dato rilevante sulla
distinzione in base al sesso: in termini assoluti, le donne in lavoro agile sono il
triplo degli uomini. Come ho scritto in precedenza, Eurofound sostiene che il
lavoro agile possa essere cruciale nel permettere alla donna di farsi strada nel
mondo del lavoro con pari opportunità rispetto agli uomini, essendo ancora forte
la tendenza a che la donna sia costretta a sostenere maggiormente la cura degli
affari casalinghi e della crescita dei figli, dunque questo dato Italiano (tabella 3)
fa ben sperare. Anche in termini percentuali sul totale, le donne sono impiegate
in telelavoro o lavoro agile il doppio dei colleghi maschi (tab. 3).

Tabella 3 – telelavoratori nel pubblico impiego, distribuzione per sesso

Fonte: elaborazioni proprie su dati Enea, centro ricerche Frascati, 2018

Esaminando adesso un altro rapporto, questa volta svolto dal Politecnico di


Milano (l’ho già preso in esame nella parte inerente il settore privato), riferito
al 2019 (facciamo quindi un ideale passo avanti nel tempo rispetto al rapporto

43
ENEA), si può apprezzare un cambio di passo, essendo passati da l’1% di
pubbliche amministrazioni che avevano avviato progetti nel 2017, al 42% che
hanno almeno avviato un progetto strutturato di smart working. Ovviamente in
questa crescita esponenziale influisce molto il legislatore intervenuto nel
frattempo, che esamineremo in un successivo paragrafo41.

Posso anticipare che il legislatore aveva posto nel 2017 un obiettivo minimodi
impegnare il 10% della forza lavoro nelle amministrazioni pubbliche in progetti
di smart working, ma le conclusioni dell’osservatorio del Politecnico di Milano
conducono a constatare che la maggior parte dei progetti si siano limitati ad
attivare forme di lavoro da remoto per mero adempimento normativo,
raggiungendo l’obiettivo, con un 12% di dipendenti coinvolti42. I motivi dello
scarso successo si possono intuire, grazie anche alle risposte dei manager
pubblici, che interrogati in merito per il 43% sostengono non sia applicabile alla
propria realtà, per il 27% non sono consapevoli dei benefici ottenibili, e per il
21% sostengono che la loro attività sia poco digitalizzata o non disponga di
adeguate tecnologie.

In conclusione, se il legislatore ha posto un obiettivo (quello del 10%),


nemmeno troppo ambizioso, la risposta della pubblica amministrazione non è
stata soddisfacente, come traspare dai due studi che ho preso in considerazione.
Citando lo studio dell’ENEA:

41 2.2.3: La legge 124/2015 come impulso per le pubbliche amministrazioni


42 Politecnico di Milano, Dipartimento di ingegneria gestionale (ottobre 2019), Smart working davvero: la flessibilità non basta,
in osservatori.net, pag. 12

44
“Negli ultimi anni la politica italiana ha promosso con convinzione il telelavoro
e il lavoro agile come strumenti di modernizzazione culturale ed organizzativa
della pubblica amministrazione ed ha indirizzato e stimolato le istituzioni ad
introdurli in modo permanente nella propria organizzazione. Tali disposizioni
rientrano concettualmente nei percorsi di secondo welfare finalizzati ad
individuare tendenze emergenti e “buone pratiche” che, nel rispetto dei vincoli
di bilancio, devono concorrere a fornire risposte ad esigenze di conciliazione e
a bisogni sociali vecchi e nuovi… Le amministrazioni si sono mostrate finora
riluttanti a seguire i percorsi di flessibilità organizzativa indicati dalla politica
per migliorare la qualità e l’efficienza dell’azione amministrativa: se ne ha
riscontro nella lentezza con cui esse hanno adempiuto alle disposizioni, ma
ancor di più nella tendenza ad aggirare le implicazioni per la loro attuazione”43

2.2 - La normativa italiana

Nel corso degli anni il legislatore nazionale, in risposta alle istanze del mondo
del lavoro, è intervenuto più volte per inserire nel panorama delle tipologie
contrattuali concepibili anche il telelavoro (prima) e lo smart working, che ha
preso il nome, come già detto in introduzione del primo capitolo, di lavoro agile.
È utile un breve excursus storico di tale evoluzione normativa, per meglio
comprendere la legge attualmente in vigore, la L. 22 maggio 2017, n. 81 e le
regole di contorno, di natura regolamentare e pattizia.

43 Penna Marina, Modalità flessibili di lavoro nel pubblico impiego: diffusione e caratteristiche, Enea, centro ricerche
Frascati, 2018

45
2.2.1 La legge 16 giugno 1998, n. 191

L’articolo 4 della legge 191/1998, comunemente nota come Bassanini ter,


nell’ambito di un massiccio intervento di riforma finalizzato alla
semplificazione amministrativa, ha concepito forme di lavoro a distanza nella
pubblica amministrazione. Un intervento riguardante la p.a. e il telelavoro
dunque, ma che comunque è precursore dell’attuale normativa sul lavoro agile,
introducendo concetti oggi familiari, ma all’epoca innovativi: infatti la legge
poneva attenzione su alcuni diritti del lavoratore che avrebbe usufruito di tali
forme di organizzazione, che anche oggi sono oggetto di discussione. La legge
imponeva la parità di salario tra questi e gli altri dipendenti, e prevedeva che ci
fossero precise modalità per la verifica dell’adempimento lavorativo da parte di
queste risorse.
L’unità con le organizzazioni sindacali fu raggiunta con l’accordo quadro
nazionale del 23 marzo 2000, in cui furono dettate una serie di regole finalizzate
a rendere il telelavoro in P.A. un mezzo per conciliare il rapporto casa-lavoro,
quindi proprio quel work-life balance di cui ho già spiegato l’importanza.
Ad arricchire il quadro normativo furono poi il decreto del Presidente della
Repubblica 8 marzo 1999 n. 70 e la conseguente deliberazione di Aipa44 n.
16/2001 che volgevano l’attenzione su aspetti tecnici, informatici e telematici
(anche nel telelavoro, sebbene in misura minore, l’uso della tecnologia
telematica è un elemento cruciale).

44 Autorità per l’informatica nella Pubblica Amministrazione

46
2.2.2 L’accordo quadro europeo del 2002

L’unione europea è da sempre un forte propulsore di innovazione negli


ordinamenti nazionali, che modifica attraverso la promulgazione di direttive e
regolamenti. Non fa eccezione il caso del telelavoro, oggetto però di un accordo
quadro europeo, stipulato a Bruxelles il 16 luglio 2002 tra CES45,
UNICE46/UEAPME47 e CEEP48. Sebbene si usi il termine telelavoro, ci
troviamo già davanti ad una normativa che ben si adatta allo smart working, in
quanto prende in considerazione aspetti dello stesso, come il lavoro in mobilità
o nei co-working, la regolarità della prestazione in remoto unita al lavoro in
azienda, ma anche l’uso delle ICT e la maggior flessibilità sugli orari.
Stando alla tesi della Calafiori49 l’attuale legge 81/2017 che regola la materia
(la analizzerò pochi paragrafi più avanti50) non è altro che il naturale seguito di
questo accordo quadro, sebbene sia in effetti un’evoluzione, come lo smart
working è, a parere mio, evoluzione del telelavoro.

2.2.3 La legge 124/2015 come impulso per le pubbliche amministrazioni

In sede di analisi dello sviluppo concreto della diffusione di forme di lavoro


agile, importante è stata l’analisi degli sviluppi all’interno delle pubbliche

45 Sindacato europeo
46 Unione industriali europei
47 Associazione europea artigianato e PMI
48 associazione europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale
49 Beretta Loris, Calafiori Bernardina, Rossi Giada, Vianello Sergio, smart working: le regole applicative, ODCEC Milano,

scuola di alta formazione Luigi Martino (SAF), Milano, 2018


50 La legge 81/2017 in materia di smart working, paragrafo 2.2.4

47
amministrazioni. Ho accennato ad un paletto normativo che impose alle p.a. di
adempiere ad un coinvolgimento di almeno il 10% delle risorse umane in
progetti di lavoro a distanza.
Quell’intervento normativo è la legge 7 agosto 2015, n. 124, conferente deleghe
al Governo in materia di riorganizzazione delle Pubbliche Amministrazioni. In
particolare mi riferisco all’articolo 14 comma 1 “Promozione della
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche”, che
recita:

“Le amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a


legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,
adottano misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l'attuazione
del telelavoro e per la sperimentazione, anche al fine di tutelare le cure
parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione
lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei
dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i
dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del
riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera”

Ne è seguito, come ho mostrato nel capitolo precedente51, un mero


adempimento da parte del management pubblico, che ha portato a un 12% di
lavoratori coinvolti, certamente a motivo della successiva parte del comma in
esame, che recita: “L'adozione delle misure organizzative e il raggiungimento
degli obiettivi di cui al presente comma costituiscono oggetto di valutazione

51 Smart working e pubblica amministrazione, paragrafo 2.1.3

48
nell'ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e
individuale all'interno delle amministrazioni pubbliche” davanti alla
prospettiva di una valutazione negativa.

2.2.4 La legge 81/2017 in materia di smart working

Dopo aver visto in breve i passaggi salienti dell’evoluzione normativa dello


smart working in Italia, affronterò adesso la legge che oggi disciplina l’intera
materia, una legge che interviene nell’ordinamento quando già esistono casi
aziendali di applicazione di questo modello organizzativo., che trovavano
dunque regolamentazione nella contrattazione collettiva, quindi pattizia, molto
variegata. Mi riferisco al capo II della legge 22 maggio 2017 n° 81 recante
“misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del
lavoro subordinato”, che adesso esaminerò articolo per articolo.
L’art. 18 comma 1: “Le disposizioni del presente capo, allo scopo di
incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto
di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme
di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di
luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo
svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita,
in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una
postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro
giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione
collettiva” – si inizia definendo gli obiettivi della legge e dando un’ampia
definizione del lavoro agile, e inoltre conferma il limite alla durata di lavoro,

49
che deve essere quello previsto in contrattazione collettiva (viene quindi
confermato quanto stabilito dalle parti sociali con accordi precedenti).
Comma 2: “Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon
funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo
svolgimento dell’attività lavorativa” - il legislatore pare porre attenzione alla
dotazione strumentale dei lavoratori, affidando tale responsabilità al datore di
lavoro si evita infatti che vi sia un trasferimento di costi dalla parte
imprenditoriale alla parte dipendente, con pregiudizio di quest’ultima.
Comma 3: “Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto
compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, e successive modificazioni, secondo le direttive emanate anche ai sensi
dell’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e fatta salva l’applicazione
delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti” – sebbene,
come ho illustrato in precedenza, la pubblica amministrazione goda di una
corposa regolamentazione in materia di telelavoro e lavoro agile, precedente a
questa legge, il legislatore ha inteso estenderne gli effetti anche al settore
pubblico, a ragione di un omogeneizzazione della normativa.
Comma 4: “Gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente
riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro
subordinato sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in
modalità di lavoro agile” – il cruciale tema degli incentivi fiscali e contributivi
influenza molto le scelte aziendali, dunque il legislatore ha ritenuto doveroso
chiarire che tali incentivi si applicano anche ai lavoratori agili.
Comma 5: “Agli adempimenti di cui al presente articolo si provvede senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con le risorse umane,

