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Scuola di Specializzazione in Diritto Amministrativo e

scienza dell’Amministrazione.

Professor: Mario Sirimarco


Informatica Giuridica
Studente: Antony Fortuna
Titolo: Censura e sorveglianza nella Repubblica Popolare
Cinese.

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La censura. – 3. Il panorama


legislativo. – 4. I contenuti censurati. – 5. Il Grande Firewall cinese. – 6.
Il funzionamento del firewall. – 7. Il fenomeno dell’autocensura. – 8.
L’esperienza del “Social Credit System”. – 9. La questione dello
Xinjiang. – 10. Conclusione.

1. Introduzione
Riconoscimento facciale, data mining, videosorveglianza; strumenti di
controllo sociale come questi non sono dispositivi futuristici, ma una
realtà sempre più concreta, che ci permette di affrontare un’analisi
riguardo il futuro sviluppo del rapporto tra autorità e cittadini nell’era
dell’intelligenza artificiale.
Il governo cinese ha rafforzato il suo già stretto controllo su Internet e
le comunicazioni digitali. Vi sono un miliardo di utenti Internet in Cina
e ciò che questi possono o non possono fare è il risultato di una
regolamentazione estremamente rigida.
I leader del Partito Comunista Cinese (PCC) mirano a implementare un
network di telecamere di sorveglianza che è stato descritto come
“onnipresente, sempre connesso e sempre in funzione”.
Questa prospettiva non lascia presagire sviluppi positivi con
riferimento ai diritti fondamentali e alla libertà individuale degli 1.4
miliardi di cittadini cinesi.
In questo scritto, affronterò le principali tematiche riguardanti le tecniche
di controllo sociale, censura e sorveglianza informatica utilizzate dal
Partito Comunista Cinese sui propri cittadini, al fine di reprimere il
dissenso politico e garantire la stabilità sociale ed economica del Paese.
Internet è arrivato in Cina nel 1994, sotto la presidenza di Jiang Zemin, la
cui decisione di sviluppare Internet è stata pesantemente influenzata dalla
teoria della “terza ondata” di Alvin Toffler, secondo la quale il mondo si
stava allontanando dall’Era industriale (definita la “seconda ondata”), per
avvicinarsi sempre di più all’Era informatica.
La presenza di Internet in Cina venne considerata fondamentale per
garantire la competitività della sua economia.
L’idea di importare nuove tecnologie per incrementare la produttività,
comunque, non fu una novità: già dal 1979 Deng Xiaoping implementò la
c.d. Open Door policy per consentire l’importazione di tecnologie e per
assicurare alla nazione l’accesso al commercio internazionale e agli
investimenti da parte di stranieri. Successivamente alla Open Door policy,
il governo cinese ha faticato a mantenere l’equilibrio tra l’apertura ai
mercati mondiali e il tentativo di limitare l’influenza che l’ideologia
occidentale esercita sul suo popolo.
Deng Xiaoping tentò di spiegare la situazione attraverso una metafora,
sostenendo che: “quando apri la finestra per un po’ di aria fresca, entrano anche
delle mosche”.
Proprio nel tentativo di tenere queste “mosche” lontane, il Ministero
di Pubblica Sicurezza cinese, nei primi anni 2000, avviò il Golden
Shield Project, che diverrà poi il c.d. “Great Firewall of China”.
Questo progetto pone uno dei quesiti più significativi della storia
moderna: da un lato, il governo cinese desidera utilizzare l’informatica
e Internet per guidare la sua espansione economica; dall’altro, l’utilizzo di
Internet inevitabilmente incoraggia il confronto e lo scambio di idee
come strumenti per la democratizzazione della società.
In altre parole, nonostante Internet sia estremamente importante per
l’economia cinese, la sua stessa esistenza espone a rischio la stabilità
politica della nazione.
La Cina è quindi alla costante ricerca di un equilibrio da queste due
finalità: da un lato, garantire la competitività della propria economia
attraverso l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia; dall’ altro, mantenere
il controllo sui propri cittadini attraverso la censura dei contenuti
ritenuti pericolosi per la stabilità del Paese.

