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DI FRONTE E ATTRAVERSO

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LALTRONOVECENTO
COMUNISMO ERETICO E PENSIERO CRITICO
Volume II
Piano dellOpera
LALTRONOVECENTO
COMUNISMO ERETICO E PENSIERO CRITICO
Volume I
LET DEL COMUNISMO SOVIETICO
(EUROPA: 1900-1945)
Volume II
IL SISTEMA E I MOVIMENTI
(EUROPA: 1945-1989)
Volume III
CAPITALISMO E RIVOLUZIONE NELLE AMERICHE
(1900-1989)
Volume IV
ANTICOLONIALISMO E COMUNISMO IN AFRICA E ASIA
(1900-1989)
Volume V
COMUNISMO E PENSIERO CRITICO NEL XXI SECOLO
IL SISTEMA E I MOVIMENTI
(EUROPA: 1945-1989)
A cura di
Pier Paolo Poggio
Testi di
Stanley Aronowitz, Davide Artico, Daniel Blanchard,
Giorgio Barberis, Daniele Balicco, Alessandro Bellan, Cesare Bermani,
Mauro Bertani, Sergio Bologna, Massimo Cappitti, Delfo Cecchi,
Placido Cherchi, Fabio Ciaramelli, Pietro Clemente, Marco Clementi,
Cristina Corradi, Vincenzo Costa, Michele De Gregorio, Pino Ferraris,
Gianfranco Fiameni, Gian Andrea Franchi, Chiara Giorgi,
Paolo Godani, Franoise Gollain, Peter Kammerer, Martin Klimke,
Eugenia Lamedica, Sergio Landucci, Leonardo Lippolis,
Gianfranco Marelli, Marco Maurizi, Giancarlo Monina,
Samantha Novello, Andrea Panaccione, Luisa Passerini,
Vincenza Petyx, Mario Pezzella, Pier Paolo Poggio, Gianfranco Ragona,
Fabio Raimondi, Sergio Rapetti, Massimiliano Tomba, Franco Toscani,
Patrick Troude-Chastenet, Xavier Vigna, Michelle Zancarini-Fournel
2011
Editoriale Jaca Book SpA, Milano
Fondazione Luigi Micheletti, Brescia
tutti i diritti riservati
I testi di ???
sono stati tradotti da ???
Il testo di ???
stato tradotto da ????
Prima edizione italiana
aprile 2011
Copertina e grafica
Ufficio grafico Jaca Book
In copertina
???
Redazione e impaginazione
CentroImmagine, Lucca
Stampa e confezione
Grafiche Flaminia, Foligno (Pg)
aprile 2011
ISBN 978-88-16-00000-0
Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma
ci si pu rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA, Servizio Lettori
via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/48561520-29, fax 02/48193361
e-mail: serviziolettori@jacabook.it; internet: www.jacabook.it
VII
INDICE
Presentazione, Pier Paolo Poggio XI
LOTTE POLITICHE E CONFLITTI SOCIALI
Crisi e fine del comunismo sovietico, Pier Paolo Poggio 3
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956,
Andrea Panaccione 29
Il dissenso in URSS (1953-1991), Marco Clementi 47
Le lotte operaie in Polonia, Davide Artico 59
Dal Maggio 68 agli anni Sessantotto al 2008. Il caso francese,
Michelle Zancarini-Fournel 77
Gli scioperi del maggio-giugno 1968: linizio di uninsubordinazione
prolungata, Xavier Vigna 87
Il Sessantotto in Italia, Pietro Clemente 99
Il Sessantotto in Germania Ovest, Martin Klimke 117
Le problematiche ripercussioni intellettuali del Sessantotto, Luisa Passerini 131
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna.
Nel mondo del dissenso russo, Sergio Rapetti 145
IDEOLOGIE E CORRENTI RIVOLUZIONARIE
Socialisme ou Barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit,
Daniel Blanchard 171
LInternazionale situazionista, Gianfranco Marelli 187
Loperaismo italiano, Sergio Bologna 205
Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989)
VIII
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano,
Cristina Corradi 223
La British New Left e lumanesimo socialista, Michele De Gregorio 249
Comunismo e femminismo, Gian Andrea Franchi 275
MARXISMO E RIVOLUZIONE
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo, Vincenza Petyx 295
Il socialismo tra etica e scienza: la marxologia di Maximilien Rubel,
Gianfranco Ragona 317
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo, Fabio Raimondi 329
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista, Franoise Gollain 347
Lutopia di Lelio Basso, Giancarlo Monina e Chiara Giorgi 363
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta,
Pino Ferraris 381
Danilo Montaldi. Tempo di militanti, Gianfranco Fiameni 403
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo
e mondo popolare e proletario, Cesare Bermani 423
Hans-Jrgen Krahl: contestazione e rivoluzione, Massimiliano Tomba 445
Rudolf Bahro: la coscienza come forza materiale, Peter Kammerer 455
TEORIE CRITICHE
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ,
Alessandro Bellan 471
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders
al totalitarismo morbido, Massimo Cappitti 491
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse,
Marco Maurizi 513
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ,
Stanley Aronowitz 531
Castoriadis: un profilo politico-filosofico, Fabio Ciaramelli 551
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord,
Mario Pezzella 569
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault,
Mauro Bertani 589
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica, Daniele Balicco 613
Sebastiano Timpanaro: sul materialismo, Sergio Landucci 629

Indice
IX
ALTERNATIVE
Hannah Arendt e il problema di Marx, Eugenia Lamedica 643
Albert Camus: dalla rivolta alla rivoluzione, Samantha Novello 665
La fine del mondo di Ernesto De Martino: scenari di unapocalisse
di fine millennio, Placido Cherchi 677
Unarcheologia del potere: lantropologia politica di Pierre Clastres,
Delfo Cecchi 691
La rivoluzione immanente. Politiche di Gilles Deleuze e Flix Guattari,
Paolo Godani 703
Jan Patocka e leresia della storia, Vincenzo Costa 715
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci, Franco Toscani 733
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul, Patrick Troude-Chastenet 755
Il pensiero di Ivan Illich tra patogenesi della modernit e possibili
vie di fuga, Giorgio Barberis 771
Indice dei nomi 787
Gli autori 000
XI
PRESENTAZIONE
La rappresentazione prevalente del Novecento appiattisce e condensa tutti gli eventi
del secolo in un processo al contempo catastrofico e liberatorio sfociante nel crollo del
1989. Secondo tale narrazione lEuropa novecentesca stata lepicentro principale e il
teatro della guerra mondiale che, scoppiata come conflitto militare per decidere a quale
potenza statale spettasse il dominio sul mondo, per effetto della rivoluzione russo-bol-
scevica si trasformata e prolungata in guerra civile mondiale tra capitalismo e comuni-
smo, tra due sistemi opposti, sul piano politico, economico, ideologico. La lotta mortale
tra i due contendenti sfociata in una sconfitta certa e apparentemente definitiva, quel-
la del comunismo, a cui ha fatto da contraltare la vittoria del capitalismo.
I critici, talvolta eredi dei comunisti eretici, sostengono che le attese miracolistiche
nel mercato autoregolantesi e nellinnovazione tecnologica non fanno che riprodurre e
alimentare le cause della crisi, consegnando inerme lumanit futura alle sue conseguen-
ze. Secondo i suoi attuali avversari, la vittoria del capitalismo sarebbe stata allora tanto
indiscutibile quanto insostenibile: il capitalismo ancor meno del comunismo o di qual-
siasi forma di socialismo in grado di affrontare e risolvere linedita crisi ecologica glo-
bale, frutto avvelenato e eredit ingestibile del secolo breve.
La vittoria senza argini del capitalismo sembra riprodurre e rinnovare le motivazio-
ni pratiche e ideali che hanno alimentato il comunismo novecentesco, e al di l di esso
molti altri movimenti e posizioni politiche e ideologiche. La storia non finita: la demo-
crazia lungi dal generalizzarsi si svuota di contenuto anche nei paesi che lhanno tenuta
a battesimo, le enormi disuguaglianze economiche cambiano forma ma non diminuisco-
no, lesibizione della ricchezza e le tragedie della fame convivono nello spettacolo quo-
tidiano inscenato dai media, la criminalit e lillegalit avanzano di slancio in un paesag-
gio sociale desolato, ecc.
Ma il dubbio sulleffettivo carattere della vittoria capitalista va esteso allessenza
della sfida che si era combattuta, e in particolare alla rappresentazione dicotomica da
cui siamo partiti. Quello schema non forse il portato di una concezione, ad un tem-
po leniniana e schmittiana, secondo cui il politico e la Storia tout court sarebbero lesi-
Pier Paolo Poggio
XII
to di un conflitto polarizzato e irriducibile? La rappresentazione retrospettiva non
forse convergente con lideologia dei due attori principali? La parabola comunista rus-
so-sovietica, che ora ci appare lontana, marginale e quasi ininfluente, stata realmen-
te e a lungo egemone e determinante. Nondimeno, quello che si intende qui far vale-
re che essa, assieme al suo contraltare logico e storico, oscura e cancella tutto ci che
non pu essere irreggimentato nei due campi contrapposti, operando una semplifica-
zione inaccettabile sul piano storico, oltre che discutibile e contendibile su quello po-
litico-ideologico.
Una delle idee di fondo dellopera in cui inserito il volume qui presentato che lo
schema bellico amico-nemico, la guerra come motore ultimo della storia, rappresentano
precisamente il lascito culturale della modernit, sia statuale che rivoluzionaria un la-
scito da contrastare e superare, facendo valere gli esiti universalistici ideali e pratici del
bistrattato Novecento o, se si vuole, dellAltronovecento che ci prefiggiamo di far rie-
mergere.
Nello specifico, in questo volume si analizzeranno il tempo e lo spazio europeo de-
gli esiti della Seconda guerra mondiale, su cui era terminato il 1 volume. Ci significa
giocoforza considerare gli effetti della scomposizione dello schema bipolare dovuto alla
presenza della terza forza fascista nel cuore dellEuropa e alla paradossale, risolutiva, al-
leanza dei due nemici epocali contro tale terzo incomodo.
Innumerevoli sono stati gli sforzi degli ideologi delluna e dellaltra parte, prima e
dopo i fatti, volti ad affiliare fascismo e nazismo al proprio nemico: da una parte, descri-
vendolo come manifestazione ultima del capitalismo, caduti gli orpelli liberal-democra-
tici nel fuoco della guerra di classe; dallaltra, e pi massicciamente, facendone unarti-
colazione del totalitarismo, espressosi prima e pi compiutamente in forma comunista
cosiddetta sovietica. Ma di fronte alla dura realt dei fatti queste costruzioni lasciano il
tempo che trovano: in concreto la guerra vide schierarsi sullo stesso fronte la democra-
zia capitalistica occidentale e lURSS di Stalin contro gli Stati fascisti a guida nazista. Ri-
spetto agli schemi, il treno della storia compie uno scarto.
A dire il vero, durante i fatti la tesi maggioritaria fu che la storia fosse rientrata nei
giusti binari, con la ricomposizione di una alleanza in cui fossero presenti tutte le for-
ze del progresso in lotta contro quelle della reazione. In ogni caso questo fu il leit-motiv
della propaganda stalinista e delle forze intellettuali schierate a fianco dellURSS, supera-
to lo choc del patto Molotov-Ribbentrop.
Ma appena terminata la guerra Churchill proclama ci che Stalin pensava da sem-
pre, vale a dire che lalleanza era transitoria e contronatura, rispetto ad unostilit fon-
damentale che alimenter la Guerra fredda e molteplici sanguinosi conflitti locali . In
tal modo lo schema bipolare torna a governare le sorti del mondo, o almeno dellEuro-
pa, togliendo spazio e ossigeno a coloro che, senza alcuna nostalgia per una qualche ter-
za via fascista, sono critici dello stalinismo non meno che del capitalismo.
Si tratta di posizioni che nello spazio europeo presentano un sicuro interesse sul pia-
no intellettuale ma non hanno agibilit sociale. Prima, la Guerra mondiale in atto impo-
ne di schierarsi o di rinunciare completamente allazione politica, dato che le posizioni
neutraliste e pacifiste sono ancor pi screditate che nel corso della Prima guerra mon-
diale. Dopo, la Guerra fredda e lequilibrio del Terrore hanno come effetto se non come
obiettivo di congelare allinterno dei rispettivi campi i singoli e gli attori collettivi, in un
Presentazione
XIII
contesto che vede lEuropa spaccata a met, senza alcuna autonomia e forza politica,
ostaggio delle due superpotenze atomiche.
La situazione pare essere completamente bloccata, senza spazi di libert dazione e
di pensiero. In questo quadro ancor pi difficile di quanto lo fosse negli anni Tren-
ta costruire unalternativa ideale e pratica allesistente, dominato da una semplificazio-
ne dicotomica della realt che imprigiona le menti e riduce brillanti intellettuali al ran-
go di propagandisti.
In questa situazione tanto pi interessante far emergere e dare voce alle forze intel-
lettuali e sociali che hanno saputo riaprire i giochi, sviluppare una critica efficace e libe-
ra sia del capitalismo a netta egemonia americana che del comunismo staliniano e post-
staliniano.
Come gi nel 1 volume, laccento viene posto sullapporto di singoli e di correnti
politico-ideologiche, ma sullo sfondo sono da tenere presenti, e direttamente o indiret-
tamente ne diamo conto, i movimenti sociali e le lotte che nelle due met dellEuropa,
soprattutto dagli anni Cinquanta in poi, hanno riaperto una dinamica conflittuale allin-
terno dei blocchi dominanti, riuscendo a minarne legemonia, senza per questo dimen-
ticare che le novit e rotture decisive stavano maturando sulla scena extraeuropea, dove
dopo secoli si sviluppa una grande ondata di contestazione al dominio dellOccidente.
Il marxismo ossificato in versione sovietica non d segni di vita, anche se bisogna di-
stinguere tra lURSS dove per comprensibili motivi il rinnovamento avviene fuori e contro
il diamat e i paesi europei entrati nellorbita sovietica. Qui, partendo dal marxismo,
si sviluppano traiettorie diverse ma di indubbio interesse, bastino due nomi, tra quelli
che per varie ragioni abbiamo dovuto sacrificare: Karel Kosk e Leszek Kolakowski, ma
fermenti interessanti, poi del tutto oscurati, sono riscontrabili un po in tutti i paesi del
Centro ed Est Europa, talvolta in connessione con ribellioni e rivolte sociali che denota-
no un evidente deficit di legittimit del socialismo reale.
Una rivitalizzazione del marxismo si sviluppa con pi forza nei principali pae-
si dellOccidente, con posizioni diversificate per quanto riguarda lanalisi e il giudizio
sullUnione sovietica, che comporta il difficile e poco riuscito esercizio di applicare il
marxismo a se stesso.
Il caso italiano particolarmente interessante perch, nel dopoguerra, siamo in pre-
senza del pi grande partito comunista dellOccidente, con oltre 2,5 milioni di iscritti.
Sotto labile regia di Togliatti si dispiega loperazione di utilizzo e di nazionalizzazione
del pensiero di Gramsci, riuscendo a costruire unegemonia culturale di corto respiro,
gi in difficolt di fronte ai processi di modernizzazione intrecciati al miracolo econo-
mico nonch sostanzialmente acritica rispetto allURSS, anche dopo la crisi del 56. Le
potenzialit del pensiero di Gramsci, in una dimensione decisamente post-nazionale, sa-
ranno riscoperte in un contesto totalmente mutato, quando non esistono pi i referenti
politici della sua elaborazione.
Ma in contrasto e polemica con il gramscismo, specie negli anni Cinquanta e Sessan-
ta, emergono pensatori politici o vere e proprie correnti di pensiero in grado di elabo-
rare versioni creative e originali del marxismo, accentuandone i tratti rivoluzionari sia
in chiave leninista e operaista sia riproponendo il tema della democrazia diretta, ovve-
ro scavando nella profondit storico-antropologica di un mondo popolare e proletario,
colto nel pieno di una mutazione culturale carica di contraddizioni e conflitti, intrave-
Pier Paolo Poggio
XIV
dendo la possibilit di spezzare un destino di subalternit mascherato dallemancipazio-
ne dei costumi e dei consumi.
Anche in altri paesi gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta si rivelano un poten-
te laboratorio di idee, spesso lontano dalla scena politico-culturale ufficiale. Un caso ri-
levante e singolare stato quello inglese, dove il Partito comunista era poca cosa (come
anche le varianti critiche) ma dove studiosi di orientamento marxista, specie tra gli eco-
nomisti e gli storici, raggiunsero posizioni di grande prestigio, si pensi a Maurice Dobb e
Eric J. Hobsbawm: intellettuali influenti ma alquanto ortodossi sul piano politico quindi
tenaci difensori dellURSS. Per anche in Gran Bretagna, sia attraverso il recupero di tra-
dizioni socialiste ottocentesche sia per laffermarsi di esperienze di base (rank and file)
sia per linflusso del radicalismo pacifista di Bertrand Russel prese forma una nuova si-
nistra originale e in anticipo sui tempi, contestatrice dellordine borghese e fieramente
antistalinista.
Tra guerra e dopoguerra la teoria critica di matrice tedesca, identificata con la
Scuola di Francoforte, d il meglio di s, contribuendo in modo decisivo alla ripre-
sa dellanalisi diagnostica del capitalismo, fuoriuscendo dalle secche delleconomicismo
marxista e concentrando lattenzione sugli esiti ultimi della modernit, rintracciando le-
gami e complicit tra apocalisse nazista, consumismo, civilt della tecnica. Non si pu
dire che il pensiero critico, negli anni della Guerra fredda, si sia concentrato sul comu-
nismo sovietico e abbia fornito contributi memorabili in tal senso (Soviet marxism non
certo lopera pi significativa di Marcuse). Il distacco, che talora sfiora lindifferenza,
non sembra avere motivazioni politiche ma teoriche nel senso che i paesi della rivoluzio-
ne dOttobre, perduta da tempo la spinta espansiva, appaiono delle varianti inferiori di
uno stesso sistema di dimensioni planetarie. Diversa la posizione e la sensibilit politi-
ca della Arendt, che cerca di tenere uniti in un unico nodo problematico il capitalismo
imperialistico e la duplice faccia di destra e di sinistra del totalitarismo.
Si pu dire che solo in Francia, sia presso figure e correnti (anche volutamente) mi-
noritarie e appartate, ovvero da parte di personaggi celebri, come nel caso di Sartre, ma
lo stesso vale per Merleau-Ponty, la riflessione teorico-filosofica abbia assunto il comu-
nismo come tema di importanza fondamentale. I contributi presenti nel volume danno
conto di questa centralit e delle molte e irrisolte aporie, ereditate e solo apparentemen-
te scavalcate dal movimento del Sessantotto.
In ogni caso nessunaltra elaborazione teorica e prassi politica, soprattutto nel conte-
sto europeo, ha anticipato la contestazione giovanile, studentesco-operaia, quanto So-
cialisme ou Barbarie o lInternazionale situazionista. Unidentificazione cos forte da
bruciare e consumare queste esperienze nel giro di quei mesi e anni, o in anticipo su di
essi, come nel caso di Socialisme ou Barbarie, con il rischio di entrare in una dimen-
sione mitica e memoriale improduttiva, oltre che in bala delle oscillanti e antitetiche
rappresentazioni del Sessantotto.
Negli ultimi anni gli attacchi a tutto quello che pu essere ricondotto a questa data-
simbolo, spesso indifferenti ed estranei alla storiografia sullargomento, si sono fatti pi
insistenti e quasi generalizzati. La realt attuale appare ad un numero crescente di per-
sone insoddisfacente se non intollerabile, bisogna allora cercare la causa se non il capro
espiatorio responsabile di questa sorta di quieto disastro insediatosi nelle pieghe della
Presentazione
XV
societ e poi man mano in ambiti pi vasti, sino a coinvolgere le lites, che non solo si ri-
bellano ma additano un nemico da colpire: lo spirito del Sessantotto.
Le accuse eccessive nei confronti di un evento a cui, per altri versi, non si attribui-
sce alcuna consistenza e profondit sono la spia di unevidente difficolt nel prendere
le misure al nemico che si vorrebbe sconfiggere e distruggere. Per alcuni il Sessantot-
to non altro che una metamorfosi del comunismo, presentatosi in vesti carnevalesche
per nascondere la sua natura intimamente nichilistica, manichea e regressiva, poi venu-
ta alla luce con il terrorismo. Agli antipodi abbiamo coloro che imputano al Sessantotto
di aver svolto unazione dissolutrice nei confronti della tradizione comunista, esaltando
la spontaneit e limmediatismo, spingendo le masse a cercare soddisfazione e ad inve-
stire energie nei consumi, inaugurando una nuova stagione del capitalismo, allinsegna
dellindividualismo e narcisismo.
Senza avventurarsi in complesse tipologie, si pu dire che, come per il comunismo
novecentesco, le interpretazioni del Sessantotto, al di l dei giudizi di valore, si possono
raggruppare in due vasti schieramenti. Ci sono coloro che scorgono una piena continui-
t tra le premesse ideali, gli eventi e le conseguenze storiche. Tali letture lineari, anche di
segno opposto, si mantengono alla superficie e hanno come effetto o scopo la banalizza-
zione del Sessantotto. Pi stimolanti sono le interpretazioni che introducono variamen-
te il tema della eterogenesi dei fini, per cui gli effetti sono stati in tutto o in parte diver-
si e opposti rispetto alle intenzioni.
Senza entrare in questa sede in tale tipo di dibattiti e rimandando alla ricchezza dei
materiali presenti nella prima sezione della presente opera, oltre che in numerosi contri-
buti che affrontano il tema attraverso singole esperienze e orientamenti ideali, segnaliamo
un paio di questioni che hanno diretta attinenza con largomento generale del volume.
Innanzitutto il Sessantotto, e forse proprio lanno 1968, segna lultimo passaggio
del processo di dissoluzione del comunismo sovietico, anche se occorreranno altri ven-
ti anni prima della sua fine. Di contro il comunismo eretico sembra poter rinascere a
contatto del movimento di contestazione antisistemica generale. In ogni dove si molti-
plicano gruppi politici che si rifanno ad una qualche eresia del comunismo novecente-
sco ma anche alla pi stretta e surreale ortodossia. In realt sono fuochi di paglia desti-
nati a consumarsi rapidamente. Il comunismo eretico pu vivere solo in lotta e polemica
con quello ufficiale e statale. In caso contrario viene riassorbito o sopravvive come set-
ta religiosa astorica.
Crediamo che il ripiegamento del movimento di contestazione nellalveo delle va-
rie correnti del comunismo novecentesco costituisca un preciso segnale dei limiti e della
inadeguatezza del Sessantotto rispetto al compiersi dei suoi obiettivi. E proprio la scar-
sa comprensione e conoscenza del socialismo realmente esistente sono la spia di una de-
bolezza strutturale del movimento, dimostratosi incapace di affrontare la micidiale dis-
simmetria tra le due contestazioni.
Nei paesi comunisti le lotte, in condizioni difficilissime, avevano come obiettivo la
democrazia e la libert. In Occidente la riautentificazione del comunismo, spesso del
tutto acritica nei confronti del comunismo sovietico o di sue varianti, attivando proces-
si di identificazione con realt, come la Cina maoista, di cui non si sapeva nulla. Su un
punto cruciale luniversalismo militante del movimento del Sessantotto non regge alla
prova della storia. Tra i comportamenti e la cultura politica, la vita e lideologia si apre
Pier Paolo Poggio
XVI
uno iato che non trova ricomposizione in una sintesi superiore, a meno di appartarsi dal
mondo e abbandonare la lotta politica.
sicuramente possibile e legittimo cercare nel Sessantotto le origini pi prossime di
movimenti come il femminismo e lecologismo o le premesse dei movimenti anti o alter-
mondialisti di fine-inizio secolo. Bisogna per anche restituire il Sessantotto alla sua epo-
ca, senza apologia e demonizzazione; da questo punto di vista si pu dire che non riu sc a
superare i suoi limiti perch esso non fu solo un nuovo inizio, sia pure incerto e carico di
contraddizioni, ma soprattutto la fine di una storia, portata a esaurimento nei fatti pi che
nella coscienza, nei comportamenti e nei sentimenti pi che nella riflessione.
Nel momento decisivo la saldatura tra movimento e pensiero critico lasci il posto al
ritorno dellideologia vissuta in termini totalizzanti. Ma questa politicizzazione estrema
del movimento ne mina la forza e la credibilit, la capacit di diffondersi nella societ.
Nella divaricazione tra azione controculturale e uso delle armi si consuma lautoannul-
lamento del movimento, lasciando libero corso alle spinte restauratrici in chiave liberi-
sta e neoetnica.
Il comunismo eretico trova nel Sessantotto il palcoscenico su cui inscenare unulti-
ma rappresentazione, emergendo per un breve momento alla luce del sole, ma per il le-
game ferreo con la sua la sua matrice primonovecentesca non fornisce apporti significa-
tivi allelaborazione di una teoria che sia di supporto nel passaggio dallo stato nascente
alla maturit e al radicamento delle trasformazioni indotte dal movimento. Lo stesso si
pu dire, sia pure sommariamente, per le altre correnti storiche del movimento operaio,
da quelle socialiste a quelle anarchiche.
Il pensiero critico aveva alimentato e per certi versi anticipato il Sessantotto, da in-
tendersi qui in una accezione ampia che va al di l dellevento e copre un breve ciclo
storico. Eppure anche in questo caso il movimento, nonostante la sua sorprendente am-
piezza, non si pu dire che abbia alimentato un rinnovamento radicale della teoria po-
litica. Quel che avviene una sorta di neutralizzazione accademica del pensiero critico,
di cui beneficia in primo luogo il marxismo, specie nel caso italiano, con esiti modesti
non destinati a passare alla storia. Emergono piuttosto figure dotate di grande energia
che attraversano ambiti ed istituzioni diverse, in una dimensione pienamente internazio-
nale, saldando laudacia teorica allimpegno militante, come nel caso di Michael Fou-
cault e di Ivan Illich.
Si pu ipotizzare che limpasse in cui finito il Sessantotto, e che ancora grava sui
movimenti antisistemici che di l derivano, anche quando hanno pi lontane origini, di-
penda dallenorme dilatazione dello spazio della politica, rispetto alle societ tradizio-
nali, che ha reso quasi immediatamente manifesta una sproporzione incolmabile tra gli
obiettivi e i risultati, da cui il rifugio nella privatizzazione se non nella servit volonta-
ria. Venuta meno lazione permanente del movimento, la democrazia diventa ostaggio
di forze che governano la paura e limpotenza e si riduce a vuoti rituali, che non modi-
ficano la riproduzione dellesistente. Al contrario il movimento di contestazione e quel-
li che ne sono seguiti, minoritari ma non privi di seguito e di influenza, miravano ad una
sorta di democrazia assoluta.
Le difficolt di una costante mobilitazione democratica, utopistica ma tuttaltro che
priva di motivazioni e forza, appaiono evidenti se si prendono in considerazione i due
movimenti che dopo il Sessantotto si sono diffusi nei pi diversi contesti, senza pi ave-
Presentazione
XVII
re come avveniva in passato un centro principale di irradiamento, superando per la loro
stessa natura i confini nazionali e statali, al cui interno ha finito per ridursi il movimento
dei lavoratori nonostante le sue origini programmaticamente internazionaliste.
Il movimento femminista, centrando lattenzione sulla dimensione antropologica, di
genere, sulla differenza sessuale, la singolarit, i sentimenti, le passioni, il corpo, ha ra-
dicalizzato il discorso critico ed analitico, rompendo con le tradizioni emancipazioni-
stiche ed egualitaristiche, ma tutto ci nei fatti ha prodotto un indebolimento della sua
forza e incisivit, se non la scelta esplicita di abbandonare la politica, irrimediabilmen-
te perduta.
Lecologismo, per parte sua, attraversato da contraddizioni irrisolte che derivano
dalla sua collocazione al di l della destra e della sinistra, quindi al di fuori delle coor-
dinate di fondo della politica otto-novecentesca. Ma la sua maggiore difficolt discende
dal rapporto con la modernit e la tecnica. Se da un lato non pu aderire alle posizioni
tecnofile e scientiste, tuttora egemoni nelle culture politiche di sinistra, dallaltro lace-
rato tra opzioni incomponibili. Da un lato, pur in una gamma differenziata, dalla deep
ecology al neo-primitivismo a posizioni molto pi moderate, ci sono coloro che propu-
gnano un freno immediato e uninversione di marcia allo sviluppo palesemente insoste-
nibile. Dallaltro, in nome dello sviluppo sostenibile, preso sul serio e reso possibile da
un diverso uso della scienza e della tecnica, si schierano coloro che scommettono sulla
capacit degli uomini di riportare sotto il loro controllo la tecnica e il capitalismo, facen-
do leva sulla presa di coscienza indotta dal manifestarsi della crisi ecologica. Un dibat-
tito interessante ma che rischia di arrivare in ritardo rispetto a diverse e pi impellenti
scadenze sociali e politiche.
Con il che abbiamo superato i limiti cronologici e tematici di questo volume, che ci
auguriamo possa fornire materiali utili per approfondire le questioni qui appena evoca-
te, riannodando le fila di percorsi che forse pi di altri hanno qualcosa da dire al tempo
presente e al futuro imprevedibile che ci attende.
PIER PAOLO POGGIO
Sezione prima
LOTTE POLITICHE
E CONFLITTI SOCIALI
3
CRISI E FINE DEL COMUNISMO SOVIETICO
Pier Paolo Poggio
Lapogeo dello stalinismo
La guerra aveva causato alla popolazione sovietica perdite spaventose in vite umane,
con oltre venti milioni di morti, a cui si aggiungevano le distruzioni materiali e spiritua-
li. Sommate a quelle derivanti dagli eventi degli anni Trenta, in particolare la colletti-
vizzazione forzata, si capisce perch la societ nel suo complesso manifestasse un atteg-
giamento di acquiescenza verso il regime nonostante il perpetuarsi di condizioni di vita
durissime. Su tutto prevaleva la ricerca della tranquillit e la speranza in un periodo di
tregua, di allentamento della repressione.
Ma non erano solo queste le basi su cui si reggevano Stalin e il suo sistema di potere.
La guerra svolse anche un ruolo formidabile di rilegittimazione del comunismo sovieti-
co, una vera e propria rifondazione, conforme alla natura che aveva assunto, ma con lef-
fetto di riproiettarlo sulla scena mondiale, anche al di l delle mire immediate di Stalin.
Questi di sicuro voleva fare dellURSS una superpotenza in grado di vincere la lotta per la
supremazia mondiale, utilizzando tutti gli appoggi esterni possibili, per cui i movimenti
rivoluzionari, anticoloniali e antimperialistici erano visti come fattori in grado di accre-
scere la potenza dello Stato sovietico, centro egemonico unico della rivoluzione a cui su-
bordinare e sacrificare ogni altra istanza.
La vittoria nella guerra al nazifascismo legittimava tale pretesa: Stalin incarnava il
comunismo e ogni critica finiva oscurata dal fulgore del mito. Dopo la vittoria il dit-
tatore sovietico era esaltato da tutti i leader politici occidentali, dallintero movimen-
to operaio, dai movimenti di liberazione nazionale dei paesi extraeuropei allavvio
dellepopea della decolonizzazione. Nella stessa Unione Sovietica, soprattutto in Rus-
sia, Stalin viene visto come lartefice della vittoria, colui che riuscito a respingere
unaggressione senza precedenti, volta a distruggere e schiavizzare i popoli slavi. Alla
paura si mescola lammirazione e non manca, in un primo momento, la speranza che
si possa aprire una nuova fase, che il dittatore rinsaldato nel suo potere potesse rinun-
ciare al terrore.
Pier Paolo Poggio
4
Lottica con cui si guarda a Stalin (e attraverso di lui allURSS) in Occidente diversa,
se non rovesciata, rispetto alla prospettiva in cui si pongono i sovietici. Per gli occiden-
tali, in primo luogo per gli ambienti intellettuali progressisti (con poche eccezioni), Sta-
lin rappresenta il comunismo finalmente vittorioso. Essi vedono nellURSS con speranza
(o timore) il centro propulsivo della rivoluzione mondiale, il luogo dove si sono realizza-
te le aspettative del proletariato, mettendo in pratica le teorie di Marx
1
.
Anche per i sovietici Stalin, sulle orme di Lenin, linterprete autentico del mar-
xismo, ridotto alla scolastica obbligata del diamat, ma il suo vero merito consisti-
to nella nazionalizzazione dellideologia, attraverso la creazione di una nazione inedita,
nella capacit di fare dellURSS una potenza statale mondiale, dando vita ad una realt,
il mondo sovietico, appunto, frutto dellibridazione tra la tradizione russa e lideologia
marxista.
Nel clima della Guerra fredda gli ideologi dellanticomunismo, spesso con trascorsi
di sinistra in particolare trockista, hanno dipinto lURSS stalinista come il centro della ri-
voluzione in espansione, una potenza pericolosa per la sua spinta ad allargare la rivolu-
zione in ogni dove, soprattutto verso lOccidente, facendo leva sulle quinte colonne in-
terne. Tale visione stata fatta propria da una parte della storiografia che ha finito col
fare di Stalin lincarnazione del vero capo rivoluzionario, non tanto un despota o uno
statista, sia pure sanguinario, ma lautentico esecutore testamentario di Lenin e in defi-
nitiva di Marx. una rappresentazione, non importa se polemica o apologetica, che non
trova riscontro nei fatti. Stalin intendeva sicuramente esercitare un controllo monopo-
listico sul movimento comunista internazionale, pur non riuscendoci, ma aveva di mira
non la rivoluzione mondiale, il sogno svanito di Trockij, bens la crescita della potenza
politico-militare dellURSS, a cui ogni altra istanza doveva essere subordinata.
Non a caso su questa base promosse il patto Molotov-Ribbentrop e le sue mire si in-
dirizzarono verso lEuropa centro-orientale, nellottica di un ampliamento territoriale di
tipo zarista pi che sovietico-rivoluzionario. Il risultato fu che lURSS inglob e sottomi-
se, nella forma degli Stati satelliti, una serie di Paesi e popolazioni che si rivelarono da
subito, e poi per tutti i decenni successivi, sommamente ostili a Mosca e decisivi nel crol-
lo del sistema sovietico.
Daltro canto Stalin non colse le potenzialit dei moti di liberazione in atto nelle co-
lonie e nemmeno la portata della rivoluzione cinese a guida maoista. Non era questo il
terreno su cui intendeva muoversi il dittatore sovietico, stratega di una lotta mortale con
la superpotenza americana da ingaggiarsi innanzitutto sul terreno della forza militare,
nella convinzione dellinevitabilit della guerra.
Per tale motivo la concezione politico-strategica con cui Stalin intendeva il confron-
to nellarena mondiale rendeva assolutamente cruciale il possesso della bomba atomica.
Non a caso venne costituito un apposito comitato per affrontare il problema numero
uno: la costruzione della bomba. Facendo leva sullottimo livello della scienza sovieti-
1
In questo clima chi osava criticare lURSS era considerato un calunniatore e traditore. Celebre e tragico il
caso di Viktor Krav/enko, ingegnere sovietico consegnatosi alle autorit americane nel 1944 e autore del libro
Ho scelto la libert (1946), sottoposto a violenti attacchi da parte della stampa comunista e progressista di
mezzo mondo.
Crisi e fine del comunismo sovietico
5
ca, e della fisica in particolare, nonch sulle capacit organizzative e la spregiudicatezza
di Berija, responsabile del comitato, i progressi atomici sovietici furono rapidissimi, dal-
la prima reazione controllata del 1946 si arriva allo scoppio riuscito della bomba atomica
nel 1949. La Guerra fredda si sarebbe ormai sviluppata sotto legida del Terrore.
La divisione in due campi contrapposti era funzionale al completo allineamento di
tutti i partiti comunisti alle direttive di Mosca, compatti nel contrastare le mosse del ne-
mico. In questa fase la politica staliniana trov il suo interprete in Andrej Zdanov, che
sotto lo stretto controllo del Capo, orchestr le campagne ideologiche interne ed esterne
contro ogni forma vera o presunta di dissidenza, pericolo, minaccia. Cos il piano di aiu-
ti americani allEuropa fu interpretato da Stalin come un attacco politico allURSS e alla
sua sfera di influenza. Come contromisura fu costituito il Cominform (1947) che ave-
va lobiettivo di creare un blocco antiamericano riconducendo le democrazie popola-
ri dellEst Europa e i partiti comunisti occidentali, in particolare il PCI e il PCF, sotto lo
stretto controllo sovietico sia sul piano politico che ideologico.
A partire dal 1947 si svilupp una politica di sovietizzazione forzata delle democra-
zie popolari, eliminando la finzione del pluralismo e arrivando rapidamente al mono-
polio politico del Partito, con la statalizzazione delleconomia e limposizione della col-
lettivizzazione delle campagne (per altro registrando notevoli insuccessi).
Lungi dallallentarsi la presa dispotica dello stalinismo si faceva ancora pi pesante
nel momento del suo apogeo e trionfo. Si pu sostenere che in tal modo si manifestas-
se la sua autentica e insuperabile natura, ma bisogna tener conto di almeno altri due ele-
menti: in primo luogo la leadership sovietica non aveva certo superato, per effetto della
vittoria, la sua paura e diffidenza verso una popolazione a cui aveva inflitto enormi sof-
ferenze; in secondo luogo la guerra aveva comportato unapertura verso lesterno e i sol-
dati sovietici erano giunti sino nel cuore dellEuropa, il che, agli occhi di Stalin, costitui-
va un potenziale pericolo da rintuzzare preventivamente. Mentre nel mondo brillava la
stella di Stalin la situazione interna era tragica e le speranze nei frutti della vittoria veni-
vano rapidamente spazzate via. La repressione si abbatteva durissima colpendo in par-
ticolare la popolazione dei territori riconquistati ai nazisti e gli ex prigionieri di guerra.
Gli anni dal 45 alla morte di Stalin vedono la massima espansione del Gulag e il tentati-
vo di farne una struttura produttiva in grado di porre rimedio ai vuoti causati dalla guer-
ra. I detenuti passano da 1,5 milioni a 2,5, a cui sono da aggiungere altrettanti coloni de-
portati forzosamente (in primo luogo tedeschi e ceceni).
Si tenga conto che un po in tutta lEuropa orientale la guerra si prolunga ben al di
l del maggio 1945. Oltre alle guerriglie antisovietiche che continuano sino ai primi anni
Cinquanta, un fenomeno saliente rappresentato dallo spostamento forzato delle popo-
lazioni. I casi pi eclatanti riguardano la Polonia e lUcraina con la deportazione di mol-
te centinaia di migliaia di persone, a seconda dei casi verso est o ovest. Si calcola poi, se-
condo stime prudenziali, che 7 milioni di tedeschi dei territori orientali sotto controllo
sovietico vengano espulsi con oltre un milione di morti. Nel frattempo, specie in Polo-
nia, continua la persecuzione degli ebrei, mentre lantisemitismo prende sempre pi pie-
de in Unione Sovietica.
La ricostruzione viene fatta puntando da un lato sullo sfruttamento del lavoro coat-
to, dallaltro sul reclutamento di una vasta massa di forza-lavoro, in fuga dalle campa-
gne, nuovamente in preda alle carestie. I contadini a milioni si spostano verso le citt for-
Pier Paolo Poggio
6
mando il nuovo proletariato urbano, da cui venivano reclutati gli operai dellindustria,
in crescita da 8 a 14 milioni tra il 45 e il 53. Stalin e il Partito, nel secondo dopoguerra,
riproponevano la loro ricetta di costruzione del socialismo in transizione verso il comu-
nismo: concentrazione massima degli sforzi e delle risorse sullindustria pesante, e in pri-
mo luogo su quella bellica, repressione generalizzata di ogni dissenso, disastro garantito
nel settore agricolo. Ancora una volta la palla al piede del sistema sovietico.
Nel 1946 scoppia una nuova carestia e la situazione diventa rapidamente drammati-
ca, con oltre un milione di morti. Il modus operandi di Stalin quello gi collaudato: re-
pressioni, nessuna concessione o aiuto alle campagne, esportazioni propagandistiche di
cereali allestero, censura sugli eventi. La crisi degli approvvigionamenti colpiva anche
le citt, ma per lo stato di prostrazione in cui versava la popolazione non ci furono pro-
teste collettive.
Lopposizione si esprimeva secondo il metodo tradizionale adottato dai lavorato-
ri sovietici, mantenendo al livello pi basso possibile la produttivit del lavoro. Que-
sta era ancora pi bassa nel vasto arcipelago del lavoro forzato, dove si diffondeva un
vero e proprio rifiuto del lavoro e non mancavano le sommosse, gli scioperi della fame,
i tentativi di fuga, ancor prima delle grandi rivolte del 1953-54. Tutto ci, almeno sino
alla scomparsa di Stalin, non intaccava il regime di doppia realt insediatosi in Unio-
ne Sovietica.
La potente, anche se farraginosa, macchina costruita dai bolscevichi era ancora pie-
namente in corsa e, nonostante tutto ci che travolgeva e schiacciava nel suo movimen-
to, sembrava, soprattutto a chi la guardava da lontano, in grado di raggiungere la meta
prefissata. La ripresa della produzione agricola (nel 1948) e la crescita del settore indu-
striale incentivarono sia lelaborazione ideologica che la promulgazione di grandi pro-
getti e programmi. Allordine del giorno veniva posto il passaggio al comunismo imper-
niato sul massimo sviluppo delleconomia sovietica che doveva rendersi autonoma dalle
economie capitalistiche e imperialistiche, estendere la statizzazione ad ogni ambito di at-
tivit, superare il capitalismo nei risultati quantitativi e come benessere della popolazio-
ne. Per raggiungere tali mete furono lanciati i cantieri del comunismo.
Uno dei pi ambiziosi di questi cantieri fu il grande programma di trasformazione della
natura, il pi vasto e costoso progetto agricolo dellera staliniana. Prevedeva la creazione di
otto enormi fasce forestali, alcune delle quali lunghe pi di mille chilometri, per proteggere
i terreni agricoli dai venti aridi del sud-est, lintroduzione della rotazione delle colture e la
creazione di innumerevoli laghi e bacini artificiali (...). Alla fine del 1949 erano stati piantati
alberi su mezzo milione di ettari, pi di quanto previsto dal piano, e spesso grazie al lavoro dei
prigionieri di guerra tedeschi, erano stati scavati numerosissimi bacini idrici. Ma nel 1951 pi
della met degli alberi piantati era gi morta, e nel 1953 il programma, che in teoria sarebbe
durato fino al 1965, fu abbandonato
2
.
Sempre al fine di superare linvincibile arretratezza delle campagne, Nikita Chru/v, a
cui era stata affidata la supervisione dellagricoltura, lanci nel 1951 un piano per supe-
2
A. Graziosi, LURSS dal trionfo al degrado. Storia dellUnione Sovietica 1945-1991, Il Mulino, Bologna 2008,
p. 85.
Crisi e fine del comunismo sovietico
7
rare la divisione tra citt e campagna, fondamentale ostacolo sulla via del comunismo,
attraverso la creazione di agrocitt, in cui concentrare la popolazione dei villaggi, tra-
sformando i contadini in cittadini dediti allagricoltura: idea tacciata da Stalin di avven-
turismo di sinistra. Chru/v si era spinto troppo oltre, entrando nel terreno minato del-
le scelte ideologiche di fondo, appannaggio esclusivo del Capo, ma la sua proposta, che
ritorner anche successivamente sino allultima fase del socialismo sovietico
3
, esprimeva
perfettamente le coordinate culturali della nomenklatura al potere.
Lapogeo della glorificazione di Stalin si ebbe nel dicembre del 1949, in occasione
della celebrazione del suo 70 compleanno, a pochi mesi di distanza dallo scoppio della
prima bomba atomica sovietica e dai riti celebrativi dellOttobre. Contemporaneamente
allo spettacolo di una santificazione che aveva echi in tutto il mondo, il clima interno era
tragico a causa della deriva psicopatica e paranoica del dittatore: antisemitismo e com-
plotti; ostilit generalizzata nei confronti dei suoi pi stretti collaboratori; diffidenza ver-
so gli ex alleati, a partire da Tito e le nuove realt emergenti, in primo luogo la Cina di
Mao; paura della guerra totale con lOccidente e convinzione della sua inevitabilit.
Il 1949 anche lanno della presa del potere del partito comunista in Cina. I comuni-
sti cinesi, dopo lesperienza fallimentare dellalleanza con il Guomindang, erano riusci-
ti a sconfiggere i nazionalisti attraverso una lunga lotta sviluppatasi principalmente nelle
campagne. La seconda, fondamentale, rivoluzione comunista del Novecento era avve-
nuta indipendentemente se non contro la politica di Stalin.
Proprio quando il comunismo sembrava poter assumere una effettiva dimensione
mondiale, superando i confini dellURSS e delle sue proiezioni esterne, si ponevano le
basi della rottura con la creazione di due poli comunisti facenti capo a due diversi Stati.
Lomogeneit dellassetto sociale non si traduceva in convergenza politica. La comune
base ideologica veniva coniugata diversamente, sino ad arrivare poi alle scomuniche re-
ciproche. Lelemento statale-nazionale prevaleva sullinternazionalismo comunista, con
la creazione di due campi di influenza e di affiliazione ideologica, ponendo fine allidea
stessa di una futura Internazionale, dopo la liquidazione della Terza e lesistenza solo vir-
tuale della Quarta Internazionale (trockista).
Il disgelo
Dopo la morte di Stalin (1953) inizia la stagione del disgelo e delle tentate riforme sino
agli esiti fissati dal XX Congresso del 1956. In un primo momento fu uno dei pi stretti
collaboratori di Stalin, Laurentij Berija, a dare una forte spinta riformistica cercando di
smantellare lelefantiaco sistema del Gulag. Il suo attivismo gli coalizz contro i vertici
del Partito che lo eliminarono politicamente e fisicamente. Loperazione costitu il tram-
polino di lancio di Chru/v, un tipico neopromosso di umili origini e nessuna istru-
zione formale, che doveva tutto alla rivoluzione plebea del 1917-18 e a quella stalinia-
na del 1928 (A. Graziosi).
3
Cfr. B. Kerblay, Du mir aux agrovilles, Institut dEtudes slaves, Paris 1985.
Pier Paolo Poggio
8
Sullo sfondo cerano le rivolte nei lager di Norilsk, Vorkuta e Karaganda, mentre a
Berlino e nella Germania dellEst si sviluppava la rivolta operaia. Nonostante la sua roz-
zezza e il carattere superficiale e primitivo di molte sue idee e convinzioni, nonch la
compromissione totale in alcune delle pagine pi nere dello stalinismo, il nuovo leader
sovietico venne visto con favore sulla scena internazionale e anche in URSS, a parte losti-
lit dellala conservatrice del Partito. Ci fu dovuto principalmente a due fattori collega-
ti tra di loro: il miglioramento generale del quadro economico, dopo i decenni stalinia-
ni di opzione costante per lindustria pesante; la scelta di Chru/v di diminuire le spese
militari, anche per effetto di una notevole revisione ideologica.
Nellagosto 1953 lURSS era riuscita a far esplodere la prima bomba a idrogeno (con
lapporto decisivo di Sacharov). Prima negli ambienti scientifici poi presso alcuni espo-
nenti politici, ad esempio in Malenkov, si afferm lidea che fosse possibile e necessario
evitare la guerra, a causa dei suoi effetti distruttivi incontrollabili. Era una rottura non
da poco, dato che la tesi dellinevitabilit della guerra e del rapporto tra guerra e rivo-
luzione costituivano dei capisaldi della teorizzazione leniniana e staliniana. In ogni caso
Chru/v si fece il portavoce di una auspicabile coesistenza pacifica, affidando la vitto-
ria sul capitalismo alla superiorit economica del socialismo pianificato, cosa di cui era
totalmente convinto.
Lazione politica pi eclatante e di maggior impatto dovuta a Chru/v fu in ogni
caso il rapporto segreto Sul culto della personalit e le sue conseguenze letto il 25 feb-
braio 1956 durante il XX Congresso del PCUS. La denuncia dei crimini di Stalin, prove-
nendo dal vertice del potere ebbe unenorme risonanza e contribu certamente a incrina-
re il prestigio dellURSS e il mito della rivoluzione, incontrando adesioni, ma anche molte
resistenze sia allinterno del Partito che in settori della societ sovietica oltre che pres-
so esponenti dei partiti comunisti in Europa e nel mondo. Al punto che Chru/v fu poi
costretto a compiere diversi passi indietro, anche se le critiche a Stalin furono da lui ri-
badite al XXII Congresso del 1961.
In effetti le denunce di Chru/v riguardanti i crimini commessi da Stalin contro i
comunisti, gli errori nella condotta della guerra e nella gestione delleconomia, non mi-
ravano affatto a colpire il sistema e nemmeno aspetti cruciali dello stalinismo quali lin-
dustrializzazione e la collettivizzazione forzata. Inoltre concentrando tutte le colpe su
Stalin e la sua peculiare personalit, il rapporto salvava il Partito e lessenza stessa del
comunismo sovietico, in cui Chru/v poneva tutta la sua fiducia. Del resto anche colo-
ro che propugnavano la necessit di far chiarezza sullintera epoca staliniana, allargan-
do lattenzione a molte altre categorie di vittime, non si spingevano in generale al di l
di un ritorno a Lenin, considerato la vera guida e il depositario intangibile della veri-
t. Si produceva in tal modo un curioso cortocircuito.
La denuncia contro Stalin si concentrava sugli effetti negativi del culto della perso-
nalit, che aveva intaccato e deviato le sue indubbie capacit a causa della illimitata con-
centrazione di potere sia pratico che ideologico nelle sue mani, facendone linterprete
infallibile della dottrina marxista-leninista, per cui una teoria, che voleva essere scienti-
fica e sommariamente impersonale, finiva con lidentificarsi con una persona, a sua vol-
ta elevata al rango di padre del popolo e scienziato di tipo nuovo. Ma lalternativa non
era meno antimarxista visto che si attribuiva a Lenin le qualit usurpate da Stalin, per
cui soltanto il primo aveva diritto di essere venerato, imbalsamato, nel mausoleo che il
Crisi e fine del comunismo sovietico
9
secondo gli aveva dedicato, ponendo le basi del culto per la personalit, ovvero la mitiz-
zazione pseudo-religiosa di individui di per s capaci di indirizzare il corso della storia,
in totale antitesi con quanto sosteneva il marxismo e pensava Marx.
Con il che non si intende affatto sminuire il significato e la portata periodizzante del
XX Congresso che, ben al di l delle intenzioni di Chru/v, ebbe conseguenze imme-
diate su tutto luniverso comunista, spezzandone la compattezza e unit, e conseguenze
di pi lungo periodo, consumatesi attraverso un lungo e tormentato percorso. Si pu in
ogni caso convenire che: questo evento, pur con tutta la sua ambiguit e strumentali-
t, ebbe un effetto decisivo, dando involontariamente lavvio a quel processo incontrol-
labile che nei decenni successivi avrebbe portato alla crisi finale del sistema comunista e
della stessa Unione Sovietica
4
.
Nel 1956 le conseguenze pi significative del XX Congresso si ebbero nei paesi satel-
liti con i sollevamenti in Polonia e soprattutto la rivolta in Ungheria, risolta con linter-
vento diretto dellArmata Rossa. Il crollo del prestigio sovietico fu irreversibile in tut-
ta lEuropa centro-orientale; la destalinizzazione che poteva tradursi nella dissoluzione
dellimpero venne fermata con la forza, mentre lappoggio accordato allEgitto nellaf-
fare del canale di Suez, rilanciava limmagine della patria del socialismo come baluardo
contro le pretese neocoloniali dei paesi capitalisti.
Ma se in Occidente e nel Terzo Mondo lURSS godeva ancora di un diffuso prestigio,
la credibilit del socialismo realizzato non aveva nessuna possibilit di ripresa nei Pae-
si satelliti. In particolare la Germania Est costituiva un incubo per la dirigenza sovieti-
ca: nonostante gli abbondanti aiuti economici lemorragia di popolazione verso lOvest
era inarrestabile; oltre due milioni di tedeschi, soprattutto giovani, avevano abbandona-
to la DDR dalla sua fondazione nel 1949. Nellestate del 1961 il flusso delle fughe arriv
a 3.000 persone al giorno, inducendo Chru/v ad accettare la proposta di Ulbricht di
costruire un muro che tagliasse in due Berlino: era lammissione aperta del fallimento, il
campo socialista sopravviveva solo come carcere a cielo aperto.
Questa era limmagine che la propaganda occidentale dava dei Paesi al di l della
cortina di ferro, il che per induceva a crederla falsa, anche perch il comunismo so-
vietico poteva vantare grandi successi che attiravano lattenzione dei media. In partico-
lare, tra il 1957 e il 1961, lURSS consegu successi spettacolari in campo aerospaziale,
riuscendo a lanciare il primo satellite artificiale al mondo e a mandare il primo uomo nel-
lo spazio. Limpatto fu enorme accreditando lURSS di una superiorit tecnico-scientifica
in realt inesistente ma considerata effettiva anche in Occidente; altra conseguenza non
meno importante fu il rinnovato oscuramento dei perduranti e gravi problemi sociali ed
economici che attanagliavano il Paese.
La convinzione comune era per ben diversa e Chru/v era in prima fila nel procla-
mare limminenza del sorpasso sugli Stati Uniti
5
. Proprio in ragione di tali risultati dati
4
V. Strada, Lutopia comunista come problema storico, Lettera internazionale, n. 78, 2003, p. 9.
5
Il programma del Partito, approvato nellottobre 1961, recitava: Nel prossimo decennio 1961-71, lUnio-
ne Sovietica nel creare la base tecnico-materiale del comunismo, superer nella produzione pro capite il pi
forte e ricco paese capitalistico, gli Stati Uniti (...). Tutti i colcos e sovcos si trasformeranno in aziende alta-
mente produttive e altamente redditizie; (...) scomparir il lavoro fisico pesante: lURSS diverr il paese con la
giornata lavorativa pi corta (...). La presente generazione del popolo sovietico vivr nel comunismo.
Pier Paolo Poggio
10
per acquisiti o imminenti venne avviato un percorso di revisione ideologica di grande ri-
lievo anche se in una sfera fantasmatica e immaginaria. Bisognava prendere atto che la
fase della dittatura del proletariato si era compiuta e che il passaggio al comunismo si
sarebbe realizzato non pi su basi classiste ma con il coinvolgimento dellintero popolo
sovietico. Il che significava porre allordine del giorno il processo di superamento delle
nazionalit e lo sviluppo di ununica lingua. Senza spingersi a questi estremi, Chru/v
al XXII congresso proclam apertamente listituzione dellob/enarodnoe gosudarstvo (lo
Stato di tutto il popolo) e implicitamente la fine della lotta di classe. Anche le relazio-
ni tra le diverse nazionalit sovietiche dovevano svilupparsi seguendo un percorso pro-
gressivo in direzione della formazione di un unico popolo sovietico. Lintera costruzio-
ne poggiava per sulla promessa di un effettivo e consistente incremento del tenore di
vita della popolazione, cosa che si scontrava con la perdurante penuria di generi di pri-
ma necessit a partire da quelli alimentari.
Lo iato tra le altisonanti promesse e la realt accentu ulteriormente il malcontento
sino a sfociare in vere e proprie rivolte, la pi grave delle quali si ebbe a Novo/erkassk
(1962), oltre tutto ad opera della locale classe operaia. Lintervento dellesercito provo-
c una strage, a cui fece seguito una durissima repressione con lerogazione di condanne
a morte e lunghe pene detentive. I manifestanti furono presentati, dallo stesso Chru/v,
come elementi antisociali, criminali e fannulloni. Il che nelle coordinate ideologiche vi-
genti era inevitabile essendo inconcepibile che degli operai protestassero violentemente
contro il loro stesso Stato e Partito. A latere si pu aggiungere che, in base a tale schema
mentale, oppositori e dissidenti finivano in manicomio: solo dei matti potevano rifiuta-
re il migliore tra i sistemi sociali possibili.
La baldanza di Chru/v, che lo indusse a clamorosi errori sia in politica interna che
estera, derivava da alcuni fattori oggettivi, da lui sopravvalutati per motivi ideologici.
Sul fronte interno leconomia sovietica, dopo decenni di difficolt e disastri, stava cono-
scendo una fase di effettiva espansione. Nel teatro internazionale, attraverso i movimen-
ti di liberazione anticoloniale, si era affacciato un terzo attore che sembrava propendere
molto di pi per il campo socialista, rafforzandolo enormemente, che non per quello ca-
pitalistico-occidentale, contro cui stava lottando. Daltro canto la linea della coesistenza
pacifica trovava ascolto nellopinione pubblica progressista, mentre a livello politico-so-
ciologico prendevano piede le teorizzazioni sulla tendenziale convergenza tra i sistemi,
con la prospettiva di un definitivo superamento della Guerra fredda.
In questo clima ottimistico, nellottobre 1962, si giunse improvvisamente ad un pas-
so dalla guerra atomica, a causa della partita a scacchi inscenata da Chru/v con lin-
stallazione dei missili sovietici a Cuba, motivata dalla difesa dellindipendenza dellisola
dagli attacchi statunitensi, in realt rispondente alla logica del mantenimento del duo-
polio mondiale della potenza.
Cosa niente affatto gradita alla Cina con cui, sempre allepoca di Chru/v, si consu-
m una rottura di cui, al momento, da pochi fu colta la portata e il significato. Una rottu-
ra tanto pi sconcertante e apparentemente incomprensibile se si considera che la poli-
tica cinese si ispirava allo stesso credo ideologico e operava scelte non dissimili da quelle
sovietiche, specie staliniane. Il che rendeva irritante, se non avventuristica, agli occhi di
Mao e degli altri leader cinesi, la principale operazione politica compiuta da Chru/v,
vale a dire la messa sotto accusa di Stalin.
Crisi e fine del comunismo sovietico
11
Lobiettivo di Chru/v di ridare vitalit al sistema sovietico liberandolo dal peso
rappresentato dalleredit di Stalin era privo di interesse per i cinesi che considerava-
no lURSS e Stalin consustanziali, inseparabili luna dallaltro. La rottura era ad un tempo
politico-ideologica e strategica. Mao non era disposto a rinunciare al metodo staliniano
della radicalizzazione della lotta contro i nemici di turno per far procedere la rivoluzio-
ne. Daltro canto la Cina era ancor meno disposta che in passato a riconoscere una qual-
che egemonia o ruolo di guida allURSS. Le concause della rottura furono molteplici, e di
lunga data, in ogni caso la questione di maggior rilievo ideologico e strategico concerne-
va il rifiuto maoista della politica della coesistenza pacifica, a cui veniva contrapposta la
classica tesi leniniana sulla guerra quale esito inevitabile dellimperialismo.
Per parte sua Chru/v era costretto ad imbucare la strada del revisionismo e del di-
sgelo, lunica che gli restava, dopo i decenni di guerra del potere contro il proprio po-
polo, per cercare di conquistare in breve tempo quei miglioramenti del tenore di vita,
indispensabili per riottenere il consenso popolare e mantenere fede alle promesse che le-
gittimavano il sistema avente nella rivoluzione dOttobre latto fondativo.
Dopo Stalin la questione dei consumi individuali e famigliari rappresentava il prin-
cipale punto debole del socialismo reale e ci non solo per loggettivo squilibrio con
i Paesi di punta dellOccidente, che non poteva essere compensato da garanzie e servizi
sociali universalistici (almeno in linea di principio). A causa della concentrazione asso-
luta delle aspettative sul lato materialistico dellesistenza, il soddisfacimento dei bisogni
doveva trovare un riscontro tangibile nel consumo di beni materiali. Il differimento di
tale aspettativa non poteva andare al di l della soglia della guerra, e siccome la Guerra
fredda veniva combattuta principalmente sul piano economico, comprensivo della pro-
duzione bellica, la questione si riproponeva intatta e aggravata. N i cittadini sovietici,
che sapevano dei consumi speciali riservati alla nomenklatura, potevano essere messi del
tutto al riparo dalle lusinghe e dal confronto con lOccidente. La cortina di ferro era
efficace ma insufficiente; del resto i soldati dellArmata rossa avevano potuto constatare,
nonostante le distruzioni belliche, che il tenore di vita in Germania e altrove era molto
pi alto che in URSS. Non cerano soluzioni possibili, tanto pi che lesperienza non era
quella di consumi bassi ma in crescita, bens di una cronica penuria di beni, che alimen-
tava leconomia in nero e forme varie di illegalit. Nel settore primario lesistenza di
due economie, quella statale e quella privata, rappresentava un dato strutturale e costi-
tuiva il riconoscimento ufficiale del fallimento del socialismo nelle campagne: la fornitu-
ra di derrate alimentari indispensabili era demandata a trenta milioni di piccole aziende
contadine. Ma la seconda economia (K.S. Karol) si estendeva a tutta una serie di altri
ambiti: cominci cos a prendere forma un sistema che legava la corruzione delle strut-
ture pubbliche a quella dei comportamenti della popolazione (...), il sistema di produ-
zione statale a quello privato, quello legale a quello extralegale o illegale
6
.
Chru/v, anche per la sua storia personale, non aveva alcuna possibilit di rompere
veramente con lo stalinismo. Per altri versi il suo tentativo di riformare il comunismo so-
vietico anticipa quello di Gorba/v. In fondo si tratt di un intermezzo tra lera di Stalin
e quella di Brenev. Il primo massacrava tranquillamente il suo popolo al fine di costrui-
6
A. Graziosi, op. cit., p. 374.
Pier Paolo Poggio
12
re il socialismo, per come lo poteva intendere un bolscevico ad un tempo dogmatico e
pragmatico. Il secondo si prefiggeva solo di conservare, ibernandola, la costruzione le-
niniano-staliniana. Chru/v, del tutto velleitariamente in ci simile a Gorba/v in-
tendeva rimettere in moto le masse, stremate dai decenni dello stalinismo, di vitalizza-
re dallalto la societ al fine di dare slancio alleconomia. Egli stato cos linventore di
una specie di populismo di apparato, che mirava a collegare gli aspetti autoritari dello
stalinismo e la base popolare in una nuova sintesi (...). Laspetto principale del chru/evi-
smo sta proprio nella volont di rimettere allintero popolo (...) una parte delliniziativa
confiscata dai vertici del partito
7
, restando allinterno dello stesso sistema sociale.
Nonostante il ruolo avuto nellattuazione della politica di terrore staliniana, si pu
convenire sul fatto che a Chru/v stesse veramente a cuore il miglioramento dellagricol-
tura e delle condizioni di vita dei contadini. Ma proprio ci rende pi significativi i suoi
fallimenti che discendono dallidea base dellinsuperabile arretratezza del mondo con-
tadino e quindi della necessit di decontadinizzare le campagne, generalizzandovi lor-
ganizzazione e il modo di produzione industriale, sostenuto dagli esiti pi avanzati della
ricerca scientifica che agli occhi di Chru/v era rappresentata dalle teorie di Lysenko, se-
condo una tipica concezione miracolistica e acritica del progresso della scienza.
Loperazione Terre vergini con la messa a coltura di oltre trenta milioni di ettari in
Siberia e Kazachistan, al fine di espandere la produzione di mais sul modello america-
no, rappresent limpresa pi impegnativa di Chru/v e un epitome della sua cultura
e mentalit, dallincancellabile imprinting staliniano. Senza lesinare in mezzi, soprattut-
to in forza-lavoro, bisognava dare lassalto alla natura e piegarla alle esigenze del socia-
lismo. Ai successi iniziali, con rese spettacolari, fece seguito una crisi profonda, la di-
minuzione drastica dei rendimenti, vasti fenomeni di erosione del suolo: lassalto aveva
prodotto un disastro ecologico.
In realt lintera vicenda sovietica andrebbe esaminata nellottica del contrasto insa-
nabile tra economia e ecologia, un settore di studi a cui gli scienziati sovietici diedero
un grande contributo, basti il nome di V.I. Vernadskij. A differenza che nelle economie
capitalistiche in cui la questione ecologica considerata irrilevante ovvero da gestirsi
estendendo il mercato ad ogni componente dellambiente, lURSS sembr prestare grandi
attenzioni alla protezione della natura, in primo luogo sottraendola al mercato, e quindi
riconoscendole un valore in s. Per altro, in perfetta simmetria con quel che accadeva al
lavoro, linsieme delle risorse naturali doveva essere a totale disposizione del potere che
poteva farne ci che voleva al fine di realizzare i suoi obiettivi, in primo luogo quello di
superare il capitalismo sul piano economico-produttivo.
Nel contesto del sistema sovietico, nonostante errori ed oscillazioni, Chru/v aveva
indubbiamente segnato una discontinuit, imprimendo una spinta contraddittoria ma
genuina per il rinnovamento dellURSS, ci provoc una reazione conservatrice da parte
dellestablishment che attraverso una congiura di palazzo capeggiata da Brenev, Pod-
gornyi e Suslov riusc a destituirlo. Prendeva cos avvio la fase di stagnazione che sfoce-
r nellimplosione dellUnione Sovietica.
7
A. Adler, Politica e ideologia nellesperienza sovietica, in Storia del marxismo, vol. IV, Einaudi, Torino 1982,
pp. 138-139.
Crisi e fine del comunismo sovietico
13
La stagnazione
La lunga transizione incarnata dallera Brenev (1964-1982) stata interpretata come
una forma di normalizzazione. Di sicuro un ritorno al terrore dispiegato non era pi
possibile, mancavano sia lenergia che la convinzione. La normalizzazione, gestita dal-
la burocrazia che si era sentita minacciata dallattivismo incoerente di Chru/v, una
sorta di stalinismo depotenziato, una versione russo-sovietica di totalitarismo morbido,
che prevede la repressione di chi la pensa diversamente ma che soprattutto si sostiene
sullapatia e la depoliticizzazione dei cittadini-sudditi, sulla diffusione della corruzione e
dellillegalit a tutti i livelli dellapparato di potere, mentre le persone comuni cercavano
rifugio e protezione nella vita privata, nella creazione di circuiti di relazione prepolitici.
Se lascesa al potere di Brenev era stata possibile per le preoccupazioni della no-
menklatura di fronte ai fermenti innescati dalla destalinizzazione, laccentuazione con-
servatrice della sua politica fu dovuta ai timori della leadership sovietica di fronte al mo-
vimento di contestazione che stava coinvolgendo lOccidente, in generale ostile allURSS
anche se pieno di illusioni verso la Cina maoista.
Anche in URSS e nel sistema sovietico il 68 ebbe modo di manifestarsi attraverso il
fiorire di iniziative da parte del mondo del dissenso, molto variegato al suo interno, ma
con la prevalenza, allepoca, di posizioni di sinistra sia socialiste che comuniste antista-
liniste. Lepisodio pi significativo fu il varo nellaprile del 68 del pi importante perio-
dico del samizdat, la Cronaca degli avvenimenti correnti. La svolta si ebbe per con la
primavera di Praga, vale a dire con la crisi di uno dei pilastri del sistema sovietico in
Europa centrale. Mentre emergevano le profonde differenze tra il movimento di conte-
stazione in Occidente e gli obiettivi che si ponevano gli insorti di Praga, il primo impe-
gnato a riautentificare il comunismo, i secondi a rompere con esso, la leadership sovie-
tica non dimostrava incertezze: i fermenti che provenivano dallOvest, e soprattutto il
pericolo che il contagio cecoslovacco si estendesse verso il cuore dellimpero
8
, vennero
percepiti come un pericolo mortale, accentuandone la chiusura burocratico-ritualistica.
Con il 68 il ciclo del comunismo sovietico, leniniano e staliniano, si chiude defini-
tivamente, cristallizzandosi in un organismo che mira alla pura sopravvivenza. Come in
altre epoche della storia russa il potere si autonomizza dalla societ, rinuncia a forgiar-
la, non concede nulla sul piano della libert politica ma lascia che la popolazione si con-
centri sulle necessit immediate della vita nel contesto dato. La volont di convincere
a ogni costo cedette il posto a un atteggiamento di compromesso: se in pubblico si era
sempre costretti a far professione di fede, in privato ognuno poteva pensare un po quel
che voleva. Gli anni di Brenev sono infatti gli anni di un conformismo esasperato, ot-
tenuto al prezzo di uno sdoppiamento costante delle coscienze
9
. Contemporaneamen-
te la secessione di intellettuali, artisti, religiosi si esprime nel dissenso, minoritario, divi-
so ma capace di creare e lottare.
8
Un timore che venne confermato dalle rivolte degli operai polacchi, nel dicembre 1970, sanguinosamente
represse da Gomulka, che aveva anche inutilmente richiesto lintervento dellesercito sovietico.
9
M. Ferretti, Il malessere della memoria. La Russia e lo stalinismo, Italia contemporanea, n. 234, 2004, p.
118.
Pier Paolo Poggio
14
Soprattutto in Occidente limmobilismo breneviano venne interpretato da molti os-
servatori come una conferma della stabilit e solidit del sistema, anche perch lURSS
beneficiava, ancora una volta, del cambiamento in atto sulla scena mondiale. Si pensi da
un lato alla crisi petrolifera e dallaltro allesito della guerra in Viet-Nam, due eventi che
colpivano duramente il mondo occidentale, ancora scosso dalle ondate della contesta-
zione, non amata dai sovietici ma dagli innegabili tratti anticapitalistici.
LURSS, a parte il dissenso di cui poco si sapeva, sembrava essere al riparo da ogni tur-
bolenza e conflitto, obiettivo scientemente perseguito dalla dirigenza sotto forma di im-
balsamazione e nuova glaciazione, dopo la fragile stagione del disgelo. Un clima ben
colto da Andrej Amalrik nel suo profetico pamphlet che, al di l di singoli errori di pre-
visione, poneva il tema, inimmaginabile per la stragrande maggioranza degli osservatori
e sovietologi, dellimminente fine dellURSS
10
.
In effetti, data la mancanza di conflitti aperti, lerosione dallinterno non era imme-
diatamente visibile; daltro canto le crisi novecentesche avevano avuto piuttosto un esi-
to esplosivo che implosivo, come avverr invece per lURSS. Gli indicatori principali era-
no tipici di processi di lunga durata: la crisi del mondo rurale, il declino demografico,
con la sconcertante diminuzione della speranza di vita, la cronica mancanza di beni di
consumo anche di prima necessit. La cosa che maggiormente colpiva e stupiva era la
perdurante arretratezza dellagricoltura, una sorta di ineliminabile zavorra che trascina-
va allindietro un Paese che, per altri versi, era una grande potenza industriale, oltre che
militare, con un apparato tecnico-scientifico di primo livello.
Come noto, la teoria bolscevica, ampiamente condivisa anche fuori dallURSS, pre-
vedeva che, nella fase della costruzione e sviluppo del sistema sovietico, lagricoltura, le
campagne, fungessero da supporto dei veri motori della modernizzazione, vale a dire
lindustria e le citt. Nei fatti una sorta di colonia interna da utilizzare per le esigen-
ze dellaccumulazione primitiva e principale serbatoio di manodopera. La seconda fase
prevedeva invece lallineamento e il superamento della divisione tra citt e campagna.
Come detto sforzi in tal senso, anche con soluzioni del tutto utopistiche, vennero fat-
ti lungo tutto larco della vicenda sovietica, a conferma che si trattava di uno dei pila-
stri dellideologia.
Nei fatti le campagne svolsero pienamente la funzione di serbatoio di manodopera,
ma a partire dalla collettivizzazione non riuscirono pi a sostenere leconomia del Pae-
se che, mentre esportava materie prime, era costretto ad importare derrate alimentari in
gran quantit: nella seconda met degli anni Settanta lURSS diventa il principale impor-
tatore di cibo del pianeta. Il progetto di cancellare la civilt contadina, concepita come il
ricettacolo dellarretratezza, era stato portato a compimento: le campagne uscivano dal
lungo esperimento sovietico del tutto svuotate di energia, con una popolazione apatica,
indifferente, completamente alienata. Lungi dal realizzare qualsiasi forma di socialismo,
erano state minate anche le basi di un possibile sviluppo del capitalismo agricolo, che lo
stesso Lenin, tanto prima quanto dopo la rivoluzione, aveva considerato una transizio-
ne imposta dallo stato delle cose.
Ma il pragmatismo e realismo di cui aveva dato prova Lenin, seppure nel contesto di
10
Cfr. A. Amalrik, Sopravviver lUnione Sovietica fino al 1984?, Coines, Roma 1970.
Crisi e fine del comunismo sovietico
15
un disegno strategico di estrema audacia, e indifferente per i costi umani che compor-
tava, non erano pi possibili se non sotto la forma degradata del compromesso e della
doppiezza. Da troppo tempo lUnione Sovietica viveva immersa in unatmosfera di fal-
sit e finzione.
Le analisi critiche dellURSS, sin dagli anni Trenta, avevano messo laccento sul ruolo
della menzogna nella costruzione della realt sovietica. Con il trascorrere del tempo la
menzogna divent sistematica e generale; gli stessi vertici del Partito dovevano mentire
non solo alla popolazione ma anche a se stessi: mentivamo nei nostri rapporti, sui gior-
nali, dal podio, ci rivoltolavamo nelle nostre menzogne (N.I. Rykov). Nellera Brenev
persino il KGB falsificava scientemente i rapporti segreti per contribuire alla costruzio-
ne di una realt immaginaria e edulcorata. Lungo tutta la vicenda dellURSS la manipola-
zione delle statistiche, utilizzate a fini propagandistici, aveva assunto dimensioni tali da
produrre effetti strutturali sul funzionamento delleconomia e la conoscenza della socie-
t. Se si considera limmagine che lURSS era riuscita a proiettare sulla scena mondiale, in
primo luogo presso i suoi sostenitori, dagli operai agli ambienti intellettuali progressisti,
si pu dire che la costruzione di una realt immaginaria ebbe un grande successo.
I contraccolpi interni furono per molto penalizzanti e sul lungo periodo lintera co-
struzione and in rovina, cosicch sia in Russia che altrove coloro che sono rimasti fe-
deli alla memoria dellURSS hanno dovuto aggrapparsi a Stalin e riabilitarne le pratiche
in nome della difficile costruzione del socialismo in un solo Paese. Legittimato e assol-
to Stalin, tutto il resto diventava pi facile: il fallimento dipendeva dal non averne segui-
to coerentemente le orme, in primo luogo rinunciando ad usare la violenza di fronte alla
crisi. Si tratta di una spiegazione senza controprova (a meno di assumere a modello sicu-
ramente vincente Tien An Men).
Per altro gli interventi armati in Cecoslovacchia e Afghanistan si rivelarono fallimen-
tari e luso della forza aveva piuttosto compromesso leconomia, come nel caso della col-
lettivizzazione, piuttosto che galvanizzato la capacit produttiva del sistema. Dopo gli
anni di Chru/v, pieni di contraddizioni e illusioni, leconomia sovietica entr in una
fase depressiva che rifletteva la sua debolezza strutturale, lincapacit di porre rimedio
allarretratezza dellagricoltura, alla bassa produttivit del lavoro, al crescente gap tec-
nologico nei confronti dellOccidente
11
.
La realt si rivelava non solo lontana ma letteralmente antitetica rispetto alla propa-
ganda. La costruzione del socialismo e poi del comunismo era stata affidata al successo
dellindustrializzazione (anche dellagricoltura) ma nei fatti lURSS si stava riducendo ad
un Paese esportatore di materie prime verso le economie capitalistiche. La dipendenza
dallesterno era mascherata dal rango di superpotenza mondiale e per il mantenimento
di tale status imponeva una crescente militarizzazione delleconomia, la concentrazione
delle risorse nellapparato militare-industriale, divenuto, assieme alla sicurezza, il vero
fulcro del comunismo sovietico
12
.
11
Anche per scelta della nomenklatura breneviana, lURSS aveva perso completamente i contatti con la
rivoluzione informatica. Negli anni Ottanta i calcolatori si contavano in poche migliaia mentre negli USA erano
gi molti milioni.
12
In presa diretta Cornelius Castoriadis lo definisce una stratocrazia. Cfr. C. Castoriadis, Devant la guerre,
Fayard, Paris 1981.
Pier Paolo Poggio
16
La politica di normalizzazione breneviana, con il suo clima di pace sociale, era ac-
compagnata da spese militari crescenti, sia nel campo delle armi strategiche che in quelle
convenzionali. Le spese militari coprivano una quota spropositata del reddito del Pae se,
vicina al 30% del totale. Per lopacit e la segretezza dei dati statistici, stime esatte non
sono possibili, in ogni caso il bilancio dello Stato era destinato in gran parte alle spese
militari. Allo stesso modo la quota preponderante degli investimenti in campo scientifi-
co concerneva ricerche di interesse bellico. Negli anni Ottanta i tre quarti di tutte le ri-
cerche scientifiche e dei lavori di sperimentazione avvenivano nellambito del comples-
so militare-industriale
13
.
significativo che le spese militari in URSS, nonostante le fasi di distensione, siano au-
mentate quasi costantemente, attraversando indenni le varie stagioni del poststalinismo,
senza che ci si possa interpretare come il portato della natura intimamente aggressiva
ed espansionistica dellURSS, secondo le perduranti letture da Guerra fredda. Lobiettivo
della gerontocrazia burocratica sovietica non era la rivoluzione mondiale ma la conser-
vazione del suo potere, sotto lassillo della sicurezza. Tale valutazione non viene smentita
neppure dallultimo intervento militare operato dallURSS con linvasione dellAfghani-
stan nel 1979, conclusasi disastrosamente dieci anni dopo. Lobiettivo sovietico era stato
quello di mantenere il controllo di unarea che veniva considerata strategica per la pro-
pria sicurezza. Leffetto pratico fu di dare slancio allIslam politico, affacciatosi impetuo-
samente sulla scena con la rivoluzione iraniana, causando nel contempo una catastrofe
umanitaria ai danni della popolazione civile afghana.
Limplosione
Dopo la morte di Brenev nel 1982, ci fu un primo tentativo di riforme dallalto da par-
te di Andropov, gi capo del KGB, ripreso con pi energia da Gorba/v, salito al potere
nel 1985 dopo lintermezzo di ernenko. Senza sottovalutare il ruolo e la capillarit del
dissenso, bisogna prendere atto che tutto il ciclo finale della vicenda sovietica si svilupp
senza un intervento attivo da parte della societ. In tutti gli ambienti prevaleva la passivi-
t e la sfiducia nei confronti della cosa pubblica. Decenni di predominio del Partito-sta-
to avevano indotto una privatizzazione galoppante; ognuno badava alla sopravvivenza
personale e della propria famiglia, abbandonandosi a quei comportamenti antisociali,
dallillegalit allalcolismo causa principale del tracollo dellaspettativa di vita nella po-
polazione maschile che il riformatore-poliziotto Andropov si riprometteva di colpire.
Lo stesso Andropov aveva individuato in Gorba/v il suo successore, ma la vecchia
guardia, timorosa dei cambiamenti, era riuscita a dilazionare, anche se di poco, il nuo-
vo corso. Lazione di Gorba/v fu ad un tempo efficace e micidiale, avendo come esito
la dissoluzione dellURSS. Ci dipese da due fattori contrastanti ma con effetto cumu-
lativo. Gorba/v era consapevole che lUnione Sovietica era da tempo in grandi diffi-
colt, in preda alla stagnazione se non al declino. Di qui la necessit di riforme radica-
13
I.V. Bystrova, Complesso militare industriale, in Dizionario del comunismo nel XX secolo, Einaudi, Torino
2006, vol. 1, p. 184.
Crisi e fine del comunismo sovietico
17
li, di una vera e propria ristrutturazione del sistema. Daltro canto era convinto della
bont del socialismo e della sua superiorit, almeno sul piano etico-politico, rispetto al
capitalismo.
In base a tale convinzione, Gorba/v e i suoi consiglieri decisero di attaccare a viso
aperto la mancanza di chiarezza e di trasparenza in cui vivevano le istituzioni e la socie-
t intera. La glasnost, vale a dire la conoscenza della verit, era per una medicina insop-
portabile per lorganismo artificiale e autoreferenziale a cui avevano dato vita i bolsce-
vichi
14
. I riformatori, di cui faceva parte Elcin poi principale rivale di Gorba/v, erano
un prodotto del sistema che volevano cambiare e migliorare ma non abbattere, almeno
sino alla crisi dell89. A tal fine essi cercarono di coniugare la fede nel socialismo sovie-
tico con le idee di base del dissenso, vale a dire la libert e la democrazia. Un innesto ri-
velatosi impossibile anche perch frutto di un colossale abbaglio sulla natura del comu-
nismo sovietico, forgiatosi, sin dallinizio, contro la democrazia e la libert.
Gorba/v, nonostante lenorme potere che aveva nelle mani, mantenendo fede allim-
pegno di non usare la violenza per conservarlo, fin col ritrovarsi isolato tra coloro che
avrebbero voluto restaurare la situazione antecedente, e che a tal fine si spinsero sino al
golpe fallimentare dellagosto 91, e coloro che, definitisi democratici, scelsero per il
salto di sistema, abbandonando il socialismo per linstaurazione del capitalismo liberale.
La decisione di Gorba/v di non usare la forza per costringere i cittadini sovieti-
ci, russi e non russi, a rimanere fedeli ad un sistema di cui era a capo, rappresentava sia
una novit che linizio della fine. Tanto pi che lo stesso atteggiamento fu mantenuto nei
Paesi satelliti, dove il socialismo aveva basi ancora pi fragili se non inesistenti. Qui il
crollo avvenne in poco pi di un mese avendo come epicentro la Germania Est. Anti-
cipato dallapertura delle frontiere ungheresi, il 9 novembre 1989 lannuncio che erano
abolite le restrizioni ai viaggi allestero determin labbattimento pacifico del muro di
Berlino da parte dei cittadini dei due settori della capitale tedesca.
In effetti tra tutti gli Stati satelliti creati da Stalin dopo la Seconda guerra mondiale,
la Germania Est era il pi rigidamente dogmatico e il pi fragile. Non a caso la leadership
sovietica, in tempi diversi non sarebbe stata contraria alla riunificazione della Germania,
purch su posizioni neutrali. La creazione della DDR aveva dovuto fare i conti con una
societ articolata e ricca di cultura, tenuta sotto controllo grazie ad un grande e capilla-
re apparato spionistico-repressivo. Lo stesso marxismo nella DDR non era privo di vitali-
t ma spesso insofferente per la cappa dogmatica che lo imprigionava. Dopo la precoce
ribellione del 1953, non cerano pi stati movimenti aperti di protesta, ma nel 1989, in
seguito alla riforma dallalto di Gorba/v e alla crisi da tempo in atto in Polonia, la rot-
tura cruciale avvenne in Germania Est sotto forma di unaperta secessione dei cittadi-
ni rispetto al regime: stato lesodo massiccio di cittadini dalla DDR verso lUngheria e
dallUngheria, attraverso la frontiera ormai parzialmente aperta verso lAustria e poi la
Germania occidentale, che ha rapidamente messo in discussione, oltre al regime politi-
co-sociale, la legittimit e lesistenza stessa della DDR
15
.
14
Le difficolt del percorso riformatore furono crudelmente messe a nudo dalla catastrofe di Cernobyl (26
aprile 1986) e da come fu gestita, che segnando la fine dellesaltazione tecnicistica acceler quella dellURSS.
15
A. Guerra, Il 1989, in Enciclopedia della sinistra europea nel XX secolo, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 813.
Pier Paolo Poggio
18
Giungeva a compimento una vicenda innestata dalla creazione staliniana di un im-
pero esterno, imponendo dallalto il modello sovietico e suscitando ripetute reazioni
sociali delegittimanti per il comunismo europeo: lEuropa sovietizzata non fu soltanto
lovvio tallone dAchille dellURSS come impero, ma il fattore storico primario che impe-
d linstaurazione della legittimit comunista nellEuropa del dopoguerra
16
.
Intanto anche in URSS la lunga stagione di apatia volgeva al termine; nellestate dell89
vi furono estesi scioperi di minatori, la parte pi compatta della classe operaia sovieti-
ca. Sempre i minatori ebbero un ruolo attivo nel 91, quando la loro opposizione alla pe-
restrojka svolse, secondo Gorba/v, un ruolo fatale nel destino dellUnione. In realt
le spinte centrifughe stavano diventando incontenibili e anche se la questione nazionale
non ebbe il ruolo cruciale che molti le attribuivano nel far precipitare la crisi, lindebo-
limento del centro e gli eventi nei Paesi satelliti incentivarono le spinte indipendentisti-
che, innanzitutto degli Stati incorporati con la Seconda guerra mondiale.
La crisi decisiva si produsse per al centro sotto forma di rottura russo-sovietica, vale
a dire tra Elcyn e Gorba/v. Questultimo, per normalizzare lURSS ponendo fine alla
saldatura Stato-Partito, intendeva svuotare di poteri il Partito, concentrandoli nella pre-
sidenza dello Stato sovietico
17
. Del resto il Partito in quanto organismo unitario sovieti-
co, interprete ed erede della rivoluzione, era ci che teneva assieme lURSS, senza di esso
lintero sistema collassava. A ci si aggiungeva che laffermazione della superiorit della
Russia perseguita da Elcyn faceva saltare il compromesso russo-sovietico su cui si reg-
geva lUnione. Il 12 giugno 1990 con la proclamazione della sovranit della Russia si in-
staura un vero e proprio dualismo di poteri che durer sino alle dimissioni di Gorba/
v il 25 dicembre 1991: La questione russa (...) rivelava la sua natura di principale que-
stione dellURSS, diventando il problema centrale della perestrojka, quello da cui dipen-
devano tutti gli altri
18
.
La struttura delleconomia sovietica e la peculiare politica delle nazionalit praticata
in URSS fece s che le popolazioni delle repubbliche periferiche venissero avvantaggia-
te dallarretratezza economica: La periferia, con i suoi prodotti a basso valore aggiun-
to diretti al mercato interno, poteva assicurare alla sua popolazione un tenore di vita su-
periore a quello del centro dellimpero (V. Zaslavsky), minando la fedelt della nazione
russa al sistema sovietico. su questo sfondo che Elcyn sviluppa la sua azione politica
volta a risolvere a favore proprio e della Russia, la partita ingaggiata con Gorba/v. Egli,
proveniente da una famiglia contadina colpita dalla collettivizzazione forzata, si mosse
con determinazione nel colpire il fulcro del sistema sovietico: al XXVIII e ultimo Congres-
so del PCUS, nel luglio 1990, annunci la sua uscita dal Partito e proclam la necessit di
scioglierlo. In effetti, eletto nel luglio 1991 presidente della Russia, sospese e poi nel no-
vembre 1991 soppresse il PCUS.
I tentativi di Gorba/v di mantenere in piedi e nello stesso tempo riformare lURSS,
ovvero il comunismo sovietico, vennero frustrati nonostante la sua energia ed abilit. Il
dualismo si rivel irrisolvibile anche perch Gorba/v venne a trovarsi sotto attacco su
16
S. Pons, Concettualizzare l89: la prospettiva storica, Passato e Presente, n. 80, 2010, p. 21.
17
Al fine di democratizzare il sistema senza uscire dalle coordinate del socialismo, Gorba/v si spinse sino a
lanciare, nella XIX Conferenza del PCUS (1988), la parola dordine di ridare tutto il potere ai soviet, come se
non si rendesse conto che i soviet, da sempre, erano stati politicamente cancellati e ridotti a meri ectoplasmi.
18
A. Graziosi, op. cit., p. 614.
Crisi e fine del comunismo sovietico
19
due fronti, da un lato i conservatori, dallaltro i democratici. La sua aperta rottura col
bolscevismo per gli uni era troppo, per gli altri troppo poco. I nazionalcomunisti mira-
vano a ricentralizzare sulla Russia lesperienza sovietica, i democratici propugnavano lo
smantellamento immediato del socialismo in nome del mercato autoregolantesi. Lideo-
logia sovietica si era interamente consumata e non riusciva n a frenare le spinte centri-
fughe nazionalistiche, di cui si facevano interpreti gli stessi partiti comunisti delle varie
repubbliche, n a fronteggiare le nuove-vecchie ideologie che stavano prendendo piede,
quella nazionalista e quella liberista.
Secondo Aleksandr Jakovlev, tra i principali collaboratori di Gorba/v, il fallimen-
to del tentativo di riformare e rilanciare il socialismo sovietico discendeva da una illu-
sione condivisa da tutti coloro che in URSS come in Occidente non avevano portato sino
in fondo la critica del bolscevismo e del sistema a cui aveva dato vita. Per tutti costoro
lURSS era lincarnazione storica del socialismo, ovvero il socialismo realmente esistente,
il socialismo possibile nelle condizioni date, da riformare senza distruggere. Una tesi an-
cora oggi condivisa dai nostalgici dellURSS, solo che, dice Jakovlev: alla prova dei fatti
emerso che il socialismo nellUnione Sovietica non mai esistito: si trattava di un vol-
gare regime dittatoriale di tipo dispotico.
La breve storia del comunismo sovietico successiva alla caduta del muro e alla fine
dellimpero esterno si svolta tutta attorno al destino dellUnione Sovietica, principale
posta in gioco, ultima e unica fonte di legittimazione della specifica ed egemonica for-
ma di comunismo prodotta dalla vittoria bolscevica nella rivoluzione del 17. Lintento
di Gorba/v era di riformare e superare il comunismo di stampo bolscevico-staliniano
senza abbattere lURSS. Elcyn, a cui erano estranee le preoccupazioni ideologico-politi-
che in merito alle sorti del socialismo, mirava a farla finita con lUnione Sovietica. A tal
fine, riprendendo la celebre formula leniniana, riconobbe il diritto di autodeterminazio-
ne delle repubbliche socialiste sovietiche, a partire da quelle baltiche. LUnione dove-
va sciogliersi e lasciare posto a Stati sovrani indipendenti, il primo dei quali era la Russia,
come fulcro di un assetto che non aveva pi alcun rapporto con il passato socialista.
Per tentare di bloccare la dissoluzione dellUnione Sovietica, perseguita anche dal-
le altre repubbliche, compresa lUcraina, sarebbe stato necessario il ricorso alla forza,
ma n Gorba/v n i vertici militari erano disposti a compiere tale passo. Daltro canto
agli schieramenti in campo non corrispondeva alcuna mobilitazione della popolazione.
La costruzione dellURSS era avvenuta a prezzo di sommovimenti sociali e conflitti san-
guinosi e tutto il processo aveva avuto come perno luso della violenza. La fine del so-
cialismo sovietico avviene invece in modo pacifico e quasi nellindifferenza della popo-
lazione che da tempo aveva preso atto del paradosso richiamato da Gorba/v nel suo
discorso daddio: Avevamo di tutto e in abbondanza: terre, petrolio, gas, intelligenza e
talento eppure abbiamo vissuto molto peggio dei popoli degli altri Paesi industrializ-
zati e il divario andava costantemente allargandosi (...) Non era possibile andare avan-
ti cos.
In fondo tutti i dirigenti bolscevichi avevano agito nella convinzione che il sociali-
smo, al di l di ogni altro aspetto, si sarebbe affermato se avesse dimostrato la sua supe-
riorit economica rispetto al capitalismo usando tutti i mezzi, compresa la violenza. Tale
via era stata perseguita sino in fondo, il suo fallimento delegittimava lesistenza del so-
Pier Paolo Poggio
20
cialismo in base agli stessi principi che si era dato. Il tentativo di riformarlo ebbe come
effetto di affrettarne la fine.
Con la dissoluzione dellURSS la privatizzazione delleconomia si tradotta in for-
me variegate di accaparramento dei beni statali da parte dei poteri politici che control-
lavano quei beni ed erano in grado, nellassenza di controlli, di trasformarli in patrimo-
ni privati. La forza dellapparato, il suo strapotere sulla societ, risalente per certi aspetti
allepoca pre-sovietica, si espressa in spinte neopatrimoniali e neofeudali, capaci di in-
quinare i processi di democratizzazione, preparando il terreno ad una ricentralizzazio-
ne del potere.
Visto il grande successo della Cina ad un tempo comunista e capitalista legittimo
chiedersi perch lURSS e poi la Russia non abbiano seguito tale via. Il bolscevismo di
mercato di Elcyn e del suo successore Putin, ma forse lidea si pu far risalire allenig-
matico Parvus, non ha sinora prodotto grandi risultati economici, visto che tutto si reg-
ge sullesportazione delle materie prime, in primo luogo delle fonti energetiche.
Senza la pretesa di spiegazioni esaustive, segnaliamo due elementi: da un lato il fatto
che in Unione Sovietica lesperimento socialista, pur con tutte le perversioni, si svilup-
pato con unestensione e una profondit senza pari, esso rappresenta tuttora un retag-
gio difficile da cancellare e inglobare, al di l delle amnesie di comodo o indotte artifi-
cialmente. In secondo luogo bisogna tener conto della forza dellanticapitalismo russo,
uneredit potente anche se sotterranea, di cui si fatto interprete il maggiore intellet-
tuale e scrittore russo della seconda met del Novecento. In Aleksandr Solzenicyn la cri-
tica dellURSS ha il suo contraltare e completamento nella critica dellOccidente, luogo
del nichilismo e del terzo totalitarismo, quello democratico, incentrato sul dominio
del denaro e della tecnica.
Anche il pieno inserimento nel mercato globale non ha prodotto i frutti politici che i
suoi fautori propugnavano e propagandavano. In realt il sistema sovietico non era mai
stato uno spazio economico chiuso: significativi e spregiudicati rapporti cerano stati nei
primi anni e decenni sia con le democrazie occidentali, in particolare gli USA, sia con le
dittature fascista e nazista. Neppure la Guerra fredda aveva reso la cortina di ferro una
barriera invalicabile agli scambi economici. Una fase nuova si era poi avuta con laffer-
marsi della Ostpolitik di Willy Brandt. Negli anni Settanta la Germania federale assurge
a partner strategico per leconomia sovietica.
Su questo sfondo la crisi dellURSS fornisce allEuropa occidentale e in primo luogo
alla Germania unificata loccasione per una aggressiva penetrazione verso Est, favorita
dalla politica economica liberista, divenuta il credo ufficiale della Russia post-sovietica.
Un po tutti i Paesi dellEuropa orientale e la stessa Russia diventano terra di conquista,
una sorta di nuova frontiera che promette guadagni illimitati, con manodopera a bas-
so costo, anche in condizioni semischiavili, affari leciti e illeciti, eliminazione dei lacci e
lacciuoli che in patria condizionavano il libero dispiegarsi degli spiriti vitali del capita-
lismo. Si trattato probabilmente del pi grande fallimento della politica europea de-
gli ultimi due decenni. Leconomia al primo posto ha significato lincapacit di dare lin-
fa ad un antico legame e ridefinire con arricchimenti reciproci il rapporto ineludibile tra
Russia e Europa.
La Russia post-sovietica conserva tratti enigmatici, il potere cavalca il nazionalismo
come collante ideologico, mentre pratica un affarismo spregiudicato. Di sicuro limplo-
Crisi e fine del comunismo sovietico
21
sione del comunismo sovietico non ha inaugurato un processo di democratizzazione ed
affermazione della libert. Si sviluppata una transizione pilotata dallalto in cui si com-
binano elementi del passato russo e di quello sovietico. Il potere rimasto in mano alla
nomenklatura e ai suoi eredi, postisi alla guida di un capitalismo clientelare che vive de-
gli introiti dei prodotti petroliferi. La continuit data dal prevalere dellelemento au-
tocratico, la discontinuit dal fatto che in epoca sovietica i detentori del potere si con-
sideravano lincarnazione di unidea universalistica alla guida di un processo storico
generale che aveva il suo epicentro nellURSS. I nuovi governanti hanno di mira il loro
tornaconto immediato, vedono nello Stato russo solo uno strumento per le loro ru-
berie, su scala nazionale o, meglio ancora, globale (J. Afanasev). Hanno costruito uno
Stato azienda per fare affari con i loro omologhi occidentali. Il peggior capitalismo si
insediato nelle terre devastate dal socialismo staliniano.
Nella nuova Russia di Putin leredit sovietica viene conservata e riassorbita senza
fare i conti con la sua vera natura attraverso un duplice movimento: dellURSS si rivendi-
ca il ruolo storico-universale avuto con la Grande guerra patriottica, pi in generale la
statura di superpotenza industriale-militare. Questo discorso pubblico ha per un sot-
totesto noto a tutti ma che non viene esplicitato, vale a dire una seconda continuit, in-
carnata in primo luogo dagli uomini dei servizi segreti, tra lapparato di potere attuale e
quello sovietico.
Lartificialit della costruzione sovietica e lirrisolto rapporto tra Russia e URSS in-
duceva molti osservatori e studiosi ad identificare nella questione nazionale il tallone
dAchille del socialismo sovietico. In effetti ai confini dellimpero i conflitti nazionali si
sono sviluppati in modo acuto ma lelemento cruciale per la dissoluzione dellURSS sta-
ta la crisi socioeconomica su cui si innestato il nazionalismo russo, per altro ingredien-
te fondamentale della stessa vicenda sovietica, fortemente impregnatasi di umori nazio-
nalbolscevichi, come nel caso del paradossale comunismo russo di Stalin, per non dire
della persistenza di elementi sovietici nel regime di Putin.
Bisogna tener conto che il nazionalismo sovietico, in quanto realizzazione del bolsce-
vismo, sarebbe rimasto una contraddizione in termini, una costruzione fantastica e con-
traddittoria, se non si fosse calato in uno spazio-tempo determinato, la Russia. In questo
senso si pu dire che fosse una vera novit storica, un nazionalismo russo e non russo
(V. Strada), che si rifaceva a unideologia internazionalistica e contemporaneamente la
tradiva, vista la priorit e centralit del Partito comunista sovietico, derivazione diretta
e prosecuzione del bolscevismo russo, su ogni altro partito o movimento comunista del
mondo, compreso il Comintern per non dire del Cominform.
Sulla base di queste coordinate e sullo sfondo della crisi dellURSS, si realizza una sal-
datura tra nazionalismo e comunismo che va ben al di l degli ambienti intellettuali ere-
di del nazionalbolscevismo. I nazionalisti russi mettevano tra parentesi lanticomunismo
per approdare alla valorizzazione del sistema che aveva consentito di costruire un impe-
ro, facente perno sulla Russia, in grado di reggere il confronto con lOccidente.
Daltro canto i quadri comunisti del Partito, dellesercito e della polizia politica si
convertivano al nazionalismo. La vicenda sovietica si chiude approdando agli antipodi:
dellinternazionalismo delle origini, principale elemento di affermazione e legittimazio-
ne del bolscevismo, non resta neppure il ricordo.
Pier Paolo Poggio
22
Dopo la fine
Le interpretazioni generali dellURSS, attraverso il dibattito sulla sua natura sociale, era-
no state fissate da tempo e si possono riassumere in una tipicizzazione schematica e som-
maria. In primo luogo lURSS attraverso la rivoluzione dOttobre avrebbe rappresentato
la realizzazione storico-pratica del marxismo. Tesi che accomunava i sostenitori pi ac-
cesi ai critici pi radicali, convinti del ruolo determinante svolto dallideologia. Secondo
altri lURSS e la rivoluzione dOttobre non hanno costituito la realizzazione bens il per-
vertimento o tradimento del marxismo.
Tali interpretazioni si articolavano poi variamente: secondo molti Lenin nel bene
e nel male aveva fortemente innovato la dottrina, divenendo nella teoria e nella pras-
si il demiurgo del comunismo novecentesco, con tutto ci che ne consegue alla luce de-
gli eventi. Altre interpretazioni hanno dato molto pi spazio allincidenza del contesto
storico, in sintesi al ruolo della Russia rispetto allURSS, inclusa la sua natura imperiale,
espressasi nello zarismo e poi nel comunismo e ben presente nel postcomunismo, no-
nostante la caduta di status e di immagine. Per alcuni il comunismo sovietico era essen-
zialmente una dittatura di sviluppo che aveva consentito la creazione di una grande
superpotenza militare industriale, con costi umani molto rilevanti, accompagnati per
dalla costruzione di uno Stato sociale tendenzialmente universalistico. In definitiva, at-
traverso la forma specifica del comunismo sovietico, era stato possibile passare dallar-
retratezza alla modernit. Una tale interpretazione viene frontalmente respinta da chi
considera lesperienza sovietica un totale fallimento e un arretramento rispetto alla stes-
sa Russia zarista di fine Ottocento-inizi Novecento, in via di rapido sviluppo se non di
vera e propria democratizzazione e liberalizzazione. da registrare per una notevole
divaricazione in merito alle cause del fallimento, esse infatti sono da imputare, per al-
cuni, allideologia e prassi marxista-leninista, per altri al prevalere, sotto la facciata so-
cialista-sovietica, di una Russia profonda, antioccidentale e antiliberale, per influssi bi-
zantini e asiatici, sino a fare del comunismo russo-sovietico vuoi una reincarnazione del
messianismo religioso ortodosso (Mosca come Terza Roma) vuoi una versione industria-
le del dispotismo asiatico.
Si pu dire che queste diverse e anche opposte letture abbiano accompagnato tut-
ta la vicenda sovietica con aggiustamenti e arricchimenti di cui non possibile qui dare
conto, e che in qualche misura siano ancora in campo, nonostante il verdetto della sto-
ria appaia inequivocabile, e per alcuni aspetti sicuramente lo sia. Resta il fatto che a dif-
ferenza del nazismo, e con qualche somiglianza con il fascismo, oggetto anchesso di re-
visioni relativizzanti se non riabilitanti, il dibattito sullURSS e sul comunismo sovietico
rimane ancora aperto, seppure ai margini della scena politica e culturale, segno di un
non compiuto superamento, nonostante lampiezza del lavoro di ricerca storiografica.
In tale ambito, non senza linfluenza delle interpretazioni generali richiamate, gli stori-
ci si sono confrontati a lungo sullapplicazione o meno della categoria di totalitarismo
allURSS; la sua fine, mettendo fuori gioco le letture revisioniste pi spinte in senso filo-
sovietico, ha spostato il fulcro del dibattito anche perch si deve fare i conti con la sto-
riografia post-sovietica, sia russa che delle altre repubbliche dellex URSS. Leffetto com-
plessivo sembra essere quello di una ricentralizzazione sullelemento nazionale, quindi
sulle specificit russe del comunismo sovietico, indebolendo il paradigma totalitario ne-
Crisi e fine del comunismo sovietico
23
cessariamente comparativo e sociologizzante, sia che privilegi il ruolo guida dellideolo-
gia e della progettualit politica sia che si concentri su elementi impersonali e incontrol-
labili quali le dinamiche sistemiche distruttive di apparati che si reggono sulla violenza
e il terrore.
Rischia di sfumare del tutto perch priva di interesse, o gi risolta nei fatti, la que-
stione del rapporto tra il comunismo sovietico e il comunismo novecentesco nelle sue
varie coniugazioni, ovvero tra comunismo e altre correnti e movimenti rivoluzionari del
Novecento, per non dire dellipoteca che il comunismo sovietico, a lungo egemone pri-
ma della sua autodissoluzione, getta su ogni altra formulazione di idee, progetti, prati-
che volte ad oltrepassare lo stato di cose esistente, vale a dire il capitalismo come for-
ma di civilt unica e globale e senza alternative dopo la vittoria conseguita nei confronti
di un nemico tanto temuto quanto intimamente debole, anche perch mirava a sconfig-
gere il capitalismo rimanendo sul suo stesso terreno, oltre ad usare metodi peggiori e
meno efficaci.
Alla luce degli sviluppi della storia russa post-sovietica, linterpretazione del comu-
nismo come realizzazione pratica del marxismo, e verifica del suo fallimento, ha un po
perso terreno rispetto allaltra grande corrente interpretativa che ha considerato lURSS e
lo stesso bolscevismo espressioni di una fortissima specificit culturale russa. Il rischio di
queste interpretazioni onnicomprensive di essere sovrastoriche, poco pi che schemi
in cui ingabbiare la realt e darle un ordine e una spiegazione, con risultati a volte para-
dossali. Cos la filiazione Marx- Lenin- Stalin con la sottolineatura della piena continuit
tra il fondatore della dottrina e teorico dellunit di teoria e prassi e i suoi seguaci rus-
si, innovatori e realizzatori pienamente sovrapponibile, anche se con segno rovesciato,
alla genealogia marxista-leninista che fungeva da fondamento ideologico del socialismo
sovietico. Ma rischi non inferiori si corrono applicando acriticamente il paradigma russo
sia in termini apologetici che critici. In entrambi i casi si perde di vista la specificit del
comunismo sovietico e la valenza storica periodizzante della rivoluzione del 17.
Lobiettivo di arrivare ad una societ senza classi, attraverso la costruzione del popo-
lo sovietico, fatto da uomini nuovi, uomini sovietici, definisce limpianto ideologico
del comunismo russo-sovietico, in ci del tutto differente da quello fascista e nazista ba-
sato sulla gerarchia e lesclusione. Il comunismo, russo e sovietico, invece fortemente
inclusivo e totalmente egualitario, mirando alla completa omogeneit della societ. Solo
che labolizione di ogni differenza, attuata attraverso la totale concentrazione del pote-
re nel Partito (che avrebbe dovuto essere un organismo impersonale) si traduceva nel-
la pura e semplice cancellazione degli individui, ridotti a risorse lavorative, forza-lavoro
di propriet dello Stato. La costruzione del socialismo ad opera di Stalin significava una
duplice e simmetrica distruzione: degli individui e della societ in quanto prodotti sto-
rico-culturali, portatori di uneredit che doveva essere cancellata. La costruzione del
socialismo dice Jurij Afanasev fu la messa in atto di un piano per sradicare nel modo
pi completo lelemento umano della struttura sociale e per creare un ambiente sociale
artificiale in tutta lUnione Sovietica
19
.
Mentre il nazismo voleva modellare la societ secondo la natura di cui sarebbero
espressione le razze, eliminando gli ebrei e altri elementi antinaturali, il comunismo so-
19
J. Afanasev, De profundis per la Russia, Lettera internazionale, n. 101, 2009, p. 41.
Pier Paolo Poggio
24
vietico ha come obiettivo la costruzione di un artefatto sociale ad opera dello Stato, se-
condo le direttive del Partito. Linsieme dei provvedimenti assunti, sino allestremo del
terrore contro gli elementi anti-sovietici, i nemici soggettivi e oggettivi del sistema, coe-
rente con una tale finalit, che riduce a strumenti al servizio dello Stato gli individui ed
ogni articolazione della vita sociale, la cultura, larte, la scienza. In linea di principio non
esistono sfere o ambiti protetti, sul piano dei comportamenti ma ancor prima su quel-
lo del pensiero; tutti possono e debbono essere sospettati. Questo impianto orwelliano
del comunismo sovietico si mantenne sino alla fine, ma la fase espansiva, dopo il culmi-
ne staliniano, non supera gli anni Sessanta, il ventennio successivo caratterizzato dal-
la stagnazione a cui fa seguito un tentativo di riforma e rilancio che accelera la dissolu-
zione e fine.
Il centro elaboratore dellideologia coincide con il detentore monopolistico della for-
za, il Partito-Stato, che si trasforma nel tempo, divenendo da partito di quadri a partito
di massa senza mai perdere sino al crollo unegemonia che non ha precedenti stori-
ci e che distingue il sistema sovietico dai totalitarismi coevi, in cui la funzione del capo
carismatico cruciale e dove esistono molteplici centri di potere e di elaborazione ideo-
logica in lotta tra di loro.
Nel caso sovietico tutto passa attraverso il Partito e al suo interno. Sarebbe per sba-
gliato immaginare che il Partito fosse separato dalla societ, anche se non gli riusc, no-
nostante enormi sforzi e ogni sorta di disastri, di modellarla secondo i suoi intenti. Nella
societ il Partito ebbe i suoi terminali e i suoi sostenitori, sia al momento della rivoluzio-
ne e presa del potere che negli anni e decenni successivi. Ci fu sicuramente uno stalini-
smo operaio e proletario. Tutto il potere era concentrato nel vertice ma non tutto veni-
va dallalto, cera una continua interazione tra vertici e base, almeno sino a quando non
prevalsero lapatia e lopportunismo.
Lintero apparato che costituiva lossatura dellURSS in campo politico, giudiziario,
militare, economico, culturale faceva capo al Partito, attraverso linsieme dei suoi comi-
tati, da quello Centrale a quelli territoriali. Ogni comitato disponeva di propri elenchi
(nomenklatura) di mansioni sottoposte al suo diretto controllo (O.V. Chlevnjuk), con
diritto di nomina, trasferimento, destituzione. In tal modo il Partito fungeva da princi-
pale agenzia di collocamento del Paese. Al vertice dellintero sistema cera il Politbju-
ro del Comitato centrale, a sua volta facente capo al Segretario generale del PCUS. Le di-
mensioni complessive del Partito erano impressionanti: nel 1986, prima della sua rapida
fine, contava oltre 18 milioni di iscritti (10 % della popolazione), raggruppati in circa
450 mila organizzazione primarie (cellule).
La concentrazione del potere nel Partito e nelle sue articolazioni, cos come la cen-
tralizzazione delle decisioni nel contesto di un sistema altamente burocratizzato, causa-
vano sia un eccesso che un occultamento di informazioni. La conseguenza, specie a li-
vello economico, era che per uscire dallimpasse ci si affidava allimprovvisazione. La
stessa pianificazione era una finzione: essendo uno strumento al servizio del potere poli-
tico mutava arbitrariamente a seconda delle esigenze di chi lo deteneva.
Ancor pi che negli altri sistemi totalitari il consenso e ladesione al comunismo so-
vietico, sia nel perimetro dellURSS, a cui qui ci riferiamo, che nellimpero esterno e nel
mondo intero, necessitano di una valutazione attenta e ricerche capillari, mentre le scor-
ciatoie ideologiche sono esiziali. Riteniamo in particolare che sia da respingere netta-
Crisi e fine del comunismo sovietico
25
mente la tesi che finisce con lindividuare negli stessi operai e contadini, russi e non rus-
si, i responsabili in ultima istanza del fallimento del comunismo sovietico, presentato
come lespressione autentica del mondo del lavoro, che nei suoi confronti non avrebbe
manifestato solo consenso ma totale identificazione. Ne consegue che il crollo e i di-
sastri precedenti sarebbero da imputare ad un insuperabile, ontologico, deficit politi-
co e umano dei lavoratori. In breve, dopo l89 la colpevolizzazione si estende dai con-
tadini agli operai, attribuendo loro il fallimento della teoria che ne aveva fatto la classe
messianica e salvifica.
Queste elucubrazioni, oltre ad essere intellettualmente discutibili, sono anche prive
di fondamento storico fattuale. Esse oscurano completamente il dato saliente costituito
dalla guerra condotta dal regime contro il proprio popolo, che doveva essere abolito per
lasciare il posto alla vera classe operaia sovietica, letteralmente da produrre nel crogio-
lo dellindustrializzazione forzata. In tutta la sua parabola storica il comunismo sovieti-
co, in realt unicamente bolscevico, si affermato colpendo duramente i lavoratori, la
classe eletta, oltre che altri gruppi sociali, le classi che dovevano sparire. Ci non toglie
nulla alla tragedia di lotte sanguinose allinterno del proletariato, delle sue articolazioni
sociali e frazioni politiche, minando le teorizzazioni sul finalismo soprastorico e ontolo-
gicamente rivoluzionario della classe operaia, di cui le sopracitate diagnosi pessimistiche
sono il rovesciamento simmetrico.
Linterpretazione molto pi lineare secondo cui il fallimento del socialismo in Unio-
ne Sovietica era iscritto nelle premesse si articola in due varianti. Nella prima il proget-
to di superamento del capitalismo era impossibile dato che, come prevedeva la dottrina,
esso avrebbe dovuto saldarsi ad una rivoluzione vittoriosa in Occidente e non rimane-
re relegato in Russia e negli altri Paesi dellex impero zarista. La seconda tesi argomen-
ta che la rivoluzione contro Il Capitale era semplicemente impossibile e che i bolscevichi
non erano in grado di sfruttare i vantaggi dellarretratezza, dato che la rivoluzione ple-
bea che avevano capeggiato era precisamente il prodotto di quella stessa arretratezza.
Sono letture del Novecento sovietico incardinate attorno al tema della modernizza-
zione e che leggono il tutto alla luce di tale categoria, cosa legittima dato che il potere so-
vietico, almeno da Stalin in poi, scelse proprio questo terreno come banco di prova. Per
altro sia il pensiero socialista europeo che la cultura russa, nonch un vasto continente di
esperienze rimaste sotterranee, si erano caratterizzate per la ricerca di alternative al do-
minio delleconomia e della forza. Non si pu nemmeno dire che tutto sia stato cancel-
lato e distrutto, nonostante lazione congiunta delle potenze ideologiche e politiche che
hanno dominato, con le loro guerre, la scena del Novecento.
Anche in ragione delle implicazioni teoriche lo studio delle basi sociali del sistema
sovietico particolarmente importante. Secondo alcuni ladesione e il successo popolare
conseguiti dallo stalinismo furono tali da dar vita ad una specifica civilt sovietica cen-
trata sullesaltazione del lavoro, della produzione, del dominio della natura. Si pu con-
venire con una tale rappresentazione purch si tenga sempre presente quale fu il risvolto
di sangue e terrore di tale civilt, oltre che la sua intrinseca fragilit.
Di sicuro la documentazione disponibile consente di registrare il consenso che le
stesse politiche repressive di Stalin e dei suoi successori ebbero presso certe fasce del-
la popolazione: lo dimostrano le lettere di denuncia indirizzate alle autorit e ai giorna-
li. Resta da vedere se queste forme di complicit con il potere derivassero da convinzio-
Pier Paolo Poggio
26
ni ideologiche oppure da motivi pratici e vantaggi materiali o da un mix tra le due cose.
Indubbiamente il sistema aveva una propria base sociale, mantenuta e consolidata nel
tempo sino allidentificazione e intercambiabilit, se non altro perch sistema e appara-
to, vasto e capillare, erano la stessa cosa.
Lesistenza e la consistenza di questo vasto corpo intermedio, sempre pi articola-
to e ramificato allinterno di tutte le istituzioni e organizzazioni, conferisce allURSS la
sua inconfondibile fisionomia burocratica, non senza profondi legami con la Russia za-
rista, secondo una continuit che unisce i vari cicli della storia sovietica, pur profonda-
mente diversi tra di loro, come esemplificato dalle figure di Stalin, Chruscv, Brenev e
Gorba/v, a loro volta aventi in Lenin il loro referente comune. Si pu quindi sostenere
che pur avendo una durata e sviluppi interni che lo differenziano dagli altri totalitarismi
politici novecenteschi, il comunismo sovietico fu un sistema unitario, definito nelle sue
coordinate di fondo allepoca di Lenin e Stalin.
La sua crisi e dissoluzione, allorch si tenta di riformarlo e innovarlo in profondit,
ne costituiscono lovvia controprova, purch si tenga presente che la dimensione russa
inseparabile da quella sovietica. da questa inestricabile saldatura che deriva la peculia-
rit, la forza e debolezza dellURSS, nel cui contesto storico-culturale, ad un tempo rus-
so e sovietico, nessuna Tien An Men avrebbe potuto risolvere la crisi e dare slancio ad
un solido bolscevismo di mercato. quindi legittimo sostenere che nel Novecento ci
sono stati diversi comunismi ma altrettanto vero che solo il comunismo sovietico riu-
scito ad assurgere ad una dimensione storico-universale. N al momento del manifestar-
si palese della crisi, almeno dal 1956, e neppure dopo la sua fine sono emersi altri comu-
nismi, veramente diversi e alternativi.
quindi giusto collocarlo al centro del Novecento, sicuramente per quanto riguarda
lEuropa, valorizzando contestualmente le esperienze e le analisi degli eretici impegnati
in una critica radicale del comunismo sovietico, e per tale motivo scomunicati, piuttosto
che soffermarsi su varianti e vie nazionali, di interesse locale, nonch inconcludenti, an-
che perch incapaci di fare i conti con lepicentro del comunismo novecentesco, se non
nella forma della resa o della liquidazione della loro stessa storia.
Dopo l89 e la fine dellUnione Sovietica il comunismo scomparso, ma non del tut-
to. A parte i nostalgici, esso aleggia in confuse teorie politico-filosofiche ed presente
in deboli esperienze che cercano di coniugare universale e locale. Come comunismo di
mercato sta avendo in Cina un enorme successo, al punto che la sfida nella competizio-
ne economica persa clamorosamente dal comunismo sovietico sembra essere alla porta-
ta dei suoi tassi di crescita. per una vittoria basata sulla resa alle ragioni dellavversa-
rio; un gigantesco fenomeno nazionale, se si vuole continentale, interno al sistema, alla
sua logica, alle sue finalit.
Siccome per n il capitalismo planetario n i fondamentalismi pseudo-universalisti-
ci che lo fronteggiano sembrano in grado di dare una soluzione dignitosa alla sopravvi-
venza e vita dellumanit attuale e futura, possibile che la scomparsa del comunismo
sia solo temporanea. Di sicuro non potr ripresentarsi nella sua veste novecentesca: que-
sta una storia definitivamente chiusa, ricca di insegnamenti per chi voglia imparare e
capire. A tal fine la rimozione, insediatasi dopo lesaltazione o la deprecazione, deve la-
sciare il posto alla conoscenza della verit. su questo terreno che critici e dissiden-
Crisi e fine del comunismo sovietico
27
ti si incontrano, accomunati dalla lotta contro un avversario in apparenza enormemen-
te pi forte.
Una lotta difficile perch condotta contro chi proclamava di agire in nome di ideali
di giustizia e per lemancipazione universale dei lavoratori. Al punto che il pensiero cri-
tico progressista fatic nel prendere le misure ad una realt che ne spiazzava le categorie
interpretative, contribuendo allisolamento di chi riteneva e ritiene indispensabile cono-
scere e capire cosa stato il comunismo sovietico, come passaggio necessario anche se
non sufficiente affinch il nuovo si manifesti libero dalle ipoteche del passato.
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29
LA PRIMA EPOCA DELLE RIVOLTE
NEL SOCIALISMO REALE: 1953-1956
Andrea Panaccione
Gli avvenimenti del 1953-1956 possono essere considerati un processo unitario: unepo-
ca delle rivolte che attraversa i diversi paesi del socialismo reale europeo, che ha il suo
inizio nella situazione determinatasi in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin e che
rinvia ad alcune radici comuni negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. La
morte di Stalin infatti la grande occasione nella quale vengono al pettine le tensioni
accumulatesi in URSS e nei paesi dellEuropa centro-orientale in quel periodo. La cate-
na degli eventi negli anni successivi mostrer lo svolgersi di quei tratti comuni e insieme
una articolazione che riflette le caratteristiche dei diversi paesi.
Il Gulag in rivolta
Il clima di alta drammaticit delle reazioni di massa alla morte di Stalin, il cui simbo-
lo pi eloquente rappresentato dallo svolgimento stesso dei funerali e in particolare
dai gravi incidenti verificatisi durante lafflusso della folla per rendere omaggio alla sal-
ma, indicativo di un senso generalizzato di vuoto e di panico fra i tanti che identifica-
vano nella personalit di Stalin la potenza e la garanzia di stabilit di un sistema sociale.
La preoccupazione, nel gruppo dei pi stretti collaboratori del capo, di dare una for-
te impressione di unit nellorganizzazione della successione domina la riunione dei ver-
tici del partito e dello Stato sovietico, che precede addirittura, sia pure di poco, la morte
biologica dello stesso e che ha il compito di ... assicurare una giusta e continua guida a
tutta la vita del paese, ci che a sua volta richiede la massima compattezza della direzio-
ne, linammissibilit di qualsiasi sbandamento e panico, limpegno incondizionato a rea-
lizzare con successo la politica elaborata dal partito e dal governo sia negli affari inter-
ni del nostro paese che nei rapporti internazionali
1
. Il confronto allinterno del gruppo
1
Poslednaja otstavka Stalina [La rimozione finale di Stalin], Isto/nik, n. 1, 1994, p. 108; la pub-
Andrea Panaccione
30
dirigente sovietico nel periodo immediatamente successivo, e in particolare il caso Be-
rija, permetteranno di verificare il carattere provvisorio dellequilibrio realizzato, ma
soprattutto porteranno alla luce tutti gli elementi di precariet e di pericolo che il nuo-
vo potere deve affrontare nel suo rapporto con la societ. Quello che pu essere definito
il programma di Berija ricostruibile dallinsieme delle iniziative politiche e degli inter-
venti nelle istanze di vertice del partito e dello Stato sovietico e anche dalle accuse che
gli saranno mosse soprattutto linventario dei punti di crisi che il nuovo potere deve
affrontare e che il potente capo della polizia sembra cogliere con maggiore lucidit degli
altri dirigenti: linsostenibilit del sistema del Gulag, le questioni nazionali e dellagricol-
tura, il superamento della crisi con la Jugoslavia, lesercizio del potere da parte dei pic-
coli Stalin dellEuropa centro-orientale
2
. Sulle stesse questioni si svilupper, dopo leli-
minazione di Berija, lazione della direzione collettiva sovietica e poi di Chru/v.
Che lattenzione di Berija si concentri prima di tutto sulla questione del Gulag, pro-
vocando la prima grande uscita
3
di circa 1.200.000 detenuti appena tre settimane
dopo la morte di Stalin, non pu essere visto come il modo di affrontare un problema
particolare, seppure di grandi dimensioni.
ormai acquisito da parte della storiografia, ma lo era gi nella coscienza dei con-
temporanei, il significato del Gulag per linsieme della societ sovietica. Esso ne costitui-
va ormai da decenni una parte quantitativamente significativa, da quella societ conti-
nuamente alimentata ma che in essa anche periodicamente rifluiva:
In contrasto con una convinzione molto diffusa, gli archivi del gulag rivelano che fra la po-
polazione concentrazionaria si aveva una notevole rotazione dato che ogni anno era rilasciato
dal 20 al 35 per cento dei detenuti. (...) lingresso nei campi non equivaleva a un viaggio senza
ritorno, anche se, per il dopo, era prevista unintera gamma di pene accessorie, come il
domicilio coatto o lesilio
4
.
blicazione presenta e riproduce il protocollo della riunione, conservato nellArchivio del Presidente della
Federazione russa.
2
La diffusione dellimmagine di Berija come riformatore e destalinizzatore ante litteram stata dovuta
soprattutto alla biografia di A. Knight, Beria, Mondadori, Milano 1997, pubblicata nelledizione originale nel
1993 e che gi poteva utilizzare la nuova documentazione apparsa in particolare nei primi due numeri della
rivista Izvestija CK KPSS del 1991. Che alcune delle proposte e iniziative di Berija abbiano anticipato quelle
di Chru/v risulta comunque anche dalle accuse rivoltegli insieme a quella sicuramente pi preoccupante
della eccessiva concentrazione di potere nei confronti del partito e a quelle sulla vita personale, il cui stile
stalinista non ne attestava automaticamente linattendibilit in occasione della sua eliminazione politica
(cfr. Lavrentij Berija. 1953. Stenogramma julskogo plenuma CK KPSS i drugie dokumenty, Demokratija, Mo-
skva 1999), cos come risulta dai documenti pubblicati sui rapporti del gruppo dirigente sovietico con quelli
dellEuropa centro-orientale nella primavera del 1953: particolarmente interessante il resoconto dellincontro
del 13/6/1953 con la delegazione ungherese capeggiata da Rakosi, nel corso del quale Berija dirige effettiva-
mente i colloqui ed anche lunico a parlare ben quattro volte di errori di Stalin: cfr. C. Bks, M. Byrne,
J. Rainer (Eds.), The 1956 Hungarian Revolution: A History in Documents, Central european university press,
Budapest 2002, Doc. 1, Notes of a Meeting between the CPSU Presidium ant the HWP Political Committee Delega-
tion in Moscow, June 13 and 16, 1953, pp. 14-23.
3
Cfr. N. Werth, Lamnistie du 27 mars 1953. La premire grande sortie du Goulag, Communisme, n. 42-
43-44, 1995, pp. 211-223. Lamnistia fu proposta da Berija anche se fu chiamata di Voroilov dal nome del
firmatario del decreto del Soviet supremo dellURSS.
4
N. Werth, Violenze, repressioni, terrori nellUnione Sovietica, in: AA.VV., Il libro nero del comunismo, Mon-
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
31
Limportanza assunta dallo sfruttamento del lavoro forzato nel sistema produttivo so-
vietico rifletteva inoltre, in forma appunto concentrata, alcuni dei caratteri essenzia-
li di quel sistema, a cominciare da quelli di una economia di mobilitazione (mobiliza-
cionnaja ekonomika) estensiva e senza risparmio di tutte le risorse, prima di tutto quelle
umane, in base a obiettivi volta a volta definiti come prioritari (un ambito rilevante era
stato per esempio dopo la guerra, accanto ai settori tradizionali dellestrazione e approv-
vigionamento delle materie prime e della costruzione di grandi opere, il Gulag ato-
mico). Il Gulag assicurava la disponibilit di milioni di vite e capacit lavorative da
parte dello Stato, gestite attraverso una organizzazione di rapporti di lavoro che erano
direttamente dei rapporti di forza. Nelle pagine sulle forme che precedono la produ-
zione capitalistica, Marx aveva caratterizzato il rapporto moderno tra capitale e lavo-
ro come il dissolvimento dei rapporti in cui gli stessi lavoratori, gli stessi portatori viven-
ti di capacit di lavoro appartengono ancora direttamente alle condizioni obiettive della
produzione e come tali diventano propriet di terzi dunque sono schiavi o servi della
gleba
5
. I lavoratori del Gulag non erano schiavi o servi della gleba, ma semplicemente
detenuti; sottoposti comunque, per usare la terminologia di Hobsbawm nella sua Prefa-
zione alla edizione citata delle Forme, a una appropriazione del lavoro che passava attra-
verso lappropriazione degli uomini.
Infine, i rapporti di dominio nel Gulag erano garantiti dallapparato repressivo e
concentrazionario ma determinati anche da una serie di fattori che avevano a che fare
con elementi come la composizione e gli stati danimo degli abitanti dellarcipelago, la
qualit delle prestazioni richieste e la loro resa nel sistema economico sovietico. La per-
cezione di una situazione di crisi, per il gioco di questi diversi fattori, aveva preceduto la
morte di Stalin, ma ad essa si aggiungeva, in quella anticipata primavera del 1953, la sen-
sazione di un vuoto di potere e laffacciarsi di stati danimo di smobilitazione (smobiliza-
cionnye nastroenija) in coloro a cui era affidato il funzionamento del sistema.
Credo che sia importante tenere presenti questi elementi per cogliere pienamente il
significato degli avvenimenti del 1953-54. Le motivazioni della crisi del Gulag, in quan-
to espressione della crisi storica di un sistema di organizzazione economica e sociale che
nella sua composizione riproduceva i passaggi attraversati a partire dalla guerra dalla so-
ciet sovietica in quanto tale, e la congiuntura e loccasione di un difficile passaggio poli-
tico, segnato dalla morte del padrone (era la denominazione confidenziale di Stalin tra
i pi diretti subordinati), determinano i caratteri e il significato delle grandi rivolte, sulle
quali esiste ormai una grande ricchezza di ricostruzioni documentarie e storiografiche
6
.
dadori, Milano 1998, pp. 191-192. Werth ha anche opportunamente notato che le cifre, comunque impressio-
nanti, dei detenuti del Gulag risultano spesso gonfiate dal fatto che storici e testimoni hanno spesso confuso
il flusso dentrata nel gulag con il numero di detenuti presenti in una data specifica (ivi, p. 193).
5
K. Marx, Forme economiche precapitalistiche, terza ed., Editori Riuniti, Roma 1974, p. 102.
6
Tra le ricostruzioni della crisi e delle rivolte del Gulag va citata in primo luogo, per il grande impatto inter-
nazionale, quella di A. Solenicyn in: Arcipelago Gulag, ed. it., vol. 3, Mondadori, Milano 1978, in particolare
cap. 24, A testoni spezziamo le nostre catene, e cap. 25, I quaranta giorni di Kengir. Una recente ricchissima do-
cumentazione offerta dal vol. 6, Vosstanija, bunty i zabastovki zaklju/ennych [Insurrezioni, rivolte e scioperi
dei detenuti] della serie Istorija stalinskogo gulaga, Rosspen, Moskva 2004, a cura di V.A. Kozlov. In Italia
apparsa sul tema lopera importante di M. Craveri, Resistenza nel Gulag, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003.
Andrea Panaccione
32
Anche il rapporto del sistema del Gulag con linsieme della societ sovietica (la
zona e la grande zona nel linguaggio dei detenuti) stato oggetto di molte riflessio-
ni e approfondimenti. Credo che un approccio particolarmente stimolante sia stato ne-
gli ultimi anni quello di un fotografo polacco, che partito dalla questione della debo-
lezza della memoria visiva del Gulag, rispetto al suo peso nella vita sovietica, rispetto
a ci che esso ha rappresentato per milioni e milioni di cittadini del paese
7
. La scarsa vi-
sibilit non esclude lincombenza di questa realt su tutta la trama dei rapporti sociali:
la rende anzi pi minacciosa e pervasiva, solidifica i sensi di paura e di vergogna, impe-
disce di prendere le distanze.
Ci che accomunava il Gulag alla societ sovietica spiega la variet delle reazioni nei
campi alla morte di Stalin, le manifestazioni di giubilo, ma anche di paura e di confusio-
ne non solo tra i detentori ma tra gli stessi detenuti. Ci che lo separava e lo rendeva una
situazione estrema spiega il concentrarsi in esso dellondata delle rivolte.
Il Gulag del 1953 era espressione, inoltre, di un settore particolarmente politicizzato
della popolazione, non tanto perch ospitava ancora i resti delle opposizioni storiche, e
per la maggior parte di ispirazione socialista, al potere sovietico (menscevichi, socialisti
rivoluzionari, anarchici, comunisti dissidenti dei pi diversi tipi)
8
, ma soprattutto per al-
cune delle correnti (i diversi collaborazionismi, le guerriglie antisovietiche dai Paesi Bal-
tici alla Polonia orientale allUcraina, le manifestazioni di dissidenza interna) di cui si era
alimentato a partire dalla guerra. Era per certi aspetti il proseguimento della tradizione
delle deportazioni e delle operazioni nazionali degli anni Trenta, ma la congiuntura
della guerra dava a questi processi di soluzione dei conflitti un carattere pi direttamen-
te politico-militare. Craveri ha sottolineato come in particolare queste nuove presenze
significassero una possibilit di politicizzazione anche per coloro che potevano essere al
loro ingresso del tutto privi di una coscienza di opposizione:
Molti degli arrestati in Ucraina, Paesi Baltici e Bielorussia erano di origine contadina e ascol-
tando le testimonianze di alcuni di loro si ha limpressione che lesperienza dei lager li abbia
in qualche modo educati e soprattutto politicizzati. Ragazzi e ragazze che avevano sem-
pre vissuto in un ristretto mondo contadino, molto tradizionale, si ritrovarono di colpo a
convivere con veri e propri oppositori del regime, dai sopravvissuti socialisti rivoluzionari ai
partigiani che avevano combattuto sia contro i tedeschi sia contro lArmata rossa. Molti di
loro impararono a leggere e scrivere, altri vissero una vera e propria educazione politica che
7
T. Kizny, Gulag, ed. it. Bruno Mondadori, Milano 2004. Anche la sovrapposizione, nel libro di Kizny,
delle fotografie depoca con quelle contemporanee, scattate dallautore, dei personaggi o dei resti del Gulag,
sottolinea, ancora pi che lassenza o la scarsit di immagini, le difficolt e gli scarti nella trasmissione di una
memoria collettiva.
8
Solo nellagosto del 1953 il successore di Berija al ministero dellinterno, Kruglov, avrebbe proposto di
escludere dalla categoria di prigionieri particolarmente pericolosi i menscevichi, i socialisti-rivoluzionari e i
prigionieri condannati per spionaggio, terrorismo, trockismo e deviazionismo di destra (M. Craveri, Resisten-
za nel Gulag, cit., p. 228). Riferendomi in particolare ai dibattiti tra i menscevichi nei luoghi di detenzione e di
confino, ho gi avuto modo di osservare riguardo al clima politico dellURSS che soprattutto nel periodo dagli
anni Trenta alla met degli anni 50, una discussione sul senso della rivoluzione e del socialismo in Russia, e
negli altri paesi che hanno costituito lURSS, stata continuata e trasmessa forse pi nelle forme imposte dalla
detenzione, dal lavoro forzato, dalle deportazioni, che nelle sedi ufficiali della scienza e della politica (A.
Panaccione, Socialisti europei, Franco Angeli, Milano 2000, p. 127).
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
33
li trasform da semplici contadini in intransigenti nazionalisti, nemici dello stato sovietico e
del popolo russo
9
.
Ma tutto ci non poteva che rafforzare, nei dominanti, la preoccupazione che le rivolte
diventassero il detonatore, il meccanismo dinnesto di sconvolgimenti pi ampi
10
.
Sulla base dellintreccio tra forti motivazioni legate alle condizioni di vita e di lavo-
ro ed elementi di coscienza politica di varia origine ma che comunque permettevano pi
facilmente di percepire il senso di incertezza o di smobilitazione seguito alla morte di
Stalin, un processo di crisi gi in corso da tempo acquistava adesso nuovi significati e
possibilit. per questo che quanto avviene nel Gulag sovietico tra il 1953 e il 1954 e
i cui epicentri possono essere collocati nel maggio-giugno 1953 nel campo speciale del
Gorlag, allinterno del complesso minerario e di costruzioni di Norilsk; nel giugno-ago-
sto 1953 nel Re/lag, nel complesso carbonifero di Vorkuta; nel maggio-giugno 1954 nel-
lo Steplag presso il villaggio di Kengir, Kazakistan pu essere ascritto alla prima fase
dellepoca delle rivolte, ne rappresenta lapertura allo stesso titolo di quanto avviene
nellEuropa centro-orientale nella primavera del 1953.
Gli appelli e le dichiarazioni dei rivoltosi esprimono in modo particolarmente chia-
ro ci che fa di queste rivolte la manifestazione di una particolare forma di lotta di una
particolare classe di lavoratori.
I detenuti del Gorlag il 27 giugno 1953 manifestano cos la loro volont di continua-
re nello sciopero: La nostra forza lavorativa la nostra propriet e, in qualsiasi condi-
zione ci potranno mettere, noi non la cederemo fino a quando non riceveremo una ri-
sposta a questo appello
11
.
Un altro appello, questa volta dei detenuti del Re/lag il 29 luglio 1953, esprime, con
toni meno sindacali e pi politici e con una utilizzazione abbastanza evidente del discor-
so pubblico dei dominanti da parte dei dominati, le speranze di cambiamento dopo leli-
minazione di Berija , ma anche una forte coscienza del valore del lavoro compiuto, del-
le opere realizzate:
Il boia Berija e i suoi complici ci hanno chiamato delinquenti, probabilmente perch da molti
di noi sono stati costruiti il canale del mar Bianco, il canale Volga-Don, le miniere degli Urali,
del Nord, dellAsia centrale, le ferrovie e i combinati di lavorazione del legno della Siberia e
una serie di impianti e costruzioni segrete di importanza statale! Tutte queste persone hanno
9
M. Craveri, Resistenza nel Gulag, cit., p. 218.
10
un punto su cui insiste V.A. Kozlov nella sua Introduzione a: Vosstanija..., cit. Anche linfluenza di av-
venimenti internazionali poteva essere motivo di preoccupazione data la presenza di settori molto politicizzati
nella popolazione concentrazionaria. Una informazione (spravka) sul Gorlag del 5 giugno 1953 indicava che i
nazionalisti ucraini (benderovcy, i seguaci di Stepan Bandera) utilizzavano interventi di Eisenhower e Churchill
per lavorarsi i detenuti: il riferimento, per quanto riguarda il primo, era probabilmente un passo di un di-
scorso del presidente USA del 16 aprile 1953, riportato dalla Komsomolkaja Prava del 26 aprile 1953, in cui
si affermava che con la morte di Stalin era comunque finita unera alla quale la nuova dirigenza sovietica non
poteva essere considerata completamente legata (cfr. Vosstanija..., cit., p. 329 e nota 160, p. 669). Di l a pochi
giorni sarebbero arrivate anche nei campi le notizie su Berlino e la Germania orientale.
11
Vosstanija..., cit., p. 353.
Andrea Panaccione
34
costruito senza lamentarsi, convinti che tutto questo fosse importante e indispensabile per
accrescere la forza e il potere della nostra Patria socialista, del suo Partito e del suo Governo.
Noi abbiamo fatto tutto questo anche perch pensavamo che il Partito e il governo Sovietico
avrebbero tenuto conto e preso atto del nostro onesto lavoro nella loro paterna preoccupa-
zione per i lavoratori, avrebbero ridotto le pene per i delitti commessi di fronte al partito la
forza pi grande e pi autorevole.
Ma evidentemente il Partito e il Governo sono stati ingannati dallavventurista Berija e dai
suoi complici. Questo provato dal fatto che a noi non stato applicato il decreto di amnistia
del 27 marzo 1953
12
.
Una spravka del 30 luglio 1953 di un anonimo agente sulle cause dello sciopero nel-
la quarta sezione dello stesso Re/lag era chiarissima nella sua semplicit: Vivere in mi-
niera 25 anni senza riposo non possibile. Morire lentamente o rapidamente la stes-
sa cosa
13
.
Craveri ha sottolineato anche che la richiesta della giornata lavorativa di 8 ore era
una delle principali rivendicazioni dei prigionieri in sciopero
14
e la documentazione
recentemente pubblicata ne fornisce diverse testimonianze: era una rivendicazione sto-
rica del movimento operaio autonomamente organizzato che entrava nel mondo del la-
voro forzato e, accanto a quelle di eliminazione del regime speciale, di abolizione del-
le misure non umane, di allargamento dellamnistia, di revisione dei procedimenti di
condanna, ecc., contribuiva a svelarne la doppia natura. Altrettanto rivelatrici del con-
tinuo intreccio tra logica puramente repressiva e logica di sfruttamento del lavoro era-
no le discussioni che, negli organi governativi e di partito, avrebbero accompagnato nel
1953-54 il processo di smantellamento del Gulag per quanto riguardava lattribuzione
delle competenze sui campi: al ministero dellinterno, a quello della giustizia, ai ministe-
ri economici
15
.
Infine le forme di lotta: labbandono della forma tradizionale dello sciopero della
fame (golodovka) e ladozione di quella dello sciopero, e delle rivolte, come interruzione
della produzione, significava, come ha indicato nellIntroduzione Kozlov
16
, puntare di-
rettamente al cuore del sistema economico e sociale che il Gulag rappresentava. La ra-
dicalit e la durezza degli scontri indicavano linsostenibilit e il necessario superamento
di un sistema di rapporti di produzione, la disponibilit ad arrivare allestremo, a rifiu-
tare una mediazione umanitaria e a mettere in gioco la propria vita pur di uscire da una
condizione non pi sopportabile. Un sistema politico e sociale che si definiva socialista
doveva affrontare la vergogna di reprimere rivolte che ricordavano quelle degli schia-
vi (anche se Spartaco difficilmente poteva essere un riferimento simbolico familiare ai
protagonisti di quei movimenti, come lo era stato per tanti militanti della storia del mo-
vimento operaio).
12
Ibid., p. 472. Per il rapporto tra i discorsi dei dominanti e dei dominati, cfr. J.C. Scott, Il dominio e larte
della resistenza. I verbali segreti dietro la storia ufficiale, Eluthera, Milano 2006, ed. orig. 1990.
13
Ibid., p. 481.
14
M. Craveri, Resistenza nel Gulag, cit., p. 231.
15
Anche su questo molti elementi si trovano nellopera citata di M. Craveri.
16
V.A. Kozlov, Vvedenie, in Vosstanija, cit., p. 92.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
35
1953: lEuropa centro-orientale dopo la morte di Stalin
La coincidenza, nel giugno 1953, delle prime grandi rivolte dei campi con gli avveni-
menti di Berlino est era di per s motivo di riflessione per i dirigenti sovietici sui caratte-
ri sistemici della crisi in corso: del fatto che ne avessero una percezione piuttosto chiara
sono uneloquente testimonianza le discussioni interne, le consultazioni con i rappresen-
tanti di altri paesi del blocco, le stesse iniziative di Berija . La morte di Stalin aveva fun-
zionato da detonatore in diverse altre situazioni. Sulla base di una importante serie di ar-
ticoli di Mark Kramer
17
, e con qualche integrazione da altre fonti, possibile ricostruire
il quadro dei principali avvenimenti.
Si erano fortemente intensificati dallinizio dellanno e malgrado la stretta nel
controllo dei confini introdotta nel luglio 1952 con la cosiddetta Operation ungezie-
fer gli espatri dalla Germania orientale a quella occidentale, il cui numero, per i pri-
mi 4 mesi del 1953, sar calcolato in 122.000, con un tasso raddoppiato rispetto allanno
precedente. Il fenomeno era evidentemente da mettere in relazione con lapprovazione
da parte dei dirigenti della Repubblica democratica tedesca del programma di costru-
zione del socialismo (seconda conferenza di partito della Sozialistische einheitspartei
deutschlands, SED, luglio 1952) e si rifletteva, gi nei mesi precedenti la morte di Stalin,
in una forte crisi interna al partito dominante (unondata di espulsioni e arresti, ma an-
che linasprimento delle tensioni interne che accompagnava la concentrazione del pote-
re nelle mani di Ulbricht)
18
.
Dal 3 maggio entravano in sciopero, soprattutto contro lelevamento delle quote di
lavoro, centinaia di operai delle fabbriche di tabacco di Plovdiv e Chaskovo in Bulga-
ria. Gli scioperi sarebbero cessati dopo alcuni giorni in seguito ad incontri e concessioni
da parte dei vertici del partito comunista
19
, ma non potevano non colpire quanti consi-
deravano la Bulgaria come un esempio di situazione particolarmente tranquilla, lascian-
do linquietante sensazione che perfino il paese pi fedele potesse un giorno sottrarsi al
controllo.
Le manifestazioni contadine svoltesi in Ungheria nel corso del mese di maggio sa-
rebbero state rievocate da Imre Nagy in quella che pu essere definita la sua piattafor-
ma politica dopo lestromissione, nella primavera del 1955, dalla guida del governo as-
17
M. Kramer, The Early Post-Stalin Succession Struggle and Upheavals in East-Central Europe: Internal-Ex-
ternal Linkages in Soviet Policy Making, Journal of Cold War Studies, n. 1, 1999, pp. 3-55, n. 2, pp. 3-38,
n. 3, pp. 3-66.
18
La pi ampia raccolta documentaria, ma anche ricostruzione storiografica, sul 1953 nella Germania orien-
tale quella di Ch.F. Overman (Ed.), Uprising in East Germany 1953: The Cold War, the German Question,
and the First Major Upheaval behind the Iron Curtain, Central european university press, Budapest 2001. La
messa a fuoco della portata della crisi della SED nel 1953 stata giustamente indicata come uno dei principali
risultati della ricerca dopo la caduta del Muro (cfr. T. Schaarschmidt, La rivolta del 17 giugno 1953, Contem-
poranea, n. 3, 1999, p. 570).
19
Per un resoconto di prima mano di una militante di partito, che sottolinea le insufficienze del lavoro
sindacale, ma anche lo stato danimo assolutamente disperato delle lavoratrici e dei lavoratori, cfr. un signi-
ficativo documento ripreso dallArchivio nazionale bulgaro: Report on the Disturbances at the Tobacco Depot
in Plovdiv, Bulgaria, Cold War International History Project, Virtual Archive, Bulgaria in the Cold War, www.
wilsoncenter.org.
Andrea Panaccione
36
sunta nel 1953 e dalle cariche di partito come una serie di minacciose manifestazioni
di massa nella Grande pianura ungherese
20
; proteste e scioperi operai, soprattutto per
laumento dei salari, si verificavano inoltre ai primi di giugno a Csepel, importante sob-
borgo industriale di Budapest con una lunga tradizione di lotte operaie, e nei centri me-
tallurgici dellUngheria orientale di Ozd e Diosgyor
21
.
Dopo il verificarsi, nei mesi di aprile e maggio, di numerosi scioperi e proteste nel-
le fabbriche cecoslovacche contro laumento dei prezzi, con un coinvolgimento di oltre
32.000 operai, il 1 giugno, giorno della entrata in vigore della riforma monetaria ceco-
slovacca, una grande manifestazione operaia promossa da migliaia di operai della Skoda
a Plzen coinvolgeva gli operai di altre fabbriche e molti giovani; veniva occupato il mu-
nicipio, esposti ritratti di Masaryk e Bene, buttati dalle finestre i busti di Lenin, Stalin e
Gottwald, chieste le dimissioni del governo e libere elezioni; la citt sarebbe rimasta per
due giorni nelle mani dei dimostranti, mentre manifestazioni di protesta si svolgevano
anche a Praga e Ostrava. La rivolta di Plzen era repressa dalla polizia e dallesercito con
la proclamazione della legge marziale e circa 2.000 arresti, molti processi e condanne,
ma, dopo la fase repressiva della mano ferma, avrebbe spinto i dirigenti cecoslovacchi
alla adozione di una politica di Nuovo corso, con riduzione dei prezzi e delle spese
militari e aumenti salariali che, secondo lo storico cecoslovacco Karel Kaplan, avranno
leffetto di lasciare in secondo piano la questione operaia durante la crisi del 1956
22
.
Dopo gli incontri tra i dirigenti tedesco-orientali e sovietici a Mosca il 2-4 giugno e
lannuncio di un nuovo corso in Germania est da parte del Politbro tedesco l11 giu-
gno, che aveva avuto come effetto immediato una ondata di dimissioni dal partito e di
abbandono delle aziende collettive nelle campagne, la conferma dellinnalzamento delle
quote di produzione il 16 giugno scatenava immediatamente forti manifestazioni di pro-
testa a Berlino, Dresda e in altre citt tedesche. Il 17 giugno la rivolta operaia e popola-
re si estendeva a pi di 450 citt tedesche e i partecipanti superavano il mezzo milione (il
10% della popolazione adulta della Repubblica democratica tedesca); molti reparti del-
la polizia e delle organizzazioni ausiliarie di sicurezza si rifiutavano di intervenire contro
gli insorti, molti aderenti allorganizzazione giovanile comunista Freie deutsche jugend
si univano alla rivolta. Solo lintervento delle truppe sovietiche, che in pratica sostituiva-
no la polizia e lesercito tedeschi e avrebbero mantenuto la legge marziale nel paese per
oltre tre settimane, portava al ristabilimento dellordine, con una sanguinosa repressio-
ne e processi e condanne che si succederanno per anni. Walter Ulbricht, la cui caduta
sembrava imminente, sar salvato dalla eliminazione a Mosca del suo principale nemi-
co, Berija , al quale sar imputato il fallimento della politica adottata nel paese e la regia
dellopposizione al segretario della SED. La notizia degli avvenimenti tedeschi si era dif-
20
I. Nagy, Scritti politici, Feltrinelli, Milano 1958, p. 125. Cfr. anche F. Fejto, Histoire des dmocraties popu-
laires. 2. Aprs Staline, Seuil, Paris 1969, p. 45.
21
Cfr. B. Lomax, The Working Class in the Hungarian revolution of 1956, Critique, n. 12, Autumn-Winter
1979-80, p. 49, e M. Kramer, The Soviet Union and the 1956 Crisis in Hungary and Poland, Journal of Con-
temporary History, n. 2, 1998, p. 175.
22
Cfr. K. Kaplan, La crisi cecoslovacca, Annali della Fondazione Feltrinelli, XXII, Feltrinelli, Milano 1982,
pp. 267-327, e La Cecoslovacchia nel decennio successivo alla morte di Stalin, in Ripensare il 1956, Socialismo
Storia. Annali della Fondazione Giacomo Brodoloni, Lerici, Roma 1987, pp. 39-40.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
37
fusa immediatamente negli altri paesi del campo e in particolare in Polonia, dove negli
stessi giorni si svolgevano manifestazioni in diverse citt, tra cui Varsavia a Cracovia, che
venivano represse anche con la partecipazione di carri armati sovietici.
Nel caso tedesco, come in quello cecoslovacco, possibile notare anche il peso di alcu-
ne tensioni o incompatibilit culturali nei confronti del paese guida del blocco socialista.
Nel primo caso, sulla questione dellinnalzamento delle quote di produzione e del modo
in cui era stato imposto dal partito al potere, particolarmente efficace la descrizione del-
la reazione di un operaio tedesco nel romanzo di Stefan Heym Cinque giorni in giugno:
quello che viene rifiutato prima di tutto il metodo russo, quel misto di volontarismo,
improvvisazione e non considerazione per le reazioni delle persone, che una classe opera-
ia magari troppo celebrata come erede della filosofia classica tedesca, ma comunque orgo-
gliosa della sua tradizione storica e del suo livello di qualificazione, non riusciva ad accet-
tare. Nel secondo, lesposizione dei ritratti di T. Masaryk e di E. Bene a Plzen, centro del
movimento del 1953 e gi roccaforte socialdemocratica, e le defenestrazioni dei busti dei
dirigenti comunisti, che richiamavano il precedente della caduta probabilmente volonta-
ria dellultimo ministro degli esteri non comunista Jan Masaryk il 10 marzo 1948, indicava-
no una difficolt per il nuovo regime a cancellare le tracce di una eredit politica partico-
larmente ricca e anche una predisposizione diffusa a comportamenti sia pure tragicamente
ironici, che appartenevano alla cultura del paese.
Londata della primavera del 1953 lasciava il suo segno e imponeva processi di ria-
dattamento nei diversi paesi, che per altro non significavano affatto la crisi dei gruppi
dirigenti staliniani. Il caso di Rakosi, che continua a dominare il partito ungherese e che
riuscir nel 1955 a liberarsi del condominio di potere con il capo del governo Nagy, e so-
prattutto il caso di Ulbricht, che costruir proprio sulla crisi tedesco-orientale del 1953
la sua resa dei conti con lopposizione interna al partito e una relazione con lalleato pi
potente che ha potuto essere definita come una tirannia del debole
23
, sono un esem-
pio del rapporto particolarmente complicato, in questo tipo di regimi, tra societ e po-
litica
24
. Leliminazione di Berija a Mosca era quindi unancora di salvataggio o addirittu-
ra un fattore di rafforzamento per quei dirigenti staliniani che erano stati direttamente
presi di mira dalle riforme del capo della polizia politica. Non poteva per impedire
che molte delle questioni da lui sollevate diventassero parte essenziale del programma
dei suoi affossatori e della piattaforma di colui che rapidamente sarebbe riuscito ad af-
fermarsi come il nuovo capo del paese.
23
Su tutto ci particolarmente importante lopera di H.M. Harrison, Driving Soviets up the Wall: So-
ciet East German Relations, 1953-1961, Princeton, Princeton University Press, 2003.
24
La questione stata anche posta nei termini di un confronto tra le lagnanze e i tumulti del 1953 e i movi-
menti del 1956 che per primi avrebbero costituito delle sfide sistematiche e ideologiche alla eredit struttura-
le dello stalinismo (J. Rotschild, N.M. Wingfield, Return to diversity. A political history of East Central Europe
since World War II, Oxford university press, New York-Oxford 2000, p. 150). Mi sembra che questa lettura
non colga pienamente il significato degli avvenimenti del 1953 come prima rivelazione di una crisi generale
del modello tardo-staliniano.
Andrea Panaccione
38
Pankratova e il rapporto segreto
Il rapporto segreto, presentato da Nikita Chru/v alla seduta straordinaria che chiu-
de il XX congresso del PCUS, stato soprattutto analizzato, fin dai primi mesi successi-
vi alla sua controversa pubblicizzazione, nella logica e negli obiettivi che lo ispiravano,
come atto di lotta politica interna al gruppo dirigente sovietico (la riaffermazione del
primato del partito nel sistema del potere, il consolidamento della propria autorit da
parte del segretario generale e insieme la promessa di un nuovo stile di direzione politi-
ca) e, nelle sue implicazioni, pi o meno volute e dirette, per lo stato dei rapporti nel co-
munismo internazionale
25
. Solo grazie a nuove possibilit di documentazione si aperta
una direzione di ricerca sulla diffusione, limpatto e le reazioni provocate dal rapporto
sulla societ che dalla gestione del potere staliniano era stata pi direttamente interes-
sata
26
. Una traccia specifica, ma che mi sembra molto significativa per lambiente da cui
proviene e per la personalit di chi lha trasmessa, lesperienza di una storica di gran-
de prestigio, Anna Pankratova, che nel marzo 1956 si trova a dover illustrare il rappor-
to segreto negli ambienti della sua professione e che scrupolosamente registra, ordina
e comunica alle istanze di partito interessate, il comitato di Leningrado e quello centra-
le di tutta lUnione, le domande e le osservazioni che le sono state rivolte, nelle assem-
blee a cui ha partecipato, con il tipico metodo dellinvio di biglietti, firmati o no, al re-
latore. La recente pubblicazione di questi materiali sulla rivista russa Voprosy istorii
27