50
finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente” – questo comma
precisa, come spesso avviene nelle riforme degli ultimi tempi, che la pubblica
amministrazione debba adempiere all’applicazione di queste misure sui propri
luoghi di lavoro, senza oneri per le casse dello Stato, aspetto che di fatto
complica un concreto sviluppo dello smart working nella p.a. considerando che
i molti progetti che ho esaminato, riferiti al settore privato, sono accomunati
dalla necessità di un investimento iniziale nel rinnovamento degli spazi
lavorativi e delle ICT.
Art. 19 comma 1: “L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato
per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina
l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali,
anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di
lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo individua altresì i
tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative
necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni
tecnologiche di lavoro” – questo articolo disciplina la forma che il lavoro agile
deve avere, precisando che tra il lavoratore e il datore di lavoro deve essere
sottoscritto un accordo individuale in forma scritta (non si tratta quindi di un
contratto di lavoro nuovo), che disciplini le modalità e i mezzi. È importante
infatti chiarire in quali modalità il datore di lavoro può esercitare il legittimo
ruolo direttivo, nel periodo in cui esso opera al di fuori dei locali aziendali, ma
anche il diritto al riposo del lavoratore, che passa da quel diritto alla
disconnessione di cui ho già detto nel capitolo 1.
Comma 2: “L’accordo di cui al comma 1 può essere a termine o a tempo
indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso
non inferiore a trenta giorni. Nel caso di lavoratori disabili ai sensi

51
dell’articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68, il termine di preavviso del
recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni,
al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro
rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore. In presenza di un
giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza
del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel
caso di accordo a tempo indeterminato” – questo comma in particolare tutela i
lavoratori disabili, nei confronti dei quali non è possibile rescindere l’accordo
di lavoro agile se non in tempi più lunghi.
Articolo 20 comma 1: “Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di
lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore
a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui
all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei
lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno
dell’azienda” – il diritto ad una retribuzione equivalente a quella dei dipendenti
che svolgono le loro mansioni nei locali aziendali, però, resta solo sulla carta,
in quanto il dipendente in smart working, per ovvi motivi, non percepisce alcuna
retribuzione da lavoro straordinario, un piccolo prezzo da pagare per accedere
a questa forma di flessibilità.
Comma 2: “Al lavoratore impiegato in forme di lavoro agile ai sensi del
presente capo può essere riconosciuto, nell’ambito dell’accordo di cui
all’articolo 19, il diritto all’apprendimento permanente, in modalità formali,
non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative
competenze” – il diritto a non restare esclusi dalle prospettive di carriera
all’interno dell’organizzazione, passa dal garantire anche ai lavoratori agili una
formazione continua.

52
Articolo 21 comma 1: “L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile
disciplina l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla
prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di
quanto disposto dall’articolo 4 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, e
successive modificazioni” – se nell’articolo 19 si poneva enfasi sul ruolo
direttivo del datore di lavoro, in questo si tutela il lavoratore da eventuali abusi
nell’esercizio del potere di controllo, richiamando anche lo statuto dei lavoratori
del ’70.
Comma 2: “L’accordo di cui al comma 1 individua le condotte, connesse
all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che
danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari” – strettamente connesso
al potere di controllo è quello sanzionatorio, che deve trovare chiari limiti
nell’accordo tra le parti.
Articolo 22 comma 1: “Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza
del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine
consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con
cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i
rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di
esecuzione del rapporto di lavoro”.
Comma 2: “Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di
prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi
all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali” – questo
trasferimento di responsabilità circa la sicurezza personale in capo al lavoratore,
è una conseguenza diretta e imprescindibile dell’esercizio della prestazione
lavorativa al di fuori dei locali aziendali (unico luogo dove il datore di lavoro

53
può e deve porre in essere le condizioni di sicurezza del personale imposte dalla
normativa).

2.2.5 La tutela della privacy: dallo statuto dei lavoratori al GDPR


Una delle controversie più accese riguardo una delle caratteristiche
fondamentali dello smart working, ovvero il lavoro da remoto, è quella della
tutela della privacy del lavoratore, specialmente in ambito domestico.
Si tratta di contemperare il diritto della parte datoriale di esercitare il ruolo di
indirizzo e controllo dell’attività lavorativa, con l’altrettanto fondamentale
diritto alla riservatezza e privacy. Come visto poche righe addietro, la legge
81/2017 di per sé affronta la tematica, ma è importante considerare che ci sono
diverse discipline che pongono attenzione alla tutela dell’individuo/lavoratore:
tra tutte lo Statuto dei lavoratori, legge 300/197052 (cui rimanda proprio la legge
sul lavoro agile, in tema di controllo datoriale) da una parte, e la vasta normativa
sulla privacy che culmina nel regolamento Europeo 679/201653 “regolamento
generale sulla protezione dei dati” noto con il suo acronimo Inglese “GDPR”.
Dato l’emergere di tecnologie sempre più avanzate e accessibili, atte ad
esercitare un controllo a distanza (ad esempio telecamere, geo-localizzatori,
software per il tracciamento di attività svolte), si è reso urgente individuare dei
principi di buon senso che tutelassero il lavoratore da un ingerenza
potenzialmente “opprimente” del sovraordinato, tenendo conto del fatto che il
lavoratore raramente è nella posizione di forza che gli permetta di concedere o

52 Legge 20 maggio 1970, n. 300 “Statuto dei lavoratori”


53 Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione
delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che
abroga la direttiva 95/46/CE

54
rifiutare il consenso ad un trattamento più o meno invasivo dei dati54. I principi
sono dunque quelli di proporzionalità del trattamento rispetto alle finalità dello
stesso, di rispetto dei diritti e libertà individuali, di correttezza, pertinenza e non
eccedenza.

2.3 – L’impatto dell’emergenza epidemiologica da covid-19 come impulso


all’applicazione del modello

Sul finire del 2019, le cronache nazionali iniziarono sempre con maggior
insistenza a riportare notizie provenienti dall’altro capo del continente euro-
asiatico. Queste cronache avevano ad oggetto la diffusione progressiva di una
nuova malattia con sintomi prevalentemente respiratori e influenzali, scoppiata
in una città della Cina, nota alle nostre latitudini al più su qualche etichetta di
prodotti a buon mercato: Wu Han. Stando a quanto riportano le cronache Cinesi,
queste polmoniti anomale colpirono per primi gli assidui frequentatori di un
grande mercato locale, che fu rapidamente chiuso. A Gennaio 2020 le autorità
(tra le altre l’OMS) affermano che a causare la malattia è un nuovo ceppo di
Coronavirus, della stessa famiglia di quelli che causano la temuta SARS, ma
anche banali raffreddori. A partire dal 29 gennaio appaiono i primi casi in Italia,
ma sono tutti soggetti provenienti dal paese del Dragone: un ricercatore, due
turisti di Wu Han e un diciassettenne a lungo bloccato in quella città per sintomi
influenzali. L’11 febbraio viene assegnato il nome alla malattia: COVID-19
(COrona VIrus DIsease – 2019) e anche al patogeno: SARS-COV-2. Per la

54 Parere 2/2017 sul trattamento dei dati sul posto di lavoro – Gruppo di lavoro Articolo 29 per la protezione dei dati
WP 249 – http://ec.europa.eu/newsroom/article29/news-overview.cfm

55
vicenda italiana è cruciale la data del 21 febbraio 2020, in cui emergono diversi
casi, soprattutto nel lodigiano (Codogno). L’11 marzo il direttore generale
dell’OMS annunciava la Pandemia globale, in cui l’Italia era tra i paesi che per
primi sono stati colpiti.
Ma le autorità nazionali non avevano perso tempo: già il 4 marzo 2020, il
Consiglio dei Ministri emanava un Decreto drastico per arginare l’emergenza:
iniziava così il lockdown. Ancor prima, con il Dpcm del 23 febbraio, il Governo
ha semplificato la procedura per l’accesso al lavoro agile (ne ho parlato nel
precedente paragrafo), per facilitarne la diffusione come metodo di contrasto al
contagio. Stesso discorso si riscontra nel settore pubblico, dove diverse
istituzioni, tra cui il ministero per la Pubblica Amministrazione, attraverso delle
circolari hanno giocoforza costretto le P.A. del Belpaese, nella maggior parte
dei casi per nulla attrezzate a farvi fronte, a ricorrere a un massiccio uso del
lavoro agile.

2.3.1. Uno smart working “emergenziale”


Perché ho inaugurato il capitolo parlando di Covid-19? Non semplicemente
perché è il principale topic che interessa le nostre vite in questi mesi,
sconvolgendole, ma perché ha avuto (sta avendo, e continuerà ad avere)
ripercussioni cruciali sul tema del lavoro agile.
Come esposto nelle righe precedenti, l’esplodere dell’emergenza
epidemiologica ha spinto le autorità a porre in essere misure per il contenimento
del contagio che hanno avuto impatto sul mondo del lavoro, con uffici e opifici
che sono passati dall’essere fondamentale motore del paese a pericolosa
variabile atta a portare la curva dei contagi oltre la sostenibilità. Per correre ai
ripari la decisione del Governo è stata quella di adottare una linea

56
particolarmente cautelare, obbligando al lockdown anche le aziende da marzo
fino al 4 Maggio.
Oltre agli enormi effetti sull’occupazione e sull’equilibrio finanziario delle
imprese medesime, argomento triste, ma che non è oggetto di questa trattazione,
emergono dati interessanti sul lavoro in remoto. Innanzitutto, l’Istat55 evidenzia
come per oltre 390.000 aziende l’attività è stata sospesa per decreto del Governo
e non è ripresa prima del 4 maggio, fine della c.d. “fase 1”. Mentre per 60.000
imprese c’è stata una deroga o nuovi provvedimenti del Governo che hanno
determinato un ritorno al lavoro prima di tale data.
Secondo l’Istat sono poi 214.000 le aziende che hanno introdotto o esteso il
ricorso al lavoro a distanza o allo smart working per far fronte alla pandemia,
cioè circa il 21% del totale. Sempre in accordo al report dell’istituto pubblico,
in merito alle caratteristiche del ricorso al lavoro agile:

“Alcune delle misure più frequentemente applicate presentano poi una evidente
connotazione dimensionale: lo smart working, ad esempio, introdotto o esteso
dal 18,3% delle microimprese (3-9 addetti) e dal 37,2% delle piccole (10-49
addetti) è la misura più diffusa ‒ anche più del ricorso alla Cig/Fis56 ‒ tra le
unità di dimensione media (50-249 addetti) e grande (250 addetti e oltre) che
l’hanno adottata nel 73,1 e nel 90% dei casi”

55 Report “situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria covid-19, pubblicato il 15 giugno 2020
56 Cassa integrazione guadagni e fondo integrazione salariale

57
Tabella 4 – introduzione del lavoro a distanza o smart working, o estensione del
personale coinvolto - numero di aziende

Fonte: Istat, 2020

58
Figura 3 – introduzione del lavoro a distanza o smart working o estensione del
personale coinvolto - per macrosettore

Fonte: Istat, 2020

Emerge un dato preoccupante: quanto più piccola è l’impresa, tanto maggiore è


lo scetticismo (o incapacità) di ricorrere allo smart working come mezzo per
non interrompere la produzione. La preoccupazione nasce dal fatto che l’Italia
ha un tessuto produttivo basato molto sulle piccole realtà, le Pmi,
conseguentemente ci si deve attendere che gli effetti negativi dei lockdown
siano più acuti rispetto ad altri sistemi-paese.
Dopo una nota dolente, osserviamo un dato incoraggiante, legato all’evoluzione
del ricorso allo smart working prima, durante, e dopo il lockdown generale di
inizio 2020, ricorrendo sempre ai preziosi dati statistici dell’Istat:

59
“Nei mesi immediatamente precedenti la crisi (gennaio e febbraio 2020),
escludendo le imprese prive di lavori che possono essere svolti fuori dai locali
aziendali, solo l’1,2% del personale era impiegato in lavoro a distanza. Tra
marzo e aprile questa quota sale improvvisamente all’8,8%. L’incidenza di
personale impiegato in modalità agile arriva al 21,6% nelle imprese di medie
dimensioni dal 2,2% di gennaio/febbraio mentre nelle grandi dal 4,4% dei
primi due mesi dell’anno accelera fino al 31,4%. I settori più coinvolti sono i
servizi di informazione e comunicazione (da 5,0% a 48,8%), le attività
professionali, scientifiche e tecniche (da 4,1% a 36,7%), l’istruzione (da 3,1%
a 33,0%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (da
3,3% a 29,6%). Anche dopo la fine del lockdown (maggio-giugno 2020), la
quota di lavoratori impiegati a distanza pur in declino resta significativa
(5,3%), soprattutto nelle grandi e medie imprese (25,1% e 16,2%)”

Tabella 5 – personale dell’impresa in lavoro a distanza o smartworking – percentuale


sul totale

Fonte: Istat

60
Figura 4 – personale dell’impresa in lavoro a distanza o agile sul totale del personale

Fonte: Istat

Possiamo apprezzare una enorme crescita, che dimostra la resilienza del sistema
produttivo Italiano, ma che testimonia anche che grazie a tecnologie e
competenze in parte già in essere nelle imprese Italiane, si potrebbe già dare un
forte impulso allo smart working.
Purtroppo non si può definire il fenomeno che ha coinvolto molti lavoratori nei
mesi del lockdown un lavoro agile “compiuto”: si deve considerare uno smart
working “emergenziale”, che in molti casi risulta essere lavoro da remoto (home
working), con una limitata implementazione di quei caratteri costituenti il
lavoro smart che ho ampiamente illustrato nella prima parte di questo lavoro di
tesi. Questo emerge anche palesemente dalla indagine pilota da me svolta, che
compone l’ultima parte di questo elaborato. È facile intuire perché i players
nazionali non siano riusciti, in gran parte, a mettere a punto uno smart working

61
pienamente efficiente, che permettesse di attenuare o annullare il “colpo”
inferto dalla crisi epidemiologica: la mancanza di progetti consolidati o anche
solo avviati in tal senso, ha colto impreparato il management, che ha dovuto
imbastire nel giro di pochi giorni una metodologia che richiederebbe ore di
formazione, investimenti tecnologici, adeguamento degli spazi.

2.3.2. La decretazione d’urgenza in occasione dell’epidemia

Nel precedente paragrafo ho mostrato, sulla base dei dati, le grandezze mosse
dal fenomeno Covid-19 in tema di lavoro agile. Adesso, in un’inversione
d’ordine che ritengo più utile a comprendere il tema, intendo osservare gli
interventi normativi che sono stati il mezzo attraverso cui le istituzioni hanno
voluto far fronte all’emergenza. Non è oggetto di questa trattazione una
disamina completa della spasmodica decretazione d’urgenza, che ha
comprensibilmente caratterizzato i picchi dell’epidemia, ma più limitatamente
un focus su alcuni passaggi chiave della vicenda, in sostanza quelli che hanno
generato, appunto, i vertiginosi aumenti nell’impiego del lavoro agile che ho
già mostrato.
In primis, il D.P.C.M. 11 marzo 2020, all’art. 1, n. 7, lett. a), prevede che «sia
attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per
le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a
distanza». Questo intervento del Capo del Governo ha “dato il la” all’impennata
di ricorsi al lavoro agile che si evince dalla tab. precedente. Questo D.P.C.M.
segue in ordine logico quello del primo marzo, e in particolare quello dell’8
marzo 2020, che all’art. 2, comma 1, lett. r) aveva introdotto una importante
innovazione rispetto alla legislazione ordinaria in materia:

62
“la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge
22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di
emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020,
dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei
principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi
individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge
22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla
documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione
infortuni sul lavoro”

Il collegamento con il ragionamento fatto nel capitolo relativo alla legge


81/2017 è intuitivo: un elemento fondamentale del lavoro agile così come era
stato concepito in sede di negoziazione con le parti sociali, era la sussistenza di
un accordo individuale. L’innovazione del decreto, reso urgente dalla crisi
sanitaria, sta proprio nell’eliminazione di questo elemento. È infatti l’impresa a
gestire unilateralmente il passaggio al lavoro agile, avendo poi l’onere di
trasmettere i dati all’INAIL e al ministero del lavoro. Senza questa misura,
sarebbe stato impossibile per le aziende gestire l’enorme mole di accordi
individuali sopravvenienti.
È interessante constatare come uno strumento quale il lavoro agile, concepito
inizialmente per meglio conciliare il work-life balance, e tutti gli altri propositi
che ho illustrato nel primo capitolo, con un rapido intervento normativo sia

63
diventato uno degli strumenti più efficaci nella lotta alla diffusione del Covid-
19. Citando Bini57:

“In un contesto per così dire “fisiologico”, il lavoro agile è concepito come
strumento teso a conseguire finalità di work-life balance. Diversamente, nel
quadro “patologico” dell’emergenza da COVID-19, esso viene individuato
quale strumento privilegiato per il contrasto e il contenimento – in specie in
ambito lavorativo – del diffondersi del virus, realizzando attraverso di esso un
bilanciamento tra gli interessi costituzionali coinvolti: diritto alla salute (art.
32 Cost.) e diritto al lavoro (art. 4 Cost.)”

Come mostrano i dati dello studio Istat più volte preso in esame, al termine della
c.d. “prima ondata”, alla fine degli obblighi normativi non si è tornati alla
situazione “pre-covid” per quanto riguarda la consistenza di lavoratori agili:
possiamo quindi dedurre che la decretazione oltre al fine perseguito di contenere
il contagio, ha avuto anche un reale effetto “catalizzatore”, con un numero
importante di imprese che, fatti i conti con le potenzialità di questo modello
organizzativo, hanno deciso di conservarlo almeno in parte. Nei prossimi mesi
si potrà meglio dire se nel medio termine le imprese avranno la lungimiranza di
investire realmente in tale modello, per renderlo strutturale, e quindi beneficiare
realmente dei vantaggi che esso può produrre.
Chiudo con un riferimento alla PA: gli stessi decreti già citati in riferimento al
settore privato, hanno sconvolto anche il settore pubblico. Il ministro per la
Pubblica Amministrazione il 4 marzo 2020 ha emanato una circolare (la numero

57 Bini Stefano (2020), Lo smart working al tempo del coronavirus. Brevi osservazioni, in stato di emergenza, in
http://giustiziacivile.com/ (visitato il 26/10/2020)

64
1), con la quale fa il punto della situazione normativa (che come abbiamo visto
risulta piuttosto convulsa). A parte questo, è scevra da misure utili ad affrontare
il capovolgimento di fronte, da progetti di smart working ancora modesti
(abbiamo esaminato in precedenza il ritardo della p.a. quanto a impiego del
modello), al lavoro agile come via ordinaria di svolgimento dell’attività
lavorativa. Citando Russo58:

“la Pubblica Amministrazione italiana sembra piuttosto refrattaria


nell’adattarsi alle novità relative allo svolgimento della prestazione lavorativa
e, al riguardo, i maggiori ostacoli potrebbero essere individuati nel ritardo
tecnologico, nelle risorse strumentali ed economiche insufficienti, nell’età
sempre più avanzata del personale e nella sua formazione digitale talvolta non
adeguata, nella percezione di un sistema normativo complesso e ancora non
abbastanza chiaro... Neanche la circolare n. 1 del 2020, emanata il 4 marzo
2020 dal Ministro per la P.A., sull’onda dei richiamati d.P.C.M., riesce a
centrare il problema”

58 Russo Marianna (2020), emergenza lavoro agile nella P.A., in http://giustiziacivile.com/ (visitato il 26/10/2020)

65
Capitolo terzo

INDAGINE PILOTA SULL’IMPATTO DELLO SMART WORKING


SULLE RELAZIONI SOCIALI

3.1 – L’indagine pilota

3.1.1 Il progetto

Nel primo capitolo ho cercato di decifrare lo smart working, attraverso una


scomposizione nei suoi elementi qualificanti. Nel secondo capitolo, invece, ho
allargato il quadro di analisi, ricostruendo lo sviluppo nel tempo del modello
organizzativo (ponendo un necessario spartiacque all’ingresso sulla scena
globale del covid-19), e i risvolti che esso ha prodotto nel diritto. In questo
ultimo capitolo dell’elaborato, intendo presentare una indagine pilota che avrà
ad oggetto l’impatto del lavoro agile sulle relazioni sociali, con l’ausilio,

66
ovviamente, della prof.ssa relatrice Roberta Pace, e col supporto del Dott.
Sergio D’Angelo (sociologo del lavoro e Presidente di Aif59 Puglia).
L’indagine pilota che ho deciso di svolgere si avvale di un questionario
somministrato ad un campione di 20 unità appartenenti alla popolazione del
personale amministrativo che nella fase del primo lock-down seguito
all’emergenza epidemica da Covid-19 ha svolto il proprio lavoro in smart
working. In questo paragrafo presenterò l’indagine pilota campionaria e diretta,
che certamente potrà dare un aiuto a trarre conclusioni sull’impatto che lo smart
working provoca, in particolare sulle relazioni sociali tra gli individui operanti
nelle organizzazioni (imprese, pubbliche amministrazioni, associazioni, no
profit, ecc…), come anche tra questi e le persone facenti parte della sfera
personale (membri del nucleo famigliare in primis). Ricapitolando:
Tipo di indagine: campionaria diretta;
Strumento di rilevazione: questionario;
Tecnica di intervista: somministrazione tramite foglio elettronico via email e
servizi di cloud;
Unità statistica: lavoratore in smart working, operante nelle funzioni
amministrative delle organizzazioni (gestione del personale, contabilità, legale,
amministrativi in generale);
Periodo di rilevazione: 29/7/2020 – 1/9/2020;
Territorio di rilevazione: area metropolitana di Bari;
Campione: 20 unità;
Presenterò i risultati tramite tabelle, grafici e rapporti sintetici, ma prima, nel
paragrafo seguente analizzerò il questionario nelle sue varie sezioni.