2. La censura
Sin dalla sua creazione, la Repubblica Popolare Cinese utilizza la
censura come strumento di controllo dell’opinione pubblica.
Questo controllo così pervasivo è finalizzato sostanzialmente
all’identificazione e alla marginalizzazione dei dissidenti politici.
L’avvento di Internet ha consentito agli individui di disseminare
informazioni e di esprimere opinioni critiche nei confronti del
governo, restando sostanzialmente impuniti. Xi Jinping, attuale leader
del PCC, successivamente ad alcune manifestazioni non autorizzate
organizzate tramite l’utilizzo di applicazioni di messaggistica
istantanea, ha avviato una politica di repressione, applicando alle
piattaforme social le stesse tecniche di censura con cui il Partito
storicamente ha efficacemente “imbavagliato” i media tradizionali.
Nella sua fase iniziale, l’implementazione di questa policy ha richiesto
uno sforzo economico non indifferente; si è resa necessaria la
creazione di una complessa infrastruttura, in grado di monitorare
l’intero traffico Internet nazionale.
Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, si è resa possibile la
correlazione di una grande mole di dati, consentendo al Partito di
effettuare un controllo ancor più pervasivo sulla vita dei propri
cittadini.
Nel capitolo che segue, tratterò lo strumento primario tramite il quale il
PCC svolge tale attività di sorveglianza: il c.d. “grande firewall
cinese”; secondo la CNN, il meccanismo di censura più costoso ed
avanzato al mondo.

3. Il panorama legislativo
Il governo cinese difende il proprio diritto di applicare la censura come
un’espressione della propria sovranità.
In un disegno di legge del 2010, Internet è stato definito come “la
cristallizzazione del sapere umano”. Successivamente, nel medesimo
documento, il governo ha enunciato i motivi per cui i propri cittadini non
possono avere accesso incontrollato a tale sapere. Il riferimento
legislativo più rilevante in materia di censura è la Sezione 5 delle
Computer Information Network and Internet Security, Protection, and
Management Regulations, emessa in forma di ordinanza nel dicembre
del 1997.
La regolamentazione fornisce una prima definizione delle attività online
considerate pericolose, e dispone che nessuna entità o individuo può
utilizzare Internet per creare, replicare o diffondere le seguenti
informazioni:
- incitare la resistenza al rispetto della legge e della Costituzione;
- incitare alla ribellione nei confronti del Governo;
- promuovere la divisione della nazione;
- promuovere l’odio nei confronti di gruppi etnici;
- diffondere notizie false;
- diffondere oscenità, materiale pornografico, materiale relativo
al gioco d’azzardo, incoraggiare la commissione di crimini;
- diffondere notizie con l’intento di diffamare un individuo;
- esprimere opinioni critiche nei confronti del Partito.

L’ordine del Consiglio di Stato n. 292, emanato nel settembre del 2000,
ha stabilito, inoltre, diverse regole per i provider di contenuti Internet.
Il testo prevede il divieto per i siti web cinesi di diffondere news
provenienti dall’estero senzauna specifica approvazione da parte del
Partito.
Ai siti web sprovvisti di tale autorizzazione è consentito pubblicare
esclusivamente notizie già diffuse al pubblico attraverso i canali
governativi. L’art. 11 del testo di legge stabilisce che i provider di
contenuti sono “responsabili della legalità di ogni informazione diffusa
attraverso i propri servizi7”. L’art. 14 permette agli ufficiali del governo di
accedere a qualsiasi tipo di informazione sensibile posseduta dai provider
di servizi Internet.

4. I contenuti censurati
Uno studio dell’Università di Harvard ha concluso che almeno 18.000
siti web sono inaccessibili dalla Cina e tra questi figurano 12 dei 100
siti web più frequentati al mondo.
Xinhua, l’agenzia di stampa del governo cinese, ha dichiarato che la
censura colpisce solo “materiale pornografico, violento e altre informazioni
dannose”. Questa affermazione, oltre che estremamente generica, appare
infondata, in quanto il provider di e-mail Gmail risulta anch’esso
bloccato dal firewall, pur non rientrando in nessuna delle categorie
succitate. Allo stesso modo, vengono bloccati siti web contenenti
informazioni riguardo la religione del Falun Gong, una pratica la cui
popolarità ha destato l’attenzione del PCC; risultano inoltre inaccessibili le
informazioni riguardo le proteste di Piazza Tiananmen del 1989; quelle
sull’indipendenza di Taiwan e del Tibet e ogni altro avversario
politico del regime.
I siti web del New York Times, della BBC, di Bloomberg, di Google e
Wikipedia sono stati censurati in modo permanente.
Un ulteriore studio del 2012 ha rilevato che circa il 13% dei post online
risulta bloccato. La censura si concentra maggiormente su ogni forma di
incitamento all’azione collettiva, senza distinzione di sorta,
dall’incitamento alla rivolta fino alla semplice organizzazione di un
party per divertimento.
Lo studio suddetto ha rilevato, inoltre, che molti dei post critici nei
confronti del governo vengono rimossi solo se accompagnati da una
chiamata all’azione collettiva; è stato possibile constatare che i post più
colpiti dalla censura sono proprio quelli diretti a provocare una reazione
da parte del pubblico, a prescindere dal fatto che il loro contenuto sia
esplicitamente critico nei confronti del governo.
Per effettuare la censura dei post dai social network, il governo o l’azienda
proprietaria della piattaforma creano una task force adibita alla lettura ed
all’analisi dei singoli post che violano la policy governativa oppure i
post vengono bloccati da un’intelligenza artificiale, attraverso il
rilevamento di parole chiave (c.d. keyword filters), ritenute indice di
possibile contenuto sgradito. Con la precisazione che l’elenco delle parole
critiche viene continuamente aggiornato, in relazione agli eventi politici e
sociali che nel tempo possono verificarsi.