permette di ricostruire questa testimonianza privilegiata sullapertura in URSS di unepo-
ca non pi di rivolte, ma di domande sempre pi radicali e spesso senza risposte, forte-
mente intrecciate con ci che avviene in altri paesi.
25
Per alcuni di questi approcci rinvio a: A. Panaccione, Il 1956. Una svolta nella storia del secolo, Unicopli,
Milano 2006, in particolare la sezione Il XX Congresso e il rapporto segreto di Chru/v.
26
Si tratta di una documentazione e in parte di una memorialistica che hanno prima di tutto riguardato
la diffusione del rapporto allinterno delle strutture di partito cfr. in particolare Doklad N.S. Chru/eva o
kulte li/nosti Stalina na XX sezde KPSS. Dokumenty [Il rapporto di N.S. Chru/v sul culto della personalit
di Stalin al XX congresso del PCUS. Documenti], Rosspen, Moskva 2002; . e R. Medvedev, Stalin sconosciuto,
Feltrinelli, Milano 2006, in particolare il capitolo di R. Medvedev, Il XX congresso del partito: prima e dopo ma
che si sono allargate anche a sfere pi ampie, naturalmente coinvolte dalle implicazioni del rapporto nella
pratica e nella coscienza collettiva. Per un tentativo particolarmente ambizioso di analisi, cfr. J. Aksjutin,
Cru/evskaja ottepel i ob/estvennye nastroenija v SSSR v 1953-1964 gg. [Il disgelo chru/viano e gli stati
danimo sociali in URSS tra il 1953 e il 1964], Rosspen, Moskva 2004. Tra gli storici non russi: K.E. Loewen-
stein, Re-emergence of Public Opinion in the Soviet Union: Khrushchev and Responses to the Secret Speech, in
T. Cox (Ed.), 1956 and Its Legacy, Europe-Asia Studies, Special Issue, dicembre 2006, pp. 1329-1345; J.-P.
Depretto, La rception du XX
e
Congrs du PCUS dans la rgion de Gorki, Revue dhistoire moderne et contem-
poraine, gennaio-marzo 2008, pp. 98-124.
27
Pervaja reakcija na kritiku kulta li/nosti I. V. Stalina (Po itogam vystuplenij A. M. Pankratovoj v Le-
ningrade v marte 1956 goda) [La prima reazione alla critica del culto della personalit di Stalin (Sulla base
degli interventi di A.M. Pankratova a Leningrado nel marzo del 1956)], A.V. Novikov (a cura di), Voprosy
Istorii, n. 8, 2006, pp. 3-21; n. 9, 2006, pp. 3-21; n. 10, 2006, pp. 3-24. I materiali pubblicati sono conservati
in: Rossijskij gosudarstvennyj archiv novejej istorii (RGANI, Archivio statale russo di storia contemporanea), f.
5, op. 16, d. 747, ll. 74-175. Ad essi aveva fatto sinteticamente riferimento Alexander Kan (Anna Pankratova
and Voprosy istorii, Storia della storiografia, n. 29, 1996, pp. 71-97), che aveva potuto consultarli presso
lArchivio dellAccademia russa delle scienze.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
39
Anna Michajlovna Pankratova nel 1956 era al culmine di una carriera travagliata
28
ma
anche ricca di riconoscimenti, dirigeva la pi importante rivista storica sovietica, Vopro-
sy istorii
29
, era membro del Comitato centrale del PCUS, aveva pronunciato al XX con-
gresso del partito un intervento sicuramente diplomatico
30
, ma comunque fortemente cri-
tico sullo stato della storiografia sovietica e deciso nella richiesta di estensione dei contatti
internazionali, aveva avuto un ruolo nella stesura del rapporto letto in seduta segreta da
Chru/v. Dal 20 al 23 marzo 1956, con un vero e proprio tour de force, tiene 9 lezioni e
relazioni, in diverse istituzioni di Leningrado, sul tema Il XX congresso del PCUS e i com-
piti della scienza storica a un totale di quasi 6.000 quadri di partito, storici, archivisti, in-
segnanti di materie storiche. Trasmettendo al comitato centrale copia di 825 domande e
appunti ricevuti, compresa lindicazione della firma o della sua inesistenza o indecifrabi-
lit, sottolinea la loro importanza per lo studio degli stati danimo e degli interrogativi
dellattivo di partito e della intelligencija della citt
31
. In un memorandum introduttivo
per il Prezidium del CC
32
, nel quale sono sintetizzate le principali domande ricevute, Pan-
kratova spiega anche che il contenuto stesso delle sue relazioni ha assunto una dimensio-
ne molto pi ampia di quella inizialmente prevista, che avrebbe dovuto riguardare lorga-
nizzazione del lavoro storiografico nel nuovo piano quinquennale, per venire incontro a
un bisogno di informazione e di discussione al quale evidentemente non aveva risposto la
lettura del rapporto segreto precedentemente organizzata dal partito.
Le domande coprono in effetti uno spazio molto ampio di questioni e rivelano una
variet molto grande di posizioni e atteggiamenti.
28
Sui costi umani di questa carriera (compreso il rinnegamento del suo maestro Pokrovskij e la separazio-
ne dal marito Grigorij Ja. Jakovin, ospite per molti anni come trockista dei campi e degli isolatori sovietici
ed eliminato nel 1938) e sulla complessa biografia politico-intellettuale di Pankratova, cfr. la pubblicazione
postuma di R.E. Zelnik, Perils of Pankratova. Some Stories from the Annals of Soviet Historiography, University
of Washington Press, Seattle 2005.
29
Lesperienza del marzo 1956 a Leningrado ha certamente pesato nel coinvolgimento di Pankratova po-
sta a capo, dopo la morte di Stalin, del nuovo collegio redazionale della rivista e affiancata da personalit di
grande prestigio scientifico come lo storico della rivoluzione di Febbraio Burdalov, in qualit di vicedirettore,
lo storico dei movimenti contadini Druinin, il medievista Grekov, lo storico dellimperialismo Erusalimskij
e altri nellimportante tentativo di rinnovamento storiografico di Voprosy istorii, troncato nel marzo del
1957 da una deliberazione del Comitato centrale del partito preparata da una riunione di segreteria condotta
da Suslov, che difficile non mettere in relazione con lictus che il giorno dopo avrebbe colpito la storica, la
quale aveva potuto assistere ma non intervenire alla riunione. Pankratova non si sarebbe pi ripresa e sarebbe
morta dopo due mesi. Tutta la vicenda stata rievocata in tempi di perestrojka come esempio del meccanismo
di freno dei cambiamenti messo in atto dopo il XX congresso e soprattutto dopo gli avvenimenti polacchi e
ungheresi: E.M. Gorodeckij, urnal Voprosy istorii v seredine 50-ch godov [La rivista Voprosy istorii alla
met degli anni 50], Voprosy istorii, n. 9, 1989, pp. 69-80; n. 11, 1989, pp. 113-138.
30
Per esempio, aveva definito improrogabile (...) il compito di portare a un livello scientifico lo studio della
storia del nostro partito comunista, ma non aveva fatto menzione della versione pi manipolatoria di tale
storia, internazionalmente nota come il Breve Corso; lintervento di Pankratova compreso in: XX Congresso
del Partito Comunista dellUnione Sovietica. Atti e risoluzioni, Editori Riuniti, Roma 1956, pp. 406-415.
31
Pervaja reakcija..., Voprosy istorii, n. 8, 2006, p. 3.
32
Nella pubblicazione su Voprosy istorii, a questo memorandum di Pankratova seguono lelenco dei
gruppi tematici in base a cui sono raccolte le domande ricevute e, in base a questordine, il testo delle stesse;
nellultimo gruppo (XVII) sono comprese quelle sul taglio e tono delle relazioni di Pankratova e sui suoi perso-
nali contributi al culto di Stalin o a deformazioni nella storia dellURSS.
Andrea Panaccione
40
La questione generale del culto di Stalin si articola subito in una serie di altre que-
stioni: quella ricorrente del Dove erano i membri del Prezidium?
33
mentre tanti crimi-
ni venivano perpetrati, o della responsabilit di tutti coloro che hanno sostenuto que-
sto culto
34
, dellipocrisia di quanti hanno esaltato Stalin da vivo e, prima di scatenare la
lotta con i morti, ne hanno pianto la scomparsa
35
, e pi in generale della responsabili-
t storica del partito
36
e del rapporto tra culto della personalit e monopartitismo
37
; quel-
la del fondamento stesso della categoria del culto come criterio di spiegazione storica,
delle versioni contrastanti a cui pu dare origine la sua indeterminatezza (Stalin come
vittima o come creatore del culto?) e comunque delle sue radici e di quali condizioni
oggettive hanno prodotto il culto della personalit nel socialismo
38
, ovvero se vi sono
stati nella vita sovietica i presupposti storici, dal punto di vista sociale-economico e so-
ciale-psicologico, del fantastico sviluppo del culto della personalit
39
; quelle nelle quali,
secondo il resoconto di Pankratova, si avanza lidea della formazione nel nostro pae se
di un grande strato di burocrazia sovietica e si arriva al punto di mettere in dubbio la so-
stanza socialista della nostra costruzione sociale e statale
40
; quelle, nella cui formulazio-
ne sembra riflettersi una preoccupazione marxista della stessa Pankratova, di un ap-
proccio idealistico nel rapporto, che riconduce tutto alle caratteristiche della personalit
di Stalin, allinfluenza di Berija , ecc. La stessa scarsa consistenza della categoria del cul-
to apre la via a problematiche pi radicali sul partito, sul sistema sovietico.
La questione del come adesso considerare Stalin si specifica anchessa, per coloro
che si pongono sul terreno della critica, da una parte in interrogativi concreti (sul trasfe-
rimento della salma del dittatore dal mausoleo della Piazza Rossa, sul significato dei di-
sordini e degli scontri anche sanguinosi verificatisi in Georgia nel marzo in coinciden-
za con la prima diffusione del rapporto segreto e del terzo anniversario della morte
di Stalin), dallaltra in una riflessione pi profonda sul significato di una vera uscita dal-
lo stalinismo. Su questo piano si va dalle domande su come si arrivati alla redazione
del rapporto, e se esso possa essere considerato il risultato di una vera discussione col-
lettiva, fino allindicazione del rischio dellaffermazione di un nuovo culto, di Chru/v;
si denuncia il pericolo di una degenerazione del partito e dello stato sovietico
41
; si
guarda alle prospettive della democrazia sovietica e di partito sulla base di unade-
sione di principio al sistema ma con una dettagliata elencazione di tutto ci che non
funziona (dalla scelta dei candidati alle elezioni dei soviet al funzionamento degli stes-
33
Pervaja reakcija..., Voprosy istorii, n. 8, 2006, p. 7.
34
Ibid., p. 6.
35
Perch i compagni Molotov e Malenkov, conoscendo la storia del partito, si lamentavano a quel modo
sulla salma di Stalin?, ibid., p. 16
36
Che cosa abbiamo avuto dal 1934 al 1956: una dittatura di classe, del partito del CC o la dittatura militare
di una particolare personalit? Se stata questultima, perch il partito ha taciuto e quale stato il suo ruolo
in questa dittatura?, ibid., p. 8.
37
Non favorisce il culto della personalit il monopartitismo e la fusione quasi totale degli organi del potere
e di quelli di partito?, ibidem.
38
Ibidem.
39
Ibidem.
40
Ibidem.
41
Ibidem.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
41
si e allassicurazione ai deputati di tutti i tipi di pagamenti supplementari in denaro e
in natura)
42
; si chiede la pubblicazione degli elenchi dei membri del partito riabilitati,
la revisione rapida dei materiali dei grandi processi degli anni Trenta, laccessibilit di
quelli sul caso Berija e sulla sua condanna; si indicano questioni di fondo come quella
del rapporto tra il partito e la societ (Se non cambia, si afferma in un appunto senza fir-
ma, il rapporto tra le masse popolari e i dirigenti, cominciando da quelli di livello pi
basso, tutto il resto solo chiacchiera e non ha senso parlare del ruolo creativo del-
le masse)
43
, o quella degli obiettivi e delle misure effettive per realizzare la svolta pro-
clamata dal partito (Se si parla di una svolta di principio, con quali reali misure contro
lonnipotenza di una burocrazia di questo tipo essa si esprime?)
44
.
Data la composizione professionale dei partecipanti alle assemblee normale trovare
molti riferimenti ai diversi nodi della storia dellURSS. Colpisce tuttavia lampiezza delle
questioni che vengono poste, molto al di l di quelle gi numerose sollevate dal rappor-
to di Chru/v, e una volont di scavo che non si limita alla messa in dubbio delle ver-
sioni ufficiali o delle leggende di partito, ma indica una disponibilit a riconsiderazio-
ni pi profonde: sullultimo Lenin, sul testamento e gli altri scritti di cui si sollecita la
pubblicazione; sulle diverse opposizioni a Stalin e la loro eliminazione; sul Breve Corso e
la sua valutazione come enciclopedia del marxismo-leninismo, come esatto e collauda-
to corso di storia del partito
45
; sulle questioni se era giusta la politica estera dellURSS
negli anni precedenti la guerra, se non stato un errore la conclusione del patto con la
Germania nel 1939, se non stata anche colpa nostra la rottura delle trattative con lIn-
ghilterra e la Francia, di come spiegare la guerra con la Finlandia nel 1940, ecc.
46
. In
qualche caso la relatrice esprime la sua disapprovazione e non si sottrae alluso della cate-
goria tipicamente poliziesca degli stati danimo non sani (nezdorovye nastroenija): cos
a proposito di coloro che mettono in dubbio la necessit della liquidazione dei kulaki
come classe nel nostro paese
47
. In altri invece lordine in cui sono presentate le zapiski
sembra volerne accentuare limpatto: le disgrazie e le sofferenze della popolazione del-
la citt nella quale si svolgono le assemblee, riferibili a una serie di eventi gi toccati nel
rapporto di Chru/v, sono evocate in un impressionante rapporto di continuit, dallas-
sassinio di Kirov al 1937-38, dalla situazione di Leningrado fin dallinizio della guerra al
Leningradskoe delo (laffare di Leningrado), lultima purga di partito staliniana che
colpisce un importante gruppo dirigente a livello locale e anche nazionale
48
. Alcune do-
mande riguardano questioni attuali ma radicate profondamente nella storia russa, come
quella dellantisemitismo; altre i trattamenti riservati in sede storiografica e celebrativa
a grandi personaggi della Russia pre-rivoluzionaria, dal pi celebre combattente antizari-
sta del Caucaso, amil, agli zar Ivan e Pietro; alcune la mancata pubblicazione in URSS di
42
Ibid., p. 9.
43
Ibid., p. 8.
44
Ibidem.
45
Ibid., p. 10; le domande sul Breve Corso sono raccolte in un gruppo specifico XIII, Pervaja reakcija..., Vo-
prosy istorii, n. 10, 2006, pp. 12-13.
46
Pervaja reakcija..., Voprosy istorii, n. 8, 2006, p. 9.
47
Ibidem.
48
Ibid., p. 6.
Andrea Panaccione
42
un testo molto importante di Marx sulla Russia, le Revelations of the Diplomatic History
of the 18th Century, apparse sulla stampa britannica tra il 1856 e il 1857
49
. Tutta lultima
parte delle questioni messe in ordine da Pankratova dedicata ai temi dellinsegnamento
della storia e del mestiere di storico nella societ sovietica del tempo.
Le considerazioni della storica sovietica alla fine del suo memorandum, sulla ne-
cessit di sviluppare una campagna di chiarimento sul significato del rapporto e del XX
congresso e di superare le insufficienze del lavoro ideologico e della situazione delle
scienze sociali nel paese, appaiono davvero molto riduttive rispetto allinsieme dei ma-
teriali raccolti e a tutto quello che in essi veniva rimesso in discussione. Per farci unidea
dellimpatto e del coinvolgimento reale dellanziana storica, dovremmo prendere in con-
siderazione in modo approfondito le vicende drammatiche dellultimo anno di vita di
Pankratova
50
. Per la nostra ricostruzione pu comunque essere sufficiente il repertorio
dei dubbi, dei sospetti, delle accuse, di fronte a cui il potere sovietico veniva posto da
questa relazione di servizio.
1956: Polonia, Ungheria e dintorni
La continuit tra i movimenti del 1953 e quelli del 1956 in Polonia e in Ungheria, dalla
rivolta di Poznn alla fine di giugno allaggravarsi del conflitto sociale in Ungheria du-
rante lestate alle crisi polacca e ungherese nellottobre e ai loro diversi esiti
51
, data pri-
ma di tutto dalla conferma sostanziale del modello staliniano nelle sue caratteristiche
pi generali riguardanti il monopolio del potere, il rapporto tra il potere e la societ, le
forme di controllo su di questa, e quindi di una frattura profonda fra alcuni regimi che
si dichiaravano socialisti e vasti settori della popolazione, tra i quali gli operai svolgono
un ruolo di primo piano. Il movimento che a Poznn si svilupper in una aperta rivol-
ta, con assalti agli edifici pubblici, comprese le prigioni, e che sar represso dallesercito
con molte decine di morti e centinaia di arresti, parte da uno sciopero alla fabbrica di lo-
comotive Stalin e dalladesione ad esso delle altre fabbriche della citt
52
. Il movimento in
Ungheria non solo vedr la formazione di organi di autogoverno e di consigli operai in
tutte le principali fabbriche del paese, ma avr nei consigli operai la forza protagonista,
49
Cfr. la traduzione italiana, Storia diplomatica segreta del 18 secolo, La Pietra, Milano 1978. In URSS questo
testo sarebbe stato pubblicato solo nel 1989 sulla rivista Voprosy istorii.
50
Cfr. nota 29.
51
Per le premesse e gli sviluppi della rivoluzione ungherese, insieme alla documentazione archivistica ampia-
mente utilizzata nella pi recente storiografia, va segnalata limportante raccolta, dovuta alla collaborazione di
storici e archivisti russi e ungheresi, Sovetskij Sojuz i vengerskij krizis. Dokumenty [LUnione sovietica e la crisi
ungherese. Documenti], ROSSPEN, Moskva 1998, che contiene un ricco materiale informativo in particolare per
quanto riguarda le riunioni dei dirigenti sovietici e ungheresi, le missioni in Ungheria di alti dignitari del Prezi-
dium dellURSS, i rapporti a Mosca del giovane e intelligente ambasciatore sovietico a Budapest Jurij Andropov.
La pi ampia storia documentaria quella C. Bks, M. Byrne e J.M. Rainer (a cura di), The 1956 Hungarian
Revolution: A History in Documents, Central european university press, Budapest 2002.
52
La caratterizzazione operaia della rivolta sottolineata anche dalla pi recente storiografia polacca: Fra
i circa 250 arrestati, 196 erano operai (A. Paczkowski, The Spring Will Be Ours: Poland and the Poles from
Occupation to Freedom, University Park, Pennsylvania State UP 2003, p. 273).
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
43
per oltre un mese, della resistenza e del tentativo di esercitare un contropotere rispetto
al governo Kdr imposto da Mosca. Senza nessun intento di semplificare la variet del-
la composizione sociale di quel movimento, come i caratteri spontanei, improvvisati, im-
prevedibili dei comportamenti di massa di quei giorni, non pu essere trascurata la rap-
presentativit e la circolazione di una piattaforma come quella elaborata dallassemblea
dei consigli operai di Budapest il 31 ottobre:
1. La fabbrica appartiene agli operai. Questi pagheranno allo stato una tassa calcolata sulla
base della produzione e una parte dei profitti. 2. Lorgano supremo di controllo della fabbrica
il consiglio operaio, eletto democraticamente dai lavoratori. 3. Il consiglio operaio elegge il
proprio comitato esecutivo, composto da 3 a 9 membri, che agisce come organo esecutivo del
consiglio operaio, mettendo in atto le decisioni e i compiti stabiliti da questo. 4. Il direttore
assunto dalla fabbrica. Il direttore e gli impiegati del pi alto livello devono essere eletti dal
comitato esecutivo. 5. La direzione responsabile di fronte al consiglio di fabbrica per ogni
questione che riguarda la fabbrica. 6. Il consiglio operaio si riserva tutti i diritti di: a) appro-
vare e ratificare tutti gli atti che riguardano limpresa; b) decidere i livelli salariali di base e i
metodi per determinarli; c) decidere tutte le questioni riguardanti i contratti con lesterno. 7.
Allo stesso modo il consiglio operaio risolve tutti i conflitti riguardanti lassunzione e il licen-
ziamento di tutti i lavoratori dellimpresa. 8. Il consiglio operaio ha il diritto di esaminare il
bilancio e di decidere sullutilizzazione dei profitti. 9. Il consiglio operaio responsabile per
tutte le questioni sociali allinterno dellimpresa
53
.
Certo la frattura tra i regimi socialisti e gli operai era anche una frattura interna ai se-
condi, tra una classe operaia di massa, la cui composizione era certamente sovradeter-
minata dagli sconvolgimenti politici e dai cambiamenti di posizione sociale che avevano
caratterizzato la storia delle democrazie popolari, e una classe operaia di lite che, sul-
la base degli stessi sconvolgimenti, si era in gran parte trasformata in un ceto di dirigenti
politici e amministrativi. Queste profonde trasformazioni della classe operaia unghe-
rese erano rapidamente ma efficacemente indicate, a ridosso dellesplosione rivoluziona-
ria e della sua repressione, da Franois Fejto, nella Conclusione scritta per la traduzione
italiana della sua opera apparsa poco prima in Francia su La tragdie hongroise:
... la classe operaia ungherese ha subito durante gli ultimi anni e in conseguenza dellindustria-
lizzazione a oltranza, profonde trasformazioni. Gli effettivi operai sono pressoch raddoppiati
rispetto al 1938, grazie allintegrazione nellindustria di centinaia di migliaia di contadini e
di numerosissimi artigiani, piccoli borghesi e perfino piccoli borghesi impoveriti. Questi ele-
menti hanno portato nuovo sangue al proletariato industriale, ma al tempo stesso lo avrebbero
contaminato con le loro idee tradizionaliste; e il regime non aveva n il tempo n i mezzi per
rieducarli e inquadrarli. Linquadramento delle reclute dellindustria era tanto pi manchevo-
le in quanto il partito aveva utilizzato decine di migliaia di operai tra i pi fedeli per formare
i quadri dellamministrazione politica ed economica. E se vero che questi quadri operai
chiamati a occupare posti di responsabilit spesso senza preparazione, erano diventati i pi
53
La piattaforma riportata in A. Panaccione, Il 1956, cit., pp. 112-113; da B. Lomax, Hungary 1956, Lon-
don 1976, pp. 140-141.
Andrea Panaccione
44
zelanti difensori del regime, daltra parte innegabile che essi si erano in tal modo staccati
dalla classe operaia e avevano acquisito una mentalit tipicamente padronale
54
.
In ogni caso quelle rivolte operaie costituivano un fattore di radicale delegittimazione
per dei gruppi dirigenti che in nome della classe operaia erano andati al potere.
La crisi del 1956 si concentrava nelle due situazioni nazionali nelle quali maggior-
mente sembravano aprirsi gli spazi di un cambiamento politico. Gli esiti diversi dei due
processi (un comunismo nazionale contrattato con la potenza dominante, come quello
di Gomulka, che segnava per anche una linea di confine che non poteva essere supe-
rata; un vero movimento rivoluzionario, come quello ungherese, che, nelle condizioni
dellepoca, non poteva che essere il preludio di una repressione violenta e di una lun-
ga normalizzazione, gestita comunque con riconosciuta abilit dal principale responsa-
bile nazionale della repressione stessa) rinviavano a fattori specifici come la collocazio-
ne geopolitica dei due paesi o la diversa situazione dei due partiti al potere (tenuto sotto
controllo da Gomulka quello polacco, irrimediabilmente spaccato quello ungherese). Il
fatto che la crisi non si generalizzasse agli altri paesi del blocco indicava che molte car-
te potevano essere ancora giocate (da una pi forte caratterizzazione nazionale di alcu-
ni regimi alla repressione, alle concessioni economiche e alla riduzione delle prestazioni
imposte ai lavoratori) per garantire una stabilit e una durata a quel sistema di potere: la
capacit di impedire il contagio delle proteste e manifestazioni di intellettuali e soprat-
tutto di studenti agli ambienti operai si confermava nella primavera del 1956 come una
vera specialit del regime cecoslovacco, e lo sarebbe stata ancora per diversi anni
55
; il ri-
corso a forme di repressione sempre pi selettive e giocate sui conflitti etnici e sul fat-
tore nazionale avrebbe caratterizzato le reazioni rumene agli avvenimenti ungheresi
56
; il
controllo e lemarginazione delle prime forme di potenziale dissenso sarebbero diventa-
ti una priorit del gruppo dirigente sovietico
57
.
Gli avvenimenti polacchi e ungheresi del 1956 confermano, in conclusione, il quadro
di una crisi generale che non solo quella del modello tardo-staliniano in quanto tale,
ma dei caratteri specifici della sua imposizione/generalizzazione nella seconda fase del-
le cosiddette democrazie popolari, quella fase che dal 1947-48, dopo la costituzione del
Cominform e poi la rottura con gli jugoslavi, aveva messo in atto una netta inversione
di tendenza rispetto ad alcune caratteristiche (la politica di fronte popolare, la riforma
54
Ungheria 1945-1957, Prefazione di J.-P. Sartre, Einaudi, Torino 1957, p. 399; edizione originale: Pierre
Horay, Paris 1956.
55
Sul movimento studentesco in Cecoslovacchia, che si inserisce nelle tradizionali manifestazioni goliardiche
del mese di maggio ed esprime la sua carica dissacrante anche nellincoronare come re e regina della parata il
marxismo e la lingua russa, cfr. J.P.C. Matthews, Majales: The Abortive Student Revolution in Czechoslowakia in
1956, Cold War International History Project, Working Paper n. 24, September 1998, www.wilsoncenter.org.
56
Cfr. S. Bottoni, Limpatto della rivoluzione del 1956 sulla Romania negli archivi della polizia politica, Studi
Storici, 1, 2006, pp. 283-307.
57
Le sedute del Presidio del PCUS del 29 novembre 1956 e del 6 dicembre 1956 hanno allordine del giorno
la repressione delle sortite degli elementi antisovietici e ostili riferendosi a interventi e opere di noti scrittori
come Simonov, Dudincev e altri: cfr. Prezidium CK KPSS. Protokolnye zapisi i stenogrammi zasedanij 1954-1964
[Il Presidio del CC del PCUS. Note verbali e stenogrammi delle sedute 1954-1964], Rosspen, Moskva 2003, vol.
1, pp. 211-213.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
45
agraria, la salvaguardia delle particolarit nazionali) degli anni pur difficili e conflittuali
dellimmediato dopoguerra, nei quali la stessa prospettiva geopolitica staliniana di con-
trollo dellEuropa centro-orientale aveva seguito vie diverse nei diversi paesi (dai casi di
Polonia e Germania orientale a quelli di Ungheria e Cecoslovacchia). Il contrasto tra i
due periodi sar una chiave importante per la comprensione della crisi del 1956, che nel-
le situazioni topiche vede il ritorno al potere di personaggi legati ai temi forti della pri-
ma fase: Gomulka in Polonia per limportanza dellelemento nazionale, Nagy in Un-
gheria per la politica frontista e di riforma agraria. In un movimento pi radicale e pi
lungo, come quello ungherese, avrebbero avuto il tempo di consumarsi i tentativi di re-
cupero di momenti precedenti della storia sociale e politica del comunismo: il consilia-
rismo, il frontismo, il bucharinismo, le esperienze di nuova democrazia dellimmediato
secondo dopoguerra. Ma gli elementi di autonomia operaia e le forme di lotta rivoluzio-
narie presenti in quel movimento ne avrebbero reso scomoda e controversa la memoria
anche dopo la fine del regime contro il quale si era battuto e la sistemazione celebrativa
del 1956 come lotta per la libert.
Nella storia del socialismo reale il 1956 ha indicato la prima grande crisi di quel
modello di societ. stato sia un punto darrivo che di partenza. Non stato per la pre-
figurazione di una catastrofe inevitabile, non riducibile a semplice premessa del 1989,
se non altro perch si trattato di una crisi situata in un contesto storico molto diver-
so e animata da idee e aspirazioni di riforme nazionali e sociali che saranno invece qua-
si del tutto marginalizzate nel 1989. Saranno diverse anche la composizione dei movi-
menti e le forme di azione. Sar diverso soprattutto il livello di logoramento dei diversi
regimi politici, tanto da generare parecchi dubbi sul fatto che nel 1989 si possa parlare
di rivoluzioni: a parte alcuni importanti contributi storiografici che hanno preferito far
ricorso a termini come implosione o bancarotta, la questione se ci sia stata o meno
una rivoluzione, della quale ciascuno ha ricordi molto confusi e improbabili, il moti-
vo dominante di un riuscito film romeno del 2006, A est di Bucarest. Proprio in Unghe-
ria si arrivati perfino a rimpiangere che non ci sia stata nel 1989 una vera rivoluzione
come quella del 1956:
Nellottobre del 2006, durante i disordini a Budapest, rimasero feriti centocinquanta mani-
festanti assai di pi rispetto alla rivoluzione di velluto del 1989. Uno studente universita-
rio disse al corrispondente del New York Times: Dovremmo imparare dallo spirito del 56.
Dovremmo portare a termine ci che stato iniziato nel 1956, poich nel 1989 non ci fu un
cambiamento davvero completo.
Ci a cui probabilmente pensava quel ragazzo era un contratto sociale allinsegna della solida-
riet, che renda il diritto alla vita e alla libert inalienabile, e la ricerca della felicit (materiale)
possibile
58
.
Il 1956 conclude una prima epoca di rivolte contro un sistema sociale gi gravato dal
peso di molti errori e crimini, ma che non mostra ancora i segni di un invecchiamento
che anche i fallimenti di quellanno, le stesse delusioni della destalinizzazione, renderan-
no irreversibile.
58
C. Pleshakov, Berlino 1989: la caduta del muro, Corbaccio, Milano 2009, pp. 209-300.
Andrea Panaccione
46
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47
IL DISSENSO IN URSS (1953-1991)
Marco Clementi
Il dissenso segn la parte conclusiva della storia sovietica e nellesperienza europea pu
essere considerato un fenomeno anomalo per alcune peculiarit: innanzitutto, pur svi-
luppandosi prevalentemente in ambito politico, nacque in ambiente letterario e assunse
connotazioni politiche solo in seguito ad alcuni precisi avvenimenti. Non si tratt di una
manifestazione organizzata, n omogenea, in quanto al suo interno troviamo una com-
plessa congerie di elementi, uniti dal comune desiderio di ottenere il rispetto dei diritti
civili da parte del regime comunista attraverso metodi legali e non violenti. Nonostante
abbia assunto elementi distintivi prevalentemente politici, furono redatti solo embrioni
di programmi alternativi a quello del Partito comunista sovietico, mentre, con pochis-
sime eccezioni, manc lattivit di partiti clandestini. Le forme di lotta furono sempre
chiare e palesi e le riviste, i libri e i saggi che furono pubblicati a cura dei dissidenti e
concorsero a formare un unico e vasto campo di informazione alternativa a quella uffi-
ciale, furono quasi sempre firmati dai loro estensori. Per usare le parole di Tatjana Cho-
dorovi/, una rappresentante del dissenso moscovita, gli attivisti per i diritti civili cono-
scevano solo una legge, quella della coscienza, il naturale sentimento di solidariet verso
i perseguitati ingiustamente, il rispetto della persona umana, della sua libert di spirito e
della verit, ossia di quei diritti sanciti anche dalla Costituzione sovietica e dai documen-
ti internazionali firmati da Mosca quali la Dichiarazione universale dei diritti delluomo
del 1948 o lAtto finale della Conferenza di Helsinki del 1975. A queste istanze, che si
possono definire generali, se ne affiancarono altre, precipue del contesto sovietico, come
la richiesta dello svolgimento dei processi penali a porte aperte, il rispetto delle mino-
ranze nazionali e sociali (per esempio, gli invalidi) o la non ingerenza dello Stato e del
governo in questioni appartenenti alla sfera privata dellindividuo come le inclinazioni
sessuali o la fede religiosa.
Cercando dei sinonimi, o delle locuzioni adatte a sintetizzare il fenomeno, si deve ri-
nunciare a definire il dissenso come opposizione democratica, se non in senso molto
lato: al suo interno, infatti, troviamo ideali laici e democratici, ma anche tendenze con-
fessionali, nazionalistiche e, in singoli casi, addirittura fasciste o naziste. Lespressione
Marco Clementi
48
russa usata per definire i dissidenti inakomyslja/ie coloro che pensano in modo di-
verso ; essa per non definisce in modo pieno la loro attivit: i dissidenti non si limita-
rono a pensare, ma cercarono di agire, giungendo a ipotizzare e in alcuni casi a praticare
unesistenza parallela a quella ufficiale.
Quando si studia il dissenso luso del termine movimento, se riferito al fenomeno, va
inteso in senso lato. Un movimento, per essere definito tale, deve soddisfare alcune pe-
culiarit: avere una chiara coscienza di s, autodefinirsi, distinguere chiaramente i pro-
pri obiettivi e il proprio antagonista. In linea di massima, queste tre caratteristiche man-
carono. Per chiarire il campo dindagine Aleksandr Daniel ha preferito a movimento
lespressione attivit di dissenso o la formula dissidentskij potok, corrente, o fiumana del
dissenso. Entrambe le espressioni sono preferibili a quella di movimento: il dissenso fu
una corrente ideale formata da persone che svolsero unattivit concreta al fine di difen-
dere i diritti civili e delluomo, denunciando le violazioni e chiedendo al governo mo-
difiche adeguate della legislazione, pur in presenza di marcate differenze politiche. An-
drej Amalrik stil un elenco dei gruppi nei quali si divideva, contandone quattro: uno
marxista, uno democratico liberale, uno nazionalista e uno neoslavofilo. Si tratta di una
divisione imperfetta, ma indicativa, perch manc una vera militanza, se si escludono i
pochissimi gruppi organizzati come il Partito cristiano sociale, che ebbe vita effimera, i
marxisti Comunardi, i sindacalisti di Smot, i pochi di Perspektiva e i nazionalisti ucrai-
ni e lituani. In senso pi ampio si pu affermare che appartennero al dissenso coloro
che dal 1953 al 1991 si definirono dissidenti, oppure non respinsero per s questa deno-
minazione, qualora assegnata da terzi, ovvero subirono repressioni dirette a causa del-
le loro convinzioni o per unazione legata alle stesse (per esempio, la partecipazione a
una manifestazione informale, la diffusione di materiale edito in proprio samizdat o
allestero tamizdat , la partecipazione a gruppi informali). Non andrebbe invece con-
siderato come dissidente un artista informale che non abbia partecipato coscientemen-
te alla fiumana o non abbia subito un processo per le sue convinzioni o per azioni a que-
ste legate.
Questo ragionamento ne introduce un altro, che porta a distinguere lessere dissiden-
te dal vivere da dissidente. Intorno ai nomi pi noti del dissenso letterario, artistico e po-
litico, infatti, ruotava una massa variabile e imponderabile di persone che vivendo in un
determinato modo tenevano atteggiamenti da dissidenti. Tali si manifestavano nelle for-
me di esistenza allinterno delle maglie della societ conformista, dove trovavano ricove-
ro e riparo. Questi soggetti, spesso non lavoravano ufficialmente (in URSS fu promulgata
una legge sul cosiddetto parassitismo, con la quale si colp anche il futuro premio Nobel
per la letteratura Josif Brodskij) e conducevano unesistenza parallela a quella ufficiale.
Questa forma di vita cre dei canoni, ossia un certo tipo di conformismo da dissidente; in
termini economici, costoro non partecipavano attivamente alla creazione della ricchezza
del paese e le loro attivit erano economicamente improduttive. Ci fu possibile grazie
alla produzione di una quantit di plusvalore tale da permettere, in Unione Sovietica (e
in altri paesi dove si registr lo stesso fenomeno), una ridistribuzione della ricchezza in
grado di premiare sia i produttori che i dissidenti (o, se si preferisce, coloro che viveva-
no secondo dei canoni dissidenti). Dunque, accanto alla produzione di idee e agli ampi
dibattiti che oggi possiamo documentare per effetto del lavoro di molti attivisti, esisti-
ta una schiera di persone che si ricavata allinterno del regime socialista uno spazio nel
Il dissenso in URSS (1953-1991)
49
quale si muoveva vivendo da dissidente, ossia riproducendo in maniera diffusa, ma sin-
golarmente, la problematica della realizzazione del proprio io nella societ, vivendo se-
condo quellindividualismo che il regime cercava di eliminare anche attraverso una ri-
partizione egualitaria del prodotto interno. Il tema accattivante e le ricerche in questa
direzione sono state appena avviate.
Periodizzazione
Non possibile indicare con precisione una data di inizio del fenomeno del dissenso, in
quanto esso ha avuto una lunga gestazione e si manifestato nelle forme che lo avrebbe-
ro caratterizzato storicamente nel corso di unevoluzione durata alcuni anni: diversi stu-
diosi indicano il 1969, anno della costituzione del primo gruppo informale, il Gruppo
di iniziativa per la difesa dei diritti civili nellURSS
1
, altri il 1965, lanno dellarresto degli
scrittori Julij Daniel e Andrej Sinjavskij. Non azzardato fissare come termine a quo il
1953, lanno della morte di Stalin e della pubblicazione di un importante articolo di cri-
tica letteraria sulla rivista Novyj Mir a cura di Vladimir Pomerancev, intitolato Del-
la sincerit in letteratura. Esso apr una discussione sulla libert di creazione e costitu
il punto di partenza da cui si svilupp la riflessione allinterno dellintelligencija sovie-
tica, che ebbe come esito la fiumana del dissenso. Il limite estremo pu essere indicato
nel 1991, anno della promulgazione della legge sulla riabilitazione delle vittime delle re-
pressioni politiche. I 38 anni che separano le due date possono essere divisi in 6 periodi.
Il primo comincia nella primavera del 1953 e termina nel 1964. In tale lasso di tempo si
denunci il culto della personalit di Stalin dalle tribune di due Congressi del PCUS (XX
e XXII), esplose la voglia di libert creativa da parte della giovent moscovita, cominci
il fenomeno delleditoria clandestina il samizdat e, infine, il successore di Stalin, Ni-
kita Chru/v fu allontanato dal suo posto di segretario generale.
Secondo periodo (1965-1967): nel 1965 due letterati semisconosciuti, Julij Daniel e
Andrej Sinjavskij, furono processati a causa delle loro composizioni letterarie. Ci diede
origine a una serie di manifestazioni di protesta e a nuovi arresti e alla fine del 1967 mol-
ti intellettuali decisero di impegnarsi in una lotta per laffermazione del diritto, la fine
dellarbitrio e la resistenza contro i tentativi di riabilitazione di Stalin. grazie al caso
Sinjavskij- Daniel che il dissenso prese coscienza di s.
Terzo periodo (1968-1972): il 1968, proclamato dalle Nazioni Unite lanno dei dirit-
ti umani, fu un anno intenso in Unione Sovietica. In generale, furono anni di crescita del
movimento, finch nel 1972 le autorit non decisero di reprimerlo con forza.
Quarto periodo (1973-1974): furono anni di crisi e di riflusso, sebbene non mancas-
sero iniziative, peraltro isolate, quali la fondazione del Gruppo 73 o lapertura della se-
zione russa di Amnesty International.
Quinto periodo (1975-1982): dopo la firma dellatto finale della Conferenza di Hel-
1
Vi presero parte Tatjana Velikanova, Aleksandr Lavut, Grigorij Podjapolskij, Tatjana Chodorovi/, Ana-
tolij Levitin-Krasnov, Mustafa Demilev, Anatolij Jakobson, Natalja Gorbanevskaja, Sergej Kovalv, Viktor
Krasin, Jurij Malcev, Petr Jakir, Vladimir Borisov, Genrich Altunjan e Leonid Plju/.
Marco Clementi
50
sinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, nacque il Gruppo Helsinki, con se-
zioni in diverse Repubbliche sovietiche, che chiese lapplicazione dei principi firmati in
Finlandia. Nel 1975 il fisico Andrej Sacharov ricevette il premio Nobel per la pace. La
repressione si inaspr nuovamente e si registrarono a partire dal 1976 moltissimi arresti.
Nel 1982 il Gruppo Helsinki russo sospese ufficialmente la propria attivit, mentre qua-
si tutti i dissidenti erano ormai in carcere o in esilio.
Sesto periodo (1983-1991): in questi anni si registr un ulteriore riflusso nella societ
e il ritorno delliniziativa riformatrice nelle mani del PCUS attraverso lelezione di Michail
Gorba/v a primo segretario del Comitato centrale. Le sue riforme condussero alla li-
berazione di tutti i prigionieri di coscienza e, infine, alla promulgazione di una legge per
la riabilitazione, ma il suo progetto generale si concluse con la dissoluzione dellUnio-
ne Sovietica.
Temi
La prima ampia discussione allinterno della societ civile sovietica (che in questa fase
si identifica con lintelligencija) ebbe come punto centrale la libert di creazione e di
espressione. Si detto che lo stimolo era venuto dallarticolo di Pomerancev, ma poi il
tema si allarg. In seguito al rifiuto delle autorit di far pubblicare in patria il romanzo
di Boris Pasternak Dottor ivago nel 1957, allarresto e condanna di Josif Brodskij per
parassitismo (1964) e quindi di Sinjavskij e Daniel, accusati di aver pubblicato alleste-
ro scritti antisovietici nascondendosi dietro agli pseudonimi di Abram Terc e Nikolaj
Arak (1965), ci si rese conto che la libert di espressione coincideva con tutte le altre
e che un paese sprovvisto della prima, conseguentemente non poteva rispettare i dirit-
ti civili. Accanto ai giovani poeti informali moscoviti, che negli anni Cinquanta avevano
organizzato incontri informali, riviste autogestite come Sintaksis e Feniks, dando
sviluppo al fenomeno del samizdat, e gruppi letterari come Smog, una parte dellintelli-
gencija gi strutturata allinterno del sistema colse nelle repressioni contro gli scrittori il
rischio di un ritorno al passato staliniano e decise di chiedere in modo aperto il rispetto
di tutti i diritti civili. Per iniziativa di Aleksandr Esenin-Volpin figlio del poeta Sergej
Esenin e letterato a sua volta si richiese per Sinjavskij e Daniel lo svolgimento di un
processo pubblico. Da quel momento si registrarono manifestazioni di protesta in occa-
sione di importanti avvenimenti, come per esempio loccupazione della Cecoslovacchia
nel 1968, il divieto di svolgere mostre informali o la chiusura di riviste autogestite. Ai
primi documenti sottoscritti dai dissidenti in forma di appelli alla pubblica opinione in-
ternazionale, alle Nazioni Unite o allo stesso governo dellURSS, seguirono pubblicazioni
periodiche, come la Cronaca degli avvenimenti correnti, nata nel 1968 allo scopo di
raccogliere tutte le notizie riguardanti il dissenso e le persecuzioni subite dagli attivisti.
Furono diffusi anche importanti pamphlet come le Considerazioni sul progresso, la coesi-
stenza pacifica e la libert intellettuale di Andrej Sacharov, noto con il nome di Trattato o
il libello di Andrej Amalrik Sopravviver lUnione Sovietica fino al 1984?
In seguito allintensificarsi degli arresti il mondo del dissenso cominci a interrogar-
si anche sui diritti dei prigionieri di coscienza e, di conseguenza, sulla vita allinterno dei
campi di lavoro, compreso il regime alimentare e il diritto dei reclusi a ricevere pacchi o
Il dissenso in URSS (1953-1991)
51
incontrarsi con i propri cari. Allo scopo di assistere i prigionieri, nel 1974, dopo lespul-
sione di Aleksandr Solenicyn dallURSS, fu fondato a Mosca il Fondo sociale russo (Rus-
skij ob/estvennyj fond), detto anche Fondo Solenicyn. Se ne occuparono, tra molte
difficolt, diversi dissidenti e venne finanziato attraverso sottoscrizioni e con i proventi
mondiali dei diritti sulle vendite del libro Arcipelago GULag.
Non tutti i dissidenti arrestati furono processati e condannati ai lavori forzati. Alcu-
ni, come il generale in pensione Ptr Grigorenko, il matematico Leonid Plju/ o Vla-
dimir Bukovskij, vennero rinchiusi in ospedali psichiatrici speciali gestiti dagli uomini
dei servizi, dove subirono la somministrazione indiscriminata di sostanze psicotrope. La
protesta contro luso distorto della psichiatria si manifest dapprima con la denuncia dei
singoli episodi, quindi con la pubblicazione dei risultati di uninchiesta raccolta in un
Libro bianco, infine con la formazione di una Commissione per la psichiatria, nella qua-
le lavorarono Irina Kaplun, Aleksandr Podrabinek, Feliks Serebrov, Vja/eslav Bachmin,
Leonard Ternovskij, S.V. Kallistratova, Aleksandr Voloanovi/, e Anatolij Korjagin.
Nel pi ampio contesto della violazione dei diritti civili da parte del regime sovieti-
co, alcuni dissidenti si impegnarono in particolare per il rispetto di quelli religiosi e la li-
bert di fede. Tra essi, Gleb Jakunin, Anatolij Levitin-Krasnov e padre Aleksandr Men.
Si ebbero anche iniziative da parte di alcune comunit religiose come i battisti, gli aven-
tisti del settimo giorno, i pentacostali o i cattolici lituani. In tali casi le istanze riguarda-
vano le specifiche comunit, con leccezione dei cattolici lituani, dove la disputa per laf-
fermazione della fede rappresent un capitolo della pi ampia lotta per laffermazione
dellindipendenza nazionale. La Chiesa ortodossa ufficiale russa attravers diverse fasi
nei rapporti con il regime e in alcuni casi si registrarono dei contrasti al suo interno, o
con alcune comunit ortodosse dissenzienti come gli iosifliani; questi formavano il grup-
po pi numeroso, sorto nel contesto del movimento dei nepominaju/ie (non commemo-
ranti) formatosi nel 1927 dopo la sottomissione del patriarcato al potere politico.
Accanto ai diritti dei singoli e dei credenti, il dissenso difese anche alcune comuni-
t, unite da vincoli etnici. In particolare, si tratt di popolazioni deportate dai luoghi di
origine nel corso della Seconda guerra mondiale, perch accusate di collaborazionismo
ed escluse dal processo di riabilitazione seguito alla morte di Stalin, quando si permi-
se il ritorno nella patria di origine a molte di loro. La comunit pi numerosa era com-
posta dai Tartari di Crimea, che lottarono fino alla fine degli anni Ottanta per ottenere
il permesso di rientrare sulle coste del Mar Nero (Mustafa Demilev fu il loro maggio-
re rappresentante); una seconda comunit che si impegn nella difesa dei propri diritti
fu quella dei Mecheti, una popolazione di origine turca che viveva nel sud della Geor-
gia dalla fine del XVI secolo.
Oltre ai popoli deportati, fu importante il movimento degli ebrei sovietici per lemi-
grazione in Israele, che ebbe i suoi momenti di maggiore attrito con il potere nel corso
degli anni Settanta e fin per identificarsi con gli otkazniki (o refuzniki), ossia coloro che
avevano richiesto, senza ottenerlo, il permesso di emigrare. Tra i maggiori attivisti si ri-
corda Anatolij (Natan) /aranskij, un matematico arrestato e processato nel 1977 con
laccusa di tradimento della patria, quindi liberato dopo alcuni anni, emigrato e in segui-
to divenuto un importante politico israeliano.
Marco Clementi
52
Epilogo
Dopo il fallimento del colpo di Stato tentato nellestate del 1991 da alcuni membri di
primo piano del regime sovietico, il governo russo promulg nellottobre di quello stes-
so anno una legge per la riabilitazione dei prigionieri politici, in vigore ancora oggi nel-
la Federazione Russa. Secondo quanto vi si legge, si devono intendere per repressio-
ni politiche le coercizioni, subite dai cittadini per motivi politici, che hanno condotto
alla perdita della vita, alla privazione della libert, al ricovero coatto in un ospedale psi-
chiatrico, alla deportazione fuori dei confini del paese e alla conseguente privazione del-
la cittadinanza, alla deportazione di massa dai luoghi di origine, al lavoro obbligatorio o
alla deportazione in luoghi speciali.
Le norme riguardano i cittadini della Federazione Russa, quelli delle Repubbliche
ex sovietiche e i cittadini stranieri o apolidi repressi per motivi politici nel territorio del-
la Repubblica federativa russa a partire dal 7 novembre 1917. Il punto 2.1 indica chi,
accanto alle vittime dirette, si pu ritenere a sua volta in diritto di appellarsi alla legge:
i bambini che si sono trovati con i genitori in luoghi di pena o di esilio, gli orfani di ge-
nitori uccisi durante la loro minore et, i familiari pi stretti di persone fucilate o dece-
dute nei luoghi di pena e riabilitati dopo la morte. Per quanto riguarda il compenso per
le sofferenze subite, larticolo rimanda a ulteriori decisioni delle amministrazioni fede-
rali locali.
In base alla legge, possono chiedere la riabilitazione i condannati ai lavori forzati o al
carcere per decisione degli organi della polizia politica, della procura, delle cosiddette
trojke e dvojke e altri organi similari, oppure coloro che sono stati rinchiusi in ospedali
psichiatrici, inviati al confino o deportati. Larticolo 4, per, pone una grave limitazione
alle premesse contenute nella legge, in quanto afferma che non ci si pu appellare alla
norma se la condanna sia stata emanata per fondati motivi (obosnovanno). Questo arti-
colo, che serve a escludere dalla riabilitazione chi si sia macchiato di reati quali lo spio-
naggio, il terrorismo e lomicidio, determina che il fondamento di una pena sia deciso
di volta in volta dal giudice naturale e non stabilito in un modo generale valido per tut-
ti. Lunica eccezione (art. 5) costituita dalle condanne comminate in base agli artico-
li riguardanti i reati di coscienza, ossia il 70 e il 190 (limitazione della libert di espres-
sione e manifestazione), nonch il 142 e il 227 (riguardanti la libert di culto), condanne
che sono sempre ritenute infondate dalla nuova legge. Gli articoli successivi riguarda-
no le modalit della presentazione della domanda di riabilitazione e le conseguenze del-
la stessa, ossia la piena riabilitazione civile, il recupero dei beni eventualmente confiscati
e dellabitazione (se perduta), oltre al ricevimento di una compensazione monetaria non
inferiore a 100 salari minimi stabiliti per legge, pi una serie di facilitazioni riguardanti
aspetti diversi della vita sociale, come un periodo di vacanza a spese dello Stato, un cer-
to quantitativo mensile di prodotti alimentari o il pagamento delle spese per la ristruttu-
razione della casa. Non pu essere per reclamata la terra nazionalizzata dopo la rivolu-
zione, cos come tutte le propriet nazionalizzate o municipalizzate, o distrutte durante
la guerra civile e la Seconda guerra mondiale.
La legge ha scontentato molti attivisti per la mancata condanna politica delle repres-
sioni, intese come singoli crimini e non come una qualit intrinseca al totalitarismo, ma
alcuni elementi vanno incontro alle richieste dei dissidenti. Anzitutto, la norma pone
Il dissenso in URSS (1953-1991)
53
un termine a quo per linizio delle repressioni illegali: il 7 novembre 1917, ossia il primo
giorno del regime bolscevico. In secondo luogo, stabilito che la repressione politica co-
stitu per il regime un importante strumento di lotta contro il dissenso. Se la condizione
di condanna fondata o meno limita la valenza della legge, essa sanziona comunque lo
Stato per le condanne ingiuste. Dato lalto numero di persone arrestate senza aver vio-
lato la legge, se ne deduce che fu il governo sovietico a compiere azioni criminose con-
tro i suoi cittadini, sebbene non lo si dica chiaramente. Per alcuni casi, inoltre, sotto-
lineato che, al fine di munirsi di strumenti repressivi, quello stesso governo eman leggi
che violavano i diritti delluomo e che ci avvenne dal momento della sua fondazione.
Tutto ci positivo.
Esiste un aspetto importante che pu spiegare la mancanza di una decisa condanna
del passato. La legge del 1991 rientra in un contesto di riforma dello Stato e non il ri-
sultato di un nuovo patto sociale. Come ha notato Aleksandr Daniel, infatti, n in Ger-
mania dopo la fine del nazismo, n in Russia dopo la fine dellimpero zarista, fu promul-
gata una legge analoga, perch i governi che seguirono quei regimi vennero costituiti
nellambito di nuovi contesti statali: le vecchie istituzioni crollarono e furono sostitui-
te da nuove. Nella Federazione Russa, invece, ci non accaduto: si continuato a vi-
vere allinterno dello stesso Stato, sebbene riformato rispetto al passato sovietico. In al-
tre parole, la legge afferma che, dal momento della sua promulgazione, quello Stato,
che in passato ha violato le sue stesse leggi e i principali diritti delluomo, si impegna a
non ripetere larbitrio e ad accettare la convivenza civile. In altre parole, la norma rien-
tra nella stessa logica delle amnistie sovietiche dei decenni precedenti, sebbene rispet-
to a queste la riabilitazione sia divenuta, da individuale, di massa. Luso del terrore, del
resto, non definito dalla legge come un crimine, n sono individuati dei responsabili;
nel testo della legge non sono indicate persone, organizzazioni o istanze contro le qua-
li prevista la possibilit di ricorrere in giudizio, costituendosi parte civile. In questo
modo, per dirla con Irina Flige, le repressioni di massa ci sono state, ma non ci sono sta-
ti i crimini contro la legalit. Un ultimo punto deve essere analizzato e riguarda il termi-
ne obosnovanno. Esso ha sostituito la parola nezakonno illegalmente usata nelle pre-
cedenti amnistie. Al contrario di questo termine, la locuzione in modo infondato, usata
per coloro che sono stati condannati per gli articoli 70, 190, 142 e 227, dunque per tutti
i dissidenti, permette allo Stato di non riconoscere la valenza politica della lotta per laf-
fermazione del diritto, in quanto chi si batteva per questo non stato condannato con-
tro la legge, ma solo in modo infondato, concetto che non ha una base prettamente giu-
ridica. Forte di queste conclusioni, qualcuno ha rifiutato la riabilitazione e lo status di
vittima, ma ci risulta inutile perch, come detto, per questi articoli la riabilitazione di
massa e non prevede possibilit di rifiuto. In altre parole, chi in passato ha lottato con-
tro il regime sovietico in modo cosciente, e per questo stato condannato, si ritrova vit-
tima di una condanna infondata, trasformando, contestualmente, il suo impegno in mai
avvenuto. Dal punto di vista dello Stato, dunque, la legge del 1991 cancella la memo-
ria della resistenza contro il regime sovietico, derubricando la lotta per il rispetto dei di-
ritti civili a condanne non valide.
Marco Clementi
54
Persone
Il dissenso ha attraversato diverse fasi e in esso sono confluite molte persone, provenien-
ti da diversi ambiti e con interessi lontani. Si possono prendere brevemente in esame le
biografie di alcune di queste, perch caratterizzanti di un particolare aspetto. Molti altri,
ovviamente, ebbero ruoli altrettanto importanti.
Andrej Sacharov (1921-1989) stato certamente lattivista pi noto in patria e alleste-
ro e quello che ha saputo interpretare la maggioranza delle istanze di emancipazione e li-
bert. Gi noto fisico impegnato nella ricerca segreta per la costruzione della bomba ter-
monucleare, alla fine degli anni Sessanta giunse alle tematiche dei diritti civili, dando un
notevole contributo teorico e pratico. Scrisse nel 1968 un pamphlet intitolato Considera-
zioni sul progresso, la coesistenza pacifica e la libert intellettuale, quindi, nel 1975, il sag-
gio Il mio paese e il mondo. In quello stesso anno venne insignito del premio Nobel per
la pace, ritirato a Oslo dalla moglie Elena Bonner. In quel periodo un Tribunale interna-
zionale che portava il suo nome svolse diverse sessioni di lavoro in Occidente al fine di
denunciare le violazioni dei diritti civili in URSS. Nel 1980, dopo aver subito numerose
intimidazioni, Sacharov fu esiliato a Gorkij, dove rimase fino al 1986, quando Gorba/v
ne permise il rientro a Mosca. Eletto membro del Congresso dei deputati del popolo nel
1987, egli scrisse un progetto costituzionale che rappresenta la sintesi dellimpegno pro-
fuso negli anni precedenti. Nel 1988 divenne presidente del Centro sociale e di ricerca
Memorial, fondato a Mosca allo scopo di studiare le repressioni staliniane e denun-
ciare le violazioni dei diritti civili. Dopo la sua morte stato aperto a Mosca un Centro
di studi e di ricerca che ne porta il nome, mentre ogni anno assegnato un Premio Sa-
charov a chi si distinto nel mondo per la difesa dei diritti civili.
Aleksandr Solenicyn (1918-2009), scrittore e saggista, autore di importanti ricer-
che sul sistema dei campi di lavoro sovietici. A lui si deve il volume intitolato Arcipelago
GULag, pubblicato in tutto il mondo a partire dal 1973. In precedenza il suo racconto
Una giornata di Ivan Denisovi/, stampato sulle pagine di Novyj Mir nel 1962, gli aveva
procurato grandi riconoscimenti anche in patria. Nel 1970 fu insignito del premio No-
bel per la letteratura per i romanzi Il primo cerchio e Divisione Cancro, premio che pot
ritirare solo dopo la sua espulsione dallURSS, avvenuta nel 1973. Visse gli anni dellesilio
negli Stati Uniti, ma con la fine del comunismo fece ritorno a Mosca. Per quanto riguar-
da la sua concezione politica, col tempo si caratterizzata per un progressivo conserva-
torismo: dalle discussioni con Sacharov rispetto alle prospettive di sviluppo per la Rus-
sia, che secondo Solenicyn doveva guardarsi dallinfluenza occidentale, si avvicinato
al neonazionalismo del regime putiniano.
Lev Kopelev (1912-1997) gi iscritto al partito comunista, fu arrestato nel 1929 con
laccusa di aver partecipato allopposizione trockista. Liberato, descrisse la collettiviz-
zazione e le conseguenze della Grande carestia in Ucraina nel 1932, quindi partecip
alla guerra mondiale nel 1941 come volontario. A causa delle sue critiche contro gli ec-
cessi nei riguardi dei civili tedeschi fu condannato a dieci anni di carcere; la sua storia
ispir Solenicyn per la stesura de Il primo cerchio. Liberato nel 1954, fu reintegrato nel
PCUS e segnal alla redazione di Novyj Mir il racconto Una giornata di Ivan Deniso-
vi/. Dopo aver firmato un appello in favore di Sinjavskij e Daniel fu espulso dallUnio-
ne degli scrittori, quindi privato della cittadinanza sovietica, che riacquis solo nel 1990,
Il dissenso in URSS (1953-1991)
55
pur rimanendo a vivere in Germania fino alla sua morte. Oggi esiste un premio interna-
zionale a lui dedicato.
Vladimir Bukovskij (1942) si impegn nellattivit in favore dei diritti civili fin da
giovanissimo, partecipando nel 1958 alle letture dei giovani poeti informali in Piazza
Majakovskij. Dopo aver subito diversi arresti e la segregazione in un ospedale psichiatri-
co, nel 1976 fu scambiato dallURSS con il segretario del Partito comunista cileno, Luis
Corvaln. Dallemigrazione continu la sua lotta, finalizzata alla distruzione del sistema
sovietico e ancora oggi si batte per la difesa dei diritti civili nella Russia postcomunista.
Aleksandr Ginzburg (1936-2002), impegnato giovanissimo nella redazione delle pri-
me riviste in samizdat, fu autore del Libro Bianco sul caso Sinjavskij-Daniel. Per questo
fu condannato a 5 anni di lager a regime duro. Scontata la pena, diresse il Fondo sociale
russo e partecip al Gruppo Helsinki di Mosca. Arrestato nel 1977, venne condannato
a 8 anni di campo di lavoro e nellaprile 1979 fu scambiato, assieme a Eduard Kuznecov
e altri tre dissidenti, con due spie sovietiche arrestate dagli statunitensi. A Parigi parte-
cip alla redazione dellimportante rivista Russkaja Mysl.
Andrej Amalrik (1938-1980), fu uno dei pochi attivisti che cerc di studiare il feno-
meno del dissenso attraverso la raccolta e lanalisi di dati empirici (si vedano le sue Note
di un dissidente). Condannato a diversi anni di esilio in Siberia, fu autore del pamphlet
intitolato Sopravviver lUnione Sovietica fino al 1984? Lasci lURSS nel 1976 e mor in
circostanze mai chiarite nel 1980, in Spagna, a causa di un incidente stradale mentre si
recava a una riunione della Conferenza per la cooperazione e la sicurezza.
Anatolij Mar/enko (1938-1986), tent ancora giovanissimo di emigrare illegalmente
dallURSS e per questo fu condannato a 6 anni di lager. Nel 1967 descrisse la sua esperien-
za in un libro La mia testimonianza che ebbe una vastissima diffusione in samizdat.
Arrestato nuovamente, prefer il carcere allemigrazione e mor in prigione nel dicembre
del 1986 dopo ripetuti scioperi della fame.
Natalja \ukovskaja (1907-1996) stata una delle maggiori scrittrici impegnate
nel dissenso. Di lei si ricordano due romanzi sullo stalinismo pubblicati in samizdat e
allestero: La casa deserta e Indietro nellacqua scura, nonch limportantissima opera In-
contri con Anna Achmatova. Processo di esclusione un documento autobiografico nel
quale racconta la sua espulsione dallUnione degli scrittori, avvenuta nel 1974.
Natalja Gorbanevskaja (1936) fu la prima redattrice della Cronaca degli avveni-
menti correnti, il pi importante periodico pubblicato dal dissenso a partire dal 1968.
Il 25 agosto di quellanno partecip alla manifestazione di protesta contro loccupazio-
ne della Cecoslovacchia, che si svolse sulla Piazza Rossa e che raccont nel volume Mez-
zogiorno, Piazza Rossa. Dopo aver fondato, nel 1969, il Gruppo di iniziativa per la dife-
sa dei diritti delluomo fu arrestata e rinchiusa in un ospedale psichiatrico speciale. Nel
1975 emigr a Parigi e lavor a Radio Libert fino al 1988, quando lasci la redazione
per insanabili contrasti politici. Collabor anche con la rivista letteraria parigina Kon-
tinent e con Russkaja Mysl.
Padre Aleksandr Men (1935-1990) fu uno dei maggiori attivisti per la difesa della li-
bert di culto. Intellettuale e studioso, redasse una Storia delle religioni pubblicata negli
anni Settanta sotto pseudonimo. Molto impegnato anche durante la perestrojka, fu bru-
talmente assassinato nel 1990. I suoi uccisori non sono mai stati individuati.
Dina Kaminskaja (1919-2006) fu una degli avvocati che pi si impegn nella difesa
Marco Clementi
56
dei dissidenti. Sub assieme ai colleghi S. Kallistratova e B. Zolotuchin diverse repressio-
ni indirette da parte delle autorit. Nel 1965 le fu impedito di difendere Daniel, ma ri-
usc a occuparsi di Bukovskij due anni pi tardi. Fu quindi la legale di Larisa Bogoraz,
moglie di Mar/enko, e Pavel Litvinov, quindi dello stesso Mar/enko, finch nel 1977
non venne radiata dallordine degli avvocati. Allarresto prefer lesilio e si rec negli Sta-
ti Uniti, dove continu la propria attivit in difesa dei diritti. La sua pi importante pub-
blicazione Note di un avvocato.
Michail Molostvov (1934-2003) fu deportato da Leningrado con la famiglia nel 1935
nel corso delloperazione denominata Ex-persone. Tornato nella sua citt, pot studia-
re filosofia nella locale universit, dove svolse attivit politica informale. Per questo sub
una lunga condanna (1958-1965), scontata la quale lavor come insegnante in diverse
citt, continuando a svolgere attivit informale e mantenendo i collegamenti con gli altri
dissidenti. Nel 1990 venne eletto deputato del Soviet della Repubblica socialista federa-
tiva russa e dal 1993 al 1995 fu deputato della Duma di Stato della Federazione Russa.
Nel 1991 diresse la Commissione per la devoluzione al governo dellArchivio del KGB ri-
guardante la citt di Leningrado e lanno dopo fu inserito nella Commissione governa-
tiva per la grazia, che si occupava della pena di morte. Si impegnato contro la guerra
in Cecenia e nel 1995 si offerto come ostaggio al gruppo di guerriglieri diretti da amil
Basaev a Budennovsk.
Revolt Pimenov (1931-1990), matematico, fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico
speciale dal 1949 al 1950 in seguito alla sua presa di posizione contro la campagna an-
tijugoslava. Tra il 1952 e il 1955 scrisse il lavoro Il destino della rivoluzione russa e dopo
il XX Congresso comment e diffuse il rapporto segreto di Nikita Chru/v. Dopo lin-
vasione dellUngheria, scrisse le Tesi sulla rivoluzione ungherese e La verit sullUnghe-
ria come lettera di protesta alla Pravda, quindi fond insieme a Boris Vajl un gruppo
politico che si interess del rapporto tra cultura, intelligencija e potere. Convintosi che
il regime sovietico fosse una forma di capitalismo, si pose il problema di come risolve-
re, da un punto di vista teoretico e marxista, il problema del potere in uno Stato in cui
un partito aveva il monopolio dei mezzi di produzione, della forza lavoro e della cultu-
ra. Nel 1957 Pimenov fu arrestato e condannato a 10 anni di campo di lavoro con la per-
dita dei diritti civili per i seguenti 3. Nel 1970 fu nuovamente arrestato e condannato a
5 anni di soggiorno obbligato nella Repubblica di Comi. Nel 1989 partecip alla fonda-
zione di Memorial e nel 1990 venne eletto deputato del popolo della Repubblica fe-
derativa russa, lavorando al progetto della nuova Costituzione.
Valerij Ronkin (1936-2010) e Veniamin Iofe (1939-2002), marxisti leningradesi, ne-
gli anni Cinquanta, mentre militavano nellassociazione giovanile del PCUS, il Komsomol,
fondarono il gruppo dei Comunardi, che pubblic la rivista in samizdat Kolokol.
Diffusero un loro programma politico intitolato Dalla dittatura della burocrazia alla dit-
tatura del proletariato, scritto da Ronkin e Sergej Chachaev, ma furono arrestati nel 1965
e condannati a diversi anni di lager. Tornati in libert, continuarono a svolgere attivit di
dissenso, partecipando anche alla redazione della importante raccolta intitolata Pamjat,
uscita tra il 1975 e il 1981. Nel 1989 hanno fondato la sezione leningradese di Memo-
rial, di cui Iofe stato direttore fino alla morte.
Proprio il Centro scientifico e sociale Memorial costituisce il ponte di collegamen-
to tra il mondo del dissenso e il nuovo attivismo in Russia per la difesa dei diritti civili e
Il dissenso in URSS (1953-1991)
57
umani. Si occupa di ricostruire la storia delle repressioni e le biografie delle vittime del
terrore staliniano e offre la propria tutela a tutti coloro che subiscono persecuzioni giu-
diziarie per motivi politici. Tra gli attivisti di Memorial ricordiamo lattuale presiden-
te, Arsenij Roginskij (1946), anche lui tra i curatori di Pamjat, che pag con il carcere il
suo impegno. Irina Flige (1960), moglie di Veniamin Iofe, dal 2002 dirige il centro Me-
morial di San Pietroburgo. Coordina le ricerche sui luoghi di repressione e sepoltura
delle vittime del terrore e si occupa della memoria del primo GULag sovietico, nato nel
1929 sulle isole Solovki, nel Mar Bianco. Attualmente coordina la realizzazione del pro-
getto Il museo virtuale del GULag.
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Marco Clementi
58
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www.ronkinv.narod.ru.
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59
LE LOTTE OPERAIE IN POLONIA
Davide Artico
Precisazioni
Identificare automaticamente le lotte operaie nella Repubblica popolare polacca con
una sorta di comunismo eretico fuorviante e privo di fondamento nei fatti. Per com-
prendere il fenomeno occorre invece precisare tanto che cosa potesse essere un presun-
to comunismo ortodosso nel paese sulla Vistola, quanto il retroterra ideale (e ideolo-
gico) che mosse certamente non tutti, ma comunque la maggioranza degli attori delle
proteste popolari che ebbero luogo nellarco di un quarto di secolo, dalla primavera del
1956 fino a fine 1981.
Se si rinuncia a una semplificazione, ideologicamente non neutrale, secondo la
quale tutti i regimi dellEuropa centro-orientale fino al 1989 furono in massa e senza
differenze diacroniche comunisti, si pu iniziare a tracciare linee di demarcazione
cronologiche pi sensate, che permettano di meglio inquadrare lo svolgersi degli avve-
nimenti che condusse al cosiddetto autunno dei popoli dell89. La definizione, lar-
gamente diffusa in Polonia, dovrebbe del resto far riflettere di per s. Lottocentesca
primavera dei popoli, com noto, consistette in una serie di moti di liberazione na-
zionale dal giogo di imperi che invece, per loro stessa natura, erano sovranazionali e,
per scelta politica, erano fondamentalmente autoritari. Il paragone implicito fra l89
(del XX secolo) e il 48 (del XIX) suggerisce dunque che la caratteristica saliente dei re-
gimi dellEuropa centro-orientale in generale, e di quello polacco in particolare, non
fosse il comunismo, bens i metodi di governo autoritari. Daltro canto il paragone mi-
topoietico con il movimento risorgimentale suggerisce anche che la maggioranza de-
gli oppositori ai quei regimi non fosse mossa da ideali eretici di stampo socialista o
comunque marxiano, ma che al contrario il loro motore ideologico fosse di tipo prin-
cipalmente nazionalista.
Incidentalmente varr la pena rilevare che, in Polonia, prassi comune fra gli sto-
rici far risalire i nazionalismi del XX secolo proprio allidea di Stato nazionale sviluppa-
tasi dalla met dellOttocento. A differenza di quanto avviene ad Occidente, insomma,
Davide Artico
60
non si individuano cesure fra la risorgimentale idea nazionale e i nazionalismi viru-
lenti e infine fascisteggianti che invece furono espressi nella prima met del Novecento.
Gli stessi eredi ideali di Solidarno0 non si fanno scrupolo oggi di inneggiare alla figura
di Roman Dmowski. Politico polacco degli inizi del Novecento, Dmowski aveva chiare
ed esplicite tendenze antisemite e xenofobe, si circondava di squadracce di picchiatori,
nelle fila del suo partito milit addirittura Eligiusz Niewiadomski, il terrorista che assas-
sin a sangue freddo Gabriel Narutowicz, il primo presidente polacco eletto democra-
ticamente
1
. Dmowski tuttavia, per alcuni fra gli odierni politici post-Solidarno0, ebbe
il pregio incontrovertibile di propugnare coerentemente e insistentemente lidea di uno
Stato-nazione polacco. In nome dellideale nazionale, insomma, gli si perdonano oggi
anche le idee e i metodi fascisti.
Da queste considerazioni deriva che, prima di parlare in concreto delle lotte operaie
in Polonia in unopera dedicata ai comunismi eretici, bisogna innanzitutto rispondere
a due quesiti fondamentali: in che periodi storici e in che misura esistette il comunismo
nella Repubblica popolare polacca? Quali erano i punti di riferimento ideali degli ope-
rai in lotta contro il regime?
Il comunismo marxista-leninista in Polonia
La Repubblica popolare polacca nacque soltanto nel 1952. Ci non implica che, in pre-
cedenza, non ci fossero state in Polonia riforme istituzionali e decisioni politiche pi uf-
ficiose che allontanarono il sistema politico dallo schema classico di una democrazia rap-
presentativa di tipo occidentale.
La Polonia appena uscita dalla Seconda guerra mondiale era uno strano ibrido in cui
coabitavano un sostanziale statalismo in economia e una pi o meno radicata fedelt mi-
litare allUnione Sovietica da una parte e, dallaltra, un pluralismo politico niente affat-
to di facciata. Baster ricordare quali fossero i tre principali partiti del governo di uni-
t nazionale dellimmediato dopoguerra: uno era costituito dai Popolari (Stronnictwo
ludowe), partito contadino di ispirazione cattolico-conservatrice, che vedeva nel com-
promesso storico con le sinistre lunica maniera di raggiungere i suoi obiettivi territo-
riali e il mantenimento di uninfluenza che impedisse o perlomeno annacquasse la col-
lettivizzazione nelle campagne; di certo i popolari non potevano dirsi n comunisti n
in generale marxisti.
Altra forza erano i socialisti, che nel periodo interbellico avevano anteposto le istan-
ze nazionali allortodossia marxiana, figurando fra i pi accesi sostenitori della guer-
ra contro lUnione Sovietica fra il 1918 e il 1920. Non si potevano certo dire sostenito-
ri di Stalin.
In ultimo veniva il Partito operaio, che era certo il pi gradito a Mosca, ma non si
poteva dire esso stesso comunista in senso stretto. I comunisti polacchi del periodo
1
Cfr. R. Dmowski, Myli nowoczesnego Polaka, Towarzystwo Wydawnicze, Leopoli 1904; Id., Polityka pol-
ska i odbudowanie pastwa, Ksi egarnia Perzyski, Niklewicz i Spka, Varsavia 1925; A. Fountain, Roman
Dmowski, Columbia University Press, New York 1980.
Le lotte operaie in Polonia
61
interbellico non vi erano rappresentati che in misura minima, anche perch la maggio-
ranza di essi era perita o nelle cruente repressioni interne
2
oppure a causa delle purghe
staliniane
3
. Se comunisti eretici esistettero nella Polonia dellimmediato dopoguerra,
di certo essi si trovavano nelle fila del Partito operaio. Lesempio pi noto certamente
quel Wadysaw Gomuka che, da ministro delle Terre riconquistate, ebbe pi di una
volta a scontrarsi con i vertici sovietici
4
.
Il pluralismo politico, naturalmente, non sopravvisse alla Guerra fredda. I primi a
farne le spese furono i socialisti, che nel 1947 si videro inglobare nel Partito operaio uni-
ficato (POUP) e, con ci stesso, sottoporre a un centralismo che aveva ben poco di demo-
cratico. I popolari, almeno formalmente, rimasero autonomi, ma furono anchessi co-
stretti a adottare una linea di piena e quasi acritica collaborazione con il POUP.
Lautentico giro di vite in senso stalinista si ebbe dopo lelezione a presidente del-
la repubblica di Bolesaw Bierut nel 1947. Bierut, gi membro del Partito comunista
polacco ma salvatosi dalle purghe staliniane diventando agente dellNKVD (Commissa-
riato del popolo per gli affari interni, che gestiva le varie polizie politiche sovietiche),
sarebbe rimasto per un intero decennio ai vertici di un sistema di potere improntato
alla pi rigida ortodossia moscovita. Dopo lentrata in vigore delle riforme istituziona-
li nel 1952, che prevedevano anche la cancellazione della carica di Presidente della Re-
pubblica, Bierut continu a guidare in maniera dittatoriale sia il partito sia il governo
fino alla sua morte, avvenuta a Mosca il 12 marzo 1956. Lo sostitu alla guida del par-
tito Edward Ochab, personalit del tutto priva di protagonismo politico che si suppo-
neva potesse svolgere un ruolo di mediatore fra la frazione stalinista (Natolin) e quella
dei riformatori (Puawianie). Di fatto una delle prime iniziative intaprese da Ochab in
politica interna fu lamnistia per molti dei condannati per reati di opinione negli anni
precedenti: una sorta di atto dovuto a fronte del clima del tutto nuovo che si stava re-
spirando nel blocco sovietico dopo le famose rivelazioni di Nikita Chru/v del 25
febbraio 1956.
Nella seconda met del 1956, anche per lintervento personale di Chru/v, in Polo-
nia si riusc a evitare una svolta ungherese. A capo dellesecutivo polacco torn Go-
muka, sgradito tanto al blocco Natolin, quanto allo stesso Ochab, che gi in passato
laveva accusato di deviazioni nazionaliste. Ochab fu tuttavia costretto a dimettersi
dalla segreteria del partito; ci segn in pratica linizio della fine del comunismo stric-
tu senso in Polonia. Il nuovo esecutivo, se manteneva solidi legami di alleanza militare
con lUnione sovietica, di fatto in politica interna intraprese azioni quanto meno irritua-
li: fu sospesa del tutto lappena abbozzata collettivizzazione delle campagne; fu scar-
cerato il primate Wyszyski, dando effettiva applicazione allIntesa fra Stato polacco e
Chiesa cattolica che era gi stata firmata addirittura nel 1950; si diede un impulso nuo-
2
Lappartenenza al Partito comunista fu dichiarata illegale e penalmente perseguibile in Polonia gi dal
1919.
3
Dopo leliminazione fisica della maggior parte dei suoi membri, il Partito comunista polacco fu infine
sciolto su decisione del Komintern nel 1938.
4
D. Artico, Terre Riconquistate. De-germanizzazione e polonizzazione della Bassa Slesia dopo la II Guerra
Mondiale, Edizioni dellOrso, Alessandria 2006, pp. 5-6.
Davide Artico
62
vo e niente affatto di facciata al cooperativismo ed alla piccola propriet privata quali al-
ternative alla propriet diretta statale dei mezzi di produzione in uneconomia pianifi-
cata centralmente.
Queste tendenze si rafforzarono ulteriormente negli anni Settanta sotto la direzione
di Edward Gierek. Pur restando a sua volta fedele alleato militare dellUnione Sovieti-
ca, Gierek si spinse fino a un allentamento della censura talmente avanzato da rasentare
lassoluta libert di stampa, come dimostra fra gli altri lesperimento della rivista Poli-
tyka, che negli anni Settanta segu una linea editoriale di aperta apologia delle socialde-
mocrazie di tipo scandinavo. Dopo gli scioperi di Danzica del 1970, insomma, si pu af-
fermare che in Polonia avesse cessato di esistere il comunismo marxista-leninista. Quel
che rimaneva erano invece la mancanza di pluralismo partitico, cio il ruolo direttivo
assegnato a priori al POUP, che ne faceva di fatto un partito unico; la mancanza di mecca-
nismi di autogoverno degli enti locali, tutti sottoposti al rigido centralismo amministra-
tivo della capitale; lassenza di libert di associazione sindacale. La Repubblica popolare
polacca presentava tutte le caratteristiche di un regime autoritario, anche se ben pochi
tratti tipici di un regime comunista di tipo sovietico. Rimaneva comunque uno Stato a
sovranit limitata, essendo militarmente legata a doppia mandata ai piani di difesa
strategica dellURSS sul teatro europeo.
Una cronologia di massima delle lotte operaie: Pozna 1956
Le prime proteste operaie su larga scala nella Repubblica popolare polacca si ebbero
nel 1956. Un ruolo non indifferente nel tradursi del malcontento in lotta a viso aper-
to ebbe senza dubbio il nuovo clima venutosi a creare nel paese in seguito a due avve-
nimenti pressoch concomitanti. Il 25 febbraio Chru/v tenne il suo famoso discorso
al XX Congresso del PCUS. Delegato al congresso era anche Bierut, che a distanza di due
sole settimane sarebbe morto in circostanze poco chiare. Per la Polonia, come si accen-
nava sopra, ci segn linizio di un disgelo politico cui per non si accompagn alcuna
democratizzazione nei rapporti di produzione.
Fabbrica simbolo delle rivendicazioni dei lavoratori fu la ZiSPo, sigla che stava a in-
dicare gli Stabilimenti Stalin di Pozna (Zakady im. Stalina Pozna). I metallurgi-
ci della ZiSPo avevano da tempo in corso una vertenza con la direzione dello stabili-
mento che riguardava principalmente lorganizzazione del lavoro, cio limpossibilit
di raggiungere le quote di produzione imposte a fronte dellirregolarit delle forniture
di materie prime e semilavorati ed al mancato coordinamento con gli altri stabilimen-
ti. Allinsoddisfazione generale contribuiva ovviamente il ruolo subordinato dei sinda-
cati ufficiali rispetto alla direzione del Partito, che a sua volta sosteneva a priori, come
duso, la direzione della fabbrica. La mancanza di una rappresentanza sindacale autono-
ma si traduceva in contrattazioni su tempi ed obiettivi produttivi che risultavano del tut-
to avulse dalla realt riscontrabile nei reparti.
I primi segnali di inquietudine si ebbero alla vigilia del XX Congresso del PCUS. Gi
nel febbraio del 1956, infatti, in sede di discussione assembleare sul piano quinquenna-
le vi furono addirittura circa cinquemila mozioni di protesta avanzate direttamente da-
gli operai, tanto per ci che concerneva le difficolt oggettive di raggiungere i livelli mi-
Le lotte operaie in Polonia
63
nimi di produzione, quanto per questioni tuttaltro che secondarie di sicurezza e igie-
ne del lavoro.
La protesta, una volta iniziata, si arricch presto anche di rivendicazioni economiche.
Pietra dello scandalo erano le ritenute sullo stipendio che, gi da anni, venivano appli-
cate dalla direzione dello stabilimento ai danni di chi guadagnava di pi, cio i cottimi-
sti e i cosiddetti pionieri del lavoro (przodownicy pracy), vale a dire gli stachanovisti
in versione polacca.
Limpossibilit di contrattare in termini realistici con la direzione spinse i lavorato-
ri a una decisione radicale. A marzo, cio una volta che la nomina di Ochab alla guida
del POUP ebbe fatto sperare in aperture politiche in senso democratico, una delegazione
del reparto W-3 si rec a Varsavia per presentare le richieste dei lavoratori tanto al Mi-
nistro dellindustria, Stanisaw Pietrzak, quanto allo stesso Comitato centrale del POUP.
Nel contempo uno degli operai ZiSPo present alla Procura di Pozna una denuncia
contro la direzione della fabbrica per appropriazione indebita delle ritenute sugli sti-
pendi. questa una circostanza alquanto interessante da un punto di vista pi ampio,
in quanto pare dimostrare il permanere di un certo livello di indipendenza della magi-
statura dallesecutivo a dispetto del decennio stalinista in versione Bierut, che si era ap-
pena concluso.
La politica del muro di gomma da parte delle autorit, nonostante tutto, non cess.
Fu necessario linvio a Varsavia di unaltra delegazione dei comitati spontanei degli ope-
rai, a fine aprile, perch finalmente, a maggio, una delegazione del sindacato ufficiale
dei metallurgici ed una del Consiglio centrale dei sindacati si decidessero ad incontra-
re i lavoratori in assemblea. Anche in questo caso, tuttavia, non vi furono progressi si-
gnificativi sul fronte della contrattazione. In compenso per si intensificarono i contatti
e le riunioni informali fra il comitato spontaneo degli operai ZiSPo e i lavoratori di al-
tri stabilimenti.
Uno spiraglio parve intravvedersi a inizio giugno, quando si rec a Pozna lo stes-
so ministro Pietrzak, il quale per non seppe andare oltre promesse generiche. Il risul-
tato fu che, dalla met del mese, alla ZiSPo iniziarono scioperi a singhiozzo. Entro il
25 giugno la vertenza si era gi estesa anche ai tramvieri, che protestarono rumorosa-
mente in assemblea contro le condizioni di lavoro. In almeno altre due fabbriche del-
la citt si giunse a proteste aperte degli operai. Il fenomeno era tanto pi preoccupan-
te per le autorit, in quanto proprio a fine giugno si stava svolgendo in citt la Fiera
internazionale di Pozna. In caso di disordini non sarebbero mancati i testimoni, an-
che stranieri.
Linquietudine per la situazione di tensione si estese ben presto anche a Varsavia. Il
27 si recarono personalmente a Pozna due leader nazionali dei sindacati ufficiali, Ma-
rian Czerwiski e Jzef Bie. Furono accolti alla ZiSPo da una protesta di massa degli
operai, mentre scendevano ufficialmente in sciopero i lavoratori delle officine di manu-
tenzione del materiale ferroviario (ZNTK). Lindomani gli scioperanti, diverse decine di
migliaia di metalmeccanici e non solo, scesero per le strade e diedero vita a cortei spon-
tanei, che ben presto sfociarono in scontri aperti con gli agenti dei servizi di sicurezza.
Uno di questi ultimi, il caporale Zygmunt Izdebny, venne brutalmente massacrato dagli
scioperanti bench fosse disarmato. Vi furono anche parecchi casi di vandalismo e sac-
Davide Artico
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cheggi, che sfociarono infine in un assalto alle prigioni, che si concluse con un fal di fa-
scicoli penali e levasione di oltre 250 criminali comuni
5
.
Visto il successo dellassalto alle prigioni, gli insorti passarono ad attaccare altri edi-
fici pubblici, fra cui la Prefettura e la sede del Comitato regionale del POUP. Alcuni di
essi fecero irruzione anche nei padiglioni fieristici. Quelle che erano nate come semplici
proteste operaie si stavano evolvendo in autentica guerriglia urbana. Fra gli insorti com-
parvero anche centinaia di armi da fuoco, compresa una mitragliatrice.
Durante la mattinata, fino cio allassalto alle prigioni, fra le autorit sembrava anco-
ra prevalere la tendenza al dialogo ed alla ricerca di una soluzione pacifica. Nel Partito
non mancarono, fin dallinizio, i sostenitori dellimmediata repressione militare. Appro-
fittando della presenza del maggiore centro di addestramento delle reclute per i repar-
ti corazzati dellesercito, alcuni funzionari avevano pensato di far uscire da subito i car-
ri armati per le vie cittadine. Tuttavia il comandante dei commissari politici dellEsercito
popolare polacco, il generale Kazimierz Witaszewski, si rifiut inizialmente di adottare
la linea dura e non diede lordine di intervento diretto dei militari.
La situazione cambi radicalmente dopo lassalto alle prigioni e di fronte alla minac-
cia di atti di violenza armata anche contro altri edifici pubblici. Vista linsufficienza di
personale dei servizi di sicurezza, impreparati ad affrontare una rivolta su cos larga sca-
la, si decise infine di far confluire sulla citt diversi reparti militari. In totale ci sareb-
bero voluti alla fine oltre diecimila soldati per riportare lordine. Il bilancio conclusivo
delle vittime fu di 57 persone
6
. Entro la serata del 28 giugno i disordini cessarono defi-
nitivamente.
Le reazioni dellOccidente furono naturalmente di condanna. La ricaduta principale
della rivolta armata degli operai di Pozna si ebbe per allinterno del Partito. La posi-
zione di Ochab si indebol sempre di pi, fino a consigliare allo stesso Chru/v, come gi
ricordato, un intervento diretto a Varsavia per evitare che la situazione evolvesse in senso
ungherese. Entro lottobre successivo Gomuka sarebbe tornato alla guida del paese.
La lotta al vertice del Partito fra Natolin da una parte e Puawianie dallal-
tra, unita anche alla gi ricordata sostanziale indipendenza della magistratura, fecero in
modo che le repressioni post factum risultassero lievi, quasi soltanto simboliche. Ci non
toglie che, nella fase istruttoria, venissero compiuti abusi anche pesanti da parte dei ser-
vizi di sicurezza. Secondo dati ufficiali, tuttavia, i fermati furono soltanto 746, cio una
percentuale irrisoria delle decine e decine di migliaia di manifestanti. Trattenuti in un
punto di filtraggio nelle caserme dellaeronautica militare, pi della met degli inqui-
siti furono rilasciati gi il 29 giugno. Dei rimasti, oltre tre quarti erano costituiti dai lea-
der operai che si erano distinti durante gli scioperi e le proteste che avevano preceduto
linsurrezione armata del 28.
Il direttivo regionale del Partito spingeva perch fosse dimostrata la tesi del complotto
organizzato o perlomeno sostenuto da agenti statunitensi e tedesco-federali. I motivi per
5
Cfr. E. Makowski, Poznaski czerwiec 1956. Pierwszy bunt spoeczestwa w PRL, Wydawnictwo Poznaskie,
Pozna 2001.
6
. Jastrzab, Biogramy ofiar Poznaskiego Czerwca 1956 roku, Towarzystwo Wydawnicze i Literackie, Var-
savia 2007.
Le lotte operaie in Polonia
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sospettarlo non mancavano: innanzitutto la tempistica, che aveva visto scoppiare i disordi-
ni proprio nel periodo della Fiera internazionale, mentre le vertenze si stavano trascinando
gi da svariati mesi; in secondo luogo le armi da fuoco in possesso degli insorti.
I magistrati invece smontarono del tutto la tesi del complotto, riconoscendo il carat-
tere spontaneo dei disordini. Rinviati a giudizio furono soprattutto alcuni pregiudicati,
mentre la maggioranza degli accusati fu infine rilasciata. Fu la stessa pubblica accusa a
richiedere il rilascio degli accusati contro cui non si potevano dimostrare atti vandalici o
ricorso alla violenza armata. Il teorema accusatorio prevedeva cio la suddivisione degli
avvenimenti in due grandi categorie: quella pacifica ed operaia, per la quale non furono
richieste condanne; e quella invece criminale e vandalica.
Anche per questultima categoria di accusati le pene furono estremamente lievi. I tre
riconosciuti colpevoli dellassassinio del caporale Izdebny e dellassalto alle prigioni fu-
rono condannati l8 ottobre 1956 a pene intorno ai quattro anni di reclusione. Il 12 ot-
tobre seguente altre sette persone furono condannate per banda armata a pene dai due
ai sei anni di carcere. Due furono assolte con formula piena, mentre altri dieci accusa-
ti sarebbero poi stati prosciolti per insufficienza di prove in un altro dibattimento
7
. In
totale le repressioni si limitarono dunque a condanne lievi per soli dieci pregiudica-
ti, mentre sia nella fase istruttoria, sia in quella dibattimentale i magistrati smontarono
completamente la teoria partitica del complotto occidentale.
Il decennio dellinteligencja: gli anni Sessanta
Gli anni Sessanta rappresentano, almeno a livello istituzionale, lapice del potere per-
sonale di Gomuka e della sua versione fortemente nazionalista del comunismo. Noto
in Polonia come la piccola stabilizzazione, questo periodo fu allinsegna di unincon-
gruenza di fondo le cui conseguenze sociali si sarebbero poi fatte sentire compiutamente
a partire dal 1970. Se, da una parte, il gruppo dirigente del POUP uscito dalla destaliniz-
zazione e dal confronto anche aspro fra Natolin e Puawianie, susseguente allan-
nus mirabilis 1956, non rinunci formalmente alla sua retorica operaista, dallaltra gli
anni Sessanta videro tuttavia un ritorno sostanziale alla mancanza di autodeterminazio-
ne dei lavoratori che aveva tanto tristemente caratterizzato il decennio precedente. Fon-
te di controversie, e talvolta anche di aperte polemiche, fu soprattutto il fatto che, pur a
fronte di un aumento notevole del PIL e della produttivit del lavoro, le condizioni ma-
teriali di vita di operai e contadini rimanevano pressoch immutate. Anche sul fronte
dei diritti civili non fu dato rilevare aperture considerevoli. La legislazione straordina-
ria del 1946, il cosiddetto piccolo codice penale che introduceva pene draconiane, fra
cui anche la pena di morte, per reati di natura ideologica, rimase infatti in vigore fino a
tutto il 1969.
Se negli anni Sessanta non si assistette a proteste operaie su larga scala, sullesem-
pio di quelle del giugno 56, vi furono comunque almeno due momenti in cui emersero
posizioni nettamente critiche delloperato dellapparato partitico e, con ci stesso, delle
7
E. Makowski, op. cit.
Davide Artico
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autorit statali che dallo stesso apparato erano di fatto controllate. A farsi carico di dar
voce allinquietudine sociale furono soprattutto gli intellettuali e, fra di essi, due figure
di particolare rilievo: Jacek Kuro (1934-2004) e Karol Modzelewski.
Kuro e Modzelewski salirono alla ribalta nel marzo del 1964 grazie ad una lettera
aperta ai membri del POUP, in cui esponevano tesi da loro elaborate nei sei mesi prece-
denti. Le tesi erano una sorta di profezia di Cassandra rispetto a quanto si sarebbe poi
effettivamente svolto entro i due decenni successivi.
Gli autori partivano da una constatazione squisitamente marxista: non laspetto so-
vrastrutturale della propriet legale dei mezzi di produzione, bens il controllo di fatto
del plusvalore a determinare se la classe dei produttori, cio dei lavoratori manuali e dei
quadri prevalentemente tecnici, venga o meno sfruttata da una classe a vario titolo pri-
vilegiata. Lassenza di capitalisti privati nella Polonia che gli autori definivano s socia-
lista, ma soltanto secondo la dottrina ufficiale
8
, non significava ancora che i lavorato-
ri avessero voce in capitolo rispetto allimpiego del surplus da loro creato. Infatti la sola
circostanza che, da punto di vista strettamente legale, il proprietario dei mezzi di pro-
duzione fosse lo Stato, non implicava ancora di per s che i suoi cittadini controllasse-
ro luso che esso faceva del plusvalore. A fronte di un sistema politico a partito unico,
era lapparato burocratico a determinare autocraticamente la redistribuzione del reddi-
to, dunque era questa stessa burocrazia che sfruttava la classe dei produttori, indipen-
dentemente dal fatto che i suoi singoli membri ne traessero vantaggi materiali oppure
no. In effetti quanto veniva destinato direttamente ai consumi personali dei bonzi del
Partito non era che una percentuale irrisoria del reddito nazionale. La questione di fon-
do era piuttosto la priorit che veniva accordata ai reinvestimenti nellindustria pesan-
te ed alle spese militari e per gli apparati di sicurezza. Questo andava sistematicamen-
te a detrimento della produzione di beni di consumo, con i lavoratori atomizzati cui
non era concesso di creare organizzazioni autonome che potessero partecipare ai relati-
vi processi decisionali.
Alcuni dati, citati quasi en passant dagli autori, consentono di afferrare quale fosse la
vera situazione materiale delle classi lavoratrici nella Polonia della prima met degli anni
Sessanta. Lo stesso approvvigionamento di generi alimentari era al limite della sussisten-
za, con un consumo medio pro capite di carne di 120 grammi al giorno e una percen-
tuale di addirittura il 18% delle famiglie costrette a destinare lintero reddito soltanto
allacquisto di commestibili. Per i prodotti dellindustria leggera la situazione non appa-
riva pi rosea: ad esempio un operaio poteva permettersi in media lacquisto di un vesti-
to completo di lana non pi spesso di una volta ogni due anni. La previsione degli autori
rispetto a questi dati era catastrofica: se non si fosse provveduto in fretta ad una pi equa
redistribuzione del reddito, si sarebbe giunti ben presto a sollevazioni popolari.
Le conseguenze della lettera aperta furono disastrose per i suoi autori e per alcune
altre persone accusate di concorso nel reato di divulgazione di informazioni false. En-
tro fine novembre Kuro e Modzelewski furono espulsi sia dal Partito sia dalla sua or-
ganizzazione giovanile, la Lega della giovent socialista, il che significava di fatto lim-
8
Per il testo integrale della Lettera vedasi J. Kuro, Dojrzewanie. Pisma polityczne 1964-1968, Wydawnictwo
Krytyki Politycznej, Varsavia 2009, pp. 7-89.
Le lotte operaie in Polonia
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possibilit di continuare ad occuparsi di politica alluniversit. Non sarebbe per finita
l. Nel luglio del 1965 i due furono arrestati a norma dello stalinista piccolo codice pe-
nale del 1946. Il processo a porte chiuse si concluse gi il 19 luglio con la condanna de-
gli accusati rispettivamente a tre anni ed a tre anni e sei mesi di carcere. A nulla valse la
linea di difesa per cui, con il documento incriminato, i suoi autori non avevano divulga-
to informazioni false, ma semplicemente espresso le loro opinioni personali. La Cor-
te dappello rigett il ricorso e, il 19 ottobre, conferm la condanna. Sarebbe poi stato
soltanto negli anni Novanta che, su istanza del Ministero della giustizia, la Cassazione
avrebbe annullato ex post la sentenza in quanto emessa in violazione della pur restritti-
vissima legge in vigore allepoca.
Il secondo episodio che vide una forma di protagonismo degli intellettuali noto
quale marzo 1968, ma non collegato in alcun modo alla primavera praghese. Fu
un altro avvenimento internazionale a scatenare il fenomeno: la Guerra dei sei giorni
del 1967. La condanna sovietica (e, con ci stesso, quella di tutti gli aderenti al Patto di
Varsavia) dellaggressivit militare dello Stato di Israele funse in Polonia da catalizza-
tore di una serie di atteggiamenti che avevano radici profonde, mai sradicate del resto
fino al giorno doggi. Una presa di posizione politica antisionista fin con il trasformar-
si in unorgia antisemita, da cui il POUP non fu affatto immune e che, anzi, esso alimen-
t a bella posta.
Lantisemitismo di fondo diffuso nella societ polacca era un fenomeno trasversale
e, con ci stesso, non risparmi nemmeno i partiti che facevano risalire le proprie radici
al marxismo. Prova ne sia ad esempio il fatto che, complici le aperture ideologiche sus-
seguenti al XX Congresso del PCUS ed alla morte di Bierut, gi nel maggio 1956 il filoso-
fo Leszek Koakowski (1927-2009) pubblic un saggio dalleloquente titolo di Antise-
miti. Cinque tesi non nuove e un avvertimento, in cui affermava esplicitamente: Ogni
volta che lombra dellantisemitismo, anche se debolissimamente, sinsinua sotto la por-
ta di casa nostra, attenzione! Le canaglie son dietro langolo, la controrivoluzione mo-
stra le zanne
9
.
Anche la lotta squisitamente ideologica fra Natolin e Puawianie aveva messo in
risalto il permanere di atteggiamenti antisemiti allinterno stesso del Partito, con i primi
che accusavano i secondi di essere appunto giudei e, con ci stesso, responsabili del-
le deviazioni dalla corretta ideologia marxista-leninista. Fu soltanto Gomuka che, gra-
zie al carisma personale che gli veniva dallessere stato comandante partigiano e, soprat-
tutto, dal non aver preso parte agli eccessi stalinisti di Bierut, riusc in qualche modo ad
arginare il fenomeno. Questo fino alla Guerra dei sei giorni. Non appena invece le posi-
zioni antiisraeliane dellURSS fornirono un pretesto sufficiente, lo scoppio di una nuova
ondata antisemita non si fece attendere.
Il casus belli furono i cortei studenteschi organizzati nel marzo 1968. Sullonda lun-
ga iniziata da Kuro e Modzelewski con la loro lettera aperta del 64, alcuni studenti
delluniversit di Varsavia (chiamati allora scherzosamente commandos) avevano dato
vita a forme non convenzionali di protesta. Una di queste si era conclusa con lespulsio-
9
Ristampato in: L. Koakowski, Nasza wesoa apokalipsa. Wybr najwa>nieszych esejw, Znak, Cracovia 2010.
Davide Artico
68
ne dallateneo di un allora giovanissimo Adam Michnik
10
. La protesta dei suoi compa-
gni, inscenata l8 marzo sotto la biblioteca universitaria, venne repressa brutalmente dal-
la polizia. La reazione furono cortei indetti lindomani da tutti gli studenti. Anche que-
ste proteste incontrarono la dura reazione delle forze dellordine.
I disordini funsero da occasione perch la frazione pi conservatrice del POUP, rac-
colta intorno a Mieczysaw Moczar, iniziasse una campagna contro i cosiddetti deni-
gratori (fra cui il regista Andrzej Wajda e lo scrittore satirico Sawomir Mro>ek) ed a
favore di forme di socialismo maggiormente nazionali, che escludessero cio gli intel-
lettuali con vere o presunte origini ebraiche. Gomuka tentenn fino al 19 marzo, do-
podich decise di mettersi alla testa del movimento di Moczar, inveendo a un attivo del
Partito contro i cosmopoliti che, secondo lui, avrebbero dovuto essere esclusi dalle
sfere della vita pubblica in cui risultava necessario un forte senso di appartenenza nazio-
nale. Se dunque il Primo segretario evit accuratamente gli slogan pi direttamente an-
tisemiti, egli comunque non fece nulla per far rientrare il clima da resa dei conti evoca-
to dagli antisemiti veri e propri.
Uno dei risvolti pi interessanti del clima di tensione venutosi a creare allinterno del
POUP fu che, per conquistarsi solidi appoggi a Mosca, Gomuka sarebbe poi stato il pi
pronto e il pi zelante ad approvare e sostenere la dottrina Brenev nei confronti del-
la Cecoslovacchia. Il 20 agosto 1968 sarebbero stati proprio i polacchi a costituire, dopo
quello sovietico, il contingente pi numeroso inviato a pacificare la Primavera di Praga.
Da notare che dall11 aprile il portafoglio di Ministro della Difesa era stato assegnato a
un ufficiale allora praticamente sconosciuto: Wojciech Jaruzelski.
Londata antisemita lanciata da Moczar contribu in larga misura a distrarre latten-
zione degli intellettuali dalle vicende in corso al di l del confine meridionale. Questo
spiega, almeno in parte, per quale ragione non vi fu in Polonia praticamente nessuna
presa di posizione a favore della Primavera di Praga o contro la sua repressione. Com-
pletamente assorbiti dallondata di antisemitismo, che si sarebbe poi tradotta (entro la
fine del 1969) in oltre dodicimila espatri di studenti, docenti e intellettuali colpevoli di
avere ascendenze ebraiche, i polacchi rimanevano concentrati su quanto stava avve-
nendo a casa loro. Le proteste del marzo 1968 ebbero fra laltro spiacevoli strascichi
giuridici per molti. A novembre Kuro e Modzelewski furono nuovamente condannati
entrambi a tre anni e mezzo di carcere, Michnik a tre anni.
Una cronologia di massima delle lotte operaie: da Danzica 1970 al KOR
Se londa lunga della rivolta di Pozna, unita alle tensioni magiare ed alla tattica tempo-
reggiatrice di Ochab, avevano riportato Gomuka al potere, fu unaltra insurrezione che
lo fece definitivamente eclissare dalla scena politica polacca. Ancora una volta, alla base
delle proteste operaie, stavano innanzitutto motivazioni di carattere economico. Fu in-
fatti laumento dei prezzi di alcuni generi alimentari ed alcuni prodotti di consumo, an-
10
Si noti che Michnik viene ancora oggi insultato come giudeo dagli antisemiti vicini a Radio Maria.
Le lotte operaie in Polonia
69
nunciato il 12 dicembre del 1970, che port due giorni dopo a uno sciopero dei lavora-
tori dei cantieri navali di Danzica.
Il decorso della protesta fu molto simile a quello di Pozna, senonch levolversi de-
gli avvenimenti assunse un ritmo molto pi veloce. A fronte della mancanza di riscontri
concreti da parte delle autorit, gli scioperanti gi lindomani diedero lassalto alle sedi
del Comitato regionale del POUP e dei sindacati ufficiali, incendiandole. Gomuka non
pose tempo in mezzo e diede lordine di usare le armi per impedire unulteriore evo-
luzione violenta delle proteste. Lintervento dellesercito fu efficace dal punto di vista
dellordine pubblico, il numero delle vittime si limit a cinque persone. Non serv tutta-
via a stroncare sul nascere la rivolta. Lindomani si ebbero altri incidenti a Tczew, Pru-
szcz ed Elbla g, non lontano da Danzica.
Un tentativo di calmare gli animi attraverso un appello televisivo fu compiuto dal
segretario regionale Stanisaw Kocioek, che per non ebbe successo. Il 17 dicembre si
ebbe unaltra sparatoria nei pressi dei cantieri di Gdynia, con altre vittime fra gli operai
che, questa volta, protestavano pacificamente. Alla notizia scesero in sciopero anche i la-
voratori dei cantieri navali di Stettino. Con un drammatico botta e risposta, lindomani
lesercito avrebbe fatto fuoco anche contro una dimostrazione pacifica ad Elbla g.
Il 20 dicembre il Comitato centrale del POUP sfiduci Gomuka e lo costrinse a di-
mettersi con tutto il suo entourage. Ebbe allora inizio lera di Gierek e dei liberali che
formavano il suo ufficio politico. Il cambio della guardia, cui si accompagn natural-
mente anche il ritorno dei militari nelle caserme, parve calmare gli animi. Lo sciopero
ai cantieri di Stettino rientr due giorni dopo, mentre anche nel resto della Pomerania
orientale, da Danzica ad Elbla g, le proteste persero dintensit.
La ragione principale della rivolta, vale a dire laumento dei prezzi, non era per ve-
nuta meno. A met febbraio del 1971 il fronte si spost dal litorale alla Polonia centrale,
dove entrarono contemporaneamente in sciopero i dipendenti di ben 32 diverse fabbri-
che di d, per un totale di quasi centomila persone. Anche a d si ebbero scontri
e guerriglia urbana, senza che per le autorit decidessero di ricorrere a metodi drasti-
ci come lintervento dellesercito. La nuova direzione del Partito, che raccoglieva quasi
tutti elementi dalle convinzioni fondamentalmente socialdemocratiche, volle a tutti i co-
sti evitare il confronto diretto con gli operai ed anzi, entro il 1

maggio seguente, avrebbe


abrogato gli aumenti del dicembre 70. In questo modo Gierek si assicur quanto meno
cinque anni di relativa pace sociale.
Tuttavia, nel giugno del 1976, un altro tentativo di aumento dei prezzi dei generi ali-
mentari non evit lennesima ondata non solo di proteste, ma anche di autentiche jacque-
ries con assalti armati agli edifici del Partito, incendi e saccheggi. Anche in questa occa-
sione protagonisti furono i metalmeccanici, soprattutto delle fabbriche della Masovia.
Incidenti vi furono alle officine Ursus di Varsavia, a Radom ed a Pock.
Anche questa volta la squadra di Gierek opt strategicamente per evitare il confron-
to diretto. Ed anche questa volta fu un leader sovietico di origine ucraina, Leonid Bre-
nev, a prendere le parti dei moderati del POUP, con un comunicato ufficiale in cui dichia-
rava il suo sostegno ai lavoratori polacchi in sciopero. Come gi aveva fatto Chru/v
nel 1956, ventanni dopo anche Brenev parve valutare la situazione in maniera estre-
mamente pragmatica: da un lato eventuali repressioni cruente della protesta avrebbero
soltanto minato ulteriormente la gi precaria stabilit politica dellalleato; daltro canto
Davide Artico
70
per questa posizione brenieviana era coerente con la teoria allora imperante delle tre
fasi di ascesa verso il comunismo, secondo la quale i paesi non sovietici avrebbero do-
vuto tendere in prima istanza al loro sviluppo interno, per dedicarsi in un secondo tem-
po alla loro omogeneizzazione strutturale col sistema statale di Mosca
11
. In questo senso
il miglioramento delle condizioni materiali di vita dei lavoratori polacchi era per il lea-
der sovietico pi importante nellimmediato di quanto potesse esserlo il mantenimento
dellortodossia statalista in riva alla Vistola.
Per quanto opportunismo ci potesse essere dietro le dichiarazioni di Brenev a favo-
re dei polacchi in sciopero, rimaneva comunque il fatto che esse poterono essere inter-
pretate come un avallo alla linea morbida nei confronti della protesta di massa. Fu dun-
que cos che il premier Jaroszewicz revoc immediatamente laumento dei prezzi. Ci si
tradusse in un inaspettato aumento della popolarit del governo. A partire dal 27 giu-
gno si svolsero addirittura manifestazioni popolari di solidariet alla linea governativa ed
allo stesso Gierek. Forte di questo sostegno dellopinione pubblica, lesecutivo non per-
se occasione di estrarre il bastone dopo aver esibito la carota. Entro luglio vi furono ol-
tre duemila arresti fra i manifestanti della Masovia e quasi un migliaio di condanne, che
per anche questa volta furono miti, risolvendosi nella maggioranza dei casi in sempli-
ci pene pecuniarie. Ci non toglie tuttavia che a una trentina fra i responsabili degli atti
vandalici venissero comminate pene da uno a dieci anni di carcere.
Fu in conseguenza diretta di queste condanne che, dal movimento di protesta che
fino a quel momento era stato essenzialmente improntato a rivendicazioni materiali,
venne ulteriormente alla ribalta una figura destinata a diventare unicona del movimen-
to operaio polacco: Kuro, che il 18 luglio 1976 invi una lettera ad Enrico Berlinguer in
cui chiedeva il sostegno del Segretario del PCI a una richiesta di amnistia per i condanna-
ti. Si trattava di uniniziativa a carattere principalmente umanitario, dalla quale, al con-
trario di quanto accaduto dodici anni prima, non emergeva nessuna elaborazione poli-
tica in senso marxiano. Ci nondimeno il gesto stesso degno di nota per almeno due
motivi. Dimostra infatti, innanzitutto, quale eco avesse avuto nel blocco orientale il XIV
Congresso del PCI del marzo 1975, durante il quale aveva preso forma compiuta lidea
berlingueriana di una terza via che coniugasse elementi socio-economici fondamen-
talmente socialisti con una democrazia politica non soltanto di facciata. Grandemente
sottovalutato nella storiografia contemporanea italiana, il XIV Congresso del PCI costi-
tu invece un momento decisivo nella maturazione di una coscienza politica compiuta
fra quegli oppositori dei regimi autoritari dellEuropa orientale che non si rifacessero a
ideo logie nazionaliste e clericali.
La seconda ragione per cui la lettera di Kuro a Berlinguer riveste unimportanza
storica proprio il suo valore di documento che, per la prima volta dalla fine dello stali-
nismo, conferma lesistenza di comunisti eretici in Polonia. Ci tanto pi importan-
te in quanto, come si vedr, la Chiesa cattolica avrebbe sfruttato con opportunismo le
tensioni sociali degli anni Settanta per ergersi, in gran misura in maniera soltanto appa-
rente, a difensore principale delle ragioni popolari contro gli abusi conclamati del regi-
me. La conferma che il movimento degli operai polacchi, perlomeno ai suoi inizi, aves-
11
Cfr. A. Smieckus, Velikaja sila socialisti/eskogo internacionalizma, Kommunist, n. 11, 1972, p. 25.
Le lotte operaie in Polonia
71
se una forte componente laica e progressista, attratta dalla terza via berlingueriana,
verit scomoda che oggi viene passata sotto silenzio.
Il 23 settembre 1976 Kuro, insieme con Jerzy Andrzejewski ed unaltra dozzina di
oppositori del regime, fond unorganizzazione non clandestina chiamata Comitato di
difesa degli operai (KOR). Che lorganizzazione, almeno allinizio, non volesse costituir-
si in opposizione ideologica al regime, ma tendesse prima di ogni altra cosa a denuncia-
re gli abusi di alcune autorit e ad invitare a un maggiore rispetto dei diritti umani, di-
mostrato dal suo primo atto concreto: la redazione di un Appello alla societ ed alle
autorit della Repubblica popolare polacca che fu inviato per conoscenza direttamen-
te al Presidente del Parlamento.
Nellappello si criticavano esclusivamente le violazioni dello Statuto dei lavoratori
legate ai licenziamenti arbitrari degli scioperanti e le altre repressioni svoltesi ai danni
degli lavoratori, [che costituivano] la negazione dei diritti fondamentali dellessere uma-
no garantiti tanto dal diritto internazionale quanto dalla legge polacca. Non si avanza-
vano dunque rivendicazioni di sistema, bens semplicemente il KOR richiedeva il rispetto
sostanziale, da parte delle autorit, delle normative gi vigenti nel momento in cui era-
no scoppiati i disordini.
Lappello del KOR, che rappresent la prima iniziativa operaia compiutamente non
violenta e tesa non al confronto ma al dialogo con i rappresentanti dello Stato, sort
un effetto inaspettatamente positivo. Entro un anno tutti i condannati per le violen-
ze del giugno 1976 sarebbero stati scarcerati. Ci non port tuttavia allo scioglimento
del Comitato di difesa degli operai, che invece si trasform nel Comitato di autodifesa
sociale KOR. Fu questo il primo passo verso un esperimento di organizzazione che
affondava le sue radici nella societ civile e, per la prima volta dal dopoguerra, mette-
va apertamente in discussione il carattere autenticamente socialista dello Stato auto-
ritario polacco.
Una cronologia di massima delle lotte operaie: la svolta del 1980
Quattro anni dopo i disordini del giugno 1976 lo scenario parve ripetersi con un copio-
ne analogo. Il 1 luglio 1980 furono aumentati i prezzi dei generi di macelleria, il che
provoc immediatamente, nello stesso giorno, scioperi ed assemblee di protesta degli
operai. Ancora una volta liniziativa part dai metalmeccanici delle officine Ursus della
capitale, presto imitati dai chimici nel sud-est del paese, a Sanok e Tarnw. Lindomani
le proteste si estesero anche ad ovest, coinvolgendo i lavoratori di Ostrw Wielkopolski
e Wocawek per giungere fino a Tczew, alle porte di Danzica. Ancora una volta lesecu-
tivo tent una soluzione di compromesso, mantenendo invero gli aumenti sul mercato,
ma introducendo prezzi calmierati nelle mense aziendali. Questa volta per gli sciope-
ri non rientrarono. Nemmeno lappello a cessare la protesta, lanciato il 3 luglio dal Co-
mitato di autodifesa sociale KOR, sort alcun risultato. Al contrario, il 16 luglio entra-
rono in sciopero anche i ferrovieri di Lublino che, contrariamente al resto dei lavoratori
in agitazione, non avanzarono soltanto rivendicazioni economiche, ma anche la richiesta
di nuove elezioni dei delegati sindacali. Era linizio di una politicizzazione diffusa degli
operai che fino a quel momento non si era mai verificata.
Davide Artico
72
Di fatto la vertenza di Lublino si concluse con la semplice concessione di relativa-
mente sostanziosi aumenti salariali, decisi gi il 20 luglio. La strategia del divide et impe-
ra, cio degli accordi separati con i comitati spontanei degli operai delle singole aziende,
non ebbe per il successo sperato. La lotta contro il carovita, infatti, si era ormai trasfor-
mata in un pretesto per avanzare rivendicazioni di ben altro genere, fra cui un maggiore
rispetto dei diritti umani non era che lelemento pi simbolico. A quattro anni dal giu-
gno 1976 erano ormai maturate posizioni che negavano strutturalmente il genere di con-
trattazioni svoltosi sinora, con la rappresentanza dei lavoratori ufficialmente delegata a
sindacalisti nominati dal Partito, cio di fatto con i controllati che nominavano i control-
lori. Ora le richieste operaie si indirizzavano verso il riconoscimento della libert di as-
sociazione e di unautonomia sindacale di fatto.
La svolta decisiva si ebbe intorno a Ferragosto. Il 14 inizi ufficialmente uno scio-
pero generale ai cantieri navali Lenin di Danzica, seguiti a ruota, il giorno successi-
vo, dai cantieri Comune di Parigi di Gdynia. Il 18 agosto sarebbe stata la volta dei
cantieri navali di Stettino. Lintera area costiera si era trasformata in unenorme mani-
festazione di protesta. A differenza di quanto accaduto negli anni precedenti, la pro-
testa evidenziava un alto livello di organizzazione e coordinamento, con leader cari-
smatici a tirarne le fila. Fra tutti spiccavano Lech Wa esa a Danzica e Marian Jurczyk
a Stettino.
Le autorit legittimarono immediatamente come interlocutori i comitati di sciope-
ro, iniziando con loro trattative volte a far rientrare la protesta. La trattative tuttavia non
approdarono a nulla. Il 26 agosto londata di scioperi giunse ad attraversare lintera Po-
lonia, squassandola in lungo e in largo: Wrocaw, d, Nowa Huta (nei pressi di Cra-
covia), Pozna, Olsztyn sono soltanto le citt pi importanti in cui le agitazioni assun-
sero dimensioni ragguardevoli. Questo segn la fine politica di Gierek, che il 26 agosto
stesso dovette lasciare la guida del Partito. Fu questo un momento decisivo, a tuttoggi
molto sottovalutato: era finita lepoca del dialogo, per quanto limitato, fra autorit e la-
voratori in sciopero. Stava per iniziare un lustro di lacrime e sangue tanto per il Partito,
quanto per la stessa opposizione.
Fanno riflettere le parole di addio di Gierek, che oggi suonano quasi come una pro-
fezia. Secondo il Segretario dimissionario, i lavoratori dei cantieri navali si erano fatti ab-
bindolare da mascalzoni politici, del che si sarebbero poi dovuti pentire amaramente.
Non era una minaccia. Era forse lungimiranza, come avrebbero poi dimostrato alcuni
avvenimenti degli anni successivi al 1989.
Ad ogni modo il cambiamento alla guida del Partito e il conseguente rimpasto di go-
verno permisero infine di giungere a un accordo con gli scioperanti. Le intese dellago-
sto 1980 ebbero portata storica, perch comprendevano, oltre a gesti simbolici come la
costruzione di un monumento alle vittime della repressione degli scioperi di Danzica del
1970, anche il riconoscimento ufficiale del sindacato autonomo Solidarno0.
Le posizioni politiche (ed ormai si poteva a ragion veduta parlare di politicizzazione)
del comitato di sciopero da cui sarebbe poi scaturita Solidarno0 furono formulate, nel-
la notte fra il 16 e il 17 agosto 1980, in un documento oggi noto come i 21 punti pro-
grammatici. Varr la pena di riportare i pi interessanti:
1. Accettazione di sindacati liberi e indipendenti dal Partito e dai datori di lavoro,
Le lotte operaie in Polonia
73
in applicazione della Convenzione n. 87 dellOrganizzazione internazionale del lavoro,
a suo tempo sottoscritta dalla Repubblica popolare polacca.
2. Garanzia del diritto di sciopero e della sicurezza degli scioperanti.
3. Rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione della Repubblica popolare polacca
in materia di libert di parola e di stampa, senza repressioni per gli editori indipendenti;
garanzia di accesso ai mass media per i rappresentanti di tutte le confessioni religiose.
4. Indicizzazione delle retribuzioni in maniera proporzionale allaumento dei prezzi
ed alla perdita di valore del denaro (inflazione).
5. Introduzione di tessere annonarie su carne e derivati (sic!).
6. Abbassamento dellet pensionistica a 55 anni per le donne e 60 per gli uomini.
Particolarmente istruttivo il fatto che furono gli stessi operai in sciopero a preten-
dere lintroduzione delle tessere annonarie. Al di l degli stereotipi diffusi ad Occidente,
infatti, il problema al tempo non era affatto la mancanza di generi alimentari, ma il loro
costo rapportato alle retribuzioni; attraverso le tessere invece tutti i lavoratori avrebbe-
ro avuto accesso a una quantit minima di carne a prezzo calmierato. Le autentiche in-
sufficienze nei rifornimenti sarebbero comparse molto pi tardi, soprattutto in seguito
ai disguidi causati dagli scioperi permanenti.
Altri due punti permettono di capire meglio il senso dellespressione mascalzoni
politici usata da Gierek. La decostruzione dello Stato sociale che sarebbe intervenuta
dopo il 1989 ha reso la richiesta di una bassa et pensionabile e di meccanismi di indi-
cizzazione tipo scala mobile dei pii desideri che oggi pi nessuno nemmeno ricorda. I
leader politici odierni che, pur non avendo partecipato che in misura del tutto seconda-
ria alle proteste dei primi anni Ottanta, ne fanno oggi un punto di riferimento ideale e
ideologico, non solo non hanno reso pi concreto il soddisfacimento dei 21 punti pro-
grammatici, ma vi hanno definitivamente rinunciato. Discorso analogo pu essere fat-
to per la libert di religione, che lodierna egemonia istituzionalizzata della confessione
cattolico-romana ha reso del tutto illusoria e irrealizzabile nei fatti.
Nonostante che lesecutivo avesse assecondato praticamente per intero le richieste
degli scioperanti dellagosto 1980, le manifestazioni di protesta e le interruzioni del lavo-
ro continuarono per tutto lanno seguente, assumendo contorni sempre meno sindacali
e sempre pi connotati politicamente in senso nazionalista e, soprattutto, antisovietico.
A Mosca, al contrario di quanto era accaduto nel 1976, cominciarono a crescere fastidio
e inquietudine. Il Comitato centrale del PCUS scelse una data simbolo per dare espressio-
ne ai sentimenti che prevalevano al suo interno: il 17 settembre 1981, cio lanniversario
dellinvasione sovietica del 1939.
Nella dichiarazione ufficiale della dirigenza sovietica si leggeva fra laltro:
Le forze nemiche del socialismo tendono ad evocare in Polonia unatmosfera di estremismo
nazionalista a carattere esplicitamente antisovietico. Non possiamo che domandarci perch,
da parte delle autorit ufficiali polacche, non si sia ancora preso nessun provvedimento deci-
so per troncare questa campagna ostile allUnione Sovietica, legata alla Polonia popolare da
rapporti di amicizia e da obblighi di alleanza. Il CC del PCUS e il governo sovietico ritengono
che un ulteriore permissivismo verso qualunque fenomeno di antisovietismo danneggerebbe
enormemente i rapporti polacco-sovietici, essendo direttamente incoerente con gli obblighi
Davide Artico
74
di alleanza della Polonia e con gli interessi vitali della nazione polacca. Ci attendiamo che la
Direzione del POUP e il governo della RPP assumano immediatamente provvedimenti decisi e
radicali per troncare la maligna propaganda antisovietica e le iniziative ostili verso lUnione
Sovietica
12
.
Era qualcosa di pi di un avvertimento. Era unaperta minaccia di intervento armato.
Ad essa fecero seguito, a inizio dicembre 1981, dichiarazioni di tono analogo alla riunio-
ne dei Ministri della difesa dei paesi del Patto di Varsavia, tenutasi a Mosca, ed al vertice
dei Ministri degli esteri di Bucarest. Lintervento sovietico fu scongiurato soltanto dalla
decisione del generale Jaruzelski del 13 dicembre 1981, che introdusse in Polonia la leg-
ge marziale, salvando probabilmente il paese da un bagno di sangue.
La legge marziale pose fine alla mobilitazione di massa dei lavoratori polacchi. Entro
la met degli anni Ottanta Solidarno0, da grande movimento sindacale, si sarebbe tra-
sformata in un gruppo elitario di interlocutori politici, ormai quasi staccato dalla propria
base di un tempo. In seguito, particolarmente durante la prima presidenza Kwaniewski
nella seconda met degli anni Novanta, il logo di Solidarno0 fu usurpato da una coa-
lizione politica di estrema destra guidata da Marian Krzaklewski e Jerzy Buzek.
Gli ideali degli operai
Come si visto, la base ideale e ideologica del movimento operaio polacco sub un note-
vole mutamento diacronico, passando dalle rivendicazioni essenzialmente economiche
e materiali dei primi scioperi del 1956 e, in parte, anche di quelli del 1970, fino alle posi-
zioni molto pi articolate del KOR dopo le repressioni del 1976. Specialmente la figura di
Kuro, cui si affiancarono col tempo anche intellettuali di primissimo piano come Ko-
akowski, pareva particolarmente attratta dalle teorie berlingueriane della terza via e
del connubio possibile fra economia socialista, diritti civili e rappresentanza democrati-
ca. Anche gli originali 21 punti programmatici dellagosto 1980 parevano andare nel-
la direzione di una compiuta socializzazione di un sistema di potere che, sino ad allora,
si era dimostrato soltanto autoritario e incline a soluzioni di capitalismo di Stato. Le sus-
seguenti vicissitudini legate alla legge marziale ed alla svolta in senso nazionalista e cleri-
cale di Solidarno0, dopo la met degli anni Ottanta, segnarono tuttavia la sconfitta de-
finitiva del comunismo eretico in Polonia.
BIBLIOGRAFIA
Esiste una vastissima bibliografia in lingua polacca, tanto accademica quanto pubblicistica, sul pe-
riodo della storia recente qui preso in considerazione. Ad essa si fatto riferimento nella stesura
del presente articolo. Fra i testi pubblicati in lingue occidentali si possono ritenere utili, a fini di
approfondimento, i volumi qui sotto elencati.
12
Citato in: W. Jaruzelski, Pod pra d. Refleksje rocznicowe, Comandor, Varsavia 2005, p. 124.
Le lotte operaie in Polonia
75
Sugli avvenimenti del 1956 e il ritorno al potere di Gomuka
Gibney, F., The Frozen Revolution: Poland: A Study in Communist Decay, Farrar, Straus & Cu-
dahy, New York 1959.
Gluchowski, L.W., Nalepa, E.J., The Soviet-Polish Confrontation of October 1956: The Situation
in the Polish Internal Security Corps, Woodrow Wilson International Center for Scholars, Wa-
shington 1997.
Sulla situazione socio-economica dallepoca di Gierek alla fine della presidenza Wa esa
Poznaski, K., Polands Protracted Transition: Institutional Change and Economic Growth
1970-1994, Cambridge University Press, Cambridge 1996.
Su Solidarno0 dalle origini fino alla fine degli anni Ottanta
Bertorello, M., Il movimento di Solidarno0. Dalle origini al governo del paese, Lacaita, Mandu-
ria 1997.
Faraldo, J., Europe, Nationalism and Communism: Essays on Poland, Lang, Frankfurt a.M. 2008.
Laba, R., The Roots of Solidarity: A Political Sociology of Polands Working Class Democratization,
Princeton University Press, Princeton (New Jersey) 1991.
Paczkowski, A., From Solidarity to Martial Law: the Polish Crisis of 1980-1981: A Documentary Hi-
story, Central European University Press, Budapest 2006.
Potel, J.-Y., Scnes de grves en Pologne. Prcd dun entretien avec Karol Modzelewski, Noir sur
Blanc, Lausanne 2006.
77
DAL MAGGIO 68
AGLI ANNI SESSANTOTTO, AL 2008.
IL CASO FRANCESE
Michelle Zancarini-Fournel
La storia del nostro presente attraversata da un doppio paradosso: il riferimento al
1968 onnipresente sulla scena pubblica francese, si tratti della campagna presidenziale
del 2007 (in cui il Maggio 68 servito da modello negativo per il candidato Nicolas Sar-
kozy), degli episodi di ribellione urbana dellautunno 2005 (visti come un piccolo Mag-
gio 68 delle periferie)
1
o delle manifestazioni studentesche della primavera del 2006, in
cui i repertori dazione sembravano, a prima vista, identici a quelli del 1968 (la Sorbo-
na occupata, i lanci di sampietrini, le macchine rovesciate e bruciate), anche se la com-
parazione, allora ricorrente nei media, pu apparire, a un esame pi attento, non fonda-
ta. Al contrario, si moltiplicano le dichiarazioni e le pubblicazioni sulleredit mancante
2
,
impossibile
3
, rimossa, negata o rifiutata. Il processo al 1968 istruito in permanenza nei
media e in certi discorsi politici: il 1968 sarebbe responsabile della dissoluzione dei co-
stumi, dellautorit, del gusto dello sforzo e della voglia di lavorare...
Daltro canto, i figli della generazione 68 si interrogano sulla filiazione e la tra-
smissione. Certuni si dicono privati della memoria per il rifiuto dei loro ascendenti di ef-
fettuare un passaggio di testimone; altri, al contrario, parrebbero prendersi carico della
filiazione e della trasmissione
4
. Degli studenti interpellano i loro insegnanti alluniversi-
t: Cosa avete fatto di voi da trentanni a questa parte? mi hanno chiesto con insisten-
za. Cosa avete fatto per noi?
5
. Certi infine sinterrogano sugli effetti a scoppio ritar-
dato degli eventi del 1968 sulle generazioni successive. Perch c uneredit di fatto,
sia essa negata o meno. Il fantasma del 1968 ossessiona la scena politica e sociale della
1
P. Jarreau, Le Monde, 5 novembre 2005.
2
J. Birnbaum, Leur jeunesse et la ntre. Lesprance rvolutionnaire au fil des gnrations, Stock, Paris 2005.
Si veda in particolare lintroduzione, dal titolo: Il deserto come eredit.
3
J.-P. Le Goff, Mai 68. Lhritage impossible, La Dcouverte, Paris 1998.
4
Per esempio, si veda il libro di Bibia Pavard dedicato alla madre, membro del MLF, Les ditions des femmes.
Histoire des premires annes (1972-1979), LHarmattan, Paris 2005.
5
D. Lecourt, Les Pitres Penseurs, Flammarion, Paris 1999, p. 13.
Michelle Zancarini-Fournel
78
Francia da svariati decenni. Lopinione pubblica conforta questo punto di vista, convin-
ta com dellimportanza dellevento: il 1968 classificato sistematicamente nei sondag-
gi come levento pi importante dalla Seconda guerra mondiale in poi.
Le parole per dirlo
Gli eventi francesi del 1968 sono chiamati molto spesso Maggio 68, accezione
contratta semplicemente in Maggio, cosa che genera un effetto di riduzione tempo-
rale (un mese) e geografica (essenzialmente Parigi); ma lespressione si fissata nel
senso fotografico del termine nella memoria comune grazie anche a certe pubblica-
zioni
6
. Il modo di nominare un evento, come la sua cronologia, sono parte costitutiva
della sua costruzione sociale e del senso che gli assegnato. La denominazione Mag-
gio 68 suppone una cronologia implicita che va dal 3 maggio 1968, occupazione del-
la Sorbona da parte della polizia e manifestazione studentesca spontanea a Parigi, sino
al 30 maggio 1968 data del discorso in cui il generale de Gaulle annunciava lo sciogli-
mento dellAssemblea generale e nuove elezioni legislative. Essa mette laccento sulla
scossa subita dallo Stato e sul ritorno allordine. La forma e le conseguenze della rivol-
ta studentesca sul Governo, lo Stato e lopinione pubblica hanno contribuito a produr-
re leffetto-sorpresa ed necessario riconoscere tutto il suo spazio allevento-mostro,
secondo la formula di Pierre Nora
7
. La qualifica di crisi del maggio-giugno 1968 sug-
gerisce limportanza cruciale degli eventi per le istituzioni e gli individui. Ma assegna
implicitamente la parte di primo piano allo Stato, cancellando limportanza degli scio-
peri il pi grande sciopero generale francese del XX secolo e la giustapposizione del-
le mobilitazioni di gruppi di diversa ispirazione, dagli studenti ai quadri, passando per
gli scrittori e i calciatori. Leffetto di omogeneizzazione stato per prodotto dalle rap-
presentazioni che ne sono state date dai media (radio e televisione) al momento stes-
so del suo svolgersi.
Il giornalismo stato il primo marcatore dellevento. La presentazione dellevento
sulla stampa scritta, alla radio e alla televisione un elemento che, sul momento stesso,
costituisce e qualifica levento per limmagine che data degli individui e dei gruppi e
contribuisce cos alla formazione dellopinione pubblica, che diventa a sua volta opera-
tiva in una combinazione di pratiche e rappresentazioni: la giornata del 24 maggio, dive-
nuta emblematica della sommossa e della guerra civile, rappresenta da questo punto di
vista un passaggio decisivo. Allinizio dellanno 1968, la stampa aveva accordato un cer-
to interesse al movimento studentesco, categoria che riuniva le rivendicazioni di attori
sociali e gruppi differenti. Questa rivolta studentesca presentata come parte integran-
te della rivolta della giovent planetaria, elemento di una crisi mondiale e non specifico
della Francia; ma dai primi giorni del Maggio, i manifestanti contestatari sono definiti
come degli Arrabbiati, cosa che rientra nominalmente nel processo di riduzione ge-
6
Per esempio, L. Joffrin, Mai 68. Histoire des vnements, Seuil, Paris 1988.
7
P. Nora, Le retour de lvnement, in J. Le Goff, P. Nora (a cura di), Faire de lhistoire, t. I, Nouveaux Prob-
lmes, Gallimard, Paris 1974, pp. 210-228.
Dal Maggio 68 agli anni Sessantotto, al 2008. Il caso francese
79
ografica e di territorializzazione della rivolta attorno alla facolt di Nanterre e al leader
del 22 marzo, Daniel Cohn-Bendit. I gruppi professionali come i contadini, i viticolto-
ri, gli operai sono allo stesso modo presentati nella loro globalit e rappresentati me-
diante le loro organizzazioni corporative, in un gioco di specchi deformanti tra stampa
e movimento sociale che contribuisce a fissare i contorni e le caratteristiche dellevento.
In questi ritratti si viene a perdere la diversit degli attori sociali; si perde anche la com-
plessit del vissuto individuale e collettivo dellevento. Bisogna una buona volta interro-
garsi sulla pertinenza delle rappresentazioni che fanno del Maggio 68 un solo movimen-
to mentre esistono, coesistono, attori e scene sociali e regionali dalle temporalit diverse,
talora sfasate rispetto alla scena parigina. Loccupazione delle universit di provincia e
parigine, come quella di certe fabbriche, protrattasi sino alla fine del mese di giugno,
stata in parte cancellata da scritti e rappresentazioni. Ma la nazionalizzazione dellevento
esiste, prende a prestito canali diversi e si cristallizza attorno alle giornate del 13 maggio
(sciopero generale e manifestazioni) e del 30 maggio (discorso del generale de Gaulle e
manifestazione gaullista sugli Champs Elyses), svolte decisive della periodizzazione. Le
opere che presentano gli eventi del maggio-giugno 1968 li separano classicamente in tre
momenti: la crisi studentesca (fino al 13 maggio), la crisi sociale (dal 13 maggio alle pro-
poste di Grenelle) e la crisi politica (30 maggio-30 giugno). Questa distinzione pedago-
gicamente efficace, ma cancella la complessit di un fenomeno che occasiona lintreccio
e la sovrapposizione di una tripla contestazione a uno Stato che, lungi dallessere mono-
litico, sicuramente meno impreparato di quanto non si sia detto, ma che, in un primo
tempo sorpreso, incerto ed esitante sulla via da seguire almeno sino al 30 maggio. Sfa-
sature e dissonanze perturbano questa analisi trinitaria della crisi.
Lincertezza a livello di denominazione si applica anche allinterpretazione del
1968: rivoluzione, comune si oppongono a carnevale e psicodramma (Raymond
Aron), per non citare che le opere apparse subito dopo
8
. Si parla di eventi e, con que-
sta denominazione, si opera un rinvio eufemizzato alla Guerra dAlgeria, che fu una
guerra senza nome, e si parla ancora, ventanni dopo, di enigma
9
. Questultimo
termine mette in valore al contempo la complessit e la sorpresa. Edgar Morin ha insi-
stito sul sorgere brusco delle manifestazioni e degli scioperi, e ha sottolineato il carat-
tere insieme accidentale e profondo dellevento. La ripetizione senza fine da parte dei
cronisti del titolo dellarticolo del 15 marzo 1968 di Pierre Viansson-Pont (La Fran-
cia si annoia), contribuisce a far perdurare questa immagine della sorpresa e dellacci-
dentale, sottolineando la sfasatura tra il giudizio delleditorialista e gli eventi che sono
seguiti
10
. Interrogare il carattere accidentale o aleatorio dellevento permette di rivisi-
8
R. Aron, La rvolution introuvable. Rflexions sur les vnements de Mai, Fayard, Paris 1968; E. Morin,
C. Lefort, C. Castoriadis, Mai 68: la brche. Premires rflexions sur les vnements, Fayard, Paris 1968; A.
Touraine, Le mouvement de mai ou le communisme utopique, Le Seuil, Paris 1968, per non citare che tre delle
pubblicazioni pi importanti.
9
Le Dbat, 1988.
10
Le Monde, 15 marzo 1968. Il contenuto dellarticolo pi complesso di quanto non suggerisca il titolo
e le citazioni abituali. il generale De Gaulle il primo a costruire, in unintervista televisiva di Michel Droit
del giugno 1968, questa immagine dellopposizione tra il punto di vista delleditorialista del quotidiano e la
situazione della Francia un mese pi tardi.
Michelle Zancarini-Fournel
80
tare il problema della cronologia linizio e la fine del movimento sociale, i suoi segni
premonitori, rinvenuti per alcuni dopo lo svolgimento degli eventi. Le manifestazioni
di tutti i tipi e gli scioperi degli anni precedenti relativizzerebbero laspetto accidenta-
le, anche nella percezione degli attori sociali: i rapporti dei prefetti sulle manifestazioni
del 1967, scritti sul momento, parlano di prova generale, di incidenti precursori e di
futuri sconvolgimenti. Ci si pu allora interrogare sullorizzonte dattesa nel 1967
11