59 Associazione Italiana Formatori

67
3.1.2 Il questionario

L’indagine statistica pilota si basa su un questionario volto ad indagare


l’impatto dello smart working sulla socialità degli individui coinvolti (anche in
base all’età e altri indicatori come l’anzianità di servizio), sia in ambito
lavorativo, che in ambito famigliare. È inoltre oggetto di indagine la valutazione
del lavoro agile da parte delle unità di rilevazione.
Per la somministrazione sono state individuate alcune organizzazioni del settore
privato, operanti nel territorio dell’area metropolitana di Bari. Come campo di
osservazione non è stato selezionato un solo tipo di attività, ma aziende operanti
in settori differenti, sebbene sia stato chiesto ai referenti aziendali di sottoporre
il questionario soltanto a personale inquadrato nell’area amministrativa (in
senso largo), e cioè anche a quegli addetti coinvolti nella gestione economico-
contabile e delle risorse umane.
Il questionario di 32 domande è composto da tre sezioni (a, b, c) contenenti:
informazioni anagrafiche e professionali di base, quesiti sull’impatto dello
smart working, valutazioni conclusive. Alcune delle domande sono a risposta
multipla, altre basate su scala di Likert, e in conclusione c’è una domanda a
risposta aperta, che in un’indagine pilota somministrata ad un numero limitato
di individui risulta gestibile, ma che sarebbe eliminata in caso di
somministrazione in un’indagine più ampia.
La strategia di somministrazione ha visto l’impiego di un file Excel ad
estensione .ods inviato in formato digitale direttamente ai partecipanti, oppure
per il tramite di un responsabile del personale dell’azienda ricevente, per motivi
di corporate policy. Gli addetti dopo aver risposto al questionario (di durata

68
indicativa di circa 7 minuti) hanno provveduto in autonomia a restituirlo al
mittente, nello stesso formato.
Passiamo ora ad un’analisi dettagliata del questionario: alla sezione A, è
richiesto di indicare il genere; la fascia di età tra diverse opzioni che
racchiudono fasi della vita, dato utile anche per valutare se c’è effettivamente
una correlazione tra età e desiderabilità del lavoro agile; tre quesiti volti a
conoscere se in casa ci sono situazioni che possono influire concretamente sullo
smart worker, come la condivisione dello spazio di lavoro con altri smart
worker, ma anche la presenza di persone che hanno bisogno di aiuto costante;
segue l’indicazione del titolo di studio, dell’anzianità professionale e delle
conoscenze informatiche; in fine un quesito cruciale è conoscere se le risorse
umane sono state preparate ad affrontare lo smart working da percorsi di
formazione.

69
Figura 5 – Questionario, sezione A

Sezione A: informazioni anagrafiche e professionali di base


M F
Genere

<30 anni 30-39 40-49 50-59 >59


fascia di età

SI NO
presenza di partner e/o figli lavoratori, anch'essi in smart working
presenza di persone che necessitano di assistenza in casa
presenza di figli in età scolare

scuola specialistica titolo


dell'obbli diploma laurea / post-
go superiori triennale magistrale laurea
titolo di studio

<6 anni da 6 a 10 da 11 a 15 da 16 a 20 >20


anzianità professionale

nessuna basilare buona padronanza piena padronanza


conoscenza informatica
(riferita agli applicativi utili allo svolgimento di smart working)

si, approfondita si, basilare no, nessuna


è stata impartita formazione specifica sullo smart working
in azienda prima del lockdown

La sezione B presenta in primis una serie di quesiti legati alla sfera lavorativa e
famigliare, sottoponendo all’intervistato una serie di domande volte a
comprendere la conciliabilità del lavoro agile con altre azioni della vita
quotidiana, secondo loro. La risposta sarà quindi influenzata dalla loro
esperienza e dalle loro aspettative riguardo allo smart working. Nel secondo slot
di domande, si va ad approfondire il tema del rapporto sociale con i colleghi,
dopo aver osservato quello con il nucleo famigliare: il rapporto con i
sovraordinati ne ha beneficiato? E con i colleghi in generale? Le relazioni
stabilite a distanza sono capaci di soddisfare le aspettative dell’intervistato? In
fine, nel terzo slot di quesiti sono state poste altre domande variegate
sull’impatto dello smart working, nel tentativo, tra l’altro, di comprendere se

70
alcune dinamiche sono in grado di migliorare l’esperienza dello smart worker:
la disponibilità di devices e/o spazi dedicati, La tipologia di mansioni svolte e
lo stile di leadership del capo, ecc…

Figura 6 – Questionario, sezione B

Sezione B: Impatto dello smartworking


per
Attività lavorativa e famiglia: molto in parte niente
d'accordo d'accordo d'accordo
Lo smart working è più conciliabile con il tempo dedicato alla cura della casa
Lo smart working è più conciliabile con il tempo dedicato alla cura di figli o
altri soggetti bisognosi di assistenza appartenenti al nucleo famigliare
Lo smart working è più conciliabile con il tempo libero dedicato a hobby e attività personali
Lo smart working è più conciliabile con il tempo libero condiviso con i membri della famiglia
Lo smart working è più conciliabile con il tempo libero che ho potuto dedicare ad
attività di crescita personale

per
Attività lavorativa e colleghi: molto in parte niente
d'accordo d'accordo d'accordo
Il mio responsabile/capo segue il mio lavoro con maggiore attenzione indicando
strategie e obiettivi con chiarezza
Le relazioni sociali con il mio resp/capo hanno beneficiato dello smart working

Quante volte al giorno interagisce con i suoi colleghi (indicare un numero medio) #

Più MENO
… più o meno di quando lavorava in presenza?

SI NO
E’ soddisfatto delle relazioni di lavoro che si stabiliscono a distanza?

per
molto in parte niente
d'accordo d'accordo d'accordo
I metodi e le tecniche del mio lavoro sono pienamente compatibili con
lo smart working
Possiedo e uso devices diversi per la vita personale e il lavoro
Posso disporre di spazi adeguati alle attività che devo svolgere anche fuori dall’ufficio
Mi sento isolato dal contesto lavorativo
Ho bisogno della presenza fisica del mio superiore per mantenere elevati ritmi di lavoro
Lo smart working mi permette di programmare meglio il carico di lavoro
Le mie capacità informatiche sono migliorate
Lavoro con meno stress e fatica
Riesco a mantenere separati i tempi da dedicare al lavoro e quelli da dedicare alla famiglia
Lavoro per obiettivi
Mi vengono assegnati compiti di volta in volta

71
Per finire, nella sezione C, come “cartina al tornasole” viene posta la fatidica
domanda: “se le venisse proposto di continuare a lavorare in smart working
anche in futuro, sarebbe favorevole?” Con questo esplicito quesito raccogliamo
un giudizio complessivo da parte dell’intervistato, un giudizio che include la
valutazione dell’esperienza svolta finora, ma anche un giudizio di prospettiva,
sulla futuribilità del modello organizzativo, in quanto ogni intervistato può
valutare se nella propria organizzazione si assiste ad un perfezionamento dello
smart working applicato, o se invece si vive solo come un mero obbligo legato
all’epidemia da covid-19. Nel secondo caso certamente l’individuo in
condizioni normali sceglierebbe di lavorare in presenza, ma cosa accade ad
esempio ad un lavoratore con particolari condizioni domestiche (sezione A,
presenza di persone che abbisognano di assistenza nel contesto famigliare),
questi ultimi forse accetterebbero comunque il lavoro agile per meglio far fronte
alle esigenze personali?
Per aiutare a decifrare il pensiero dell’intervistato, viene in aiuto l’ultimo
quesito, una riflessione aperta da cui trarre preziosi spunti di riflessione.

Figura 7 – Questionario, sezione C

Sezione C: Valutazioni conclusive


SI NO
Se le venisse proposto di continuare a lavorare in smart working anche in futuro,
sarebbe favorevole?

Indichi in 5 righe considerazioni personali sull’esperienza di smart working, con particolare riferimento alle relazioni sociali:

72
3.1.3 I risultati dell’indagine pilota

La somministrazione suggerisce diverse valutazioni che proverò ad illustrare


nel corso di questo paragrafo.
Iniziamo osservando alcuni dati del campione oggetto di rilevazione: ho cercato
di creare equilibrio negli aspetti anagrafici delle unità campionarie, tentativo
riuscito nel caso del genere, infatti solo poco più della metà degli intervistati è
di sesso maschile. Più difficile è stato mantenere un equilibrio per quanto
concerne l’età degli intervistati, infatti il campione rispecchia la realtà del
mercato del lavoro italiano, caratterizzato da un’età media più alta che nella
maggior parte dei paesi Europei: solo il 15% degli intervistati ha meno di 30
anni, e nel complesso solo 1/5 meno di 40 anni (in queste due fasce rientrano i
millennials e la generazione Z), mentre la fascia in cui si concentra la
maggioranza relativa è quella “40-49” anni (la generazione X, che rappresenta
del resto la maggior parte della popolazione), in fine il restante 40% degli
intervistati appartiene alla generazione dei c.d. baby boomers, da 50 anni in su.
Di fatto solo 1/5 degli intervistati appartengono alle categorie dei c.d. nativi
digitali e di coloro che sono comunque cresciuti nell’era informatica, e sono
dunque più profondi conoscitori, in media, delle opportunità che le nuove
tecnologie offrono.

73
Figura 8 – Intervistati per fascia di età

Fonte: elaborazioni proprie, risultati indagine pilota

Per quanto concerne la situazione domestica degli intervistati, risulta che quasi
uno ogni tre condivide la situazione di smart working con un altro membro della
famiglia, che sia un figlio o il partner, mentre un altro terzo ha in casa una
persona che necessita di assistenza e la metà ha figli in età scolare.
Ma osserviamo un attimo le caratteristiche di formazione, esperienza e
conoscenze degli intervistati: nessuno dei lavoratori intervistati ha interrotto la
sua formazione alla scuola dell’obbligo, infatti il 40% ha il diploma come titolo
di studio più alto, quasi la metà è laureato e 3 hanno perfezionato la loro
istruzione conseguendo titoli post laurea come master o dottorati.