5. Il Grande Firewall cinese


Il “Great Firewall of China” è il progetto di censura e sorveglianza
informatica sviluppato dal governo cinese.
Pensato, sviluppato e gestito dal Ministero di Pubblica Sicurezza, il
progetto è uno dei più controversi al mondo. Mentre in Occidente molti
lo considerano come una violazione dei diritti umani, molte altre
nazioni lo apprezzano e stanno pensando di adottare il modello cinese.
La questione è di estremo interesse poiché l’economia cinese trae
grande beneficio dall’utilizzo di Internet, ma, come detto, dall’altro lato
quest’ultimo interferisce con la stabilità politica della nazione.
Un firewall non è altro che un “filtro” di tutti i contenuti Internet
accessibili dai dispositivi connessi, presenti sul territorio cinese. Tramite
il firewall, il governo cinese è in grado di bloccare l’accesso a determinati
siti Internet il cui contenuto viene ritenuto pericoloso per la stabilità
sociale della nazione e per la sicurezza del Partito.
È ormai noto che il sistema blocca ricerche su Google dal contenuto
“scomodo”, come ad esempio una ricerca sui fatti di Piazza Tien an men,
la protesta studentesca del 1989 che venne repressa con la forza dal
Partito. Inoltre, social network come Facebook sono del tutto
inaccessibili da indirizzi IP localizzati sul territorio cinese. L’intero
traffico Internet della nazione viene forzato ad attraversare il grande filtro
del firewall.

6. Il funzionamento del firewall


Come funziona il firewall?
Il Great Firewall utilizza tre diversi metodi per bloccare l’accesso a certi
siti web, che si possono sintetizzare come segue:

a. IP blocking;
b. IP address misdirection;
c. Data filtering.
IP Blocking
Con questo metodo, l’accesso a certi indirizzi IP è interrotto dal
firewall. Questo significa prevenire qualsiasi tipo di accesso da parte
dell’utente ad un computer remoto, posto che il firewall intercetta tutti i dati
inviati e ricevuti da computer all’interno della rete.

IP Address Misdirection
Questa tecnica, chiamata anche “dirottamento di URL”, consente al
governo cinese di reindirizzare un dominio internet a un “finto” sito
web, che non contiene le informazioni ritenute sensibili presenti sulla
pagina originale.
Quindi, prima ancora che il sito web reale possa ricevere la richiesta
dell’utente, il sistema crea una risposta falsa alla richiesta di
consultazione del sito web da parte dell’utente, che si ritroverà
dirottato su una pagina creata ad hoc, contenente informazioni
artefatte.

Data Filtering
Il firewall esamina il contenuto dell’URL richiesto dall’utente e i
metadati che accompagnano tale richiesta. Queste tecniche vengono
chiamate rispettivamente URL filtering e Packet filtering.
Ad esempio, avviando una ricerca in Internet con i termini “Piazza
Tiananmen”, il motore di ricerca crea una richiesta URL formata da
“Piazza + Tiananmen” che viene intercettata dal firewall e da questo
bloccata.