di questi alti funzionari.
Nella storia politica, sociale e culturale della Francia, il 1968 ha costituito o no una
rottura? Se c senzaltro stata nella primavera del 68 una crisi del consenso (Boris
Gobille), il maggio-giugno 1968 realmente lepicentro di una larga contestazione, una
galassia di movimenti sociali, politici e culturali molto diversi che si giustappongono
nel tempo e interferiscono con mutazioni profonde, in parte leggibili molto prima del
maggio 1968. Ma la cronologia non lineare e identica per tutti i movimenti e i fatti del
maggio-giugno non giocano sempre un ruolo decisivo, come indicato dalle mobilitazio-
ni di gruppi tanto differenti come i viticoltori o i movimenti delle donne.
Lunit della sequenza storica designata con lespressione anni Sessantotto si fonda
sulla prossimit, addirittura sulla confusione, di spazio di esperienza (il passato mobilizza-
to nel presente) e orizzonte di aspettativa (il futuro atteso) che definisce il regime di sto-
ricit, inteso come rapporto sociale con il tempo, caratteristico del momento-Sessantotto
e legato, al contempo, allaffermazione dellindividuale e del collettivo. Loscillazione della
sequenza si ha a partire dal 1973-1974, cerniera cigolante del periodo, quando lorizzonte
di aspettativa non pi lutopia della speranza rivoluzionaria e di un avvenire radioso, ma
la crisi economica e sociale, la lotta contro la perdita del posto di lavoro e la disoccupazio-
ne di massa. Lindebolimento della cultura sociale della contestazione e la delega alla po-
litica istituzionale nel 1981 (lalternanza politica con larrivo della sinistra al potere) segna
la fine della sequenza contestataria francese. Dalla fine del mese di giugno 68 si fabbrica
una doxa sugli eventi che passa per lattribuzione del senso che loro conferito immedia-
tamente, poi per limposizione nel corso degli anni Ottanta del punto di vista generazio-
nale e di uninterpretazione culturalista e individualista: il Sessantotto sarebbe una disfatta
politica, istituzionale e sociale, ma una vittoria culturale
12
. Nel quadro interpretativo della
storia culturale e della nozione di cultura di massa, levento rivalutato al ribasso
13
. In al-
tri casi, i differenti mali della Francia, segno del suo declino, sono posti come conseguen-
za dellazione e dellopera dei sessantottardi, dove il sessantottardo una figura impro-
babile e necessaria quanto quella del francese medio
14
.
Dalla scena nazionale alle scene locali, diverse fonti permettono di scrivere una storia al-
tra rispetto a quella veicolata dai discorsi politici e dai media su questi eventi che hanno
11
R. Koselleck, Futuro Passato. Per una semantica dei tempi storici, Cluen, Bologna 2007.
12
La cristallizzazione e la generalizzazione di questo punto di vista si esprime nel libro di Arthur Marwick,
The Sixties. Cultural Revolution in Britain, France, Italy and the United States c. 1958-1974, Oxford University
Press, Oxford 1998.
13
J.-F. Sirinelli, Les Vingt Dcisives. Le pass proche de notre avenir (1965-1985), Fayard, Paris 2007.
14
P. Ory, LEntre-Deux-Mai. Histoire culturelle de la France, mai 1968-mai 1981, Seuil, Paris 1983, p. 13.
Dal Maggio 68 agli anni Sessantotto, al 2008. Il caso francese
81
sconvolto in profondit individui, gruppi e istituzioni. Nel maggio-giugno 68, le mani-
festazioni studentesche, la critica degli insegnanti nonch la proposta di una gestione pa-
ritaria delle facolt hanno distrutto luniversit napoleonica e, con la legge Edgar Faure
adottata nel novembre 1968, stata fondata una nuova universit. Il 1968 anche il pi
grande sciopero generale della storia del XX secolo, con delle conquiste non da poco in
materia di salari e di rappresentanza sindacale nellimpresa, ma lorganizzazione del la-
voro e i rapporti gerarchici non sono stati modificati malgrado la loro rimessa in causa
nel maggio-giugno 68. Tutti gli strati sociali sono stati attraversati da questa rimessa in
questione e le prese di parola nello spazio pubblico (Michel de Certeau) hanno contri-
buito a una decompartimentazione sociale e a delle azioni di solidariet e di fraternit
tra gruppi sociali e individui. Si tratta forse di uno dei rari momenti della storia france-
se, con la Comune del 1871, in cui il motto rivoluzionario libert, uguaglianza, frater-
nit stato effettivamente messo in pratica. La contestazione politico-socio-culturale
proseguita negli anni seguenti, almeno fino alla fine del decennio.
Interpretazioni, storia e memorie
Sociologi, filosofi e saggisti hanno scritto molto sullinterpretazione generale di quello
che stato chiamato mistero, seguendo il Michel Foucault analista degli eventi in Tu-
nisia, dove insegnava
15
. Pierre Nora, nel 1992, nella conclusione dei Luoghi della memo-
ria dal titolo Lera della commemorazione, afferma che nel caso del 1968 levento non
ha un senso che non sia commemorativo
16
.
Commemorazione, rammemorazione, celebrazioni decennali, sono vari i termini
per qualificare il processo che si ritiene sia in grado di annodare storia e memoria. Si
pu parlare di un processo di commemorazione-celebrazione rampante che comincia nel
1973, con la cancellazione progressiva delle organizzazioni di estrema sinistra e con lini-
zio della voga editoriale dei percorsi autobiografici, che culmina nellabbondante raccol-
to del 1978 e riappare poi a intervalli regolari, spesso nel mese di maggio, per sbocciare
nel 1987-1988. Le riviste letterarie e i settimanali ritornano periodicamente sullinter-
rogativo: Cosa sono diventati?, facendo un Whos Who generazionale in cui vengono
sottolineate le riuscite mediatiche ed economiche. Il romanzo-verit in due tomi Gnra-
tion Les Annes de rve del 1987 e Les Annes de plomb del 1988 sembrano fissare
la storia. Il successo commerciale di queste opere giornalistiche basate su fonti orali e
scritte scaturisce dalla narrazione acuta con cui i due giornalisti, Herv Hamon e Patrick
Rotman, colgono fatti e intrighi ignorati da molti, anche se il campione degli intervista-
ti lungi dallessere rappresentativo ed limitato essenzialmente a coloro che, studen-
ti o insegnanti, nel 1968 avevano pi o meno venticinque anni e gi una solida esperien-
15
Termine ripreso da Le mystre 68, Le Dbat, nn. 50-51, 1988. Per un comodo panorama delle interpre-
tazioni, si veda la rivista Pouvoirs, n. 39, numero speciale sul maggio 68, 1986; e A. Prost, Quoi de neuf sur
le mai franais?, Le Mouvement Social, aprile-giugno 1988, n. 143. M. Zancarini-Fournel, Les interprta-
tions de mai 68: approche historiographique, Lettre dinformation IHTP, 1996.
16
P. Nora (a cura di), Les Lieux de mmoire, t. III, Les France, 3, De larchive lemblme, Gallimard, Paris
1992.
Michelle Zancarini-Fournel
82
za militante nel Quartiere latino. Il 1988 pu allora essere analizzato come la pavana
di una generazione
17
. Nel 1994, un quarto di secolo dopo il 1968, fermo immagine sui
sessantottardi in Rolls Royce
18
: i luoghi comuni si elaborano cos. La pregnanza del-
la crisi economica e delle sue conseguenze sociali, laccrescimento delle ineguaglianze e
limposizione del concetto e della realt dellesclusione non sono senza effetto su questa
immagine di un contrasto tra le riuscite di alcuni e i loro discorsi rivoluzionari di gioven-
t. La commemorazione trentennale del 1998 fu pi incolore, da questo punto di vista.
Quella del 2008 sovrabbondante, con un ritorno sulla scena degli operai e delle situazio-
ni locali. Oggi si pu riflettere sugli usi politici del passato e sullutilizzo del 1968 come
modello negativo, nel discorso politico della sinistra come in quello della destra. cos
che sono denunciati lindividualismo e il libertarismo, lavvento del desiderio e il rifiuto
di ogni autorit riassunto nello slogan vietato vietare. Il libro di Jean-Pierre Le Goff,
pubblicato nel 1998, Mai 68, lhritage impossible (cio: Maggio 68. Leredit impossi-
bile) sistematizza questa strumentalizzazione del passato
19
.
Con laiuto delle numerose tracce del passato, possibile costruire un discorso sto-
rico che sia lontano dalle interpretazioni globalizzanti prodotte sul momento o a poste-
riori. Un discorso storico che resista al debordare della memoria. Oggi c una forma di
sacralizzazione della memoria che parte di una tensione tra la veridicit del discorso
storico e la sua funzione sociale e memoriale. Le tracce del passato, la creta cui lo storico
deve dar forma, non sarebbero niente pi che il supporto di una storia concepita come
un gioco di specchi che contribuirebbe allistituzione di una memoria nazionale che fon-
da lidentit francese, occupa lintegralit del campo storico e cancella tutte le memorie
plurali, frutto di esperienze diverse. Si tratta dunque di vedere in che misura gli eventi
di quegli anni abbiano piegato, rotto, temporaneamente o per sempre, destini, itinerari;
come quegli anni siano stati vissuti; come, in fondo, abbiano trasformato i modi di fare,
di vedere, di sentire, di morire o di vivere.
Circolazioni
Spostare lo sguardo dal maggio-giugno 1968 agli anni Sessantotto permette di ricolloca-
re levento nella media durata, di articolare in tal modo una cronologia corta e un tem-
po pi lungo e di confrontarli con le esperienze storiche di altri Paesi che hanno cono-
sciuto nello stesso periodo dei movimenti culturali, sociali e politici che accompagnano
o fanno nascere, in modalit diverse, trasformazioni profonde.
In effetti, in differenti regioni del mondo si sviluppano dei fenomeni sociali che han-
no abbastanza punti in comune perch si sia potuta avanzare la categoria interpretativa
di sollevazione mondiale della giovent. Ci non toglie che le coincidenze temporali
debbano essere interrogate al di l delle evidenze di superficie. Ci si accorge allora che
17
Lespressione di Jean-Pierre Rioux, cfr. A propos des clbrations dcennales du mai franais, Vingtime
sicle, revue dhistoire, n. 23, luglio-settembre 1989.
18
Espressione impiegata nel 1994 da uno dei dirigenti del movimento studentesco.
19
J.-P. Le Goff, Mai 68, lhritage impossible, La Dcouverte, Paris 1998; F. Hartog, J. Revel (a cura di), Les
usages politiques du pass, Editions EHESS, Paris 2001.
Dal Maggio 68 agli anni Sessantotto, al 2008. Il caso francese
83
le specificit nazionali e le sfasature cronologiche sono tuttaltro che inapprezzabili, ma
soprattutto che queste portano una luce particolare sugli echi possibili, qui o l, di real-
t storiche lontane nello spazio, se non addirittura nel tempo. Da questo momento in
poi, gli scambi acclarati di pratiche, di idee, di forme di intervento nello spazio pubbli-
co concorrono a mettere in luce delle posture e delle aspirazioni comuni, un senso di ap-
partenenza a un medesimo processo che si dispiega storicamente in forme diverse e ta-
lora contraddittorie. Non possibile qui condurre uno studio comparativo, ma soltanto
sottolineare schematicamente queste distinzioni e queste influenze reciproche.
I Paesi europei, ad Est come a Ovest, gli Stati Uniti come il Giappone, sono attra-
versati da diversi movimenti di contestazione e, al contempo, si devono confrontare con
mutazioni profonde. Se la giovent, soprattutto studentesca, ovunque attiva, il feno-
meno tocca a volte altri gruppi sociali, ma in modo diseguale e differenziato a seconda
del Paese: contadini in Giappone, operai in Italia e Francia, neri americani. I punti che
caratterizzarono la contestazione furono la diffusione di una contro-cultura propria a
una specifica classe det, lanti-imperialismo e ladozione di idee e pratiche di interven-
to inedite. Ovunque si ha una radicalizzazione dopo il 1965 attorno alla protesta con-
tro limperialismo (americano nei Paesi occidentali e in quelli del Terzo Mondo, russo
in Europa dellEst), marcate da violenze e talora, localmente, da scontri con la polizia.
Lanti-imperialismo e il terzomondismo sono tra laltro una miniera di eroi mitici: Che
Guevara, Fidel Castro, Ho Chi Minh e Mao Tse Tung, visto allora come la guida della
giovent cinese delle Guardie Rosse. Modi di manifestare, idee e pratiche circolano tra
i movimenti di Paesi differenti. Le immagini diffuse dalla televisione nel mondo intero
dei gruppi compatti di studenti giapponesi con i caschi in testa e armati di lunghe aste
di bamb furono un modello per i servizi dordine delle organizzazioni studentesche eu-
ropee. Il 4 febbraio 1960 fa la sua comparsa, nella Carolina del Nord, un elemento nuo-
vo nel repertorio di azioni, il sit-in, realizzato per la prima volta davanti a un supermer-
cato che praticava la discriminazione razziale. Conosciuto in Francia tramite i reportage
dei programmi televisivi sulla segregazione nel Sud degli Stati Uniti e le immagini del-
la rivolta dei Neri (presentati dalla televisione francese come degli eroi positivi), il sit-
in viene imitato in Francia a partire dal 1963 dagli operai in sciopero di Grenoble. La
contestazione culturale e lagitazione nei campus universitari americani si sviluppa ver-
so il 1964-1965 attorno allorganizzazione studentesca SDS (Students for a Democratic
Society), che preconizza la democrazia diretta, il rifiuto del leader e la presa di parola. Il
Free Speech Movement si diffonde in California, a Berkeley, e rivendica il diritto di libe-
ra espressione e di propaganda politica allinterno delluniversit. A partire dal 1965, in
Francia, le riviste Socialisme ou barbarie e Partisans presentano il movimento sta-
tunitense per la libert di espressione e per i diritti civili
20
. Nei Paesi Bassi, lazione dei
Provos temporalmente sfasata rispetto a quella degli altri movimenti studenteschi oc-
cidentali, che culminano nel 1968. Nato nel 1965, il gruppo si autodissolve il 13 maggio
1967. Una delle sue costanti di aver funzionato, se non senza una figura di punta, per-
lomeno senza un capo e senza unorganizzazione strutturata, rifiutando ogni forma di
20
Socialisme ou barbarie, n. 39, mars-avril 1965 e n. 40, giugno-agosto 1965; Partisans, n. 23 novembre
1965.
Michelle Zancarini-Fournel
84
potere, cosa cui si ispireranno gli studenti di Nanterre del Movimento del 22 marzo, a
cominciare da Daniel Cohn-Bendit.
Montaggio
Una volta stabilito che non si tratta di inscrivere questa storia sociale delle contestazio-
ni n in una memorialistica del singolo evento, n in uninterpretazione globalizzante o
univoca, una volta posto che conviene situarla entro limiti cronologici e spaziali larghi,
che non si alla ricerca di una qualche improbabile causalit unica, resta ancora da pre-
cisare quali sono i momenti e le tappe che possono essere privilegiati, quali gli elementi
passibili di una messa in serie, quali insiemi di indizi e prove possono essere costituiti.
In effetti, per quanto il nostro percorso non possa affrontare gli elementi di questo
momento storico, vi un inizio e vi una fine, scelti basandosi sulla convinzione che
degli atteggiamenti e delle scelte, collettivi e individuali, sono possibili a partire da una
situazione data e che non lo sono pi allorch si delinea unaltra congiuntura. Sposta-
menti, trasformazioni, sfasature, slittamenti e rotture si compongono e alternano sen-
za soluzione di continuit. Dovendo per fissare dei confini precisi si possono proporre
quelli costituiti dagli anni 1962 e 1981, con a monte la fine delle guerre coloniali e lap-
provazione del referendum per lelezione del Presidente della Repubblica a suffragio
universale e, a valle, lingresso di Franois Mitterrand allEliseo. Il 1962 segna lapertu-
ra di relazioni politiche differenti tra gli attori sociali e il cambiamento della percezione
sullo status della Francia (grazie, al contempo, al rapporto diretto tra cittadini e Capo
dello Stato con lelezione diretta e alla fine dellimpero coloniale, con il crollo del mito
di una potenza francese estesa oltre i confini dellesagono, mentre si fanno i primi pas-
si nella costruzione dellEuropa politica); il 1981 inaugura, da una parte, una fortissima
delega delle responsabilit, accettata anche da coloro che pi erano stati attivi in prece-
denza e, dallaltra, un indebolimento decisivo, nelle culture politiche e sociali della sini-
stra, dellidea di rivoluzione.
Allinterno di questa cronologia articolata sulla media durata, il tempo ravvicinato
dei differenti movimenti sociali introduce dei tagli temporali divergenti. Lunit al-
lora da ricercare nellanalogia degli atteggiamenti e delle posture, pi che nellidentit
dei riferimenti dottrinali e dei progetti. La legittimit non si confonde pi con la legali-
t e deve, secondo questi uomini e queste donne, essere passata al vaglio delluguaglian-
za nelle sue diverse forme (tra le regioni e Parigi, in fabbrica e tra i sessi). Per trattare
questo periodo e questi eventi si portati a insistere sulla costante articolazione degli
interventi individuali e di quelli collettivi cosa non priva di contraddizioni e conflit-
ti , sullaffermazione delle soggettivit, sulla complessit inedita e cosciente dei rap-
porti tra i sessi, in particolare grazie al posto che il movimento delle donne si conqui-
sta nella dinamica degli anni Sessantotto. Il discorso storico deve adattarsi a una serie
di accelerazioni e rallentamenti sino a dei veri e propri fermi immagine, poich la na-
tura e il ritmo dellesposizione sono condizionati dalle singole messe a fuoco prescel-
te. In tal modo, le cesure e le partizioni, le tappe e le svolte non sono strettamente di-
pendenti dalla storia delle istituzioni, dei partiti, dei sindacati, dei gruppi politici o da
quella dello Stato.
Dal Maggio 68 agli anni Sessantotto, al 2008. Il caso francese
85
Ecco perch gli anni Sessantotto possono essere presentati in tre momenti che defi-
niscono delle temporalit: Il campo dei possibili (1962-1968), Lepicentro (maggio-
giugno 1968) e, infine, Le contestazioni, lordine e la legge (1968-1981).
In primo luogo, Il campo dei possibili identifica, nel periodo che precede il 1968,
le mutazioni in corso cos come certi luoghi e momenti del cambiamento sociale. Senza
peraltro giocare necessariamente un ruolo diretto nel maggio-giugno Sessantotto, la cit-
t di Grenoble pu fungere da esempio in quanto simbolo della modernit, dellintro-
duzione graduale nel dibattito pubblico di temi inediti (contraccezione e aborto, parte-
cipazione diretta allamministrazione locale, nuove relazioni in fabbrica, dov messo in
causa lordine familiare, industriale o politico). In questo periodo, la giovent si impone
come un problema per la comunit nazionale e alcuni giovani prendono coscienza del-
le specificit irriducibili della loro situazione, dei loro desideri e della loro potenziale in-
fluenza sul corso delle cose, cercando con loccasione una convergenza a livello di azione
con altri gruppi sociali (in particolare con gli operai). Infine, nei conflitti specifici che ri-
guardano categorie poco portatrici di un discorso modernista (minatori, contadini), for-
me di azione inedite marcate dalla violenza e oltrepassanti i limiti della legalit (soprat-
tutto nellOvest) vengono allordine del giorno, prima che le lotte studentesche non
riassumibili nella storia della nascita dei diversi gruppuscoli gauchisti usciti dalla crisi
dellUnione degli studenti comunisti (UEC) non favoriscano una politicizzazione e una
radicalizzazione crescenti della protesta contro lordine stabilito.
Lepicentro analizza le molteplici modalit di dispiegamento dellevento nel mag-
gio-giugno 1968. La rimessa in causa dellinterpretazione, contemporanea e posteriore,
che costruisce unimmagine strettamente parigina della crisi, per di pi spesso concen-
trata nella scorciatoia immaginosa dellevento-critico ( Bourdieu) della notte delle bar-
ricate parigine del 10-11 maggio, passa in effetti per la messa in evidenza delle distin-
zioni che emergono nello spazio e nel tempo. La centralit studentesca non deve, quale
che sia il suo effetto di trascinamento, portare a cancellare lo sviluppo di modi dazio-
ne e di rivendicazioni differenziate proprie alle diverse citt e alle diverse regioni, e que-
sto fino al cuore del mese di giugno. Nel tempo, conviene distinguere quattro momenti
che si succedono e giustappongono: la rivolta studentesca e liceale; a partire dal 13 maggio
e sino a met giugno, lo sciopero generale e le occupazioni delle fabbriche, delle facol-
t e dei licei; il momento della crisi politica, dal 24 al 30 maggio, sviluppatosi attorno a
una sindrome da guerra civile e divisione della nazione, con un avvio e un ritorno deter-
minato dal generale de Gaulle; infine, lungo tutto il mese di giugno, la ricostituzione di
un compromesso repubblicano. Il compromesso finale marcato, nellautunno seguen-
te, dalla nascita di un nuovo sistema universitario (legge Edgar Faure, novembre 1968) e
dallistituzionalizzazione del sindacalismo (legge sulla sezione sindacale di fabbrica, di-
cembre 1968). Il tutto, peraltro, non senza faglie: le dimissioni del Presidente della Re-
pubblica, meno di un anno pi tardi (aprile 1969), ne una conseguenza indiretta, e il
riflesso di queste faglie nella societ francese pu essere letto nella permanenza, in tutti
gli anni successivi, di forme di contestazione diverse quanto vivaci.
Nellultima parte degli anni Sessantotto si sviluppa in effetti un movimento policen-
trico e polimorfo, aggregazione di scelte individuali e collettive, nato in differenti gruppi
o categorie sociali (giovani scolarizzati, femministe, omosessuali, operai, militanti regio-
nalisti, immigrati, nascita di un movimento ecologico e anti-nucleare, ecc.) che inten-
Michelle Zancarini-Fournel
86
de colpire alla base, trasformare o riformare lordine e la legge, tramite pratiche priva-
te come mediante interventi nella sfera pubblica. Una guerra civile fredda articolata
attorno alla coppia repressione/contestazioni violente e alimentata dallimmaginario so-
ciale dello scontro, condiviso dal Ministero dellInterno e da certi gruppi dellestrema
sinistra, persiste fino al 1974 e, episodicamente, oltre. Le riforme del liberalismo giscar-
diano nel 1974-1975 e la percezione della crisi economica contribuiscono senzaltro a
favorire una traduzione pi istituzionale di questi conflitti, ma lambiguit di questa via
emerge in occasione dello scacco dellunione della sinistra nel 1977 (dopo limmensa
speranza nata nel 1972 con la firma dellaccordo PCF-PS), con la sua conseguenza elet-
torale nella sconfitta del 1978, e con lo choc delle ristrutturazioni industriali. Nasce qui
il declino elettorale del partito comunista francese. Non resta allora che la speranza di
unalternanza politica e presidenziale, con il maggio del 1981.
Per concludere, si pu dire che la permanenza quarantennale nel discorso pubblico
del riferimento al 1968 porta a pensare che si potrebbe riprendere, per questo lasso di
tempo, la nozione di sindrome impiegata a suo tempo da Henry Rousso, partendo
dal regime di Vichy (1940-1944), per il successivo periodo 1945-1975
21
. La conclusio-
ne chiamerebbe in causa il referendum con cui la maggioranza dei francesi ha respinto
la costituzione europea nella primavera del 2005, dove il no era difeso dal Partito co-
munista e da una coalizione di gruppi di estrema sinistra che denunciavano, ironia della
storia, il liberal-libertario Daniel Cohn-Bendit, vecchio leader di Nanterre e del Mo-
vimento del 22 marzo nel 1968, divenuto nel frattempo deputato verde europeo e parti-
giano con altri, tra cui il Partito socialista del s. Lo slogan sarebbe allora: 1968,
s o no.
BIBLIOGRAFIA
Damamme, D., Gobille, B., Pudal, B., Matonti, F. (a cura di), Mai-Juin 68, Editions de lAtelier,
Paris 2008.
Gobille, B., Mai 1968, La Dcouverte, Paris 2008.
Zancarini-Fournel, M., Les annes 68: le temps de la contestation, co-direzione con R. Frank, G.
Dreyfus-Armand e M.F. Lvy, Complexe, Bruxelles 2000.
Zancarini-Fournel, M., Le Moment 68. Une histoire conteste, Le Seuil, Paris 2008.
Zancarini-Fournel, M., 68 une histoire collective (1962-1981), co-direzione con P. Artires, La D-
couverte, Paris 2008.
FILMOGRAFIA
Reprise, di Herv Le Roux, 1996.
Lip, limagination au pouvoir, di Christian Rouaud, 2007.
21
H. Rousso, Le syndrome de Vichy, Le Seuil, Paris 1987.
87
GLI SCIOPERI OPERAI DEL MAGGIO-GIUGNO 1968:
LINIZIO DI UNINSUBORDINAZIONE PROLUNGATA
Xavier Vigna
La comparazione tra i movimenti di sciopero in Italia e Francia comincia allinizio degli
anni Settanta, quando i militanti francesi, soprattutto di estrema sinistra, sinteressano
alla situazione italiana. Questa comparazione tradizionale si poi fissata in una opposi-
zione tra un maggio 68 francese (breve, essenzialmente studentesco, piuttosto paci-
fico) e un maggio rampante italiano (lungo, pi operaio e marcato dalla violenza, poi
dal terrorismo). Lintroduzione nella storiografia francese, da una decina danni a que-
sta parte, della nozione di anni 68, che fa del 1968 un perno inserito in una crono-
logia pi ampia, invita per a riconsiderare questa opposizione. Lungi dal costituire un
fuoco di paglia, gli scioperi operai del maggio-giugno 1968 in Francia aprono in effetti
sul piano nazionale un ciclo di insubordinazione che arriva allincirca fino al primo se-
mestre 1979. Questa la tesi che intendiamo propugnare nellanalisi degli scioperi ope-
rai nel maggio-giugno 1968 in Francia
1
.
Un movimento di sciopero eccezionale
Il carattere eccezionale del movimento dipende dalla sua ampiezza, che si declina in tre
modalit principali. La pi manifesta la sua durata.
Il movimento di sciopero comincia con la giornata dello sciopero generale del 13
maggio, indetta dallinsieme delle organizzazioni sindacali per protestare contro la re-
pressione poliziesca nei confronti degli studenti nella notte delle barricate del 10 e 11
a Parigi. Il luned 13 si svolgono allora pi di 450 manifestazioni in tutto il Paese, con
numerosi partecipanti nelle citt operaie. Ma la mobilitazione si traduce prima di tut-
to nello sciopero. In mancanza di una valutazione nazionale, verifiche locali testimonia-
1
Questa tesi loggetto della nostra opera: Linsubordination ouvrire dans les annes 68. Essai dhistoire
politique des usines, PUR, Rennes 2007.
Xavier Vigna
88
no di uno sciopero molto partecipato nel Nord e nella regione parigina, contrariamente
a quanto accadde nellEst. Al di l delle sfumature regionali, il successo dello sciopero
reale. Molti operai si mobilitano per una giornata che funziona come un vero e pro-
prio calcio dinizio.
In effetti, a partire dal 13 maggio monta unonda di scioperi senza precedenti che
dal 20 conquista tutto il Paese. Senza che vi siano mai state delle consegne nazionali n
un comitato centrale di sciopero come nel 1947, il movimento si diffonde alla base, dove
lo sciopero diventa generalizzato. Il mese di giugno marcato da un lento riflusso dello
sciopero, che nel settore metallurgico, in alcune parti della regione parigina e della Mo-
sella si prolunga fino a inizio luglio, e ci malgrado le consegne sindacali, la messa in sce-
na della ripresa del lavoro e gli interventi ripetuti delle forze dellordine per liberare i
locali occupati. Gli scioperi operai durano quindi circa due mesi. Bisogna allora chiama-
re questo movimento movimento del maggio-giugno 1968.
Il carattere chiaramente nazionale del movimento contribuisce ugualmente alla sua du-
rata ed un aspetto della sua ampiezza. Nessuna regione francese ne resta estranea, anche
se la mobilitazione pu variare. La larga diffusione geografica costituisce uno degli effet-
ti paradossali del decentramento industriale iniziato nel 1955
2
. Questa situazione, che ha
toccato in un primo tempo le regioni di vasta parte del Nord-Ovest, ha favorito lo sboccia-
re di scioperi operai a Caen, in gennaio e poi nel maggio-giugno 1968, ma anche nella Loi-
ra, nella regione del Centro o in Bretagna. Il movimento interessa per dapprima i grandi
bastioni industriali, il Nord e il Pas-de-Calais per esempio, o la banlieue parigina, intera-
mente paralizzate dallo sciopero. Nel Nord lo sciopero massiccio in particolare nei gran-
di stabilimenti industriali. Il 26 maggio il numero di fabbriche del settore privato in scio-
pero raggiunge unampiezza notevole e paralizza tutta la regione: pi di 800 fabbriche in
sciopero di cui 349 occupate, contro le 284 (di cui 78 occupate) nel Pas-de-Calais
3
.
Ma la novit consiste nellaffermarsi del movimento nelle regioni pi improbabili. A
Cannes, la zona industriale di La Bocca scossa non dallagitazione di qualche cineasta,
ma dai dibattiti sulla co- o auto-gestione animati da un gruppo di raccordo. Tale novit
si deve anche allopera di militanti della giovane CFDT, come coloro che dirigono lo scio-
pero nello stabilimento chimico di Saint-Auban, nella regione delle Basses-Alpes
4
.
La mobilitazione nazionale coinvolge linsieme dei rami industriali, al di l dei gran-
di comparti maschili come la metallurgia e le miniere. La chimica come il tessile, lelet-
tronica come lalimentare sono toccati dal movimento, che di conseguenza attira anche,
in questi anni di industrializzazione sostenuta, nuovi operai e nuove operaie. In totale,
in queste settimane febbrili, sono non meno di sette milioni i salariati che si mobilitano
scendendo in sciopero, di cui la met operai, cosa che fa del 1968 la pi grande ondata
di scioperi nella storia del Paese.
Oltre alla sua durata e al suo carattere nazionale, il movimento del maggio-giugno
1968 si caratterizza anche per il suo repertorio di azioni, che presenta due elementi pe-
2
P. Durand, Industrie et rgions, La Documentation franaise, Paris 1974; P. Caro et alii (a cura di), La
politique damnagement du territoire. Racines, logiques et rsultats, PUR, Rennes 2002.
3
Bulletin de Renseignements, n. 1 de la 2
e
Rgion militaire: gendarmerie nationale, AD Nord 1008 W 18.
4
Archives CFDT 7 H 58.
Gli scioperi operai del maggio-giugno 1968: linizio di uninsubordinazione prolungata
89
culiari. Anzitutto, gli operai occupano le fabbriche. A tal riguardo, la comparazione
spontanea con il 1936 rischia di falsare la prospettiva, minimizzando la trasgressione
messa in atto. Di fatto, loccupazione dei locali di lavoro costituisce una violazione di
domicilio, che resta perci proibita. La sua diffusione nel 1968 obbliga di conseguenza a
esaminare il senso della risoluzione assunta dagli scioperanti. Essa costituisce una presa
di controllo di un territorio senza e contro la direzione della fabbrica. Allinizio, in una
logica di sciopero lampo, loccupazione mira a impedire la serrata o il proseguimen-
to dellattivit grazie ai crumiri, nonch a sollecitare lapertura di negoziati. Ma con
la generalizzazione del movimento, il suo senso si modifica, inscrivendosi allora in un
rapporto di forza sul piano nazionale che mira a ottenere dalla controparte padronale
delle concessioni di ampia portata nei negoziati intercategoriali o di settore, per analogia
con le conquiste del Fronte popolare, il cui ricordo incantatore ha forte presa nel mondo
operaio. Meglio, loccupazione incoraggia i sogni a occhi aperti dellinstaurazione di un
potere operaio nelle fabbriche, tanto pi che essa autorizza esperienze limitate di prose-
guimento o ripresa delle attivit come nello stabilimento Perrier di Montigny-le-Breton-
neux o alla Pchiney di Nogures, nei Pirenei Atlantici
5
.
Soprattutto, alle occupazioni si aggiungono, in un primo tempo, i sequestri. Linizia-
tiva degli operai della Sud-Aviation su questo determinante: il 14 maggio proseguono
lo sciopero, ma la loro determinazione si manifesta soprattutto attraverso il sequestro di
quindici giorni inflitto al direttore della fabbrica e a cinque suoi collaboratori. Dallin-
domani, quando i metallurgici di Clon entrano in sciopero, si ricorre allo stesso mezzo
per costringere la direzione a negoziare
6
. Il sequestro sembra cos diffondersi e costitui-
re, in certe regioni e nei primissimi giorni del movimento, il corollario delloccupazione.
il caso della Senna Marittima e, in particolare, nella zona di Rouen, con sei casi di se-
questri, ma anche a Orlans o nellAisne o nel Nord. In totale, i dieci casi attestati che
abbiamo rilevato non corrispondono che a una parte della realt. La cronologia ci in-
vita a tener conto che, allinizio del movimento, gli operai in sciopero erano ben decisi
sia a occupare che a sequestrare. In tal modo il movimento si radicalizza anche nella sua
componente operaia
7
. Bisogna prenderne le misure, inscrivendolo nella storia lunga del
movimento operaio. Ampiezza e radicalit funzionano oramai di concerto, inserite pe-
raltro in una certa tradizione.
Un movimento nella tradizione?
Linserimento del 1968 nella tradizione marcato anzitutto dal peso del meccanismo
della delega, che conosce nel 1968 una tripla declinazione. I delegati del personale, isti-
tuiti ancora dal Fronte popolare, giocano un ruolo cruciale. Eletti dai loro colleghi e nel-
5
D. Kergoat, Bulledor ou lhistoire dun mobilisation ouvrire, Seuil, Paris 1973, pp. 118ss.; G. Vindt, Les
hommes de laluminium. Histoire sociale de Pchiney (1921-1973), Editions de lAtelier, Paris 2006.
6
AA.VV., Notre arme, cest la grve, Maspero, Paris 1968.
7
Michael Seidman menziona ugualmente qualche tensione, anche fisica, in regione parigina e in particolare
nella Val dOise: cfr. M. Seidman, The Imaginary Revolution. Parisian Students and Workers in 1968, Berghahn
Books, New York-Oxford 2004, p. 173.
Xavier Vigna
90
la maggior parte dei casi presentati nelle liste sindacali delle grandi fabbriche, questi de-
legati hanno conquistato la loro legittimit nelle lotte precedenti e per questo incarnano
lantagonismo al mondo padronale. Ne segue del tutto naturalmente che sta a loro redi-
gere lelenco delle rivendicazioni, talora sotto dettatura da parte dei loro colleghi di of-
ficina, altre volte riprendendolo dagli archivi sindacali. Allo stesso modo, tocca al comi-
tato di sciopero organizzare loccupazione, cio al contempo sorvegliare la fabbrica ma
anche occupare gli occupanti, attivit sportive o artistiche comprese; ugualmente, il co-
mitato di sciopero, che funziona di solito come un cartello intersindacale, prende in ca-
rico il rapporto con le fabbriche vicine, con le camere del lavoro, lunione sindacale lo-
cale etc. Sta infine alle organizzazioni sindacali di negoziare, anzitutto, a livello nazionale
e interprofessionale, poi per settori ed eventualmente per azienda.
Nel maggio-giugno 1968 questo meccanismo per delega egemonico, soprattutto
perch domina il modello del comitato di sciopero, organizzato in modalit intersinda-
cale e composto da operai con mandato sindacale. Lo sciopero resta largamente sotto la
guida degli specialisti, anche se il loro profilo sociologico (et, qualifica, nazionalit) non
corrisponde che approssimativamente, se non alla lontana, a quello della massa degli
operai e delle operaie
8
. Questo dominio sindacale sanziona e al contempo probabilmen-
te amplifica una certa diserzione da parte degli operai. Di fatto, la presenza operaia nel-
le occupazioni si fa talora evanescente. Certi scappano dalla fabbrica perch non la reg-
gono pi, nemmeno occupata; altri ne approfittano per prendersi delle vacanze, o per
scoprire altri luoghi e/o altre occupazioni, in particolare nei locali universitari. Gli ope-
rai contadini, infine, dedicano lo sciopero al lavoro sulle loro terre o si fanno assumere
da qualche parte quando c bisogno di manodopera agricola. Alla Peugeot di Sochaux,
per esempio, numerosi operai continuano a vivere a svariate decine di chilometri dalla
fabbrica e conservano un piccolo terreno. Una situazione del genere spiega come mai gli
operai che occupano la fabbrica scendano a... trentasette nel week-end dellAscensio-
ne e non raggiungano quasi mai quota trecento, mentre le cinque fabbriche messe insie-
me contano circa diciassettemila operai!
9
Questi limiti spiegano daltronde i virili appelli
alla spedizione punitiva che si cerca di lanciare nel Nord contro gli operai che, sfruttan-
do la lotta in corso, se ne sono andati a lavorare nella campagne di Cambrai
10
.
La pregnanza di questa tradizione di delega conferisce unimportanza particolare ai
negoziati tripartiti tenuti al Ministero degli Affari Sociali di rue de Grenelle dal 24 al 27
maggio tra rappresentanti dello Stato, delegati sindacali e padronali. Da questo punto
di vista, il compromesso cui si arriva in chiaroscuro. Tra le conquiste pi importanti vi
sono un forte rialzo del salario minimo (35%) e il riconoscimento della sezione sindaca-
le dimpresa. Per il resto, i guadagni sono oltremodo misurati: praticamente non c di-
minuzione della durata settimanale dellorario di lavoro e laumento dei salari (7% in
giugno, 3% in ottobre) si rivela molto moderato, se confrontato al 6 e 7% ottenuti ne-
gli anni precedenti, ma senza il ricorso a un movimento straordinario
11
. Soprattutto, i
8
Si veda il film Citron Nanterre en mai-juin 1968, collectif Arc, 1968.
9
N. Hatzfeld, La grve de mai-juin 1968 aux automobiles Peugeot Sochaux, Tesi di Laurea, Universit Paris
VIII, 1985.
10
AD Nord, 1008 W 18.
11
E. Morin, C. Lefort, C. Castoriadis, Mai 68: la brche, Complexe, Bruxelles 2008 (2
e
d.), p. 122.
Gli scioperi operai del maggio-giugno 1968: linizio di uninsubordinazione prolungata
91
negoziati non prevedono mai la bench minima trasformazione dei rapporti sociali o
dellorganizzazione del lavoro. Malgrado questi risultati molto moderati e davanti a un
movimento che tende a sfuggirgli di mano, Georges Sguy presenta il bilancio di Gre-
nelle come un risultato significativo e spinge, alla pari di altri dirigenti della CGT, in fa-
vore di una ripresa del lavoro
12
. Questa pressione si conferma e si accentua non appe-
na si ha lo scioglimento dellAssemblea nazionale decretato dal generale de Gaulle il 30
maggio, con la conseguente necessit dellorganizzazione di elezioni legislative. Di fat-
to, la CGT, e in una misura minore la CFDT, incoraggiano la ripresa del lavoro. Il 5 giu-
gno, per esempio, lUfficio confederale della CGT dichiara che ovunque le rivendica-
zioni essenziali siano state soddisfatte, linteresse dei salariati di pronunciarsi in massa
per la ripresa del lavoro nellunit
13
. Lincoraggiamento, che sfiora la consegna, spinge
daltronde i ferrovieri a riprendere il lavoro lindomani. Lorgano del Partito comunista
LHumanit moltiplica i titoli che traducono questo richiamo insistente. Pressioni ricor-
renti di questo tipo nutrono la conclusione, talora accusatoria, secondo cui esse avreb-
bero imbrigliato il movimento in maggio per poi liquidarlo in giugno, in modo da pre-
parare meglio le elezioni. Questa accusa alimenter in seguito una certa contestazione
interna, cui fanno cenno i Servizi allorch sottolineano le difficolt della CGT
14
. In que-
sto senso, la moderazione delle centrali sindacali porta a sottolineare un secondo para-
dosso: il pi forte movimento di sciopero francese non ha trasformato in niente la con-
dizione operaia.
Questa moderazione fa tuttuno con unaltra tradizione del movimento operaio,
quella che riguarda la separazione tra sindacalismo e politica. Ereditata da una lettura
della Charte di Amiens della CGT del 1906, questa tradizione proibisce una commistio-
ne delle centrali sindacali con lambito propriamente politico e delega ai partiti la gestio-
ne del Paese o la partecipazione alle elezioni. In una concezione del genere, che segue e
conforta il consenso repubblicano sullelezione quale istanza decisionale, i sindacati de-
vono in qualche modo mettersi da parte: il sociale cede il passo al politico. In tal modo,
il cambio di scenario operato da de Gaulle con lo scioglimento dellAssemblea ratifi-
cato dalle organizzazioni sindacali. Da un lato, la CGT rafforza il suo appello alla forma-
zione di un Governo popolare, al centro della sua strategia fin dal suo XXXIV Congres-
so, nel 1963. Dallaltro, il 29 maggio la CFDT si rimette a Pierre Mends-France quando
sembra profilarsi una crisi di regime, per poi, nel corso della campagna, invitare gli elet-
tori a dare il voto al candidato della sinistra non comunista che pi si apparenta con
le nostre posizioni
15
. Un tale passo indietro dimostra, tra laltro, che lautogestione in
quanto progetto sociale e politico non costituisce un progetto globale alternativo e che,
di conseguenza, lautogestione praticamente non stata una categoria del movimento
nel 1968, in particolare negli scioperi operai.
12
M. Zancarini-Fournel, Retour sur Grenelle: la cogestion de la crise, in G. Dreyfus-Armand et alii (a cura
di), Les annes 68, le temps de la contestation, Complexe, Bruxelles 2000, pp. 443-460.
13
J. Shaefer (a cura di), La grve gnrale de mai 1968, Le peuple, nn. 799, 800, 801, p. 89.
14
Rapporto quotidiano della Direzione centrale dei servizi del 3/7/1968, AN 19820599/42.
15
Dichiarazione della CFDT, 4/6/1968, Positions et actions de la CFDT au cours des vnements de mai-juin
1968, Syndicalisme, p. 162. Sulla CFDT durante tutto il periodo, cfr. F. Georgi, Linvention de la CFDT, 1957-
1970, Ed. du CNRS/LAtelier, Paris 1995.
Xavier Vigna
92
Queste tradizioni di delega non esauriscono peraltro la realt operaia del movimen-
to di maggio-giugno. A lato, e in parte contro tale inscrizione nella tradizione, figura-
no dei fermenti di novit che conferiscono al movimento anche un carattere di evento
inaugurale.
Le premesse di uninsubordinazione prolungata
Il Sessantotto, inteso come contestazione e presa della parola, esuberanza e denuncia
delle vecchie strutture, scuote anche il mondo operaio, che entra in una fase decenna-
le di insubordinazione. Lesuberanza legata a doppio filo al crescere della variet della
scena operaia. Accanto alla figura delloperaio maschio, qualificato, francese e adulto ne
spuntano altre: donne, immigrati, spesso classificati come generici o come operai specia-
lizzati, giovani. Questa irruzione delle frazioni dominate dalla classe operaia corrispon-
de per un verso a unevoluzione strutturale: crescita dellimpiego femminile, sviluppo
dellimmigrazione dalle colonie, ringiovanimento demografico legato al persistere, dopo
la Seconda guerra mondiale, di una forte natalit. Di fatto, gli osservatori registrano que-
sta irruzione delle donne e/o degli immigrati, mostrando di vedervi una novit.
I fermenti di novit e i loro potenziali contraccolpi si cristallizzano attorno a tre
elementi: loccupazione notturna delle fabbriche da parte delle donne suscita qualche
preoc cupazione circa la moralit degli scioperanti, tanto che le direzioni di alcuni sta-
bilimenti, per esempio alla Peugeot di Vesoul, non esitano a segnalare con compiacen-
za che la mensa [sarebbe stata] trasformata in casa chiusa. Soprattutto, sono la for-
mulazione delle rivendicazioni come la condotta dei negoziati a decidere del corso dello
sciopero. Le organizzazioni sindacali sono contrariate proprio da questi due altri aspet-
ti decisivi e intendono mantenere le loro prerogative. Alla Renault di Billancourt, fab-
brica faro del Paese con la reputazione di fortezza operaia, degli operai immigrati scri-
vono una piattaforma rivendicativa specifica che la CGT rifiuta ma cui la CFDT assicura
la diffusione
16
. Da quel momento in poi, se la direzione dello sciopero resta appannag-
gio della frazione dominante della classe operaia, quella pi integrata negli apparati sin-
dacali, le frazioni dominate fanno vacillare questa egemonia, colpita impercettibilmen-
te dagli scioperi del 1968.
Questa accresciuta variet della scena operaia si intreccia agli incontri improbabi-
li che il movimento favorisce, nel senso di una certa decompartimentazione sociale
17
.
Complice lo sciopero, la caduta temporanea delle barriere sociali consente agli operai
qualche libera uscita. Quando la tutela sindacale si rivela troppo pesante o rigorista, i
giovani operai raggiungono le universit: se la Sorbona o Censier attirano gli operai pari-
gini, i loro compagni della Renault-Clon si recano al campus di Rouen
18
. Inversamente,
16
Questa piattaforma pubblicata per la prima volta in X. Vigna, J. Vigreux (a cura di), Mai-Juin 1968. Huit
semaines qui branlrent la France, EUD, Dijon 2010, p. 213.
17
X. Vigna, M. Zancarini-Fournel, Les rencontres improbables dans les annes 68, Vingtime sicle, n.
101, janvier-mars 2009, pp. 163-177.
18
Resoconto dello sciopero da parte di J.C. Clario a nome della sezione CFDT di Rhne-Poulenc Vitry, 19
ottobre 1968, archivi CFDT 7 H 45; cfr. anche AA.VV., Notre arme, cest la grve, cit.
Gli scioperi operai del maggio-giugno 1968: linizio di uninsubordinazione prolungata
93
degli studenti vanno ai cancelli delle fabbriche per incontrare la classe operaia, incon-
tri e scambi si hanno nella regione parigina come in provincia, a Nantes, Roubaix, Lione
o Besanon. La miglior prova di questi incontri e di queste alleanze fugaci si trova nella
giunzione che si opera tra studenti di estrema sinistra e operai contro le forze dellordi-
ne dopo lintervento poliziesco allo stabilimento Renault-Flins, il 6 giugno 1968. In ef-
fetti, per vari giorni degli studenti parigini si dirigono verso la fabbrica per prestare man
forte agli operai, nonostante la polizia metta uno sbarramento nellautostrada per bloc-
care i militanti
19
. Ora, nella misura in cui questa solidariet si stretta malgrado le con-
danne del Partito comunista e della CGT, essa parte della riconfigurazione della sce-
na dello sciopero. Da questo punto di vista, lesempio parigino vale per tutta la Francia:
dal momento che la CGT si accanita ad ostacolare questi incontri, la loro realizzazione
esprime un disconoscimento e una rimessa in causa del suo dominio. Allo stesso tempo,
questi incontri improbabili della primavera 1968 abituano gli studenti ad andare ai can-
celli delle fabbriche, come continueranno spesso a fare durante tutto il periodo per so-
stenere linsubordinazione operaia.
La contestazione operaia si alimenta anche di una critica crescente dellorganizzazio-
ne del lavoro. Una tale rimessa in causa favorita dallampiezza del movimento, dalle oc-
cupazioni delle fabbriche e dallintensa circolazione di parole e discorsi che tutto questo
favorisce. Loccupazione sfocia in effetti nellorganizzazione di riunioni o discussioni in-
formali nelle officine o per reparto, nel corso delle quali sono talora redatte le piattafor-
me rivendicative. Di pi, gli operai denunciano il cronometraggio, i ritmi, le condizioni
di lavoro o il sistema salariale. Di fatto, il vaso di Pandora che gli operai scoperchiano,
con una denuncia a volte larvata, a volte esplicita, della fabbrica razionalizzata: a Flins,
per esempio, il sistema salariale ispirato dalla job evaluation loggetto attorno a cui si
cristallizza il malcontento, in particolare nella misura in cui esso pu condurre a un de-
classamento degli operai e quindi a una perdita di salario
20
. Proprio il compromesso di
Grenelle, allineato a una matrice fordista che concede aumenti di salario contro un au-
mento della produttivit del lavoro, elude la realt del lavoro operaio. In effetti, i nego-
ziati, in maggio come in giugno, non trattano dellorganizzazione del lavoro o delle con-
dizioni lavorative. Unomissione del genere spiega come le riprese del lavoro si rivelino
difficili nel giugno 1968, ma soprattutto rende conto del prolungamento dellinsubordi-
nazione operaia durante tutto il periodo sotto forma di una conflittualit aperta.
Infine, la pertinenza dello strumentario sindacale messa in questione soprattutto
durante il mese di giugno, quando il movimento mostra la corda o si esaurisce. Questa
messa in questione interessa in primo luogo la strategia delle organizzazioni, in partico-
lare della CGT. Una delle critiche pi diffuse si appunta sul privilegio accordato al qua-
dro rivendicativo tradizionale, o su uneventuale distacco tra direzioni sindacali e base.
Durante queste settimane di sciopero, tuttavia, pare che certi operai radicalizzino queste
critiche e partecipino alla creazione di strutture operaie non sindacali. Questi progetti
hanno origine in due giudizi distinti circa le modalit di funzionamento delle organizza-
19
J.-P. Talbo, La grve Flins, Maspero, Paris 1968; Archives de la prfecture de police de Paris, FA 270.
20
Si veda il cartellone del film di Jean-Pierre Thorn, Oser lutter, oser vaincre. Flins 1968, Nouvelles presses
parisiennes, Paris 1972, p. 83.
Xavier Vigna
94
zioni sindacali. Si constata, in un primo tempo, che i sindacati non riuniscono linsieme
degli operai. Si tratta quindi, sullonda dello sciopero, di coinvolgere nellazione tutti co-
loro che aderiscono. a tal fine che sono creati i trentanove comitati di base nello sta-
bilimento Rhne-Poulenc di Vitry
21
, in cui sono presenti effettivamente tutti i lavorato-
ri. La seconda messa in questione verte sulla radicalit della contestazione delluniverso
operaio: per certi militanti, per esempio alla Citren di Nanterre, lorganizzazione del la-
voro non colpita dalle rivendicazioni sindacali
22
. Questa sfasatura talora allorigine di
strutture non sindacali. Attaccando in primo luogo il potere che grava sugli operai, pre-
tendendo la rimessa in causa dellinsieme dellorganizzazione del lavoro come della po-
litica salariale, i comitati di base mostrano di proporsi come strumento di una trasforma-
zione completa delle fabbriche. Aspirazioni del genere prevedono un eternizzarsi della
rivolta e una trasformazione della fabbrica in luogo di contestazione ininterrotta.
Al termine di questo studio, ci si accorge di come il concentrarsi sulle organizzazio-
ni del movimento operaio conduca a deformare la realt degli scioperi operai e al rischio
fatale di arrivare alla conclusione di unopposizione sommaria operai/studenti. Gli scio-
peri operai del 1968 costituiscono, al contrario, unillustrazione mirabile delle tensioni
e delle contraddizioni inevitabili tra movimento e organizzazioni e della maniera in cui
levento urta e fa vacillare tutto quello che istituito e le istituzioni stesse, anche sindaca-
li. Questi scioperi si prolungheranno poi all'incirca fino al 1979 nelle lotte dei siderurgi-
ci e in unintensa insubordinazione operaia. Con tale formula indichiamo una contesta-
zione multipla, tanto larvata che aperta, alimentata da un rifiuto dellorganizzazione del
lavoro nelle officine e sfociante in forme di politicizzazione specifica di fabbrica. Questa
si articola attorno a cinque tratti caratteristici:
1) Un mondo sindacale poco rafforzato
Il mondo sindacale conosce un largo rinnovamento in seguito al maggio-giugno 1968,
ma ancora pi notevoli sono la sua frammentazione e le sue divisioni. Per questo mo-
tivo, malgrado il movimento del maggio-giugno o il rafforzamento del suo ruolo istitu-
zionale con il riconoscimento della sezione sindacale di fabbrica, il sindacalismo indu-
striale in Francia non gode di alcuna et delloro negli anni 68, cosa che lo distingue
fortemente dai suoi vicini europei
23
. Le due confederazioni principali, la CGT e la CFDT,
conoscono una situazione molto contrastata. La prima incontra a partire da questo mo-
mento, cio prima dellirruzione della crisi economica, delle difficolt che si traducono
in una stagnazione, poi in un declino degli iscritti, fenomeno che interesser la CFDT alla
fine del periodo
24
.
21
Les Cahiers de mai , n. 2, 1-15/7/1968; sul racconto dello sciopero da parte del segretario della sezione
CFDT, cfr. La grve Rhne-Poulenc Vitry, 6 pp., novembre 1968, archives CFDT 7 H 45.
22
Cfr. il film Citron-Nanterre en mai juin 1968, Collectif Arc 1968.
23
M. Pigenet et alii (dir.), Lapoge des syndicalismes en Europe occidentale, 1960-1985, Publications de la
Sorbonne, Paris 2005.
24
D. Labb, Syndicats et syndiqus en France depuis 1945, LHarmattan, Paris 1996; A. Bvort, Les effectifs
syndiqus la CGT et la CFDT, 1945-1990, Communisme, nn. 35-37, 1993-1994, pp. 87-91.
Gli scioperi operai del maggio-giugno 1968: linizio di uninsubordinazione prolungata
95
Soprattutto, le difficolt della CGT sono riconducibili al moderatismo da essa pro-
mosso, che tende a limitare e, addirittura, a ostacolare le iniziative operaie che essa non
controlli da cima a fondo, tanto pi che il rinnovamento del repertorio dazione accen-
tua la conflittualit nelle fabbriche. la ragione per cui la CGT combatte i gauchisti, non
esitando a fare ricorso alle forze di polizia
25
. Questa evoluzione quasi lesatto opposto
di quella conosciuta dalla CFDT. Questultima in effetti contribuisce potentemente a so-
stenere linsubordinazione operaia, poich la decentralizzazione industriale corrisponde
in parte al suo radicamento territoriale: essa pu cos contare su aderenti pi numero-
si ad Ovest, ma anche in Alsazia o in larga parte del Massiccio Centrale. Tale diffusione
geografica della contestazione si accompagna a una notevole attenzione nei confron-
ti delle frazioni dominate della classe operaia (immigrati, o operaie). Lo sciopero della
LIP nel 1973 a Besanon costituisce lacme di questa fase movimentista, ma anche lav-
vio di un suo ricentramento, sulle prime impercettibile poi esplicito con il congres-
so del 1979
26
.
Queste esitazioni e questi voltafaccia da parte dei sindacati, spesso messi alla berli-
na dai gruppi di estrema sinistra, favoriscono la moltiplicazione, successiva al loro fio-
rire estemporaneo nel maggio-giugno, di organizzazioni a-sindacali spesso effimere, di
comitati dazione, di sciopero, di lotta, ecc. Esse funzionano da interfaccia tra i gruppu-
scoli gauchisti e la base operaia, di cui si pretendono lincarnazione.
2) Gruppi gauchisti tanto deboli quanto influenti
Malgrado il panico del Ministro dellInterno Raymond Marcellin dopo il 1968, le orga-
nizzazioni di estrema sinistra che vanno verso le fabbriche nel nome della centralit ope-
raia, tentando di inserire i loro militanti nei bastioni della contestazione e di farvi pro-
seliti, restano largamente minoritarie. Nondimeno, la scarsit degli effettivi non deve
far sottovalutare il loro ruolo, spesso decisivo, di catalizzatori e diffusori dellinsubordi-
nazione. Per esempio, i Cahiers du Mai, insieme rivista e organizzazione attiva tra il
1968 e il 1973, o La Cause du peuple della Sinistra proletaria hanno anche contribuito a
fare emergere, poi a diffondere una voce operaia esuberante che contrasta con la reto-
rica sindacale ufficiale, spesso affettata. In realt, se le affiliazioni organizzative trockij-
ste o maoiste esitano e fluttuano, lesistenza prolungata delle organizzazioni gauchiste
manifesta la presenza continua di frazioni operaie radicalizzate che contestano lordine
di fabbrica e lavorano per sovvertirlo. Queste frazioni sono le migliori promotrici del-
la contestazione.
25
Nota del sotto-prefetto di Montbliard su Ltat desprit ouvrier, 2/6/1970, AN 770128/214. Si ritrova una
collusione del genere in regione parigina.
26
P. Ronzenblatt, F. Tabaton, M. Tallard, Analyse du conflit Lip et de ses rpercussions sur les pratiques ou-
vrires et les stratgies syndicales, Tesi di dottorato in economia applicata, Paris IX, 1980, 2 voll.; N. Defaud, La
CFDT (1968-1995). De lautogestion au syndicalisme de proposition, Presses de Science-Po, Paris 2009.
Xavier Vigna
96
3) Una conflittualit aperta e nazionale
Su scala locale, sono le questioni di fabbrica a cristallizzare il malcontento operaio e a
conferire alla conflittualit il suo carattere aperto e dunque relativamente continuo. Allo
stabilimento Coder di Marsiglia il salario per rendimento, alla Renault di Flins la dif-
ferenziazione per posto di lavoro
27
lelemento su cui si concentra la collera operaia. Una
questione di fabbrica, trasversale al sistema lavorativo, situata allincrocio tra diverse ri-
vendicazioni e che, in quanto tale, non pu essere risolta, inaugura cos linsubordinazio-
ne. Lungi dallessere appannaggio dei bastioni operai, la contestazione si sparge sul ter-
ritorio e conquista le periferie pi o meno recentemente industrializzate. La Bretagna,
in particolare le Ctes du Nord e lIlle-et-Vilaine, riscopre in tal modo linsubordinazio-
ne operaia con dei conflitti a risonanza nazionale, soprattutto quello della Joint franais
a Saint-Brieuc, dal 13 marzo al 9 maggio 1972
28
. In un dipartimento cos conservatore
come la Haute-Loire, gli operai delle Tanneries di Puy, della Ducellier (equipaggiamen-
to automobili) di Brioude o delloscura fabbrica metallurgica di Teyssier, vicino Yssin-
geaux, moltiplicano i conflitti. Da questo punto di vista, lo sciopero acquista ciclicit:
quattro conflitti di vasta portata tra il 1969 e il 1974 alle Tanneries per esempio, come
alla Ducellier tra il 1967 e il 1979
29
.
4) Un allargamento del repertorio dazione
Il rinnovamento del repertorio dazione negli anni 68 marcato anzitutto dallesauri-
mento delle forme tradizionali e regolate di conflitto, come le giornate dazione inter-
professionali o i conflitti di settore. Di converso, la morfologia dello sciopero conosce
un doppio allargamento con gli scioperi di officina, da una parte, e gli scioperi produt-
tivi, dallaltra.
In effetti, si sviluppano dei conflitti che, per lessere condotti in un punto strate-
gico del processo lavorativo, paralizzano molto rapidamente la produzione: sciopero
tappo, sciopero trombosi, addirittura sciopero tetano, le definizioni si moltipli-
cano per designare delle lotte che la Direzione generale del lavoro e dellimpiego qua-
lifica, nellautunno del 1969, nel seguente modo: sciopero in un dato stabilimento da
parte di una frazione limitata del personale il cui ruolo nel processo di fabbricazione
implica molto rapidamente delle ripercussioni gravi sulla produzione dellinsieme del-
la fabbrica
30
. Lo sciopero tappo presenta la particolarit di poter essere condotto da
piccoli gruppi di operai e ciononostante di provocare delle ripercussioni considerevo-
li sullimpresa nel suo insieme. La divisione del lavoro, ma pi ancora la razionalizzazio-
27
Sistema di remunerazione per cui il salario dipende dal posto di lavoro occupato dalloperaio, in funzione
di un gran numero di criteri oggettivi.
28
V. Porhel, Ouvriers bretons. Conflits dusine, conflits identitaires en Bretagne dans les annes 68, PUR, Ren-
nes 2008.
29
AD Haute-Loire 1120 W 94-99, 101, 104, 244-248.
30
AN 760122/295.
Gli scioperi operai del maggio-giugno 1968: linizio di uninsubordinazione prolungata
97
ne, hanno offerto in tal modo agli operai unarma che per tutto il periodo essi ritorco-
no contro i loro padroni
31
.
Linsubordinazione operaia fa ugualmente ricorso allo sciopero produttivo dopo la
sua invenzione alla LIP di Besanon, nel giugno 1973. Lampiezza dellillegalit che
somma loccupazione, la sottrazione di uno stock di orologi e lutilizzo degli strumen-
ti di lavoro traduce quella dellinsubordinazione. Sino al 1977 si registrano una venti-
na di scioperi produttivi promossi dai figli della LIP su tutto il territorio nazionale
32
. A
questo punto, grazie al prodotto delle vendite selvagge, gli operai possono resistere a un
padronato ultra-autoritario o aspettare larrivo di qualcuno che rilevi la propriet dopo
la consegna dei bilanci. Questi scioperi produttivi, tanto celebri quanto eccezionali, at-
testano che negli anni 68 le illegalit si vanno moltiplicando, e che il repertorio dazio-
ne si allarga. cos per esempio che i sequestri si moltiplicano, tanto pi che la CGT vi si
adegua a partire dal 1975.
5) La contestazione dellorganizzazione del lavoro
Tra questioni di fabbrica locali e movimento nazionale, unondata di scioperi contro la
produttivit si abbatte sulle fabbriche, in particolare nel tessile e negli elettrodomestici,
tra il 1972 e il 1973. La questione del salario a rendimento racchiude in realt tre dimen-
sioni: oltre allaspirazione a beneficiare di un salario regolare nella continuit di quella
mensilizzazione conquistata nel luglio 1970, vi si ritrova il sospetto tanto nei confronti
dei cronometristi, accusati di essere al soldo dei padroni, che dei capi, sospettati di ge-
stire la distribuzione dei posti in maniera clientelare. In ultima analisi, gli operai rigetta-
no la logica stessa del rendimento, che incoraggia una parcellizzazione crescente del la-
voro, quindi la monotonia, e comporta un peggioramento del lavoro.
Come in tutti gli scioperi che cercano di migliorare le condizioni di lavoro, i conflit-
ti sul rendimento vertono anche sulla salute: la nostra salute non in vendita, si sen-
te alla Penarroya di Lione nel 1972 facendo eco a uno slogan italiano. lindizio che il
compromesso fordista che aveva regolato le relazioni sociali dalla Liberazione in poi non
tiene pi. Questa insubordinazione, che porta allo scoperto la realt del lavoro operaio e
traduce una violenta denuncia dellorganizzazione razionalizzata, mostra tra laltro tutta
la distanza rispetto al senso comune mitizzante di oggi sulle Trente glorieuses
33
.
Il lettore italiano trover sicuramente in queste analisi uneco di lotte operaie chegli
conosce meglio. Senza dubbio, la Francia e lItalia conoscono due sequenze parallele
di contestazione operaia che le distingue rispetto ai loro omologhi europei
34
. questa
31
N. Hatzfeld, Les gens dusine. 50 ans dhistoire Peugeot Sochaux, LAtelier, Paris 2002.
32
Cfr. Les enfants de LIP, CFDT aujourdhui, n. 15, septembre-octobre 1975, pp. 17-26.
33
Con questa formula si fa riferimento al trentennio seguito alla Seconda guerra mondiale, segnato da bru-
sca crescita economica e grande espansione delle politiche di welfare state [N.d.T.].
34
C. Crouch, A. Pizzorno (a cura di), The ressurgence of class conflict in Western Europe since 1968, Mac
Millan, London 1978. Pi recentemente, G.-R. Horn, The Spirit of 68. Rebellion in Western Europe and North
America, 1956-1976, Oxford UP, Oxford 2007; B. Gehrke, G.-R. Horn (a cura di), 1968 und die Arbeiter.
Studien zum proletarischen Mai in Europa, VSA-Verlag, Hamburg 2007.
Xavier Vigna
98
loccasione per lanciare un appello affinch cominci, finalmente, una storia incrociata e
comparata dei due Paesi in questo periodo, al contempo, cos vicino e cos lontano.
BIBLIOGRAFIA
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(1962-1981), Syllepse BDIC, Paris 2008.
Mouriaux, R. et alii (a cura di), Exploration du mai franais (2 voll.), LHarmattan, Paris 1992.
Porhel, V., Ouvriers bretons. Conflits dusine, conflits identitaires en Bretagne dans les annes 68,
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Vigna, X., Linsubordination ouvrire dans les annes 68. Essai dhistoire politique des usines, PUR,
Rennes 2007.
Vigna, X., Vigreux, J. (a cura di), Mai-Juin 1968. Huit semaines qui branlrent la France, EUD, Di-
jon 2010.
FILMOGRAFIA
Groupes Medvedkine, cofanetto di due DVD, Besanon et Sochaux, accompagnato da un libro di
59 pp., Editions Montparnasse, Paris 2006.
Le cinma de mai 68, Vol. 1, cofanetto di quattro DVD, Editions Montparnasse, Paris 2008.
99
IL SESSANTOTTO IN ITALIA
Pietro Clemente
Incipit polifonico e policronico
Il 1968 ha tante immagini, forse troppe. (...) Al di l della variet delle immagini, il dato
comune che lega tutte queste esperienze, anche molto diverse, la partecipazione giova-
nile, la ribellione giovanile, la presenza degli studenti, la ripetizione, che percorre tut-
to quellanno, di manifestazioni, cortei, scontri colla polizia, occupazioni di Universit,
sit-in. La caratteristica prima che anche a un occhio storico, oggi, (...) salta immediata-
mente agli occhi, quella della simultaneit della protesta e insieme questo fortissimo
protagonismo dei giovani. Giovani che sono prevalentemente gli studenti (...). Giova-
ni che appartengono tutti a una vasta area di privilegio. Non pi la ribellione dei dan-
nati della terra
1
.
Avete facce di figli di pap.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perch i poliziotti sono figli di poveri.
(...) i ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta
tradizione risorgimentale)
1
M. Flores, Un anno di confine, in M. Aresu e altri (a cura di), Rivelazioni e promesse del 68, CUEC, Cagliari
2002, p. 21.
Pietro Clemente
100
di figli di pap, avete bastonato,
appartengono allaltra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si cos avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (bench dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri.
Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici
2
.
Mi interessava seguire due direzioni. Innanzitutto il passaggio dalla politica come spe-
cializzazione al principio del partire da s, sostenuto dallala antiautoritaria del Sessan-
totto e imposto dal femminismo, fino al ripiegamento sul modello del partito. Poi la
tensione fra il mito e la democrazia assembleare, gli esperimenti di democrazia parteci-
pativa, il ruolo delle lites, il sogno della sorellanza e le differenza fra le donne
3
.
(...) Anche noi fummo concrezioni epocali come le conchiglie o le spiagge del Poetto, forse
mettendo lorecchio sul mio cuore si sarebbe potuto sentire il rumore del mare, come con
una conchiglia. Agimmo, questo ci affascinava, ma agendo fummo agiti da un tempo, ab-
biamo meno colpa di quanto si cerchi di dare, meno meriti soggettivi di quanto si cerchi di
assumerne. C voluto molto pensiero per fare una rosa. Noi eravamo rose. Lassemblea era
una rosa il cui bocciolo aveva dentro di s lattesa, il mito, il sogno, il lavoro, la mente, di
generazioni (...)
4
.
Arriva Allara, Rettore di Torino
Quando avevamo barricato le porte di Palazzo Campana e avevamo messo per barricarle la
sacra cattedra di Allara (...). E mi ricordo che un giorno, nellora in cui avrebbe dovuto fare
lezione Allara, Guido Viale era in piedi sulla sua cattedra, e Allara comparve alle sue spalle
perch era passato dalla cantina, e Guido Viale lo affront a insulti, stando in piedi aveva
queste scarpe massicce inglesi stando sulla cattedra, capellone, tutto il peggio che per Allara
potesse esserci. Gli diceva vattene via dandogli del tu, con Allara che diceva: scenda im-
mediatamente da quella cattedra. Lei sta violando una norma giuridica e Viale: Ma stai zitto
imbecille, hai tormentato gli studenti fin adesso. Fece uno show che lo accredit come capo
carismatico, e che per me ero quasi matricola era una dissacrazione incredibile
5
.
2
P.P. Pasolini, Il PCI ai giovani!, LEspresso, n. 24, 16 giugno 1968 (ma la poesia sar poi pubblicata,
comera originariamente previsto, su Nuovi Argomenti, prestigiosa rivista di cui Pasolini era divenuto co-
direttore nel 1966). Pasolini sottoline a pi riprese il carattere paradossale e provocatorio del suo intervento,
sulla cui ricezione pes anche il titolo inventato dal settimanale (Vi odio, cari studenti). Anche letta al secon-
do livello, tenendo quindi conto del virgolettato che, secondo Pasolini, accompagna virtualmente il testo, la
registrazione-messa in guardia circa il carattere socialmente situato del movimento studentesco resta al di qua
del processo breve e radicale che cercher di ricostruire.
3
A. Bravo, A colpi di cuore. Storie del sessantotto, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 11.
4
P. Clemente, Triglie di scoglio. Tracce del Sessantotto cagliaritano, CUEC, Cagliari 2002, pp. 25-26.
5
Narrazione di Marco Revelli in A. Bravo, A colpi di cuore, cit., pp. 117-118.
Il Sessantotto in Italia
101
Cercare le tracce
La storiografia del Sessantotto ancora in gran parte fatta da protagonisti coinvolti, an-
che se di pi generazioni, sarebbe desiderabile una storiografia fatta dai giovani che,
come chiedeva Franco Fortini, ci interroghi senza piet e vada oltre le narrazioni che
amiamo farci per giustificare il passato
6
.
Chi stato coinvolto (io ero della generazione pi grande, che aveva gi esperien-
za politica, compivo i 26 anni nel mese seguente il mitico Maggio del Sessantotto) pu
seguire anche una strategia analitica di distanza, ma sia la strategia soggettiva che quella
oggettiva, o quella gloriosa e reducista, si caratterizzano per limprinting depoca e di ge-
nerazione. Io ho scritto alla fine degli anni Ottanta e alla fine dei Novanta, pubblicando
nel 2002 delle storie di giovani cagliaritani nel Sessantotto, che mi urgevano. Ma senza un
orizzonte simile a quello dei libri di Revelli, di Flores, di Bravo, o ai tanti saggi, da Ortole-
va a Passerini. Il fatto che sia un antropologo e non uno storico mi potrebbe avvantaggia-
re, giacch in questambito da tempo la metodologia della partecipazione osservante
che sostituisce la osservazione partecipante alla Malinowski nella valigia degli stru-
menti di lavoro. Ma se non produce quadri teorici originali quella partecipazione rischia
anche di essere un difetto, soprattutto se applicata alla memoria, visto che in quegli anni
era la politica del movimento e non una qualsiasi disciplina a dominare i pensieri.
Vorrei seguire dunque delle tracce che fanno parte del mio sistema cognitivo perso-
nale, e degli orientamenti che mi vengono dalla comparazione tra le varie letture (la let-
teratura sul Sessantotto, spesso considerata poco significativa) e lesperienza locale che
ho vissuto da studente, che cominci a Milano nel 1962 e continu e fin a Cagliari tra
il 1963 e il 1969.
La prima traccia mi fa scendere in cantina.
In effetti il mio percorso sui nessi tra il Sessantotto e le possibili forme di comuni-
smo eretico e di pensiero critico comincia dalla cantina, luogo congeniale per le utopie,
luogo al quale Marx raccont di avere destinato la sua critica allideologia tedesca
7
, af-
fidata alla rodente critica dei topi. Laggi ho relegato la mia storia pregressa, il mar-
xismo e le riviste che non ho donato alla Biblioteca comunale di Follonica (GR), che per
un certo tempo raccolse i periodici della sinistra varia ed estrema.
Non possibile prendere del tutto le distanze dalla propria storia. Per questo in can-
tina rimasta la raccolta di Problemi del socialismo, una rivista che sentivo vicina alla
mia storia, una rivista che amavo troppo per darla a Follonica. La stessa ragione ha fatto
s che anche i Quaderni piacentini, che considero tra le riviste pi belle che mai siano
state fatte in Italia, siano rimasti a casa, bench tre piani di sotto.
Aprendo Problemi del socialismo, n. 28, anno X, nuova serie, marzo-aprile 1968,
dopo avere lavorato su altri testi, e in particolare Rivelazioni e promesse del 68
8
mi vie-
ne gi in evidenza una tesi da sostenere e che forse potr dimostrare.
6
Citazione a memoria.
7
K. Marx, F. Engels, Lideologia tedesca: critica della piu recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feu-
erbach, B. Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Ed. Riuniti, Roma 2000 (1845).
8
M. Aresu e altri (a cura di), Rivelazioni e promesse del 68, cit. Il testo legato a una serie di incontri orga-
nizzati nel 1998 da un gruppo di giovani aderenti allIstituto sardo per la storia della Resistenza e dellAuto-
Pietro Clemente
102
Dunque, Problemi del socialismo, n. 28, anno X, nuova serie, marzo-aprile 1968;
direttore Lelio Basso, nella redazione c anche Gastone Sclavi che ho conosciuto nel di-
rettivo della Federazione giovanile del PSIUP. Morto giovanissimo, lho incontrato nel-
la zona cremazioni del cimitero di Siena citt dove vivo da tanti anni. C anche Fran-
co Zannino, protagonista della discesa a Roma di Lelio Basso e della continuit della
rivista. Mondo di morti rimasti fecondi per i vivi. Ma anche di vivi che hanno cura del-
le memorie.
Cosa mi legava a Problemi del socialismo? Ho scoperto la politica andando a stu-
diare Architettura a Milano, e lho poi praticata a Cagliari, citt della mia vita, dove ho
finito gli studi in filosofia con tesi in Antropologia culturale (una disciplina nata col Ses-
santotto) dopo linsuccesso milanese. Mi ero iscritto al PSI a Milano da studente alla
sezione Volta Garibaldi dove avevo scoperto i molti mondi che facevano del PSI una
straordinaria scuola di idee. Nella mia sezione si andava dai riformisti nenniani, agli
autonomisti di Lombardi, agli stalinisti, agli operaisti e addirittura a chi partecipava al
movimento del sabotaggio industriale (la rivista Gatto selvaggio). Le riunioni erano
incredibili per gli esercizi estremi di rissosa dialettica politica. In sezione cera la stam-
pa socialista, tra le cose che presi ed appresi cera lesistenza di Ignazio Buttitta
9
e il suo
poema per Salvatore Carnevale
10
(Turiddu Carnivali nominatu/e comu Cristu muriu
ammazzatu) rimasto iscritto nella mia etica politica. Negli incontri cittadini conobbi
Cesare Musatti
11
, il senatore Malagugini
12
, e a pensarci devo avere conosciuto laleph
della politica perch vidi tutto il possibile in pochi mesi, e a vederlo mi avevano predis-
posto le letture legate a Pavese, Sartre, Camus, Kafka, la stampa periodica che mi fece
legare, affascinare, indignare sulla guerra di liberazione algerina. Il mio primo impegno
politico da protagonista fu lorganizzazione di una serata alla sezione Vittoria di lettura
e discussione delle poesie della resistenza spagnola curate da Dario Puccini nel maggio
del 62. Tornai da Milano pieno di riviste trockijste, marxiste, bordighiste, e coi Qua-
derni rossi. Classe operaia di Tronti e Asor Rosa e Negri lo comprai lanno dopo tor-
nando a Milano per trovare la fidanzata. Tra le cose pi usate nel Sessantotto che portai
da Milano cerano i canti della guerra civile in Spagna, canti delle brigate internaziona-
li, la Lincoln, la Thaelmann, in inglese, spagnolo, tedesco, un testo di Brecht e di Weil.
Quel disco fu una risorsa di lunghissimo respiro nella formazione etica della mia gene-
nomia. La sezione Lanno evento contiene testi di M. Flores, M. Revelli, V. Rieser, F. Sbarberi, G. De Lutiis,
G. Boatti. Le altre sezioni sono: Il 68 delle donne, Teatro e cinema intorno al 68 e Il 68 in Sardegna.
Gli autori sopra elencati sono tra coloro che pi hanno scritto sul 68, negli articoli fanno riferimenti ad altri
autori ancora e per questo il libro mi servito da scenario interpretativo. La parte sarda poi mi include e mi
coinvolge anche con un testo, La voce dellassemblea.
9
Scrittore e poeta siciliano (1899-1997), divenuto famoso nel Dopoguerra per la pubblicazione delle sue
poesie dialettali su importanti casi editrici (nel 1968 usc per Feltrinelli la raccolta La paglia bruciata, con
prefazione di Roberto Roversi e una nota di Cesare Zavattini). Cant soprattutto le lotte e le aspirazioni
contadine.
10
Bracciante socialista siciliano, assassinato trentunenne il 16 maggio 1955 per la sua attivit sindacale.
11
Psicanalista e psicologo italiano (1897-1999), fu tra laltro il curatore della traduzione delle opere com-
plete di Freud.
12
Militante socialista, partigiano, membro della Consulta, deputato e giudice della Corte Costituzionale
(1887-1966), fu nel Dopoguerra segretario della federazione socialista di Milano.
Il Sessantotto in Italia
103
razione e di quella pi giovane che arriv al Sessantotto a 19 o 20 anni. Sapevamo a me-
moria tutti i canti, era la lezione di epica che in tanti di noi si accompagnava alla lettura
della poesia di Lorca e di Neruda.
A Cagliari nel PSI mi incontrai con una tradizione di sinistra, conobbi Joyce ed Emi-
lio Lussu che ho frequentato per anni. Costruii con altri un Movimento di azione per la
pace (MAP) che ebbe la simpatia di Aldo Capitini, ci interessavano le idee di Bertrand
Russell. Ho visto nascere il PSIUP con lentusiasmo condiviso di molti giovani. Qui nac-
que per me la passione per Lelio Basso, la sua trascinante oratoria di scenari teorici e
politici mondiali, lidea dei contropoteri, del formare quadri tecnici per le nuove forme
di gestione socialista, il suo legame con Rosa Luxemburg. Il suo discorso per la scissio-
ne socialista in cui citava Martin Lutero non posso altrimenti fu come una epi-
grafe. Basso, Foa e Libertini erano i riferimenti della nostra politica. Cos diversi anche
tra loro, in una strana polifonia piena anche di gossip. Sono stato funzionario del PSIUP
a Cagliari dal 1965 al 1967. Nel PSIUP sardo ho conosciuto piccole reti di una corrente
secchiana
13
e illegalitaria del PCI minerario, sono stato visitato da trockijsti della Quar-
ta internazionale, ho dialogato con i compagni di Biella che facevano esperienze stra-
ordinarie nelle fabbriche tessili, sono stato trontiano antigramsciano e gramsciano an-
titrontiano, e per qualche mese anche bordighista. Amavo gli articoli di Luciano Della
Mea su Mondo nuovo, e le geometrie teoriche di Gianmario Cazzaniga nel direttivo
nazionale della Federazione giovanile socialista. Mi sono addestrato alle scritte murali
notturne e allattacchinaggio di manifesti. Una straordinaria polifonia teorica, relaziona-
le e pratica che mi fece vivere tante vite di teorie, di gente di miniera e di campagna, di
senza tetto, di studenti, di pittori e artisti, di giovanissimi in cerca di s, di attesa degli
operai alluscita delle fabbriche, in una sola.
Nel 67 uscii dal partito e dai partiti per non rientrare pi, tra il 67 e il 69 fondai mo-
vimenti studenteschi, poteri operai, collettivi insegnanti, e finii in una presuntuosa or-
ganizzazione extraparlamentare nata dal Movimento della Statale di Milano. Intorno al
1967, dopo cinque anni di militanza a ritmi accelerati, ero una sorta di macedonia o in-
salata russa di pezzi di storia, di ideologia, di epica canora, di esperienza di relazioni, di
proselitismo, di gestione di circoli, di mitologia operaia, di rivoluzione sessuale di Reich
e dellAssociazione italiana per leducazione demografica dei radicali, che si arricchiva-
no di un marxismo anche studiato nei corsi di filosofia allUniversit di Cagliari, pez-
zi che non giunsero mai nella mia mente a coerenze cristalline. Pezzi che ho comincia-
to con grande fatica a decostruire dopo il 1979, anno della mia rottura con il marxismo
e la pratica politica militante. Ma alcuni di quei pezzi lavorano ancora, a mia insaputa,
dentro la mia mente.
Le mie letture erano piene di disegni utopici, di frasi fatte rifondatrici, di miti fon-
datori (la Comune di Parigi, la colonna di Vendme
14
, I dieci giorni che sconvolsero il
mondo)
15
, di visioni cinematografiche (i film di Eisenstein, di Bergman, di Antonioni).
13
Pietro Secchia (1903-1973), dirigente del PCI, preposto allattivit organizzativa ed esponente nel Dopo-
guerra dellala pi intransigente del partito.
14
Parlo della colonna della piazza di Vendme abbattuta durante la Comune parigina.
15
J. Reed, I dieci giorni che sconvolsero il mondo, Rizzoli, Milano 1980 (1919), un reportage classico e
popolare sulla rivoluzione nellUnione Sovietica.
Pietro Clemente
104
Cesare Vasoli, filosofo medievista di cultura sterminata, professore allUniversit di Ca-
gliari, diede senso e orientamento alla mia idea di comunismo con una bella interpreta-
zione della Critica del programma di Gotha in cui dava progetto e speranza alla dittatura
del proletariato, espressione che di per s faceva pensare a un regime repressivo e car-
cerario, anche se per nobilissimi scopi. Il leninismo fu la corrente antimitica che spesso
mi impose eccessi di realismo, pragmatismi trinariciuti
16
.
Lasciati i partiti fu naturale aderire al movimento che nasceva, anche perch avevo
perso due anni di studi, ed ero studente attivo. Quando feci i primi interventi e relazio-
ni nel movimento mi trovai quasi a cancellare le radici marxiste e la pratica partitica che
avevo fatto, come fosse stata una sorta di contaminazione. Pensai che si entrava in una
fase nuova e che le teorie operaie e marxiste dovessero essere rilette dentro quel movi-
mento.
Tutta la letteratura concorda sul fatto che, seppure per un numero limitato di mesi,
nella fase alta del movimento fu la natura sorgiva di questo ad avere la prevalenza lon-
data di trasformazione delle coscienze, delle pratiche, fu pi forte delle tattiche, delle
strategie e delle teorie apprese e circolanti nella sinistra. Il Sessantotto fu azione ed espe-
rienza di un gruppo limitato di giovani di una grande generazione (grande di ampiezza
perch ancora di baby boom) che visse uno stato di grazia, una esaltazione febbrile, una
effervescenza che lo fece sentire simile alle grandi ribellioni entrate nel mito, al di l di
ogni pi puntuale analisi politica. La politica come tattica e progetto fin per riemergere
nel momento della crisi e del riflusso.
Universit e societ
In Problemi del socialismo, n. 28, anno X, nuova serie, marzo-aprile 1968 c un ar-
ticolo di Vittorio Rieser che si intitola Universit e societ, una riflessione tattica sulla
gestione del movimento, in particolare su quella parte delle attivit, i controcorsi
17
che
appaiono come una forma di contropotere della conoscenza: al di l delle occupazioni e
delle manifestazioni pubbliche furono il cuore della pratiche del movimento, insieme a
16
In questo periodo ci sono molti riferimenti gergali e poco comuni, Il programma di Gotha era un pro-
gramma socialista tedesco del 1875, Karl Marx lo aveva chiosato criticamente dando una idea del comunismo
come societ dello sviluppo delle libert e differenze individuali, finito il mondo delle lotte di classe, in cui
a ognuno lo Stato (anchesso in scioglimento) avrebbe dato secondo i bisogni e non secondo la quantit di
lavoro. Lo ha ripreso di recente P. Ginsborg nel libro La democrazia che non c, Einaudi, Torino 2009. Lenin,
che riprese quelle note in Stato e rivoluzione, fu il teorico dellorganizzazione, della capacit tattica di gestire i
movimenti da parte del partito, della avanguardia, della amoralit delle azioni rivoluzionarie, il tutto interpre-
tato come spirito di realismo dai partiti operai. Trinariciuti una espressione di generazione e si riferisce ai
disegni di Guareschi, uno scrittore e vignettista di destra che segnalava la alterit comunista disegnando i
comunisti con tre narici, le tre narici erano anche simbolo di obbedienza cieca e assoluta al partito. Qui sta
per fedeli alla organizzazione e non a convinzioni profonde.
17
Pratica diffusissima nel movimento degli studenti, cre momenti di didattica alternativa legati al mondo
esterno, alle prospettive di lavoro, alla lettura della societ e del territorio. Tutta la letteratura di lotta del 68
parla di questo modo diverso, solidale, fraterno, impegnato oltre le tradizioni accademiche, aperto al mondo
in cambiamento, di accedere al sapere.
Il Sessantotto in Italia
105
quello stare insieme e gestirsi in assemblea che ne defin lordito. Riflette anche sulle ra-
gioni del movimento e i rapporti col mondo operaio, sulle forme di contrattazione che
il movimento doveva sperimentare per darsi durata. Sullidea di quello che fu definito
uso parziale alternativo dellIstituzione, viverci dentro alternativamente pur lasciando
che essa viva la sua routine istituzionale. Trasformandola per contagio ed erosione. Sem-
pre nello stesso numero trovo il testo pi influente in quel tempo, Anatomia della rivol-
ta
18
, di Mauro Rostagno, che con grande autorevolezza da Trento (noi a Cagliari affigge-
vamo sui muri i suoi testi pi sintetici) analizza la pratica del movimento:
Dove finalmente la parola collettivo cominci ad avere un senso, dove le posizioni precosti-
tuite si sciolgono nei contrasti interindividuali. Un modo concreto per cominciare a negarti
come merce e a scoprirti come compagno: perch sei costretto a ragionare politicamente,
a esporti individualmente. Studenti lavoratori, studenti medi, studenti serali, classe operaia.
Fai riunioni con loro, organizzi con loro le loro lotte, fai picchettaggi davanti alle scuole e alle
fabbriche, lotti con loro nelle piazze, conosci non intellettualmente i loro problemi, in quanto
appunto i loro problemi sono i tuoi: in senso molto concreto, anche; perch se non allarghi la
lotta anche a loro, la tua finisce per asfissia, scade nel riformismo, sei costretto a cedere alle
offerte di dialogo, alla logica delle contrattazioni e delle contropartite (...).
un testo notevole, che si conclude con un elogio dellazione e della pratica continua-
mente in movimento contro la scrittura e la intellettualizzazione. Ma la fonte di questo
paesaggio utopico (collettivo, compagni) quella dei nuovi nati, dei neofiti, la paro-
la compagno assume un senso nella pratica, lidea guida tattica solo lestensione del
movimento ad altri che lo vivono come noi, per estensione. Gli unici riferimenti di
questa pagina di Anatomia della rivolta sono Don Milani (Barbiana)
19
e Carmichael
20
:
Non vogliamo mangiare alla vostra tavola, vogliamo rovesciarla. La storia della sinis-
tra comunista e socialista non c pi. scomparsa, quelle voci vengono del tutto rilette,
quelle che l apparivano utopie solo immaginate qui stanno diventando pratiche.
Tra le indicazioni di letture da fare Rostagno indica i documenti di Rieser e di Bob-
bio- Viale. Un dialogo tra universit in lotta, in una rete che, senza fax e posta elettroni-
ca, si fece con i viaggi e gli scambi postali. E poi anche con i telefoni fissi.
Vittorio Rieser, molti anni dopo, a scrivere: Noi eravamo accusati di aver mes-
so la Lettera a una professoressa o gli scritti di Rudi Dutschke al posto dei testi marxisti
pi classici
21
. Credo che Vittorio Rieser sia tra i pochi, nello scenario di chi ha scritto
sul Sessantotto, ad esserci stato prima, dentro e dopo, dopo non solo come memore ma
come storico e come critico. Avevo letto Rieser sui Quaderni rossi, nel 69 avrei usa-
to la sua Inchiesta operaia alla Fiat per allargare alle nuove fabbriche cagliaritane il 68
degli studenti.
18
Mauro Rostagno (1942-1988) fu uno dei leader del movimento studentesco di Trento (uno degli epicentri
della protesta in Italia) e poi uno dei fondatori di Lotta Continua, assassinato dalla mafia in Sicilia.
19
Il riferimento allopera scritta da don Lorenzo Milani (1923-1967) insieme ai ragazzi della scuola di
Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967.
20
Stokely Carmichael (1941-1998), leader del movimento dei neri americani, nel 1968 fu nominato Primo
ministro onorario delle Pantere Nere.
21
M. Aresu e altri (a cura di), Rivelazioni e promesse del 68, cit., p. 46.
Pietro Clemente
106
Tra Rostagno che cita Carmichael e Don Milani, e Rieser che cita Dutsckhe e Don
Milani, mi aggiungo come terzo perch proprio nel 1967, nella assemblea che prelude-
va alloccupazione della Facolt di lettere e filosofia di Cagliari, feci un intervento i cui
testi guida erano Malcolm X e Don Milani. Tutti tre eravamo formati dal marxismo, Rie-
ser ne era un maestro e lo fu anche per me, e per nel 67-68 usammo un prete cattoli-
co di origine ebrea che insegnava a bambini di montagna per dire qualcosa che ancora
a me capita di dire con le parole della Lettera a una professoressa, ma lo dico qui con le
parole di Rostagno del 1968:
punto 13. Dallavarizia alla politica (Barbiana). Avaro chi risolve un problema suo da solo.
Ma lavarizia non solo immorale, inefficace. Anche per questo labbandoni. Perch in fon-
do scopri che poi il problema non lo hai risolto. Perch il problema tuo era un problema col-
lettivo e dunque la soluzione non poteva che essere collettiva. Salta fuori la politica. Risolvere
il problema che tuo come di altri, insieme a quegli altri. Scoprendo poi che gli altri, alcuni,
te lo avevano posto come un gioco da giocare da solo, accettando le regole del gioco. Dunque
non giochiamo, non accettiamo le regole, il gioco lo rovesciamo (...).
Qui dove viene citato Carmichael, certo Lorenzo Milani non avrebbe riconosciuto il suo
Sortirne da soli lavarizia, sortirne insieme la politica. Ma in queste frasi c lidea
di un metodo sociale di affrontare i problemi che sar alla base anche degli anni Settan-
ta, diventando via via anche una retorica staccata dal fare. In quegli anni era un modo di
leggere il fare, lurto nello specchio dacqua che si propaga a cerchi, il contagio, il fare
per tutti che anche fare per s, e infine, quella che, altrove, ho definito una pentecos-
te anemofila
22
, una sorta di presa di coscienza plurale per un vento misterioso che porta
il seme della contestazione.
La mia tesi dunque che il Sessantotto italiano fu ricco di marxismo, di comunismo
eretico, di pensiero critico, e che tuttavia per almeno sei mesi questi riferimenti furono
nei miti e non nelle pratiche organizzative, nel modo di presentarsi immaginato della ri-
volta e non nei progetti di controllo delleconomia. Da raffinati marxisti demmo al mo-
vimento il crisma di essere entro lorizzonte storico del marxismo critico anche quando
manifestamente non lo era. In un certo senso le nostre radici intellettuali furono usate
dallo stato nascente.
Condensazione e spostamento
Tutta la storia del movimento operaio e della sinistra italiana che ho vissuto stata carat-
terizzata da movimenti e linguaggi indiretti, fondamentale fu quello comunista, del gran-
de partito comunista, il pi forte dEuropa e del mondo. Pratic la democrazia in Italia
a livello di territorio e societ civile nel nome e nel sogno di Stalin, un dittatore sangui-
22
In Triglie di scoglio, cit., nel senso di una rivelazione portata dal vento, come i semi volanti di certe piante
che si depositano ovunque, e come le lingue di fiamma della rivelazione di Cristo agli apostoli, come discesa
dello Spirito santo, nella Pentecoste cristiana, che prelude allazione di andare predicando per il mondo e in
tutte le lingue.
Il Sessantotto in Italia
107
nario che ancora oggi visto come un mito nella coscienza degli anziani. La mia gene-
razione attacc i capisaldi del costume corrente e i vertici dei partiti di sinistra in nome
delle guardie rosse cinesi, che di l a poco risultarono essere una sorta di anticipazione
di Pol Pot
23
. Giovani violenti e fanatizzati che legittimati dal potere centrale estirpa-
vano, falciandole, pratiche di vita, tradizioni di pensiero, culture locali. In un certo sen-
so la problematica marxiana della ideologia, lidea che la logica di fondo degli eventi ri-
mane invisibile agli attori sociali se non rovesciata, stata vissuta anche da chi faceva
critica delle ideologie dominanti. Perci difficile dire quale fu lidentit, la soggettivi-
t profonda del Sessantotto. Forse le logiche del pensiero collettivo sono simili a quelle
dei sogni di Freud, richiedono condensazioni e spostamenti. Nel Sessantotto fu conden-
sato quasi tutto quel che in modi diversi pareva ribelle, furono messi in scena tutti i pos-
sibili dannati, da quelli psichiatrici ai colonizzati, ai neri dei ghetti, e ci fu uno sposta-
mento onirico, nel senso che per essere critici in Italia bisognava credere di fare come le
guardie rosse in Cina. Il meccanismo elementare dellessere contro e diversi dal potere
che ci si trovava di fronte rendeva congeniale al progetto ribelle anche ci che, in real-
t, non lo era affatto.
Nel 67 facevamo i sit-in sul Vietnam, e forse erano leredit di unadesione dei gio-
vani a una memoria selettiva, quella dei resistenti, delle brigate internazionali in Spagna,
delle magliette a strisce di Genova 1960. Ma il sit-in era un metodo non violento che
prendevamo dalla sinistra americana. Dopo il 68, quando il movimento cominci a per-
dere il ritmo del geiser in uscita, ricomparvero i professionisti delle battaglie di piazza. A
Roma circolavano leggende sui combattimenti con i poliziotti. Il movimento della Stata-
le di Milano ne fece unarte bellica che pi volte mise in scacco le forze di polizia.
Alla fine del 68 ascoltammo, in pochi e in segreto, a Cagliari Giangiacomo Feltrinel-
li che ci suggeriva di avviare una via guevarista cominciando a costruire piccoli grup-
pi eversivi. Alcuni di noi, pur non dandogli ascolto non esclusero la sua tesi di colpo di
stato, e si addestrarono assai dilettantisticamente a costruire reti clandestine.
quindi possibile dire che lasse del movimento fu quello antiautoritario? Non si se-
leziona cos il sit-in escludendo dalla memoria i nodosi randelli? Il pacifismo escluden-
do dalla memoria lo spirito di setta e il tatticismo? Lassemblea contro il corteo? La soli-
dariet contro la competizione (tra leader, tra gruppi, contro la sinistra ufficiale)? Ma
chiaro che non fu la teoria marxista a dominare il pensiero del Sessantotto, n uno spi-
rito rivendicativo di tipo sindacale che pure fu usato, ma una idea di rivolgimento che
trovava pi ispirazione in testi della trasformazione spirituale dei dannati della terra
(neri, contadini), che illuminavano la trasformazione spirituale, collettiva e solidale, dei
giovani studenti, classe dirigente predestinata ma non pi consenziente.
Certo a ragionarne ex post, lunico modo di restituirgli attualit e anche dignit.
Ma anche vero che in termini di costume se ne pu fare una sorta di teoria che di-
stingue il carattere prevalente nella coscienza comune e nellimpatto dirompente sulla
cultura e sulle consuetudini, dalla pluralit dei soggetti, dei metodi, delle tensioni.
23
Si tratta del leader, di formazione intellettuale francese, che port il movimento di guerriglia dei Khmer
rossi al potere in Cambogia, e che caratterizz il suo governo per un bagno di sangue di oppositori e gente
comune non politicizzata.
Pietro Clemente
108
Questa tesi che privilegia la parte antiautoritaria del movimento, finch dur, fa di
questa tendenza la linea portante, anche nel senso di solidariet e vicinanza: la linea
che ci port vicino al mondo operaio e alle sue lotte, in una solidariet non ricambiata
dalle grandi forze sindacali che videro il movimento con grande sospetto; port il mo-
vimento anche ad atteggiamenti molto forti contro le forme autoritarie di gestione dei
partiti e dei sindacati, e lo spinse anche a recuperare il nesso formale coerente che cera
tra assemblea studentesca come protagonista di scelte collettive e consigli operai, so-
viet degli operai e dei contadini, Comune di Parigi. Il repertorio di Gramsci giovane, di
Lenin e della rivoluzione bolscevica fu fermato a quegli attimi in cui la forma del movi-
mento collettivo dal basso prevaleva sulla politica, sulla tattica e sulla strategia. In que-
sto senso si pu dire che la carica trasformatrice del Sessantotto rimasta dentro il mo-
vimento, e non misurabile dagli esiti poco felici, dal gruppettismo, esso fu una grande
scuola di sortirne insieme la politica che modellisticamente sempre feconda, sia
nelle forme della festa, che del carnevalesco, che della rinascita religiosa.
Ma al tempo stesso si pu dire che in questo modo il Sessantotto fu anche una mac-
china di trasformazione di modi di pensare il mondo e il costume inimmaginabili per
chi, in quel momento, ne fu protagonista, come per esempio la creazione delle mode gio-
vanili e il consumismo di generazione. Nel blocco storico nuovo che si costru entrarono
non richiesti anche i fattori della modernizzazione individualistica, a parole negati, ma
di fatto accentuati con la rottura con i padri, le famiglie, i centri di autorit e di trasmis-
sione di valori. Come le T-shirt di Che Guevara. Come se il mito della Comune di Pari-
gi fosse servito per convincere i padri a comprare jeans ai figli e a dare ad essi pi liber-
t nella vita personale.
Mitizzare i miti
Nellautonomizzare laspetto della rivolta antiautoritaria dunque si possono vedere in
scena, come in un grande girotondo, le figure del riscatto, i miti della rivolta, i sogni del-
la liberazione, in un grande disordine che li accomuna.
Da un lato vien suggerita allantropologo la teoria della societ in Durkheim, una
sorta di macchina ontologica che produce gli esseri sociali, usa i gruppi, i processi, per
riprodursi, per dominare. Gli individui moderni non sono che un prodotto raffinato del-
la macchina sociale, pi si sentono liberi pi la macchina durkheimiana in azione so-
cialmente nelle loro percezioni. Una tematica che ha segnato lantropologia francese, per
la quale si parla sempre di produzione sociale della cultura o di altro. In chiave dur-
kheimiana dunque la societ si cambia per migliorarsi, come macchina autoriproducen-
te, costruendo nel caso del Sessantotto una sorta di nodo traumatico, una sorta di
gigantesca neoformazione mondiale (il Sessantotto appunto), che esplode mutando lo
stato precedente che appariva ormai obsoleto. Ma il modo di ottenere questo risultato
avviene nella forma dei sogni e delle utopie, la societ che produce quelleffetto di tra-
sformazione lo fa attraverso una fase di effervescenza, di festa, di costruzione di un tem-
po altro, di bellezza, che sono infine forme della macchina trasformatrice che riproduce
la societ e la conduce alla trasformazione necessaria.
Il Sessantotto in Italia
109
In questo quadro, prendendo in prestito termini legati allesperienza religiosa ma an-
che alla fisica, si pu parlare di densit e di rarefazione sociale. Il Sessantotto stato un
caso di densit non pi eguagliato in Italia. Anche visto nei tempi lunghi del ciclo, che
vanno verso i referendum sul divorzio e sullaborto e la legge Basaglia, atti pubblici che
mostrano la potenza progressista di quegli eventi.
Tra i processi che Luisa Passerini connette con il Sessantotto c linizio della crisi del
socialismo reale, un nesso forte tra il Sessantotto e lOttantanove
24
. In questo senso il
Sessantotto, pi che la lotta della classe operaia, che si adatta allespressione di Marx sul-
la rivoluzione come talpa che lavora con metodo (nellOttantanove avrebbe detto dun-
que in modo classico ben scavato vecchia talpa...).
Si potrebbe dire allora che come avviene lo spostamento onirico dalla Cina delle
guardie rosse allItalia giovanile, cos ri-avviene dallItalia giovanile alle ditte che produ-
cono dentifricio, rasoi, giubbotti, crema per capelli, zainetti etc. (...) per i giovani, e che si
preparano a creare i nuovi luoghi sociali del consumo. Si pu dire cos, pensando allef-
fetto T-shirt Guevara, che il comunismo eretico diventa una forza di trasformazione ma
anche un genere di consumo attraverso la produzione di una grande energia sociale.
Non-iniziazione
Un altro modello quello che prendo in prestito, capovolgendolo, da un saggio dellan-
tropologo Claude Lvi-Strauss
25
con Marx, Durkheim e Freud uno dei massimi esplo-
ratori della realt quale risultato di un processo che si tesse attraverso, ma pi che
altro sopra o sotto, il pensiero degli individui. In questo testo, segnalando la sinto-
nia tra bambini (non ancora iniziati) e vecchi (non pi socialmente utili e quindi de-ini-
ziati), ci lascia uno spazio di riflessione sulle iniziazioni. Il movimento delle assemblee e
di cortei pu essere letto come una sorta di rifiuto della iniziazione e di adozione di un
nuovo modo di essere socialmente non-iniziati, un modello Peter Pan.
Ma per Lvi-Strauss i bambini, i non-iniziati rappresentano gli dei, i morti, gli antenati:
La non-iniziazione non esclusivamente uno stato di privazione, definito dallignoranza,
dallillusione o da altre connotazioni negative. Il rapporto tra iniziati e non iniziati ha un
contenuto positivo. un rapporto complementare tra due gruppi: uno rappresenta i morti,
laltro i vivi
26
.
Non vogliamo spingerci troppo in l, a vedere negli occupanti del Sessantotto dei bam-
bini o dei non-iniziati, o il mondo del ciclo festivo dei morti, in cui si fanno regali ai
24
Si veda il suo testo in questo volume, gi edito elettronicamente in inglese con il titolo The Problematic
Intellectual Repercussions of 68. Reflections in a Jump-cut Style, Historein, vol. 9, 2009; si tratta degli atti di
una conferenza sul 68 tenutasi ad Atene nel giugno 2008.
25
C. Lvi-Strauss, Le Pre Nol supplici, Le Temps Modernes, marzo 1952, pp. 1572-1590, tr. it. Babbo
Natale giustiziato, Palermo, Sellerio, 1995. Il testo trae spunto da un fatto di cronaca: a Dijon la parrocchia
aveva organizzato il rogo davanti alla cattedrale di uneffige di Babbo Natale in quanto simbolo eretico e usur-
patore dellautentico significato del Natale.
26
Ibid., pp. 63-64.
Pietro Clemente
110
bambini che rappresentano il mondo delle divinit. Una idea ancora durkheimiana di il-
lusione sociale lo traverserebbe. Ma resta indicata anche una possibile figuralit folklo-
rica del non-iniziato del Sessantotto, quella dei bambini fantasma, dei mazzamurielli
della tradizione popolare del sud, inquieti e capaci di fare scherzi terribili. Forse anche
lo stile jump-cut (termine preso dal cinema di Godard), che Luisa Passerini ha adot-
tato nel suo testo sulle ripercussioni intellettuali del Sessantotto, si addice ai mazzamu-
rielli. Forse per analizzare il Sessantotto occorre uno sguardo decentrato, etnografico
come lo sguardo surrealista (secondo lapproccio di uno dei pi importanti antropologi
contemporanei, James Clifford)
27
.
Non disturba il nostro discorso la figuralit della infanzia, della non-iniziazione,
proprio perch il Sessantotto stato un fenomeno di antropologia delle generazioni.
Una delle letture diffuse di quel tempo, Il giovane Holden di Salinger, aveva dei caratte-
ri liminari, come in fondo il mondo dei figli dei fiori, e sono letteralmente mazzamuriel-
li e tamburini di latta
28
i protagonisti dei Peanuts di Schulz.
Ma la tesi che sostengo, anche attraverso questi transiti antropologici, che anche
quelli che nel Sessantotto erano gi iniziati, come a me succedeva per lesperienza fat-
ta, si de-iniziarono, e tradirono le loro esperienze per poterle ritrovare, dotate di pos-
sibilit, dentro la nuova forma della vita che si manifestava. A vantaggio dei veri nuo-
vi, quelli che avevano 19 anni, che fecero quella esperienza come prima entrata nella
storia, che lasciarono la famiglia o la parrocchia per il movimento.
Lo dico in termini un po mitici ora: ardeva in quel tempo una utopia non detta, in
cui si concentravano tutte le utopie precedenti nella critica o nel sogno lutopia che
proprio quei corpi giovani, ignari per lo pi della storia precedente, volenterosi di ca-
povolgerla prima ancora di comprenderla, fossero quelli pi adatti a realizzare un mon-
do altro. Non perch classe prodotta da un sistema, non perch studenti proletarizza-
ti, ma perch (forse pi vicino ai beats che a Marx) nuovi nelle forme, nelle libert, nei
distacchi dalle generazioni precedenti. Nuovi non iniziati, neofiti, anello di un sistema
capace di far scattare tutti gli anelli deboli non scattati, colonna di Vendme, rivolta de-
gli schiavi, Charlot che insegue un camion con la bandiera rossa in Tempi moderni, tut-
to veniva a confluenza, compresi Bataille e Breton, De Marchi e la rivoluzione sessuale,
Marcuse e We shall overcome, Rostagno e Joan Baez. Venivano anche al punto le vendet-
te dei sogni, per gli schiavi fucilati in America, per i milioni di uccisi dal colonialismo in-
glese in India, per Lumumba, per i morti della guerra di Spagna. E ancora un desiderio
di giustizia aleggia intorno ai giovani morti di Piazza delle Tre culture in Messico, il 2 ot-
tobre 1968. Un colpo spietato alla storia di quellanno
29
.
Il sogno della rivolta era il contrario del determinismo sociale con il quale Pasolini,
quasi come Brera
30
, accolse le differenze di classe tra poliziotti e studenti, a favore dei
poliziotti.
27
I frutti puri impazziscono, Bollati Boringhieri, Torino 1999 (1988).
28
Tamburo di latta un romanzo di Gnter Grass, del 1959, in cui il protagonista un bambino che non
vuole crescere per esprimere il suo rifiuto verso il mondo degli adulti.
29
Ne accenna ancora Luisa Passerini nel testo gi citato, attraverso lanalisi di un autore messicano sul for-
marsi di un grande mito dei giovani perseguitati a partire da quellevento.
30
Gianni Brera (1919-1992) stato uno dei pi importanti giornalisti sportivi italiani. Antifascista e di sim-
Il Sessantotto in Italia
111
Quel che Pasolini non pot immaginare per et o per vicinanza ai giovani delle pe-
riferie era la percezione che aveva preso il sopravvento un mondo dei non iniziati e dei
mai iniziabili, dei peter pan, dellisola che non c, parenti simbolici dei pazzi, dei con-
tadini, degli schiavi, dei neri dAmerica, ma nati nudi e nuovi a quel mondo e capaci di
guidare tutti gli oppressi a un esito sulla nave dei folli. Unidea giusnaturalista di una ge-
nerazione che aveva la rivelazione nuda della verit, della naturalit, nella gestione dei
corpi, dei capelli, dei jeans, ignara che quelle forme sarebbero state la cifra dei consumi
di tante generazioni ulteriori, unidea giusnaturalista che era il senso collettivo dei giova-
ni di quegli anni, impegnati a togliere le regole alla vita sociale.
In un certo senso fu una esperienza di rottura di un paradigma ( Kuhn)
31
, nella rottu-
ra dei paradigmi i frammenti di utopia e di ribellismo eretico tornano in scena come fi-
gure, spostamenti onirici, sogni gi sognati.
Un passo indietro
Le immagini del Sessantotto che Flores propone come emblematiche sono:
loffensiva del Tet in Vietnam; la primavera di Praga e i carri armati che entrano nella capitale
cecoslovacca; lassassinio di Martin Luther King e di Robert Kennedy; la rivolta dei ghetti neri;
la guerriglia nellAmerica latina; le Guardie rosse in Cina; le barricate di Parigi nel maggio; il
massacro degli studenti in Piazza delle Tre culture a Citt del Messico; i pugni chiusi mostrati
dagli atleti alle Olimpiadi (...)
32
.
Riprendere le fila a partire da queste tracce non facile perch portano in direzioni di-
verse. La primavera di Praga vide fondamentalmente distratto il movimento italiano,
ne fece sentire il condizionamento da parte di una sinistra che aveva voluto credere nel
mito sovietico, il timore di dare spazio al principale nemico che era lAmerica della guer-
ra nel Vietnam. Lo ricordo come un duro limite di respiro internazionale del movimen-
to. Pi concentrato sul Tet. Ci eravamo fatti le ossa nei sit-in per il Vietnam, era la com-
ponente pacifista, ambigua ma pi congeniale alla nuova nascita. Le guardie rosse in
Cina furono forse il principale degli effetti distorsivi sulle mitologie giovanili del tempo,
anche se le letture sbagliate possono produrre idee giuste, e quella di attaccare il quar-
tier generale fu allora giusta. Gli omicidi in America diedero lidea della impossibilit
che l potesse avere vita una democrazia. La rivolta dei ghetti neri, le barricate di Pari-
patie socialiste, invent una lingua in cui Umberto Eco riconobbe una sorta di Gadda popolare. Qui mi riferi-
sco a lui perch amava raccontare i calciatori in termini etnici e un p positivisti, quelli del Nord soldati capaci
di sofferenza, quelli del Sud fantasiosi e fragili, pi o meno come Costantino Nigra defin rispettivamente i
canti popolari del Nord o celtici, e quelli del Centro-Sud, o latini. Le facce dei contadini-poliziotti me lo hanno
evocato. Pasolini per intuiva in quel confronto un certo dannunzianesimo della sfida e della battaglia di cui
il movimento non era esente, e che certo era piccoloborghese ed estraneo ai poliziotti contadini, anche se
addestrati.
31
Un riferimento un po troppo generale e quasi obbligato a T. Kuhn e alla sua La struttura delle rivoluzioni
scientifiche del 1962.
32
M. Flores, Un anno di confine, in M. Aresu e altri (a cura di), Rivelazioni e promesse del 68, cit., p. 21.
Pietro Clemente
112
gi, i pugni chiusi degli atleti alle Olimpiadi, il massacro messicano, furono invece nu-
trimenti straordinari del movimento che li lesse come parte del proprio stesso mondo.
Del mondo degli insorgenti. Intorno a quei fenomeni nasceva il carattere di solidariet
internazionale dei giovani, e il costituirsi di una sorta di nuova scelta dei padri. Padri e
madri che furono Martin Luther King o Guevara. Adozioni internazionali. Nei conflit-
ti familiari di interpretazione crescevano le barriere di generazione, e lipotesi teorica di
costruire una classe degli under 30 fu praticata seriamente. Questi indizi di lettura del
mondo per duravano da anni, la scena con la quale Guido Crainz conclude Storia del
miracolo italiano
33
gi attiva anche nelle generazioni pi giovani. Kerouac, Ginsberg,
gli angry young men
34
, lIndia, Elvis Presley, i Beatles, Jimi Hendrix, Ivan Della Mea, il
mondo della minaccia atomica, Bob Dylan, Joan Baez, lAlgeria, le foto delle facce gio-
vani nei giornali, ma anche i film americani della generazione delle libert sessuali, a sua
volta legata ai libri di Margaret Mead su Samoa, hanno creato in Italia un repertorio di
forme inconsapevoli tra kitsch, stato di natura e formazione di compromesso.
In Italia appena il 68 fin prese il sopravvento una maggiore connessione con la storia
della sinistra, che peraltro gi in quellanno aveva fornito reti, abitudini di scambio che
resero il movimento un fatto nazionale e internazionale. Ma che infine lo seppell, nel ten-
tativo di trasformare il movimento in organizzazioni, e di supporre una subordinazione
ontologica del movimento al mondo operaio. Nel 1969 noi del movimento studentesco
cagliaritano facevamo intervento operaio alla Rumianca a Cagliari, nel petrolchimico che
era stato loggetto dei miei controcorsi, sollecitavamo la formazione di organismi dal bas-
so, assemblee e consigli, facemmo un giornale operaio, ma nelle elezioni, che non potem-
mo impedire, vinse una corrente organizzata da una formazione marxista-leninista.
Il proletariato era iniziato e faceva parte del mondo dei vivi.
A Cagliari nel 69 per sfuggire allisolamento aderimmo al Potere operaio pisano, fa-
cevamo iniziative insieme, ma era finito il tempo delle grandi assemblee. Riemergeva il
marxismo ignoto ai movimenti americani, a Trento uscivano le riviste in cui si formava il
progetto politico di Renato Curcio. Il tempo delleffervescenza non cera pi.
Nella sua analisi del Sessantotto Paul Ginsborg insiste su ragioni molto fondate di di-
sagio studentesco, identificate nella crescita della scolarizzazione di massa, nel permane-
re della scuola di classe, nella nuova domanda di professionalit dei giovani (del baby
boom, come oggi si dice della percentuale elevata dei giovani nella popolazione del mon-
do arabo come fattore di ribellione), nellarretratezza e nella supponenza della docen-
za universitaria. Indica una strettoia socio-economica oggettiva che il Sessantotto riusc
a far saltare, ma sottolinea anche il ruolo centrale della crisi dei valori della famiglia, ri-
cordando il ruolo di autori come Laing e Cooper. La politica dellesperienza
35
fu uno dei
libri pi letti nel mio Sessantotto filosofico-letterario, mi laureai su Fanon e lantipsi-
chiatria mi era congeniale. Cera in queste letture una qualche suggestione lunga del mo-
vimento americano on the road, dellanarchismo, del mondo beatnik, e forse anche echi
del mondo delle cave esistenzialiste. Si eredita per pezzi, per repertori.
33
G. Crainz, Storia del miracolo italiano, Donzelli, Roma 1996.
34
Gruppo di scrittori inglesi degli anni Cinquanta e Sessanta accomunati dalla critica dellestablishment
culturale e politico.
35
R.D. Laing, La politica dellesperienza e Luccello del paradiso, Feltrinelli, Milano 1968.
Il Sessantotto in Italia
113
Comunismi eretici e molecolari
Donde venivano le tradizioni dei movimenti eretici? Alcune si trasmettevano quasi ai
margini come sette religiose (i trockijsti, i bordighisti) o come nuclei di reti clandestine
(il progetto Feltrinelli), per contatti personali, per fiducia attribuita face to face. Molti
avvenivano via stampa. Credo che la stampa di massa sia stata uno dei principali fattori
di accesso al pensiero utopico del Novecento. Le pubblicazioni diffuse a bassi costi, in
edicola, la stampa delle collane popolari. Per piccole reti, per processi molecolari si tras-
mettevano le cose conosciute, i dischi rivoluzionari, si cantavano canzoni che legate ai
Dischi del sole rendevano disponibile e fascinoso il mondo dellanarchia, Addio a Luga-
no stata una delle canzoni del Sessantotto, trasmessa in gruppi di lavoro, incontri, mo-
menti di pausa
36
. Ma nei controcorsi si trasmettevano anche letture pi sistematiche, il
Gramsci dei Consigli di fabbrica e i Quaderni rossi mettevano in connessione con il
mondo esterno, facevano esplorare la solidariet con le fabbriche (nei termini di Rosta-
gno: presupporre un moto comune). LAlgeria in lotta, che per me fu ragione di forma-
zione morale, mi veniva dalla stampa, la storia delle lotte alla FIAT del 62 dalla frequen-
tazione delle sezioni socialiste, dove la storia veniva ripresa in chiave politica, la guerra
civile spagnola mi veniva dalle poesie.
Per me non cera tradizione di famiglia ma ci fu tradimento di famiglia, e i bassi co-
sti delleditoria di massa furono il medium della mia trasformazione. E poi i piccoli con-
tatti, il lavoro porta a porta, la stampa, i volantini, le tracce di una cultura che si faceva
da sola, che si trovava nella propria esperienza, la si praticava nel PSIUP seguendo Basso,
Foa, facendo volantini in fabbrica, e nel 68 sentimmo la continuit, e anzi la prima rea-
lizzazione su noi stessi di quella idea di liberazione.
Fummo un gruppo-classe, un gruppo-avanguardia, un gruppo-generazione, cose op-
poste, perch assorbimmo come spugne aspirazioni e ideologie, sogni e posture che cir-
colavano nel tempo: gruppo-generazione, contro le famiglie e i padri e la carriera e la
cravatta, per i jeans e i capelli lunghi; gruppo-classe perch proletarizzati; gruppo-
avanguardia intellettuale, giovani come classe, giovani come avanguardia, idea di movi-
mento di giovani gi nata nel 60 e negli USA.
Concrezioni
Un po contro le mie predilezioni teoriche, quando scrivo del Sessantotto finisco per
descrivere una storia comune come agita dal tempo, o con Durkheim, dalla socie-
t, ho scritto: fummo concrezioni epocali come le conchiglie o le spiagge del Poetto.
Prendo questa figura da G. Bateson, per indicare lepocalit delle forme dellumano.
Uso una figura di Bateson: C voluto molto pensiero per fare una rosa
37
. Noi erava-
36
P. Clemente, A. Fanelli (intervista di), Forse gli anni della politica e i Dischi del Sole mi hanno fatto da
traghetto di passaggio dai canti rivoluzionari a quelli popolari, Il de Martino, numero 19-20, 2009, numero
monografico: A. Fanelli (a cura di), E Gianni Bosio disse.
37
G. Bateson, M.C. Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano 1989 (1987), p. 299.
Pietro Clemente
114
mo rose. Lassemblea era una rosa il cui bocciolo aveva dentro di s lattesa, il mito, il so-
gno, il lavoro, la mente, di generazioni.
Per dire che la nostra esperienza stata agita dal tempo, dalla posizione in cui ci tro-
vammo, dalle contraddizioni che vivevamo. La sintonia, le forme, i repertori erano come
disseminati nellaria
38
.
Anche le forme della lotta sentivano il tempo della modernit critica, il teatro di Gro-
towski, la rivolta pacifica del Living Theatre
39
.
Gli studiosi che hanno visto in orizzonte largo i fenomeni sociali ci aiutano a capire,
ad esempio il conflitto tradizione-modernit, come visto negli anni Ottanta da Luciano
Gallino, pu essere usato con un flash back sul Sessantotto, per dire che le famiglie dei
giovani che fecero esplodere le universit erano impegnate a tradizionalizzare la moder-
nit, mentre quei giovani lottarono per modernizzare la tradizione. La sconfitta di que-
sto progetto fu chiara alla fine degli anni Settanta e nel processo di mondializzazione pre-
valse in generale la tradizionalizzazione della modernit e il Sessantotto rest chiuso.
La complessit di quei processi visti da dentro, da fuori, dal passato, dal futuro mi
fa pensare che si tratt di una colossale formazione di compromesso (o blocco storico)
fatto di culture diverse e composite, di nodi giusnaturalisti, di sogni anarchici, di miti
consiliaristi, di musica pop, e di stili giovanili. Al centro cera la internazionalit, la mo-
dernit, e la democratizzazione partecipativa. Esso produsse uno sradicamento anche
drammatico dalle comunit e mondi familiari precedenti, anticipando il tema dei diritti,
ma anche delle solitudini, dei single, delle coppie spaccate, del consumismo (nessuna fi-
glia accudir pi sua madre, nessun figlio suo padre).
Una generazione provoca una frattura paradigmatica e costruisce una formazione di
compromesso che stacca frammenti di generazioni, di politiche, di gruppi di interesse,
che spezza e stacca strati storici di societ, cambia linguaggi e codici relazionali, usi ses-
suali, etiche dei diritti, e trascina alla modernizzazione che viene per gestita dai soggetti
pi forti. Lutopia viene girata in sradicamento. Ma lascia in eredit un modello, un com-
posto storico, una concrezione formalmente ripetibile di trasformazione sociale.
Fuori del ciclone
40
Il Sessantotto come ciclone di minoranza che si fa maggioranza di senso collettivo, di
societ civile, ma cosa succedeva fuori del ciclone? In quel tempo, da dentro non si ve-
38
In una intervista di Marino Sinibaldi, Guido Viale dice pi semplicemente la stessa cosa: Noi non ab-
biamo fatto il 68, ma ci capitato addosso (...) abbiamo seguito un po la corrente (...) Quelli che sono stati
coinvolti (...) non agirono assolutamente secondo un piano preciso (...), Il 68. Intervista a Guido Viale, di
Marino Sinibaldi, in N. Balestrini e altri (a cura di), La risata del 68, Nottetempo, Roma 2008, pp. 116-117.
39
Cfr. P. Giacch, Il Sessantotto e il teatro: un anno senza stagione, in M. Aresu e altri (a cura di), Rivela-
zioni e promesse del 68, cit.
40
Questo paragrafo mi d loccasione di ringraziare Ren Capovin del dialogo maieutico con il quale ha
accompagnato queste pagine. Non mi ha interrogato senza piet come Fortini suggeriva, ma mi ha suggerito
percorsi che mi hanno aiutato a uscire dalla memoria del reduce, per costruire un ponte di comunicazione
verso il presente.
Il Sessantotto in Italia
115
deva granch del fuori, salvo la sensazione che ci fossero molti nemici che erano parte
organica dellobiettivo della trasformazione: la stampa del padrone, i benpensanti, diri-
genti del PCI e della CGIL inclusi, i democristiani, i padri pi che i nonni, la Chiesa... Il
mondo familiare della mia infanzia fu lacerato, sbranato, ciononostante mio padre ven-
ne alla discussione della mia tesi su Fanon e mia madre vot a favore del divorzio. Gli
operai che erano stati amici nellet del PSIUP vedevano esagerato il nostro agire. Miglia-
ia di giovani lontani da noi non li vedevamo, se non quando si concretizzavano nelle op-
poste minoranze, i fascisti audaci e maleodoranti (in quanto topi di fogna) ci sfidarono
spesso alla rissa. I miei compagni del liceo non sfiorarono il Sessantotto, erano gi tut-
ti impegnati in cose della vita, nel tempo sentirono il mutamento. Non espressero mai
ostilit, anche se guardavano con distanza alle forme della protesta, restavano dentro i
panni dei neo-iniziati.
Anche se debolmente la tempesta continuava su altri fronti, La locomotiva di Guc-
cini del 70, ma interpreta bene unanima del Sessantotto antiautoritario. Il mondo
del servizio militare fu cambiato dalla nuova generazione, anche se non subito e non in
modo indolore. Lidea dei consigli, della democrazia antiautoritaria, ebbe esperienze
forti nel luogo dellautoritarismo incorporato. Del 70 Indagine su un cittadino al di so-
pra di ogni sospetto che guarda lo stesso mondo da unaltra angolatura e mette in scena
un frammento di mondo reale extra fiction, con un fascista che fa comizi eversivi e che
lattuale Ministro della difesa del Governo italiano. Poi gli anni del femminismo han-
no messo alla prova tutto quel che si era appreso, e una nuova minoranza ha sfidato le
regole del mondo: ho imparato a cucinare, anche a lavare per terra, a non sentire il mio
mondo unico centro della vita familiare. Le radio libere, come Radio Alice, esplosero ne-
gli anni Settanta, avevano ancora potenze trasformative che contrastavano anche se talo-
ra non osteggiavano il terrorismo. Negli anni Settanta si sentiva il peso della democrazia
per leggi come i Decreti delegati nella scuola, cera una forte presenza di Medicina de-
mocratica, del movimento che port alla legge di chiusura dei manicomi. Ma il mondo
era diverso, anche in termini di televisione, pubblicit, relazioni, media, per migrazioni
da altri mondi (nel 69 in Sardegna ci fu una lotta contro gli insegnanti che venivano da
oltre il mare e toglievano il posto ai docenti-studenti sardi). Per i movimenti il mondo
era ancora quello del ciclostile, le fotocopie costavano e poi di bocca in bocca, di tele-
fono fisso in telefono fisso. Pensare che nel 1990 il fax veniva considerato uno strumen-
to nuovo di comunicazione e fu al centro del movimento studentesco della pantera ci
aiuta a sentire la distanza di quel tempo del secolo scorso.
Credo che la perdita di senso del cambiamento arrivi con la sua maturazione nel sen-
so comune, e con la perdita di valore delle ideologie solidaristiche e sociali che stavano
dietro al crescere dellindividualismo. Coincide con processi come lunificazione lingui-
stica e televisiva dellItalia.
troppo complesso capire perch dopo il 79 tanti, io stesso, siano diventati o tor-
nati a essere uomini della vita quotidiana, iniziati qualunque, senza dare pi in giro
volantini e incapaci di dire ai figli quale era la giusta parte del mondo. Anni dopo mi
parso che ci fosse anche la piet gigantesca che avevo avuto per il corpo di Aldo Moro
chiuso in un portabagagli, e lorrore per il sospetto che anche io potessi avere contri-
buito a ucciderlo con le mie idee. Anche solo per una sfumatura. Allora pensai invece
che era lo spirito settario dei gruppetti che aveva ucciso il mio volontariato senza fine, e
Pietro Clemente
116
mi faceva ammettere che tutte le volte che avevo tolto tempo importante della mia vita
a mia moglie, alle mie figlie, agli amici, ai genitori, alla vita non era stato per un dove-
re sociale che mi chiamava, ma forse per una voglia di protagonismo che corrisponde-
va, ormai fratturato, al bar dei cacciatori, o al bar dello sport. Un modo maschile di sta-
re via da casa.
La mia generazione e quelle successive del baby boom riempirono tutti i posti di la-
voro, le generazioni del calo demografico trovarono la scritta occupato dappertut-
to. Universit, scuole, giornalismo, editoria, sia i rimasti fedeli, che gli istituzionalizza-
ti, che i passati dallaltra parte. Le piramidi delloccupazione universitaria gettavano una
luce sinistra sul senso ultimo della azione sociale del Sessantotto. Ora stiamo andando in
pensione anno dopo anno, ancora per alcuni anni, nelluniversit fino al 2018-19.
BIBLIOGRAFIA
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Milani, L., Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967.
Passerini, L., Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 1988.
117
IL SESSANTOTTO IN GERMANIA OVEST
Martin Klimke
Il 2 giugno 1967 lufficiale di polizia tedesco Karl-Heinz Kurras uccide il ventiseienne
Brenno Ohnesorg con un colpo alla testa durante una manifestazione a Berlino Ovest
contro lo Sci di Persia. Una fotografia del giovane, steso sulla strada in fin di vita con
la testa sanguinante e, piegata su di lui, impotente, una donna con un elegante cappotto
di pelliccia, sarebbe diventata una delle immagini pi note del movimento studentesco e
degli anni Sessanta in Germania Ovest. Gli eventi del 2 giugno 1967 tedesco segnarono
la trasformazione della Neue linke
1
, fino ad allora fenomeno rimasto in gran parte con-
finato a Berlino e Francoforte, dando vita ad una rivolta studentesca nazionale. Dopo
quel giorno, la pi grande organizzazione studentesca di sinistra, la Lega degli studen-
ti socialisti tedeschi (SDS), speriment un rapido aumento di simpatie e sostegno, inne-
scando un movimento di ampie proporzioni. Coloro che ne fecero parte sarebbero en-
trati nella storia della Germania Occidentale come sessantottini.
Le coordinate sociali e politiche del Paese
La Repubblica Federale di Germania fu fondata nel 1949 unendo, dopo la Seconda
guerra mondiale, le zone di occupazione francese, inglese e americana. Il periodo del-
la ricostruzione fu strettamente associato al nome del primo cancelliere della Germania
Ovest, Konrad Adenauer, che guid il Paese dal 1949 al 1963 ancorandolo strettamen-
te al fronte occidentale. In contrasto con la sua controparte orientale, la Repubblica Fe-
derale stabil presto una democrazia liberale parlamentare, un sistema statale federale e
uneconomia sociale di mercato capitalista. Dal punto di vista dei rapporti internazio-
nali, lappartenenza alla NATO cement la sua collocazione nel campo occidentale. Tutta-
via, la divisione della Germania e il permanere in pianta stabile di truppe alleate sul ter-
1
Questa formula indica, qui e nel resto del testo, la variante tedesca della New left [N.d.T.].
Martin Klimke
118
ritorio facevano del Paese uno dei punti caldi della Guerra fredda, con Berlino divisa in
due e al centro dellattenzione globale.
A livello nazionale, i primi passi della giovane democrazia tedesco-occidentale allini-
zio degli anni Cinquanta furono accompagnati da un boom economico (Wirtschaftswun-
der) senza precedenti, che apport benessere materiale e prosperit. Sulla scena politi-
ca il Partito cristiano democratico (CCD) e lUnione cristiana sociale (CSU), conservatori,
guidarono tutti i Governi tra il 1949 e il 1966, talora in coabitazione con il Partito libe-
ral-democratico (FDP), liberale. Nel 1966, i partiti conservatori formarono una grande
coalizione con la seconda forza politica per numero di voti, il Partito socialdemocrati-
co (SPD), principale rappresentante di valori come antifascismo, anti-militarismo e so-
cialismo nei primi anni di vita del Paese. Nel 1959, peraltro, con il programma di Go-
desberg i Socialdemocratici avevano abbandonato il loro tradizionale impianto marxista
per estendere il proprio richiamo politico.
Daltro canto, in unatmosfera segnata da anticomunismo, ricostruzione economica
e istituzionalizzazione di un sistema democratico stabile, solo lentamente la cultura po-
litica del Paese cominci a fare i conti con la sua eredit nazista
2
. Il discutibile passato
di molti membri delllite politica e amministrativa, la messa al bando del Partito comu-
nista nel 1956 e lo scandalo dello Spiegel nel 1962 (quando il Ministro della difesa,
Franz-Josef Strauss, promosse larresto illegale di giornalisti che si trovavano allestero)
fecero temere unerosione della democrazia. Questa tendenza raggiunse il culmine nei
dibattiti sulle cosiddette leggi di emergenza della met degli anni Sessanta, che minac-
ciavano di espandere i poteri dellesecutivo a spese dei diritti costituzionali in caso di
emergenza interna o esterna
3
.
Struttura organizzativa e sociale del movimento di protesta
In termini puramente quantitativi, le proteste degli anni Sessanta furono meno intense
di quelle dei decenni precedenti, quando la scelta di campo occidentalista di Adenauer
e la questione del riarmo fecero scendere per le strade un grande numero di perso-
ne
4
. Cos, quando la Lega degli studenti socialisti tedeschi (SDS) emerse quale principa-
le rappresentante della Neue linke, essa si bas sulle reti organizzative e personali del-
la campagna per la Marcia di Pasqua, un movimento per la pace e il disarmo nucleare
appoggiato dai sindacati tedeschi che aveva guadagnato importanza allinizio degli anni
Sessanta.
Anche se parte di una pi antica tradizione socialista, la Lega degli studenti era stata
fondata nel 1946 ed era strettamente legata alla SPD. Allinizio degli anni Sessanta, tutta-
2
Si veda P. Gassert, A. Steinweis (a cura di), Coping with the Nazi Past: West German Debates on Nazism and
Generational Conflict, 1955-1975, Berghahn, New York 2006.
3
Per un panorama generale, si veda K. Jarausch, After Hitler: Recivilizing Germans, 1945-1995, Oxford
University Press, Oxford 2006.
4
W. Kraushaar (a cura di), Die Protest-Chronik 1949-1959: Eine illustrierte Geschichte von Bewegung, Wi-
derstand und Utopie, Rogner & Bernhard, Hamburg 1996.
Il Sessantotto in Germania Ovest
119
via, questo rapporto di stretta vicinanza si concluse a causa dello spostamento a sinistra
della SDS, che si avvicin alla Teoria critica della Scuola di Francoforte e al movimento
internazionale della New left, allora in piena fioritura.
Come offesa da questa svolta a sinistra, la SPD si dissoci ufficialmente dalla Lega
degli studenti il 6 novembre 1961, dichiarando lappartenenza alle due organizzazio-
ni mutuamente esclusiva. La SDS cominci allora a concepirsi come unorganizzazione
di avanguardia, focalizzandosi sugli operai in quanto agenti di cambiamento sociale, ma
guardando anche, nello sforzo di fornire alternative allordine esistente, alla crescente
lite tecnica e scientifica presente nelle universit e nella societ
5
.
Nella seconda met del decennio, la SDS lavor a tessere alleanze con il movimento
della Marcia di Pasqua e con lopposizione che andava diffondendosi nella societ con-
tro il piano governativo di introduzione delle leggi di emergenza. Ovviamente, gli obiet-
tivi comuni di questa alleanza eterogenea, composta da pacifisti, liberali, sindacati e stu-
denti socialisti, erano limitati. Con la sua spinta per ununiversit pi democratica, la sua
opposizione alla guerra in Vietnam e la personalit carismatica dello studente attivista
Rudi Dutschke, la SDS cominci rapidamente a dettare il ritmo degli eventi. Dotata di se-
zioni in tutto il Paese, la Lega degli studenti assunse un ruolo guida nellopposizione ex-
tra-parlamentare (Ausserparlamentarische opposition, APO), ma nelle sue azioni venne
spesso affiancata da altre organizzazioni studentesche o sindacali, da club di discussione
(per esempio, i Club repubblicani), e pi tardi persino da associazioni di studenti delle
superiori di sinistra. Tra questi vari gruppi, il pi importante fu la Kommune I, fondata
come comune anti-autoritaria a Berlino Ovest nel gennaio 1967 da Dieter Kunzelmann,
Fritz Teufel e Ulrich Enzensberger, cui si aggiunse poi Rainer Langhans. La comune ri-
usc ad orchestrare con successo il passaggio sui mass media delle sue azioni politiche e
della sua agenda centrata sulla liberazione sessuale, e divenne presto, grazie a una misce-
la di provocazione situazionista, esistenzialismo politico e stile di vita alternativo, il cen-
tro contro-culturale del movimento.
Limprovvisa crescita del movimento studentesco in tutto il Paese dopo il 2 giugno
1967, tuttavia, ne trasform la struttura organizzativa e sociale. Pur in crescita a livello
locale, nella seconda met del 1968 la SDS cominci lentamente a disintegrarsi in quan-
to organizzazione nazionale. Dopo la ratifica delle leggi di emergenza da parte del Par-
lamento tedesco (30 maggio 1968) e linterruzione estiva, non vi fu pi traccia di una
strategia nazionale unitaria. Guerre ideologiche intestine, idiosincrasie locali e lemerge-
re del movimento femminista contribuirono alla fine della SDS in quanto organizzazio-
ne nazionale. Nel biennio 1969-1970 nacquero vari gruppi scissionisti, ideologicamente
esclusivi e gerarchici, ispirati a maoismo, comunismo o leninismo. Inoltre, la contro-cul-
tura aveva cominciato a diffondersi per tutto il Paese e a diversificarsi, creando numero-
se comuni e scene sotto-culturali da cui emerse un movimento basato sullazione politi-
ca spontanea (Sponti-Bewegung), avente uno dei suoi centri a Francoforte. Al contempo,
5
Per la prima fase della SDS, si veda W. Albrecht, Der Sozialistische Deutsche Studentenbund (SDS), Von Par-
teikonformen Studentenverband zum Reprsentanten der Neuen Linken, Dietz, Bonn 1994. Per limpatto della
Scuola di Francoforte, si veda W. Kraushaar (a cura di), Frankfurter Schule und Studentenbewegung: von der
Flaschenpost bis zum Molotowcocktail, Rogner & Bernhard, Hamburg 1998.
Martin Klimke
120
entrarono in scena alcuni gruppi che si autodefinivano di lotta armata e che aveva-
no scelto la strada del terrorismo, come il Movimento 2 Giugno (Bewegung 2. Juni) o la
Rot armee fraktion (RAF). Avrebbero dominato lattenzione generale per gli anni a segui-
re. Una contrastata riunione di membri della SDS ratific la dissoluzione dellorganizza-
zione il 21 marzo del 1970, a Francoforte.
Orientamento cognitivo
La Lega degli studenti socialisti fu una delle principali formazioni del movimento inter-
nazionale della New left allinizio degli anni Sessanta. Con il suo rifiuto del marxismo or-
todosso, lanti-comunismo e linsofferenza per la Guerra fredda, la critica del materiali-
smo e lapatia della societ, trov punti di connessione con movimenti simili in Francia,
Gran Bretagna, USA e altri Paesi ancora. Anche se particolarmente influenzata da una
certa tradizione di marxismo teorico, la SDS fu ugualmente ispirata dalle teorie del socio-
logo americano C. Wright Mills e guard agli studenti o alllite intellettuale come a dei
catalizzatori del cambiamento sociale.
Al contempo, il tema della riforma delluniversit fu al centro degli sforzi della SDS, il
cui obiettivo a lungo termine era quello di innescare un cambiamento strutturale di fon-
do e una democratizzazione dellaccademia
6
. Oltre alle questioni universitarie, la Lega
degli studenti si impegn anche su problemi pi complessivi riguardanti la societ te-
desco-occidentale. Per mettere in primo piano la continuit tra passato nazista e Re-
pubblica Federale, vennero compilate liste di nazisti ancora attivi nellambito giuridico
e, nel 1959, al tema venne dedicata una mostra dal titolo Giustizia nazista non reden-
ta (Ungeshnte Nazijustiz). Pur continuando a portare avanti battaglie di questo tipo,
la SDS negli anni 1965-1966 and incontro a una svolta volontaristica e anti-autoritaria
per lingresso di nuove persone tra cui spiccava Rudi Dutschke, un rifugiato dalla Ger-
mania Est, studente di sociologia alla Libera universit di Berlino. Attingendo dalla sua
esperienza in un gruppo artistico situazionista, Subversive Aktion, Dutschke aveva svi-
luppato una caratteristica versione di teoria rivoluzionaria
7
. Per lui ogni politica rivolu-
zionaria doveva rendersi visibile sul piano globale, poich sia le forze finanziarie che le
strategie imperialistiche operavano a quel livello, sopprimendo i movimenti di liberazio-
ne nazionale di tutto il mondo. Di conseguenza, le organizzazioni di protesta nazionali
dovevano unirsi ai movimenti rivoluzionari attivi in altre parti del mondo per risponde-
re a questa sfida contro-rivoluzionaria, impossibile da raccogliere stando entro i con-
fini nazionali.
In aggiunta a questo internazionalismo, Dutschke cerc una via per tradurre le anali-
si della teoria critica in unazione politica che muovesse le masse rivoluzionarie. Ispirato
dallopera di Herbert Marcuse, Dutschke part dallidea che le minoranze e i margina-
6
Si veda il memorandum della SDS University in the Democracy, pubblicato originariamente nel 1961: W.
Nitsch, Hochschule in der Demokratie, Luchterhand, Berlin 1965.
7
F. Bckelmann, H. Nagel (a cura di), Subversive Aktion. Der Sinn der Organisation ist ihr Scheitern, Neue
Kritik, Frankfurt 2002.
Il Sessantotto in Germania Ovest
121
lizzati fossero rimasti le uniche forze potenzialmente in grado di dar vita a un cambia-
mento sociale, dal momento che la classe operaia era completamente manipolata e il suo
potenziale rivoluzionario risultava assorbito dal sistema
8
. Nel prefigurare unemancipa-
zione delle masse innescata da parte di studenti e intellettuali, Dutschke attinse allope-
ra del filosofo marxista ungherese Gyorgy Lukcs e difese una concezione volontaristica
di rivoluzione, in cui la coscienza rivoluzionaria e la teoria erano create attraverso lazio-
ne
9
. In contrasto con Lukcs, tuttavia, Dutschke scopr potenziali agenti rivoluzionari
nelle minoranze sociali e nei movimenti di liberazione del Terzo Mondo. Nella sua pro-
spettiva, i movimenti di liberazione facevano parte di una lotta di classe internazionale
che aveva da tempo sostituito i conflitti della Guerra fredda Est-Ovest con lopposizione
Nord-Sud, quella tra societ industrializzate e Paesi colpiti dalla povert. Per Dutschke,
i movimenti di liberazione e le loro tecniche costituivano modelli privilegiati per la crea-
zione di una coscienza rivoluzionaria. La teoria dei focolai di guerriglia di Che Guevara,
come il concetto di liberazione di Frantz Fanon, costituirono cos ingredienti di rilievo
del suo pensare e lavorare per un cambiamento rivoluzionario dallinterno della peri-
feria europea
10
.
La graduale implementazione di questi modelli teoretici coincise con un avvicina-
mento decisivo al tema dellopposizione alla guerra in Vietnam. A partire dal 1965, le
risoluzioni e i congressi della SDS descrivevano il conflitto come un caso paradigmati-
co per i movimenti di liberazione nazionale, interpretandolo nella pi ampia cornice
dellimperialismo statunitense. Gli attivisti della SDS cominciarono ad avvertire in modo
sempre pi netto che, attraverso la sua alleanza con gli Stati Uniti, il Governo della Ger-
mania Ovest appoggiava indirettamente la guerra e, dato il suo passato nazista, condi-
videva cos la responsabilit per quanto stava capitando in Vietnam
11
. Oltre agli appel-
li per la riforma universitaria e per una trasformazione di fondo in senso socialista della
societ, la guerra in Vietnam divenne quindi uno dei temi centrali di mobilitazione e ra-
dicalizzazione della SDS negli anni 1967-1968. Nella convenzione nazionale del 1967,
Rudi Dutschke e Hans-Jrgen Krahl, il leader teorico della SDS di Francoforte, chie-
sero congiuntamente che lorganizzazione si muovesse nel senso di una propaganda
dellazione allinterno, complementare alla propaganda dei proiettili nel Terzo Mon-
do
12
. Ispirato dalla teoria dei focolai di guerriglia di Che Guevara, lobiettivo era quello
di scoprire il fattore soggettivo sperimentando personalmente la repressione astratta
del sistema attraverso azioni dirette nei confronti dei poteri costituiti. Questo proces-
so di rivoluzionamento dei rivoluzionari non fu solo la condizione del grande rifiu-
to di Herbert Marcuse, ma anche la base per unalleanza di forze rivoluzionarie a di-
8
Si veda H. Marcuse, One-Dimensional Man. Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, Beacon
Press, Boston 1964, pp. 256-257.
9
Si veda G. Lukcs, Storia e coscienza di classe, Sugar, Milano 1967 (1923).
10
H.M. Enzensberger, Europische Peripherie, Kursbuch, n. 2, 1965, pp. 154-1973.
11
W. Mausbach, Auschwitz and Vietnam: West German Protest Against Americas War During the 1960s, in
AA.VV., America, the Vietnam War, and the World: Comparative and International Perspectives, Cambridge
University Press, New York 2003, pp. 279-298.
12
R. Dutschke, H.-J. Krahl, Organisationsreferat auf der 22. Delegiertenkonferenz des SDS, in R. Dutschke (a
cura di), Geschichte ist machbar, Wagenbach, Berlin 1980, pp. 89-95.
Martin Klimke
122
fesa del Vietnam contro le forze imperialistiche operanti su scala internazionale. Come
Dutschke sostenne nel febbraio 1968, la globalizzazione delle forze rivoluzionarie il
compito pi importante dellintero periodo storico in cui viviamo e in cui stiamo lavo-
rando per lemancipazione umana [...]. Nelle dimostrazioni di tutto il mondo vi , sot-
to forma di annuncio, qualcosa di simile a una strategia rivoluzionaria globale
13
. Tra-
sformando lapparentemente lontana rivoluzione vietnamita in un test del cambiamento
sociale e della rivoluzione su scala mondiale, la SDS chiamava a un vasto coordinamen-
to della protesta rivoluzionaria in grado di contrastare limperialismo globale e raggiun-
gere lobiettivo di lungo termine, cio la creazione di un uomo nuovo, liberato dalla re-
pressione capitalista e burocratica.
Nel momento in cui, alla fine degli anni Sessanta, questa strategia globale sembr
non materializzarsi, gli attivisti spostarono la loro attenzione su altri orizzonti, come lor-
ganizzazione del lavoro o la politica locale, diffondendo cos le loro idee nella societ.
Qui il concetto di contro-cultura elaborato da Kommune I esercit la sua attrazione pi
forte. Unaccresciuta libert a livello di moda e stile di vita, unita alle nuove idee su vita
in comune, libert individuale, strutture democratiche e relazioni di genere, contribui-
rono a trasformare sostanzialmente la cultura della Germania Ovest nel decennio suc-
cessivo. Nondimeno, il chiaro fallimento nel raggiungimento degli obiettivi politici pre-
fissati spinse una minoranza di attivisti a continuare la lotta con i mezzi della violenza e
del terrorismo, dando cos una interpretazione tutta propria dellorientamento cogniti-
vo e del quadro teorico definito dal movimento degli studenti.
Latteggiamento nei confronti della superpotenze e la Guerra fredda
Come risultato del ruolo centrale svolto dalla Repubblica Federale nella Guerra fred-
da e del suo stretto legame politico, economico e culturale con gli Stati Uniti, latteggia-
mento del movimento degli studenti verso il pi importante alleato del Paese fu ambi-
valente. Da una parte, esso considerava limperialismo statunitense responsabile della
soppressione dei movimenti di liberazione nazionale sparsi per il mondo e della discri-
minazione delle minoranze etniche interne. Di conseguenza, le sue azioni presero spesso
di mira simboli militari, politici e culturali della presenza americana in Germania; come
esempi si possono ricordare la provocatoria manifestazione contro la guerra del febbraio
1966, quando i manifestanti gettarono uova contro lambasciata americana di Berlino,
o il cosiddetto attentato delle torte (Pudding-Attentat), quando membri di Kommune
I furono arrestati mentre si preparavano ad attaccare il vice Presidente americano Hu-
bert Humphrey a colpi di torte durante la sua visita a Berlino Ovest nellaprile del 1967.
Questi attacchi contro la NATO e i simboli americani divennero sempre pi violenti du-
rante gli anni Settanta, specialmente quando la RAF scelse come bersagli dei suoi attac-
chi terroristici il personale e le installazioni militari americane. Daltra parte, gli studenti
tedesco-occidentali furono fortemente ispirati ed in stretto contatto con la loro contro-
13
SDS Westberlin, Der Kampf des vietnamesischen Volkes und die Globalstrategie des Imperialismus: Interna-
tionaler Vietnam-Kongress 17./18. Februar 1968, SDS, Berlin 1968, pp. 107-117.
Il Sessantotto in Germania Ovest
123
parte americana, laltra America, esterna alle rappresentazioni ufficiali. In ragione del
gran numero di programmi di scambio, del grande influsso della contro-cultura ameri-
cana e della presenza di circa 8.000 soldati americani sul territorio tedesco, gli studenti
coinvolsero spesso nelle loro proteste cittadini e soldati americani residenti nel Paese
14
.
Il giudizio degli studenti sullUnione Sovietica era fortemente segnata dal rifiuto di
quello che veniva percepito come un esperimento comunista fallito, con le stesse am-
bizioni imperiali dellaltra superpotenza. Anche se fu occasionalmente accettato il sup-
porto finanziario e logistico della Germania Est, linvasione sovietica della Cecoslovac-
chia nellagosto del 1968 schiacci ogni speranza sugli esperimenti socialisti in corso nel
blocco orientale. Fu solo negli anni Settanta, dopo la disintegrazione della SDS, che grup-
pi come la Lega comunista della Germania Occidentale (KBV) o altre fazioni marxiste-le-
niniste si volsero decisamente verso il modello sovietico.
Eventi chiave
Levento pi importante del 1968 in Germania Occidentale si verific, in verit, il 2
giugno 1967, quando il capo di Stato persiano, Rehza Pahlewi, and in visita a Berli-
no. Durante una manifestazione organizzata dalla SDS di Berlino per protestare contro
tale visita, un gruppo di agenti iraniani travestiti da manifestanti pro-Sci attacc stu-
denti e altri dimostranti sotto gli occhi della polizia
15
. Ne segu, la sera, una dimostrazio-
ne non autorizzata di centinaia di manifestanti attorno allOpera di Berlino. La reazione
brutale della polizia culmin nelluccisione del ventiseienne Benno Ohnesorg, che ave-
va preso parte quella sera alla prima manifestazione della sua vita
16
. Per studenti e in-
tellettuali questa tragica uccisione parve immediatamente confermare la loro analisi di
una societ tedesco-occidentale autoritaria e gi in stato di emergenza. Un congresso
della SDS (9 giugno, Hannover) dedicato al problema del come rispondere alla situazio-
ne creatasi vide lo scontro tra Rudi Dutschke e il filosofo Jrgen Habermas, che temeva
unescalation di violenza e caratterizzava le strategie volontaristiche di Dutschke, centra-
te sullidea di azione diretta, come fascismo di sinistra
17
.
Ma la ruota della protesta girava ormai a pieno regime e il movimento si diffuse da
Berlino a tutto il resto del Paese. La convenzione nazionale della SDS, tenutasi dal 4 all8
settembre ad Amburgo, lanci una campagna contro il potere mediatico della casa edi-
trice Axel Springer, che gli studenti ritenevano essere la principale responsabile dellim-
magine negativa della protesta veicolata dai media. Lambizione non era solo quella di
14
M. Klimke, The Other Alliance: Global Protest and Student Unrest in West Germany and the U.S., 1962-
1972, Princeton University Press, Princeton 2011.
15
Il grande numero di partecipanti fu in parte il risultato di un discorso tenuto la sera precedente da Bah-
man Nirumand, un iraniano in esilio, critico radicale del leader iraniano. Si veda B. Nirumand, Persien. Modell
eines Entwicklungslandes oder Die Diktatur der Freien Welt, Reinbek, Hamburg 1967.
16
K. Nevermann (a cura di), Der 2. Juni 1967: Studenten zwischen Notstand und Demokratie. Dokumente zu
den Ereignissen anlsslich des Schah-Besuchs, Pahl-Rugenstein, Kln 1967.
17
Habermas si scus per il lepiteto subito dopo. Si veda B. Vesper (a cura di), Bedingungen und Organisa-
tion des Widerstandes. Der Kongress in Hannover, Edition Voltaire, Frankfurt 1967, pp. 42-48, 72-78ss.
Martin Klimke
124
portare allo scoperto le tecniche di manipolazione dei quotidiani della Springer, ma an-
che stimolare la creazione di una sfera pubblica critica e indipendente, alternativa alle
strutture mediatiche. Per svelare il carattere manipolatorio e repressivo delle istituzioni
esistenti e creare una forza capace di contrastarle fu fondata a Berlino, il 1 novembre,
lUniversit critica (KU), che offriva ai suoi studenti un curriculum alternativo.
Un altro passaggio importante fu il Congresso sul Vietnam dal 17 al 18 febbraio
1968, allUniversit tecnica di Berlino, che attrasse circa 5.000 studenti e attivisti pacifi-
sti dallEuropa e non solo
18
. Avendo raggiunto almeno parte degli obiettivi (il capo della
polizia di Berlino Ovest e il sindaco avevano entrambi rassegnato le dimissioni nellago-
sto-settembre 1967), gli studenti si mostravano sicuri del fatto loro e manifestarono soli-
dariet con il popolo vietnamita. La dimostrazione di chiusura vide circa 12.000 persone
marciare per le strade di Berlino Ovest, esibendo poster di Che Guevara, Rosa Luxem-
burg e Lev Trockij, cantando Ho Ho Ho Chi Minh e Siamo una piccola minoran-
za radicale!.
Una contro-manifestazione di circa 60.000 persone organizzata dalla Giunta di Ber-
lino tre giorni dopo rese visibile la pervasivit dei sentimenti anti-comunisti e la crescen-
te frustrazione dei cittadini di Berlino nei confronti degli studenti protestatari. In questa
atmosfera surriscaldata, il leader studentesco Rudi Dutschke fu ferito gravemente l11
aprile 1968 dal ventitreenne imbianchino Josef Bachmann. Dutschke sopravvisse, ma ri-
portando seri danni cerebrali; i conseguenti gravi problemi di salute lo porteranno infi-
ne alla morte, che avverr nel 1979. La SDS accus la Giunta e i media della Springer di
aver fomentato il clima che produsse quellatto di violenza, domandando le dimissioni
della Giunta e lesproprio della Springer. La notte stessa, degli studenti scaricarono la
loro rabbia sulla sede della casa editrice, rompendo finestre, rovesciando i mezzi per la
consegna dei giornali e bruciandoli. La settimana seguente vide il dilagare delle proteste
per tutto il Paese. Nella sola domenica di Pasqua, 45.000 dimostranti in pi di venti cit-
t cercarono di ostacolare la consegna dei giornali della Springer, bloccando gli accessi o
con altre azioni. Due persone morirono e pi di quattrocento rimasero ferite.
Pur sotto la spinta del Maggio francese, il movimento sub una brusca battuta darre-
sto quando il 30 maggio 1968, malgrado una marcia su Bonn con 60.000 partecipanti e
numerose azioni nei campus, con dibattiti, scioperi e occupazioni in tutto il Paese, le leg-
gi di emergenza furono ratificate dal Parlamento tedesco. And cos in frantumi la coali-
zione delle forze extra-parlamentari, mentre la SDS fu incapace di arginare il sentimento
di rassegnazione e frustrazione e si spacc. Il movimento cominci a dividersi e a pren-
dere strade diverse, con unaccentuata tendenza verso azioni pi drastiche. A Berlino,
la battaglia di Tegeler Weg del 4 novembre 1968 vide un gruppo composito di circa
1.000 dimostranti attaccare i poliziotti con i sampietrini, portando a un livello superio-
re il livello dello scontro e mostrando un crescente uso della violenza. AllUniversit di
Francoforte la SDS occup il dipartimento di sociologia il 9 dicembre. Lo ribattezz Se-
minario-Spartaco dopo che vari professori, tra cui Theodor W. Adorno e Jrgen Ha-
bermas, si erano rifiutati di usare i loro seminari per discutere la rivolta anti-autoritaria e
18
SDS Westberlin, INFI (a cura di), Der Kampf des vietnamesischen Volkes und die Globalstrategie des Impe-
rialismus, Internationales Nachrichten-und-Forschungs-Institut, Berlin 1968.
Il Sessantotto in Germania Ovest
125
la partecipazione degli studenti agli organismi accademici
19
. Dalla prospettiva degli stu-
denti, questo atteggiamento dimostrava paura di confrontarsi e larroccamento su meto-
di autoritari, mentre il fronte opposto si rifiutava di tollerare qualsiasi attacco allautono-
mia e alla libert della scienza; queste due prospettive non si sarebbero pi riconciliate.
Lallontanamento dai contenuti e dalle forme che avevano caratterizzato fino ad al-
lora la protesta si era gi annunciato nellincendio appiccato da Thorward Proll, Horst
Soehnlein, Gudrun Ensslin e Andreas Baader a due supermercati di Francoforte, il 3
aprile 1968, azione ispirata da un volantino di Kommune I
20
. Nel novembre 1969 furo-
no condannati a tre anni di prigione, ma nel frattempo Andreas Baader e Gudrun Ens-
slin erano scappati in Francia. Dopo che Baader fu arrestato, al suo ritorno in Germa-
nia Ensslin e la nota giornalista Ulrike Meinhof organizzarono la sua evasione, avvenuta
il 14 maggio 1970. Fu latto di fondazione della Rot armee fraktion e del terrorismo te-
desco degli anni Settanta.
Forme e tattiche della protesta
Le tecniche e le azioni di protesta degli attivisti tedeschi furono ispirate dagli esem-
pi americani ma acquisirono la loro specificit grazie allinnesto di questi modelli sugli
orientamenti cognitivi propri del movimento. I dibattiti sull azione diretta e gli esem-
pi del movimento americano per i diritti civili e del Free speech movement a Berkeley
nel 1964 caratterizzarono la trasformazione in senso anti-autoritario della SDS e riporta-
rono in auge lidea di disobbedienza civile
21
. Il primo adeguamento allo specifico con-
testo tedesco ebbe luogo in un sit-in alla Libera universit di Berlino, il 22 giugno 1966,
quando un fronte comprendente studenti di diversi orientamenti chiese la democratiz-
zazione di universit e societ
22
. In seguito, il limitato ma esplicito e simbolico supera-
mento delle barriere convenzionali nella forma di azioni dirette divenne, a poco a poco,
un tratto distintivo della protesta studentesca in Germania Ovest. Gli studenti tennero
sit-in contro i tagli di bilancio alluniversit e seminari sulla guerra in Vietnam, o distur-
barono incontri pubblici o lezioni accademiche facendo improvvise irruzioni (go-in),
cercando di monopolizzare gli eventi per i loro scopi.
In contrasto con i loro pari della SDS, la protesta dei membri di Kommune I stava gi
nel loro modo esotico e colorato di vestire, nel loro stile di comunicazione informale e
nellaperta celebrazione della loro sessualit. Le loro azioni furono pensate come hap-
19
Per unanalisi dettagliata, si veda W. Kraushaar, Frankfurter Schule und Studentenbewegung, v. 2, cit., p.
502, pp. 512-527.
20
W. Mausbach, Burn, ware-house, burn!. Counterculture, and the Vietnam War in West Germany, in A.
Schildt, D. Siegfried (a cura di), Between Marx and Coca-Cola: Youth Cultures in Changing European Societies,
1960-1980, Berghahn Books, New York 2006, pp. 175-202.
21
Si veda M. Vester, Die Strategie der direkten Aktion, Neue Kritik, n. 30, 1965, pp. 12-20; M. Klimke, Sit-
In, Teach-In, Go-In: Die transnationale Zirkulation kultureller Praktiken in den 1960er Jahren, in M. Klimke,
J. Scharloth (a cura di), 1968. Ein Handbuch zur Kultur- und Mediengeschichte, Metzler, Stuttgart 2007, pp.
119-135.
22
S. Lnnendonker, T. Fichter (a cura di), Hochschule im Umbruch, Teil IV: Die Krise. 1964-1967, FU Berlin,
Berlin 1975, pp. 333ss.
Martin Klimke
126
pening tesi a destabilizzare le convenzioni sociali e i sistemi di credenze. Soffiare bolle di
sapone contro i poliziotti o mascherare una manifestazione da passeggiata pomeridiana
per confondere la polizia (dicembre 1966) erano tentativi calcolati, volti non solo a ge-
nerare unampia eco mediatica, ma anche a trasformare la sfera pubblica e la societ nel
loro complesso attraverso tecniche provocatorie tipicamente situazioniste
23
. La natura e
la qualit satirica di questo tipo di protesta li mise spesso in contrasto con lagenda ideo-
logica della SDS di Berlino, che infatti, dopo una serie di volantini provocatori particolar-
mente forti che ridicolizzavano le autorit universitarie e i politici, nel maggio 1967, de-
cise di escludere i membri della comune dalla propria organizzazione.
Relazioni transnazionali
Fin dallinizio degli anni Sessanta la Neue linke aveva avuto un forte orientamento tran-
snazionale. Gi nel 1961 la SDS tedesca cre e guid un nucleo New left nellUnione in-
ternazionale della giovent socialista (IUSY), pubblic bollettini in inglese ed era ben col-
legata con movimenti studenteschi e organizzazioni giovanili di varie parti del mondo.
A causa dellimpatto significativo della Guerra fredda e della presenza di un conside-
revole numero di studenti stranieri, temi globali come i problemi del Terzo Mondo o la
Guerra dAlgeria formarono parte integrante della prospettiva della SDS. Inoltre vi furo-
no stretti contatti con le avanguardie artistiche, come il ramo tedesco dellInternazionale
situazionista, la Subversive aktion, o i Provos olandesi. I programmi di scambio tra Ger-
mania e USA ebbero come conseguenza anche la creazione di legami molto stretti con il
movimento americano: Michael Vester, un membro della SDS, partecip addirittura alla
redazione della Dichiarazione di Port Huron degli Students for a democratic society, nel
1962. Per tutto il decennio una lingua franca globale della protesta dominata da forme
culturali esportate dagli Stati Uniti si combin con lesempio dei movimenti di libera-
zione del Terzo Mondo nellesercitare uninfluenza significativa sugli studenti tedeschi,
come attestato dal loro ispirarsi e collaborare con le Pantere nere
24
. Oltre a questo, gli
studenti attivisti cominciarono anche a riscoprire lopera dei marxisti tedeschi emigra-
ti negli Stati Uniti negli anni Trenta, di cui Herbert Marcuse, con i suoi frequenti inter-
venti ai congressi della SDS e la sua stretta amicizia con Rudi Dutschke, fu solo lispirato-
re pi noto e personalmente coinvolto
25
.
23
Per una prospettiva partecipante, si veda U. Enzensberger, Die Jahre der Kommune 1. Berlin 1967-1969,
Goldmann, Muenchen 2006. Per una concettualizzazione storica, si veda A. Holmig, Die aktionistischen
Wurzeln der Studentenbewegung: Subversive Aktion, Kommune I und die Neudefinition des Politischen, in M.
Klimke, J. Scharloth (a cura di), 1968. Ein Handbuch zur Kultur- und Mediengeschichte, cit., pp. 107-118.
24
Per il ruolo degli esempi americani si vedano: M. Klimke, The Other Alliance..., cit; M. Klimke, Black
Panther, die RAF und die Rolle der Black Panther-Solidarittskomitees, in W. Kraushaar (a cura di), Die RAF
und die Reformzeit der Demokratie, Hamburger Edition, Hamburg 2006, pp. 562-582.
25
C.-D. Krohn, Die Entdeckung des anderen Deutschland in der intellektuellen Protestbewegung der 1960er
Jahre in der Bundesrepublik und den Vereinigten Staaten, Kulturtransfer im Exil, n. 13, 1995, pp. 16-51; P.-E.
Jansen (a cura di), Herbert Marcuse: Die Studentenbewegung und ihre Folgen, Nachgelassene Schriften, Bd. 4,
Zu Klampen, Springe 2004.
Il Sessantotto in Germania Ovest
127
Il congresso sul Vietnam nel febbraio 1968 a Berlino Ovest fu perci solo il culmine
dellorientamento transnazionale della SDS, che trov il suo equivalente ideologico nella
strategia rivoluzionaria globale proposta da Rudi Dutschke e assunse per breve tempo
una forma istituzionalizzata nellInternational news and research institute (INFI) di Ber-
lino Ovest, dedicato allinformazione e al coordinamento dei movimenti rivoluzionari di
tutto il mondo. Nel solo anno 1968, membri del SDS furono presenti al Maggio francese,
assistettero alla Primavera di Praga e furono testimoni dellinvasione sovietica, e parte-
ciparono allassemblea internazionale dei movimenti studenteschi rivoluzionari tenutasi
alla Columbia University, nel settembre 1968
26
.
Conseguenze, narrazioni e politica della memoria
Gli eventi del 1968 nella Germania Ovest modificarono profondamente in senso libe-
rale limpianto culturale della Repubblica Federale e della sua societ, sia dal punto di
vista degli stili di vita che da quello del sistema dei valori individuali, ma si incardinaro-
no in processi di riforma e democratizzazione cominciati gi nel decennio precedente.
Il simbolo 1968 non dovrebbe comprendere soltanto le azioni della Neue linke o del
movimento studentesco, ma includere anche un nuovo corso sociale che fu sperimenta-
to da tutte le parti della societ tedesca
27
. Sono stati comunque i giovani ad aver fatto da
catalisi e da momento utopico di questo periodo di transizione. Con le loro domande e
le loro azioni politiche radicali hanno sfidato le convenzioni sociali, generato nuove for-
me di espressione culturale e spazi alternativi, e creato limpressione di unaccelerazione
della trasformazione culturale. Attraverso il dissenso e nuove forme di protesta, i giova-
ni attivisti hanno costantemente usato e cambiato la sfera pubblica, intrecciandosi pro-
fondamente con la nascita di una giovent internazionale e di una cultura dei consumi
28
.
Anche se tutti i progetti di rivoluzione socialista restarono in forma di abbozzo, dal pun-
to di vista politico il 1968 apr la strada per lemergere del partito dei Verdi, lesten-
dersi della cooperazione internazionale e, con il trascendimento dellimpasse mentale e
geopolitico della Guerra fredda, per lo schiudersi di una prospettiva fondamentalmen-
te differente sui temi globali.
Nella memoria collettiva, il 1968 in Germania Ovest ha quindi assunto lo status
di cesura nella storia del Dopoguerra, un po come la fondazione della Repubblica Fe-
derale nel 1949 o la caduta del muro di Berlino nel 1989. Il che non significa dire che il
1968 non abbia perso qualcosa del suo potenziale di polarizzazione e di conflittuali-
t, oggi in parte messo in ombra dal terrorismo che lo segu. Tuttavia, letichetta 1968
nacque solo negli anni Ottanta nel corso delle guerre culturali riguardanti linterpreta-
zione degli eventi che scioccarono il Paese alla fine degli anni Sessanta, quando una nuo-
26
Si veda, per esempio, S. Plogstedt, Im Netz der Gedichte. Gefangen in Prag nach 1968, Chr. Links, Berlin
2001.
27
Per una contestualizzazione, si veda C. von Hodenberg, D. Siegfried (a cura di), Wo 1968 liegt: Reform
und Revolt in der Geschichte der Bundesrepublik, Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 2006.
28
D. Siegfried, Time is on my side: Konsum und Politik in der westdeutschen Judengkultur der 60er Jahre,
Wallstein, Gttingen 2006.
Martin Klimke
128
va generazione di pacifisti volle distanziarsi dai loro predecessori, in procinto di celebra-
re il ventennale della rivolta. Oggi, in una condizione di abbondanza di memorie, film
e studi dedicati agli anni Sessanta, leredit e la memoria del 1968 restano fortemente
contestate sia nellaccademia che nellopinione pubblica nel suo complesso.
BIBLIOGRAFIA
Ad oggi, Thomas (2003) fornisce la prima storia dei movimenti di protesta della Germania Ovest
in inglese. Per unulteriore contestualizzazione del 1968 nella storia della Germania Ovest, si
vedano Gilcher-Holtey (1998), Schildt (2000) e Hodenberg (2006). Klimke (2007) fornisce un pa-
norama su vari aspetti di storia culturale e dei media, mentre Siegfried (2006) esamina le connes-
sioni tra giovani, culture studentesche e societ dei consumi. La storia della SDS tedesca minuzio-
samente raccontata da Lnnendonker (2002), mentre il suo legame con la Scuola di Francoforte
esaminato da Kraushaar (1998). Gassert (2006) inserisce il movimento studentesco in una serie di
sforzi volti a fare i conti con il passato nazista. Herzog (2005) inserisce il movimento degli studenti
e Kommune I in una pi ampia storia della sessualit in Germania, e Markovits (1993) offre una
narrazione pi ampia che arriva fino alla nascita dei Verdi. Klimke (2008) analizza le dimensioni
transnazionali e la risposta dellestablishment, mentre Schmidtke (2003) e Varon (2004) offrono
una prospettiva comparativa con riferimento agli Stati Uniti e Juchler (1996) sottolinea la relazio-
ne con i movimenti di liberazione del Terzo Mondo.
Gassert, P., Steinweis, A. (a cura di), Coping with the Nazi Past: West German Debates on Nazism
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Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 1998.
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Il Sessantotto in Germania Ovest
129
Schmidtke, M., Der Aufbruch der jungen Intelligenz: Die 68er Jahre in der Bundesrepublik und den
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Varon, J., Bringing the War Home: The Weather Underground, the Red Army Faction, and Revolu-
tionary Violence in the Sixties and Seventies, University of University Press, Berkeley 2004.
131
LE PROBLEMATICHE RIPERCUSSIONI
INTELLETTUALI DEL SESSANTOTTO
*
Luisa Passerini
Processi di de-storicizzazione: il Sessantotto mitizzato o demonizzato
Il titolo di questo saggio esprime un dubbio terminologico e concettuale. Non imme-
diatamente ovvio che si possa parlare dellintellettualit del Sessantotto in quanto tale,
poich allinterno dei vari movimenti sessantottini e secondo le loro intenzioni qualun-
que siano stati poi i risultati lidea stessa di unintellettualit e di una teoria indipenden-
te dalla pratica venne rifiutata. La divisione tra lavoro intellettuale e manuale fu messa
in dubbio, cos come quella tra politica e cultura, tra base e leader, tra centro e periferia.
Quindi, per trovare il modo pi appropriato di discutere largomento delle ripercussio-
ni intellettuali e delle implicazioni teoriche del Sessantotto necessario estrapolare tali
ripercussioni ma nello stesso tempo considerarle nel contesto delle conseguenze del Ses-
santotto intese in senso generale. Questa esigenza mi ha portato a procedere in manie-
ra non sistematica, saltando da uno stimolo allaltro tra quelli che ho incontrato esplo-
rando questo campo.
La de-storicizzazione o linsufficiente storicizzazione del Sessantotto si d in una du-
plice prospettiva: in primo luogo, come carenza delluso di fonti primarie, soprattutto
scritte e visive, le quali in realt esistono in gran numero e sono tuttora parzialmente ine-
splorate; in secondo luogo, come risultato della sostituzione della storia con il doppio
processo di mitizzazione del Sessantotto da un lato, e della sua demonizzazione dallal-
tro. Tale processo di de-storicizzazione strettamente connesso con lambiguit che cir-
conda le ripercussioni, non solo intellettuali, ma anche sociali, culturali ed emotive dei
movimenti del Sessantotto.
* Questo testo basato su un intervento presentato al convegno The Utopia Years: 1968 and Beyond. Move-
ment Dynamics and Theoretical Implications 40 Years Later, Atene, 6-8 giugno 2008, e pubblicato su Historein,
vol. 9, 2009, col titolo The Problematic Intellectual Repercussions of 68: Reflections in a Jump-cut Style,
pp. 21-33.
Luisa Passerini
132
Come ha notato Kristin Ross riferendosi al Maggio francese, levento Sessantotto
stato privato delle sue dimensioni politiche attraverso una doppia confisca: biografica
e sociologica
1
. Cos il Sessantotto stato ridotto allimmagine di un dramma familiare
o generazionale, espurgato della violenza e dei significati politici espliciti, ricondotto a
una benevola trasformazione nei comportamenti, a una transizione verso un nuovo or-
dine borghese e una modernit economica neoliberista con la conseguenza di dimen-
ticare il rifiuto da parte di milioni di persone, negli anni intorno al Sessantotto, di con-
cepire la societ come somma di categorie ristrette e separate. (In questo contributo mi
riferir spesso al Sessantotto come al lungo Sessantotto, cio ad un processo di alme-
no dieci anni di agitazioni sociali e politiche in tutto il mondo)
2
.
Nello stesso tempo questo processo di riduzione ha come effetto quello di diminui-
re limportanza delle lotte contro limperialismo in cui il Sessantotto sinserisce. Questo
invece un punto cruciale. Secondo Robert Young
3
, il Sessantotto fu il momento in cui i
movimenti rivoluzionari europei si liberarono dal modello di un marxismo rigido e con-
diviso da tutti i partiti comunisti legati allUnione Sovietica. Il nuovo modello proveniva
dalle lotte rivoluzionarie di quello che veniva allora definito Terzo mondo. Perci Young
considera gli eventi del Maggio francese come la conseguenza della campagna mondia-
le anti-imperialista contro la guerra in Vietnam e come ladesione a una lotta comune in
cui la resistenza doveva essere sia armata sia culturale. Ignorare o sminuire tutto ci ha
portato alla de-storicizzazione e alla de-politicizzazione del Sessantotto, col risultato di
far cadere nelloblio un lungo periodo di radicalismo politico e di instaurare un nuovo
approccio euro- o occidentalocentrico
4
.
Tuttavia, sempre secondo Kristin Ross, sono stati recentemente intrapresi da alcu-
ni storici, tra cui lei stessa, tentativi di storicizzazione, tornando alle fonti primarie. Tali
tentativi hanno non solo rivitalizzato il Sessantotto in prospettiva storica, ma hanno an-
che ridotto il peso del neoliberismo imposto sulla storia e sul pensiero dopo il 1989. Il
doppio processo intellettuale che ha mitizzato/demonizzato il Sessantotto alla base
delle tesi secondo le quali le ripercussioni del Sessantotto sono consistite da un lato nel-
lo sviluppo delledonismo e dellindividualismo, come ritenevano Rgis Dbray e Gilles
Lipovetsky
5
, dallaltro nel trionfo del capitalismo amorale e del neoliberismo internazio-
1
K. Ross, May 68 and Its Afterlives, The University of Chicago Press, Chicago 2002.
2
Cfr. L. Passerini, Utopia e desiderio, in Memoria e utopia. Il primato dellintersoggettivit, Bollati-Borin-
ghieri, Torino 2003.
3
R. Young, White Mythologies: Writing History and the West, Routledege, London-New York 1990, seconda
edizione 2004.
4
Ci non accaduto altrettanto spesso in generi diversi dalla storia: penso per esempio allo straordinario
film di Chris Marker, Le fond de lair est rouge (girato nel 1977 e costruito grazie a un intelligente montaggio di
materiale filmico coevo). Uno dei meriti di questa pellicola quello di collocare il Sessantotto inteso in senso
internazionale nel contesto degli eventi rivoluzionari e delle forme di pensiero e di potere tra il 1967 ed il
1977. Non a caso molte fonti visive ci riportano allesigenza di una contestualizzazione storica pi ampia, come
quella rappresentata dai Cintracts i cinegiornali prodotti in Francia tra il 1968 ed il 1969 o dai manifesti
di quegli anni, che includono riferimenti frequenti ai movimenti del mondo intero, dagli studenti giapponesi
dello Zengakuren e dello Zenkyoto, ai movimenti di liberazione dellAfrica e dellAmerica Latina.
5
R. Dbray, Modeste contribution aux discours et crmonies officielles du dixime anniversaire, Maspero,
Le problematiche ripercussioni intellettuali del Sessantotto
133
nale, come hanno sostenuto in modi diversi sia Marcello Veneziani sia il presidente fran-
cese Sarkozy. Riprender questo tema pi avanti
6
, mentre vorrei ora toccare la questio-
ne del collegamento con il 1989. Paul Berman ha definito quel collegamento come un
paradosso, nel senso che, dopo aver vissuto lesperienza di unutopia di sinistra, la stes-
sa generazione passata pi tardi attraverso lutopia del liberismo. Secondo Berman, il
periodo 1989-1994, che vide lesplosione delle rivoluzioni liberal-democratiche, mise in
moto la tendenza a ridurre drasticamente limportanza delle rivolte del 68
7
. Ma il colle-
gamento tra il 1968 e il 1989 stato riconosciuto in tuttaltro senso da Giovanni Arrighi,
Terence K. Hopkins e Immanuel Wallertstein, secondo i quali il Sessantotto stata una
delle due rivoluzioni mondiali insieme al 1848: entrambe furono dei fallimenti storici.
Entrambe trasformarono il mondo
8
. In questa prospettiva, molto pi fondata storica-
mente, il 1968 stato linizio di un processo culminato nel 1989.
Secondo Stefan Garsztecki
9
, il 1968 segna linizio del declino del comunismo in Polo-
nia e il punto di svolta nella storia del dopoguerra polacco verso la conquista della demo-
crazia nel 1989. Jan Pauer dice qualcosa di simile a proposito della Cecoslovacchia
10
: la
Primavera di Praga segn linizio della trasformazione del blocco di nazioni appartenenti
al vecchio est europeo; si trattava di un risveglio democratico della societ intera e di un
contributo originale di cechi e slovacchi al processo di mettere da parte il potere sovietico
e abbandonare la divisione dellEuropa. Il collegamento tra il Sessantotto e lOttantano-
ve era gi stato percepito da chi aveva vissuto quel periodo storico. Timothy Garton Ash
osserv che nel 1989 a Praga la gente collegava le due date cantando Dub/ek- Havel, e
che i cechi si compiacevano di leggere il numero 89 come un 68 rovesciato
11
.
Per quanto riguarda lUngheria, Daniel Chirot
12
sostiene che il punto di svolta non
fu il 1956, lanno in cui la rivoluzione ungherese venne annientata, ma il 1968, quando
si chiarirono le implicazioni della politica di Brenev, cio che una riforma politica non
era proprio possibile. Mat Szab, pur non essendo daccordo con questa interpretazio-
ne, osserva che gli intellettuali e gli artisti ungheresi, soprattutto i pi giovani, seguiva-
no con attenzione i conflitti esteri, e che alcune delle loro opere ne furono influenzate,
Paris 1978; Gilles Lipovetsky, Lre du vide. Essai sur lindividualisme contemporain, Gallimard, Paris 1983, tr.
it. Lera del vuoto. Saggi sullindividualismo contemporaneo, Luni, Milano 1995.
6
Unindagine sponsorizzata da Le nouvel observateur nel marzo 2008, a proposito delle posizioni espres-
se da Sarkozy sul Maggio Sessantotto: tra tutti i francesi intervistati, alla domanda se concordavano sul fatto
che le conseguenze del Sessantotto fossero state cos negative come aveva sostenuto Sarkozy, il 74% aveva
risposto No, solo il 18% S, mentre l8% si era astenuto. Molti di coloro che avevano risposto No erano in
realt elettori di Sarkozy. Cfr. Le nouvel observateur, n. 2264, 27 marzo-2 aprile 2008.
7
P. Berman, A Tale of Two Utopias: The Political Journey of the Generation of 1968, Norton, New York 1996,
tr. it. Sessantotto: la generazione delle due utopie, Einaudi, Torino 2006.
8
G. Arrighi, T.K. Hopkins, I. Wallerstein, Antisystemic Movements, Verso, London 1989, p. 97, tr. it. Anti-
systemic movements, manifestolibri, Roma 2000.
9
S. Garsztecki, Poland, in M. Klimke, J. Scharloth (a cura di), 1968 in Europe. A History of Protest and
Activism, 1956-1977, Palgrave-Macmillan, New York 2008, pp. 179-187.
10
J. Pauer, Czechoslovakia, in M. Klimke, J. Scharloth (a cura di), op. cit., pp. 163-177.
11
T. Garton Ash, The Magic Lantern. The Revolution of 89 Witnessed in Warsaw, Budapest, Berlin and
Prague, Random House, New York 1990.
12
D. Chirot, What happened in Eastern Europe in 1989?, in V. Tismaneanu (a cura di), The Revolutions of
1989, Routledge, London-New York 1999, pp. 19-50.
Luisa Passerini
134
come accadde per i film di Mikls Jancs, le opere di Tibor Dry, Gyrgy Dalos, Gyr-
gy Konrd, la filosofia di Gyrgy Lukcs, Mihaly Vajda o Agnes Heller, gli insegnamenti
dei sociologi Andrs Hegeds e Ivan Szelnyi, e la musica rock ungherese.
C da rilevare un aspetto importante della connessione tra Sessantotto e Ottantano-
ve considerati come rivolte liberalizzanti. Non solo il Sessantotto assume unampia va-
riet di significati nel contesto di nazioni diverse, ma questo vero anche per i termini
liberale e liberalismo, usati per riferirsi al Sessantotto in almeno quattro accezio-
ni: il tradizionale laissez faire, laissez passer; il tipo di libert rivendicata dal Sessantotto;
la liberalizzazione auspicata dall89 nellEuropa dellEst; e il nuovo liberismo mondia-
le contemporaneo. Un significato multiplo di liberalismo, che fa convergere tutte queste
accezioni, stato conferito a un processo accusato di aver avuto origine nel Sessantot-
to, in modo che tutte le sue implicazioni sono state attribuite al Sessantotto stesso. Dun-
que, si pu considerare questa confusione come parte del processo di de-storicizzazione
e della concomitante miticizzazione/denigrazione del Sessantotto.
Prima di terminare questa prima parte, vorrei soffermarmi sui toni simili che risuo-
nano nei discorsi sul Sessantotto e nel doppio processo che ho menzionato, in diverse
parti del mondo e non solo in prospettiva eurocentrica. A tal fine prender in conside-
razione il movimento studentesco messicano del 1968, che mise in atto una decisiva oc-
cupazione dello spazio pubblico e una forte affermazione della democrazia e del princi-
pio del dialogo, come inizio di una revisione critica delle forme di governo e di cultura
in opposizione a un regime autoritario. Il Sessantotto messicano si concluse con il mas-
sacro di 300-400 persone in Plaza de las Tres Culturas a Tlatelolco il 2 ottobre 1968; fu
un dramma politico, con centinaia di prigionieri politici rimasti in carcere fino al 1971.
Secondo Carlos Monsivis
13
, in Messico si verificata una forma di mitizzazione di que-
gli eventi, che ha interpretato quella tragedia umana e politica in termini di sofferenza
della giovent nazionale, dimenticando di indicarne le cause reali e di dare un nome ai
veri responsabili. Questa visione mitica accompagnata da un senso di colpa della clas-
se media, dalla cancellazione di ogni speranza di progresso, dalla subordinazione ai pre-
sunti vantaggi del capitalismo. Anche Jos Woldenberg nel 2006 ha scritto sullamnesia
collettiva che erode ogni cosa e genera silenzio, simulazione e oblio, generando un vuo-
to nella storia del Messico
14
.
Non posso fare a meno di notare le differenze, ma anche le somiglianze rispetto alla
grande produzione di materiale sul Sessantotto in Europa, che spesso paragonabile ad
un silenzio assordante, cio non ad un vero e proprio silenzio, ma a un vuoto occupa-
to da espressioni di esaltazione o denigrazione. C una somiglianza tra queste opinioni
sul Messico e altre voci, ad esempio tornando alla Francia quella di Marcel Gauchet,
secondo il quale il Maggio 1968 stato scarsamente storicizzato e raramente diventa-
to oggetto di romanzi e film
15
. Si ritrovano toni simili nel saggio di Jean-Pierre Le Goff,
secondo cui il rapporto tra il presente e il Sessantotto oscilla tra il fascino nostalgico da
13
C. Monsivis, Notas sobre la cultura mexicana en el siglo XX, in Historia general de Mxico. Version 2000,
El Colegio de Mxico, Mxico 2005, pp. 957-1076.
14
J. Woldenberg, Prlogo. Historia personal del pasado, in J. Ortega Jurez, El otro camino. Cuarenta y cinco
aos de trinchera en trinchera, Fondo de Cultura Econmica, Mxico 2006, pp. 15-20.
15
M. Gauchet, Bilan dune gnration, Le Dbat, n. 149, marzo-aprile 2008, pp. 101-111.
Le problematiche ripercussioni intellettuali del Sessantotto
135
un lato e le accuse al Sessantotto di essere la causa dei mali doggi dallaltro
16
. Anche
Bndicte Delorme-Montini
17
insiste sul fatto che, poich il Sessantotto loggetto po-
limorfo solamente di una storia embrionale (histoire embryonnaire) e non di una storia
compiuta, la visione che se ne ha dipende in modo accentuato dagli sviluppi del presen-
te. Secondo Delorme-Montini, lesperienza di una democrazia diretta e della tempora-
nea abolizione delle barriere sociali, che vennero vissute come felicit pubblica, non pu
essere ridotta n alla militanza populista n alledonismo libertario. Questa eredit poli-
tica si pu invece ritrovare nellopposizione alla globalizzazione liberista che cresciuta
dal 1995, fornendo al Sessantotto una nuova vita e la possibilit di riabilitare la sua na-
tura politica.
Ci troviamo ora di fronte al fatto che nei decenni successivi leredit del Sessantot-
to gi definita impossibile da Jean-Pierre Le Goff
18
in molti casi ha subito dei ca-
povolgimenti. Soltanto un esempio, ma piuttosto rilevante: i movimenti politici legati
allecologia, pur continuando a prolungare alcune caratteristiche del Sessantotto, han-
no sviluppato contrariamente alla prospettiva trionfante di quel periodo una visio-
ne catastrofica del presente e del futuro. Un capovolgimento simile potrebbe aver avuto
luogo anche per quanto riguarda la critica allintellettualit, che non poteva essere iso-
lata nel contesto dei movimenti del Sessantotto, ma che lo stata in maniera crescente
nei decenni successivi.
Esperienza e memoria
Data la prevalenza nel discorso pubblico di una visione de-storicizzata del Sessantotto,
nonch la carenza di ricerca sulle sue ripercussioni intellettuali, ho scelto di proporre
alcuni filoni di studio che potrebbero orientare le ricerche future. Sono ricorsa a fonti
quali la memoria e lesperienza personale situate a met strada tra fonti primarie e fon-
ti secondarie non solo perch una tra le mie aree di ricerca e di riflessione privilegia-
te, ma anche perch mi sembra che potrebbero essere ancora utili per affrontare alcune
questioni concernenti il Sessantotto e le sue ripercussioni. Quanto segue una breve ri-
cognizione nel campo degli studi che prendono a oggetto la memoria e lesperienza, che
occuper solo una piccola parte di questo contributo, mentre nellultima parte torner a
considerazioni pi generali. In tale prospettiva, vorrei innanzitutto prendere in conside-
razione alcuni terreni disciplinari specifici, legati proprio alla mia esperienza nel campo
degli studi culturali e della storia culturale in Gran Bretagna e in Italia.
La tendenza a rompere la divisione tra teoria e pratica, condivisa dal senso comune e
dallapproccio scientifico, era gi presente nei movimenti e nelle teorie precedenti il Ses-
santotto. Per quanto riguarda il caso europeo, alcune delle sue radici sono rappresenta-
16
J-P. Le Goff, Mai 68: la France entre deux mondes, Le Dbat, n. 149, marzo-aprile 2008, pp. 83-100.
17
B. Delorme-Montini, Regards extrieurs sur 1968. Polymorphie dun objet dhistoire embryonnaire, Le
Dbat, n. 149, marzo-aprile 2008, pp. 66-82.
18
J-P. Le Goff, Mai 68, lhritage impossibile, La Dcouverte, Paris 1998 (nuova edizione con postfazione
dellautore, 2006).
Luisa Passerini
136
te dalle esperienze e dalle idee di gruppi minoritari come i Provos e i Situazionisti
19
, ma
anche dalle nuove (allora) tendenze nelle scienze sociali, come la propensione a rompe-
re la separazione tra soggetto e oggetto della ricerca sociale. Se cerchiamo di collocare
il Sessantotto in una storia intellettuale pi ampia, che prenda in considerazione alcuni
aspetti e nazioni dellEuropa occidentale, durante la seconda met degli anni Cinquan-
ta e la prima degli anni Sessanta nelle scienze socio-storiche si svilupp un movimento
di idee che tendeva ad allontanarsi da oggetti istituzionali per rivolgersi a una dimensio-
ne sociale. In storia e in sociologia questo signific spostarsi dai movimenti e dai partiti
verso le classi sociali. Avvenne una trasformazione epistemologica che annunciava indi-
rettamente il Sessantotto, il quale a sua volta influenz in modo profondo tali discipli-
ne. Non per una coincidenza pura e semplice che le prime universit che diedero spa-
zio alle nuove scienze sociali Nanterre in Francia, Trento in Italia, e la London School
of Economics diventassero tutte centri di agitazione politica.
Nello stesso tempo avevano cominciato a manifestarsi i germi di un nuovo approc-
cio culturale, in opere come quelle di Richard Hoggart, Raymond Williams e Edward P.
Thompson, che mostravano i collegamenti tra la dimensione culturale e la societ. Log-
getto era rappresentato soprattutto dalle culture delle classi subalterne, ma il nuovo ap-
proccio includeva anche la critica dellappropriazione della cultura a opera della tradi-
zione liberale borghese e dei suoi canoni.
La novit fu che il 1968 port sulla scena, con un ruolo centrale, la soggettivit. Na-
turalmente il termine soggettivit era gi presente nei Quaderni del carcere di Gram-
sci. Non a caso Gramsci diventato un riferimento teorico importante per un campo
transdisciplinare come gli studi culturali, soprattutto in Gran Bretagna. La sua opera
un punto di convergenza tra le esperienze inglesi e italiane degli studi culturali, sebbe-
ne la sua influenza intellettuale sia pi forte in Gran Bretagna che in Italia. Penso in par-
ticolare a Stuart Hall, che ci ha insegnato a trarre ispirazione da Gramsci per gli studi
postcoloniali, specialmente per quanto concerne le relazioni tra razza e classe. Hall col-
loca gli studi culturali al centro degli sviluppi politici che ebbero luogo negli anni Ses-
santa, Settanta e Ottanta.
Le origini e gli sviluppi degli studi culturali e della storia culturale possono essere
considerati come uninterfaccia dei passaggi e delle fratture che hanno caratterizzato le
relazioni tra politica e cultura e che sono oggi rilevanti se si vuole aprire una linea di ri-
flessione sulla natura politica del lavoro intellettuale. Lapproccio culturale implica una
rivisitazione di varie discipline, quali lantropologia, la critica letteraria, la sociologia, il
diritto, la geografia, e dei cambiamenti nei loro statuti epistemologici, cos come di una
serie di relazioni transdisciplinari. In ogni caso gli studi culturali e la storia culturale non
sono solo una risposta alla crisi degli studi umanistici, ma anche a realt extra accademi-
che. Ecco perch tendono a configurarsi come una sfida ai linguaggi disciplinari e non
solo come una nuova disciplina. Nello stesso tempo sono istituzionalizzati e inseriti in
alcuni spazi specifici a volte in interstizi della vita accademica e delle istituzioni.
19
Si veda G.-R. Horn, The Spirit of 68. Rebellion in Western Europe and North America, 1956-1976, Oxford
University Press, Oxford-New York 2007.
Le problematiche ripercussioni intellettuali del Sessantotto
137
Lipotesi che vorrei proporre che molti cambiamenti nel panorama intellettuale e
culturale indotti dal Sessantotto sono stati in realt il prodotto di una complessa com-
binazione di sconfitte e vittorie: ad esempio, la creazione al livello istituzionale di
nuovi filoni disciplinari, come gli studi culturali, stata in parte un tentativo di portare
sulla scena accademica la lotta culturale politicizzandola, in parte la conseguenza di un
ritiro dallazione politica diretta e di un riciclo di personale politico.
La natura transdisciplinare dellispirazione sociale negli anni Sessanta e Settanta
mi pare evidente per quanto concerne lemergere della pratica della storia orale, che
esisteva in varie forme prima che si profilasse, alla fine degli anni Settanta, un vero e
proprio movimento internazionale con questo nome. Nonostante che allepoca si trat-
tasse di un movimento principalmente occidentalocentrico, la storia orale non era tale
nella sua essenza, dati i suoi antecedenti importanti negli studi di africanistica e i suc-
cessivi sviluppi su scala globale dagli anni Novanta. La storia orale esisteva negli anni
Cinquanta e Sessanta in vari paesi, tra cui lItalia, come storia delle classi subalter-
ne. Ma a partire dal 1968 il termine e il concetto di soggettivit vennero applica-
ti direttamente ai movimenti sociali, degli studenti, dei lavoratori e delle donne, per
lo meno in alcune nazioni dellEuropa occidentale, in riferimento al livello soggettivo
delle masse rivoluzionarie. Questo tipo di soggettivit implicava lattenzione alla vita
quotidiana e alla relazione tra lindividuo e la collettivit. In effetti, quella che oggi
chiamata storia culturale era a volte definita storia della soggettivit nellItalia de-
gli anni Settanta.
Nei campi che conosco meglio, la storia culturale e la storia orale, credo non ci sia
alcun dubbio che il Sessantotto, in particolare se riconosciuto come un processo durato
almeno un decennio, port alla trasposizione di persone e idee da unapplicazione diret-
ta al campo della politica a un investimento intellettuale ed emotivo nel campo della ri-
cerca intellettuale. Ci converge con quanto scriveva Robert Young nel 2004, rivisitan-
do la sua opera intitolata White Mythologies: negli anni Sessanta il contatto tra teoria e
politica rivoluzionaria europea e nordamericana da un alto, e i movimenti anticoloniali
del Terzo mondo dallaltro diedero origine a un terzo spazio, in cui poteva essere co-
struita una resistenza intellettuale di natura globale allimperialismo. Dal Sessantotto in
avanti, lampio numero di opere intellettuali realizzate nel corso delle lotte anticolonia-
li stato collegato al discorso occidentale critico e dissidente e usato contro le forme di
potere egemoniche euro- e occidentalocentriche. Questo collegamento politico ha pro-
dotto una forma di intervento teorico chiamata postcolonialismo. Anche il poststruttu-
ralismo, in linea generale, deve parecchio a tale collegamento.
Si ha qui una forma di sinergia che costituisce il contesto transnazionale del Ses-
santotto in prospettiva storica, intendendo con sinergia, secondo lOxford English Dic-
tionary, lincremento dellefficacia o del risultato prodotto grazie a unazione com-
binata o cooperazione, che supera la somma degli effetti individuali. Ciononostante,
molti studi sul Sessantotto non ne hanno tenuto conto, oppure hanno considerato in
qualche misura le lotte in America Latina, ma molto meno quelle in Africa e, per quan-
to riguarda lAsia, soprattutto il Vietnam, ma non il Giappone, un luogo cruciale del
Sessantotto, che per altro si verificato in quel paese piuttosto nel 1967 e nel 1969.
Il Giappone un caso interessante quanto alle ripercussioni intellettuali. Un esempio
Luisa Passerini
138
significativo pu essere tratto da un intervento di Koichi Yamada
20
, che inizia con i suoi
ricordi delle dimostrazioni di massa studentesche alluniversit di Tokio, in cui al tempo
studiava economia, e termina, dopo aver osservato che negli anni intorno al 1968 stava-
no avvenendo importanti cambiamenti nelleconomia mondiale, con la considerazione
che in quel periodo mut anche lorientamento di pensiero e di percezione allinterno
della scienza economica. A suo parere, lanno 1968 fu dimportanza cruciale per il pen-
siero economico, nel senso che i giovani economisti di oggi sembrano dominati da un
pensiero classico che enfatizza la razionalit e i meccanismi dei prezzi, mentre gli econo-
misti della generazione del 1968 tendevano ad avere fiducia nella visione keynesiana del
mondo come sistema imperfetto in cui i prezzi non si muovono in modo fluido. Lesem-
pio giapponese vale sia per la questione della sinergia sia per quella della differenza tra
generazioni riguardo agli atteggiamenti intellettuali e politici.
Per trovare termini di comparazione in altri campi disciplinari diversi dal mio, ho ta-
stato il terreno con qualche breve intervista ad alcuni protagonisti del Sessantotto in al-
tri paesi rispetto a quelli menzionati finora (Francia, Italia, Gran Bretagna, Messico e
Giappone). Ho quindi iniziato la mia ricognizione dalla Germania, perch uno dei po-
chi paesi a proposito dei quali posseggo qualche conoscenza.
Ho intervistato per primo seguendo la mia rete di contatti personali Friedrich
Hermann, uno dei protagonisti dello sviluppo del KPK (Karlsruher Physikkurs), un nuo-
vo metodo dinsegnamento della fisica, che ha avuto origine in Germania ed ora diffu-
so in tutto il mondo. Hermann ha rilevato una sinergia tra le linee guida del movimen-
to sessantottino e la formulazione del linguaggio scientifico, specialmente nellarea della
comunicazione della scienza e della sua trasmissione nelle scuole. Secondo lui, linfluen-
za del Sessantotto non fu una causa diretta delle nuove posizioni nel campo della fisica;
si tratt piuttosto di unatmosfera intellettuale che diede origine a sviluppi paralleli. In
effetti, i principi del KPK erano stati posti dal fisico Gottfried Falk tra la fine degli anni
Sessanta e i primi anni Settanta. Il gruppo che gravitava intorno a lui era attivo politica-
mente nel senso che teneva seminari sulle armi nucleari e pi tardi sul programma Star
Wars di Ronald Reagan. La fisica creata a Karlsruhe criticava la fisica istituzionale. Pri-
ma di tutto, sviluppava una forte tendenza allanti-autoritarismo nella sfida al linguaggio
tradizionale della fisica, che venne completamente riformulato in termini di esperimen-
ti ed esperienze tratti dalla vita quotidiana. In secondo luogo, alcune delle pubblicazio-
ni del KPK, sebbene scritte per tutti, erano dirette esplicitamente alle donne, sfidando il
pregiudizio secondo cui per loro la fisica era pi difficile che per i colleghi maschi. In
terzo luogo, il KPK si impegn in scambi transdisciplinari con alcune branche della chi-
mica che stavano attraversando trasformazioni simili. Anche oggi, secondo il mio inter-
vistato, la fisica di Karlsruhe genera forti opposizioni in Germania; anche se non n
direttamente politica n ideologica, sfida le posizioni conservatrici allinterno della di-
sciplina e quindi suscita controversie.
In seguito ho intervistato Axel Bichler, scrittore indipendente originario di Monaco
che nel 1968 studiava filosofia a Berlino. Ha iniziato con unosservazione generale: se-
20
K. Yamada, Japan 1968: A Reflection Point During the Era of the Economic Miracle, Economic Growth
Center, Yale University, Center Discussion Paper n. 764, 1996.
Le problematiche ripercussioni intellettuali del Sessantotto
139
condo lui lintellettualit del Sessantotto si era diretta contro il sistema, nello sforzo di
capire il nemico, mentre oggi lintellettualit non nella maggior parte dei casi orienta-
ta in questo senso. Questa considerazione conferma la mia esitazione iniziale a usare il
termine ripercussioni intellettuali per il Sessantotto, ma allarga il campo di osserva-
zione al presente. Comunque, Bichler ha anche indicato che una profonda innovazione
ha avuto luogo nel campo della filosofia, soprattutto la filosofia insegnata nelle scuole e
nelle universit, che prima del 1968 di solito non faceva riferimento alla sociologia e alla
psicologia, in altre parole a Marx e Freud. Entrambi questi autori hanno fatto il loro in-
gresso nelle scuole tedesche dopo il 1968. Rispondendo a una delle mie domande, Bi-
chler ha concordato che sarebbe stato corretto parlare di sinergie, dal momento che la
Scuola di Francoforte era gi attiva prima del 1968 e che il suo pensiero aveva influen-
zato molti protagonisti del Sessantotto in Germania.
Ho poi intervistato Katharina Oeding, docente di biologia, che anche lei nel 1968 si
era recata a studiare a Berlino. A suo parere, una delle influenze del Sessantotto sullin-
segnamento della biologia stato il fatto che da quel momento in poi ha cominciato a
essere inclusa nei programmi scolastici leducazione sessuale, in una scuola che stava di-
ventando in generale pi aperta e libera. Oeding ha anche menzionato che alcuni cam-
biamenti rilevanti, come lintroduzione, dopo il 68, dellinsegnamento della biologia
molecolare, furono basati su ricerche gi iniziate prima del 68, confermando quindi
lipotesi di rapporti indiretti e sinergici tra il Sessantotto e il periodo precedente e quel-
lo successivo.
Ho infine avuto loccasione di essere messa in contatto
21
con un protagonista del Ses-
santotto messicano, Joel Ortega Jurez, un militante che ha sperimentato il carcere e che
recentemente ha pubblicato un volume di riflessioni sulla sua biografia politica e intel-
lettuale, El otro camino
22
. In risposta alle mie domande, ha immediatamente ricordato
che, per accertare le ripercussioni intellettuali del Sessantotto, dovremmo prendere in
considerazione il fatto che decine di migliaia di giovani che avevano partecipato al mo-
vimento sono diventati in seguito insegnanti e professori. Ha riconosciuto che, dopo il
Sessantotto, in Messico avvenuta una vera e propria rinascita della scienza, della cul-
tura e della politica; in tutti i campi del sapere si assistito a nuove ricerche e riflessioni
come non si era mai verificato in passato. Abbiamo scoperto il nostro paese, ha detto,
confermando cos quello che sostiene Carlos Monsivis, cio che il Sessantotto messica-
no port a unintensificazione dello studio del marxismo come larma analitica principa-
le per capire la societ, sebbene questo processo non sia stato in grado di evitare il dog-
matismo e la volgarizzazione. Secondo Ortega Jurez, la proliferazione del marxismo
nelle universit, che era cominciata prima del Sessantotto, conoscendo il proprio picco
come conseguenza dellondata di militanti politici esiliati dallAmerica Latina negli anni
Settanta un altro elemento che concorda con la tesi di Robert Young sulla connessione
tra le lotte anticoloniali e il Sessantotto venuta meno dopo la caduta del Muro di Ber-
21
Ringrazio Leslie Hernndez Nova per questo contatto.
22
J. Ortega Jurez, El otro camino. Cuarenta y cinco aos de trinchera en trinchera, Fondo de Cultura Econ-
mica, Mxico 2006.
Luisa Passerini
140
lino. Secondo Adolfo Gilly, nel suo testo 1968: la ruptura en los bordes
23
, linfluenza deter-
minante del Maggio francese sullimmaginazione degli studenti dellUniversit nazionale
autonoma del Messico e dellIstituto politecnico nazionale deve essere collegata alla me-
moria della rivoluzione cubana del 1959, originata nellUniversit di LAvana. Per Gilly, il
confronto con il Sessantotto in Messico ha contribuito ad accelerare linnovazione tecno-
logica e la trasformazione del capitale, la riorganizzazione del lavoro e luso dellinforma-
zione; inoltre ha cambiato le forme dellimmaginazione e della pianificazione.
Nella sua intervista, Joel Ortega Jurez ha chiarito la posizione espressa nel proprio
libro, in cui ha scritto non solo che, riconsiderando i suoi quarantacinque anni di mi-
litanza politica, aveva sempre cercato di conciliare le sue convinzioni comuniste con
laspirazione alla libert, uguaglianza e fraternit, ma che vedeva anche una continuit
tra lutopia degli anni Sessanta e la lotta libertaria che una sinistra moderna deve porta-
re avanti di questi tempi, riformulando il pensiero liberale. Il liberalismo ha afferma-
to non deve essere inteso come il liberalismo capitalista del laisser faire, laisser passer
n come il liberismo attuale, ma in senso radicale, attento nei confronti dei problemi so-
ciali; secondo lui, questa limplicazione del far riferimento oggi alla gran fiesta liber-
taria del Sessantotto messicano contro lautoritarismo, con significato opposto, quin-
di, alla continuit che Sarkozy ha preteso di stabilire tra il Sessantotto e il neoliberismo
selvaggio. Secondo lintervistato, la sinistra messicana dovrebbe tornare alle radici li-
berali dello stato nazionale, prima dellavvento della tendenza autoritaria e corporati-
va che negli anni Venti e Trenta trasform lo stato messicano in un apparato per il con-
trollo della societ.
Vorrei aggiungere a queste interviste quelle pubblicate da Virginie Linhart
24
, figlia di
Robert Linhart, protagonista del Sessantotto francese e fondatore nel 1960 dellUnion
des jeunesses communistes marxistes-lninistes, che raccomandava ai suoi iscritti di an-
dare a lavorare in fabbrica; lui lo fece, lavorando per un anno alla Citron, e su questespe-
rienza scrisse un testo famoso, Ltabli. Sua figlia ha intervistato 23 figli di sessantottini
(le biografie di alcuni dei quali erano state inserite nella raccolta Gnration)
25
e gli stes-
si intervistati si autodefiniscono figli del Sessantotto. Nonostante rimpiangano di es-
sere stati allevati in ambienti in cui la cura dei figli non veniva mai messa al primo posto,
ma sempre dopo la politica, e riconoscendo che la trasmissione era molto difficile per
i nostri genitori, perch erano troppo coinvolti nel presente, trovano toni come questo
per confermare leredit dei propri genitori:
Ho fatto miei alcuni principi di quegli anni: lidea che tutto politica, la sfida allautorit, la
lotta per luguaglianza dei sessi, e il femminismo, ma ne ho rifiutati altri, come la militanza, la
libert sessuale, la denuncia dellordine borghese, laccettazione delle droghe, [con il risultato,
dice Virginie Linhart di se stessa, che] in me si svolge una negoziazione costante tra i valori
che mi hanno inculcato da bambina e il presente in cui mi trovo. [Oppure, come afferma una
delle sue intervistate:] Noi, figlie di femministe, siamo diventate molto casalinghe cio attac-
23
In J. Ortega Jurez, El siglo del relmpago. Siete ensayos sobre el siglo XX, Itaca-La jornada, Mxico 2002,
pp. 65-83.
24
V. Linhart, Le jour o mon pre sest tu, Seuil, Paris 2008.
25
H. Hamon, P. Rotman (a cura di), Gnration, 2 voll., Seuil, Paris 1987.
Le problematiche ripercussioni intellettuali del Sessantotto
141
cate alla felicit domestica e alle sue regole, al suo conformismo, ma portiamo il femminismo
dentro di noi perch ci siamo nate.
Che cosa emerge da questi frammenti di memorie ed esperienze? Prima di tutto, la con-
ferma dellosservazione di Ellen Willis, secondo la quale ci che manca dai dibattiti cor-
renti sugli anni Sessanta la loro esperienza emotiva
26
. Inoltre, il senso che le conse-
guenze intellettuali del Sessantotto sono innumerevoli e ancora da esplorare; devono
essere cercate soprattutto nelle aree dellinsegnamento e della trasmissione e in gran par-
te anche nei campi della ricerca transdisciplinare. Infine, sul terreno dellintellettualit
politica si sono verificati dei rovesciamenti, che dovrebbero essere esaminati in modo
pi riflessivo ed esplicito, per esempio al fine di raggiungere una comprensione multipla
dei concetti di libertario e liberale.
Derivazioni indirette e sinergie
Nel suo controverso volume intitolato La pense anti-68
27
, Serge Audier delinea il pro-
cesso con cui la rivolta del Sessantotto ha lasciato sedimenti positivi nei campi della cre-
azione pratica ed intellettuale. Sedimento un termine usato da Cornelius Castoriadis
(sdimentations positives) per indicare che le rivoluzioni moderne, sebbene siano sta-
te sconfitte, hanno lasciato uneredit che ha trasformato le societ e allo stesso tempo
sono state fermenti per una serie di trasformazioni future e per listituzione formale di
diritti, libert e garanzie, che hanno reso la societ pi vivibile. Cos, limportanza positi-
va del Maggio Sessantotto stata di rendere visibile a tutti il fatto che la politica ovun-
que, la societ stessa: tutto ci che nelle relazioni tra le persone ha a che fare con lau-
torit e il potere pu essere considerato politico e diventa un campo di battaglia.
Quindi la pense-68 non quello che Luc Ferry e Alain Renaut
28
hanno attribuito ai
matres--penser che scrivevano negli anni Sessanta e ancora prima, ma si riferisce a pen-
satori come Cornelius Castoriadis, Louis Gruel, Claude Lefort e Andr Gorz, che hanno
aperto la strada a un pensiero politico democratico, portando avanti il pensiero di Mer-
leau-Ponty e Sartre. Meno spettacolari di coloro che hanno dichiarato la fine delluma-
nesimo e del soggetto, questi autori hanno sviluppato, nei trentanni tra il 1970 e il 2000,
una linea di pensiero pi complessa che orientata verso il futuro.
Ad esempio, secondo Audier, Gruel vede nel Sessantotto la crisi del mantenimen-
to di un mondo condiviso, lindebolimento delloggettivit del mondo istituzionalizzato,
dellimposizione naturale delle regole della vita sociale, della presunta ovviet degli
assetti gerarchici e un cambiamento radicale nellatteggiamento verso le forme costituite
di professionalit. In altre parole, la trasformazione della soggettivit fu estesa dal Ses-
26
Citata in M. DeKoven, Utopia Limited. The Sixties and the Emergence of the Postmodern, Duke University
Press, Durham-London 2004, p. 289.
27
A. Serge, La pense anti-68. Essai sur les origines dune restauration intellectuelle, La Dcouverte, Paris
2008.
28
L. Ferry, A. Renaut, La pense 68. Essai sur lanti-humanisme contemporain, Gallimard, Paris 1985, tr. it. Il
68 pensiero, Rizzoli, Milano 1987 e L. Ferry, A. Renaut, 68-86. Itinraires de lindividu, Gallimard, Paris 1987.
Luisa Passerini
142
santotto al mondo della conoscenza, attraverso la critica dei modelli culturali di educa-
zione trasmessi nelle scuole, la critica della medicina, la creazione di un nuovo ecolo-
gismo, anche sulla base della relazione tra le nuove forme di conoscenza sviluppate dai
movimenti ecologici e della lotta contro la guerra in Vietnam.
Secondo Audier, stato soprattutto Castoriadis a sottolineare il contributo del Ses-
santotto a porre termine alla convinzione di essere o voler essere signori e padroni del-
la natura. La critica di uno pseudodominio pseudorazionale della natura, che non deve
essere confusa con un discorso antiscientifico o antitecnologico o con una posizione an-
timodernista, parte di unintegrazione della critica ecologica nella teoria democratica
ed molto lontana dallideologia progressista che vuole alzare lo standard di vita occi-
dentale a qualunque costo. Anche tale tipo di ecologismo pu dunque essere considera-
to una ripercussione intellettuale del Sessantotto.
Secondo questapproccio, nonostante i dogmatismi e le sconfitte, i movimenti degli
anni Sessanta hanno lasciato in eredit orientamenti intellettuali che riformulano ci che
ancora valido delle domande e delle aspirazioni degli anni della protesta: il bisogno di
emancipazione individuale rispetto alle strutture tradizionali, la ricerca della partecipa-
zione alla vita sociale e politica, laspirazione a una maggiore uguaglianza e la ridiscus-
sione delleconomicismo e del produttitivismo.
Un tentativo, forse non del tutto riuscito, del libro di Audier, di distinguere i con-
tributi intellettuali dallimpatto generale del Sessantotto, senza per questo separarli dal-
le loro implicazioni politiche. Per esplorare ulteriormente la relazione tra le ripercussio-
ni intellettuali e politiche, sono ricorsa a un sistema che gli storici non dovrebbero mai
usare, dal momento che, come ci viene insegnato, la storia non si fa n coi se n coi
ma. Vorrei proporre una deviazione da questo principio, seguendo lesempio del filo-
sofo tedesco Claus Offe.
In un seminario tenuto presso lIstituto universitario europeo di Fiesole nellanno ac-
cademico 2000-2001, Offe aveva proposto lipotesi controfattuale secondo la quale il
Sessantotto non avrebbe mai avuto luogo. Questa eliminazione sperimentale del Ses-
santotto gli permette di formulare quattro ipotesi, in ordine decrescente di ottimismo: i
movimenti del 1968 erano impegnati nella sovversione dei codici dominanti, intenden-
do con codice una norma istituzionalizzata di selezione e valutazione. In particolare,
gli studenti della seconda met degli anni Sessanta volevano decostruire i codici propri
della societ tedesca del dopoguerra e distinguere le differenze vere dalle false. La prima
ipotesi che, se nello spazio cognitivo della societ del dopoguerra non fosse stata fat-
ta quelloperazione, non ci sarebbero stati i movimenti femministi ed ecologisti, i partiti
dei Verdi, le rivendicazioni dei diritti per le minoranze etniche, religiose e sessuali. Una
seconda ipotesi configura il Sessantotto come sintomo, epifenomeno di un processo di
liberazione a lungo termine. In questa prospettiva, se il Sessantotto non si fosse verifica-
to, lo stesso processo si sarebbe sviluppato in ogni caso, probabilmente pi in l nel tem-
po, forse meno spettacolare e pi legato alle lite politiche. Una terza ipotesi recita che
il movimento sessantottino non port nulla di nuovo, ma rese irreversibili alcuni proces-
si; se non ci fosse stato, avremmo perso i suoi effetti protettivi contro la regressione nei
confronti dellautoritarismo, del razzismo, dei ruoli di genere apparentemente natura-
li, del tradizionalismo nelleducazione e cos via. Una quarta ipotesi che Offe trae da
Agnes Heller che il Sessantotto favor lemergere di una cultura di postmodernismo
Le problematiche ripercussioni intellettuali del Sessantotto
143
politico, abbandonando ogni distinzione tra vero e falso, svalutando quindi luniversali-
smo morale e negando ogni differenza. In questo caso il risultato della liberazione sareb-
be stata una condizione dindifferenza. Offe mette un punto di domanda allattribuzio-
ne di questo risultato al Sessantotto; di conseguenza non dice che cosa sarebbe accaduto
se il Sessantotto definito in quei termini non fosse mai accaduto.
Lipotesi pi controversa ed enigmatica lultima, che postula la relazione tra il Ses-
santotto e il postmodernismo. In questo caso tutto dipende dalla definizione che diamo di
postmodernismo. Se tralasciamo linsistenza sullindifferenza implicita nella quarta ipotesi
di Offe, troviamo una definizione pi incoraggiante, come quella data da Marianne DeKo-
ven
29
, secondo la quale alcuni aspetti della politica e delle controculture radicali degli anni
Sessanta portavano in s simultaneamente lultima fioritura del moderno e lemergere del
postmoderno. Mentre per DeKoven la modernit si riferisce al periodo che inizia con lIl-
luminismo e continua fino allemergere della postmodernit nel corso degli anni Sessan-
ta, il postmoderno emerso dai movimenti radicali e controculturali degli anni Sessanta,
impegnati nella produzione e ricezione di subculture sovversive, nel postcolonialismo, ne-
gli studi sulle etnie e le razze, negli studi culturali e negli studi di genere e queer. In questa
prospettiva, il postmodernismo visto come un locus di resistenza dallinterno.
Ci che credo sia importante in questo approccio lo sforzo di capire che cosa fosse
in gioco negli anni Sesanta al fine di accertare le potenzialit del nostro presente. Que-
ste sono, nonostante loscurit in cui ci muoviamo (il nostro un presente desolato, per
esempio in Italia), immense. Dico immense dal punto di vista del presente, ma con
uno sguardo anche alla media e alla lunga durata.
Le potenzialit sono immense se pensiamo alle considerazioni di Robert Young: la
potenzialit di prefigurare utopie postmoderne sulla base della congiunzione che, avvia-
ta tra il nord e il sud del mondo in termini simbolici sta nutrendo gli studi postco-
loniali. Potenzialit immense di riformulare progetti utopici, non in forma universalisti-
ca, ma in connessione con la vita quotidiana, con la critica ai consumi assurdi e ai troppi
aspetti insostenibili del cosiddetto sviluppo. Potenzialit di rovesciamento, di passaggio
dal ritiro allazione in vari campi, anche a livello intellettuale.
In conclusione, scorgo alcune potenzialit anche nel nostro lavoro di intellettuali.
Ho cercato di mostrare che i principi dei rapporti indiretti e della sinergia hanno funzio-
nato storicamente nelle relazioni tra il Sessantotto e i suoi antecedenti, cos come tra il
Sessantotto e il futuro. Jean-Paul Sartre una volta pose questa domanda: Perch il Ses-
santotto non dovrebbe verificarsi ancora?, fedele al proprio principio del pourquoi pas.
Penso che, pi modestamente, potremmo dire:
Perch certi rapporti indiretti, certe sinergie non dovrebbero verificarsi ancora? Anche pi
specificamente, in riferimento al nostro lavoro intellettuale e in relazione a possibili sviluppi
politici? Non potrebbe questo lavoro avere qualche valore in una costellazione di sinergie per
un possibile cambiamento futuro del mondo? E infine, perch non dovremmo fare il nostro
lavoro come se potesse convergere in un processo pi ampio di liberazione?
Vorrei concludere proprio con la domanda sartriana: pourquoi pas? Perch no?
29
M. DeKoven, Utopia Limited..., cit.
Luisa Passerini
144
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145
LALTRA CONTESTAZIONE:
LA RESISTENZA ALLARBITRIO E ALLA MENZOGNA.
NEL MONDO DEL DISSENSO RUSSO
Sergio Rapetti
Sono io che vi invito alla verit e alla rivolta,
che non voglio pi servire,
e spezzo le vostre nere pastoie
intessute di menzogna.
Jurij Galanskov, Mosca 1961, dal poema Manifesto umano
1
Tre anni cruciali: 1966-1968
Nei primi giorni di dicembre del 1965 un volantino fatto circolare allUniversit di Mo-
sca e in altri ambienti universitari rivolgeva Ai cittadini un Appello a partecipare il
5 dicembre alle 18 a un comizio pubblico indetto in piazza Pukin, uno slargo alberato
attorno al monumento del poeta, nel centro della capitale.
Per la festivit ufficiale del Giorno della Costituzione sovietica (quella staliniana
del 1936), studenti e cittadini erano dunque invitati a manifestare contro le possibili
violazioni delle norme sulla pubblicit del procedimento penale nella causa che si sta-
va istruendo contro il critico letterario Andrej Sinjavskij e il traduttore e poeta Julij Da-
niel, detenuti in arresto da alcuni mesi.
Richiamandosi alla Costituzione, si invocava da parte delle autorit il rispetto delle
leggi che esse stesse si erano date ammonendo: Le illegalit del potere sono costate nel
passato la vita e la libert a milioni di cittadini. Il passato sanguinoso ci richiama ad es-
sere vigilanti nel presente
2
.
Rispetto ai raduni giovanili con letture di poesie attorno a un altro monumento di
Mosca, quello a Majakovskij nella piazza omonima, degli anni 1958-1961, dispersi con
arresti dalla polizia, e alle effimere riviste dattiloscritte di poesia di quegli stessi anni
3
,
nelle quali si erano fatti le ossa proprio alcuni dei dissidenti di adesso, Ginzburg, Bu-
kovskij, Galanskov, liniziativa destinata a produrre durevoli conseguenze.
Sinjavskij e Daniel avevano fatto uscire allestero alcune loro opere scritte per il
cassetto tra il 1956 e il 1963, perch convinti di non poter comunque contare su una
1
Diffuso nel 1961 dal circuito dellautoeditoria alternativa (samizdat); in AA.VV., Da riviste clandestine
dellUnione Sovietica, Jaca Book, Milano 1966, p. 125.
2
Belaja kniga po delu Sinjavskogo i Danielja, testo samizdat, in A. Ghinsburg [ Ginzburg], Libro bianco sul
caso Sinjavskij-Daniel, Jaca Book, Milano 1967, p. 59.
3
Unampia scelta di traduzioni da Sintakis (1959-1960), Feniks (1961) e Sfinksy (giugno 1965),
stata pubblicata anche in Italia: AA.VV., Da riviste clandestine dellUnione Sovietica, cit.
Sergio Rapetti
146
loro pubblicazione in URSS. Firmate con gli pseudonimi rispettivamente di Abram Terz e
Nikolaj Arak, i libri avevano fatto scalpore, fino a diventare un caso ampiamente pub-
blicizzato; dopo il gennaio 1962 il nome di Abram Terz e di alcune delle opere pubbli-
cate erano comparsi pi volte sulla stampa sovietica in articoli propagandistici che de-
nunciavano gli smaccati falsi antisovietici fabbricati dai soliti mestatori della guerra
fredda. Ma il KGB (fra tutte le autorit sovietiche preposte la pi informata) sapeva bene
che i responsabili non andavano cercati tra gli emigrati, ma in casa propria e aveva intra-
preso una serrata caccia allautore. Allinizio del 1965 gli agenti della polizia segreta era-
no gi sulle loro tracce e in settembre il cerchio si era chiuso portando i due letterati nel
carcere interno della Lubjanka e poi in quello giudiziario di Lefortovo. Listruttoria si
stava svolgendo in segreto (sarebbe durata cinque mesi) senza che fossero stati resi noti
i capi daccusa ma le notizie che trapelavano erano univoche: i due imputati ammetteva-
no la paternit degli scritti ma ne rivendicavano la liceit dato che pubblicare allestero
non costituiva in s reato, le opere in questione erano creazioni letterarie e non potevano
essere in alcun modo assimilabili alla categoria della propaganda antisovietica. In lette-
ratura ribadivano i due amici e i loro sostenitori alla parola, anche la pi discutibile,
si replica con la parola, e la non conformit al dettato imposto dallalto di gusti e giudizi
estetici e letterari non pu avere rilevanza per gli organi giudiziari
4
.
Cos le 100 persone che si riunirono attorno alla statua del loro pi grande poeta, e
figura di riferimento anche per le virt civili, sapevano che la richiesta di pubblicit (gla-
snost) per il processo in preparazione, esposta in uno dei tre modesti cartelli che innal-
zavano, poteva far s che i loro due sodali alla sbarra, dei quali si parlava ormai molto sia
in URSS che allestero, potessero difendere con qualche eco le ragioni della legalit e del-
la libert. La manifestazione era stata organizzata da Aleksandr Esenin-Volpin, mate-
matico quarantenne e figlio del grande poeta Sergej Esenin, con laiuto, tra altri giovani,
di Vladimir Bukovskij (allora ventitreenne, che sar arrestato il 2 dicembre); entrambi
avevano gi conosciuto linternamento coatto in strutture psichiatriche come punizione
per le loro attivit antisovietiche ( Esenin-Volpin gi nel 1949, per dei versi che aveva
scritto), Bukovskij, per la detenzione di un libro proibito, e altre ne subiranno in fu-
turo, alternate a condanne al campo di prigionia
5
.
La piccola folla di piazza Pukin, dispersa in meno di 5 minuti dalla milizia, non sa-
peva di aver dato vita in tal modo alla prima manifestazione pubblica di protesta or-
ganizzata dai lontani anni del multipartitismo appena nato e subito agonizzante per la
violenta egemonia del bolscevismo-comunismo. Ed erano iniziate le espulsioni dal Kom-
4
Che invece li incrimineranno e condanneranno, dopo che al processo avranno mantenuto le proprie posi-
zioni, dichiarandosi innocenti: Sinjavskij a 7 anni di lager strogogo reima (campo di lavoro forzato a regime
severo o duro) e Daniel a 5, in base allart. 70, parte I, del Codice penale della RSFSR il quale punisce Lagita-
zione e la propaganda attuate col proposito di sovvertire o indebolire il regime sovietico [...].
5
Bukovskij diventer uno dei massimi esponenti del movimento dissidente, denunciando gli abusi della
psichiatria in URSS con un dossier dal quale in particolare non avrebbe pi potuto prescindere la comunit psi-
chiatrica mondiale. In Italia: Una nuova malattia mentale in URSS: lopposizione, Milano, Etas Kompass 1972. Il
regime si liberer di lui nel dicembre 1976 scambiandolo col leader comunista cileno Corvaln. Scriver una
bella autobiografia, Il vento va e poi ritorna, Feltrinelli, Milano 1978 e altri libri. Esenin-Volpin, matematico,
collaborer con Sacharov nel suo Comitato per i diritti delluomo e una volta emigrato si stabilir negli Stati
Uniti, dove insegner allUniversit di Boston.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
147
somol (la giovent comunista) e dalluniversit dei giovani ribelli fermati e individuati, il
che equivaleva a chiudere loro qualsiasi prospettiva. A dar conto di queste azioni oltrag-
giose per la democrazia provvede un appello del gruppo studentesco Opposizione
6
.
Come documenta altres lo straordinario Libro bianco di Ginzburg, il caso dei due
scrittori, prima, durante e dopo il processo, che verr celebrato a Mosca davanti alla
Corte suprema della Repubblica socialista federativa sovietica russa tra il 10 e il 14 feb-
braio 1966, con laccompagnamento di un vero e proprio linciaggio mediatico condito
di insulti
7
articoli, lettere indignate ai giornali di semplici cittadini e gruppi profes-
sionali oltre a provocare grande impressione nellopinione pubblica mondiale, influ
durevolmente sulla societ sovietica aiutando lincipiente comunit del dissenso
8
a defi-
nire i propri valori fondamentali, in particolare la libert di creazione e di diffusione del-
le informazioni indipendentemente dai diktat del potere e dai confini statuali.
Se a rivolgersi alla Corte suprema prima del processo, con coraggiose lettere indivi-
duali in difesa di Sinjavskij e Daniel, erano stati singoli e non molto numerosi esponenti
dellintellighenzia, dopo la condanna degli imputati si mossero, per evitare loro almeno
i lavori forzati blandendo il potere, ben 62 membri dellUnione degli scrittori dellURSS.
Nella lettera, indirizzata al Presidium del XXIII Congresso del Partito comunista e ai So-
viet supremi di URSS e Repubblica russa, sottoscritta anche da nomi molto noti, si pro-
pone come atto saggio e umanitario di rilasciare i condannati sotto la responsabilit
dei firmatari: si garantisce per loro poich non se ne considerano provate le accuse di
antisovietismo premeditato, perch sono persone di talento e potrebbero creare nuove
opere e riscattarsi da certe intemperanze. Si auspica dunque un ragionevole atto di cle-
menza: Lo esigono gli interessi del nostro paese. Lo esigono gli interessi della pace. Lo
esigono gli interessi del movimento comunista nel mondo
9
.
Meno ossequiosa la Lettera ad un vecchio amico che Ginzburg ritiene adatta a con-
cludere il libro perch riflette in modo esatto e completo latteggiamento dellintelli-
ghenzia nei riguardi dellaccaduto. Scritta a febbraio, mentre si celebrava il processo,
e nel 1966 mantenuta anonima, oggi ne conosciamo lautore: Varlam alamov
10
. Ne tra-
scrivo un brano significativo:
6
Cfr. la scheda di Approfondimento cronaca intitolata Processo agli scrittori Andrei Sinjavskij e Julij Da-
niel, su www.gulag-italia.it. Tali approfondimenti sono curati da Memorial-Italia, riguardano lintera storia
dellURSS-Russia dal 1917 ad oggi e sono documentati e puntuali.
7
Libro bianco, cit., pp. 83-112.
8
Dissident e dissidentstvo, come intuibile, derivano dal latino e sono di importazione; i termini russi usa-
ti fin dallinizio per dissenso e dissidenti sono pi precisi: inakomyslie e inakomyslja/ie: di diverso pensiero,
che la pensa diversamente; altre parole individuate dai protagonisti stessi per definire il movimento: sopro-
tivlenje (resistenza), protivostojanie, che pi far fronte, o anche opposizione, opposizione morale.
Ma, come la loro pi geniale invenzione, il samizdat, dissenso e dissidenti sono ormai diventati termini
acquisiti e duso comune anche in Russia.
9
Il curatore del dossier, A. Ginzburg, esprime considerazione e rispetto per liniziativa conciliante dei lette-
rati, fra i quali figurano nomi famosi delle lettere russe, ma osserva che purtroppo la loro richiesta giuridica-
mente infondata in quanto il Codice penale contempla la liberazione su garanzia soltanto di coloro che hanno
riconosciuto la propria colpevolezza e si sono sinceramente pentiti. (Libro bianco, cit., pp. 270-271).
10
Lha riproposta, col nome del suo autore, E.M. Velikanova nel libro da lei curato Cena metafory ili Pre-
stuplenie i nakazanie Sinjavskogo i Danielja (Il prezzo della metafora ovvero Delitto e castigo di Sinjavskij e
Daniel), ed. Kniga, Moskva 1989, pp. 516-525.
Sergio Rapetti
148
Fosse successo ventanni fa, Sinjavskij e Daniel sarebbero stati fucilati in qualche sotterraneo
dellMGB [la polizia segreta dal 1946 al 1954] o sarebbero stati sottoposti allistruttoria stile
catena di montaggio quando gli inquisitori si danno il cambio mentre laccusato costretto
nella stessa posizione per molte ore, per molti giorni, finch la sua volont spezzata e la psi-
che non lo regge pi. Oppure [...] li avrebbero uccisi addirittura in corridoio [...]. Sono stati
i primi ad accettare la lotta, dopo quasi cinquantanni di silenzio. Il loro esempio grande, il
loro eroismo indiscutibile. Sinjavskij e Daniel hanno rotto lobbrobriosa tradizione dei pen-
timenti e delle confessioni. Come hanno potuto fare tanto? Come hanno potuto, nulla
sapendo della solidariet dellOccidente, condurre il processo nel modo migliore? [...]
11
.
Mentre i due condannati venivano deportati in un politlager della regione di Perm
(Urali)
12
a scontare la pena, i loro congiunti, amici e sostenitori subivano a loro volta re-
pressioni sia amministrative sia giudiziarie: convocazioni da parte degli organi compe-
tenti, ammonizioni e richiami sul luogo di lavoro, espulsioni, licenziamenti. Si erano
pronunciati apertamente a favore degli imputati I. Golomtok, V. Duvakin e non molti
altri, ma la novit era tale che Dina Kaminskaja, indicata a suo tempo da Daniel come
avvocato difensore, la quale aveva dovuto rinunciare perch le autorit lavevano diffi-
data dallavvicinarsi al tribunale, potr osservare che gli imputati, con la loro determi-
nazione a difendere le proprie convinzioni avevano costretto molte persone a riconsi-
derare il proprio punto di vista e latteggiamento morale nei confronti dellesistenza
13
.
Ma in quellimportante snodo del 1964-1966, ultimo anno dellera di Chru/v e avven-
to e consolidamento di Brenev al potere, i ripensamenti e le prese di coscienza cui fa-
ceva riferimento la Kaminskaja stavano coinvolgendo un numero crescente di cittadini e
forgiando il nerbo e le non numerose ma eroiche schiere del dissenso per le future, de-
terminatissime, battaglie.
Lo testimoniano le vicende dellaltro grande processo (8-12 gennaio 1968) legato a
quello del febbraio 1966 e che passato alla storia come processo dei quattro. Esso
riguarda Aleksandr Ginzburg (nato nel 1939), Jurij Galanskov (1938), Aleksej Dobro-
volskij (1938), Vera Lakova (1944): dunque un giornalista e un poeta entrambi edi-
tori samizdat, un poeta e rilegatore, e una studentessa, incriminata per aver battuto
a macchina Il libro bianco di Ginzburg. Incarcerati nel gennaio 1967 per propagan-
da e agitacija antisovietica (e larresto provoca unimmediata manifestazione in piazza
Pukin con alcuni arresti e incriminazioni) vengono detenuti illegalmente per un anno,
subendo internamenti in prigione e trattamenti nellistituto psichiatrico criminale Ser-
bskij (il pentito Dobrovolskij accuser i propri compagni nel corso delle udienze).
11
Libro bianco, cit., pp. 293-294.
12
Aleksandr Daniel, curatore di un libro che raccoglie lettere e poesie di suo padre inviate alla famiglia dalla
prigionia, racconta nella prefazione che la presenza nel lager di due scrittori divenuti famosi dest sensazione
tra gli altri reclusi: circostanze riferibili fin l a personaggi dellepoca di Stalin tornavano a rivivere sotto i suoi
successori. Cfr. Ju. Daniel, Pisma iz zaklju/enija. Stichi (Lettere dalla prigionia. Poesie), Ed. Memorial-
Zvenja, Moskva 2000, p. 19.
13
Riuscir comunque a difendere negli anni alcuni dei maggiori esponenti del dissenso; Bukovskij, Ga-
lanskov, Mar/enko, il tataro Mustafa Demilev. Kaminskaja morta nel 2006. A Mosca sono state recentemen-
te ripubblicate le sue Memorie: Zapiski advokata, Novoe Izdatelstvo, Moskva 2009.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
149
Prima, durante e dopo larresto in tutta lURSS si svilupp unondata di proteste senza
precedenti: lettere individuali e collettive, petizioni sottoscritte da pi di 1.000 persone.
Fra i firmatari cerano accademici ed esponenti di rilievo della scienza, della letteratura
e dellarte sovietica. Fra gli attivisti della campagna alcuni campioni del nascente mo-
vimento per la difesa dei diritti civili: Andrej Sacharov, Larisa Bogoraz, Pavel Litvinov.
Questa campagna intensific lattivismo sociale nel paese [...] Cos nellaprile 1968 co-
minci a uscire in samizdat il bollettino dinformazioni Cronaca degli avvenimenti cor-
renti, i cui primi numeri consistevano quasi interamente di resoconti sulle proteste su-
scitate dal processo dei quattro e sulle persecuzioni subite dai loro autori
14
.
Le condanne al processo dei quattro erano state particolarmente severe per i due
principali responsabili non pentiti: Galanskov a sette anni di lager a regime duro
(strogogo reima) e Ginzburg a cinque
15
.
Quanto alla repressione di dimostranti, firmatari di appelli e promotori di campa-
gne di solidariet, il KGB e la Procura generale avevano presentato fin da giugno 1966 al
Comitato centrale del Partito comunista un progetto di integrazione dei Codici pena-
li della Repubblica russa e delle altre Repubbliche. Era necessario far fronte alle azioni
che pur costituendo un rilevante pericolo sociale, non erano punibili in base alla vigen-
te legge penale: si prendeva di mira, tra laltro, samizdat, pubblicazioni allestero, azio-
ni e manifestazioni con parole dordine non incriminabili come antisovietiche, che
invocavano, per dire, il rispetto della legalit e dei diritti umani, ecc. Il 15 settembre il
Partito approv e il giorno dopo il Presidium del Soviet supremo promulg il Decreto
che introduceva nel Codice penale i nuovi articoli 190.1-3 che sanzionavano la diffu-
14
La prima redattrice della Cronaca fu Natalija Gorbanevskaja. Poeta, partecip a una delle epiche im-
prese del dissenso: la manifestazione sulla Piazza Rossa in difesa della Cecoslovacchia invasa. Furono innalzati
tre cartelli e su uno si poteva leggere Za vau i nau svobodu. Per la vostra e la nostra libert sarebbe
diventato uno degli slogan del dissenso. Cfr. N. Gorbanevskaja, Polden (Mezzogiorno), Novoe izdatelstvo,
Moskva 2007. Il libro la riedizione a stampa di quello samizdat del 1969.

Per unesauriente panoramica del Processo dei quattro e il dettaglio delle firme vedi AA.VV., Il dissenso in
URSS, P. Sinatti (a cura di), Savelli-La Nuova Sinistra, Roma 1974, pp. 204-206. Piero Sinatti, studioso della
letteratura russa, saggista e giornalista, stato tra i primi in Italia a occuparsi con competenza e passione del
tema del dissenso. Ha scritto anche un saggio, corredato di testi, sulla Cronaca degli avvenimenti correnti:
Id., Il dissenso in Urss nellepoca di Brenev, Vallecchi, Firenze 1978.
15
Jurij Galanskov, espulso dalla facolt di studi storici nel 1960 per le sue idee, era stato punito per due
volte con lunghi periodi di cure psichiatriche coatte (prima per Feniks 61 e poi per piazza Pukin). Reduce
dal secondo internamento, nel 1966 aveva preparato e fatto circolare la corposa rivista samizdat di saggi e
poesie Feniks 66 (traduzione parziale con lo stesso titolo presso Jaca Book, Milano 1968). Dallultima con-
danna non uscir vivo: sofferente di ulcera duodenale verr operato in extremis nellinfermeria scarsamente
attrezzata del lager morendo per unemorragia. Recentemente un libro di oltre 600 pagine ha raccolto lettere
dalla prigionia, testimonianze e documenti sul suo caso: G. Kaganovskij (a cura di), Chronika kazni Jurija
Galanskova (Cronaca dellesecuzione di Jurij Galanskov), Ed. Agraf, Moskva 2006.