74
Figura 9 – Intervistati per titolo di studio

Fonte: elaborazioni proprie, risultati indagine pilota

Altro dato degno di attenzione è l’anzianità professionale, possiamo osservare


che il campione è costituito da personale perlopiù esperto, con quasi la metà che
vanta una esperienza più che ventennale, e i 3/4 che lavorano da oltre 15 anni.
Sarebbe interessante capire se l’esperienza risulti, in ultima analisi, un
vantaggio nella transizione allo smart working, o se essa ponga l’individuo in
una condizione di maggiore refrattarietà al cambiamento.

75
Figura 10 – Intervistati per anzianità professionale

Fonte: elaborazioni proprie, risultati indagine pilota

Stando a quanto affermano gli intervistati, comunque, la diffusione di


conoscenze informatiche utili all’uso dei maggiori applicativi propri dello smart
working non manca: infatti solo in tre hanno dichiarato di avere competenze
basilari, mentre più di un terzo afferma di avere piena padronanza. Tutto ciò
sebbene dell’intero campione, quasi nessuno abbia dichiarato di aver ricevuto
formazione specifica sullo smart working prima del lock-down di marzo, anche
solo basilare.
Veniamo ora alla sezione B dell’indagine, quella strettamente legata all’impatto
dello smart working sulle relazioni sociali. Il primo gruppo di quesiti verte sul
rapporto tra attività lavorativa e famiglia: ho investigato l’opinione degli
intervistati su una serie di affermazioni, rilevando quanto sono d’accordo con
queste ultime. In particolare gli intervistati sono risultati in gran parte d’accordo

76
col fatto che lo smart working sia più conciliabile con il tempo dedicato alla
cura della casa e dei componenti della famiglia (90% degli intervistati). Per
quanto riguarda il tempo dedicato ad hobby, passioni e crescita personale invece
il giudizio è in parte diverso: il 20-25% degli individui ritiene di non aver potuto
dedicare maggior spazio a ciò. Questo è un segnale forte del fatto che
tendenzialmente l’individuo investa il tempo che riesce a sottrarre all’impegno
lavorativo per responsabilità e relazioni con gli altri membri della famiglia e
non per sé stesso.
Per quanto riguarda l’attività lavorativa e quindi le relazioni con i colleghi, quali
sono i riscontri? Ho chiesto agli intervistati in primis informazioni sul rapporto
con i propri superiori: emerge che ¼ degli intervistati ritiene di non essere
seguito con altrettanta attenzione nella modalità a distanza, mancando spesso
strategie condivise e obiettivi chiari.
Ancor più negativa è la visione del rapporto costruito col superiore: infatti metà
degli intervistati ritengono di non aver beneficiato dello smart working nel
mantenimento di relazioni sociali solide con il proprio responsabile o capo,
anche se in media sono stati intrattenuti rapporti con lo stesso e i colleghi in
generale per oltre 5 volte al giorno (in ogni caso praticamente tutti ritengono di
aver interagito col capo meno che durante il rapporto di lavoro tradizionale).
Come cartina tornasole ho chiesto se l’intervistato è soddisfatto delle relazioni
di lavoro che si stabiliscono a distanza: a tale esplicita domanda il campione si
è diviso quasi equamente, ma con una leggera prevalenza di risposte negative.

77
Figura 11 – Giudizio degli intervistati sulle relazioni di lavoro stabilite a distanza

Fonte: elaborazioni proprie, risultati indagine pilota

A seguire, all’intervistato è stata sottoposta un’ultima serie di domande di vario


tipo per meglio comprendere le modalità di lavoro a distanza, le dotazioni dei
lavoratori, le sue sensazioni, i suoi bisogni, la sua capacità di risposta alle nuove
condizioni di lavoro. 4/5 dei lavoratori ritengono che i metodi e le tecniche del
proprio lavoro siano compatibili almeno in parte con questa nuova modalità di
svolgimento: non si deve dimenticare che l’emergenza da Covid-19 ha
catapultato centinaia di migliaia di lavoratori in home working da un giorno
all’altro, senza programmazione, per cui non c’è da meravigliarsi se molte
persone fatichino anche solo a comprendere come lavorare nella nuova
modalità. Se però pensiamo ai mezzi che hanno a disposizione, quali sono le
condizioni iniziali? Una importante criticità in termini di sicurezza dei dati è
sicuramente il fatto che oltre la metà dei lavoratori utilizza gli stessi devices sia

78
per il lavoro che per la vita privata, esponendosi a pericolosi data breach.
Mentre per quanto riguarda la disponibilità di spazi fisici adeguati allo
svolgimento dell’attività lavorativa la situazione è migliore, con solo 1/3 degli
intervistati che ritiene di non avere un luogo idoneo dove lavorare (si presume
in casa, visto che l’intervista è stata somministrata in periodo di restrizioni). Per
quanto riguarda i bisogni della sfera relazionale, è palese la sensazione di
isolamento rispetto al contesto lavorativo di chi svolge il proprio lavoro in smart
working: la quasi totalità infatti ritiene di sentirsi isolato dal contesto lavorativo.
Come abbiamo visto nel primo capitolo, esistono degli strumenti digitali utili
ad attenuare questa sensazione di isolamento, come i servizi di online
partecipation, ma l’uso di questi strumenti necessita di iniziativa da parte del
management e di competenze informatiche poco più che basilari, non sempre
possedute nel contesto lavorativo italiano, infatti una recente indagine dell’Ocse
mostra un netto ritardo del Belpaese in tema di digitalizzazione:

“Lo Scoreboard mostra che la popolazione italiana non possiede le competenze


di base necessarie per prosperare in un mondo digitale, sia in societá che sul
posto di lavoro. Solo il 36% degli individui in Italia, il livello più basso tra i
paesi OCSE per cui informazione è disponibile, è in grado di utilizzare Internet
in maniera complessa e diversificata. I lavoratori italiani utilizzano le TIC sul
lavoro, ma meno intensamente che in molti altri paesi OCSE. In Italia, secondo
stime OCSE, il 13.8% dei lavoratori sono in occupazioni ad alto rischio di
automazione e avrebbero bisogno di una formazione moderata (fino a 1 anno)
per passare a occupazioni più sicure, con basso o medio rischio di automazione
(contro il 10.9% dell'OCSE). Un altro 4.2% avrebbe bisogno di una formazione
intensa (fino a 3 anni) per evitare l’alto rischio di automazione sul posto di

79
lavoro. Tuttavia, solo il 30% degli adulti ha ricevuto formazione (sia questa
non formale o informale) negli ultimi 12 mesi, contro una media OCSE del
42%.”60
Passiamo ora a vagliare eventuali vantaggi apportati dallo smart working: solo
tre degli intervistati riescono a programmare meglio il carico di lavoro, ed un
ulteriore 70% è in parte d’accordo con questa affermazione, quindi solo un
piccolo numero non ha rilevato vantaggi in tema di programmazione
dell’attività lavorativa. Altro importante vantaggio è la percezione di aver
migliorato le proprie capacità informatiche, sentita dal 70% degli intervistati.
Per quanto riguarda la gestione dello stress e dell’affaticamento da lavoro, un
decimo ha sicuramente ottenuto vantaggi, mentre un'altra metà è in parte
d’accordo con tale affermazione, quindi per quasi metà degli individui lo stress
lavorativo è rimasto invariato, o addirittura peggiorato. Un'altra criticità
manifesta dello smart working, come sostenuto da tanti studiosi, è l’incapacità
di tenere separati i tempi da dedicare al lavoro e quelli da dedicare alla famiglia:
infatti, tra i miei intervistati, oltre uno su tre riscontra con convinzione questo
problema. Ancora riguardo lo svolgimento e l’organizzazione del lavoro, ho
voluto verificare quanto sia stata implementata una delle caratteristiche basilari
dello smart working, ovvero il lavorare per obiettivi, e i risultati sono i seguenti:

tabella 6 – risposte degli intervistati in merito al tipo di mansioni svolte a distanza

molto d'accordo in parte per niente


Lavoro per obiettivi 40,0% 45,0% 15,0%
Mi vengono assegnati compiti di volta in volta 21,1% 47,4% 31,6%

60 OECD (2019), OECD Skills Outlook 2019: Thriving in a Digital World, OECD Publishing, Paris,
https://doi.org/10.1787/df80bc12-en

80
Dalla distribuzione delle risposte si desume che gli intervistati svolgono un
lavoro composto, in parte per obiettivi e in parte tradizionale, dunque sotto
costante verifica del superiore o datore di lavoro. Questo in parte ritengo sia
dovuto alla situazione di emergenza, in parte alla mancanza di uno stile di
leadership innovativo che consenta al management di responsabilizzare la
popolazione aziendale.
Per concludere, non poteva mancare la richiesta di un giudizio “secco” sullo
smart working, sottoposto agli intervistati attraverso la domanda “se le venisse
proposto di continuare a lavorare in smart working anche in futuro, sarebbe
favorevole?” a cui circa i due terzi hanno risposto favorevolmente. Credo che il
giudizio nel complesso positivo dei lavoratori sia in parte da attribuire alle
potenzialità percepite, più che all’effettiva esperienza vissuta in fase di lock
down. Infatti, nello spazio di risposta aperta riservato agli intervistati nelle
ultime righe, molti hanno segnalato proprio la volontà di perfezionare in futuro
lo smart working, con regole certe che permettano di godere a pieno dei
benefici, e di contrastare le criticità.
Nelle righe dedicate alle considerazioni personali, oltre al citato bisogno di
regolamentazione, emergono altri spunti interessanti, i più frequenti dei quali
sono la necessità del lavoro in presenza imprescindibile per creare quegli
scambi che rispondono al nome di mentoring61 e reverse mentoring62, ma anche
quelle interazioni sociali di contatto ritenute insostituibili dal “freddo” personal

61 Il mentoring è una metodologia di formazione che fa riferimento a una relazione (formale o informale) uno a uno, tra
un soggetto con più esperienza (senior, mentor) e uno con meno esperienza (junior, mentee, protégé), cioè un allievo,
al fine di far sviluppare a quest'ultimo delle competenze
62 Il Reverse mentoring incentiva i giovani impiegati con poca esperienza, ma con ottime competenze digitali, ad aiutare
gli impiegati più senior a prendere familiarità con la tecnologia

81
computer, e per finire emerge la soddisfazione per il tempo risparmiato per i
trasferimenti da casa a lavoro e viceversa.