7. Il fenomeno dell’auto censura


La censura di Internet in Cina è stata definita come “un panopticon che
incoraggia l’autocensura diffondendo tra gli utenti la percezione di essere
osservati”. La minaccia di una punizione crea il c.d. chilling effect, cosicché
gli individui censurano volontariamente le proprie comunicazioni per
evitare conseguenze legali.
Inoltre, i provider di servizi Internet sono ritenuti responsabili per la
condotta dei propri utenti. Alcuni hotel in Cina consigliano ai propri
clienti di utilizzare Internet nel rispetto delle leggi locali e di evitare di
pubblicare contenuti che possano essere ritenuti politicamente
inaccettabili, informando i clienti che, in caso contrario, andranno
incontro a conseguenze legali.
Nel marzo del 2002 Internet Society of China, l’associazione di categoria
dell’industria di Internet, ha concluso con il governo cinese un accordo
che prevede l’impegno, da parte delle compagnie del web, di
identificare e impedire la trasmissione di informazioni che le autorità
cinesi considerano pericolose per la stabilità sociale ed economica
della nazione.
Nel 2009, in occasione del ventesimo anniversario della protesta di Piazza
Tiananmen del 4 giugno 1989, il governo cinese ha ordinato ai forum ed ai
gruppi di discussione online di chiudere i propri server per
“manutenzione” proprio dal 3 al 6 giugno. Il giorno precedente
l’imposizione tale misura, gli utenti cinesi di Twitter e Hotmail
riportarono l’impossibilità di accedere a tali servizi. La piattaforma di
microblogging Sina Weibo ha censurato, nei giorni antecedenti il 4
giugno, parole ricollegabili alla protesta, come ad esempio “Tank Man”, in
riferimento alla celebre fotografia di un uomo che tenta di bloccare il
passaggio dei carri armati diretti verso Piazza Tiananmen. Secondo
l’associazione Reporters Without Borders, la ricerca di informazioni
tramite l’utilizzo di termini come “4 giugno” su Baidu (il motore di
ricerca più utilizzato in Cina) viene interrotta da un messaggio diretto
all’utente che testualmente lo informa che “questa ricerca non è
permessa dalla legge.”
L’atteggiamento di censura da parte del governo ha causato diverse
reazioni nella comunità cinese di utenti Internet: tra queste, alcuni
hanno ironicamente definito il 4 giugno come “Chinese Internet
Manteinance day”; altri hanno creato memes sostituendo i carri armati
della foto di Tank Man con delle papere di gomma, azione che ha
provocato l’ulteriore censura, da parte di Sina Weibo, delle parole “big
yellow duck”.

8. L’esperienza del “Social Credit System”


Si discute sull’eventuale pericolosità dell’utilizzo dell’intelligenza
artificiale (AI) per la collettività.
Sia la Cina che gli Stati Uniti d’America attualmente sono i leader
mondiali nello sviluppo di intelligenza artificiale; tuttavia, ma si
possono rilevare significative differenze tra i due Stati
nell’applicazione e l’utilizzo di tale tecnologia.
Nel mondo occidentale, si è fatto ricorso all’utilizzo dell’intelligenza
artificiale ad esempio nella tecnologia del riconoscimento facciale, ormai
presente su quasi tutti gli smartphone, o con le app che sfruttano il GPS;
anche le forze dell’ordine ne fanno uso per la lotta alla criminalità.
In Cina, tali sistemi vengono utilizzati sostanzialmente al fine di
sorvegliare le persone ed identificare i soggetti considerati dal PCC
come pericolosi per la stabilità socio- economica della nazione; tra
questi, compaiono minoranze etniche e religiose, oppositori del
governo, dissidenti politici, attivisti dei diritti umani, giornalisti.
In base ai dati raccolti, il governo cinese, sempre tramite l’ausilio dell’AI,
procede a profilare i propri cittadini in base all’utilizzo che questi ultimi
hanno degli smartphone: ad ogni individuo viene assegnato un
punteggio basato su etnia, sesso, età e credo religioso, sulle sue
abitudini di ricerca online, sui luoghi che frequenta abitualmente, sulla
fiducia che egli dimostra nei confronti del Partito nella sua attività su i
socialnetwork.
Questo programma è stato chiamato “Social Credit System”.
Solo chi raggiunge punteggi elevati può godere di benefici, tra cui la
libertà di movimento, la possibilità di acquistare un’automobile, di poter
chiedere un prestito, di avere un passaporto, di acquistare un biglietto
del treno e così via.
Viceversa, ai cittadini identificati dall’AI come poco fiduciosi nei confronti
del governo viene assegnato un punteggio basso e di conseguenza gli
vengono precluse molte delle libertà concesse invece alle persone
considerate più fedeli al Partito.
Indubbiamente l’intelligenza artificiale può avere svariati utilizzi che
possono contribuire al benessere della collettività, ma se questa tecnologia
viene utilizzata da governi autoritari e non democratici gli effetti possono
essere devastanti e contrari ai sostanziali e primari diritti umani di
libertà e indipendenza.