Scontata la pena Aleksandr Ginzburg diventer fiduciario dalla primavera 1974 del Fondo sociale russo creato
da Solenicyn per laiuto ai perseguitati politici e alle loro famiglie coi proventi della pubblicazione allestero
di Arcipelago Gulag, sar poi tra i fondatori nel maggio 1976 del Gruppo moscovita di Helsinki; arrestato
nel febbraio 1977 insieme al leader del Gruppo, il fisico Jurij Orlov, verr condannato a 8 anni di lager ma
espulso poi allestero insieme a Eduard Kuznecov e altri, in cambio di due spie sovietiche. Sar molto attivo
nellemigrazione come giornalista fino alla morte (a Parigi nel 2002).
Sergio Rapetti
150
sione di invenzioni calunniose atte a screditare il regime statale e sociale sovietico non-
ch lorganizzazione o partecipazione attiva ad azioni di gruppo che turbano lordine
pubblico
16
.
I gruppi informali e il loro strumento e presidio: il samizdat
Le repressioni, sempre pi articolate, non riusciranno comunque ad arginare lormai
inarrestabile processo di formazione e strutturazione del dissenso
17
. Dal 1969 in poi na-
sceranno Gruppi e Comitati e Commissioni a difesa dei diritti civili in senso lato. Essi
proclameranno apertamente i propri programmi e scopi, improntati alla glasnost e da
perseguire con gli strumenti pacifici dellattivismo sociale, si avvarranno di consulenti
giuridici, organizzeranno presidi di garanzia e solidariet allesterno dei tribunali dove si
processano i dissidenti, presenteranno proteste e proposte agli organismi competenti
18
.
Elenchiamone alcuni: gruppo diniziativa in difesa dei diritti delluomo, comitato per i
diritti delluomo, per i diritti dei credenti delle varie confessioni religiose
19
, delle varie
nazionalit non russe, in particolare per il ritorno nella patria storica dei piccoli popo-
li deportati da Stalin e poi la sezione sovietica di Amnesty International, di aiuto allap-
plicazione degli Accordi di Helsinki, sullutilizzo della psichiatria a fini politici, in difesa
dei diritti degli handicappati, in difesa degli interessi dei lavoratori (SMOT: Libera unione
interprofessionale dei lavoratori), per la libera emigrazione dallURSS, in particolare ver-
so Israele, per la fiducia tra Est e Ovest sui problemi della pace e del disarmo, ecc.
Saranno di necessit informali e illegali, stante il dettato costituzionale (art. 125) per
il quale lesercizio dei diritti di espressione (libert di parola, di stampa, di riunione, co-
mizi, cortei e dimostrazioni) sono garantiti ai cittadini dellURSS ai fini del rafforzamen-
to del regime socialista.
Accenniamo al fatto che, nel variegato panorama dei protagonisti e gruppi del dis-
senso, occupa un posto a s il filone socialista, rappresentato in primis dallo storico
16
Cfr. la scheda di Approfondimento cronaca intitolata Nuovi articoli del Codice penale, su www.gulag-
italia.it, cit.
17
Lo studio pi ampio e accurato di parte russa si deve a Ljudmila Alekseeva (1927). Insegnante di storia,
gi membro del PCUS, fu licenziata dal lavoro ed espulsa dal partito nel 1968 per aver firmato delle petizioni in
difesa di dissidenti ed emigr nel 1976; pubblicato allestero, si intitola Istorija inakomyslja v SSSR (Storia del
dissenso nellURSS), Khronika Press, Benson, Vermont 1984. Il libro stato rieditato in Russia con lo stesso
titolo: Ed. ZAO RIC Zacepa, Moskva 2001. In Italia, lo studio complessivo pi recente e importante : M.
Clementi, Storia del dissenso sovietico, Odradek, Roma 2007; inoltre M. DellAsta, Una via per incominciare. Il
dissenso in URSS dal 1917 al 1990, Ed. La Casa di Matriona, Milano 2003.
18
Lunica eccezione a questa glasnost disarmata dei gruppi dissidenti sar rappresentata dallUnione so-
cialcristiana di tutta la Russia per la liberazione del popolo (VSChSON), clandestina e cospirativa, nata in
ambiente universitario, che postuler il superamento di comunismo e capitalismo, anche con mezzi violenti,
in uno Stato che si ispiri alla fede e alla morale cristiana. Una sessantina di suoi membri, tra cui i leader Igor
Ogurcov, Michail Sado e Evgenij Vagin, verranno giudicati e condannati in due processi nel 1967 e 1968 con
condanne fino a 15-20 anni. Tra i capi daccusa: tradimento della patria. Vagin sconter 8 anni di campo
di lavoro, poi emigrer stabilendosi a Roma e lavorando alle emissioni in lingua russa della Radio Vaticana.
morto nel 2009.
19
La realt religiosa dellURSS da 50 anni documentata in Italia dal Centro studi Russia cristiana: www.
russiacristiana.org.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
151
Roj o Roy Medvedev e suo fratello ores (Jaurs). Esordiscono come dissidenti alla
fine del disgelo nel 1968 e linizio, dopo la destituzione di Chru/v, delle campagne
per la riabilitazione di Stalin (il padre dei due, gemelli, era morto ai lavori forzati alla
Kolyma nel 1941). Roj, iscrittosi al PCUS dopo il XX Congresso del 1956 ne viene espul-
so nel 1969 per le convinzioni incompatibili con lappartenenza al partito. Tuttavia,
nei suoi scritti e libri (che fino al 1988 resteranno proibiti in patria), egli convinto che
la democrazia socialista possa nascere solo da unazione congiunta di intellighenzia
e popolo tale da indurre gli elementi conservatori e reazionari del partito a significati-
vi mutamenti dindirizzo fino alla nascita graduale di gruppi di pressione che portino a
un processo di democratizzazione del sistema e del paese. Appoggia dunque le campa-
gne di petizioni e proteste del 1966-1968 ma rifiuta in definitiva come opposizione di
tipo estremistico il cosiddetto movimento democratico (quello per intenderci di Sa-
charov e di gran parte dei gruppi citati sopra). Eppure nel marzo 1970 proprio una let-
tera scritta con V. Tur/in e A. Sacharov ai dirigenti sovietici aveva fatto anche di lui un
pericoloso sovversivo agli occhi delle autorit. Comunque sia, tra il 1964 e il 1970
lanima di una rivista samizdat mensile intitolata Politi/eskij dnevnik (Diario politico)
destinata a un circolo ristretto di autori-lettori e a qualche alto funzionario di partito.
degli anni Settanta unaltra iniziativa editoriale (pi ambiziosa ma allestero): lalmanac-
co XX vek (XX secolo. Voci dellopposizione socialista nellUnione Sovietica) col so-
stegno di ores nel frattempo emigrato
20
.
Le altre pubblicazioni samizdat, riviste e bollettini, di vario orientamento, ben-
ch illegali per i motivi accennati sono tuttaltro che clandestine e mirano alla diffusione
pi ampia; sono talvolta esemplati sulla gi citata Cronaca degli avvenimenti correnti
come ad esempio la Cronaca della Chiesa cattolica in Lituania. Se ne elencano di se-
guito solo alcune altre a titolo esemplificativo: Ve/e ( lassemblea cittadina dellanti-
ca Rus), una delle riviste dei nazionalisti russi, Evrej v SSSR e Ischod (Esodo), degli
ebrei e per il diritto a emigrare, Ob/ina (tradizionale comunit socioeconomica ru-
rale), Nadeda (La Speranza) e altre riviste del samizdat religioso ortodosso, le riviste
degli evangelici battisti e i bollettini delle famiglie dei prigionieri battisti in URSS, la ri-
vista storica Pamjat (La Memoria), che pubblica voluminosi almanacchi dattiloscrit-
ti per i quali chiede ai lettori-diffusori di contribuire a una memoria collettiva disper-
sa
21
, la rivista di autori vicini al marxismo Poiski (Ricerche) e poi bollettini informa-
20
. Medvedev, biologo, nel 1969 viene licenziato dal lavoro per un libro sullo pseudoscienziato Lysenko,
pubblicato negli USA, e quindi rinchiuso a forza in un ospedale psichiatrico. Contro linternamento si sviluppa
una campagna di proteste in URSS e allestero in seguito alla quale viene rilasciato. Emigra nel 1973. Tra i suoi
libri: Lascesa e la caduta di T.D. Lysenko, Mondadori, Milano 1971 e Disastro atomico in URSS, Vallecchi, Firen-
ze 1979, Gorba/v, Mondadori, Milano 1986. Ma Roy quello che in Italia gode di invariata autorevolezza e
ascolto: le sue posizioni dialoganti col potere, vicine alleurocomunismo, ecc., sono considerate particolar-
mente significative e promettenti: Intervista sul dissenso in URSS, Laterza, Roma-Bari 1977; AA.VV., Dissenso
e socialismo, Einaudi, Torino 1977.
21
A questa iniziativa partecip anche Arsenij Roginskij, il cui padre scomparso nel Gulag e che oggi
presidente di Memorial a Mosca. Tra il 1976 e il 1982 tali almanacchi samizdat vennero pubblicati a stampa in
Occidente; e di questa opera di ricostruzione di una storia manipolata per decenni si sarebbe poi presa carico
la serie Minuvee. Istori/eksij Almanach (Il passato. Almanacco storico) che usc dapprima a Parigi da
Atheneum, per poi tornare in patria dal 1990 presso leditrice Progress-Feniks di Mosca.
Sergio Rapetti
152
tivi dei vari comitati: sulle repressioni psichiatriche, sulle difficolt, le discriminazioni e
le repressioni degli handicappati, sui problemi e le repressioni dei lavoratori organizzati
nel sindacato indipendente SMOT, su quelli degli attivisti per la libera emigrazione dall
URSS. Alcune di queste pubblicazioni arriveranno col tempo a contare decine di nume-
ri. Per la diffusione relativamente ampia di alcune di esse si render necessaria una rete
solidale di centinaia di lettori-editori (per la ricopiatura a macchina)-distributori. Atti-
vit, ricordiamolo, punita dalla legge o in svariate forme extragiudiziali. E che ha com-
portato, solo per i reati connessi alla diffusione della stampa alternativa, fin dallinizio
della vicenda che stiamo narrando, la rovina professionale e sociale di centinaia di per-
sone e delle loro famiglie.
Accenniamo brevemente alla situazione di emarginazione e spesso di grave difficol-
t economica in cui venivano a trovarsi, sempre che non finissero dietro le sbarre, gli at-
tivisti dei gruppi, i firmatari di appelli, i protagonisti e comprimari di processi giudizia-
ri, quelli che manifestavano lintenzione di emigrare, i coeditori-distributori di testi
samizdat, ecc. Chi fino al giorno prima rivestiva un ruolo rispettato, magari prestigioso:
professori, accademici, storici, scienziati, ricercatori, ecc., veniva ammonito sul posto di
lavoro, sottoposto ai collettivi di compagni, sospeso, licenziato, riducendosi a lavori
saltuari, di portalettere, facchino, o per i lavoratori della cultura, bene che andasse,
di collaboratore anonimo in ricerche, traduzioni o redazioni per conto terzi. E la preca-
ria sussistenza delle famiglie, spesso colpite da un doppio licenziamento, pativa lassedio
della riprovazione pubblica e della sorveglianza continua
22
.
Di come funzionasse il samizdat e che cosa significasse per i suoi addetti e adep-
ti abbiamo un racconto di N. Gorbanevskaja:
[Un giorno del 1962 in visita da Anna Achmatova] [...] ebbi il permesso di trascrivere il
suo Requiem [...] Per molti anni lo si era potuto ascoltare solo in una scelta cerchia di amici
dellautrice, che per la maggior parte lo imparavano a memoria. N la stessa Achmatova, n il
suo numeroso pubblico affid mai il Requiem alla carta. Ma dopo che, nel 1962, Novyj Mir
ebbe pubblicato Una giornata di Ivan Denisovi/, la Achmatova pens che forse era giunto il
momento anche per Requiem [...] [Decise] che lopera uscisse nel samizdat [...] oltre che da
me e Solenicyn a casa dellAchmatova [...] Requiem era stato ricopiato da decine di persone.
E naturalmente tutti o quasi, ritornati a casa, si erano messi alla macchina per scrivere [...] In
questo modo, solo dalle mie mani uscirono e si diffusero centinaia di Requiem, ma la sua tira-
tura complessiva nel Samizdat raggiunse almeno qualche migliaio di copie
23
.
22
Chi scrive stato testimone delle condizioni in cui vivevano, senza arrendersi, le mogli di Ginzburg e del
fisico Jurij Orlov allora incarcerati in relazione allattivit del Gruppo Helsinki. Mosca, primi giorni di novem-
bre del 1977, via Bolaja Poljanka, n. 11/4, int. 25. Mentre conversavo con Arina e Irina, nonch padre Gleb
Jakunin, fondatore del Comitato cristiano per la difesa dei credenti, ci scambiavamo bigliettini con notizie lo-
gistiche e operative: indirizzi, appuntamenti successivi, ecc. per eludere le intercettazioni di chi era in ascolto.
Dal punto di vista della quotidianit per i dissenzienti dal regime la situazione non era molto diversa da quella
efficacemente descritta dallo storico O. Figes nel documentatissimo The Wisperers (I sussurratori) tradotto col
titolo Sospetto e silenzio. Vita privata nella Russia di Stalin, Mondadori, Milano 2009. Ma indubbiamente era
resa meno disperata dallaiuto anche materiale della rete del dissenso e dalla frequentazione, pur non priva
di rischi, di visitatori stranieri.
23
AA.VV., Storie di uomini giusti nel Gulag, Bruno Mondadori, Milano 2004. pp. 77-81. Il poema Requiem
di Anna Achmatova, datato 1935-1940, ha una Dedica a tutte le donne, che come lei (Il marito nella tomba, il
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
153
Quale era per il contesto generale nel quale era arrivata a manifestarsi nella societ
post-staliniana questa effervescenza contestatrice? Il regime era sembrato voler voltar
pagina, venendo incontro ai bisogni di una popolazione stremata da decenni di terrore
e dallormai insopportabile oppressione e indigenza delle masse lavoratrici, con labo-
lizione di leggi draconiane in fabbrica, la riforma delle pensioni e lintroduzione del sa-
lario minimo: siamo nel 1956, lanno della denuncia chru/viana dello stalinismo al XX
Congresso (Rapporto segreto sui suoi crimini)
24
.
Dal Gulag, dopo le rivolte degli anni 1953 e 1954, finalmente smantellato nel 1955
come colossale complesso economico e solo ristrutturato per le esigenze di una repres-
sione pi mirata tornano a casa, quando rimasta una casa e una famiglia ad acco-
glierli, mescolati alle folle di reclusi che svuotano i lager, decine di migliaia di detenuti
politici con idee, esperienza e cose da raccontare che ogni poco tracimano dallambi-
to familiare per prendere le vie della controinformazione. Si alimentava cos, attraverso
le libere iniziative dellautoeditoria il filone delle memorie e narrazioni dei sopravvissu-
ti del Gulag ma non solo: venivano anche recuperati alla memoria collettiva i contribu-
ti dei protagonisti e storici-testimoni degli inizi dellURSS, gli scritti e i documenti dei
vecchi bolscevichi, menscevichi, anarchici, socialrivoluzionari e socialisti riformisti
che riferivano che cosa era veramente stato quel glorioso Ottobre fin l occultato da
miti fondativi, come tutta la storia successiva
25
. Ma soprattutto da cassetti e nascondi-
gli stavano uscendo e moltiplicandosi in copie dattiloscritte e manoscritte le opere a suo
tempo bloccate o mutilate da censori e poliziotti, di autori, taluni di livello mondiale,
della letteratura russa dei decenni precedenti: Mandeltam, Pasternak, Cvetaeva, Gu-
milv, Voloin ecc., e poi Platonov, Bulgakov, Babel, Pilnjak, Zamjatin, cui sarebbe-
ro seguiti, per i rifiuti che continuavano a essere opposti dalla censura, le memorie di
Nadeda Mandeltam e Evgenija Ginzburg, e le opere di alamov, di Grossman e i ro-
manzi di Solenicyn successivi ai primi racconti autorizzati, i saggi di G. Pomeranc,
L. Timofeev... Si sarebbero moltiplicati nel tempo anche libri dei protagonisti del movi-
mento del dissenso: P. Grigorenko, A. Amalrik, A. Mar/enko, V. Bukovskij, E. Kuzne-
cov, ecc. E il samizdat traduceva e faceva circolare, gi dalla fine degli anni Cinquanta,
anche libri di scrittori stranieri: Kafka, Saint-Exupry, Koestler, Orwell, Camus, e libri
di storia e politica: Avtorchanov, Fischer, Anin, ecc.
26
figlio in prigione, pregate per me) aspettavano, invano, notizie di mariti e figli allesterno delle prigioni degli
anni Trenta. Nel 1963 usc a Mnchen ed entr massicciamente nel circuito del tamizdat (pubblicato l,
allestero, quasi sempre a stampa e in piccoli formati, contrabbandati nellURSS da turisti e simpatizzanti);
in patria venne edito solo nel 1987, 21 anni dopo la morte dellAutrice (Oktjabr, n. 3). In Italia, tra altre
edizioni, in A. Achmatova, Poema senza eroe e altre poesie, C. Riccio (a cura di), Einaudi, Torino 1966.
24
Era seguita la risoluzione del CC del PCUS Sul superamento del culto della personalit e delle sue con-
seguenze, poi ribadita nel 1961 dal XXII Congresso, che aveva anche deliberato la traslazione della salma di
Stalin dal Mausoleo nel quale era esposta in compagnia di Lenin.
25
Uno di questi autori stato pubblicato recentemente anche in Italia: S. Melgunov, Il terrore rosso in
Russia (1918-1923), S. Rapetti, P. Sensini (a cura di), Jaca Book, Milano 2010. E in Occidente ha avuto pi
edizioni presso diversi editori il libro di due storici sovietici dellepoca post staliniana costretti per le loro
analisi eterodosse a pubblicare nel samizdat e poi a emigrare: M. Heller, A. Nekrich, Storia dellURSS. Dal 1917
a Eltsin, Bompiani 2001.
26
Devo a Jurij Malcev, italianista allUniversit di Mosca e, tra i dissidenti storici, uno dei primi costretti a
Sergio Rapetti
154
Leditoria ufficiale aveva cercato di tenere in qualche modo il passo ed era stata la sta-
gione cosiddetta del disgelo, dalla pubblicazione, pur assai contrastata, del romanzo
di V. Dudincev Non si vive di solo pane nel 1957 fino a quella, autorizzata da Chru/v
in persona di Una giornata di Ivan Denisovi/ di Solenicyn del 1962. Ma, sempre limi-
tandoci al campo letterario, erano episodi comunque contraddetti da casi di segno op-
posto: dalla persecuzione nel 1956-1958 de Il dottor ivago e del suo autore Pasternak al
processo al poeta Brodskij
27
nel 1964: il primo, fresco Nobel per la letteratura e il secon-
do futuro laureato dello stesso premio, per nellemigrazione. E dopo il cambiamento di
rotta antistaliniano, il riformatore Chru/v (che pure si poteva fregiare dei successi nel-
la corsa allo spazio), dovette far fronte alle improrogabili incombenze che toccavano a
un gensek (Segretario generale) del PCUS, tipo la repressione della rivolta in Ungheria, la
costruzione del Muro di Berlino, e allinterno la massiccia campagna antireligiosa, pro-
cessi ai nazionalisti, dallUcraina al Mar Baltico, crisi delleconomia con scioperi e agita-
zioni operaie (a Novo/erkassk soffocate nel sangue). Con lallontanamento di Chru/v
inizier la lunga stagione che sar chiamata zastoj, stagnazione.
Il dissenso invece non ristagnava: con lacquisizione e produzione e assimilazione
consapevole della massa imponente di testi letterari, filosofici
28
, storici, politici. docu-
menti, bollettini, proteste, petizioni, ecc., che costituiscono il samizdat, il dissenso ha
forgiato e raffinato, per se stesso e per la propria organizzazione e rappresentazione
allesterno, in URSS e verso lopinione pubblica internazionale, lo strumento e il presidio
di una efficace cultura alternativa, informata ai principi di glasnost (azione pubblica),
nonviolenza e pluralit delle opinioni. Il fenomeno, di assoluta novit, pu essere, per
uno dei suoi aspetti, cos sintetizzato:
Attraverso di esso [il dissenso] dopo la fortissima stretta leniniana e staliniana e la sclerosi dei
loro successori, si riaffaccia alla ribalta il ricchissimo mondo intellettuale e poetico, artistico e
religioso della Russia otto-novecentesca
29
.
Questo primo aspetto riguarda il patrimonio culturale e spirituale recuperato alla memo-
ria e alla vita
30
. Secondo dato basilare: il dissenso, pur costituendo una parte minoritaria
emigrare (dopo aver contribuito nel 1969 alla creazione del Gruppo diniziativa in difesa dei diritti delluomo)
la segnalazione di un fatto rivelatore, raccontato anche dal filosofo V. Bibichin in un recente libro (cfr. Id.
Drugoe na/alo, Nauka, Sankt-Peterburg, 2003, pp. 181-184). Riferisce Malcev che allinizio degli anni Set-
tanta venivano commissionate e realizzate, nellambito dellIstituto di filosofia dellAccademia delle Scienze
dellURSS, edizioni segrete in piccole tirature di testi proibiti, con la dicitura a uso interno per laggiorna-
mento culturale delllite sovietica; Malcev tradusse, tra laltro, un libro di L. Colletti, Il marxismo e Hegel.
27
Cfr. E. Etkind, Process Iosifa Brodskogo, Overseas Publications Interchemge Ltd, London 1988.
28
Citiamo, tra molti altri, il recupero di due testi fondamentali, Vechi (1909) e Iz glubiny (1918), tradotti in
italiano da Jaca Book coi titoli La svolta (1970, 1990) e Dal profondo (1971).
29
Cfr. AA.VV., Il dissenso: critica e fine del comunismo, Pier Paolo Poggio (a cura di), Marsilio, Venezia 2009,
Nota del curatore, p. 9.
30
E tanto pi prezioso per le inaudite devastazioni subite anche nel campo delle attivit intellettuali: a par-
tire dalle espulsioni dal paese nel 1922 dell intelligencija controrivoluzionaria agli scrittori fucilati in epoca
staliniana: V. entalinskij, lautore de I manoscritti non bruciano, Garzanti, Milano 1994, ha dedicato di recente
un libro a questa vicenda; i nomi del martirologio degli scrittori sono pi di 130! Cfr. Id., Prestuplenie bez
nakazanija (Delitto senza castigo), ed. Progress-Plejada, Moskva 2007, pp. 551-555.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
155
della societ sovietica, riguardo alla societ stessa resa muta e torpida dal pensiero uni-
co imposto, cerca di farsi interprete e portavoce delle reali esigenze dei popoli dellURSS,
quelle esigenze che non erano mai state completamente sradicate lungo tutti gli anni del
leninismo-stalinismo e oltre. Da documenti degli Archivi statali del Tribunale supremo
e della Procura generale dellURSS recentemente desecretati e congiuntamente pubblica-
ti nel 2005 risulta che gli atti, classificati come attivit sovversiva (kramola), secondo il
potere, ma di dissenso (inakomyslie), se viste dallaltra parte, nel quale sono coinvol-
ti significativi settori della popolazione, si sono perpetuati senza soluzione di continuit
sotto Chru/v, Brenev e successori
31
. Terzo: il dissenso matura in settori relativamente
ristretti, prevalentemente ma non esclusivamente di specialisti e intellettuali, senza co-
stituirsi in una consorteria; piuttosto un vivaio di prese di coscienza individuali e di
responsabilizzazione personale, che tendono a comporsi in un tessuto di fattiva solida-
riet: i dissidenti lavorano per conquistare, con lesempio delle proprie vite e lazione co-
mune, altre coscienze agli ideali di verit e giustizia di una societ che si vorrebbe libera-
ta dalla paura e dallinerzia; la gamma dei percorsi individuali varia dalla disobbedienza
civile alla contrapposizione (protivostojanie) nei confronti di un regime che perlopi ri-
sponde alle loro richieste col mero e cieco esercizio di un potere pur sempre arroccato
nelle proprie pretese totalizzanti. Quarto: in rapporto al potere, i dissidenti hanno dun-
que imparato e imparano sulla propria pelle che, per quanto tentino di dialogare recla-
mando perlomeno il rispetto delle leggi, da esso difficilmente possono aspettarsi qual-
cosa di veramente buono e socialmente utile; scrive Efim Etkind, richiamandosi a Vasilij
Grossman: Ignorando la libert, lo Stato ha creato un facsimile di parlamento, di ele-
zioni, di sindacati professionali, un facsimile di societ e di vita sociale [...]
32
. Quinto:
sempre rispetto al potere, il dissenso radicalmente altro, come radicalmente di di-
verso pensiero sono i suoi adepti. Vera Lakova, la dattilografa del Libro bianco di
Ginzburg e di montagne di samizdat dir in una conversazione privata: Eravamo noi
e loro. A loro di mettere i dissidenti in prigione, a noi di scrivere la verit. Sesto: il
dissenso, nella maggioranza dei suoi componenti
33
, non mira al potere e non individua
nellagone politico, neppure teoreticamente, il proprio campo principale dazione, un
movimento alternativo morale e sociale che aspira a essere lembrione di quella socie-
t civile la cui assenza o immaturit perpetua la catastrofe umana e politica indotta dal
comunismo sovietico. Settimo: per non essere tolti di mezzo, in silenzio, nel corso del-
le loro battaglie a viso aperto contro il potere, i dissidenti hanno messo fruttuosamen-
te in campo lo strumento della pubblicit delle proprie ragioni e azioni, in particolare
grazie al samizdat e ai contatti assidui e pi o meno sicuri che col tempo li hanno lega-
ti a studiosi, giornalisti e diplomatici occidentali, disposti ad affrontare qualche noia col
KGB e le autorit sovietiche: niente di paragonabile comunque a ci che rischiavano i
loro interlocutori, cittadini sovietici. In questo modo il dissenso ha acquistato una du-
31
Si tratta di movimenti popolari sediziosi e disordini di massa: rivolte nei luoghi di pena, scioperi operai,
volantini e lettere di protesta, boicottaggio delle elezioni-farsa, manifestazioni, gruppi clandestini dopposizio-
ne, ecc.: AA.VV., Kramola. Inakomyslie v SSSR pri Chru/eve i Breneve. 1953-1982, Materik, Moskva 2005;
inoltre V. Kozlov, Massovye besporjadki v SSSR pri Chru/eve i Breneve, Rosspen, Moskva 2010.
32
V. Grossman, Vita e destino, Introduzione, Jaca Book, Milano 1982, p. 9.
33
Con leccezione, evidentemente, di chi puntava, in nome del socialismo, sulla democratizzazione del par-
tito: vedi supra, pp. 150-151.
Sergio Rapetti
156
revole visibilit fuori dal paese. Cos si sono potute realizzare le campagne in difesa di
Sinjavskij e Daniel, di Solenicyn, di Sacharov e sua moglie Elena Bonner; e molte al-
tre, cos ad esempio potuto uscire, e rientrare per i canali del tamizdat, Arcipelago Gu-
lag, e si salvato Vita e destino di Grossman e innumerevoli altri libri e testi. E proprio
questa instancabile azione di denuncia, riecheggiata allestero, ha costretto le autorit
sovietiche, impegnate a salvaguardare la propria immagine internazionale e a persegui-
re quella distensione chera per loro vitale, a tener conto dellesistenza dei dissidenti,
dedicando sempre pi attenzione (anche al massimo livello del Comitato centrale e del
Politbjuro!)
34
, e risorse alla loro neutralizzazione. Col tempo questo ha avuto come ef-
fetto di frenare talvolta gli arbtri pi brutali degli operativi impegnati sul campo e di
far optare in casi specifici per lespulsione dal paese invece dellimprigionamento. Il ro-
vescio, ovviamente inevitabile, della medaglia lutilizzo improprio in Occidente, a fini
commerciali, sensazionalistici e, va da s, di propaganda politica, di testimonianze e te-
sti che ai loro autori sono costati anni di sofferenze se non la vita.
Quattro protagonisti
Presentiamo ora quattro protagonisti emblematici della resistenza morale al potere in
Unione Sovietica nel XX secolo, tre scrittori di fama mondiale, tra cui un Nobel per la
letteratura e uno scienziato Nobel per la pace, che hanno dato un diversissimo, ma indi-
spensabile apporto al risanamento spirituale di un paese gravemente mutilato nella me-
moria e nella coscienza. Le loro vite eccezionali sono caratterizzate da una operosit del-
la quale difficile rendere conto in poche pagine: si scelto pertanto per ognuno uno
scorcio temporale dal quale poi procedere con una narrazione che tenti di rilevare alme-
no qualche aspetto pi significativo
35
.
Varlam alamov: la ferita non rimarginata del cuore
19 febbraio 1929: Sono stato arrestato. Considero questo giorno, e questora, linizio
della mia vita sociale
36
. Prende cos avvio, concludendosi con una condanna al campo
34
Ad esempio, il capo del KGB Andropov riferisce ai suoi colleghi del Comitato centrale del PC sovietico
Suslov, Ponomarv e Kirilenko che il biologo ores Medvedev e un suo conoscente nella citt di Obninsk (Ka-
luga) hanno dattilografato in varie copie il romanzo inedito di A. Solenicyn Il primo cerchio per distribuirlo
tra i ricercatori della citt. Vedi V. Bukovskij, Gli archivi segreti di Mosca, Spirali, Milano 1999, p. 148.
35
Esprimiamo il rincrescimento per aver di necessit solo nominato o addirittura tralasciato del tutto altre
personalit eminenti e le loro vicende, di cui hanno scritto essi stessi o sulle quali si potrebbero scrivere, e in
alcuni casi sono stati scritti, interi libri: da P. Litvinov, L. \ukovskaja a P. Grigorenko, da S. Kovalv a L. Ko-
pelev e R. Orlova, da L. Bogoraz a A. Mar/enko, e poi V. Tur/in, V. \alidze, G. Superfin, L. e T. Plju/ e i tanti
esponenti delle nazionalit non russe, ecc. Si vedano per il Dizionario biografico dei dissidenti il sito www.
hrights.ru di Memorial Mosca, per il Samizdat Catalogue il sito allindirizzo: www.osa.ceu.hu e inoltre H.L.
Verhaar (a cura di), Biographical Dictionary of Dissidents in the Soviet Union,1956-1975, The Hague, Martinus
Nijhoff, 1982.
36
V. alamov, Alcune mie vite. Documenti segreti e racconti inediti, F. Bigazzi, S. Rapetti, I. Sirotinskaja (a
cura di), Mondadori, Milano 2009, p. 87.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
157
di concentramento (konclager) come elemento socialmente nocivo
37
, il primo dei pro-
cedimenti giudiziari subiti da Varlam alamov allora ventiduenne; seguiranno altre due
condanne nel 1937 e 1943, questultima a 10 anni, per agitazione antisovietica (ha tra
laltro affermato che lemigrato Bunin, premio Nobel 1933, un classico della letteratu-
ra russa) gli stata inflitta ormai da recluso del Gulag in uno dei lager della Kolyma.
Nella premessa al secondo volume di Arcipelago Gulag, Solenicyn scrive: La mole
di quella storia e di quella verit superiore alle forze di ununica penna. Ho potuto ve-
dere lArcipelago soltanto da una feritoia, non da una torre [...] Ma per fortuna qualche
altro libro emerso [...] Forse nei Racconti di Kolyma il lettore avvertir pi esattamente
lo spirito spietato dellArcipelago e il limite della disperazione umana
38
.
Solenicyn aveva anche proposto al futuro autore dei Racconti di Kolyma che ammi-
rava pi che altro come poeta allora noto solo ai lettori del samizdat
39
e rispettava per la
sua esperienza delle galere sovietiche, ben pi pesante della propria, di scrivere insieme
lArcipelago ma alamov si era rifiutato.
I racconti di Kolyma
40
, oggi celebrati e celebri in tutto il mondo, sono letteralmente
lopera della sua vita: una vita prima sofferta per quasi ventanni nel Gulag e poi scrit-
ta e sofferta nuovamente per quasi altri ventanni bruciando, anche suo malgrado, ogni
altra e diversa prospettiva e accomodamento esistenziale (la sua unica figlia lo rinneghe-
r), obbedendo solo allurgenza della poesia che lha sempre dominato.
Voglio accennare a una peculiarit di questa opera maggiore di alamov e della sua
opera in generale che lo rende sempre pi accetto e amato e sempre pi letto da molti in
patria e allestero. Dopo che i racconti avevano cominciato a circolare clandestinamen-
te in Russia e a essere pubblicati nel mondo, a chi lo definiva letopisec, cronachista (o
annalista) della Kolyma Varlam replicava Sono il cronachista della mia anima, e nien-
te di pi. Certo, ma anche niente di meno. Infatti alamov, impegnato a far rivivere
nel suo capolavoro letterario la memoria dei milioni di vittime del Gulag ammette e uti-
lizza un unico strumento per rianimare, in forma letterariamente adeguata, quelle vite:
la poesia, ma una poesia scritta con il sangue del cuore, le sue pulsazioni e vibrazioni.
la poesia ad avergli permesso, dallabisso di infamia del mondo concentrazionario, di
37
In realt il dispositivo della condanna mascherava da reato comune un delitto politico: quello dellade-
sione allopposizione antistaliniana in particolare con la preparazione e diffusione insieme ad alcuni giovani
trockisti della lettera al XII Congresso nota come Testamento di Lenin, nella quale il leader dei bolscevichi
esprimeva forti riserve su Stalin. Tenuta segreta al Congresso, dichiarata falsa e fatta sparire, la sua autenti-
cit verr attestata da Chru/v nel corso del XX Congresso antistaliniano (1956) col suo Rapporto (peraltro
anchesso segreto). Sul caso giudiziario e sulle memorie dello scrittore riguardo ad esso, vedi V. alamov,
Alcune mie vite, cit., pp. 65-101.
38
A. Solenicyn, Arcipelago Gulag, III-IV, Mondadori, Milano 1995 (1975), p. 8.
39
Varlam alamov dischiuse i suoi germogli nella primissima primavera: aveva creduto al XX Congresso e
avviato i propri versi lungo i primi precoci sentieri del samizdat gi allora. Io li lessi nellestate del 1956 e sus-
sultai: eccolo il fratello! Uno dei fratelli segreti della cui esistenza non dubitavo. Cfr. A. Solenicyn, La quercia
e il vitello. Saggi di vita letteraria, M. Olsfieva, S. Rapetti (a cura di), Mondadori, Milano 1975.
40
In Italia vi sono state alcune edizioni parziali; lunica integrale dei 145 racconti (1.313 pagine), e prima
edizione mondiale in lingua non russa, : Id., I racconti di Kolyma, I. Sirotinskaja (a cura di), nelle collane I
millenni e Tascabili, Einaudi, Torino 1999 e successive ristampe.
Sergio Rapetti
158
ascendere alla torre di cui parlava Solenicyn. E da questa torre, non davorio, di vedere
e dire cose che concernono ogni coscienza umana, di qualsiasi parte del mondo.
Poesia e verit devono andare insieme, e qualsiasi fatto della nostra vita vale non
in quanto attendibile ma per quanto pu essere significativo: cos alamov ragiona sul
proprio impegno, lunico possibile secondo lui, per un poeta che scriva anche in prosa,
nel saggio degli anni Sessanta O proze
41
.
Dei dettagli e particolari di una situazione, di una vicenda, della vita e destino di una
persona che si vogliano recuperare alla memoria, egli deve trascegliere solo quelli che
possono coinvolgere il lettore, fargli credere al racconto come a una ferita non rimargi-
nata del cuore. Perch ci avvenga, sostiene alamov , bisogna far rivivere lemozione.
Essa deve tornare ad agire, superando vittoriosa le paratie del tempo che passa, il muta-
mento delle opinioni. Solo a queste condizioni si pu far rivivere la vita.
alamov aveva dunque creduto al XX Congresso
42
, aveva presentato le poesie e i
racconti alle riviste letterarie sperando che passassero, aveva contribuito con vigoro-
sa eloquenza a rintuzzare i tentativi di chi voleva far tornare indietro il paese
43
, era per
i giovani contestatori lincarnazione stessa dellintegrit e irriducibilit delluomo inte-
riormente libero. Aveva frequentato e si era tenuto per quasi cinque anni (1952-1956) in
corrispondenza con Pasternak
44
, il suo poeta prediletto; poi dal 1962 al 1966 con Alek-
sandr Solenicyn e dal 1965 al 1968 con Nadeda Mandeltam. Dopo che Tvardovskij
aveva pubblicato Una giornata di Ivan Denisovi/, aveva a lungo sperato unanaloga riu-
scita ma le sue poesie e racconti erano rimasti a giacere nei cassetti di diverse redazioni
o avevano preso la via del samizdat. Per ottenere la pubblicazione in patria almeno del-
le poesie (e qualche magro riconoscimento era arrivato), e per frenare le pubblicazioni
incontrollate allestero aveva rinnegato i racconti nei quali si era speso con abnegazione
(La vita ha cancellato da tempo la problematica dei Racconti di Kolyma, era stato in-
dotto a scrivere)
45
. Sempre pi abbandonato a se stesso e in ristrettezze, malato, sordo
quasi cieco, aveva passato gli ultimi tempi nella sua stanzetta disadorna, affollata di ri-
correnti incubi; laveva lasciata per lospizio e da ultimo, a forza, per il manicomio dove
in capo a pochi giorni era morto (17 gennaio 1982).
In una delle Raccolte alamoviane
46
, N. Goloviznin affronta il tema di quali fosse-
ro le sue posizioni politiche specie in rapporto allopposizione di sinistra a Stalin. Sap-
41
Id., O proze, vol. V delle Opere in sei volumi, I. Sirotinskaja (a cura di), ed. Terra-Kninyj Klub, Moskva
2005, pp. 144-157; inoltre I. Sirotinskaja, Moj drug Varlam alamov (Il mio amico Varlam alamov), s.e., Moskva
2006. pp. 109-127; il testo basato su una lettera del 1971 di alamov allAutrice. Irina Sirotinskaja stata per
una decina danni molto vicina allo scrittore che morendo (1982) le ha conferito la propria eredit letteraria e
larchivio. A cominciare da una raccolta di opere in quattro volumi del 1998 Sirotinskaja ha curato numerose
pubblicazioni importanti degli scritti di alamov in Russia e allestero. morta a Mosca l11 gennaio 2011.
42
Cfr. supra, nota 39.
43
Si veda supra, pp. 147-148.
44
V. alamov, B. Pasternak, Parole salvate dalle fiamme, L. Montagnani (a cura di), Rosellina Archinto,
Milano 1988.
45
Vedi S. Rapetti, Introduzione a Varlam alamov, in V. alamov, Alcune mie vite, cit., pp. 46-47 e, per il testo
integrale della lettera del 1972 alla Literaturnaja gazeta, V. alamov, Trenta racconti dai lager staliniani, P.
Sinatti (a cura di), Savelli, Roma 1976, pp. 259-260.
46
alamovskij sbornik, n. 3, Grifon, Vologda 2002, pp. 160-168.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
159
piamo che laccusa di trockismo nei riguardi dello scrittore stata quella strumentale
standard, che ha colpito per decenni, sino ai grandi processi dimostrativi del 1936-1938,
gli oppositori interni del Partito. Per alamov non mai stato comunista. E in quello
che forse lultimo testo scritto di suo pugno, lincompiuto Profilo di Varlam alamov,
redatto da lui medesimo scrive: Ho attivamente partecipato agli eventi del 1927, 1928
e 1929 dalla parte dellopposizione e precisa: non quella di Trockij poich la maggio-
ranza degli oppositori non laveva molto in simpatia. alamov annovera se stesso tra co-
loro che per primi, sacrificando con abnegazione la vita, avevano cercato di trattenere
quel diluvio di sangue passato alla storia col nome di culto di Stalin
47
. Nel suo saggio il
citato Goloviznin si chiede di quale altra opposizione di sinistra potesse allora far parte
alamov se le altre opposizioni antistaliniane nel PC cominciarono a formarsi non prima
della seconda met del 1929, quando lo scrittore era gi in campo di concentramento.
In realt alamov anche durante la prima detenzione cerca interlocutori politici per
discutere con loro e chiarirsi le idee: ma non lo hanno chiuso in una prigione per oppo-
sitori, bens in un lager in mezzo a criminali comuni. E da subito, e poi negli anni elabo-
rer per se stesso una personale piattaforma politico-morale, fatta di decine di precetti
48
.
Ce n di evangelici: Ho visto e capito gli ultimi della fila [...] quelli odiati da tutti quan-
ti [...] perch restano indietro, da verificare alla luce di una semplice, ma quanto diffi-
cile!, coerenza a-ideologica: Essere un rivoluzionario significa prima di ogni altra cosa
essere un uomo onesto. E alamov esalter figure di socialisti rivoluzionari dellOtto-
cento, di audaci ribelli e fuggiaschi in armi dal Gulag novecentesco
49
.
Comunque la sua vera battaglia, dopo quella per la sopravvivenza senza cedere alla
corruzione del Gulag, sar quella poetica e non allinsegna dellarte per larte ma del-
la poesia per luomo sperimentandone fino in fondo, con ogni lembo dei nervi, con
ogni poro della pelle, laltissimo prezzo
50
.
Vasilij Grossman: nelle macine del totalitarismo
14 febbraio 1961: due agenti del KGB si presentano a casa dello scrittore Vasilij Gros-
sman con lordine di confiscare il dattiloscritto del romanzo izn i sudba (Vita e desti-
no), le minute, gli appunti, ecc.; poi sequestrano anche, presso le dattilografe, altre copie
e nastri delle macchine da scrivere e fogli usati di carta carbone (leggibili controluce). La
cosa richiede due giorni. Prelevano anche dalla cassaforte di Novyj Mir la copia che
47
V. alamov, Voskreenie listvennicy (La resurrezione del larice), Ymca-Press, Paris 1985, p. 13. Leditrice
parigina aveva pubblicato la raccolta di un centinaio dei Kolymskie rasskazy gi apparsa a Londra nel 1978 da
OPI; questo secondo libro introdotto come laltro da M. Heller, comprende 12 racconti di Kolyma e il testo
autobiografico \etvrtaja Vologda (La quarta Vologda, tr. it. a cura di A. Raffetto, Adelphi, Milano 2001).
48
V. alamov, Alcune mie vite, cit., pp. 31-34.
49
In V. alamov, I racconti di Kolyma, cit., tra altri racconti La medaglia doro, pp. 977-1007, Lultima batta-
glia del maggiore Puga/v, pp. 393-407; Il procuratore verde, pp. 648-693.
50
La sua corrispondente Nadeda Mandeltam scriver Qui [in Russia] per la poesia si uccide, e questo d
la misura dellinaudita considerazione di cui essa gode, poich c ancora chi di poesia vive, in Vospominanija.
Vtoraja kniga (Memorie, Secondo libro), Ymca-Press, 1987, IV ed., p. 15.
Sergio Rapetti
160
lautore aveva dato per unamichevole lettura a Tvardovskij, editore del suo preceden-
te romanzo, uscito nel 1952, Per una giusta causa
51
.
Cosa stava succedendo? Circa un anno prima Grossman aveva consegnato a V.
Koevnikov direttore di Znamja lopera appena ultimata (seconda parte di una dilo-
gia iniziata appunto con Per una giusta causa) perch lo pubblicasse e questi laveva tra-
smessa alla sezione culturale del CC del Partito comunista per una valutazione; ricevu-
tone il responso laveva a sua volta comunicato a Grossman come parere del comitato
redazionale: Vita e destino era impubblicabile in quanto antisovietico.
A proposito dellarresto del romanzo lo scrittore dir: come se mavessero
strangolato nellandrone
52
. Reagisce per rivolgendosi, dopo il XXII Congresso del Par-
tito, direttamente a Chru/v
53
:
I pensieri di uno scrittore, i suoi sentimenti, il suo dolore costituiscono una particella dei pen-
sieri, del dolore, della verit di tutti [...] Consegnando il manoscritto ai responsabili della reda-
zione, mi aspettavo che da parte loro emergessero critiche, richieste di tagli di alcune pagine,
magari di interi capitoli. Sia il direttore della rivista Koevnikov sia i dirigenti dellUnione
degli scrittori Markov, Sartakov e /ipa/v mi hanno detto che pubblicare il libro impossi-
bile, che il libro dannoso. Ma nessuno di loro lha accusato di falsit [...] Prego di rimettere
in libert il mio libro affinch a parlarne e discuterne con me siano i redattori e non gli addetti
del Comitato per la sicurezza di Stato
54
.
Suslov in persona, invece, ad incaricarsi di dirimere la nuova grana letteraria
55
; il
principale ideologo del partito riceve Grossman per dirgli che non gli avrebbero restitui-
to, n tanto meno pubblicato, quel romanzo politico, che sarebbe potuto uscire non
prima di due o trecento anni
56
.
Ripercorriamo le tappe della vita e del trascorso successo di Grossman, il quale al-
meno fino alla vigilia della guerra era quasi senza pecche agli occhi del potere che anzi
voleva vedere in lui il tipico ingegnere delle anime umane, di quelli che Stalin inten-
deva presiedessero alla rifondazione, ispirata al realismo socialista, delle lettere e delle
arti (1932).
Nato nel 1905 a Berdi/ev (Ucraina) in una famiglia di intellettuali ebrei di lingua rus-
sa e cultura europea, compie i suoi studi (sulle orme del padre) a Mosca lavorando poi
come ingegnere chimico in una miniera di carbone del bacino del Don. Dal 1933 si stabi-
lisce nella capitale e dal 1934 al 1940 pubblica novelle e racconti sulla produzione (Glju-
khauf), la guerra civile (Nella citt di Berdi/ev e Quattro giorni), il movimento rivoluzio-
nario russo dal 1905 alla prima guerra mondiale (Stepan Kol/ugin). Viene apprezzato da
51
Si veda per lintera vicenda: E. Etkind, Introduzione a Vita e destino, Jaca Book, Milano 1982, pp. 7-18.
52
V. Sarnov, Russkij pisatel Vasilij Grossman (Lo scrittore russo Vasilij Grossman), in V. Grossman, Sobra-
nie so/inenij (Opere), Varius-Agraf, Moskva 1998, vol. IV, p. 423.
53
Anche Grossman, come alamov, come Solenicyn, aveva creduto nel nuovo corso.
54
Lettera del 23 febbraio 1963; citata in L. Lazarev, Svet svobody i /elove/nosti (La luce della libert e
dellumanit), Lechaim, n. 12, 2000; www.lechaim.ru/archiv/104.
55
1959: persecuzione di Pasternak, per la clamorosa pubblicazione allestero, nel 1957, del suo Il dottor
ivago.
56
E. Etkind, Introduzione a Vita e destino, cit., p. 10.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
161
Gorkij, olochov, Babel, Platonov, Bulgakov. Anche la seconda guerra mondiale lo trova
in prima linea, inviato del giornale dellesercito Krasnaja zvezda (Stella rossa), sui fron-
ti bielorusso e ucraino. Partecipa alla battaglia di Stalingrado, viene decorato. I suoi arti-
coli e libri ispirati alla guerra, tra i quali Il popolo immortale (1942) hanno un vastissimo
pubblico al fronte e nelle retrovie e nasce il progetto di un libro sulla battaglia di Stalin-
grado. Dapprima si intitola proprio Stalingrado, poi diventa Per una giusta causa e non
solo il titolo a cambiare: Tvardovskij sottopone la prima versione del romanzo, dintesa
con lautore, a una massiccia revisione redazionale intesa a prevenire le obiezioni del-
la censura, che il direttore di Novyj Mir conosce a menadito; attenua in particolare il
quadro troppo cupo dipinto da Grossman non solo delle sofferenze della popolazione
devastata dal conflitto, ma della guerra in s, d rilievo alla figura e al ruolo di Stalin, rele-
ga in secondo piano quello di uno dei personaggi principali, un ebreo, dando spazio a un
corrispondente protagonista, russo. Il romanzo era comunque uscito, in quattro nume-
ri di Novyj Mir del 1952 e anche in questa variante alleggerita era stato apprezzato
dai lettori. A partire dal febbraio 1953 la critica ufficiale
57
, aveva per lamentato lo scar-
so rilievo dato ai temi dellideologia che muoveva leroismo del popolo russo, e del ruolo
direttivo del partito nellorganizzare la vittoria; per contro, osservava, vi si parlava conti-
nuamente di tragici destini individuali e abnegazione personale.
Il tema ebraico, spinoso per i censori sovietici, come si sopra accennato, per
Grossman era quello delle sue radici improvvisamente messe dolorosamente a nudo
(sua madre sarebbe morta nella distruzione nazista del ghetto di Berdi/ev). I disastrosi
rovesci subiti allinizio dai sovietici avevano comportato loccupazione nemica di vastis-
simi territori dellURSS e lavvio massiccio, proprio nellEst Europa, della programmata
soluzione finale, oggi nota come Shoah e tutto ci aveva toccato nellintimo pi pro-
fondo linviato della Stella rossa Grossman, al seguito delle truppe del suo paese, nella
vittoriosa controffensiva da Stalingrado a Berlino. Dalla sua penna era quindi uscito nel
settembre 1944 Linferno di Treblinka
58
e quante (e quali!) altre pagine, del futuro Vita e
destino
59
. Poi nel dopo guerra Grossman rediger con I. Erenburg il Libro nero sugli or-
rori delloccupazione nazista dei territori sovietici e della deportazione ebraica alla vol-
ta dei campi di sterminio in territorio polacco. Commissionato dal Comitato antifascista
ebraico, gli autori ci lavoreranno dal 1945 al 1947, ma il testo pronto per la stampa non
verr pubblicato
60
e anzi nel 1948 viene sciolto e arrestato il Comitato, diversi collabo-
57
Fu M. Bubennov sulla Pravda del 13 febbraio 1953 a dare il la a quella che si rivel una campagna
contro Grossman.
58
Il saggio sul campo di sterminio, datato settembre 1944 pubblicato su Znamja, n. 11, novembre 1944;
per la prima volta al mondo uno scrittore, e non un testimone sopravvissuto, cerca di descrivere quel che
accaduto nelle camere a gas: cos S. Markish, Le cas Grossman, Julliard LAge dHomme, Paris-Lausanne 1983,
pp. 70-73.
59
Ricordiamo solo i capitoli 47-49, Parte seconda, che derivano direttamente dallInferno di Treblinka: su-
perano la loro fonte, rileva sempre Markish (op. cit., p. 73), come il ritratto di un grande artista supera una
foto amatoriale; e, davvero, di quella linea narrativa chi potr mai dimenticare Sofja Levinton che diventa
madre stringendo a s David dal corpo duccellino, mentre abbracciati muoiono soffocati dal gas?
60
Ripristinato sulla base di un manoscritto e di bozze di stampa fortunosamente sottratte alla distruzione,
il Libro nero stato pubblicato nel 1994 in Germania, a cura di Arno Lustiger, e nel 1999 in Italia da Mon-
dadori.
Sergio Rapetti
162
ratori del Libro nero vengono addirittura incriminati e fucilati di l a quattro anni. Quel
1952 era anche la vigilia del cosiddetto complotto dei medici-assassini del Cremlino,
della progettata deportazione in Siberia degli altri ebrei per preservarli dalla giusta col-
lera popolare; per anche la vigilia della morte di Stalin, circostanza che far rientra-
re il tutto. Ma ormai Grossman, nel gennaio 1953, sapendo della campagna che si sta-
va montando e temendo per la propria vita aveva accettato di figurare tra i firmatari
di una lettera aperta che chiedeva al governo dellURSS e al compagno Stalin la de-
portazione dei sovietici rinnegati di origine ebraica
61
.
Ed con questo carico di distruttiva angoscia, tra cedimenti e passi temerari te-
stimone e vittima dei due totalitarismi, schiacciato anche tra le tenaglie della censura e
dellautocensura che Grossman riuscito non solo a dedicarsi per dieci anni (1950-
1960) a Vita e destino e anche (1955-1963) allaltro segretissimo romanzo postumo Vs
te/t (Tutto scorre), ma a condurne in porto la stesura
62
.
noto il convincimento di Grossman della profonda affinit tra comunismo stalinia-
no e fascismo hitleriano, espresso anche nel famoso dialogo sullargomento tra Liss, un
miliziano SS apprezzato da A. Eichmann, e il vecchio bolscevico Mostovskoj. Il gi ricor-
dato critico V. Sarnov propone piuttosto di sentire tutto lorrore di questi uomini nuo-
vi forgiati dal totalitarismo nellepisodio, che si svolge tra i prigionieri di guerra sovie-
tici in un lager nazista, in cui un maggiore, Erov, sembra predestinato per popolarit e
autorevolezza a capeggiare la rivolta in preparazione dei detenuti; ma Erov un senza
partito, un elemento socialmente dubbio, e la decisione dei comunisti unanime: con
la complicit di un compagno dellamministrazione fanno aggiungere il suo nome a una
lista di prescelti per Buchenwald
63
.
Cos, a livello generale, la vittoria di popolo a Stalingrado si ritorce paradossalmente
contro il popolo stesso, perch consacra il dominio del tiranno ideologo che pu procla-
mare senza remore lavvento, anche nellURSS, del nazionalismo di Stato.
Ma non basta: in Tutto scorre un viaggio a ritroso nella storia del proprio paese, nel-
le vesti di Ivan Grigorevi/, ex galeotto del Gulag, durante il quale si rievocano gli orrori
delle stragi per fame indotte in Ucraina per piegare i contadini, la guerra civile, il terrore
bolscevico Grossman individua un altro paradosso, che allorigine di tutta la moder-
na tragedia russa: nel XX secolo Lenin ha rafforzato la servit millenaria, contro la quale
aveva combattuto, favorendo un nuovo asservimento dei contadini e degli operai e tra-
sformando gli uomini di cultura in servi dello Stato [...]
64
.
Che cosa pu opporre luomo, non pi pesante di una piuma, attanagliato dal-
lestremo terrore e dallestrema sottomissione, allincommensurabile massa di trilioni
61
L. Rapoport, La guerra di Stalin contro gli ebrei, Rizzoli, Milano 2002 (1 ed. 1991), pp. 194-195.
62
Senza comunque poterli vedere pubblicati (morir nel 1964 di cancro e crepacuore). Due copie di izn i
sudba (Vita e destino) erano state da Grossman affidate al poeta S. Lipkin e un altro amico; poi con laiuto di
A. Sacharov, E. Bonner e lo scrittore V. Vojnovi/, avevano raggiunto lOccidente; in capo a una paziente lavoro
filologico, E. Etkind e S. Marki ( Markish) lo avevano fatto pubblicare a Losanna nel 1980 presso le edizioni
LAge dHomme; in Italia uscito nel 1984 presso Jaca Book (nel 2008 una nuova versione da Adelphi). Vs
te/t (Tutto scorre) stato pubblicato da Posev, Francoforte sul Meno, nel 1970 (in italiano da Mondadori nel
1971 e da Adelphi nel 1987).
63
V. Sarnov, op. cit., pp. 428-429.
64
V. Grossman, Tutto scorre, Mondadori, Milano 1971, cap. 22.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
163
di tonnellate dello Stato totalitario? Nientaltro che se stesso e la propria irriducibile li-
bert di fare il bene, di sapersi preservare come impercettibile ma indistruttibile cellu-
la della moralit sociale
65
.
Aleksandr Solenicyn: ricostruire la Russia
16 maggio 1967: lo scrittore, celebre in patria e in tutto il mondo dopo la pubblicazio-
ne, cinque anni prima, di Una giornata di Ivan Denisovi/, ispirato alla propria esperien-
za personale di detenuto nel Gulag, indirizza al IV Congresso dellUnione degli scrittori
dellURSS una lettera, che fa arrivare anche a centinaia di delegati, nella quale si chiede di
affrontare il tema dellintollerabile asservimento che la nostra letteratura patisce da de-
cenni ad opera della censura
66
e che lUnione stessa non pu pi sopportare. Raccon-
ter nella sua autobiografia:
Questa volta dovevo chiamare le cose col loro nome e gridare pi forte. Sono infinitamente
difficili tutti gli inizi, quando la semplice parola deve smuovere linerte macigno della materia.
Ma non c altra strada se tutta la materia non pi tua, non pi nostra. Anche un grido pu
provocare una valanga in montagna. Mi travolgesse pure. Forse soltanto in mezzo allo scon-
quasso avrei capito gli animi sconvolti del 1917
67
.
Il pubblico sconquasso enorme, la lettera circola nel samizdat e allestero, pi di 80
colleghi appoggiano le richieste dello scrittore alla loro associazione, tra cui quella di di-
fenderne i membri dagli abusi e persecuzioni delle autorit politiche e giudiziarie. Dal
1965 lo stesso Solenicyn ne subiva la sorveglianza e lassedio: parziali distruzioni e se-
questri di archivi nei nascondigli di amici e nei rifugi fuori mano dove lavora
68
; inol-
tre allepoca Archipelag Gulag a buon punto e V kruge pervom bloccato presso No-
vyj mir dal maggio 1964 mentre, tra giugno-luglio 1966 e marzo 1967, Tvardovskij ha
letto e rifiutato Rakovyj korpus. I due romanzi perverranno allestero per le vie del sa-
mizdat, non senza altre manovre provocatorie del KGB, e verranno pubblicati confer-
mando la sua statura di grande narratore
69
. Tra il 1967 e il 1974, nel corso di sette anni,
Solenicyn dispiega unattivit che ha del prodigioso: oltre a continuare il lavoro con-
temporaneamente sullArcipelago Gulag e sul grande ciclo storico La ruota rossa (Agosto
1914 verr inviato nel febbraio 1971 a Parigi per la pubblicazione e fino a tutto il 1973 si
65
E. Etkind, op. cit., p. 17.
66
A. Solenicyn, Il mestiere dello scrittore, Jaca Book, Milano 1968, 2 ed. 1979, pp. 29-39.
67
A. Solenicyn, La quercia e il vitello, cit., p. 181.
68
Si veda laccurata Cronologia della vita e delle opere in L. Saraskina, Solenicyn, Adriano DellAsta (a cura
di), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2010, pp. 1387-1427.
69
V kruge pervom (Nel primo girone) usc in Italia col titolo Il primo cerchio (Mondadori, Milano 1968) e
Rakovyj korpus (Padiglione cancro) col titolo Reparto C (Einaudi, Torino 1969): sono potenti affreschi corali
di vite e destini in dialogo e conflitto, rispettivamente nellambiente privilegiato (primo girone dellinferno) di
un centro di ricerche scientifiche del sistema concentrazionario e in un reparto oncologico, a tu per tu con la
morte e lesigenza di tirare le somme: esperienze entrambe vissute dallo scrittore e sviscerate nei loro aspetti
psicologici e spirituali.
Sergio Rapetti
164
dedicher a Ottobre 1916), continua la stesura di La quercia e il vitello, scrive tutta una
serie di articoli destinati ad avere grande risonanza tra cui il Discorso del Nobel (il pre-
mio per la letteratura gli stato conferito per il 1970), la Lettera ai dirigenti dellUnio-
ne Sovietica inviata al CC del PCUS il 5 settembre 1973 e Vivere senza menzogna che verr
lanciato nel samizdat il 13 febbraio 1974, giorno della sua espulsione dal paese; coordi-
na inoltre, lantologia di scritti Iz-pod glyb (lett. Da sotto i massi)
70
destinata allautoedi-
toria, fornendo in extremis due suoi articoli.
La situazione precipita nellagosto 1973, dopo il suicidio di una collaboratrice dello
scrittore e il sequestro da parte del KGB di una copia dellArcipelago; Solenicyn dispo-
ne che il libro, gi al sicuro a Parigi, venga pubblicato, cosa che avviene, per la prima
parte, il 28 dicembre. Parte una violenta campagna di stampa, contrastata da Solenicyn
con dichiarazioni varie, tra cui nel gennaio 1974 il comunicato che i diritti per il libro
sul Gulag verranno devoluti ai detenuti politici dell URSS; prima dell11 febbraio termi-
na il secondo di due articoli per lantologia Iz-pod glyb e il 12 viene arrestato, condot-
to al carcere di Lefortovo, l gli viene notificata lespulsione dal paese, viene caricato su
un aereo e deportato in Germania; a marzo verr raggiunto dalla famiglia a Zurigo. Poi
lesilio negli Stati Uniti e nel 1994 il rientro, ventanni dopo, riabilitato e pubblicato, nel-
la Russia postcomunista.
Chiamare le cose col loro nome; trarre da sotto i massi ideologici che la oppri-
mono la memoria storica obliterata da censure e falsificazioni; ricostituire quei valo-
ri personali, etici, religiosi e nazionali che soli possono far uscire la Russia dal vicolo cie-
co in cui si ridotta [...] caduta degli ideali, crisi sociale, impasse tecnologica, tendenze
espansionistiche; il rimedio, a livello dellindividuo e della nazione, darsi volontaria-
mente dei limiti per il bene comune e questo anche in rapporto allambiente naturale,
ieri come oggi particolarmente depredato nella Russia-URSS; rifiutiamoci almeno di dire
ci che non pensiamo [...] anche questa via che pure la pi moderata tra le vie della re-
sistenza sar tuttaltro che facile per quegli esseri intorpiditi che siamo; nessuno sulla
Terra ha altra via duscita: andare pi in alto
71
.
A questi criteri si attiene lo stesso Solenicyn, combattendo con energia indomita la
sua battaglia contro il regime, recuperando la verit storica del Gulag (da Lenin, Stalin e
oltre), tentando limpresa di ricostruire in migliaia di pagine i reali antefatti di quella Ruo-
ta rossa che quando si messa in moto non poteva che seguire quella strada esiziale.
Dobbiamo costruire una Russia morale, o altrimenti nessunaltra, perch allora
non avrebbe pi importanza: unutopia etico-religiosa e tradizionalista, non certo
per nostalgica dellautocrazia dellOttocento n tenera coi liberali velleitari della rivo-
luzione borghese di Febbraio, diffidente di istituti di rappresentanza, copiati dallOc-
70
AA.VV., Voci da sotto le macerie, S. Rapetti (a cura di), Mondadori, Milano 1981.
71
Sono le parole dordine per una nuova o ritrovata moralit (allinsegna della responsabilit personale) cui
lAutore esorta i propri connazionali: Vivere senza menzogna con la Lettera ai dirigenti, Mondadori, Milano
1974; Come ricostruire la nostra Russia, Rizzoli, Milano 1990; La questione russa alla fine del secolo XX,
Einaudi, Torino 1995; Rossija v obvale; La Russia nel precipizio, Moskva 1998. Ma negli anni di esilio non
risparmia neanche lOccidente materialista e individualista in crisi di valori e ideali autentici, con lottundente
benessere come orizzonte e la pavida fragilit delle sue democrazie (Un mondo in frantumi. Discorso di Har-
vard, CL-Litterae communionis, Milano 1978).
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
165
cidente, trapiantati meccanicamente su un terreno che ha conosciuto settantanni di
totalitarismo e tuttaltro che attratta dal libero gioco del mercato. Non un inno
allideologia del nazionalismo ma lesaltazione delle risorse di una ritrovata autoco-
scienza nazionale che non disprezzi il proprio patrimonio di cultura (compresa quel-
la letteraria e quella materiale e sociale di un paese per mille anni contadino), che non
trascuri la propria storia e non rinunci a legittime aspirazioni nazionali
72
. E che si sfor-
zi comunque di tenersi al passo dei tempi, consapevole di un dovere di testimonianza
anche in una modernit difficile: Cos vorrei dare una mano anchio a portare fin l
una staffetta [...] La luce ancora accesa della nostra anima [...] Basta che non si spen-
ga nel nostro secolo, nel secolo dellatomo, dellacciaio, del cosmo, dellenergia, della
cibernetica [...]
73
.
Andrej Sacharov: la lotta per la pace e i diritti civili
19 marzo 1970: Andrej Sacharov, con Valentin Tur/in (allora presidente della sezione
sovietica di Amnesty International) e Roy Medvedev, indirizza ai massimi dirigenti del
Partito e dello Stato una lettera nella quale si rilevano le difficolt in cui versa lURSS in
campo economico, culturale e sociale individuandone la causa principale nella mancan-
za di libert e lunico e urgente rimedio in una democratizzazione del paese. Nel marzo
1971, in un Memorandum a Brenev, Sacharov argomenta e ribadisce tale richiesta (nel
frattempo ha fondato, il 4 novembre 1970, un Comitato dei diritti delluomo insieme a
Valerij \ alidze e Andrej Tverdochlebov, anche loro dei fisici). Il Comitato, cui aderisco-
no nel tempo in molti (compreso, per un breve periodo, Solenicyn ) oltre che propor-
re la propria collaborazione e quella dei suoi consulenti giuridici alle varie istanze uffi-
ciali per la soluzione del problema i diritti delluomo nella societ socialista, sostiene
attivamente con consigli motivati lattivit di altri gruppi (come il Gruppo di iniziativa)
contro le violazioni perpetrate dalle autorit.
Il caso desta sensazione poich Sacharov un fisico illustre, premiato con le massi-
me onorificenze statali, dal 1953 membro dellAccademia delle Scienze, e membro per
20 anni di un segretissimo team di ricerca per lelaborazione dellarma termonucleare
74
.
A proposito della sua nuova vocazione, scriver in una Autobiografia datata 24 marzo
1981, quando, come vedremo poi, si trover illegalmente confinato a Gorkij
75
:
72
Si veda anche lIntroduzione di V. Strada a La questione russa..., cit., pp. IX-XXVI.
73
Dalla pice di Solenicyn Una candela al vento, Einaudi, Torino 1970, p. 207, citata in Solenicyn in Russia,
Jaca Book, Milano 1976, p. 387, di O. Clment, il poeta e teologo ortodosso che meglio ha penetrato gli aspetti
spirituali e filosofici dellopera dello scrittore.
74
Anche nel suo campo specifico si era gi segnalato per gli interventi a favore di una sospensione o limita-
zione degli esperimenti atomici che lo portarono a scontrarsi con Chru/v nel 1961; fu tra i promotori della
stipulazione del trattato di Mosca del 1963 per la messa al bando degli esperimenti nucleari nellatmosfera,
nellacqua e nello spazio.
75
Il genero e collaboratore di Sacharov, Efrem Jankelevi/ provveder a dare anche a questo scritto una dif-
fusione internazionale, in campagne a difesa dello scienziato che si susseguiranno tra il 1984 e il 1986 in tutto
il mondo, e anche in Italia.
Sergio Rapetti
166
I miei primi appelli in difesa delle vittime della repressione risalgono agli anni 1966-1967.
Verso il 1968 sorse lesigenza di un intervento pi diretto, aperto e manifesto. Apparve cos il
saggio Considerazioni sul progresso, la coesistenza pacifica e la libert intellettuale. Sostanzial-
mente si tratta delle stesse tesi che sette anni e mezzo dopo avrei rilevato nel titolo del discorso
scritto in occasione del premio Nobel: Pace, progresso e diritti delluomo
76
.
Dal 1970 in poi Sacharov si dedica quasi esclusivamente allattivit di pravoza/itnik, di-
fensore dei diritti, non si contano gli appelli e le iniziative portate avanti con la moglie
Elena Bonner, sposata nel 1971. Non si tirano mai indietro, n quando si tratta di affron-
tare viaggi anche di centinaia di chilometri, per protestare allesterno di un tribunale dove
si processa un dissidente, spintonati insieme agli altri dalla milizia, n quando devono
mettere a disposizione lappartamento moscovita per qualche delegazione di parenti di
un imputato, arrivati dalla Siberia a presentare ricorsi nella capitale e senza albergo. Lui
che per i meriti scientifici era un privilegiato, era coperto di onori e prebende, si volon-
tariamente messo nelle condizioni di perdere ogni cosa per amore della giustizia e della
verit. Agli occhi del popolo russo un impareggiabile paladino dellideale
77
.
Dal 1968, in seguito alla pubblicazione allestero delle Considerazioni viene allonta-
nato dalla ricerca e privato dei privilegi del suo stato. Quanto alla lotta per i diritti civi-
li, ne diventato il punto di riferimento, e quasi ogni giorno Andrej e Ljusja devono
intervenire in difesa di qualcuno.
Lo scienziato scrive anche un secondo libro, pi articolato, che muove dalla Confe-
renza di Helsinki (1975), illustrando come quegli impegni internazionali sottoscritti an-
che dallURSS continuino ad essere disattesi nei confronti di centinaia di propri cittadini
attivisti per i diritti umani, dogni nazionalit, fede e indirizzo politico, rinchiusi in pri-
gioni e ospedali psichiatrici. E invita lopinione pubblica mondiale ad appoggiare lidea
di una amnistia politica in URSS, nonch a premere per un disarmo bilanciato e una col-
laborazione multilaterale a livello internazionale
78
.
La svolta drammatica, per, nel braccio di ferro col potere, legata al tema della sal-
vaguardia della pace: nel giugno 1980 scrive una lettera aperta al Presidium del Soviet
76
Da noi il libro usc come: A.D. Zacharov (sic!), Progresso, coesistenza e libert intellettuale, Etas Kompass,
Milano 1968. Il premio Nobel per la pace venne ritirato nel dicembre 1975 dalla moglie Elena Bonner.
77
Ha scritto Jurij Malcev: Trovandosi al vertice delllite del paese, questo santo laico ha rinunciato al pro-
prio benessere e ha alzato la voce contro lingiustizia. Lapparizione di una tale persona proprio nel cuore della
nomenklatura comunista, un simile straordinario risveglio della coscienza in quellambiente dove sembrava
impossibile ha indotto Solenicyn a parlare di un miracolo. Cfr. Id., Il risveglio della coscienza: Sacharov e
Solzhenicyn in AA.VV., Il dissenso: critica e fine del comunismo, cit.