È ora il momento di giungere ad alcune considerazioni fornite dall’incrocio dei


dati sulle relazioni sociali.
Esaminando le risposte degli intervistati, emerge una relazione notevole tra età,
anzianità di carriera, giudizio sulle relazioni sociali durante lo smart working e
volontà di continuarlo in futuro. Innanzitutto, gli intervistati fino a 39 anni di
età considerano soddisfacenti le relazioni di lavoro che si instaurano a distanza,
e se gli venisse proposto di proseguire il progetto smart working anche in futuro,
sarebbero favorevoli. D’altro canto, tutti gli intervistati oltre i 59 anni giudicano
negativamente le relazioni così instaurate. A rimarcare ancora l’influenza
dell’età sulla valutazione dello smart working, emerge che due terzi dei
lavoratori con sedici o più anni di carriera si sentono insoddisfatti delle relazioni
a distanza, e più della metà comunque non accetterebbe di proseguire in futuro
il lavoro agile. Questi risultati confermano la mia tesi: tanto maggiore è l’età e
l’esperienza lavorativa, maggiore sarà la recalcitranza63 ad un cambiamento
così pregnante della propria condizione di lavoro, sia questo comportamento
dovuto ad una difficoltà ad ambientarsi in un’attività che cambia (da una
dimensione analogica ad una prettamente digitale), sia questo dovuto più alla
umana volontà di non abbandonare la propria zona di comfort (si vedano, in
effetti, importanti studi sociologici e psicologici sulla comfort zone). Per
concludere, mi sono posto un quesito strettamente legato all’incidenza della
situazione domestica sulla scelta di accettare il lavoro agile anche in futuro: la

63 gli esseri umani sono recalcitranti in senso figurato, ossia si oppongono, fanno resistenza, esitano a fare qualcosa

82
stragrande maggioranza tra coloro che hanno in casa figli in età scolare e/o
persone con bisogni di assistenza, ha dichiarato di essere disponibile ad
accettare il proseguimento del rapporto di lavoro agile, nonostante quasi tutti gli
appartenenti a questo sottoinsieme abbiano affermato di giudicare
negativamente (insoddisfazione), le relazioni stabilite in smart working. Questo
dato manifesta che una situazione ottimale nelle relazioni con i colleghi risulta,
per gli intervistati, il più delle volte subordinata e quindi sacrificata a bisogni
afferenti alla sfera famigliare. A ulteriore verifica di ciò, si osserva che lo stesso
sottoinsieme di intervistati giudica lo smart working “più conciliabile con il
tempo dedicato alla cura di figli o altri soggetti bisognosi di assistenza
appartenenti al nucleo famigliare”.

3.2 – Un approfondimento sul tema: le interviste ai manager

Al fine di arricchire l’indagine effettuata tramite questionario, ho approfittato


della disponibilità di alcuni titolari e manager di alcune delle realtà
organizzative i cui addetti sono stati coinvolti nella sperimentazione, facendo
loro una breve intervista sulla base di un elenco di domande che ho però adattato
ai singoli interlocutori, seppur con pochi scostamenti.
Tre sono le interviste che chi seguirà nella lettura di queste ultime pagine
troverà:
- Vito Carnimeo è Presidente di Federmanager per l’area barese, nonché
membro di Aif, l’associazione italiana formatori. È anche membro
dell’associazione italiana direttori del personale, Aidp, e insegna
organizzazione del lavoro presso la facoltà di giurisprudenza dell’università

83
degli studi di Bari “Aldo Moro”. Molto importante è anche il suo ruolo di
consulente per le aziende, come si evidenzierà nel corso di questo contributo.
- Roberto Lorusso è CEO di Neetra, realtà italiana specializzata nel settore della
progettazione, produzione e vendita di apparati di broadcasting radiotelevisivo,
soluzioni ISM e IoT. È riconosciuto anche per i suoi meeting e docenze a forte
impatto esperienziale.
- Francesco Pasquale, HR specialist, responsabile area selezione, HR
controlling, management facilities del sito Bosch di Bari.
Ai manager è stato chiesto anzitutto quando sia nata l’idea di implementare il
lavoro agile e per quali motivazioni sia stato fatto: questo pone una prima
grande distinzione, tra coloro che hanno implementato lo smart working in
risposta all’emergenza epidemiologica da Covid-19 e chi aveva già avviato lo
smart working. È stato chiesto di illustrare in cosa consiste lo smart working
nelle loro organizzazioni, e gli effetti da esso prodotti in termini di benefici e
criticità.

3.2.1 Vito Carnimeo, Federmanager

1) Si presenti e indichi cortesemente il suo ruolo nell’organizzazione di cui


fa parte.
Sono Vito Carnimeo, Presidente di Federmanager Bari, membro di Aif
(associazione italiana formatori), membro di Aidp (associazione italiana
direttori del personale), insegno organizzazione del lavoro presso la facoltà di
Giurisprudenza, sono consulente di aziende.

2) Quanti addetti ci sono nell'organizzazione?

84
Per quanto riguarda Federmanager, una sola addetta, ma con molte altre figure
associate che ricoprono cariche nell'associazione e svolgono compiti per essa.

3) Quando è nata l’idea di implementare lo smart working e per quali


motivazioni?
In Federmanager abbiamo introdotto lo smart working in concomitanza con
l'emergenza da covid-19 (da fine marzo), mentre in una nota azienda di cui sono
consulente tale modello organizzativo era in uso già in precedenza.

4) In cosa consiste nel concreto il progetto di Smart Working nella vostra


organizzazione?
In realtà in Federmanager non ha comportato nulla di nuovo, abbiamo
continuato a fare le stesse cose ma a distanza: assistenza agli iscritti,
registrazione contabile, manutenzione di programmi di Federmanager. io in
particolare ho dovuto passare da conferenze in presenza a webinar o conference
call: questa dinamica è completamente nuova per me.

5) Sono stati messi a disposizione del personale nuovi supporti tecnologici,


come computer aziendali?
All'inizio non siamo riusciti a farlo, solo di recente abbiamo messo a
disposizione nuovi pc: è stata avvertita tale necessità perché la strumentazione
a disposizione in precedenza non era adatta allo scopo.

6) In tema di regolamentazione, avete ricercato delle best practice per


meglio regolamentare il modello?
Non lo abbiamo fatto.

85
7) È stata attuata qualche misura di sicurezza specifica per la protezione
dei dati delocalizzati all'esterno?
Si è scelto di fare un lavoro diverso, senza necessità di lavorare sui dati degli
iscritti, per non incorrere in problemi di privacy, ma ora che il lavoro è tornato
in presenza abbiamo iniziato a predisporre dei metodi di sicurezza per il
trattamento dei dati

8) Sono stati fatti corsi di formazione (prima o dopo del covid) in merito
all'utilizzo del modello smart working?
Ci siamo auto-formati, specie sulle maggiori piattaforme per online
collaboration come cisco webex, zoom, gotomeeting, ecc...

9) Quale impatto ha percepito in merito alla produttività dei collaboratori


in smart working?
Abbiamo notato un maggior coinvolgimento nella media dei partecipanti ai
seminari organizzati dall'associazione, anche il triplo, dovuto alla
digitalizzazione degli eventi in forma webinar. ho notato però che gli iscritti più
anziano hanno avuto maggior difficoltà: loro premevano per il ritorno ad una
assistenza in presenza.

10) Quali benefici ha percepito anche per i più scettici?


Le persone che hanno avuto il coraggio di lanciarsi in questa sfida, anche non
essendo nativi digitali, hanno beneficiato di questa nuova conoscenza.

86
11) Altre valutazioni in generale che vuole offrire sulla base della sua
esperienza professionale?
Lo smart working, per quel che ho visto nella mia attività di consulente, è stato
uno tsunami che ha travolto le aziende, con un salto in avanti di almeno 5 anni
nei processi di digitalizzazione. Chiaramente le aziende grandi erano più
strutturate e in grado di governare il fenomeno, perchè all'interno dispongono
di un ufficio che si occupa di sistemi informativi, mentre chi sta peggio sono le
Pmi e microimprese che non hanno le infrastrutture tecniche. In molte piccole
imprese poi l'età media dei lavoratori è alta, e questo in genere non si lega con
una padronanza informatica avanzata. Il blocco del turn over che ha fatto sì che
negli ultimi anni non vi fosse un ricambio generazionale ha rallentato la
possibilità di utilizzare al meglio lo smart working. Le attività del terziario,
tantissime, se ne sono avvantaggiate. Quelle manufatturiere sono rimaste al
palo.

12) Quale vantaggio secondo lei le avrebbe dato aver già implementato un
simile progetto, nell’affrontare il lock-down imposto dall’emergenza
Covid-19?
Se guardiamo quello che è avvenuto in Francia o Inghilterra, paesi in cui lo
smart working è già più utilizzato, certamente ci saremmo trovati con minore
confusione e maggiore capacità di gestire la situazione: fino all'anno scorso lo
smart working in Italia riguardava poche aziende, mentre in altri paesi europei,
il 5-7-10% degli addetti: questo shock è stato utile a recuperare un gap che c'era
nel paese.

87
3.2.2 Roberto Lorusso, Neetra

1) Si presenti e indichi cortesemente il suo ruolo nell’organizzazione di cui


fa parte.
Roberto Lorusso, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Neetra srl.

2) Può illustrare brevemente la mission dell’organizzazione a cui


appartiene?
Progettazione, produzione e vendita di apparati trasmissivi e amplificativi per
broadcasting.

3) Quando è nata l’idea di implementare lo smart working e per quali


motivazioni?
Prima dell'emergenza covid era un fatto totalmente occasionale, mentre a partire
dall'emergenza è diventato un fatto formale. Attualmente (agosto 2020) vi è
alternanza, con 20% del personale in smart working e 80% in presenza.

4) In cosa consiste nel concreto il progetto di Smart Working nella vostra


organizzazione?
Le attività svolte in smart working, tra l'altro hanno previsto una buona quantità
di riunioni e meeting che hanno coinvolto tutta l'organizzazione durante il
periodo di lock-down, con riunioni generali ogni venerdì, per fare
aggiornamento e approfondimento sui processi tecnologici, ecc… Nel mentre
con i commerciali sono stati avviati nuovi processi di marketing e vendita.

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5) Sono stati messi a disposizione del personale nuovi supporti tecnologici,
come computer aziendali?
Sono stati messi a disposizione solo i pochi pc aziendali disponibili, mentre gli
altri hanno utilizzato dispositivi personali.

6) In tema di regolamentazione, avete ricercato delle best practices per


meglio regolamentare il modello?
Non è stato necessario, comunque c'è stato un accordo di welfare aziendale in
primis legato agli orari di lavoro, come anche la banca delle ore per la
demonetizzazione dello straordinario e utilizzo solidale delle ore di permesso.
L'azienda premia con l’aumento dell'ammontare di ore versato di un 20% di ore
retribuite.

7) Quanti addetti ha l'azienda?


In azienda siamo 25.

8) È stata attuata qualche misura di sicurezza specifica per la protezione


dei dati delocalizzati all'esterno?
In genere i dati non vengono dislocati all’esterno dell’azienda, mentre il
responsabile amministrativo dispone di una VPN dedicata.