9. La questione dello Xinjiang


La questione dello Xinjiang rappresenta la testimonianza più
agghiacciante dell’uso distorto della tecnologia da parte del governo
cinese.
La regione dello Xinjiang costituisce l’estremo confine occidentale
della Cina ed è popolata per la maggior parte da una minoranza di
etnia turca e di religione musulmana, gli Uiguri. Questi, a causa di un
desiderio di indipendenza dalla Cina espresso a più riprese durante i
secoli e inaspritosi negli ultimi decenni, vengono considerati come un
pericolo costante ed imminente alla stabilità politica e all’unità del Paese;per
questo motivo dal 2016 gli abitanti della regione vivono in un vero e
proprio Stato di polizia. L’elevatissima concentrazione di telecamere e la
presenza di diversi checkpoint costituiscono solo alcuni degli aspetti della
politica di controllo sociale che permea tutti gli aspetti della vita
quotidiana degli appartenenti all’etnia uigura, e che rende difficoltoso per
questi ultimi anche il semplice ingresso in un supermercato.
Già nell’agosto 2016, il Dipartimento di pubblica sicurezza dello
Xinjiang ha confermato la creazione della Integrated Joint Operations
Platform (IJOP), un sistema che combina i dati sugli individui raccolti da
diverse fonti. IJOP utilizza più di 40.000 telecamere di sorveglianza a
circuito chiuso disseminate per i centri abitati, al fine di raccogliere
informazioni sugli spostamenti degli abitanti della regione: per fare ciò,
utilizza tecnologie di riconoscimento facciale che possono identificare
un soggetto a diversi chilometri di distanza. Le strade di Ürümqi,
capitale dello Xinjiang, sono disseminate di posti di blocco, stradali e
pedonali, dove il contenuto degli smartphone dei passanti viene
analizzato dagli agenti di polizia.
A tal fine, il governo cinese ha obbligato gli abitanti della regione ad
installare, sui propri dispositivi, l’applicazione JingWang Weishi, uno
spyware sviluppato al fine di monitorare e registrare i messaggi scambiati
dall’utente, i dati relativi alla SIM card, i file e le registrazioni audio e
video presenti sullo smartphone. L’applicazione è dotata di una funzione
che le permette di identificare i contenuti non consentiti ed avvisare
l’utente che è necessario rimuovere tali contenuti dal dispositivo. I dati
vengono poi trasferiti ad un server apposito, in plain text (cioè senza
l’utilizzo di crittografia), così da esporre gli utilizzatori al potenziale furto
di informazioni personali da parte di terzi. Il governo cinese ha avvisato
gli abitanti dello Xinjiang che gli agenti di polizia sono tenuti a
verificare l’effettiva installazione del software da parte dei cittadini.
Anche nello Xinjiang, il sistema di social credit è operativo, con la
differenza che il parametro di valutazione del comportamento degli
Uiguri si riduce a tre sole classificazioni: “affidabile”, “nella media”
ed “inaffidabile”.
Un dipendente IJOP, rimasto anonimo, ha testimoniato per Human
Rights Watch di aver osservato per anni per conto del governo cinese
le schermate dei computer contenenti i dati personali degli Uiguri,
accompagnati da informazioni molto dettagliate riguardo le relazioni
familiari, il possesso del passaporto, i luoghi visitati di recente,
l’occupazione ed il credo religioso.
Agli Uiguri di fede musulmana, inoltre, non sono permesse certe pratiche
religiose; ad esempio, gli è stato vietato di digiunare durante il Ramadan,
di rifiutare il consumo di carne di maiale, di indossare il burqa, di avere
una barba folta, di praticare i rituali funebri tradizionali, di chiamare i
propri figli con appellativi di ispirazione islamica come Fatima o
Mohammad.
Centinaia di migliaia di Uiguri sono stati internati in “centri di
rieducazione” in cui vengono indottrinati con ideologia comunista e
persuasi ad abbandonare la fede musulmana. In caso di rifiuto, i
prigionieri vengono minacciati e torturati.
Infine, vi sono diverse testimonianze di Uiguri fuggiti all’estero e che non
riescono più ad avere alcun contatto con i parenti rimasti, in quanto
questi ultimi, probabilmente, sono stati internati.

10. Conclusione
Gli aspetti sopra brevemente esposti inducono, quindi, a ritenere che la
Cina sia ben lontana dagli standard di tutela dei dati personali
recentemente definiti a livello europeo. Finché i vertici del PCC
continueranno a considerare l’influenza delle democrazie occidentali
come un pericolo alla conservazione del potere, il diritto dei cittadini
cinesi ad accedere alle risorse che Internet mette a disposizione resterà
fortemente limitato, e con ciò anche il loro fondamentale diritto di
informazione e di espressione.

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