Malgrado la reciproca stima, resistente negli anni, i due Nobel russi erano, riguardo a che cosa e come fare,
su posizioni antitetiche (per dirne solo un aspetto, semplificando: Solenicyn ha a cuore anzitutto la nostra
Russia, Sacharov il mio paese e il mondo) e ne dibatterono anche in alcuni scritti: Solenicyn nel saggio
Quando ritornano il respiro e la coscienza in Voci da sotto le macerie, cit. e in Il vitello e la quercia, cit., Sacharov
in Memorie, Sugarco, Milano 1990. Ne ha scritto M. Clementi in Il diritto al dissenso. Il progetto costituzionale
di Andrei Sacharov, Odradek, Roma 2002, pp. 111-131.
78
Ma parla anche del dovere di far fronte, con gli strumenti internazionali, alla minaccia totalitaria
dellespansionismo sovietico e chiede alla sinistra occidentale di non continuare ad accettare con troppa cre-
dulit il dogma del sistema socialista, che sarebbe vigente in URSS e in quanto tale non criticabile. Il mio
paese e il mondo, Bompiani, Milano 1975.
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna. Nel mondo del dissenso russo
167
supremo e a Brenev protestando contro la guerra in Afghanistan in corso da sette mesi:
i morti, specie tra i civili, sono gi decine di migliaia e i profughi un milione; la disten-
sione, il disarmo e la pace nel mondo sono in pericolo.
La risposta di quello stesso Presidium e del suo presidente un decreto in data 8 gen-
naio 1980, Mosca, Cremlino, che priva lo scienziato dogni onorificenza ma soprattutto
gli notifica, con una postilla scritta a parte, senza firme e senza data, la decisione di rele-
garlo in un luogo dove non gli sia possibile avere rapporti con cittadini stranieri
79
.
Viene confinato in una citt chiusa agli stranieri, Gorkij (oggi Niznij Novgorod),
a 400 km da Mosca dove vivr isolato, in balia delle provocazioni del KGB (gli sottrag-
gono i Dnevniki, Diari, che va scrivendo, subisce unaggressione col gas, indice scioperi
della fame e viene nutrito a forza in ospedale); ma grazie alla moglie e ai parenti emigrati
lattenzione internazionale resta sempre alta sul suo caso. Poi ci sar la famosa telefona-
ta di Gorba/v (gensek dal 1985) che gli annuncia il 16 dicembre 1986 la decisione del
Politbjuro di far tornare i Sacharov dopo sette anni di deportazione, a Mosca; il che av-
viene il 23 dicembre. D quindi il suo contributo allo sforzo della perestrojka gorbacio-
viana di salvare il salvabile, come membro eletto, dallaprile 1989, della prima Sessio-
ne dei deputati del popolo dellURSS in una formazione di opposizione presto in rotta
di collisione con la maggioranza comunista e Gorba/v stesso dedicando molte ener-
gie alla causa, fondamentale, dellabolizione dellart. 6 della Costituzione (breneviana)
dellURSS sul ruolo dirigente del Partito comunista
80
. Nel novembre 1989 lunico a pre-
sentare un proprio Progetto di Costituzione dellUnione delle Repubbliche sovietiche
di Europa e Asia
81
. Il 14 dicembre muore improvvisamente, al tavolo di lavoro, stronca-
to dalla fatica e dallo stress. Ve/naja pamjat, Eterna memoria.
Alla nostra causa senza speranza
Za nae beznadnoe delo! Questo il brindisi autoironico che alzavano i dissidenti, nei ti-
nelli di casa alla fine di serate e nottate di riunioni, passate di solito non a sognare un chi-
merico futuro ma a progettare per lindomani uno scritto, o il volantino o lazione gior-
naliera in difesa di qualcuno. Una speranza contro ogni evidenza contraria? La pi che
ventennale vicenda che qui si cercato di delineare mostra leroico coraggio e linstan-
cabile spirito diniziativa di centinaia di uomini e donne, il cui esempio dovrebbe esse-
re iscritto nellalbo doro della dignit umana, e fornisce qualche elemento dellopera di
scrittori liberi, che hanno eretto monumenti letterari diventati patrimonio dellumanit.
Non sempre hanno avuto in Occidente la comprensione e lappoggio auspicabili specie
da parte di chi aspirava a una sintesi di socialismo e libert, ed erano proprio coloro che
forse con particolare efficacia avrebbero potuto sostenerli
82
.
79
A. Sacharov, Memorie, cit., pp. 598-599.
80
Si veda L. Marcucci, Dieci anni che hanno sconvolto la Russia, il Mulino, Bologna 2002, p. 20.
81
M. Clementi, op. cit., che presenta anche il testo integrale del progetto.
82
P. Sensini, Il dissenso nella sinistra extraparlamentare italiana dal 1968 al 1977, Rubbettino, Soveria
Mannelli (CZ) 2010.
Sergio Rapetti
168
Ma per il loro paese, e i suoi popoli, hanno fatto molto, tutto quello che potevano.
Gorba/v, nel suo tentativo riformistico, ha mutuato dal dissenso, a partire dai giova-
ni contestatori di quel lontano 1965 in piazza Pukin, la richiesta di glasnost, e una pe-
restrojka del regime era proprio lurgenza morale di tanti progetti, compresi quelli di
Solenicyn e Sacharov . Dove andr la nuova Russia non chiaro, ma incancellabile, e
presente, nella coscienza della parte pi avvertita della societ e nelle biblioteche e cen-
tri di studio, il lascito di quella fervida stagione.
BIBLIOGRAFIA
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Zinovev, A., Il comunismo. La struttura della societ sovietica, Jaca Book, Milano 1981.
Sezione secoda
IDEOLOGIE E CORRENTI
RIVOLUZIONARIE
171
SOCIALISME OU BARBARIE.
PROSPETTIVA RIVOLUZIONARIA E MODERNIT
Daniel Blanchard
Introduzione
Il gruppo Socialisme ou Barbarie ha riunito dal 1949 al 1965 alcune decine di militan-
ti attorno a un progetto al contempo teorico e critico consistente, da una parte, nellela-
borare una teoria critica unitaria, applicabile ai diversi tipi di societ allora esistenti, e,
dallaltra, nel ridefinire in funzione di questa teoria i principi, i mezzi e i fini dellazio-
ne rivoluzionaria.
Ecco, in estrema sintesi e in forma, mi pare, piuttosto oggettiva, la definizione che si
pu dare di Socialisme ou Barbarie. Ma oggi non si pu approfondire la descrizione di
quello che questo gruppo stato e ha prodotto n storicizzandolo, n collocandolo nel
contesto contemporaneo. Socialisme ou Barbarie non non ancora... un oggetto
storicamente costituito, come il cartismo, il fourierismo o un qualche altro movimento
del genere, e ci perch si muove ancora (ci ritorner pi avanti). Ma non nemmeno
un movimento che, nato in un passato pi o meno lontano, proseguirebbe ancora oggi,
come lanarchismo o linaffondabile trockijsmo. Parlare oggi di Socialisme ou Barbarie
implica misurare e soprattutto analizzare tutta la distanza che ce ne separa.
Il destino paradossale di questo gruppo consistito nel passare da uno stato di qua-
si-invisibilit e di quasi-virtualit nel senso di una presa pratica quasi nulla sulla real-
t nei suoi primi ventanni o quasi di esistenza, allo statuto mitico e leggendario
attribuitogli una decina danni dopo la sua sparizione. Al tempo in cui il gruppo era at-
tivo, il pensiero politico, schiacciato dallo scontro tra i due blocchi, non poteva tollera-
re unanalisi che mettesse i due imperialismi fianco e fianco: bisognava prendere partito
per luno o per laltro. Di pi, il Partito comunista e le sue propaggini sindacali o intellet-
tuali censuravano, se necessario con la violenza, nelle fabbriche come nelle stanze delle
redazioni, ogni espressione critica nei confronti dellURSS che potesse venire da sinistra
o dallestrema sinistra. Ora, nel corso degli anni Sessanta e Settanta, essendo diventa-
to praticamente impossibile negare la verit sul campo socialista, i vecchi compagni
di strada del Partito comunista o i loro successori si convertono alla democrazia, ai
Daniel Blanchard
172
diritti delluomo e sinvestono di una nuova missione: la denuncia del totalitarismo.
Scoprono allora dei precursori nella persona di alcuni vecchi membri di Socialisme ou
Barbarie, Claude Lefort, Cornlius Castoriadis, Jean-Franois Lyotard... Profondo ma-
linteso, poich il rigore critico di questi teorici, soprattutto degli ultimi due, come del
gruppo in cui le loro idee si erano formate, si applicava tanto allOccidente detto demo-
cratico quanto ai regimi socialisti... Fortunatamente, pare che le metamorfosi post mor-
tem di Socialisme ou Barbarie non si siano fermate a questo episodio. Gi da qualche
anno i movimenti radicali che lottano contro il capitalismo mondializzato cercano nelle
idee di Socialisme ou Barbarie, spesso associate a quelle dellInternazionale situazioni-
sta, gli elementi per una delucidazione delle forme contemporanee del dominio, ma an-
che delle tare di cui soffrono questi stessi movimenti, per il riprodurre nel loro funzio-
namento molti degli aspetti che essi combattono.
Per questo, in occasione di incontri in Francia e allestero, sono talvolta solleticato
da una domanda: possibile che le idee elaborate da Socialisme ou Barbarie cinquanta
anni fa trovino al prezzo di qualche adattamento una nuova vita, incontrino indivi-
dui doggi che le riprendano a modo loro e le portino con la stessa nostra passione? E la
mia risposta no. Oltre alle trasformazioni evidenti intervenute nella configurazione del
mondo vi in questa distanza un elemento insuperabile, che consiste nella differenza tra
unepoca ottimista e una quasi disperata. Ottimista, questa parola sciocca quanto la for-
mula trentanni gloriosi dice per una cosa: almeno in Occidente era largamente dif-
fusa la convinzione, era nellaria che il mondo potesse, dovesse, stesse per cambiare in
meglio dopo tutto, si usciva dalla guerra, anche ventanni dopo e che, per certi spiri-
ti radicali, si potesse cambiarlo in profondit. questa condizione spirituale che ha fat-
to sollevare la giovent americana negli anni Sessanta e che ha spazzato buona parte del
mondo nel 1968. Oggi invece lo spirito del tempo sembra dividersi tra il fatalismo del
cammino verso il disastro e il cinismo del dopo di noi, il diluvio....
Con il che si dice che questa distanza, chi scrive questo testo la porta dentro di s.
Pi di quarantanni dopo la fine del gruppo posso dire ancora che gli otto anni che vi
ho passato sono stati i pi appassionanti della mia vita. Semplicemente, dopo, ho incon-
trato altre persone, altre idee, ho partecipato ad altre imprese talora pressoch altret-
tanto assorbenti. Parlando di Socialisme ou Barbarie, lo far dunque necessariamente
cum grano salis. E ovviamente, con certe parzialit, attestate dal fatto che, in occasione
delle due scissioni che hanno lacerato il gruppo, ho fatto mie le tesi difese in particola-
re da Castoriadis.
Prima di arrivare al sodo, cio di provare a offrire una rappresentazione che sia oggi
intelligibile di quella che stata la vita di questo gruppo e delle idee che ha elaborato,
bisogna dire ancora che quelle che chiamiamo nostre idee non costituiscono in alcun
modo un insieme di tesi passibili di esposizione sistematica, ma piuttosto una traiettoria,
un processo che si sviluppato al contempo tramite la presa in conto ponderata delle
trasformazioni della realt e per una sorta di crescita interna di elementi che, in parten-
za, non erano che potenziali. Una traiettoria, un processo, questo certo basta a distin-
guere Socialisme ou Barbarie da una buona fetta di gruppuscoli, in particolare dellul-
tra-sinistra, la cui unica preoccupazione pareva essere quella di preservare dagli attacchi
del mondo esteriore un piccolo tesoro di idee non ulteriormente elaborate, addirittura
fisse. Ma troppo poco dire: la vita intellettuale di questo gruppo stata unavventura
Socialisme ou barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit
173
collettiva, stata unesplorazione delle societ moderne retta da una passione per lo sco-
prire almeno pari alla passione per il concettualizzare. Questa ricerca si preoccupata
abbastanza poco troppo poco, mi parso col senno di poi di eventuali apporti teori-
ci contemporanei. Certo, la lettura di Marx, Lenin, Trockij, Rosa Luxemburg, ma anche
Freud, Reich o Malinovsky, cos come di coloro che denunciavano limpostura stalinia-
na, Ciliga, Volin, Serge etc., era, per cos dire, di rigore. Ma quello che ci attirava erano
le realt del presente ci stimavamo sufficientemente attrezzati per comprenderle e,
tra queste realt, soprattutto quelle che sorgevano sulla scena americana. Volevamo che
lAmerica fosse per noi quello che lInghilterra era stata per Marx ed Engels, il laborato-
rio e la fabbrica in cui si elaborava la societ moderna. La nostra passione era scrutare e
decrittare la sociologia, la letteratura e soprattutto il cinema americani, in cui entravano
molti temi presto al centro di una critica radicale della vita quotidiana. Di pi, i nostri
compagni del gruppo Correspondance, a Detroit, ci fornivano informazioni e analisi di
prima mano su ci che accadeva nelle fabbriche pi moderne del mondo. Cos, non ave-
vamo che disprezzo per questa sinistra e questa estrema sinistra francesi che negli Stati
Uniti vedevano nientaltro che lepicentro mondiale della reazione.
Di fatto, lunica rappresentazione possibile di questo sforzo costante di approfondi-
mento e di rimessa in questione che ha marcato il lavoro teorico del gruppo sotto for-
ma di una serie di quadri corrispondenti alle sue tappe principali.
Le origini
Socialisme ou Barbarie si costituisce nel 1946 come linea interna del Partito comu-
nista internazionalista, cio della Quarta internazionale trockijsta: la linea Chaulieu-
Montal, pseudonimi di Castoriadis e di Lefort, i suoi principali animatori. Questa linea
rompe ufficialmente con il PCI nel 1949 per diventare il gruppo Socialisme ou Barbarie,
che intende essere il nucleo di una nuova formazione rivoluzionaria e pubblicher una
rivista che porta il medesimo nome.
Perch nel 1946 questa prima presa di distanza nei confronti del movimento trockij-
sta? Alluscita dalla Seconda guerra mondiale, la burocrazia sovietica (lespressione ave-
va corso nella corrente trockijsta per qualificare linsieme dei gruppi sociali che eserci-
tavano il potere in Russia a partire dalla fine della guerra civile) presenta una fisionomia
molto differente da quella che si sarebbe potuto delineare nel 1923. In quel tempo Tro-
ckij laveva caratterizzata come il prodotto di un equilibrio momentaneo tra le forze del-
la rivoluzione mondiale e quelle della contro-rivoluzione, altrimenti detto come una
produzione storica necessariamente effimera perch votata a essere spazzata via dalla
vittoria delluno o dellaltro dei due protagonisti. Ora, ecco che questa formazione so-
ciale usciva vittoriosa dalla guerra contro il III Reich allo stesso titolo delle classi dirigen-
ti dei paesi capitalisti e che la dittatura da essa esercitata nella stessa Russia restava pi
che mai incontestata; ed eccola migrare in Europa orientale e, di l a poco, in Estremo
Oriente. La tesi trockijsta si rivelava insostenibile: bisognava smascherare la burocra-
zia sovietica in quanto ceto sfruttatore e oppressivo allo stesso titolo della borghesia, e
lURSS in quanto societ capitalista di tipo nuovo. Di conseguenza, la rivoluzione avreb-
be per compito, in Russia come altrove, non semplicemente quello di cacciare dal pote-
Daniel Blanchard
174
re un gruppo di parassiti, ma rovesciare i rapporti sociali instauratisi. Tali apparivano,
molto schematicamente, agli occhi dei giovani militanti della linea Chaulieu- Montal,
le nuove realt del 1946.
Il 1947 e il 1948 chiarificheranno ulteriormente, sempre ai loro occhi, la situazione
mondiale e le sue prospettive. Le speranze e le illusioni suscitate dalla Resistenza e dal-
la Liberazione, in Francia e in Italia soprattutto, si dissipano molto presto. In tutti i Pae-
si che escono dalla guerra, a eccezione, in una certa misura, dellAmerica del Nord, le
condizioni di vita e di lavoro delle classi popolari sono spaventose. Si sgobba come dei
Russi, si crepa di fame e, dinverno, di freddo.
A poco a poco la divisione del mondo decisa a Yalta diventa realt. In Europa orien-
tale e centrale i partiti comunisti stringono la presa dellURSS sui rispettivi Stati. La Fran-
cia e lItalia rinsaldano il loro ancoramento al campo atlantico. Di colpo, i potenti partiti
comunisti di questi due Paesi abbandonano la loro politica di unione nazionale, assun-
ta in vista della ricostruzione, e passano allopposizione. la nuova strategia dettata dal
Cremlino. Ma anche una necessit tattica: in Francia lo sciopero alla Renault della pri-
mavera del 1947 e quelli che seguono in estate e autunno, soprattutto nelle miniere, li
obbligano a schierarsi a fianco della loro base proletaria, contro il Governo.
Nel 1948 il mondo entra davvero nella Guerra fredda. In febbraio c il colpo di
Praga: presa del potere da parte del Partito comunista, ma anche e dal giorno dopo,
messa al lavoro intensivo della classe operaia. In giugno, comincia il blocco di Berlino
da parte dei sovietici... Negli Stati Uniti imperversa ben presto la febbre maccartista e il
budget militare americano supera il montante totale dei crediti del Piano Marshall sui
cinque anni. A molti a cominciare da de Gaulle la Terza guerra mondiale pare ine-
luttabile.
Nei primi numeri della rivista molte delle idee che allora sembravano imporsi da s
e che oggi ci stupiscono recano la traccia di questepoca cupa: la societ e persino la ci-
vilt capitaliste erano entrate in una fase di declino; le classi dirigenti non potevano so-
pravvivere che imponendo al proletariato un sovrasfruttamento che avrebbe implicato
fatalmente, nel tempo, un abbassamento della produttivit del lavoro, dunque una re-
gressione delle forze produttive; le classi dirigenti non tolleravano pi le libert demo-
cratiche, per quanto illusorie avessero potuto essere, e si apprestavano a gettare lumani-
t in una nuova guerra infinitamente pi distruttrice di quella da cui era appena uscita.
A meno che il proletariato non trasformasse la loro guerra nella sua guerra, cio
nella rivoluzione. Si tratta di unidea che il gruppo, in questo periodo, cerca di elabora-
re teoricamente e che condensa nella formula socialisme ou barbarie. Nellipotesi di
una nuova guerra non basta perorare il disfattismo rivoluzionario nei due campi. Biso-
gna aiutare il proletariato a prendere coscienza dei mezzi che questa guerra metter nelle
sue mani per la sua liberazione. Attore essenziale della produzione moderna e deposita-
rio collettivo della tecnologia, il proletariato lo anche nella guerra moderna, industriale
e meccanizzata. La guerra pu essere il cammino della barbarie, innegabile si legge
nel terzo numero della rivista , ma una politica rivoluzionaria davanti alla guerra mo-
derna pu anche dare al proletariato le armi del suo potere definitivo.
Visto a distanza, il primo numero della rivista (marzo-aprile 1949) pare marcato da
una forte ambivalenza. Da un lato vi si riprendono, radicalizzandoli e approfondendoli,
i temi sviluppati dalla linea in seno al Partito comunista internazionalista e rimane for-
Socialisme ou barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit
175
temente ancorato alla tradizione teorica marxista e leninista, in cui i membri del gruppo
si sono formati. Ma esso contiene anche le premesse di un percorso originale che allon-
taner il gruppo da questa tradizione. Concentriamoci su due testi essenziali: lEditoria-
le e Loperaio americano.
LEditoriale, lungo testo redatto da Chaulieu ( Castoriadis) ma in cui si esprimeva
linsieme del gruppo, ha per titolo i termini del dilemma, per lappunto socialismo o
barbarie, articolato nel 1915 da Rosa Luxemburg, e delinea un quadro della situazio-
ne mondiale allinizio del 1949 da un punto di vista marxista rivoluzionario e anti-stali-
niano. Resta in una larga misura leninista: riprende la teoria leninista dellimperialismo,
correggendola, per, alla luce dei risultati della Seconda guerra mondiale, poich que-
sta non sfociata in una nuova coalizione instabile di potenze, ma nella polarizzazione
del capitale mondiale attorno a due blocchi antagonisti. Non viene ricusata nemmeno
lidea di una dittatura del proletariato allindomani della rivoluzione, a condizione che
non sia la dittatura del partito.
In ogni caso, questo testo si vuole ancora fermamente radicato nel pensiero marxista.
La societ vi analizzata in termini di classi, le classi sono definite dai rapporti collettivi
che si stringono nella produzione, la dinamica del capitale e in particolare il movimento
tendente alla sua concentrazione costituiscono il motore primo della storia moderna. Ed
sempre in uno spirito di fedelt rivendicata nei confronti del marxismo che Chaulieu,
in questo testo ma in modo ancora pi netto nel lungo articolo chegli consacra nel se-
condo numero ai Rapporti di produzione in Russia, corregge, per cos dire, Marx: la pro-
priet non che la forma giuridica dei rapporti di produzione che fondano le classi in un
regime capitalista. Lessenziale lesercizio effettivo ed esclusivo della gestione dei mez-
zi di produzione, ivi compresa la forza lavoro. La distinzione pertinente non si fa dun-
que pi tra proprietari e proletari, ma tra dirigenti ed esecutori.
Il fenomeno burocratico non peraltro confinato alla Russia, dove la burocrazia si
impadronita di tutti i poteri: un fenomeno che interessa anche le societ capitaliste oc-
cidentali, poich, spiega il marxista Chaulieu, essa lespressione sociale delle nuo-
ve forme economiche apparse nellultimo periodo, che implicano un rafforzamento in
potere e volume dellapparato di gestione della produzione, tanto a livello macro-econo-
mico nazionalizzazioni, pianificazione... che a livello di impresa. Pur ponendo que-
sto editoriale in rapporto di filiazione diretta con il Manifesto del partito comunista, egli
precisa: A grandi linee, si pu dire che la differenza profonda tra la situazione attua-
le e quella del 1848 data dallapparizione della burocrazia in quanto ceto sociale ten-
dente ad assicurare la sostituzione della borghesia tradizionale nel periodo di declino
del capitalismo.
Questo editoriale manifesta comunque una notevole originalit. Essa non consiste
tanto nella caratterizzazione della burocrazia quale nuova classe aspirante alla succes-
sione della borghesia. Questa idea era nellaria molto prima della guerra ed era stata og-
getto di discussione da parte del movimento trockijsta. In particolare, era stata difesa
da Max Shachtman e Bruno Rizzi, i quali prevedevano che la nuova classe, impegnata
a conquistare il potere in Italia, Germania e Russia, avrebbe soppiantato dappertutto la
borghesia... Quello che conferisce a questo editoriale il suo accento singolare e quella
forza che spinger il gruppo lungo una via teorica originale il ruolo che vi viene ricono-
sciuto al proletariato, inteso quale protagonista principale della propria storia, compre-
Daniel Blanchard
176
se le proprie sconfitte per esempio, quella di aver lasciato che la Rivoluzione del 1917
partorisse un nuovo regime di sfruttamento , cosa che equivale ad attribuire al proleta-
riato la capacit di gestire la produzione e di organizzare la societ socialista.
Questa capacit, dove coglierla, come dimostrarla? Evidentemente non nelle orga-
nizzazioni che il movimento operaio si dato nel corso di un secolo di lotte e che si mo-
strano ormai non solo come degli ostacoli sulla via dellemancipazione proletaria, ma
come le matrici del nuovo ceto sfruttatore che ha preso il potere in Russia. Questa capa-
cit, che lautonomia (termine essenziale del vocabolario di Socialisme ou Barbarie) nel
senso del potere di agire da soli, si afferma l dove il proletariato si forma, in fabbrica, in
officina, dove loperaio prende coscienza, per un verso, dello sfruttamento e dellaliena-
zione che subisce nel lavoro, ma anche delle sue facolt dintervento creatore e di auto-
organizzazione, nella produzione come nella lotta.
Vi qui un asse di ricerca che Socialisme ou Barbarie inaugura con linizio della pub-
blicazione, nel primo numero, di Loperaio americano di Paul Romano e che sar portato
avanti a lungo, in particolare con la pubblicazione dei testi di D. Moth sulla sua espe-
rienza di lavoro alla Renault. Claude Lefort ne teorizzer la portata politica in Lesperien-
za proletaria, editoriale dellundicesimo numero (dicembre 1952). Vanno nella medesi-
ma direzione Correspondance, negli Stati Uniti, Unit Proletaria, in Italia, e un po
pi tardi Solidarity in Inghilterra.
Si afferma qui uno dei tratti che, pur presente nel pensiero marxista, fanno lorigina-
lit di Socialisme ou Barbarie per limportanza che gli viene assegnata. Tale tratto con-
siste nella positivit sociale e umana riconosciuta allattivit produttiva. Positivit che
non riguarda il contenuto della produzione n labbondanza che riuscita a creare; e
neppure il suo significato astratto, riassunto in genere con lespressione dominio sul-
la natura. Si tratta della positivit dellattivit produttiva stessa in quanto esperienza
del mondo, attraverso il dominio dei gesti, delle macchine, dei processi messi in opera;
in quanto, potenzialmente, individuo che crea da s la propria vita; in quanto campo di
esperienza e di nascita della relazione sociale; in quanto luogo pi centrale e fecondo dei
conflitti che costituiscono la societ.
Lautonomia, dunque, cos ancorata nel lavoro produttivo, illumina i principi, i mezzi
e i fini della politica rivoluzionaria, per come Socialisme ou Barbarie si propone di defi-
nirli e di metterli in pratica. I fini consistono nellinstaurazione di una societ interamen-
te ed effettivamente gestita, a livello politico ed economico, dai lavoratori organizzati in
consigli. Lorganizzazione il partito, si dice ancora non deve pretendere alcun ruo-
lo dirigente, n prima, n durante, n dopo la rivoluzione; deve solamente aiutare lavan-
guardia del proletariato a prendere coscienza e a darsi i mezzi della propria autonomia.
Fin da subito, per, la questione dellorganizzazione e dei compiti che questa sarebbe in
diritto di assegnarsi suscita in seno al gruppo delle divergenze, in particolare tra Lefort
e Castoriadis, che in seguito si aggraveranno fino alla rottura.
una discussione che pu apparire futile data la debolezza numerica e politica del
gruppo nel periodo che segue la sua creazione: inizialmente composto da meno di ven-
ti membri, esso riceve ladesione, nel 1950, di qualche fuoriuscito dalla corrente bordi-
ghista, in particolare Vga, ex militante del POUM, e nel 1952 di Moth. In seguito, per,
il gruppo perde di forza, la sua attivit interna rallenta, i numeri della rivista si assotti-
gliano e si diradano.
Socialisme ou barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit
177
Nuove speranze, nuove idee
A partire dal 1953 si avvia un movimento che porter, tra il 1956 e il 1961, a una relativa
uscita dal deserto. Nel 1953 un certo numero di avvenimenti schiariscono lorizzonte: la
fine della guerra di Corea marca un rallentamento della corsa verso la guerra
1
; la mor-
te di Stalin in marzo sembra dover scuotere il regime sovietico; gli scioperi in Cecoslo-
vacchia e soprattutto la sollevazione degli operai del cantiere della Stalin Allee a Berlino
Est, che si allarga a numerose altre citt e strappa importanti concessioni, portano alla
luce del sole lesistenza di una lotta di classe nella societ burocratica; infine, nel mese di
agosto, gli scioperi che scoppiano in Francia, dopo cinque anni di prostrazione e di di-
sintegrazione del movimento operaio
2
, permettono di porre concretamente la questio-
ne dellautonomia delle lotte. E di fatto, il gruppo ritrova una certa pratica militante. D
impulso e sostiene delle forme embrionali di auto-organizzazione: alla Renault, attorno
alla rivista mensile di fabbrica Tribune ouvrire; alle Assurances Gnrales-Vie, dove
due militanti creano, per contrastare linerzia sindacale, un Consiglio del personale.
Il 1956 apre il periodo pi attivo e forse pi fecondo della vita del gruppo. In feb-
braio, il rapporto Chru/v al XX Congresso del PCUS seppellisce lo stalinismo e confer-
ma agli occhi del mondo quello che sino a quel momento sapeva solo la minoranza che
voleva sapere. In autunno, la rivolta che scoppia in Polonia e poi in Ungheria, e in que-
sto Paese la formazione dei Consigli operai, la loro federazione su scala nazionale e la
resistenza armata contro i carri armati sovietici, confermano in modo quantomai chiaro
le tesi di Socialisme ou Barbarie, non solo circa la natura di classe dei regimi burocrati-
ci ma anche circa le forme di organizzazione che dovrebbe darsi una rivoluzione prole-
taria contro il capitalismo burocratizzato. Infine, la guerra dAlgeria emerge in tutta la
sua importanza, quando vengono richiamati i riservisti e anche il Partito comunista vota
lattribuzione dei poteri speciali al Governo del socialista Mollet. Tale questione apre
un nuovo fronte per la riflessione teorica del gruppo e, soprattutto a partire dal 1958,
per il suo coinvolgimento militante.
Lattenzione dedicata al fenomeno burocratico riveler la sua fecondit nellanalisi
dei movimenti di liberazione nazionale e della rivoluzione che si stava allora sviluppan-
do in un Paese, la Cina, in larga misura ancora appartenente, dal punto di vista econo-
mico e sociale, al mondo sottosviluppato. Questa analisi, ad opera essenzialmente di
J.-F. Lyotard (che si firma Laborde) per lAlgeria e di P. Soury ( Brune) per la Cina, con-
duce il gruppo su posizioni originali e fortemente critiche nei confronti della corrente
terzomondista allora in piena fioritura. Tradizionalmente, la corrente marxista non pre-
conizzava il sostegno alle lotte dei popoli colonizzati se non come mezzo per indeboli-
re limperialismo. La rivoluzione non poteva che essere opera del proletariato dei Pae-
si sviluppati, che avrebbero poi emancipato i loro fratelli arretrati. Il terzomondismo
rompe con questa linea. Prendendo atto di ci che appariva come la cancellazione del-
la capacit rivoluzionaria del proletariato moderno, esso situa il focolaio attivo della ri-
voluzione nelle lotte dei popoli assoggettati dalla colonizzazione o, come in Cina, dal-
1
Socialisme ou Barbarie, n. 13, p. 19.
2
Ibidem.
Daniel Blanchard
178
la collusione tra le loro classi dirigenti e limperialismo. Quello che viene preconizzato
quindi il sostegno attivo a queste lotte e alle organizzazioni che le conducono. A margi-
ne di questa corrente, i trockijsti, da parte loro, applicano a queste lotte lo schema del-
la rivoluzione permanente: sostegno alla rivoluzione borghese mirante allindipen-
denza nazionale, ma appoggiando gli elementi popolari progressisti, che sarebbero in s
di natura tale da provocare il superamento di quel primo risultato nel senso di una rivo-
luzione proletaria.
Il gruppo afferma, certo, la sua solidariet essenzialmente teorica con queste
lotte di liberazione e, in particolare, con quella degli algerini, denuncia la tiepidezza
sconfinante nellindifferenza della sinistra e della classe operaia francese, ma anche le
illusioni quanto alle possibilit che queste lotte possano sfociare in una rivoluzione so-
cialista nel senso definito da Socialisme ou Barbarie. Non sono neppure, peraltro,
delle rivoluzioni borghesi: nella maggior parte dei Paesi, se pure vi partecipano de-
gli elementi della borghesia locale, la forza sociale che vi gioca il ruolo motore quella
che si forma nella lotta stessa, un apparato burocratico-militare che tende a trasformar-
si in classe dominante e a instaurare nel Paese divenuto indipendente un nuovo regime
di sfruttamento. Del resto quanto si gi realizzato in Cina, stando al lungo articolo,
estremamente documentato e di un marxismo rigoroso, pubblicato da Brune nel venti-
quattresimo numero della rivista (maggio 1958), cio molto prima delle analisi di Simon
Leys o dei situazionisti.
Ma quello che Socialisme ou Barbarie, e in modo particolare Laborde, si impegnano
a mettere in evidenza a proposito dellAlgeria sono anche le manifestazioni di autono-
mia che si fanno luce nel cuore stesso di queste lotte da parte di certi elementi della po-
polazione, in particolare i giovani e le donne, questa conquista di riconoscimento, di di-
ritto alliniziativa che permette la rottura con il vecchio ordine su cui si reggeva il giogo
coloniale. Ed qui, e non nella creazione di nuove entit nazionali oppressive, che si di-
segna, forse, la promessa di un contributo al movimento mondiale di emancipazione. Di
questo tipo il messaggio che il gruppo si sforza di trasmettere ai giovani maghrebini di
Francia con cui in relazione.
Il significato del socialismo
Ma la produzione teorica pi innovativa di questo periodo della vita del gruppo do-
vuto a Castoriadis (che si firma ancora Chaulieu, prima di prendere lo pseudonimo di
Cardan) e consiste nella costruzione di un modello di societ autonoma pensato per
le societ pi moderne, e nelle implicazioni che ne vengono tratte. Lanalisi offerta
nellarticolo Le contenu du socialisme, apparso nei numeri 22 e 23 della rivista. Fin dalla
creazione del gruppo, Castoriadis aveva riflettuto sulla definizione di un programma ri-
voluzionario che tenesse conto sia delle trasformazioni del capitalismo, sia dellemerge-
re della burocrazia. Nel 1955 era gi apparso un primo articolo dal medesimo titolo. Ma
gli insegnamenti della ricerca portata avanti dal gruppo sullesperienza proletaria e so-
prattutto lesaltante, seppur tragica, lezione fornita dalla rivoluzione dei Consigli ope-
rai in Ungheria, lo portarono ad approfondire e sistematizzare la sua proposta. Molto
schematicamente, il socialismo per come concepito da Castoriadis consiste in una so-
Socialisme ou barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit
179
ciet interamente autogestita dai suoi membri organizzati in consigli, esercitanti un con-
trollo totale su tutti gli aspetti della vita sociale, dalla politica sino alle condizioni della
vita quotidiana, passando ovviamente per leconomia, organizzazione del lavoro e scelte
tecnologiche comprese. I problemi vi sono regolati il pi possibile alla base e dalla prati-
ca della democrazia diretta. La delega, quando necessaria, non equivale in alcun modo
alla rappresentanza: i delegati hanno un mandato sempre revocabile. Riguardo lecono-
mia, Castoriadis introduce due idee originali. Da una parte, dato che, secondo lui, la ge-
rarchizzazione dei redditi non riposa su alcun fondamento oggettivo e non fa che tra-
durre i rapporti di dominio, in una societ senza classe la regola sar la loro uguaglianza
assoluta. Daltro canto, in questa societ senza classi, quindi senza lotta di classe, i pro-
blemi della gestione economica si trovano immensamente semplificati e possono essere
trattati in modo puramente razionale a partire da scelte fatte collettivamente dalla po-
polazione.
Quelli esposti non sono che alcuni elementi di un quadro molto ricco e argomenta-
to, in cui si pu vedere, se si vuole, unutopia stimolante. Ma, pi in profondit, que-
sto testo pone per la prima volta in maniera esplicita i fondamenti di una concezione
nuova della teoria, intesa al contempo come critica del capitalismo e come proiezione
di una prospettiva rivoluzionaria. Il percorso classico consisteva nel partire dalla criti-
ca per dedurne la natura del socialismo, con le leggi della storia a rendere conto di en-
trambi i momenti. Ora, Castoriadis adotta lordine inverso: non possibile compren-
dere pienamente il significato del capitalismo e delle sue crisi se non si ha ben presente
quale sia il significato del socialismo
3
. Ormai per Socialisme ou Barbarie non sono pi
le leggi della storia o la dinamica oggettiva del capitale a determinare la crisi del capitali-
smo e la prospettiva del socialismo. A farlo, in una parola, la lotta di classe. La lotta di
classe non viene pi semplicemente a giocare il ruolo di motore dellevoluzione delle so-
ciet moderne: ne la crisi stessa, il catalizzatore e la matrice in cui si forma il proget-
to di una societ autonoma. In questottica, la sola critica fondata che il rivoluzionario
possa formulare a riguardo della societ in cui vive quella i cui elementi gli siano forni-
ti dalla lotta che gli uomini conducono contro di essa, a partire dalla resistenza elemen-
tare e talora inconscia che essi oppongono alla manipolazione nel lavoro e in molte altre
circostanze di vita, sino alle sollevazioni di massa contro lordine stabilito. Ugualmen-
te, le idee che egli pu formarsi della societ cui aspira non si troveranno nellelucubra-
zione utopista, n in una pretesa scienza della storia, ma nelle creazioni del movimento
operaio, nelle sue rivendicazioni ugualitarie e nelle sue pratiche di auto-organizzazione
e di democrazia diretta. La prefigurazione che ne fornisce Castoriadis non utopi-
stica, in quanto non altro che lelaborazione e lestrapolazione delle creazioni storiche
della classe operaia
4
.
In tal modo, la crisi del capitalismo, per come viene analizzata da Castoriadis nel-
la seconda parte del suo testo, matura attorno a una contraddizione fondamentale che
3
Pierre Chaulieu, Le contenu du socialisme, Socialisme ou Barbarie, n. 22, settembre 1957, tr. it. Sul
contenuto del socialismo, in M. Baccianini, A. Tartarini (a cura di), Socialisme ou barbarie. Antologia critica,
Guanda, Parma 1969, p. 55.
4
Ibid., p. 61.
Daniel Blanchard
180
non oppone pi la propriet privata dei mezzi di produzione al carattere socializzato de-
gli stessi, ma lo sforzo sistematico, inerente al capitalismo, di trasformare gli uomini in
macchine separandoli dalla loro vita, e la sua necessit di usarne, per poter funziona-
re, la capacit di azione e la creativit tanto nel lavoro che in quasi tutte le altre attivi-
t sociali.
Queste idee, che si situano gi a una distanza considerevole dal marxismo, non fan-
no in effetti che sviluppare logicamente lo scarto che fin dallinizio separ Socialisme
ou Barbarie dallortodossia marxista. La separazione della nozione di classe da quella di
propriet dei mezzi di produzione, che ha permesso di qualificare lURSS come una so-
ciet capitalista di classe, fa necessariamente passare in secondo piano il ruolo dei mec-
canismi oggettivi implicati dalle necessit intrinseche del capitale e dallimposizione del-
la forma mercantile a tutti gli scambi. la lotta di classe che diviene il motore principale
della storia presente. Ora, se questa lotta di classe non oppone pi possidenti e proleta-
ri, ma dirigenti ed esecutori, essa non pi circoscritta alla sfera della produzione, ma si
trova a tutti i livelli e in tutte le manifestazioni del fatto sociale. A poco a poco, Sociali-
sme ou Barbarie accorder dunque unimportanza crescente alla critica della vita quo-
tidiana, includendovi tutto quello che concerne i rapporti tra generazioni o tra uomini
e donne, il consumo, lo svago, lurbanistica etc. Il legame con il marxismo, che Sociali-
sme ou Barbarie rivendica con forza nel primo decennio della sua esistenza, va cos al-
lentandosi sino a rompersi, per Castoriadis e una parte del gruppo, allinizio degli anni
Sessanta.
Crisi, scissioni, fine
Il 1958 da molti punti di vista una data di svolta nellitinerario del gruppo. Il colpo
di stato di de Gaulle del maggio 1959 sembra di natura tale da aprire una crisi politica
acuta. La sinistra e il Partito comunista gridano al fascismo. Socialisme ou Barbarie ri-
sponde che non si tratta assolutamente di questo, ma semmai di unimpresa di drastica
razionalizzazione del capitalismo francese, che non pu farsi se non a spese della clas-
se operaia. Il gruppo, o almeno una forte maggioranza dei suoi membri, intende dar-
si i mezzi per intervenire, cio intende organizzarsi. Il problema della natura e dei fini
dellorganizzazione rivoluzionaria si pone ancora, stavolta in forma concreta. Ai parti-
giani di unorganizzazione strutturata democraticamente, si intende, non gerarchica-
mente, e ispirandosi nelle sue forme e nella sua pratica al modello della societ autono-
ma , con dei contorni definiti e un programma (cio lautonomia del proletariato), si
oppongono coloro che denunciano il rischio di burocratizzazione insito in ogni organiz-
zazione distinta dallauto-organizzazione che i lavoratori si costruiscono nelle loro lotte,
cio il rischio che essa cerchi di giocare il ruolo di direzione del proletariato. E gi allo-
ra costoro rimproverano a Castoriadis di aver creduto possibile di definire il contenuto
del socialismo al posto del proletariato. Del primo gruppo fanno parte, in particolare,
Castoriadis e Vga, del secondo principalmente Lefort e Simon. Questi ultimi, assieme
a qualche altro, decidono di lasciare il gruppo e creano Information et liaisons ouvri-
res (ILO), che si trasformer poco dopo, senza Lefort, in Informations et correspondan-
ces ouvrires (ICO). Questa divergenza sullorganizzazione, comparsa sin dalla nascita del
Socialisme ou barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit
181
gruppo, copre in realt una divergenza pi profonda, mai espressa nei testi e vertente
sulla natura stessa del regime post-rivoluzionario, almeno per come lo si poteva auspica-
re. Per Lefort era chiaro gi allora che questo regime, a fianco dei Consigli operai e forse
sopra di essi, doveva dotarsi di unistituzione che fosse il luogo specifico del politico.
Dopo questa scissione, il gruppo, che si era un po allargato e aveva raggiunto diver-
se citt di provincia, si costitu in un embrione di organizzazione, Pouvoir ouvrier, dota-
ta, oltre che della sua rivista, di un piccolo mensile ciclostilato omonimo.
Se lanalisi fatta dal gruppo circa il significato del nuovo regime istituito da de Gaulle
si rivelata giusta, in compenso lidea che si trattasse di una crisi politica di vasta portata
non ha trovato riscontri. La classe operaia non ha reagito allaggravarsi dello sfruttamen-
to di cui era oggetto. E davanti allintensificazione della guerra in Algeria solo una mino-
ranza dei giovani chiamati alla leva si ribellata (soprattutto studenti). Anche allestero
sono questi ultimi a mostrarsi i pi attivi nelle lotte contro le politiche condotte dai po-
teri costituiti, in Inghilterra con il movimento Ban the bomb!, in Corea del Sud, in Ger-
mania, negli Stati Uniti... Ed in questi ambienti che comincer presto a esprimersi, con
parole e azioni, una critica radicale del modo di vita capitalista.
Questi movimenti trovano nel gruppo uneco talora entusiasta, ed principalmente
su questo terreno della critica della vita quotidiana che nellautunno del 1959 si pro-
duce il mio incontro, tutto sommato abbastanza naturale, con Guy Debord, che aderi-
sce al gruppo alla fine del 1960 per poco tempo...
Considerando tutti questi fatti, Castoriadis e una gran parte del gruppo sono con-
dotti a mettere in questione il ruolo, centrale se non esclusivo, che il marxismo classico
attribuisce al proletariato industriale nella lotta sociale e politica contro il capitalismo.
Gli operai si difendono, certo, contro lo sfruttamento e talora contro loppressione subi-
ta al lavoro, ma sono i giovani, gli studenti, i neri americani che contestano lorganizza-
zione della societ. Appare un nuovo concetto, quello di privatizzazione: la maggior
parte della popolazione si disinteressa della vita pubblica, si stacca dalle sue solidarie-
t tradizionali e si ripiega sulla sfera privata, sentendosi al contempo esonerata dallatti-
vit collettiva (in forza della burocratizzazione dei sindacati e dei partiti) e sedotta dalla
nuova possibilit che le si offre di condurre, qui e ora, unesistenza relativamente con-
fortevole.
Daltro canto, Castoriadis, stilando un bilancio degli ultimi decenni, constata che il
capitalismo riuscito a superare le proprie crisi e persino la sua crisi per antonomasia,
quella definita come ineluttabile dal marxismo. Il capitalismo ha integrato nel suo fun-
zionamento lintervento regolatore dello Stato e, soprattutto, le lotte operaie lo hanno
costretto ad aumentare nel lungo periodo il reddito da lavoro quello che la teoria gli
proibiva pena la distruzione , evitando cos il pericolo della sovrapproduzione. Ma la
societ capitalista, Occidente compreso, si trasformata anche a causa della burocra-
tizzazione. La struttura in cui una minoranza in possesso di potere e ricchezza sfrutta-
va e opprimeva una maggioranza impotente e pi o meno miserabile non si sviluppa-
ta, come pensava Marx, nel senso di una polarizzazione crescente, ma ha lasciato spazio
a una piramide a pi livelli in cui solo le fasce molto esigue poste alle due estremit
sono costituite da puri dirigenti e da puri esecutori. Scrive Castoriadis in Recommencer
la rvolution: La divisione della societ molto pi complessa e stratificata [...]. Ma si
tratta di comprendere che la burocratizzazione non diminuisce la divisione della societ,
Daniel Blanchard
182
al contrario la aggrava complicandola, che il sistema funziona nellinteresse della piccola
minoranza che al vertice [...] e che i lavoratori non potranno liberarsi dalloppressione,
dallalienazione e dallo sfruttamento se non rovesciando questo sistema [...]. La politi-
ca rivoluzionaria imposta da queste nuove condizioni non deve pi concentrarsi soltanto
su problemi e lotte legati alla sfera della produzione, ma anche su quelli creati dal domi-
nio in tutti i rapporti sociali, sui movimenti di emancipazione delle donne, dei giovani o
delle minoranze razziali, sul senso del consumo, del tempo libero o dellurbanistica...
Insomma, sotto la pressione della lotta di classe il capitalismo si trasformato, non
pi quello analizzato da Marx, ed ha finito col realizzare, in una misura piuttosto im-
portante, gli obiettivi del movimento operaio: nazionalizzazioni, pianificazione, accre-
scimento della parte riservata al lavoro nella divisione del plus-valore. In conclusione, il
marxismo non permette pi di sviluppare unanalisi adeguata del capitalismo moderno,
n di definire i fini e i mezzi di una politica rivoluzionaria. Queste tesi saranno fondate
su una critica della filosofia marxista della storia, di cui denuncer loggettivismo e leco-
nomicismo un lavoro di vasta portata che qui possiamo solo citare
5
.
Tali posizioni suscitano nel gruppo, a partire dal 1960, un dibattito molto aspro che
si concluder nel 1963 con una nuova scissione. Vga, Lyotard, Soury, Philippe Guil-
laume sono i principali oppositori di Castoriadis. Qui per si possono menzionare solo
i loro argomenti principali, poich la loro replica avviene in ordine sparso e trova una
sua coerenza solo nel riferimento al marxismo un marxismo evolutivo quale era quel-
lo praticato fino ad allora da Socialisme ou Barbarie. Quanto viene rimproverato a Ca-
storiadis di costruire, per poi meglio rigettare, un marxismo semplicistico e ossificato.
Gli oppositori concordano anche nel ricordare che, a differenza di tutti gli altri domini
in cui si esercita, il dominio sul processo di produzione , almeno nel capitalismo, pro-
fondamente strutturante, cosa che conferisce alla classe operaia un ruolo centrale nella
prospettiva rivoluzionaria. Del resto, niente permette di erigere la privatizzazione, la
depoliticizzazione della classe operaia, a tratto strutturale del capitalismo moderno. Nel
corso della sua storia, essa non ha rimesso in questione il regime sociale e politico che in
brevi e rari momenti... Quanto allaffermare che, con il concorso dei sindacati, il capita-
lismo ha pi o meno risolto il problema dei salari, secondo Guillaume questo significa
illudersi grossolanamente. Anzitutto, nel rifiuto di un salario troppo basso vi il rifiuto
dellindegnit della condizione operaia. Ora, la disuguaglianza consustanziale al ca-
pitalismo, che condannato a mantenere permanentemente una larga frazione del-
la massa dei lavoratori al di sotto del livello di vita generale e a escluderla dalle trasfor-
mazioni sociali descritte da Castoriadis.
Nel 1963 il gruppo si scinde in due: Pouvoir ouvrier da una parte, Socialisme ou Bar-
barie dallaltra, con la rivista. Nel periodo seguente, che si concluder di fatto nel 1965 e
formalmente nel 1967, la rivista si apre ad autori esterni appartenenti al mondo intellet-
tuale (Edgar Morin, Georges Lapassade...) e consacra maggiore spazio ai problemi del-
la societ, come vedremo sotto. Ma il gruppo fallisce totalmente nel tradurre in pratica i
5
Pubblicato sotto il titolo Marxisme et thorie rvolutionnaire negli ultimi cinque numeri della rivista, tale
lavoro sar ripreso e completato in Listituzione immaginaria della societ, Bollati Boringhieri, Torino 1995
(1975).
Socialisme ou barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit
183
principi della nuova politica rivoluzionaria derivanti dalle analisi di Castoriadis. La sua
attivit consiste essenzialmente nella redazione e nella discussione degli articoli della ri-
vista e in particolare del lunghissimo testo di Castoriadis sul marxismo e la teoria ri-
voluzionaria. Non solo il gruppo non interviene nei movimenti, pur minoritari e spora-
dici, che turbano la sonnolenza della societ francese privatizzata e che costituiscono
i prodromi del 1968: non li vede nemmeno. Tanto che mette fine alla sua esistenza nel
1967 provvisoriamente invocando in una lettera agli abbonati il fatto che in una
societ in cui il conflitto politico radicale sempre pi mascherato, soffocato, deviato e
al limite inesistente, lattivit di un gruppo rivoluzionario non pu che girare a vuoto.
Pouvoir ouvrier sopravvissuto fino al 1969, ma i suoi dissensi interni e la sua inca-
pacit di tradurre le sue idee politiche in una pratica originale (tanto che la sua attivi-
t militante risultava difficilmente distinguibile da quella di certi trockijsti) lo condan-
nano alla sterilit.
Occorre dire che quando il Maggio sollev la societ francese, tutti, da una parte e
dallaltra, abbiamo praticamente smesso di dormire?
Un bilancio
Di questa avventura di Socialisme ou Barbarie vorrei ora delineare, in conclusione, un
bilancio molto schematico.
Nella colonna degli elementi positivi citerei anzitutto una pratica teorica abbastan-
za esemplare per il suo rimanere costantemente aperta alla creazione storica, e legittima-
ta soltanto dallesigenza di approfondire il senso dellattivit degli uomini nella societ,
non dal possesso di una scienza della storia o delleconomia. Vi qui un apporto episte-
mologico del tutto originale, credo, e fecondo, perch la prospettiva rivoluzionaria vie-
ne fondata sullattivit degli esseri umani qui e ora: si portati a riconoscere nel fondo
pi nero dellalienazione capitalista gli indizi di una via duscita ci a differenza della
teoria situazionista, per esempio.
In secondo luogo, mi pare importante lelaborazione di un modello di societ libe-
rata, autonoma, che in un certo senso prolunga le idee pi profonde di Marx, ma ra-
dicalizzandole e concretizzandole alla luce delle creazioni pi avanzate del movimento
operaio. A ci bisogna aggiungere lo sforzo di adeguare a questo modello i principi, le
forme e i fini dellazione rivoluzionaria.
Infine, si pu portare a credito di Socialisme ou Barbarie un approfondimento e un
allargamento dellanalisi del dominio e dellalienazione capitalisti che, oltrepassando la
sfera della produzione, asse della critica marxista, mette in questione praticamente tut-
ti i rapporti tra gli esseri umani, ricollegandosi cos a certi pensatori della corrente anar-
chica o ai situazionisti.
Per quanto riguarda gli aspetti negativi, insisterei su un certo numero di punti-ciechi
della riflessione del gruppo. Oggi il pi evidente consiste nella cecit sulla crisi ecologi-
ca. vero che questa cecit era allepoca pressoch universale: quasi, perch un Murray
Bookchin, negli Stati Uniti, per esempio, gi dagli anni Cinquanta ne faceva uno degli
assi maggiori della sua denuncia del capitalismo.
Altra lacuna della nostra riflessione: non ci siamo chiesti in cosa consistesse la co-
Daniel Blanchard
184
scienza sociale e politica, e di conseguenza come potesse un gruppo ristretto di mili-
tanti agire su di essa, cio agire tout court. Lazione si riassumeva per noi nel discorso.
Ci discendeva da una concezione troppo esclusivamente intellettuale della coscienza e
dunque dellalienazione. Non ci si costruisce, per cos dire, la propria coscienza con la
conoscenza, non si supera lalienazione attraverso linformazione, o almeno non esclusi-
vamente, bens soprattutto attraverso lesperienza, con il suo radicamento nelle passioni,
e lazione. Ammetto di non aver capito tutto questo che nel maggio 68. Ci che mi ha
particolarmente illuminato stata la pratica politica del Movimento del 22 marzo, quel-
la che stata magniloquentemente chiamata azione esemplare. Compiuta da un grup-
po ristretto, lazione in questione non ha modo di incidere direttamente sul corso degli
eventi. Essa si indirizza agli altri attori potenziali, alla loro intelligenza, certo, ma anche
alla loro affettivit e alla loro immaginazione: si tratta di unazione simbolica. Gli stessi
situazionisti hanno dovuto la loro influenza alleffetto simbolico non dellazione, per-
ch non hanno praticamente mai agito, ma dello stile.
Daltra parte, la teorizzazione da parte di Castoriadis del capitalismo moderno e
della privatizzazione che lo accompagnerebbero tradisce, mi pare, una forma di ce-
cit che deriva paradossalmente dal desiderio del suo autore di cogliere con lucidit la
novit storica: lelaborazione teorica chegli ne fa tende, nel suo rigore sistematico, a
rinchiudersi su se stessa, escludendo le condizioni di possibilit di una nuova trasfor-
mazione il maggio 68, prima di tutto; poi, negli anni Settanta, limpresa di riconqui-
sta capitalista.
In conclusione, vorrei affrontare il punto che mi pare pi grave, ma anche assolu-
tamente problematico. Socialisme ou Barbarie ha condiviso una cecit pressoch uni-
versale e che per molti dura ancora: abbiamo rifiutato di riconoscere la societ moder-
na nellimmagine rimandata dallo specchio costituito dal lager e dal gulag. Come tutti,
abbiamo visto in questi fenomeni delle aberrazioni psicopatologiche o sociologiche, un
delirio della razionalit produttivista o chiss cosaltro ancora. Ci rappresentavamo la
barbarie come una regressione delle forze produttive e della cultura, un aggravar-
si senza limiti dello sfruttamento. Ad ogni modo, questa possibilit contenuta nel nome
del nostro gruppo era strettamente associata alla prospettiva della guerra. Allorch que-
sta si allontan, non ci pensammo pi. Ci siamo fatti assorbire dallanalisi del funzio-
namento della societ, della sua razionalit e della sua irrazionalit, delle possibilit di
rottura che essa offriva. Non abbiamo pi voluto vedere il nichilismo radicale che rive-
lavano il lager e il gulag e che non consiste solamente nella distruzione del legame so-
ciale che descriveva gi Marx, ma nella distruzione dellumano. E se la preoccupazione
fondamentale che anima il progetto capitalista fosse di determinare se questo un uo-
mo
6
e di fare la cernita?
6
In italiano nel testo [N.d.T].
Socialisme ou barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit
185
BIBLIOGRAFIA
Data la difficolt di reperire la rivista o le molte raccolte di contributi dei singoli autori, di cui si
offre sotto un parziale elenco, di particolare utilit il progetto di digitalizzazione di tutti i numeri
della rivista consultabile al sito: http://soubscan.org/.
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Paris, 1973
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ris 1958.
Souyri, P., Rvolution et contre-rvolution en Chine, Editions Christian Bourgois, Paris 1982.
7
Si tratta di due degli otto tomi in cui Castoriadis ha raccolto tutti i testi-chiave apparsi sulla rivista presso
la casa editrice 10/18, che li ha pubblicati tra il 1973 e il 1979.
8
Questi due libri riprendono dei testi pubblicati nella rivista sotto il nome di D. Moth.
9
I due libri riprendono la maggior parte dei suoi testi pubblicati sulla rivista, accompagnati da altri scritti
pi recenti.
187
LINTERNAZIONALE SITUAZIONISTA
Gianfranco Marelli
Descrivere il percorso compiuto dallInternazionale situazionista durante i quindici anni
della sua esperienza storica (1957-1972) significa essenzialmente affrontare tre momenti
topici che ne hanno contrassegnato la ricerca teorica e pratica: il superamento dellarte
grazie alla libera costruzione di situazioni, affinch lemozione artistica non sia pi con-
tenuta e immobilizzata nellopera darte, ma possa esprimersi e diffondersi nello spazio/
tempo della vita quotidiana cos da trasformarla radicalmente; la critica dello spettaco-
lo, in quanto risultato e progetto del modo di produzione esistente sotto il regno mon-
diale della merce, divenuta negazione visibile della vita quotidiana nella ricchezza illu-
soria di una sopravvivenza aumentata; la necessit di correggere e completare la teoria
rivoluzionaria di Marx, riprendendo alcune delle figure pi celebri della Fenomenolo-
gia dello Spirito di Hegel (lalienazione e il superamento), contestualizzate nel proces-
so di auto emancipazione del proletariato verso il pieno e totale controllo della propria
vita quotidiana.
Contro lidea borghese di felicit
Il crescente sviluppo economico registrato nei paesi industrializzati alla fine degli anni
Cinquanta del secolo scorso aveva acceso un clima di fiducia nelle possibilit offerte dal-
le scienze e dalle tecnologie nel migliorare la qualit della vita, ridisegnando un progres-
so sociale basato su di un graduale e diffuso benessere. Segnatamente in Europa Occi-
dentale, la conclusione del secondo conflitto mondiale era stata salutata come linizio
di un nuovo periodo storico e, se pure allorizzonte si intravedevano le minacce di uno
scontro imminente fra le due super potenze, la speranza della rinascita morale, politi-
ca, economica, costituiva il collante della ricostruzione post-bellica e del tanto auspica-
to ritorno alla normalit.
In campo culturale e artistico il ritorno alla normalit mostrava le caratteristiche
proprie della ricostruzione, soprattutto nella sfera cinematografica, letteraria, musicale,
Gianfranco Marelli
188
architettonica e pittorica, dove con il neorealismo e il funzionalismo imperava un dif-
fuso bisogno di impegno concreto nella realt. Nella sua accezione pi pregnante, larte
doveva svolgere innanzitutto una funzione rassicurante nei riguardi di un futuro prossi-
mo, dando forma al presente, evitando un giudizio troppo critico e del presente e della
sua forma tecno-burocratica, mercantilista e massificante. Lesigenza di fornire a tutti un
tetto, unistruzione, un lavoro, era cos pressante che qualsiasi ragionamento critico era
posto in secondo piano, poich sembrava scontato che la felicit fosse la soddisfazione
di un bisogno ritenuto imprescindibile.
Al contrario, distruggere con tutti i mezzi iperpolitici lidea borghese di felicit fu
lintento che, al termine di un lungo processo di unificazione teorica e pratica, ispir ai
delegati dellInternazionale lettrista, del Movimento per un Bauhaus immaginista e del
Comitato psicogeografico di Londra, la costituzione di ununione dei lavoratori di un
settore avanzato della cultura o, pi esattamente, come ununione di tutti coloro che ri-
vendicano il diritto ad un lavoro attualmente impedito dalle condizioni sociali e, dun-
que, come un tentativo di organizzazione di rivoluzionari professionali nella cultura
1
.
Era il 28 luglio 1957, e lunificazione avvenne in Italia a Cosio DArroscia (IM).
Queste avanguardie, dirette filiazioni del post-surrealismo europeo, si erano poste
come obiettivo il superamento della specializzazione artistica in quanto ambito sepa-
rato dalla vita, soprattutto nel momento in cui questa mostrava di voler semplicemen-
te inventare forme atte a migliorare lesistente, abbellendolo e rendendolo schiavo del-
la produzione capitalista (industrial design). LInternazionale situazionista (dora in poi
IS) ebbe dunque il compito di contrastare e dissolvere le forme moderne dellespressivi-
t estetica e culturale, proponendo una visione alternativa dellarte e del ruolo dellarti-
sta, tesa a costruire delle situazioni: vale a dire la costruzione concreta di ambienti mo-
mentanei di vita, e la loro trasformazione in una qualit superiore
2
.
Attraverso lo studio dei fattori condizionanti la vita quotidiana delle persone, osser-
vando e analizzando i limiti che lambiente impone ai comportamenti affettivi dei suoi
abitanti, i situazionisti simpegnarono a far in modo che lattivit artistica esprimesse le
proprie potenzialit rivoluzionarie mediante la creazione di situazioni in grado di esten-
dere la vita, dilatandola oltre la passivit di soddisfare bisogni mai stati desideri, in modo
da distruggere lidea borghese di felicit secondo la quale si desidera ci che si tro-
va e sperimentare lopportunit di trovare ci che si desidera attraverso la realizzazio-
ne di unazione collettiva avente come obiettivo limpiego di tutti i mezzi utili a trasfor-
mare la vita quotidiana.
Mezzi individuati dai situazionisti nella deriva, che (al contrario dellhasard des rues:
la passeggiata casuale, surrealista) si prefigge di realizzare nuove mappe geografiche per
studiare le esperienze e i comportamenti degli individui nello spazio urbano; nel gioco,
in quanto atteggiamento ludico-costruttivo capace di sviluppare le passioni umane sof-
focate dalle costrizioni imposte da una societ che ha monetizzato ogni gesto, privando-
1
G. Debord, Tesi sulla rivoluzione culturale, internazionale situazionista, n. 1 (1958), p. 21 (si fa riferimen-
to, dora in avanti, alla raccolta dei 12 numeri delledizione italiana: internazionale situazionista 1959-1969,
Nautilus, Torino 1994).
2
G. Debord, Rapport sur la construction des situations, giugno 1957. Ora in G. Debord, uvres, Gallimard,
Paris 2006, p. 322.
LInternazionale situazionista
189
lo della gratuit e del dono; nel dtournement, inteso come processo di devalorizzazione
del linguaggio imperante attraverso il rovesciamento di prospettiva del suo significato,
grazie allacquisizione di un senso nuovo nel contesto in cui lo si fa agire; nellUrbani-
smo unitario, rispecchiante la tensione degli artisti a realizzare nel concreto e non pi
nellastratta oggettualit dellopera darte un intervento capace di modificare con lo
spazio anche le condizioni di vita al suo interno.
Negare larte per realizzarla fu, dunque, lobiettivo che lIS cerc di perseguire sin
dallinizio della sua esperienza pratico-organizzativa; obiettivo che assunse immediata-
mente una valenza rivoluzionaria, poich i situazionisti si opposero alla possibilit che la
loro ricerca teorica potesse tramutarsi in una nuova scuola estetica, in un nuovo ismo:
il loro interesse non era rivolto a modificare lambiente artistico dove peraltro intrave-
devano i primi segni di decomposizione dei valori culturali dominanti , ma a trasforma-
re radicalmente il modo di intendere la vita, prefigurando e anticipando ci che la real-
t non riusciva a soddisfare nel vivere quotidiano.
La realizzazione dellarte attraverso il superamento della sua forma mercificata, si sa-
rebbe affermata in quanto effettiva sperimentazione delle potenzialit tecnologiche gi
presenti nella realt di ogni giorno, cos da combattere ed eliminare per sempre il sotto-
sviluppo della vita quotidiana. Sottosviluppo imposto da un sistema economico-produt-
tivo, che incapace di governare appieno le potenzialit scientifico-tecnologiche im-
bruttiva lesistenza umana con pseudo-novit prodotte e acquistate incessantemente, al
fine di strappare alle persone la possibilit di controllare lintero arco di tempo e di spa-
zio della propria vita. Pertanto, la rivoluzione della vita quotidiana doveva porre le con-
dizioni per la realizzazione dellarte e non doveva essere come avevano auspicato i sur-
realisti larte al servizio della rivoluzione (e del partito).
In questa prospettiva, per, lIS fu subito costretta ad affrontare al proprio inter-
no intralci e ritardi alla realizzazione di un simile progetto. Ritardi dovuti in partico-
lar modo a quegli elementi ancorati allambiente artistico ufficiale che, avendo accetta-
to di agire in esso, non erano riusciti a superarlo, ponendosi radicalmente al di l della
cultura. Le prime esclusioni e dimissioni forzate dallorganizzazione coinvolsero innan-
zitutto le sezioni italiane, tedesche e olandesi, le pi compromesse in tal senso, sostan-
zialmente impegnate a realizzare il superamento dellarte a partire unicamente da una
critica ai valori e alle forme dellarte moderna attraverso lattuazione di nuove sperimen-
tazioni estetiche.
Tali sperimentazioni, se ebbero il pregio di minare alle basi il concetto di unicit
dellopera darte e la cosiddetta genialit del creatore, non risolsero tuttavia il problema
di intervenire direttamente sulla vita quotidiana per trasformarla radicalmente. Infat-
ti, la Pittura industriale propugnata dagli italiani e in particolar modo da Pinot Gallizio
nel Laboratorio sperimentale di Alba; lUrbanismo unitario concretizzato nei bozzetti
per una citt futura (New Babylon) di Constant e degli architetti olandesi; le esposizio-
ni collettive del gruppo di pittori tedeschi Spur allinsegna della provocazione con-
tro i valori della morale e della religione, rimanevano pur sempre operazioni circoscritte
nellambito della creazione artistica, difficilmente distinguibili da altre tendenze moder-
ne, grazie alle quali il capitalismo era intento a perfezionarsi, assumendo unimmagine
pi edulcorata, accattivante e soprattutto riformista.
Bisognava, dunque, saper andar pi lontano del surrealismo, se si voleva prose-
Gianfranco Marelli
190
guirne lesperienza rivoluzionaria, arrestatasi con la sconfitta del proletariato nel cor-
so degli anni Trenta, al fine di rintracciare le cause di questa sconfitta e comprende-
re la dbcle che aveva condotto il surrealismo a divenire la pi ghiotta mercanzia per
i critici darte. Compito, questo, che i situazionisti intravidero nello stretto legame tra
lesigenza di superare larte per realizzarla e la necessit di porre sul banco degli impu-
tati, dinanzi alla storia, il progetto rivoluzionario classico, riappropriandosi del linguag-
gio artistico per creare nuove pratiche di comunicazione rivoluzionaria, fondate su di
un Urbanismo unitario non pi considerato come dottrina urbanistica, ma come critica
dellurbanistica, in grado di costruire basi situazioniste libere dal controllo della so-
ciet della merce.
Dallo spettacolo del rifiuto al rifiuto dello spettacolo
Per un movimento radicale di contestazione dellesistente che, nei primi anni Sessanta,
iniziava timidamente ad affacciarsi sulla scena del conflitto sociale, il degrado e lalie-
nazione prodotti da periferie umane anonime, prive di socializzazione al di fuori degli
spazi gestiti e controllati dalla produzione e dal consumo della merce, suscitavano uno
stato di insofferenza, fastidio e rifiuto nei confronti di una societ fondata sulla passiva
accettazione degli imperativi economici dello sviluppo e del progresso quantitativi. I si-
tuazionisti, nel ridefinire il proprio ruolo e la propria attivit organizzativa, approfondi-
rono queste nuove condizioni sociali di povert, osservandovi limminente crisi capitali-
sta e la necessit di reinterpretare la figura stessa di proletario, troppo in fretta giudicata
completamente soddisfatta e appagata dalle condizioni di benessere ormai diffuso pres-
so tutti gli strati sociali.
Tali problematiche furono al centro del dibattito teorico e organizzativo dellIS sin
dai primi anni della sua attivit, determinando una graduale, ma ineluttabile, trasforma-
zione dellassetto strutturale del gruppo a seguito delle reiterate esclusioni e dimissioni
connesse alla pratica della coerenza con il programma situazionista. Infatti, al contra-
rio della ricerca squisitamente estetica delle sezioni italiane, olandesi e tedesche, la se-
zione francese premeva affinch si sussumesse la questione sociale come prioritaria
al superamento dellarte in quanto attivit specializzata, approfondendo la critica del-
la vita quotidiana.
Ci condusse ad uno scontro fra le due tendenze, determinando unaccelerazione
nella formazione di un raggruppamento in grado di collocarsi
dallaltro lato della cultura. Non prima di essa, ma dopo. Occorre realizzarla, superandola in
quanto sfera separata: non solo come ambito riservato agli specialisti, ma soprattutto come
ambito di una produzione specializzata che non riguarda direttamente la costruzione della
vita ivi compresa la vita stessa dei suoi specialisti
3
.
Pertanto non sembr pi possibile transigere rispetto a chi allinterno dellIS accu-
sava un ritardo nel rifiutare la produzione culturale e artistica attuale (ad iniziare dalla
3
Lavanguardia della presenza, internazionale situazionista, n. 8 (1963), p. 24.
LInternazionale situazionista
191
propria), non percependo da un lato la possibilit di superare lattuale stato di decom-
posizione culturale rappresentato, soprattutto, dai cascami post surrealisti, neo dadai-
sti e della pop art ma neppure daltra parte la possibilit di pervenire ad una superiore
realizzazione della vita quotidiana, grazie alle disponibilit tecnico-scientifiche gi pre-
senti. Inoltre, per i situazionisti francesi, era inammissibile non accorgersi dellesigen-
za espressa dal proletariato giovanile negli ultimi anni con rivolte violente e scioperi
selvaggi di riappropriarsi della critica radicale nei confronti della societ capitalista e
di ritrovare la strada perduta dellauto-organizzazione, liberandosi dai vincoli asfissianti
del sindacato e dei partiti storici della sinistra.
La difficile convivenza fra le due anime dellIS manifestatasi gi durante la II Con-
ferenza (Parigi, 25-26 gennaio 1958) con lesclusione di pi della met della sezione ita-
liana per aver sostenuto tesi idealiste e reazionarie nel campo della sperimentazione ar-
tistica si evidenzi ancor pi nellintervallo fra la III Conferenza (Monaco, 17-20 aprile
1959) e la IV Conferenza (Londra, 24-28 settembre 1960), quando ben undici situazio-
nisti furono costretti a lasciare lIS, azzerando in tal modo le sezioni italiana e olandese.
Infatti, Pinot Gallizio e suo figlio Giors Melanotte, nel maggio 1960, erano stati esclu-
si per aver collaborato con forze ideologicamente inaccettabili (contatti con galleristi e
mercanti darte), mentre Constant era stato costretto a dimettersi a causa dello scontro
con Debord e Jorn riguardo la preminenza da lui accordata allUrbanismo unitario sul-
la rivoluzione, al punto da considerarlo il fine del progetto situazionista, e non sempli-
cemente un mezzo.
Eliminati gli elementi pi compromessi con lambiente artistico perch si erano mo-
strati docili e malleabili di fronte alle richieste dei mercanti darte, lIS riformul il pro-
prio assetto organizzativo, abbandonando la struttura federalista basata sullautonomia
nazionale delle sezioni e istituendo il Consiglio centrale con la funzione di assicura-
re lo sviluppo dei poteri dellIS, in modo da garantire una gestione unitaria del dibatti-
to teorico e da permettere il controllo e lapprovazione delle future adesioni allinterno
di ogni singola sezione, per impedire il formarsi di tendenze maggioritarie contrastanti
loriginale progetto situazionista. Inoltre, dopo aver preso la decisione di trasferire lUf-
ficio dUrbanismo unitario da Amsterdam a Bruxelles sotto la direzione dellarchitetto
Attila Kotnyi (in seguito coadiuvato da Raoul Vaneigem), la IV Conferenza affront an-
che una spinosa questione: se, e in quale misura, lIS potesse considerarsi un movimento
politico, e a quali forze potesse eventualmente appoggiarsi.
La discussione assunse, ovviamente, toni molto accesi, soprattutto a seguito della di-
chiarazione, proposta dalla sezione tedesca, che asseriva quanto nella presente societ
vi fossero ormai soltanto operai soddisfatti, scatenando una tenace resistenza da par-
te di Debord, convinto invece del contrario, come il moltiplicarsi degli scioperi selvaggi
nei paesi capitalisti avanzati confermavano in modo inequivocabile. Gli estensori della
dichiarazione dovettero soprassedere, non perch la questione fosse giudicata margina-
le al dibattito, ma per non intralciare i lavori della Conferenza. Tale decisione non fece
altro che procrastinare il redde rationem, che puntualmente avvenne alla V Conferenza
(Gteborg, 28-30 agosto 1961). Sin dal primo giorno dei lavori assembleari, vi fu uno
scontro duro e senza esclusione di colpi fra i due schieramenti contrapposti, e lassen-
za di Asger Jorn dimessosi dallorganizzazione nel corso del terzo Consiglio centrale a
causa dellimbarazzo per limportanza e il successo conseguiti come pittore ormai affer-
Gianfranco Marelli
192
mato, celebrato e ben pagato nel circuito commerciale europeo e nordamericano ave-
va ulteriormente vanificato qualsiasi tentativo di mediazione.
Venuti cos a mancare, uno dopo laltro, i personaggi storici che rappresentavano il
legame con il recente passato dellorganizzazione, risult meno problematico emarginare
lala artistica dellIS, soprattutto dopo che Vaneigem divenuto in breve tempo una del-
le colonne portanti dellorganizzazione nonostante la recente adesione (1960) proiett
il dibattito teorico su di un piano eminentemente pratico, affrontando ci che lIS vuo-
le essere per stabilire, una volta per tutte, cosa essa dovesse fare. Se,
il mondo capitalista organizza la vita sul modello dello spettacolo, non si tratta di elaborare lo
spettacolo del rifiuto, ma di rifiutare lo spettacolo. Gli elementi di distruzione dello spettaco-
lo precis il situazionista devono per lappunto cessare di essere opere darte perch la loro
elaborazione sia artistica nel senso nuovo ed autentico definito dallIS. Non esiste situazioni-
smo, n opera darte situazionista
4
.
Del resto, gi nel Manifesto redatto dallIS nel maggio del 60, erano stati chiaramen-
te esposti i caratteri principali della battaglia che i situazionisti si apprestavano ad intra-
prendere contro gli artisti e contro la cultura contemporanea, in quanto espressione
della profonda affinit fra i sistemi sociali coesistenti nel mondo, sulla base della con-
servazione eclettica e della riproduzione del passato
5
. Battaglia proiettata alla presa
dellUNESCO (sede burocratica di tutta la cultura mondiale), con lobiettivo di diffonde-
re la cultura situazionista realizzata, vale a dire: la partecipazione sociale contro lo spet-
tacolo; lorganizzazione del momento vissuto contro larte conservata; lutilizzazione di
tutti gli elementi per una pratica globale contro larte parcellare; linterazione e il dialo-
go contro larte unilaterale, affinch tutti potessero diventare artisti situazionisti, cio
in modo inseparabile produttori/consumatori di una creazione culturale totale.
Tuttavia, il Manifesto, quasi a voler mitigare lanatema contro chi fra i situazionisti
continuava a svolgere il mestiere di artista (e il riferimento non poteva non intender-
si rivolto ai tedeschi del gruppo Spur, agli scandinavi e allo stesso Jorn), in conclusio-
ne perentoriamente proclam:
Inauguriamo quello che storicamente sar lultimo dei mestieri. Il ruolo di situazionista, di
dilettante-professionista, di antispecialista ancora una specializzazione fino a quel momento
di abbondanza economica e mentale in cui tutti diventeranno artisti, in un senso che gli
artisti non hanno raggiunto: la costruzione della loro vita. Tuttavia, lultimo mestiere della
storia cos vicino alla societ senza divisione permanente del lavoro che non gli si riconosce
la qualifica di mestiere quando fa la sua apparizione nellIS
6
.
Dopo la pubblicazione del Manifesto non trascorsero neppure due mesi che fra i si-
tuazionisti e lentourage del gruppo francese della rivista Socialisme ou Barbarie (una
tendenza marxista staccatasi nel 1948 dallesperienza trotzkista della IV Internazionale)
inizi a circolare il documento Preliminari per una definizione minima del programma
4
La quinta Conferenza dellIS a Gteborg, internazionale situazionista, n. 7 (1962), p. 26.
5
Manifesto, internazionale situazionista, n. 4 (1960), p. 37.
6
Ibid., p. 38.
LInternazionale situazionista
193
rivoluzionario, redatto da G. Debord e P. Canjuers (pseudonimo di Daniel Blanchard,
allora militante di S. ou B.) con lobiettivo di creare una piattaforma di discussione
nellIS e di collegamento con militanti rivoluzionari del movimento operaio.
Il documento pose in evidenza quanto lattuale societ fosse organizzata attraverso la
modalit dello spettacolo, che, al di fuori del lavoro, nel mondo del consumo determina
il rapporto tra gli uomini diretto dalla classe dirigente attraverso la divisione, lestraneit
e la non partecipazione. Cosicch, essendo il rapporto tra autori e spettatori soltanto una
metamorfosi del rapporto fondamentale tra dirigenti ed esecutori, esso risponde piena-
mente ai bisogni di una cultura reificata e alienata, il cui unico compito sviare i desi-
deri dei quali lordine dominante vieta il soddisfacimento, rappresentando nientaltro
che un semplice mezzo di condizionamento. Pertanto, senza il trionfo del movimento ri-
voluzionario, gli artisti non potranno mai sperare di realizzare una cultura sperimenta-
le; cos come lo stesso movimento rivoluzionario non potr instaurare condizioni rivo-
luzionarie autentiche senza riprendere gli sforzi compiuti dallavanguardia culturale per
la critica della vita quotidiana e la sua ricostruzione libera
7
.
Con queste premesse, il clima gi surriscaldato della V Conferenza sinfuoc ulte-
riormente sino a causare pesanti strascichi, a seguito anche della decisione di affianca-
re al comitato di redazione della rivista tedesca Spur i situazionisti Kotnyi e de Jong,
per controllare da vicino il processo di unificazione della teoria. Sebbene accettata da-
gli stessi redattori, tale decisione appariva come un esplicito controllo nei confronti del
gruppo che pi aveva difeso la posizione riguardo agli operai soddisfatti e perorato la
causa di un impegno preciso nel campo culturale, nonostante fosse stata accolta da tut-
ti (con la sola eccezione del danese Jrgen Nash, fratello minore di Jorn) la regola pro-
posta da Kotnyi di chiamare antisituazioniste le opere artistiche dei membri dellIS.
Nei fatti, se il tentativo di creare un sodalizio politico fra i situazionisti e i militanti di
Socialisme ou Barbarie non ebbe alcun esito, per quanto riguarda lorganizzazione si-
tuazionista i Preliminari ebbero lindubbio leffetto di stanare lala destra, costringen-
dola a decidere di lasciare lIS per formare una Seconda internazionale situazionista, in
modo da riorganizzare i dissidenti attorno ad un nuovo progetto comune.
A condizionare la scelta compiuta dalla sezione scandinava di attuare la scissione, fu
lesclusione del gruppo tedesco Spur (decisione presa al IV Consiglio centrale), reo
di aver pubblicato nel gennaio del 1962 allinsaputa dei due situazionisti invitati dalla
Conferenza di Gteborg ad affiancare la redazione il settimo numero dellomonima ri-
vista, contenente testi ed analisi ritenuti nettamente in regresso rispetto ai precedenti.
Con la costituzione della II Internazionale situazionista, si form un raggruppamen-
to di artisti attorno al danese Nash, che nel Sud della Svezia, assieme agli esclusi
della sezione tedesca promosse una Bauhaus situazionista, divenuta in breve tempo
il centro propulsore delle attivit della nuova avanguardia; sennonch, la mancanza di
una coerenza tra la pratica e lelaborazione teorica (costituita essenzialmente dalla pub-
blicazione di due riviste, Drakabygget e Situationist Times, questultima diretta da
Jacqueline de Jong) fin per esaurire lesperienza nashista nel giro di pochi anni, nono-
7
G. Debord, P. Canjuers, Prliminaires pour une dfinition de lunit du programme rvolutionnaire, Paris 20
luglio 1960 (ora in I situazionisti, Manifestolibri, Roma 1991, p. 94).
Gianfranco Marelli
194
stante limmediato apprezzamento ricevuto dallambiente artistico europeo, grazie so-
prattutto agli aiuti economici e alle conoscenze personali di Asger Jorn, che sebbene
dimessosi dallIS non volle far parte di nessuno dei due schieramenti, limitandosi a fi-
nanziarli entrambi.
La scissione nashista concluse uno dei periodi pi complessi per lIS, in quanto rap-
present lapice della battaglia contro il tentativo di inglobare lesperienza situazionista
fra le tendenze delle moderne ricerche estetiche, tentativo di gran lunga pi pericolo-
so della vecchia concezione artistica contro la quale i situazionisti si erano dati un pro-
gramma comune. Tanto vero che superato con non poche difficolt questo difficile
momento organizzativo, contrassegnato da ben 21 esclusioni e 13 dimissioni fra il 1957
e il 1962 i situazionisti poterono fare un primo bilancio, riconoscendo con malcelata
soddisfazione che
la parte di sconfitta dellIS ci che viene comunemente considerato un successo: il valore arti-
stico che cominciano ad apprezzare tra noi; la prima moda sociologica o urbanistica che capita
ad alcune nostre tesi; o, pi semplicemente, il successo personale, quasi garantito a qualunque
situazionista allindomani della sua esclusione
8
.
Il prosieguo dellavventura situazionista non fu certamente meno burrascoso, e il repuli-
sti effettuato negli anni precedenti continu anche in seguito, sebbene in maniera meno
massiccia, dal momento che dopo Gteborg la politica delle porte chiuse evit (alme-
no fino al 1966) che il numero degli esclusi, comprese le dimissioni, superasse le sei uni-
t. Merito, sicuramente, di pi stretti ed intransigenti rapporti fra i situazionisti rimasti
dentro la casa madre, che, alla VI Conferenza (Anversa, 12-16 novembre 1962), fu ri-
organizzata attraverso la soppressione delle sezioni nazionali e considerata come un uni-
co centro rappresentante in toto degli interessi della nuova teoria della contestazione,
senza dedurne alcun ruolo dirigente su delle forze subordinate
9
. Inoltre fu designato
lultimo Consiglio Centrale, che si assunse il compito di eleggere entro lanno i candida-
ti, ammessi come partecipanti di una IS divenuta nella sua totalit questo centro (ad un
livello uguale di partecipazione teorica e pratica di tutti)
10
. Sennonch, fu proprio la ri-
cerca di unuguale partecipazione teorica e pratica di tutti a determinare nuove e ancor
pi deleterie spaccature in seno allIS.
Dissolvere larte e reinventare la rivoluzione
In quei primi anni Sessanta la ricerca per lIS di un nuovo modello organizzativo fon-
damentale nella rielaborazione e ridefinizione della teoria doveva contemporaneamen-
te concretizzarsi nel superamento sia delle vecchie avanguardie culturali che dei vecchi
partiti di massa; pertanto, lorganizzazione rivoluzionaria di tipo nuovo doveva anzitut-
to assicurare la partecipazione e la creativit di tutti i suoi membri, rigettando ogni pos-
8
E ora lIS, internazionale situazionista, n. 9, (1964), p. 3.
9
Informazioni situazioniste, internazionale situazionista, n. 8 (1963), p. 73.
10
Ibidem.
LInternazionale situazionista
195
sibile forma di separazione fra attivit teorica e attivit pratica, affinch fosse impedi-
ta sul nascere il formarsi di una gerarchia burocratica basata sulla specializzazione dei
compiti.
La decisione assunta dallultimo Consiglio centrale (Parigi, 10-11 febbraio 1962)
di limitare il numero delle esclusioni, attraverso un controllo pi oculato sullaccesso
troppo facile nellIS, in modo da scegliere gli elementi a tutta prova
11
, se cerc di forni-
re unimmediata risposta al sintomo emorragico che fino ad allora aveva colpito lorga-
nizzazione situazionista, non risolse la causa che aveva provocato le continue esclusioni
e dimissioni consistente nel differente impegno, da parte dei suoi membri, nel persegui-
re coerentemente il progetto situazionista attraverso una pratica comune che la diversa
capacit teorica rendeva difficile, se non addirittura impossibile.
Lesclusione della pars costruens sicuramente la pi esposta ai numerosi tentativi di
recupero nellalveo del modernismo culturale ed ideologico fin per per impoverire la
pars destruens dellIS, relegando il compito di sviluppare lattivit pratica di gruppo a po-
che persone, la cui capacit teorica li costrinse ad assumere il ruolo di specialisti, di lea-
der, nonostante limpegno profuso nellevitare di diventarlo, combattendo sia chi aveva
cercato di assumere un ruolo di vedette per lincapacit pratica dei pi, sia chi aveva ne-
cessit di affidarsi a vedette per nascondere le proprie insufficienze teoriche.
Pure, lopposizione al nashismo (neologismo per indicare il nemico dal quale aspet-
tarsi i peggiori attacchi antisituazionisti) riusc a consolidare lIS attorno ad unattivit
tesa da una parte a screditare il tentativo degli scissionisti di autolegittimarsi come gli
unici situazionisti sul mercato; dallaltra a raffinare la critica della vita quotidiana e la no-
zione di spettacolo attraverso contatti sempre pi stretti con le forze e i gruppi rivo-
luzionari attivi nello scenario politico internazionale, caratterizzato dalla Guerra fredda,
dal Neocolonialismo e dalle prime manifestazioni di protesta proletaria e studentesca.
Il punto dincontro fra questi due obiettivi avvenne in occasione della manifesta-
zione svoltasi alla galleria darte Exi, a Odense (Danimarca) nel giugno del 1963. Ri-
prendendo e proseguendo lazione clandestina compiuta in aprile dal gruppo inglese
Spies for Peace che attraverso la pubblicazione dellopuscolo (riprodotto nella bro-
chure dellesposizione) Danger! Official Segret RSG-6 aveva divulgato il sito e i piani
del rifugio governativo regionale n. 6, i situazionisti organizzarono una mostra collet-
tiva incentrata sulla installazione di rifugi antiatomici, riproducendone il modello dopo
lipotetico scoppio della Terza guerra mondiale.
Sette cartografie termonucleari di J.V. Martin esponevano lo stato di distruzione tota-
le del pianeta a seguito dello scontro fra le due super potenze mondiali, che la crisi dei
missili a Cuba dellottobre 1962 aveva drammaticamente prefigurato come un evento af-
fatto remoto, suscitando una paura collettiva in tutto lOccidente tale da scatenare una
vera e propria corsa alla produzione di rifugi antiatomici, i cui primi beneficiari sareb-
bero stati i capi delle nazioni e il loro entourage politico.
Affiancate a queste tele figuravano altri cinque quadri dai titoli roboanti (come: Vive
Marx e Lumumba, o Le president Eisenhower prend honteusement la fuite devant les ir-
rducibles manifestations des tudiants Zengakuren), oltre a tre composizioni a collage di
11
Informazioni situazioniste, internazionale situazionista, n. 7 (1962), p. 50.
Gianfranco Marelli
196
Michle Bernstein le victory series nelle quali le storiche sconfitte della rivoluzione
proletaria erano state rilette e trasformate in vittorie esemplari (Victoire de la Commune
de Paris; Victoire des rpublicains espagnols; Victoire de la Grande Jacquerie de 1358).
Infine Debord che aveva curato la brochure della mostra con il testo teorico I Si-
tuazionisti e le nuove forme dazione nella politica e nellarte aveva graffito in nero su
tele color muraglia le direttive situazioniste, sintetizzando in tal modo il progetto ri-
voluzionario dellIS: 1- Depassement de lart; 2- Ralisation de la philosophie; 3- Tous con-
tre le spectacle; 4- Abolition du travail alin; 5- Non tous les spcialistes du pouvoir. Les
conseils ouvriers partout.
La mostra situazionista segn il punto di non ritorno con il proprio passato e, al con-
tempo, ne rappresent la continuit, esprimendo sia un reciso rifiuto dellarte come
merce preziosa, il cui compito era di render preziosa qualsiasi merce, su esempio del-
la pop-art; sia la ricchezza di sperimentare lassolutamente nuovo posto fra limpellen-
te necessit di dare senso ad una vita privata di qualsiasi significato (arte), e il bisogno
di trasformarla radicalmente a partire da nuovi valori, altri dal controllo e dalla gestione
dellapparato economico-produttivo (politica).
Purtroppo non fu certo facile, n immediatamente concretizzabile una pratica teori-
ca siffatta, in quanto le vecchie categorie e i ruoli da esse imposti condussero i situazioni-
sti a barcamenarsi tra la rivoluzione dellarte e una nuova arte della rivoluzione, sebbene
precisa e puntuale fosse la critica situazionista nel cogliere quanto lidentico processo di
alienazione della vita quotidiana restasse presente ogni qual volta nellillusione di mo-
dificare la realt si contribuiva ad abbellirla, e con oggetti insignificanti (le opere dar-
te), e con progetti alienanti (il potere politico) in cui gli artisti e i rivoluzionari di profes-
sione sopravvivono a se stessi.
Lobiettivo di dissolvere larte nel tempo vissuto si coniug perci con lesigenza
di reinventare la rivoluzione, a partire da una serrata critica non solo nei confronti del-
la perniciosa sopravvivenza delle avanguardie artistiche in quanto realt separate dal
vissuto quotidiano , ma pure nei riguardi delle cosiddette avanguardie rivoluzionarie,
dove lidentica separazione fra la realt sociale in continua trasformazione, e limmobili-
smo ideologico del programma rivoluzionario classico, ne caratterizzava lo stato di arre-
tratezza rispetto alle condizioni presenti per una possibile rivoluzione.
Se, infatti, le forme e i significati ideologici con i quali simpediva il realizzarsi della
vita quotidiana mediante la banalizzazione dellimpiego della tecnologia erano espres-
si dalla modernit ammorbante larte contemporanea, ugualmente la ripetitivit del pen-
siero politico entro le forme e i significati ideologici della conquista del potere, arrestava
il processo di trasformazione radicale e totale dellesistente, in quanto incapace di testi-
moniare la concreta presenza della rivoluzione nella societ, di cui si percepiva certa lat-
tuale mancanza nella separatezza della politica.
Limportanza assunta dalla mostra situazionista del 1963 alla galleria Exi risult fon-
damentale, non perch si trattasse di una svolta (come una certa critica propensa nel
sostenere), quanto piuttosto perch conferm la continuit nella ricerca precedentemen-
te compiuta dai situazionisti, intravedendo nel bisogno di reinventare la rivoluzione
lidentica matrice che genera limpellente necessit di realizzare larte, superandola.
Furono proprio le istanze giovanili sorte nella seconda met degli anni Sessanta,
espressioni di un rifiuto totale di qualsiasi mediazione con il loro bisogno di vivere sen-
LInternazionale situazionista
197
za tempo morto e gioire senza ostacoli, a rappresentare il passaggio pratico attraverso il
quale lIS assunse una pi marcata connotazione rivoluzionaria, proiettandola immedia-
tamente nellagone politico di quei tumultuosi anni, con il vantaggio di disporre di una
teoria critica scevra da impedimenti ideologici, retaggio di un passato in cui la separazione
fra lazione politica e lagire dellartista era stata la causa della sconfitta del proletariato.
Fare i conti con il proprio passato
La teoria critica della vita quotidiana e lanalisi della societ contemporanea come espres-
sione di un sistema economico la cui produzione principale lo spettacolo, in quanto ri-
flesso fedele della produzione di cose, e oggettivazione infedele dei produttori
12
(scrive-
r Debord, parafrasando Marx, ne La societ dello spettacolo), furono in parte debitrici
nei confronti della ricerca compiuta da Henri Lefebvre, proprio in quegli anni, con la
pubblicazione del secondo volume della sua Critica della vita quotidiana (1961).
Nellambiente gauchiste francese, simili problematiche non solo erano dibattute nei
frequentatissimi seminari del filosofo francese (durante i quali Debord e Vaneigem si co-
nobbero), ma erano moneta corrente fra le riviste marxiste e libertarie (Arguments,
Socialisme ou Barbarie, Informations et Correspondances Ouvrieres, Noir et Rou-
ge) sin dai primi anni Sessanta, animando un infuocato dibattito sul ruolo che il prole-
tariato doveva assumere nella presente societ consumistica; sul valore da attribuire al
tempo libero come fattore di alienazione o liberazione del vissuto quotidiano; sulla
funzione dei paesi socialisti nel processo di emancipazione del proletariato nei pae-
si in via di sviluppo e le reali aspettative rivoluzionarie della decolonizzazione nel terzo
mondo; non ultimo sui compiti che i Consigli operai dovevano assumere prima e dopo
la rivoluzione.
In simili temperie, lIS cerc di influenzare il dibattito politico grazie al proprio ap-
porto teorico, rivisitando soprattutto la storia delle rivoluzioni proletarie, a partire
dallesperienza della Comune di Parigi, interpretandola come la pi grande festa del
XIX secolo, poich gli insorti avevano dato limpressione di esser diventati padroni del-
la propria storia, non tanto a livello di decisione politica governativa, quanto a livello
di vita quotidiana, rappresentando fino ai giorni nostri, lunica realizzazione di unurba-
nistica rivoluzionaria, che attacca sul campo i segni pietrificati dellorganizzazione do-
minante della vita
13.
.
Lo scritto, frutto di una precedente e ampia discussione con Lefebvre, origin suc-
cessivamente unaspra polemica fra i situazionisti e il filosofo (accusato di aver loro ru-
bato lidea per scriverci un libro presso Gallimard), ma soprattutto evidenzi quanto
allIS importasse rivestire un ruolo da protagonista indiscusso nellambiente dellintelli-
ghenzia francese, al punto da sperare che la propria rivista (allora ancora relegata nel mi-
lieu artistico) potesse subentrare alla pi nota ma ormai vetusta rivista Arguments,
grazie proprio a Lefebvre che allora vi figurava fra i redattori.
12
G. Debord, uvres, Gallimard, Paris 2006, p. 769.
13
G. Debord, A. Kotnyi, R. Vaneigem, Sulla Comune, internazionale situazionista, n. 12, p. 114.
Gianfranco Marelli
198
La vicenda si concluse con un nulla di fatto (nel 1962 Arguments cess le pub-
blicazioni), ma ebbe alcuni strascichi durante gli avvenimenti del Maggio francese, in
quanto il professore Lefebvre fu fatto oggetto di scherno e insultato al pari di tutti gli al-
tri illustri docenti di Nanterre, sorpresi da quanto stava accadendo nella loro univer-
sit. A non esser affatto sorpresi furono i situazionisti, che da tempo avevano osservato
come le proteste scoppiate in Europa e negli Stati Uniti nella seconda met degli anni
Sessanta, confermassero le loro analisi sullo stato di alienazione, ormai insopportabile,
determinato da una produzione/consumo della merce che aveva definitivamente prole-
tarizzato il mondo.
In questi anni caratterizzati dalla Guerra fredda, dallo scontro politico/ideologico
fra URSS e Cina, dal mito della rivoluzione castrista e dalla lotta antimperialista in Vie-
tnam, le avanguardie intellettuali e i movimenti politici erano stati sollecitati a pren-
der posizione, compiendo unopera di rilettura della storia recente, al fine soprattutto
di darsi spiegazione delle proteste apparentemente senza senso che allora incen-
diavano i sobborghi delle grandi metropoli occidentali cos come rovinavano sugli sta-
ti operai dellEuropa dellEst.
Ma se, a vario titolo, le forze intellettuali e le organizzazioni rivoluzionarie tentarono
di ricondurre il nuovo al vecchio, cercando di fornire ai nuovi movimenti di rivol-
ta giovanile un linguaggio ideologico mutuato dalle esperienze storiche del proletaria-
to, lIS si pose invece lobiettivo di dare voce alle moderne espressioni contestatrici at-
traverso nuove forme di comunicazione sperimentate in queste situazioni di lotta (grazie
alla pratica del dtournement di vignette, foto, citazioni di frasi celebri, estrapolate dai
rispettivi contesti originali e reinvestite di significati rivoluzionari), sottoponendo cos
lesperienza storica del proletariato al vaglio delle condizioni rivoluzionarie presenti, per
comprendere e correggere gli errori pratico-organizzativi commessi in passato, in modo
che il nuovo giudicasse il vecchio, rispondendo allimpellente esigenza di reinven-
tare la rivoluzione.
Gli ultimi numeri della rivista situazionista (segnatamente a partire dal numero 9,
uscito nellagosto 1964) si caratterizzarono per lanalisi delle lotte radicali di quegli anni,
nellintento di coordinare le idee ai fatti, intravedendovi un punto dincontro coerente
fra la conoscenza intellettuale dellIS e la contestazione pratica di chi, spontaneamente,
attuava un rifiuto della politica come luogo del sacrificio e della separazione dalla vita
quotidiana e rivendicava da subito la riappropriazione dei propri desideri, negando
qualsiasi principio dautorit, gerarchia, specializzazione, in modo da realizzare in pri-
ma persona la critica al lavoro salariato e alla merce, dando cos concretezza allobietti-
vo di vivere senza tempo morto e godere senza ostacoli, divenuto ormai il fine ultimo
del progetto situazionista.
Cos, dopo le analisi storiche sulle lotte proletarie radicali avvenute in Ucraina, in
Spagna, in Ungheria, la rivista situazionista incominci una serrata disamina riguardo
alle rivolte scoppiate negli Stati Uniti, in Giappone, in Algeria, in Francia, in Inghilterra,
accompagnando la descrizione di quanto stava accadendo con una spiegazione politica
e sociologica, che in molti casi produsse immediatamente documenti tradotti e utiliz-
zati in loco come materiale propagandistico del programma dellIS. Esempio ne ledi-
toriale del n. 10 (1966), Il declino e la caduta delleconomia mercantil-spettacolare, edito
nel 1965 a Parigi ed immediatamente tradotto e diffuso negli Stati Uniti (ad opera della
LInternazionale situazionista
199
neonata sezione angloamericana dellIS) in occasione della rivolta della popolazione nera
di Los Angeles, scoppiata nel quartiere di Watts tra il 13 e il 16 agosto 1965.
Pi che intravedervi uno scoppio violento della lotta antirazzista, i situazionisti indi-
viduarono nella lotta dei neri a Los Angeles il primo segnale di una nuova contestazione
che si sarebbe estesa, in quanto espressione della nuova coscienza proletaria (di non es-
ser padroni della propria attivit, della propria vita), e che avrebbe segnato il passaggio
dalla schiavit del consumo alla consumazione raggiunta nellimmediato, e non pi in-
definitamente inseguita nella corsa del lavoro alienato, e dellaumento dei bisogni socia-
li differiti
14
, come praticamente i neri avevano saputo dimostrare attraverso lesproprio
dei supermercati e la distruzione della merce durante i giorni della sommossa.
Ugualmente, quanto accadeva in Algeria a seguito del putsch del generale Boume-
dienne giugno 1965 fu loccasione per diffondere un documento, Indirizzo ai rivolu-
zionari dAlgeria e di tutti i Paesi (apparso sul medesimo numero, ma precedentemente
tradotto in quattro lingue e diffuso clandestinamente nel paese africano), con cui i situa-
zionisti denunciarono lillusione di uno stato autogestionario dei lavoratori algerini, al
fine di demistificare la politica dei due blocchi contrapposti, essendo la realt interna-
zionale caratterizzata dappertutto da
una stessa societ dellalienazione, del controllo totalitario (qui arriva prima il sociologo, l la
polizia), del consumo spettacolare (qui le automobili e i gadget, l la parola del capo venerato),
malgrado le variet dei suoi travestimenti ideologici o giuridici
15
.
Uninterpretazione che rompeva non solo la divisione in schieramenti contrapposti fra
Stati Uniti e Unione Sovietica, tesa ad alimentare il sonno letargico di tutti, il mante-
nimento di un ordine che resta fondamentalmente lo stesso
16
, ma anche spezzava le il-
lusioni che la sinistra estrema mostrava nei confronti delle cosiddette rivoluzioni terzo-
mondiste; illusioni che come nel caso della fine dellesperienza autogestionaria algerina
a seguito del colpo di stato compiuto dalla burocrazia islamico-nazionalista avevano
posto allo scoperto la vera natura di quel potere, permettendo cos una definitiva razio-
nalizzazione dello Stato, non pi costretto a camuffarsi in Stato dellAutogestione, come
i gauchistes ferventemente credevano, per esser semplicemente uno Stato.
Questopera di demistificazione, i situazionisti la attuarono soprattutto al fine di de-
nunciare il proselitismo dei gruppi rivoluzionari fra gli studenti e i giovani proletari at-
traverso lideologia antimperialista che, in piena Guerra fredda, impediva loro di aprire
gli occhi sul fatto che la guerra in Vietnam, lungi dallessere una aberrazione di un cat-
tivo governo, era la logica conseguenza di rapporti di classe del capitalismo privato in
competizione con il capitalismo tecnocratico di Stato per accaparrarsi gli ultimi scam-
poli delleconomia mondiale ancora non controllati. Constatazione, questa, di una luci-
dit premonitrice, poich consent ai situazionisti (e a pochi altri) di comprendere quan-
to la necessaria lotta contro limperialismo americano si sarebbe in tal modo ridotta ad
14
Il declino la caduta delleconomia mercantil-spettacolare, internazionale situazionista, n. 10 (1966). p. 5.
15
Indirizzo ai rivoluzionari dAlgeria e di tutti i Paesi, internazionale situazionista, n. 10 (1966). p. 44.
16
Ibid., p. 47.
Gianfranco Marelli
200
un appoggio incondizionato alla burocrazia vietcong senza unopportuna e tempestiva
critica al modello sovietico.
A testimonianza di come lIS fosse ormai proiettata ad assumere il ruolo di coscienza
critica di un movimento rivoluzionario la cui lettura ingessata della Guerra fredda ave-
va appiattito la riflessione e addormentato la coscienza su posizioni ideologiche e mani-
chee fu lopuscolo redatto nellagosto 1967, Il punto desplosione dellideologia in Cina.
Ripubblicato sul numero 11 della rivista situazionista, segn la critica pi accesa contro
la cieca, irresponsabile e assassina approvazione della Rivoluzione culturale maoista che
tanti proseliti aveva conquistato fra le schiere degli intellettuali europei engags, incapa-
ci di comprendere che quanto allora stava accadendo in Cina altro non era che una mera
lotta intestina fra i proprietari ufficiali dellideologia contro la maggioranza dei proprie-
tari dellapparato delleconomia e dello Stato.
In un momento storico in cui la necessit di appartenere ad uno schieramento ben
preciso sulla scacchiera della politica internazionale accec le menti ed i sentimenti dei
pi intransigenti rivoluzionari, queste prese di posizione compiute dallIS assunsero un
valore ancor pi importante e radicale perch laccusa dei situazionisti contro lideologia
rivoluzionaria intesa come ratifica del fallimento del progetto rivoluzionario, come
propriet privata dei nuovi specialisti del potere, come impostura di una nuova rappre-
sentazione che si innalza al di sopra della vita reale proletarizzata
17
fu unaccusa sen-
za diritto di replica, e soprattutto forn allIS le credenziali di aver saputo fare i conti con
il proprio passato e di essere unorganizzazione rivoluzionaria di tipo nuovo, in unepo-
ca in cui per dirla con Saint-Just tutto ci che non nuovo in tempo di innovazio-
ne pernicioso.
Il non pi e il non ancora del situazionismo
Lorganizzazione rivoluzionaria di tipo nuovo dovette per affrontare al proprio interno
una pesante crisi, se nel 1966 dei membri storici che costituirono lIS (alla VII conferenza,
svoltasi a Parigi dal 9 all11 luglio) ne erano rimasti soltanto due: Guy Debord e Mich-
le Bernstein. Sennonch, proprio in quellanno, la giovane guardia situazionista divenne
protagonista sotto la sapiente guida dei noti Debord , Vaneigem e del tunisino Musta-
pha Khayati di uno scandalo allUniversit di Strasburgo che ne determin limmedia-
to successo di pubblico, balzando alle cronache giornalistiche e giudiziarie.
Il tutto avvenne a seguito dellelezione alla direzione del sindacato studentesco di
Strasburgo (AFGES) di sei studenti che, in combutta con i situazionisti, decisero di impie-
gare i soldi dellassociazione per editare la brochure Della miseria nellambiente studen-
tesco (scritta in massima parte da Khayati), e di promuoverne la dissoluzione attraverso
la convocazione di unassemblea straordinaria. Limpresa ebbe un successo immediato,
soprattutto perch lastuta regia situazionista colse impreparati sia il mondo accademi-
co, sia lo stesso sindacato studentesco, ma soprattutto seppe indirizzare la stampa locale
affinch ne ingigantisse leffetto dirompente, al punto da costringere le autorit universi-
17
Definizione minima delle organizzazioni rivoluzionarie, internazionale situazionista, n. 11 (1967), p. 56.
LInternazionale situazionista
201
tarie a ricorrere al Tribunale di Strasburgo per impedire attraverso una denuncia ai sei
studenti situazionisti lo scioglimento del sindacato studentesco, contribuendo in tal
modo al propagarsi dello scandalo al di fuori delle mura universitarie e cittadine.
Tuttavia lo Scandalo di Strasburgo non sarebbe in seguito apparso come la scin-
tilla che fece scoppiare la protesta nelle universit francesi diffusasi nel Maggio 68 a
tutta la societ se la brochure situazionista non avesse avuto il merito di esprimere con
un nuovo linguaggio la critica allintero sistema politico-economico, cogliendo laspetto
pi immediato, quotidiano dellalienazione/separazione prodotta dalla societ borghese
e di conseguenza la necessit del suo superamento, grazie ad un movimento rivolu-
zionario capace di sbarazzarsi delle incrostazioni ideologiche dei gruppi gauchistes, cos
come del riformismo dei sindacati e dei partiti di sinistra, al fine di realizzare un cambia-
mento radicale del modo di vivere degli individui mediante una teoria-pratica che esal-
tasse e sviluppasse le situazioni passionali come preludio alla festa rivoluzionaria.
Il dtournement dei fumetti e delle foto os, il linguaggio poetico degli slogan scrit-
ti sui muri, la tattica di impossessarsi delle strutture burocratiche al fine di dissolverle o
di utilizzarle per scopi contrari al loro essere luoghi di riproduzione del consenso, la pe-
rentoriet e lapidariet dei giudizi nei confronti del sistema autoritario e dei suoi valori;
questi divennero gli strumenti ed i mezzi che il movimento studentesco utilizz, sfogan-
do la propria creativit rivoluzionaria contro i comportamenti politically correct dei par-
titi, sindacati e gruppuscoli extra-parlamentari, colti in contropiede da una simile prati-
ca situazionista.
La critica del linguaggio nelle sue forme alienate prodotte da una comunicazione or-
mai priva di un reale e concreto legame con la vita quotidiana, determin in tal modo
quel linguaggio della critica che i situazionisti utilizzarono al fine di sperimentare una
teo ria radicale in grado di entrare in comunicazione con la pratica di un movimento di
contestazione e rifiuto della societ, ricettivo e pronto ad appropriarsene. Della miseria
nellambiente studentesco fu, proprio per questo, fra le brochure situazioniste pi lette e
riprodotte fra le innumerevoli pubblicazioni studentesche della fine degli anni Sessanta:
per il linguaggio libero da pastoie ideologiche (non pi proclami e verit posticce), per
le problematiche concernenti il vissuto quotidiano nei suoi aspetti pi immediati (la ses-
sualit, la famiglia, la religione e la politica come forme di unidentica alienazione uma-
na...), ma soprattutto per il metodo scandaloso del dtournement con il quale si cerc di
instaurare un rapporto diretto tra quanto veniva scritto e come lo si scriveva.
Di questo stretto e diretto rapporto, sia il libro di Guy Debord , La societ dello spet-
tacolo, sia il libro di Raoul Vaneigem, il Trattato di saper vivere ad uso delle giovani ge-
nerazioni, entrambi pubblicati nel 1967 (ma in gestazione fin dal 1965), rappresentaro-
no il compendio pi esaustivo e fedele. Le opere seppero anticipare gli avvenimenti del
Maggio francese, in quanto riuscirono a leggere chiaramente quale fosse uno dei fatto-
ri che avrebbe potuto provocare la crisi della societ contemporanea: linsoddisfazione
sempre crescente per una vita quantitativamente ricca di cose povere. Il primo, sottoli-
neando quanto lo spettacolo, compreso nella sua totalit, il risultato e il progetto del
modo di produzione esistente
18
, mise a fuoco come lo sfruttamento e lespropriazione
18
G. Debord, uvres, Gallimard, Paris 2006, p. 767.
Gianfranco Marelli
202
subita dai proletari non riguardasse pi soltanto il tempo di lavoro, ma lintera vita ri-
dotta ad unesistenza passiva, totalmente assorbita dalla fabbricazione dellalienazione
prodotta dalle merci del mondo ormai divenuto il mondo delle merci; il secondo, rimar-
cando quanto la sopravvivenza fosse divenuta ormai insopportabile, ribad linevitabili-
t della scelta: o morire prima, vivendo in negativo la negazione della sopravvivenza,
oppure sopravvivere come antisopravviventi, concentrando ogni energia sullarricchi-
mento della propria vita quotidiana
19
.
Entrambe le tesi riscossero un ampio consenso nellambiente pi radicale della Sini-
stra extraparlamentare, soprattutto fra le correnti libertarie e anarchiche che pi fedel-
mente seppero esprimere lo spirito autogestionario e consiliarista del Maggio francese,
al punto che lIS divenne lemblema e per molti il solo eroe della critica radicale al
passo coi tempi.
La contestazione giovanile e studentesca rappresent il canto del cigno dellIS. Lim-
possibilit di estendere la protesta oltre le mura universitarie nella speranza di porre le
condizioni per linizio di uno scandalo di Strasburgo nelle fabbriche, dimostr lillu-
soriet di un potere dei Consigli cos tanto invocato dai situazionisti. Daltronde, il giu-
dizio estremamente positivo dato agli avvenimenti del Maggio francese, considerato il
pi grande momento rivoluzionario che la Francia abbia conosciuto dopo la Comune di
Parigi
20
, non consent di comprendere i limiti congeniti entro i quali si espresse, sotto-
valutando i fattori strutturali di un tessuto economico che mai fu messo in crisi da una
contestazione essenzialmente sovrastrutturale. Di conseguenza lincapacit pratica di in-
cidere sul sistema produttivo, ridusse la critica situazionista a trasformarsi in una critica
dei costumi e della morale, facilmente riassorbibile come una delle forme di spettacolo
del rifiuto di cui la classe media seppe riappropriarsi, investendovi in seguito il proprio
futuro di reduce del sessantotto.
Non ultimo, il rifluire del movimento di fronte allondata repressiva degli Stati attra-
verso la strategia della tensione e del terrore, isol ancor pi lIS, che sopravvivendo a
se stessa divenne lultima forma dello spettacolo rivoluzionario per un pubblico e
per alcuni militanti che nello stato di paralisi teorica non trovarono miglior modo di ri-
generare la critica radicale se non attraverso un patriottismo di partito.
I profondi cambiamenti avvenuti nei primi anni Sessanta avevano cos lasciato irri-
solte le domande sul futuro assetto sociale del sistema capitalistico, non tanto riguardo
alla classe proletaria ed al suo ruolo nella societ, quanto piuttosto nei confronti degli
strati intermedi schiacciati sempre pi dalla proletarizzazione delle funzioni intellettua-
li e burocratiche attuate dallo sviluppo economico capitalista. Gli avvenimenti del Mag-
gio francese divennero il banco di prova per sperimentare leffettiva possibilit di una
comunicazione rivoluzionaria in grado di unire in un fronte unico contro lalienazione e
la separazione prodotta dalla societ spettacolare lintera classe dei lavoratori, includen-
dovi anche i nuovi proletari generati dal consumismo di massa.
LIS si illuse che ci potesse veramente rappresentare linizio di una nuova epoca, la
realizzazione del cambiamento radicale della vita, contro la proletarizzazione del mon-
19
R. Vaneigem, Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni, Vallecchi, Firenze 1973, p. 226.
20
LInizio di unepoca, internazionale situazionista, n. 12 (1969), p. 3.
LInternazionale situazionista
203
do. Unipotesi azzardata e destinata a scontrarsi con la dura realt dei fatti che deter-
min fra le tante speranze rivoluzionarie allora messe in gioco anche il fallimento
del progetto situazionista, al punto che la sopravvivenza stessa dellIS ne manifest tutta
lamara vittoria accreditatale dai sempre pi numerosi simpatizzanti contemplativi.
Per questo Guy Debord a ben tre anni trascorsi dalla VIII e ultima Conferenza dellIS
(Venezia, 25/IX-1/X 1969), dove lincapacit di proseguire nella ricerca teorica si mate-
rializz nellimpossibilit pratica di redigere finanche il numero 13 dellomonima rivi-
sta decise di stilare lultimo documento, La vera scissione nellInternazionale (1972), con
il quale venne decretato il definitivo scioglimento dellorganizzazione situazionista.
LInternazionale situazionista, al pari di tutte le avanguardie per cui il tempo breve
cosa, riusc ad essere tutto quello che poteva essere. Quello che in seguito si chiam situa-
zionismo laver continuato a credere ancora possibile perpetuare allinfinito il ricordo
di unavanguardia che aveva avuto la fortuna di essere interprete del suo tempo, e per
questo di aver fatto il suo tempo. Proprio lesatto opposto della richiesta che i situazioni-
sti, nellultimo numero della loro rivista, avevano espressamente formulato: di non evo-
carli troppo come riferimento ma, al contrario, di dimenticarli un po.
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205
LOPERAISMO ITALIANO
Sergio Bologna
Il sapere di fabbrica
Lo studio e lapprofondimento dei testi di Marx da parte della prima generazione di
operaisti italiani si concentra nel periodo che va dai primi anni 60 alla met degli anni
70. N poteva essere diversamente. Il modo di leggere Marx seguiva un procedimen-
to non programmato. Singole individualit esploravano un settore degli scritti marxia-
ni (es. il Secondo libro de Il Capitale da parte di Mario Tronti nei saggi sui primi numeri
di Quaderni Rossi, poi rielaborati e pubblicati da Einaudi in Operai e capitale), i pun-
ti fermi raggiunti da queste letture e interpretazioni si diffondevano allinterno dellarea
politica operaista, diventavano patrimonio comune, si traducevano in una serie di pro-
totipi mentali, subivano la classica volgarizzazione di cui parla Theodor Geiger nei suoi
scritti sul lavoro intellettuale, diventavano parole dordine ed entravano infine nel lin-
guaggio politico ideologico che dava identit al gruppo operaista e serviva ad iden-
tificarlo allesterno. Poi partiva, per iniziativa di un singolo, unaltra ricerca, una nuo-
va esplorazione, senza soluzione di continuit con quella precedente, e si andava avanti
cos per strappi, accumulazioni, rilanci, movimenti a ritroso, senza un piano prestabili-
to, senza un programma, senza una strategia.
Il lavoro condotto sui testi di Marx dalla prima generazione di operaisti non di
grande ampiezza, si riduce a pochi testi, eppure ha lasciato un segno incancellabile, ha
tracciato un solco dal quale difficile scostarsi ancora oggi. Qual la ragione di que-
sta incisivit? Perch quelle poche pagine hanno lasciato unimpronta cos profonda, da
rappresentare la base di un sistema di pensiero? La mia convinzione che questo sia av-
venuto perch quelle esplorazioni di singole personalit, Panzieri, Tronti, Negri, Grillo,
De Caro, venivano recepite allinterno di un lavoro collettivo di diversa natura. Ogni ac-
quisizione teorica importante doveva essere calata nella realt di quei tempi, doveva in
qualche modo passare al vaglio dei diversi piani rappresentati dalla conricerca.
Il lavoro collettivo che la pattuglia operaista stava conducendo a contatto diretto con
il mondo della produzione di fabbrica cercava di andare a fondo dei diversi piani che
Sergio Bologna
206
compongono il sistema dei rapporti di produzione: lorganizzazione sequenziale del ci-
clo produttivo, i meccanismi gerarchici che esso produce spontaneamente, le tecniche di
disciplinamento e di integrazione che vengono elaborate, levoluzione delle tecnologie e
dei sistemi di lavorazione, le reazioni ai comportamenti spontanei della forza lavoro, le
dinamiche interpersonali allinterno del reparto, i sistemi di comunicazione degli operai
durante lorario di lavoro, la trasmissione dei saperi dagli operai pi anziani a quelli pi
giovani, la formazione di una cultura del conflitto, le divisioni interne alla forza lavoro,
luso delle pause e dellorario di mensa, i sistemi retributivi e la loro applicazione diffe-
renziata, la presenza del sindacato e le forme di propaganda politica, la coscienza del ri-
schio e i metodi per tutelare la propria integrit fisica e la propria salute, il rapporto con
i militanti esterni, il controllo dei tempi e il rapporto con il cottimo, lambiente di lavoro
e via dicendo. Si potrebbe continuare a lungo ad elencare i diversi piani su cui si artico-
la quello che chiamiamo lavoro di fabbrica. Gli operaisti si distinguevano nettamente
dal personale politico di un partito di Sinistra perch erano perfettamente consapevoli
della complessit del lavoro di fabbrica.
Si fa presto a dire lotta di classe o lavoro operaio, anche dal punto di vista anali-
tico questi due termini contengono una quantit tale di problematiche che il linguaggio
ideo logico normalmente usato da un partito di tradizione socialista o comunista e ripetuto
dai suoi militanti non nemmeno in grado di evocare. Perci gli operaisti godevano di una
superiorit intellettuale che veniva dalla consapevolezza che la realt di fabbrica era assai
pi difficile da comprendere nei suoi meccanismi e nelle sue dinamiche sociali di quanto lo
fosse il pi complicato ed oscuro testo marxiano. Gli operaisti si erano dati come program-
ma di lavoro quello di esplorare uno per uno i diversi piani su cui si articola la produzione
di fabbrica in modo da acquisire una competenza che avrebbe loro permesso di dialogare
con gli operai, di parlare il loro stesso linguaggio, senza calar dallalto precetti o esortazio-
ni o parole dordine. Solo gli operai stessi, quelli pi preparati politicamente e pi agguer-
riti, ne sapevano di pi o alcuni militanti del PCI e della CGIL di origine operaia, che erano
stati licenziati per le lotte condotte negli anni precedenti.
Il sapere tacito di questi militanti politici di base, come li chiama Danilo Montaldi
nei suoi scritti, era quello che gli operaisti cercavano di carpire, era quel patrimonio
insostituibile di conoscenze non formalizzate che non sono trasmissibili se non con una
partecipazione diretta alle vicende di una fabbrica e dei suoi lavoratori. Questo era dun-
que laspetto decisivo: la lettura di Marx e linterpretazione operaista dei testi marxiani
acquistava la sua forza e la sua validit dal costante confronto con la realt di fabbrica.
La teoria doveva offrire il quadro mentale in grado di comprendere cosa stava succeden-
do in quel mondo difficilmente avvicinabile che si chiamava mondo della produzione
di fabbrica. Senza quel lavoro di costante confronto con le dinamiche quotidiane della
produzione, la teoria non aveva ragione di esistere. Per un intellettuale, per un lavorato-
re della conoscenza, come eravamo tutti allora, difficile ammettere che la teoria non ha
un valore intrinseco ma soltanto un valore strumentale. Lintellettuale vede nella produ-
zione teorica, nella scrittura, un valore in s, un valore astratto. Occorre compiere uno
sforzo contro la propria natura, contro il proprio codice professionale per vedere nel-
la produzione teorica o una merce o uno strumento di azione. Perci, prima di parlare
delle letture e delle interpretazioni dei testi marxiani che hanno visto come autori alcuni
degli esponenti delloperaismo italiano di prima generazione, prima di parlare del Marx
Loperaismo italiano
207
operaista anni Sessanta e Settanta, occorre mettere bene in chiaro il ruolo della teoria e
del pensiero astratto nei gruppi operaisti
1
.
Lavvio di un nuovo ciclo di lotte operaie
Occorre partire dal contesto in cui poteva formarsi politicamente e culturalmente un
giovane militante di inizio anni 60. Il Partito comunista italiano era un partito forte, ra-
dicato nella societ, composto da migliaia e migliaia di militanti che frequentavano le se-
zioni, partecipavano alla vita di Partito, diffondevano la stampa. Il giornale del Partito
LUnit, grazie anche alla diffusione militante, era il quotidiano pi venduto dItalia.
Il Partito era una grande macchina di lavoro volontario, con una forza economica deri-
vante dalle organizzazioni collaterali, in particolare dalla potente Lega delle cooperati-
ve. Il prestigio di cui il Partito godeva derivava soprattutto dalla sua storia antifascista,
era il Partito che aveva dato il maggior contributo alla Resistenza e che aveva raccolto
leredit del movimento socialista. Nel mondo intellettuale letteratura, cinema, pittu-
ra, editoria, grafica, design, giornalismo il PCI aveva una posizione di grande prestigio
e in alcuni settori di assoluta egemonia.
Poi cera il Partito socialista che era ancora un partito che conservava posizioni e
tendenze di ispirazione marxista, anzi, essendo un partito dove erano ammesse le cor-
renti e le diversit di opinione, era diventato unorganizzazione nella quale trovavano
spazio le posizioni pi dichiaratamente antistaliniste, come, per esempio, quelle di ten-
denza luxemburghiana di Lelio Basso. Quindi finivano nel Partito socialista tutti colo-
ro che volevano innovare il marxismo e non potevano tollerare la disciplina e la censu-
ra che vigevano nel Partito comunista. Figure come Panzieri o Toni Negri erano esempi
di dirigenti e militanti del Partito socialista. Insieme, Partito socialista e Partito comu-
nista, avevano come braccio sindacale la CGIL, la pi forte organizzazione del lavoro in
Italia.
Nelle fabbriche del Nord la CGIL aveva subto una dura repressione dopo la vittoria
della Democrazia cristiana alle elezioni del 1948. Il capitalismo italiano, sostenuto dai fi-
nanziamenti americani, aveva ricostruito i principali centri di produzione del Nord ed
aveva iniziato una fase di nuova industrializzazione nel Mezzogiorno, grazie soprattut-
to allindustria pubblica che, rafforzata da un sistema di banche sotto il controllo diret-
to dello Stato, consentiva allItalia di entrare in settori dai quali era sempre stata esclusa
(per esempio il settore dellenergia legato al petrolio e al gas naturale). Dalla vittoria del-
la Democrazia cristiana nel 1948 al 1953 si consuma lultimo ciclo di lotte proletarie del
dopoguerra, la CGIL e il PCI spendono le loro ultime energie rivoluzionarie e la repres-
sione dei militanti sindacali sistematica, favorita anche dalla rottura dellunit sindaca-
le con la CISL, la confederazione cattolica legata alla Democrazia cristiana e con la UIL, la
confederazione dei socialisti di destra.
1
Per una panoramica delloperaismo italiano si veda: G. Borio, F. Pozzi, G. Roggero, Gli operaisti: autobio-
grafia dei cattivi maestri, DeriveApprodi, Roma 2005 e, soprattutto, G. Trotta, F. Milana (a cura di), Loperai-
smo degli anni Sessanta. Da Quaderni rossi a classe operaia, DeriveApprodi, Roma 2008).
Sergio Bologna
208
Molti militanti scelgono la strada dellemigrazione, che rappresenta la valvola di sfo-
go per una forza lavoro eccedente espulsa dalle campagne. La maggior parte abbando-
na lItalia per il Sudamerica, lAustralia, e non ci far pi ritorno, moltissimi per ven-
gono assorbiti dalle fabbriche in Germania, in Belgio, in Francia e si formano alla dura
scuola delle produzioni avanzate, partecipano alla vita sindacale e parecchi faranno ri-
torno in Italia alla fine degli anni 60 entrando a far parte dello strato pi esperto ed ag-
guerrito della classe operaia italiana. La repressione, i licenziamenti, lemigrazione di
massa creano una sorta di cesura, spezzano la continuit della memoria e la trasmissio-
ne dei saperi taciti.
Nel PCI stesso le tematiche istituzionali, le problematiche del governo, la tattica del-
le alleanze, la ricerca di un rapporto con i ceti medi e con la parte pi riformista del
capitale sostituiscono man mano la cultura classista, Marx e Lenin non sono pi allor-
dine del giorno, Gramsci viene interpretato in senso antistalinista e riformista, la Resi-
stenza stessa viene sempre pi ricordata come una lotta patriottica e interclassista. La
cesura con lo spirito della Resistenza, con gli anni del dopoguerra, si fa sempre pi forte
e i giovani che si iscrivono al Partito vengono sempre pi educati ad affrontare le batta-
glie parlamentari o lamministrazione negli enti pubblici. La classe operaia, la fabbrica, il
mondo della produzione sono sempre pi lontani. Le letture e le interpretazioni di Marx
sono opera di filosofi, di figure isolate di intellettuali, come Galvano Della Volpe.
In questo clima di cesura con il passato gli studi sui militanti politici di base di Da-
nilo Montaldi sono una rivelazione. Montaldi, originario di Cremona, stato nel PCI, ma
da sempre in contatto con le correnti dellinternazionalismo bordighista, ha una vasta
rete di relazioni in tutto il mondo con i gruppi marxisti rivoluzionari e operaisti, dagli
Stati Uniti alla Francia, dove segue sin dagli inizi lesperienza di Socialisme ou Barba-
rie. Conosce perfettamente gli scritti di Marx e le interpretazioni di Marx dei gruppi ri-
voluzionari in Occidente, ma il suo decisivo contributo alla formazione dei giovani che
entrano a far parte dei Quaderni Rossi, in particolare Romano Alquati, anche lui ori-
ginario di Cremona, quello di trasmettere la memoria perduta dei valori degli anni del-
la Resistenza e del primo dopoguerra. Il suo Militanti politici di base la testimonianza
di questa funzione, un libro che valorizza il patrimonio di conoscenze politiche e di tec-
niche di lotta dei militanti di origine operaia e contadina che hanno dominato la scena
nel decennio dal 1943 al 1953. un libro di vite esemplari, una raccolta di modelli di
vita, che rinsalda una tradizione, che ricuce un passato che si vuol dimenticare o si vuol
considerare irripetibile.
Ma un libro importante anche per unaltra ragione. Montaldi nasce a Cremona, sul-
le rive del Po, in un territorio dominato dallazienda agricola capitalistica, nella Padana ir-
rigua, che stata teatro di memorabili lotte di braccianti e operai agricoli, che presentano
singolari affinit e somiglianze con le lotte di fabbrica, anzi, possono essere considerate un
tuttuno, un continuum con le lotte operaie. Montaldi uno dei primi che con grande effi-
cacia smantella lideologia contadina del PCI. Egli considera il capitalismo nelle campagne
una forma evoluta di organizzazione delle forze produttive, dove la forza lavoro compo-
sta da salariati che non sono interessati alla piccola propriet, che non vogliono diventare
liberi agricoltori, ma sono interessati a condizioni di lavoro migliori, come gli operai.
Lideologia contadina del PCI era costruita sullimmagine del cafone siciliano, di-
sperato e analfabeta, oppresso dalla mafia e dalla Chiesa, che spera in un riscatto otte-
Loperaismo italiano
209
nuto con la propriet di un piccolo pezzo di terra, il cafone un sem terra. Ma nel
Nord, sin dagli anni 10 del Novecento, lagricoltura era caratterizzata da coltivazioni
intensive con impiego massiccio di mano dopera salariata e le lotte sindacali che que-
sta forza lavoro aveva condotto erano state per lungo tempo allavanguardia sia per le
forme di sciopero che per le rivendicazioni poste. Linfluenza di Montaldi non si spie-
ga soltanto con i lavori sui militanti politici di base, egli simpose allattenzione di un
vasto pubblico con un libro-inchiesta sulle trasformazioni urbane: Milano Corea, scrit-
to con Franco Alasia.
Eravamo alla fine degli anni 50, il boom economico di quel periodo era stato trai-
nato anche da un mercato edilizio selvaggio che aveva in poco tempo fatto nascere alla
periferia delle grandi citt del Nord quartieri dormitorio destinati agli operai delle fab-
briche e alla massa di gente che abbandonava le campagne per andare a vivere in citt
in condizioni degradate, peggiori di quelle che avevano lasciato nelle campagne. Questa
febbre edilizia aveva anche demolito parti consistenti dei centri storici per invaderli
di nuove costruzioni destinate alla borghesia piccolo-media. Un altro libro di Montaldi,
Autobiografie della leggera, non ha come protagonisti i militanti politici ma i personaggi
del sottobosco urbano, la prostituta, il ladruncolo, il sottoproletariato che convive con
i neoassunti delle fabbriche metalmeccaniche, lambiente quello dei palazzoni costrui-
ti male, in fretta, senza servizi sociali, senza negozi, senza fognature.
Capire la fabbrica, capire la citt, questo il programma di formazione nel quale si
iscrive la lettura di Marx. Seguiranno, sullesempio delle ricerche di Montaldi, altri libri-
inchiesta sulle nuove realt urbane, come Immigrati a Torino di Goffredo Fofi. sulla
base di queste inchieste sul campo, di queste testimonianze dirette, che si forma la teo-
ria della citt-fabbrica. Montaldi ha dato quindi un contributo originale anche al pensie-
ro sociologico italiano, com stato messo bene in luce da studi recenti sulla sua figura di
militante
2
. Dallesperienza dei Quaderni Rossi usciranno alcuni dei pi noti sociologi
italiani, come Massimo Paci, Giovanni Mottura, Bianca Beccalli, Vittorio Rieser.
Gli anni di formazione del gruppo di giovani che si avvicina ai Quaderni Rossi nel
1961-62, sono caratterizzati prima dal desiderio di conoscere la realt circostante, di ca-
pire che si sta svolgendo sotto i loro occhi una profonda trasformazione degli assetti pro-
duttivi e dellambiente urbano, e poi dal bisogno di impadronirsi di un quadro teorico e
sistematico che consenta di interpretare secondo una logica marxiana quanto sta avve-
nendo. Si fanno delle letture collettive di Marx con dei compagni che riportano le espe-
rienze di contatto diretto con gli operai della FIAT, si cerca di trovare una corrisponden-
za tra i racconti degli operai e le pagine del Primo libro del Capitale. Ma siamo ancora a
uno stadio embrionale, quasi infantile. Il salto di qualit, la svolta storica, i fatti che crea-
rono in tutti la convinzione che le lotte operaie sarebbero state il motore principale delle
trasformazioni degli anni futuri, che determinarono la scelta di vita di dedicarsi intera-
mente a diventare parte integrante del movimento operaio reale, furono gli scioperi de-
gli elettromeccanici di Milano del 1960.
2
Cfr. Danilo Montaldi (1929-1975). Azione politica e ricerca sociale, a cura di Gianfranco Fiameni, Biblio-
teca Statale di Cremona, Cremona 2006; Danilo Montaldi, fascicolo monografico di Parolechiave, n. 38,
dicembre 2007.
Sergio Bologna
210
Dopo anni di silenzio, di paura, di divisione sindacale, dopo la cesura del 1950/53,
ripartiva un movimento di lotta impressionante per unit, compattezza e combattivit. A
Milano a quellepoca erano circa 70 mila gli operai del settore elettromeccanico (Tecno-
masio Brown Boveri, General Electric, Siemens, Face Standard, Telettra, Ercole Marel-
li, Magneti Marelli, Riva Calzoni, Franco Tosi, Osram, Geloso, Autelco sono solo alcuni
nomi delle fabbriche pi importanti). In questo sciopero, che durato mesi e si con-
cluso con una parziale vittoria, sono state sperimentate tutte le forme di lotta pi sofisti-
cate che diverranno patrimonio comune dopo lAutunno caldo. Una prova di maturit
che lasci sbalorditi non soltanto il padronato ma anche il Partito comunista. Con quel-
lo sciopero, ha detto una militante che allora era una dirigente del movimento giovanile
comunista ed stata poi una delle figure pi rappresentative del movimento delle donne,
Milano ha riconosciuto gli operai come suoi cittadini. Com stato possibile questa di-
mostrazione di maturit politica dopo anni di silenzio? Grazie alla trasmissione dei saperi
dei militanti politici di base che avevano condotto le lotte del ciclo del primo dopoguerra.
Molti, una volta licenziati, erano finiti nel sindacato, erano diventati funzionari del sinda-
cato. Allora le retribuzioni di un funzionario sindacale erano a livello di pura sussistenza,
il sindacalista di base di quei tempi non era un burocrate seduto in un ufficio, erano per-
sone che stavano davanti alla fabbrica ad ogni cambio di turno.
Molti altri non erano stati licenziati ma lavoravano nei reparti pi duri, dove il lavo-
ro era pi nocivo, erano tenuti separati dagli altri operai, nei cosiddetti reparti confino,
ma in una fabbrica bastava la presenza di due-tre di questi personaggi di grande espe-
rienza di questi militanti politici di base che conservavano la memoria di tutte le lot-
te dal 1943 in poi, che conoscevano la fabbrica come le loro tasche perch non avevano
perduto labitudine di osservare ogni minimo cambiamento, ogni passaggio delliniziati-
va padronale, che erano informati su tutto per rimettere le cose in movimento una vol-
ta che latmosfera si faceva di nuovo ostile al padrone. Erano operai specializzati in ge-
nere, di altissima professionalit, stimati anche dalle gerarchie di fabbrica, guardati con
rispetto e con una certa soggezione dagli operai pi giovani. Non erano operaio-massa. In
questo senso lo sciopero degli elettromeccanici milanesi apre un nuovo ciclo ma al tem-
po stesso lo chiude. Qui il protagonista non loperaio alla catena (allora alle mansioni ri-
petitive erano addette quasi esclusivamente le donne) ma lattrezzista, il tornitore, lope-
raio che conosce tutti i segreti della macchina utensile, il pi bravo, il pi abile, si sente
appartenere ad unlite, per questo comunista e quindi ha un forte senso della discipli-
na, guarda con molta diffidenza alla spontaneit, come mentalit molto lontano dallat-
teggiamento tipico degli operaisti, che attribuiscono invece grande valore alla spontanei-
t e sono orientati in senso anarchico-libertario. la FIOM di Milano, la Federazione degli
operai metalmeccanici milanesi, che guida la lotta anche contro le perplessit, i timo-
ri e le incertezze della CGIL e del PCI. La Federazione dei giovani comunisti, la FGCI, so-
stiene la lotta e porta i suoi militanti davanti alle fabbriche contro il parere del Partito.
I Quaderni Rossi colgono solo in parte la complessit dello sciopero degli elettromec-
canici milanesi, questo episodio fondamentale della storia operaia italiana che presenta
ancora dei lati inesplorati, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra gruppo diri-
gente della FIOM milanese e direzione romana del PCI e della CGIL
3
.
3
Si veda Dalla classe operaia alla creative class. La trasformazione di un quartiere di Milano, DeriveAppro-
di, Roma 2009, con allegato il DVD del documentario Oltre il ponte. Storie di lavoro di Sabina Bologna.
Loperaismo italiano
211
La ricostituzione di un pensiero rivoluzionario
Nella fase degli anni di formazione il testo marxiano fondamentale era naturalmente il
Primo libro de Il Capitale, lanalisi del processo di produzione, accompagnato dal testo
di Engels sulla condizione della classe operaia in Inghilterra. Per capire la fabbrica, per
capire i principi dellestrazione diretta di plusvalore, questi due testi erano sufficienti.
Ma gli operaisti allora si trovavano a doversi confrontare con le due culture principali
nella Sinistra italiana: a) la tendenza del PCI che concentrava tutte le energie sui proble-
mi generali del Governo, della Pubblica amministrazione, della politica estera, della po-
litica economica, della politica urbanistica, del Mezzogiorno, dei rapporti con la Chiesa
e il mondo cattolico; b) la tendenza dei settori anticapitalisti della Sinistra che concen-
travano tutte le loro energie sui problemi dellimperialismo e dei movimenti di liberazio-
ne dei popoli del Terzo Mondo. Gli uni consideravano gli operaisti come una minoranza
sindacale, cio come un movimento che si occupava soltanto di problemi di fabbrica
e non era in grado di affrontare i veri problemi politici, gli altri consideravano la clas-
se operaia occidentale come ormai integrata nel capitalismo e incapace di andare oltre le
rivendicazioni economiche, una classe che aspirava soltanto a diventare piccola borghe-
sia. Gli uni e gli altri per ragioni diverse non riconoscevano agli operaisti il carattere di
movimento politico. Per gli uni e per gli altri gli operaisti avevano una visione troppo
ristretta, corporativa, non erano in grado di capire e di agire rispetto ai grandi problemi
della societ, della democrazia, del socialismo.
I riformisti del PCI guardavano gli operaisti con diffidenza e sospetto, gli antimperia-
listi li guardavano con commiserazione. Secondo loro gli operaisti non avevano una vi-
sione generale. In parte ci era vero, un marxismo fondato solo sulla lettura del Primo
libro de Il Capitale, sul Manifesto o sullinterpretazione del Frammento sulle macchi-
ne (su cui aveva scritto Raniero Panzieri nel primo numero dei Quaderni Rossi) non
consentiva una comprensione completa dei meccanismi di dominio capitalista, era una
lettura insufficiente. La svolta avvenne con la pubblicazione del primo saggio di Tron-
ti sul capitale sociale, fondato in gran parte sullinterpretazione del Secondo libro de Il
Capitale. Era la prima volta che venivano esposte le tesi che sarebbero poi state elabora-
te nel libro Operai e Capitale.
Leffetto che quelle tesi ebbero sui militanti e il loro significato allinterno della storia
del marxismo non ortodosso italiano (ed europeo) sono ancora oggi oggetto di discus-
sione. Con lanalisi del capitale sociale Tronti dimostrava come lintera societ capita-
listica e la sua politica economica, urbanistica, sanitaria, culturale, ecc. fossero intera-
mente modellate sul sistema di fabbrica ed avessero come scopo ultimo lestrazione di
plusvalore. Quindi chi partiva dalla fabbrica aveva la vera visione generale delle cose,
toccava il cuore della politica, individuava i veri fondamenti dello Stato. Loperaismo
non era quindi un movimento settoriale o sindacale ma rappresentava la ricostituzio-
ne di un sistema di pensiero rivoluzionario in Occidente al passo con i tempi. Operai e
capitale diventa da quel momento il testo fondante delloperaismo, il punto di riferimen-
to della formazione del militante.
interessante notare, tra laltro, che il procedimento di elaborazione teorica dellope-
raismo prevede una verifica, una validazione da parte del collettivo della tesi esposta.
Tronti pubblica Operai e Capitale nel 1966 ma le tesi fondamentali del libro sono espo-
Sergio Bologna
212
ste sui Quaderni Rossi gi nel 1962 e sono oggetto di discussione e interpretazione per
tutto il periodo che va dal 1962 alla fondazione di classe operaia nel 1964 e oltre. Allo
stesso modo, le mie tesi sulloperaio-massa pubblicate nel 1972 su Operai e Stato, furo-
no esposte la prima volta in un seminario interno che si tenne a Venezia nel 1967, tant
che il termine operaio-massa venne usato in tutte le nostre pubblicazioni e nei volan-
tini del 68/69. Del resto anche Militanti politici di base usc nel 1971 ma le sue tesi cir-
colavano gi alla fine degli anni 50.
Occorre capire che la produzione teorica di cui ci stiamo occupando aveva una
circolazione ristretta ai piccoli gruppi di amici e di militanti che stavano attorno a
una singola personalit, come Montaldi, o attorno a una rivista come i Quaderni
Rossi. Erano fogli che avevano la circolazione del samizdat, prima che le idee con-
tenute in quei fogli diventassero il motore di un movimento e di un dibattito pub-
blico passava magari qualche anno ed i grandi editori di Sinistra di allora, Giulio
Einaudi, Giangiacomo Feltrinelli, non erano certo disposti a pubblicare libri di sco-
nosciuti. La costituzione di case editrici di nicchia, specializzate soltanto in un cer-
to tipo di letteratura antagonista, avviene in Italia solo dopo il 68, prima si passa-
va per forza per le case editrici maggiori, escluse quelle controllate dai partiti, PCI e
PSI. In queste case editrici, soprattutto Einaudi a Torino e Feltrinelli a Milano, ma
anche La Nuova Italia a Firenze, lavoravano come redattori molti simpatizzanti, al-
cuni operaisti erano collaboratori a vario titolo di queste case editrici, come tradut-
tori o lettori, Danilo Montaldi era stato un collaboratore di rilievo della Feltrinelli.
Raniero Panzieri era stato un redattore importante di Einaudi prima di essere allon-
tanato dalla casa editrice. Il lavoro occasionale o fisso presso unindustria editoria-
le rappresentava allora una delle poche occasioni di guadagno per un intellettuale in-
dipendente, laltra era rappresentata dallinsegnamento nella scuola o nelluniversit.
Un anno dopo la pubblicazione di Operai e Capitale esce la traduzione italiana dei
Grundrisse di Marx presso la casa editrice La Nuova Italia. Traduttore e curatore
delledizione italiana Enzo Grillo, che frequentava il gruppo romano dei Quaderni
Rossi e di classe operaia. Gli operaisti quindi davano un altro decisivo contributo
alla conoscenza del marxismo in Italia. Negli anni successivi la produzione teorica che
fa capo alloperaismo italiano attinger a piene mani al testo dei Grundrisse, che si pre-
sta molto bene a interpretazioni non ortodosse ed offre una libert di spunti estrema-
mente preziosa per chi intende innovare il pensiero marxista. Ci comporta il rischio
di interpretazioni arbitrarie che possono portare fuori strada e tradire lo spirito del te-
sto marxiano ma questo un rischio permanente di tutte le esegesi. Cos come il Pri-
mo libro de Il Capitale ha dato agli operaisti gli strumenti per capire il lavoro concreto,
cos i Grundrisse sono stati importantissimi per cogliere lessenza del lavoro astratto.
Con il Primo libro de Il Capitale si comincia a capire il fordismo, con i Grundrisse si
comincia a capire il postfordismo. Siamo alla vigilia dei movimenti del 68, gli operaisti
della prima generazione si sono divisi, sono ormai su due fronti opposti, anche se le ami-
cizie personali non vengono intaccate, una parte rientra nel Partito comunista, unaltra
sceglie la strada delle nuove formazioni extraparlamentari. Il lavoro teorico viene abban-
donato per un impegno totale nel nuovo ciclo di lotte operaie che comincia alla Pirelli di
Milano, allENI di San Donato Milanese, al Petrolchimico di Porto Marghera, si estende
a Torino durante gli scioperi della FIAT dellestate del 1969 e poi esplode in tutta Italia.
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213
Riprende alcuni anni dopo attorno al progetto Materiali Marxisti ideato da Toni Ne-
gri presso leditore Feltrinelli.
Il contributo che Negri aveva dato alla lettura operaista di Marx era cominciato sin
dai primi anni 60 e si era concentrato in particolare sugli aspetti che riguardano la teoria
dello Stato. Negri era tra i pochi ad avere una profonda cultura giuridica (la maggioran-
za dei componenti del gruppo operaista aveva una formazione umanistica o sociologi-
ca) e quindi era in grado di affrontare alcuni aspetti della teoria marxista che riguardano
il problema delle istituzioni, un filone che egli continuer ad approfondire anche qua-
rantanni dopo, con Il potere costituente, con Impero e altri scritti. Questo sentiero di ri-
cerca lo portava ad interessarsi sempre di pi ai problemi del governo della crisi.
Lo Stato in epoca fordista, quando si trova di fronte ad una pressione organizzata
della classe operaia e quindi vive una situazione di conflittualit sociale immanente e di
crisi del controllo, deve sviluppare una complessa articolazione di misure politiche e di
tecniche di disciplinamento per consentire laccumulazione capitalistica. uno Stato
della crisi, non nel senso delle vecchie teorie del crollo del capitalismo, ma nel senso
di un continuo aggiustamento dei sistemi di controllo di fronte a una situazione instabi-
le, mobile. Gli operaisti hanno sempre guardato con scetticismo alle teorie del crollo del
capitalismo generato dalle sue interne contraddizioni, dai suoi stessi errori o dai suoi ec-
cessi. Le hanno considerate pi che teorie dei banali placebo succhiati come pastiglie di
aspirina da piccole sette di sedicenti rivoluzionari che non escono dalle loro stanze am-
muffite e non si confrontano mai con la realt.
Il lavoro teorico di Toni Negri si dunque confrontato soprattutto con quelle teorie
economiche che sono anche teorie delle istituzioni, teorie dello Stato, in particolare, nel
periodo post 68, con le teorie di Keynes. Questo lavoro di riflessione teorica diventa-
to particolarmente fecondo e incisivo negli anni 70 quando ha potuto essere organizza-
to allinterno dellIstituto di Scienze Politiche dellUniversit di Padova dove Negri ave-
va raccolto un gruppo di studiosi e di militanti di grande spessore, come Luciano Ferrari
Bravo, Ferruccio Gambino, Guido Bianchini, Sandro Serafini, Alisa del Re. Tutti, tranne
Gambino, che andr in esilio per tre anni, verranno arrestati con il blitz del 7 aprile 1979
e faranno molti anni di galera, detenuti nelle carceri speciali destinate a mafiosi e terro-
risti. Una punizione cos dura e concentrata non si era mai verificata contro membri del
corpo accademico nemmeno sotto il fascismo. Tra i contributi pi originali del gruppo di
Scienze Politiche di Padova occorre ricordare la caratterizzazione di una figura sociale pa-
radigmatica, quella delloperaio multinazionale. Anche oggi il lavoro di Ferruccio Gambi-
no, che continua a insegnare nella stessa Universit, e dei suoi allievi si concentra sui mi-
granti, sui milioni di persone che fuggono dalle loro terre dorigine per cercare un reddito
di sussistenza altrove
4
.
Il lavoro di elaborazione teorica e di esegesi storica degli scritti di Marx della prima
generazione di operaisti si conclude alla met degli anni 70 con il contributo del collet-
tivo della rivista Primo Maggio sulle tematiche monetarie e finanziarie, che elabora
4
Cfr. F. Gambino, Migranti nella tempesta:avvistamento per linizio del nuovo millennio, Ombre corte, Ve-
rona 2003; F. Gambino, D. Sacchetto (a cura di), Un arcipelago produttivo: migranti e imprenditori tra Italia e
Romania, Carocci, Roma 2007.
Sergio Bologna
214
alcuni spunti contenuti nel saggio Moneta e crisi. Marx corrispondente della New York
Daily Tribune
5
. una riflessione che parte dalla lettura del Terzo libro de Il Capitale. Il
lavoro condotto dal collettivo di Primo Maggio (Lapo Berti, Marcello Messori, Fran-
co Gori, Mario Zanzani, Christian Marazzi, Andrea Battinelli, Sergio Bologna) parti-
colarmente utile per capire le dinamiche che hanno portato al postfordismo e alla finan-
ziarizzazione delleconomia di cui oggi il mondo porta le conseguenze con la pi grave
crisi economica che sia mai accaduta dal 1929 in poi. Uno dei connotati pi caratteristi-
ci di questo lavoro di Primo Maggio consiste nella visione unitaria del processo di ac-
cumulazione, che evita di cadere nellerrore di considerare leconomia reale come se-
parata e separabile dalleconomia finanziaria.
Lortodossia marxista considera leconomia reale e leconomia finanziaria come
due settori separati, il primo produttivo, il secondo speculativo, attribuendo al primo
una funzione sociale ed al secondo una pura esistenza parassitaria (buono limprendi-
tore, cattivo il banchiere). Lelaborazione teorica delloperaismo italiano ha considera-
to invece queste due entit come due settori integrati, necessari luno allaltro, profitto
e rendita si alimentano a vicenda. Non a caso il testo fondamentale del gruppo di lavo-
ro di Primo Maggio, scritto da Lapo Berti, si intitolava Denaro come capitale
6
. Si con-
clude cos, con questa lettura militante del Terzo libro, il ciclo di elaborazione teorica e
di interpretazione de Il Capitale di Marx iniziato nel 1960 con la lettura del Primo libro
e proseguito da Mario Tronti con lanalisi del Secondo libro. Quello che era stato allini-
zio un procedimento non programmato, diventava, in un arco di tempo di un quindicen-
nio (1960-1975), un ciclo completo.
A partire dal movimento del 77
Dobbiamo ora affrontare il periodo nel quale gli operaisti (o i superstiti delloperaismo
a seconda che si voglia far concludere la loro vicenda politica con gli anni 60 o meno)
abbandonano una lettura di Marx il pi possibile fedele al testo ma tutta tesa a offrir-
ne uninterpretazione innovativa e coerente con lattivit pratica, con la militanza di
ogni giorno, coerente con le osservazioni e le analisi sociologiche della realt in trasfor-
mazione del neocapitalismo, e si dedicano invece a una lettura pi libera, lasciando-
si influenzare semmai da correnti filosofiche contemporanee, prima tra tutte il foucaul-
tismo. In questa fase latteggiamento prevalente quello di andare, secondo il titolo di
uno scritto di Toni Negri, oltre Marx
7
. una fase che ha una data dinizio precisa. An-
cora una volta le posizioni teoriche non sono frutto di unelaborazione astratta di pen-
siero ma sono il risultato di esperienze concrete, il riflesso di avvenimenti che presenta-
no caratteri molto diversi da quelli osservati nei cicli di lotte precedenti.
5
S. Bologna, Moneta e crisi. Marx corrispondente della New York Daily Tribune, in S. Bologna, P. Carpi-
gnano, A. Negri, Crisi e organizzazione operaia, Feltrinelli, Milano 1974.
6
Su Primo Maggio si veda: C. Bermani, La rivista Primo Maggio (1973-1989), DeriveApprodi, Roma 2010,
con allegata la raccolta completa della rivista su DVD.
7
A. Negri, Marx oltre Marx, Manifestolibri, Roma 2010 (1 ed., 1979).
Loperaismo italiano
215
Il punto di partenza il movimento del 77, un movimento che non nasce dalle
fabbriche n dalluniversit, ma che coinvolge alla fine anche fabbriche ed universit,
un movimento che vede allavanguardia i lavoratori dei servizi, la societ terziaria, ed
i giovani del lavoro precario, occasionale, i giovani che rifiutano la condizione di sa-
lariati, preferiscono gestire in maniera indipendente il loro tempo di vita, non hanno
nessun senso di inferiorit verso la classe operaia, guardano con diffidenza alla fab-
brica, vogliono tenersene lontani, hanno altri problemi che i loro colleghi del 68 non
avevano, in primo luogo il problema della droga, sono pacifisti sostanzialmente e non
violenti, quindi contrari alle Brigate rosse e allAutonomia operaia, percepiscono il PCI
come una struttura di controllo e la CGIL, il sindacato, come uno strumento di coope-
razione con il padronato, sono libertari e individualisti, antimarxisti e antileninisti, in
un certo senso anticipano il crollo del Muro di Berlino, non vogliono saperne di tradi-
zioni, vivono una situazione di Anno Zero, disprezzano la militanza dei gruppi ex-
traparlamentari, li considerano una scimmiottatura dei partiti tradizionali, si sentono
cittadini a pieno titolo della societ dello spettacolo, vivono in un mondo di rap-
presentazioni virtuali, nel mondo dei media, dei linguaggi televisivi e musicali, dei lin-
guaggi simbolici.
un movimento che mette laccento sulla persona, che mette in primo piano i fat-
tori soggettivi, lo slogan il personale politico della prima generazione di femmini-
ste diventa uno slogan molto popolare ed esprime una radicalit etica che convive con il
cinismo di molte forme espressive. Letica del militante marxista viene considerata una
maschera che pu celare comportamenti personali ambigui, i compagni vengono con-
siderati persone che parlano bene e razzolano male. La tentazione da parte della Sinistra
istituzionale e leninista di considerare questo movimento un movimento anarco-fascista
era forte, molti militanti del PCI, molti ex sessantottini guardavano a questo movimen-
to con repulsione, con disprezzo. I gruppi armati li guardavano con altrettanto disprez-
zo ma capivano che il senso di radicalit che pervadeva il movimento poteva offrire un
buon terreno di reclutamento (che cosera pi radicale della lotta armata urbana?).
Il fenomeno del 77 lasciava sconcertati, era incomprensibile con la vecchia razionali-
t delle categorie marxiste-leniniste, usciva dagli schemi del pensiero politico occidenta-
le. Non aveva n leader n punti di riferimento fermi con cui dialogare, con cui trattare,
era interamente postfordista ma non lo sapevamo ancora. Il movimento dellAutono-
mia, che faceva riferimento in parte a Toni Negri, si butt a capofitto cercando di inte-
grarsi e di integrare il 77 nei suoi paradigmi, ma fu travolto dai gruppi armati che erano
un concorrente su quel terreno molto pi agguerrito. Ciononostante il movimento
dellAutonomia, proprio perch grazie a Toni Negri aveva cominciato a prendere di-
mestichezza con la filosofia di Foucault e poi, in particolare, con lelaborazione di Gilles
Deleuze, riusc a cogliere esattamente alcune caratteristiche del 77 ed a dotarsi di stru-
menti analitici in grado di affrontare tutto il periodo successivo.
Il gruppo di Primo Maggio, fu incerto e diviso di fronte al movimento del 77. La
tesi dei compagni maggiormente influenzati dal pensiero di Foucault era che il sogget-
tivismo e lindividualismo manifestatisi nel movimento del 77 erano la naturale reazio-
ne dinsubordinazione alla microfisica del potere, il dominio capitalistico non si mo-
dellava su un solo sistema disciplinare, quello della fabbrica, ma si articolava in maniera
molto complessa utilizzando molteplici modelli di controllo che entravano nella vita in-
Sergio Bologna
216
dividuale delle persone e nella loro struttura affettiva ed emotiva. Pertanto il bisogno di
liberare il soggetto e di liberarlo anche da tutte le ideologie totalizzanti, marxismo e
comunismo compresi, era il percorso pi autentico e pi appropriato di ribellione.
Limpostazione che, con altri, propugnavo era diversa. Non si partiva da Foucault
ma dalle trasformazioni del modo di produzione. Il lavoro di inchiesta che Primo Mag-
gio aveva continuato a portare avanti con gruppi di lavoratori di diversi settori, i tra-
sporti, la Pubblica amministrazione, non direttamente legati alla fabbrica, aveva con-
sentito di cogliere alcune trasformazioni profonde del modo di produzione e di entrare
in contatto con culture del lavoro diverse da quelle delloperaio dellauto o della chimi-
ca. Ci eravamo resi conto che la produzione veniva frammentata e decentrata in piccole
unit produttive, che molti ex operai diventavano artigiani prima e piccoli imprendito-
ri poi, che tornava di nuovo dattualit il lavoro a domicilio, che iniziava un periodo di
radicali ristrutturazioni nelluniverso delle grandi fabbriche, con possibili licenziamen-
ti di massa. Il sistema di ammortizzatori sociali della cassa integrazione offriva una so-
luzione provvisoria, espelleva i lavoratori dalla fabbrica senza licenziarli, era una forma
di finanziamento allimpresa, una forma di compromesso con la forza lavoro, che subiva
una riduzione del reddito ma non perdeva il diritto alla previdenza sociale, allassisten-
za malattia e alla pensione.
La compattezza monolitica della fabbrica fordista stava dunque per sgretolarsi in
una miriade di unit produttive variamente collegate tra loro, la stessa catena di mon-
taggio veniva sostituita con le isole di produzione, interi segmenti del ciclo produttivo
venivano automatizzati, la fabbrica cambiava dentro e fuori. I settori del lavoro terziario
erano stati investiti anchessi dalla spinta delle lotte operaie, interi comparti della Pub-
blica amministrazione dove in genere non si scioperava ed i lavoratori erano divisi in pic-
coli gruppi corporativi, dove la classe sociale dominante era la piccola borghesia, si muo-
vevano come alcuni anni prima si erano mossi gli operai di fabbrica. Di grande interesse
politico fu lattivit svolta da Primo Maggio con i lavoratori dei trasporti, in partico-
lare con i portuali, cui si aggiunsero poi i facchini dei magazzini, i camionisti, le hostess
dellAlitalia, i lavoratori delle ferrovie. Erano settori che avevano una lunga e gloriosa
tradizione di lotte, ormai dimenticate, sia in Europa che negli Stati Uniti.
Dentro questa profonda trasformazione del modo di produrre, cogliendo i primi sin-
tomi del passaggio da una societ fordista a una societ postfordista, sembrava di poter
capire anche la trasformazione dellidea di lavoro o delletica del lavoro (o del non lavo-
ro) della nuove generazioni. Perci tutto il processo di innovazione degli strumenti ana-
litici doveva ruotare attorno ai nuovi significati che lidea di lavoro stava assumendo e
avrebbe potuto assumere. Ma il 7 aprile 1979, come detto, ci fu unondata di arresti nel-
la quale rimasero coinvolti compagni e colleghi: era linizio di una campagna repressiva
senza precedenti. Contemporaneamente iniziava londata di licenziamenti ed espulsioni
dalle fabbriche dei militanti operai. Molti dovettero trovare altre forme di esistenza, fu-
rono di grande aiuto le reti di contatti internazionali costruite dai primi anni 60, anche
se non cera unorganizzazione alle spalle che poteva tutelarci, si disponeva di una rete di
amicizie molto solida ed affidabile, la solidariet stata davvero straordinaria e ha con-
sentito non solo di superare quel periodo difficile ma di venire a contatto con nuove re-
alt, nuove esperienze, nuovi stimoli intellettuali che hanno permesso di continuare il la-
voro di elaborazione teorica e di analisi critica fino ad oggi. Alcuni che scelsero la strada
Loperaismo italiano
217
dellemigrazione e dellesilio non sono pi tornati, molti sono morti anche in seguito al
logoramento fisico e psicologico subito negli anni del carcere, tra questi alcuni della pri-
ma generazione di operaisti come Luciano Ferrari Bravo e Guido Bianchini.
Lavoratori autonomi e rivoluzione tecnologica capitalistica
Nel mio caso dovetti cominciare una nuova vita procurandomi un reddito come lavora-
tore indipendente, come freelance, mettendo a frutto le conoscenze che avevo accumu-
lato nel lavoro di Primo Maggio nel settore dei trasporti di merce. La nuova situazio-
ne esistenziale consentiva di riprendere la riflessione sui temi appena abbozzati nel 77
ed in particolare sul tema del lavoro autonomo e della fuga dal lavoro salariato in una si-
tuazione e in un contesto di organizzazione del capitale che ormai aveva assunto in Ita-
lia e altrove i connotati del postfordismo dispiegato. Dopo cinque-sei anni di attivit
come Selbstndige ero in grado di poter comunicare le mie riflessioni e di contribuire in
tal modo ad arricchire la galleria di figure sociali paradigmatiche che loperaismo aveva
prodotto (il militante politico di base, loperaio-massa, loperaio multinazionale, lope-
raio sociale) con una nuova figura, quella del lavoratore autonomo di seconda gene-
razione. Seguendo il procedimento tipico delloperaismo cominciai ad esporre le mie
tesi nel 1991 nella rivista Altre ragioni, sottoponendole al giudizio e alla discussione
di molte persone, lasciai che il pensiero giungesse a maturazione grazie ai contributi di
altri e alla riflessione su nuovi fenomeni che avevo trascurato e pubblicai le Dieci tesi
soltanto sei anni dopo presso Feltrinelli in un volume di vari autori curato assieme ad
Andrea Fumagalli
8
. Possiamo quindi confermare che una delle caratteristiche del lavo-
ro teorico del filone operaista in Italia la lunga gestazione delle idee, un processo ap-
parentemente lento, in realt ricchissimo di nuovi stimoli e contributi, prima di giunge-
re a maturazione, che realizza un prodotto intellettuale che porta il nome dellautore ma
in definitiva unopera dellingegno collettivo, del General Intellect.
Le Dieci tesi sul lavoro autonomo di seconda generazione vogliono dimostrare com
cambiato radicalmente il modo di lavorare con il postfordismo. Scelgono quindi la figu-
ra del freelance non perch una figura maggioritaria, ma perch quella che contiene
in s le maggiori diversit rispetto al modo di lavorare fordista, sia quello degli operai
che quello degli impiegati e dei tecnici. I cambiamenti pi profondi riguardano lo spazio
e il tempo. Il freelance non ha un luogo di lavoro, grazie al computer portatile e a Inter-
net pu lavorare ovunque, non perci parte di una comunit che tutti i giorni si trova
nello stesso luogo (lufficio) alla stessa ora ed esce da quel luogo alla stessa ora, un in-
dividuo isolato; il suo contratto di lavoro non prevede un orario, una presenza, n preve-
de un rapporto di dipendenza dal datore di lavoro (committente), la sua autonomia pu
essere una trappola, perch egli dipende economicamente dal suo committente ma non
ha un rapporto di dipendenza che gli permetta di disubbidire, solo e non pu sciope-
rare, lo sciopero unazione collettiva per definizione, quindi il freelance opera in una
8
S. Bologna, A. Fumagalli, Il lavoro autonomo di seconda generazione:scenari del postfordismo in Italia, Fel-
trinelli, Milano 1997.
Sergio Bologna
218
condizione di debolezza sociale mascherata da guadagni che sono apparentemente su-
periori a quelli di un lavoratore dipendente che svolge le sue stesse mansioni. Apparen-
temente superiori perch in realt i suoi guadagni sono lordi, a quei guadagni debbono
essere dedotte le imposte sul reddito, che in alcuni casi sono del 50%, la percezione del
proprio reddito reale non immediata.
La sua retribuzione non un salario cio non destinata a riprodurre la sua forza la-
voro, un compenso svincolato dai suoi bisogni di vita e pu essere erogato con gran-
de ritardo, quando il lavoro stato consegnato da tempo. Ma la situazione di inferiori-
t sociale in cui si trova il freelance diventa palese quando si prende in considerazione
la sua mancanza di diritti sul piano del welfare. Non ha diritto allassistenza malattia,
allindennit di disoccupazione, alla pensione. Si parla qui del lavoratore indipendente
di seconda generazione. Che cosa vuol dire? Che diverso dal piccolo commerciante,
dal contadino e anche dal notaio, dallavvocato, dal medico, dallarchitetto, dal giorna-
lista professionista, da tutte quelle professioni liberali che in alcuni Paesi sono protette
da Ordini e godono di proprie Casse, di Mutue e di altri strumenti previdenziali. Il fre-
elance di seconda generazione la dimostrazione vivente della miopia politica e dellop-
portunismo dei sindacati europei, che si sono ostinati a difendere solo alcune prerogati-
ve dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato ed hanno lasciato senza protezione
le nuove figure lavorative del postfordismo, i lavoratori precari ed i lavoratori autono-
mi. A questi ultimi stata anzi negata la qualifica di lavoratori, si preferito chiamar-
li imprese individuali e associarli agli imprenditori.
Il fenomeno del nuovo lavoro autonomo comincia a manifestarsi verso la fine de-
gli anni 70 ed determinato da tre processi di trasformazione:
a) le imprese sono alla ricerca di unorganizzazione pi flessibile che le porta a tra-
sferire allesterno determinate competenze o ad acquisirle sul mercato;
b) le Amministrazioni pubbliche, pressate da vincoli di bilancio, seguono pi o
meno la stessa strada;
c) il cambiamento degli stili di vita e lemergere di nuovi consumi di massa creano
una serie di servizi alla persona che prima non esistevano o esistevano sotto altre forme.
Questi tre processi subiscono una forte accelerazione con il diffondersi delle tecnologie
informatiche che cambiano il modo di lavorare e di comunicare e consentono di sostitu-
ire la rete allorganizzazione proprietaria. Quando cominciai a scrivere le Dieci Tesi
non avevo alcun riferimento storico o teorico nel campo marxista, non cera nessun pas-
saggio de Il Capitale, delle Teorie del plusvalore, dei Grundrisse o di altri scritti che po-
tesse aiutarmi. Mi trovavo veramente in una situazione al di l del marxismo, la rivolu-
zione tecnologica del capitalismo aveva aperto con linformatica unepoca nuova ed era
inutile tentare di forzare il pensiero marxiano per trovare degli agganci impossibili.
Le Dieci Tesi furono accolte dal personale politico residuo della Sinistra italiana
con scetticismo e indifferenza, mentre furono accolte con rispetto e attenzione da parte
di alcuni settori del movimento delle donne, perch nel lavoro indipendente delle nuove
professioni le donne sono presenti in misura rilevante. La rivoluzione prodotta dallin-
troduzione delle tecnologie di rete e dallinformatica, dai sistemi di comunicazione via
Internet, forse la pi grande rivoluzione del modo di produzione capitalistico dallepo-
ca dellinvenzione del motore a scoppio. Ha trasformato lorganizzazione dellimpresa,
che diventata sempre pi unimpresa a rete, ha trasformato il modo di lavorare, au-
Loperaismo italiano
219
mentando enormemente la produttivit del lavoro, ma ha anche aperto delle possibilit
nuove di comunicare, di esprimere la propria opinione, di organizzarsi collettivamente,
di trasmettere delle informazioni senza dover passare per le istituzioni politiche, sinda-
cali, culturali e mediatiche.
Conclusione
Posti oggi di fronte allinterrogativo su quale stato il rapporto tra loperaismo e il
pensiero comunista avremmo una certa difficolt a rispondere. Innanzitutto perch do-
vremmo prima specificare a quale delle diverse fasi del pensiero del comunismo ci si ri-
ferisce ed in secondo luogo perch dovremmo anche specificare di quali operaisti sin-
tende parlare. Rispetto alla prima questione, non c dubbio che loperaismo italiano
abbia attinto al pensiero delle correnti del protocomunismo dei primi anni 20, quelle
che traevano origine dal comunismo consiliare ma che sarebbero state ben presto tra-
volte o integrate o emarginate dallorganizzazione dei partiti comunisti, andando a for-
mare la galassia del Linkskommunismus.
Per quanto riguarda la seconda questione, non v dubbio che il gruppo di classe
operaia si sia spaccato sullingresso o meno nel Partito comunista italiano, rivelando
una profonda diversit di vedute tra coloro che consideravano allora lorganizzazione
storica del comunismo italiano uno strumento in grado di portare avanti le istanze ope-
raie e capace di tradurle in sistema di governo e coloro che continuavano a considera-
re il PCI una forza ambigua ma con prevalente funzione di disinnesco del potenziale ri-
voluzionario delle lotte operaie. Per gli uni il PCI era uno strumento di lotta, per gli altri
uno strumento di controllo, per gli uni non cerano modi diversi di essere comunisti che
allinterno dellorganizzazione, per gli altri si poteva essere veri comunisti solo restan-
doci fuori. Quale delle due posizioni era pi coerente con loperaismo originario, quel-
lo in sostanza di Quaderni Rossi e dei primi numeri di classe operaia? Certamen-
te la seconda, ma ci non significa che questa coerenza labbia posta al riparo da certe
ambiguit. Infatti una lettura attenta dei testi e soprattutto una riflessione sulla forma
organizzativa prescelta, quella del gruppo politico tenuto insieme da una rivista, ci in-
ducono a ritenere che lo spirito originario delloperaismo e la sua pi autentica inter-
pretazione non corrispondono n alla posizione di coloro che ritennero di rientrare nel
PCI n a quella di coloro che ritennero di poter fondare un vero comunismo restan-
done fuori.
La ragione molto semplice: loperaismo si collocava in un tempo post-comunista,
aveva la convinzione che la storia del comunismo fosse conclusa, in particolare nei Pae-
si occidentali caratterizzati da una classe operaia avanzata e da unorganizzazione del la-
voro e di comando capitalistico in grado di assorbire e quasi di interiorizzare il pensie-
ro comunista. Tutto il ragionamento sul neocapitalismo andava in questa direzione. Era
quindi una presa di coscienza del fatto che ci si trovava a dover fare i conti con un assetto
del capitale cos dinamico e innovativo da rendere il pensiero comunista uno strumento
di liberazione obsoleto. Era un modo di pensare del tutto differente da quello delle co-
siddette correnti eretiche del comunismo.
Il tempo delloperaismo non era n quello del comunismo n quello del bordighi-
Sergio Bologna
220
smo n quello del trozkismo, anche se sul piano della lotta quotidiana ci si poteva trova-
re daccordo, come con gli anarchici del resto. Loperaismo non apparteneva alla storia
del comunismo, anche se nel suo sistema di pensiero si trovavano pesanti tracce di teo-
ria politica elaborata nel corso della storia del comunismo. Loperaismo era troppo for-
temente ancorato alla pratica anarcosindacalista per potersi trovare in sintonia con il co-
munismo. Pertanto il revisionismo comunista non rappresentava un problema, non
valeva nemmeno la pena confrontarvisi, n valeva la pena criticare le vecchie eresie co-
muniste. Trotzkismo, bordighismo appartenevano al passato, tanto quanto lo stalinismo.
Lunico sistema di pensiero con cui loperaismo riteneva valesse la pena di misurarsi era
quello del neocapitalismo, era in quel costrutto mentale e in quellorganizzazione reale
che andavano individuati i punti deboli e le contraddizioni su cui far leva per scatena-
re uninsubordinazione sociale capace di mettere in gioco gli equilibri di potere. Restare
ancorati alla fabbrica, al reparto, al rapporto uomo-macchina come terreno privilegiato
della politica significava rifiutare uno degli assiomi del pensiero comunista, la separazio-
ne del politico dal sindacale.
Questo approccio consente alloperaismo di rivolgersi con uno sguardo militante alla
storia del movimento operaio, cio con uno sguardo critico ma al tempo stesso parteci-
pante, perch esente da preoccupazioni di custodia delle ceneri. Se invece di conside-
rarsi libero da vincoli di parentela, loperaismo avesse interpretato se stesso come erede
legittimo del comunismo, rivendicando il possesso di un patrimonio politico e ideolo-
gico, non solo avrebbe commesso unusurpazione ma si sarebbe precluso ogni slancio
innovativo, ogni percorso sperimentale. Linnovazione nasceva dalla certezza che cera
un mondo nuovo in formazione, cio un consolidamento del potere capitalistico in Oc-
cidente che faceva da contraltare allindebolimento dellimperialismo in Asia, Africa e
America Latina. Pertanto, invece di cantar vittoria per la riscossa del comunismo in quei
continenti e agitare in piazza bandiere cubane o cinesi, occorreva creare un sistema di
pensiero in grado di mobilitare le sole forze capaci di incrinare la solidit del coman-
do del capitale, forze sociali appunto non rappresentanze politiche, uomini e donne col-
locati in una zona della divisione del lavoro che li metteva in grado di esercitare potere
dinterdizione. Non la piazza generica, non il Parlamento, ma la fabbrica, non la violen-
za n lurlo ma lastuzia, lo skill di chi conosce alla perfezione un meccanismo comples-
so e sa come bloccarlo, sa come individuare il componente, il contatto, che manovrato
in certo modo lo mette fuori uso.
Era uno stile diverso di fare politica, bisogna riconoscerlo, qualcosa di radicalmen-
te diverso dallutopia dello sciopero generale risolutivo, era uno stile che non aveva
niente da spartire con il vecchio massimalismo allitaliana. Era una rottura nei confron-
ti di consuetudini politiche che ritenevano unazione tanto pi efficace quanto maggio-
re fosse la semplificazione dei termini del problema. Loperaismo partiva invece dal pre-
supposto contrario e cio che lestrema complessit del governo capitalistico poteva
essere affrontata solo facendo appello alla complessit della composizione di classe, an-
che se ci comportava il rischio di addentrarsi in una zona grigia dove a perdere la bus-
sola ci vuol niente. Loperaismo ha coniato espressioni di grande forza simbolica, come
operaio massa per esempio, che potevano in effetti far cadere nella trappola della sem-
plificazione, ma riuscito ad evitarla percorrendo i sentieri difficili della composizione
tecnica e della composizione politica di classe, una ragnatela di condizioni culturali, so-
Loperaismo italiano
221
ciali, produttive, territoriali che non tollerava semplificazioni, ma al contrario pretende-
va un esame attento della specificit delle singole situazioni. Altrimenti come sarebbe
stato possibile accendere tanti fuochi, passare dai tecnici di laboratorio agli informati-
ci, dai manovali di catena agli attrezzisti, dallingegnere dellimpianto chimico al portua-
le, dallinfermiere al camionista, dal salariato agricolo allinsegnante? Erano tutte figure
da intruppare nelloperaio massa? Niente affatto, il discorso era da intendersi come ege-
monia di certi principi generali che nelloperaio massa trovavano espressione pi chiara,
come legualitarismo o la centralit del problema salariale.
Solo chi accecato da odio settario o chi rilegge quel periodo con superficialit pu
negare che loperaismo abbia avuto un ruolo determinante nel rapporto tra lotte stu-
dentesche e lotte operaie. Solo chi ingabbiato nella storia istituzionale pu negare che
loperaismo abbia avuto un ruolo nel determinare la qualit delle lotte operaie. Senza il
suo radicalismo, senza il suo estremismo, senza le sue forzature sul salario e sullegualita-
rismo, lAutunno caldo sarebbe stato diverso, il controllo del sindacato sarebbe stato pi
convenzionale. L si conclusa la sua parabola e non se ne sarebbe pi sentito parlare
se al suo interno non avesse racchiuso quella complessit da cui sono partiti successiva-
mente dei percorsi di ricerca teorica e di sperimentazione pratica che hanno consentito
ad alcuni dei compagni del gruppo originario di dare un contributo in grado di conse-
gnare il testimone a nuove generazioni di militanti e di lavoratori intellettuali.
Vinta la scommessa, sono emersi i suoi limiti. Ma quali? La risposta pi banale che
loperaismo non ha risolto il problema dellorganizzazione. Gettandosi alle spalle il pen-
siero comunista, non si sarebbe accorto di aver disinvoltamente evitato di affrontare il
vero problema di ogni gruppo con aspirazioni rivoluzionarie, il problema del Partito.
Da qui laccusa di essere stato uno dei tanti tentativi avventuristi, una delle tante escre-
scenze, di cui costellata la storia del comunismo. A convalidare la correttezza di questa
spiegazione sarebbe proprio la scelta operata da alcuni dei suoi padri fondatori di rien-
trare nel PCI. Ecco la prova! Ancora una volta dobbiamo rilevare che le semplificazioni
non aiutano a comprendere la vera natura delloperaismo, la sfida della complessit non
pu essere elusa. Loperaismo aveva posto una domanda che sta a monte del problema
dellorganizzazione: che cos il comunismo? possibile parlare di comunismo come
qualcosa di avulso dal suo essere un fenomeno storico? possibile il comunismo fuori
dallorganizzazione ufficiale? Alloperaismo interessava sapere se il comunismo come si-
stema di pensiero politico fosse ancora uno strumento efficace nello scontro di classe del
neocapitalismo oppure no.
Ma tutto ci non cancella i limiti delloperaismo, n li attenua pensare che i tentati-
vi di creare unorganizzazione rivoluzionaria negli anni 70 da parte di diversi gruppi di
militanti si sono rivelati fallimentari ed in taluni casi disastrosi, suicidi o, ancora peggio,
tali da costituire una grave insidia per le lotte operaie. Chi ha partecipato allesperien-
za delloperaismo, e non ha ancora rinunciato a certi suoi principi ispiratori, dei giudizi
della storia non sa che farsene, stato coinvolto in una delle pi drammatiche sconfitte
che un movimento di emancipazione abbia mai subito e questo gli basta. Non gli resta
che sedersi ancora a quel tavolo da gioco e scommettere i pochi quattrini che gli sono
rimasti, non pi sulloperaio massa ma sulle mille figure del lavoro postfordista. A una
condizione per: che i soldi siano suoi, in altre parole, che sia coinvolto in prima per-
sona, come lavoratore e come cittadino. A chi gli obbietta di non aver imparato nulla
Sergio Bologna
222
dallesperienza passata e di costituire, per questa sua pervicacia, un pericolo sociale, in
particolare per la formazione dei giovani, pu rispondere che oggi il suo orizzonte non
pi quello di un ribaltamento di rapporti di potere nella societ, ma assai pi mode-
stamente quello di frenare il continuo degrado dei rapporti di lavoro. Se questo sia an-
cora operaismo, o comunismo o che altro un problema di chi si diverte a perdere tem-
po in chiacchiere.
BIBLIOGRAFIA
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223
PANZIERI, TRONTI, NEGRI:
LE DIVERSE EREDIT DELLOPERAISMO ITALIANO
Cristina Corradi
Neomarxismo, pensiero operaio, insubordinazione sociale:
tre distinti paradigmi delloperaismo italiano
Loperaismo una corrente del marxismo italiano che nasce in risposta alla crisi interna
e internazionale del movimento operaio esplosa nel 56. Raniero Panzieri, Mario Tronti
e Antonio Negri sono i teorici pi noti della corrente che, formatasi negli anni Sessanta
intorno alle riviste Quaderni rossi e classe operaia, contribuisce in misura rilevante
alla formazione di una nuova sinistra, protagonista della lunga stagione di lotte operaie
e studentesche che si susseguono dal secondo biennio rosso 68-69 al movimento del
77
1
. Lanalisi della composizione di classe, luso dellinchiesta operaia e della conricer-
ca come strumenti di lavoro politico, la lettura della critica delleconomia politica come
scienza dellantagonismo di classe, una storiografia innovativa delle lotte operaie sono
considerati i suoi contributi pi significativi
2
.
Interpretato unitariamente come tentativo di riattivare una strategia rivoluzionaria
nellEuropa occidentale, come ricerca di unalternativa al socialismo di Stato sovietico
e alla via italiana al socialismo, loperaismo costituisce un capitolo della storia del mar-
xismo europeo che, dopo la stagione creativa degli anni Venti, vive negli anni Sessanta
una ripresa teorica al di fuori delle politiche culturali di partito
3
. Nel quadro della sto-
ria nazionale, loperaismo un episodio della ricerca di un rapporto diretto tra intel-
1
Cfr. A. Negri, Dalloperaio massa alloperaio sociale. Intervista sulloperaismo, P. Pozzi e R. Tomassini (a cura
di), Ombre corte, Verona 2007 (1
a
edizione 1979); S. Mezzadra, Operaismo voce in Enciclopedia del pensiero
politico, diretta da R. Esposito e G. Galli, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 497-498; M. Turchetto, De louvrier
masse lentrepreneurialit comune: la trajectoire dconcertante de loperasme italien, in Dictionnaire Marx
contemporain, Presses universitaires de France, Paris 2001, pp. 297-317; G. Borio, F. Pozzi e G. Roggero (a
cura di), Gli operaisti. Autobiografie di cattivi maestri, DeriveApprodi, Roma 2005.
2
Cfr. S. Wright, Lassalto al cielo. Per una storia delloperaismo, Edizioni Alegre, Roma 2008.
3
Cfr. C. Preve, La classe operaia non va in paradiso: dal marxismo occidentale alloperaismo italiano, in
AA.VV., Alla ricerca della produzione perduta, Dedalo, Bari 1982, pp. 63-121.
Cristina Corradi
224
lettuali e classe operaia e rappresenta il fenomeno di rottura pi vistoso con la politica
culturale del Partito comunista italiano che fa perno sul nazional-popolare e sulla linea
De Sanctis- Labriola- Croce- Gramsci e adotta una problematica democratica, antifasci-
sta e populista in luogo di una problematica socialista, marxista e operaia. Lo storicismo
umanistico e progressista del partito di Togliatti, estraneo alla critica marxiana delleco-
nomia politica e diffidente nei confronti delle pi vivaci correnti del marxismo europeo,
solidale con un orientamento politico moderato che si giustifica con la storica arretra-
tezza italiana e la conseguente necessit di completare la rivoluzione democratica. Se
lanarcosindacalismo di Sorel e LOrdine nuovo di Gramsci hanno dato espressione,
nella prima met del Novecento, allorgoglio produttivo e alle rivendicazioni dellopera-
io di mestiere e delloperaio professionale, con le parole dordine del rifiuto del lavoro,
del sabotaggio della produzione, del salario come variabile indipendente e della garan-
zia del salario sociale loperaismo italiano ha interpretato la combattivit delloperaio-
massa e di una forza-lavoro intellettuale precaria e disoccupata.
Destalinizzazione e razionalizzazione neocapitalistica, decollo e crisi del modello di
accumulazione taylorista-fordista-keynesiano sono le coordinate entro le quali si svilup-
pa una storia che segnata da due divisioni teoriche, politiche e organizzative: la frattu-
ra consumatasi negli anni Sessanta tra una prospettiva neomarxista e una prospettiva pi
strettamente operaista; la scissione delineatasi nei primi anni Settanta tra la linea dellau-
tonomia del sociale e la linea dellautonomia del politico.
Lesperienza operaista nasce ufficialmente nel 61 con la pubblicazione del primo nu-
mero dei Quaderni rossi. Animatore della rivista Raniero Panzieri, un esponente di
spicco della sinistra socialista che, contrario alla prospettiva del centrosinistra sanziona-
ta dal congresso del PSI nel 59, abbandona gli incarichi direttivi nel partito e si trasferi-
sce a Torino, dove lavora presso la casa editrice Einaudi come responsabile di una colla-
na di scienze sociali. Nella citt simbolo dello sviluppo industriale italiano Panzieri avvia
un lavoro di ricerca autonomo dai partiti riunendo un gruppo di giovani dissidenti della
sinistra socialista e comunista, provenienti da diverse realt geografiche, intorno ad un
progetto di studio delle condizioni della classe operaia.
Il gruppo dei Quaderni rossi ha il merito di riscoprire testi di Marx largamente
trascurati dalla tradizione marxista la quarta sezione del I Libro del Capitale, il Fram-
mento sulle macchine dei Grundrisse, il Capitolo VI inedito e di applicare allanalisi delle
trasformazioni di fabbrica i concetti marxiani di sussunzione formale e sussunzione rea-
le del lavoro al capitale, di lavoro astratto, divisione del lavoro e scissione delle potenze
mentali della produzione. Dalle inchieste di Romano Alquati sulla forza lavoro alla FIAT
di Torino e alla Olivetti di Ivrea si ricavano i concetti di composizione di classe e di ope-
raio massa. Lo studio della composizione di classe consiste nellanalisi del nesso tra con-
notati oggettivi e connotati soggettivi della forza-lavoro, tra una specifica composizione
tecnica della forza-lavoro, condizionata dalla configurazione del processo lavorativo, e
una determinata composizione politica, che si esprime in un sistema tipico di compor-
tamenti sociali e di riferimenti organizzativi. Loperaio massa, tecnicamente dequalifica-
to e scarsamente disciplinato rispetto alloperaio di mestiere, incarna esemplarmente il
concetto di lavoro astratto, puro dispendio di energia lavorativa, e sembra esprimere un
forte potenziale conflittuale.
La nascita dei Quaderni rossi punto dapprodo di diverse esperienze politiche
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
225
e culturali, con radici nel Politecnico di Vittorini e nel laboratorio di Adriano Olivet-
ti, nel socialismo di sinistra di Rodolfo Morandi e nel marxismo eterodosso di Galva-
no della Volpe uno degli esiti della mobilitazione di energie intellettuali e politiche
provocata dalla crisi del 56. La denuncia dei crimini di Stalin al XX congresso del PCUS
e le rivolte operaie in Polonia e in Ungheria delegittimano lortodossia marxista-lenini-
sta, favoriscono la ripresa di correnti comuniste libertarie, egualitarie, antiautoritarie, ri-
aprono il dibattito sul socialismo e sullo statuto teorico del marxismo. Lo stalinismo non
appare pi in grado di unificare il fronte dellopposizione di classe: il Partito socialista
italiano rompe il patto di unit con il PCI, ma la rivendicazione dellautonomia socialista
si traduce, per la componente maggioritaria del partito, nella linea di sostegno allipot-
si del centrosinistra piuttosto che nella linea, auspicata da Panzieri, della rigenerazione
dal basso della politica unitaria di classe.
Nel PCI si precisa in senso moderato la strategia togliattiana della via italiana al so-
cialismo e del partito nuovo, partito di massa radicato nella storia nazionale e nelle tra-
dizioni popolari, che insegue lalleanza con i ceti medi richiamandosi alla lotta antifa-
scista e alla costruzione di una democrazia avanzata. Pur ribadendo il legame di fedelt
allURSS, Togliatti conferma una linea improntata a realismo tattico, che elegge il terreno
parlamentare ad ambito privilegiato di lotta, punta a consolidare il quadro costituziona-
le e a promuovere riforme di struttura. La strategia progressista, che postula una tempo-
ralit storica lineare e cumulativa, e la politica dei due tempi, che tende a riassorbire gli
obiettivi socialisti in obiettivi democratici, si legittimano con il riferimento ai Quaderni
del carcere di Gramsci, in particolare alle note sul Risorgimento.
Alla met degli anni Cinquanta si chiude la fase della ricostruzione postbellica che,
in nome dei prioritari interessi nazionali e della collaborazione tra movimento operaio e
borghesia progressista, ha restaurato quel potere padronale in fabbrica che aveva vacil-
lato durante la Resistenza. Si apre una fase di ristrutturazione e di intenso sviluppo capi-
talistico fondato su bassi salari, sfruttamento elevato della forza-lavoro, integrazione nel
mercato europeo. Il miracolo economico sembra smentire sia la tesi terzinternazionalista
del ristagno capitalistico nella fase monopolistica sia la tesi che pone laccento sui ritardi,
le strozzature, gli squilibri delleconomia italiana. Il deficit analitico delle sinistre ufficia-
li rispetto allimpetuoso sviluppo industriale si salda con un deficit politico nei luoghi di
produzione: lestraneit alla cultura del conflitto sociale contribuisce nel 55 alla sconfit-
ta della FIOM-CGIL alle elezioni per il rinnovo delle commissioni interne alla FIAT.
Negli anni del boom economico e della crisi della rappresentanza sindacale il grup-
po dei Quaderni rossi declina il marxismo come sociologia politica della classe opera-
ia, anzich come storicismo realistico, e cerca una strategia adeguata al nuovo volto del
capitalismo italiano attraverso un lavoro con il sindacato che vuole abbandonare il ruo-
lo di cinghia di trasmissione del partito o dello Stato. Lipotesi di una frattura tra i partiti
di sinistra e la societ trova una conferma nelle lotte dei primi anni Sessanta. Dopo lau-
torizzazione accordata dal governo Tambroni al MSI per tenere il congresso del partito
a Genova, nel luglio 60 scoppiano manifestazioni di rivolta con decine di morti e feri-
ti. Tentata invano la svolta reazionaria, la DC avvia un dialogo con i socialisti che porter
nel 63 alla formazione del primo governo di centrosinistra, mentre complesse manovre
di stampo autoritario si intrecciano a tentativi golpisti per bloccare il processo di aper-
tura a sinistra.
Cristina Corradi
226
Nel 62 le lotte dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto sfociano nella rivolta
di Piazza Statuto. La diversa valutazione dei comportamenti operai occasione di divi-
sione per la redazione dei Quaderni rossi che viene abbandonata dal gruppo fondato-
re di classe operaia, la rivista di intervento nelle lotte diretta da Tronti. Panzieri, che
estraneo alla visione salarialista del conflitto di classe tipica delloperaismo successivo,
non condivide lidealizzazione del rifiuto del lavoro e del blocco della produzione, non
sopravvaluta la rottura con le organizzazioni storiche del movimento operaio e assegna
al gruppo dei Quaderni rossi un lavoro prevalentemente teorico. Secondo Panzieri,
infatti, la politica operaia non iscritta nei comportamenti spontanei della forza-lavo-
ro, ma il prodotto dellincontro del movimento della classe con il socialismo. Secondo
Tronti, invece, il rifiuto del lavoro immediata espressione di autonomia operaia, la stra-
tegia politica preesiste nei comportamenti spontanei degli operai e il compito del parti-
to quello di rilevarla, esprimerla e organizzarla
4
.
Le differenze politiche rinviano a divergenze teoriche: secondo Tronti la scienza ope-
raia differisce dalla scienza del capitale perch riduce loggettivit del rapporto capita-
listico alla soggettivit fondante del lavoro vivo. Secondo Panzieri la classe operaia e il
capitale sono due realt autonome e irriducibili luna allaltra: la teoria rivoluzionaria si
articola perci nellanalisi del capitale e nello studio autonomo del comportamento del-
la forza-lavoro, che pu operare come elemento semplicemente conflittuale o come ele-
mento antagonistico. Lo sviluppo tecnologico trainato dalla legge del plusvalore, pi
che dalla lotta operaia, e la rivoluzione copernicana di Tronti, secondo la quale il capita-
le vivrebbe solo per autosuggestione
5
, tende a mistificare le sconfitte in successi.
Nel triennio di classe operaia (64-67) si definiscono alcuni dei tratti pi caratte-
rizzanti della corrente operaista: la concezione delle lotte come motore dello sviluppo
capitalistico, la precedenza dei movimenti di classe rispetto ai movimenti del capitale,
lanteposizione della teoria della rivoluzione alla critica delleconomia, la celebrazione
della soggettivit e della parzialit della classe, latteggiamento cinico e spregiudicato nel
rapporto con la tradizione storica, lo stile al contempo disincantato e visionario, realisti-
co e profetico. Operai e capitale, il testo della rivoluzione copernicana di Tronti, il ma-
nifesto unificante di una fisionomia teorica marcata, discontinua rispetto alloperaismo
razionale o materialista dei Quaderni rossi, e rappresenta, secondo alcuni, il nucleo
vero e proprio delloperaismo
6
.
Mentre il PCI, dallideologia della ricostruzione alla linea berlingueriana dei sacrifi-
ci, attribuisce alla classe operaia una funzione egemonica di direzione e di responsabi-
lit nazionale, che produce per effetti di subalternit e di incorporazione, il gruppo di
Tronti pone laccento sugli interessi particolari piuttosto che sui valori universali della
classe, sottolinea lirriducibilit degli operai al concetto di volont generale, contrappo-
ne la potenza della classe senza alleati alla rincorsa dei ceti medi, celebra lirrazionali-
t, la separatezza, la differenza operaia come fondamenti di autonomia. In polemica con
4
M. Tronti, Operai e capitale, Einaudi, Torino 1966, p. 113.
5
R. Panzieri, Spontaneit e organizzazione. Gli anni dei Quaderni rossi 1959-1964, scritti scelti a cura di S.
Merli, BFS, Pisa 1994, p. 117.
6
Cfr. G. Trotta, F. Milana (a cura di), Loperaismo degli anni Sessanta da Quaderni rossi a classe operaia,
DeriveApprodi, Roma 2008.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
227
lappello generico allimpegno civile dellintellettuale e in polemica con il neoumanesi-
mo socialista, che intende raccogliere le bandiere della razionalit e del progresso lascia-
te cadere da una borghesia decadente, il gruppo di classe operaia dichiara esaurita la
battaglia culturale e chiama il movimento operaio a ereditare il pensiero negativo, di-
struttore delle mediazioni e delle sintesi dialettiche.
Dopo la breve esperienza della rivista Contropiano, negli anni Settanta la compa-
gine operaista torna a dividersi in due linee di strategia politica e di ricerca teorica. Pur
avendo atteggiamenti opposti rispetto alla proposta politica del PCI, loperaismo di si-
nistra e loperaismo di destra, la linea dellautonomia del sociale e la linea dellautono-
mia del politico, condividono tuttavia lipotesi che il valore si estingue perch il rapporto
politico subentra al rapporto di produzione come luogo della decisione, del comando,
dellantitesi allanarchia sociale: ogni determinazione economica e sociale scompare,
tutto politica
7
.
Gli operaisti di sinistra, di cui Negri uno dei principali leader, rivisitano la teoria
leninista per dare una testa politica al ciclo di lotte delloperaio massa e nel 69 fonda-
no Potere operaio, un partito rivoluzionario che persegue la ricomposizione politica dei
conflitti intorno alla parola dordine del salario sociale. Gli operaisti di destra, rappre-
sentati da Tronti, Cacciari e Asor Rosa, ripiegano invece sullentrismo nel PCI e teorizza-
no lo spostamento del conflitto sul terreno statuale per consolidare sul piano istituzio-
nale i nuovi rapporti di forza: poich il capitale usa la manovra della crisi per impedire
che allo sviluppo economico, innescato dalle lotte operaie, corrisponda un adeguato esi-
to politico, la classe operaia tramite un partito relativamente autonomo deve farsi pro-
motrice di un processo di modernizzazione. Lipotesi quella di unalleanza dei produt-
tori e di una nuova NEP, una gestione delleconomia capitalistica sotto la guida politica
operaia che utilizzi la macchina statale per sconfiggere le arretratezze della societ italia-
na, per promuovere la riforma dello Stato e rimettere in moto lo sviluppo. Se negli anni
Sessanta la classe operaia lautentico soggetto che muove i fili del capitale e la sua lot-
ta lunica attivit capace di demistificare lideologia, negli anni Settanta il grande sog-
getto diventa la volont di potere del partito e lorganizzazione politica diventa lunico
orizzonte anti-ideologico del marxismo.
Nei primi anni Settanta si riaccende la conflittualit intercapitalistica, entra in crisi il
sistema di cambi fissi di Bretton Woods, scoppiano la guerra del Kippur e la crisi petro-
lifera. Il capitale, impegnato a recuperare margini di profitto erosi dallautunno caldo,
avvia una manovra di ristrutturazione che punta ad annientare la combattivit operaia.
Negri sviluppa fino allestremo limite la rivoluzione copernicana di Tronti e teorizza lav-
vento delloperaio sociale, che abbandona il terreno della produzione diretta per esten-
dere la conflittualit alla sfera della riproduzione sociale.
Nel 73 il segretario del PCI Berlinguer lancia la proposta del compromesso storico e,
di fronte alla recessione economica, sposa la linea dellausterit che peser sulla sconfit-
ta operaia alla fine del decennio. I successi elettorali del 75 e del 76 sembrano indica-
re nel pi forte partito comunista occidentale il destinatario privilegiato della domanda
7
V. Dini, A proposito di Toni Negri. Note sulloperaio sociale, sul dominio e sul sabotaggio, Ombre rosse,
n. 24, 1978, p. 5.
Cristina Corradi
228
di cambiamento che sale dal ciclo di lotte operaie e studentesche. In competizione con il
neogramscismo, che ricava dai Quaderni i fondamenti delleurocomunismo e immagina
il compromesso storico come un processo di crescita della partecipazione democratica,
loperaismo di destra riformula in termini pi spregiudicati, decisionisti ed elitari il pri-
mato togliattiano della politica. Tronti progetta la costruzione di una teoria operaia della
politica adeguata ad una fase di crisi dello sviluppo e di protagonismo dello Stato. Cac-
ciari rivisita la cultura della crisi per liquidare progetti di neosintesi dialettica e per rica-
vare dalla distruzione di ogni ordine logico-ontologico il primato di una decisione poli-
tica sempre pi sganciata dai rapporti sociali di produzione. Asor Rosa riscopre le virt
della politica rappresentativa, rivaluta le divisioni tradizionali del lavoro e del sapere, ri-
abilita la figura dellintellettuale specialista
8
.
Nella seconda met degli anni Settanta diviene evidente che lautonomia del politi-
co un processo di riconversione culturale del ceto politico del PCI che aspira a liberar-
si dai vincoli della dialettica, del marxismo, della prospettiva strategica. Se la politica
borghese, come la cultura, non pu essere pensata come critica dellideologia delle clas-
si dominanti e costruzione di una concezione del mondo pi congruente con le condi-
zioni di vita delle classi subalterne, ma va concepita come competizione fra lite, gioco
di potere nella sfera delle istituzioni rappresentative.
La teoria dellinsubordinazione sociale di Negri, che legge la strategia del compro-
messo storico come tentativo di restaurazione autoritaria della legge del valore, incro-
cia il movimento del 77, che fa emergere nuovi bisogni e una diversa composizione di
classe
9
. Una parte consistente delloperaismo di sinistra rompe con il precedente neo-
leninismo, insegue nuovi soggetti sociali studenti, donne, proletariato urbano, emar-
ginati, lavoratori precari dei servizi e proclama lattualit del comunismo inteso come
fine della scarsit, orizzonte del consumo di beni e servizi privi di valore-lavoro, riap-
propriazione della ricchezza sociale. Stretta tra la lotta armata delle Brigate rosse e la
criminalizzazione del dissenso, larea dellAutonomia subisce un pesante attacco repres-
sivo: nel 79 i suoi dirigenti sono arrestati, processati, condannati per sovversione con-
tro lo Stato.
Lesperienza operaista si esaurisce nei primi anni Ottanta, parallelamente alla deriva
del PCI e al riflusso dei movimenti di lotta: la provocatoria cultura della crisi, che finisce
per legittimare una mera presa del potere per via amministrativa, contribuisce ad archi-
viare la critica del capitalismo e a distruggere un autonomo profilo teorico della sinistra.
Ladesione alle utopie tecnologiche del postindustriale, della fine del lavoro, del piccolo
bello, depotenzia la valenza critica delloperaismo negriano che smarrisce i nessi sociali
profondi e diventa sempre pi visionario. Negli anni Novanta sopravvivono un linguag-
gio, uno stile di pensiero post-operaista, riconoscibile nei concetti di imprenditorialit
comune, intellettuale massa, moltitudine, cognitariato. Il dibattito sulla globa-
lizzazione, il movimento altermondialista e il successo internazionale del libro Impero, di
cui Negri coautore, hanno contribuito pi recentemente ad una rinascita di interesse
8
Cfr. A. Asor Rosa, Introduzione come quadro di problemi, in Intellettuali e classe operaia, La Nuova Italia,
Firenze 1973, pp. 1-36.
9
Cfr. S. Bologna (a cura di), La trib delle talpe, Feltrinelli, Milano 1978.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
229
per loperaismo italiano e non sono mancate iniziative editoriali per sottolineare lattua-
lit della cultura politica risalente a Operai e capitale, ritenuta idonea a fugare il senso di
sconfitta e il vittimismo passivizzante che deprimono il mondo del lavoro
10
.
La rivisitazione del filone operaista non pu, quindi, eludere interrogativi e prese di
posizione sullattualit di un lascito che va articolato in tre differenti eredit: il contri-
buto di Panzieri, che interpreta unesigenza di rivitalizzazione del marxismo; il pensiero
operaio di Tronti, che segna una rottura con la tradizione marxista; la teoria delloperaio
sociale di Negri, che esplicita una vocazione oltremarxista e oltremarxiana.
Per il riferimento privilegiato al Marx del Capitale, per la capacit di analizzare il ca-
pitalismo monopolistico e il socialismo sovietico in base ai rapporti sociali di produzio-
ne, lelaborazione di Panzieri considerata uno dei punti alti del marxismo europeo e
unoccasione mancata per la sinistra italiana
11
. Panzieri, infatti, non si limita a riformu-
lare posizioni consiliaristiche, autogestionali, sovietiste, tipiche delle dissidenze storiche
del movimento operaio, ma si adopera per rinnovare e rilanciare unidentit culturale e
politica marxista
12
. La ripresa della critica delleconomia politica allinterno del gruppo
dei Quaderni rossi produce conoscenze sul neocapitalismo e sulla transizione socia-
lista e orienta una triplice rottura: con il riformismo socialista subalterno alle esigenze
di modernizzazione capitalistica, con il primato togliattiano della politica indipendente
dal rapporto di produzione, con la filosofia della storia, alternativamente progressista o
crollista, della Seconda e della Terza Internazionale. una posizione che, con le dovute
differenze storiche, mantiene ancora oggi referenti sociali e politici.
Il pensiero operaio di Tronti segna il passaggio da una prospettiva neomarxista ad
una filosofia della classe operaia, la cui particolare tonalit culturale deriva dallincrocio
con la Nietzsche-Heidegger Renaissance e dalluso di un dispositivo teorico monistico e
attivistico che giunge a configurare il rapporto di produzione come il prodotto di unat-
tivit soggettiva. La teoria dellinsubordinazione sociale di Negri, che sostituisce la cen-
tralit rivoluzionaria delloperaio massa con quella di un proletariato giovanile diffuso,
perfeziona lo svuotamento delle categorie del Capitale e propizia lincontro delloperai-
smo con la filosofia francese del desiderio e della differenza. La riflessione che gravita
sul proletariato sociale anticipa, per diversi aspetti, le pi recenti teorie del postmoderno
e del postfordismo, della produzione immateriale e del capitalismo cognitivo.
Il neomarxismo di Panzieri nasce dal bisogno di superare la cattiva unit tra teoria
marxista e prassi politica, loperaismo successivo nega fin dallinizio la possibilit di co-
struire una cultura dopposizione, liquida la battaglia teorica per riqualificare la cultura
di sinistra e avalla indirettamente la scissione tra attivismo cieco e formalismo teorico
13
.
La riduzione del marxismo a volont organizzata della classe o del partito e lannichili-
10
Cfr. G. Borio, F. Pozzi e G. Roggero, Futuro anteriore. Dai Quaderni rossi ai movimenti globali: ricchezze
e limiti delloperaismo italiano, DeriveApprodi, Roma 2002.
11
Cfr. M. Turchetto, Ripensamento della nozionerapporti di produzione in Panzieri, in AA.VV., Ripensando
Panzieri trentanni dopo, Atti del convegno di Pisa del 28/29 gennaio 1994, BFS, Pisa 1995, pp. 19-26.
12
Sulla rilevanza del contributo di Panzieri per la ridefinizione dellidentit comunista si veda lintroduzione
di Paolo Ferrero a Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, Edizioni Punto Rosso, Milano 2005, pp. 15-40.
13
Cfr. R. Luperini, Marxismo e intellettuali, Marsilio, Venezia-Padova 1974, pp. 85-146.
Cristina Corradi
230
mento della dimensione teorica favoriscono, infine, il divorzio della sinistra dalla teoria
marxista e la distruzione di unidentit sociale e politica anticapitalistica.
Panzieri non rinuncia alla teoria marxiana del valore e mantiene un ancoraggio alle
categorie dialettiche, evidente nellinterpretazione della critica delleconomia politica
come disvelamento delle apparenze capitalistiche, nelluso della categoria di totalit, nel
rifiuto dellempirismo, nella visione logico-sistematica del modo di produzione. Politi-
camente opposte, lautonomia del sociale e lautonomia del politico convergono tuttavia
nel liquidare dialettica e analisi economica, nellabbandonare la centralit del conflitto
sul terreno della produzione immediata, nel restaurare una filosofia della storia che pre-
cipita in punti di crisi finale e nel riabilitare le mitologie tecnologiche e tecnocratiche
criticate da Panzieri. Franco Fortini, Aurelio Macchioro e Costanzo Preve hanno scrit-
to pagine lucidissime sui limiti di una cultura politica che alla fine degli anni Settanta,
dopo aver reciso ogni legame con la critica delleconomia politica e aver reso indeter-
minato il concetto di marxismo
14
, diventa veicolo di subalternit ad una nuova cultura
di destra che si legittima in base alla centralit dellimpresa capitalistica
15
. In particolare
loperaismo di destra, che giunge a liquidare lintera cultura marxista come un ostacolo
alluso disincantato delle tecniche del politico, si rivela privo di originalit e di prospet-
tive: lautonomia del politico, teorizzata in anni in cui sta maturando la riscossa delleco-
nomia neoliberista, destinata a rovesciarsi, nellarco di un decennio, in elogio dellim-
politico o presa datto del tramonto della politica.
Se le esigenze oggi pi avvertite sono quelle di decifrare la dialettica di continuit e
discontinuit del capitalismo contemporaneo e di ricostruire una prospettiva comuni-
sta, la lezione di Panzieri, che ripete il gesto marxiano di abbandonare la sfera rumo-
rosa della circolazione per addentrarsi nel laboratorio segreto della produzione, sem-
bra pi feconda del gesto, ieri trontiano e oggi negriano, di anteporre le lotte operaie al
rapporto di capitale
16
. La cultura politica risalente alloperaismo post-panzieriano, ba-
sata sullapologia dello sradicamento e della perdita di confini, sullantidialettica e sulla
negazione assoluta di istanze sintetiche, sembra costitutivamente incapace di offrire vie
duscita alla crisi che perdura dall89.
Il neomarxismo di Panzieri
Insieme a Franco Fortini, Gianni Bosio e Danilo Montaldi, Raniero Panzieri fa parte di
una straordinaria generazione di intellettuali militanti che rifiutano la risposta moderata
e riformista alla crisi dello stalinismo e declinano in modo alternativo alla linea ufficia-
le i temi del partito e della classe, dellinternazionalismo e del socialismo, del rapporto
tra teoria marxista e politica. laltra linea
17
del movimento operaio, che concepi-
14
Cfr. A. Macchioro, Il momento attuale. Saggi etico-politici, Il poligrafo, Padova 1991, pp. 47ss.
15
Cfr. F. Fortini, Insistenze. Cinquanta scritti 1976-1984, Garzanti, Milano 1985, pp. 24-67; C. Preve, La
teoria in pezzi. La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia (1976-1983), Dedalo, Bari 1984.
16
Cfr. M. Tomba, Tronti e le contraddizioni delloperaismo, Erre, n. 22, 2007, pp. 93-100.
17
Cfr. A. Mangano, Laltra linea. Fortini Bosio Montaldi Panzieri e la nuova sinistra, Pullani Editrice, Catan-
zaro 1992.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
231
sce il partito come uno strumento al servizio della formazione politica del movimento
di classe e contrasta il divorzio tra tattica e strategia, insito nella politica della democra-
zia progressiva, valorizzando le esperienze di democrazia di base che prefigurano la co-
struzione di istituzioni socialiste. In alternativa alla lunga marcia socialista nelle istitu-
zioni, Panzieri ipotizza un processo di rinnovamento dal basso del movimento operaio
attraverso la costruzione, nel conflitto, di nuove istituzioni socialiste, radicate nella sfe-
ra economico-produttiva prima che nella sfera politico-istituzionale. Allobiettivo della
programmazione economica democratica contrappone la linea del controllo operaio in
fabbrica, che ridefinisce il potere operaio in rapporto alle condizioni di produzione piut-
tosto che al grado di penetrazione del partito nello Stato.
Di fronte ad un imponente sviluppo tecnologico che comporta forme pi raffina-
te di mistificazione, Panzieri riconquista il potenziale critico del marxismo articolan-
do unanalisi strutturale del neocapitalismo tesa a valorizzare unautonoma iniziativa di
classe, svilita dal provvidenzialismo storicista, dal progressismo riformista e da ideologie
catastrofiste. Il ritorno al Marx maturo del Capitale e la revisione di Lenin sono le coor-
dinate per elaborare una strategia che contrasti la stabilizzazione del dominio capitalisti-
co basata sullintreccio tra razionalit tecnocratica e illusioni democratiche. Il principale
obiettivo polemico di Panzieri la teoria della societ opulenta, che predica lintegrazio-
ne sociale, la fine delle ideologie, la morte della politica, la terziarizzazione della socie-
t grazie alle politiche di diffusione del benessere. Il paradigma di Panzieri per alter-
nativo alle posizioni marxiste ortodosse e revisioniste che, in nome della socializzazione
crescente delle forze produttive, non mettono in questione la razionalit dello sviluppo
capitalistico e ricorrono, con diversi intenti ideologici, alla mitologia dello stadio ultimo
dello sviluppo capitalistico.
I saggi pi importanti pubblicati nel periodo dei Quaderni rossi ruotano intor-
no ai seguenti temi: la demistificazione della razionalit tecnologica, principale forma
di dissimulazione del dispotismo capitalismo; lo smascheramento del piano capitali-
stico operante nella produzione diretta espressione della natura autoritaria del coor-
dinamento capitalistico della forza-lavoro e la sua estensione alla produzione sociale
complessiva come chiave per decifrare il passaggio dal capitalismo concorrenziale al
neocapitalismo pianificatore; la rivendicazione del valore logico, non solo storico, del-
le categorie marxiane che consente di ridefinire gli aspetti essenziali del capitalismo e
del socialismo; la lettura politica delle lotte operaie degli anni Sessanta; linterpreta-
zione del marxismo come scienza critica legata agli sviluppi della sociologia e alluso
dellinchiesta
18
.
Dal laboratorio dei Quaderni rossi emergono alcune ipotesi che tenderanno ad esse-
re dimenticate dalloperaismo successivo: non pu essere teorizzato alcun limite intrinseco
18
Alcuni saggi di Lucio Colletti, che declinano il marxismo come sociologia scientifica e si inscrivono nella
ricerca di unuscita da sinistra dalla crisi del 56 attraverso un ritorno a Marx e Lenin, appaiono vicini alle
posizioni di Panzieri (cfr. L. Colletti, Il marxismo come sociologia, apparso in Societ nel 1959 e ripubblicato
nella raccolta di saggi intitolata Ideologia e societ, Laterza, Bari 1969). La distanza per abissale sulla critica
del feticismo tecnologico e del piano del capitale: Colletti fedele ad un marxismo della contraddizione tra
forze produttive e rapporti di produzione, che identifica il socialismo con la pianificazione e colloca nella sfera
mercantile la genesi del valore e del lavoro alienato.
Cristina Corradi
232
allo sviluppo delle forze produttive, che non mai scorporato dallarticolazione e dallap-
profondimento del dominio capitalistico; lunico limite del capitale linsubordinazione
operaia, che non si esprime in termini di progresso bens di rottura, non rivela locculta
razionalit insita nel moderno processo produttivo, ma costruisce una razionalit radical-
mente nuova e contrapposta alla razionalit del capitalismo; il passaggio dal capitalismo
concorrenziale al capitalismo monopolistico non implica il superamento del valore, la crisi
definitiva del capitalismo o la dominanza degli apparati politico-ideo logici, ma segna piut-
tosto lestensione della pianificazione dalla sfera della produzione alla sfera della realiz-
zazione del plusvalore; il capitalismo individuato principalmente da unorganizzazione
del lavoro finalizzata allestrazione di plusvalore: lo sfruttamento capitalistico non risiede
quindi nelle distorsioni caratteristiche dei rapporti di distribuzione, dei rapporti mercanti-
li o dei rapporti politici, ma connesso al comando nel processo di produzione; il sociali-
smo non si identifica n con la pianificazione dello sviluppo delle forze produttive n con
lautomazione, n con la riduzione del tempo di lavoro n con la diffusione dei consumi,
ma consiste in una diversa regolazione sociale del processo di produzione.
Per criticare la concezione neutrale dello sviluppo delle forze produttive, fondamen-
to di una visione acritica del progresso e di unideologia produttivistica complice dellin-
tensificazione dello sfruttamento, Panzieri recupera il concetto marxiano di appropria-
zione capitalistica della scienza e della tecnica quale base per lo sviluppo di un piano
dispotico del capitale. Lanalisi marxiana del passaggio dalla cooperazione semplice alla
manifattura e alla grande industria mostra chiaramente che la forza produttiva svilup-
pata dalloperaio come operaio sociale forza produttiva del capitale
19
: lo sviluppo della
cooperazione nel processo lavorativo, lungi dal socializzare virtuosamente le forze pro-
duttive e dal ricomporre le mansioni lavorative, piuttosto lespressione basilare del-
la legge del plusvalore. La spinta alla parcellizzazione del lavoro e i processi di automa-
zione comportano la crescita del capitale costante che succhia lavoro vivo, il crescente
controllo del capitale sulla forza-lavoro, la separazione del lavoro dalle potenze menta-
li della produzione. Nellanalisi di Lenin la tecnologia e il piano capitalistico rimangono
estranei al rapporto sociale che li domina e li plasma e lanarchia la caratteristica speci-
fica del capitalismo, lespressione essenziale della legge del plusvalore. Dallanalisi mar-
xiana del processo di produzione si ricavano invece la tendenza del capitale a pianificare
la produzione del plusvalore e la natura dispotica della cooperazione della forza-lavoro,
aspetti che svuotano la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione e
privano di fondamento una concezione del socialismo come pianificazione dello svilup-
po compatibile con metodi dellorganizzazione aziendale capitalistica.
Svelando lintreccio capitalistico tra scienza, tecnologia e potere, Panzieri mette a
tema un feticismo che non legato al denaro e alla sfera della circolazione ma nasce di-
rettamente dalla sfera della produzione. Allorch la scienza entra al servizio del capitale
e diminuisce lautonomia della forza-lavoro, il rapporto sociale capitalistico si nasconde
dietro le esigenze tecniche del macchinario: la divisione del lavoro sembra indipenden-
te dallarbitrio del capitalista e appare risultato necessario della natura del mezzo di la-
19
R. Panzieri, Sulluso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, in Spontaneit e organizzazione. Gli
anni dei Quaderni rossi 1959-1964, cit., p. 25.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
233
voro. Quando luso delle macchine generalizzato, il dispotismo del capitale esercita-
to in nome di una razionalit che cela sfruttamento e sottomissione:
Di fronte allintreccio capitalistico di tecnica e potere, la prospettiva di un uso alternativo
(operaio) delle macchine non pu, evidentemente, fondarsi sul rovesciamento puro e semplice
dei rapporti di produzione (di propriet), concepiti come un involucro che a un certo grado
dellespansione delle forze produttive sarebbe destinato a cadere semplicemente perch dive-
nuto troppo ristretto: i rapporti di produzione sono dentro le forze produttive, queste sono
state plasmate dal capitale
20
.
Ad un marxismo fondato sulla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produ-
zione Panzieri sostituisce un marxismo dello smascheramento della falsa razionalit e
del falso universalismo dello sviluppo capitalistico, il cui dispotismo non si esprime ne-
cessariamente in forme di governo autoritarie e in forme di violenza brutali, ma si dissi-
mula meglio in sistemi di regolazione flessibili e in forme statuali democratiche
21
.
Lanalisi marxiana del Capitale, secondo il fondatore dei Quaderni rossi, definisce
un modello dinamico, in cui ciascuna tendenza pu diventare una controtendenza, sono
ipotizzabili salti verso diverse fasi di accumulazione, passaggi interni a differenti forme di
espressione del plusvalore. Non esiste alcuna tendenza immanente al superamento della
divisione del lavoro, lunica costante del modo di produzione capitalistico la crescita
(tendenziale) del potere del capitale sulla forza-lavoro
22
e lunico limite al capitale la
resistenza della classe operaia
23
. Loperaismo successivo, anche per la sua vocazione an-
tisistematica, tender invece ad appiattire il concetto di modo di produzione capitalisti-
co sul modello taylorista-fordista, a enucleare una successione di stadi che deflagra in un
punto di crisi finale o a restaurare uno schema storico di progressione lineare.
Per analizzare il passaggio dal capitalismo concorrenziale al neocapitalismo pianifi-
catore, Panzieri non liquida la forma valore, ma stabilisce un rapporto di successione lo-
gica e storica tra il I e il III libro del Capitale, tra la sfera della produzione immediata e
quella della riproduzione sociale complessiva. Il I Libro analizzerebbe la fase del capita-
lismo ove la forma generale in cui si esprime il valore lopposizione tra lanarchia, ca-
ratteristica della divisione del lavoro nella societ, e il piano dispotico, che impronta la
divisione tecnica del lavoro. Nel III libro, analizzando una forma di accumulazione basa-
ta su processi di concentrazione dei capitali e di centralizzazione dei rapporti tra produ-
zione e circolazione, Marx porta alla luce i tratti di una fase monopolistica che segnata
dalla nascita delle societ per azioni e dalla scomparsa di un saggio generale di profit-
to. Con la trasformazione del plusvalore in profitto e dei valori in prezzi di produzione,
il piano del capitale si estende alla produzione complessiva e la pianificazione autorita-
ria diventa lespressione fondamentale della legge del plusvalore. Nella fase del capitale
20
R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione. Appunti di lettura del Capitale, ibid., pp. 54-55.
21
Sulla distinzione tra marxismo della contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione e marxi-
smo della dissimulazione si veda R. Finelli, Alcune tesi su capitalismo, marxismo e postmodernit, in AA.VV.,
Capitalismo e conoscenza. Lastrazione del lavoro nellet telematica, manifestolibri, Roma 1998.
22
R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione. Appunti di lettura del Capitale, in Spontaneit e organizzazione,
cit., p. 69.
23
Ibid., p. 54.
Cristina Corradi
234
finanziario, quando la funzione produttiva si separa dalla propriet e il profitto diventa
interesse, insita la massima mistificazione: il capitale appare come denaro che produce
denaro e sparisce ogni traccia del rapporto sociale capitalistico.
Polemizzando con una linea sindacale di difesa delle professionalit operaie, che ten-
de a frammentare i lavoratori in base alle qualifiche dellorganizzazione capitalistica, e
criticando la pretesa di disciplinare il conflitto con la concertazione e la politica dei red-
diti, il gruppo dei Quaderni rossi attribuisce un significato politico alle lotte di fabbri-
ca degli anni Sessanta che portano in primo piano la condizione operaia. Dal lavoro di
inchiesta emerge, infatti, che politica e non tecnica la ragione della divisione delle man-
sioni, delle differenze salariali, della separazione tra operai specializzati e operai generi-
ci, cos come politica la richiesta operaia di controllo sulla produzione che , tuttavia,
disconosciuta dalle organizzazioni ufficiali del movimento operaio. La politica dei due
tempi, che insegue lalleanza con la borghesia progressista e scommette su unevoluzione
lineare della societ, poggia su basi fragili perch separa lazione politica dalla struttura
economica, oscura il carattere capitalistico dello sviluppo industriale e ignora la vocazio-
ne parassitaria e corporativa della borghesia italiana. In una fase in cui le grandi concen-
trazioni industriali e finanziarie estendono e rafforzano il potere sullo Stato, la continua
ricerca di convergenze di vertice e il piccolo cabotaggio parlamentare finiscono per con-
tribuire allo svuotamento delle istituzioni democratiche: per contrastare linvoluzione
integralista della societ e la spinta totalitaria sulle istituzioni, che traggono origine nella
sfera della produzione, occorre portare il conflitto politico nei luoghi di lavoro.
Panzieri respinge fermamente le accuse di operaismo e di anarcosindacalismo: non
si tratta di assegnare allazione sindacale compiti politici di rottura rivoluzionaria, fer-
mandosi allimmagine empirica della singola fabbrica e negando la necessit di ricom-
porre rivendicazioni frammentarie in un disegno strategico unitario. Si tratta al contra-
rio di capire che n il livello sindacale n una politica redistributiva possono soddisfare
le istanze politiche emerse nelle lotte perch la rivendicazione di un controllo sullero-
gazione della forza-lavoro una richiesta di potere antagonista, che pone le basi per un
dualismo di poteri. Le lotte che ricompongono la forza-lavoro acquistano un significa-
to politico perch il sistema economico richiede unassoluta integrazione del capitale va-
riabile nel capitale costante e ottiene la totale subordinazione del lavoro vivo al lavoro
morto attraverso politiche che impediscono alle singole forze lavoro di riconoscersi glo-
balmente come classe operaia. Latomizzazione dei lavoratori uno degli aspetti meno
esplorati dello sfruttamento capitalistico che, dallalienazione del prodotto del lavoro, si
estende allespropriazione del senso del processo produttivo, fino ad alienare il lavora-
tore dal suo corpo e dal rapporto con laltro lavoratore, separandolo dalla relazione ver-
ticale con s e dalla relazione orizzontale con laltro.
In uno dei suoi ultimi saggi Panzieri richiama gli scritti giovanili di Lenin, che con-
siderano lopera di Marx come opera di sociologia scientifica, e lanalisi della moderni-
t di Weber, che ha tenuto in serio conto il pensiero marxiano, per affermare che il mar-
xismo una sociologia del movimento operaio, una sociologia concepita come scienza
politica, cio come scienza della rivoluzione
24
. Lanalisi marxiana nasce come critica
24
R. Panzieri, Uso socialista dellinchiesta operaia, ivi, p. 122.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
235
delleconomia politica, come scienza che coglie nella sua interezza la societ capitalisti-
ca svelandone la natura dicotomica: il limite delleconomia classica consiste, infatti, nella
considerazione della forza-lavoro come mero capitale variabile, come componente solo
interna al capitale. Panzieri ipotizza tuttavia che, in ragione della crisi della teoria eco-
nomica, il capitalismo abbia perduto il suo riferimento classico alleconomia politica e
abbia ritrovato la sua scienza non volgare nella sociologia. Limportanza crescente della
sociologia il sintomo, secondo Panzieri, di un mutamento profondo nel modo di fun-
zionare del sistema capitalistico: con lautonomizzazione del capitale finanziario il pro-
blema fondamentale della riproduzione non la tutela dei rapporti di propriet privata
ma il razionale procedere dellaccumulazione, che non minacciato da un meccanismo
economico bens da una crisi di organizzazione del consenso
25
.
La rivoluzione copernicana di Operai e capitale
La premessa del pensiero operaio di Mario Tronti la lettura di Marx come scienziato,
come Galilei del mondo sociale, proposta nel dopoguerra da Galvano Della Volpe, una
lettura che, seppure eterodossa rispetto allo storicismo crociogramsciano, dopo il 56 ac-
quista rilievo anche nellambito di Societ, la rivista teorica del PCI. Il centro dellin-
teresse di Tronti non per il corretto metodo marxista di analisi scientifica, bens un
pensiero operaio concepito come arma strategica di potenziamento della prassi. La let-
tura dellavolpiana, che per il suo antihegelismo salutata come un nuovo inizio per il
marxismo italiano, costituisce solo un passaggio utile per liquidare lo spirito sistematico
del materialismo dialettico e per ridurre il marxismo ad un insieme di aforismi e di crite-
ri pratici per unazione politica di parte operaia. La priorit superare unimpostazione
confinata nella battaglia teorica per fare di nuovo il salto da Marx a Lenin
26
, dallana-
lisi del capitalismo contemporaneo alla teoria della rivoluzione operaia.
I saggi raccolti in Operai e capitale propongono una lettura creativa di Marx, orien-
tata a rivalutare lelemento soggettivo, il lato attivo del rapporto storico-sociale: lidea
ispiratrice portare Lenin in Inghilterra, rileggere cio la critica delleconomia marxiana
alla luce dellavvenuta rivoluzione contro il Capitale per immaginare la rottura nei pun-
ti alti dello sviluppo, dove si suppone che la classe operaia sia pi forte. Il marxismo
declinato come scienza dellantagonismo e dellinsubordinazione operaia, anzich come
teoria dello sviluppo oggettivo del capitale, e viene enucleato un nuovo concetto di cri-
25
Gianfranco Pala individua il limite principale di Panzieri proprio nel passaggio dalla centralit della critica
delleconomia politica alla centralit della critica della sociologia, la qual cosa implica un mutamento del qua-
dro categoriale. La sociologia, infatti, si costituisce in disciplina autonoma sostituendo il concetto di propriet
con quello di gestione, il concetto di modo sociale di produzione con quello di sistema, il concetto di classe
con quello di gruppo o ceto. Dalla scelta della sociologia weberiana quale oggetto privilegiato di critica discen-
dono, secondo Pala, una torsione soggettivistica del concetto di classe e laccoglimento del concetto di piano
del capitale che trascura lanalisi marxiana della conflittualit intercapitalistica. Dalla repulsione reciproca tra
i capitali, infatti, si evince lincapacit assoluta del capitale, per linadeguatezza cio del suo concetto stesso,
di estendere alla societ il dispotismo di fabbrica (G. Pala, Panzieri, Marx e la critica delleconomia politica, in
AA.VV., Ripensando Panzieri trentanni dopo, cit., p. 71).
26
M. Tronti, Operai e capitale, cit., p. 38.
Cristina Corradi
236
si capitalistica che ha natura politica anzich economica, essendo imposta dai movimen-
ti soggettivi degli operai organizzati.
Il pensiero operaio di Tronti si caratterizza essenzialmente per quattro scelte teori-
che: la concezione attivistica della scienza e negativa della critica dellideologia; la con-
figurazione oppositiva del rapporto tra la fabbrica e la societ; il rovesciamento del rap-
porto tra capitale e forza-lavoro; la rivalutazione delle correnti di pensiero antidialettiche
e irrazionalistiche.
La scienza attiva rivendicata dalloperaismo non la scienza classica galileiana, ma
la scienza novecentesca della crisi dei fondamenti e del principio di indeterminazione.
Non una metodologia generale per fare previsioni esatte e per produrre un sapere og-
gettivo e universale, ma una scienza parziale, soggettiva, unilaterale. Diversamente da
Colletti, Tronti non assume a modello la teoria realista del rispecchiamento, ma si ricol-
lega al costruttivismo emergente dal dibattito novecentesco: lindagine marxiana acco-
stata alle geometrie non euclidee e alla meccanica quantistica, la Rivoluzione dOttobre
paragonata alla teoria einsteiniana della relativit.
La scienza operaista acquista significato in opposizione allideologia, che ha il signi-
ficato puramente negativo di mistificazione, di vocazione a tenere unito ci che se-
parato, di prefigurazione sistematica del reale volta ad imbrigliare la prassi. La critica
dellideologia concepita essenzialmente come attivit di negazione assoluta: lo sma-
scheramento delle mistificazioni capitalistiche non ha alcuna specificit, non produce
unaltra cultura, non alimenta la battaglia ideologica, ma rinvia immediatamente al con-
flitto di classe. In sintonia con Asor Rosa, che nega la possibilit di conciliare arte e rivo-
luzione, Tronti pensa che la cultura sia per definizione borghese e che la classe operaia
non abbia bisogno di unideologia: se la semplice esistenza come realt antagonistica
rende la classe indipendente dal meccanismo di sviluppo capitalistico, lorganizzazione
autonoma degli operai il processo reale della demistificazione
27
.
Nel saggio del 62 La fabbrica e la societ, Tronti sostituisce la sequenza marxiana
processo di produzione, processo di circolazione, processo complessivo, con la sequen-
za fabbrica, societ, Stato, e riformula la contraddizione classica tra sviluppo delle for-
ze produttive e rapporti sociali di produzione nei termini di un antagonismo irriduci-
bile tra la forza-lavoro come valore duso e la forza-lavoro come valore di scambio, tra
il processo produttivo che si svolge nella fabbrica e il processo di valorizzazione che si
svolge nella societ. Oggetto di critica sono le ideologie neocapitalistiche che presenta-
no il fenomeno dellintegrazione tra fabbrica, societ civile e Stato in chiave di afferma-
zione di uno Stato interclassista e di scomparsa dello stesso capitalismo, che si trasforma
nella ricchezza della societ da amministrare per il benessere collettivo. Secondo Tron-
ti, quando il dispotismo capitalistico si estende dalla fabbrica alla societ, lo Stato non si
limita pi a mediare i conflitti intercapitalistici ma tende a porsi come il rappresentan-
te diretto del capitalista collettivo, mentre la terziarizzazione generalizza la condizione
operaia a nuovi strati sociali: i tecnici e gli intellettuali.
Lidentificazione del processo produttivo in fabbrica con la sfera della produzione
e del processo di valorizzazione con la sfera della circolazione tende ad appiattire la di-
27
Ibid., p. 37.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
237
mensione del valore sul valore di scambio e a fare smarrire i tre livelli di indagine mar-
xiana, che muove dalla manifestazione fenomenica del valore per addentrarsi nella sfe-
ra produzione e risalire poi alla sfera della distribuzione. Anche la distinzione logica tra
produzione come momento particolare e produzione come momento generale del pro-
cesso economico viene meno: quando si conchiude il circolo produzione-distribuzione-
scambio-consumo il rapporto sociale diventa un momento del rapporto di produzione,
la societ intera diventa unarticolazione della produzione
28
. Lanalisi del piano capita-
listico, che identifica lo Stato con il capitale sociale, tende a resuscitare la filosofia del-
la storia avversata da Panzieri: estendendo progressivamente la logica della fabbrica alla
societ, generalizzando il rapporto di lavoro salariato, lo sviluppo capitalistico si incari-
ca di far crescere linearmente la classe operaia. Se la principale forza produttiva svilup-
pata dal capitale la classe operaia, che impone con la propria conflittualit lo sviluppo
delle altre forze produttive, lo sviluppo del capitale il potere degli operai.
La rivoluzione copernicana, che conferisce un carattere inconfondibile alloperaismo
italiano, annunciata nellarticolo del 64 Lenin in Inghilterra ed completata nel sag-
gio del 66 Marx, forza-lavoro, classe operaia. Lintento di Tronti di rovesciare limma-
gine della forza-lavoro incorporata nel dominio capitalistico attraverso ladozione di un
metodo danalisi che muova dalla precedenza storica, logica e politica dei movimenti del-
la classe operaia rispetto ai movimenti del capitale. Dallidea di rovesciare il rapporto tra
sviluppo capitalistico e lotte operaie per promuovere ricerche su una storia autonoma
della classe, ricostruita come successione di figure egemoni, si passa ad una lettura attivi-
stica e interamente politica della teoria marxiana del valore, che conduce allipotesi espli-
cita di un parricidio di Marx da parte del movimento operaio. Linversione del rappor-
to tra capitale e classe operaia concepita come una correzione leninista di Marx: essa fa
precedere la politica alla scienza, la teoria della rivoluzione alla critica delleconomia po-
litica, gli operai come classe alla categoria economica del capitale. La volatilizzazione del-
la teoria del valore funzionale allinversione: sganciando il lavoro produttivo dai concet-
ti di valore e plusvalore, la teoria marxiana dello sfruttamento trasformata in una forza
dattacco, il concetto di alienazione viene ad esprimere il potenziale di estraneit piutto-
sto che la passivit e la subordinazione della classe operaia, la forza-lavoro tramutata in
lavoro vivo, lavoro in atto, di cui il capitale un semplice riflesso. Secondo Tronti la du-
plice natura del lavoro scoperta da Marx non significa lavoro contenuto nella merce, ben-
s classe operaia dentro e contro il capitale: la classe, elemento dinamico del capitale, cau-
sa prima dello sviluppo, produce il capitale come potenza economica, ma pu rifiutarsi di
produrlo separandosi da s come categoria economica, negandosi come forza produttiva
e affermandosi come potenza politica. La teoria del valore dunque una tesi politica, una
parola dordine rivoluzionaria, un rapporto politico della produzione capitalistica:
Valore-lavoro vuol dire allora prima la forza-lavoro poi il capitale; vuol dire il capitale condizio-
nato dalla forza-lavoro, mosso dalla forza-lavoro, in questo senso valore misurato dal lavoro. Il
lavoro misura del valore perch la classe operaia condizione del capitale
29
.
28
Ibid., p. 51.
29
Ibid., pp. 224-225.
Cristina Corradi
238
La natura capitalistica della cooperazione della forza-lavoro e i processi di atomizzazio-
ne evidenziati da Panzieri sono oscurati: per Tronti il rapporto di classe esiste gi nella
sfera della circolazione e non si pu parlare, in nessun momento storico di operaio sin-
golo: la figura materiale, socialmente determinata, delloperaio nasce gi collettivamente
organizzata
30
. Il rapporto antagonista di classe, il rapporto di lavoro salariato, prece-
de dunque, provoca, produce il rapporto capitalistico
31
. Mentre la forza politica ope-
raia legata alla forza produttiva del lavoro salariato, il capitale concepito come inte-
resse economico che, sotto la minaccia operaia, costretto a diventare forza politica, a
sussumere la societ, a farsi apparato di repressione statale. Mentre la classe operaia esi-
ste indipendentemente dai livelli istituzionali, la classe dei capitalisti, secondo Tronti, ha
bisogno della mediazione di un livello politico formale che faccia vivere soggettivamen-
te un morto meccanismo oggettivo.
Motore negativo del capitale, capace di produrlo come potenza economica e di
provocarne la crisi politica, la classe operaia non lerede della filosofia classica te-
desca, delleconomia politica inglese e del socialismo politico francese, ma il sog-
getto destinatario del pensiero grande-borghese distruttivo e reazionario, lucidamen-
te consapevole del conflitto sociale moderno. Contro la teoria del rapporto dialettico
tra capitale e lavoro la classe operaia, secondo Tronti, deve organizzarsi come ele-
mento irrazionale, come unica anarchia che il capitalismo non riesce socialmente a
organizzare
32
. Lantiumanesimo, lirrazionalismo e lantistoricismo devono perci di-
ventare armi pratiche di lotta, strumenti del movimento negativo che abolisce lo sta-
to di cose presenti. Il pensiero operaio mobile e asistematico, distruttore di tutti i va-
lori, innesta il nichilismo nietzscheano su un impianto idealistico-soggettivo di sapore
attualistico: il risultato un dispositivo teorico che consente di attribuire alla rude
razza pagana una soggettivit originariamente collettiva e una volont di potere ma-
estosamente espansiva
33
.
La prima ricerca sul pensiero negativo di Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche
matura nellambito del progetto trontiano di fare incontrare il nichilismo operaio con
il pensiero della crisi
34
. Contro lideologia che chiama il movimento operaio a resusci-
tare dalle ceneri gli indirizzi democratico-progressisti della cultura borghese, Massimo
Cacciari si incarica di rovesciare La distruzione della ragione di Lukcs. Se il conflitto di
classe la concreta base storica del processo di dissoluzione del sistema hegeliano, sinte-
si espressiva della societ cristiano-borghese, il pensiero negativo non esprime una rea-
zione irrazionalistica alla dialettica, ma lideologia dei punti pi avanzati dello svilup-
po capitalistico.
30
Ibid., p. 233.
31
Ibid., p. 149.
32
Ibid., p. 82.
33
Cfr. R. Sbardella, Le maschere della politica: gentilismo e tradizione idealistica negli scritti di Mario Tronti,
Unit proletaria, n. 1-3, 1982, pp. 117-140.
34
Cfr. M. Cacciari, Sulla genesi del pensiero negativo, Contropiano, n. 1, 1969.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
239
Loperaismo di destra:
dallautonomia del politico al tramonto della politica
Nel Poscritto del 71 alla seconda edizione di Operai e capitale inizia a delinearsi il pro-
getto di carpire il segreto del politico moderno per consegnarlo come arma offensiva al
partito della classe operaia. Tronti avanza lipotesi che dalle lotte operaie statunitensi de-
gli anni Trenta, pi efficaci di quelle europee perch non affette da incrostazioni ideo-
logiche, siano scaturite una new politics operaia e una new economics del capitale, che
contrassegnano lingresso in unepoca post-classica. Gli studi sul movimento consilia-
re tedesco, sulla crisi della Repubblica di Weimar, sulla NEP e sulla crisi del 29 si inqua-
drano in un nuovo ambito di ricerca: il rapporto tra la rottura rivoluzionaria di Lenin,
la teoria economica di Keynes, la sociologia del potere di Weber, la teoria della rivolu-
zione conservatrice
35
.
Intervenendo nel 72 ad un seminario di scienze politiche presso lUniversit di To-
rino, Tronti precisa che, dopo lesperienza del New Deal e la nascita del partito di mas-
sa, i rapporti di produzione si politicizzano, viene meno lautonomia della civil society e
lo schema di sviluppo dalleconomico al politico, dalla fabbrica allo Stato, non funziona
pi
36
. Denuncia quindi lassenza di una teoria marxista della politica, confina il pensie-
ro di Marx in unepoca di capitalismo liberale ormai concluso, propone un rinnovamen-
to del movimento operaio attraverso lindagine di un nuovo oggetto specifico: lautono-
mia del potere nei confronti della societ. Alla scoperta che nel 29 c ununica crisi per
il capitale e per la classe operaia segue la scoperta che anche il politico e lo Stato moder-
no sono un terreno comune per operai e capitale. Quando allo sviluppo succede la crisi,
lo Stato e il partito sostituiscono la fabbrica come terreno espressivo della potenza poli-
tica operaia e il dualismo di potere riguarda il rapporto tra la societ e lo Stato piuttosto
che il rapporto tra la fabbrica e la societ.
Per costruire una teoria operaia della politica, Tronti interroga la storia del realismo
politico e dello Stato moderno. La concretezza e la volont di potenza operaia sono in-
traviste nel pensiero politico weberiano, nella dottrina hobbesiana della sovranit, nel-
la teoria del principe di Machiavelli, nel conflitto amico-nemico di Carl Schmitt. Lin-
dagine della politica moderna pensata come un passaggio dallanatomia della societ
a quella del potere: mentre tra Hobbes e Hegel cresce la realt dello Stato, nellepoca
di Marx la societ si prende una temporanea rivincita, ma negli anni Trenta il New Deal
roosveltiano, il decisionismo totalitario, la costruzione staliniana del socialismo segna-
no un ritorno in grande stile della politica. Nellepoca della grande crisi lo Stato salva il
capitalismo, lo Stato costruisce il socialismo. Ci che sembra un risultato lintervento
dello Stato nel capitalismo maturo va ripensato come linizio del processo: laccumu-
lazione di potere precede laccumulazione capitalistica.
Nel corso degli anni Settanta Cacciari propone una nuova lettura del pensiero nega-
tivo che, da Nietzsche a Heidegger, da Mach a Wittgenstein, esprime la crisi di ogni ri-
fondazione sintetica nel passaggio alla ragione post-classica, segnala lapertura di nuo-
35
Cfr. AA.VV., Operai e Stato, Feltrinelli, Milano 1972.
36
Cfr. M. Tronti, Sullautonomia del politico, Feltrinelli, Milano 1977.
Cristina Corradi
240
vi spazi alle tecniche del politico nel passaggio al capitalismo organizzato
37
. Se let della
ragione classica trova espressione nella scienza galileiana e nella dialettica hegeliana, il
pensiero negativo riflette la crisi dei fondamenti del sapere scientifico e la perdita di una
concezione stabile dellEssere: il tramonto della sintesi dialettica e laffermazione di una
molteplicit di giochi linguistici indicano, secondo Cacciari, che il politico guadagna una
dimensione autonoma come tecnica di governo dei conflitti.
Il principale obiettivo polemico delloperaismo di destra diventa la concezione del
marxismo come sistema teorico, come dialettica che lega organicamente filosofia, politi-
ca, economia. Il marxismo, secondo Cacciari, non una critica delleconomia, della so-
ciet e della politica n un discorso sul metodo scientifico: privato di articolazione si-
stematica e di spessore teorico, ridotto a forza storico-politica, il marxismo soltanto
volont di potenza organizzata capace di esercitarsi concretamente sulla diversa mol-
teplicit dei linguaggi della Tecnica
38
. Mentre loperaismo di sinistra fa riferimento ad
una lettura dionisiaca e anarchica del pensiero negativo, loperaismo di destra propone
una lettura neorazionalistica del nichilismo: la fine della metafisica e loblio dellessere
legittimano un progetto di intervento nel mondo consapevole del rapporto indissolubi-
le tra necessit e volont di potenza, tra burocrazia e politica. Secondo Cacciari il pen-
siero di Nietzsche non deve essere letto n come pensiero della liberazione delle forme
simboliche n come apologia della differenza, valorizzazione di ci che interdetto dal-
la ragione, celebrazione di autonomia come alterit irriducibile al processo della razio-
nalizzazione capitalistica. Lidentificazione storica tra ragione e razionalizzazione capi-
talistica, tra primato del soggetto e dominio della tecnica, rende regressive la critica dei
processi di burocratizzazione e di specializzazione e la rivendicazione di una ragione o
di una soggettivit non integrata nel sistema.
Lannichilimento dellessere, la sua riduzione a valore soggettivo, acquista un signi-
ficato costruttivo: il dialogo tra heideggerismo e marxismo non deve ruotare intorno
allemancipazione dallalienazione, ma va iscritto nellorizzonte della perdita di patria e
del rapporto inestricabile tra soggettivit e tecnica. La risoluzione della filosofia in pras-
si politica, la liquidazione dei valori tradizionali da parte delloltreuomo e il compimento
della tradizione metafisica nellorganizzazione tecnico-scientifica indicano che il tramon-
to della filosofia dispiega nuovi ordini, nuove forme di razionalit e di volont di potere.
Nella seconda met degli anni Settanta il progetto di riforma dello Stato cede il passo
ad un progetto di governo della crisi capitalistica che fa perno su una lettura interamen-
te politica della centralit operaia
39
. Dopo aver rovesciato la crisi del marxismo nella cul-
tura della crisi e aver sostituito la totalit dialettica con i saperi parcellizzati, lautonomia
del politico si trasforma negli anni Ottanta in una teoria del limite: la politica non chia-
mata a dispensare felicit e piacere, a produrre liberazione e a rappresentare lintero, ma
anzitutto decisione di rinuncia a rappresentare una soggettivit sociale e a produrre
37
Cfr. M. Cacciari, Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, Feltrinelli,
Milano 1976.
38
M. Cacciari, Heidegger, noi, i Soggetti, ripubblicato in versione ampliata, con il titolo Confronto con Hei-
degger, in Id., Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, Padova 1977, p. 81.
39
Cfr. M. Tronti, Operaismo e centralit operaia, in AA.VV., Operaismo e centralit operaia, a cura di F.
DAgostini, Editori Riuniti, Roma 1978.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
241
nuove forme di potere. Dopo l89, quando oggetto di riflessione diventa la crisi della po-
litica, Tronti riconosce con coraggio che il passaggio dellautonomia del politico servi-
to allimpianto di un decisionismo finalizzato alla modernizzazione conservatrice
40
.
Operaismo di sinistra e post-operaismo:
dalloperaio sociale al cognitariato post-fordista
La premessa della teoria delloperaio sociale la ricostruzione della storia interna del-
la classe operaia auspicata in Operai e capitale come una successione di figure ege-
moni: ad ogni manovra di ristrutturazione capitalistica, indotta dalle lotte operaie, cor-
risponde la nascita di una nuova composizione tecnica della forza-lavoro che determina
una nuova composizione politica. Dopo la rivoluzione sovietica, la composizione di clas-
se delloperaio professionale, base del partito leninista, stata distrutta dalla ristruttu-
razione taylorista-fordista che ha massificato la forza-lavoro. Dopo la crisi del 29 la re-
golazione politica del ciclo economico ha sostituito il funzionamento spontaneo della
legge del valore di scambio: lo Stato, espressione del capitale collettivo, diventato ga-
rante della pace sociale grazie allintegrazione socialdemocratica dei lavoratori e al con-
tenimento della crescita dei salari entro proporzioni tali da non alterare gli equilibri del-
la produzione capitalistica.
La teoria delloperaio sociale nasce dallesigenza di approfondire linversione tron-
tiana del rapporto tra capitale e classe operaia a partire dal blocco dello sviluppo deter-
minato dalla conflittualit delloperaio-massa
41
. Nelle lotte degli anni Sessanta la classe
operaia ha manifestato la propria estraneit alle leggi delleconomia politica e al rispet-
to delle compatibilit istituzionali: le rivendicazioni salariali hanno fatto saltare il circo-
lo virtuoso tra crescita dei redditi e produzione di massa. Negri interpreta linsorgenza
dellautonomia operaia, la capacit di imporre un salario indipendente dallaccumula-
zione capitalistica, come un processo che mette in crisi la legge del valore, provocando
una sproporzione tra lavoro necessario e pluslavoro
42
. La rottura del rapporto di subor-
dinazione del salario al profitto determina la crisi dello Stato keynesiano e il passaggio
dallo Stato-piano allo Stato-crisi: lo Stato, anzich promuovere sviluppo, produce crisi
tramite una manovra deflazionistica volta a frenare lespansione delle forze produttive
che intaccano la proporzione dei rapporti di forza tra le classi
43
.
Lanalisi del passaggio allo Stato-crisi, cogliendo limminenza di una ristrutturazio-
ne capitalista in concomitanza con la crisi petrolifera e la tempesta valutaria provoca-
40
M. Tronti, La politica al tramonto, Einaudi, Torino 1998, p. 79.
41
La categoria di operaio sociale indica un nuovo soggetto politico, altamente scolarizzato, prodotto della
massificazione del lavoro intellettuale (cfr. R. Alquati, Universit, formazione della forza-lavoro e terziarizzazio-
ne, aut aut, n. 154, 1976).
42
Riccardo Bellofiore ha sottolineato che limpostazione operaista, secondo cui il valore esito variabile del
conflitto tra salario e profitto, sraffiana pi che marxiana (cfr. R. Bellofiore, Loperaismo degli anni 60 e la
critica delleconomia politica, Unit proletaria, n. 1-2, 1982).
43
Cfr. A. Negri, Crisi dello Stato-piano. Comunismo e organizzazione rivoluzionaria (1974), in Id., I libri del
rogo, Castelvecchi, Roma 1997.
Cristina Corradi
242
ta dalla inconvertibilit del dollaro, anticipa alcuni tratti del neoliberismo. La manovra
di ristrutturazione punta sul decentramento produttivo e sulla disgregazione della figu-
ra delloperaio-massa:
Il capitale mette la fabbrica, come punto di valorizzazione del circuito sociale della produzio-
ne, contro la societ come ambito di devalorizzazione, come sede della massificazione, e con-
temporaneamente la societ come immagine della macchina sociale di produzione contro la
fabbrica in quanto sede privilegiata del rifiuto del lavoro e dellattacco selvaggio al profitto
44
.
Negri prevede che, con il venir meno del ruolo dello Stato quale promotore dello svilup-
po nella invarianza dei rapporti di forza tra le classi, si profili un rovesciamento della se-
quenza Stato, piano, impresa: lo Stato si subordina al comando dimpresa, lautonomia
relativa delle istituzioni politiche scompare, la sovranit nazionale si indebolisce a bene-
ficio di imprese multinazionali o di corpi amministrativi separati.
Le capacit di analisi si affievoliscono nel tentativo di interpretare la manovra di ri-
strutturazione come un processo dinamico destinato a promuovere la ricomposizione di
classe e a suscitare un nuovo soggetto gi unificato e compatto, capace di estendere a
tutta la societ la potenza antagonista delloperaio massa. Facendo riferimento al Capi-
tolo VI inedito del I libro del Capitale, Negri interpreta il nesso tra la fabbrica e la socie-
t in chiave di estensione della cooperazione produttiva, di formazione di un lavoratore
collettivo che fa venire meno la distinzione tra lavoro produttivo e lavoro improdutti-
vo. Quando il comando dimpresa si estende alla societ e il lavoro produttivo si identi-
fica con il lavoro salariato, sorge la fabbrica diffusa ed emerge la figura delloperaio so-
ciale: in reazione alla caduta del saggio di profitto, il capitale costretto a diffondere il
processo di valorizzazione alla societ, ma la ristrutturazione non pu ristabilire margi-
ni di profitto perch la diffusione del comando di impresa anticipata dallestensione
dei comportamenti antagonisti delloperaio-massa
45
. Con lestensione della relazione sa-
lariale a tutta la societ, la produzione in generale non coincide pi, come in Operai e ca-
pitale, con il processo di produzione immediato e viene meno la contrapposizione tra la
fabbrica e la societ: la societ non pi il luogo della passivit e della disgregazione, ma
diventa il terreno privilegiato del conflitto.
La diffusione della cooperazione produttiva e lemergenza delloperaio sociale realiz-
zano, secondo Negri , la tendenza verso la caduta storica della barriera del valore, antici-
pata da Marx nel Frammento sulle macchine. Nel testo dei Grundrisse Marx metterebbe
in crisi la legge classica del valore e svolgerebbe fino in fondo la critica delleconomia po-
litica: lintegrale socializzazione del lavoro provoca la crisi dei rapporti di scambio per-
ch il lavoro singolo non esiste pi e il denaro, che non pu misurare la forza sociale del
lavoro combinato, diventa funzione della riproduzione del rapporto di lavoro salariato.
Nellambito dellestinzione storica della legge del valore e della sua affermazione
forzosa mediante il comando politico, la compenetrazione tra struttura e sovrastruttu-
ra diviene totale, la sfera della circolazione e quella della produzione si unificano nella
44
A. Negri, Partito operaio contro il lavoro (1974), in ibid., p. 100.
45
Cfr. A. Negri, Proletari e Stato. Per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico (1976), in
ibid., pp. 148ss.
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
243
dimensione della riproduzione. Lo Stato diviene immediatamente sintesi della societ ci-
vile, il capitale sociale diviene categoria effettuale mentre, al polo opposto, si costituisce
il lavoro sociale complessivo: lo scontro prefigurato in Operai e capitale tra fabbrica e so-
ciet capitalistica si ridisegna come scontro tra il lavoro sociale e lo Stato rappresentante
del capitalista collettivo. Il valore di scambio, estinto economicamente, sopravvive come
pura coercizione politica; il comando dimpresa, sganciato dal valore, diventa mero rap-
porto di forza, disegno soggettivo e arbitrario di dominio; il capitale non pi valore
che si valorizza ma volont di potere, autonomia del politico e la critica delleconomia
politica immediatamente critica dellamministrazione, della Costituzione, dello Stato
46
.
Contro lattendismo storicistico e contro il tentativo socialista di restaurare la legge del
valore tramite la riforma dello Stato, Negri proclama lattualit del comunismo: il rifiuto
del lavoro, inversione della legge del valore, apre spazi reali per lindipendenza operaia e
innesca la transizione come processo costitutivo sul terreno dellalternativa
47
.
La caduta della barriera del valore porta in primo piano i temi dellautovalorizzazio-
ne e della forza-invenzione. Lautovalorizzazione la riappropriazione di ricchezza e di
potere contro i meccanismi capitalistici di accumulazione e sviluppo. Se in Operai e ca-
pitale la forza-lavoro classe gi nella sfera della circolazione, Negri scopre la riprodu-
zione della forza-lavoro come terreno di antagonismo, ambito di lotta alternativo a quel-
lo del rapporto di produzione diretto. Lestraneit alla valorizzazione capitalistica della
piccola circolazione la parte di capitale anticipato con cui loperaio acquista i mezzi di
sussistenza fonda la possibilit di unautonomia operaia che presuppone lindipenden-
za dei bisogni e dei consumi dallo sviluppo capitalistico. Il tema della forza-invenzione
legato allemergenza del sapere quale principale forza produttiva: nel passaggio dal Wel-
fare al Warfare (Stato della rendita politica o Stato nucleare) tutta la forza produttiva del
lavoro diventa forza-invenzione che divorzia dal capitale:
il concetto unitario sviluppo capitalistico si rompe: da un lato lo sviluppo del capitale costante
diviene uno sviluppo distruttivo, dallaltro le forze produttive debbono emanciparsi radical-
mente dal rapporto di capitale
48
.
Il tema della forza-invenzione prospetta la dissoluzione del concetto di plusvalore rela-
tivo: secondo Negri, allorch il rifiuto del lavoro provoca laffermazione del lavoro tec-
nico-scientifico, la produttivit si separa dal plusvalore, il lavoro non si fonda pi sul
rapporto con il capitale ma sulla propria essenza cooperativa. Per sottolineare che lau-
tovalorizzazione operaia esplosione dellantagonismo, rottura radicale con la totalit
dello sviluppo capitalistico, Negri scardina limpianto dialettico delle categorie marxia-
ne. In sintonia con il post-strutturalismo, che celebra il pensiero di Nietzsche come alba
della contro-cultura, critica del logocentrismo, negazione di tutti i codici, loperaismo
di sinistra enfatizza la differenza contro la dialettica, considerata sinonimo di logica del
46
A. Negri, La forma Stato. Per la critica delleconomia politica della Costituzione, Feltrinelli, Milano 1977,
p. 18.
47
Cfr. A. Negri, Marx oltre Marx, manifestolibri, Roma1998 (1
a
edizione 1979).
48
A. Negri, Il dominio e il sabotaggio. Sul metodo marxista della trasformazione sociale (1977), in I libri del
rogo, cit., p. 288.
Cristina Corradi
244
dominio, integrazione forzosa delle differenze, primato dello Stato sullirriducibile plu-
ralit della societ.
Allinizio degli anni Ottanta Negri manifesta un interesse crescente per la filosofia di
Deleuze, dalla quale trae ispirazione per una rilettura di Spinoza e per la messa a punto
di una concezione positiva non pi dialettica, dualistica e animata da un motore nega-
tivo dellautonomia operaia. In anni dominati dai temi della crisi della razionalit, del-
la fine della modernit e del trionfo del nichilismo, la filosofia di Deleuze interessante
perch il rifiuto della logica negativa e dellontologia hegeliana non approda n allonto-
logia heideggeriana dellessere per la morte n ad una prospettiva deontologica. Il filo-
sofo francese sviluppa, infatti, una logica affermativa dellessere nel tempo; costruisce un
movimento positivo della differenza, alternativo alla determinazione tramite differenza
negativa; propone una concezione assoluta, non dialettica, della negazione quale distru-
zione che sgombra il terreno per una nuova costruzione; coniuga il concetto spinoziano
di potenza, con il concetto marxiano di forza produttiva e con il concetto nietzscheano
di volont di potenza per gettare un ponte tra lontologia e la politica.
Nei testi di Spinoza Negri cerca unontologia materialista rigorosamente immanente,
ove lo spessore della costruzione dellessere non annullato dalla temporanea rivincita
di forze reattive; unontologia della superficie, che rifiuta fondamenti nascosti e profon-
di e non contempla strutture precostituite; una filosofia ontologica della prassi, che pro-
pizia la liberazione delle forze produttive dai rapporti di produzione; un antidoto alle
concezioni deboli e ciniche dellessere, che separano sostanza e potenza e prospettano
un pragmatismo progettuale indifferente ad ogni contenuto
49
. In Spinoza il tempo po-
tenza, anzich destino di deiezione; lessere forza produttiva ed egemonia della pie-
nezza, anzich impossibilit e vuoto di presenza; letica articolazione dei bisogni pro-
duttivi, sviluppo della vita desiderante; la ragione organizzazione dei bisogni da parte
dellimmaginazione produttiva; la societ politica risultante non dialettica di potenze
singolari che, non avendo unorigine privata, non devono essere mediate ma si compon-
gono spontaneamente in una potenza collettiva. Negando dualismi tra anima e corpo,
gerarchie dellessere e ordini presupposti allagire, il filosofo olandese consente, secon-
do Negri, di individuare una moderna tradizione materialista, alternativa a quella dia-
lettica, incentrata sui processi costitutivi del desiderio. La modernit pu essere pensata
come una rivoluzione incompiuta, nellambito della quale sempre vissuta unalternati-
va tra lo sviluppo delle forze produttive e il dominio dei rapporti capitalistici, tra la po-
tentia della moltitudine e la potestas dello Stato, tra la vis viva e le forze dellespropria-
zione. Il repubblicanesimo di Machiavelli, la democrazia assoluta della moltitudine di
Spinoza e lautogoverno dei produttori di Marx rappresentano la filosofia della potenza
contro il potere, la sovversione contro la sovranit, il potere costituente che non si lascia
riassorbire nel potere costituito
50
.
Il confronto con lontologia prospettivista e costruttivista di Deleuze e la rilettu-
49
Cfr. A. Negri, Lanomalia selvaggia. Saggio su potere e potenza in Baruch Spinoza, Milano, Feltrinelli 1981;
Id., Spinoza sovversivo, Pellicani, Roma 1992. Entrambi i saggi, insieme a Democrazia ed eternit in Spinoza e
ad una Postfazione, sono stati ripubblicati in A. Negri, Spinoza, DeriveApprodi, Roma 1998.
50
Cfr. A. Negri, Il potere costituente. Saggio sulle alternative del moderno, manifestolibri, Roma 2002 (1
a