9) Sono stati fatti corsi di formazione (prima o dopo del Covid-19) in


merito all'utilizzo del modello smart working?
I collaboratori avevano già effettuato formazione sull'uso di strumenti di online
collaboration come Google Drive, in virtù di contratti aziendali.

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10) Quale impatto ha percepito in merito alla produttività dei collaboratori
in smart working?
L’impatto percepito è diverso a seconda delle aree: l'area commerciale ha avuto
un impatto molto positivo, quella tecnica meno per la necessità di maneggiare
progetti e archivi molto complessi non sempre sostenibili con una connessione
come quelle disponibili. L'azienda è collocata nella zona industriale di
Modugno, che non è tutta ben coperta dalla fibra, ad esempio il nostro lotto è
servito da un ripetitore che non garantisce le stesse performance.

11) Lei quali benefici ha percepito?


C'è stata una spinta volontaria da parte dei commerciali che hanno dato il
massimo, anche per via delle preoccupazioni legate al calo di commesse dovuto
all'emergenza Covid-19 che ha molto interessato il nostro settore.

12) Ha avuto dei feedback sul lavoro a casa?


Alcuni tecnici hanno affermato che i due mesi di lock-down totale per loro siano
stati due mesi "persi", specie chi lavora in ambito ricerca e progettazione, che
ha bisogno di disporre dei macchinari aziendali durante il processo creativo.

13) Quale vantaggio secondo lei le avrebbe dato aver già implementato un
simile progetto, nell’affrontare il lock-down imposto dall’emergenza
Covid-19?
In realtà chi in azienda può avvantaggiarsi dello smart working, lo faceva già
prima del lock-down, ed è chi si occupa di vendita, o di assistenza in remoto. Lo
smart working era già culturalmente implementato, ma solo ed esclusivamente
per queste figure professionali.

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3.2.3 Francesco Pasquale, Bosch

1) Innanzitutto si presenti e indichi cortesemente il suo ruolo


nell’organizzazione di cui fa parte;
Francesco Pasquale, HR Specialist, responsabile area selezione, HR controlling,
management facilities del sito Bosch di Bari.

2) Può illustrare brevemente la mission dell’organizzazione a cui


appartiene?
Bosch, nel sito italiano di Bari è uno dei più importanti stabilimenti nella
produzione di pompe ad alta pressione per i sistemi Diesel Common Rail
nonché il principale produttore di pompe ad ingranaggi. Oltre allo stabilimento
produttivo nel sito è presente il Centro Studi Componenti per Veicoli (CVIT)
ove è stato progettato il primo sistema Common Rail. Le principali attività del
Centro Studi sono la ricerca, ingegnerizzazione e applicazione per il sistema
Common Rail oltre che attività di sviluppo della pompa di alta pressione con
responsabilità mondiale per i prodotti CP1, CP1H, CP3 e CP4 MD/OHW. Dal
2011 il Centro è impegnato nello sviluppo della pompa CPN5 e della Gear
pump.

3) Quando è nata l’idea di implementare lo smart working e per quali


motivazioni?
Lo smart working è stato introdotto nel nostro sito ad ottobre 2017 a seguito del
rinnovo contrattuale del CCNL metalmeccanici siglato nel 2016 che

91
introduceva la volontà delle parti di introdurre soluzioni in una logica di
miglioramento dell’efficienza e di orientamento al risultato favorendo la
conciliazione dei tempi di vita e lavoro ritenendo il lavoro agile (smart working)
un valido strumento per consentire una maggiore adattabilità alle diverse e
nuove esigenze dei lavoratori e delle aziende

4) In cosa consiste nel concreto il progetto di Smart Working nella vostra


organizzazione (metodologie, supporti tecnologici messi a disposizione,
regolamentazione, eventuali misure di sicurezza specifiche,
riorganizzazione degli spazi aziendali, formazione alle risorse umane
coinvolte, ecc)?
Gli impiegati e quadri possono aderire al lavoro agile su base volontaria a fronte
di un accordo individuale tra azienda e collaboratore. Tale accordo non
modifica gli elementi normativi e retributivi.
Orario di lavoro e modalità di svolgimento del lavoro agile:
• Max 5 giorni al mese (max 10 giorni per le neo mamma/papà dalla nascita al
compimento del primo anno di età del bambino);
• Max 20% delle risorse del reparto;
• Il collaboratore deve essere sempre previamente autorizzato dal proprio
responsabile;
• Il collaboratore deve rispettare l’orario di lavoro giornaliero nella fascia 8-20.
Il collaboratore deve garantire lo svolgimento di 4 ore del suo orario di lavoro
giornaliero nelle fasce 10-13 e 15-18;
• In fase di svolgimento della prestazione di lavoro il collaboratore deve rendersi
sempre rintracciabile sul laptop e/o telefono aziendale. A tal fine, il

92
collaboratore deve avere sempre a disposizione una connessione internet
ADSL/fibra e una adeguata copertura telefonica;
• Nella giornata di lavoro agile non è possibile effettuare lavoro straordinario;
• Nella giornata di lavoro agile non è possibile utilizzare permessi personali non
compatibili con tale modalità di lavoro (esempio PAR);
• Emergenza COVID: a seguito DPCM del 8 e 9 marzo 2020 sono stati derogati
i limiti massimi giornalieri e di reparto;

5) Che percentuale di addetti è stata coinvolta?


Prima dell’emergenza Covid: c.a. 15%
Dopo lock-down: c.a. 30%

6) Quale è stato l’impatto sulla produttività?


Nessuna variazione rilevante. La maggior parte degli impiegati lavora già per
obiettivi. Il lavoro per obiettivi è la base per una implementazione efficace ed
efficiente del lavoro agile in azienda. Qualche situazione di criticità si è
registrata per i reparti produttivi dove sono più frequenti situazioni in cui è
necessaria la presenza fisica.

7) Sono stati registrati particolari benefici?


Generale miglioramento del Work-life balance. Feedback molto positivi da
parte dei collaboratori e del management. In genere lo smart working è un
elemento fidelizzante del collaboratore alla propria azienda in grado di
aumentare il senso di appartenenza e di motivazione. Negli ultimi anni i nostri
collaboratori sono sempre più attenti a condizioni di lavoro che meglio
conciliano il lavoro alla propria vita privata. Si ritiene comunque che l’utilizzo

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dello strumento vada regolato per evitare distorsioni e situazioni di disparità
nell’utilizzo.

8) Quale vantaggio secondo lei le ha dato aver già implementato un simile


progetto, nell’affrontare il lock-down imposto dall’emergenza Covid-
19?

Generale velocizzazione di tutte le attività di implementazione delle


disposizioni di protezione. Infatti, tranne qualche eccezione, l’organizzazione
non ha avuto difficoltà ad implementare lo smart working dato che lo strumento
era già ampiamente noto e utilizzato. L’azienda ha potuto quindi concentrarsi
sulle attività di prevenzione per gli operai per i quali non era e non è possibile
implementare il lavoro agile.

3.3 – Come cambia il mondo? Riflessione su uno scenario possibile, a


trazione “agile”

Proviamo a immaginare le conseguenze di un passaggio allo smart working


compiuto (cioè con piena libertà nella sede di lavoro) che interessi tutta la
popolazione lavorativa che possa farlo: le sedi aziendali, in particolare
direzionali di grandi realtà, vedrebbero la loro presenza di personale giornaliera
media, e di conseguenza il loro fabbisogno di spazi, calare drasticamente.
Questo nel medio termine spingerebbe molte di queste organizzazioni a ridurre
le superfici sfruttate (il che si traduce nella risoluzione di contratti di locazione,
o nella vendita di spazi immobiliari in esubero). Questo fenomeno gioverebbe

94
fortemente al conto economico di molte organizzazioni, in cui le spese per gli
immobili rappresentano una voce importante. Inoltre, per la legge della
domanda e dell’offerta, la contrazione della domanda di spazi farebbe calare gli
affitti portando ulteriori vantaggi anche a chi non può ricorrere allo smart
working. D’altro canto, ciò porterebbe ad un parziale spopolamento di aree
cittadine in cui oggi si concentrano palazzi per uffici, che oggi sono in genere
tra le aree più caotiche e trafficate delle città: cambierebbe anche la fisionomia
economica di questi quartieri: la drastica riduzione di impiegati porterebbe
purtroppo al collasso molte piccole attività che gravitano intorno a questi, come
bar, tavole calde, ecc... Molti di questi locali (uffici e attività commerciali)
verosimilmente sarebbero convertiti in appartamenti nel medio-lungo periodo:
a ben vedere, quindi anche gli affitti delle case conoscerebbero un calo,
maggiore proprio in quelle aree con grossa concentrazione di uffici, che sono le
zone dove oggi si registra il maggior problema di sostenibilità del prezzo degli
alloggi. Molti lavoratori, inoltre, potendo passare molto meno tempo in ufficio,
potrebbero decidere di stabilirsi lontano dalle aree metropolitane dove oggi si
concentra la maggior parte dell’offerta di lavoro: avremmo un ripopolamento
della “provincia”, anche di piccoli paesi che oggi sono a rischio abbandono, e
che domani potrebbero essere la meta di famiglie che hanno un lavoro in città,
ma decidono di stabilire il nido lontano dal caos, con i vantaggi di trovare
alloggi più grandi a prezzi modici (queste famiglie non avrebbero difficolta
economiche ad allestire un ufficio personale nell’ambiente domestico) e un
costo della vita nel complesso più basso. Sarebbe in parte risolto anche il
problema dello spopolamento e del declino di queste aree, che oggi in molti
territori conoscono un nuovo flusso di emigrazione verso le caotiche metropoli
come Milano e Roma. C’è da aggiungere però che in ogni scenario c’è chi vince

95
e c’è chi perde: se da una parte quindi la città risulterebbe più accessibile e forse
più vivibile e la provincia più appetibile, a farne le spese sarebbero attività
commerciali e di servizi di vicinato, proprietari di immobili, e probabilmente i
bilanci degli enti locali nelle aree densamente popolate. Personalmente credo
che i benefici supererebbero i danni, a maggior ragione perché tutti questi
fenomeni di trasformazione si verificherebbero (forse si verificheranno?) nel
lungo periodo, con la possibilità dunque di accogliere il cambiamento e non
subirlo, con la giusta oculatezza.