edizione 1992).
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano
245
ra di Spinoza sono preliminari ad una rielaborazione, negli anni Novanta, della teoria
delloperaio sociale che si fonda sul concetto di lavoro vivo come produzione di sogget-
tivit, potere costituente della societ, autonomia produttiva dalla sfera pubblica statua-
le e dal comando dimpresa
51
. Il lavoro vivo non ha i tratti del popolo, dellunit coesa,
bens i tratti della moltitudine, che rifugge lunit politica, non stringe patti, non trasfe-
risce diritti, recalcitra allobbedienza, non converge in una unit sintetica la volont ge-
nerale ma condivide il general intellect. La moltitudine pensata come comunit non
sostanziale e non rappresentabile di coloro che non si sentono a casa propria, condivido-
no le facolt del genere umano e fanno esodo dalle costrizioni statali. Le possibilit del-
la defezione dipendono dallipotesi che lavvento della produzione di comunicazione a
mezzo di comunicazione segni labolizione del lavoro salariato e lestinzione dello Stato
quale monopolio della decisione politica e delluso legittimo della forza.
La nuova versione delloperaio sociale presuppone le indagini sul lavoro autono-
mo di seconda generazione dotato di capacit cooperative, innovative e imprendi-
toriali e gli studi sul postfordismo e sulla rivoluzione informatica, che ipotizzano il
passaggio ad un nuovo modello di accumulazione caratterizzato dalla flessibilit e sma-
terializzazione dei processi produttivi, dalla deterritorializzazione delle imprese, dallin-
troduzione di sistemi modulari o a rete
52
. I processi di finanziarizzazione del capitale,
non pi governabili dalle istanze politiche nazionali, segnerebbero la crisi della forma
Stato e delle istituzioni classiche della democrazia rappresentativa. Applicando lo sche-
ma del rovesciamento di Operai e capitale, Negri afferma che lavvento della produzione
postfordista stato anticipato dalle lotte di massa che hanno rifiutato il lavoro salariato
e disciplinato. Il capitalismo ha trovato la via della ristrutturazione grazie alla capacit di
trasformare in risorsa produttiva comportamenti conflittuali, quali lesodo dalla fabbri-
ca, il disamore per il posto fisso, la familiarit con le reti comunicative. La nuova epoca
del rapporto tra capitale e lavoro caratterizzata da una mutata composizione della for-
za-lavoro, per cui la sostanza del lavoro sempre pi astratta, immateriale, intellettua-
le e la forma di lavoro pi mobile e polivalente. Insieme a modelli di regolazione estesi
su linee multinazionali emerge una nuova forma di sovranit, non nazionale ma imperia-
le, che segnerebbe la fine del colonialismo e dellimperialismo e sarebbe stata anticipa-
ta dallinternazionalismo operaio e dal desiderio nomade delloperaio sociale
53
. Negri ri-
propone limpianto monistico di Operai e capitale: il governo imperiale una macchina
vampiresca e parassitaria, dotata di unefficacia puramente regolativa, che dispiega il po-
tere in modo negativo. Il processo di produzione si costituisce ormai fuori dal rapporto
di capitale che interviene solo ex post per esercitare funzioni di controllo. Il tempo pieno
della cooperazione si oppone al tempo vuoto del comando, la produttivit sociale si con-
fronta con un deficit ontologico. Il rapporto capitalistico sempre pi simbolico e irrea-
51
Cfr. M. Hardt, A. Negri, Il lavoro di Dioniso, manifestolibri, Roma 1995.
52
Cfr. S. Bologna, A. Fumagalli (a cura di), Il lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari del postfor-
dismo in Italia, Feltrinelli, Milano 1997; M. Revelli, Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e
toyotismo, in AA.VV., Appuntamenti di fine secolo, manifestolibri, Roma 1995; C. Marazzi, Il posto dei calzini.
La svolta linguistica delleconomia e i suoi effetti sulla politica, Bollati-Boringhieri, Torino 1999.
53
Cfr. M. Hardt, A. Negri, Impero, Rizzoli, Milano 2002.
Cristina Corradi
246
le, un vuoto apparato di costrizione, un fantasma, un feticcio
54
. Il potere costituente
della soggettivit antagonistica, connotata dalla capacit di agire oltre la misura, non si
sedimenta mai in potere costituito; la sua razionalit definita dallillimitatezza del suo
porsi, il suo movimento insofferente alla dialettica e alla memoria
55
.
Per molti autori di formazione operaista il postfordismo un modello che esprime la
compiuta coordinazione del lavoratore collettivo e la definitiva separazione tra il lavo-
ro produttivo e il comando dimpresa. Il lavoro parcellizzato e ripetitivo sarebbe relega-
to in posizione residuale e il sapere astratto, divenuto principale risorsa produttiva, cor-
risponderebbe alla realizzazione empirica del concetto di general intellect. Mentre per
Marx, per, il general intellect capitale fisso, capacit scientifica oggettivata nel sistema
delle macchine, per i post-operaisti la distinzione tra capitale costante e capitale varia-
bile venuta meno: il lavoro vivo, depositario di competenze cognitive non oggettivabi-
li nel sistema delle macchine, non forza-lavoro attivata dal capitale, ma imprendito-
rialit comune, intellettualit di massa. Mentre per Marx la cooperazione capitalistica
manifestazione della legge del plusvalore, i post-operaisti ritengono che il capitale abbia
perduto ogni capacit innovativa e organizzativa, il potere di cooperazione sia totalmen-
te immanente alla forza-lavoro, la diffusione del sapere sociale e la ricomposizione degli
strumenti di produzione in una soggettivit collettiva abbiano reso anacronistica la pro-
priet privata dei mezzi di produzione.
La cooperazione sociale postfordista, abolendo il confine tra tempo di lavoro e tem-
po di vita, tra qualit professionali e attitudini politiche, segnerebbe la crisi delle catego-
rie classiche della politica moderna. Quando il sapere sociale complessivo e la comune
competenza linguistica divengono lo spartito del lavoro contemporaneo, il lavoro assu-
me le attitudini proprie dellagire politico e lo spazio della politica non pi la polis ma
la vita. A livello di realizzazione del general intellect, si verifica dunque il passaggio dalla
societ disciplinare alla societ governamentale, dal sabotaggio alla diserzione, dal bio-
potere alla biopolitica.
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raia, DeriveApprodi, Roma 2008.
Turchetto, M., De louvrier masse lentrepreneurialit comune: la trajectoire dconcertante de
loperaisme italien, in Dictionnaire Marx contemporain, Presses Universitaires de France, Pa-
ris 2001, pp. 297-317 (la traduzione italiana, Dalloperaio massa allimprenditorialit comune:
la sconcertante parabola delloperaismo italiano, reperibile in Intermarx, Rivista virtuale di
analisi e critica materialista, allindirizzo http://www.intermarx.com/temi/oper1.html).
Wright, S., Lassalto al cielo. Per una storia delloperaismo, con Postfazione di Riccardo Bellofiore
e Massimiliano Tomba, Edizioni Alegre, Roma 2008.
249
LA BRITISH NEW LEFT E LUMANESIMO SOCIALISTA
Michele De Gregorio
Coloro che reprimono il Desiderio, lo fanno perch il loro
desiderio tanto debole da lasciarsi reprimere; e ci che
reprime ovverosia la Ragione, ne usurpa il luogo e governa
chi non sa volere.
(William Blake, Libri Profetici, Bompiani, Milano, 1986
p. 19)
Astrazione sogna ancora il destino. La mente sigillata da
sostantivi assoluti che derubano i nostri nomi e alienano i
nostri poteri: Limperatore sibila nel suo tumulo funerario.
tempo che gli oppressi si sollevino e abbattano le
categorie con le loro zappe Dallolocausto immaginato
della terra verde sorgete voi immagini affamate e liberate
le nostre menti servili dai loro algoritmi e date fuoco alla
miccia del compimento della storia: sorgete e riconquistate
il plusvalore della vostra coscienza tradita!
(E.P. Thompson, Collected Poems, F. Inglis [a cura di],
Bloodaxe Books, Newcastle-upon-Tyne 1999, p. 123)
Gli anni Cinquanta vengono spesso considerati un decennio segnato dalla rinuncia ad
ogni prospettiva di mutamento socialista rivoluzionario da parte delle forze di sinistra
attive nei paesi dellEuropa occidentale. Sebbene nel secondo dopoguerra si fosse verifi-
cato un eclatante spostamento a sinistra dellopinione pubblica europea, formatasi negli
anni della resistenza al fascismo, tuttavia le sue maggiori organizzazioni vennero messe
in crisi su due fronti: dallesterno attraverso il processo di unificazione del mondo non
sovietico in un unico blocco anticomunista e dallinterno dalle rivelazioni di Chru/v
sulle atrocit staliniane e dalle repressioni delle manifestazioni di dissenso in Polonia,
Ungheria e Unione Sovietica, che fecero riemergere i contrasti stridenti tra i partiti so-
cialisti e comunisti, delimitando il pensiero socialista nel filisteismo tedioso e borioso e
nel miope realismo del parlamentare borghese
1
.
Se la Guerra fredda aveva minato quella convivenza tra socialisti e comunisti, resa
possibile da una generale e condivisa volont di cambiamento sociale, parallelamente la
critica degli intellettuali polacchi, ungheresi e russi contro il comunismo dirigistico e bu-
rocratico, attraverso il prisma umanistico dei manoscritti giovanili di Marx, crearono in
Gran Bretagna le premesse culturali per la nascita di un vasto movimento di sinistra, au-
tonomo sia rispetto alla Old Left laburista che dalle altre formazioni politiche radicali
che facevano riferimento alla linea politica del blocco sovietico. Questa British New Left
1
E.P. Thompson, Revolution, in Id. (a cura di), Out of Apathy, Stevens e Sons Limited, London 1960, tr. it.
Rivoluzione, in Uscire dallapatia, Einaudi, Torino 1963, p. 220.
Michele De Gregorio
250
trasse dalla rivolta ungherese del 1956 punti di riferimento politici e culturali. Essa fu un
movimento politico e culturale diretto ad estirpare dal marxismo lerba rigogliosa del
determinismo, e distruggere simultaneamente il pessimismo del vecchio mondo e il to-
talitarismo del nuovo e legare la coscienza umana in un unico umanesimo socialista
2
.
Nel contesto della Guerra fredda, la New Left cerc di superare i vincoli della cor-
tina di ferro, che avevano imposto alle forze del movimento operaio la falsa alternativa
tra il mondo libero, definito Natopoli dallo storico Edward P. Thompson, in quan-
to vincolava i partiti socialisti attivi nelle democrazie liberali dellEuropa occidentale ad
agire solamente nel quadro dei principi politici e strategici della NATO, e il blocco dei
paesi aderenti al Patto di Varsavia. Rispetto allinasprimento della contrapposizione ide-
ologica tra Est e Ovest, gli uomini e le donne della New Left rifiutarono sia la moralit
dominante del mondo libero che quella delle democrazie popolari. Se lo stalinista
ortodosso aveva brutalmente escluso i conflitti della coscienza e della persona umana,
riducendo tutti i problemi morali ai problemi del potere operaio e facendo derivare tut-
ti i precetti morali dagli imperativi della storia e dalle necessit dello Stato sovietico,
allo stesso tempo lintellettuale natopolitano di fronte alla natura malvagia dello Sta-
to poteva preservare se stesso solamente attraverso il distacco dalla storia. Entrambe
queste due ortodossie dominanti, quella stalinista e quella natopolitana, convergeva-
no nel negare listanza dellazione umana:
era unutopia sfidare le leggi oggettive della storia o le limitazioni soggettive della natura uma-
na. Luomo era incatenato dalla necessit, esteriore o interiore, e su di lui dominava un unico
assoluto: il fatto esistente
3
.
Ma lo sguardo della New Left non si limit ad osservare quello che accadeva nellEu-
ropa orientale. Esso seppe cogliere le implicazioni del fallimento dellavventura di Suez
del 1956 nel nuovo equilibrio internazionale, il ruolo dellazione dei nuovi soggetti so-
ciali nelle lotte anticolonialiste in Africa, in Asia e nei rivolgimenti in Sud America, su-
perando concezioni e categorie interpretative del marxismo occidentale, che conside-
rava la classe operaia delle grandi e medie fabbriche come una categoria statica e dotata
di illimitate pretese di universalit. Questa attenzione verso le fasce sociali umili e dise-
redate, rappresentate da contadini e operai generici, si aliment attraverso gli studi sul-
la formazione della classe operaia inglese di Thompson, sui nessi tra i processi di erosio-
ne della coscienza di classe e la dissoluzione dei vecchi modelli comunitari di Richard
Hoggart e sui concetti di cultura operaia, cultura popolare e comunit organica di Ray-
mond Williams
4
.
2
Id., Outside the Whale, in Id. (a cura di), Out of Apathy, cit., tr. it. Fuori dalla balena, in Uscire dallapatia,
cit., p. 164, p. 170.
3
Ibid., p. 163.
4
Cfr.: Id., The Making of English Working Class, Victor Gollancz Ltd, London, 1963, tr. it. Rivoluzione
industriale e classe operaia in Inghilterra, Il Saggiatore, Milano 1969; R. Hoggart, The Uses of Literacy, Penguin
Books, London 1957, tr. it. Proletariato e industria culturale, Officina edizioni, Roma 1970; R. Williams, Cul-
ture and Society 1780-1950, Chatto e Windus, London 1961, tr. it. Cultura e rivoluzione industriale, Einaudi,
Torino 1968.
La British New Left e lumanesimo socialista
251
Recentemente lo storico Eric Hobsbawm ha considerato lesperienza della New Left
unentit trascurabile a livello pratico. Mancando di un legame organico con il movi-
mento sindacale e con la sinistra tradizionale del partito laburista, essa non ebbe le for-
ze sufficienti per rinnovare i partiti di sinistra n riusc a dar vita ad una struttura orga-
nizzativa stabile
5
. Anche se in questo giudizio c una larga parte di verit e di evidenza,
tuttavia esso non coglie il carattere peculiare della New Left. A differenza di Hobsbawm,
che rimase iscritto al partito comunista dopo lo spartiacque del 1956, i militanti comuni-
sti fuoriusciti e i giovani studiosi marxisti che diedero vita a questo movimento non solo
non ebbero alcuna intenzione di creare il Partito della nuova sinistra ma misero sotto
accusa la forma-partito della tradizione leninista e il monolitismo zdanoviano. Come di-
chiar Stuart Hall, la New Left
essendo antistalinista e ostile alla burocrazia della Guerra fredda, agli apparati burocratici
di partito dei primi anni Cinquanta (...) era assolutamente contraria a organizzarsi. Noi non
volevamo nessuna struttura, nessuna leadership, nessun apparato di partito. (...) Limportante,
dicevamo, era quali nuove idee la sinistra avrebbe condiviso, e non quale partito le avrebbe
adottate
6
.
Questo contributo intende ricostruire lo sfondo storico, politico e culturale dal quale
ebbe origine la New Left britannica, attraverso la ricostruzione del percorso intellettua-
le di Thompson e Raymond Williams, lasciando ai margini la storia delle organizzazio-
ni territoriali e degli attivisti di base, che avrebbe richiesto un approccio diverso e altri
strumenti di indagine. In particolare le pagine che seguono si soffermano sui loro testi
principali che, malgrado alcune divergenze teoriche, permisero alla British New Left di
intraprendere, attraverso un confronto critico in ogni settore della vita, una rifonda-
zione della dimensione etica del socialismo e di stabilire un legame tra la tradizione del-
la critica morale romantica al capitalismo e il nuovo movimento socialista dei primi anni
Sessanta, svincolato dai modelli organizzativi e dai riferimenti ideologici della tradizione
leninista e socialdemocratica. Fu a partire da questo amalgama di stimoli e suggestioni,
ostili agli apparati burocratici di partito e dei sindacati, che vennero gettate le basi del-
lo spirito del Sessantotto avant la lettre
7
.
Il saggio analizza cos il primo periodo della storia della British New Left e il pro-
cesso di aggregazione delle componenti pi radicali e pi critiche sia verso lo stalinismo
che il revisionismo laburista, tralasciando le vicende della seconda generazione, rappre-
sentata da Perry Anderson e Tom Nairn, che sancirono la fine della fase movimenti-
sta della New Left.
5
E. Hobsbawn, Interesting Times: A Twentieth-Century Life, (tr. it. Anni interessanti, BUR, Milano 2002, p.
236).
6
K. Hsing Chen, The formation of a diasporic intellectual. An Interview with Stuart Hall, in D. Morley, K.
Hsing Chen (a cura di), Stuart Hall: Critical Dialogues in Cultural Studies, Routledge, London 1996, tr. it. La
formazione di un intellettuale diasporico. Intervista di Kuan Hsing Chen a Stuart Hall, in G. Leghisa (a cura di),
Stuart Hall. Politiche del quotidiano. Culture, identit e senso comune, Il Saggiatore, Milano 2006, p. 276.
7
Ibid., p. 277.
Michele De Gregorio
252
Dissidenti comunisti: i reasoners
e il recupero del linguaggio perduto nella tradizione marxista
Come ricorder Hobsbawm, durante il 1956 i comunisti britannici vissero sullorlo
dellequivalente politico di un esaurimento nervoso collettivo
8
. Il rapporto di Chru/v
al XX congresso del Partito comunista dellUnione Sovietica contro la politica di Stalin
e il culto della personalit, la repressione armata dei sovietici della rivolta in Ungheria
provocarono lopposizione del gruppo degli storici legato Partito comunista britannico
(CPGB), che rappresentava il pi fecondo dei gruppi culturali del partito e spiccava per
la sua lealt dal punto di vista politico, contro il gruppo dirigente comunista, accusato
di aver ignorato la repressione dei carri armati a Budapest e le questioni relative alla de-
mocrazia nel partito, alla condanna dello stalinismo e alla via britannica al socialismo
9
.
Dopo le critiche dello storico Christopher Hill contro la subalternit politica
allUnione Sovietica e il mancato processo di democratizzazione del partito, al congres-
so del CPGB del 1957, segu una lettera di protesta collettiva, firmata dai pi noti storici e
studiosi marxisti, come Hobsbawm, Hill, Maurice Dobb, Rodney Hilton e Victor Kier-
man. Essa ribadiva il dissenso contro il sostegno acritico offerto dal Comitato esecuti-
vo del partito comunista allazione sovietica in Ungheria. La politica del gruppo diri-
gente, come affermava il documento, appariva come il culmine indesiderabile di anni
di distorsione dei fatti e dellincapacit da parte dei comunisti britannici di riflettere sui
problemi politici in maniera autonoma. Il CPGB doveva non solo ripudiare la falsa rap-
presentazione dei fatti ma anche lavallo del Comitato esecutivo agli attuali errori del-
la politica sovietica
10
. La lettera era il sintomo di una divaricazione crescente tra le esi-
genze degli studiosi marxisti, intenzionati a rafforzare la via britannica al socialismo in
linea antitetica al modello sovietico, e le richieste di fideistica lealt allUnione Sovietica
e allelaborazione teorico-politica di Andrej Zdanov sul rapporto tra politica e cultura.
Il partito comunista britannico rimaneva fortemente legato al culto dellunit assicu-
rato dal centralismo democratico e al marxismo-leninismo, interpretato attraverso lope-
ra di Stalin. Il marxismo assunse tra i militanti del partito il carattere di unortodossia
rigida e schematica, codificata in una serie di leggi oggettive dello sviluppo storico. Lor-
todossia stalinista, sviluppando sino allestremo una concezione determinista della sto-
ria, finiva per negare totalmente il ruolo dellattivit umana intesa come processo di tra-
sformazione della realt da parte delluomo. Laccettazione di questa rigidit ideologica
non permise al CPGB di elaborare unanalisi storica originale, in grado di collegare le vi-
cende del movimento degli shop stewards e lo sviluppo del partito sia con la storia del
movimento operaio internazionale che con la storia nazionale britannica. Il gruppo degli
storici auspicava un rinnovamento profondo nel gruppo dirigente del CPGB e che la let-
tera fosse pubblicata sul Daily Worker. Ma a questa richiesta di chiarezza e di condan-
na della politica sovietica i dirigenti risposero con un richiamo alla disciplina e allunit
intorno al partito. Il 30 novembre del 1956 la lettera venne pubblicata sul Tribune e
8
E. Hobsbawn, Anni interessanti, cit., BUR, Milano 2002, p. 230.
9
Ibid., p. 231.
10
Ibid., p. 469.
La British New Left e lumanesimo socialista
253
successivamente sul New Statesman mostrando una crisi profonda tra il partito e gli
intellettuali, destinata a risolversi in rottura.
La polemica interna si accentu con la pubblicazione dello scritto di Thompson,
Winter Wheat in Omsk, pubblicato su World News, in cui riscopriva il linguaggio del-
la critica morale e dellimmaginazione utopistica della tradizione del socialismo britan-
nico, anticipando i temi del suo noto lavoro The Making of the English Working Class. Il
Partito comunista per riformarsi avrebbe dovuto abbandonare lideologia monolitica
stalinista, estranea al popolo britannico, e riprendere lumanesimo romantico di Wil-
liam Morris che aveva riportato, con la valorizzazione delle mediazioni culturali e mora-
li, qualcosa che in Marx era rimasto sepolto sotto un autentico velo di silenzio
11
. Nel
pieno della battaglia contro lo stalinismo allinterno del partito comunista, Thompson
inizi cos a concepire il socialismo non sulla base di leggi storiche assolute n di te-
sti sacri, ma sulle reali possibilit e necessit umane
12
.
A met luglio del 1956, usc il primo numero della rivista ciclostilata indipendente
The Reasoner. La rivista, fondata dagli storici Thompson e John Saville, divenne pre-
sto lo spazio pubblico del dissenso antistalinista e di rivendicazione dellautonomia della
ricerca dentro il CPGB. The Reasoner inizi cos a promuovere una battaglia sul piano
delle idee e della prassi politica attraverso un serrato esame critico dei principi dellor-
todossia stalinista, dei concetti di classe e di coscienza di classe come categorie me-
tastoriche, sempre uguali a se stesse e per definizione contrapposte al capitalismo. I fon-
datori della rivista cercarono di rivitalizzare il dibattito teorico marxista, depurato dalle
semplificazioni economiciste e da categorie statiche, sottratte alla verifica e alla critica
della ricerca storica.
Mentre alcuni storici iniziarono a riesaminare lintera storia del comunismo e le ra-
gioni teoriche, strategiche e tattiche della sua degenerazione, Thompson analizz come
il linguaggio dellortodossia stalinista avesse soppresso la facolt immaginativa utopica
del comunismo:
io rimasi tutto preso dal problema della degenerazione del linguaggio teorico della principale
corrente del marxismo ortodosso, dal problema dellimpoverimento di sensibilit, dellimpor-
si di categorie che negavano leffettiva esistenza (storica e attuale) di una coscienza morale, dal
problema dellesclusione totale di quella passione immaginativa che ispira gli ultimi scritti di
William Morris. (...) Difendere la posizione di Morris presupponeva un assoluto rifiuto dello
stalinismo, ma non una opposizione al marxismo: al contrario, comportava il recupero di
categorie perdute, di un linguaggio perduto nella tradizione marxista
13
.
Secondo Thompson, limpiego da parte dellortodossia stalinista della metafora archi-
tettonica di struttura e sovrastruttura, introdotta da Marx nella sua prefazione a Per la
Critica delleconomia politica, aveva finito per ridurre il materialismo storico ad una teo-
11
E.P. Thompson, William Morris: Romantic to Revolutionary, Merlin, London 1955, p. 522.
12
Id., Winter Wheat in Omsk, World news, 30 june 1956, pp. 408-409.
13
M. Merrill, An interview with E.P. Thompson, Radical history review, vol. 3, n. 4, 1976, tr. it. Unin-
tervista a E.P. Thompson: per un dibattito sulla storia sociale del movimento operaio, N. Gallerano (a cura di),
Storia del movimento operaio e socialista, n. 1, 1978, p. 99.
Michele De Gregorio
254
ria meccanicistica e statica, basata sui processi economici ineluttabili. La metafora strut-
tura/sovrastruttura, come chiar in un intervento critico pubblicato su The Socialist
Register nel 1965, non consentiva di cogliere il processo attivo, attraverso il quale gli
uomini e le donne fanno la storia, negando il rapporto dialettico tra essere sociale e co-
scienza sociale, tra i valori morali e rapporti sociali:
La relazione dialettica tra essere sociale e coscienza sociale (...) al cuore di qualunque com-
prensione marxista del processo storico. La tradizione marxista possiede uneredit dialetti-
ca che positiva, ma la metafora meccanica attraverso cui essa si esprime sbagliata poi-
ch tutte le metafore che di solito vengono offerte hanno la tendenza a ingabbiare la mente
in modelli schematici e a lasciarla lontano dallinterazione essere-coscienza
14
.
Lortodossia stalinista, ponendo leconomia al centro del materialismo storico, come
lunico fattore comprensivo di tutto il processo storico, finiva per negare il ruolo attivo
dellattivit umana (human agency), rendendo luomo un prodotto passivo della real t
esistente. Allo stesso tempo leconomia acquisiva quasi una personalit reale, sviluppan-
dosi da s ed esercitando unazione sulluomo contro la quale egli non avrebbe potu-
to opporsi
15
. Contro questa concezione lo storico inglese riaffermava il ruolo attivo e di-
namico dellazione umana, riprendendo le parole del 18 brumaio di Luigi Bonaparte di
Marx: gli uomini fanno la loro storia: essi sono in parte agenti e in parte vittime. la
caratteristica principale dellagency che distingue gli uomini dagli animali, che rappre-
senta la parte umana delluomo
16
. Secondo Thompson, lortodossia stalinista conce-
pendo il rapporto tra struttura e sovrastruttura in termini distinti e meccanici, negava
quanto aveva affermato Marx nella terza delle Tesi su Feurbach, secondo cui sono pro-
prio gli uomini che modificano le circostanze e che leducatore stesso deve essere edu-
cato. Per Thompson lattivit delluomo modifica la situazione esistente, ma questa a
sua volta agisce sulluomo producendo un cambiamento nella sua coscienza, incluso il
sistema di valori morali. Di conseguenza, tra struttura e sovrastruttura si crea un rappor-
to di scambio in cui non c soltanto la causa da una parte e leffetto dallaltra, ma si ve-
rifica unazione reciproca, uno scambio di azioni continuo tra tutti gli aspetti della vita
umana, in cui la causa diventa effetto e leffetto diventa causa, come le due facce del-
la stessa medaglia
17
.
Questo percorso di ricerca dellattivit creativa e lautonomia del radicalismo inglese
port Thompson a riscoprire non solo limportanza delle correnti radicali religiose ed uto-
pistiche delle masse pre-industriali nellopporsi alla loro trasformazione in forza lavoro sa-
lariata, ma anche come la coscienza plebea esistente, impattando in nuove esperienze di
vita sociale e recependole culturalmente, desse origine ad una nuova coscienza
18
.
In Through the smoke of Budapest, Thompson afferm che le manifestazioni di piaz-
14
Id., Peculiarities of the English, in R. Miliband, J. Saville (a cura di), Socialist Register, The Merlin Press,
London 1965, p. 35.
15
E.P. Thompson, Socialist Humanism. An Epistle to the Philistines, The New reasoner. A quarterly journal
of socialist humanism, vol. 1, n. 1, Summer 1957, p. 107.
16
Ibid., p. 122.
17
M. Merrill, Unintervista a E.P. Thompson, cit., p. 98.
18
Ibid., p. 82.
La British New Left e lumanesimo socialista
255
za del popolo polacco e ungherese stavano restituendo il socialismo alle persone rea-
li. Questi moti ponevano un dilemma morale e politico al partito comunista britannico.
Per Thompson era venuto il momento di affrontare leredit dello stalinismo nel partito
e di sostituire il socialismo dei discorsi segreti e della polizia con quello del popolo li-
bero. Nelleditoriale del terzo numero di The Reasoner, Thompson e Saville chiesero
che il gruppo dirigente del partito ritirasse il sostegno allinvasione sovietica in Ungheria
e convocasse un congresso nazionale per rimettere tutto in discussione e avviare una bat-
taglia per sgominare limpostazione politica e culturale stalinista. Limpossibilit di riu-
scire a condizionare la linea politica ufficiale, port circa 7.000 iscritti, tra cui Thomp-
son, Saville e altri membri del gruppo degli storici, ad abbandonare il partito
19
.
La rottura con il CPGB segn per il gruppo dei reasoners lavvio di un nuovo pro-
getto politico in cui la rivista, ribattezzata The New Reasoner. A Journal of Sociali-
st Humanism, divenne il rifugio teorico dei comunisti britannici dissidenti, laburisti
di sinistra come Mervyn Jones e Ralph Miliband, di intellettuali radicali come la scrit-
trice Doris Lessing. Come afferm il primo editoriale, firmato da Saville e Thompson,
lobiettivo della nuova rivista era di creare un largo fronte politico e culturale di tutte le
forze socialiste per uscire dallisolamento politico causato dalla guerra fredda. Ledito-
riale concludeva ribadendo la volont di rimanere legati alla tradizione marxista e co-
munista e di sviluppare unazione politica e culturale finalizzata al recupero del pensiero
marxista britannico sganciato dagli indottrinamenti stalinisti. La riscoperta di William
Morris e Tom Mann, non come ortodossi ma come coloro che avevano dato un con-
tributo originale al marxismo, si inser in questo tentativo di strappare la tradizione
marxista britannica dallinfluenza ideologica della Terza internazionale. Sul piano prati-
co Thomp son e Saville rivendicarono apertamente il loro legame ideale con lesperienza
del Popular front degli anni Trenta e la successiva mobilitazione del radicalismo popo-
lare che consent nellimmediato dopoguerra la vittoria dei laburisti
20
.
Nel saggio Socialist Humanism, pubblicato nel primo numero del The New Reaso-
ner, Thompson elabor una prima organica sistemazione della sua concezione del so-
cialismo umanista come ritorno alluomo:
umanista perch pone ancora una volta gli uomini e donne reali al centro di una teoria e di
unaspirazione socialista, invece delle risonanti astrazioni il Partito, il rapporto tra marxismo-
leninismo-stalinismo, la polarizzazione delle classi, lavanguardia della classe operaia cos
cari allo stalinismo. socialista perch riafferma le prospettive rivoluzionarie del comunismo
e la fiducia nel potenziale rivoluzionario non solo della razza umana o della dittatura del pro-
letariato ma anche degli uomini e donne reali
21
.
Per Thompson era chiaro che la via britannica al socialismo, se doveva divenire la stra-
tegia per la trasformazione della societ, doveva essere riempita di contenuti storici e
19
E.P. Thompson, Through the Smoke of Budapest, The reasoner. A journal of discussion, November
1956, ripubblicato in D. Widgery, The Left in Britain 1956-1968, Penguin, Harmondsworth 1976, pp. 67-72.
20
E.P. Thompson, J. Saville, Editorial, The New Reasoner. A quarterly Journal of Socialist Humanism,
vol. 1, n. 1, Summer 1957, p. 2.
21
E.P. Thompson, Socialist Humanism, cit., p. 109.
Michele De Gregorio
256
culturali, recuperando anzitutto Morris e tutta la tradizione radicale britannica. La
comprensione storica dellevoluzione morale delluomo di Morris costituiva uninte-
grazione necessaria allanalisi storica economica di Marx e la base teorica per un supe-
ramento dei limiti concettuali della corrente marxista-leninista. Cos, attraverso la rilet-
tura di News from nowhere, i rapporti produttivi non determinavano solamente i valori
morali, ma essi stessi comprendevano una dimensione morale:
le relazioni economiche sono allo stesso tempo relazioni morali; i rapporti di produzione sono
allo stesso tempo rapporti tra persone, che possono essere di oppressione e di cooperazione.
Esiste una logica morale cos come una economica, da cui derivano questi rapporti. La storia
della lotta di classe allo stesso tempo la storia della morale umana
22
.
Per Thompson quindi ogni trasformazione sociale scaturiva dagli scambi molteplici del-
le relazioni di tutti gli elementi della vita delluomo. Seguendo questo approccio Thomp-
son elabor il concetto di classe come fenomeno storico che unisce una variet di fat-
ti disparati e apparentemente sconnessi, sia nella materia prima dellesperienza vissuta,
sia nella coscienza
23
. Questa definizione matur in contrapposizione allindirizzo teo-
rico funzionalista della stratificazione elaborata dai sociologi Talcott Parson e Kinglsley
Davis, incapace di localizzare in un qualsiasi posto e classificare una classe
24
, e al mo-
dello stalinista, tendente a vedere la classe come una struttura precostituita e determi-
nata dai rapporti di produzione. Mettendo a fuoco i tentativi insurrezionali, le cospira-
zioni sotterranee e le prime forme di sindacalismo illegale, Thompson affront la classe
come soggetto, agente storico in divenire, che svela se stessa nel momento in cui un in-
sieme di uomini e donne sentono unidentit di interessi, stabiliscono rapporti sociali tra
loro sotto forma di classe entrando in conflitto con altri gruppi sociali. Lindividuazione
di questa definizione di classe contribu, come vedremo pi avanti, ad aprire un nuovo
approccio alla storia del movimento operaio.
Tornare al passato per guardare il futuro: Thompson e il ruolo della human agency
nel processo di formazione della classe operaia inglese
Nella prefazione di The Making of the English Working Class, Thompson mise a fuoco la
sua concezione della formazione della classe operaia industriale in polemica con le or-
todossie prevalenti. Da un lato confut la tradizione stalinista secondo la quale la clas-
se operaia era il risultato automatico di determinati processi economici: espropriazione
dei contadini pi introduzione del sistema di fabbrica uguale proletariato industriale. Il
rifiuto di questa concezione, per cui la classe era il risultato di una meccanica addizione,
lo port a rigettare il modello determinista di struttura e sovrastruttura, secondo cui esi-
ste una classe in s a livello di base, che si traduce in coscienza di classe o classe per
s, quando sbocca a livello di sovrastruttura. Dallaltra critic con fermezza lortodos-
22
E.P. Thompson, The Communism of William Morris, William Morris Society, London 1965, p. 18.
23
Ibid., p. 9.
24
Id., The Peculiaties of English, cit., p. 357.
La British New Left e lumanesimo socialista
257
sia degli storici empirici delleconomia che vede gli operai solo come forza-lavoro, come
manodopera migrante, o come dati di base per la composizione di serie statistiche
25
.
Secondo Thompson, la classe operaia inglese non fu una generazione spontanea
del sistema di fabbrica, e allo stesso tempo il processo di industrializzazione non co-
stitu una forza estranea che ag su un generico e indifferenziato materiale umano, tra-
sformandolo, al termine del processo, in un nuovo tipo duomo. I nuovi rapporti pro-
duttivi agirono sugli inglesi nati liberi cresciuti alla scuola di Tom Paine o forgiati dal
metodismo
26
. Il processo di costituzione della classe fu dunque un processo attivo, un
gioco di azioni e reazioni fra uomini e ambiente
27
. La classe in quanto formazione so-
ciale e culturale non pu esistere isolata dalla maglia di rapporti sociali e culturali in cui
inserita, come unentit separata e con un nemico di classe predefinito.
La formazione della classe un processo relazionale e conflittuale. Essa nasce quan-
do un gruppo duomini, per effetto di comuni esperienze (ereditate o vissute), sento-
no ed esprimono unidentit di interessi sia fra loro, sia nei confronti degli altri gruppi
con interessi diversi e, solitamente antitetici. In base alle esperienze quotidiane e alle
relazioni sociali, determinate in larga parte dai rapporti di produzione, si sviluppa la co-
scienza di classe. Essa rappresenta il modo in cui queste esperienze sono vissute e ripla-
smate in termini culturali: incarnatesi dunque in tradizioni, in sistemi di valori, in idee,
in istituti caratteristici
28
. Allo stesso tempo gli individui prendono coscienza di appar-
tenere ad una classe, quando entrano in conflitto con i nodi degli interessi antagonisti-
ci. Dunque la popolazione sente di appartenere ad una classe solamente nel momen-
to in cui, attraverso un processo di lotta (che comprende una lotta a livello culturale)
entra in rapporto e in opposizione con altri gruppi sotto forma di lotta di classe oppure
modifica i rapporti di classe ereditati che gi esistevano
29
.
Nel sesto capitolo di The Making, sullo Sfruttamento, Thompson affront la con-
troversia sul livello di vita dei contadini sciamanti negli opifici nei decenni cruciali,
che, tra XVIII e XIX, videro lInghilterra diventare lofficina del mondo. Riallacciando-
si ai lavori dei coniugi Hammond e di Paul Mantoux rispetto agli effetti catastrofici del-
la Rivoluzione industriale britannica sulle comunit rurali, Thompson entr in polemica
con lorientamento storiografico prevalente sulla Rivoluzione industriale, rappresentato
dagli studiosi conservatori John Clapham, Friedrich A. Hayek e Thomas S. Ashton.
Negli anni della Guerra fredda, questi studiosi ricontestualizzarono levento della Ri-
voluzione industriale britannica, privilegiando gli aspetti economici e quantitativi ten-
denti a smentire le conseguenze negative sulla qualit della vita dei lavoratori, deter-
minate dalle leggi di recinzione, dallaccaparramento del suolo da parte dei grandi
proprietari e dalla diffusione del sistema di fabbrica. Seguendo limpostazione econo-
micistica di Clapham tesa a descrivere solamente ci che era statisticamente riscontra-
bile, Hayek e Ashton misero in discussione la nozione stessa di Rivoluzione industriale,
25
Id., Rivoluzione industriale, cit., p. 12. Cfr. Id., Alcune osservazioni su classe e falsa coscienza, Quaderni
storici, a. XII, n. 36, 1977.
26
Id., Rivoluzione industriale, cit., p. 194.
27
Ibid., p. 9.
28
Ibid., p. 10.
29
Id., Alcune osservazioni, cit., pp. 903-904.
Michele De Gregorio
258
sostenendo che tra il 1760 e il 1830 non si verific alcuna rottura radicale con lecono-
mia preindustriale. Basandosi su analisi macroeconomiche, lo sviluppo inglese fu defini-
to come una fase di crescita economica lenta e graduale, dalla quale avrebbe tratto van-
taggi anche il proletariato emergente.
Contro questa impostazione totalmente chiusa alle dinamiche sociali che accompa-
gnarono la Rivoluzione industriale e ai movimenti delle classi lavoratrici, Thomposon
sottopose a una critica serrata i dati statistici che celebravano lo sviluppo produttivo,
tecnologico e del benessere delle famiglie coinvolte nel factory system. Attraverso il recu-
pero del vissuto quotidiano, dei modi di vita e dei rituali popolari delle famiglie ope raie,
Thompson evidenzi come i decantati benefici economici si riducessero a nientaltro
che in patate, in qualche capo di vestiario di cotone per la famiglia, in sapone e cande-
le, t e zucchero, e un diluvio di articoli dellEconomic History Review
30
. Ma il lavo-
ro di Thompson non si limit a recuperare la visione critica degli Hammond e di Man-
toux, contrapponendo ai dati statistici degli empiristi ottimisti una ulteriore massa di
dati economici e quantitativi a sostegno del peggioramento delle condizioni di vita del-
le classi lavoratrici. Egli si interess al recupero della tradizione sotterranea giacobi-
na, delle correnti religiose radicali e delle testimonianze dimenticate delle ribellioni de-
gli artigiani seguaci di Joanna Soutcott, dei tessitori luddisti e degli operai specializzati
utopisti. Queste ribellioni riguardavano le forme di resistenza
alla perdita di prestigio e, soprattutto di autonomia delloperaio; alla riduzione a una dipen-
denza completa dagli strumenti di produzione altrui; alla parzialit della legge; allo sgretola-
mento della tradizionale economia familiare; alla disciplina, alla monotonia, allorario e alle
condizioni di lavoro asfissianti; alla mancanza di riposo e di svago; alla degradazione delluo-
mo a semplice strumento
31
.
Thompson si inser cos nella controversia sul livello di vita, spostando il nodo della
discussione dalle tabelle alle esperienze di vita del proletariato industriale. I sentimenti
di indignazione, di rancore e di antagonismo di classe e le forme di percezione di miseria
e sfruttamento dei lavoratori non potevano essere analizzati in termini di dati quantifica-
bili. Per spiegare il malcontento bisogna uscire dalla sfera delle condizioni strettamente
economiche. Occorreva distinguere tra livello o standard di vita e modi di vita. Il
primo una misura di quantit, il secondo una descrizione (e spesso una valutazione) di
qualit
32
. Per Thompson era perfettamente lecito sostenere due tesi che a prima vista
sembravano contraddirsi: che cio il periodo 1790-1840 vide un leggero aumento del
medio livello materiale di vita, e che nello stesso periodo lo sfruttamento, linsicurezza
e le sofferenze crebbero
33
. Analizzando i modi attraverso i quali gli operai specializza-
ti percepirono il passaggio dalla produzione artigiana al sistema di fabbrica Thompson
mise a tacere le argomentazioni degli empiristi una volta per tutte.
Lo studio storico sulla formazione della classe operaia inglese di Thompson rivalu-
30
E.P. Thompson, La rivoluzione industriale, cit., p. 304.
31
Ibid., p. 201.
32
Ibid., p. 209.
33
Ibid., p. 210.
La British New Left e lumanesimo socialista
259
tava cos lesperienza soggettiva dei lavoratori, intesa come processo di auto-scoperta
e auto-definizione. Lappartenenza ad una classe e la nascita di una coscienza di classe
non derivavano dai consumi di patate, caff e zucchero o dallaumento del potere dac-
quisto dei salari, ma dallo sviluppo di forme di associazionismo politico ed economico,
di tradizioni intellettuali, di forme di vita comunitaria e di modi di sentire comuni a tut-
ti i gruppi di lavoratori.
Per quanto lautore di The Making of English Working Class avesse trattato solamen-
te il processo di formazione della classe operaia inglese nel quarantennio 1790-1830,
senza affrontare direttamente la condizione della classe operaia britannica moderna, tut-
tavia il suo lavoro ebbe esiti diretti nellambito del dibattito sulla cultural classlessness
e sullo sviluppo della history from below. La motivazione del suo studio non fu mai di-
sgiunta dal suo impegno diretto nella campagna per il disarmo nucleare, nel movimento
per leducazione degli adulti e nella ricerca di un nuovo linguaggio capace di esprime-
re laffermazione dei valori del bene comune; o nelle parole di William Morris, lagi-
re da socialisti
34
.
New Right, New Left e il declino del movimento operaio britannico
Alla fine degli anni Cinquanta, alcune indagini sociologiche sul processo di stratificazio-
ne della classe operaia britannica sostenevano che il boom postbellico avesse da una
parte eroso il tessuto sociale e i valori della comunit operaia tradizionale e dallaltra at-
tenuato le differenze di classe tra lavoratori manuali e ceti medi. Secondo lEconomist
la societ britannica si trovava allinizio di un processo di deproletarizzazione:
il conservatore moderno (...) guarda le antenne della televisione che spuntano sui tetti delle
case operaie inglesi, guarda i calzoni attillati delle massaie sul sellino posteriore delle motoret-
te, e le famiglie sui sidecar, destate sulla strada di Brighton, e trova in tutto ci molta poesia.
Poich questo il significato della deproletarizzazione della societ borghese, che potrebbe
portare a mutamenti incalcolabili negli atteggiamenti sociali e industriali
35
.
La diffusione dei beni di consumo, come la televisione, gli elettrodomestici, gli schiavi
meccanici, e il pullulare di motorette e sidecar, erano i segni evidenti della rivoluzio-
ne del consumatore deproletarizzato. Per Anthony Crosland, principale interprete in-
sieme a Hugh Gaitskell della destra revisionista del Labour Party, il pi alto grado di
occupazione, i generosi servizi sociali, le meno flagranti disuguaglianze nella ricchezza
e nelle opportunit di lavoro stavano innescando una metamorfosi del capitalismo bri-
tannico in un sistema radicalmente diverso. Questa transizione rendeva accademica la
maggior parte della tradizionale analisi socialista
36
.
34
Id., Revolution, in Out of Apathy, cit., tr. it. Rivoluzione, in Uscire dallapatia, cit., p. 225.
35
The Unproletrarian Society, The economist, 16 may 1959.
36
C. Crosland, The Transition from Capitalism, in R.H.S. Crossman (a cura di), New Fabian Essays, Turnistle
Press, London 1952, tr. it. Il passaggio dal capitalismo, in Id. (a cura di), Nuovi saggi fabiani, Edizioni comunit,
Milano 1963, p. 59.
Michele De Gregorio
260
Se i fondatori del The New Reasoner si proponevano di ripensare una via britan-
nica al socialismo allinterno della cornice teorica marxista, lobiettivo dei revisionisti era
di spingere quei socialisti, le cui idee erano intimamente intinte di determinismo mar-
xista, a compiere uno sforzo notevole di adattamento mentale
37
. Occorreva disfarsi
dellinfluenza del catastrofismo marxista degli anni Trenta fondato sulla fideistica con-
cezione dellimpoverimento crescente della classe operaia, del crollo inevitabile del ca-
pitalismo e dellavvento del socialismo.
Nonostante questo ottimismo, tuttavia le cronache dei conflitti razziali di Notting-
ham e di Londra iniziavano a dissolvere limmagine di una societ del benessere esaltata
dai tory e dalla corrente revisionista del partito laburista. Per molti membri della work-
ing class bianca che vivevano nei medesimi quartieri degli immigrati indo-occidentali, la
crescita dei consumi individuali non si era tradotta affatto nelluguaglianza delle cir-
costanze e delle possibilit, bens aveva fatto emergere una societ con forti disparit
economiche e gli effetti negativi della rottura delle vecchie comunit operaie: il frazio-
namento di un intero modo di vita e linizio del deperimento della coscienza di clas-
se
38
. La diffusione di un sistema di valori basato sullindividualismo, degradato a forme
di carrierismo e di consumismo, aveva prodotto, come sottoline lo studioso Raymond
Williams, un vero conflitto di valori allinterno della classe lavoratrice stessa.
Per Williams la rivolta sul piano personale rappresentata dal moderno individuali-
smo aveva condotto non solo gli individui a cercare soluzioni private a mali pubblici e
a sentire le proprie insoddisfazioni come esclusivamente personali, ma anche a conside-
rare gli altri individui come la folla, il gregge, le masse oscure da respingere
39
. Sfrut-
tando questa immagine dominante della realt, in cui esistevano solo lio e la folla, il
raggio dazione dei nuovi mezzi pubblicitari era riuscito a penetrare nella sfera della vita
privata dellindividuo. Loperaio specializzato, secondo Stuart Hall, pur rendendo-
si conto del tenore di vita e dei privilegi crescenti dei nuovi ceti dirigenti, disposto an-
che ad ammirare e a invidiare le briciole del successo, dal momento che la mitologia del-
la ricchezza penetrata nella sua coscienza
40
.
Mentre la destra revisionista avviava un profondo ripensamento del programma la-
burista, che comport il rifiuto del socialismo come ordine umano completamente
diverso
41
, e la Old Left riproponeva la definizione di socialismo solamente in termini
di propriet pubblica e nazionalizzazioni, allesterno del labour si andava formando un
nuovo movimento sociale in rivolta contro il capitalismo opulento e i suoi valori.
Esso era composto da giovani socialisti universitari, ex comunisti, pacifisti militanti del-
la Campaign for nuclear disarmament (CND), intellettuali marxisti indipendenti ed espo-
nenti di organizzazioni religiose cristiane.
37
Ibid., p. 61.
38
S. Hall, A Sense of Classlessness, Universities and Left Review, 1958, tr. it. Deperimento della coscienza
di classe, Passato e presente, n. 13, gennaio-febbraio 1960, p. 1682.
39
R. Williams, La lunga rivoluzione, cit., p. 143.
40
S. Hall, The supply Demand, in E.P. Thompson (a cura di), Out of Apathy, Stevens e Sons Limited, London
1960, trad. it, La societ consumistica, in E.P. Thompson, Uscire dallapatia, cit., p. 76.
41
R. Williams, The Long Revolution, Penguin, Harmondsworth 1965, tr. it. La lunga rivoluzione, Officina
Edizione, Roma p. 359.
La British New Left e lumanesimo socialista
261
Per questo vasto fronte politico le trasformazioni in atto non stavano determinando
affatto una mutazione della societ britannica in una societ postcapitalista. Al contra-
rio, con la compenetrazione tra Stato e gruppi economici privati, i managers non solo
non aveva indebolito i centri di potere del capitalismo ma rappresentavano le nuove
baronie industriali, presenti nei consigli di amministrazione delle grandi aziende e nei
punti di contatto tra governo e industria
42
. Le grandi imprese private avevano accresciu-
to ancora pi il proprio potere sulla vita della nazione, finendo per imporre modelli or-
ganizzativi e modi di pensare sia nelle industrie nazionalizzate che nelle stesse organiz-
zazioni del movimento operaio
43
.
Secondo Williams, allinterno del partito laburista la vecchia sinistra e la nuo-
va destra (...) sono, senza saperlo, alleati nel ritardare unanalisi e una opposizione
significative
44
. Le parole dello studioso umanista afferravano lo scarto la politica la-
burista e le aspettative di cambiamento di questo nuovo movimento sociale di sinistra.
Le marce dei pacifisti ad Aldermaston, le attivit dei gruppi locali per listruzione de-
gli adulti e la nascita del Club di Londra erano i segnali delle spinte libertarie che si sa-
rebbero innescate, fino allesplosione del 1968, nel nuovo sistema di bisogni e contrad-
dizioni della societ britannica. Di fronte al declino morale del movimento operaio
45
,
secondo Williams, il nuovo soggetto politico avrebbe dovuto sviluppare unanalisi di
base, uneducazione di base, unorganizzazione democratica di base in grado di espri-
mere una nuova coscienza sociale e un nuove istituzioni comuni
46
.
Linfluenza della cultural theory di Raymond Williams
e la Universities and Left Review
Fra la fine del 1956 e linizio del 1959 sorsero, in numerose aree con forti tradizioni di
radicalismo socialista e di sentimento religioso non conformista, gruppi autonomi che
definirono il milieu politico e culturale della New Left.
Questi gruppi diedero vita circoli territoriali, giornali e pubblicazioni locali, rifacen-
dosi al movimento del Left book club di Victor Gollanz degli anni Trenta, considerata
lesperienza che caratterizz la stagione del Popular front britannico. Seguendo questo
modello movimentista, i circoli territoriali della New Left non si configurarono come
lespressione di uno strato sociale particolare, ma divennero il principale canale di po-
liticizzazione della nuova popolazione lavoratrice legata al settore dellistruzione, dei
servizi sociali e della comunicazione
47
. Attraverso questo tessuto connettivo il movimen-
to della New Left tent cos di raccogliere di volta in volta le tensioni degli strati socia-
li esclusi dal benessere economico e la protesta della base socialista del partito laburista,
42
R. Samuel, Bastard Capitalism, in E.P. Thompson (a cura di), Out of Apathy, cit., tr. it. Capitalismo ibrido,
in Uscire dallApatia, cit.
43
R. Williams, La Lunga rivoluzione, cit., pp. 335, 338.
44
Ibid., p. 367.
45
Ibidem.
46
Id., Class and voting in Britain, Monthly Review, January 1960.
47
E.P. Thompson, Rivoluzione, cit., p. 226.
Michele De Gregorio
262
che con la sua ostinata resistenza si era opposta alle proposte revisioniste di Gaitskell e
Crosland.
Allinterno di questo nuovo movimento di sinistra si raccolse unarea politica etero-
genea, composta da ex comunisti, studenti della Socialist Society di Oxford e militanti la-
buristi di base. Si tratt di un vasto movimento che si and coagulando al di fuori delle
tradizionali istituzioni del movimento operaio. Esso assunse un carattere intergenerazio-
nale, unendo i giovani beatniks delle marce pacifiste di Aldermaston con gli uomini e le
donne dei rossi anni Trenta e dellantifascismo popolare degli anni Quaranta. Esso fu
anche un movimento multietnico in grado di aprire canali dei comunicazione tra i setto-
ri del nuovo proletariato giovanile britannico e le comunit immigrate.
I militanti di questo movimento si legarono alle due principali riviste: The New
Reasoner, formata principalmente da storici comunisti fuoriusciti, e Universities and
Left Review (ULR), fondata da intellettuali e studenti universitari del gruppo socialista
di Oxford. Nonostante le due riviste portarono avanti riflessioni comuni sulla cultura
operaia, sul vissuto quotidiano e sullazione autonoma dei ceti operai, tuttavia tra esse
nascevano da contesti ideologici, politici ed esperienze di vita molto diversi tra loro.
Rispetto ai reasoners i fondatori di ULR, appartenevano alla generazione successi-
va a quella del Popular front. Questa differenza generazionale si riflesse nel rapporto con
la teoria marxista, il movimento comunista internazionale e la storia della classe opera-
ia britannica. Influenzato dai lavori di Williams e Richard Hoggart, il gruppo di ULR svi-
lupp un confronto pi creativo e pi eclettico con lintero corpus centrale del pensie-
ro marxista come qualcosa di attivo, in perenne sviluppo, non definito, da considerare
come costantemente in discussione, rispetto a quello degli storici dissidenti
48
. Per i col-
laboratori di ULR il marxismo non rappresentava una teoria autosufficiente della societ
e una guida per lazione politica. Come ricord Stuart Hall, uno dei fondatori di ULR, il
confronto tra marxismo e sociologia che inizi sulle pagine della rivista fu decisivo per
lo sviluppo della teoria della cultura:
Avevamo rapporti con il marxismo, ma la nostra posizione era molto pi critica, eravamo pronti
a pensare cose nuove, e soprattutto a dare spazio ai problemi della cultura popolare, della televi-
sione eccetera, che la vecchia generazione non considerava politicamente significativi
49
.
Anni pi tardi Williams, nello studio dedicato a Lucien Goldman, consider le ragio-
ni del suo avvicinamento al marxismo umanista e la necessit di sviluppare una teo-
ria della produzione della cultura, sganciata dal modello interpretativo di struttura/so-
vrastruttura:
Nella teoria e nella prassi mi convinsi che dovevo abbandonare o perlomeno lasciare da parte,
quella che conoscevo come tradizione marxista: dovevo tentare di sviluppare una teoria della
48
R. Williams, Marxism and Literature, Oxford University Press, Oxford 1977, tr. it. Marxismo e letteratura,
Laterza, Roma-Bari 1979, p. 7.
49
K. Hsing Chen, La formazione di un intellettuale diasporico, cit., p. 277. Cfr. E.P. Thompson, The Politics
of Theory, in R. Samuel (a cura di), Peoples History and Socialist Theory, Routledge and Kegan Paul, London
1981, p. 398.
La British New Left e lumanesimo socialista
263
totalit sociale; vedere lo studio della cultura come lo studio delle relazioni tra elementi di un
intero sistema di vita; trovare dei modi di studiare la struttura di certe opere e periodi parti-
colari e porla in relazione (...) con opere darte e forme specifiche, ma anche forme e relazioni
della vita sociale in generale; sostituire la formula struttura/sovrastruttura con lidea pi dina-
mica di un campo di forze determinantisi, anche se in maniera non uniforme
50
.
Mentre per Thompson e Saville luniverso teorico del The New Reasoner, continu
ad essere quello del marxismo, filtrato attraverso la riscoperta degli scritti di Morris, per
i fondatori della nuova rivista il marxismo venne considerato un problema pi che una
soluzione. Non si trattava di liberare il pensiero marxista dalle incrostazioni delle formu-
le dottrinarie dellortodossia stalinista, che ne avevano paralizzato le potenzialit analiti-
che, ma di lavorare a distanza minima dal marxismo, ma anche lavorare sul marxismo,
contro il marxismo, con il marxismo o cercando di sviluppare il marxismo
51
. Certa-
mente il pensiero marxista svolse un ruolo importante nel fornire alcuni filoni di ricer-
ca centrali al gruppo di Oxford, tuttavia esso non costitu mai un punto di riferimento
in termini assoluti. Lopera di Williams divenne centrale per lincubazione non solo di
una nuova cultura politica ma anche di categorie interpretative che fornirono limpian-
to teorico ai cultural studies.
Di fronte al richiamo nostalgico ad un mondo preindustriale perduto con i suoi at-
taccamenti a una societ feudale adattata
52
, esaltato dai critici conservatori come Mat-
thew Arnold, Thomas S. Eliot e Frank R. Leavis in contrapposizione alla societ di mas-
sa e allidea stessa di democrazia di massa, Williams riformul il concetto di cultura,
ampliandolo fino quasi a farlo coincidere con la totalit della nostra vita comune
53
.
Rielaborando il concetto di cultura definito da Eliot, come linsieme di tutte le attivi-
t e gli interessi tipici di un popolo, Williams in Culture and Society inser le istituzioni,
gli usi, i costumi e le memorie di famiglia tra le fonti che modellano le idee e i sentimen-
ti, cio i modi di vita, della gente ordinaria. Il riconoscimento del carattere comples-
so dello sviluppo culturale port Williams a liberare lidea di cultura dai dogmi delle
minoranze letterarie, della societ organica e dallesistenza oggettiva delle masse.
Questa riconcettualizzazione dellidea di cultura signific muoversi verso una pi reale
e attiva concezione degli esseri umani e dei loro rapporti, ponendo tutte le attivit e le
esperienze delluomo sullo stesso piano di parit
54
. Come mise in luce Hall, la concezio-
ne di cultura venne attraverso Williams democratizzata e socializzata
55
.
Rifiutando il modello interpretativo struttura/sovrastruttura, per Willams linsie-
me dei prodotti dellintelletto e della fantasia che ogni generazione eredita rappresen-
ta qualcosa di pi della creazione di una singola classe. La cultura non pu ridursi ad
50
Id., Literature and Sociology, New Left Review, n. 67, 1971, p. 10.
51
S. Hall, I Cultural Studies e le loro eredit storiche, cit., p. 103.
52
R. Williams, Cultura e rivoluzione, cit., p. 309.
53
Ibid., p. 305.
54
Ibid., p. 394.
55
S. Hall, Cultural Studies: Two Paradigms, in T. Bennett, G. Martin, C. Mercer, J. Woollacott (a cura di),
Culture, Ideology and Social Process, The Open University Press, London 1981, tr. it. Cultural Studies: due
paradigmi, in M. Mellino (a cura di), Stuart Hall. Il soggetto e la differenza, Meltemi, Roma 2006, p. 74.
Michele De Gregorio
264
un insieme di norme morali e tradizioni concepite per legittimare il potere della classe
dominante:
persino allinterno di una societ nella quale predomina una particolare classe, certamente
possibile ai membri di altre classi contribuire al comune patrimonio e nello stesso tempo
essere estranei o in opposizione alle idee e ai valori della classe dominante, nonostante tali
apporti
56
.
Inserendosi nel dibattito sullavvento della cultura aclassista e la crisi della coscienza
di classe, la distinzione tra cultura della classe operaia e cultura della borghesia non po-
teva essere individuata nel campo del lavoro intellettuale e fantastico e neppure nei
modi di abitare, di vestire e di trascorrere il tempo libero, ma andava identificato nella
sfera delle idee e delle istituzioni: Non si tratta di arte proletaria, o case popolari, o
un particolare uso della lingua; si tratta, piuttosto, del concetto fondamentale della col-
lettivit, e delle istituzioni, maniere, modi di pensare, e intenti che derivano da questa.
Il movimento operaio attraverso i sindacati, le cooperative e il partito laburista, riusc
ad esprimere listituzione democratica collettiva
57
. Identificando lidea di solidariet
come lidea fondamentale delle organizzazioni create dal movimento operaio, Williams
recuper il concetto di comunit organica della critica romantica allindustrializzazio-
ne dellOttocento, correggendo la vocazione antidemocratica di Leavis attraverso il ri-
chiamo allumanesimo socialista di Morris e Richard Tawney
58
.
Riprendendo queste riflessioni nella sua opera successiva, Williams ricostruisce il
complesso tessuto di relazioni esistenti tra i diversi gruppi sociali dellInghilterra vitto-
riana, evidenziando come diversi sistemi di comportamento e atteggiamenti, interagen-
do tra loro, avessero contribuito allo sviluppo della societ. Cos gli ideali della classe
operaia si combinano in maniera fruttuosa e decisiva con i migliori ideali dei ceti medi.
I valori del lavoro e del far-da-s, della posizione sociale legata allo status piuttosto che
alla nascita della borghesia si integrano con unalta concezione di servizio pubblico, in
cui lo sforzo verso il progresso sorretto da un forte senso di altruismo del proletaria-
to
59
. Come sottoline in The Long Revolution, i rapporti tra cultura e societ dimostrava-
no come la storia della cultura fosse unarea privilegiata per cogliere i meccanismi at-
traverso i quali si articola la trasformazione: In questarea creativa sono presenti infatti
tutti i mutamenti e i conflitti del sistema di vita nel suo complesso
60
. Il processo di tra-
sformazione doveva essere afferrato nel suo insieme, mettendo in relazione i cambia-
menti della sfera politica, economica e culturale. Questa interazione esprimeva la strut-
tura del sentire che Williams definisce come la risultanza vivente di tutti gli elementi
presenti nellorganizzazione. Essa quanto di pi vicino esiste allesperienza reale di
56
R. Williams, Cultura e rivoluzione, cit., p. 377.
57
Ibid., pp. 384-385.
58
Ibid., pp. 261-272. Williams dedic in Culture and Society alcune considerazioni interessanti rispetto a
Tawney, come lultimo rappresentante notevole di quella tradizione che ha cercato di umanizzare lorganiz-
zazione moderna della societ sulla base dei suoi lati migliori.
59
Id., La lunga rivoluzione, cit., p. 94.
60
Ibid., p. 153.
La British New Left e lumanesimo socialista
265
unepoca. A differenza dei modelli sociali, che rispecchiano valori e consuetudini dei di-
versi gruppi, la struttura del sentire profondamente e largamente condivisa in tutte
le comunit, perch proprio su tale struttura che si fonda la comunicazione
61
. In The
Long Revolution Williams indic nella democrazia diretta il modello di organizzazione
collettiva della societ futura, in cui sarebbe stato possibile conciliare lautonomia della
persona umana, la libert dellindividuo con i valori di solidariet e cooperazione della
cultura operaia attraverso lo sviluppo di un linguaggio comune:
Se luomo sostanzialmente un essere in grado di apprendere, di creare e di comunicare, la
sola organizzazione sociale adeguata alla sua natura una democrazia a partecipazione diretta
in cui tutti noi, in quanto individui unici, impariamo, comunichiamo e controlliamo. Un qual-
siasi altro sistema inferiore e pi restrittivo rappresenta uno spreco delle nostre vere risorse;
lo spreco degli individui, nel non consentire loro una reale partecipazione, danneggia il nostro
processo comune
62
.
Sebbene si possano rintracciare delle convergenze tra lumanesimo socialista di Thomp-
son e la cultural theory di Williams , tuttavia queste due posizioni presentano delle diver-
genze sostanziali rispetto alla concezione della cultura e dellattivit creativa delluomo.
Mentre in Long Revolution, Williams attribuisce al processo di comunicazione lattivi-
t mediante la quale si fa dellesperienza singolare unesperienza comune
63
e defini-
sce la teoria della cultura come lo studio delle relazioni esistenti tra i vari elementi di
uno stile particolare di vita
64
, per Thompson, come precisa nella prefazione a The Ma-
king, la lotta di classe il processo attraverso il quale si manifesta lazione umana e gli
individui prendono coscienza di s come classe. La cultural theory di Williams finiva per
ignorare non solo il conflitto di classe ma anche le forze sociali che avrebbero dovuto
sostenere attivamente lestensione dei valori comunitari della classe operaia e lo svilup-
po della comunit organica. Nella teoria di Williams , secondo lo studioso del movi-
mento operaio, non ci sono buoni o cattivi, ma solo strutture del sentire dominanti
e subalterne. Quello che ci resta alla fine un senso generale di euforia nel progresso
65
.
Il passaggio dalletica capitalistica e individualistica a unetica socialista e collettivistica
non poteva realizzarsi senza affrontare le circostanze che avevano determinato lepoca
dellapatia e lideologia natopolitana.
Una natura umana nuova e ribelle:
la rivolta degli antipolitici allideologia natopolitana
Verso la fine del 1959 le redazioni di The New Reasoner e ULR, dopo un periodo di
stretta collaborazione, si unirono tra loro dando vita alla New Left Review (NLR), de-
61
Ibid., pp. 78-81.
62
Id., La lunga rivoluzione, cit., p. 130.
63
Ibid., p. 69.
64
Ibid., p. 77.
65
E.P. Thompson, The Long Revolution, New Left Review, n. 10, 1961, p. 39.
Michele De Gregorio
266
stinata a diventare la voce riferimento della British New Left. La New Left non mir a
conquistarsi uno spazio nel dibattito tra revisionisti e fondamentalisti interno al la-
burismo, ma concep i nuovi movimenti reali come la principale fonte di legittimazio-
ne della propria esistenza. Questa impostazione movimentista della New Left si bas
sul presupposto che la societ britannica fosse ipermatura per il socialismo. Nella so-
ciet britannica, secondo Thompson, il movimento socialista era paragonabile ad un
uomo le cui energie psichiche e fisiche si esauriscono in una lotta contro se stesso, nel-
lo sforzo di controllare i demoni della ribellione che porta in s
66
. La NLR pot contare
su una rete di club radicati nelle universit e nelle grandi aree urbane che raccoglievano
circa 3.000 iscritti. Questi club territoriali, come dichiar il primo editoriale della nuova
rivista, dovevano essere i luoghi dove sarebbe stato possibile dimostrare la realizzazio-
ne del socialismo e ricomporre quella frammentazione che ha minato lidea di comunit
e di solidariet, che costituisce la natura stessa del movimento socialista. Come sottoli-
ne Thompson questi spazi dovevano prefigurare la societ degli uguali
67
.
Nel 1960 la pubblicazione della raccolta di saggi Out of Apathy, curata da Thom-
pson, pi che un manifesto programmatico della New Left costitu il primo e unico
tentativo di mostrare le interconnessioni tra certi fenomeni di apatia nella vita eco-
nomica, sociale, intellettuale e politica: la loro radice comune in una societ di capitali-
smo opulento nel contesto della Guerra fredda
68
. Esso includeva i due saggi centrali di
Thomp son: Outside the Whale e Revolution.
Nel primo contributo, Thompson esamin le condizioni che avevano favorito lo svi-
luppo dellapatia e condotto il partito laburista a cessare di pensare seriamente alla
possibilit di una transizione immediata al socialismo
69
. Laccettazione da parte del La-
bour party della Guerra fredda, considerata come una indispensabile operazione difen-
siva contro il totalitarismo sovietico, aveva finito per inibire qualunque azione politica
che non fosse subordinata agli interessi del neocapitalismo. Ma questo processo di ride-
finizione delle impostazioni politiche e il progressivo restringersi degli orizzonti del La-
bour party nellambito della grande alleanza difensiva della NATO era stato accompagna-
to dalla disillusione metafisica e dal quietismo del dopoguerra da parte di numerosi
intellettuali e scrittori che avevano sostenuto il Popular front e la causa della Spagna re-
pubblicana. Thompson analizz le ragioni che avevano condotto gli individui respon-
sabili alla negazione della speranza e al rifiuto indiscriminato del comunismo, con-
tribuendo allo sviluppo della componente attiva dellapatia: lideologia natopolitana.
Questa metamorfosi si svilupp in due fasi: Nella prima gli individui responsabi-
li si sono ritratti da una realt sociale che si presentava come inesplicabile o intollera-
bile; questa rinuncia ha assunto la forma caratteristica della delusione nei confronti del
comunismo, tanto che verso il 1945, questo atteggiamento disilluso era diventato un mo-
tivo centrale della cultura occidentale. Nella seconda fase la rinuncia ha condotto gli
individui responsabili a una vera e propria capitolazione. La delusione, continua-
66
Id., Introduzione, cit., pp. 11, 13.
67
Editorial, New Left Review, n. 1, January-February 1960, p. 2.
68
E.P. Thompson, Revolution Again! Or Shut Your Ears and Run, New Left Review, n. 6, November-
December 1960, p. 19.
69
Id., Introduzione, cit., p. 12.
La British New Left e lumanesimo socialista
267
va Thompson, non pi soltanto una rinuncia degli individui responsabili di fronte a
unesperienza sociale difficile, ma diventa unabdicazione per ogni responsabilit intel-
lettuale di fronte a ogni esperienza sociale.
Il pessimismo spirituale di William H. Auden, la sfiducia nelle potenzialit e nella
natura delluomo di William Golding e infine la disillusione politica di Orwell nei con-
fronti del desiderio di progresso, emancipazione e giustizia sociale permearono limma-
ginazione liberale e le residue attivit intellettuali ancora legate al movimento laburista
ortodosso, lasciando la generazione socialista del decennio rosso nella terra deso-
lata del dopoguerra. Il potere totalitario di Stalin rappresent il fallimento dellinte-
ra lotta storica per una societ senza classi
70
. Per Orwell lidea di progresso e di reazio-
ne si erano rivelate delle imposture. Capovolgendo il mito di Giona, Orwell esortava
i disillusi non solo a guardare con indifferenza e sarcasmo le anime semplici che rima-
nevano ancora legate alle illusioni umanistiche degli anni Trenta, ma anche a integrarsi
e farsi apologeti dellapatia:
Entriamo nella balena, o meglio ammettiamo di esserci gi dentro (...). Abbandoniamoci al
processo mondiale, smettiamo di lottare contro di esso o di fingere di poterlo controllare;
limitiamoci ad accettarlo; a sopportarlo e a registrarlo
71
.
Il decennio rosso venne definito senza possibilit dappello da Auden e Orwell come
gli anni di un decennio disonesto, in cui
la sopraffazione degli elementi democratici della tradizione comunista da parte degli elementi
autoritari era un fatto inevitabile che rivelava il vero carattere del comunismo e che tutti gli
elementi che, nella storia o nella pratica del comunismo, fossero assimilabili a una natura
essenzialmente diabolica, dovevano per definizione essersi insinuati nel movimento per
frode
72
.
Per Orwell le ragioni della generazione degli anni Trenta erano frutto delle nevrosi, del-
le frustrazioni e della noia di duchesse rosse, intellettuali di sinistra e diaconi aperti,
che nascondevano dietro il loro ingenuo idealismo internazionalista lincapacit di senti-
re lappartenenza a una comunit effettiva. Questo rifiuto indiscriminato verso il comu-
nismo era stato generato dagli eventi tragici che avevano colpito il movimento comunista
internazionale dal 1937 al 1940: le purghe e i processi per tradimento nellUnione Sovie-
tica, la lotta per il potere di Stalin, lo scontro tra il governo repubblicano spagnolo e il
POUM e infine il doloroso patto russo-tedesco del 1939. Anche se questi eventi poterono
in parte giustificare la disillusione di Orwell verso la causa antifascista, il comunismo e il
progresso, tuttavia egli finiva per ignorare le circostanze in cui gli uomini si trovarono
ad agire e il carattere complesso e contraddittorio del movimento comunista
73
.
Nel periodo che va dal 1939 al 1945 numerosi intellettuali e artisti scelsero una po-
70
Id., Fuori dalla balena, cit., p. 130.
71
G. Orwell, Inside the Whale and Other Essays, Penguin Books, Harmondsworth 1957, tr. it. Nel ventre
della balena e altri saggi, Bompiani, Milano 2002.
72
E.P. Thompson, Fuori dalla balena, cit., p. 147.
73
Ibid., p. 144.
Michele De Gregorio
268
sizione apolitica o addirittura ritrattarono il loro atteggiamento verso il capitalismo,
poich non riuscirono a distinguere tra le proprie illusioni perfezioniste e le aspirazioni
che le avevano alimentate
74
. Ma la grande maggioranza dei giovani della sinistra britan-
nica non emigr in America come Auden, arrendendosi alla negazione e alla dispera-
zione, n si impegn nel demolire i comunisti come una massa indistinta di apprendi-
sti rivoluzionari con un debole per la violenza o pacifisti teneri. Al contrario, come
sostenne lo studioso Ralph Miliband, comunisti e socialisti affluirono nei servizi ausilia-
ri e nelle forze armate, fecero sentire la loro voce nelle riunioni improvvisate nelle caser-
me nella fabbriche e nei rifugi antiaerei. Fu questa larga partecipazione a promuovere
in modo decisivo un nuovo radicalismo popolare pi diffuso che in qualsiasi momen-
to del secolo precedente
75
. Sebbene allinterno di questo radicalismo popolare fosse-
ro presenti militanti comunisti che adottarono colpevoli sofismi per darsi ragione di
aspetti dello stalinismo che invece si sarebbero dovuti ripudiare
76
, tuttavia accanto a
questa stereotipata rappresentazione di unintera fase dello sviluppo storico si trova-
vano numerosi comunisti che condividevano la critica di Tom Wintringham e Ralph Fox
allortodossia di Stalin.
Per Thompson, riferendosi allesperienza del fratello che partecip alla resistenza
bulgara, gli anni della guerra costituirono un periodo estremamente formativo e in cui
era possibile impegnarsi fino al rischio della vita per una particolare battaglia popola-
re; vale a dire che non ci si sentiva in alcun modo isolati dai popoli europei o dal popo-
lo inglese
77
. Queste forme di impegno popolare e di internazionalismo spontaneo costi-
tuirono un aspetto della dimensione del movimento comunista dominato dallideologia
stalinista. Anche negli ambienti universitari del 1939, come riport Williams , nel descri-
vere lo sviluppo del suo rapporto con il marxismo, esisteva una corrente populista radi-
cale, influenzata da un marxismo fiducioso e ottimista. Essa rappresent una tendenza
attiva, impegnata e popolare fornendo alla New Left non solo un modello di integrit
intellettuale e morale ma anche il rifiuto di una concezione dogmatica del marxismo
78
.
Si tratt di esperienze che dimostrano come diversi militanti comunisti non agirono
n come strumenti dello stalinismo e n come intellettuali isolati ma al contrario parteci-
parono con un profondo senso di consapevolezza del contenuto democratico e popola-
re della battaglia antifascista, nonostante gli effetti nefasti dellirrigidimento dottrinario
della linea politica del Comintern e dei processi di Mosca. Come ricord Thompson:
gli uomini non si trovavano di fronte a unassoluta libert di scelta, ma in una situazione domi-
nata dalla controrivoluzione e dal militarismo violento che nessuno aveva voluto (...). Il male
peggiore fu sconfitto. E se i vincitori rivelarono ogni forma di male (...) daltra parte rivelarono
anche grandi capacit di sacrificio, di eroismo e di generosit
79
.
74
Ibid., p. 148.
75
R. Miliband, Parliamentary Socialism. A study in the Politics of Labour, Merlin Press, London 1961, tr. it.
Il laburismo: storia di una politica, Editori Riuniti, Roma 1964, pp. 317, 322, 325.
76
E.P. Thompson, Fuori dalla balena, cit., p. 150.
77
M. Merrill, Unintervista a E.P. Thompson, cit., p. 87.
78
R. Williams, Marxismo e letteratura, cit., pp. 4-5.
79
Ibid., p. 150.
La British New Left e lumanesimo socialista
269
Di fronte al totalitarismo sovietico, a Zdanov e a 1984, la generazione del dopoguerra
aveva abbracciato lideologia natopolitana e abbandonato listanza dellazione umana,
cercando di preservare limmagine di amore positivo e di comunit nelle istituzioni tra-
dizionali e nella dottrina cristiana:
Ancora una volta si sent la religione come il cuore di un mondo senza cuore. Era come se
fosse possibile conservare una parte della tradizione umanistica congelandola nel misticismo;
i valori erano preservati dalla decadenza, ma non si potevano inserire efficacemente nella vita
sociale attiva.
Ma alla fine degli anni Cinquanta gli antipolitici, illudendosi di preservare lintegri-
t personale dai condizionamenti della storia richiudendosi in se stessi, si ritrovarono di
fronte solamente immagini di utopie negative e personaggi lacerati dalla colpa. Coloro
che avevano cercato di ritirarsi dal mondo dovettero cos uscire di nuovo per ritrova-
re i valori della comunit. Poich lamore deve essere inserito nel contesto del potere,
il moralista si accorge di dover diventare un rivoluzionario
80
. Allinterno del conflitto
tra limpulso dellintegrit personale e la pressione delle circostanze si fondava, secondo
Thompson, il potenziale rivoluzionario della natura umana:
la natura umana non n originariamente malvagia n originariamente buona, ma, in origine,
potenziale. (...) E la natura umana potenzialmente rivoluzionaria; la volont delluomo
non un riflesso passivo degli eventi, ma contiene il potere di ribellarsi alle circostanze o alle
limitazioni sino allora prevalenti della stessa natura umana e di travalicare cos a un nuovo
campo di possibilit
81
.
Fu linsurrezione ungherese e la minaccia della bomba atomica che trasform gli anti-
politici in ribelli e annichil lincantesimo dellimpotenza, negando lorrore di 1984.
Le marce di protesta di Aldermaston, la vittoria dellalleanza tra la sinistra laburista e
le Trade unions nel bocciare il progetto revisionista di Gaitskell e infine la sconfitta su-
bita dal gruppo dirigente laburista, nel congresso del 1960 sulla questione del disarmo
unilaterale, rappresentano per Thompson linizio della ribellione contro lideologia na-
topolitana:
sotto la polarizzazione del potere e dellideologia nel mondo della guerra fredda, si andata for-
mando una natura umana nuova e ribelle, proprio come lerba nuova spunta sotto la neve
82
.
Nel saggio conclusivo, Revolution, Thompson si propose di rintracciare nei nuovi mo-
vimenti di protesta le forze sociali che avrebbero potuto aprire delle brecce allinterno
della societ civile britannica e avviare una rivoluzione socialista pacifica. Questa stra-
tegia si basava sulla possibilit della New Left di conquistare la base della Old Left del
partito laburista, attuando, allo stesso tempo, una rivoluzione negli atteggiamenti mora-
li e nelle pratiche sociali.
80
Ibid., pp. 167-168.
81
Ibid., pp. 163-164.
82
E.P. Thompson, Fuori dalla balena, cit., p. 166.
Michele De Gregorio
270
Allinizio degli anni Sessanta, nonostante lestablishment mostrasse unimmagine sta-
bile tuttavia, secondo Thompson, questo equilibrio si reggeva solamente perch il po-
tenziale socialista era frenato dai tab irrazionali e dalla burocratizzazione del movi-
mento operaio. Le forze della New Left avrebbero dovuto trovare il punto di rottura non
solo attraverso una speculazione teorica, ma esercitando in tutti settori della vita pres-
sioni continue, finalizzate ad ottenere delle riforme, finch queste non fossero culmina-
te nella rivoluzione:
i poteri di compensazione esistono, e lequilibrio precario. Un equilibrio che potrebbe pre-
cipitare nellautoritarismo, ma potrebbe anche essere spinto, da pressioni popolari di grande
intensit, al punto in cui i poteri della democrazia cesserebbero di essere neutralizzanti per
diventare, di pieno diritto, la dinamica attiva della societ. Questa la rivoluzione
83
.
Non si trattava, come sostenevano i socialisti fagiani, di una rivoluzione graduale, attua-
ta attraverso dei provvedimenti amministrativi calati dallalto, che avrebbero determi-
nato lo sviluppo di quella forza associativa collettiva in grado di modificare la struttu-
ra dellorganizzazione economica in senso socialista, n attraverso la distruzione della
macchina statale esistente, poich esso finiva per tracciare una linea immaginaria at-
traverso la societ, che isola nettamente i lavoratori delle industrie chiave dal resto del
paese. Secondo Thompson occorreva elaborare una tattica riformista allinterno di una
strategia rivoluzionaria, in grado aprire un conflitto simultaneo di forze, di interessi, di
valori, di priorit, di idee, che ha luogo continuamente in ogni settore
84
.
Con un partito comunista segnato da un vocabolario corroso dal rozzo riduzionismo
e settarismo ideologico e una Old Left oppressiva e disumanizzata, che poteva parlare
soltanto il linguaggio del potere, la New Left doveva recuperare dalle riserve della storia
del movimento operaio britannico lidioma dellumanesimo:
una tradizione tenace, umana e responsabile; pure ugualmente una tradizione rivoluziona-
ria. Dai caporali dei Levellers caricati dagli uomini di Cromwell a Burford ai tessitori schierati
dietro le loro insegne a Peterloo, la lotta per i diritti democratici e per i diritti sociali sempre
proceduta di pari passo; dal raduno dei cartisti al picchetto dei portuali, ha trovato la sua
espressione pi naturale nel linguaggio della rivolta morale. Conosciamo troppo bene le sue
debolezze, le sue carenze ideologiche; ignoriamo troppo spesso le sue doti, la sua capacit di
ricupero, la sua tenace umanit. una tradizione che potrebbe portare dei fermenti nuovi nel
mondo socialista
85
.
Ma lipotesi politica di conquistare la maggioranza del partito laburista, si rilev una
proiezione illusoria, destinata a crollare nel giro di pochi anni dopo il congresso di Scar-
bough. La destra revisionista guidata da Gaitskell contracc negli anni immediatata-
mente seguenti alla Conferenza del 1960, dimostrando inequivocabilmente come la sini-
stra laburista avesse sopravvalutato la vittoria sulla questione nucleare e sulla Clausola 4
dello statuto del partito laburista, che auspicava la propriet collettiva dei mezzi di pro-
83
Id., Rivoluzione, cit., p. 223.
84
Ibid., pp. 220-221.
85
Ibid., p. 229.
La British New Left e lumanesimo socialista
271
duzione, di distribuzione e di scambio. Lillusione della New Left di condurre una lot-
ta offensiva allinterno del partito in nome del socialismo era il prodotto della vecchia e
incondizionata fiducia nellesperienza del Popular front e nella capacit dei nuovi movi-
menti di dare lassalto al cielo al partito laburista.
La vittoria di Gaitskell al congresso nel 1961 e ladozione di un programma neutrale
e tecnocratico, i cui obiettivi erano rappresentati dalla gestione efficiente delle industrie
nazionalizzate e dalla creazione di imprese statali nei poli di sviluppo delleconomia,
permise linstaurazione di un clima di tregua tra la destra e la sinistra laburista. Questa
pacificazione lungi dal segnare un compromesso ideologico, dimostr le debolezze dei
socialisti e lassenza di una coerente posizione teorica capace di andare oltre lestempo-
raneo entusiasmo e le crociate politiche del socialismo di sinistra
86
.
Conclusioni:
limplosione della New Left e la svolta tecnoncratica della sinistra laburista
Limprovvisa morte di Gaitskell e lelezione dellesponente della corrente di sinistra Ha-
rold Wilson alla carica di segretario del Labour party sembr per un momento rilanciare
lipotesi di Thompson, di rendere il partito laburista uno strumento efficace per portare
allordine del giorno la trasformazione socialista della societ britannica:
Dopo anni di politica difensiva, nutrivamo finalmente la speranza nella possibilit che si apris-
se una fase politica veramente nuova. In quel periodo il partito laburista si era notevolmente
rafforzato; i nuovi radicali, impegnati nella lotta per trovare una alternativa umana alla strate-
gia nucleare, alla povert e alla decadenza culturale, avevano avviato, nella loro maggioranza,
una fattiva collaborazione coi laburisti per portarli al governo
87
.
Nei mesi seguenti alla sconfitta elettorale dei conservatori la politica economica e sociale
del nuovo governo guidato da Wilson costitu una clamorosa smentita dellipotesi della
New Left. Limpostazione radicaleggiante del programma elettorale laburista fu silenzio-
samente trascurata e lasciata cadere. Il mandato laburista di avviare un processo antimo-
nopolistico e una politica di piano ispirata a finalit pubbliche, si restrinse ad un appello
finalizzato ad una ambigua rivoluzione scientifica in nome della modernizzazione.
Il governo di Wilson consolid cos quel modello di societ tecnocratica che era emerso
negli ultimi anni del governo Tory.
La New Left ag come se una trasformazione, che aveva investito solamente una
ristretta minoranza radicale riguardasse in realt la maggioranza del partito laburista.
Leterogeneo movimento che si era andato coagulando intorno alla NLR dovette pren-
dere atto non solo che il sistema neocapitalista non presentava un equilibrio instabi-
le da consentire senza grandi sconvolgimenti un ruolo anti-privatistico del capitalismo
86
T. Nairn, The nature of the Labour party, (1), New Left Review, n. 27, September-October 1964, tr. it. I
laburisti, Critica Marxista, vol. 11, nn. 4-5, 1964, p. 394.
87
R. Williams, E.P. Thompson (a cura di), New Left May Day Manifesto, London 1967, tr. it. Manifesto di
Maggio. La Nuova Sinistra laburista, De Donato, Bari 1967, p. 9.
Michele De Gregorio
272
di Stato, ma anche dei limiti del Labour party nel diventare uno strumento duna politi-
ca socialista. Lattivismo dei nuovi movimenti non riusc ad esercitare n una funzione
trainante e unificante di un vasto blocco sociale n a proporre nuove forme di partecipa-
zione politica in grado di scuotere le forze del movimento operaio dallapatia.
Tra il 1964 e il 1966, con londata dei nuovi scioperi selvaggi, che dimostr la capa-
cit del movimento degli shop-steward di strappare spazi decisionali autonomi nei luo-
ghi di lavoro, i protagonisti della New Left tentarono di dare uno sbocco politico rivolu-
zionario a questa crescente combattivit operaia. Con il May Day Manifesto, Thompson,
Williams, Saville e altri esponenti del movimento operaio di base come Ken Coates, si fe-
cero promotori di un nuovo appello per la costituzione di un movimento socialista bri-
tannico, autonomo dal partito laburista e dalle organizzazioni sindacali, ritenute ormai
pienamente integrate negli ingranaggi del sistema neocapitalista, ribadendo lincondi-
zionata fiducia nel socialismo come umanesimo, e cio come riconoscimento della real-
t sociale delluomo in tutte le sue attivit
88
.
Nonostante la fiducia nella potenzialit espressa dallinasprimento del conflitto di
classe, gli autori del manifesto non pensarono ad una rinascita dal basso e sotto forme
diverse della New Left come nel 57. Al contrario il gruppo del May day sent la neces-
sit di riconsiderare lesperienza passata per rintracciare le proprie radici politiche e le
ragioni che determinarono la sconfitta del progetto di legare i movimenti e i nuovi stra-
ti sociali sprovvisti di rappresentanza con la base socialista del movimento operaio tra-
dizionale allinterno di una strategia rivoluzionaria:
Dopo anni di sforzi comuni, coloro fra noi che hanno lavorato per il partito laburista si tro-
vano ora in una situazione nuova. Una pesante sensazione di sconfitta presente in ogni
settore della sinistra. Non si tratta di recriminazioni e di un irritazione temporanea, ma del
riconoscimento serio e profondamente preoccupato di una situazione che nessuno di noi ave-
va compreso
89
.
In realt gi nei primi mesi del governo di Wilson inizi a farsi spazio sulle pagine di NLR
e nelle riunioni dei circoli legati alla rivista una interpretazione del fallimento del pro-
getto della Nuova sinistra di rivitalizzare la base socialista del partito laburista. Attra-
verso alcuni saggi, pubblicati nel 1964 su NLR, Perry Anderson e Tom Nairn avviarono
una profonda revisione critica dellimpostazione populista e moralista della New
Left, con uninedita volont di integrale sprovincializzazione della tradizione empirica e
scarsamente dottrinaria del movimento operaio britannico. Secondo Nairn, questa tra-
dizione poteva elaborare solamente una forma di socialismo moralista e sentimenta-
le (...) concepito essenzialmente come una crociata morale stimolata dalle emozioni che
derivarono dalloltraggio subito per le sofferenze e lingiustizia
90
. Questo dibattito sulla
povert della teoria della New Left britannica tra Thompson da una parte e Aderson
e Nairn dallaltra si protrasse per tutti gli anni Sessanta e Settanta disgregando il tessu-
88
Ibid., p. 13.
89
Ibid., pp. 9-10.
90
T. Nairn, I laburisti, cit., p. 347; cfr. P. Anderson, Origins of the Present Crisis, New Left Review, n. 23,
January-February 1964, pp. 26-28; Id., The Left in Fifties, cit., pp. 15-18.
La British New Left e lumanesimo socialista
273
to organizzativo della NLR. Nonostante la disintegrazione della British New Left, tutta-
via indubbio che i sentieri percorsi da Thompson e Williams abbiano avuto non solo
una profonda ricaduta nellambito della ricerca sociale, attraverso lo sviluppo dei cul-
tural studies e della history from below, ma anche nellindicare un percorso politico in
grado di condurre il marxismo e la sinistra oltre i confini europei, riscoprendo il ruo-
lo della soggettivit e i processi di autorganizzazione collettiva dei lavoratori degli altri
continenti.
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275
COMUNISMO E FEMMINISMO
Gian Andrea Franchi
Introduzione
Tra lesperienza comunista e quella femminista
1
esiste un legame importante
2
. Il nodo
pi evidente lopera engelsiana del 1884 Lorigine della famiglia, della propriet priva-
ta e dello Stato. Scrive Engels:
La prima opposizione di classe a comparire nella storia coincide con il sorgere dellantagoni-
smo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico e la prima oppressione di classe coincide
con quella della donna ad opera delluomo
3
.
Ed avanza anche uno spunto per la valutazione del lavoro domestico che ritroveremo
nella pi marxista delle analisi femministe degli anni Settanta italiani, quella di Mariaro-
sa della Costa
4
: Secondo la concezione materialista, il fattore determinante nella storia
, in ultima analisi, la produzione e la riproduzione della vita.
1
Molte donne considerano oggi datato e poco utilizzabile il termine femminismo.
2
Va detto come premessa metodologica che il tema affrontato da un uomo che ha vissuto, a partire dal-
la seconda met degli anni Sessanta, prevalentemente nelle sue forme non istituzionali, quella complessa,
contraddittoria esperienza storica che, solo per intenderci, si pu chiamare movimento comunista. Laverne
a lungo subito, pi o meno confusamente, i limiti ha fatto nascere lesigenza del confronto con un percorso
pratico-teorico analogo, ma diverso.

La premessa definisce le caratteristiche dellintervento: la sua stessa impostazione innanzitutto, legata ad
unesperienza personale elaborata dallinterno di unesperienza collettiva ormai conclusa e tuttavia ancora
aperta. Il movimento politico delle donne mi appare, infatti, come lunica esperienza politica, da me diretta-
mente conosciuta e a modo mio vissuta, di quella feconda, necessaria contraddizione che la negazione critica
di unesperienza passata e quindi la prosecuzione delle sue esigenze profonde.

In tale contesto cercher di presentare quelli che a me sembrano i temi e problemi pi significativi, dando il
pi possibile la parola alle autrici.
3
Cfr. F. Engels, Lorigine della famiglia, della propriet privata e dello stato, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 93.
4
V. pi avanti p. 9.
Gian Andrea Franchi
276
Acutamente consapevole dellimportanza della forma pi arcaica di divisione del la-
voro, basata sulla differenza sessuale, peraltro gi affermata da Marx ed Engels nellIdeo-
logia tedesca
5
Aleksandra Kollontaj (1872-1952)
6
. Ma il suo pensiero e soprattutto i
tentativi politici dellunica donna dirigente di rilievo nella fase immediatamente succes-
siva alla presa del potere da parte dei bolscevichi furono rapidamente emarginati e ri-
masero senza influenza.
Lorigine della famiglia lascer tracce anche in alcune femministe radicali, come, ad
esempio, linglese Juliet Mitchell. Secondo alcune autrici, anzi, la femminist standpoint
Theory, per cui linsieme sociale subalterno ritenuto fondamentale a detenere il punto
di vista privilegiato sulla realt, ispirata da quella marxista. Del resto Marx, citato da
Engels aveva scritto: La moderna famiglia... contiene in s, in miniatura, tutti gli anta-
gonismi che si svilupperanno pi tardi largamente nella societ e nello stato
7
.
Questi spunti notevoli di Engels, tuttavia, restarono poco influenti e la specificit
della liberazione femminile dal dominio patriarcale rimase comunque unesigenza da
realizzarsi dopo la rivoluzione proletaria. Scrive Carla Lonzi, in un testo inaugurale del
1970:
La donna (...) afferma che il proletariato rivoluzionario nei confronti del capitalismo, ma
riformista nei confronti del patriarcato [infatti,] affidando il futuro rivoluzionario alla classe
operaia il marxismo ha ignorato la donna e come oppressa e come portatrice di futuro, ha
espresso una teoria rivoluzionaria dalla matrice di una cultura patriarcale [per cui,] ci ha ven-
dute alla rivoluzione ipotetica
8
.
Venticinque anni dopo Lia Cigarini osserva: di comunismo si potr parlare se comin-
cia ad esserci nelle relazioni che si stabiliscono
9
. Cigarini enuncia qui concisamente una
novit essenziale del pensiero politico e filosofico femminista: un rapporto presente/fu-
turo, nato dallesigenza di radicarsi nellesperienza corporea e sensibile, immaginato e
pensato come effetto del potenziamento relazionale del presente e non come ipotesi.
Vi sottesa la concezione sessuata, affettiva, erotica e comunicativa del corpo, invece
che come energia trasformativa di una datit contrapposta, modellata sul lavoro produt-
tivo, propria del marxismo.
La cultura patriarcale, le cui origini sprofondano nella notte dei tempi, appare dun-
que nel pensiero delle donne come un dominio pi antico e radicato dello sfruttamen-
to, la matrice stessa di ogni dominio. Sembra dimostrarlo efficacemente la sua presenza
in culture assai lontane, al livello dei presupposti che definiscono il reale. interessante
notare che la logica cinese classica la pi lontana da quella occidentale, almeno fra le
grandi civilt non distingue spirito da materia, mente da corpo, non contrap-
5
Cfr. F. Engels, Lorigine della famiglia, cit., p. 92.
6
Cfr. A. Kollontaj, Vivere la rivoluzione, Garzanti, Milano 1979.
7
Cfr. F. Engels, Lorigine della famiglia, cit., p. 85.
8
Cfr. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1970, ripubblicato in C. Lonzi,
Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, p. 24.
Nello stesso scritto (pp. 29ss.) Lonzi sviluppa unanalisi abbastanza articolata della concezione marxista del
rapporto fra luomo e la donna, con particolare riferimento a Lenin.
9
Cfr. L. Cigarini, La politica del desiderio, Pratiche Editrice, Parma 1995, p. 205.
Comunismo e femminismo
277
pone soggetto ad oggetto tuttavia anchessa profondamente patriarcale
10
. Quel-
lo che allora possiamo chiamare la matrice simbolica patriarcale sembra costituire lepi-
stemologia profonda del dominio in civilt assai diverse.
Il movimento femminista, inoltre, ha condiviso e portato avanti quanto di pi vivo
agiva nel Sessantotto
11
, periodo aurorale del nuovo movimento delle donne, sviluppato
nei paesi occidentali e occidentalizzati in seguito al fallimento della politica di eman-
cipazione delle donne ( Muraro). Uno di questi temi quello dellimmaginario
12
, radi-
cato prevalentemente nella cultura francese di quegli anni, elaborato da Lacan, esploso
massivamente nel maggio de limagination au pouvoir, sviluppato da Cornelius Castoria-
dis (Linstitution imaginaire de la socit, 1975), proveniente da Socialisme ou barbarie e,
diversamente, da Deleuze e Guattari. Nel pensiero delle donne la problematica connes-
sa allimmaginario anche legata allimportanza data alla letteratura come luogo in cui
le donne dal Settecento in poi, ma anche prima, avevano potuto dare il meglio di s in
tale contesto particolare importanza assume il pensiero narrativo di Virginia Woolf (Le
tre ghinee, Gita al faro)
13
e alla mistica, specialmente rivalutata dal pensiero italiano
della differenza sessuale.
La problematica dellimmaginario fondamentale perch riguarda la possibilit di
immaginare un altrove rispetto allo stato presente, mediante la capacit di dar forma
al tempo con raffigurazioni che consentono di concepirlo. Ci significa non farsi tra-
volgere dalloscurit del tempo, proiettare sul vuoto del futuro emozioni e passioni del
presente che generano desideri definiti in immagini, in rappresentazioni e articolati in
narrazioni di stati desiderabili della vita sociale e individuale, dalla cui elaborazione pos-
sono scaturire progetti politici. La rappresentazione narrativa del possibile come dire-
zione della pratica politica implica la capacit di una narrazione che ordisce il desiderio
nellimmaginario per articolarlo in pensiero. Ci un presupposto della pratica politi-
ca, dato che nessuno pu agire se non immagina e, su questa base, pensa e progetta un
futuro conforme allazione intrapresa. Una politica di liberazione, tuttavia, non si fa se-
condo un calcolo delle probabilit di successo. Si fa perch, se non riteniamo che la vita
possa convergere verso una pienezza relazionale, essa diventa un puro inferno. Non
una scelta, come non si sceglie di nascere e di morire. Una politica di liberazione fa par-
te della necessit antropologica costitutiva, come la nascita e la morte.
Il movimento femminista ha portato un immaginario narrativo nuovo, ricco e com-
plesso, radicato nelle esperienze storiche fondamentali delle donne, come una sessualit
diversa, la maternit e la cura e proposte alternative alleterosessualit asimmetrica do-
minante, che implicano il rapporto intrinseco con il corpo affettivo, emozionale, eroti-
co, reso in chiave politica. Lasse centrale di ogni discorso e di ogni pratica femminista
10
Cfr., ad esempio, F. Jullien, Strategie del senso in Cina e in Grecia, Meltemi, Roma 2004.
11
Un foglio femminista statunitense, tra i pi caratteristici, pubblicato da Anne Koedt nel 68, si intitolava
Notes from the first year.
12
Su questo v. Diotima, Immaginazione e politica, Liguori, Napoli 2009.
13
Altre figure importanti di scrittrici novecentesche sul piano del pensiero sono Gertrude Stein (Tre esi-
stenze), Elsa Morante (Menzogna e sortilegio), Ivy Compton Burnett (Pi donne che uomini), Christa Wolf
(Riflessioni su Christa T.), Clarice Lispector (La passione secondo G.H.).
Gian Andrea Franchi
278
il dinamismo complesso, instabile e contestuale del corpo, da cui si diramano pensieri e
pratiche che toccano tutti gli aspetti della vita sociale.
Un altro aspetto importante la ripresa, con maggior lucidit e radicalit, della ten-
sione antiautoritaria del movimento degli studenti, naturalmente implicita nella critica
della cultura patriarcale, che pone anche il difficile problema dellalternativa alla funzio-
ne svolta dal principio dautorit.
Il Sessantotto e la nascita del movimento delle donne si possono considerare insie-
me uniti e distinti per
la partecipazione di tante al movimento degli studenti come un crocevia, unaccelerazione, un
tempo congiunturale rispetto a contraddizioni che traevano ragione da una storia pi lunga e
che avrebbero prodotto unaltra storia destinata a durare ben oltre quegli anni
14
.
Lesperienza politica delle donne, proponendo un cambiamento radicale del rappor-
to fra uomini e donne, opera un dislocamento del terreno della politica verso una di-
mensione che si potrebbe chiamare di critica antropologica, da cui ormai non si pu pi
prescindere.
Ho il sospetto scrive Adriana Cavarero che il fatto che io sia donna sia fortissimamente
reale, bench atopico senza luogo nellordine patriarcale, e che pertanto sia il concetto
stesso di realt a dover essere ridefinito
15
.
Anche il giovane Marx parte da unantropologia, ma dallantropologia filosofica di
Feuer bach, che cerca poi di inverare, passando per i Manoscritti economico-filosofici del
44, e con lapporto de la Situazione della classe operaia in Inghilterra di Engels. Del re-
sto, malgrado e in ragione del volutamente paradossale e provocatorio Sputiamo su
Hegel di Carla Lonzi, il riferimento a Hegel, caro al marxismo, ben presente al pensie-
ro delle donne
16
, in particolare la Fenomenologia dello spirito, come punto pi avanzato
del pensiero maschile sulla differenza sessuale.
Il movimento femminista un fenomeno culturale e politico non definibile nei ter-
mini tradizionali dei movimenti politico-sociali. Si pu molto schematicamente rife-
rire a due aree geoculturali principali statunitense anglosassone nordeuropea e fran-
cese italiana sudeuropea , ricche di scambi e fecondi intrecci, con articolate posizioni
di pensiero e ampi contrasti interni: una rete di elaborazione filosofica, politica e sociale
entro cui differenze e contrasti giocano incessantemente. Partendo da bisogni ed esigen-
ze concrete, il femminismo giunge a rimettere efficacemente in discussione lintera tra-
dizione filosofica occidentale. Bisogna osservare, a questo proposito, che, a partire dalla
seconda met degli anni Ottanta, anche per le difficolt crescenti delle pratiche politi-
che extraistituzionali, diverse correnti femministe, soprattutto di lingua inglese ma non
14
Cfr. E. Guerra, Una nuova soggettivit, in T. Bertilotti, A. Scattigno (a cura di), Il femminismo degli anni
Settanta, Viella, Roma 2005, p. 43.
15
Cfr. A. Cavarero, Dire la nascita, in Diotima. Mettere al mondo il mondo, La tartaruga, Milano 1990, p.
93.
16
Si veda, ad esempio, La differenza sessuale: da scoprire e da produrre, in A.A.V.V., Diotima. Il pensiero della
differenza sessuale, La tartaruga, Milano 1987.
Comunismo e femminismo
279
solo, sindirizzano prevalentemente ma non esclusivamente allattivit universitaria, svi-
luppando, allinterno del settore disciplinare dei cultural studies, i womens studies e i
gender studies. Lelaborazione diventa pi raffinata, utilizzando svariati apporti (tra cui
fondamentale la filosofia francese cosiddetta poststrutturalista), ma, nel mondo anglo-
sassone, tende a istituzionalizzarsi divenendo una disciplina fra altre. Ci risponde tut-
tavia anche allesigenza di un pi severo impegno di ricerca.
Nel 2004, Lea Melandri poneva il quesito: Il femminismo ancora una pratica di
modificazione di s e del mondo?
17
. Pi recentemente, Luisa Muraro si domanda in che
misura questo pensiero e queste pratiche, che hanno fatto parlare di una vera e propria
rivoluzione, incidano, si diffondano, portino mutamenti radicali nella vita sociale, rie-
scano ad affrontare efficacemente i nuovi e pi urgenti problemi che si affacciano, fra
i quali la salute del pianeta Terra
18
. Lonzi gi nel 70 aveva profeticamente scritto: Lo
spirito maschile entrato definitivamente in crisi quando ha scatenato un meccanismo
che ha toccato il limite di sicurezza della sopravvivenza umana
19
.
Le questioni aperte in questi e molti altri testi sono ineludibili. Ma senza risposta.
Devono rimanere una domanda aperta da assumere in tutta la sua drammaticit. Fonda-
mentale mantenere aperta la domanda: il compito peculiare per chiunque oggi tenti
unalternativa allattuale ordine sociale. Tali questioni coinvolgono una dimensione della
condizione umana che chiamer tragica, essendo lingiustizia presente irrisarcibile.
Mi pongo anche la domanda se la rivoluzione femminista non sia un fenomeno di
aree e gruppi sociali abbastanza ristretti, che ha conosciuto negli anni Settanta e primi
Ottanta del Novecento momenti di maggior diffusione e dinamismo sociale. diffici-
le o forse impossibile rispondere in una situazione storica in cui un sociologo importan-
te come Alain Touraine, apprezzato in ambito femminista, pu parlare di fine del so-
ciale. Per le situazioni, sempre minoritarie, in cui agiscono pensieri e pratiche nuovi il
problema quello dei tempi di un contagio positivo al di fuori dellambito dellazione
diretta. La politica delle donne con la sua attenzione alla dimensione relazionale, esige
una temporalit pi lenta ed anche tortuosa rispetto ai tempi veloci della distruttiva po-
litica di potere che ieri come oggi infligge in pochissimo tempo ad intere popolazioni la
morte di massa e sofferenze indicibili. Ancora diversi, inoltre, sono i tempi delle trasfor-
mazioni indotte nella biosfera, caratterizzati, come ho detto, dallattraversamento di so-
glie dirreversibilit. Sono tre temporalit non sincroniche.
Unazione politica liberatoria implica il rapporto con una possibilit alternativa allo
stato presente. Su questo il pensiero femminista ha detto qualcosa di originale rispetto
alla tradizione del pensiero critico sociale e politico di area marxista e comunista.
Uno degli assiomi del movimento femminista partire da s, ovvero dalla propria
esperienza emotiva e corporea, intesa per non in modo individuale, ma strutturalmen-
17
Cfr. L. Melandri, Il femminismo ancora in silenzio, Liberazione, 10 dicembre 2004. Da questo articolo
si sviluppa un dibattito, cfr. www.universitadelledonne.it. Cfr. anche il citato T. Bertilotti, A. Scattigno (a cura
di), Il femminismo degli anni Settanta.
18
Cfr. L. Muraro, Vivere in un mondo che sembra alloscuro della nostra libert, n. 88 (settembre 2008) del
mensile di pratica politica Via Dogana, Libreria delle Donne di Milano. Cfr. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel.
La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, cit.
19
Cfr. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, cit.
Gian Andrea Franchi
280
te relazionale e collettiva. Lassioma colpisce lho gi accennato una carenza fonda-
mentale della tradizione comunista: la scarsa valutazione e spesso lindifferenza, tranne
che in qualche marginale, per la singolarit, la sessualit, laffettivit, in una prevalente
concezione produttivistica del corpo.
Nella mia lunga esperienza politica, ho particolarmente sofferto la difficolt di con-
nettere lesperienza personale, in ci che ha di unico e irriducibile, alluniversale di giu-
stizia posto quale meta, che, delegato teoricamente ad una grande massa sociale imma-
ginata come soggetto collettivo, frutto maturo di un processo storico, rimaneva astratto,
al di fuori di singoli momenti di conflitto sociale, icona facilmente esposta a oscuri de-
sideri e speranze e destinato a trovare incarnazione solo nel corpo di Un Partito o di
Uno Stato: hegelianamente, la comunit pu conservarsi solo mediante la soppressione
(Unterdrkung) dello spirito della singolarit (Einzelheit)
20
. Sta qui il limite teorico del-
la concezione patriarcale, illuministica, delluniversale, cos evidente nella concezione
comunista dellorganizzazione politica.
Valenza politica del corpo sessuato. Sesso e genere
Partire da s per lesperienza politica delle donne significa partire dal corpo, apparte-
nente ad un sesso o/e ad un genere, quindi ad un grande insieme condiviso:
Nessuna politica delle donne pu fare a meno del radicamento nel genere, perch come
genere oggettivato, e non come soggetti singolari pensanti e attivi, che le donne non sono
previste nellordine simbolico
21
.
Ma nello stesso tempo dal genere bisogna staccarsi per guadagnare, a partire dallo scam-
bio concreto fra donne, la propria singolarit, irriducibile allunit del genere. Da qui
partono strade diverse, fra cui peraltro numerosi sono gli incroci.
Una strada la ri-scoperta della differenza del corpo sessuato femminile, da sempre
delegato in posizione subalterna a funzioni necessarie per la vita come la maternit e la
cura. La corporeit femminile ha in se stessa lesperienza delluno che diventa due: lin-
dividuo nasce nella relazione con altri individui ed nulla senza di essa.
I filosofi hanno evitato specialmente di affrontare il significato ontologico del fatto che i s
sono generati (...) Dobbiamo pensare lidentit come emergente da un gioco di relazioni e
campi di forza che insieme costituiscono gli orizzonti di uno spazio-tempo condiviso
22
.
Per la fondatrice del gruppo Psychanalyse et Politique,
Lesperienza simbolizzabile, virtuale o reale, della gravidanza provata da ogni donna come
lavoro intimo del s e del non s. il modello (...) di un pensare allaltro (...) di unospitalit
verso un corpo estraneo, di un dono senza debito, di un amore del prossimo, di una promessa
20
G.W.F. Hegel 1995, Fenomenologia dello spirito, Rusconi, Milano1995, p. 641.
21
Cfr. I. Dominijanni, Introduzione, cit., p. 24.
22
C. Battersby, Per una metafisica carnale, in A. Cavarero, F. Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 218.
Comunismo e femminismo
281
da mantenere, di una speranza carnale che rinnega ogni narcisismo assoluto, ogni individuali-
smo totalitario, ogni razzismo. Queste capacit specifiche possono trasmettersi, essere condi-
vise in quella co-creazione uomo donna che la procreazione umana
23
.
Questa posizione, precorsa dallimportante autrice americana Adrienne Rich (1929),
non condivisa da altre visioni, neanche dallarea italiana del pensiero della differen-
za sessuale, il quale sviluppa piuttosto in senso relazionale e simbolico lesperienza fem-
minile del corpo che ne genera un altro, con limportante tematica dellaffidamento e
dellautorit materna:
Noi non pensiamo allesperienza di diventare madri, bens alla dimensione, esistenziale e rela-
zionale, di venire al mondo da una donna
24
.
Unaltra strada, diffusa nellarea anglosassone, tenta di rompere leconomia binaria
spezzandone i codici, attraverso una moltiplicazione delle identit mediante ibridazioni e
combinazioni impreviste ( Cavarero). Gioca qui la differenza tra sesso e genere, cara
al pensiero femminista anglosassone, che insiste sul carattere culturale del genere e quin-
di sul suo condizionamento storico e politico, mentre il femminismo francese e italiano,
in particolare, insiste sul carattere dato della differenza sessuale su cui si appoggia la su-
balternit storica della donna. Non si tratta di una visione ingenua e spontaneistica del-
la natura, la differenza sessuale piuttosto vista come un punto di partenza dato, in un
certo senso un impensabile metastorico. Cos come metastorico il fatto della nascita, un
luogo abissale, come dice Irigaray con implicito riferimento heideggeriano, impensa-
bile, ma spinta davvio del pensiero un esserci gi, una presenza che si offre ad una
attribuzione di senso da parte del pensiero ( Cavarero) , non da accettare passivamente
ma su cui innestare un processo estremamente attivo, anzi rivoluzionario, come si nota
chiaramente nella citazione di Cigarini e in quelle che vedremo di Lonzi .
Originale incunabolo del femminismo sono i gruppi di autocoscienza sviluppatisi
inizialmente negli USA verso la fine degli anni Sessanta (Conscience-Raising): la discus-
sione politica, in piccoli gruppi, della propria esperienza personale, anche la pi inti-
ma, incentrata sul corpo, intesa come uno scambio non gi deciso altrove, uno scam-
bio che passa attraverso gesti e significati ancora da farsi, insieme
25
. C tuttavia anche
chi mostra le difficolt epistemologiche di un discorso sullesperienza del corpo fem-
minile: Per parlare veramente coi sensi e del vissuto dobbiamo chiarire senza illusioni e
con un certo distacco disciplinato qual il destino contemporaneo dei sensi e dellorien-
tamento sensoriale
26
.
23
Cfr. A. Fouque, I sessi sono due. Nascita della femminologia, introduzione di L. Cigarini, Pratiche Editrice,
Milano 1999 (1995), p. 89.
24
Cfr. Introduzione di L. Cigarini a A. Fouque, I sessi sono due, cit., p. 9.
25
Cfr. A. Buttarelli, F. Giardini (a cura di), Il pensiero dellesperienza, Baldini Castoldi Dalai, Milano
2008.
26
Cfr. B. Duden, Lepoca dello schizo-percezione, in A. Buttarelli, F. Giardini, Il pensiero dellesperienza, cit.,
pp. 125ss. Di Barbara Duden si vedano inoltre, Il corpo della donna come luogo pubblico, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; I geni in testa e il feto nel grembo. Sguardo storico sul corpo delle donne, Bollati Boringhieri, Torino
2006.
Gian Andrea Franchi
282
La versione italiana dellautocoscienza, promossa da Carla Lonzi (1931-1982), la pi
intensa figura inaugurale del femminismo in Italia, ne mostra molto bene la pregnanza.
Lautocoscienza loccupazione graduale dello spazio storico, psicologico e mentale
della donna finora dominato dalluomo. Ci comporta lavvio di un processo di separa-
zione e la formazione di una cultura femminile autonoma, intesa per come passaggio
verso una trasformazione complessiva del rapporto fra i sessi.
qui che i gruppi femministi di autocoscienza acquistano la loro vera fisionomia di nuclei che
trasformano la spiritualit dellepoca patriarcale: essi operano per lo scatto a soggetto delle
donne che luna con laltra si ri-conoscono come esseri umani completi, non pi bisognosi di
approvazione da parte delluomo
27
.
Il metodo dellautocoscienza viene proposto come una forma nuova e complessa di pra-
tica politica pensante:
La rivoluzione su base ideologica rafforza il potere patriarcale, rifiutando il valore del processo
di liberazione delle donne attraverso lautocoscienza, taglia fuori la collettivit dallespressione
creativa e la sprofonda paternalisticamente nella delega e allobbedienza come primo passo
in cui si misura il suo senso di responsabilit. Il femminismo si orientato spontaneamente
sulla presa di coscienza (...) sono le donne che proseguono giorno per giorno il loro processo
di liberazione
28
.
La presa di coscienza delle donne parte dalla scoperta del proprio corpo, nella sua diffe-
renza e autonomia, che implica una diversa sessualit, di tipo clitorideo e non prevalen-
temente vaginale, ovvero legata al piacere delluomo
29
.
Il momento in cui il pene delluomo emette lo sperma il momento del suo orgasmo. (...)
Nelluomo dunque il meccanismo del piacere strettamente legato al meccanismo della ripro-
duzione, nella donna (...) sono comunicanti ma non coincidono. (...) Avere imposto alla donna
una coincidenza che non esisteva come dato di fatto della sua fisiologia stato un gesto di
violenza culturale che non ha riscontro in nessun altro tipo di colonizzazione
30
.
Anche qui il dato fisiologico viene assunto come un dato, appunto, indiscutibile, su cui,
per Lonzi, sarebbe politicamente ozioso disquisire nei termini generali del rapporto fra
natura e cultura, ma nei cui confronti scatta la dimensione relazionale e politica.
Mentre nel femminismo statunitense, la potenza del femminile sta nella capacit di non
accettare limmutabilit della differenza sessuale che diventa gender, differenza cultura-
le, per la Lonzi e in seguito, ma in modi un po diversi, per il pensiero della differenza
27
Cfr. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, 1974, cit., p.145.
28
Cfr. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, 1974, cit., p. 121.
29
Cfr. C. Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale, in C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, 1974. Cfr. su
questo fondamentale aspetto negli USA una posizione analoga ma non identica: A. Koedt, The Myth of Vaginal
Orgasm, 1970 e inoltre Womens Health Book Collective (Boston), Our bodies, Ourselves: a Book by and for
Women, 1973. Nel 1973 il movimento femminista romano organizz un incontro con il Womens Health
center di Los Angeles.
30
Cfr. C. Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale, cit., pp. 77, 79.
Comunismo e femminismo
283
sessuale, la differenza data della base fisiologica fornisce limpulso iniziale della sepa-
razione su cui costruire lalternativa al dominio di un sesso solo.
La donna clitoridea (...) non soffre della dualit e non vuole diventare uno. Non aspira al
matriarcato che una mitica epoca di donne vaginali glorificate
31
.
La clitoride da organo secondario e trascurato, se non guardato con sospetto o, com
noto, in alcune culture addirittura rescisso, diventa il centro del piacere femminile, cio
del rapporto erotico con il proprio e laltrui corpo, femminile o maschile che sia: il pia-
cere diventa una risorsa politica.
Laffermazione della clitoride come sesso in proprio la fase attuale della liberazione della
donna che scopre la sua identit nel corso della specie, della storia e nel presente.
Limprevisto del mondo (...) la rottura del modello sessuale pene/vagina. In questo impre-
visto sta il possibile scioglimento dei nodi insolubili creati dalla cultura patriarcale che ha
soggiogato la donna nella sacralit del rapporto emotivo superiore-inferiore
32
.
Lautonomia politica e sociale della donna non pu che partire dalla scoperta di unau-
tonomia erotica e quindi emotiva e relazionale, che sola pu consentire un rapporto non
subalterno fra differenti, n migliori n peggiori ma differenti ( Irigaray).
In Carla Lonzi dominano un taglio nettamente politico pratico e lassunzione
della dimensione erotica, base del sistema umano di relazioni, come leva per sollevare il
mondo, tematiche che passeranno in secondo piano negli ulteriori sviluppi del pensie-
ro della differenza, soprattutto in Italia, caratterizzati invece dalla valutazione della re-
lazione materna.
In quei primi anni Settanta nasce anche il gruppo femminista pi vicino al marxismo.
Dal seno del movimento operaista, forte soprattutto nel Veneto, in particolare da Potere
operaio, comincia a staccarsi la costola femminile. Nel 1971 si forma Lotta femminista
composto di sole donne, ma che delle sue origini conservava, oltre che unimpostazio-
ne nettamente marxista, anche il carattere tendenzialmente di massa, a differenza del ca-
rattere di piccolo gruppo elitario proprio di Rivolta femminile, il gruppo di Lonzi. Lotta
femminista aveva, fra le sue figure significative, a conferma del carattere internazionali-
sta, anche una inglese di colore, Selma James, collaboratrice di Mariarosa Dalla Costa,
sociologa nella facolt di Scienze politiche dove insegnava anche Toni Negri, nella ste-
sura di Potere femminile e sovversione sociale
33
. Questo libro notevole il testo femmi-
nista di maggior vicinanza al marxismo, nella cui griglia analitica introduce tuttavia no-
tevoli varianti, come il carattere produttivo di plusvalore del lavoro casalingo e di cura,
di cui veniva messo in rilievo la sua insostituibilit con macchine, la sua essenzialit per
il funzionamento del capitale, la funzione fondamentale dellistituzione familiare e la ne-
cessit per le donne di organizzarsi autonomamente su questa base, sottraendosi al po-
tere maschile anche nella famiglia operaia. Il testo non trascura neanche la dimensione
31
Cfr. C. Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale, cit., p. 118
32
Cfr. C. Lonzi, la donna clitoridea e la donna vaginale, cit., pp.138, 140.
33
Cfr. M. Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale, Marsilio, Padova 1972.
Gian Andrea Franchi
284
sessuale: alla chiusura della donna nella funzione riproduttiva corrispondeva, in quegli
anni, il basso livello della ricerca ginecologica e anticoncezionale e lillegalit dellabor-
to, scaricando completamente sulla donna i gravi problemi che ne derivavano. Da que-
ste analisi nasceva lobbiettivo caratteristico del salario al lavoro domestico che avrebbe
potuto dare alla lavoratrice domestica, subordinata al potere maschile, una nuova iden-
tit sociale e politica attraverso la lotta.
Lesperienza di Lotta femminista, dallimpostazione molto sociologica, che metteva
ai margini la dimensione emotiva ed erotica ritenuta troppo psicologica, verr tutta-
via rapidamente emarginata dalla maggior influenza di altre aree femministe, dallimpo-
stazione pi articolata e complessa, di cui il pensiero di Lonzi e del suo gruppo era sta-
to il vivace antesignano.
La rimozione del femminile, quale esteriorit costitutiva al sistema dominante,
sua necessit non concettualizzabile (...) unincoerenza, una rottura, una minaccia alla
sua stessa sistematicit (J. Butler), che diventa politicamente il punto dappoggio per
contestare criticamente il mondo dato, si colloca allora prevalentemente nella scoperta
di un altro senso del corpo, del godimento, del desiderio, nel rapporto generazionale fra
madre e figlia, di un altro ritmo del tempo, inteso non come dimensione meramente o
prevalentemente emotiva, ma come un altro principio di significazione, unaltra logica,
un altro modo di pensare e di vivere.
Di questaltro modo di pensare uno dei testi inaugurali, anche per la sua risonanza a
livello non solo europeo, Speculum. De lautre femme, di Luce Irigaray (1974)
34
. Parte
dallenigma freudiano, dal luogo abissale della sessualit femminile, che implica il
rapporto della donna con la madre per mostrare che lintera cultura patriarcale, esami-
nata nei suoi vertici concettuali filosofici e psicoanalitici, si erige sulla sua rimozione.
La mia critica alla filosofia occidentale concerne soprattutto loblio dellesistenza di una sog-
gettivit che differente da quella maschile. Una soggettivit al femminile
35
.
Su questa rimozione il maschile si costituito come il tutto dellumano.
Il rapporto con la madre (...) il continente nero per eccellenza (...) La funzione materna
sottende lordine sociale e lordine del desiderio, ma viene tenuta in una dimensione di biso-
gno. (...) emerge dai fatti pi quotidiani come nellinsieme della nostra societ e della nostra
cultura, che queste ultime funzionano originariamente su un matricidio
36
.
Ci significa anche rimozione del significato antropologico della nascita e del lungo pe-
riodo di formazione dellessere umano.
Il rapporto con la madre desiderio folle che resta nellombra della nostra cul-
tura, la sua notte e i suoi inferi
37
. Irigaray usa la nozione di natura in unaccezione
34
Cfr. L. Irigaray, Speculum. Dellaltra donna, Feltrinelli, Milano 1975 (tradotto in italiano da L. Muraro).
35
Cfr. L. Irigaray, In tutto il mondo siamo sempre in due, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006, p. 9.
36
Cfr. L. Irigaray, Sessi e genealogie, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007 (1987) (tr. it. L. Muraro), pp. 20-
21.
37
Cfr. L. Irigaray, Il corpo a corpo con la madre, (1980) in Sessi e genealogie, cit., p. 20.
Comunismo e femminismo
285
che potremmo definire cosmico-religiosa, che rimanda ai suoi interessi per la cultura in-
diana e anche alla questione ambientale
Lobbligo per le donne di procreare nella genealogia del marito corrisponde storicamente a un
inizio di non rispetto della natura, allavvento di una nozione o concetto di natura che prende
il posto della fertilit della terra, abbandona il suo carattere religioso, il suo legame con la
divinit delle donne e con la relazione madre-figlia. Paradossalmente, il culto della madre si
accompagna spesso, nelle nostre culture, al disprezzo o alla dimenticanza della natura
38
.
La natura sessuata, sempre e ovunque. Tutte le tradizioni fedeli al cosmico sono sessuate e
rendono conto delle potenze naturali in termini sessuati
39
.
Speculum pone le basi del pensiero della differenza sessuale, che conoscer diverse ar-
ticolazioni: la visione delle donne come portatrici di una cultura altra, bench oppres-
sa, deformata e rimossa dal dominio maschile, in grado tuttavia di trovare in se stessa le
ragioni di unalternativa e non solo di una contrapposizione, una cultura a due sogget-
ti. Secondo Irigaray, la donna pu insegnare alluomo la relazione con laltro che non
solo laltro sesso, ma anche laltro culturale, il diverso, perch la cultura maschile anche
quando pretende di scoprire laltro, questo altro rimane un medesimo. Il selvaggio, il bam-
bino, il folle sono sempre definiti rispetto al medesimo. Per il soggetto maschile, si tratter
di decostruire un universo culturale autologico, che non ha ancora dato spazio alla parola
dellaltro
40
.
Irigaray ha lanciato con efficace energia la questione della differenza sessuale o, piutto-
sto, la differenza sessuale come questione centrale:
La diffrence sexuelle reprsente ... la question qui est penser notre epoque (...) lhorizon
de mondes dune fcondit ancore inadvenue. (...) Le monde tant demeur aportique sur
cet trange avnement
41
.
Il pensiero italiano della differenza sessuale. Un nuovo principio dautorit
Ad Irigaray si collega un originale svolgimento italiano
42
del pensiero della differenza
sessuale, che elabora la problematica dellaffidamento e dellautorit materna, con cui
cerca di affrontare una questione cruciale: non solo il bisogno dautorit, la formazione
di gerarchie in qualunque gruppo umano, ma anche la valenza delle innegabili differen-
ze fra i singoli. Tale questione non pu essere superficialmente ignorata, rimandando ad
unastratta visione libertaria ed ugualitaria di cui non esiste esperienza. Deve essere af-
38
L. Irigaray, La necessit di diritti sessuati, (1987), in Sessi e genealogie, cit., p. 13
39
L. Irigaray, Il genere femminile, (1985), in Sessi e genealogie, cit., p. 126.
40
Cfr. L. Irigaray, Sessi e genealogie, cit., pp. 12 e 143.
41
Cfr. L. Irigaray, thique de la diffrence sexuelle, Minuit, Paris 1984, p. 13.
42
Per una valutazione peculiare dal lato maschile del pensiero della differenza sessuale in parallelo con
loperaismo trontiano cfr. A. Negri, La differenza italiana, nottetempo, Roma 2005.
Gian Andrea Franchi
286
frontata qui ed ora, tenendo conto anche dellesperienza fondamentale dellinfanzia, del
lungo periodo di formazione dellessere umano, ignorata o quasi dalla tradizione comu-
nista. Riferimento culturale, pi importante della tradizione politica , per il pensiero
della differenza, lesperienza psicoanalitica.
Risale a Luisa Muraro lelaborazione pi compiuta, partendo dal rapporto della bam-
bina con la madre. La subalternit delle donne allordine sociale maschile dovuta ad un
conflitto irrisolto con la madre che rende cos impraticabile il punto di vista della relazione
originaria: da qui linsignificanza della parola femminile. Per una donna saper amare la
madre
43
vuol dire riconoscerla con gratitudine (al di l del rapporto particolare) come da-
trice di lingua e pensiero, erigerla cio a madre simbolica, una nozione non metaforica
ma realistica, materialistica, del simbolico in cui corpo e linguaggio, esperienza e rappre-
sentazione (...) vissuto e significazione (...) si corrispondono, mettendo completamente
in gioco il rapporto fra esperienza e parola
44
. La madre simbolica assurge... a principio
costitutivo di una relazione tra donne che prevede una disparit ed un debito. Ci signi-
fica poter entrare nellordine simbolico, prendere la parola, in quanto donna singola nel-
la sua appartenenza allesperienza comune di un sesso, ad una cultura rimossa e subalter-
na ma portatrice di una esperienza del mondo, e instaurare un rapporto fra donne basato
sullaffidamento ad unautorit femminile. Per ritrovare la parola occorre superare la di-
stanza abissale fra ogni voler dire e i mezzi della dicibilit per cui occorre qualcuno che
ci chiede di parlare assicurandoci di capire quello che vogliamo dire. Questo qualcuno
la madre. La cultura maschile non insegna lamore della madre alle donne, ma solo agli
uomini. Le donne devono ritrovare lamore per la madre, la superiorit della madre e la
necessit della sua traduzione in autorit simbolica
45
.
Alla separazione classica fra la madre come fonte della vita e il padre come garante dellordine
linguistico-simbolico (...) vien contrapposta la coincidenza di ambedue nella sola figura ma-
terna. Gli attributi di autorit e potenza ascritti fra laltro alla figura materna da un immagi-
nario cattolico che in Italia assai influente vengono a caratterizzare lordine simbolico della
relazione fra donne senza pi mutarsi in spirito oblativo e senza pi dipendere dalla centralit
egemone del figlio. La madre simbolica non funziona dunque n come modello di virt fem-
minile, n come paradigma obbligatorio di identificazione. Essa assurge piuttosto a principio
costitutivo di una relazione fra donne che prevede una disparit e un debito. Invece che nel
principio della sorellanza come garante di una indistinta uguaglianza, la relazione madre-figlia
trova infatti la sua misura nella naturale verticalit del loro rapporto, riferito allo scambio fra
riconoscimento di autorit e facolt di linguaggio, fra debito e dono
46
.
Il tema dellautorit femminile, che vuole aprire un discorso sullautorit in generale,
una delle direzioni di ricerca pi originali del pensiero della differenza sessuale: una via
43
Il saper amare la messa in circolo delle forze passionali con lattivit della mente, Cfr. L. Muraro, Lordine
simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 23
44
Cfr. I. Dominijanni, Introduzione, cit., p. 19.
45
Cfr. L. Muraro, Lordine simbolico della madre, cit., pp. 100 e 101.
46
Cfr. A. Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in A. Cavarero, F. Restaino, Le filosofie
femministe, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 99.
Comunismo e femminismo
287
per riflettere quali forme politiche vi siano oltre a quella del potere
47
. Gi Lonzi, con la
lucidit che la distingue, aveva affermato che
se il metodo rivoluzionario pu cogliere i passaggi della dinamica sociale, non c dubbio che
la liberazione della donna non pu rientrare negli stessi schemi: sul piano uomo-donna non
esiste una soluzione che elimini laltro, quindi si vanifica il traguardo della presa del potere
48
.
La riflessione sullautorit, strettamente intrecciata alla pratica, tenta di aprire un oriz-
zonte senza dubbio assai incerto per tutti, uomini e donne.
Per mettere in circolazione sociale (...) il desiderio [nato e sviluppatosi nellesperienza storica
delle donne] la leva politica pi adeguata non la sorellanza, bens lautorit. Lautorit es-
senzialmente ponte, mediazione. un meccanismo simbolico con effetti nel reale. Si riconosce
autorit a chi mette in movimento situazioni e persone di un certo contesto, in cui si vive, nella
direzione che si desidera di quella realt. (...) Lautorit dunque la mediazione simbolica pi
efficace, affinch venga messa in circolazione negli scambi sociali la ricchezza del desiderio in-
dividuale. Nel pensiero politico femminile essa va a sostituire la sorellanza e la rivendicazione,
che risultano modalit politiche di una condizione di oppressione. (...) Il sapere femminile ha
saputo esprimere una forma simbolica come quella dellautorit, di cui era carente la cultura
del 900
49
.
La relazione di autorit ha come scommessa politica quella di fare ordine in modo aper-
to e fluido nel contesto in cui si agisce. La sua efficacia dipende dalla elasticit: dal re-
stare un processo senza cristallizzazioni n ripetizioni statiche
50
. Ci implica tuttavia un
difficile aspetto fondamentale, su cui interamente posa: che sia liberamente riconosciu-
ta e scelta, mai imposta. Non sono mancate critiche da parte femminista. Ne cito due,
diverse, e riassuntive di tante altre: Teresa De Lauretis, di area americana, dopo aver os-
servato che
la teoria milanese della differenza sessuale (...) viene a elidere, a rimuovere, a negare il lesbi-
smo, ossia quella figura della soggettivit femminile che pi capace di significare non solo
eroticamente ma simbolicamente una sessualit femminile autonoma dallistituzione eteroses-
suale [trova molto preoccupante] lequazione tra madre simbolica e madre biologica propo-
sta da Muraro nel suo libro e lo slittamento del debito simbolico verso una gratitudine
obbligata a colei che ci ha dato la vita [pensando che] quella lingua appresa dalla madre sia
garanzia di una qualsiasi verit o libert femminile
51
.
Angela Putino vede il potenziamento di una forma pi primitiva del legame fra donne in
una parola irretita nellimmaginario, sempre prossima allorigine piuttosto che un po-
tenziamento dellelaborazione simbolica, cio della necessaria tensione allastratto, alla
47
Cfr. Diotima , Oltre leguaglianza. Le radici femminili dellautorit, Liguori, Napoli 1995, p. 43.
48
Cfr. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, cit., 1974.
49
Cfr. Diotima, Oltre leguaglianza, cit., pp. 40 e 41.
50
Cfr. C. Zamboni, N una n due. Lenigma di un eccesso nello spazio pubblico, in Diotima, Lombra della
madre, cit., p. 19.
51
Cfr. T. De Lauretis, Salve regina, in Sui generis, Feltrinelli, Milano 1996, pp. 169 e 183.
Gian Andrea Franchi
288
distinzione e alla separazione
52
e aggiunge: Che oggi questa sia una posizione compa-
tibile con le esigenze sociali, che si rappresentano in legami pi immaginari che simbo-
lici, daltra parte ovvio
53
. Sono entrambe critiche forti alla tematica dellaffidamento,
che vale soprattutto per i problemi che mette in luce. Tuttavia, il modello della madre
come datrice di capacit simbolica e non di leggi, illumina una questione importante, es-
sendo la capacit simbolica base dellautonomia personale. La relazione intersoggettiva,
inoltre, sia in piccoli che grandi insiemi, non pu prescindere da figure autorevoli, de-
positarie di capacit simboliche riconosciute e accettate, conseguenza del lungo proces-
so di formazione dellessere umano.
La tematica dellaffidamento diviene una ricerca pratica in alcuni ambiti, fra cui im-
portante la comunit filosofica Diotima, presso luniversit di Verona, comunit fem-
minile ma non separatista, comunit di
omosessualit femminile simbolica, [che] come tale non esclude n include unomosessualit
alla lettera, [in cui] la grandezza della madre simbolica pu essere affermata allo stato puro,
[dando] frutti di intelligenza, di libert, di agio, di piacere, di gioia. E quando queste cose
mancano, c la prova della fatica, della pazienza, della tenacia, che torna ugualmente a onore
della madre simbolica
54
.
Senza nascondere le notevoli difficolt teorico-pratiche di questa impostazione, in ogni
caso, essa ha posto la questione, finora storicamente paradossale, di unautorit, svinco-
lata dalla chiusura nel rapporto di potere, quale problema politico nuovo e ineludibile.
Verso luniversale singolare
Il percorso che ci indica il movimento delle donne mi sembra aprire a un nuovo con-
cetto delluniversale, non pi di tipo illuministico, quale era essenzialmente anche quel-
lo perseguito dal marxismo. A met Novecento Horkheimer e Adorno avevano gi in-
travisto che il felice connubio... fra lintelletto umano e la natura delle cose, di tipo
patriarcale
55
, denunciando i pericoli dellastrazione reale che nasconde le sue origi-
ni concrete: Luniversalit delle idee... il dominio nella sfera del concetto, si eleva sul-
la base del dominio reale
56
.
Il femminismo si appoggia sullindividuo incarnato, sempre situato, desiderante, ap-
passionato, abitato dalla differenza sessuale, da passioni e comportamenti erotici per-
versi, emarginato per il colore della pelle, per la condizione sociale, per il luogo di vita,
per mille altre differenze
57
. Lincarnazione fonda ab origine una comunanza relaziona-
52
Putino usa qui unaccezione dimmaginario e di simbolico di tipo lacaniano, per cui il primo senza il
secondo rimane al di qua del pensiero.
53
A. Putino, Amiche mie isteriche, Cronopio, Napoli 1998, p. 50.
54
Cfr. L. Muraro, Diotima comunit, in Diotima. Mettere al mondo il mondo, cit., pp. 191 passim.
55
Cfr. M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dellilluminismo, Einaudi, Torino 1966, p. 12.
56
Cfr. M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dellilluminismo, cit., p. 22.
57
Il tentativo pi notevole e coerente da me conosciuto di introdurre nel marxismo la tematica del corpo
erotico si deve a Luciano Parinetto, di cui v. Marx diverso perverso, Unicopli, Milano 1996.
Comunismo e femminismo
289
le fra singolarit: un concetto di universale delle singolarit aperto, in divenire, mai de-
finitivo che presuppone certo le trasformazioni storiche profonde e violente degli ulti-
mi secoli. Apre inoltre a una nozione di insieme politico basata sul carattere estatico, re-
lazionale, del corpo singolare e molteplice, aperto, proteso allaltro da s con le sue
passioni che fanno insieme. una logica politica diversa da quella logica del domi-
nio per cui lunit del collettivo... consiste nella negazione di ogni singolo
58
: un uni-
versale che unifica e sussume, che porter alla concezione leninista del partito a cui non
fu mai possibile contrapporre alternative efficaci. Le nostre societ hanno funzionato
secondo il modello delluno e del molteplice, della logica del medesimo, scrive Iri-
garay
59
. Con Irigaray e Muraro
60
si pu parlare di universale metonimico e non metafo-
rico, di universale per contagio e non per sussunzione alluno. una prospettiva la cui
ricchezza teoretica risente della stretta adesione a pratiche circonstanziate che, in gene-
re, si guardano bene dallergersi a modello generale, come avvenne invece con la rivo-
luzione dOttobre pur strettamente legata alle condizioni russe, malgrado gli inutili av-
vertimenti di Rosa Luxemburg, e sulla spinta potente di quel modello, anche il piccolo
gruppo politico sessantottesco assunse lo schema generale del partito.
La parte (femminile) che si separa dal tutto, e non per qualche suo interesse particolare ma
per difendere il vero e il giusto, parve senza statuto logico. Ma in realt, separandosi, essa non
faceva che mettere allo scoperto la parzialit e il privilegio che si nascondevano sotto le forme
delluniversale
61
.
Le donne si riconoscono a partire da un sesso o da un genere che, per, visto come par-
te del tutto dellumanit. La parte, affermandosi nella sua autonomia, non si pone come
tutto, producendo dunque unastrazione, un falso tutto, ma, riconoscendo laltra par-
te, afferma unidea del tutto come composto da parti che non si annullano ma si ricono-
scono come differenti. Ugualmente, nellinsieme delle donne, la singola non si identifi-
ca con linsieme annullando la sua singolarit: la singolarit del desiderio, del corpo, del
piacere. Anche lesperienza della maternit e della cura dei figli implica luno che si scin-
de nel due, il quale appare inizialmente come parte delluno materno, ma deve essere ri-
conosciuto in quanto autonomo e messo in grado di diventarlo effettivamente.
Lungo il percorso aperto dai pensieri del movimento delle donne possiamo quindi
intravvedere degli spunti per una logica della singolarit o degli insiemi politici come in-
siemi di singoli. In riferimento alla relazione fondamentale parte/tutto, pu essere som-
mariamente articolata in alcuni postulati, cristalli di una molteplicit di pratiche.
1. In un insieme di singoli la parte il singolo eccede il tutto: il singolo cio non pu
venir sussunto nel tutto dellinsieme ed identificarvisi.
Un secondo punto, che sorge dal primo, linsostituibilit del singolo:
2. Ogni singolo insostituibile e unico, quindi differente da ogni altro, ma gli equi-
58
Cfr. M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dellilluminismo, cit., p. 21.
59
Cfr. L. Irigaray, In tutto il mondo siamo sempre in due, cit., p. 355.
60
Cfr. L. Muraro, La maglia e luncinetto, Feltrinelli, Milano 1981.
61
Cfr. A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, in A.A.V.V., Diotima. Il pensiero della differenza
sessuale, cit., p. 20.
Gian Andrea Franchi
290
vale. Al contrario delluguaglianza, lequivalenza, che in tale contesto qualitativa e non
quantitativa come quella delle merci, non rifiuta ma implica la differenza. Da ci un ter-
zo punto:
3. In un insieme di singoli, i singoli sono non eguali ma equivalenti. Luguaglianza
un principio giuridico. Il denominatore comune in ogni essere umano cui va reso giusti-
zia. La differenza un principio esistenziale
62
. Ci significa che tutti i singoli hanno in
quanto tali pari dignit, pari valore; pi in generale pari statuto ontologico.
Il carattere qualitativo di questa logica delle relazioni politiche porta ad un quarto
punto:
4. Il singolo discernibile, esperibile solo per i suoi effetti; non , in quanto singolo,
una forma fissa, una identit definita una volta per tutte.
Il singolo si rende visibile quale nome proprio di una sempre singolare connessione
di molteplici forme identitarie su cui non si fissa.
Il singolo, nodo cruciale di relazioni, vis relazionale, quanto pi apre sequenze rela-
zionali tanto pi afferma la propria singolarit, quanto pi -per-laltro tanto pi -se-
stesso. Parlare di egoismo o di altruismo non ha senso: sono nozioni identitarie. Ci apre
spesso contraddizioni tra i diversi livelli del soggetto che, come individuo vivente ma an-
che come soggetto bisognoso didentit, pu consumare lenergia finita di cui dispone e
di conseguenza trovarsi a difendere contro gli altri la propria sopravvivenza, come nor-
malmente avviene. La logica della singolarit una logica del corpo, sessuato, normato
perch le norme segnano i confini dellesperibile, ma proteso oltre le definizioni norma-
tive e identitarie date.
Come detto nella nota che funge da premessa, ho cercato di toccare i temi del pen-
siero femminista che, a partire dalla mia storia e dalla mia esperienza, mi sembrano pi
innovativi, dando la parola ad alcune pensatrici che ritengo inaugurali o esemplari an-
che di altre posizioni. Altre, pure importanti, sono rimaste fuori per banali ragioni di
spazio.
Sono problemi aperti. Lapertura anzi costitutiva per la concezione di un universa-
le incarnato e contestuale, quindi molteplice, un universale della relazione fra differen-
ze, che sirradia, oltre ogni specifico contesto, in un continuo intreccio dialogico ed an-
che conflittuale. Lassolutezza valoriale, che secondo chi scrive deve pur esserci come
base etica della politica, non sta in un elemento permanente e sovrastante, quale una di-
namica storica generale impersonata da un determinato gruppo sociale o da chi per esso,
comera nella visione comunista e marxista, ma nellunicit e irriducibilit di ogni singo-
lo come centro di relazioni.
62
Cfr. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, cit., p. 20.
Comunismo e femminismo
291
BIBLIOGRAFIA
Nota. I testi utilizzati superano talora il termine cronologico del 1989 assegnato a questopera col-
lettiva, ma si tratta di problematiche continuamente riprese e sviluppate che hanno tutte la loro
matrice negli anni Sessanta e Settanta. Nellultimo ventennio il movimento delle donne non ha
fatto che sviluppare, precisare e approfondire con strumenti teorici magari pi elaborati le tema-
tiche fondamentali degli anni chiave. talora impossibile fissare dei limiti cronologici precisi a
complessi filoni problematici.
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Sezione terza
MARXISMO E RIVOLUZIONE
295
LA RIVOLUZIONE POSSIBILE.
SARTRE E IL MARXISMO
Vincenza Petyx
Guerra e Resistenza
Erano gli anni Trenta, sfilava per le vie di Parigi il Fronte popolare. Impalati sul marcia-
piede, lo abbiamo ammirato da lontano: cos, con critica ironia, Sartre ricorda il di-
simpegno della giovinezza
1
. Poi, nel precipitare drammatico della storia, con la guerra,
la prigionia, e la Resistenza, va in frantumi lindividualismo indifferente di quegli anni.
Roquentin, che dallalto della collina di Bouville guardava con disprezzo le passeggia-
te domenicali dei borghesi tra lodore dincenso della messa e il profumo delle pastarel-
le, giusta ricompensa per una vita dedita ai valori incarnati da Imptraz, lascia il posto
allintellettuale impegnato de Les Temps Modernes
2
. Se nellarte, dopo la discesa agli
inferi della nausea, Roquentin aveva trovato la sua solitaria salvezza, ora la figura rassicu-
rante dello scrittore, che scrive, canta, sospira, accusato di malafede. Al disinteresse
di Balzac per le giornate del Quarantotto, al silenzio colpevole di Flaubert dinanzi alla
repressione della Comune, fa da contraltare limpegno di Voltaire, di Zola, di Gide, che
misurarono la loro responsabilit di scrittori in precise circostanze. Loccupazione ci ha
insegnato la nostra
3
. E con la responsabilit ha dettato lurgenza di testimoniare la for-
za delle cose, lesperienza di qualche cosa che non era la mia libert e che mi governa-
va dallesterno
4
. Ma di questa esperienza restava tutta da scrivere la base teorica.
1
Autoportrait soixante-dix ans, in Situations, X, Politique et Autobiographie, Gallimard, Paris 1976, tr. it.
R. Gallerani (a cura di), Autoritratto a settantanni e Simone de Beauvoir interroga Sartre sul femminismo, Il
Saggiatore, Milano 1976, p. 53.
2
La nause, Gallimard, Paris 1938, tr. it. P. Caruso (a cura di), La nausea, Einaudi, Torino 1947. Cfr. F. Jean-
son, Sartre par lui-mme, ditions du Seuil, Paris 1955.
3
Prsentation, Les Temps Modernes, 1 (1945), poi in Situations, II, Gallimard, Paris 1948, tr. it. Presenta-
zione di Les Temps Modernes, in F. Brioschi (a cura di), Che cos la letteratura, Il Saggiatore, Milano 1976,
Appendice 1, pp. 199-200.
4
Sartre par Sartre, in Situations, IX, Mlanges, Gallimard, Paris 1972, tr. it. F. Fergnani e P.A. Rovatti (a cura
Vincenza Petyx
296
Nella conferenza al Club Maintenant, la mise au point dellesistenzialismo contro le
critiche di marxisti e cattolici delineava infine ununiversalit umana di condizione in cui
ognuno, con la propria libert, obbligato a volere la libert degli altri
5
. A Pierre Na-
ville, che questa universalit accusava di radical-socialismo o liberalismo umanista pre-
marxista, Sartre ribatteva: Le sfuggito, a questo proposito, che noi aderiamo a mol-
te definizioni di termini del marxismo (...). Il vero problema, per noi, sta nel definire a
quali condizioni ci sia universalit. Dichiarando cos il suo accordo su un preciso pun-
to: ogni epoca si svolge seguendo leggi dialettiche e gli uomini dipendono dallepoca e
non da una natura umana, riconduceva la situazione al complesso delle condizio-
ni materiali
6
.
Senza voler riflettere sui lavori che risalgono allimmediato dopoguerra elaborazio-
ni successive, per indubbio che la mise au point iniziava a ripensare il nodo teorico li-
bert-situazione. Nellintervista alla New Left Review del 1969, alla domanda di quali
fossero i rapporti tra i primi scritti filosofici e la svolta della Critique de la raison dialecti-
que, Sartre risponder che la questione stava nel suo incontro col marxismo, anche se il
problema dellemancipazione rimaneva da discutere alla luce della libert, perch la li-
bert le propre delluomo. Irriducibilmente cambiata, per, la indeterminatezza stori-
ca della situazione. Citando da una sua vecchia prefazione: In qualunque circostanza,
in qualunque luogo, un uomo sempre libero di decidere, Sartre commentava scanda-
lizzato: Incredibile, lo pensavo veramente!
7
. Pensava, cio, che anche in catene, anche
sotto le tenaglie del boia, come lamico Georges Politzer torturato e ucciso dai nazisti,
luomo restasse libero perch quella situazione era stata da lui scelta.
Dalla commedia tragica della libert assoluta lintellettuale de Les Temps Moder-
nes prende dunque congedo, schierandosi a fianco di chi vuole mutare insieme la con-
dizione sociale delluomo e la concezione che egli ha di se stesso
8
. In ricordo di Mer-
leau-Ponty, Sartre scriver: Questa borghesia ci aveva generato: noi avevamo ricevuto,
in eredit, la sua cultura e i suoi valori; ma loccupazione e il marxismo ci avevano inse-
gnato che n luna n gli altri si reggevano da soli
9
. Era necessaria, in altre parole, una
critica ideologica dellumanesimo borghese per svelare le contraddizioni tra i suoi sban-
dierati valori, libert ed eguaglianza, e le molteplici forme di alienazione a cui la socie-
t capitalistica condanna luomo. Nella consapevolezza di essere intellettuali borghesi in
rotta con la propria classe, ma al tempo stesso coscienza critica del marxismo, Sartre af-
fronta il complicato caso del materialismo e della rivoluzione.
di), Sartre visto da Sartre, in Materialismo e Rivoluzione, Il Saggiatore, Milano 1977, p. 148. Si tratta della inter-
vista rilasciata da Sartre alla New Left Review nel 1969 col titolo Itinerary of a Thought.
5
Lexistentialisme est un humanisme, Nagel, Paris 1946, tr. it. Lesistenzialismo un umanismo, Mursia,
Milano 1963, pp. 71, 84.
6
Ibid., pp. 100-101, 124-126.
7
Sartre visto da Sartre, cit., pp. 149-150. Cfr. ancora in proposito La confrence de Araraquara. Philosophie
marxiste et idologie existentialiste, Editora Paz e Terra, Rio de Janeiro 1986, tr. it. Esistenzialismo e marxismo,
Abramo Editore, Milano 1991, pp. 56-57. La conferenza del settembre 1960.
8
Presentazione di Les Temps Modernes, cit., p. 203.
9
Merleau-Ponty, vivant, Les Temps Modernes, 184-185 (1961), poi in Situations, IV, Portraits, Gallimard,
Paris 1964, tr. it. Merleau-Ponty, vivo, in Il filosofo e la politica, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 184.
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
297
Il dilemma del rivoluzionario
Poich mi si rimproverato, non in buona fede, di non citare Marx in questo articolo,
preciso che le mie critiche non si rivolgono tanto a lui, quanto alla scolastica marxista del
1949, o, se si preferisce, a Marx visto attraverso il neomarxismo staliniano: cos Sartre
nella ristampa di Matrialisme et Rvolution
10
. La precisazione non impression i criti-
ci, i quali continuarono a liquidare come ingenuo il materialismo con cui Sartre aveva
voluto fare i conti; e continu, e continua, a restare controversa la questione se, nono-
stante le opacit, il saggio costituisse linizio della lunga marcia di avvicinamento al mar-
xismo, base teorica dellimpegno rivoluzionario
11
. Non poteva del resto, la precisazione
sartriana, far cambiare opinione ai custodi dellortodossia, perch non tanto signifi-
cava che anche Marx cadeva sotto la lente critica di Sartre, e per sapere quale Marx
bastava andare alla nota 20: dopo il suo funesto incontro con Engels
12
. Tuttavia, con
lobiettivo polemico, questa cesura fa entrare sulla scena il giovane Marx, e abbozza lar-
mamentario critico che nelle Questions de mthode servir a sgretolare, sul piano teori-
co e metodologico, il materialismo dialettico. E con Marx la spinosa questione dellalie-
nazione, dato ontologico insuperabile ne Ltre et le nant, trova adesso, icasticamente,
il suo progetto di soluzione: una libert alienata che si posta come fine la libert
13
.
Resta in ogni caso il carattere problematico della storia. Il male non si risolve in un ar-
monico ordine superiore, come pretende lottimismo razionalistico, scriver nel 1963 in
una lettera pubblicata su lUnit. Sofferenze, sconfitte, progetti falliti, rientrano nella
tragicit della storia. Perch la storia tragica, lo diceva Hegel, lo diceva Marx
14
.
In definitiva la prospettiva storica legata alla finitudine dellesistente, con il suo cor-
redo di angoscia e responsabilit, lontana da illusioni messianiche e facili ottimismi,
non abbandoner mai il lavoro sartriano. In questa prospettiva si dipana la domanda
che apre il saggio del 1946: il materialismo la filosofia rivoluzionaria? La questione sta
tutta qui, perch i giovani restano sulla soglia del comunismo senza osare n entrar-
vi n allontanarsene
15
. Pur nellimpazienza dellimpegno, consapevoli che lidealismo
il mito delle classi possidenti, non sono tuttavia convinti dal materialismo, che ridu-
ce il mondo, con luomo dentro, a un sistema di oggetti, che pretende di essere scien-
tifico, ma si traduce in una nuova metafisica
16
. Per Roger Garaudy non v sapere legit-
timo al di fuori del sapere scientifico; cade per in palese contraddizione nel momento
in cui, abbandonando lo spirito critico della scienza, si arroga un punto di vista oggetti-
vo sullessere. Cos il materialismo si torce in metafisica: negato dio, il materialista si so-
stituisce a dio per contemplare luniverso. Ma se la coscienza semplice epifenomeno
10
Matrialisme et Rvolution, Les Temps Modernes, 9-10 (1946), poi in Situations, III, Gallimard, Paris
1949, tr. it. Materialismo e Rivoluzione, cit., nota 1, p. 127.
11
Esemplare a tale proposito G. Lukcs, Existentialisme ou marxisme?, Nagel, Paris 1948.
12
Materialismo e Rivoluzione, cit., p. 129.
13
Ibid., p. 113.
14
Discussion sur la critique propos de Lenfance de Ivan, in Situations, VII, Problmes du marxisme, Galli-
mard, Paris 1965, pp. 339-340.
15
Materialismo e Rivoluzione, cit., pp. 54-55.
16
Ibidem.
Vincenza Petyx
298
dellessere materiale, come potr tale coscienza pronunciarsi sulle strutture dellesse-
re?. In breve, il materialismo non spiega la soggettivit del materialista, e tanto meno
la coscienza rivoluzionaria
17
.
Allaccusa di confondere vecchio materialismo e materialismo dialettico, Sartre
obietta che la confusione sta nella testa dei materialisti. Col passaggio della dialettica dal
cielo alla terra, essi rovesciano semplicemente il giuoco dellidealismo, sostituiscono a
una soggettivit assoluta unoggettivit altrettanto assoluta, dando il colpo di grazia alla
storia reale delluomo
18
. Nei loro viaggi di andata e ritorno tra storia e natura, almanac-
cano infatti su una presunta storia naturale, attribuendo alla natura il movimento to-
talizzante della storia, e ingabbiando la storia nella necessit deterministica della natura.
Ma come pu trovare posto nella materia, ambito del procedimento analitico-causale,
quel movimento di interiorizzazione assoluta, cio presa di coscienza e trascendimen-
to, che la dialettica?
19
Con un atto di transustanziazione i marxisti lhanno reso possi-
bile trasformando la materia in idea di materia, e dotandola dello sviluppo sintetico
proprio dellidea, che progredisce attraverso un arricchimento costante
20
. In una uni-
t ingannevole di opposti, il materialismo scivola nellidealismo. Il cerchio si chiude sul-
la questione della sovrastruttura, altro punto dolente.
Stalin accusava di idealismo chi non riconosceva il rapporto deterministico tra strut-
tura e sovrastruttura: la filosofia di Spinoza singegnava infatti a spiegare un giovane
entusiasta riflette il commercio delle granaglie in Olanda
21
. Al tempo stesso, per, per
i bisogni della propaganda, riconosceva allideologia una sufficienza dessere e dazio-
ne, ovvero idee e teorie sorgono perch necessarie, con la loro azione organizzatrice,
mobilizzatrice, trasformatrice, a risolvere i problemi urgenti che lo sviluppo della vita
materiale della societ comporta
22
. Il rapporto causale lascia il posto a un movimento
dialettico tra piano strutturale e sovrastrutturale. Chiamati a sciogliere una buona vol-
ta questa contraddizione, i marxisti affermano essere il materialismo un metodo, una
direzione dello spirito. Sartre concorda. Il materialismo dialettico una direzione del-
lo spirito, ma dello spirito di seriet, di chi in fuga dalla responsabilit delle scelte at-
tribuisce a cose, mondo, e storia, significati oggettivi e valori trascendenti la sua sogget-
tivit, cercando sicurezza in un desoggettivato pensiero collettivo. Per concludere, il
materialismo un proteo inafferrabile che pone chi ha dichiarato la propria scelta rivo-
luzionaria dinanzi a una drammatica alternativa: o tradire il proletariato per servire la ve-
rit, o tradire la verit per servire il proletariato
23
. Affermazione categorica che, in unal-
talenante imputazione di errori e disoccultamento di verit, va sfumando nel momento
in cui Sartre affronta la costruzione della filosofia rivoluzionaria.
17
Ibid., pp. 56-57.
18
Ibid., pp. 74-75, 100-101.
19
Ibid., pp. 61-62, 67-68, 70.
20
Ibid., p. 77.
21
Ibid., pp. 78, 71.
22
Ibid., pp. 72-73.
23
Ibid., pp. 74-75, 82-83.
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
299
Grazia dello spirito e Untermenschen
Il materialismo non filosofia e tanto meno la verit, e tuttavia non lo si pu liquidare
come il capriccio di un intellettuale, o lerrore di un filosofo, se milioni di uomini vi tro-
vano una speranza e limmagine della loro condizione di oppressi. Mito, dunque, il ma-
terialismo, che ha avuto lindiscutibile merito pratico di mobilitare le forze rivoluziona-
rie, e sostenerle nei momenti di crisi. Non verit, ma imbastito di verit, che il filosofo
deve recuperare per una rigorosa filosofia rivoluzionaria
24
. Tradotte in sistema categoria-
le le relazioni di dipendenza, dalla natura e dagli altri, che quotidianamente lo sfruttato
vive attraverso il lavoro, il materialismo ha svolto al contempo una funzione catartica
25
.
Con la figura hegeliana servo-padrone, mediata dalla lettura di Kojve, Sartre co-
glie nel lavoro un rapporto dialettico di asservimento e disasservimento: asservimento,
perch nello sfruttamento capitalistico al lavoratore viene rubato il prodotto del suo
lavoro, e del lavoro sono imposti tempi, forme, gesti, sino a fare delloperaio taylori-
sta luomo di una sola operazione; disasservimento, perch tra le maglie del determi-
nismo il lavoro lascia trasparire limmagine di una concreta libert, facendo percepire
al lavoratore il dominio che egli esercita sulla materia. E smaschera i falsi profeti del-
la libert interiore, che rafforzano le catene nascondendole
26
. Mentre il padrone riduce
dunque il lavoratore a Untermensch, e lo confina nel regno della natura, di ci che esi-
ste senza avere diritto a esistere, il lavoro primo atto rivoluzionario inizia la libera-
zione delloppresso facendogli prendere coscienza dessere il sostegno dellintera socie-
t
27
. Cos, la classe che si autorappresenta come spiritualmente eletta per diritto divino,
nella sua dipendenza dalla classe inferiore, ridotta a semplice epifenomeno
28
. Sco-
perta la comune appartenenza alla specie umana, apparizione ingiustificabile e contin-
gente, proclamata ununiversale necessit di natura, loppresso incatena alla stessa con-
tingenza e necessit gli unti del Signore, e svela non esservi provvidenza che giustifichi
il loro ordine
29
.
Se da un canto, nelluniversale riduzione naturalistica, il lavoratore continua dunque
a vedersi attraverso gli occhi del padrone, dallaltro dichiara di voler sostituire al cieco
ordine naturale un assetto razionale dei rapporti umani: lantifusis del marxismo, il re-
gno della libert, di unumanit finalmente emancipata, che si contrappone, e segue, al
regno della necessit, di rapporti oggettuali alienati. Ma nel trapasso dalla necessit alla
libert si rivela linsufficienza teorica del materialismo, perch quel trapasso non frut-
to, a sua volta, della necessit, ma di una precisa scelta: rassegnazione o rivoluzione. E
la scelta per la rivoluzione, lintento cio di trascendere il presente verso il futuro, pre-
figura il passaggio dallessere-oggetto al farsi-soggetto, e d corpo allesigenza di unau-
tentica filosofia rivoluzionaria. Umanismo rivoluzionario, la definisce Sartre, che supera
24
Ibid., pp. 83-84.
25
Ibid., p. 88.
26
Ibid., pp. 104, 102.
27
Ibid., pp. 92-93, 103-104, 107, 124.
28
Ibid., p. 107. Cfr. in proposito F. Fergnani, La cosa umana. Esistenza e dialettica nella filosofia di Sartre,
Feltrinelli, Milano 1978, p. 71.
29
Materialismo e Rivoluzione, cit., pp. 94-98, 102.
Vincenza Petyx
300
lidealismo borghese e il mito materialistico; e non filosofia di una classe soltanto, perch
deve enunciare la verit sulluomo, quella rivoluzionaria verit conquistata attraver-
so le lotte sociali degli uomini che lavorano alla liberazione delluomo
30
.
Contro lideologico pensiero della classe dominante, che ipostatizza il mondo poich in-
tende conservarlo immutato, la filosofia del lavoro mostra che la realt delluomo azio-
ne (...) e che lazione rivelazione della realt e nello stesso tempo trasformazione di essa
31
.
Esattamente ci che Marx nelle Tesi su Feuerbach definiva materialismo pratico, sul cui
contenuto Sartre dichiara totale accordo, ma disaccordo sulla categoria: perch chiamarlo
materialismo?
32
. Su questo interrogativo si apre da un lato il differente percorso della Cri-
tique, emerge dallaltro il filo rosso del realismo che, contro il giovanile irrealismo ideali-
stico, dichiara impossibile una soggettivit fuori dal mondo, ma contro il materialismo dia-
lettico dichiara impossibile un mondo non illuminato dallo sforzo della soggettivit
33
. Ci
significa che il gioco della storia non fatto. Il socialismo non attende a una svolta della sto-
ria, come il brigante dietro langolo della strada. La conquista della libert aspra e lenta, e
lavvento del socialismo impegna il rivoluzionario a definire la natura stessa del socialismo.
La scelta tra socialismo o barbarie non deve far dimenticare che ci possono essere diverse
barbarie, diversi socialismi e forse anche un socialismo barbaro
34
.
Compagno di strada
Con questo bagaglio teorico, Sartre affronta il problematico rapporto col PCF. Conti-
nuare a credere nella validit dellesperienza sovietica comportava sostenere i partiti che
dalla rivoluzione del 1917 attingevano il modello di una societ finalmente umana. Una
scelta resa impellente dal dopoguerra. La crisi economica che investiva pesantemente la
classe operaia, la guerra in Indocina e Corea che vide portuali e ferrovieri rifiutarsi di
scaricare materiale bellico americano, lo sciopero nel maggio del 1952 contro la visita
del generale Ridgway, larresto del dirigente comunista Duclos e i sospetti sul tentativo
di mettere fuori legge il PCF, rappresentano il contesto in cui matura lesperienza vera,
quella della societ
35
. In un celebre passo delle Questions de mthode, illuminante an-
che da un punto di vista metodologico, Sartre tradurr il significato di questa esperien-
za. Ricordando i suoi ventanni allUniversit, scrive:
In quellepoca lessi Il Capitale e LIdeologia tedesca: capivo tutto luminosamente, e non capivo
proprio niente. Capire mutare se stessi (...) quella lettura non mi mutava affatto. Ma quello che
30
Ibid., pp. 99, 113, 124-125.
31
Ibid., p. 91.
32
Ibid., nota 16, p. 129. K. Marx, Thesen ber Feuerbach, Stuttgart 1888, tr. it. F. Codino (a cura di), Tesi su
Feuerbach, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1972, vol. V, pp. 3-7.
33
Materialismo e Rivoluzione, cit., p. 116.
34
Ibid., pp. 116, 113, 123.
35
Sartre visto da Sartre, cit., p. 150. Ph. Gavi, J.-P. Sartre, P. Victor, On a raison de se rvolter, Gallimard,
Paris 1974, tr. it. Ribellarsi giusto. Dal maggio 68 alla controrivoluzione in Cile, Einaudi, Torino 1975, pp.
20-21.
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
301
cominciava a mutarmi, invece, era la realt del marxismo, la pesante presenza, al mio orizzonte,
delle masse operaie, corpo enorme e cupo che viveva il marxismo, che lo praticava (...)
36
.
Nella cornice di impegnativi avvenimenti per la sinistra, scelte politiche e riflessione teo-
rica continuano a intrecciarsi con il vissuto della classe operaia, ma con lavvertenza di
non confondere, senza mediazioni, piano politico e teorico. Esemplare in proposito Les
communistes et la paix. Nato dallindignazione per i fatti del Cinquantadue, il saggio af-
ferma lidentit dinteressi tra il proletariato e lURSS, rivendica il sostegno al PCF, perch
senza partito non v unit di classe, non v azione rivoluzionaria
37
. Laccusa di ultra-
bolscevismo, e ipersoggettivismo, fu immediata
38
. Le strade di Sartre e Merleau-Ponty
divergono definitivamente.
Ma lessere compagno di strada del PCF non significava affatto una concezione
soggettivistica della classe, n adesione al materialismo dialettico. Il regime di produzio-
ne condizione necessaria dellessere-classe, anche se non sufficiente: occorre la praxis.
E con la prassi, la funzione del partito. Se dinanzi al consacrato ordine borghese, che sta-
bilisce il codice della giustizia, ogni atto di forza del proletariato appare una manifesta-
zione di violenza, alla luce della societ futura questa violenza umanesimo positivo,
perch il modo con cui loperaio afferma la sua realt di uomo, e rivendica nuova giu-
stizia. Su questa eruzione immediata della violenza interviene il partito, che si pone
in rapporto dialettico con la classe: la violenza operaia costituisce infatti la sostanza e
la forza del partito, il partito ne la rappresentazione mediata, cosciente, resa mani-
festa, la traduce cio in azione rivoluzionaria
39
. E se linsieme storico, che decide in
ogni momento dei nostri poteri, prescrive i loro limiti al nostro campo dazione e al no-
stro avvenire reale, struttura la trama in cui sinserisce la prassi, non viene per meno
langosciante assunzione di responsabilit
40
. Goetz aveva gi incarnato questo tormen-
tato realismo, consapevole del compito prescritto dalla situazione storica, ma anche dei
rischiosi contraccolpi che i mezzi possono avere sul fine
41
. Il dilemma di Goetz si ripro-
pone con linvasione dellUngheria, quando ancora una volta sar la storia a sollecitare
una riflessione critica su scelte e progetti.
Messe in crisi le relazioni con LURSS e il sostegno al partito comunista, Sartre com-
menta che se la strategia politico-ideologica dellUnione Sovietica era inizialmente giu-
stificata per le condizioni di accerchiamento in cui si trovava il paese, ora va perdendo
36
Questions de mthode, Les Temps Modernes, 139-140 (1957), poi come premessa alla Critique de la Rai-
son dialectique, t. I: Thorie des ensembles pratiques, Gallimard, Paris 1960, tr. it. P. Caruso (a cura di), Critica
della ragion dialettica, I, Teoria degli insiemi pratici, 2 voll., Il Saggiatore, Milano 1963, vol. 1, p. 25.
37
Les communistes et la paix, Les Temps Modernes, 81, 84-85 (1952), 101 (1954), poi in Situations, VI,
Problmes du marxisme, Gallimard, Paris 1964, pp. 92-93, 195-197.
38
Cfr. M. Merleau-Ponty, Les aventures de la dialectique, Gallimard, Paris 1955, tr. it. Umanismo e terro-
re Le avventure della dialettica, Sugar, Milano 1965. Humanisme et terreur era stato pubblicato da Galli-
mard nel 1947. Per laccusa di ipersoggettivismo, C. Lefort, Le Marxisme et Sartre, Les Temps Modernes,
4 (1953), pp. 1541-1570.
39
Les communistes et la paix, cit., pp. 198-199, 149-151, 206-209.
40
Ibid., p. 184.
41
Le Diable et le bon Dieu, Gallimard, Paris 1951, tr. it. Il Diavolo e il buon Dio, Mondadori, Milano 1976.
Cfr. in proposito P. Verstraeten, Violence et thique, Gallimard, Paris 1972, pp. 73-74.
Vincenza Petyx
302
le oggettive motivazioni. E tuttavia le cose non sono cos semplici. Laccusa di imperia-
lismo vera e ingiusta al tempo stesso. LURSS ha ritenuto infatti che gli interessi nazio-
nali dovessero identificarsi con quelli del socialismo. Ma se il fine giustifica i mezzi,
indispensabile il correttivo che i mezzi definiscono a loro volta il fine. Il carattere pre-
datorio rivestito dallURSS in questa circostanza, nonostante non ne avesse lintenzione,
rischia di riflettersi sul socialismo
42
. La contraddizione drammatica per uomini e parti-
ti della sinistra sta dunque nel fatto che il socialismo punto di riferimento assoluto per
la valutazione di un atto politico, e lUnione Sovietica necessaria alla causa del sociali-
smo. Ma per servire questa causa deve restare socialista
43
.
Due le questioni che linvasione dellUngheria, e il XX congresso del PCUS, pon-
gono come ineludibili. La prima, di ordine politico, riguarda la destalinizzazione del
PCF, la ripresa di contatto con le masse, la mobilitazione contro la guerra di Algeria.
La seconda, di ordine teorico, ha alle spalle il gi lungo cammino della polemica con
il materialismo dialettico. Ma nelle Questions de mthode lassunzione del materiali-
smo storico a filosofia rivoluzionaria riveste la polemica con il DIAMAT di ben altro si-
gnificato e portata.
La dialettica della violenza
Con la guerra di liberazione algerina lumanesimo borghese perde definitivamente la
maschera: Occorre affrontare questo spettacolo inaspettato: lo strip-tease del nostro
umanesimo. Eccolo qui nudo, non bello: non era che una ideologia bugiarda, la squisi-
ta giustificazione del saccheggio. Le sue tenerezze, il suo preziosismo garantivano le no-
stre aggressioni
44
.
Fucilate Sartre, gridavano i manifestanti che nellottobre 1960 sfilavano a soste-
gno dellAlgeria francese, mentre attacchi dinamitardi mettevano a soqquadro lappar-
tamento di rue Bonaparte. Imperterrito Sartre invitava a riflettere, perch:
Voi sapete bene che siamo degli sfruttatori (...) che abbiamo preso loro e i metalli, poi il petro-
lio dei continenti nuovi (...) non senza risultati eccellenti: palazzi, cattedrali, citt industriali;
e poi, quando la crisi minacciava, i mercati coloniali erano l per estinguerla e stornarla (...)
un uomo da noi vuol dire un complice, giacch abbiamo approfittato tutti dello sfruttamento
coloniale
45
.
La Prface del 1961 a Les damns de la terre di Franz Fanon, psichiatra della Martini-
ca, militante del FLN, latto daccusa sartriano contro la guerra dAlgeria che ha avu-
to maggiore risonanza. Ma in essa trovano sintesi le riflessioni iniziate nel gennaio 1956
42
Le fantme de Staline, Les Temps Modernes, 129-131 (1956-1957), poi in Situations, VII, Problmes du
marxisme, Gallimard, Paris 1965, tr. it. Il fantasma di Stalin, in Il filosofo e la politica, cit., pp. 94-95.
43
Ibid., p. 94, 98.
44
F. Fanon, Les damns de la terre, Maspero, Paris 1961, prface de J.-P. Sartre, tr. it. I dannati della Terra,
prefazione di J.-P. Sartre, Edizioni di Comunit, Torino 2000, pp. LIV-LV.
45
Prefazione, p. LV.
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
303
con lintervento allincontro organizzato da un gruppo di intellettuali per la pace in Al-
geria, ripreso nellarticolo Le colonialisme est un systme del marzo successivo, e conti-
nuate nel corso degli anni da una lunga serie di lavori, tra i quali particolarmente signifi-
cativi Vous tes formidables e Une victoire, anche per gli avvenimenti che ne costituivano
il contesto: i pieni poteri ottenuti nel marzo 56 dal presidente Guy- Mollet per una so-
luzione militare; il clamore suscitato nel marzo 1957 dalle testimonianze, raccolte in vo-
lume, sulluso della tortura; la pubblicazione nel febbraio 58 del manoscritto, giunto
clandestinamente in Francia, di Henri Alleg, militante del Partito comunista algerino,
arrestato dai par nel giugno 1957, e torturato nel centro di smistamento di El-Biar; laf-
faire Maurice Audin, giovane assistente alla Facolt di Scienze di Algeri, amico di Alleg,
strangolato dopo giorni di tortura
46
. E allora, dinanzi agli orrori del colonialismo, a que-
sti nostri metodi di pacificazione, Sartre smaschera la malafede di chi veste una falsa
ingenuit, di chi resta in un silenzio complice con le mistificazioni dei governanti, con
il tradimento della verit che i massmedia, nella loro canina fedelt al potere, compio-
no quotidianamente, tranne allestire poi il baraccone di lacrimevoli trasmissioni per soc-
corsi umanitari. Nascondere, ingannare, mentire: un dovere, per gli informatori della
Metropoli, sindigna in Vous tes formidables, rivolgendo la propria indignazione an-
che contro Le monde, che aveva dapprima richiesto larticolo e poi rifiutato la pub-
blicazione per la radicalit delle accuse
47
. Ma si pu tacere luso della tortura? Intanto
il libro di Alleg veniva sequestrato il mese successivo alla pubblicazione, e nello stesso
marzo posto sotto sequestro il settimanale LExpress per larticolo di Sartre sulle de-
nunce di Alleg
48
. Scriveva Sartre: Sapete cosa si dice a volte per giustificare i carnefici:
bisogna pur decidersi a tormentare un uomo, se le sue confessioni permettono di rispar-
miare centinaia di vite
49
. Ma la tortura non un caso eccezionale, giustificabile con un
calcolo di costi-benefici. N semplice opera di un pugno di pazzi, come taluni voglio-
no far credere.
La tortura fa parte integrante del sistema colonialistico; una delle molte forme di
violenza che accompagna loccupazione militare del territorio: violenza economica del-
lo sfruttamento che, nella inesorabile legge del capitalismo, attraverso saccheggi, de-
predazioni, confische delle terre, ha creato un immenso proletariato agricolo e urbano;
violenza politica con limposizione del sistema classistico, ma senza i diritti della demo-
crazia borghese, e la creazione di una borghesia fantoccio, che alloppressione di classe
aggiungeva la discriminazione razziale; violenza culturale per piegare lorgoglio dei co-
lonizzati, sradicando tradizioni e cultura, imponendo una lingua che non la loro; vio-
lenza fisica, fatta di stupri, rappresaglie, esecuzioni sommarie, e tortura, appunto, per
46
Di P. Vidal-Naquet cfr. Laffaire Audin, dition de Minuit, Paris 1958, II ed. 1989, e Torture: Cancer of
Democracy, France and Algeria 1954-1962, Penguin Books, New York 1963, tr. it. Lo Stato di Tortura. La guerra
dAlgeria e la crisi della democrazia francese, Laterza, Bari 1963.
47
Vous tes formidables, in Situations, V, Colonialisme et no-colonialisme, Gallimard, Paris 1964, pp. 57-67,
in particolare pp. 57, 59, 65-66.
48
H. Alleg, La Question, ditions de Minuit, Paris 1958, tr. it. La tortura, Einaudi, Torino 1958; J.-P. Sartre,
Une victoire, in Situations, V, cit., pp. 72-88.
49
Ibid., pp. 80-81.
Vincenza Petyx
304
strappare confessioni e informazioni
50
. Una spirale di violenza senza fine, che ha ridotto
interi popoli come direbbe Marx, in una condizione di sub-umanit
51
.
Il fatto che la cancrena del fascismo non circoscritta allAlgeria occupata, ma col
suo razzismo sta nuovamente infettando (perch non si pu dimenticare Vichy) la vita
pubblica francese
52
. Il corpo elettorale un tutto indivisibile; quando arriva la cancre-
na, si estende immediatamente a tutti gli elettori, scrive nel settembre 1958 a proposi-
to della Costituzione della Quinta Repubblica
53
. In unanalisi che intreccia lo sguardo
del colonizzato e del colonizzatore, Sartre dichiara quindi non pi rinviabile la scelta tra
combattere il fascismo a fianco degli Algerini, oppure soccombervi
54
. In questa alterna-
tiva sta il significato della Prface: Rubo il libro di un nemico e ne faccio mezzo per la
salvezza dellEuropa
55
.
Punto di partenza la tesi engelsiana della violenza ostetrica della storia, di cui Fa-
non ricostruisce la dialettica
56
. Smontando il meccanismo delle nostre alienazioni, Fa-
non permette alleuropeo di guardarsi nella sua verit, e guardare quella verit che nelle
colonie nuda, ma nelle metropoli gli Europei hanno voluto ideologicamente vestita
57
.
LEuropa si era creata un indigenato a suo uso e consumo, sfigurato dalla nostra cultu-
ra, balbettante parole che non comprendeva. Ellenizzare gli Asiatici, creare una nuova
stirpe di greco-latini in Africa: questa andava dicendo lEuropa la mia missione. Poi
dallAfrica iniziarono a levarsi voci non addomesticate, che parlavano del nostro uma-
nesimo per rimproverarci la nostra disumanit. LEuropa rimase stupita: quelle boc-
che sapevano parlare (e pensare) da sole. In ogni caso non poteva acconsentire alla ri-
chiesta dintegrazione che risonava nella loro protesta. Ne avrebbe patito il sistema che
poggia sul supersfruttamento
58
. Poteva per usarla come carota per tenere buoni i colo-
nizzati. E poi cera sempre un premio Gongourt pronto a gratificare i neri
59
. Ma il libro
scandaloso di Fanon liquida il tempo dei Gongourt neri e dei Nobel gialli. Lo scan-
dalo sta nella diagnosi: lEuropa in agonia. Che poi la vecchia Europa sopravviva o
crepi, Fanon se ne infischia: Abbandoniamo questa vecchia Europa che non finisce
di parlare delluomo pur massacrandolo ovunque lo incontri (...), in nome di una prete-
sa avventura spirituale soffoca la quasi totalit dellumanit
60
. La complicit tra metro-
politani e agenti coloniali svelata; smascherato lipocrito chiacchiericcio sui valori di
libert, eguaglianza, fraternit, amore, onore, patria, che non impediscono discorsi raz-
zisti, conditi di porco negro, porco ebreo, porco arabo; smascherata lastratta po-
50
Le colonialisme est un systme, in Situations, V, cit., pp. 25-48, in particolare pp. 31-44; Vous tes formida-
bles, cit, p. 57; Une victoire, cit., p. 86. Sul significato che la guerra dAlgeria ebbe per lelaborazione teorica
della rart cfr. P. Chiodi, Sartre e il marxismo, Feltrinelli, Milano 1965, p. 146.
51
Portrait du colonis, in Situations, V, cit., pp. 48-56, per la citazione pp. 50-51.
52
Le colonialisme est un systme, cit., p. 47.
53
La Constitution du mpris, in Situations, V, cit., pp. 102-112, in particolare p. 105.
54
Le colonialisme est un systme, cit., p. 48.
55
Prefazione, cit., p. XLVI.
56
Ibid., p. XLVII.
57
Ibid., pp. XLI, XLVI.
58
Ibid., pp. XLI-XLII.
59
Ibid., p. XLII.
60
F. Fanon, I dannati della terra, cit., pp. 227-230.
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
305
stulazione di universalit che serve a coprire pratiche pi realistiche
61
. Queste pratiche
sono la verit nuda delle colonie.
Scioperati, fannulloni invidiosi, cos la borghesia ha sempre considerato gli operai; e
tuttavia ha dovuto ammettere questi ferini nel club della specie umana, perch lo esi-
geva il capitalismo
62
. Secondo linsegnamento marxiano, soltanto uomini liberi, padroni
delle loro braccia, potevano infatti vendere sul mercato la loro forza-lavoro. Ma al di l
dei mari si estendevano terre ricche di risorse e uomini. Vi era per limpiccio delluma-
nesimo universale, che considera reato asservire con la forza il proprio simile, spogliarlo,
ucciderlo. Si applic allora il numerus clausus al genere umano. Per usare quegli uomini
come bestie da soma bisognava abbassarli al livello di scimmia, scimmia superiore certo,
che forse tra un migliaio danni con laiuto degli Europei si sarebbe civilizzata, ma sem-
pre scimmia. Insomma, il colonizzato non il simile delluomo
63
. Al momento, dun-
que, niente uomini liberi, niente contratti, niente diritti. Al momento, lavoro forzato e
ipersfruttamento per questi sub-uomini. Fucile per tenerli a bada, scudiscio per costrin-
gerli al lavoro. Paura e vergogna hanno completato la disintegrazione della loro perso-
na. Se resistono, i fucili sono pronti a sparare; se cedono, si degradano, non sono pi uo-
mini
64
. Inizia il secondo momento della violenza.
La violenza dei conquistatori viene interiorizzata dai colonizzati, si trasforma in ter-
rore, dinanzi ai mezzi di repressione, ma anche dinanzi alle pulsioni omicide che li in-
vadono, che si torcono contro loro stessi scatenando lotte tribali fratricide, rinnovando
vecchi crudeli miti religiosi
65
. Tornano certi passaggi marxiani sulla religione oppio del
popolo, che serve a placare la sofferenza, ma delle sue cause falsa coscienza, che nella
sua povert riflette la povert in cui vive luomo, ma al tempo stesso, nella scissione alie-
nante tra al di qua e al di l, misura della sofferenza e prima forma di protesta contro di
essa. Per difendersi dalla disperazione e dallumiliazione, dal dolore dello sfruttamento,
i colonizzati innalzano barriere soprannaturali, si sfiancano in danze sacre, subiscono nei
loro riti nevrotiche scissioni della personalit. Si proiettano in una sovrastruttura magica
che inibisce laggressivit sedimentata nei corpi, pronti ad abbandonare il ruolo di preda
per calarsi in quello di cacciatore, e dispone un mondo di barriere, divieti, inibizioni,
pi terrificante del mondo colonialista
66
. Si crea un circolo vizioso tra alienazione reli-
giosa e alienazione coloniale: Luna si cumula con laltra, luna rafforza laltra. Quanto
pi diviene feroce loppressione tanto pi cercano rifugio nei loro fantasmi, quanto pi
si perdono in essi tanto pi rafforzano le catene del colonialismo
67
.
Cos, generazione dopo generazione, i figli hanno visto massacrare i padri, patito
unoppressione senza tregua. Ma quel tempo finito. Adesso, questoppressione, an-
zich spingerli a una rassegnata condizione di schiavit, fa esplodere la contraddizio-
ne tra reclamare e rinnegare contemporaneamente la condizione umana, e la violenza
61
Prefazione, cit., pp. LV, XLVI.
62
Ibid., p. XLVII.
63
Ibidem.
64
Ibid., pp. XLVII-XLVIII. Cfr. anche Portrait du colonis, cit., p. 54.
65
Introduzione, cit., pp. XLIX-L.
66
Cfr. F. Fanon, I dannati della terra, cit., pp. 17-21.
67
Prefazione, cit., p. L.
Vincenza Petyx
306
si ritorce contro gli Europei
68
. Qui sinserisce la voce di Fanon: Dopo anni di fantasmi
stupefacenti il colonizzato, col mitra in pugno, affronta finalmente le sole forze che con-
testano il suo essere: il colonialismo (...) scopre il reale e lo trasforma nel movimento del-
la sua prassi (...) nel suo progetto di liberazione
69
.
Questo ex indigeno di lingua francese commenta Sartre traduce per i propri fra-
telli il vecchio appello di Marx: indigeni di tutti i paesi sottosviluppati unitevi, perch
solo se uniti i fratelli dAfrica, dAsia, e dellAmerica latina potranno attraverso il socia-
lismo rivoluzionario riconquistarsi come uomini
70
. Lunga e difficile la marcia di eman-
cipazione. Per lottare contro gli Europei i colonizzati devono lottare anzitutto contro se
stessi; nel fuoco della battaglia devono liquefarsi tutte le barriere classiste che gli Euro-
pei hanno imposto: la borghesia degli affaristi, il proletariato urbano, il Lumpenproleta-
riat delle bidonvilles, tutti devono allinearsi sulle posizioni delle masse rurali, vero ser-
batoio dellesercito nazionale rivoluzionario. Con reminiscenza marxiana afferma Sartre
che nelle colonie infatti il contadino la classe radicale, radicalmente annullato come
uomo dallo sfruttamento, che nulla ha dunque da perdere spezzando le catene dellop-
pressione, ma tutto da guadagnare liberando con se stesso lintera societ
71
. E ancora da
Fanon: La decolonizzazione veramente creazione di uomini nuovi: la cosa coloniz-
zata diventa uomo nel processo stesso per il quale essa si libera. Ma questo processo, la
decolonizzazione, sempre un fenomeno violento
72
.
Storditi da questo nuovo scenario, i liberali ammettono che forse qualche diritto po-
teva essere concesso; la sinistra, pur appoggiando la loro lotta, avverte che, se vogliono
ancora il suo sostegno, devono smetterla con la violenza, peraltro il miglior modo per
provare di essere uomini
73
. I ribelli tirano dritto. Sanno bene che saranno uccisi e altri
godranno della loro vittoria, che la loro vita di uomini inizia dalla fine. Con buona pace
di Heidegger, scrive Sarte: Noi troviamo la nostra umanit al di qua della morte e del-
la disperazione, loro al di l dei supplizi e della morte
74
. Chi vede dunque nella violen-
za il risorgere di istinti selvaggi, o il frutto di risentimento, dimentica troppo presto la
nostra storia, la sua verit. Non stata forse la violenza a cancellare i segni della violen-
za che molti Europei portavano sulla loro pelle, la via della loro emancipazione?
75
Fi-
glio della violenza, il colonizzato riconquista nella violenza luomo negato dal coloniali-
smo, e rivela che il club esclusivo del genere umano una minoranza, una banda di
malfattori
76
.
La violenza ora ha cambiato senso, e mentre il colonizzato si ricompone, noi, ul-
tras e liberali, coloni e metropolitani ci decomponiamo. Rabbia e terrore si mostra-
no senza veli, sono allo scoperto nella caccia dellarabo. Dove sono i selvaggi, adesso?
68
Ibid., pp. XLIX, LI.
69
F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. 21.
70
Ibidem; Prefazione, cit., pp. XLIII, XLV.
71
Ibid., p. XLIV.
72
F. Fanon, I dannati della terra, cit., pp. 3-4.
73
Prefazione, cit., p. LI.
74
Ibid., p. LIV.
75
Ibid., p. LII.
76
Ibid., pp. LII, LVI.
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
307
Dove la barbarie? Non manca nulla, nemmeno il tam-tam: i clacson ritmano Algeria
francese, mentre gli Europei bruciano vivi i mussulmani
77
. Sola alternativa a questinvo-
luzione che leuropeo riconquisti la sua umanit, estirpando il colono che in lui. Nel
primo tempo della violenza far fuori un europeo [era] prendere due piccioni con una
fava, sopprimere nello stesso tempo un oppressore e un oppresso: resta[va]no un uomo
morto e un uomo libero
78
. La ferocia dellaffermazione cre scandalo. Ma nella frase a
effetto Sartre sintetizzava il dramma in cui, inconsapevolmente, precipitato il coloniz-
zatore, la duplice faccia di oppressore e oppresso, la sua alienazione. Opprimendo il co-
lonizzato opprimeva se stesso, degradandolo a cosa degradava se stesso, si riduceva allo
scudiscio, alla canna del fucile con cui esercitava il dominio
79
. Eravamo i soggetti della
storia, ora ne siamo diventati gli oggetti
80
. Ma pu ricominciare unaltra storia, quella
delluomo, se leuropeo prende consapevolezza della sua degradazione, e la condanna
della guerra si traduce in attiva solidariet con la lotta di liberazione algerina
81
. Questo
il momento in cui la violenza pu guarire leuropeo. Questo il senso della Prface: tira-
re fino in fondo il movimento della dialettica, da soggetti a oggetti della storia per tor-
nare a essere soggetti, ovvero uomini
82
.
N decostruzione e decentramento etico del soggetto, n decostruzione della storia.
Sartre ha inteso decostruire una falsa universalit, e un falso umanesimo, che in Euro-
pa ammantavano gli interessi di classe con la dichiarazione dei diritti delluomo (formal-
mente tutti liberi ed eguali nel cielo della politica, materialmente negata libert ed egua-
glianza agli sfruttati nella terra della societ civile), in Africa mascheravano gli interessi
del capitalismo mondiale con la missione civilizzatrice dellEuropa. Nel pieno della tem-
pesta algerina, impegnato nella stesura della Critique de la raison dialectique, scrive Sar-
tre: Eravamo stati educati allumanesimo borghese e questo umanesimo ottimista an-
dava in frantumi poich indovinavamo, intorno alle nostre citt, la folla immensa dei
sotto-uomini coscienti della propria sotto-umanit
83
. Dagli Untermenschen, a cui gli
unti del signore riducevano i proletari, ai sub-umani delle colonie, la storia ha negli op-
pressi il proprio soggetto. E resta intatto il progetto rivoluzionario per realizzare unau-
tentica universalit, e un autentico umanesimo.
Lideologia parassita e il Sapere
Affermando di aderire senza riserve alla definizione marxiana di materialismo, che sul
modo di produzione innesta lo sviluppo della vita sociale, politica e intellettuale, Sar-
tre commenta: la proposizione di Marx di una evidenza insuperabile finch le trasfor-
mazioni dei rapporti sociali e i progressi della tecnica non avranno liberato luomo dal
77
Ibid., p. LVII.
78
Ibid., p. LII.
79
Ibid., pp. LIII, XLVIII.
80
Ibid., p. LVI.
81
Ibid., pp. LVIII-LIX.
82
Ibid., pp. LIV.
83
Questioni di metodo, cit., p. 26.
Vincenza Petyx
308
giogo della penuria
84
. lepoca lontana del regno della libert a cui allude Marx. Il
marxismo avr allora fatto il suo tempo. Ma di questo nostro tempo il marxismo resta
lorizzonte insuperabile, perch non ancora superate le condizioni di oppressione, alie-
nazione, e penuria, che lhanno generato. in ogni caso da rifondare. Fossilizzato nella
scolastica del materialismo dialettico, nella scissione da questi operata tra teoria e praxis,
il marxismo s fermato, ha perso le sue capacit euristiche, ideali, la sua forza politica
di lotta
85
. Da questa scissione bisogna dunque partire per fare riprendere al marxismo il
cammino, e controbattere alle critiche di Lukcs, che accusava gli intellettuali borghesi
di tenere una terza via tra materialismo e idealismo
86
.
Era certamente una contraddizione considerare il marxismo la sola interpretazione
valida della storia e, al tempo stesso, lesistenzialismo il solo modo concreto di acco-
stare la realt, risponde Sartre
87
. Lesistenzialismo infatti il sistema parassitario di una
classe non pi rivoluzionaria, e vive ai margini del Sapere, che il marxismo
88
. Ma Lu-
kcs tace lorigine di questa contraddizione, che la sclerosi del marxismo, inevitabile
contraccolpo del gigantesco sforzo di industrializzazione intrapreso dallURSS. Per paura
che il libero divenire della verit, con tutte le discussioni e i conflitti che essa compor-
ta, spezzasse lunit della lotta (...), che lesperienza (...) rimettesse in discussione certe
loro direttrici, intellettuali marxisti e dirigenti del partito hanno esercitato una violenza
idealistica sullesperienza, collocando la teoria fuori della sua portata, hanno oscurato
la storia sostituendo al principio euristico di cercare il tutto attraverso le parti la pra-
tica terroristica di liquidare la particolarit
89
. Hanno dimenticato, in breve, linsegna-
mento metodologico marxiano. Nel Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte la Repubblica
del Quarantotto non infatti uno schema aprioristico, un grimaldello capace di aprire
lintelligibilit di momenti storici diversi, ma una totalit singolare, la cui tragedia nei
particolari e nellinsieme viene spiegata attraverso una complessa indagine dialettica che
intreccia rapporti di produzione, classi, partiti, uomini, con le loro immaginazioni, desi-
deri, bisogni, autoinganni
90
.
Da qui muove lintento metodologico-programmatico della Critique. Contro il prov-
videnzialismo dialettico di una ragione dogmatica che ha innalzato la struttura economi-
ca a soggetto, e ridotto luomo a passivo complesso dellandamento deterministico della
storia, arenandosi in una scolastica della totalit che blocca al contempo il movimen-
to rivoluzionario, Sartre rivendica una ragione critico-dialettica, impegnata a fondarsi
come movimento della storia e della conoscenza, a ricongiungere appunto secondo
loriginario progetto marxiano teoria e prassi contro la scissione operata dal marxismo
84
Ibid., pp. 33-34. Di Marx cfr. Das Kapital. Kritik der politischen konomie, Hamburg 1894, tr. it. D. Can-
timori, R. Panzieri, M.L. Buggeri (a cura di), Il Capitale, Editori Riuniti, Roma 1968, libro III, p. 1002.
85
Questioni di metodo, cit., p. 28.
86
Ibid., pp. 27-28.
87
Ibidem. Cfr. G. Lukcs, Existentialisme ou marxisme?, cit.
88
Questioni di metodo, cit., p. 20.
89
Ibid., pp. 28, 30-31.
90
K. Marx, Der achtzehnte Brumaire des Louis-Bonaparte, New York 1852, tr. it. G.M. Bravo (a cura di), Il
diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1982, vol.
XI, pp. 107-122; Questioni di metodo, cit., p. 30.
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
309
dogmatico, che ha ridotto luna a un sapere puro irrigidito e laltra a un empirismo sen-
za principi
91
. Nellattuale orizzonte storico, la necessit di ripensare i fondamenti teo-
rico-metodologici del marxismo ripropone cos il movimento dialettico Hegel- Kierke-
gaard-Marx, quando lideologo Kierkegaard rivendicava contro il filosofo Hegel, e una
totalit dialettica che ricuciva ogni lacerazione, la singolarit dellavventura umana. Ma
dimenticava la storia. Dinanzi ai vuoti paradossi della soggettivit mistificata kierkegaar-
diana, riproposta nella Existenzphilosophie del dieu cach di Jaspers, aveva dunque ra-
gione Hegel che collocava luomo nella sua realt oggettiva
92
. Tuttavia n il sapere ideali-
stico n lesistenza spiritualistica erano in grado di realizzare la reintegrazione dialettica
dellesistenza non conosciuta in seno al sapere. stato Marx a gettare le basi di unan-
tropologia il cui fondamento luomo, non oggetto di Sapere pratico ma organismo
pratico che produce il Sapere come momento della sua praxis
93
. E di questuomo, non
di uno spirito assoluto, o di una oggettivit assoluta, ha fatto il soggetto storico
94
. Le con-
traddizioni che lacerano il marxismo attorno allopposizione esistenza/sapere spiegano
dunque il fiancheggiamento critico di quellesistenzialismo che, allinterno del marxi-
smo, tenta il recupero della dimensione umana. Destinato per a dissolversi quando il
marxismo avr riconquistato a proprio fondamento gli uomini concreti e, abbando-
nato il riduttivismo economicistico, si sar attrezzato dei necessari strumenti per seguire
il processo degli eventi storici nella loro specificit, irriducibili a spiegazioni che fanno
di forme a priori feticizzate la sostanza della storia
95
. Se la struttura economica infatti
il filo conduttore della storia e della sua intelligibilit, ci non toglie che essa debba es-
sere integrata dallanalisi politica, psicologica, culturale delle scienze umane, che alle re-
lazioni di classe accompagni lo studio delle polisemantiche relazioni da cui la persona
condizionata
96
.
Per cogliere la complessit del pensiero marxista, e della storia, bisogna dunque ri-
conoscere che, nello sfruttamento capitalistico, loggettivazione del lavoro con cui luo-
mo produce e riproduce senza sosta la propria vita, trasformando con la natura se stesso,
si muta in alienazione, e fa delluomo il prodotto del proprio prodotto. Ma ricono-
scere al tempo stesso che luomo un agente storico, capace di progettare la propria li-
berazione
97
. Una contraddizione, questa, non statica ma dialettica, il cui senso si svela
nella materialit della prassi, ovvero soltanto le condizioni materiali possono fornire di-
91
Critica della ragion dialettica, cit., vol. II, p. 148; Questioni di metodo, cit., p. 28. Su affinit e divergenze
con la critica kantiana cfr. G. Cera, Sartre tra ideologia e storia, Laterza, Roma-Bari 1972, pp. 176-178.
92
Questioni di metodo, cit., pp. 22-23.
93
Ibid., pp. 134-136.
94
Ibid., p. 23. Cfr. K. Marx, konomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, in Marx-Engels-
Gesamtausgabe, vol. III, Marx- Engels Institut, Berlin-Frankfurt a.M-Moskau 1932, tr. it. N. Merker (a cura di),
Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Opere complete, cit., vol. III (1976), pp. 354-376.
95
Questioni di metodo, cit., pp. 137-138, 49.
96
Ibid., pp. 133-134. Cfr. Critique de la Raison dialectique, t. II: Lintelligibilit de lhistoire (inachev), A.
Elkham- Sartre (a cura di), Gallimard, Paris 1985, tr. it. Lintelligibilit della storia, Marinotti, Milano 2006.
Cfr. in proposito R. Aronson, Sartres Second Critique, University of Chicago Press, Chicago-London 1987, e
G. Invitto, A. Montano (a cura di), Gli scritti postumi di Sartre, Marietti, Genova 1993.
97
Questioni di metodo, cit, pp. 74-76, 22-23.
Vincenza Petyx
310
rezione e realt ai cambiamenti, ma il movimento della prassi umana che le supera
conservandole
98
.
Alla luce della prassi-progetto, in un recupero terminologico esistenzialistico (pro-
getto) ma sostanziato dal concetto marxiano di prassi, Sartre riconsidera essere e senso
della storia. Se lalienazione una realt storica, per liberarsene non basta che hegelia-
namente la coscienza si autopensi, occorre bens, con la coscienza, la prassi rivoluzio-
naria
99
. Ancorata alla natura dialettica del lavoro, negazione di quella negazione che il
bisogno, la prassi costituisce il movimento che, nel rapporto di mediazione con logget-
tivit e nel superamento al tempo stesso del pratico-inerte, oggettivazione alienata del la-
voro, si proietta verso il futuro, e nella possibilit della rivoluzione rid senso alla storia.
Perch luomo pu perdersi, e perdere il senso dellessere uomo, ma sempre nelle
sue possibilit di lottare per essere finalmente uomo: il marxiano regno della libert.
Alla denuncia del quietismo ideologico della societ borghese-capitalistica, che si au-
torappresenta come compimento della storia e chiude gli orizzonti emancipativi, Sartre
accompagna la critica della dogmatica marxistica che acquieta a sua volta luomo in un
feticismo ideologico consolatorio, secondo il quale la storia, in un nuovo camuffamen-
to provvidenzialistico, procede necessariamente verso la libert. Non totalit predefini-
ta nel suo esito, ma totalizzazione la storia, processo dialettico perennemente in cor-
so, prodotto della prassi concreta di uomini concreti che lottano insieme, che cos fanno
la storia e al contempo ne sono fatti. Ma su cui si riflette sempre la problematicit della
prassi umana. La rivoluzione, appunto, possibile, non destino ineluttabile.
La morale rivoluzionaria
A una affermazione provocatoria di Philippe Gavi, Sartre risponde che il Sessantotto
non lo ha colto di sorpresa: Avevo gi scritto la Critica della ragion dialettica. E poi
non tanto lincontro coi maoisti lo ha cambiato, quanto la ricomparsa sotto aspetti nuo-
vi di vecchie cose nelle quali credevo
100
. Tirare le fila del rapporto di Sartre col mar-
xismo non pu quindi tralasciare gli anni Settanta, per quanto la miriade di scritti che
punteggia questi anni, il loro carattere a volte troppo immediato, legato alla contingenza
del momento, e del problema discusso, le oscillazioni che accompagnano ripensamenti
su specifici punti ad esempio il sistema dei bisogni renda arduo il compito.
Filo conduttore per sbrogliare la matassa potrebbe essere il realismo materialista
moralista con cui Sartre definisce lapprodo del suo percorso, dopo lirrealismo ideali-
stico dei diciotto anni e il realismo amoralista dei quarantacinque
101
. Alle spalle, la diffi-
cile situazione degli anni Sessanta, lamara sensazione di assistere alla disfatta del PCF e
98
Ibid., p. 75. Cfr. Marxisme et existentalisme. Controverse sur la dialectique, Plon, Paris 1962, dibattito del
dicembre 1961 tra Sartre, J. Hyppolite, R. Garaudy, J.-P. Vigier e J. Orcel. Su oggettivazione-alienazione in
Sartre cfr. la critica di P. Chiodi, Sartre e il marxismo, cit., pp. 131-133 e la risposta di A. Gorz, Le socialisme
difficile, ditions du Seuil, Paris 1967, tr. it. Il socialismo difficile, Laterza, Bari 1968, pp. 257-293.
99
Questioni di metodo, cit., p. 23.
100
Ribellarsi giusto, cit., pp. 51, 55, 65.
101
Ibid., p. 65
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
311
della classe operaia, cullati nel mito del Sole dellAvvenire. Anni in cui non si poteva
pi richiamare il sano principio della violenza rivoluzionaria senza farsi trattare da intel-
lettuale avventurista. Poi la violenza (...) si scaten su tutto il territorio
102
. La Critique
fornisce una chiave di lettura teorico-metodologica: il gruppo in fusione, da un canto,
che emerge dallinterno della classe, e in rapporto dialettico con il collettivo serializzato
determina, nel collettivo stesso, una riflessione sulla propria condizione alienata, facen-
do deflagrare al contempo la contraddizione del partito quando si istituzionalizza e per-
de il rapporto con la classe
103
; la ragione critico-dialettica, dallaltro canto, per cogliere il
movimento verso la libert che sinsinua nel decalage tra la realt sociale e la sua espres-
sione politica. La critica di Marx alla falsa universalit dello stato guida la denuncia sar-
triana del suffragio universale, cerimoniale illusorio del potere borghese che sostituisce
la sua legalit alla legittimit della democrazia diretta e dei movimenti rivoluzionari
104
. E
si riaffaccia il tema della libert, con il bagaglio argomentativo che soltanto alla luce del-
la libert possibile porre il problema dellemancipazione, dal momento che solo un es-
sere per principio libero alienabile
105
.
Secondo alcuni studiosi, ritorno a posizioni esistenzialistiche tout court, venate dal-
lo stesso esasperato soggettivismo
106
. Ma la definizione della libert come prassi tota-
le non sembra avvalorare tanto questa interpretazione, quanto piuttosto che la libert
ritrovata, dismessi i vecchi abiti de Ltre et le nant, torni attraverso la dialettica ma-
terialistica della Critique. E nella stessa lettura materialistica svaporino i rovelli esisten-
zialistici sul ne va delluomo, definiti nelle Questions determinazione della prassi in
aperta polemica con lanticapitalismo romantico e antimarxista di un esistenzialismo re-
trivo. lo sfruttamento capitalistico che reifica luomo, e ne affretta la morte mutilan-
do e deformando la sua vita a scopo di profitto
107
. la rivoluzione la via per recupera-
re il suo autentico essere. Da questo senso totale della vita deriva listanza morale della
legittimit rivoluzionaria, e il significato del realismo materialistico moralista, in cui
Sartre, pur dichiarando non sono mao, trova lelemento di condivisione con il movi-
mento maoista
108
.
Marx non ha posto il problema della moralit, ma in qualche modo ne parla
continuamente
109
. Questione complessa, che avrebbe bisogno di un lungo lavoro di
esegesi. Ma limitandoci al significato del materialismo moralista, puntuali citazioni e
suggestive parafrasi chiamano a sostanziarlo il Marx dellimperativo categorico di rove-
sciare ogni condizione in cui, oppresso e sfruttato, luomo negato nella sua natura di
uomo, che attraverso lumanesimo dei Manoscritti e il regno della libert del Capitale
inscrive la morale rivoluzionaria in un orizzonte universalmente umano, giacch anche
102
Ibid., p. 31; Les maos en France, in Situations, X, cit., pp. 38-47.
103
Ribellarsi giusto, cit., pp. 85-86. Critica della ragion dialettica, cit., t. I, vol. II, pp. 396, 333.
104
Ribellarsi giusto, cit., pp. 63, 71; Les communistes ont peur de la Rvolution, in Situations, VIII, cit., pp.
208-209.
105
Ribellarsi giusto, cit., pp. 85-86.
106
Cfr. O. Pompeo Faracovi, Sartre una battaglia politica, Sansoni, Firenze 1974.
107
Questioni di metodo, cit., p. 128; Ribellarsi giusto, cit., pp. 110-111.
108
Les maos en France, cit., p. 38.
109
Ribellarsi giusto, cit., p. 102.
Vincenza Petyx
312
il borghese vive una condizione alienata. In breve, il passo adesso ritrovo, ma questa
volta materialmente, la moralit come fondamento del realismo significa che il proble-
ma morale si pone nellambito stesso dei rapporti di produzione
110
. Il marxismo deter-
ministico riduce la morale a sovrastruttura, e la lotta di classe a un giuoco di forze an-
tagonistiche; ma sovrastrutturale la morale della classe dominante, una mistificazione
che riposa sullo sfruttamento. Sul piano della sovrastruttura, infatti, il pensiero, che
un momento della prassi e serve a illuminarla, si libera completamente dalla prassi che
lavvolge e si posa su se stesso, eternizzando i rapporti sociali
111
. Le idee dominanti
sono le idee della classe dominante, per dirla con Marx. Tuttavia, se tra idee e struttura
produttiva non vi un rapporto causale ma dialettico, e se tale rapporto una totalizza-
zione in corso, allora nella stessa struttura germina unaltra morale
112
.
Sulla base di precise condizioni materiali, attraverso il lavoro, loperaio coglie la su-
prema immoralit nello sfruttamento delluomo sulluomo, coglie cio la contraddizio-
ne tra valore e antivalore: un operaio morale per il solo fatto che un uomo alienato
che rivendica la libert per s e per tutti
113
. Nella dialettica tra soggettivit e oggettivi-
t, nel movimento che abbandona il terreno dei fatti per ritornarvi, valutarli, e scoprir-
vi quella contraddizione tra universale e particolare, che io chiamo libert, la morale
sintreccia con i motivi economici e diviene forza rivoluzionaria
114
. Allora, laffermazio-
ne il concetto di rivoluzione non si ritrova direttamente nella realt non significa che
la rivoluzione non strutturata nelle contraddizioni del sistema capitalistico, e si risol-
va in spontaneismo soggettivistico. Significa piuttosto che il cambiamento rivoluziona-
rio di una realt inumana esige, sulla base di precise condizioni materiali, il distacco
da queste condizioni, che la presa di coscienza dellalienazione
115
. La formazione, in al-
tre parole, della coscienza rivoluzionaria, tanto pi difficile nellattuale fase neocapitali-
stica detta societ dei consumi, agevole ambito di manipolazione e acquietamento del-
le coscienze da parte del potere
116
.
Dinanzi a una proletarizzazione crescente, secondo lanalisi marxiana, che non si
identifica per tout court con la pauperizzazione, rivoluzionario chi singolo grup-
po classe nella pratica quotidiana d senso al proprio agire chiedendosi se prepari
quel tempo della libert che il senso che tutte le rivoluzioni hanno avuto, anche per
Lenin. Il rivoluzionario vive da lontano lesistenza possibile di una societ in cui gli
uomini non saranno alienati, e (...) si batte perch questa societ esista
117
. NellAuto-
portrait il socialismo come valore tira le fila della polemica contro il determinismo dia-
lettico, accompagnato dalla consapevolezza della tragicit della storia. La questione che
lo sostiene risale alla domanda di quali siano le condizioni di autentica, e non ideologi-
110
Ibid., p. 65.
111
Ibid., p. 102.
112
Ibid., p. 101.
113
Ibid., pp. 34-35, 101, 121.
114
Ibid., p. 121.
115
Ibid., pp. 225, 121-122.
116
Les communistes ont peur de la Rvolution, cit., pp. 212-215. Cfr. ibid., pp. 214-216 la critica di Sartre alla
teoria di Marcuse sullintegrazione della classe operaia nel sistema.
117
Masses, spontanit, parti, in Situations, VIII, cit, p. 278; Ribellarsi giusto, cit., pp. 45, 225-226.
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
313
ca, universalit. Il ripensamento critico del marxismo lha risolta, e ha chiarito la scelta
alla quale luomo chiamato: o la rivoluzione, con cui inizia finalmente il regno della li-
bert, o la sua stessa rovina
118
.
BIOGRAFIA
Jean-Paul Sartre nasce a Parigi il 21 giugno 1905. Alla morte del padre nel 1906 si tra-
sferisce con la madre Anne-Marie Schweitzer a Medoun presso i nonni materni, e di
questi anni resta fondamentale per la sua formazione letteraria la figura del nonno.
Frequenta lcole Normale Suprieure, dove stringe amicizia con Raymond Aron, Jean
Hyppolite, Maurice Merleau-Ponty, Paul Nizan; nel 1929 conosce Simone de Beauvoir,
con la quale condivider vita, battaglie politiche, sfide culturali. Presso il liceo di Le Ha-
vre (la Bouville del romanzo La nause) inizia la carriera dinsegnante, che abbandone-
r dopo la guerra, rifiutando una cattedra al Collge de France. Dal 1933 al 1934, con
una borsa di studio, a Berlino per approfondire il pensiero di Husserl, la cui psicologia
fenomenologica costituir lintelaiatura dei suoi primi lavori, quali lEsquisse dune tho-
rie des motions (1939) e Limaginaire (1940).
La prigionia e linternamento nello stalag di Treviri (1940-1941) rappresentano quel-
la esperienza della guerra che avvia la riflessione sulla responsabilit dellintellet-
tuale, traducendosi nella partecipazione alla Resistenza. Risale a questo tempo lamici-
zia con Albert Camus, che si consumer definitivamente nel clima lacerato della guerra
dAlgeria. Pubblica nel frattempo Ltre et le nant. Essai de phnomnologie ontologique
(1943); lo stesso anno, nella Parigi occupata dai Tedeschi, rappresentato il dramma Les
mouches, chiaro manifesto resistenziale. A guerra conclusa la teoria dellengagement at-
traversa i molteplici ambiti del suo lavoro: nel 1945 fonda con Aron, Merleau-Ponty, Si-
mone de Beauvoir, la rivista Les Temps Modernes; inizia il confronto con il marxismo
sulle basi filosofiche del progetto rivoluzionario (Matrialisme et Rvolution); affronta il
problema dellantisemtitismo (Rflexions sur la question juive); nel 1948 d vita al par-
tito Rassemblement Dmocratique Rvolutionnaire, proposto come terza via tra il
blocco atlantico e sovietico, ma senza successo. Affianca allattivit filosofica, e politica,
unaltrettanto intensa attivit letteraria (da ricordare la trilogia Les chemins de la liber-
t) e drammaturgica, che riflette limpegnativo percorso del dopoguerra in lavori teatra-
li quali Les maines sales (1949), Le Diable et le bon Dieu (1951). Con lintensificarsi del-
la guerra fredda e lo scoppio del conflitto in Corea si schiera con il PCF e LURSS, ma le
ragioni di questa scelta entrano in crisi nel 1956 con il rapporto Chru/v e linvasione
dellUngheria. Continua il confronto con il marxismo nel saggio Questions de mthode,
pubblicato dapprima su una rivista polacca, poi Prefazione alla Critique de la raison dia-
lectique (1960); nel 1963 esce lo scritto autobiografico Les mots, che gli vale nel 1964 il
premio Nobel, rifiutato per motivi politici; nel 1971-1972 limponente biografia di Flau-
bert, Lidiot de la famille. Il corposo lavoro filosofico, e letterario, non gli impedisce di
partecipare agli avvenimenti che scuotono la scena politica nazionale e internazionale.
118
Autoritratto a settantanni, cit., pp. 98-101.
Vincenza Petyx
314
Fermo oppositore della guerra dAlgeria, si dichiara moralmente complice degli im-
putati nel processo Jeanson, accusati di fiancheggiare il FLN con una rete clandestina
di aiuti, e firma nel settembre 1960 il Manifest du droit linsoumission per i Francesi
mobilitati nella repressione. Evita larresto per intervento dello stesso De Gaulle, che di-
chiara: non si pu imprigionare Voltaire. A loro volta i viaggi tra Russia e Cina, Cuba e
America latina, Egitto e Israele, punteggiano momenti cruciali della politica internazio-
nale, ma per protesta contro la guerra in Vietnam rifiuta linvito a tenere un ciclo di con-
ferenze negli Stati Uniti peraltro gi visitati nel 45 come inviato de Le Figaro e,
presiedendo il Tribunale Russell, contribuisce a stilare il documento di condanna dei cri-
mini americani in Vietnam.
Nel 1968 appoggia il movimento studentesco (On a raison de se rvolter), ed tra i
cofondatori di Libration. Dopo lincarcerazione per motivi politici del direttore de
La cause du peuple accetta la direzione del giornale e assume la responsabilit giu-
ridica dei periodici filocinesi sempre sotto sorveglianza della censura. Quasi completa-
mente cieco, muore a Parigi il 15 aprile 1980. Riposa nel cimitero di Montparnasse, ac-
canto a Simone de Beauvoir.
BIBLIOGRAFIA
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Critique de la raison dialectique, prced de Questions de mthode, t. I: Thorie des ensembles prati-
ques, Gallimard, Paris 1960; t. II: Lintelligibilit de lhistoire. tablissement du texte, notes et
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On a raison de se rvolter, Gallimard, Paris 1974.
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La confrence de Araraquara. Philosophie marxiste et idologie existentialiste, Editora Paz e Ter-
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Traduzioni italiane
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II: Lintelligibilit della storia, Marinotti Edizioni, Milano 2006.
Ribellarsi giusto. Dal maggio 68 alla controrivoluzione in Cile, Einaudi, Torino 1975.
Badaloni, N. (a cura di), Esistenzialismo e marxismo, Abramo, Catanzaro 1991.
Fergnani, F., Rovatti, P.A. (a cura di), Materialismo e Rivoluzione, Il Saggiatore, Milano 1977.
Fergnani, F., Rovatti, P.A. (a cura di), Luniversale singolare. Saggi filosofici e politici dopo la Cri-
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Trentin, L., Ledda, R. (a cura di), Il filosofo e la politica, Editori Riuniti, Roma 1964 (antologia
di scritti, tra cui la prima parte de I comunisti e la pace, Il fantasma di Stalin, Merleau-Ponty,
vivo).
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo
315
Letteratura secondaria
Aronson, R., Sartres Second Critique, University of Chicago Press, Chicago-London 1987.
Cera, C., Sartre tra ideologia e storia, Laterza, Bari 1972.
Chiodi, P., Sartre e il marxismo, Feltrinelli, Milano 1965.
Fergnani, F., La cosa umana. Esistenza e dialettica nella filosofia di Sartre, Feltrinelli, Milano
1978.
Gorz, A., Le socialisme difficile, Plon, Paris 1967.
Verstraeten, P., Violence et thique, Gallimard, Paris 1972.
317
IL SOCIALISMO TRA ETICA E SCIENZA:
LA MARXOLOGIA DI MAXIMILIEN RUBEL
Gianfranco Ragona
Introduzione
Il primo novembre 1967 Le Monde pubblic in prima pagina un articolo dedicato a
due ricorrenze concomitanti: il centenario della pubblicazione del Capitale di Karl Marx
e il cinquantenario della rivoluzione bolscevica. Gli avvenimenti risultavano strettamen-
te intrecciati: Lenin, infatti, era stato riconosciuto tra i maggiori interpreti del testo mar-
xiano e leffige del fondatore del socialismo scientifico trovava un posto di spicco
nella galleria degli eroi dello Stato sovietico. Veniva tuttavia proposto un dilemma: O
ammettere lesattezza della sociologia marxiana della rivoluzione, ossia la pregnanza del
materialismo storico, e quindi riconoscere limpossibilit in cui si trovava la Russia rivo-
luzionaria del 1917 di passare da uneconomia essenzialmente agraria a un modo di pro-
duzione socialista; oppure attribuire alla rivoluzione del 1917 un carattere socialista e,
con ci stesso, rinnegare Karl Marx, il quale pretendeva di aver svelato nel Capitale la
legge economica del movimento della societ moderna, che circoscriveva leventuali-
t di una rivoluzione proletaria allambito dei paesi progrediti dellOccidente. Lautore
della provocazione intellettuale e politica era Maximilien Rubel
1
, capace di riassumere
in poche righe il senso di interrogazioni e ricerche approfondite, che lo avevano solleci-
tato dagli anni Quaranta accompagnandolo sino alla fine del secolo.
Nato nel 1905 a \ernovcy, in Bucovina, allepoca parte integrante dellimpero au-
stro-ungarico, Rubel si era laureato nel paese natale, annesso alla Romania dopo la pri-
ma guerra mondiale, prima in Legge (1928) quindi in Filosofia (1930). Giunto a Parigi
lanno seguente, aveva conseguito una terza laurea in Lettere alla Sorbona, con una tesi
su Reiner Maria Rilke (1934). Ottenuta la cittadinanza francese durante il governo del
Fronte popolare, nel 1940 era stato mobilitato nellesercito e, dopo la disfatta, aveva ri-
parato a Parigi, vivendo nascosto per via delle sue origini ebraiche. Aveva avuto contatti
1
M. Rubel, Un livre et une rvolution, Le Monde, 1 novembre 1967, p. 1.
Gianfranco Ragona
318
con la Resistenza e, tra molte difficolt, era riuscito anche a entrare in possesso dei volu-
mi della prima Mega ( Marx- Engels-Gesamtausgabe), originariamente concepita dal ce-
lebre ricercatore russo Boris Rjazanov, intraprendendo lo studio sistematico di unopera
di cui sarebbe divenuto uno dei pi autorevoli conoscitori. Sarebbe morto nella capita-
le francese il 28 febbraio 1996.
La sua attivit intellettuale si svolse lungo due assi principali. Da un lato, egli svilup-
p una lettura del pensiero marxiano che sottolineava linterazione di argomenti scienti-
fici e istanze etiche. Su questa base mosse sferzanti critiche al marxismo politico: si trat-
tava del campo dazione specifico della marxologia, lemma che Rubel utilizz sin dal
1947, mutuandolo da Boris Souvarine, per indicare lindagine scientifica, storico-criti-
ca, dellopera di Marx e di Engels
2
. Egli intendeva la marxologia quale strumento per
un inesausto lavoro di ricerca, lontano dalle dispute di partito o dottrinali del presente e
soprattutto libero dallinfluenza ideologica dei partiti comunisti dOriente e dOcciden-
te. Spiccava il richiamo alla filologia, perch il ritorno a Marx esigeva prima di tutto
la ricostruzione di testi incompiuti o frammentari, talvolta travisati o semplicemente di-
menticati. In questa prospettiva, in mancanza di unedizione critica delle opere comple-
te di Marx e di Engels, egli pubblic inediti e traduzioni in francese, riferendosi sempre
al quadro storico e politico della loro elaborazione. Nel 1956 diede alle stampe la prima
Bibliografia delle opere di Marx, aggiornata e corretta nel 1960.
Da un altro lato, concernente il versante pi strettamente etico-politico del suo impe-
gno, egli manifest uninesausta aspirazione alla rifondazione di un socialismo dai trat-
ti spiccatamente libertari in opposizione al cosiddetto socialismo reale. Tali elementi,
elaborati subito dopo la fine della seconda guerra mondiale in molti saggi e interven-
ti su riviste scientifiche, si presentarono sempre unitariamente nella riflessione rubelia-
na. Una sintesi del suo pensiero, con arricchimenti, comparve nellopera Karl Marx. Es-
sai de biographie intellectuelle (1957), nella silloge pi tarda intitolata emblematicamente
Marx critique du marxisme (1974), nonch nelle introduzioni alle uvres di Marx, pub-
blicate da Gallimard nella celebre collana della Pliade tra il 1963 e il 1994. Liniziati-
va editoriale fu assai contestata dalla critica specialistica, sia per la scelta del curatore
di separare gli scritti politici, economici e filosofici, non attenendosi pertanto allordi-
ne cronologico, sia a causa delle opzioni e dei criteri di composizione dei diversi volumi,
non sempre rispettosi della tradizione scientifica consolidata, ma organizzati secondo
il principio della chiarezza al fine di renderli accessibili al di l degli ambiti circoscrit-
ti degli esperti
3
.
Etica e scienza
Allinizio degli anni Sessanta, quale reazione alla crisi del socialismo verificatasi dopo il
XX Congresso del PCUS e la repressione sovietica dei moti dUngheria (1956), nel marxi-
2
M. Rubel, La pense matresse du Manifeste communiste, La Revue Socialiste, III, n. 17-18, gennaio-
febbraio 1948, p. 45.
3
Cfr. M. Rubel, Avertissement a K. Marx, uvres. Economie, Gallimard, Paris 1963, p. LIII.
Il socialismo tra etica e scienza: la marxologia di Maximilien Rubel
319
smo critico occidentale si profil lesigenza di dare un solido fondamento gnoseologico
alla scienza marxista aprendo un dialogo con altre correnti filosofiche (dal positivismo
logico allo strutturalismo)
4
. Louis Althusser, tra gli esponenti principali di questo orien-
tamento, volgendosi direttamente a Marx, propose una partizione nelle sue opere, sepa-
rando quelle ideologiche da quelle scientifiche, che gli consent di individuare una
frattura epistemologica negli anni attorno al 1845. Solo dopo questo periodo Marx sa-
rebbe divenuto effettivamente marxista, elevando il socialismo al rango di una scien-
za, distinta tanto dal protosocialismo moralisteggiante e utopista quanto dallidealismo
hegeliano
5
. Linsistenza althusseriana sul carattere scientifico dellopera marxiana sem-
brava legittima: il Marx del Capitale, in effetti, con la ricerca sui princpi della moderna
societ capitalistica, aveva costretto le scienze sociali del XX secolo a riconoscerne la di-
gnit metodologica, nonch una parte consistente dei risultati. Lanalisi della merce, per
esempio, o lindividuazione del plusvalore, che non si creava nel processo di scambio e
circolazione delle merci, apparivano allepoca acquisizioni largamente condivise.
Agli antipodi, Rubel offr una lettura nel segno della continuit, non accettando la
sovrapposizione tra il pensiero marxiano e il marxismo, considerato unideologia stori-
camente determinata, nata quale dottrina politica ben prima che alcuni degli scritti fon-
damentali per la comprensione della concezione materialistica della storia e della teoria
sociale marxiana fossero pubblicati, conosciuti e discussi: i Manoscritti economico-filoso-
fici, Lideologia tedesca, i Grundrisse apparvero solo a partire dagli anni Trenta del Nove-
cento. La dichiarazione althusseriana sullesistenza di un Marx premarxista e di uno au-
tenticamente marxista, pertanto, era ai suoi occhi inaccettabile e anacronistica.
Il problema della scientificit del marxismo era stato al centro di vivaci dibattiti nel
passato. Gi alla fine dellOttocento Eduard Bernstein alfiere del revisionismo ave-
va posto la questione nei seguenti termini: se il marxismo era classificabile come una
scienza, esso avrebbe dovuto rinunciare a essere lespressione teorica dinteressi specifici
duna classe il proletariato ed essere accolto da tutti coloro che fossero disponibili a
comprendere il carattere progressivo e necessario dello sviluppo storico. Tale prospetti-
va, contrastata da Bernstein, si era affermata nella socialdemocrazia tedesca, dacch con
il congresso di Erfurt (1891) il Partito aveva indicato il marxismo quale supporto del suo
programma, fornendone uninterpretazione alquanto semplificata ma politicamente ef-
ficace. Il marxismo coincideva con il socialismo scientifico, era antiutopista e non conce-
deva nulla alletica, giacch la societ futura sarebbe stata lesito necessario della crescita
delle forze produttive del capitalismo. La dottrina assunse in questo modo le sembian-
ze di una filosofia della storia, con gli uomini e le classi chiamati a comprendere il sen-
so dello sviluppo. Era del tutto coerente, in questo contesto, privilegiare il lato scientifi-
co della dottrina, o al limite ricondurre la soggettivit e letica sotto il manto protettivo
della scienza.
Rubel riconobbe sempre il carattere scientifico della riflessione marxiana, con par-
ticolare riferimento al materialismo storico, ma era persuaso che da esso non si potes-
4
Cfr. O. Kallscheuer, Marxismo e teoria della conoscenza, in Storia del marxismo, vol. IV, Il marxismo oggi,
Einaudi, Torino 1982, pp. 405-408.
5
Cfr. L. Althusser, Per Marx (1965), Editori Riuniti, Roma 1967, in partic. pp. 5-24.
Gianfranco Ragona
320
se dedurre alcuna prassi sociale e politica, non importava se rivoluzionaria o riformista,
cui la classe lavoratrice dovesse piegarsi. Lazione, le speranze, le scelte del proletariato e
delle sue organizzazioni erano ancorate allaspirazione etica dellaffrancamento di clas-
se, tappa preliminare dellemancipazione umana. Ci nonostante, egli non intendeva of-
frire una nuova interpretazione di Marx tra le molte esistenti, inducendo a credere che
nel pensatore letica si fosse presentata quale sfera autonoma e separata dalle altre: in-
tendeva piuttosto riconoscere al tedesco il grande merito di aver fornito una solida base
scientifica alletica socialista mutuata dai pensatori precedenti. Concedeva che lautore
del Capitale aveva sempre respinto lidea di morale, ma sottolineava come egli avesse pa-
rimenti nutrito lesigenza di dare un senso alla vita individuale e collettiva. In ci indivi-
duava unetica in unaccezione che si conciliava perfettamente con il rifiuto distituire
un sistema di morale astratto o trascendente, separato e autonomo le cui norme dove-
vano essere derivate dallideale che gli uomini razionalmente prospettavano e desidera-
vano: il suo ancoraggio, infatti, non era nel passato, ma nellutopia socialista del futuro,
autentico criterio dorientamento per lazione.
Rubel riteneva che in Marx etica e scienza fossero sempre coesistite: da una parte era
comparsa lanalisi scientifica della societ capitalistica, condotta con la precisione delle
scienze naturali
6
; da unaltra parte si era presentata la concezione delluomo, con i suoi
valori, le sue credenze, agente della storia e non da essa dominato. Di fronte alle con-
traddizioni della societ capitalistica, che sembravano preannunciare lavvento del so-
cialismo, Marx era stato consapevole che, se il proletariato non avesse preso coscienza
della propria missione storica, la trasformazione non sarebbe stata possibile:
Al determinismo causale che regge i fenomeni storici del passato corrisponde, nella sfera dei
valori etici, la scelta dei mezzi immediati impiegati in vista di un fine lontano, fine e mezzi
dovendo psicologicamente coincidere nella pratica rivoluzionaria, che implica la metamorfosi
simultanea del mondo e degli uomini
7
.
Nel Marx di Rubel, pertanto, allanalisi scientifica competeva lindividuazione di leggi e
tendenze storiche; apparteneva invece a una dimensione di diversa natura la prefigura-
zione del mondo da costruire, imperniata sui risultati che losservazione scientifica della
realt sociale metteva a disposizione, ma afferente a un percorso spirituale, che faceva ri-
ferimento allattivit rivoluzionaria orientata allemancipazione dellumanit intera:
La predizione del socialismo non in quanto tale una verit scientifica, ma un giudizio di
valore sostenuto da una convinzione e un atteggiamento etici, che trovano alimento nella co-
noscenza oggettiva dei dati materiali, economici e storici, capaci di condurre a una rivoluzione
totale della societ attuale e alla nascita dellumanit sociale (X tesi su Feuerbach). In una
6
K. Marx, Prefazione a Per la critica delleconomia politica, in K. Marx, F. Engels, Opere scelte (1966), Editori
Riuniti, Roma 1976
3
, p. 747.
7
Cfr. M. Rubel, Introduction lthique marxienne, in K. Marx, Pages choisies pour une thique socialiste,
Marcel Rivire, Paris 1948, pp. VI-L. Seconda edizione in due volumi, a cui faccio riferimento, Payot, Paris
1970, vol. I, pp. 7-53: la citazione alle pp. 24-25.
Il socialismo tra etica e scienza: la marxologia di Maximilien Rubel
321
parola, la tesi dellineluttabilit del socialismo appartiene al campo di quelle verit che per
divenire oggettive necessitano di una partecipazione attiva, di un impegno etico
8
.
Tutta loriginalit di Marx albergava nella fusione di scienza ed etica, nellarticolazio-
ne tra elemento scientifico e elemento normativo
9
, come a Rubel sembrava evidente
sia nel Manifesto comunista sia nel Capitale. Leggendo il testo del 1848, per esempio,
egli si era soffermato sulla concezione della storia quale storia di lotte di classi, che,
secondo Marx, dovevano concludersi sempre o con una trasformazione rivoluziona-
ria di tutta la societ o con la comune rovina delle classi in lotta
10
, unalternativa che
pi tardi Rosa Luxemburg avrebbe efficacemente espresso nella formula socialismo o
barbarie
11
. Agli occhi di Rubel, ci significava che il socialismo non era destinato a rea-
lizzarsi per la natura stessa delle cose: la scienza marxiana poneva un dilemma oggetti-
vo, o lemancipazione umana o la crisi di civilt, ma la soluzione desso competeva alla
soggettivit rivoluzionaria, allorganizzazione e allazione politica, cui gli autori del Ma-
nifesto sollecitarono instancabilmente il proletariato, affinch il socialismo si affermas-
se contro la barbarie.
Lintreccio di giudizi di fatto e di valore, per, aveva caratterizzato anche lopus ma-
gnum di Marx. Rubel si sofferm a pi riprese sul penultimo capitolo del Capitale (Ten-
denza storica dellaccumulazione capitalistica), rilevando come le apodittiche asserzioni
sul crollo del capitalismo e sullespropriazione degli espropriatori contenessero un in-
tento normativo, indirizzato alla coscienza del proletariato. Appront pertanto unedi-
zione dellopera invertendo lordine dei capitoli finali, allo scopo di far risuonare lesi-
genza etica che riteneva fornire la chiave di lettura dellincompiuta Economia, di cui il
Capitale non costituiva che una parte. Sul punto, naturalmente, si accesero vibranti po-
lemiche con i marxisti francesi, convinti che ledizione non rispecchiasse affatto la vo-
lont dellautore, ma soprattutto per nulla persuasi dallinterpretazione etico-politica
che ne derivava
12
.
Marxologia e critica del marxismo
Linterpretazione di Marx elaborata da Rubel sintrecciava alla critica del marxismo, che
egli aveva impostato precocemente nel 1948:
Il marxismo una filosofia o un metodo dindagine? Una teoria economica o un canone di
norme politiche? (...) Il materialismo storico una concezione strettamente limitata alla storia
o si estende, in quanto materialismo dialettico, a tutte le discipline scientifiche, alla biologia
8
M. Rubel, Introduction lthique marxienne, cit., p. 30.
9
Laddove scienza ed etica si compenetrano, l c tutta loriginalit di Marx: M. Rubel, Mise au point non
dialectique, Les Temps Modernes, XIII, n. 142, dicembre 1957, p. 1139.
10
K. Marx, F. Engels, Il manifesto del partito comunista (1848), Einaudi, Torino 1998, p. 7.
11
R. Luxemburg, La crisi della socialdemocrazia (1916), in L. Basso (a cura di), Scritti politici, Editori Riuniti,
Roma 1970
2
, pp. 447-448: si tratta dello scritto noto quale Juniusbroschre.
12
Sul carattere incompiuto dellopera economica di Marx, cfr. M. Rubel, Introduction a K. Marx, uvres.
conomie II, Gallimard, Paris 1968, pp. XVII-CXXVII.
Gianfranco Ragona
322
come alla fisica, alla psicologia come alletica? Come armonizzare interpretazioni tanto diverse
quanto contraddittorie?
13
Limmagine di Marx quale fondatore del marxismo costituiva a suo avviso una
leggenda
14
, come tent di dimostrare negli anni successivi, talvolta cedendo allo sche-
matismo, a causa della verve provocatoria di alcune sue prese di posizione, soprattutto
nelle polemiche con i suoi detrattori. I termini marxista e marxismo erano stati in-
trodotti allepoca della Prima internazionale da alcuni avversari di Marx, in particolare
dagli anarchici, che tuttavia avevano spesso separato gli argomenti scientifici (apprez-
zati dallo stesso Bakunin, per esempio, non estraneo alliniziativa di tradurre il Capita-
le in russo) dalle proposte politiche, che essi formalmente rifiutavano, ancorch appro-
vassero, senza saperlo, molte delle risoluzioni di cui Marx era stato lanonimo artefice o
lispiratore
15
. I termini, pertanto, erano nati carichi di connotazioni polemiche, ma furo-
no di poi accettati dal cosiddetto partito di Marx, inaugurando un culto della perso-
na, che trasgrediva lespressa volont del diretto interessato, il quale avrebbe successiva-
mente affermato: Tutto ci che so che io non sono marxista. Rubel aggiungeva che
Marx si considerava lanonimo portavoce e non il capo carismatico del movimento re-
ale
16
. Il consolidamento della dottrina nel seno della socialdemocrazia tedesca alla fine
dellOttocento determin la trasformazione del marxismo in ideologia di partito, quin-
di, con la Rivoluzione russa, in dottrina di Stato, quasi fosse un sistema compiuto, im-
posto dallesterno da un pensatore onnisciente
17
.
Nel 1970, a Wuppertal, nel centocinquantesimo anniversario della nascita dellillu-
stre concittadino Friedrich Engels, fu convocata unimportante conferenza internazio-
nale, in cui Rubel propose incisivamente i suoi argomenti. Su invito degli organizzatori,
present un documento intitolato Punti di vista sul tema Engels fondatore, giudicato
un vero e proprio oltraggio da alcuni studiosi sovietici, tedeschi e francesi
18
. Nello scrit-
to, Rubel intendeva dimostrare che il marxismo novecentesco era stato il frutto legitti-
mo dello spirito di Engels, delle sue scelte e delle sue chiavi di lettura
19
, e che Marx non
ne era affatto responsabile, persuaso comera che la causa del movimento operaio
non dovesse essere legata al nome di un pensatore, quale ne fosse il genio
20
. Fu lamico
a farne il fondatore di una nuova concezione del mondo, che accoglieva leredit della fi-
losofia classica tedesca
21
. Sul punto il marxologo ritorn altre volte. NellIntroduzione al
13
M. Rubel, Introduction lthique marxienne, cit., pp. 11-12.
14
Le origini del marxismo (...) sono immerse in un alone di leggenda: M. Rubel, La charte de la Premire
Internationale (1965), in Marx critique du marxisme, Payot, Paris 1974, p. 25.
15
Ibid., p. 27.
16
Ibid., p. 34. Cfr. Engels a C. Schmidt, 5 agosto 1890, in K. Marx, F. Engels, Opere, vol. XLVIII, Editori
Riuniti, Roma 1990, p. 465, dove si legge: Proprio come diceva Marx dei marxisti francesi della fine degli
anni 70: tout ce que je sais, cest que je ne suis pas marxiste.
17
Cfr. M. Rubel, La charte de la Premire Internationale, cit., p. 41.
18
Cfr. M. Rubel, La lgende de Marx ou Engels fondateur (1972), in Marx critique du marxisme, cit., p. 17.
19
Ibid., p. 19.
20
M. Rubel, Postface a Marx critique du marxisme, cit., p. 403.
21
Ibid., p. 406.
Il socialismo tra etica e scienza: la marxologia di Maximilien Rubel
323
terzo tomo delle uvres di Marx (1982), per esempio, ripercorrendo le tappe dellevo-
luzione intellettuale di Marx, riflett sulla celebre Prefazione del 1859:
Ci che colpisce nel rapido ripercorrere unesistenza tormentata, sempre sostenuta dalla pas-
sione per la scienza, certo il vigore, ma anche la modestia con la quale lautore presenta in
una trentina di frasi, nel bilancio di ventanni di ricerca e di riflessione, non i lineamenti di un
nuovo sistema di pensiero o di una nuova filosofia, ma ci che egli definisce modestamente
il filo conduttore dei suoi studi (...); in nessun momento il filo conduttore fu elevato al
rango di una filosofia della storia sotto categorie quali materialismo storico o materialismo
dialettico, termini inventati dalla scuola postuma, bisognosa di leggende glorificatrici
22
.
Ponendo laccento sul ruolo di Engels, Rubel aveva inteso criticare la deformazione
ideo logica del pensiero di Marx, mettendo in evidenza che essa era stata generata dal-
la presa di posizione del pi importante collaboratore, con il quale il termine marxismo
aveva trovato una consacrazione ufficiale: Il mio testo scrisse a posteriori prende-
va di mira (...) una certa scuola marxista, la cui esistenza costituisce la negazione di tut-
to ci che Marx ed Engels stessi hanno fatto per il pensiero socialista e il movimen-
to operaio
23
. Egli tuttavia non accomun mai tutti i pensatori che si erano richiamati
o ancora si richiamavano al marxismo in un unico guazzabuglio, riconoscendo impli-
citamente lesistenza di diversi marxismi. Nel 1959, infatti, dando vita alle tudes
de marxologie di cui sarebbe stato direttore per poco meno di quarantanni ave-
va espressamente dichiarato che se il marxismo non il pensiero di Karl Marx, nep-
pure ne sempre la deformazione o la caricatura, precisando cos che linteresse della
marxologia non si limitava allopera e alla riflessione marx-engelsiana, ma compren-
deva anche i lavori delle diverse scuole
24
. Egli quindi non fu sostenitore di un antimar-
xismo senza sfumature e, per esempio, riconobbe due forme di ricezione di Marx, pri-
ma e dopo lOttobre
25
.
Dietro lapparenza di una riflessione semantica, la critica del marxismo individua-
va il suo obiettivo perspicuo nella nuova ortodossia affermatasi nel periodo stalinia-
no, sia in Unione Sovietica sia nei partiti comunisti occidentali. Sulla scia dellultimo
Korsch, Rubel pensava che, dalla met degli anni Venti, il marxismo si fosse trasforma-
to in unideologia a servizio di un sistema politico autoritario e totalitario. Ci, conse-
guentemente, privava la teoria sociale di Marx della sua portata critica e rivoluzionaria,
che egli propose invece di recuperare in unottica specifica:

Marx critico del marxismo
certamente Marx critico del vero capitalismo, ma , prima di tutto, Marx critico del
falso socialismo
26
.
22
M. Rubel, Introduction a K. Marx, uvres III. Philosophie, Gallimard., Paris 1982, p. LXVI.
23
M. Rubel, La lgende de Marx ou Engels fondateur, cit., p. 18.
24
M. Rubel, Avant-propos, Cahiers de lI.S.E.A, I, n. 91, ottobre 1959 (tudes de Marxologie, n. 2), p. 3.
25
L. Janover, Quelques remarques inactuelles sur lactualit de luvre de Rubel, Critique Communiste,
XXI, n. 145, 1996, p. 88.
26
M. Rubel, Prsentation a Marx critique du marxisme, cit., p. 8.
Gianfranco Ragona
324
Il socialismo realmente inesistente
Le idee rubeliane sullUnione Sovietica muovevano da un presupposto fondamentale
del materialismo storico:
Nel rispetto della lezione del Marx materialista , si pu affermare che le ideologie, tra le
quali poniamo il marxismo in tutte le sue varianti, non cadono dal cielo; esse sono legate es-
senzialmente a interessi di classe, che sono allo stesso tempo interessi di potenza
27
.
Ritornare a Marx, significava per lo studioso francese esercitare la critica pi rigorosa
del socialismo reale, in verit una forma di capitalismo di Stato
28
, che aveva dato
origine a un sistema oppressivo e di sfruttamento per la stessa classe sociale che dichia-
rava di voler affrancare. In effetti, pochi marxisti nel Novecento furono disposti ad ana-
lizzare lo Stato sovietico sulla scorta dellinsegnamento marxiano, che imponeva di scor-
gere dietro limmagine che una compagine sociale e politica dava di se stessa i rapporti
concreti di produzione, di sfruttamento e di oppressione: la struttura di classe, in una
parola. Scrisse Rubel:
Una societ si definisce strutturalmente attraverso il modo in cui individui, strati sociali e clas-
si producono la propria esistenza materiale; a loro volta, i modi di vita e di lavoro delle societ
sono funzione delle forze produttive naturali e artificiali di cui esse dispongono e che creano;
infine, i rapporti tra gli individui di una stessa societ sono determinati dalla loro posizione
nel processo di produzione
29
.
La collocazione degli individui e delle classi nella produzione determinava i loro rappor-
ti specifici, cristallizzando la divisione tra oppressi e oppressori: lo Stato era marxiana-
mente il potere di una classe organizzato per opprimerne unaltra
30
, ed esso in Unio-
ne Sovietica era cresciuto ipertroficamente per favorire la crescita della ricchezza sociale
a scapito dei produttori diretti, nonch per disciplinare la societ.
Rubel non inclinava al moralismo: i dirigenti sovietici avevano dovuto far fronte alla
controrivoluzione subito dopo la conquista del potere, e di poi tentare di difenderlo nel
quadro di rapporti internazionali sfavorevoli alla rivoluzione mondiale, con le sconfit-
te in Germania, in Italia, in Ungheria. Egli attirava tuttavia lattenzione sullimmaturit
economica, politica e culturale della Russia rivoluzionaria, un paese in gran parte preca-
pitalistico, in cui gravava sul potere proletario, ossia sullo Stato operaio, ossia sul par-
tito bolscevico, lobbligo di accelerare, attraverso riforme economiche borghesi e stata-
liste, tale processo di maturazione
31
. Gli incrementi di produttivit, conseguiti grazie
allimpiego di metodi scientifici di organizzazione del lavoro ispirati al taylorismo, e lau-
mento vertiginoso degli addetti nel settore industriale avevano dato luogo a un proces-
so di accumulazione originaria simile a quello ricostruito da Marx per descrivere la na-
27
M. Rubel, La lgende de Marx ou Engels fondateur, cit., 24.
28
M. Rubel, La croissance du capital en Urss (1957), in Marx critique du marxisme, cit., pp. 63-100.
29
Ibid., pp. 83-84.
30
K. Marx, F. Engels, Il manifesto del partito comunista, cit., p. 32.
31
M. Rubel, La croissance du capital en Urss, cit., p. 66.
Il socialismo tra etica e scienza: la marxologia di Maximilien Rubel
325
scita del capitalismo in Inghilterra. Il regime socialista, quindi, aveva dovuto dar vita
a un profondo e vasto processo di costruzione di un capitalismo sotto legida statale, che
lo stesso Lenin aveva giudicato un enorme progresso, ma che agli occhi di Rubel aveva
rappresentato unipoteca decisiva per levoluzione futura. Lavvento al potere di Stalin
e successivamente la linea del socialismo in un solo paese avevano favorito uninvolu-
zione autoritaria mai pi corretta.
La locuzione capitalismo di Stato, applicata a un paese in cui in realt non esiste-
vano singoli capitalisti, poneva problemi teorici. Rubel reputava per che, in piena con-
formit con il dettato marxiano, non si potesse inferire da questa osservazione che il ca-
pitalismo fosse stato superato: il capitale era un rapporto sociale, caratterizzato dalla
separazione dei produttori diretti dal prodotto del lavoro e in cui la propriet dei mez-
zi di produzione spettava al capitalista, individuale o collettivo che fosse. In Unione So-
vietica, anche senza borghesia, lo Stato aveva vestito i panni dellimprenditore e del ban-
chiere, originando un capitalismo puro, astratto, sans phrase
32
.
Cosa aveva a che fare un regime siffatto con lesigenza marxiana di rovesciare tutti i
rapporti nei quali luomo un essere degradato, asservito, abbandonato e spregevole?
33

Quale rapporto si doveva istituire tra le affermazioni del Manifesto ripetute ancora ne-
gli scritti sulla Comune di Parigi circa la perdita del carattere politico dello Stato, os-
sia la sua estinzione, e la crescita smisurata desso in Unione Sovietica?
34
La spiegazione offerta dal marxismo ufficiale, a Est e a Ovest, richiamava una forma
di realismo politico che letica rubeliana non poteva accogliere; lo scarto tra il comuni-
smo sovietico e lutopia socialista veicolata dai primi teorici dellOttocento, accolta da
Marx e da questi collocata su un solido basamento scientifico, appariva a Rubel incol-
mabile nel mondo dopo Hiroshima. Il sistema bipolare, infatti, dilaniato dal terrore nu-
cleare, vera e propria giustificazione del dominio oligarchico su un mondo dallaspetto
sempre pi uniforme, gli pareva la via verso una barbarie senza ritorno, processo in cui
erano implicate anche le socialdemocrazie occidentali:
In quanto ideologia del dominio, il marxismo, particolarmente nelle sue varianti socialde-
mocratica, leninista e maoista, complice del sistema di potere, politico ed economico, che
minaccia di far precipitare le societ umane in un nuovo cataclisma mondiale. In altri termini,
questo marxismo rappresenta uno dei fattori e non il meno pericoloso che contribuiscono
a mantenere le masse sfruttate e dominate in uno stato permanente di privazione intellettuale
e morale, in una situazione di servit volontaria
35
.
Come aveva sancito Marx negli Statuti dellInternazionale, il processo di emancipazione
sociale e politica della classe lavoratrice, che nel dopoguerra coincideva con la salvezza
32
Ibid., p. 100.
33
K. Marx, Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel (1843), in K. Marx, F. Engels, Opere
scelte, cit., p. 65. Si veda il commento di M. Rubel, Karl Marx. Essai de biographie intellectuelle, Marcel Rivire,
Paris 1957, nuova edizione, da cui cito, ivi, 1971, pp. 131-137.
34
K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, cit., p. 32.
35
M. Rubel, Avant-propos, Economies et socits. Cahiers de lISMEA, t. X, n. 4-5, aprile-maggio 1976,
(tudes de Marxologie, n. 18), p. 771. Si veda anche la riflessione postuma in Guerre et paix nuclaires,
presentazione di L. Janover, Mditerrane, Paris 1997.
Gianfranco Ragona
326
dellintera specie dalla catastrofe nucleare, avrebbe dovuto essere lopera dei lavorato-
ri stessi, non di unoligarchia a essa sovraordinata, che pretendesse di agire in suo nome
e per suo conto. Rubel riesum il concetto di geschichtliche Selbstttigkeit, estrapolato
dal Manifesto, traducendolo con autopraxis storica del proletariato: lautopraxis con-
trastava con lidea dimpronta leniniana dellavanguardia cosciente organizzata in par-
tito e posta alla guida della classe. Egli contestava cos un vizio del socialismo novecen-
tesco, sia nella sua variante sovietica sia in quella occidentale: il giacobinismo. A tal fine
valorizz i contributi di Georges Sorel e di Rosa Luxemburg, che da punti di vista diffe-
renti avevano insistito sulla dimensione autonoma e spontanea dellazione rivoluzionaria
dei lavoratori: lemancipazione del proletariato dalla schiavit del capitale non poteva
essere pensata come compito di unlite illuminata, o in generale di minoranze organiz-
zate, ma doveva essere concepita come lattivit cosciente di unimmensa maggioranza
nellinteresse dellimmensa maggioranza
36
.
Annotazioni conclusive
Rubel intess nel tempo rapporti intellettuali proficui e relazioni damicizia con molti espo-
nenti della sinistra politica e culturale che si collocavano al di fuori dei partiti tradiziona-
li del movimento operaio. Spiccano gli antichi sodalizi con Sania Gontarbert (1916-2000),
Jean Malaquais (1908-1998) e Serge Bricianer (1923-1997), trockijsti impegnati della resi-
stenza antinazista francese, quindi avvicinatisi alle teorie consiliari. Essi contribuirono in
diversa misura a un lungo lavoro di gruppo, animato e guidato da Rubel sin dal 1954, ba-
sato sulla discussione informale ma anche sullo studio approfondito dei problemi teorici e
politici del socialismo internazionale: i risultati pi vividi dellesperienza furono i Quader-
ni di discussione per il socialismo dei consigli, di cui comparvero otto numeri tra il 1962 e il
1968. Malaquais (nato in Polonia col nome di Vladimir Malacki), studioso di Kierkegaard
e interlocutore di Andr Gide, fu anche autore di molte delle traduzioni confluite nelle
Opere di Marx per la Pliade; Bricianer, pur allontanatosi dal gruppo di discussione, a cau-
sa di divergenze dinterpretazione sul significato della guerra dAlgeria, fu molto presen-
te sino allinizio degli anni Sessanta nella cerchia delle amicizie intellettuali rubeliane. La
rete di collaborazioni e legami che si svilupp intorno al marxologo comprendeva anche
Ngo Van (1914-2005) militante antimperialista indocinese, emigrato in Francia nel 1948,
era transitato anchegli dal trockijsmo al consiliarismo sotto linfluenza di Rubel e, in
posizione pi marginale ma intellettualmente assai importante, Anton Pannekoek e Paul
Mattick, con i quali egli imbast una fitta corrispondenza sui temi del marxismo e del so-
cialismo. Tuttavia, lincontro pi fruttuoso sul piano umano, scientifico e politico fu pro-
babilmente quello col pi giovane Louis Janover: dal 1968, senza soluzione di continuit,
i due lavorarono fianco a fianco nellintenso impegno per Marx, in nome di un sociali-
smo dai lineamenti nettamente libertari
37
.
36
M. Rubel, Lautopraxis historique du proltariat, conomies et socits. Cahiers de lISMEA, t. X, n. 4-5,
aprile-maggio 1976 (tudes de marxologie, n. 18), pp. 773-812. Il quaderno era dedicato al tema Auto-
mancipation ouvrire et marxisme politique.
37
Cfr. L. Janover, Maximilien Rubel. Un impegno per Marx, Colibr, Milano 2001.
Il socialismo tra etica e scienza: la marxologia di Maximilien Rubel
327
Rubel quindi non fu mai un militante nel senso tradizionale del termine: le sue con-
vinzioni non lo portarono a fondare partiti, gruppi, sette, e non agogn incarichi in una
qualunque delle organizzazioni, egemoni o minoritarie, che nel secondo Novecento si
contesero senza posa la guida del proletariato. Sino alla naturale conclusione di un lun-
go percorso di studi, egli rimase fedele a una concezione dellintellettuale impegnato in
unopera defatigante di diffusione di elementi di cultura e di spirito critico, non gi ap-
portatore di coscienza di classe dallesterno. Si trattava di un compito che assolse nel
solco del sentiero tracciato da Marx, lo scienziato e il rivoluzionario, il quale aveva con-
trapposto alla civilt borghese lutopia di un mondo in cui il libero sviluppo di ciascu-
no [fosse] condizione del libero sviluppo di tutti
38
.
BIOGRAFIA
Celebre quale editore delle opere di Marx nella prestigiosa Pliade, lettore eterodosso
della teoria sociale dellautore del Capitale, Maximilien Rubel (1905-1996) fu critico ri-
goroso del marxismo politico e del socialismo sovietico. Le basi teoriche della sua rifles-
sione furono posate nel secondo dopoguerra e le sue posizioni sviluppate nei decenni
successivi: Rubel partecip intensamente al dibattito internazionale con una gran messe
di saggi, interventi e polemiche sui temi del marxismo e del socialismo. Propose un ri-
torno a Marx, evidenziando il carattere etico e utopico della sua meditazione, attraver-
so il lavoro instancabile di recupero dei testi, con ledizione dinediti, le traduzioni origi-
nali in francese, la loro interpretazione in una prospettiva libertaria. Nei lunghi decenni
della Guerra fredda, cui davano il loro contributo sia il vero capitalismo sia il falso
socialismo, denunci con vigore la cupa possibilit di una nuova barbarie della civilt.
BIBLIOGRAFIA
Opere principali:
Bibliographie des uvres de Karl Marx. Avec en appendice un rpertoire des uvres de Friedrich En-
gels, Marcel Rivire, Paris 1956 (con il Supplment pubblicato dallo stesso editore nel 1960).
Karl Marx. Essai de biographie intellectuelle, Marcel Rivire, Paris 1957 (nuova edizione 1971, tr.
it. Colibr, Milano 2001).
Karl Marx devant le bonapartisme , Mouton & C., Paris-The Hague 1960 (ripubblicato in Karl
Marx, Les luttes de classes en France, a cura di L. Janover, Folio histoire, Gallimard, Paris
2002, pp. 315-484).
Marx, K., uvres, dition tablie et annote par Maximilien Rubel, Bibliothque de la Plia-
de, Gallimard, Paris 1963-1994 (conomie, 1963; conomie II, 1968; Philosophie, 1982; Po-
litique I, 1994).
Marx critique du marxisme, Payot, Paris 1974 (tr. it. parziale, con Introduzione di B. Bongiovanni,
Cappelli, Bologna 1981).
Guerre et paix nuclaires, presentazione di L. Janover, Mditerrane, Paris 1997 (postumo).
38
K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, cit., p. 32.
Gianfranco Ragona
328
Studi (in italiano):
Bongiovanni, B., Ritratti critici di contemporanei. Maximilien Rubel, Belfagor, XXXV, n. 3, 1980,
pp. 279-305.
Id., Rubel, Marx e il bonapartismo, in M. Ceretta (a cura di), Bonapartismo, cesarismo e crisi della
societ. Luigi Napoleone e il colpo di Stato del 1851, Olschki, Firenze 2003, pp. 123-141.
Janover, L., Maximilien Rubel. Un impegno per Marx, Colibr, Milano 2001.
Ragona, G., Maximilien Rubel (1905-1996). Etica, marxologia e critica del marxismo, FrancoAn-
geli, Milano 2003.
Id., Tecnici, oligarchie e socialismo. Rubel lettore di Burnham, Critica Marxista, nuova serie, n.
6, novembre-dicembre 2005, pp. 65-72.
329
LOUIS ALTHUSSER:
ALLA RICERCA DI UN TEMPO NUOVO
Fabio Raimondi
Una lezione deresia
Si pu parlare di eresia dAlthusser, per quanto laffermazione possa non essere una-
nimemente condivisa (come tutte le eresie, infatti, la sua definizione dipende da quella
dellortodossia di riferimento), sia in relazione alla sua posizione teorica sia a quella po-
litica, peraltro inseparabili, nonostante la sua adesione al PCF anche dopo momenti di
dura contestazione come nel 56 e nel 68. La sua eresia infatti esige la presenza di una
forma di organizzazione comunista, anche se con caratteristiche assai diverse da quelle
sedimentatesi nella storia del movimento operaio
1
, che prende inizialmente le sembian-
ze del Partito, la cui funzione principale, secondo unimpostazione apparentemente sta-
liniana negli anni Cinquanta e maoista negli anni Sessanta, avrebbe dovuto essere quella
di individuare e correggere il tasso ideologico delle proprie posizioni teoriche e politiche
incentivando lattivit filosofica e scientifica esterna a esso quali strumenti di indirizzo
e lotta politica. Nonostante le somiglianze con i tentativi staliniani e maoisti, la scienza,
la politica e la filosofia sono sempre state pensate da Althusser nella loro autonomia
reciproca, per quanto relativa, attraverso la figura concettuale dellarticolazione o
combinazione non automatica, allo scopo di evitare ogni tipo di sutura tra di esse.
Nellultima fase del suo pensiero poi, tale organizzazione assume il volto inassegnabile
del principe machiavelliano, letto come figura politica massimamente lontana da ogni
forma di Stato (borghese o socialista) e di Partito (gramsciano o meno).
Il tratto marcatamente eretico del pensiero di Althusser la convinzione teorica che
ogni ortodossia, in quanto tentativo di codificazione dogmatica, necessariamente ideo-
logica perch basata pi che su certezze scientifiche (sempre aperte allinterrogazione)
su abitudini e opinioni che producono lillusione di unidentit stabile, il cui principa-
1
Cfr. L. Althusser, Theory, Theoretical practice and Theoretical Formation. Ideology and Ideological Struggle,
in Philosophy and the Spontaneous Philosophy of the Scientists & Other Essays, G. Elliot (ed.), Verso, London
1990, pp. 19, 39-42 e poi almeno Lavvenire dura a lungo, Guanda, Parma 1992, pp. 245, 247.
Fabio Raimondi
330
le effetto, oltre la rassicurazione, larginamento di ogni ricerca scientifica e di ogni agi-
re politico nuovo, che abbia come scopo la sostituzione dellideologia (limpensato, lin-
conscio in senso lacaniano)
2
con la scienza della storia (la pratica teorica e politica di
rendere visibile linvisibile rimosso dalle pratiche produttive capitalistiche) e, pi lata-
mente, con la scienza (il vero, cio la coerenza interna dei codici linguistici di costruzio-
ne, rappresentazione e appropriazione del reale), al fine di costruire una forma di vita
pi libera e giusta, basata sullorganizzazione politica del punto di vista operaio, quin-
di di parte operaia.
Lideologia, per, contrariamente a quanto avevano pensato Marx e Engels, indi-
spensabile, perch funge da cemento della societ e da chiamata allassunzione dei ruoli
sociali necessari al funzionamento delle istituzioni: essa, cio, non nientaltro che il le-
game sociale. Si tratta allora di sostituire alle ideologie conservatrici unideologia pro-
gressista, che non ha nulla a che fare con le magnifiche sorti e progressive [del] se-
col superbo e sciocco ( Leopardi), perch aperta, e la cui giustizia e correttezza
non sono questioni meramente teoriche, ma rimandano a un rapporto con la pratica
3
.
Politicamente, ci assomiglia a un principe capace della sola virt politica della devia-
zione (dtournement)
4
: un principe la cui virt sia saper scegliere quando cambiare per
mantenere aperta lideologia che lo fa essere, facendo di questa capacit di trasformazio-
ne la sua paradossale identit. Solo un continuo esercizio di deviazioni potr forse por-
tare un giorno o laltro, a partire da questo tempo triste e dopo una lunga marcia, la
Rivoluzione
5
.
Il rifiuto della distinzione tra ortodossia e eresia (tra Verit e Errore, nozioni ancora
ideologiche)
6
a favore di quella tra scienza e ideologia lo rese, come gi molti altri prima
di lui, inviso alle ortodossie di ogni tipo: ci che si chiamato con malignit la lezione
dAlthusser fu, prima di tutto, per coloro che fecero lo sforzo di comprenderne il sen-
so, una lezione dapertura e di libert: non una promessa di certezza, ma il farsi carico
del rischio proprio di un impegno senza garanzie di legittimit; il contrario duna lezio-
ne dortodossia, una lezione deterodossia
7
.
Althusser fu accusato dessere maoista dagli stalinisti e stalinista dai maoisti; contro
il PCF dai suoi apparati e troppo interno al partito dai movimenti; troppo marxista e co-
munista oppure troppo poco; se a questo saggiunge la sottolineatura della sua attitudi-
ne ad affermazioni contraddittorie (senza capire che il criterio di verit la congiuntura
e non una dogmatica), nonch il sospetto, neanche tanto latente, che si tratti pur sempre
di un folle, il quadro completo, anche se dice solo la difficolt, di fronte alla sua so-
2
Che nulla ha a che fare con una qualche interiorit, essendo piuttosto linsieme di leggi, regole, codici, usi,
abitudini, norme scritte e non scritte e, soprattutto, interessi, che vengono assunti, e poi applicati o trasgrediti,
dai membri di una societ nel corso della loro esistenza.
3
L. Althusser, Filosofia e marxismo, in Sulla filosofia, Unicopli, Milano 2001, p. 77, anche n. 5.
4
A. Tosel, Les alas du matrialisme alatoire dans la dernire philosophie de Louis Althusser, in AA.VV.,
Sartre, Lukcs, Althusser: des marxistes en philosophie (sous la direction de E. Kouvlakis et V. Charbonnier),
PUF, Paris 2005, p. 189.
5
L. Althusser, Lo Stato e i suoi apparati, Ed. Riuniti, Roma 1997, p. 209.
6
Cfr. Id., crits philosophiques et politiques, Stock/Imec-Le livres de poche, Paris 1997
2
, t. II, p. 381.
7
P. Macherey, Histoires de dinosaure. Faire de la philosophie, 1965-1997, PUF, Paris 1999, p. 5.
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo
331
litudine, alla sua inclassificabilit
8
, di dargli una precisa collocazione teorica e politica,
almeno allinterno degli apparati di partito e delle ideologie del suo tempo.
Filosofia e comunismo
Althusser fu essenzialmente un filosofo preoccupato della trasformazione della filo-
sofia da un punto di vista comunista
9
. Il suo problema principale fu quello di mettere
una particolare filosofia, quella praticata (ma non esplicitata) da Marx e da Lenin, al ser-
vizio della classe operaia e delle sue lotte. Una filosofia, il materialismo dialettico in
una declinazione totalmente estranea al Diamat staliniano, capace di contribuire a tra-
sformare il mondo anzich limitarsi a interpretarlo, perch il suo compito era scovare,
non a partire da una Verit, ma attraverso linterrogazione dellimpensato presente in
ogni posizione teorica e politica (anche marxista), lideologia presente in esse, al fine di
smascherarne la funzione politica e cercarne una spiegazione scientifica:
in generale, sotto la formula filosofia marxista, Althusser non colloca una costruzione teo-
rica originale alla maniera del Diamat dei sovietici o della filosofia della praxis che si pu
trovare nel giovane Lukcs o in Gramsci e anche in Sartre, ma una certa pratica della filosofia,
essa stessa portatrice di una teoria della filosofia, in rottura con le concezioni tradizionali che
si ritrovano alla base di tutte le esposizioni filosofiche dottrinali: ci che Althusser, dunque, ha
chiamato una pratica teorica, formula che ha in seguito rigettato, almeno in parte, preci-
samente linsieme complesso costituito da una pratica e dalla teoria che questa porta con s,
come teoria della pratica che essa . Per andare in fretta allessenziale, diciamo che la filosofia
si vede assegnare una funzione di rappresentazione e di enunciazione che la smarca dalla
forma speculativa che, al contrario, le tradizionalmente assegnata e che tende a riportare
la filosofia a una visione del mondo, dunque a un discorso sul mondo, considerato nella sua
totalit (...): senza sopprimere la filosofia del tutto o annunciarne la fine, ma nemmeno senza
lesinare sul suo carattere teorico, bisogna fare in modo che essa cessi di presentarsi come
un discorso sul mondo, una teoria del mondo o della realt, per diventare tuttaltra cosa:
una certa pratica della teoria, che interviene direttamente o indirettamente nel processo di
trasformazione del mondo, rappresentando la politica presso le scienze e le scienze presso
la politica
10
.
Althusser non insegue, nonostante le apparenze, un ideale positivistico di totale traspa-
renza razionale del mondo, perch, forte della lezione di Freud e di Lacan, ma anche di
Bachelard, sa che non esiste linguaggio razionale senza impensato. Il lavoro filosofico
cos infinito
11
, ma non per questo inutile, perch lungo il cammino si producono cono-
scenze e politiche: ci che conta non la chiusura del processo, ma i suoi effetti. La lotta
contro lideologia e lo svelamento dei suoi meccanismi di funzionamento d alle scienze
8
Cfr. L. Althusser, Solitude de Machiavel, in Solitude de Machiavel et autres textes, PUF, Paris 1998, pp.
311-324.
9
Cfr. E. Balibar, Per Althusser, Manifestolibri, Roma 1991, p. 47.
10
P. Macherey, Althusser: Lnine et la philosophie, in Histoires de dinosaure, cit., pp. 268-269.
11
Cfr. L. Althusser, crits philosophiques et politiques, cit., p. 316.
Fabio Raimondi
332
e alla politica occasioni di nuova pensabilit teorica e agibilit sociale e, dunque, la pos-
sibilit di produrre nuove conoscenze e nuove politiche. La filosofia non pi la guida,
come non lo il Partito, perch sono solo due delle istanze che compongono la struttu-
ra complessa a dominante del tutto sociale. Ogni dogmatismo ideologico perch
tende a rinserrare in unillusoria compiutezza sia il gesto conoscitivo sia quello politico.
Lontano da unapologia romantica dellincompiutezza, il cui resto mancante sarebbe il
vero soggetto di ogni agire, Althusser invece prossimo alla convinzione che completez-
za si dia solo quando impossibile pensare limpensato di una conoscenza e che questo,
per quanto accada raramente, ci che contraddistingue una conoscenza scientifica, la
quale, dunque, in costante lotta con la propria ideologia e con le ideologie che tenta-
no di contrastarla. Ci sono opinioni e ci sono verit: le prime sono veicolate dalle ideo-
logie, le seconde dalle scienze; la filosofia solo il modo di lottare contro le ideologie af-
finch le scienze possano continuare a produrre conoscenze vere e affinch la politica
possa guardare a esse quali strumenti utili a far novit. La filosofia sia in quanto teoria
della pratica teorica sia in quanto lotta di classe nella teoria produce o segnala i vuoti
presenti nelle presunte certezze (pieni, identit) offerte dalle ideologie, affinch scienze
e politica possano (se vogliono), ognuna secondo le proprie specificit, produrre in tali
vuoti i movimenti in grado di abolire lo stato di cose presente. La filosofia ha un esterno
e da esso, almeno in parte, dipende.
Rottura epistemologica e surdeterminazione
Conoscere scientificamente implica la riapertura di ogni processo conoscitivo attraver-
so tagli epistemologici o rotture politiche (rivoluzioni), capaci di produrre sia uno
scarto che abolisca le concezioni precedenti sia una svolta nella storia, e tali da render-
ne impossibile la descrizione come svolgimento lineare e continuo. La storia, infatti,
surdeterminata e discontinua. La surdeterminazione, termine mutuato dalla psicana-
lisi freudiana (ma usato anche da Bachelard), e caratteristica principale del modo mar-
xiano e marxista (cio proprio di Lenin e Mao) di pensare le contraddizioni, di contro
alla linearit hegeliana, indica il fatto che in ogni situazione storica le contraddizioni che
ne formano la struttura (linsieme unitario del modo di produzione e dei suoi apparati
di sostegno e di funzionamento) sono asimmetriche ( Mao), non hanno cio tutte la stes-
sa importanza e la stessa forza, ragion per cui il loro rapporto non riducibile alla logica
dialettica degli opposti (Hegel), ma va compreso nella sua contingenza, al fine di agire
nel momento attuale, nel presente di una dinamica concreta, la congiuntura, senza
applicarvi, per leggerla, leggi eterne. Lenin analizzava le caratteristiche della struttura:
le articolazioni essenziali, gli anelli, i nodi strategici [cio] la disposizione e i rapporti ti-
pici delle contraddizioni di un paese determinato in un periodo determinato. Linsosti-
tuibilit dei testi di Lenin sta nellanalisi della struttura di una congiuntura, negli sposta-
menti e nelle condensazioni delle sue contraddizioni, nella loro unit paradossale, che
sono lesistenza stessa del momento attuale, che lazione politica trasformer
12
. Ogni
12
Cfr. Id., Per Marx, Ed. Riuniti, Roma 1974
2
, pp. 156-157.
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo
333
congiuntura non determinata solo dal suo modo di produzione economico (economi-
cismo), ma dalle relazioni che si instaurano tra esso e tutte le altre pratiche (teoriche,
politiche, giuridiche, estetiche, religiose ecc.) ritenute necessarie al suo funzionamento.
Se leconomia decisiva in ultima istanza ci non significa che essa sia come il sovra-
no moderno (magari in versione schmittiana) il decisore ultimo, ma invece ci rispetto
a cui, nel modo di produzione capitalistico, si decide; il che vuol dire che ci che decide
non leconomia soltanto, ma linsieme delle relazioni (i rapporti di produzione pi
che le forze produttive) che si instaurano tra la base economica e i suoi apparati (so-
vrastruttura), i quali, in alcuni casi, possono anche rivelarsi pi determinanti dellecono-
mia stessa. Althusser rompe con la teoria deterministica del riflesso tra base e sovrastrut-
tura e vi sostituisce lidea di un loro rapporto maggiormente fluido in cui la gerarchia si
stabilisce di volta in volta nel momento attuale, e non una volta per tutte, in funzione
dei rapporti di forza determinati che esistono tra le varie istanze che formano le contrad-
dizioni principali caratterizzanti una specifica struttura.
Il rovesciamento della dialettica hegeliana non pu essere solo logico (linversione
soggetto-oggetto di Feuerbach e del giovane Marx), ma deve essere soprattutto pratico;
deve cio darsi attraverso lo spostamento della problematica
13
, per mezzo della qua-
le si analizza una situazione per conoscerla, su un altro terreno, intraducibile nelle cate-
gorie di quello precedente. questo spostamento, con la conseguente condensazione in
una nuova struttura, che produce, eventualmente, la rottura epistemologica e/o poli-
tica che rende irrapportabili e, dunque, discontinue, due situazioni storiche. Marx e Le-
nin hanno dato prova pratica di questa dialettica surdeterminata spostando, il primo
sul terreno teorico nuovo dei rapporti di produzione e il secondo sul terreno politico
nuovo dellanello pi debole, le loro pratiche rivoluzionarie. Si tratta allora, da parte
del movimento operaio internazionale e delle sue organizzazioni di massa (partiti, sinda-
cati, movimenti ecc.), di riuscire a produrre, nel momento di crisi acuta succeduto alle
rivelazioni di Chru/v sugli orrori di Stalin al XX congresso del PCUS del 1956
14
, una de-
viazione, frutto della combinazione imprevista di forze presenti nella congiuntura, ma
ancora invisibili, o a essa esterne.
13
Una problematica la struttura concreta e determinata di un pensiero ossia il campo di pensabilit di
una serie di rapporti reso possibile da una struttura, che ci che unifica in un insieme unitario e solidale gli
elementi che consentono alla problematica stessa di presentarsi quale produttrice di domande e di risposte.
La problematica, dunque, la struttura sistematica tipica, che unifica tutti gli elementi del pensiero ossia il
sistema oggettivo interno di riferimento dei propri temi: il sistema delle domande che determinano le risposte
(cfr. ibid., pp. 49-51).
14
A cui si devono aggiungere: nello stesso anno, lo scioglimento del Cominform, le prime ribellioni in Polo-
nia, la rivolta ungherese soffocata nel sangue dallURSS; poi, la divisione del movimento operaio internazionale
culminata nel 1963 con la rottura tra URSS e Cina; e, infine, lo stato desolante della tradizione teorica marxista
e comunista, nonch la specifica miseria della filosofia francese (cfr. ibid., pp. 5-12).
Fabio Raimondi
334
Causalit strutturale, contingenza e ideologia
Leggere il Capitale il primo tentativo di dislocare il terreno dellinterpretazione e, di
conseguenza, quello della pratica teorica e politica. Il cuore della lettura sintomale al-
thusseriana, mutuata dalla psicanalisi quale ascolto e decifrazione dei silenzi, dei vuo-
ti, degli inceppamenti del discorso fondamentalmente del suo impensato anche se
non per colmarli, ma per trasformare la problematica dentro la quale sono enunciati
15
e
con essa il processo di soggettivazione che la contraddistingue, il concetto di causali-
t strutturale ossia lesistenza della struttura nei suoi effetti
16
: la struttura (base mar-
xiana, ma anche ammiccamento al lessico strutturalista) non qualcosa di esterno ai fe-
nomeni e gi dato indipendentemente da essi, ma linsieme delle relazioni che rendono
unitario un certo numero di elementi, livelli o istanze necessarie alla formazione e alla ri-
produzione di un determinato modo di produzione, non solo dal punto di vista econo-
mico, ma anche da quello sociale, politico, giuridico ecc. La relazione non precede i cor-
relati n viceversa: entrambi si producono contemporaneamente attraverso un incontro/
scontro contingente, perch potrebbe anche non darsi. Uno dei temi principali di tut-
ta la riflessione althusseriana , infatti, quello delleventuale combinazione (la Verbin-
dung marxiana) tra elementi diversi (capitale e forza lavoro, ad esempio) allinterno di
una struttura determinata (quella capitalistica), ossia il problema della loro articolazio-
ne, delle relazioni che sinstaurano tra le forze che compongono o scompongono una
struttura. La tematica marxiana sintreccia a questaltezza con quella machiavelliana del
principe (cfr. Cesare Borgia) quale elemento o forza esterna che interviene a modifica-
re una struttura originandone una nuova (lettura totalmente diversa da quella gramscia-
na). Tale intreccio sar lo sfondo permanente del pensiero di Althusser dal 1966 (anche
se il primo corso su Machiavelli del 1962)
17
al 1988.
Filosofia allora non pi solo teoria della pratica teorica
18
, ma (e forse gi da sem-
pre) qualcosa di pi: sforzo di pensare linattuale, un possibile avvenire che in un dato
momento appare impossibile o comunque non allordine del giorno. Filosofia non solo
supporto alle scienze contro le ideologie, cio presa di partito in filosofia, come dir
qualche anno dopo
19
, ma, proprio perch tutto questo e non unattivit esclusivamente
intellettuale (nel senso che pur svolgendosi nellintelletto ha effetti pratici, teorici e po-
litici, di incidenza ovviamente variabile), essa il tentativo di pensare (non immaginare
o, peggio, fantasticare o desiderare) un futuro totalmente diverso dal presente quale esi-
to di una combinazione, di un incontro/scontro imprevisto tra elementi irrelati di una
15
Cfr. L. Althusser et al., Leggere il Capitale, Mimesis, Milano 2006, almeno pp. 19-34.
16
Cfr. ibid., almeno pp. 256-262. Di qui la simpatia per Spinoza, autore di una filosofia che stava tutta
intera nei suoi effetti (Id., Sul materialismo aleatorio, Unicopli, Milano 2000, p. 120) e del primo tentativo di
produrre una teoria dellideologia per quanto limitata al popolo ebraico (cfr. almeno Id., Elementi dautocriti-
ca, Feltrinelli, Milano 1975, p. 31).
17
Cfr. Id., Politique et Histoire, de Machiavel Marx. Cours lcole normale suprieure de 1955 1972,
Seuil, Paris 2006, pp. 193-254.
18
Cfr. Id., Per Marx, cit., almeno pp. 143-151.
19
Cfr. Id., Lenin e la filosofia, Jaca Book, Milano 1974, almeno pp. 45-49, ma lespressione appare gi in
Leggere il Capitale, cit., p. 32.
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo
335
struttura ed elementi esterni ad essa, bench gi presenti, ma ritenuti assenti o invisibi-
li, nella stessa dinamica storica. Inattuale e (apparentemente) impossibile la loro nuova
combinazione proprio ci il cui perseguimento (anche solo teorico) e la cui realizzazio-
ne concreta vengono scoraggiati dallideologia, che ha lo scopo di creare lidea che nulla
di nuovo sia possibile, che quanto c il meglio che ci possa essere e che inutile pro-
vare a cambiare lo stato di cose presente. Lideologia, in altri termini, intende bloccare
la produzione di contingenza riducendo a soggetto, giuridicamente classificabile, linsie-
me pi ampio possibile di comportamenti umani: legalizzando alcune pratiche di sog-
gettivazione (cio trasformando i processi in soggetti per cristallizzazione normativa), il
Diritto si presenta come una delle espressioni massime dellideologia di Stato, il quale,
attraverso i suoi apparati, cerca di governare i movimenti aleatori interni alla struttura
sociale
20
. La filosofia, allora, ha una duplice veste
21
: o serva dello status quo, di cui prova
a costruire unarmonica razionalizzazione, o pratica che tenta di dissolverlo aiutando a
provocarne la trasformazione strutturale. La sua stoffa rivoluzionaria pu essere saggia-
ta in base al grado di intraducibilit delle sue categorie in quelle della filosofia conserva-
trice, di contro alla sua capacit di rendere conto di quelle.
Diversamente dal predeterminismo, dallevoluzionismo positivistico o dal teleolo-
gismo storicistico (propri, ad esempio, della II Internazionale), tanto quanto dal volon-
tarismo che ispirava molti (dalla III internazionale in poi) o dallo spontaneismo tipico
soprattutto dei movimenti, Althusser cerca di riprendere una linea di analisi e di con-
dotta che ponga al proprio centro il problema leniniano dellorganizzazione della clas-
se operaia (anzich delle masse, come iniziava a predicare un gauchisme sempre pi
diffuso)
22
e, con esso, lanalisi teorica delle pratiche storiche del movimento operaio sul-
la scia della celebre affermazione di Lenin, secondo la quale senza teoria rivoluzionaria
non vi pu essere movimento rivoluzionario
23
. Althusser, insomma, non cede, contro
ogni realismo, alla necessit di provare a pensare quali combinazioni potrebbero porta-
re o almeno mettere in moto il processo rivoluzionario: questo il suo machiavellismo.
Il rimprovero al PCF chiaro: aver abbandonato la prospettiva rivoluzionaria a vantaggio
di una strategia parlamentaristica di stampo socialdemocratico lorigine della crisi del
marxismo
24
, come proclamato al convegno veneziano organizzato da il manifesto
25
.
20
Cfr. Id., Ideologia e apparati ideologici di Stato, in Freud e Lacan, Ed. Riuniti, Roma 1977, pp. 65-123 e Lo
Stato e i suoi apparati, cit.
21
Cfr. Id., La trasformazione della filosofia, in Sulla filosofia, cit., pp. 123-150.
22
Cfr. Id., Risposta a John Lewis, in Umanismo e stalinismo, De Donato, Bari 1977
2
. Sul significato di gau-
chisme si veda B. Bosteels, Lhypothse gauchiste: le communisme lge de la terreur, in A. Badiou, S. iek,
Lide du communisme, Lignes, Paris 2010, pp. 49-92.
23
Cfr. V.I. Lenin, Che fare?, in Opere scelte, Ed. in lingue estere, Mosca 1947, 2 voll.; vol. I, p. 156.
24
Cfr. L. Althusser, 22
me
Congrs, Maspero, Paris 1977 e Quel che deve cambiare nel partito comunista,
Garzanti, Milano 1978.
25
Cfr. Id., Finalmente qualcosa di vitale si libera dalla crisi e nella crisi del marxismo, in Il Manifesto, Potere
e opposizione nelle societ postrivoluzionarie una discussione nella sinistra, Alfani, Roma 1978. Sullintenso
dibattito che ne segu cfr. AA.VV., Discutere lo Stato. Posizioni a confronto su una tesi di Louis Althusser, De
Donato, Bari 1978, che contiene anche, di Althusser stesso, Il marxismo come teoria finita, pp. 7-21.
Fabio Raimondi
336
Processo senza Soggetto, ma con molti soggetti
Lidea principale che emerge dalle riflessioni di Althusser quella dellinesistenza di un
andamento predeterminato della storia: dellassenza di destino. Mentre il determinismo
vede come necessaria la relazione tra i correlati e il loro effetto, ma non il prodursi della
relazione stessa, il predeterminismo pretende che anche la relazione sia necessaria.
La storia un processo senza soggetto ossia un immenso sistema naturale-uma-
no in movimento, il cui motore la lotta delle classi. Il problema di come luomo fa la
storia scompare completamente; la teoria marxista lo rigetta definitivamente al luogo
in cui nasce: dentro lideologia borghese. Con esso sparisce anche la necessit del con-
cetto di trascendenza, di cui luomo sarebbe il soggetto
26
. Ci non significa che non vi
siano soggetti, ma che vi sono soggetti solo nella storia (come suoi effetti), senza che per
questo vi sia Soggetto della storia. Unidea che deriva dai risultati ottenuti con Leggere il
Capitale, dove la causalit strutturale forniva una chiave di spiegazione che rifuggiva
da ogni antropocentrismo, cio dal mito borghese della centralit delluomo
27
quale fa-
ber fortunae suae, rinviando implicitamente alla famosa affermazione machiavelliana, se-
condo la quale iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della met delle azio-
ni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare laltra met, o presso, a noi
28
. Machiavelli,
pi di Marx, condiziona il pensiero althusseriano in questa fase, in cui comunque la
lotta di classe che gli stato spesso rimproverato di aver trascurato a essere il modo
in cui si stabilisce quale sia la met (o quasi) che la fortuna ci lascia governare. La sto-
ria una lotta (tra uomo e natura, e tra uomo e uomo), il cui esito incerto. Sperare o
peggio credere in un destino della classe operaia equivale a smettere di lottare: un buon
modo per essere sconfitti. Abbandonare o anche solo trascurare il problema dellorga-
nizzazione segno di un declino inevitabile, anche se la storia impone che rispetto alle
tradizionali strutture dei partiti e dei sindacati comunisti la forma dellorganizzazione
operaia debba essere ripensata a fondo, affinch il Partito non si faccia Stato.
La storia la risultante delleventuale incontro/scontro delle forze e, dunque, pri-
va di un Soggetto unico che la produca o che la diriga: le stesse forze naturali e umane
non esistono indipendentemente luna dallaltra. Non ci sono essenze, ma solo prodot-
ti storici di lotte inestinguibili. Solo dalle lotte dipende la forma di vita che uomini e na-
tura acquisiscono. Il problema non che la lotta abbia fine, ma cosa produce. Anche nel
comunismo, infatti, ci sar ideologia
29
e, dunque, lotta, perch anche nel comunismo ci
sar linguaggio, razionalit e impensato (inconscio), nella conoscenza come nella politi-
ca. Il Soggetto (modellato sullomonimo concetto giuridico borghese, che, a sua volta, ri-
manda alla propria origine teologica), dunque, sempre un effetto della struttura e, nello
specifico, della sua durata, dalla quale nasce, per inevitabile ipostatizzazione, lideolo-
26
Cfr. Id., Risposta a John Lewis, cit., p. 39 e anche pp. 49-50, 125-135. Lespressione processo senza sog-
getto era gi comparsa nel saggio di Balibar in Leggere il Capitale (cfr. cit., p. 340) e in Lenin e la filosofia,
cit., pp. 68-71, 90.
27
Cfr. Id., Leggere il Capitale, cit., pp. 41-42.
28
N. Machiavelli, Il Principe ( XXV), Einaudi, Torino 1995, pp. 162-163.
29
Cfr. Althusser, Per Marx, cit., p. 207 e Il marxismo come teoria finita, cit., p. 17.
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo
337
gia
30
. Abituandosi alle pratiche (leggi, ma anche rituali) necessarie al funzionamento del-
la struttura in cui vivono, gli uomini smettono di avere un atteggiamento critico verso di
essa, con lesito di darne per scontata lesistenza (naturalizzazione) al punto da ipostatiz-
zarla nella figura dellAltro (inconscio). Cos, per rispecchiamento e duplicazione su un
piano trascendente, nasce il Soggetto: identificandosi con esso o sottomettendosi acriti-
camente alla sua legge nascono i soggetti, sempre ideologici, ma non per questo solo pas-
sivi, perch proprio lidentit che li costituisce comanda loro di agire in un modo piutto-
sto che in un altro.
La teoria dellinterpellazione
soprattutto da alcuni testi sulla psicanalisi scritti nel 1966 e dalla rilettura di Feuer-
bach operata nel 1967
31
che Althusser inizia a sviluppare la sua nozione di ideologia, al-
lontanandosi sempre pi sia da Marx sia dallimpostazione lacaniana di Per Marx e di
Leggere il Capitale (tanto che ne seguir la rottura con Lacan e col suo tentativo di recu-
perare il soggetto)
32
. Lideologia cessa di essere, marxianamente, la falsa coscienza trami-
te la quale gli uomini possono diventare coscienti di loro stessi, del loro posto nel mon-
do e magari modificarlo
33
, cos come cessa di essere intesa quale prodotto dellinconscio
che, invece, diventa il vero prodotto dellideologia. Sono le pratiche, richieste da una
struttura che dura e costantemente ripetute, a generare lo sprofondamento dei compor-
tamenti e della mentalit che essa richiede nella naturalit del gi-dato, del da-sempre-
gi-presente. Non limpensato (inconscio) a generare lideologia quale attaccamento
acritico a esso (come accadeva in Per Marx ), ma lideologia, cio labitudine alla ripe-
tizione acritica delle pratiche richieste dalla struttura, a fare di essa il nostro inconscio,
perch la forza dellabitudine (...) lega lo spirito al luogo dei suoi pensieri [e] luomo al
luogo dei suoi lavori
34
. O, come diceva Pascal, solo pregando che si diventa creden-
ti: e solo cos Dio diventa il nostro inconscio. Linconscio un effetto ideologico: effet-
to reale, foriero di abitudini e idee, effetto che produce soggetti, perch assoggetta colo-
ro che nascono allinterno di una certa struttura a unidentit predefinita, pre-vista dagli
status (per dirla con Bourdieu) che presiedono al suo funzionamento.
Questa la teoria dellinterpellazione: lideologia interpella gli individui in quan-
to soggetti
35
ossia trasforma gli individui in soggetti perch li assoggetta classificando-
li attraverso le convenzioni sociali e le formalizzazioni giuridiche, incasellandoli nelle fi-
gure della Tradizione e del Diritto. Lideologia recluta soggetti tra gli individui con
questoperazione molto precisa che chiamiamo interpellare e che possiamo rappresen-
30
Cfr. almeno Id., Lenin e la filosofia, cit., p. 71.
31
Cfr. Id., Sulla psicoanalisi. Freud e Lacan, Cortina Ed., Milano 1994 e Su Feuerbach, Mimesis, Milano
2003.
32
Cfr. J. Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicanalisi, Einaudi, Torino
2003
2
.
33
Cfr. L. Althusser, Per Marx, cit., pp. 206-209.
34
Id., Journal de captivit. Stalag XA/1940-45, Stock/Imec, Paris 1992, p. 175.
35
Cfr. Id., Ideologia e apparati ideologici di Stato, cit., almeno pp. 95-114; cit. da p. 107.
Fabio Raimondi
338
tarci nel modo stesso del pi banale interpellare poliziesco (o no) di ogni giorno: Ehi,
lei laggi!; lindividuo che risponde a questa domanda diventa soggetto, perch ha
riconosciuto che questo interpellare era diretto proprio a lui e che era proprio lui che
veniva interpellato (e non un altro). La spiegazione di questo strano fenomeno, sfrut-
tando il quale gli apparati di Stato cercano di controllare e governare i movimenti alea-
tori che si producono allinterno della societ, sta nellidentit, nel fatto che lideologia
ha sempre-gi interpellato gli individui, (...) che gli individui sono stati sempre-gi inter-
pellati dallideologia in quanto soggetti [e, dunque,] che gli individui sono sempre-gi
soggetti
36
, da quando nascono e ricevono un nome e un ruolo.
Lideologia quellinsieme di regole, usi, leggi, abitudini, credenze ecc., che non solo
costituisce lossatura normativa di una societ (rispetto alla quale si stabilisce la nor-
malit di ogni comportamento), ma che ha come suo effetto quello di produrre assog-
gettamento: operazione che riesce lindividuo risponde allappello perch in realt
egli assoggettato sin dalla nascita (Althusser richiama Freud e il rituale della nasci-
ta: trasferimento del nome del padre, attribuzione di unidentit sociale in base al ses-
so ecc.)
37
; egli dunque riconosce nellappello ideologico la verit inconscia (cio sociale)
di cui fa parte il ruolo sociale a cui stato assoggettato, destinato e da essa si sente
chiamato. Il risultato che lindividuo interpellato come soggetto (libero), affinch
si sottometta liberamente agli ordini del Soggetto, affinch accetti (liberamente) il suo
assoggettamento
38
, cio il suo agire funzionalmente al meccanismo di produzione, ri-
produzione e circolazione del capitale (o di qualunque altro Assoluto). Il mito borghese
dellUomo, quale soggetto autonomo, smascherato nella sua funzione di asservimento
degli individui al potere dello Stato e della societ capitalistica: figure mitiche o imma-
ginarie in quanto libere associazioni, tramite contratto, di soggetti liberi; figure reali se
pensate come effetti della combinazione di violenza e ideologia, di uso della forza e co-
struzione del consenso, in linea con linsegnamento di Machiavelli. Come si esce allora,
se si esce, dalla morsa dellideologia borghese?
Il materialismo aleatorio: limportanza del vuoto e di Machiavelli
Su questa domanda, che compendia tutto il percorso althusseriano, e che indica anche
nella dimensione invisibile ma materiale dellideologia lambito in cui collocare il cuo-
re della lotta di classe, non per attuare una semplice critica (nessun illuminismo sal-
vifico: la conoscenza non abolisce lideologia)
39
, ma per operare dialetticamente il cam-
bio di terreno che renda possibile spiazzare gli avversari dando al movimento operaio
loccasione di produrre nuova teoria e magari nuova scienza (quella dellideologia) da
utilizzare nella lotta politica, si apre lultima fase della filosofia di Althusser: quella del
materialismo aleatorio. Rispetto a Marx e al marxismo la base acquista una dimensio-
36
Cfr. per tutte le citazioni ivi, pp. 111-113.
37
Cfr. ibid., pp. 113-114.
38
Ibid., p. 119.
39
Cfr. Id., Per Marx, cit., pp. 205-206.
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo
339
ne sempre pi contingente in quanto effetto di un incontro imprevisto (tra capitalisti
e forza-lavoro), mentre lideologia acquisisce una funzione sempre pi strutturante di-
ventando, assieme agli apparati di Stato, parte integrante, e non solo sovrastruttura-
le, del modo di produzione accanto alleconomia. La contrapposizione netta tra base e
sovrastruttura tende a saltare e con essa la metafora architettonica delledificio: la strut-
tura non pi la norma in base alla quale si misura lo scarto della contingenza (anche
nella conoscenza) o il fondamento su cui si edifica ledificio sociale, ma diventa il tenta-
tivo contingente di porre sotto controllo la vera norma dellaccadere, esemplificata dal
clinamen lucreziano.
Il tema che torna quello degli inizi: la combinazione imprevista e la sua produzione,
ma ora, per articolarlo, Althusser fa leva su una corrente di pensiero, che definisce
una tradizione materialistica quasi del tutto misconosciuta nella storia della filosofia: il ma-
terialismo (serve pure una parola per definirlo nella sua tendenza) della pioggia, della de-
viazione, dellincontro e della presa. Per semplificare le cose, diciamo, per il momento: un
materialismo dellincontro, dunque dellaleatorio e della contingenza, che soppone, come un
pensiero del tutto diverso, ai diversi materialismi censiti, compreso il materialismo corren-
temente attribuito a Marx, a Engels e a Lenin, che, come ogni materialismo della tradizione
razionalista, un materialismo della necessit e della teleologia, cio una forma trasformata e
mascherata di idealismo
40
.
Lo spostamento del baricentro della lotta sul terreno delle ideologie quasi il prolunga-
mento della via battuta, ma ritenuta sterile, da Marx e Engels nellIdeologia tedesca im-
plica lassunzione di un materialismo non illuministico e non teleologico, cio non ideali-
stico, di cui, oltre a Marx e Engels, farebbero parte: Epicuro, Machiavelli e Spinoza.
Questo materialismo ha la caratteristica di provare a pensare lincontro tra istan-
ze, elementi o forze diverse come contingente e necessario al contempo, anche se non
a causa di un telos pi o meno provvidenzialistico o deterministico: il clinamen figu-
ra della necessit
41
o la contingenza quale esito di una necessit non predetermina-
ta, aleatoria. Questo materialismo, infatti, la negazione di ogni teleologia [e] non
quello di un Soggetto (che sia Dio o il proletariato), ma quello di un processo senza
Soggetto che domina lordine del suo sviluppo, senza fine assegnabile. Si sente qui
linfluenza di Darwin, letto in chiave di non-anteriorit del Senso, in cui la necessi-
t [ pensata] come il divenir-necessario dellincontro di contingenze
42
: un incontro in
cui si produce una presa (che si manifesta nella durata, scambiata poi per necessit na-
turale), un effetto di unit strutturale che resta modificabile proprio perch frutto di
un processo aleatorio.
Il maestro di questo pensiero della storia come trasformazione di congiunture e di
strutture Machiavelli
43
, perch tent di pensare nelle condizioni impossibili dellItalia
del XVI secolo, le condizioni della costruzione di uno Stato nuovo, ossia tent di crea-
40
Id., Sul materialismo aleatorio, cit., p. 56.
41
Cfr. ibid., p. 57.
42
Cfr. Id., Filosofia e marxismo, cit., pp. 47-48.
43
Cfr. ibid., p. 53.
Fabio Raimondi
340
re le condizioni di una deviazione e dunque di un incontro: condizioni che sono il nulla
di quello che cera (i principati e le repubbliche italiane, limpero e le monarchie stranie-
re), ma la combinazione imprevista di un elemento che veniva da fuori, uno scono-
sciuto [Cesare Borgia], partito da nulla e da un luogo inassegnabile
44
, con le struttu-
re esistenti. Un fuori che sempre un vuoto, interno o esterno a una struttura, perch
sempre uno spazio non occupato, in cui si possono dare nuovi incontri/scontri, forie-
ri di aggregati che potrebbero tradursi, se sapranno durare, in nuove forme di vita, in
nuove istituzioni.
questa una filosofia che fa della custodia del vuoto (e non dellessere), entro cui solo
possibile il clinamen, la sua missione, di contro alle ideologie che, invece, vogliono far
sembrare il vuoto che inevitabilmente le costituisce, essendo strutturate come ogni altra
realt da una combinazione di istanze diverse, pieno e, di conseguenza, inalterabile per-
ch perfetto, privo di lacune.
Contro leconomicismo e legemonia
Si pu pensare che il distacco dal marxismo sia netto e che questa filosofia non abbia
ormai pi nulla a che fare con esso. Non cos per Althusser, che individua in Marx e
Engels, due concezioni del modo di produzione. La prima risale alla Situazione della
classe operaia in Inghilterra di Engels [e] si ritrova, nel Capitale, nei capitoli sullaccumu-
lazione originaria e sulla giornata lavorativa, [e] anche nella teoria del modo di produ-
zione asiatico. La seconda si trova nei grandi passaggi del Capitale sullessenza del capi-
talismo [ecc.]
45
. La prima storico-aleatoria, la seconda essenzialistico-filosofica
46

ed nella prima che emerge la consapevolezza che il modo di produzione capitalistico
nato dallincontro tra il proprietario di denaro e il proletario sprovvisto di tutto, sal-
vo che della propria forza-lavoro
47
. Si tratta dunque di provare a pensare quali sono le
condizioni per la presa: larticolazione o la combinazione delle istanze non comprensi-
bile se non si riesce a conoscere come e perch esse si uniscono o si respingono. Ci sono
condizioni storiche e materiali, ma la ragione ultima, secondo Althusser, ancora lideo-
logia, di cui la societ (capitalistica, ad esempio) un effetto, come effetti sono i sogget-
ti che produce. Machiavelli, forse pi di Marx, adesso lautore da cui ripartire, avendo
egli descritto il funzionamento del primo apparato ideologico di Stato: il Principe
48
.
Nellultimo periodo della sua riflessione, Althusser ci consegna una diagnosi e una
prognosi per la crisi che il movimento operaio internazionale stava attraversando: la pri-
ma individua nel privilegio eccessivo accordato alla base economica la ragione dellin-
comprensione del primato, sempre in ultima istanza, dellideologia; la seconda, invece,
indica proprio il terreno ideologico come quello in cui la lotta di classe va combattu-
ta altrettanto energicamente che in quello economico e politico. Non si tratta di sosti-
44
Cfr. Id., Sul materialismo aleatorio, cit., pp. 62-63.
45
Cfr. ibid., pp. 105-106.
46
Cfr. ibid., p. 109.
47
Ibid., p. 106.
48
Cfr. ibid., p. 164 e Id., Machiavelli e noi, Manifestolibri, Roma 1999.
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo
341
tuire leconomia con lideologia (come Althusser, ingenerosamente, crede pensi Gram-
sci), bens di comprenderne la compenetrazione: che il sottotitolo del Capitale sia Critica
delleconomica politica, cio critica dellideologia economica borghese va preso sul serio.
nel campo di battaglia circoscritto dalla relazione tra le scienze, la politica e le ideo-
logie che la filosofia trova il suo posto: il suo compito svelare limpensato che agisce in
esse e in se stessa, per aprire nellideologia la breccia (loccasione, cio il tempo possibi-
le di un agire) in cui possano inserirsi le scienze e la politica.
La lezione di Althusser non veicola alcun dogma, ma, al contrario, sta nel riconosce-
re che le leggi sono assolute solo nella loro relativit: assolute solo nella congiuntura a
cui appartengono. I tempi sono strutturalmente diversi gli uni dagli altri, e dunque in-
traducibili in un tempo unico, tanto quanto inconfrontabili tra loro: per questo o si ur-
tano, respingendosi o fondendosi in un tempo nuovo, oppure si mancano; mai per si
traducono (sintesi) in un altro tempo che funge da Misura e, dunque, mai possono rap-
portarsi (comparazione) attraverso la mediazione di un tempo comune sia esso il loro
denominatore comune o la ricapitolazione ultima della loro processualit. La storia la
ricognizione di quale struttura complessa (economico-politico-ideologica) consenta a
ognuno di essi di funzionare, cio di darsi come ununit di elementi, istanze o forze di-
verse, incontratesi magari per caso e senza una ragione, ma la cui presa, durata, si tra-
dotta in necessit capace di imporre la supremazia del proprio tempo su altre strutture
e, cos facendo, produrre forme di comportamento specifiche, ripetitive, che si incarna-
no in usi, abitudini, leggi e idee.
Leredit di Althusser dura a lungo?
Una storia dellinfluenza del pensiero althusseriano deve ancora essere scritta. Seguire
i molteplici debiti che il pensiero filosofico, ma non solo (vi si possono aggiungere an-
che la critica letteraria e lepistemologia, la teoria politica e sociale e la storia della filo-
sofia), ha con Althusser, a partire dalla seconda met degli anni Sessanta a oggi, non
facile, anche perch bisognerebbe seguirne linflusso in tutti i continenti. Sembra avve-
rarsi quanto egli stesso scriveva a Franca Madonia il 23 ottobre 1962: lavoro anche per
far lavorare gli altri
49
.
Ma pi che una storia della scuola althusseriana, probabilmente (ma da verifica-
re) compresa essenzialmente tra il 1965 e il 1968 (lanno in cui usc Pouvoir politique et
classes sociales di Poulantzas, anche se non vanno dimenticati, oltre ai suoi testi succes-
sivi, quelli di Pcheux sullanalisi del discorso e quelli di Lecourt sullepistemologia), si
tratta piuttosto di capire quanto ci dia ancora da-pensare il lascito althusseriano. Anche
in questo caso, sarebbe lungo e complesso ricostruire la rete di tutti coloro che, pi o
meno criticamente, hanno fatto e fanno riferimento al tesoro degli scritti di Althusser, a
partire dai suoi due allievi pi fedeli, pur nella presa di distanza che entrambi hanno
maturato nel corso degli anni: Balibar e Macherey, i quali, diversamente da Rancire
50
,
49
Id., Lettres Franca, Stock/Imec, Paris 1998, p. 255.
50
Cfr. La leon dAlthusser, Gallimard, Paris 1974.
Fabio Raimondi
342
hanno continuato a confrontarsi apertamente e sinceramente con i vuoti del pensiero di
Althusser, primo e non ultimo Spinoza
51
.
Se durante il lungo decennio 1968-1980, Althusser viene sospinto progressivamente
ai margini della riflessione marxista, e al contempo attaccato da anti-marxisti della prima
e dellultima ora (tanto per fare qualche nome: Ricur e Aron, Glucksmann e Rovatti)
52

ne esce definitivamente dopo luxoricidio. Paradossalmente ma non troppo, con la ca-
duta del muro di Berlino (1989) e con la fine dellURSS (1991) che la sua filosofia torna a
destare un forte interesse, risuscitando anche forti contrasti, negli ambienti dellintelli-
ghenzia europea, latinoamericana e anglosassone rimasti orfani sia dei partiti comunisti
(in genere non molto amati) sia dei movimenti di ispirazione pi o meno latamente co-
munista. Dalla met degli anni Novanta a oggi assistiamo, anche in Italia, soprattutto a
opera dellAssociazione Louis Althusser, a un rinnovato interesse per il suo pensiero che
si concretizza in nuovi e pi approfonditi studi, ma anche in nuove traduzioni dei suoi
testi, organizzazione di convegni e dibattiti in tutto il mondo.
I filosofi che oggi riconoscono il loro debito verso Althusser sono molti , nonostan-
te i distinguo e le critiche. Tra questi cito, per ricordarne solo alcuni tra i pi famosi,
Badiou, che aveva fatto parte dellentourage althusseriano in giovane et, Tort e Terray
tra i francesi, Butler, Eagleton e Montag tra gli anglosassoni, Turchetto, Preve, Illumina-
ti e Negri tra gli italiani, Therborn e iek in rappresentanza del resto dEuropa, Navar-
ro e Laclau per lAmerica Latina. Anche solo sfogliando gli indici dei volumi collettanei
pi recenti elencati in bibliografia ci si pu rendere conto di come, accanto a costoro, si
stiano mettendo in luce numerosi giovani studiosi provenienti da generazioni cresciu-
te a partire dagli anni Ottanta e che vedono in Althusser un banco di prova per pensare
la crisi del marxismo, ma anche la possibilit di uscirne allaltezza delle sfide poste dalla
globalizzazione neoliberista. Non un maestro, ma un compagno di viaggio alla ricerca di
un tempo nuovo, in cui alla parola e alle pratiche del comunismo si possa dare un volto
non pi segnato solo dallo sfregio apportato dalla storia. Un volto che sappia far tesoro
delle conquiste, senza rinnegarle sullaltare dellinsuperabilit del mercato e del capitale,
ma che sia anche capace di comprendere la propria storia complessiva, con errori e orro-
ri, al fine di evitarne la ripetizione e, magari, produrre loccasione per una deviazione.
BIOGRAFIA
Louis Althusser nacque a Birmandreis, vicino ad Algeri, il 16 ottobre 1918 e mor a Pa-
rigi il 22 ottobre 1990. Di formazione cattolica, dopo la guerra (trascorsa in un cam-
po di prigionia tedesco per militari), nel 1948, cominci a insegnare allcole normale
suprieur (dove rimase per tutta la vita) e si iscrisse al Partito comunista francese (PCF),
51
Cfr. M. Sprinker, The Legacies of Althusser, Yale French Studies, 88, 1995, pp. 201-225.
52
Cfr. P. Ricur, Althusser, in Ideologia e utopia, Jaca Book, Milano 1994, pp. 119-176; A. Glucksmann, A
Ventriloquist Structuralism, New left review, I, 72 (1972), pp. 68-92; R. Aron, Althusser ou la lecture pseudo-
structuraliste de Marx, in Marxismes imaginaires. Dune sainte famille lautre, Gallimard, Paris 1970, pp. 175-
323; P.A. Rovatti, Critica e scientificit in Marx. Per una lettura fenomenologica di Marx e una critica del marxismo
di Althusser, Feltrinelli, Milano 1975
2
.
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo
343
che lasci solo nel 1980, anno in cui ruppe platealmente con Lacan e in cui la malattia
che lo affliggeva lo port a uccidere la moglie: Hlne Rytmann. Il suo nome legato so-
prattutto a due libri: Pour Marx e Lire le Capital, usciti entrambi nel 1965; il primo riuni-
sce una serie di saggi scritti e pubblicati tra il 1960 e il 1965, mentre il secondo raccoglie
i frutti di un seminario, al quale contribuirono anche E. Balibar, R. Establet, P. Macherey
e J. Rancire. Le tesi esposte crearono, nel corso degli anni successivi, un ampio dibatti-
to, a cui Althusser partecip spiegando, difendendo e rettificando le proprie posizioni.
Il 68 lo vide piuttosto scettico sulle possibilit di riuscita rivoluzionaria del movimento
studentesco e per questo venne aspramente criticato e accusato di stalinismo. Nonostan-
te i tentativi di spiegare la sua posizione (si vedano almeno Lnine et la philosophie del
1969, Rponse John Lewis del 1973 e lments dautocritique del 1974) si trov sempre
pi isolato. Nel 1970 usc Idologie et appareils idologique dEtat, un saggio che fece (e
fa) molto discutere in cui Althusser portava a compimento la sua teoria dellideologia.
Nel 1977, durante un convegno tenutosi a Venezia, organizzato dal quotidiano il ma-
nifesto, dichiar che la crisi del marxismo era ormai conclamata, causa lassenza di una
teoria dello Stato, sollevando ulteriori discussioni, che si protrassero anche durante il
1978 e che facevano capo a una serie di brevi interventi scritti in quel biennio, la cui fon-
te era labdicazione del PCF alla dittatura del proletariato. Negli anni Ottanta, infine,
nei rari sprazzi di lucidit concessi dalla malattia, si impegn ancora a difendere e rive-
dere le proprie idee scrivendo una serie di testi, spesso incompiuti e pubblicati postumi,
classificati sotto letichetta materialismo aleatorio, attraverso i quali tentava, per len-
nesima volta, una nuova lettura eterodossa di Marx e del marxismo. Il Fondo Althusser,
contenente testi editi e inediti, carteggi, quaderni di appunti e altri materiali, conser-
vato e consultabile presso lInstitut Mmoires de ldition Contemporain (IMEC), che ha
attualmente sede allAbbaye dArdenne a Caen in Normandia.
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http://www.imec-archives.com/ - Institut Mmoires de ldition Contemporain (IMEC).
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347
ANDR GORZ, UN MARXISMO ESISTENZIALISTA
Franoise Gollain
La storia e il soggetto della storia
La verit che sono un bricoleur, un maverick
1
. Lappartenenza, lintegrazione in un
movimento sono lultimo dei miei pensieri. Ne sono incapace, cos mi scriveva alla
fine della sua vita Grard Horst (il vero nome di Andr Gorz), che pure era stato uno
degli ispiratori del movimento studentesco del maggio 1968, un pensatore della prima
ecologia degli anni Settanta e un riferimento importante per i sindacalisti progressisti,
i nuovi movimenti sociali e una generazione intera di intellettuali di sinistra, in Fran-
cia e fuori.
Lopera originale di questo teorico fondamentalmente indipendente, riconducibile,
in mancanza di riferimenti pi adeguati, alla New Left, non si lascia categorizzare con
facilit e, cosa da rimarcare, si sviluppata interamente al di fuori delluniversit. Ha
praticato un giornalismo impegnato, prima, sotto lo pseudonimo di Michel Bosquet, a
Paris-Presse (nel 1951), poi come giornalista economico sui settimanali LExpress
(1955) e Le Nouvel Observateur (1964). Parallelamente, a partire dal 1961 ha portato
avanti la sua attivit sulla famosa rivista di Sartre Les Temps Modernes, di cui stato
membro del comitato di direzione tra il 1969 e il 1974. Fece parte degli intimi di Jean-
Paul Sartre, pur allontanandosene progressivamente dopo il 1974.
Difficilmente classificabile, peraltro, non significa superficialmente eclettico: lope-
ra di Andr Gorz, sviluppata lungo mezzo secolo attraverso sedici libri e centinaia di ar-
ticoli, trova la sua coerenza profonda nelle posizioni filosofiche esposte nei suoi primi
due lavori, Fondaments pour une morale
2
e Il traditore
3
. Le questioni che percorrono la
sua opera sono, come vedremo, quelle della libert umana, dellalienazione e del senso,
e sono legate a ragioni del tutto personali di seguito indicate.
1
In inglese nel testo. Il termine significa cane sciolto, individuo non conformista (N.d.T.).
2
A. Gorz, Fondaments pour une morale, Seuil, Paris 1977 (ma scritto subito dopo la guerra).
3
A. Gorz, Le tratre, Seuil, Paris 1958, tr. it. Il Traditore, Il Saggiatore, Milano 1966.
Franoise Gollain
348
Nato nel 1923 a Vienna in ambiente piccolo borghese e conformista, di padre ebreo
e madre cattolica autoritaria ed esigente, Gorz ha vissuto da solo, in un collegio svizzero,
prima lascesa del nazismo e lannessione dellAustria da parte del III Reich, poi la guer-
ra. Nel 1945 ottiene la laurea in ingegneria chimica, in seguito incontra due personag-
gi che avranno uninfluenza determinante sulla sua esistenza di uomo e di intellettuale:
Sartre, che nel 1946 era venuto a tenere una conferenza a Losanna ed era poi ritornato a
Ginevra; la sua futura moglie Dorine, con la quale lascia la Svizzera per Parigi nel 1949.
La loro unione di 59 anni si concluder il 22 settembre 2007 con il loro suicidio, larga-
mente mediatizzato e forse interpretato come il loro ultimo atto di libert
4
.
Il traditore, autobiografia e auto-analisi in forma di saggio filosofico, esplora la sua
difficolt a esistere e la sua esperienza di non appartenenza ed esilio, legata a una situa-
zione storica determinata. Questa combinazione spiega la difficolt del giovane Gorz a
sentirsi davvero a casa quale che fosse la nazione, la comunit o la cultura, la sua propen-
sione a interrogare le norme del suo tempo e fa anche capire il fervore con cui adott de-
finitivamente la filosofia esistenzialista e fenomenologica: quella di Jean-Paul Sartre, se-
condo cui in assenza di un senso prefissato, ognuno di noi condannato a inventarsi in
quanto soggetto, a dare senso alla propria esistenza; quella di Maurice Merleau-Ponty,
secondo cui le condizioni concrete della nostra esistenza non si oppongono alla nostra
libert, anzi ne sono la sostanza stessa. Gorz attinger da questi precetti per compren-
dere se stesso, ma ugualmente per definire la convinzione secondo cui gli esseri umani,
messi davanti allinconciliabilit tra la libert personale e le forze che si sottraggono al
loro controllo, sono capaci di auto-emanciparsi e auto-determinarsi; di qui il suo inte-
resse precoce per il marxismo.
Questi strumenti teorici lo hanno inoltre condotto a criticare radicalmente il capi-
talismo e a distruggere i dogmi del marxismo staliniano ortodosso, in nome di ci che
deve essere reso possibile in funzione dei bisogni e delle esigenze umane. Ci facendo,
Gorz ha riformulato lideale del comunismo sulla base di un marxismo umanista ed esi-
stenzialista su cui si poteva, questa era la sua speranza, costruire una sinistra diversa: an-
ti-produttivista ed ecologica, ma ugualmente anti-determinista. In effetti, la critica del
modello produttivista e meccanicista, base delle economie occidentali come di quelle
orientali, che permette di cogliere loriginalit profonda della sua critica del lavoro, per
la quale si fatto conoscere come un teorico di primo piano.
Il rapporto tra i fini che si d un individuo autonomo e le leggi della storia costitui-
sce sin dallinizio il punto focale della sua riflessione: in Fondements pour une mora-
le, Gorz sostiene che il presupposto dei marxisti secondo cui il proletariato portatore
del senso della storia non ha alcuna validit, se non si dimostra che i due elementi (cio
proletariato e soggetto portatore del senso della storia) possono davvero coincidere. La
Morale della storia riprende questa problematica per delineare labbozzo di una teoria
dellalienazione, corollario di un progetto di emancipazione formulato dapprima in ter-
mini astratti, e che verr espresso pi concretamente nelle sue opere successive. Con-
tro un marxismo mutilato, egli presenta il progetto di una fondazione teorica del comu-
4
Il suo commovente omaggio a Dorine anche una biografia di grande onest: Lettre D. Histoire dun
amour, Galile, Paris 2006, tr. it. Lettera a D.: storia di un amore, Sellerio, Palermo 2008.
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista
349
nismo su basi alternative rispetto alle pretese necessit economiche, il tutto a partire da
una lettura esistenzialista dei testi di Marx.
La filosofia della storia di Marx era umanista, sostiene Gorz, nella misura in cui
lavvento del comunismo dipendeva secondo lui al contempo dalla logica dei fatti, cio
dalle contraddizioni cui il capitalismo soccomberebbe inevitabilmente, e dallesigen-
za umana. La rivoluzione proprio listante in cui gli individui, sino ad allora oggetti e
prodotti della Storia, si pongono come soggetti e produttori di una storia che faranno
consciamente. Allopposto di quello che insegna un materialismo storico meccanicista,
il comunismo non potr in alcun modo risultare da una necessit ineluttabile della Sto-
ria; si tratta piuttosto di una necessit facoltativa poich questa necessit deve anche
essere voluta espressamente per essere attuata. Essa esige dagli individui la coscienza es-
plicita dei loro fini umani e della loro autonomia
5
. per questo che una riflessione sul-
la necessit di una trasformazione rivoluzionaria non deve dimenticare il momento e le
condizioni della presa di coscienza da parte degli attori interessati. Il suo bisogno deve
essere sentito.
Partire dai bisogni
6

Linsistenza sui bisogni umani autonomi, cio non dati per natura e non riducibili al bi-
sogno di esistere fisiologicamente, ha permesso a Gorz, a partire dalla fine degli Cin-
quanta, di sottolineare lo scacco delle societ dette avanzate siano esse capitaliste o
socialiste nel promuovere la piena e autonoma espressione delle facolt intellettuali,
artistiche, affettive e creatrici degli individui. Fu cos uno dei primi a proporre una cri-
tica radicale del produttivismo e del consumismo, e a schizzare la prospettiva di uneco-
logia realmente politica molto prima che il termine entrasse in uso.
Mentre altri autori, Sartre incluso, avevano trasferito le loro aspirazioni rivoluzio-
narie sui popoli del Terzo Mondo, la sollevazione del maggio 1968 conferm secondo
Gorz quanto predetto in Stratgie ouvrire et no-capitalisme, dove aveva esposto ai mo-
vimenti sindacali le diverse strategie che erano loro offerte. Vi affermava che la classe
operaia dei Paesi industrializzati dellepoca rappresentava sempre un fattore di trasfor-
mazione rivoluzionaria nella misura in cui il processo di produzione capitalista aveva fat-
to nascere delle nuove esigenze radicali, incompatibili con la logica del sistema e collo-
cate al di l delle necessit della semplice produzione e riproduzione della vita. Si tratta,
propone Gorz, di opporre al capitalismo dei bisogni meno immediati ma pi profon-
di, che nessun consumo in grado di soddisfare, e di criticare laccumulazione e il mo-
dello di consumo della societ capitalista. Il vero socialismo esigerebbe una produzione
5
A. Gorz, La morale de lhistoire, Seuil, Paris 1959, tr. it. La morale della storia, Il Saggiatore, Milano 1960,
p. 145.
6
Titolo della prima sezione della prefazione alla raccolta Rforme et rvolution, Seuil, Paris 1969, che com-
prendeva il suo testo Stratgie ouvrire et nocapitalisme, pubblicato per la prima volta nel 1964 da Seuil,
cos come la sintesi di una serie di conferenze fatte nellaprile del 1966 ugualmente intitolate: Rforme et
rvolution.
Franoise Gollain
350
subordinata ai bisogni tanto per quanto riguarda il prodotto che per quanto riguarda la
maniera di produrlo.
Conviene insistere sul fatto che lelaborazione di una concezione democratica del so-
cialismo intimamente legata a una critica permanente della tecnocrazia e del suo corol-
lario, il processo di depoliticizzazione, di cui si trovano i lineamenti negli anni Sessanta
e che si arricchir nel corso degli anni Settanta. Lapparato tecnocratico dipende dal ve-
nir meno, presso gli individui, delle competenze necessarie allesercizio dellautogestio-
ne, della democrazia a tutti i livelli. In Il Socialismo difficile
7
, una raccolta di conferen-
ze e testi prodotti tra il 1963 e il 1966, Gorz non si accontenta di denunciare limpasse
del sindacalismo tradizionale, che si limita a una contestazione interna al sistema capi-
talista per la ripartizione dei frutti della crescita sotto forma di rivendicazione salariale;
egli sottolinea anche che lo spossessamento del produttore e del cittadino di ogni pote-
re reale identico, nel sistema capitalista come nel sistema socialista. Mentre le decisio-
ni circa la produzione e il consumo nel campo socialista vengono prese seguendo il mo-
dello capitalistico, unautonomia del partito rispetto allo Stato sarebbe auspicabile in un
sistema autenticamente democratico, in modo da promuovere le discussioni necessarie
a una democratizzazione di queste decisioni.
Daltra parte, i partiti costituiscono una fonte di vera democrazia solo se sono le-
gati alle comunit di base in cui sono discussi collettivamente i bisogni degli individui
concreti. I compiti del partito rivoluzionario non sono limitati, di conseguenza, al domi-
nio strettamente politico, precisa Gorz nel saggio Rforme et rvolution. Spetta ai parti-
ti condurre un lavoro permanente di elaborazione ispirato da ricerche autonome in tutti
i domini in cui si riveli la contraddizione tra le possibilit di liberazione e realizzazione
racchiuse nelle forze produttive e culturali di cui dispone la societ, e la sua incapacit di
sfruttarle e svilupparle in un senso liberatorio
8
. Fa qui la sua comparsa la tematica, cen-
trale nella sua opera, del socialismo come orizzonte di senso, di un senso sospeso, che sta
a noi costruire. Appare anche il suo interesse permanente per le sperimentazioni sociali
suscettibili di dare avvio al processo rivoluzionario della transizione al socialismo.
Di fatto, Gorz fu un artefice decisivo dellemergere di temi nuovi, inaccessibili a co-
loro che tenevano lo sguardo fisso a Est. Era in sintonia con i nuovi movimenti sociali
nati negli anni Sessanta-Settanta che, mettendo in questione le strutture gerarchiche (si
pensi al femminismo), inauguravano nuove modalit dazione politica e rompevano con
il militantismo tradizionale dei sindacati e dei partiti, rifiutando la ricerca del potere sta-
tale e facendo proprie le poste culturali dimenticate dalla sinistra istituzionale, compre-
sa quella marxista.
La sua intera opera ugualmente marcata dalla ricerca del dialogo con le corren-
ti sindacali di sinistra. Mentre il partito comunista francese restava asservito agli ordini
di Mosca, Gorz svilupp dei legami stretti con vari marxisti italiani, in particolare della
corrente operaista. Introdusse cos ai lettori di Les Temps modernes i lavori di Bruno
Trentin e Vittorio Foa (sindacalisti) o di Rossana Rossanda (Il Manifesto), e leggeva
regolarmente le pubblicazioni di Potere operaio (Antonio Negri) e Lotta Continua
7
A. Gorz, Le Socialisme difficile, Seuil, Paris 1967, tr. it. Il socialismo difficile, Laterza, Roma-Bari 1968.
8
A. Gorz, Rforme et rvolution, cit., p. 241.
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista
351
(Adriano Sofri). Nel medesimo periodo in Francia era in contatto con le figure centrali
del Partito socialista unificato (CSU), esercitava una sicura influenza sui militanti del sin-
dacato studentesco UNEF ed era un catalizzatore delle rivendicazioni qualitative del mo-
vimento operaio, incarnate soprattutto nel corso degli anni Settanta dal sindacato CFDT
(Confederazione francese del lavoro). A partire dalla met degli anni Ottanta predomi-
nano i suoi scambi con militanti e teorici tedeschi progressisti dellEst e dellOvest (Ru-
dolph Bahro, Rainer Land, Peter Glotz).
Per il superamento della divisione capitalista del lavoro
Con Critique de la division du travail
9
, Gorz espone una strategia politica anticapitalista
che gi oltre i confini della fabbrica. Il disegno di un potere operaio non solo quello
di unire rivendicazione salariale, gestione del processo di produzione e auto-determina-
zione da parte dei lavoratori delle condizioni e dei rapporti di lavoro, comera detto gi
in Stratgie ouvrire et no-capitalisme, ma anche, come afferma ora con vigore, potere
sulle scelte e sulle finalit della produzione e del consumo.
Questa raccolta di testi si apre con uno studio dellamericano Stephen Marglin che,
sullesempio degli autori de Il Manifesto, mette in esergo lunit delle tecniche di produ-
zione e dominio. Storicamente, la divisione del lavoro risulta non da necessit obiettive,
ma da esigenze di accumulazione capitalista e si opera mediante il controllo dei produt-
tori. Lorganizzazione gerarchica del lavoro ha di conseguenza una funzione disciplina-
re: nel dispotismo di fabbrica nato con il capitalismo industriale, limperativo del ren-
dimento massimo camuffato da necessit oggettive fissate dalle leggi apparentemente
neutre di una macchina complessa. Ora, questa divisione del lavoro, per cui conoscenza,
intelligenza e controllo sono confiscati alloperaio dal capitale per essere incorporati nel-
le tecnologie e nellorganizzazione del lavoro, costituisce la fonte di tutte le alienazioni.
Gorz riprende i termini di Marx secondo cui le potenze intellettuali della produzione
gli ritornano come propriet di altri e come possesso di chi li soggioga
10
; di qui la ne-
cessit di unautentica appropriazione collettiva delle tecniche e dellorganizzazione del
lavoro come potenza comune di tutti da parte dei produttori associati e di una colla-
borazione volontaria tra di essi.
Se Gorz si inscrive incontestabilmente nella corrente orientata allautogestione,
allepoca potente, si deve notare che la sua concezione di potere operaio parola
dordine allora in voga subito molto larga: se gli operai potessero dire la loro sul
fine e lo svolgimento del processo lavorativo, laccumulazione del capitale cesserebbe di
essere la finalit dominante della produzione; essa sarebbe subordinata, o contemperata,
con altri fini come il gradimento e linteresse del lavoro, la sua utilit, il valore duso dei
prodotti, laccrescimento del tempo libero, etc.
11
. Potremmo vivere meglio producen-
9
A. Gorz, Critique de la division du travail, Seuil, Paris 1973.
10
Ibid., p. 9. Gorz prende queste due formule dal Marx de Il Capitale. Critica delleconomia politica, libro I,
capitolo XII, Editori Riuniti, Roma 1964.
11
A. Gorz, Critique de la division du travail, Seuil, Paris 1973, p. 94.
Franoise Gollain
352
do meno, a condizione di lavorare, di consumare e di vivere altrimenti
12
. Ci contraste-
rebbe con lassenza di senso del lavoro in un sistema capitalista e con il fatto che lavoro
necessario e lavoro superfluo non sono in esso distinti, essendovi produzione delluti-
le e del superfluo.
Allora attuale, il gigantismo, la gestione centralizzata da parte di una tecno-burocra-
zia, la rigidit degli imperativi di funzionamento e rendimento rendono delle intere po-
polazioni incapaci di produrre e di consumare secondo i loro bisogni e di definire
questi bisogni in modo autonomo. Tali popolazioni sono ridotte a delle masse di consu-
matori atomizzati di beni e di servizi commerciali offerti loro dai monopoli istituzionali.
per questo che, da questo momento e per i dieci anni che seguiranno, Gorz si impe-
gner particolarmente a mettere a fuoco gli aspetti politici e culturali delle scelte tecno-
logiche, in particolare delle tecniche di produzione.
Marx e Illich
Nel saggio del 1975, Ecologie et libert, che costituisce da solo uno dei testi fondato-
ri della problematica ecologica, Gorz sostiene che linversione degli strumenti una
condizione fondamentale per il cambiamento della societ
13
, adottando cos il linguag-
gio di Ivan Illich, le cui tesi hanno influenzato profondamente la sua riflessione e che
egli introdurr al pubblico francese pubblicando alcuni suoi testi in Les Temps moder-
nes e Le Nouvel Observateur. Lautogestione a livello di piccole unit economiche
e sociali presuppone strumenti appropriabili poich la potenza degli strumenti, osser-
va Gorz, fa s che ormai il gigantismo e liperspecializzazione non siano necessariamen-
te pi efficaci delle macchine piccole ma ben congegnate.
Il punto essenziale da sottolineare tra la quantit di temi affrontati nella raccolta
che lecologia politica vi concepita come una dimensione essenziale della lotta antica-
pitalista. Facendo propri i nuovi interrogativi dellepoca circa i limiti naturali della cre-
scita capitalista, Gorz critica il rapporto Meadows, presentato dal Club di Roma nel
1971, per la sua difesa di una crescita verde nel quadro del capitalismo. Ci fa di lui uno
dei precursori di quella corrente che, sorta recentemente in Francia e Italia, favorevo-
le alla decrescita e ha riattualizzato delle rivendicazioni radicali emerse trentanni prima,
come la rimessa in questione degli imperativi dellaccumulazione e dello spreco e la ne-
cessit di una decrescita produttiva in opposizione a una crescita distruttiva.
In La strada del paradiso, la sua critica anticapitalista della societ industriale non
risparmia in alcun modo il (preteso) modello alternativo del socialismo reale: parla-
re di civilt industriale non equivale a ignorare il suo carattere essenzialmente capita-
listico, ma significa sottolineare la pregnanza di questo modello nei regimi capitalisti
e socialisti. I due sistemi condividono il duplice obiettivo dellaccumulazione e del-
la concentrazione del capitale, il socialismo dellavvenire sar postindustriale e anti-
12
Ibid., p. 98.
13
Riprodotto nella raccolta Ecologie et politique, Seuil, Paris 1978, p. 27.
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista
353
produttivista o non sar. La sua definizione un [...] obiettivo fondamentale, su sca-
la mondiale
14
.
Il marxismo ortodosso considerava le forze produttive, scienza e tecnica in particola-
re, come neutre: il socialismo poteva essere costruito orientandole per comerano verso
fini democratici e sociali. In realt, nella loro configurazione attuale, le forze produttive
messe in campo dal capitalismo recano limpronta dei rapporti di produzione e della di-
visione del lavoro capitalisti e non si prestano, sostiene Gorz, che a unappropriazione
istituzionale. La vittoria dellautogestione presuppone non solo la sovversione dei rap-
porti di propriet ma ugualmente delle tecniche, dei mezzi e dei rapporti di produzione
perch individui, gruppi, maestranze e comunit decidano insieme ci che vogliono pro-
durre, come, quando e dove; in caso contrario, la presa del potere dello Stato da parte
dei socialisti non cambier fondamentalmente n i rapporti di potere n i rapporti degli
uomini tra loro e con la natura. [Non essendo] immunizzato contro il tecnofascismo, il
socialismo
15
rischia di vacillare tanto pi facilmente quanto pi esso perfezioner i po-
teri dello Stato senza sviluppare al contempo lautonomia della societ civile. Durante
questo periodo, Gorz si proponeva dunque di operare una convergenza tra leconomia
politica e lecologia coniugando gli apporti di Marx e di Illich. Trascrive il concetto illi-
chiano di monopolio radicale nei termini marxisti di estensione dei rapporti mercan-
tili a tutti i domini della vita individuale e sociale, rinviando alla divisione capitalista del
lavoro e alla separazione dei produttori dai loro mezzi di produzione e dai loro prodot-
ti. I temi collegati delleteroregolazione e dellatrofia della societ civile, del dominio da
parte dello Stato, della distruzione delle capacit di produzione e cooperazione autono-
ma, delluniformazione culturale domineranno dora in poi i suoi scritti.
Ho avuto cura di sottolineare la continuit tematica che corre da Stratgie ouvrire
et nocapitalisme a La strada del paradiso, passando per Il Socialismo difficile, Critique de
la division du travail e Ecologia e politica, smarcandomi cos dalla prospettiva abituale
dei commentatori di Gorz e relativizzando la svolta, pur significativa, costituita nellope-
ra gorziana dal libro Addio al proletariato. La preoccupazione di Gorz per le condizioni
concrete della libert, in effetti, assicura una coerenza di fondo, per quanto la sua one-
st intellettuale lo abbia condotto, soprattutto nel 1980, a rivedere alcune prese di posi-
zione assunte in passato.
Limpossibile appropriazione del lavoro
Critique de la division du travail sinscriveva nella linea di Stratgie ouvrire et nocapi-
talisme perch vi si trovava ancora il sostegno alla resistenza operaia contro lalienazio-
ne nel lavoro, per quanto, come abbiamo stabilito, la rivendicazione del controllo ope-
raio concernesse gi molto di pi del processo in gioco sul posto di lavoro e negli stessi
sistemi educativi e formativi. Addio al proletariato e La strada del paradiso costituisco-
14
A. Gorz, Les chemins du paradis, Galile, Paris 1983, p. 23, tr. it. La strada del paradiso, Ed. Lavoro, Roma
1984.
15
A. Gorz, Ecologia e politica, cit., p. 27.
Franoise Gollain
354
no una rottura nel senso che labolizione del lavoro salariato ora la prospettiva ultima
del post-socialismo.
Il postulato che determiner, a partire dal 1980, tutta la critica gorziana del lavoro
salariato che la sua alienazione inerente non solo ai rapporti di produzione capitalis-
ti, come sosteneva in Critique de la division du travail, ma al funzionamento di una me-
gamacchina complessa. Scrive Gorz:
Leteronomia del lavoro non risulta soltanto dalla sua organizzazione e dalla sua divisione
capitaliste. Essa risulta pi fondamentalmente dalla divisione e dallorganizzazione della pro-
duzione sulla scala dei grandi spazi economici, dalla sua meccanizzazione e dalla sua infor-
matizzazione. [...] [Essa] una conseguenza inevitabile della socializzazione del processo di
produzione che a sua volta resa necessaria dalla massa e dalla diversit dei saperi incorporati
nei prodotti
16
.
A meno di ritornare a forme di economia domestica o di villaggio, che implicano altri
tipi di alienazione e a cui Gorz non favorevole, questa etero-determinazione implica
dunque una parte irriducibile di alienazione.
Questa tesi giustificher lattacco frontale da parte di Gorz non solo al marxismo vol-
gare occidentale e ai socialismi orientali, ma anche a certi testi dello stesso Marx: la sua
utopia di un ritorno a una personalizzazione e una realizzazione dellindividuo nellatti-
vit sociale di produzione impossibile poich ogni lavoratore o collettivo di lavorato-
ri non che un elemento funzionale del sistema. Anche lesperienza dei consigli operai,
che Gorz aveva sostenuto fino ad allora, non rappresenta che un potere necessariamen-
te limitato nel quadro dei rapporti di produzione capitalisti e si riduce in ultima anali-
si a un potere sindacale.
Questo attacco, ripreso in Metamorfosi del lavoro, condusse a una vera e propria de-
costruzione del culto quasi mistico e deterministico del Proletariato (e della sua missio-
ne) e della Produzione. Queste tesi fecero mobilitare contro Gorz le ortodossie sindaca-
li e marxiste: contrariamente agli utopisti, le cui visioni della societ futura discendevano
da esigenze etiche, Marx ritiene che il comunismo non ha bisogno di preesistere nella
coscienza dei proletari per realizzarsi: il movimento del reale stesso
17
. La sua teoria
insisteva sulla vocazione storica dei proletari senza esaminare correttamente le media-
zioni politiche suscettibili di condurre allesercizio del potere emancipatorio della classe
operaia. Questo idealismo e questo scientismo sono responsabili del dogmatismo e del-
la religiosit inerenti alla tradizione marxista e al dominio dei regimi detti socialisti del
culto del Proletariato, del Lavoro, della Produzione; per tali regimi, luomo proletario
non aveva niente a che vedere con lesperienza sensibile dei lavoratori.
Il rapporto tra lavoratori individuali e lavoratore collettivo, che questa tradizione as-
sumeva come dato, resta in effetti problematico per il Gorz esistenzialista, secondo cui
la rimozione della soggettivit in nome degli imperativi politici ha a che vedere con il
concetto marxiano di riappropriazione: il proletario, che da niente era pensato divenire
16
A. Gorz, Les chemins du paradis, cit., p. 104.
17
A. Gorz, Mtamorphoses du travail, Galile, Paris 1988, p. 41, tr. it. Metamorfosi del lavoro, Bollati Borin-
ghieri, Torino 1992, p. 35.
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista
355
tutto, accettando la sua totale espropriazione si nega come individuo per ritrovarsi come
classe; di qui il carattere repressivo della morale socialista del lavoro, che condivide con
letica puritana la medesima razionalizzazione integrale della condotta di vita, in modo
da renderla conforme alle esigenze transpersonali dellefficacia collettiva e della Storia.
Di conseguenza,
per il lavoratore non c pi il problema di liberarsi nel lavoro, n quello di riappropriarsi
del lavoro, n di conquistare il potere nel quadro di questo lavoro. Non c pi ormai che il
problema di liberarsi dal lavoro, rifiutandone contemporaneamente la natura, il contenuto, la
necessit e le modalit. Ma rifiutare il lavoro significa anche rifiutare la strategia tradizionale
del movimento operaio e delle sue forme di organizzazione: non si tratta pi di conquistare del
potere come lavoratore ma di conquistare il potere di non pi operare come lavoratore
18
.
In Addio al proletariato Gorz annuncia allora la nascita di una non classe di non lavora-
tori che, a differenza della classe operaia, non prodotta dal capitalismo e non mar-
chiata dal sigillo dei rapporti capitalisti di produzione, ma nasce dalla crisi del capitali-
smo e dalla dissoluzione di questi rapporti sotto leffetto di tecniche produttive nuove,
come vedremo tra poco. Questa classe si compone negli anni Settanta dindividui sovra-
qualificati per cui il lavoro costituisce un tempo morto utilitario, ai quali si aggiungeran-
no nei tre decenni successivi coloro che sono riuniti sotto letichetta eterogenea di pre-
cari e vivono un rapporto discontinuo e talora debole o critico con il lavoro salariato.
Gorz in effetti non cesser di fondare la sua rivendicazione di una riduzione del tempo
di lavoro su delle osservazioni sociologiche che registrano un indebolimento del valore
lavoro, dellidentificazione con il lavoro salariato come fonte di realizzazione comples-
siva nelle societ post-industriali, per quanto il posto sia ricercato per la sicurezza e
lo status sociale che conferisce. Gorz considerava questa aspirazione allestensione del-
la vita extra-lavoro presso il proletariato post-industriale come una mutazione cultura-
le essenziale.
Orientare le mutazioni in corso in un senso liberatorio
La presa in considerazione dellimpatto dellautomazione e dellinformatica in generale,
da Gorz denominata pi tardi rivoluzione dellinformazione [informationnel], o an-
cora il passaggio a un capitalismo immateriale, permette di comprendere la stretta re-
lazione tra le due trame argomentative che strutturano la sua opera e che ho sintetizza-
to nei due ultimi paragrafi:
quella sviluppata a partire dagli anni Sessanta: essendo le scelte tecniche il risul-
tato di scelte politiche, conviene adottare delle tecnologie che favoriscano la loro ap-
propriazione e il loro decentramento. Le nuove macchine intelligenti offerte dalla mi-
cro-elettronica permettono appunto una produzione localizzata da parte di produtto-
ri polivalenti;
18
A. Gorz, Adieux au proltariat, Galile, Paris 1980, p. 103, tr. it. Addio al proletariato, Ed. Lavoro, Roma
1982, p. 78.
Franoise Gollain
356
quella che emerge nel 1980: levoluzione tecnologica non va pi nel senso di unap-
propriazione possibile della produzione sociale da parte dei produttori, ma di una dimi-
nuzione rapida della quantit di lavoro socialmente necessario sotto leffetto degli enor-
mi guadagni di produttivit legati agli sviluppi dellinformatica.
Ci significa che, per Gorz, la gestione delleconomia non pu pi riposare sul sala-
riato essendo il principio socialista della ciascuno secondo il suo lavoro superato nei
fatti e la socializzazione del processo di produzione (di cui il socialismo, in Marx, dove-
va essere il compimento) gi realizzata. dunque al di l del capitalismo e del sociali-
smo che lautomazione rinvia, verso una societ liberata, che Marx chiamava comuni-
sta, nella quale la necessaria produzione del necessario occupa solo una porzione molto
ridotta del tempo di ognuno e il lavoro (salariato) cessa di conseguenza di essere latti-
vit principale
19
. Lautomazione rinvia dunque a un al di l del capitalismo e del sociali-
smo. Questo al di l la posta centrale e pu assumere due forme principali: quella del-
le societ tecnocratiche integralmente programmate (nel senso che Alain Touraine d
a questo termine) e quella della societ liberata, che Marx chiamava comunista. per
questo che in La strada del paradiso viene difesa la distribuzione di un reddito sociale ga-
rantito a vita per coprire i bisogni del cittadino, e non pi del lavoratore, in cambio di
una durata del lavoro nellarco di una vita di 20.000 ore. Anche se queste idee nel tempo
si sono evolute in particolare verso un distacco totale tra lavoro e reddito lobiettivo
generale rimasto quello di definire degli orientamenti a partire dai quali una sinistra
portatrice di avvenire potesse rinascere partendo dal tema centrale della liberazione del
tempo. Lo slogan centrale che riassume in poche parole azzeccate quello che sar fino
alla fine il senso profondo della sua lotta intellettuale e politica ormai: lavorare meno e
consumare meno per vivere meglio
20
.
Nella prospettiva anti-determinista che gli propria, Gorz concepisce labolizione
del lavoro come un processo oggettivo che discende dalla rivoluzione tecnologica ma
che sta agli uomini di orientare in un senso liberatorio. Gli sviluppi tecnologici pongo-
no cos inevitabilmente la questione del contenuto e del senso del tempo reso disponibi-
le. Non si tratta dunque di sapere dove andiamo n di sposare le leggi immanenti del-
lo sviluppo storico. Noi non andiamo da nessuna parte; la Storia non ha un senso. [...]
Il regno della libert non nascer mai dai processi materiali: esso pu essere instaurato
solo attraverso latto fondatore della libert
21
, che implica il rifiuto delletica del lavoro
e dellaccumulazione.
Queste due trame fondamentali si sono arricchite negli ultimi dieci anni di una pro-
spettiva critica e planetaria sulleconomia della conoscenza la famosa knowledge eco-
nomy. Gorz sosteneva che il capitalismo era uscito dalla crisi del modello fordista grazie
a vari espedienti, tra cui una produttivit molto alta del capitale legata alla rivoluzione
dellinformazione, e che si profila allora concretamente la possibilit per gli utenti-pro-
19
Cfr. per entrambe le citazioni Les Chemins..., cit., p. 72. Notiamo che a differenza di numerosi altri scritti
in cui Gorz utilizza il termine socialismo per designare la propria alternativa politica e di civilt al capitalismo
e al socialismo autoritario, i testi in cui il rifermento a Marx diretto fanno chiaramente il distinguo tra socia-
lismo e comunismo.
20
Parole da confrontare con lo slogan riportato in precedenza (si veda la frase correlata alla nota 12).
21
Adieux..., cit., p. 84.
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista
357
duttori di mettere allopera i loro saperi al fine di autoprodurre beni materiali e imma-
teriali per il loro uso comune. Le nuove tecnologie informatiche accrescono in effetti il
potenziale produttivo e di collaborazione internazionale delle reti di cooperative e facili-
tano lappropriazione collettiva e la gestione locale dei mezzi di produzione. Era convin-
to che ci fosse pi avvenire per lumanit nelle cooperative di autoproduzione e nelle
reti di scambio delle economie popolari dette informali da parte degli economisti del
Nord che nel salariato, soprattutto quando, com il caso in India e America del Sud,
esse si appropriano delle tecnologie avanzate
22
. La sua utopia comunista rimarr sem-
pre quella della fine della societ salariale: Il comunismo non n il pieno impiego, n
il salario per tutti, leliminazione del lavoro sotto la forma storicamente specifica che
esso ha nel capitalismo, cio del lavoro impiego, del lavoro merce
23
. per questo che
Gorz non ha smesso di stigmatizzare lossessione della creazione di posti di lavoro e la
destinazione dei guadagni di produttivit verso un surplus di crescita, anche tramite la
crescente commercializzazione di attivit sociali, come per esempio lo sviluppo dei ser-
vizi del tipo baby-sitting, distribuzione pasti, dog-sitting etc., destinati al nucleo privi-
legiato degli oberati di lavoro e forniti dai nuovi servi sotto-pagati.
Una concezione duale dello spazio sociale, fondamento di un socialismo democratico
A sessantanni, nel 1983, Gorz va in pensione da giornalista e si consacra interamente a
una scrittura pi universitaria, utilizzando come riferimenti i lavori dei filosofi e socio-
logi tedeschi pi riconosciuti. Il suo pensiero viene cos nutrito da Vita activa di Hannah
Arendt o dalla critica di Max Weber alla disumanizzazione generale, nonch alla per-
dita di senso e di libert che caratterizza la macchina industrial-burocratica dellordine
economico moderno. In Metamorfosi del lavoro, la sua opera pi compiuta, egli appro-
fondisce le tesi dei due testi precedenti e formula la sua critica del capitalismo nei ter-
mini di una critica della ragione economica
24
, in ragione di un debito teorico rilevante nei
confronti della Scuola di Francoforte; in particolare, il rapporto con il suo amico Her-
bert Marcuse, incontrato nel 1966 e con cui condivideva lidea che liberazione indivi-
duale e collettiva si condizionano mutualmente, e Jrgen Habermas, la cui lettura negli
anni Ottanta lo porter a precisare il suo progetto di societ dualista.
La distinzione, ripresa da Illich, tra le due sfere complementari ma irriducibili
delleteronomia e dellautonomia, messa in corrispondenza con la coppia marxiana
necessit-libert e lopposizione habermasiana sistema-mondo della vita. A partire da
Ecologia e politica Gorz sostiene in effetti quale unica concezione realista lorganizza-
zione di uno spazio sociale discontinuo e di una vita ritmata dal passaggio dalluna
allaltra sfera. Egli sottolinea che la riduzione del tempo di lavoro deve essere accoppia-
22
Intervista con Carlo Vercellone, Patrick Dieuaide, Pierre Peronnet in Alice, n. 1, autunno 1998, per
luscita di A. Gorz, Misres du prsent, richesse du possible, Galile, Paris 1997, tr. it. Miserie del presente,
ricchezza del possibile, Manifestolibri, Roma 1998. Consultabile online: http://multitudes.samizdat.net/spip.
php?article379.
23
Cfr. Lcologie politique, une thique de la libration. Entretien avec Andr Gorz, Ecorev, n. 21, p. 10.
24
Si tratta daltronde del sottotitolo di Mtamorphoses du travail.
Franoise Gollain
358
ta a delle possibilit di attivit auto-determinate. Si inscrive quindi ancora una volta nel
solco di Marx, che faceva della diminuzione del tempo consacrato alla produzione del
necessario la condizione di qualsiasi liberazione possibile. Per Gorz, Marx, nel libro III
del Capitale dedicato al regno della necessit (e della scarsit), cos come nei Grundris-
se, situa il regno della libert oltre la razionalit economica. Lo stadio del comunismo,
per come lo concepiva Marx, corrisponde proprio alla creazione, nella sfera complessi-
va della societ, di un ambito di sovranit sottratto alla razionalit economica e alle ne-
cessit esterne.
Concretamente, Gorz propone per lo spazio europeo delle politiche eco-sociali mi-
ranti alla
ricostruzione di un mondo vissuto; la diminuzione della produzione di merci e di servizi mer-
cificati dovr essere realizzata grazie allautolimitazione dei bisogni, percepita come riconquis-
ta dellautonomia: cio grazie a un riorientamento democratico dello sviluppo economico, con
riduzione simultanea del tempo di lavoro e di estensione, favorita dalle attrezzature collettive
o comunitarie, delle possibilit di autoproduzione cooperative e associative
25
.
Seguendo leconomista Karl Polanyi, in Metamorfosi del lavoro Gorz definisce daltron-
de lessenza del socialismo come la subordinazione delle attivit economiche a dei fini e
a dei valori sociali.
In seguito Gorz riprender ampiamente questa definizione in Capitalismo, socialis-
mo, ecologia, dove svilupper il significato propriamente politico della sua concezione
duale al momento del crollo del blocco dellEst. Constatando la morte del socialismo
come sistema e forza politica organizzata, egli sostiene che il riferimento al socialismo
come movimento e come orizzonte storico dovr essere mantenuta, ma che il caso di
ridefinirlo non in funzione di altri modelli esistenti, ma come critica radicale di certe for-
me di societ e come progetto pratico volto a ridurre ci che fa della societ un sistema,
una megamacchina. Gorz si chiede : La questione del superamento del capitalismo ver-
so una societ nella quale i valori economici dellefficienza, della redditivit, della com-
petitivit cesserebbero di essere dominanti ma che si servirebbe delleconomia in vista di
fini superiori invece di doverla servire, non appare pi attuale che mai dopo il crollo del
sovietismo?
26
. Nondimeno, e questo argomento assolutamente essenziale, per quanto
le attivit autonome e le forme di sociabilit e di scambio auto-organizzate debbano di-
ventare preponderanti rispetto alla vita di lavoro, e la sfera della libert vincere su quella
della necessit, una parte di eteronomia resta necessariamente in una societ complessa,
ricorda Gorz in toni che ricordano Addio al proletariato. Ora, il riconoscimento di questa
irriducibilit contribuisce alla prevenzione di nuove forme di totalitarismo.
Laffondamento del sistema sovietico incarnava lo scacco della sostituzione del mer-
cato con la pianificazione, dovuto al tentativo di restaurare una societ pre-moderna,
totalmente integrata e unificata, che doveva essere edificata sotto la forma della ditta-
tura del proletariato mediante lindustrializzazione integrale il tutto esigendo dallin-
25
A. Gorz, Capitalisme, socialisme, ecologie, Galile, Paris 1991, pp. 38-39, tr. it. Capitalismo, socialismo,
ecologia, Manifestolibri, Roma 1992, p. 38.
26
Ibid., p. 9.
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista
359
dividuo di sentirsi tuttuno con loperaio produttivo collettivo. Per tale via, si trattava
fondamentalmente di ritrovare la sicurezza e lintegrazione di una societ pre-moderna,
cio di una societ in cui fosse ristabilita lunit del lavoro e della vita, della societ e
della comunit, dellindividuale e del collettivo, della cultura e della politica, delleco-
nomia e della morale. Societ nelle quali le esigenze funzionali del sistema coincide-
rebbero con i fini di ciascuno e il senso della vita di ognuno con quello della Storia. In
breve, una societ nella quale il potere dello stato, il diritto, leconomia, la politica e la
cultura non avrebbero bisogno di istanze n di istituzioni distinte, poich un ordine sta-
bile, giusto e buono sarebbe stato instaurato una volta per tutte
27
. Detto altrimenti, il
socialismo che morto e non deve rinascere quello che aspirava a una totale raziona-
lizzazione scientifica: lunit della societ comunitaria detta comunista presuppone
che il funzionamento del sistema sociale possa essere controllato consciamente e volon-
tariamente. Si tratta di un tentativo di sopprimere lalienazione destinato allinsucces-
so nonch, ora lo sappiamo, pericoloso nel caso di uneconomia moderna necessa-
riamente complessa.
Limpero sovietico crollato. Non si parla pi di partito rivoluzionario. Gorz
continua comunque la sua analisi di unuscita civilizzata dal capitalismo sostenendo che
la soluzione del conflitto tra le potenze sociali autonomizzate di cui parlava Marx e
lesigenza per gli individui di abitare un mondo che essi possano riconoscere come pro-
prio non possibile che grazie a mediazioni continuamente rinnovate, cosa che presup-
pone dei contro-poteri fondati su dei movimenti sociali potenti: Non pu esserci so-
cialismo senza democrazia e non pu esserci democrazia senza una societ civile molto
pi ricca, comprendente un insieme di attivit pubbliche auto-organizzate, riconosciu-
te e protette dallo Stato
28
. Una politica non veramente socialista che a patto di favori-
re lestensione di questa sfera della sociabilit vissuta, fatta di cooperazione volontaria e
di scambi non di mercato n monetari: questo il frutto della straordinaria pertinenza,
dal punto di vista economico, sociale e politico, di uninterrogazione sulla libert avvia-
ta molto tempo prima in termini filosofici astratti.
BIOGRAFIA
Andr Gorz, il cui vero nome era Gerhardt Horst (Vienne 1923-Vosnon 2007), fu gior-
nalista di professione e filosofo per vocazione. Ha esercitato, a partire dal 1959, unin-
fluenza significativa sulla sinistra anti-staliniana e umanista. Installatosi a Parigi nel 1949
al seguito di Jean-Paul Sartre, contribuir, quale membro del comitato di redazione, a
politicizzare la rivista Les Temps Modernes e dar il suo sostegno al movimento stu-
dentesco del maggio 68. Parallelamente, sotto lo pseudonimo di Michel Bosquet, dal
1964 al 1983 popolarizzer i temi della contestazione gauchista sulla rivista Le Nouvel
Observateur. Inizialmente legato alla prospettiva del potere operaio, le sue posizioni a
partire dal 1970 si evolveranno nel senso di una critica radicale dellideologia produtti-
27
Ibid., p. 29.
28
Ibid., p. 46.
Franoise Gollain
360
vista e delletica del lavoro, cosa che ne far uno dei punti di riferimento intellettuali dei
militanti ecologisti, nonch dei sindacati e dei movimenti che si battevano per la riduzio-
ne del tempo di lavoro e, pi in generale, per la perdita della centralit del lavoro salaria-
to. Si reso particolarmente famoso per il suo provocatorio Addio al Proletariato (1980),
che attaccava il mito del proletariato rivoluzionario. La sua opera Metamorfosi del lavo-
ro (1988) gli apporter in seguito un riconoscimento pi largo da parte degli ambienti
accademici per la sua critica della razionalit economica e la sua teorizzazione originale
di un eco-socialismo possibile, entrambe fondate su unesplorazione metodica dei muta-
menti del capitalismo che giunger a compimento con Limmateriale (2003).
BIBLIOGRAFIA
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ne originale di Jean-Paul Sartre), Il Saggiatore, Milano 1966.
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Ecologica, Galile, Paris 2008, tr. it. Ecologica, Jaca Book, Milano 2009.
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista
361
Opere su Andr Gorz
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Fourel, C., Andr Gorz, Escritos Inditos, Ediciones Paids Ibrica, Barcelona 2010.
Fourel, C., Andr Gorz, un penseur pour le 21
e
sicle, La Dcouverte, Paris 2009.
Little, A., The Political Thought of Andr Gorz, Routledge, London-New York 1996.
Lodziak, C., Tatman, J., Andr Gorz: A Critical Introduction, Pluto Press, London-Chicago 1997.
Mnster, A., Andr Gorz ou le socialisme difficile, Nouvelles ditions Lignes, Paris 2008.
363
LUTOPIA DI LELIO BASSO
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina*
Ogni qualvolta si tenti di racchiudere in una definizione rigida la biografia politica e in-
tellettuale di Lelio Basso, un frammento del suo itinerario ci sorprende e ci smentisce.
Dotato della capacit di ascoltare, di discutere, di mantenere aperto il discorso, Bas-
so era portato a dialettizzare e a problematizzare i punti di vista, ad affrontare in ma-
niera non dogmatica i grandi nodi politici e teorici di una presenza di classe, in Italia,
in Europa, nel mondo (...)
1
. Il filo che lega le tappe del suo itinerario biografico in-
fatti rappresentato dal nesso inscindibile tra la tensione ideale, lelaborazione teorica e
limpegno politico; dallintreccio tra la battaglia socialista (come egli definisce la pro-
pria militanza di partito) e la battaglia teorica
2
, nesso che deriva dal suo modo in par-
te nuovo e originale di ripensare il marxismo, concepito in primo luogo come filosofia
della prassi. Il nucleo fondamentale del pensiero politico di Basso il suo concet-
to di processo storico, come di un processo nel quale egli sottolinea non solo la dinami-
ca delle condizioni oggettive, ma anche la dinamica delle condizioni soggettive, che en-
trano con quelle in un complesso e articolato rapporto dialettico
3
.
* Il contributo frutto di una riflessione e di un lavoro comuni dei due autori. I paragrafi 1 e 2 sono stati
redatti da Giancarlo Monina, i paragrafi 3, 4 e 5 da Chiara Giorgi.
1
E. Collotti, Lelio Basso: la tensione ideale, lelaborazione teorica, limpegno politico, in E. Collotti, O. Negt,
F. Zannino (a cura di), Lelio Basso, teorico marxista e militante politico, Quaderni di Problemi del Sociali-
smo, Franco Angeli, Milano 1979, p. 11.
2
M. Salvati, Socialismo e partito socialista: spunti per una riflessione storica sulla zione poli tica di Lelio Basso
(1944-1948), in Lelio Basso nel socialismo ita liano, Quaderni di Problemi del Socialismo, Franco Angeli,
Milano 1981, p. 59.
3
L. Conti, Il momento soggettivo nella lotta per il socialismo, Filo rosso, n. 9, maggio-luglio 1964,
p. 78.
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
364
La formazione marxista
Il luogo di formazione del giovane Basso la Milano tra la prima guerra mondiale e il
dopoguerra, dove vive un processo di maturazione che lo allontana dai fondamenti del-
la propria educazione liberale e lo avvicina allidea socialista. Linsegnamento della guer-
ra come crisi del vecchio sistema sociale, le suggestioni provenienti dalleco della rivo-
luzione bolscevica, un travaglio spirituale che lo induce ad abbandonare i sentimenti
religiosi conservando per una tensione morale che si traduce in sete di verit e di
giustizia
4
, lo rendono capace di cogliere la portata dirompente dellingresso delle mas-
se nella vita pubblica che egli considera una vera e propria rivoluzione di tipo cultura-
le, una rivolta democratica (...) insieme politica e morale
5
. E politica e morale la sua
adesione al socialismo che si caratterizza da subito come critica alla tradizione riformi-
sta del vecchio partito, di cui rifiuta il retaggio positivista del determinismo e la sordi-
t rispetto alla domanda di rinnovamento. Le critiche rivolte al positivismo e ottan-
tanovismo del socialismo riformista si fondano su una visione antideterministica e su
uninterpretazione dialettica dei processi storici che Basso ricava dalle letture di Anto-
nio Labriola e di Karl Marx, alle quali viene introdotto da Ugo Guido Mondolfo, suo in-
segnante di storia al Liceo Berchet di Milano. Una recezione antioggettivistica del mar-
xismo costruita sulla base degli scritti storici di Marx ed Engels sulle lotte di classe in
Francia e in Germania, sul Manifesto, e poi consolidatasi nel decisivo confronto con la
rilettura delle Tesi su Feuerbach operata da Rodolfo Mondolfo e contrassegnata dal-
la centralit del concetto di praxis: secondo una chiave di lettura filosofico-attivistica ri-
salente a Giovanni Gentile e che in quegli anni [trova] un preciso riscontro negli stessi
scritti di Gramsci
6
. Basso si identifica nellinterpretazione teorica proposta da Mon-
dolfo, ma ne rifiuta la traduzione pratico-politica, a suo avviso ancora viziata dai limiti
dellevoluzionismo e del gradualismo
7
.
La formazione marxista di Basso risente dellinterpretazione umanistica e attivistica
di Mondolfo e trova consonanza nel rapporto di collaborazione e di amicizia con Piero
Gobetti, che di Marx aveva assorbito in concetto di praxis rovesciata, e poi nei suoi
articoli su Quarto Stato di Carlo Rosselli e Pietro Nenni e sulla rivista antifascista ge-
novese Pietre
8
. Ed proprio dalle pagine della gobettiana Rivoluzione liberale che
Basso rivolge le critiche pi sferzanti alla teoria e agli istituti della democrazia liberale.
Ri pren dendo il clas sico tema marxiano del dissidio tra bour geois e cito yen, egli rifiuta
la visione astratta dellindividuo tipica della costruzione giu ridica individualistica della
4
L. Basso, Frammenti della vita di un militante (1971), in Ripensare il socialismo: la ricerca di Lelio Basso,
Mazzotta, Milano 1988, p. 45.
5
Ibid., p. 48.
6
G. Marramao, Lelio Basso e il socialismo internazionale: tra teoria e movimento, in Lelio Basso e le culture
dei diritti, Carocci, Roma 2000, p. 38.
7
P. Filodemo [L. Basso], Sulle orme di Marx, Critica sociale, n. 8, 15-30 aprile 1924.
8
Cfr. F. Contorbia, Lelio Basso da Critica sociale a Pietre (1923-1928), in Lelio Basso nella storia del so-
cialismo, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria, Quaderno n. 4, 1979, pp. 53-87; G.
Monina, Basso, La Malfa, Ruini: considerazioni sul percorso formativo, in Id. (a cura di), La via alla politica. Le-
lio Basso, Ugo La Malfa, Meuccio Ruini protagonisti della Costituente, Franco Angeli, Milano 1999, pp. 11-29.
Lutopia di Lelio Basso
365
societ borghese e del suo formale egualitarismo
9
, cos come rifiuta la mentalit demo-
cratica borghese, incen trata sulla concordia, sul com promesso e sullastratta collabora-
zione sociale. Nella sua scelta di campo, Basso attribuisce una vera funzione liberale
alle classi oppresse: le sole che possano rivendicare le negate libert e acquistare una
coscienza sempre pi universale ed eticamente superiore
10
, riconoscendo nella lotta di
classe e nellazione politica organizzata gli strumenti attraverso i quali loperaio acqui-
sta co scienza di s, della propria dignit umana e della propria li ber t
11
.
Sin dai primi anni della sua formazione si evidenzia inoltre una propensione allo stu-
dio dei processi storici che gli deriva dallinsegnamento di Ugo Guido Mondolfo, assi-
milabile pi al successivo modello delle An nales di Bloch e Febvre