96
Conclusioni

Nel presente elaborato ho cercato di fornire un valido identikit dello smart


working, con particolare riferimento al suo modo di influenzare le relazioni tra
individui. Ho iniziato cercando una definizione che rifletta in maniera
soddisfacente questo attualissimo modello organizzativo, trovandola in quella
stilata da Michael Armstrong nel suo “handbook of human resource
management practice” che è traducibile nel seguente modo: “Un approccio
all’organizzazione del lavoro che mira a raggiungere maggior efficienza ed
efficacia attraverso una combinazione di flessibilità, autonomia e
collaborazione, parallelamente all’ottimizzazione nell’uso di strumenti e
ambienti di lavoro per i collaboratori”.
Ho poi posto l’attenzione sui presupposti che hanno potuto decretare il successo
di questo nuovo metodo organizzativo, riscontrando nel progresso tecnologico
la prima e più importante leva, seguita da una nuova consapevolezza nei criteri
di gestione delle risorse umane che punta su empowerment e impegno
organizzativo. Per meglio tratteggiare lo smart working ho fatto emergere gli
aspetti che lo differenziano dal telelavoro, evidenziando che nell’immaginario
collettivo le due fattispecie spesso si sovrappongono: il telelavoro possiede
infatti solo alcuni tratti comuni allo smart working, il più evidente dei quali è in
effetti lo svolgimento dell’attività lavorativa a distanza, comunemente presso il
proprio domicilio. Dunque qual è quel quid plus che distingue il lavoro agile
dal telelavoro? Si può rinvenire in tre grandi caratteristiche, vale a dire l’uso
intensivo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, il nuovo

97
modo di organizzare il lavoro, di cui ho ampiamente trattato nell’elaborato, e
una concezione innovativa degli spazi lavorativi.
Ho voluto poi dare una dimensione al successo del fenomeno di cui stiamo
parlando, analizzando numerose fonti per stimare quella che è stata l’effettiva
diffusione del modello nel nostro paese, con la premura di porre come
spartiacque l’anno 2019 per due ordini di ragioni: la minore disponibilità di dati
attendibili e completi sul periodo più prossimo, e soprattutto l’insorgenza agli
inizi del 2020 dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, che ha avuto, tra i
tanti effetti negativi, l’innegabile pregio di accrescere la consapevolezza e
applicazione dello smart working nei contesti organizzativi. Ne emergono
valutazioni interessanti: sulla base di fonti autorevoli come ILO ed Eurofound
gli smart workers sono cresciuti di numero ininterrottamente dall’inizio del
ventunesimo secolo in poi, fino a raggiungere in Italia, nel 2019, 570.000 unità
impegnate in tal modo (dato Politecnico di Milano), dunque a prescindere dal
boom determinato dal lock-down recente, il fenomeno godeva già di una
espansione straordinaria. Della bontà del modello se ne sono accorti anche i
policy makers, evidenziandone i benefici in prospettiva in particolare su
determinate categorie di lavoratori (come anziani e donne), e sulla pubblica
amministrazione stessa, che in particolare in Italia ha prodotto un impulso
normativo coraggioso (legge 124/2015). Bisogna dire che nonostante questo
impulso politico, la situazione nella pubblica amministrazione si può affermare
sia ancora di forte ritardo: la legge già citata aveva indicato un obiettivo
ambizioso, quello di impegnare il 10% del personale delle singole P.A. in lavoro
agile, ebbene tale obiettivo, come ho affermato rifacendomi a vari analisti
risulta raggiunto in tanti casi solo sulla carta, alla stregua di un adempimento
burocratico.

98
Superando lo spartiacque del 2020, come ho scritto poc’anzi, si entra nel
territorio ostile della crisi epidemiologica da Coronavirus, che ha dato un
impetuoso “colpo di acceleratore” all’applicazione del modello su larga scala.
Passaggio normativo cruciale di questo evento è riscontrabile nel D.P.C.M. 11
marzo 2020, all’art. 1, n. 7, lett. a), che prevede sia attuato il massimo utilizzo
da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono
essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza. Le conseguenze di
questo e dei successivi interventi del legislatore sono state immortalate dall’Istat
nella pubblicazione del giugno 2020 denominata “situazione e prospettive delle
imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”. Come rilevato in questo report,
ben 214.000 aziende hanno fatto ricorso a forme di lavoro agile durante questo
periodo, sebbene, come argomentato nel paragrafo 2.3.1 si tratta non del
modello organizzativo che ho descritto con dovizia di particolari nel primo
capitolo, ma bensì di una sua forma emergenziale, edulcorata.
Veniamo adesso al fulcro di questo elaborato, ovvero l’indagine pilota su smart
working e relazioni sociali, con cui ho cercato di rispondere a dubbi e riflessioni
su quale sia l’impatto del modello in un contesto lavorativo come quello Italiano
(nello specifico il più circoscritto territorio dell’area metropolitana di Bari). Il
questionario, ampiamente descritto nell’omonimo paragrafo, mi ha permesso di
giungere a diverse tesi che ora proverò a riassumere. Partiamo dal presupposto
che il campione di 20 unità è composto in maniera omogenea da uomini e
donne, e che l’anzianità degli stessi riflette a grandi linee, come riscontrato,
quello del mercato lavorativo italiano, dunque tutt’altro che giovane. Gli
intervistati sono risultati in gran parte d’accordo col fatto che lo smart working
sia più conciliabile del lavoro tradizionale con il tempo dedicato alla cura della
casa e dei componenti della famiglia, ma solo in pochi hanno riscontrato gli

99
stessi benefici anche nella sfera degli hobby, delle passioni e della crescita
personale (insomma tempo dedicato più strettamente a sé stessi): sulla base di
questi dati sono giunto alla conclusione che l’individuo investe il tempo che
riesce a sottrarre all’impegno lavorativo per responsabilità e relazioni con gli
altri membri della famiglia più che per sé stesso. Se possiamo affermare, sulla
base dei dati fin qui presi in esame, che ci sono riscontri positivi riguardo
l’ambito famigliare, lo stesso non si può dire sull’ambito lavorativo: i rapporti
con colleghi e in particolare i responsabili vengono valutati dalla maggioranza
del campione come insoddisfacenti, sebbene comunque ci siano dei momenti di
interazione più o meno numerosi (ma sempre minori rispetto al lavoro
tradizionale). Al termine del questionario, non poteva mancare la richiesta di un
giudizio “secco” sullo smart working, sottoposto agli intervistati attraverso la
domanda “se le venisse proposto di continuare a lavorare in smart working
anche in futuro, sarebbe favorevole?”. Circa i due terzi hanno risposto
favorevolmente: credo che il giudizio nel complesso positivo dei lavoratori sia
in parte da attribuire alle potenzialità percepite, più che all’effettiva esperienza
vissuta in fase di lock down (quest’ultimo è un particolare da non dimenticare).
La mia ipotesi viene confermata dalle risposte degli intervistati nella sezione
dedicata “risposta aperta”, in cui molti hanno, infatti, palesato la volontà di
perfezionare in futuro lo smart working dal punto di vista regolamentare per
goderne dei benefici e contrastarne le criticità: dunque vi è fiducia nello
strumento.
Ecco in fine alcune conclusioni desumibili dall’indagine pilota, frutto
dell’incrocio dei dati. In particolare studiando il rapporto tra età/anzianità
professionale e giudizio sullo smart working (e volontà di continuarlo in futuro),
si palesano interessanti spunti. Se da una parte gli intervistati fino a 39 anni di

100
età manifestano gradimento e volontà di proseguire sulla strada del lavoro agile,
dal lato opposto tutti gli intervistati con età superiore a 59 anni giudicano
negativamente lo smart working (in particolare le ricadute sul piano
relazionale), inoltre rilevazioni sulla stessa linea di tendenza si apprezzano in
merito all’anzianità professionale. Dunque sembrerebbe che tanto maggiore è
l’età e l’esperienza lavorativa, maggiore sarà la recalcitranza ad un
cambiamento così pregnante della propria condizione di lavoro.
C’è altro che emerge? Certo. Focalizzandoci sulle situazioni personali degli
intervistati, si può apprezzare una omogeneità nelle risposte in quei contesti in
cui l’intervistato si trova a dover soppesare l’importanza delle relazioni sociali
famigliari con quelle lavorative: le persone che hanno in casa qualcuno da
accudire (che siano bambini, persone con disabilità, o anziani), sebbene in gran
parte giudichino negativamente le relazioni instaurate a distanza, si dichiarano
comunque disposti ad accettare il proseguimento di un rapporto di lavoro agile.
Dunque sembra che una situazione ottimale nelle relazioni con i colleghi risulta,
per gli intervistati, il più delle volte subordinata e quindi sacrificata a bisogni
afferenti alla sfera famigliare.
Sono dunque giunto alla fine dell’elaborato, ma intendo chiudere come si confà
valutando le limitazioni dello studio, e lasciando almeno uno spunto per lavori
che potrebbero ben legarsi e dunque arricchire questa tesi: il limite maggiore è
forse la ridotta dimensione del campione, comunque congruente per
un’indagine pilota. Quindi, possibili sviluppi potrebbero prevedere la
somministrazione del questionario ad un campione più ampio con il fine di
ottenere suggerimenti utili per un approfondimento più complesso che possa
offrire spunti di policy aziendale.

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Bibliografia

In ordine alfabetico:

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osservazioni, in stato di emergenza, in http://giustiziacivile.com/

• Campodall’Orto Sergio, Gori Massimo, Conoscere il telelavoro,

Franco Angeli, Milano, 2000

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Overview report (2017 update), Publications Office of the European

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• Eurofound and the International Labour Office (2017), Working

anytime, anywhere: The effects on the world of work, Publications

Office of the European Union, Luxembourg, and the International

Labour Office, Geneva.

• Fiedler E. Fred, A Theory of Leadership Effectiveness, McGraw-Hill,

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• Forsyth R. Donelson, Group dynamics, Wadsworth Cengage learning,

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• Gabrielli Gabriele, Lavoro agile e smart working: due facce di un

unico approccio, HR On Line, 2018, pag.12

• Legge 20 maggio 1970, n. 300 “Statuto dei lavoratori”

• Legge 22 maggio 2017 n. 81, Misure per la tutela del lavoro autonomo

non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile

nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato

• Maslow, Abraham H., The Maslow business reader, John Wiley e sons,

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• OECD (2019), OECD Skills Outlook 2019: Thriving in a Digital

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• Penna Marina, Modalità flessibili di lavoro nel pubblico impiego:

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2019), Smart working davvero: la flessibilità non basta, in

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• Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio

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103
• Russo Marianna (2020), Emergenza lavoro agile nella P.A., in

http://giustiziacivile.com/ (visitato il 27/10/2020)

• Schermerhorn R. John, Management, John Wiley e sons, USA, 2011,

pag. 320

• Visentini Arianna, Cazzarolli Stefania, Smart working: mai più senza,

Franco Angeli, Milano, 2019

104
Ringraziamenti

Alla mia famiglia, per la fiducia e lo sforzo compiuto per far si che questo

diventasse un traguardo reale;

Alla mia ragazza, Laura, capace di alleviare anche le giornate più dure con

una parola e un sorriso;

Alla professoressa Roberta Pace, che con le sue lezioni stimolanti e il suo

supporto in questa tesi ha contribuito come pochi alla mia crescita;

Ai compagni di avventura, che hanno reso il viaggio piacevole;

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