che non ai metodi
sto riografici dellinfluente tra dizione positivistica italiana. Da cui deriva in Basso limpo-
stazione analitica fondata sul metodo dialettico, che valorizza la fonte hegeliana del mar-
xismo e che identifica la realt storica nel conflitto, impossibile da comprimere sia negli
schemi deterministici, sia in quelli dellutopia volontaristica.
In Socialismo e idealismo, scritto in due puntate per Il Quar to Stato nellaprile
1926, ritroviamo gli assi principali su cui poggia la riflessione bassiana sul socialismo
marxista. Oltre a ribadire la centralit della con qui sta dellautocoscienza da parte del
proletariato, della sua con sape vo lezza di classe in lotta con unaltra classe in una real-
t inca pace di seguire lo svi luppo storico delle forze produttive, Basso rivendica anche
la necessit di operare dentro la realt, co gliendovi dialet ticamente le contraddizioni.
In termini filosofici valorizza in Marx il lascito hegeliano sottolineando come egli ne ac-
cetti il metodo negando lesistenza di un ideale fuori della realt. La critica di Basso
si rivolge dunque sia contro le utopie del socialismo, lontane dal terreno della storia, sia
contro le concezioni socialdemocratiche ispirate allevoluzionismo, prive di quel sen-
so del contra sto proprio della concezione realisti ca mente rivoluzionaria di Marx.
lo stesso spirito che permea un altro importante articolo, Saggi su Pisacane, scritto per
la rivista Pietre nel marzo 1928 con lintento di dare una tradizione a quella via
italiana al sociali smo che Basso considera il massimo segno di distinzione dalla politi-
ca comuni sta
12
. Il Pisacane della lettura bassiana incarna il modello del rivoluzionario
marxista il quale si contrappone allatteggiamento passivo dei pi, rifiuta la cieca fiducia
nel progresso fatale e meccanico e, viceversa, segue il corso della storia aderendo piena-
mente ai bisogni della realt concreta nella prospettiva di un socialismo come conquista
autonoma di libert. Dellopera pisacaniana Basso sottolinea la proposta di concretez-
za e di unit: concretezza intesa come aderenza al processo storico reale, ovvero critica
alle letture utopistiche della realt; unit concepita come legame inte rattivo tra interven-
to cosciente degli uomini e dinami che sociali del contesto ogget tivo, ovvero opposizione
9
P. Filodemo [L. Basso], Problemi ai liberali, La Rivoluzione Liberale, n. 33, 9 settembre 1924.
10
Cfr. C. Giorgi, La sinistra alla Costituente. Per una storia del dibattito costituzionale, Carocci, Roma 2001,
in particolare pp. 83ss. e Id., Una filosofia della prassi: il marxismo di Lelio Basso e di Francesco De Martino,
in E. Bartocci (a cura di), Francesco De Martino e il suo tempo, Quaderni della Fondazione G. Brodolini, Roma
2009, pp. 119ss.
11
P. Filodemo [L. Basso], La crisi della democrazia, La Rivoluzione Liberale, n. 33, 20 settembre 1925.
12
Non pubblicato a causa della soppressione della rivista, ora in G. Marcenaro (a cura di), Pietre. Antologia
di una rivista, 1926-1928, Mursia, Milano 1973, pp. 321-328.
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
366
al volontarismo e al determinismo. Contro ogni imposizione dallalto di modelli di libe-
razione, Basso pone inoltre laccento sullautonomia delle masse lavoratrici nel processo
di acquisizione della libert e della coscienza della propria dignit
13
.
Ci che infatti accomuna gli interventi giovanili di Basso proprio lattenzione co-
stante al tema della forma zione della coscienza di classe del movimento operaio, al modo
in cui si compiono lorga nizzazione au tonoma della classe operaia e la costru zione della
sua autonomia in tellettuale, di fronte al processo sto rico di rivoluzione sociale che era
gi sotto gli occhi del Marx di Herr Vogt (1860), e che continua a essere sotto quelli di
Basso e della sua ge ne razione
14
. In questo senso il marxismo filosofia dellazione umana
che mira a superare le barriere artifi ciali da lei stessa create
15
rappresenta lo strumen-
to pi adatto per il costituirsi di questa nuova con sa pevolezza storica del prole tariato,
al quale spetta il supe ramento del vec chio sistema (il proletariato produce la nuova so-
ciet se plasma la nuo va co scienza)
16
, e ledificazione di una nuova realt pi evo luta e
ca pace di soddisfare i bisogni nuovi e universali. Daltra parte la specifica sensibilit di
Basso verso i processi formativi della coscienza, allinterno di una vi sione della rivolu-
zione marxistica come percorso di rige ne ra zione spiri tuale
17
, lo porta a interessarsi
alla tematica neopro te stante dibattuta nella rivista Conscientia di Giuseppe Gangale,
e ad ap prezzare di questo orienta mento religioso lintransigenza eroica, aspra, attiva,
in tesa come educa zione di coscienze, creazione di una pi alta real t
18
. La sua idea di
libert, linterpretazione in senso etico del socialismo, le sue forme di intransigenza mo-
rale, la stessa concezione della lotta di classe come momento della formazione della co-
scienza, traggono spunto e trovano conferma in quella volont di creare e di credere
in cui Basso scorge il nesso tra marxismo e riforma protestante
19
. Il legame tra i due am-
biti, religioso e politico, evidenziato dallo stesso Basso quando accomuna le due espe-
rienze di Coscientia e Rivoluzione Liberale come movimenti rinnovatori, ideali e
pratici, usciti dal dolore degli ultimi anni, ai quali aderisce per la sua tendenza da un
lato a una nuova interpretazione del marxismo che inquadri questa dottrina nella grande
corrente protestante idealistica, dallaltro a un rinnovamento del socialismo per la crea-
zione di un forte partito nettamente intransigente e rivoluzionario
20
. Si evidenzia qui
anche il nodo centrale del suo rapporto con il pensiero della cosiddetta teologia della
crisi, fiorita in Germania nei primi anni Venti, e con leffetto liberatorio del concet-
to di secolarizzazione. I temi della libert e della teologia dialettica sono al centro delle
due tesi di laurea, rispettivamente in Giurisprudenza e in Filosofia, discusse nel 1925 e
nel 1931. Nella prima, La concezione della libert in Marx, egli rivaluta ancora una vol-
13
Cfr. L. Basso, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Il Movimento letterario, nn. 10-12, 1932.
14
Cfr. L. Basso, La natura dialettica dello Stato secondo Marx, in G. Carandini (a cura di), Stato e teorie
marxiste, Mazzotta, Milano 1977, p. 28.
15
P. Filodemo [L. Basso], Un anno di critica marxista, Critica sociale, n. 4, 15-29 febbraio 1924.
16
P. Filodemo [L. Basso], Sulle orme di Marx, cit.
17
P. Filodemo [L. Basso], Rivoluzione protestante, Critica sociale, n. 13, 1-15 luglio 1925.
18
Ibidem.
19
Ibidem.
20
Nella testimonianza riportata in C. Pogliano, Piero Gobetti e lideologia dellassenza, De Donato, Bari
1976, p. 101.
Lutopia di Lelio Basso
367
ta la fonte hegeliana, polemizza contro linterpretazione di Marx in senso positivista e
ottantanovista, allora proposta dai socialisti unitari, e rivendica una concezione della
libert interiore al luomo, prodotto della coscienza umana, intesa come esigenza
spiri tuale
21
. Il riferimento sempre alla lotta di classe, alla necessit di unazione po-
litica in grado di trasfor mare la societ facendo leva sul punto culmi nante della marxia-
na contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione. Per Basso il proleta-
riato educato dalla pi in transigente lotta di classe si fa portatore della nuova libert
non pi astratta e frammentata, ma generale, comprensiva cio di tutti gli aspetti del-
la vita con creta degli uo mini.
La seconda tesi di laurea dedicata al teologo protestante tedesco Rudolf Otto nel
pensiero del quale Basso riconosce unassonanza di principi, una comune volont di tra-
sformazione: laffermazione del sacro come categoria a priori dello spirito, il momento
numinoso della creazione religiosa, sono fonti di ispirazione che incidono profonda-
mente anche sulla sua cultura politica. una delle fonti di ispirazione della sua rivolta
etica che si esprime nel rifiuto totale del vecchio mondo borghese primonovecentesco,
in tutte le sue forme, anche quelle pi anticonformiste: il pragmatismo, il relativismo,
lirrazionalismo, il sindacalismo, il nazionalismo, rientrano tutti fra queste tarde manife-
stazioni romantiche le quali, pur corrodendo e dissolvendo il vecchio spirito borghese,
non ne significano ancora il superamento e la negazione
22
.
Il partito e la democrazia
Negli stessi anni Basso matura la sua riflessione sul partito politico, che prende le mos-
se dallanalisi del fascismo e dal confronto con il movimento antifascista. Gi nel 1924
egli individua nei grandi partiti moderni la via mae stra per nuove forme di vita po-
litica e civile in grado di sconfiggere il fascismo e di offrire al proletariato lo strumento
della catarsi rivoluzionaria; cos come nel gennaio del 1925 ancora il partito, libera
organizzazione delle au tonome energie rivoluzionarie, uno dei temi centrali nellim-
portante articolo Lantistato, apparso su La Rivoluzione liberale e considerato dalla
storiografia una delle prime formulazioni della categoria di totalitarismo
23
. Sono per
gli studi del periodo di segregazione al confino, tra il 1928 e il 1931, e successivamen-
te la stessa at tivit lavorativa con dotta dentro una societ resa opaca e passiva da anni di
ideologia fa sci sta a far maturare in Basso la convinzione che una vera ri fonda zione del-
21
Il testo della tesi di laurea andato perduto, ma parte dei contenuti si possono rintracciare nei suoi articoli
dellepoca e in particolare in P. Filodemo [L. Basso], Le fonti della Libert, La Rivoluzione liberale, n. 20, 17
maggio 1925, da cui sono tratte le citazioni.
22
L. Basso, Rudolf Otto, Giovent cristiana, n. 4, luglio-agosto 1935. Questo articolo, che riprende il testo
di una conferenza tenuta a Milano nellaprile del 1935, lunica traccia della seconda tesi di laurea, anchessa
andata perduta.
23
P. Filodemo [L. Basso], Al di l del fascismo, Il Caff, n. 7, 1 ottobre 1924; Id., Lantistato, La Rivo-
luzione liberale, n. 1, 2 gennaio 1925. Per il ruolo di Basso, con Giovanni Amendola e Luigi Sturzo, quale
anticipatore della categoria di totalitarismo, cfr. J. Petersen, La nascita del concetto di Stato totalitario in
Italia, Annali dellIstituto storico italo-germanico di Trento, n. 1, 1975.
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
368
la societ italiana non possa che essere il frutto di una lenta co struzione della coscienza
collettiva per la cui crescita necessario Il part ito, ma in Italia
24
. Il riferimento allinter-
vento di Basso in occasione dellinchiesta sul programma di Giustizia e Libert apparso
sui Quaderni di Giustizia e Libert nel 1933, in cui, insieme alla precoce e illuminan-
te analisi dei caratteri del fascismo, alla rivendicazione del concetto di persona con-
tro quello di individuo, egli propone una strategia di intervento fondata sulla costi-
tuzione di un partito socialista rinnovato che sposti in Italia lepicentro della propria
battaglia politica
25
. In polemica con la politica del gruppo diri gente socialista esiliato a
Parigi, Basso propo ne unopera di diffusione e di pene trazione delle idee socialiste attra-
verso un lavoro pratico rivolto principalmente ai giovanissimi, privi di una coscienza cri-
tica e pervasi dalla de magogia fascista. Unopera che avrebbe dovuto porsi sui pro blemi
reali e concreti piuttosto che su quel terreno morale che aveva contraddistinto loppo-
sizione al regime dallAventino in poi. La consapevolezza del forte radica mento sociale
del fascismo spinge Basso a prospettare un la voro di lunga lena, esattamente il contrario
dellim presa clamorosa e improvvisa. in que sto stesso articolo che, interpretando il fa-
scismo come una fase del la evoluzione capitalistica, anzich come un semplice fatto
di dege nerazione morale o, peggio, come un semplice incidente, Basso respinge il
puro e semplice ritorno allItalia prefascista e rifiuta la contrapposizione semplicisti-
ca democrazia-fascismo nella consapevolezza che le giovani generazioni nate sotto il
regime esprimono altri bisogni e [cercano] risposte in forme di democrazia nuova, che
[assicurino] alle masse una partecipazione reale
26
. In questo intervento Mariuccia Sal-
vati ha scorto una linea per cos dire modernizzatrice della sfera politica, imperniata
sullaccettazione del nuovo, individuato nel carattere non pi reversibile dei mutamen-
ti sociali e politici intervenuti in Italia
27
. Nellidea di partito che allora si va definendo
in Basso si riconosce linfluenza del coevo dibattito giuspubblicistico e costituzionalisti-
co intorno ai caratteri e alla funzione giuridica del Partito nazionale fascista, che si pre-
sentava ormai con i segni di un nuovo tipo di moderno partito di massa. Si consuma la
rottura con la concezione societaria e liberale, tipica della tradizione prefascista, a favo-
re di una concezione istituzionale del partito che lo rende centrale nella costruzione del
sistema politico
28
.
Ma il partito di Basso anche e specialmente, il partito della classe che segna le diffe-
renze e la volont di superamento delle vecchie forme organizzative della tradizione so-
cialista. Il punto di raccordo tra la concezione politica, rivoluzionaria, del partito e quel-
la giuridica, costituzionale, sembra cos proporsi nel carattere didattico del partito che
si fa veicolo di una nuova pedagogia della societ
29
. Larticolo di Basso, che segna ul-
24
M. Salvati, Socialismo e partito socialista, cit., p. 63.
25
S.D. [L. Basso], Il Partito, ma in Italia, Quaderni di Giustizia e Libert, Paris, n. 7, giugno 1933.
26
L. Basso, Dalla rivista Pietre al gruppo Bandiera Rossa, Rinascita, n. 32, 12 agosto 1967.
27
M. Salvati, Il partito nellelaborazione dei socialisti, in C. Franceschini, S. Guerrieri, G. Monina (a cura
di), Le idee costituzionali della Resistenza, Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per leditoria,
Roma 1997, p. 255.
28
Cfr. M. Fioravanti, Giuristi e dottrine del partito politico: gli anni Trenta e Quaranta, in C. Franceschini, S.
Guerrieri, G. Monina (a cura di), Le idee costituzionali della Resistenza, cit., pp. 193-205.
29
M. Salvati, Il partito nellelaborazione dei socialisti, cit., p. 257.
Lutopia di Lelio Basso
369
teriormente le distanze da Giustizia e Libert a cui aveva aderito negli anni precedenti,
culmina nellappello a trasformare G.L. in un P.S., rinnovato ed unificatore e avvia una
nuova fase della sua attivit politica, caratterizzata dal tentativo di ricostituire le file so-
cialiste in prospettiva della nascita di un nuovo partito della classe. Con questa idea par-
tecipa alla ricostituzione del Centro socialista interno (1934) ed esprime le sue posizio-
ni critiche e autonome
30
.
Ma soprattutto in Chiarimenti (dallItalia) che Basso muo ve la critica pi ori ginale
alle soluzioni di compromesso indicate dalle forze antifasciste, riaffer man do la ne cessit
di unazione incentrata sulla prepara zione di una coscienza socia lista e ponendo le basi
di una riformulazione del concetto di demo crazia nei suoi concreti contenuti sociali
31
.
La ricerca di una nuova via fondata su nuove elaborazioni teoriche, ca ratterizza anche il
capitolo successivo della sua biogra fia, quando si evidenzia la maggiore distanza di Bas-
so dalla linea di Fronte popolare e dalla politica di unit dazione, a suo giudizio incapa-
ci di operare la necessaria rottura con il passato. La fondazione del Movimento di uni-
t proletaria (MUP), tra il 1942 e il 1943, si inscrive in questa prospettiva, quella cio di
promuovere la futura costituzione di un partito nuovo e unico del proletariato ita-
liano, libero dal peso e dalle co strizioni delle tradizioni socialiste e comuniste, ed
espressione della nuova coscienza proleta ria, agile, spregiudicata, aderente alle con-
crete mute voli realt
32
. I principali segni di rinnova mento che Basso intende dare alla
struttura interna del nuovo partito fanno tuttuno con il tipo di organizzazione socialista
e demo cratica da lui immaginata per la realt post fascista. Il nuovo partito deve in so-
stanza essere co struito demo craticamente dal basso verso lalto, vero partito delle mas-
se, e al tempo stesso scuola di autonomia, di autogoverno, di autodisciplina per i lavo-
ratori. Questi ultimi, come classe dirigente del futuro, devono cos creare nuove forme
di gestione collettiva della vita politica del paese e del suo ap pa rato economico, non pi
secondo un modello burocratico e autoritario, ma attraverso un controllo diretto e au-
tonomo dei mezzi di produzione. Solo questa sarebbe stata la garanzia di un ordine so-
ciale realmente democratico e di una liberazione com plessiva intesa non nei ter mini di
un formale ricambio di potere, bens come un reale superamento dellapparato statale
bor ghese e dei suoi ca ratteristici rapporti di produ zione, Alla luce di queste posizioni si
com prende il rifiuto bassiano nei con fronti della politica antifascista dei CLN come viene
configuran dosi nel periodo resistenziale, ritenuta limitata e generica, perch incapace di
porre le premesse sostanziali per una ricostruzione socialista e democratica dellItalia e
di battersi contro la continuit giuridico-politica dello Stato. Motivi questi che lo spin-
gono, in un secondo momento, anche a uscire temporaneamente dallappena ricostituito
Partito socialista per poi rientravi con lincarico di responsabile dellorganizzazione per
lAlta Italia
33
. In questo ruolo tenta di applicare la sua idea di partito, non verticistico e
30
S.D. [L. Basso], Al di l del caso Caldara (dallItalia), Politica socialista, n. 2, 1 dicembre 1934.
31
S.D. [L. Basso], Chiarimenti (dallItalia), Politica socialista, n. 3, 1 marzo 1935.
32
L. Basso, Ventanni perduti?, Problemi del socialismo, nn. 11-12, novembre-dicembre 1963. Cfr. G.
Monina (a cura di), Il Movimento di unit proletaria (1943-1945), Annali 2004 Fondazione Lelio e Lisli
Basso-ISSOCO, Carocci, Roma 2005.
33
Cfr. M. Salvati, Il PSIUP per lAlta Italia nelle carte dellarchivio Basso (1943-45), Il Movimento di libera-
zione in Italia, ottobre-dicembre 1972, pp. 61-88; Larchivio Basso e lorganizzazione del partito (1943-1945),
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
370
burocratico, aperto alle spinte provenienti dalla base e orientato a una educazione lenta
e metodica degli iscritti. In particolare si concentra sul problema della formazione dei
quadri e dellorganizzazione delle scuole di partito promuovendo sia il lavoro pi pro-
priamente teorico (ispirato ai testi classici della tra dizione marxista), sia quello concer-
nente le sperienza pratico-politica, se condo una impostazione che cerca di coniugare au-
tonomia e crescita intel lettuale, lavoro collegiale e responsabilizzazione del singolo
34
.
La nuova idea di democrazia e il ruolo del partito politico sono ancora al centro
dellattivit intellettuale e politica di Basso nellimmediato dopoguerra: in sede di As-
semblea costituente, come membro della Commissione dei 75 e della I Sottocommis-
sione, e nel Partito socialista, di cui viene eletto segretario generale nel gennaio 1947.
In questo senso lim pegno sul terreno specifico degli istituti giu ridici si accompagna a
quello po li tico, dal momento che il diritto diviene per Basso un elemento di azione
concreta per il movimento operaio e democratico
35
. Al fondo vi lidea secondo cui
lordina mento giuridico-statuale terreno fertile del conflitto di classe, momento con-
traddittorio, di antagonismi e di lotte (e non inerte strumento del dominio borghese,
volto esclusivamente alla tu tela dellordine sociale esistente), passibile pertanto di un
uso rivoluzionario da parte della classe lavoratrice
36
.
Il diritto
Il modo in cui Basso interpreta il rapporto tra ordinamento giuridico e realt sociale
lelemento dirimente per comprendere la sua attivit costituzionale, oggetto di attenzio-
ne di numerosi studi che gli hanno riconosciuto, in particolare, il fondamentale appor-
to alla formulazione del secondo comma dellarticolo 3, non a caso definito il suo ca-
polavoro istituzionale
37
.
Attraverso larticolo 3 Basso inserisce nella Costituzione elementi che portano la
norma giuridica a contatto con la realt effettiva e al contempo inverano altre dispo-
sizioni di tipo programmatico presenti nel testo della Carta: primo fra tutti larticolo 1.
Come ricordato, loperazione riflette una sua peculiare lettura del nesso esistente tra la
societ e il sistema istituzionale: da un lato si tratta di fare in modo che lordinamento
giuridico rifletta la dinamica conflittuale presente nella societ, dallaltro si deve evita-
re di disperdere la potenzialit innovatrice della norma, capace di per s di imprimere
una spinta ai mutamenti sociali, di indurre una costituzione materiale eventualmente pi
Annali 1985-86, vol. VIII, Fondazione Lelio e Lisli Basso-ISSOCO, Franco Angeli, Milano 1988 e C. Giorgi,
Lelio Basso tra partito politico e Assemblea costituente, in G. Monina (a cura di), 1945-1946. Le origini della
Repubblica, vol. II, Questione istituzionale e costruzione del sistema politico democratico, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2007, pp. 453-483.
34
[L. Basso], La formazione dei quadri e le scuole del partito, Bollettino. Federazione regionale lombarda
del PSIUP Ufficio stampa e propaganda, n. 11, 31 marzo 1945.
35
A. Barberi, Stato e diritto: note per una biografia politica, Annali 1989, vol. X, Fon dazione Lelio e Lisli
Basso-ISSOCO, Il Mulino, Bologna 1989, p. 53.
36
L. Basso, La natura dialettica dello Stato, cit., p. 23.
37
S. Rodot, Lelio Basso: la vocazione costituente, Annali 1989, cit., p. 19.
Lutopia di Lelio Basso
371
arretrata ad adeguarsi ai contenuti di una costituzione formale pi avanzata. Ne emer-
ge una valutazione positiva dello Stato e della stessa organizzazione giuridica, conside-
rati entrambi come utilizzabili ai fini di una trasformazione della societ, che a sua vol-
ta non mancherebbe di influenzare profondamente le istituzioni. La natura interattiva
del legame tra realt materiale ed elementi cosiddetti sovrastrutturali , per Basso, in li-
nea con una visione non statica della norma e dello Stato: noi non possiamo intendere
il diritto come espressione statica, chiusa, di rapporti fissi e immutabili, perch la lotta
di classe lotta politica e modifica ogni giorno questi rapporti e quindi incide sullordi-
namento giuridico
38
. Visione che egli ribadisce in pi scritti, e che lo allontana dal ri-
duttivismo e dallo schematismo propri di altre correnti della sinistra marxista. Nellela-
borazione marxia na Basso scorge, piuttosto, non solo una lettura negativa dello Stato,
n solo il carattere oppressivo delle istituzioni, ma anche lemergere di una concezione
articolata dello Stato, foriera di possibili sviluppi positivi. Il lavoro di Basso in sede co-
stituzionale cos motivato soprattutto dalla necessit di introdurre nellordinamento
giuridico, attraverso nuove leggi, degli elementi antagonistici, volti a suscitare con-
flitto, producendo cos i presupposti concreti di un nuovo ordine sociale, democratico
ed egualitario
39
.
Dunque lattivit costituzionale di Basso, cos come quella di avvocato, si comprende
sia alla luce del ruolo potenzialmente progressivo attribuito al diritto e ai suoi strumen-
ti, sia alla luce del rapporto di coessenzialit stabilito tra governanti e governati, ossia
tra cittadini e Stato, tra individuo, o meglio persona, e contesto sociale collettivo, tra sfe-
ra individuale e sfera pubblico-statale
40
.
Proprio in sede di I Sottocommissione Basso difende con convinzione una nuova
concezione di questo nesso. Criticando la nozione astratta di individuo e richiamandosi
alla propria formazione storicistica, egli supera le teorie giusnaturaliste e quelle assoluti-
ste, accomunate, a suo parere, da unimpostazione inadeguata del legame esistente tra i
diritti individuali e le organizzazioni istituzionali. In entrambi questi sistemi di pensiero
vige infatti la contrapposizione e lalterit tra cittadini e Stato, e se le teorie del diritto na-
turale hanno il merito di aver rappresentato unarma ideologica decisiva contro le esor-
bitanze del potere politico, contro larbitrio signorile, e al tempo stesso la manifesta-
zione di un diritto allautogoverno, tuttavia resta che esse sono proprie di una societ
in cui domina il dualismo governanti-governati
41
. Basso afferma che tutta la storia
dei rapporti umani una storia della dialettica dei rapporti tra la persona e la colletti-
vit, ove lo Stato non venuto prima della persona, ma nemmeno la persona prima
dello Stato, in quanto la persona non pu esistere come tale, senza la societ nella qua-
le vive
42
. Emerge qui anche la critica nei confronti delluomo naturale, delluomo iso-
38
L. Basso, Giustizia e potere. La lunga via al socialismo, Qualegiustizia, nn. 11-12, ottobre-dicembre
1971, p. 650.
39
Ibidem.
40
L. Basso, Il Principe senza scettro. Democrazia e sovranit popolare nella Costituzione e nella realt italiana,
Feltrinelli, Milano 1958, p. 183.
41
Ibid., p. 24.
42
L. Basso, Resoconto sommario degli interventi sui principi dei rapporti civili, in Assemblea Costituente, Atti
della Commissione per la Costituzione, Prima sottocommissione, seduta del 10 settembre 1946, p. 24.
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
372
lato, delluomo pretesamente libero perch non vincolato ad una vita sociale
43
e, in po-
sitivo, la formulazione del concetto di persona: la persona sosteneva in accordo con
Dossetti non pu essere giuridicamente considerata se non in funzione delle moltepli-
ci relazioni, non soltanto materiali, ma anche spirituali (...) che essa ha con il mondo in
cui vive, sia in riferimento al presente, che allavvenire ed anche al passato
44
. Una con-
cezione che Basso aveva elaborato sin dagli anni Trenta, in linea con le avanguardie del
pensiero filosofico europeo, traendo ispirazione dai suoi studi sul fenomeno religioso.
Nel citato articolo Il Partito, ma in Italia del 1933 aveva infatti affermato che la persona,
pur restando diversa e distinta il centro di confluenza di rapporti sociali, economi-
ci, spirituali
45
. Limpegno costituente di Basso si concentra dunque sullesigenza di ga-
rantire costituzionalmente i diritti della persona tramite laffermazione della loro invio-
labilit, attraverso il rafforzamento delle garanzie contro larbitrio del potere esecutivo
e, soprattutto, con lampliamento di questi stessi diritti di libert del cittadino
46
.
il caso inoltre di ricordare la specifica attenzione di Basso sulle questioni della po-
test del potere sovrano e dellinserimento nel testo costituzionale dei diritti sociali. Con
il suo importante contributo, ci riferiamo in particolare alla Relazione sui principi dei
rapporti politici
47
, nel dettato costituzionale si afferma per la prima volta che non vi una
contrapposizione tra esercizio di libert e potere sovrano, fra cittadini e Stato e si as-
segna alle autorit nel senso pi generale della parola il compito di garantire la pie-
na esplicazione della libert proprio in quanto esercizio in atto del potere sovrano spet-
tante al popolo, al quale esse devono infatti assicurare il libero godimento dei diritti
48
.
Viene cio proclamata la responsabilit dello Stato dinnanzi ai cittadini, riconosciuti
titolari della sovranit e garantiti nellesercizio concreto dei loro diritti.
Nella stessa direzione si colloca, tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta,
limpegno di Basso nella costituzione e nello sviluppo dei Comitati di solidariet demo-
cratica, associazioni di avvocati e parlamentari finalizzate alla difesa di ex partigiani, sin-
dacalisti, scioperanti o, pi semplicemente, di operai e contadini coinvolti allepoca in
una lunga serie di processi politici
49
. Dalla lettura delle arringhe, raccolte poi nel volu-
me La democrazia dinanzi ai giudici (1954), emerge il protagonismo anche etico di Bas-
so nella difesa non solo dei diritti di libert di ciascuno, ma anche degli elementari di-
43
L. Basso, Il Principe senza scettro, cit., p. 39.
44
L. Basso, Resoconto sommario..., cit., p. 26.
45
S.D. [L. Basso], Il Partito, ma in Italia, cit.
46
In questo senso si ricorda il contributo di Basso allelaborazione degli artt. 13, 17, 18, 21. Cfr. C. Giorgi,
La sinistra alla Costituente, cit., in particolare pp. 141-172.
47
Relazione sui principi dei rapporti politici, in Assemblea Costituente, Atti della Commissione per la Costitu-
zione, II, Relazioni e proposte (bozza di stampa), [1947], pp. 11-13.
48
L. Basso, Il principe senza scettro, cit., pp. 185-186.
49
Cfr. L. Alessandrini, A. Politi, Nuove fonti sui processi contro i partigiani 1948-1953, Italia contempora-
nea, n. 178, marzo 1990; C. Giorgi, Lelio Basso e la difesa dei diritti, in L. Ganapini (a cura di), LItalia alla
met del XX secolo. Conflitto sociale, Resistenza, costruzione di una democrazia, Guerini e associati, Milano
2005, pp. 175-186; M. Ponzani, Giustizia penale e amnistie nel secondo dopoguerra. Lelio Basso e i Comitati di
solidariet democratica (1948-1959), in G. Monina (a cura di), Novecento contemporaneo. Studi su Lelio Basso,
Ediesse, Roma 2009, pp. 199-219.
Lutopia di Lelio Basso
373
ritti dei poveri a lavorare e vivere
50
. La sua fiducia nei confronti del diritto si lega a una
valutazione attenta e costante del tessuto sociale. Ecco per quale motivo egli rivendi-
ca nelle arringhe anzich discutere soltanto in astratto di articoli di legge, io ho cer-
cato sempre di far rivivere lambiente sociale, le condizioni di vita dei lavoratori, gli sta-
ti danimo delle masse, i loro problemi e le loro aspirazioni
51
.
Interprete di Marx e di Luxemburg
Gli studi sul marxismo non conoscono soluzione di continuit lungo tutta la vita di Bas-
so, ma a partire dalla seconda met degli anni Sessanta, in corrispondenza cio con il
suo distacco dalla militanza di partito, che si fanno pi intensi e, sia pure molto meno
di quanto lui stesso avrebbe voluto, raggiungono un certo grado di sistematicit
52
. in
questo periodo che vengono sviluppati e acquistano maggiore forza alcuni temi gi pre-
senti negli anni della sua formazione marxista: in particolare la riflessione intorno alla
fase di transizione al socialismo e al concetto di rivoluzione, la teoria delle due logi-
che contraddittorie e il libero sviluppo delluomo
53
.
opportuno sottolineare ancora una volta in modo esplicito che quel che distingue lautenti-
co rivoluzionario dal riformista non , come spesso va ripetendo un marxismo deformato da
quella che abbiamo chiamato la tradizione rivoluzionaria popolare, la lotta per la conquista
violenta del potere, ma la capacit di intervento soggettivo nei processi obiettivi di sviluppo
della societ, lutilizzazione della spinta socializzatrice delle forze produttive contro i rapporti
privatistici di produzione (...)
54
.
Nella lettura di Marx, Basso tiene insieme sia lo spirito e gli intenti rivoluzionari ispira-
ti a una visione processuale del cambiamento, della liberazione, sia la componente sog-
gettiva e le dinamiche oggettive del contesto storicamente dato, quali fattori decisivi del
passaggio dalla societ capitalista a quella socialista. In pi occasioni egli opera una di-
stinzione tra i vari periodi dellattivit e del pensiero di Marx, mostrandosi senza dub-
bio pi vicino al terzo e ultimo periodo. Sul primo periodo, gli anni della formazione e
della redazione dello stesso Manifesto, Basso critica il primato assegnato da Marx alla
conquista violenta del potere, a suo avviso effetto della forza suggestiva della rivoluzio-
ne francese. Una prospettiva che a Basso non solo sembra poco meditata, ossia troppo
influenzata dalle immediate istanze delle vicende politiche del tempo, ma anche forie-
ra per lo stesso Marx di un grave errore di valutazione storica che nega il suo stesso in-
50
L. Basso, La democrazia dinanzi ai giudici, Edizioni di cultura sociale, Milano 1954, p. 10.
51
Ibid., p. 12.
52
Nella Postilla (1977) alla Introduzione di Socialismo e rivoluzione, la sua opera di studi marxisti di respiro
pi ampio pubblicata postuma nel 1980, Basso osserva, con toni arrendevoli, come i suoi numerosi impegni
militanti e let gli negassero la possibilit di realizzare tutto il vasto progetto che ho formulato. L. Basso,
Socialismo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980, p. 41.
53
Cfr. C. Giorgi, Una filosofia della prassi, cit., pp. 122ss.
54
L. Basso, Lutilizzazione della legalit nella fase di transizione al socialismo, Problemi del socialismo, n.
5-6, settembre-dicembre 1971, p. 843.
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
374
segnamento pi prezioso, ovvero il metodo dialettico
55
. Riprendendo infatti gli insegna-
menti di due grandi interpreti del marxismo quali Lukcs e specialmente Luxemburg,
Basso ribadisce come lanima di tutta la dottrina di Marx [sia] il metodo dialettico-ma-
terialistico di esaminare i problemi della vita sociale, in base al quale non esistono i fe-
nomeni, i principi e i dogmi costanti ed immutabili (...)
56
. Daltra parte, ci che Basso
tende pi a valorizzare in Marx proprio la lettura della realt come generatrice della ri-
voluzione socialista dallo sviluppo capitalistico, presa datto delle contraddizioni inter-
ne al processo storico e della necessit del loro superamento. In questo orizzonte teori-
co e pratico la rivoluzione non uno scontro improvviso tra proletariato e capitalismo,
latto di un solo momento, lo scontro violento definitivo, bens un fatto che si col-
loca allinterno dello sviluppo capitalistico stesso, quando le contraddizioni e le tensio-
ni da esso generate giungono al loro acme
57
. Marx era pervenuto a questa visione del
mutamento storico, superando liniziale blanquismo del volontarismo rivoluzionario,
attraverso lattento studio sul Quarantotto che lo aveva convinto che la rivoluzione sa-
rebbe nata solo in presenza di condizioni obiettive, ossia se il regime esistente e la clas-
se dominante entrano in crisi esaurendo di fatto la loro portata positiva e la loro funzio-
ne storica. Nel momento in cui si innesca un conflitto tra forze produttive e rapporti di
produzione, le prime mosse da una spinta socializzante, i secondi connotati da un carat-
tere privatistico, allora si creano le premesse oggettive del cambiamento. il Marx della
Prefazione alla Critica dellEconomia politica (1857), che Basso predilige, in cui si ricono-
scono le energie proprie del dominio borghese, capace ancora di rafforzarsi e consoli-
darsi, e in cui soprattutto si giunge a mostrare nitidamente la dinamica che avrebbe por-
tato al cosiddetto rivolgimento rivoluzionario:
Una formazione sociale riporta Basso da Marx non muore mai prima che siano sviluppate
tutte le forze produttive che essa sufficiente a contenere, e nuovi e superiori rapporti di pro-
duzione non la sostituiscono prima che le loro condizioni materiali di esistenza siano maturate
nel grembo della vecchia societ. Perci lumanit si pone sempre soltanto quei compiti ch
in grado di assolvere, giacch, ad uno sguardo attento, risulter sempre chiaro che questo
stesso compito nasce solo l dove sono gi presenti o, almeno, in processo di divenirlo le
condizioni materiali della sua attuazione (...)
58
.
In tal senso, nella concezione dialettica del processo storico i presupposti di una nuo-
va societ vengono a porsi oggettivamente quando si crea un conflitto, anzich una cor-
rispondenza, tra le forze produttive in continua crescita, perch di continuo si svilup-
pano i bisogni umani, e i rapporti sociali esistenti. A questo punto nasce la necessit
di nuovi rapporti sociali corrispondenti al nuovo modo di produzione in cui si esprime
lavanzato livello delle forze produttive. La nuova formazione sociale sorge cos, lenta-
mente e progressivamente, in seno alla vecchia, rovesciandola, sostituendola
59
.
55
Cfr. R. Guastini, Appunti su Lelio Basso interprete di Marx, in Lelio Basso nel socialismo italiano, cit., pp.
117ss.
56
L. Basso, Introduzione a R. Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 40.
57
Ibid., p. 97.
58
L. Basso, Marxismo e democrazia, Problemi del socialismo, n. 1, gennaio 1958, p. 16.
59
L. Basso, Socialismo e rivoluzione, cit., p. 109.
Lutopia di Lelio Basso
375
Nel contesto di questa spinta oggettiva al cambiamento non meno decisivo linter-
vento soggettivo, ovvero il processo di consapevolezza soggettiva attraverso cui le classi
pi avanzate prendono coscienza del proprio ruolo. Una presa datto che Basso ritrova
in uno dei testi di Marx meno frequentati, lHerr Voght del 1860, e che egli aveva uti-
lizzato sin dai suoi scritti giovanili trattando il tema della formazione della coscienza di
classe del movimento operaio. dunque necessaria la coincidenza tra lazione del pro-
letariato e le spinte spontanee della societ capitalistica, determinate dallo sviluppo so-
ciale delle forze produttive
60
.
A questo punto Basso elabora, sulla scia del pensiero luxemburghiano, la nota teo-
ria delle due logiche contraddittorie, che egli considera la parte pi originale derivan-
te dalla riflessione marxiana. Il conflitto presente oggettivamente nella societ conteso
tra due opposte tendenze: luna orientata a mettere in moto spinte progressive nella lo-
gica socializzante dello sviluppo delle forze produttive, laltra intenta a resistere in sen-
so conservatore in funzione della logica del profitto. Compito del movimento operaio
prendere atto di questa tensione dialettica, per potersi inserire consapevolmente
allinterno della logica antagonistica, utilizzando questa spinta obiettiva per realizzare
di volta in volta delle conquiste che si agganciano a essa
61
.
Deriva da qui il modo nuovo con cui Basso considera la democrazia e i suoi mezzi, il
diritto e lordinamento dello Stato. Egli attribuisce al terzo periodo dellelaborazione di
Marx il raggiungimento della massima maturit dello scienziato rivoluzionario, coinci-
dente proprio con la constatazione che la lotta politica della classe operaia deve servir-
si dei nuovi strumenti della democrazia borghese, i quali possono condurre a una con-
quista pacifica del potere. Daltra parte, spiega Basso, le stesse istituzioni democratiche
sono state strappate alle classi dominanti, o sono state il frutto di un compromesso spes-
so per esse doloroso; dunque il loro uso consente ai lavoratori la partecipazione effetti-
va almeno ad una porzione del potere e la limitazione della reazione conservatrice bor-
ghese
62
. Chiarisce Basso che il potere politico e lorganizzazione dello Stato tendono a
riflettere gli aspetti strutturali della societ e quindi anche i rapporti di forza tra le clas-
si cos come essi vengono progressivamente modificandosi (...) sotto la spinta della lot-
ta di emancipazione delle classi oppresse
63
. Dunque, lo sviluppo dei rapporti di forza
apre nuove possibilit alle classi subalterne anche su questo terreno e lo stesso impegno
costituzionale di Basso tende a inserire nellordinamento giuridico, tramite nuove leg-
gi, elementi antagonistici alla logica capitalistica, elementi che si rifanno alla tenden-
za socializzatrice, e che fanno rivivere in seno a esso quel conflitto fra due logiche con-
traddittorie che scrive Basso abbiamo visto essere per Marx il motore del processo
rivoluzionario
64
.
La trasformazione pensata da Basso parte allora dalla realt che necessariamen-
60
Ibid., p. 122. Cfr. L. Basso, Marx e i problemi della transizione al socialismo, Ipotesi, nn. 3-4, gennaio-
giugno 1978.
61
L. Basso, Giustizia e potere, cit. pp. 648-649.
62
L. Basso, Marxismo e democrazia, cit., p. 23.
63
Ibid., p. 24. Cfr. L. Basso, Societ e Stato nella dottrina di Marx, in E. Collotti, O. Negt, F. Zannino, Lelio
Basso, cit. e Id., La natura dialettica dello Stato, cit.
64
L. Basso, Lutilizzazione della legalit, cit., p. 834.
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
376
te contraddittoria e utilizza un aspetto della contraddizione che nella societ, nel-
le istituzioni e, di riflesso, nella coscienza umana, come un punto dappoggio per il
rinnovamento
65
. In questo senso Basso riprende e attualizza quel passo del Capitale che
non a caso egli pone come epigrafe a Socialismo e rivoluzione:
Ma la sola via reale sulla quale un modo di produzione e lorganizzazione sociale che gli cor-
risponde marciano alla loro dissoluzione e alla loro trasformazione, lo sviluppo storico dei
loro antagonismi immanenti. qui il segreto del movimento storico che i dottrinari, ottimisti
o socialisti, non vogliono capire
66
.
Basso delinea una strategia che esclude ci che lui stesso chiama il rivoluzionarismo di
tipo blanquista, che punta direttamente alla conquista del potere, e si richiama inve-
ce alla mediazione delle riforme di struttura capaci di creare le basi del socialismo.
Al contempo essa esclude il riformismo inteso soltanto come accumulo di riforme non
legate da un progetto socialista, non inserite in un contesto coerente di trasformazio-
ne, ma volte soltanto a correggere o ad attenuare gli ineliminabili mali della societ
capitalistica
67
. Emerge qui uno dei passaggi fondamentali dellinterpretazione di Basso,
nonch uno dei debiti maggiori verso lamata Luxemburg: la consapevolezza cio che
la vera essenza di ogni momento appare soltanto se consideriamo quel momento in-
serito nella continuit della storia [nella] totalit del processo storico
68
. Il riferimento
alla luxemburghiana categoria della totalit gli consente di non separare mai nella lotta
quotidiana i singoli momenti e i singoli obiettivi della lotta dalla visione generale della
lotta stessa, lazione quotidiana rivendicativa e riformatrice dalla prospettiva rivoluzio-
naria, dallo scopo finale
69
. Contro il riformismo e contro il revisionismo, Luxemburg
si era fatta interprete del marxismo rivoluzionario, la cui essenza risiede nel vedere
le contraddizioni interne del processo storico, afferrandone appunto la totalit, e pre-
vedendone il necessario superamento attraverso la vittoria del socialismo
70
. Il punto
centrale dellattivit politica di Basso risiede in questa interpretazione del marxismo, os-
sia nellaccento da lui posto sul nesso che deve unire la lotta quotidiana allo scopo finale
affinch la prima non scada nel riformismo, ma divenga parte di un autentico processo
rivoluzionario. Lannosa polarit tra uninterpretazione del marxismo come attivit ri-
formistica quotidiana e attesa passiva della rivoluzione e uninterpretazione del marxi-
smo come soggettivismo e avventurismo risolta nella constatazione che nel pensiero di
Marx azione quotidiana e scopo finale sono dialetticamente uniti
71
.
Laltro grande tema, qui soltanto accennato, che ricorre nella lettura bassiana di
Marx quello del libero sviluppo delluomo, della condizione umana, connesso al
tema dellalienazione, o meglio, della disumanizzazione. Basso, rifacendosi soprat-
65
Ibid., p. 841.
66
Basso cita ledizione francese del 1872-1875. L. Basso, Socialismo e rivoluzione, cit., pp. 11 e 102.
67
Ibid., p. 229.
68
L. Basso, Introduzione a R. Luxemburg, Scritti politici, cit., p. 25.
69
Ibidem.
70
Ibid., p. 29.
71
L. Basso, Socialismo e rivoluzione, cit., p. 159.
Lutopia di Lelio Basso
377
tutto al Capitale ma anche ai Grundrisse, ripercorre i vari passaggi in cui si descrive il
processo di allontanamento delluomo dalla propria autorealizzazione. In particolare
richiama le analisi, in questo caso anche giovanili, attraverso cui Marx illustra i fenome-
ni della disumanizzazione, ossia tutti quei fenomeni che comportano un rovesciamen-
to del rapporto produttore-prodotto, per il quale questultimo, anzich restare sotto il
dominio del produttore come sua creazione, se ne distacca, contrapponendosi, domi-
nandolo e impedendogli la propria piena autorealizzazione
72
. Di questo rovesciamen-
to in cui loggetto si trasforma in soggetto e viceversa, sono espressione tanto la religio-
ne quanto il lavoro. Si tratta di fenomeni diversi nei quali per si verificano le condizioni
della disumanizzazione, ovvero della trasformazione delluomo da agente cosciente
di un processo finalizzato a oggetto di un processo misterioso
73
. Ovviamente il capitali-
smo responsabile di questo capovolgimento, del processo di massima disumanizzazio-
ne che soprattutto il Marx del Capitale era stato in grado di cogliere e descrivere
74
, asse-
gnando, al contempo, alla rivoluzione lo scopo della riumanizzazione.
Diritto dei popoli
I diversi piani del pensiero di Basso convergono nellultimo tratto della sua biografia po-
litica che corrisponde in larga parte allimpegno internazionalista per il diritto dei popo-
li. Inevitabilmente sacrificato in questa sede, tale capitolo del pensiero politico di Basso
occupa invece un ruolo di primo piano nella storia della sinistra mondiale e rappresen-
ta oggi una delle eredit pi vive. negli anni Sessanta che Basso traduce il suo conna-
turato internazionalismo in una battaglia antimperialista per la democrazia a livello glo-
bale, dove la difesa per i diritti della persona non si limita agli spazi nazionali dello Stato
di diritto, ma si commisura alla creazione di un nuovo ordine giuridico internazionale.
Sono gli anni in cui Basso, complici anche le sconfitte subite sul terreno politico nazio-
nale, volge lo sguardo alle vicende extraeuropee (lAlgeria, il Venezuela) e accoglie linvi-
to rivoltogli da Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre a far parte della giuria del Tribunale
internazionale sui crimini di guerra americani nel Vietnam dove si reca nel 1967 , per
il quale redige i rapporti conclusivi sia della prima sessione (Stoccolma, maggio 1967) sia
della seconda (Copenhagen, novembre 1967).
In modo analogo allinterpretazione del diritto su scala nazionale, Basso avvia una ri-
flessione che lo porta ad analizzare in profondit le cause della violazione del diritto in-
ternazionale riconoscendo la complessa interazione di motivi sociali, economici e po-
litici nel quadro di unanalisi, da lui svolta precocemente, della fase internazionale del
capitalismo
75
. La sua battaglia antimperialistica assume una dimensione al contempo
etica e giuridica in grado di anticipare tanto gli sviluppi odierni del diritto internazio-
nale quanto le prospettive della globalizzazione, destinata a spazzar via ogni residuo
72
Ibidem.
73
Ibid., p. 62.
74
Ibid., p. 72.
75
L. Basso, Neocapitalismo e sinistra europea, Laterza, Bari 1969.
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
378
delleurocentrismo ancora cos profondamente radicato nella stessa letteratura sociali-
sta coeva
76
. Come noto, allinizio degli anni Settanta Basso si fa promotore di un se-
condo Tribunale Russell dedicato allAmerica Latina che segna una distanza dal primo
in quanto si apre a nuovi orientamenti e interpreta il diritto internazionale oltre le logi-
che tradizionali del diritto di guerra degli Stati introducendo con forza la questione del-
la violazione dei diritti fondamentali interni
77
.
La partecipazione e la costituzione di agenzie internazionali di giudizio si accompa-
gna al tentativo di Basso di promuovere unopinione pubblica mondiale in grado di pe-
sare sulla definizione di un nuovo diritto internazionale. Lo stesso Tribunale Russell II
diventa un movimento dopinione, con comitati di sostegno in molti paesi, a carattere
politico ma specialmente umanitario, attento in primo luogo ai bisogni e ai dolori del-
le persone.
Il punto probabilmente pi alto della sua attivit internazionalista Basso lo raggiunge
nel 1976, quando promuove la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, sottoscrit-
ta ad Algeri nel luglio dai delegati dei movimenti di liberazione provenienti da tutto il
mondo. Qui trova una formulazione compiuta una teoria del diritto dei popoli che, an-
dando oltre il principio individualistico e astrattamente egualitario che resta alla base di
un diritto delluomo, attribuisce un ruolo giuridico ai popoli in quanto entit collettiva,
che non necessariamente corrisponde a confini sanzionati dal diritto ma radicata nella
storia, e pu agire come nuovo soggetto di una democrazia globale.
BIOGRAFIA
Lelio Basso nasce a Varazze, in provincia di Savona, il 25 dicembre 1903. Trasferitosi a
Milano nel 1916 frequenta il Liceo ginnasio e nel 1921 si iscrive alla Facolt di Legge
di Pavia, dove aderisce al gruppo studentesco socialista. Dal 1923 scrive sui giornali so-
cialisti e di democrazia laica (Critica sociale, lAvanti!, Il Caff, La Libert, Il
Quarto stato), stringe amicizia con Piero Gobetti, collaborando con La Rivoluzione
liberale, e si avvicina ai neoprotestanti della rivista Coscientia. Impegnato nella lot-
ta antifascista viene arrestato nel 1928 e inviato al confino allisola di Ponza. Tornato a
Milano nel 1931, sposa Lisli Carini e partecipa alla costituzione del Centro interno so-
cialista. Nuovamente arrestato nel 1939, dopo un ulteriore periodo al confino, nel 1942
riprende i contatti con i gruppi socialisti e contribuisce alla ricostruzione del Partito so-
cialista e alla Resistenza: responsabile del PSIUP per lAlta Italia, tra i dirigenti dellin-
surrezione milanese del 25 aprile 1945. Eletto allAssemblea costituente, vi svolge un
ruolo di primo piano come membro della Commissione dei 75. Nel 1946 fonda a Mila-
no la rivista Quarto Stato e nel gennaio 1947 viene eletto segretario generale del PSI,
ruolo che conserva fino al luglio 1948.
Dal 1949, in corrispondenza con la sua emarginazione politica per mano di una sini-
76
E. Collotti, Introduzione a Bibliografia degli scritti di Lelio Basso, S. Luciani (a cura di), Olschki, Firenze
2003, p. XXIII.
77
F. Rigaux, Lelio Basso e i tribunali di opinione, in Lelio Basso e le culture dei diritti, cit., pp. 21-31.
Lutopia di Lelio Basso
379
stra socialcomunista avversa al suo antistalinismo, collabora con la rivista Cahiers In-
ternationaux e svolge unintensa attivit legale in difesa dei diritti e della libert. Dopo
il XX congresso del PCUS, viene rieletto alla direzione e alla segreteria del PSI, da dove
conduce una battaglia per lalternativa democratica. Nel 1958 fonda Problemi del
socialismo e nel 1964 promuove la rivista bilingue International Socialist Journal/Re-
vue Internationale du Socialisme, che conferma il suo ruolo nel dibattito della sinistra
europea. Il rapporto con il PSI si scioglie definitivamente alla fine del 1963, quando si op-
pone alla formazione del centrosinistra e partecipa alla scissione del nuovo PSIUP, di cui
viene eletto presidente ma da cui si allontaner nel 1968. Sono anni in cui Basso guarda
alle questioni internazionali (Tribunale Russell) e approfondisce la ricerca con gli studi
su Rosa Luxemburg e con la costituzione, nel 1969, dellIstituto per gli studi della socie-
t contemporanea (ISSOCO), cui dona la sua biblioteca. LIstituto, dal 1973 Fondazione
Lelio e Lisli Basso ISSOCO, diventa un luogo di intensa attivit culturale e di ricerca.
Eletto al Senato come indipendente di sinistra nel 1972, Basso si impegna nellattivit in-
ternazionalista: nel 1973 fonda e presiede il Tribunale Russell II per lAmerica Latina; nel
1976 d vita alla Lega e alla Fondazione internazionale per i diritti e la liberazione dei
popoli. il principale ispiratore della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli sot-
toscritta ad Algeri nel luglio 1976. Muore a Roma il 16 dicembre 1978.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Lelio Basso
La bibliografia degli scritti di Lelio Basso comprende oltre 1.700 titoli e spazia dalle monografie
ai saggi pubblicati in volumi collettanei, dagli articoli per la stampa quotidiana e periodica agli in-
terventi nelle sedi di partito, fino ai discorsi parlamentari. Rinviamo allesaustiva Bibliografia de-
gli scritti di Lelio Basso, S. Luciani (a cura di), con introduzione di E. Collotti, Olschki, Firenze
2003.
Pressoch tutti gli scritti di Lelio Basso sono consultabili sul sito web: http://www.leliobasso.it.
A titolo puramente orientativo ricordiamo qui soltanto le principali monografie con particolare ri-
ferimento ai temi trattati:
La democrazia dinanzi ai giudici, Edizioni di cultura sociale, Milano 1954.
Il Partito socialista italiano, Nuova Accademia, Milano 1958.
Il principe senza scettro. Democrazia e sovranit popolare nella Costituzione e nella realt italiana,
Feltrinelli, Milano 1958 (ristampato con prefazione di Stefano Rodot nel 1998).
(a cura di), R. Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967.
Neocapitalismo e sinistra europea, Laterza, Bari 1969.
Socialismo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980.
Scritti sul cristianesimo, G. Alberigo (a cura di), Marietti, Casale Monferrato 1983.
Chiara Giorgi e Giancarlo Monina
380
Saggi critici
Sempre con riferimento ai temi trattati riportiamo una selezione delle principali pubblicazioni
sullopera e il pensiero di Lelio Basso:
AA.VV., Marxismo, democrazia e diritto dei popoli. Scritti in onore di Lelio Basso, Franco Ange-
li, Milano 1979.
AA.VV., Lelio Basso nella storia del socialismo, Istituto per la storia della Resistenza in provincia
di Alessandria, Quaderno n. 4, 1979.
AA.VV., Lelio Basso nel socialismo italiano, Quaderni di Problemi del socialismo, Franco An-
geli, Milano 1981.
AA.VV., Lelio Basso e le culture dei diritti, Carocci, Roma 2000.
Collotti, E., Negt, O ., Zannino, F. (a cura di), Lelio Basso teorico marxista e militante politico, Qua-
derni di Problemi del socialismo, Franco Angeli, Milano 1979.
Giorgi , C., La sinistra alla Costituente. Per una storia del dibattito costituzionale, Carocci, Roma
2001.
Monina, G. (a cura di), La via alla politica. Lelio Basso, Ugo La Malfa, Meuccio Ruini protagonisti
della Costituente, Franco Angeli, Milano 1999.
Monina, G. (a cura di), Novecento contemporaneo. Studi su Lelio Basso, Ediesse, Roma 2009.
Mulas, A. (a cura di), Lelio Basso: la ricerca dellutopia concreta, Fondazione internazionale Lelio
Basso, EDUP, Roma 2006.
381
RANIERO PANZIERI:
PER UN SOCIALISMO DELLA DEMOCRAZIA
DIRETTA
Pino Ferraris
La figura di Raniero Panzieri ha avuto, nel corso degli anni e dei decenni successivi alla
sua morte, un destino paradossale. Tra rimozioni e mitizzazioni, tra dispute patrimoniali
e sommarie stroncature accaduto che la sua biografia politico-culturale, che ha una ro-
busta coerenza di fondo, sia stata spezzata, smembrata: il meridionalista di Palermo
stato assolutamente oscurato dalloperista di Torino, il suo ruolo di dirigente politico
viene scisso dalla sua attivit di produttore di cultura, colui che per tutta la vita si de-
dicato al partito e che viene spinto da una sorta di disperazione a formare gruppi di altro
genere
1
viene proposto come il Battista dei gruppi minoritari degli anni Settanta.
Panzieri dedic gran parte del suo impegno culturale a smontare sistemi cristalliz-
zati di pensiero nel movimento operaio. Persino il suo approccio a Marx, punto di rife-
rimento costante e sicuro della sua elaborazione culturale, era cos libero e creativo da
renderlo completamente disponibile alloperazione chirurgica di separare il Marx vivo
e ancor oggi utilizzabile da ci che nella sua opera rappresenta gli incunaboli del rifor-
mismo e del diamant
2
.
La prima edizione postuma di una parte dei suoi scritti apparve inchiodata sotto lin-
credibile titolo La ripresa del marxismo-leninismo in Italia
3
.
Il protagonista del disgelo culturale, lanticonformista innovatore del pensiero di una
sinistra che faticava ad uscire dalle rigidit dogmatiche dello stalinismo e della Guerra
fredda, per un non breve periodo, sub le deformazioni indotte da quel recupero ana-
cronistico di culture politiche da immediato dopoguerra
4
che coinvolse buona parte
della sinistra degli anni Settanta.
Il primo decennale della sua morte venne ricordato con un numero speciale della ri-
1
Fortini: sempre antiamericano. Intervista A. Papuzzi, La stampa, 13 settembre 1991.
2
Lettera di Panzieri a Luciano Della Mea, 18 agosto 1964, in R. Panzieri, Lettere, S. Merli, L. Dotti (a cura
di), Marsilio, Venezia 1987, p. 405.
3
R. Panzieri, La ripresa del marxismo leninismo in Italia, Sapere Edizioni, Milano 1972.
4
M. Salvati, Giovent, amore e rabbia, in 1969, Parolechiave, 18, dicembre 1998, p. 59.
Pino Ferraris
382
vista Aut-Aut dedicato a Raniero Panzieri e i Quaderni rossi
5
. Il fascicolo si apre con
un improbabile inedito vistosamente intitolato: Tesi Panzieri- Tronti. Una dichiarazione
programmatica: coinvolgere Panzieri nelle avventure e disavventure metafisiche del
volontarismo di Tronti e di Negri allora ospitate dalla rivista di Pier Aldo Rovatti.
Lo storico Stefano Merli ha dato un contributo importante di documentazione, di ri-
costruzione biografica, di pubblicazione degli scritti poco noti di Panzieri tra il 1944 e
il 1956
6
, delle lettere
7
, coprendo tutto larco della sua esperienza politica dalla fase ini-
ziale della sua militanza politica
8
alla direzione di Mondo operaio
9
sino ai Quader-
ni rossi
10
.
Nella Introduzione del 1977 al libro di Sandro Mancini su Panzieri
11
Merli anticipa
quello che sar il suo programma di lavoro: Panzieri non pu essere letto nellottica del-
la nuova sinistra. Egli giustamente vuole ricostruire il Panzieri militante e dirigente
di primo piano della sinistra storica, protagonista in un Partito socialista allinterno del
quale ha speso ben sedici anni del ventennio del suo impegno politico e culturale tron-
cato allet di 43 anni. Merli dice una cosa essenziale: Panzieri non stato un intellettua-
le militante ma un dirigente politico intellettualmente creativo. Nei suoi lavori, orienta-
ti ad inserire lesperienza di Panzieri allinterno del socialismo di sinistra che ha come
punto di riferimento Rodolfo Morandi, lo storico socialista sembra per sottovalutare o
non comprendere sino in fondo liniziativa politica e la produzione intellettuale dellul-
timo Panzieri.
Il volume dedicato agli anni dei Quaderni rossi
12
decisamente il pi debole di
quelli da lui curati. Esiste uno scarto, una anomalia nel contributo di Merli alla ricostru-
zione della traiettoria politica e culturale di Panzieri.
Nel 1987, pubblicando le Lettere di Panzieri, Merli introduce il volume con un am-
pio e impegnativo saggio dal titolo Teoria e impegno nel modello Panzieri
13
. Lambizio-
ne quella di proporre una interpretazione complessiva e definitiva della figura di Ra-
niero Panzieri. Questo intento coincide con una svolta del punto di vista di Merli sulla
politica socialista del secondo dopoguerra. Lo storico socialista viene attratto da un di-
segno culturale di rivincita dellautonomismo socialista stimolato dal protagonismo di
Craxi in quegli anni.
Nel libro su Panzieri dellanno precedente Merli riconosce alla linea del socialismo
di sinistra, maggioritaria negli anni della Guerra fredda, una sua originalit ed identi-
t, pur allinterno della stretta alleanza con il Partito comunista. Solo se si riconosco-
5
Raniero Panzieri e i Quaderni rossi, Aut Aut, 149-150, settembre-dicembre 1975.
6
R. Panzieri, Lalternativa socialista. Scritti scelti 1944-1956, Einaudi, Torino 1982.
7
R. Panzieri, Lettere, cit.
8
S. Merli, La tesi di laurea di R. Panzieri su Lutopia rivoluzionaria nel Settecento, Metropolis, 3, maggio
1979.
9
R. Panzieri, Dopo Stalin, S. Merli (a cura di), Marsilio, Venezia 1986.
10
R. Panzieri, Spontaneit e organizzazione. Gli anni dei Quaderni rossi 1959-1964, Biblioteca Franco
Serantini, Pisa 1994.
11
S. Merli, Introduzione a S. Mancini, Socialismo e democrazia diretta. Introduzione a Raniero Panzieri, De-
dalo, Bari 1977.
12
R. Panzieri, Spontaneit e organizzazione, cit.
13
S. Merli, Teoria e impegno nel modello Panzieri, in R. Panzieri, Lettere, cit.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
383
no questi spazi di iniziativa e di parziale autonomia socialista aggiunge Merli si pu
spiegare perch una figura cos ricca e inquieta come quella di Panzieri abbia scelto la
milizia socialista in un ambiente duro e difficile come la Sicilia sacrificando la carriera
universitaria
14
.
Un anno dopo Stefano Merli ribalta il suo giudizio sulloriginalit dellimpegno me-
ridionalista di Panzieri in quei primi anni Cinquanta. Per Merli, come gi per Cervigni
e Galasso
15
il Panzieri siciliano sarebbe stato un interprete passivo della mistica unita-
ria di Rodolfo Morandi che faceva crescere il partito e nello stesso tempo lo asserviva
al comunismo e al dogma marxista-leninista. In questo saggio Panzieri diventa la prima
vittima del morandiano pentito.
Una falsa testimonianza di Lucio Libertini
16
serve per dare limmagine di un Panzieri
sconfitto e stanco che nel 1964 si appresterebbe a rientrare nellalveo della politica uffi-
ciale confluendo nel PSIUP. Ipotesi questa che distorce e mistifica il senso della resisten-
za e delliniziativa solitaria dellultimo Panzieri.
Merli chiude questo saggio ambizioso con le parole, fatte proprie, del funzionario ei-
naudiano Daniele Ponchiroli, secondo il quale Panzieri era un pensatore politico che
voleva modificare la politica e non un politico che volesse modificare situazioni reali
17
.
Il senso stesso dellimpegno di Merli volto a dare risalto al dirigente politico viene
azzerato, i decenni di lotta politica e di lavoro di massa di Panzieri vengono sepolti dalla
sentenza del suo capo-ufficio che lha visto, con burocratico sospetto, nel lavoro di con-
sulente editoriale. Il saggio di Merli tende ad appiattire Panzieri nel conformismo poli-
tico e culturale della sinistra storica.
Il numero di Aut-Aut del 1975 voleva invece cooptarlo nella cerchia litaria del-
le dissidenze intellettuali.
Forse occorre rifuggire da queste polarizzazioni se si vuole ricostruire un profilo di
Panzieri il pi possibile aderente alla complessit e alla singolarit del suo percorso po-
litico e culturale.
Litinerario di una militanza precocemente bruciata nella intensit del fare e del pen-
sare corre lungo profonde fratture storiche: le speranze e le attese degli anni immedia-
tamente successivi alla Liberazione, la sconfitta e il gelo del tempo della Guerra fredda,
il dopo Stalin politico coincidente con la grande trasformazione della societ italia-
na proiettata verso il miracolo economico, i nuovi fermenti operai e giovanili degli
anni Sessanta, lirrimediabile e crescente distacco tra le macchine politiche e le dinami-
che sociali.
Allinterno di queste vicende storiche linquieta ricerca di Panzieri era rivolta a trova-
re una sintonia viva e precisa tra i mutamenti sociali e i ritmi della politica. Era il suo un
ininterrotto ricominciare da capo senza per perdere il filo rosso che regge il senso
profondo del proprio modo di vivere limpegno civile e sociale.
14
S. Merli, Prefazione a R. Panzieri, Dopo Stalin, cit., p. X.
15
G. Cervigni, G. Galasso, Inchiesta sul Partito Socialista Italiano nelle Province Meridionali, Nord e Sud,
16, marzo 1956.
16
Testimonianza di Pino Ferraris, in P. Ferrero (a cura di), Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, Edizioni
Punto Rosso-Edizioni Carta, Milano-Roma 2005, p. 119.
17
S. Merli, Teoria e impegno nel modello Panzieri, cit., p. XLIX.
Pino Ferraris
384
Un filo rosso che accompagna tutta la vicenda umana di Panzieri la ricerca conti-
nua di uno stringente rapporto tra impegno intellettuale e coinvolgimento pratico.
Si potrebbe ricordare la sua attivit giovanile presso lIstituto di studi socialisti di
Morandi nel 1946 cui segue immediatamente il lavoro politico in periferia, a Bari, a fian-
co di Ernesto De Martino; la breve esperienza accademica a Messina che viene interrot-
ta in nome dellimpegno diretto dentro laspra conflittualit e le difficolt politiche del
contesto siciliano.
Il periodo della direzione di Mondo operaio, quando si produce una nuova situa-
zione politica (crisi del centrismo e crisi comunista) in coincidenza con lemergere del
neocapitalismo, si caratterizza per lo sforzo di tradurre immediatamente lintelligenza
della realt in proposta politica e iniziativa sociale. Gli anni torinesi sono segnati invece
dalla drammatica tensione tra anticipazione teorica e perdita degli strumenti dellazio-
ne pratica.
Il secondo motivo ricorrente nella esperienza di Panzieri consiste nella sua conce-
zione del socialismo come liberazione delle capacit di autogoverno delle forze sociali.
Dal suo modo di concepire il Fronte popolare nel 1948 non come problema di schie-
ramento politico ma come movimento spontaneo innervato negli organi di lotta e
di autogoverno dei lavoratori (i consigli di gestione, i comitati della terra, il comune
democratico)
18
, sino allultima sua proposta dellinchiesta socialista, passando per le tesi
sul controllo operaio, costante la sua ostinata resistenza al principio di delega. La de-
mocrazia diretta la stella polare del suo socialismo anti-statalista.
Panzieri in Sicilia
Lesperienza di Panzieri in Sicilia dura sei anni, dal 1949 al 1955. Arriva a Messina come
giovane docente di filosofia del diritto, chiamato ad un incarico universitario da Galva-
no della Volpe, e dopo pochi mesi si impegna in una militanza politica e sociale che lo
conduce nel giro di due anni a lasciare laccademia per diventare politico di professio-
ne. Nellesperienza siciliana si salda il rapporto umano, politico e culturale con Rodol-
fo Morandi.
I successi del suo lavoro nellisola e il suo ruolo di interprete originale e attivo del-
la politica unitaria morandiana sono alla radice della sua rapida ascesa ai vertici na-
zionali del Partito socialista. Nel congresso di Bologna del gennaio 1951 Panzieri entra
contemporaneamente nel comitato centrale e nella direzione del partito. Lingresso dei
due giovani morandiani Raniero Panzieri e Dario Valori coincide con lesclusione di
un protagonista del socialismo italiano come Lelio Basso.
Elio Giovannini definisce quel congresso il Congresso della vergogna
19
nel quale trion-
fa il piccolo stalinismo socialista con la rega di Pietro Nenni e di Rodolfo Morandi.
Quale fu latteggiamento di Panzieri verso lideologia e le pratiche staliniste che ne-
18
R. Panzieri, Lalternativa socialista, cit., p. 82.
19
E. Giovannini, Una brutta storia socialista dei tempi di Nenni: la liquidazione di Lelio Basso, Annali
2004, Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco, Carocci, Roma 2005.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
385
gli anni della guerra fredda erano assolutamente dominanti nella cultura e sub-cultura
social-comunista?
In una lettera a Libertini del dicembre 1959 parla esplicitamente degli errori com-
messi negli anni della Guerra fredda sollecitato sempre dal senso che tenevo per cer-
to di un legame ininterrotto, nella lotta, tra il movimento e i partiti
20
.
Forse coglie nel segno la recente testimonianza del dirigente comunista Emanuele
Macaluso che conobbe e frequent molto da vicino Raniero Panzieri in quegli anni si-
ciliani:
Se un uomo come Panzieri sta nel PSI afferma Macaluso anche nella fase della maggiore
comunistizzazione e stalinizzazione di questo partito perch nel PSI aleggiava una storia nella
quale la libert (la libert di ricerca, la libert politica, la libert del cittadino) aveva avuto un
peso straordinario. E perch nel PSI, per quanto comunistizzato, non cerano barriere e vincoli
tali che prima o poi la questione si riaprisse. Quelli che nutrivano una maggiore inquietudi-
ne intellettuale e politica gli uomini come Panzieri scelsero in larga misura pi il PSI del
PCI
21
.
La crisi di Panzieri, dopo la catastrofe del Fronte popolare, fu dovuta soprattutto al
collasso strutturale del partito, alla sua incapacit di offrire uno strumento di azione di
massa e di lotta di classe
22
. La caduta della prospettiva di ricollocare il Partito socialista
allinterno della situazione generale della classe lavoratrice coincise con il ripiegamen-
to verso il lavoro accademico. Nel novembre 1948 va allUniversit di Messina, ma gi
nel maggio del 1949 viene coinvolto nel progetto morandiano di ricostruzione del parti-
to. Nellaprile del 1950 Morandi indica Panzieri come il suo rappresentante nellIsola
23
.
Dalla documentazione offerta da Domenico Rizzo sullattivit di Panzieri in Sicilia
emerge una inedita figura di dirigente politico a tutto tondo: costruttore di strutture or-
ganizzative, animatore in prima persona di lotte di massa nelle miniere e nei feudi, coin-
volto in una sequenza di faticosissime campagne elettorali (le regionali del 1951, le co-
munali del 1952, le politiche del 1953, le regionali del 1955). Un Panzieri che si spende
con generosit in un impegno pratico quotidiano a tutti i livelli e in ogni direzione e che
continua ad esprimere una sempre rinnovata elaborazione culturale. Soprattutto emerge
il profilo di un dirigente profondamente radicato nella realt sociale e politica del Meri-
dione, interprete della storia e delle tradizioni pi vive e combattive del movimento de-
mocratico e socialista siciliano.
Il Panzieri di quegli anni indica nelle lotte per la terra il punto archimedico di una
rivoluzione democratica.
Nel corso della campagna elettorale regionale del 1955, quando Morandi e Panzie-
ri rompono la tradizionale unit elettorale con il PCI nel Blocco del popolo e i socia-
listi presentano liste proprie, si dispiega la peculiarit della politica socialista nellIsola.
20
R. Panzieri, Lettere, cit., p. 243.
21
P. Franchi, E. Macaluso, Da cosa non nasce cosa, Rizzoli, Milano 1997, pp. 80-81.
22
R. Panzieri, Lalternativa socialista, cit., p.84.
23
D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia (1949-1955), Rubettino, Soveria Mannelli 2001, p.
62. Il libro di Domenico Rizzo rappresenta la pi documentata e affidabile ricostruzione del lavoro politico di
Panzieri in Sicilia. Esso confuta alcune delle testimonianze accettate acriticamente da Stefano Merli.
Pino Ferraris
386
La piattaforma elettorale del PSI dal titolo Nellalternativa socialista rinascita e autonomia
della Sicilia, scritta da Panzieri
24
, ha un ampio respiro culturale: recupera le radici della
lotta socialista a partire dai Fasci siciliani, fa una lucida e sferzante analisi dei governi de-
mocristiani e delle loro complicit economiche e mafiose, propone un disegno alternati-
vo di sviluppo economico e di riscatto sociale. Contro il separatismo reazionario e con-
tro una linea di asservimento al centralismo dello Stato unitario burocratico rivendica la
lunga storia di lotta socialista per unautonomia, in chiave federalista, che ha sempre in-
trecciato libert politiche e liberazione sociale.
Il movimento dei Fasci siciliani nel quale si esprimeva un forte associazionismo par-
tecipativo, che vedeva la convergenza tra azione economica e iniziativa politica, indica-
to come lesperienza fondamentale ed esemplare del socialismo siciliano che alimenter
generazioni di organizzatori di leghe contadine, di cooperative bracciantili e di combat-
tivi dirigenti socialisti.
Questo recupero di una tradizione socialista di lotta di classe radicale e libertaria,
che dallOttocento si prolunga nel primo Novecento uno degli aspetti pi originali
della elaborazione politica e culturale del Panzieri siciliano che non sar pi ripresa ne-
gli anni successivi.
La campagna elettorale del 1955 e i risultati del voto, che segnano un successo dei so-
cialisti, fanno della Sicilia il laboratorio della linea di apertura a sinistra unitariamente
approvata dal congresso di Torino del PSI pochi mesi prima. Sia la documentazione of-
ferta da Domenico Rizzo
25
, sia la testimonianza di Macaluso
26
ci dicono che Panzieri, in
stretto collegamento con Rodolfo Morandi, protagonista in questa svolta politica.
La posta in gioco era altissima: non si trattava solo di colpire il blocco agrario realiz-
zando la distribuzione della terra. Si poneva allordine del giorno la gestione pubblica
regionale delle risorse idriche e della produzione elettrica e soprattutto la nuova questio-
ne delle risorse petrolifere. Era un intero assetto di potere, coagulato attorno ai gover-
ni dellon. Restivo, che era messo in discussione. Segnale dellaltezza della sfida lucci-
sione, in piena campagna elettorale, del capolega socialista Salvatore Carnevale da parte
della mafia.
Il terremoto in atto nei rapporti di potere testimoniato dalla rottura della Sicindu-
stria di La Cavera con la Confindustria nazionale. Il nuovo governo Alessi, che ebbe du-
rata breve, fu il risultato dellautonoma e combattiva iniziativa socialista perseguita da
Panzieri attraverso tensioni con il Partito comunista
27
e non poche resistenze allinter-
no del PSI.
Lesperimento siciliano realizzato da Morandi e da Panzieri non era altro che lan-
24
R. Panzieri, Nellalternativa socialista rinascita e autonomia per la Sicilia, in D. Rizzo, op. cit., pp. 187-221.
25
D. Rizzo, op.cit., pp. 128-129.
26
P. Franchi, E. Macaluso, op. cit., p. 80.
27
Domenico Rizzo riporta il testo della lettera di Giuseppe Montalbano, presidente comunista del gruppo
regionale del Blocco del Popolo a Li Causi in occasione della decisione del PSI di presentarsi da solo alle
elezioni regionali del 1955. In essa troviamo scritto: ... insistendo Panzieri e Taormina nella separazione da
noi, secondo le direttive di Nenni, nonostante le proteste di base che cominciano a farsi preoccupanti. Si ha
limpressione che in Sicilia il PSI sia diretto da socialdemocratici anticomunisti e non da marxisti. In D. Rizzo,
op.cit., pp. 105-106.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
387
ticipazione del centro-sinistra nenniano, come sembra pensare Stefano Merli? lecito
dubitarne
28
.
Nel 1955 Raniero Panzieri, membro della direzione del Partito socialista, segretario
della Sicilia, responsabile nazionale stampa, propaganda e cultura del partito, uno dei
pi importanti giovani dirigenti socialisti morandiani.
Dentro la grande trasformazione
La campagna elettorale regionale e loperazione giunta Alessi del 1955 rappresentano
la conclusione dellimpegno siciliano di Panzieri, che dal settembre del 1953 ha trasferi-
to la sua residenza a Roma dove dirige la sezione stampa e propaganda del PSI, pur con-
servando la responsabilit di direzione politica in Sicilia sino al 1955.
Il 1955 lanno dellimprovvisa morte di Rodolfo Morandi, della sconfitta della FIOM
alla FIAT, dellirrompere del dibattito internazionale sulla nuova fase dellautomazione
industriale.
Il sindacato americano dellautomobile affronta i problemi che pongono al mondo
del lavoro le nuove tecnologie dellautomazione. Le Trade unions, in Gran Bretagna, di-
scutono sulle misure da prendere per fronteggiare le conseguenze sociali della fabbri-
ca automatica.
Morandi era stato un meridionalista venuto dal Nord, era stato il dirigente sociali-
sta che pi di ogni altro aveva introdotto nella sinistra la cultura del moderno industria-
lismo e della tecnica. La lezione del Morandi della Storia della grande industria aiuta a
spiegare la pronta sensibilit con cui Panzieri ha captato i segnali di uno sviluppo capi-
talistico che poneva nuove sfide al movimento operaio
29
.
Nel 1956 viene tradotto da Einaudi il libro del francofortese Friedrich Pollock Auto-
mazione. Conseguenze economiche e sociali
30
. La rivista Politica e societ avvia unin-
chiesta su Lautomazione e le sue conseguenze sociali, con interventi di Franco Momi-
gliano, Vittorio Foa, Alessandro Pizzorno, Luciano Gallino, Franco Ferrarotti e Gino
Martinoli
31
. A fine luglio lIstituto Gramsci organizza il convegno su Trasformazioni tec-
niche e lavoro
32
.
Quando, nel 1956, il XX Congresso del PCUS e il rapporto Chru/v, i sussulti po-
lacchi e la repressione sovietica della rivolta popolare ungherese travolgono lo stalini-
smo, Panzieri non giunge impreparato a questa sfida: immediatamente vede e vive la
28
Giovanni Galloni: Il fatto che Gonnella e Morandi vedevano un incontro fra lanima popolare della
DC, della sinistra cattolica... e lala pi disponibile del movimento operaio. Invece il centro-sinistra che nacque
nel 1964 venne su, diciamolo, su basi del tutto diverse. Fu il frutto dellincontro fra gli autonomisti nenniani
del PSI, quelli della politique dabord per intenderci, e la componente Dorotea della DC che Moro... fin per
privilegiare. Intervista a lUnit, 24 agosto 1986.
29
Sen. Carlo Gubbini, Svilupp nella sinistra una cultura economica e industriale in Rodolfo Moranti,
Senato della Repubblica, Roma 1995.
30
F. Pollock, Automazione. Conseguenze economiche e sociali, Einaudi, Torino 1956.
31
V. Foti (a cura di), Lautomazione e le sue conseguenze sociali, Politica e societ, 1956-57.
32
I lavoratori e il progresso tecnico, Atti del Convegno tenuto dallIstituto Antonio Gramsci, Editori Riuniti,
Roma 1957.
Pino Ferraris
388
crisi del comunismo stalinista come una grande opportunit: laffermazione del pro-
cesso attuale come rottura costituisce il solo modo di affermare la continuit storica del
movimento
33
.
La sinistra italiana, secondo Panzieri, per evitare di isolarsi dai grandi processi in-
ternazionali e per rompere il diaframma che la separa dalle dinamiche della societ na-
zionale, deve trarre una immediata lezione dagli eventi del 1956: ribaltare la concezio-
ne del partito-guida, superare le forme di organizzazione autoritaria e gerarchica delle
masse, uscire dal sonno dogmatico e aprirsi ad una analisi concreta dei grandi mutamen-
ti sociali.
In direzione opposta va invece la risposta di Togliatti. Egli tende a filtrare, attenua-
re, governare le conseguenze degli eventi che esplodono nellEst al fine di conservare in-
tatto il partito dacciaio di stampo stalinista sul quale innestare la ripresa del modera-
to riformismo della svolta di Salerno
34
.
Nenni cerca di volgere la crisi del comunismo e la stanchezza delle masse verso un
disegno di riformismo governativo dallalto la cui cifra simbolica lincontro di Pralo-
gnan dellagosto 1956 con Giuseppe Saragat.
Verso la fine del 1956 Panzieri aveva operato il raccordo tra la lezione della sconfit-
ta della FIOM alla FIAT con lemergere di una nuova questione operaia, lanalisi della nuo-
va fase di sviluppo del capitalismo, un radicale ripensamento della politica della sinistra e
dei suoi strumenti, la necessit di una uscita a sinistra e libertaria dallo stalinismo. La ca-
pacit di tenere insieme e di far interagire tra di loro queste quattro linee di ricerca e di
proposta rappresenta la ricchezza dei due anni (1957-58) della rivista Mondo operaio
diretta da Raniero Panzieri.
Il congresso di Venezia del PSI del febbraio 1957 registra una situazione di stallo: Pie-
tro Nenni esercita una indubbia egemonia politica ma la sinistra ha la maggioranza nel
comitato centrale. In questa situazione Panzieri ottiene la direzione della rivista ufficia-
le del PSI in cambio della sua esclusione dalla direzione del partito.
Egli riesce a trasformare uno stanco e modesto organo di partito in un laboratorio di
idee e di proposte innovative attorno al quale tesse una rete di collegamento di forze in-
tellettuali, di uomini del sindacato, di militanti politici. Mondo operaio diventa una
tribuna larga e vivace di dibattito che va ben oltre la lotta tra le correnti interne al PSI
35
.
Il numero di marzo-aprile 1958 della rivista accompagnato dal Supplemento scien-
tifico-letterario diretto dallo scienziato Carlo Castagnoli e dal critico letterario Carlo
Muscetta. Con questo nuovo strumento Panzieri cerca di portare avanti le sue idee sulla
cultura della sinistra. Due sono i cardini. Autonomia della cultura dai partiti ma impe-
gno sociale degli intellettuali. Alleanza tra scienze umane e sapere tecnico-scientifico.
Nei due anni di gestione di Mondo operaio la tendenza Panzieri disegna netto il
suo profilo di socialismo libertario innestato sulle nuove contraddizioni di un industria-
lismo in espansione che incorpora londa delle innovazioni tecnologiche.
33
R. Panzieri, Lalternativa socialista, cit., p. 183.
34
M. Flores, N. Gallerano, La politica, in Il 56 e la sinistra italiana, Problemi del socialismo, 10, gennaio-
aprile 1987.
35
S. Carpinelli, Una nuova partenza. Mondo Operaio di Panzieri (1957-1958), Classe, 17, giugno 1980.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
389
Lo scontro interno al Partito socialista si sviluppa per lungo altre linee: da una par-
te una resistenza frontista di apparato e dallaltra un autonomismo politicante e go-
vernativo che si nutre delle aspettative e dei consensi di opinione.
Rompere per continuare: questo rimane lobbiettivo di fondo di Panzieri. Il sen-
so di questo doppio movimento racchiuso nel pi volte citato saggio di Morandi del
1937 su Otto Bauer. Questo scritto conclude sulla necessit di uscire dallantitesi mor-
ta di comunismo e socialdemocrazia, ambedue malati di statalismo, per affermare
un socialismo schiettamente libertario (senza punto impaurirsi delle baldanza anarchi-
ca di questa qualifica)
36
.
Panzieri vuole incidere dentro il movimento operaio storico e soprattutto dentro
la crisi del partito comunista. Su Mondo operaio si propone di progettare il futuro ri-
attivando idee, esperienze di una tradizione socialista e comunista rivoluzionaria e radi-
calmente democratica.
In Sicilia richiamava lesperienza dei Fasci siciliani, le idee e lazione degli organizza-
tori di leghe bracciantili e di associazioni cooperative a cavallo tra la fine dellOttocen-
to e i primi del Novecento. Ora nei numeri monografici di Mondo operaio dedicati ai
consigli di fabbrica torinesi e allOrdine nuovo di Gramsci, ai consigli operai in Ger-
mania e al movimento spartachista di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, allOtto-
bre russo dei soviet e al Lenin di Stato e rivoluzione, egli pensa di poter contrapporre alla
degenerazione autoritaria del comunismo senile quella che ritiene lispirazione di radi-
calismo democratico del comunismo delle origini. Panzieri vuole parlare, in una fase cri-
tica che offre opportunit di mutamento, non solo ai socialisti ma anche e forse soprat-
tutto al partito comunista.
Il neocapitalismo una realt il titolo di un saggio di Vittorio Foa che apre uno
dei primi numeri di Mondo operaio diretto da Panzieri nel maggio 1957 . La tenden-
za principale del capitalismo lo sviluppo. Le contraddizioni principali del capitalismo
non nascono dal suo ristagno ma dentro il dinamismo tecnico e produttivo. Questo sag-
gio indica lasse di ricerca economica e sociale della rivista.
Lacuta percezione dellespansione di quello che sar chiamato lindustrialismo for-
dista, la registrazione dei primi accenni di una societ dei consumi, la segnalazione di un
nuovo interventismo statale funzionale allo sviluppo capitalistico e al consenso sociale
(fanfanismo) costituiscono le direttrici di indagine e di dibattito che porta avanti la rivi-
sta di Panzieri.
Da queste analisi Mondo operaio trae argomenti teorici e fattuali per la critica del-
le illusioni del neo-riformismo statuale di Nenni, per mettere in discussione la strate-
gia del PCI di lotta contro le arretratezze e i residui feudali nelle campagne e contro la
stagnazione economica del capitalismo monopolistico, per demistificare infine le ideo-
logie del capitalismo popolare e del benessere sotto impresa.
A questa parte critica fanno seguito proposte costruttive. Le linee di nuova politica
del movimento operaio sono riassunte e definite nelle Sette tesi sul controllo operaio di
36
R. Morandi, Il socialismo integrale di Otto Bauer, aprile 1937, in La democrazia del socialismo 1923-1937,
Einaudi, Torino 1962.
Pino Ferraris
390
Libertini e Panzieri che appaiono sul numero di Mondo operaio del febbraio 1958
37
.
Seguir un dibattito vivace sulla rivista, sullAvanti! e su LUnit.
La centralit della classe operaia, la qualit politica dalle rivendicazioni gestionali
emergenti dalle lotte nuove, la via democratica al socialismo centrata su nuovi isti-
tuti di democrazia operaia che sono leva della trasformazione sociale e garanzia della so-
stanza libertaria della nuova societ: questi sono i cardini delle Tesi.
La coincidenza della sconfitta del movimento contadino nel Sud e della sconfitta
della FIOM alla FIAT pone un problema generale di ripensamento della forma stessa del-
la politica della sinistra che sia in grado di ricollegarsi con le dinamiche di fondo del-
la societ.
Nelle tesi ricorrente la denuncia delle inevitabili tendenze del potere a rendersi au-
tonomo, a farsi autoreferenziale tramite la burocrazia e la parlamentarizzazione. Il con-
trappeso consiste nellazione di massa e nel pluralismo degli organi di lotta e di demo-
crazia sociale: il movimento per il controllo operaio, gli organi di una cultura autonoma,
il movimento cooperativo, un sindacalismo unitario politico ma non partitico.
La politicit e le autonomie del sociale aprono una terza dimensione della politi-
ca allinterno del chiuso universo binario del sindacalismo economicistico e del parti-
to politico parlamentare. Si rimette in discussione quella sorta di monarchia del parti-
to che propria della concezione del partito-guida e del partito-verit, alla quale
viene contrapposta la concezione morandiana del partito funzione, del partito strumen-
to al servizio della classe.
Quando Paolo Spriano, per conto del segretario del PCI, deve troncare un dibattito
che sta diventando insidioso, va al sodo: questo terremoto della politica che bisogna
mettere allindice. In queste tesi c la fuga dal leninismo perch si nega il ruolo diri-
gente del partito. C anarco-sindacalismo nella confusione tra economia e politica. C
trockismo nelle ripresa della linea avventurista del dualismo dei poteri
38
.
Il dibattito generale sulle tesi appare deludente: i comunisti stroncano, i socialisti
autonomisti guardano in tuttaltra direzione, la sinistra socialista distratta dalle con-
tingenze tattiche e dalla lotta di potere nel partito. Le Tesi avrebbero dovuto trovare
il loro naturale sviluppo nellazione politica, nella partecipazione alla lotta in corso nel
movimento operaio per un giusto indirizzo. Esse non trovano possibilit di ancoraggio
nella evoluzione dei partiti di sinistra.
Nel congresso di Napoli del 1959 del PSI prevale una linea di negazione della sostan-
za politica delle tesi sul controllo, proprio perch esalta un curioso paternalismo politi-
co, sopravvaluta lazione parlamentare, nega lo sbocco politico dellazione di massa
39
.
Nel PCI la risposta alla crisi del 1956 si indirizza verso unesaltazione dello spirito di
partito: unidea prevalentemente politica e istituzionale dellavanzata verso il sociali-
smo e della trasformazione della societ che porta ad identificare gli spazi e il potere del
partito con la libert e il progresso della societ tutta
40
.
37
L. Libertini, R. Panzieri, Sette tesi sulla questione del controllo operaio, in R. Panzieri, La crisi del movimen-
to operaio (1956-1960), Lampugnani Nigri, Milano 1973.
38
P. Spriano, LUnit, 12 agosto 1958.
39
R. Panzieri, Dopo Stalin, cit., p. 121.
40
M. Flores, N. Gallerano, op.cit.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
391
Al congresso di Napoli Panzieri entra ancora a far parte del Comitato centrale del
PSI. Di fatto si sta allontanando dalla lotta interna di partito.
La vera rottura che egli va operando in quei mesi non soltanto nei confronti del
Partito socialista ma esprime una critica radicale dellistituzione partito in quanto tale:
Vi una contraddizione sempre pi evidente, oggi, tra limportante sviluppo delle lot-
te di massa nel nostro paese, e ci che accade nei partiti.
Se rimane una qualche speranza essa affidata alle organizzazioni operaie in quan-
to tali, allo stesso sindacato nella misura nella quale esso affronta i temi del suo rinno-
vamento, che sono i temi delle forme di espressione autonoma dei lavoratori
41
. Questa
rottura non avviene con atti clamorosi e spettacolari. insieme un tirarsi fuori e un la-
sciarsi mettere fuori.
Gli anni del silenzio
Dal gennaio 1959, data del congresso del PSI vinto da Nenni, allottobre del 1961, quan-
do esce il primo numero dei Quaderni rossi, trascorrono poco meno di tre anni. Sono
tre anni di quasi silenzio di Raniero Panzieri. Sono per anche anni di scelte politiche
significative, di riflessione e di studio, di organizzazione culturale e di tessitura di rela-
zioni, di elaborazione di progetti.
Lesito del congresso socialista di Napoli lo porta a mettere in primo piano la sua li-
bert politica.
Tronca la lunga esperienza di politico di professione, trova una posizione di indi-
pendenza personale. Un mese dopo il congresso decide di cercare un lavoro presso la
casa editrice Einaudi. A marzo gi a Torino.
Il prezzo politico della sua indipendenza altissimo: lontano dai giochi romani di po-
tere e fuori dallapparato viene totalmente emarginato dai morandiani della sinistra
burocratica. Sono proprio gli uomini della sua generazione, con lui cresciuti alla scuo-
la di Rodolfo Morandi, che pi si sentono insidiati dalla presenza e dalla iniziativa di
Panzieri. Egli portatore di un ripensamento strategico di uscita a sinistra dallantite-
si morta di socialdemocrazia e comunismo, propone una posizione di verit critica nei
confronti del socialismo reale, intende rimettere in discussione il partito guida bu-
rocratico di massa. E pretende di estrarre questi obbiettivi da una coerente interpreta-
zione della lezione morandiana.
Questa sfida avvertita con insofferenza dagli uomini dapparato della sinistra so-
cialista che non vogliono andare oltre la gestione tattica di una critica massimalistica
del riformismo governativo di Nenni in un articolato rapporto di dipendenza dal PCI e
allombra dei fratelli dOriente. Proprio perch era stato uno di loro, Panzieri pu
avere una pericolosa autorevolezza e quindi deve essere neutralizzato. Il suo curriculum
di importante dirigente socialista, il suo ruolo di prestigioso direttore della rivista teori-
ca del PSI vengono azzerati.
Subito dopo il Congresso di Napoli sembrava scontato laffidamento a Panzieri del-
41
R. Panzieri, Dopo Stalin, cit., p. 121.
Pino Ferraris
392
la direzione di una rivista teorica e culturale della sinistra socialista. Invece da Roma
nessuno si fa vivo. Lucio Libertini, accettando la direzione di Mondo nuovo, il setti-
manale della sinistra, rompe il sodalizio che aveva retto e animato i due anni di Mondo
operaio, si fa cooptare dal gruppo che guida la corrente di sinistra e avalla lisolamen-
to e lemarginazione di Panzieri.
Vedo tutte le strade bloccate, il ritorno al privato mi mette freddo addosso, la pos-
sibile sorte della piccola setta mi terrorizza
42
.
La lettera del 27 marzo 1961 a Lucio Libertini non solo esprime il suo dissenso non
eliminabile dal direttore di Mondo nuovo ma profila una linea di uscita dal dilemma
inaccettabile tra il privato e la setta. Si tratta di elaborare un discorso unico critico e
propositivo, teorico e concreto, una politica unitaria di dissenso che operi fuori e dentro
le organizzazioni del movimento operaio. Si cammina su un filo sottile, ma
per questa via si pu sperare di ricostruire un nesso tra realt di classe e organizzazioni, fuori
dal settarismo ridicolo e anacronistico dei piccoli gruppi e fuori insieme dalle compromissioni
che rendono gli organismi impermeabili alle forze nuove.
A Libertini che gli annuncia la sua esclusione dal Comitato centrale eletto al Congresso
di Milano del PSI del 1961 risponde:
Questo discorso te lho fatto perch ti sia chiaro in quale spirito ho accolto con profonda
soddisfazione la mia uscita dal Comitato centrale e nello stesso tempo mi propongo di ristabi-
lire una collaborazione pi intensa con la sinistra, non un mio reinserimento, aggiunge, per
togliere di mezzo ogni equivoco.
Le relazioni che Panzieri intrattiene con la sinistra socialista riguardano realt periferi-
che impegnate e attive nel lavoro di massa. Mentre registra che i partiti si dimostrano
sempre pi chiusi ed estranei alla ripresa del fermento operaio e giovanile, egli rivolge la
sua attenzione soprattutto alle positive dinamiche sindacali.
Scrivendo delle lotte del 1960 rileva che gli aspetti essenziali di rinnovamento sin-
dacale della CGIL hanno sostenuto, nella formazione del movimento odierno, un positi-
vo ruolo di importanza fondamentale
43
. I rapporti con Sergio Garavini e la Camera del
lavoro di Torino per linchiesta sulla FIAT si sviluppano precocemente. Le relazioni con
Vittorio Foa e la corrente sindacale socialista si intensificano.
Vittorio Foa col suo saggio Il neocapitalismo una realt del maggio 1957 aveva sug-
gellato lavallo politico allavvio della direzione di Panzieri di Mondo operaio. Nellot-
tobre del 1961 sar ancora un saggio di Vittorio Foa su Lotte operaie nello sviluppo capi-
talistico ad aprire il primo numero dei Quaderni rossi.
poco probabile lipotesi avanzata da Merli secondo la quale Panzieri tenterebbe
una sutura tra lelaborazione di Morandi e di Foa
44
. I due percorsi culturali e politici
sono troppo distanti. Foa in quegli anni dava priorit assoluta al rinnovamento politico
42
R. Panzieri, Lettere, cit., p. 266.
43
R. Panzieri, Spontaneit ed organizzazione, p. 20.
44
S. Merli, Introduzione a Sandro Mancini, cit., p. 21.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
393
e culturale del sindacato, alla ripresa di una radicalit conflittuale e contrattuale sui nuo-
vi terreni della fabbrica e della organizzazione del lavoro. Egli vedeva il partito come la
sponda per liniziativa politica del sindacato. Panzieri convergeva con lanalisi di Foa
sui nuovi terreni e la nuova qualit del conflitto di classe, ma considerava un sindacato
rinnovato e combattivo come la sponda per andare avanti verso un progetto politico,
per la riapertura di una prospettiva rivoluzionaria.
In questottica si possono spiegare sia le convergenze che le divergenze tra questi
due protagonisti.
Nel tempo dei Quaderni rossi
La breve vicenda della rivista Quaderni rossi pu essere considerata come impor-
tante documento delle potenzialit di rinnovamento della cultura politica della sinistra
che premevano dentro quei primi anni Sessanta: gli anni della grande trasformazio-
ne delleconomia e della societ italiana, gli anni delle speranze, delle aperture di nuo-
vi orizzonti. Essa il sismografo che registra le vibrazioni prodotte dalle forze giova-
ni (operai e intellettuali) che fermentavano sotto la superficie immobile e piatta della
glaciazione delle idee, dei costumi e delle istituzioni prodotta dai lunghi inverni del-
la guerra fredda.
Non parler qui della rivista in quanto tale, del ruolo politico che essa ha avuto, del
ventaglio delle sue iniziative e delle tematiche affrontate. Cercher di isolare, per quan-
to possibile, i principali contributi politici e teorici dei saggi di Raniero Panzieri scrit-
ti nel tempo dei Quaderni rossi, dal 1961 al settembre del 1964.
Il primo numero della rivista fu lespressione pi efficace e ultima della tattica fuori-
dentro: produrre unautonoma e indipendente elaborazione di proposta politica e cultu-
rale capace per di interagire con forze interne al movimento operaio storico.
Panzieri voleva destabilizzare lesistente, portare tutte le forze possibili del movi-
mento operaio sul terreno di questa elaborazione, attivare un processo di ricomposizio-
ne unitaria della classe in una prospettiva rivoluzionaria che deve passare attraverso la
ripresa e via via la trasformazione delle organizzazioni storiche del movimento operaio.
Questa impostazione continuamente ribadita nel suo lungo e impegnativo intervento
di presentazione del primo numero dei Quaderni rossi a Siena nel marzo del 1962
45
.
Oltre al saggio dapertura di Vittorio Foa questo primo numero contiene interventi
di importanti sindacalisti comunisti come Sergio Garavini ed Emilio Pugno e di sinda-
calisti socialisti ( Muraro, Alasia, Gasparini). Un mese dopo luscita del primo numero
i sindacalisti comunisti Garavini e Pugno esprimono dissensi fondamentali nei con-
fronti della rivista. Su pressione del partito essi si tirano fuori.
Il saggio di Panzieri Sulluso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo
46
, che ap-
pare sul primo numero dei Quaderni rossi, rappresenta lapprodo della sua riflessio-
ne negli anni del silenzio, una svolta rispetto al periodo di Mondo operaio, il punto
45
R. Panzieri, Spontaneit ed organizzazione, cit., p. 73.
46
R. Panzieri, La ripresa del marxismo leninismo in Italia, cit.
Pino Ferraris
394
pi alto e pi duraturo del suo lascito teorico e politico. Coglie nel segno Maria Turchet-
to quando sottolinea lenorme importanza teorica della svolta operata da Panzieri che
mette seriamente in discussione la visione apologetica del progresso tecnico-scientifico
caratteristica della tradizione marxista
47
.
Di fronte allintreccio capitalistico di tecnica e potere scrive Panzieri la prospettiva di un
uso alternativo (operaio) delle macchine non pu evidentemente fondarsi sul rovesciamento
puro e semplice dei rapporti di produzione (propriet), concepiti come involucro che ad un
certo grado di espansione delle forze produttive sarebbe destinato a cadere perch divenuto
troppo ristretto: i rapporti di produzione sono dentro le forze produttive, queste sono pla-
smate dal capitale
48
.
In queste poche righe si concentra una critica dirompente delle ortodossie che hanno
prevalso sia nella Seconda sia nella Terza internazionale. Si mette in discussione alla ra-
dice loggettivismo dello sviluppo delle forze produttive che sta alla base sia dellevolu-
zionismo riformista sia del catastrofismo rivoluzionario. Ambedue le posizioni spostano
il fuoco dellazione politica dal processo di produzione alla competizione intorno al po-
tere nello Stato. Ambedue non colgono la sostanza libertaria della lotta operaia come in-
subordinazione del lavoro vivo contro la razionalit dispotica del capitale.
Maria Turchetto sottolinea il nesso tra rilevanza teorica ed efficacia pratica dellap-
porto di Panzieri poich la rivoluzione copernicana nella teoria coincideva con le mo-
dalit di svolgimento pratico delle nuove lotte operaie degli anni Sessanta. Ancora la
Turchetto giustamente indica lelaborazione di Panzieri come una doppia occasione
mancata per la sinistra.
Occasione mancata per interpretare e indirizzare londa anti-autoritaria, gestio-
nale e di contestazione della neutralit della tecnica che caratterizza la conflittualit del
biennio 68-69
49
. Infine occasione mancata perch il rifiuto della neutralit della tec-
nica e della scienza espresso da Panzieri conserva una valenza critica attuale che oggi
andata persa. La nuova grande trasformazione, cosiddetta post-fordista, che ha il pro-
prio motore nelle tecnologie informatiche di controllo e di guida (intrise di potere), ha
coinciso con una visione acritica o addirittura apologetica del progresso tecnologico.
Lavvio del saggio sulle macchine, in presa diretta sulla IV Sezione del Libro I de Il
Capitale, un esempio straordinario della capacit di far vivere e parlare Marx dentro i
problemi del presente, senza richiami al principio di autorit ma in forza dello stimolo
47
M. Turchetto, Ripensamento della nozione rapporti di produzione in Panzieri, in Ripensando Panzieri
trentanni dopo, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1995.
48
R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione, in La ripresa del marxismo leninismo in Italia, cit.
49
M. Miegge, Raniero Panzieri e la questione del controllo operaio, in Raniero Panzieri un uomo di frontiera,
cit. Mario Miegge nel capitolo del suo intervento intitolato A proposito delle conseguenze mette giustamente in
evidenza come nel biennio 1968-69 si siano espressi nelle fabbriche e nella societ movimenti politici di massa
antagonistici (avrebbe detto Panzieri). La totale assenza di quelle prospettive politiche (non necessariamen-
te rivoluzionarie) sulle quali lavorava Panzieri (gestionali e anti-autoritarie), ha ricondotto le tensioni
politiche allinterno dellorizzonte sindacale del conflitto-contratto. Questo particolarmente evidente per i
consigli dei delegati la cui valenza politica, non raccolta, ha fatto di essi gli strumenti di riforma del sindacato
e di potenziamento della vertenzialit aziendale.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
395
che urge nellattualit. una grande lezione di metodo la liberazione di Marx dalla gab-
bia dogmatica delle dottrine di partito, la sua sottrazione alle bizantine dispute dei filo-
sofi; un Marx riportato invece tra le macchine, dentro le fabbriche dove salario e profit-
to, alienazione e conflitto vivono nellesperienza quotidiana del lavoro.
Questo saggio, che scatta lucido, tagliente ed essenziale, trova un suo pi ampio e
articolato commento nella Relazione sul neocapitalismo dellagosto 1961
50
. Lo scritto
sulluso delle macchine non parla del macchinismo capitalistico in astratto ma lo colloca
nella contemporaneit del capitalismo maturo, del neocapitalismo.
Franco Momigliano in uno scritto del 1957
51
con sintetica chiarezza descrive lideo-
logia del neocapitalismo come primato dellimpresa cosciente che realizza le armo-
nie dellintegrazione: integrazione tra produzione e mercato che genera bisogni di con-
sumo, integrazione tra lavoro e impresa attraverso le relazioni umane, integrazione tra
impresa e societ con giuste dosi di keynesismo e di welfare. Il tutto assorbendo il con-
cetto di programmazione dalle concezioni socialiste.
Di fronte a queste prospettive il PCI in parte resta paralizzato (lo blocca la visione dei
residui feudali e dello stagnazionismo dei monopoli) e in parte affascinato (il progres-
so tecnico neutrale da trasformare in progresso sociale). Questultima posizione quella
espressa da Silvio Leonardi nel convegno dellIstituto Gramsci del 1956
52
. Contro di lui
si appunta in modo particolare la polemica di Panzieri. Si pu parlare di una ideologia
del neocapitalismo perch viene dichiarata come realizzata una razionalit che invece
con riesce mai a compiersi, perch si afferma unintegrazione sociale conclusa l dove
invece essa incontra sempre il limite dellinsubordinazione operaia.
Ideologia non significa pura mistificazione. Sotto linvolucro ideologico c un nu-
cleo di verit: operano pratiche reali e insidiose di regolazione sociale, di manipolazione
dei comportamenti. Congiungere rendimento massimo con rendimento ottimo significa
fronteggiare i potenziali conflitti, operare al fine di mobilitare un lavoro svuotato e sen-
za attrattiva. Lintegrazione tra produzione e mercato si manifesta come la programmata
manipolazione del comportamento del consumatore. Quando il controllo e la manipo-
lazione sociali diventano fattori della produzione si impone la convergenza della critica
delleconomia politica con la critica sociologica. Qui, nella relazione sul neocapitalismo,
gi si anticipa un tema che trover pieno sviluppo nellInchiesta socialista.
Nel delineare un piano totalitario neocapitalistico presente linfluenza francoforte-
se ( Adorno e Pollock). Ma Panzieri contesta esplicitamente il pessimismo dellalienazio-
ne tecnica e consumistica di Adorno: il sociologo francofortese scrive Panzieri non
vede il proletariato, non vede le forze che nella sfera della produzione, nella radice pos-
sono rovesciare quei processi
53
.
Giustamente Sandro Mancini
54
mette in evidenza come la ripresa della tematica del
controllo operaio nel 1961, a conclusione del saggio sulle macchine, rappresenti una di-
50
R. Panzieri, Relazione sul neocapitalismo, in La ripresa del marxismo leninismo in Italia, cit.
51
F. Momigliano, Ideologie dellautomazione, in Lautomazione e le sue conseguenze sociali, cit.
52
Cfr. S. Leonardi, Progresso tecnico e rapporti di lavoro, Einaudi, Torino 1957, che riprende e sviluppa la
relazione di Leonardi al Convegno dellIstituto Gramsci, di cui alla n. 32.
53
R. Panzieri, Relazione sul neocapitalismo, cit., p. 213.
54
S. Mancini, Socialismo e democrazia diretta, cit.
Pino Ferraris
396
scontinuit rispetto alle tesi sul controllo operaio del 1958. Nel saggio del 1961 Panzieri
prende nettamente le distanze da ogni versione del controllo operaio che si faccia cari-
co di un neutrale sviluppo tecnico ed economico. Porta avanti un affondo radicale, che
mette in secondo piano lazione esterna nella sfera dei consumi (salario) e del tempo li-
bero (orario), puntando dritto al controllo che investe il rapporto concreto razionaliz-
zazione-gerarchia-potere nel processo produttivo e che si rivolge contro il dispotismo
che il capitale proietta e esercita sullintera societ. Il tempo e il luogo dai quali dovreb-
be partire larmoniosa integrazione sociale diventano tempo e luogo in cui si condensa
il potenziale dellinsubordinazione operaia, dalla quale pu emergere quel dualismo di
potere che riapre la prospettiva rivoluzionaria.
Nel luglio del 1962, nel corso della lotta per il contratto dei metalmeccanici, la FIAT,
dopo anni e anni di silenzio e di passivit operaia, esplode.
In una difficile situazione di nuova combattivit operaia e di manovre volte a divi-
dere il fronte dei lavoratori con accordi separati, i Quaderni rossi il 6 luglio distribui-
scono di fronte agli stabilimenti della FIAT un lungo volantino che inizia con queste pa-
role: Operai della FIAT, alle vostre spalle, senza consultare nessuno, le organizzazioni
sindacali al servizio del padrone hanno concluso un accordo separato che tenta di liqui-
dare la lotta...
55
. La lunga e fitta prosa del volantino dimentica un dettaglio: la FIOM
si batte contro laccordo separato e ha proclamato la continuazione della lotta degli ope-
rai della FIAT.
incomprensibile che un politico avvertito come Panzieri abbia potuto consentire
un gesto assolutamente errato. La generica denunzia delle organizzazioni sindacali al
servizio del padrone, senza riferire la scelta di continuazione della lotta unitaria fatta
dalla FIOM, venne percepita dai sindacalisti della CGIL come una provocazione e quindi
come un atto di rottura definitivo che coinvolge anche i sindacalisti della sinistra socia-
lista di Torino e nazionali
56
. I Quaderni rossi e Raniero Panzieri non hanno pi alcu-
na copertura nellambito della sinistra politica e sindacale.
In quegli stessi giorni la rivolta operaia si indirizzava contro la sede della UIL, respon-
sabile dellaccordo separato, alimentando la lunga guerriglia urbana di Piazza Statuto.
Uninsidiosa e volgare operazione mediatica accosta i gruppi Panzieri e la destra
neofascista come animatori della provocazione antisindacale di Piazza Statuto. Lag-
gressione mediatica che coinvolge anche i giornali della sinistra, lAvanti! e LUni-
t, non ha come obbiettivo principale la poco nota sigla dei Quaderni rossi, ma pun-
ta a demolire e a liquidare il dirigente politico storico del socialismo italiano, Raniero
Panzieri.
Fu gravissima la mancata espressione di solidariet da parte dei dirigenti socialisti,
circa i fatti di Piazza Statuto, nei confronti di quella persona con la quale avevano con-
diviso una lunga militanza e di cui conoscevano il rigore morale e la limpidezza politi-
ca. Fu la pi grave sconfitta politica per Panzieri e insieme motivo di crudele sofferenza.
Lostracismo realizzato, i comunisti sono riusciti ad alzare la barriera della scomunica
contro le critiche e le proposte di quello scomodo compagno.
55
Agli operai della Fiat, Cronache dei Quaderni rossi, 1, settembre 1962.
56
M. Miegge, Raniero Panzieri e la questione del controllo operaio, cit., pp. 170-175.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
397
Le diverse interpretazioni delle lotte dei metalmeccanici del 1962 fanno precipita-
re la rottura del gruppo romano di Tronti che poco dopo abbandona la redazione dei
Quaderni rossi.
La toccata e fuga di Mario Tronti con i Quaderni rossi non lascia tracce nellin-
dirizzo della rivista. Lascia amarezza e accentua il senso di solitudine in un Panzieri
che continua ad andare lungo la propria strada anche se questa pu apparire la via
dellisolamento
57
.
Il confronto-scontro con il cosiddetto gruppo romano stimola Panzieri a ribadi-
re il suo punto fermo sulla questione del partito e a fare un passo avanti teorico-politico
sul rapporto tra marxismo e sociologia. Lo incita a procedere in questa direzione la pre-
sa datto della ricaduta dei filosofi nellhegelismo puro, ormai catturati dallincante-
simo dellidea che lo stesso capitalismo genera mediante la classe operaia da esso socia-
lizzata, la societ contrapposta, il socialismo
58
.
Trascorso poco meno di mezzo secolo da quelle esperienze pare giunto il momento,
in sede storiografica, di far chiarezza e di collocare Panzieri in un capitolo tutto suo, se-
parato dal cosiddetto operaismo degli anni successivi.
Si suole affermare che Panzieri abbia trascurato il discorso sul partito politico. A par-
tire dal 1962, dopo la lotta dei metalmeccanici, egli ritorna sovente sul tema del partito
operaio soprattutto per bloccare le tendenze alla fuga in avanti verso la costruzione di
uno strumento di agitazione diretta con ambizioni di proposta politica globale.
Nel novembre del 1962, ragionando sulla lotta dei metalmeccanici, afferma:
Credo che non si debba rappresentare la possibilit di una nuova strategia come crescita orga-
nica di una nuova organizzazione... Non credo si ponga il problema di un partito nuovo della
classe come esistenza di un embrione di partito preso a s
59
.
Sempre nello stesso periodo ripete: I Quaderni rossi sono un risultato fluido di questa
lotta, di questa situazione fluida, e non lembrione di un nuovo partito.
Queste ripetute risposte negative a quanti insistevano nel proporre la organizzazione
di una avanguardia politica venivano da riflessioni critiche di lunga data sulle esperien-
ze dei partiti burocratici di massa che gi in quegli anni mostravano di entrare in crisi.
Esse venivano anche da convinzioni maturate da tempo alla scuola di Morandi sul parti-
to-strumento della classe. La visione del partito-strumento inconciliabile con una for-
za politica che si ponga come un a priori ideologico (partito-verit) o come una anticipa-
zione organizzativa (partito-guida) rispetto alle concrete esperienze delle lotte di massa.
Panzieri rifiuta sia di riproporre vecchi modelli di partito, come quello leninista, perch
il partito diventer una cosa tutta nuova, e diviene persino difficile usare questa paro-
la, sia di anticipare lo sviluppo di un nuovo partito operaio... (che)... non pu formar-
si se non come sviluppo delle lotte, risultato delle lotte
60
.
57
R. Panzieri, Intervento alla riunione della redazione Quaderni rossi cronache operaie, in La ripresa del
marxismo leninismo in Italia, cit., p. 304.
58
Lettera di Raniero Panzieri a Luciano Della Mea, in Lettere, cit., p. 405.
59
R. Panzieri, Che cosa ci insegna la lotta dei metalmeccanici, in La ripresa del marxismo leninismo in Italia,
cit., p. 277.
60
R. Panzieri, Intervento sul congresso del PSI, in La ripresa del marxismo leninismo in Italia, cit., p. 306.
Pino Ferraris
398
Ogni fuga in avanti rispetto alla maturit del movimento di massa porta inesorabil-
mente alla deriva settaria. Questa soglia Panzieri fermamente deciso a non varcarla.
Del resto abbiamo notato come le Tesi sul controllo operaio prevedessero una tota-
le ridefinizione della politica del movimento operaio nella quale prevalesse il pluralismo
dei movimenti politici di massa e dellautonomo associazionismo su quella che abbiamo
definito la monarchia del partito sulla classe e sulla societ civile.
Nelle Tredici tesi sulla questione del partito di classe scritte con Lucio Libertini e pub-
blicate su Mondo operaio alla fine del 1958
61
si possono individuare alcune considera-
zioni che sicuramente provengono da Panzieri. In questo documento si tracciano le pa-
rabole storiche dei due modelli di partito dominanti.
La socialdemocrazia tedesca che rappresent il primo modello partitico corrispon-
dente in notevole misura alla concezione originaria espressa dal Manifesto dei comuni-
sti ma che divenne anche il primo esempio di degenerazione opportunistica. Infatti
il partito da strumento della classe diveniva fine a se stesso: uno strumento per eleggere
i deputati, per affermare il potere della burocrazia, un elemento di conservazione.
Il leninismo sorse come momento di rottura della degenerazione socialdemocrati-
ca. Il partito per Lenin incarnava lideologia rivoluzionaria che viene elaborata allester-
no delle masse. Nel pensiero leninista c una contrapposizione schematica tra lelemen-
to cosciente (ideologia-partito) e lelemento spontaneit (lotte immediate di massa) e ci
apre la strada alla concezione del partito-guida, del partito che sia lunico depositario
della verit rivoluzionaria, del partito-Stato.
In tutti e due i casi il partito da strumento si trasforma in fine a se stesso in quanto
viene permeato da uno spirito statalista.
Il partito delle lotte di massa richiama la definizione di Marx delleducatore che
deve essere educato:
Il movimento di classe, nella sua vasta articolazione non pu delegare al partito la soluzione
miracolosa, dallalto, dei suoi problemi, ma daltro canto il partito non pu delegare i propri
compiti politici generali n al sindacato, n alla cooperative, n al movimento per il controllo
operaio, n a qualche altro organismo. Il rapporto tra il partito e la classe un rapporto dialet-
tico. Il partito n sostituisce la creativit della classe n si abbandona ad essa. Il partito non
la guida, non per definizione depositario della giusta politica; esso funzione della classe.
Escludendo in modo assoluto di voler costruire una setta in possesso della verit, giu-
dicando sterile ogni ipotesi di entrismo nel PCI o nel PSIUP
62
, Panzieri individua una li-
nea che assicuri uno stretto raccordo tra limpegno di ricerca teorica e il lavoro politico-
sociale di classe, considerando che le condizioni oggettive per un partito rivoluzionario
della classe operaia non ci sono e si pu quindi solo fare un lavoro preparatorio.
Lultimo contributo dato da Panzieri poco prima della sua morte con la relazione su
Uso socialista dellinchiesta operaia
63
ha anche lo scopo di dare una forte legittimazione
61
L. Libertini, R. Panzieri, Tredici tesi sulla questione del partito di classe, Mondo operaio, 11-12, novem-
bre-dicembre 1958. Da tale documento sono tratte le citazioni che seguono nel testo.
62
R. Panzieri, Sul problema del partito, in La ripresa..., cit., p. 310.
63
R. Panzieri, Uso socialista dellinchiesta operaia, in La ripresa..., cit.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
399
teorica e una solida motivazione politica ad un modo non partitico di realizzare il nes-
so indispensabile tra elaborazione teorica e verifica pratica. Lutilizzazione dellinchiesta
percorre sin dallinizio il lavoro dei Quaderni rossi.
Panzieri aveva gi accennato alla necessaria convergenza tra critica delleconomia
politica e critica sociologica nel capitalismo maturo, quando la regolazione-manipola-
zione dei comportamenti sociali diventa fattore intrinseco ad una valorizzazione otti-
male del capitale.
In questo suo ultimo intervento denso e sintetico Panzieri va ben oltre il rilancio
dellinchiesta socialista come metodo di ricerca e di lavoro politico in una contingen-
za difficile tra crisi delle organizzazioni storiche e immaturit del movimento di lotta.
Egli cerca di individuare il percorso che ha condotto quel grande abbozzo di sociolo-
gia di Marx che Il Capitale a cristallizzarsi in una sorta di metafisica del movimen-
to operaio.
Un impasto di evoluzionismo naturalistico e di filosofia della storia idealista ha fon-
dato una concezione mistica della classe operaia e della sua missione storica che non
solo prescinde, ma combatte la scienza dei fatti. Lalternativa pare porsi ormai sol-
tanto tra il soggettivismo burocratico conservatore e il gratuito volontarismo attivisti-
co e visionario.
Quando Panzieri programma di sviluppare e attualizzare nella modernit del tardo-
capitalismo il nucleo importante di critica sociologica contenuto nel Capitale di Marx,
facendo i conti con il pensiero della sociologia classica borghese, non si limita ad indi-
care una tecnica di ricerca sociale (linchiesta), ma progetta la rivoluzione culturale di
una tradizione del movimento operaio nella quale linvoluzione del pensiero corrispon-
de alla paralisi dellazione e alla separazione dalla realt.
Il suo monito Bisogna avere molta diffidenza nei confronti della diffidenza della so-
ciologia borghese incitamento a osare un nuovo progetto culturale.
Luca Baranelli
64
documenta in modo rigoroso limpulso forte e duraturo alla ripre-
sa di una programmazione editoriale dellEinaudi nel settore delle scienze sociali dato
da Panzieri. Contributo importante di lavoro e di creativit taciuto e denigrato da una
cattiva stampa alimentata dallEinaudi prima e dopo il suo licenziamento. In questo
lavoro Panzieri aggiornava e arricchiva la sua cultura sociologica che riversava poi nella
elaborazione politica e teorica.
Nei suoi scritti possiamo gi trovare le linee di una sociologia politica del neo-capita-
lismo e delle sue pratiche di costruzione del consenso omologante, cos come possiamo
trovare le tracce di una sociologia politica della rivoluzione che indica i luoghi e i modi
in cui si manifesta lirriducibile libert del lavoro vivo.
Raniero Panzieri si trova ora in una condizione di grave difficolt esistenziale: il li-
cenziamento da parte di Giulio Einaudi nellottobre del 1963 ha portato a compimento
la liquidazione stalinista di Panzieri. Egli subisce un pesante isolamento politico.
Attraverso lUso socialista dellinchiesta operaia, Panzieri rilancia unaudace e origi-
nale sfida culturale e politica con una vitalit di pensiero e di temperamento che solo la
morte, un mese dopo, riuscir a troncare.
64
L. Baranelli, Panzieri allEinaudi, Lospite ingrato, I, 2006.
Pino Ferraris
400
La perdita del lavoro e di ogni aiuto, lessersi ridotto quasi a non sapere come dar
da mangiare ai figli e come pagare laffitto, gli dettero la certezza di contare amici veri,
di preparare compagni nuovi. La morte, per le circostanze e per linterpretazione che ne
dettero quelli che potevano capirla, ebbe a significare finalmente una separazione dal
mondo che per alcuni di noi suonava solo una conferma ma che per molti e pi giova-
ni fu la firma di un impegno. Cos Franco Fortini
65
.
BIOGRAFIA
Raniero Panzieri, nato a Roma il 14 febbraio 1921 da genitori ebrei, studi presso la fa-
colt di diritto del Vaticano, non potendo frequentare luniversit statale a causa delle
leggi razziali. Nel 1945 si laure in filosofia del diritto allUniversit di Urbino con Ar-
turo Massolo, discutendo una tesi sul Code de la Nature di Morelly. Iscrittosi nel 1944
al PSIUP (come allora si chiamava il Partito socialista), si avvicin progressivamente alle
posizioni della sinistra di Rodolfo Morandi, che nel 1946 lo chiam alla redazione del-
la rivista Socialismo e alla segreteria dellIstituto di studi socialisti. Allinizio del 1949
si trasfer a Messina, avendo ottenuto un incarico di filosofia del diritto in quella univer-
sit (che nel 1951 non gli sar rinnovato per ragioni politiche). Panzieri rimase in Sicilia
fino al 1953 e lavor intensamente, prima a Messina e poi a Palermo, come funzionario
e segretario regionale del PSI.
Membro del comitato centrale e della direzione del PSI fin dai primi anni Cinquanta,
nel 1953 fu nominato responsabile della sezione Stampa e propaganda e nel 1955 della
sezione Cultura. Nel 1955 fece un viaggio in Cina con una delegazione del PSI guidata da
Pietro Nenni; nel 1956 promosse la creazione dellIstituto Morandi, che avrebbe pub-
blicato le opere di Rodolfo Morandi e costituito un punto di riferimento organizzativo
per la successiva esperienza dei quaderni rossi. Nel corso del 1956, e soprattutto dopo
linvasione sovietica dellUngheria e la rivolta di Budapest, Panzieri fu uno dei protago-
nisti del dibattito politico sulla fine dello stalinismo. Nella primavera del 1957 gli fu affi-
data da Nenni la condirezione di Mondo operaio, la rivista ufficiale del partito.
Nellaprile del 1959, considerando la sua posizione politica emarginata e sempre pi
estranea al PSI, si trasfer a Torino per lavorare nella redazione della casa editrice Einau-
di. Allinizio del 1960 comincia a formarsi intorno a lui un gruppo di giovani militanti,
primo nucleo dei Quaderni rossi, che si staccano progressivamente dai partiti di sini-
stra per svolgere un lavoro autonomo dinchiesta e dintervento nelle fabbriche. Presso
Einaudi, Panzieri imposta la collana sociologica La nuova societ e collabora ai Li-
bri bianchi, una serie di attualit politica. Il 1961 segna il suo definitivo distacco dal PSI
e linizio dei Quaderni rossi (il numero 1 della rivista esce in giugno). Panzieri inten-
sifica il proprio impegno organizzativo e teorico nel gruppo, pur continuando a lavora-
re da Einaudi come consulente (da Einaudi sar tuttavia licenziato in tronco nellotto-
65
F. Fortini, Per le origini di Quaderni rossi e Quaderni piacentini, Aut-Aut, luglio-ottobre 1974, pp.
142-143.
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
401
bre 1963). Un mese prima della morte (Torino, 9 ottobre 1964), partecipa al seminario
dei Quaderni rossi sullUso socialista dellinchiesta operaia.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Raniero Panzieri
Panzieri, R., La ripresa del marxismo leninismo in Italia, Sapere Edizioni, Milano 1972.
Panzieri, R., Lalternativa socialista. Scritti scelti 1944-1956, Einaudi, Torino 1982.
Panzieri, R., Dopo Stalin, S. Merli (a cura di), Marsilio, Venezia 1986.
Panzieri, R., Lettere, S. Merli, L. Dotti (a cura di), Marsilio, Venezia 1987.
Panzieri, R., Spontaneit e organizzazione. Gli anni dei Quaderni rossi 1959-1964, Biblioteca
Franco Serantini, Pisa 1994.
Libertini, L., Panzieri, R., Sette tesi sulla questione del controllo operaio, in R. Panzieri, La crisi del
movimento operaio (1956-1960), Lampugnani Nigri, Milano 1973.
Opere su Raniero Panzieri
Merli, S., Introduzione a S. Mancini, Socialismo e democrazia diretta. Introduzione a Raniero Pan-
zieri, Dedalo, Bari 1977.
Turchetto, M., Ripensamento della nozione rapporti di produzione in Panzieri, in Ripensando
Panzieri trentanni dopo, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1995.
Rizzo, D., Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia (1949-1955), Rubettino, Soveria Man-
nelli 2001.
Ferrero, P. (a cura di), Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, Edizioni Punto Rosso-Edizioni Car-
ta, Milano-Roma 2005.
403
DANILO MONTALDI. TEMPO DI MILITANTI
Gianfranco Fiameni
Quando la dialettica viene avanti in un corpo.
(D. Montaldi)
Nellintento di inoltrarmi in svolgimenti sino a ora scarsamente esplorati dentro il dise-
gno complessivo del progetto di Danilo Montaldi, assumo un punto di vista tematico e
dunque parziale seppure nel solco del fuori
1
che gli detta dai primi anni Cinquanta
unipotesi di militanza autonoma da condurre oltre gli spazi della dissidenza a misurarsi
con le vicende e la cultura di una soggettivit di classe che egli consegna alle analisi del
suo militante e uomo comunista.
Il lascito di Montaldi un ordine di tracce, percorsi e motivi interconnessi che non
conviene pretendere di appuntare a un portato teorico sistemico onde consentire unan-
nessione a qualche variante organizzata del comunismo novecentesco, deliberatamen-
te un mosaico, un corso dopera fatto delle tessere del ricominciare da capo che vi
ricorre pi volte e presiede nel tempo alle tappe del suo itinerario.
Dentro, fuori
Comincia cos nel dopoguerra una storia di molti: partigiani, militanti antifascisti, fuo-
rusciti, dissidenti, voci presto tacitate alle quali Danilo Montaldi si prover a restituire
parola. E cos era cominciata anche per lui quando nel 1945 si era iscritto a Cremona
al Partito comunista per uscirne qualche mese pi tardi a seguito degli sviluppi del Pri-
1
Il fuori di Montaldi sin dallinizio condizione deliberata di militanza autonoma sia nei confronti
dellultimo partito della fase liberale della nazione italiana qual per lui il Partito comunista Italiano, sia
verso le formazioni tradizionali uscite dalle infinite diaspore della storia passata e pi recente. Non poche sono
state le proposte di azione comune fra i gruppi ai quali Montaldi ha partecipato e altre presenze politiche.
Qualcuna ebbe una certa vita, altre non riuscirono ad andar oltre il confronto o una saltuaria collaborazione.
Su alcuni tratti parziali di queste vicende: G. Fiameni, Danilo Montaldi: Cremona, Milano, Parigi, in Danilo
Montaldi (1929-1975): azione politica e ricerca sociale, Annali della Biblioteca Statale di Cremona vol. LVI, Atti
del Seminario di studi del 9 maggio 2003, Cremona 2006.
Gianfranco Fiameni
404
mo Congresso della locale Federazione quando il padre, El Nino di Militanti politici
di base, Rosolino Ferragni, uno dei fondatori nel 1921 del Partito comunista a Cremona
reduce da una lunga carcerazione nelle galere fasciste e molti altri militanti di base, era-
no stati dapprima messi in minoranza per esser poi espulsi. Pi tardi, il 1975
2
, Montal-
di evocher in una lettera quella lontana vicenda:
Dopo aver lavorato per tutto il periodo clandestino nel Fronte della Giovent e nei giovani
comunisti, e durante linsurrezione e dopo, me ne sono andato fuori dal partito che era il 46
perch non mi andava la cosa CLN; e non ero solo; cerano quasi tutti i vecchi rossi e i partigia-
ni. Fuori tutti per continuare a far politica. Non ne ho mai dubitato, ma adesso che faccio lo
studio dei protocolli mi rendo conto di quanto avessimo ragione.[...] C stato il Fronte della
Giovent. Morto, secondo la versione ufficiale, quando liberali e democristiani ne uscirono.
C voluto poco per farlo morire. Ma la verit era che era nato morto, che era gi morto in
partenza e soprattutto perch non acquist mai la fiducia dei giovani lavoratori, i quali non
potevano esservi rappresentati con qualche garanzia; lo sentivano e ne restavano fuori
3
.

Nello stesso 1946 il diciassettenne Montaldi, al termine del primo anno di liceo classi-
co, lascia la scuola per un intenso periodo di studio solitario. Fuori i vecchi rossi, fuo-
ri lui e non soltanto dal Partito. Fuori a cercare anche sulle orme dei padri nuovi ini-
zi al proprio tempo, fuori da comunisti per continuare a esserlo. Montaldi individua un
tempo della presenza nel quale far convenire da un lato storie ed esperienze da affidare
alle voci narranti della leggera o dei suoi militanti, dallaltro linvito alla strada lun-
ga del ricominciare da capo, due delle assunzioni caratteristiche del percorso che lo
individua e differenzia da altre esperienze coeve.
Fuori dunque a leggere e rileggere. Quegli opuscoli di Lenin e Zinovev dai quali
avevamo imparato ad andare contro corrente, e che ci avevano condotti nel Partito pri-
ma, fuori del Partito poi, cos scrive nella Lettera a un compagno che non sinteressa pi
di politica
4
del 1954 sono tornati a essere attuali, o meglio non hanno cessato mai di
essere attuali. Il fuori di Montaldi inaugura qui senza ritorni una propria storia decisi-
va: a partire da questi anni esso costituir per lui e per i compagni che lo affiancheran-
no nei gruppi di base nei quali militer per tutta la vita, uno spazio irrevocato che spe-
rimentazione di autonomie, ambito di ricerca di strumentazioni teoriche e dintervento,
elaborazioni e pratiche alle quali Montaldi si pi volte riferito come alle precondizio-
ni di ogni ripresa che agisse su un terreno militante. Un po analisi del corso storico, un
po programma di lavoro per la strada lunga che intravede, e anche percorso obbliga-
to a corollario di unanalisi che prende le mosse da questi anni Cinquanta e ancora si ri-
badisce nei Settanta al ripresentarsi dentro i nuovi contesti del vecchio problema stra-
tegico: [...] dentro e fuori come sosteneva Panzieri?, [...] frazione interna o partito
2
D. Montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970), Edizioni Quaderni piacentini, Piacen-
za 1976.
3
Cfr. N. Gallerano, Nota introduttiva, in Saggio sulla politica..., cit., p. 6.
4
D. Montaldi, Lettera ad un compagno che non si interessa pi di politica, Battaglia comunista, Milano, a.
XV, n. 1, gennaio 1954, p. 1. Firmato: F. (Franco Tiratore), ora in: D. Montaldi, Bisogna sognare. Scritti 1952-
1975, Associazione culturale Centro dIniziativa Luca Rossi, Milano 1994, pp. 28-29.
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
405
indipendente? [...], correggere il corso degenerativo del Partito o fondare lattivit co-
munista su nuove basi di classe?.
per la ricchezza originale e precoce di quanto riporta e comincia a diffondere dal-
le giovanili esplorazioni del suo fuori, che [...] la figura di Montaldi [...] vista come
quella di un fondatore, qualcuno che ha indicato nuove direzioni di pensiero politi-
co, un crocevia di generazioni [...]
5
. Sar dunque al Montaldi comunista e militante di
base, che si rivolge questo scritto, della vita che si fa, respiro della societ dei militan-
ti dentro la socialit di tutti.
Quando, il 1953, il giovane Montaldi si reca per la prima volta a Parigi con la sua
Guide bleu Hachette del 1926 e un mannello di nomi e indirizzi di vecchi e nuovi com-
pagni, ha al proprio attivo un esito gi molto maturo del giro esplorativo che ha intra-
preso dentro la sinistra comunista storica, come dimostra il Curva discendente: Trot-
zky, trotzkismo, trotzkisti
6
pubblicato su Prometeo quale [...] contributo al compito
della ricostruzione di una vera forza rivoluzionaria. Si tratta di uno scritto dalla taglia
di piccolo saggio elaborato nel clima della questione trockista, passaggio obbligato si
pu dire dallindomani dellOttobre della discussione sulla natura sociale dellURSS e
poi sullo stalinismo che risente della riflessione sugli scritti di Cornelius Castoriadis e
di Claude Lefort. E si potr magari ritrovare nello scritto di Montaldi anche leco di
Trotzkismo, stalinismo e loro superamento
7
di Roberto Guiducci comparso tre anni pri-
ma, nonch tracce del dibattito che dal 1949 ha luogo su Discussioni, ma Montaldi
vi mostra gi piglio e prospettive diversamente orientate nel tirare le somme con la frat-
tura di maggior rilievo storico a livello internazionale dentro lo stalinismo e al contem-
po la pi discussa, contrastata e, sotto molteplici aspetti, la pi ricca di analisi e tesi di-
battute e avversate.
E, dato ulteriore, ci si trova di fronte alla tendenza da cui sono usciti molti dei mili-
tanti di Socialisme ou Barbarie che Montaldi va a incontrare a Parigi e che lo mettono in
contatto con bordighisti storici, comunisti dellemigrazione rimasti in Francia, anarco-
comunisti, militanti del POUM, anarchici, consiliaristi, spartachisti, tribunisti, rivoluzio-
nari di tante battaglie, militanti di lunga lena, di gruppi di storia lontana, carichi di tra-
dizioni e identit, venuti da dibattiti, diaspore, contrasti e prospettive, elementi di una
rete estesa di contatti internazionali, ricca di letteratura, esperienze e conoscenze di pri-
ma mano. Questo suo primo giro esplorativo dentro le culture della sinistra comunista
contribuir a far s che la sua conoscenza delle vicende del ciclo rivoluzionario e dei suoi
sviluppi non si stalinizzi, n trockizzi, n internazionalizzi, ecc., ma possa costruirsi
su paradigmi interpretativi dalle molteplici componenti circa la natura e gli sviluppi del-
la destalinizzazione.
Il 1953, anno primo delle svolte che Montaldi annota, svolta per lui stesso, per tan-
ti militanti e, pi in generale dentro gli scenari interni e internazionali che si vanno deli-
neando, lanno dei moti di Berlino Est che Benno Sarel analizza su Socialisme ou Bar-
5
S. Bologna, Sulla figura di Danilo Montaldi come crocevia di generazioni, in Danilo Montaldi (1929-1975),
cit., pp. 35-46.
6
D. Montaldi, Curva discendente: Trotzky, trotzkismo, trotzkisti, Prometeo, Milano, n. 4-5, marzo 1953,
pp. 19-24 (firmato Emme), ora in Bisogna Sognare, cit., pp. 4-14.
7
Discussioni, n. 3, marzo 1950, ora in Discussioni 1949-1953, Quodlibet, Macerata, 1999, pp.100-102.
Gianfranco Fiameni
406
barie la quale diverr via via un rapporto costante insieme con Tribune ouvrire, il
giornale operaio animato da Daniel Moth alla Renault e a Pouvoir ouvrier
8
; il 1953
dei moti di Pilsen ma anche dei grandi scioperi di Detroit, lanno della morte di Stalin,
dei prodromi della fine dello stalinismo storico e delle sue metamorfosi, in questanno
cruciale che la sociologia politica di Montaldi si misura una prima volta in una riflessio-
ne originale con la figura del militante, con la storicit della storia e delle storie che ha
cominciato a raccogliere, con la pluralit costitutiva che le abita e le plasma, orizzonte
necessario nella formazione e nelle prospettive di Montaldi, cos come lo sono il sentire
storico e lalone emotivo di cui circonda levocazione della svolta.
Militanti
Figura centrale nella storia del comunismo e del movimento operaio, il militante non
ha cessato mai di fronteggiare una crisi costitutiva; quello cui Montaldi va incontro ora
e comincia a delineare nelle autobiografie dei Militanti politici di base
9
il militante sot-
tratto allepica del gesto, che vive e agisce nellalto e nel basso delle discontinuit,
per il quale il tempo scorre ma non dura, figura in parte nuova di unepoca ricca di
memorialistica di guerra, non di guerra civile, e che bisogna restituire a memoria e lot-
te. Il militante del Montaldi di questi anni, nel disegno che si propone di contribuire
alla dissoluzione della sociologia quantitativa e delle sue norme tecniche in un suo
tratto saliente il portatore di un fuori dal comportamento degli altri, spesso un isola-
to, un portato dialettico attraverso il quale storie di singoli toccheranno vite e strut-
ture di tanti.
Accade per questa via che il militante comunista che Montaldi comincia a tratteg-
giare in questi primi anni, stretto tra le lukcsiane esigenze umane pi umili e una
coscienza che matura superando la serie dei limiti che derivano dalla stessa lotta fra
le classi sia, gi al termine di questa sua ricognizione esplorativa nei depositi della si-
nistra comunista quanto nella circolazione culturale pi vasta delle riviste alle quali ha
collaborato, una figura diversa da quelle che ha incontrato sulla scena politica anco-
ra attive ma pi spesso strette in un patrimonialismo memoriale. I militanti comunisti
che a partire dal 1953 Montaldi incrocia un po dappertutto sono quelli che gli con-
sentiranno di accumulare documentazioni, riferimenti vivi e ormai rari, conoscenze e
rapporti che andranno ad alimentare da un lato consapevolezze metodologiche, rac-
cordi teorici e linee dinquadramento per il suo lavoro scientifico, dallaltro una carto-
grafia di presenze di storia lunga, fonti preziose anche per il lavoro del gruppo politico
al quale un triennio dopo dar vita. Sono, questi, antecedenti lontani della sua anda-
8
Il primo numero di Tribune ouvrire esce nel maggio 1954; l8 luglio dellanno successivo Socialisme ou
Barbarie terr a Parigi una riunione pubblica sul problema del giornale operaio. del dicembre 1958 il primo
numero del mensile dagitazione Pouvoir ouvrier.
9
D. Montaldi, Militanti politici di base, Einaudi, Torino 1971. Le citazioni sono tratte dallIntroduzione di
Montaldi stesso.
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
407
ta ai protocolli
10
, del Korsch e i comunisti italiani
11
e del Saggio sulla politica comuni-
sta in Italia (1919-1970).
Allaprirsi della destalinizzazione Montaldi ha maturato da tempo quanto basta a
districarsi tra stalinismi e antistalinismi e a decifrare le inadempienze della pratica de-
gli anti fino a individuare un uso di classe dello stalinismo. Svolgimenti di ordi-
ne pi generale si raccolgono pi tardi nel Saggio come analisi dellennesima produ-
zione nazionale di metamorfosi togliattiane. In questi stessi anni propaggini ed echi
della destalinizzazione confluiranno come portati specifici nellanalisi della coscienza e
dellesperienza proletaria che Montaldi delinea nei suoi militanti politici. Ma urgono
altre priorit, soprattutto, quella di andare [...] al luogo della produzione [...], il punto
nel quale gli avvenimenti si riassumono e si capovolgono, come va documentando Da-
niel Moth dal 1954 nel giornale di fabbrica che si pubblica alla Renault. Poco pi tardi
Montaldi ne tradurr il Diario di un operaio.
Se individuare questo spazio dintervento, che per il Montaldi della ricerca sui sog-
getti di classe anche il luogo di una personale profondit, riveste negli anni Cinquan-
ta un carattere innovativo e precursore, anche perch si situa in una congiuntura di lot-
te in espansione critica un po ovunque: a Cremona giungono in quel tempo, lungo le
filiere di una rete minoritaria ma di una certa diramazione, segnali dagli Stati Uniti che
paiono assai significativi per caratteristiche e provenienza. Giornali di base come Cor-
respondence e News and letters redatti e diffusi interamente da operai di fabbrica,
segnalano unarea ove lintreccio di quotidianit, vissuto, espropriazione, autonomia,
gestione, autogestione, burocrazie e risposte individuali e collettive disegna scenari ine-
diti. In particolare, in un tempo che incalza, il lavoro operaio si versa allaperto e rivela
anche a s soggettivit che si narrano. Su Socialisme ou Barbarie sono apparsi da tem-
po Un ouvrier parle di Georges Vivier e Louvrier americain
12
di Paul Romano che Mon-
taldi traduce nel 1954, ma, soprattutto, in un quadro di pi vaste implicazioni, le tesi di
Claude Lefort su quella realt [...] que nous avons appele, faute dun terme plus sati-
sfaisant, lexprience proltarienne
13
.
Nella prospettiva sulla quale Montaldi apre non c spazio per la catena di discrimi-
nanti che continua a presidiare confini teorici e pratiche di tante formazioni della sini-
10
Di protocolli si comincia a parlare nel Commento datato nel 25 aprile 1969, inserito in Militanti politici
di base, come di un luogo cruciale della vita del militante e uomo comunista il quale li abita in quanto spa-
zio proprio della coscienza, un tema centrale in Montaldi. Il termine, ricalco sicuramente ironico da una
consuetudine cancellieresca medievale che si riferisce al primo foglio incollato di un codice, rotolo o diploma,
compare sempre virgolettato nel testo di Montaldi, con riferimento a una fonte di rilievo documentale che
pu essere, qui, sia un luogo della storia comunista da sottoporre a verifica, correggere o integrare, quanto un
prodotto della vulgata ufficiale divenuto versione distribuita.
11
D. Montaldi, Korsch e i comunisti italiani. Contro un facile spirito di assimilazione, Savelli, Roma 1975.
12
P. Romano, LOuvrier Amricain, Socialisme ou Barbarie, I
re
anne, I, marzo-aprile 1949, pp. 78-89,
II, maggio-giugno, 1949, pp. 83-94, III, luglio-agosto 1949, pp. 68-81, IV, settembre-ottobre 1949, pp. 45-57
e, II
me
anne, V-VI, pp. 124-135. E. Vivier Georges, La vie en usine, in op. cit., IV
me
anne, XI, novembre-
dicembre 1952, pp. 48-54, XII, agosto-settembre 1953, pp. 31-47, XIV, aprile-giugno 1954, pp. 51-61, XV- XVI,
ottobre-dicembre 1954, pp. 49-60.
13
Lexprience proltarienne, Socialisme ou Barbarie, n. 11, IV
e
anne, novembre-dicembre 1962, pp. 1-19.
Anonimo, ma sicuramente di Claude Lefort.
Gianfranco Fiameni
408
stra comunista e anarchica. A contare sono ora invece altri orizzonti: tra pista locale, eu-
ropea, americana e in virt della vitalit originale della propria esplorazione, Montaldi
riuscir a non essere un ex: n trockista, n bordighista, n internazionalista, ecc., ma
neppure un operaista ante litteram cos come nella sua opera una componente di sorgiva
anarchia palesa raramente i suoi contenuti. Preferir piuttosto non legarsi a una solu-
zione determinata, un tratto di Gramsci che ha talora evocato come unindicazione di
fondo, affidando al futuro della via lunga che aveva intravisto anche tanti lasciti vivi
della tradizione rivoluzionaria, pagando lo scotto di pi di unincomprensione.
Prospettive di lavoro gi ci sono per filiere che risalgono a molto addietro, come ri-
sulta dalla rubrica Gli operai parlano della condizione operaia che tramite Giovanni Bot-
taioli che ne direttore tiene su Battaglia Comunista dal giugno del 1954 al marzo
dellanno successivo. Ma quanto pi caratterizza Montaldi, ci che gli valso lalone di
precursore, larticolazione di analisi e traduzione militante che egli istituisce come
un tutto interconnesso tra landare alla classe e ai soggetti, in una militanza colloca-
ta dentro una pratica che si generalizzata a interrogazione e problema: da qui che il
Montaldi studioso dei militanti sar egli stesso, e per tutta la vita, un militante senza par-
tito, militante di uno spazio non residuale da investigare e modellare giorno per giorno:
il fuori di Montaldi ha la paradossale pienezza di un tempo di confine e di investigazio-
ni dei suoi e nostri anni Cinquanta. Il gruppo esterno stesso soltanto strumento provvi-
sorio e sperimentale di una fase determinata.
Al ritratto del militante politico di base che Montaldi affida alla raccolta di autobio-
grafie del 1971, bisogner far precedere dunque quanto ha scritto prima, nel 1956, da
quando d vita al primo gruppo a Cremona: non pi, non soltanto i lineamenti del mili-
tante politico consegnati dalla storia lunga del movimento operaio, ma una figura da leg-
gere dentro lintervallo di una transizione, alle soglie incerte di un torno della militanza:
il militante del fuori come attore storicamente specifico di una fase della storia di clas-
se tra societ del capitale e trasformazioni burocratiche dei partiti proletari, protagoni-
sta in una lassa storica dallincerta e problematica durata.
Comincia dunque con i secondi anni Cinquanta la vicenda di Montaldi quale mili-
tante di un gruppo comunista autonomo di base che affianca, evolvendo nel corso degli
anni, la sua attivit intellettuale ed lui stesso a discorrere di una presa di coscienza,
una svolta che analizza anticipandola al 1955 e non al 1956 come susa sul filo della
rivolta ungherese. Conseguente al venir meno di ogni ipotesi di attivit organica con le
presenze storiche del comunismo di sinistra organizzato, dopo una stagione di vani con-
tatti che ne confermano il declinare senza appello, la militanza di Montaldi si colloca de-
finitivamente dentro la quotidianit di base di un ricominciare da capo, tenuto sem-
pre al tono minore, che si protrae sino alla morte.
A Cremona, dopo una gestazione fitta di contatti, dibattiti, proposte operative e con-
fronti estesi alle realt organizzate pi prossime nasce un gruppo composto da vecchi
militanti provenienti dallemigrazione antifascista, da comunisti di vecchia data in dis-
sidio col Partito comunista, da militanti di formazioni internazionaliste, da figli della
Resistenza e dellantifascismo attivo del dopoguerra e da un gruppetto di giovani che
giungono alla politica dai diversi sentieri di questi cruciali anni Cinquanta.
Della terra incognita del proprio esterno, Montaldi far un problema di criticit
storica e disciplinare ospitandovi, nella milizia quotidiana e nellelaborazione intellettua-
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
409
le, il confronto con i partiti che si richiamano alla tradizione comunista e allo stesso tem-
po laccadere non fortuito della vita che si fa. Alla fine lo spazio del fuori diventa loriz-
zonte necessario del lavoro spinto sino alla cronaca di Uninchiesta nel Cremonese
14
, uno
scritto tripartito del 1956 su di una cellula di strada, su di una lega contadina e su carat-
teri e attivit del gruppo esterno nei suoi rapporti con la classe, le organizzazioni sin-
dacali e di partito, sulle sue prospettive. Nel corso dellattivit e dellelaborazione che
ne consegue, questesterno di Montaldi cede via via i tratti del contingente, del breve
periodo nonch la sua impronta dindividualit e diventa lopzione necessaria di un co-
munista senza partito e della sua attivit politica di militante da tempo ormai oltre il dis-
senso, in unautonomia che cerca mondo e parametri del farsi politica del quotidiano e
oltre esso. un torno di tempo che si legge negli articoli sulla sinistra francese, su quella
italiana del 1956 e nel primo atto della ricerca legata allAutobiografia.
Unit proletaria
In quasi tutte le citt italiane aveva scritto nellarticolo per Opinione esiste oggi
un gruppo di militanza rivoluzionaria con la sua tradizione nel movimento operaio loca-
le [...] esso ubbidisce a una tradizione anarchica, sindacalista o neo-libertaria; o esprime
una dissidenza comunista. Ma un decennio dopo il quadro in mutazione: prospetti-
ve, scenari e attori, dovranno misurarsi con il cambiamento nevralgico di un decennio
prima e che Montaldi avverte e registra con lucida e anticipatrice chiarezza nello stes-
so articolo: A distanza di dodici, di tredici anni non si pu dire pi che in quasi tutte
le citt dItalia esista un gruppo di minoranza rivoluzionaria con una sua tradizione nel
movimento operaio locale, scriver nel 1969. Il vecchio movimento operaio ha tenu-
to fino al 1955 [...].
Le cose sono cambiate dando vita a una massa critica che dispiega realt non para-
gonabili alle formazioni della sinistra comunista, mutamenti che stringono il vecchio
movimento operaio tutto, e con esso le presenze che si affacciano alla scena del nuovo
tempo. Si situano qui alcune delle aperture decisive che impongono di andare alle radi-
ci lontane di una storia sulla quale Montaldi riflette da sempre.
compreso fra queste date il tempo in cui leresia di Montaldi si fa pi attiva e de-
finitiva; il gruppo di Unit proletaria si assesta assegnandosi anche un programma di co-
noscenza della realt di classe sul territorio, sorta di titolare collettivo di unindagine
di gruppo, per chi voglia una variante di conricerca. Al suo costituirsi una trentina
eterogenea di partecipanti fa seguito una fase preparatoria di riunioni intese a porre le
basi di un lavoro che traversi le varie appartenenze. Percorsi politici brevi o di pi lun-
go corso, militanze ancora attive ma in crisi, soggettivit dissimili e culture diverse anche
della stessa area dappartenenza si adoperano nella progettazione dellattivit, dei suoi
14
D. Montaldi, Una inchiesta nel Cremonese, Opinione, Bologna, n. 2, giugno 1956, pp. 29-46. Oggi in
Bisogna Sognare, cit., pp. 90-111. Di notevole rilievo a illustrare la congiuntura storico-culturale, la nota Fame
di storia che vi premette Roberto Guiducci del quale esce nello stesso anno Socialismo e verit, un lavoro che
appartiene di fatto alla svolta che Montaldi appunta a questa data.
Gianfranco Fiameni
410
presupposti e nella strutturazione dei rapporti con i gruppi europei, americani, giap-
ponesi con i quali i contatti sono attivati da tempo in un moltiplicarsi di vie. Ora, qui,
lattivit di Montaldi procede su due piste parallele. Da un lato c la ricerca persona-
le, segnata un poco pi tardi da una delle sue ulteriori svolte: la decisione del 1963 di
cessare ogni collaborazione a riviste e pubblicazioni periodiche, ed una scelta che mol-
to deve oltre che a valutazioni sullesaurirsi di questi strumenti, della stagione ad essi
legata e alla necessit dimboccare altre strade a valutazioni, analisi, dibattiti e polemi-
che che lhanno visto attivo in Passato e Presente, Discussioni, Opinione, Nuo-
vi Argomenti, Ragionamenti, Presenza, Tempi moderni, ecc.
Sul secondo versante Montaldi sar un militante di gruppo nel senso pregnante che
egli intende scontandone le implicazioni senza proiettarle su scenari di lungo periodo,
accordando la propria militanza a quella sorta di apertura sospesa sulla cosa necessaria
e incognita che il ricominciare da capo che continua a presiedere ai suoi scritti, alla
sua scansione dei tempi.
Lattivit del gruppo, i dettagli operativi, la delimitazione degli spazi, la definizione
della sua fisionomia, ha la difficile partenza di ogni autonomia. Difficolt diverse per chi
come Giovanni Bottaioli ancor direttore di Battaglia Comunista ha alle spalle espe-
rienze di lunga durata, storicamente consolidate e ha imparato dalla milizia antifascista
e dallemigrazione in Francia dove ha conosciuto cento opposizioni a provarsi sullen-
nesimo spazio aperto da nuove proposte, problematicit maggiore per chi viene da una
militanza di partito pi o meno contigua alla cintura sanitaria del togliattiano nessun
nemico a sinistra. Accanto a questi militanti, alcuni giovani che arrivano alla politica
direttamente dagli anni Cinquanta, meno coinvolti nel fronteggiamento di appartenen-
ze, convinzioni, legami.
Luscita verso un programma dintervento tanto influenzato da Montaldi quanto
frutto di un confronto tra molte diversit sar lopzione per unattivit da rivolgere ai
luoghi della produzione in quanto spazio critico del capitale e dellesperienza proleta-
ria. Il periodo delle fabbriche, che accoglie pi di un apporto dal contesto, tra riprese
del marxismo quale quella legata a Raniero Panzieri, un tempo nuovo di attenzione alla
sociologia e ad alcune tesi di Socialisme ou Barbarie ma, ancor pi, debitore della co-
piosa letteratura di base che arriva da una rete sempre in espansione e dallesperienza di
Daniel Moth e del suo Journal dun ouvrier
15
, sar un tempo di uscite, interventi territo-
riali, contatti e pratiche urbane, forse il pi originalmente fecondo del gruppo. E si po-
trebbe qui ritrovare nella ricerca individuale pi di una traccia di un tema che ha corso
anche nella partecipazione collettiva: quello della conricerca a condizione di valutare
ruoli e ambiti che Montaldi le assegna dentro il suo tutto.
Unit proletaria, gruppo e letteratura sar soltanto lo strumento che e vuol essere
per proporzioni e intendimenti: una proposta aperta sul ricominciare, n prodromo a
un partito, n una sorta di vero PCI in scala che rialzi dal fango le rosse bandiere, non
un incunabolo protoperaista n unAutonomia in anticipo sulle lotte operaie che traver-
sano allora partiti e sindacati.
In sunto e stando a poco pi della pubblicistica di gruppo senza toccare caratteri e
15
D. Moth, Diario di un operaio, 1956-1959, Einaudi, Torino 1960.
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
411
sviluppi che Montaldi imprime alla militanza in corso dopera, nel biennio 1957-1958
lattivit rivolta alle fabbriche, condotta usando soprattutto volantini distribuiti agli in-
gressi come, pi raramente nelle campagne del Cremonese in situazioni disperse, riesce
a stabilire una rete di contatti variamente radicati e dalterna continuit. questo il con-
testo territoriale dal quale si originano le analisi che Montaldi consegna a questa scala
nascente ai suoi scritti sul gruppo esterno. Al limitare della militanza di gruppo re-
ster sempre linstabile spazialit del fuori. Filiere quanto mai multiple: quando, nei
primi anni Settanta, dovr commentare il riemergere in alcune frange dei movimenti del
vecchio problema strategico, risulter evidente quanto siano flebili letture e annessio-
ni al bordighismo, al consiliarismo, alle reincarnazioni di ogni leninismo, ecc. per venir
gi gi fino alla concezione del gruppo come soggetto storico del processo rivoluzio-
nario. E, ancora: capiter magari a Montaldi di apprezzare in Gramsci il suo legame al
concreto dei processi storici, di rileggere La rivoluzione contro il Capitale e altro, ma lac-
costamento termina ai rilievi che vi esprime: Montaldi non viene dalla Torino dellordi-
novismo, viene dal comunismo, un percorso diverso.
Risale al febbraio del 1959 il primo dei tredici numeri di Unit proletaria
16
. I rap-
porti internazionali si sono nel frattempo infittiti e alcuni di essi sembrano disporsi den-
tro una rete che cercher di organizzarsi attorno a nuclei attivi nazionalmente ai quali
Socialisme ou Barbarie offrir una tribuna e una proposta di coordinamento
17
. Il pri-
mo numero di Unit proletaria affronta un tema che tocca assai da vicino Montaldi:
la sentenza sullimponibile di manodopera in agricoltura che dar lavvio a un fenome-
no di grande impatto socioterritoriale, un nuovo esodo, che interesser molto da vicino
il Montaldi di Milano, Corea, un lavoro del 1960 che egli ha sempre ritenuto tra le sue
opere migliori dove lo scheletrato interpretativo esempio fra tanti, lanalisi del dispor-
si sul terreno del sistema delle disparit di sviluppo che egli legge depositato nella to-
pografia dellautocostruzione si avvale di snodi assai montaldiani nella trattazione dei
percorsi delle soggettivit dellabitante delle coree, lanonimo Rastignac che dalla col-
lina dei monopoli si avviato verso tutte le fonti di profitto nella Citt
18
. Ed qualcosa
16
Foglio ciclostilato, Unit proletaria conta sedici numeri a partire dal febbraio del 1959 cui vanno ag-
giunti 4 quaderni di U.P.: Il significato dei fatti di luglio (1960), Tokio 1960 (testo inviato dalla Zengakuren),
Capitalismo e socialismo, di Paul Cardan (Cornelius Castoriadis), maggio 1961, Le lotte degli elettromeccanici
(1961) e un documento di U.P.. I pericoli professionali del potere, storica lettera di Christian Rakovskij a
Valentinov che U.P. pubblica par la prima volta in Italia.

Quanto a una sommaria rassegna dei 16 numeri di U.P.: La sentenza sullimponibile di manodopera in agri-
coltura (n. 1); I cottimi (redazione di Romano Alquati) (n. 2); L. Kolakowski, Che cos il socialismo; Cosa
bisogna fare; Gli scioperi dei metallurgici americani; D. Moth, Diario di un operaio (n. 6, 1960), recensione del
libro in uscita da Einaudi; Il nuovo patto colonico; Perch esiste una gerarchia? Gli shop stewards in Inghilterra;
Tutto va bene (poesia di Franco Fortini) (n. 7, 1960); D. Moth, Lavoratori e militanti rivoluzionari. Lesodo
contadino; La guerra dAlgeria: moti in Francia (1960); Lorientamento del Sindacato nelle campagne della Valle
Padana (1962), ecc. Alcuni altri articoli, frutto di una collaborazione strutturata, si possono poi consultare su
vari numeri di Socialisme ou Barbarie.
17
Su questa fase del guppo, cfr: G. Fiameni, Danilo Montaldi: Cremona, Milano, Parigi, in Danilo Montaldi
(1929-1975): azione politica e ricerca sociale, cit., pp. 81-131.
18
F. Alasia, D. Montaldi, Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati, Feltrinelli, Milano, Prima edizione: 1960;
Nuova edizione accresciuta, 1975; Edizione del cinquantennale con una introduzione di Guido Crainz e una
postfazione di Jeff Quiligotti, Donzelli, Roma 2010.
Gianfranco Fiameni
412
che, al vaglio del suo uso marxista della sociologia, si avvale di strumenti interpreta-
tivi originali rispetto ai canoni dellusato rapporto centro-periferia che regge gran parte
degli studi di sociologia urbana e di urbanistica territoriale di quegli anni.
Il gruppo alla sua prima prova quando su LUnit appare nella seconda decade
di settembre, una diffida, allapparenza sproporzionata al peso di questa strana for-
mazione esterna un po a tutti. Ma sono gli anni e la natura di un conflitto che pare ri-
proporre in un contesto nel quale il tema della burocrazia ancora centrale, a conferire
a una vicenda in s non eccezionale la pregnanza di un primo laboratorio politico poi-
ch si tratta di una lunga vertenza degli operai dellUfficio tecnico comunale di Cremo-
na, molti dei quali iscritti al PCI o al PSI contro i compagni-padroni dellAmministra-
zione socialcomunista della citt.
in occasione della vicenda dellUTC che al gruppo esterno accadr di fare una
piccola scoperta che tocca da vicino il lavoro di Montaldi e che per lui una conferma
ulteriore: gli operai scrivono, raccontano, e son questioni di individualit multiformi
foggiate entro e da una soggettivit politica che giunge da storia e strutture di lena lun-
ghissima. Lui lo sa da tempo, da quando almeno, giovanissimo, ha incontrato nei suoi
primi giri qui da noi e in Francia la poesia operaia e un po ne ha affidata, in citt, ai so-
liti ciclostilati dellesce come pu e quando pu.
Quando in seguito si tratter di trasferire in una riflessione collettiva una vicenda tan-
to ispida, ibrida e paradigmatica al fine di tradurla in un testo di gruppo da diffondere,
si scoprir che gi tutto stato scritto in totale autonomia, giorno per giorno, in quader-
ni di cronache e riflessioni, materiale che alimenter nel tempo pi duna filiera analitica
che Montaldi ha aperto dentro il suo personale lavoro, specialmente, seppur non soltan-
to, dentro la raccolta delle autobiografie. Lo scritto, che gli operai del gruppo vorranno
filtrato, come ogni elaborato del resto, attraverso la discussione interna per sottrarlo a
spontaneit accattivanti, comparir nel febbraio del 1960 su Unit proletaria.
Nella medesima scia, proponendo nel 1954 su Battaglia comunista il testo da lui
stesso tradotto di due compagni americani, Paul Romano e Ria Stone, Loperaio ameri-
cano, Montaldi lo correder di alcune riflessioni che Cornelius Castoriadis aveva acclu-
so allinvio del testo:
Tanto Loperaio americano, quanto il giornale Correspondance esprimono con molta forza
e profondit [...] questidea che il movimento marxista aveva in pratica dimenticato dopo la
pubblicazione del primo volume del Capitale: che loperaio prima di tutto un essere vivente
dentro la produzione e nella fabbrica capitalista prima dessere un militante di partito, un
soldato della rivoluzione o il soggetto di un futuro potere socialista, e che nella produzione
che si forma tanto la sua rivolta contro lo sfruttamento che la sua capacit di costruire un tipo
superiore di societ, la sua solidariet di classe con gli altri operai e il proprio odio per gli
sfruttatori, padroni classici di ieri e sempre pi burocrati impersonali di oggi e domani.
Se questo primo incontro di Montaldi con le storie operaie illustra qualche anteceden-
te, molto lascia da precisare circa genealogia e caratteri della sua ricerca. Se infatti vero
che non poco del fuori autonomo di Unit proletaria idee, pubblicistica e attivi-
t si radica dentro lidea dimenticata, va anche detto che esso non traccer poi sno-
di cruciali dentro la mappa concettuale di Montaldi il quale anche qui sembra far vale-
re quanto in lui spinge a non legarsi a soluzioni determinate. Ma una presenza tenace
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
413
dellidea dimenticata continua a resistere, e in uno spazio non secondario, e quant pos-
sibile dialettico, storicamente e socialmente comprensivo.
A questa data potr voler dire ad esempio riservare attenzione particolare a Tribu-
ne ouvrire, il giornale che Daniel Moth anima alle Usines Renault e che rilegge e at-
tualizza nel lavoro di fabbrica lidea dimenticata dentro il rapporto gestori-esecutori,
fabbrica e societ, dentro la prassi distruttrice della creativit del lavoro nella giunzione
capitale-burocrazia e nel connubio anche qui di coscienza ed esperienza proletaria ca-
paci di proiettare un fantasma dautonomia progettuale proprio nel cuore di un assetto
di espropriazione, temi che hanno alimentato una molteplicit di analisi in Socialisme
ou Barbarie e in ambiti finitimi e che costituiranno un riferimento versato in linee per-
sonali in alcuni scritti di Montaldi.
Di Daniel Moth egli tradurr, come s accennato, il Diario di un operaio, un li-
bro che accende in Italia un avvio di dibattito subito spento sullesperienza proletaria.
Cade, qualche anno pi tardi nel corso di uno dei suoi andirivieni esplorativi nella cul-
tura e nella politica della sinistra francese un articolo, Personalismo e condizione operaia,
su temi che Montaldi sente centrali e autentici dentro uno spazio anche tanto differen-
te dal proprio, un testo che pensa confronti e distanze con Emmanuel Mounier e Simo-
ne Weil. Loccasione offerta da una rivisitazione del percorso di Esprit e si apre con
unapostrofe caratteristicamente montaldiana, rivelatrice a questa data dellampiezza e
delle molteplicit che sostano alla soglia della via lunga che gli si prospetta: Da che
parte giunger la rivoluzione? Quali ne saranno le guide? La cultura della sinistra fran-
cese si fonda su esperienze opposte, accoglie la diversit e ne ripropone in nuove forme
valori e verit. Dal barbiche nervoso dei vecchi bolscevichi alle barbe dei patriarchi bi-
blici [...].
Ed giusto una radicale diversit che Montaldi va a incontrare dentro questartico-
lo ospitato dallAvanti!, in una zona ibrida della destalinizzazione: le diversit stan-
no, dentro la classe, in questaltrove di frontiera dove il comunismo chiamato a pro-
varsi dentro il proporsi storico di diversi confini. Confini incerti tra la verit di Mounier
che vorrebbe purificare la rivoluzione, e la coscienza di Montaldi. Ma poi un tratto
di quella Simone Weil che torna a insorgere dalle file della colonna Durruti, dalle offici-
ne Renault dovera entrata nel 1934 senza preoccupazioni di apostolato per trarvi le sue
testimonianze di meravigliosa fermezza sulla condizione operaia, a muoversi nel medesi-
mo clima problematico che sar dellindagine sullesperienza proletaria di Lefort-Mon-
taldi con la quale tanto sparte e tanto poco al contempo.
Autobiografie
Quando nellinverno del 1954 Montaldi comincia a volgersi alla raccolta delle autobio-
grafie di proletari, ha gi consolidato un giudizio sul quadro di paradigmi che reggono la
ricerca sociologica che si indirizza alluso dellautobiografia, specie in relazione ai porta-
ti della scuola memorialistica polacca, ma anche da quanto gli deriva dal dibattito italia-
no sulla sociologia. La storia del ricorso allautobiografia dentro il quadro del movimen-
to operaio, dai suoi albori alle pratiche codificate dentro il partito bolscevico e nellURSS
postrivoluzionaria e stalinista, per finir poi a quelle contigue al nostro tema, cio le au-
Gianfranco Fiameni
414
tobiografie pubbliche sollecitate dal Partito comunista italiano e raccolte sotto forma
orale o scritta
19
dal primo decennio del dopoguerra fino al 1956, forma oggi un raccon-
to noto, nobile e tragico. Nel raccogliere le autobiografie della leggera contestualmente
a quelle dei militanti politici di base avendo sullo sfondo il mondo dei contadini con il
quale tutto comincia, il patto autobiografico che Montaldi stipula con gli uni e gli altri
passer, nella diversit dei contesti, al vaglio simultaneo dei requisiti scientifici e di quel-
li politici del proprio lavoro nella stagione delle riviste che riaccende il dibattito sui rap-
porti tra marxismo e scienze sociali.
Lintervallo tra le due polarit breve ma decisivo; molto si dibattuto in seguito
sia nellambito delle ricerche di base che a un livello di analisi pi generale sul rappor-
to chiamato a plasmare il patto tra intervistatore e intervistato, investendo soprattut-
to quella specifica pratica che si convenuto di chiamare conricerca, luogo sicuramente
centrale nella pratica sociologica di Montaldi che egli lascia per lo pi implicito, a corol-
lario di classe delle proprie indagini come del resto di ogni inchiesta, oltre cio la forma
strutturante, oltre lagire comunicativo dellamico Alessandro Pizzorno promosso a ele-
mento pattizio tra i soggetti. Nelle autobiografie che raccolgono in breve un diffuso con-
senso da caso letterario non privo agli occhi di Montaldi di equivoci di fondo, uno degli
snodi critici per lappunto la natura del rapporto con lesterno, frontiera critica dellap-
partenenza e potenziale fonte di dissidio con la militanza di partito.
Le autobiografie come ascrizione deliberata a una cultura e a un costume, storia di
vita, memorialistica, ecc., hanno in Montaldi un passo di transito, non troppo preoccu-
pato di riferirle a statuti disciplinari quanto di farne grumi di conoscenza di classe: in
questo senso si prolungano fin dentro il Saggio come in ogni altra opera successiva nel ri-
spetto delle configurazioni narrative di chi le rilascia, dentro il quadro sociale che le su-
scita. Sta nel cuore in lotta di questo soggetto ci che detta a Montaldi la strumentazio-
ne originale e gli svolgimenti analitici che gli consentono le analisi del suo militante e
uomo comunista uno dei suoi raggiungimenti pi intensi e coivolgenti. In questo qua-
dro le Autobiografie della leggera reclamano un quadro restituito alla scala delle inegua-
glianze di sviluppo e non alla grana delle arretratezze. Sono le prime a dettare il tem-
po dentro il quale la contemporaneit ospita ogni rovesciamento tra arretratezza e ci
che arretrato non . Le autobiografie del militante politico di base, nel racconto di una
vita tanto pi conscia a s quanto pi costretta, si rapportano al grande filone montal-
diano di una [...] coscienza che matura superando la serie dei limiti che derivano dal-
la stessa lotta fra le classi
20
.
Sar dallorizzonte totale e vivente di questa lacerazione che il militante comunista
potr guardare alla stessa organizzazione cui appartiene. Qui Montaldi incrocia un altro
suo luogo cruciale: le dimensioni del succedersi e dellaccadere, del fortuito, del prov-
visorio. Siamo in altri termini allo spazio delleffimero che ospita, nel corso della storia
delluomo, il tempo del militante a cominciare da quel momento iniziale unanalisi
che si legge nellintroduzione a Militanti politici di base dal quale un uomo potr dive-
19
Cfr. M. Boarelli, La fabbrica del passato. Autobiografie di militanti comunisti (1945-1956), Feltrinelli, Mi-
lano 2007.
20
D. Montaldi, Militanti politici di base, cit., p. XII.
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
415
nire un militante o farsi altro. , questo, un luogo poco frequentato dalle letture di un
Montaldi irrigidito talora nella ritrattistica un po di maniera che lo vuole di volta in vol-
ta leninista dal basso, libertario, o assorto in un bisogno di poesia sociale.
E tuttavia questo rapporto grande del militante con il tempo della storia e della vita
avanza uninterrogazione circa i lineamenti non meramente individuali della socialit e
della soggettivit politica del secolo scorso: che cosa dunque, si chiede un militante co-
munista che ha studiato i comunisti [...] pi effimero della vita di un militante di
base? Che cosa daltra parte pi dentro?. Il militante di Danilo Montaldi, questa figu-
ra che si colloca alle divaricazioni del proprio tempo nei tratti del paradosso prima
e oltre il proprio agire luomo del divario incolmato tra s e la classe alla quale appar-
tiene come condizione stessa della classe, in una relazione che Montaldi deriva diretta-
mente da Marx e che legge con qualche divertita vena brechtiana nelle vicende dei ro-
vesciamenti di storia e cronaca quotidiana e a cui guarda talora con lapostrofe del suo
leninismo dal basso, un sarcasmo che sa essere del suo soggetto nella vita che si fa e
nei rapporti con i compagni, con il Partito. Siamo qui al fuoco mobile del suo interesse
per il processo rivoluzionario, per i prodromi, gli sviluppi, per i moti della classe, siamo
alla strada lunga del prima e del poi, al suo divenire, allo sfociare alle strade cieche. Le
autobiografie che ha fino ad ora raccolto molto ne narrano ma molto resta in ombra, al
non detto: [...] lepoca ricca di memorialistica di guerra, non di guerra civile. A cose
fatte, compiute, viene celebrato lincontro di nazioni in guerra, non lo scontro di citta-
dini dello stesso paese.
La raccolta delle autobiografie stata anche viaggio esplorativo nel progetto di una
scrittura di s:
Verso i quarantanni scriver nel giugno del 67 a Giangiacomo Feltrinelli vorrei scrivere
unautobiografia per chiarire a me stesso e agli altri il senso di questi anni [...] prima ancora
che tutto diventi ricordo [...]. Lintenzione [...] di precedere la storia, restituirne i suoi signi-
ficati interni, ritrovare i segni essenziali. Darle noi il senso, direttamente. Per questo, credo,
sono sempre sceso a certe profondit, a quelle della Corea milanese, della Leggera, allintimo
dei militanti politici, al giornale clandestino purch fosse unespressione intera di coscienza e
volont, alla ricerca del comunismo come esigenza e struttura: usando degli strumenti socio-
logici, letterari, politici, senza distinguere, adeguando piuttosto gli strumenti al fine, evitando
di farmi cogliere dallinerzia di una disciplina ma ancora, e mi ripeto, di portare avanti tutto.
Il fine rimane dunque questo, immediato, di usare del presente come storia, di andare contro
la corrente di una storia che potrebbe inchiodarci in un falso fondo oro, mentre deve uscire
tutta lordure, unintensit, la stessa con la quale siamo vissuti. E dirlo subito. per capire
anche come mi sono trovato cos dentro di me pur essendo il tramite di cos diverse espres-
sioni per le quali ho abolito delle parti di me purch quelle uscissero integre che voglio
scrivere a partire dal termine io. Dove io diventa numeroso, come un ponte.
Stagioni, pratiche e pensieri legati alla raccolta delle autobiografie volgono al termine
sullorizzonte del loro soggetto ultimo: il militante e la sua militanza dentro una sog-
gettivit che stata anchessa misura del secolo. il militante che sinterroga sullo spa-
zio di confine dove militante e uomo comunista sono in continuo conflitto e armistizio,
dove lespropriazione che sorigina nella stessa sua parte politica e nella societ dei com-
pagni lo consegna allo Stato, ad altre militanze, alla marxiana potenza del negativo. Alla
Gianfranco Fiameni
416
sorgente storica e antropologica che Montaldi pu descrivere come un campo di oscil-
lazioni, di incertezze, e anche come un affronto dialettico, sta per lui lo spazio turba-
to della zona di confine che ospita il suo militante e uomo comunista, protagonista fra
altri della sua ricerca e tanto lontano dalla lettura limitante che ne diedero allora Pasoli-
ni e altri. E sta proprio l, nel luogo residuale e decisivo del militante delle lotte civili,
il varco attraverso cui Montaldi entra nello spazio concettuale che aggancia il discorso al
lascito lungo di Storia e coscienza di classe: il ricorso cio, arricchitosi e rimodellatosi nei
suoi anni, alla coscienza che il tramite attraverso il quale [...] nel rapporto tra s e am-
biente, tra s e gli altri, viene individuato un progetto di creazione possibile
21
.
Il tema dellesperienza proletaria si accresce ora dello sguardo che il militante reca
su se stesso dallo spazio di minoranza che lo connota negli anni in cui Montaldi lo in-
vita a parlare di s in profondit dalla propria autobiografia. Se ne narra dalle radici,
dalladesione antica al progetto di creazione possibile che lo ha condotto nei ranghi co-
munisti nel tempo nascente di ci che ora il vecchio problema strategico. Le autobio-
grafie dei militanti hanno differenti corsi soggettivi ma su una sorta di giustezza comu-
ne, talch una ne val laltra e basterebbe stare alla prima: [...] perch il popolo d tutto
se stesso, ma sono loro che ne approfittano. E noi per colpa loro ci troviamo in una si-
tuazione cos allarmante
22
.

Il loro delle autobiografie sta in uno spazio cognito e al
contempo oscurato che non ha trovato le ragioni di una nuova militanza ed anche per
questo che al militante accade di falsare involontariamente la sua presenza nel tempo per
accordare la propria militanza alle grandi date interne della classe, tra classe e Partito, tra
collettivo e soggetto, tra il dentro e il fuori che lo spazio nel quale la coscienza del mi-
litante di base matura la serie dei limiti che derivano dalla stessa lotta fra le classi. Il diva-
rio tra il militante e le classi continua a sopravvivere. Ora, qui, per la mutata funzione del-
le organizzazioni e dei partiti che alla classe operaia si riferiscono [...] lintero patrimonio
delle esperienze non pi agibile [...].
Nel plurimo e che condensa e articola transiti, rovesciamenti, incertezze e conta-
minazioni, il militante racchiude il pi interno dei dissidi e laccettazione del compren-
dervisi e agire. Lorditura nella quale Montaldi accoglie ora quanto era stato posto a
quadro delle autobiografie della leggera e dei militanti di base: il disporsi cio delle ine-
guaglianze di sviluppo accanto a quanto di vivente viene dallordure e dalla molteplici-
t delle esperienze, dentro quel che residua nella presenza sociale e culturale delle di-
sperse formazioni della sinistra comunista e a quanto raccoglie di suo da saperi e culture
del proletariato urbano e delle campagne che studia, si piega e vive alla fine su questa fi-
gura ultima del secolo in una circolarit con cui torner a confrontarsi nel tempo fina-
le dei protocolli.
Su ci si chiudono stagioni e pratiche della raccolta di autobiografie come ricerca
21
D. Montaldi, Commento alle autobiografie, in Militanti politici di base, cit., pp. 309-393. Questo testo al
quale vanno ascritte anche le citazioni che seguono costituisce a mio avviso per ricchezza, vigore intellet-
tuale, connotati formali e perspicuit di analisi, uno dei raggiungimenti pi significativi di Montaldi, sia per
quanto attiene ai suoi svolgimenti che per quello che precisa sulla collocazione politica di Montaldi, sul suo
posto nel dibattito intellettuale del tempo e, nellambito di queste notazioni, il suo rapporto col progetto e con
quanto intende per utopia.
22
Autobiografia di Enrico Bonini, in D. Montaldi, Militanti politici di base, cit., p. 71.
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
417
individuale, ed ora per lui il momento di tornare al Saggio, in laboratorio da tempo
23
.
Eppure, quando si riproporr, sul finire del 1972, come proposta dintervento colletti-
vo, un progetto di ricerca sulla giovane classe operaia, il problema degli strumenti e
delle finalit dovr commisurarsi a testi e contesti. Occorrer infatti, scrive in una lette-
ra che propone linchiesta
[...] far conoscere a se stessa [...] questa nuova classe operaia [tramite] [...] biografie, do-
cumentazioni interne di vario tipo (come lettere, diari, ecc.) [al fine di] [...] svolgere un
lavoro che la avvicini alla riflessione sugli anni 60-70 che lhanno vista manifestarsi, sia ad
un avvenire che, proprio da un punto di vista di classe, si pu vedere attraverso di essa e, con
essa, in prospezione.
Tempo ultimo
Alcuni scritti di assai diversa mole ma di rilievo complementare occupano il quinquen-
nio 1971-1975, ognuno ugualmente utile a definire il progetto complessivo quanto a get-
tar luce su pi di un corso interno. Tutto in questo tempo ultimo sembra urgere: ripresa
e rivisitazione di Milano, Corea, luscita di Militanti politici di base al quale affida nel-
le pagine di un lungo Commento alle autobiografie una trama di valutazioni indispensa-
bili a intenderne lhabitat concettuale e lambito di ricerca e, infine, lapertura al nuovo
progetto a pi voci che gi offre autobiografie, documenti e materiale vario. Ma soprat-
tutto a segnare il tempo nel quale si ripromette di passare la storia a contropelo, un
cammino che ha radici nel fuori degli anni Cinquanta e ormai cos diverso sar que-
sta la stagione di una terna di tessere di un possibile mosaico per il tempo che viene, un
viaggio che comincia dagli antichi protocolli da ritrovare per verificare il senso di un per-
corso.
Protocolli anche propri, della sua vicenda di comunista tra comunisti dentro il qua-
dro grande che affider al Saggio, storia dei rapporti tra proletariato e Partito comu-
nista italiano. Non meramente una vicenda che si gioca tra alto e basso, base e

vertice
24
, bens uno scontro di classe da passare al vaglio di quello grande del Nove-
cento attraverso lintrico e lintersezione di livelli che disegnano una vicenda allappa-
renza secondaria, turbolenza minore dietro epiche e tragedie delle tre guerre. Montal-
di, nellaccumularsi rizomatico e tumultuoso di ricerche sociali di questi anni Settanta,
intenderebbe chiudere un cerchio riandando per ricominciare ai grandi assenti, ai con-
tadini dai quali tutto comincia perch come sempre [...] il socialismo viene mediato dal-
la campagna, perch sono i contadini che insegnano, come ha cominciato a delineare egli
23
Lo stesso libro sul PCI sarebbe gi terminato se non avessi voluto viverlo come gli altri, cio facendo tutto
un giro per avere davanti il problema, come non si pu escludere il minimo gruppo di case da un discorso sugli
immigrati. Lettera a G. Feltrinelli del 16 giugno 1967.
24
Nelle stesse osservazioni di Montaldi le storie che va raccogliendo e pubblicando e riconduce allo scenario
intero della storia di classe, non si ascrivono a categorie in questo caso per lui dubbie come quelle che attor-
niano nei suoi anni la storia dal basso.
Gianfranco Fiameni
418
stesso in alcuni vecchi interventi sulla questione contadina
25
che ora si propone di am-
pliare a La questione agraria nella Valle Padana con la quale si concluderebbe un tor-
no di lavoro e forsanche un orizzonte simbolico del suo tornare ai padri, alle orme, ai
protocolli, al ricominciare, al da capo.
Dentro la terna dei suoi ultimi lavori Esperienza operaia o spontaneit
26
assume un ri-
lievo a s per caratteri dintervento diretto, per tempestivit e per quello che dice sui ca-
ratteri della militanza dello stesso Montaldi, per la sostanza dei suoi rilievi. Esso an-
che, dei tre, lo scritto che ha ottenuto leco maggiore nellimmediato a causa di una certa
prossimit tra le ricerche di Montaldi e la risonanza crescente di iniziative da parte di
raggruppamenti gi da tempo o da un pi breve periodo attivi sul territorio. Assonan-
ze apparenti, prossimit equivocate e riparate sotto il cielo della spontaneit inducono
Montaldi a intervenire riconducendosi a quanto gli preme. I caratteri della sua ricerca e
i nessi di congruenza con la militanza politica gli sembrano da ribadire una volta ancora;
in questo senso Esperienza operaia o spontaneit si protende, oltre il suo ascolto inizia-
le, al Montaldi del Korsch e del Saggio che attenderanno pi a lungo, in un alone di esiti
specialistici, unattenzione comunque ristretta
27
.
In questultima fase del proprio contropelo, Montaldi dialoga per lo pi con gli
stimoli che gli offre il dibattito multiforme e plurimo del tempo, mescolando tratti di de-
cifrazione polemica ad altri di chiarificazione e messa a punto dei propri strumenti: con-
dizione operaia, protesta operaia, esperienza proletaria, inchiesta, conricerca, ecc. Ac-
canto, quale aspetto specifico della traduzione italiana dello stalinismo in larghe tratte
della classe e in quanto strumento di autonomia, Montaldi introdurr la nozione spes-
so equivocata delluso di classe dello stalinismo
28
, un uso del quale oggi si ha un pro-
25
D. Montaldi, I contadini della Valle Padana, in Bisogna Sognare, cit., pp. 161-163; Crisi del mito contadino,
in Bisogna Sognare, cit., pp. 194-204; Migliori, Greco e il contadino della Valle Padana, in Bisogna Sognare, cit.,
pp. 227-244; Le lotte contadine in Italia, in Bisogna Sognare, cit., pp.253-255.
26
D. Montaldi, Esperienza operaia o spontaneit, Ombre rosse, Roma 1976, ora in Bisogna Sognare, cit.,
pp. 480-498, ma privo, qui, della nota introduttiva che lo corredava in origine.
27
P.P. Poggio, Montaldi e i protocolli ideologici del PCI, in Danilo Montaldi (1929-1975). Azione politica e
ricerca sociale, cit., pp. 167- 209, delinea una mappa delle vicende editoriali, ricezione nellimmediato, eco nel
tempo, fortuna del Saggio e dei suoi contenuti avvalendosi di un ampio ventaglio di letture coeve e posteriori
in un contributo che rimane a tuttoggi assai informativo sul tema. Vi si discutono inoltre contenuti, caratteri
e svolgimenti nel tempo delle analisi di Montaldi dentro il suo progetto complessivo in parallelo ad altre
letture nel quadro di una proposta di collocazione di Montaldi dentro storia e storiografia del comunismo
novecentesco.
28
Luso di classe dello stalinismo che in Montaldi una notazione posta a capo di un intervallo delimitato
per quanto storicamente decisivo nelle vicende del proletariato stata in qualche lettura promossa a emblema
di autonomia radicale dellesperienza proletaria capace di fronteggiare, rovesciandole di segno, le avversit del
corso della storia. Montaldi, non cos prometeico, e la lassa pi breve: [...] le avanguardie operaie italiane
si trovavano a essere, non direi automaticamente ma necessariamente antistaliniane [...] Per oltre un decennio
la classe operaia ha saputo a proprio rischio, fare un uso di classe dello stalinismo e ricavarne un quadro di
riferimento. Il tenore di questo scritto legato a una specifica occasione, si slarga spesso polemicamente e altre
volte per chiarirsi e confrontarsi con scritti o testimonianze coevi a evocare protagonisti del tempo: Stefano
Merli, Vittorio Foa, Raniero Panzieri, Gianni Bosio, Rodolfo Morandi, Lelio Basso, ecc. Questa veloce pano-
ramica su anni e persone consente anche di gettare uno sguardo vigorosamente montaldiano su protagonisti
in carne e ossa o in pi rarefatte atmosfere: nebulosa propensione comunista libertaria del PSI, leninismo
organizzativo, luxemburghismo, democraticismo libertario, altre variet di libertarismi, concezioni consiliari,
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
419
filo arricchito da indagini ulteriori ma che la ricerca sul campo per lo pi rubrica di-
versamente. In Montaldi esso acquista una presenza per altro non troppo insistita che
discende da valutazioni sullo stalinismo storico, da un certo lascito di testimonianze e
documentazioni empiriche, quali sono tra molte altre, quelle del Moth che egli stesso
ha tradotto, quanto dallanalisi del rapporto lavorativo di fabbrica dentro i rapporti ge-
nerali di produzione e dalle stesse ricerche sue sul lavoratore e sul militante, quando, in-
somma [...] la dialettica viene avanti in un corpo.
In questo contesto, Esperienza operaia o spontaneit misura da un lato il percorso
dellautore dai lontani anni dellinizio fino a questo 1973, dallaltro costituisce una sor-
ta di dorsale maggiore verso le due altre opere della terna finale mentre traccia la de-
marcazione che secondo Montaldi separer in un moto accelerato militanti e burocrazia
sindacale e di partito. da questangolatura che Esperienza operaia o spontaneit schiz-
za una cartografia gremita di protagonisti e protagonismi di quella zona di frontiera che
la spontaneit traccia nel tempo critico della militanza. E, ancora, esso apre a quanto
consente di valutare il pieno carico dellesperienza proletaria dello stalinismo, da inda-
gare tramite strumenti e in una luce sgombri da inappellabili ipoteche ereditarie: corpo,
peso e ruolo della questione sono tali da esigere strumentazioni e pratiche dinterven-
to nuove da far risalire a una storia di origini e corsi diversi, viva o morta che essa pos-
sa apparire al presente.
Preoccupazioni identiche sovrintendono a quella che pu sembrare alle prime unin-
cursione un po laterale, vicenda tra altre, nella storia comunista del Novecento. Ma in
un periodo che incerto anche per quanto riguarda le analisi critiche e gli indirizzi di
studio
29
,

loccasione viene dalla recente riscoperta di Karl Korsch [che] corrisponde
troppo a quella di un filosofo marxista che si muove a un livello di grande astrazione
perch si possa accettare una mutilazione che elimina il suo diretto lavoro rivoluzionario
a favore di una riduzione bassamente accademica della sua opera teorica
30
.
Se si va oltre i bersagli pi vicini alla polemica degli anni ma questo scritto insieme
con Esperienza operaia o spontaneit quanto c di pi stretto a un corpo di valutazioni
che restano uniche per acume anche nel giudizio ravvicinato e apparentemente limitato
al singolo per guardare dentro la varia riproposizione di temi, protagonismi soggetti-
vi, antiche pratiche che si moltiplicano nellultimo quinquennio della vita di Montaldi,
alla ripresa del korschismo, di temi del controllo, gestione diretta, democrazia di fabbri-
ca, socializzazione, problematiche comunitaristiche e anticentraliste, allattenzione di ri-
torno per forme di autonomia che rivisitano variamente Kommunistische Politik, ecc.,
si intendono le ragioni attive di un intervento appuntato a una storia tanto lontana. Di
nuovo Montaldi sottolineer lesigenza di restituire il Karl Korsch che tanti appetiti ha
risvegliato di recente
31
non alle grandi date, al fatidico 1923 di Storia e coscienza di clas-
se, di Marxismo e filosofia, bens alle contingenze della sua riscoperta. Sotto questo
aspetto ogni elemento della terna finale, anche quando specialmente il caso del Sag-
eterodossie che hanno in comune di stare in netta separazione dalla classe, dal movimento reale, (Bisogna
Sognare, cit., pp. 486-487).
29
D. Montaldi, Korsch e i comunisti italiani, cit., p. 11.
30
Ibid., p. 33.
31
Ibid., p. 17.
Gianfranco Fiameni
420
gio ha scaturigini ed elaborazione lontane nel tempo, si versa idealmente in un presen-
te di lotta.
Lasciamo ora Danilo Montaldi condotti a termine gli ultimi suoi scritti, quelli che
nessuno ha voluto lui vivente, che nessuno ha fatto propri sulla linea di giunzione tra
gli anni finali dellultima delle tre guerre del biennio 1943-1945, da quando cio [...] i
comunisti tornarono a essere comunisti e non pi soltanto uomini di frazione nel corpo
dellintera opposizione della classe operaia al regime
32
, agli anni che sfociano alla sto-
ria delusa e ormai morta della quale non ha potuto vedere gli ultimi atti. stato, questo
trentennio montaldiano, un percorso precipite e in certo senso contratto e breve che ha
visto il volgere inarrestabile di formazioni e analisi della sinistra comunista, di declino,
estinzione e sopravvivenze di ortodossie incapaci di esprimersi al di fuori di configura-
zioni di confine dentro gli anni dellinnovazione capitalistica che erode la figura chiave
che nel testo marxiano, nella storia del movimento operaio, nella tradizione rivoluzio-
naria e nelle stesse analisi di Montaldi il proletario portatore delle esigenze di comuni-
smo. Luomo comunista della sua analisi, a un torno cruciale della propria storia, della
militanza e anche di quanto di lacerato componeva la sua identit, al termine dell inedi-
to processo di divaricazione tra classe e burocrazia di partito che assume in Italia la mar-
cia della togliattiana conservazione intelligente verso la Nazione e lo Stato si ritrova,
alla fine del secolo, nei ranghi asfittici e evanescenti dellattivista.
Da questo punto di vista il Saggio non era gi pi nei lineamenti almeno di ritrat-
to storiato del PCI latto ultimo dello sguardo di Montaldi alla classe, al suo futuro e
alle lotte; dentro le dissoluzioni di un torno intero gli pareva di scorgere verso gli ultimi
anni del secolo una ancor sconosciuta giovane classe operaia che egli saccingeva a in-
dagare. Dichiarando deluso e morto quanto [...] alla fine [...] si iscrive nel tracciato
storico delle nazioni e degli stati

Montaldi fa ben pi che liquidare un partito comuni-
sta che saccomiata in s e da s. Per stare a noi, il militante e uomo comunista italiano,
al termine di una parabola epocale si stempera via via in unidentit dimezzata, nelluo-
mo di un contesto che appartiene a unaltra socialit, in progressiva parodia delluomo
collettivo, delluomo massa, e del lavoratore collettivo ai quali aveva guardato tan-
ta storia del proletariato.
BIOGRAFIA
Danilo Montaldi nasce a Cremona il 1 luglio 1929 da Giovanni Montaldi, impiegato
alle Tramvie provinciali cremonesi, di simpatie anarchiche e da Clelia Nolli, figlia di un
fabbro di cascina e lontano tramite dellintenso rapporto di Montaldi con il mondo e la
presenza contadina, storia familiare che aveva pi di una remota radice nel passato po-
litico cremonese. Il nonno, infatti si era iscritto giovanissimo al Partito operaio italiano
di Costantino Lazzari e poi al Partito socialista con Leonida Bissolati per morire tura-
tiano nel 1921 come annota Montaldi, mentre il padre sar condannato da un tribuna-
le fascista nel 1941, perder il posto e verr riassunto a liberazione avvenuta. Nel 1945
32
D. Montaldi, Saggio, cit., p. 33.
Danilo Montaldi. Tempo di militanti
421
Montaldi entra nel Partito comunista italiano che lascer lanno successivo per solidarie-
t con le posizioni di vecchi compagni della sinistra interna espulsi dal partito. Nel frat-
tempo, abbandonata la scuola dopo la prima liceo entra in contatto con Giovanni Bot-
taioli di ritorno dallemigrazione politica in Francia. Questi, membro del PSI dal 1919 e
del Partito comunista nel 21, ne era stato espulso nel 27 su posizioni bordighiste e ave-
va partecipato al convegno di Pantin dove era stata fondata la Frazione italiana della Si-
nistra comunista internazionale. Giovanni Bottaioli, dirigente del Partito comunista in-
ternazionalista frazione Damen e direttore di Battaglia Comunista, organo del partito,
accetter di far parte sino alla morte dei gruppi cremonesi animati da Montaldi e sar
tramite prezioso per la rete di conoscenze e rapporti che Montaldi andr costruendo ne-
gli anni . Sono dei primi anni Cinquanta alcuni dei contatti pi significativi della vicen-
da politica di Montaldi; fra questi particolarmente fecondo per lestesa maglia di rela-
zioni internazionali, per lampiezza della riflessione sullesperienza operaia, come fonte
di produzione e conoscenza di documentazioni dirette sulla realt di classe che Montal-
di tradurr e far conoscere in Italia, stato il rapporto col gruppo francese di Sociali-
sme ou Barbarie.
Sono pure di questi anni le collaborazioni con molte pubblicazioni degli anni delle
riviste, i rapporti con gli intellettuali che vi collaborano, la pubblicazione delle prime
fra le autobiografie che va raccogliendo, la particolare declinazione del suo uso marxi-
sta della sociologia, nonch i primi rifiuti editoriali espliciti. Nel 1957, dopo lunga ge-
stazione, si costituisce a Cremona il gruppo di Unit proletaria che nel corso del tempo e
dopo molti aggiustamenti costituir fino alle soglie degli anni Settanta lambito dellatti-
vit politica di Montaldi per cedere poi, nel 1966 al gruppo Karl Marx e a spazi pi agili
di attivit fino alla notte del 27 aprile del 1975 quando Danilo Montaldi muore nelle ac-
que del Roia, al confine francese.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Montaldi
Alasia, F., Montaldi, D., Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati, Prefazione di D. Dolci, Feltri-
nelli, Milano 1960. Nuova ed. accresciuta da Dopo la Corea, Milano 1975. Ora in Milano, Co-
rea. Inchiesta sugli immigrati negli anni del miracolo. Introduzione di G. Crainz, Donzelli,
Roma 2010.
Montaldi, D., Autobiografie della leggera, Einaudi, Torino 1961, II ed. 1972, pp. 447, nuova ed.
Bompiani, Milano 1998, Prefazione di P. Bellocchio.
Montaldi, D., Militanti politici di base, Einaudi, Torino 1971.
Montaldi, D., Korsch e i comunisti italiani. Contro un facile spirito di assimilazione, Samon e Sa-
velli, Roma 1975.
Montaldi, D., Saggio introduttivo a Renzo Botti, Manoscritto, D. Montaldi (a cura di), Edizioni
Galleria Renzo Botti, Cremona 1975.
Montaldi, D., Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970). Nota introduttiva di N. Galle-
rano, Edizioni Quaderni Piacentini, Piacenza 1976.
Montaldi, D., Danilo Montaldi, Scritti darte, Gruppo darte Renzo Botti, Assessorato scuola e
cultura (a cura di). Introduzione di G. Fiameni, Cremona 1977.
Gianfranco Fiameni
422
Montaldi, D., Bisogna sognare: Scritti 1952-1975, Cooperativa Colibr per conto dellAssociazione
culturale Centro Luca Rossi, Milano 1994. Negli apparati redazionali il volume riporta, oltre
alla Cronologia della vita e delle opere, anche lelenco delle traduzioni, talora da lui stesso pro-
poste o suggerite, di D. Montaldi.
Montaldi, D., Guerreschi, G., Lettere 1963-1975, G. Fiameni (a cura di), Introduzione di G. Fia-
meni, pp. XI-L e Considerazioni di G. Montaldi-Seelhorst, pp. LI-LIII, Annali della Biblioteca
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Opere su Montaldi
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423
LINTELLETTUALE ROVESCIATO.
GIANNI BOSIO TRA MARXISMO
E MONDO POPOLARE E PROLETARIO
Cesare Bermani
Chi ha studiato i fondi di libri e documenti raccolti da Gianni Bosio conservati oggi
in parte presso lIstituto de Martino a Sesto Fiorentino e in parte presso lIstituto man-
tovano di storia contemporanea e la Biblioteca archivio della Provincia di Mantova ne
ha riportato limpressione di un vero e proprio cantiere, nel quale si intrecciano i mol-
ti percorsi di ricerca di un intellettuale vissuto tra studi storici, politica e lavoro edito-
riale in una rigorosa e coerente autonomia: intellettuale rovesciato perch insofferen-
te dei condizionamenti di partito e impegnato come organizzatore di cultura a ricercare
e riproporre modi della consapevolezza e forme espressive del mondo popolare e delle
classi non egemoni
1
.
Questimmagine del cantiere mi pare del tutto coerente con il metodo di lavoro di
Bosio, sempre improntato a scrupolo filologico sin da giovanissimo. Gi nel 1942, in un
tema di III liceo al Paolo Sarpi di Bergamo, Il quanto e il quale nel regno dello spirito,
contenuta questa riflessione: forse non mai come nel campo della produzione [cultura-
le] la quantit, oltre che essere il presupposto della qualit, anche linsegna della vera
grandezza. Lopera perfetta, preceduta quasi sempre da unabbondante produzione im-
perfetta, profonda e, insieme, vasta
2
.
Una convinzione in lui cos radicata da diventare una delle caratteristiche permanen-
ti del suo modo di lavorare: laccumulo della documentazione prima della stesura del
saggio; la creazione di strutture per la raccolta di materiali in vista del lavoro di elabora-
zione culturale; le numerose successive stesure di un determinato scritto; laffermazione
di un prima e di un dopo nella storiografia del movimento operaio, contro la non-
distinzione crociana dei due momenti, perch il fare e il fatto creano la possibilit della
1
M.L. Betri, Tra le carte e i libri di un intellettuale rovesciato: Gianni Bosio, in AA.VV., Libri, e altro nel
passato e nel presente, Dipartimento di Scienze della Storia e della Documentazione Storica Universit degli
Studi di Milano/Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2006, p. 343.
2
G. Bosio, Quantit e qualit nel regno dello spirito, Giovent garibaldina, Ordine del Giorno del Coman-
do Federale di Bergamo, Bergamo, a. XXI, n. 4, febbraio 1943.
Cesare Bermani
424
autocoscienza e della coscienza critica: sono due momenti inscindibili, ma il primo con-
diziona, anche nel campo storiografico, il secondo
3
.
Per questo Gianni Bosio fu sempre anzitutto un organizzatore di cultura, gi a
partire dalle proprie ricerche personali. Avendo concordato con Antonio Banfi alla Sta-
tale di Milano una tesi di laurea sulla Storia del marxismo in Italia fino al 1892, si accor-
se ben presto di come fosse impossibile scrivere una storia del marxismo in Italia stac-
cata dalla storia del movimento reale e che senza questultima non si faceva neppure
storia didee
4
.
Per fare ci si doveva studiare il movimento reale di quegli anni, ossia prendere in
considerazione anarchici, socialisti, repubblicani e radicali senza preclusioni ideologi-
che e contemporaneamente riprendere e proporre i testi di Marx ed Engels. Proprio
per porre le fondamenta di una storia del movimento reale Bosio fond la rivista Mo-
vimento operaio, il cui primo numero usc nellottobre del 1949. Di essa sar diretto-
re ed editore sino al 1951, poi solo direttore sino allestromissione di fatto con il n. 2 del
marzo-aprile 1953.
Quando Bosio prese a fare la rivista, gli studi sul movimento operaio erano presso-
ch inesistenti. Le fonti a stampa (giornali, riviste, opuscoli e libri) delle biblioteche pub-
bliche erano state falcidiate dalle manomissioni fasciste e dalle distruzioni della guerra.
Gli archivi privati di maggior interesse erano stati distrutti o autodistrutti a causa delle
persecuzioni e degli esili. Le fonti archivistiche erano sconosciute e di difficile consulta-
zione. Ci si trovava quindi di fronte a un lavoro immane e tale che difficilmente la vita e
loperosit di un uomo solo sarebbe riuscito a portare a termine
5
. A quel prima rap-
presentato dalla rivista, fatta con poca esperienza e con pochi quattrini: un lavoro sfi-
brante, con rare pause per lo studio
6
, sacrific la tesi di laurea.
In questa situazione si trattava perci di determinare una tecnica della ricerca e di
creare una corrente di studi in grado di giungere a un impianto preparatorio che per-
mettesse di sviluppare una storia del movimento operaio che andasse oltre limpostazio-
ne dei pur pregevoli lavori di Nello Rosselli, dove essa era considerata soprattutto nella
sua causa, e nei suoi aspetti politici e ideali, mentre lo era troppo poco nelle sue cause
economiche e sociali: troppo sotto la visuale delle clientele, dei partiti, delle correnti tra-
dizionali, poco come urto delle classi
7
. La strada scelta fu quella di delimitare lambi-
to delle ricerche al solo movimento operaio e di applicarvi un filologismo rigoroso, pro-
prio per superare il carattere subalterno di un settore di studi che in tal modo veniva
designato.
Bosio avrebbe poi ricordato cos la molla politica che sottostava alla rivista: Mo-
vimento operaio nasceva dopo la sconfitta del Fronte, quando oramai appariva chia-
ro che i tempi, le distanze, si sarebbero allungati; che non si poteva vivere di climi ma
3
Id., Giornale di un organizzatore di cultura (26 giugno 1955-27 dicembre 1955), Edizioni Avanti!, Milano
1962, pp. 94-95.
4
Cfr. Ibid., p. 96.
5
G. Bosio, Saggi sul Risorgimento e altri scritti, Quarto Stato, Milano, a. II, nn. 25-26, 15 febbraio 1947,
p. 44.
6
Id., Giornale di un organizzatore di cultura, cit., p. 27.
7
Id., Saggi sul Risorgimento e altri scritti, cit.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
425
si doveva vivere di cose; e che, se non si poteva intervenire, come giovani, nel centraliz-
zato potere politico di classe, era doveroso prepararsi, vedere, analizzare, ricuperare un
marxismo vivente che pareva sfuggire nei fatti. Tutto questo per dire che, in gran par-
te, linteresse di generazione per questi studi era dovuto a valutazioni politiche fatte da
politici. Per non dar luogo a equivoci, c da aggiungere, come elemento caratterizzan-
te, che la rivista nasceva a latere dellUniversit e dei Partiti, ambendo a collocarsi allin-
terno, nel mezzo della classe
8
.
La corrente di studi che Movimento operaio riusc a creare era formata prevalen-
temente da giovani di tutte le correnti (anche se non mancavano i vecchi militanti) ed
ebbe presto rappresentanti quasi in ogni provincia, tanto che nel 1953 avrebbe potuto
contare su ben 93 corrispondenti
9
e nel giro di soli quattro anni riusc a impostare un
piano di ricerche, di accertamenti, di raccolta di materiale e di premesse per lo studio
e la storia che superavano le pi rosee previsioni. Raggruppare militanti di tutte le cor-
renti e decentrare il lavoro di ricerca era il modo implicito di Bosio di prendere le distan-
ze dal centralismo e dal burocratismo tipico degli stalinisti, punto di partenza per crea-
re unattivit che non fosse subordinata e condizionata dallalto.
Anche esperienze successive di organizzazione della cultura (per esempio, Il Nuo-
vo canzoniere italiano e i gruppi di ricerca collegati) lo vedono agire per evitare intro-
missioni politiche dallesterno, senza richiesta di credi politici e religiosi a chi partecipa
al lavoro e in direzione della creazione di organismi di lavoro orizzontali. Bosio era allo-
ra un militante della corrente bassiana del Partito socialista. Dopo aver partecipato alla
Resistenza, era stato redattore della rivista Quarto Stato, diretta da Lelio Basso, dove
aveva pubblicato i primi saggi di taglio storiografico.
Quindi cera anche un coefficiente squisitamente politico che laveva portato alla
fondazione di Movimento operaio:
Si era allora, appena fuori dalla lotta di frazioni, nel periodo di ricostruzione del Partito. A
questa ricostruzione, quale miglior contributo si poteva dare di uno strumento che rivedesse
il passato, approfondisse le cause degli errori, studiasse le determinanti interne che caratteriz-
zano e che caratterizzavano il movimento socialista in Italia, per riportarlo, nella mediazione
della sua forza autoctona e della sua capacit rivoluzionaria, ad essere il protagonista della
classe? Se si credeva alla necessit di questi strumenti (il Partito) bisognava conoscerlo per
attrezzarlo: la storia particolare e minuta valeva quanto la storia generale. Linteresse filologico
(il minuto, il particolare, lesatto) e linteresse corporativo (solo la storia del movimento
operaio in funzione del movimento operaio) ricomparivano in funzione politica
10
.
Per questo Bosio poteva scrivere ad Angelo Sorgoni, storico militante e dirigente del PSI
marchigiano: (...) la rivista non si propone di pubblicare solamente memorie di gran-
di militanti, ma si propone di pubblicare le memorie di coloro che, grandi o piccoli, fa-
8
Id., Iniziative e correnti negli studi di storia del movimento operaio 1945-1962, in Il movimento operaio e
socialista. Bilancio storiografico e problemi storici. Atti del Convegno di Firenze 18-20 gennaio 1963, Edizioni
Avanti!, Milano 1965, p. 21.
9
Si veda M. Pelli, Gianni Bosio e Movimento operaio: la ricerca storica ai tempi della guerra fredda, Il de
Martino, n. 19-20, 2009, p. 14.
10
G. Bosio, Giornale di un organizzatore di cultura, cit., p. 96.
Cesare Bermani
426
mosi o meno, hanno dato alla causa operaia, con fermezza e competenza quanto a loro
era richiesto dalle circostanze e dalle necessit, e queste memorie la rivista ritiene im-
portanti quanto le altre. Non forse egualmente importante conoscere le decisioni del-
la direzione di un partito operaio, e la storia della formazione della coscienza di classe
in una data zona, attraverso, per esempio, il nascere delle prime leghe di resistenza? In
una prospettiva storica sono dei fatti altrettanto importanti nella lotta per lemancipa-
zione della classe operaia
11
.
Era questo un primo esplicito invito a superare la contrapposizione tra grande sto-
ria e piccola storia, ideologia generata dalla suddivisione della societ in classi. Anche
per questo Bosio rifiutava di avere una redazione della rivista meramente tecnico-scien-
tifica ma considerava che essa dovesse inglobare anche militanti e dirigenti provenienti
dallesperienza del socialismo prefascista e valutare attentamente anche come si doves-
sero porgere al pubblico i risultati tecnico-scientifici.
Nel comitato promotore della rivista troviamo cos appaiati Felice Anzi, Lelio Bas-
so, Gianni Bosio, Renato Carli-Ballola, Luigi Dal Pane, Giuseppe Del Bo, Mario Man-
tovani, Guido Mazzali, Alceo Negri, Rinaldo Rigola, Giulio Trevisani. Poi, con il nume-
ro 5-6 del febbraio-marzo 1950 la redazione, con lintento di smussare le rigide paratie
partitiche di quegli anni, si allarg ai comunisti, finendo per abbracciare i maggiori rap-
presentanti della storiografia di sinistra di quegli anni. Cos il nuovo comitato di reda-
zione sar composto da Franco Catalano, Elio Conti, Luigi Dal Pane, Giuseppe Del Bo,
Franco Della Peruta (condirettore dalla fine dellanno), Antonio Lucarelli, Gastone Ma-
nacorda, Giovanni Pirelli, Ernesto Ragionieri, Aldo Raimondi (sostituito nellestate da
Matteo Gaudioso) e Renato Zangheri. Segretaria di redazione sin dal primo numero del-
la rivista Gioietta Dall.
Limpronta della direzione culturale di Bosio, avverso alle involuzioni burocratiche
del marxismo, mosso da uno spiccato interesse per le forme embrionali di autonomia e
di controllo operaio e attento alle espressioni di creativit politica e sociale, fu partico-
larmente evidente nella prima serie della rivista, tra il 1949 e il 1951, molto significativa
anche sotto il profilo dellapporto delle conoscenze documentarie
12
.
In questa fase della rivista Bosio pubblic Carlo Cafiero dal soggiorno di Locarno al
manicomio di San Bonifacio e Carlo Cafiero nei manicomi di Firenze e Imola attraverso
le carte personali inerenti e le cartelle cliniche, delle lettere di Osvaldo Gnocchi Viani ad
Andrea Costa, il carteggio tra Luigi Musini e Andrea Costa, le memorie di Nullo Baldi-
ni sui braccianti ravennati ad Ostia (su lAvanti! far uscire a puntate unaltra memo-
ria di Baldini: Come e quando fu costituita la Federazione delle Cooperative della Provin-
cia di Ravenna, sua azione dal 1900 al 1922), alcune lettere di Emilio Kerbs ad Andrea
Costa, altre di Francesco Pezzi ad Andrea Costa e ad Anna Kuliscioff, dieci lettere di
Antonio Labriola sul Congresso internazionale socialista di Londra del 1896, il saggio
Per una storia dellestetica materialista: Giuseppe Pecchio, il carteggio tra Claudio Zirar-
dini e Andrea Costa, inoltre cura con Pier Carlo Masini una bibliografia generale degli
11
Lettera di Gianni Bosio ad Angelo Sorgoni, copia carbone di lettera manoscritta datata Milano, 28/7/1952
in Fondo Bosio, Biblioteca Comunale di Mantova, 325, 85, corrispondenza R-Z.
12
M.L. Betri, op. cit., p. 347.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
427
scritti di Carlo Cafiero. Inizia la pubblicazione dei Sunti degli Atti dei Congressi Genera-
li delle Societ Operaie dello Stato (Piemontese) che riuscir per a completare soltanto
nel 1965 nella collana Strumenti di Lavoro/Archivi del movimento operaio delle Edi-
zioni del Gallo
13
, che credo Bosio concepisse come una sorta di proseguimento del suo
Movimento operaio e la pubblicazione delle sei puntate del Carteggio da e per lIta-
lia (1871-1895) di Marx ed Engels.
una parte della sua tesi di laurea, che ripubblicher nel 1955 come Scritti italiani
inaugurando la collana Sotto le bandiere del marxismo delle Edizioni Avanti!. Questi
scritti, sempre curati da lui, verranno poi nuovamente pubblicati da Samon e Savelli,
postumi, con laggiunta di unAppendice nella quale Bosio ripubblica anche La diffusio-
ne degli scritti di Marx e di Engels in Italia dal 1871 al 1892, altro capitolo della sua tesi
di laurea gi pubblicato in due puntate su Societ nel 1951 e La fama di Marx in Italia
(1871-1883), apparso lo stesso anno su Movimento operaio. Negli ultimi anni di vita
Bosio avrebbe espresso a pi riprese il desiderio di trasferirsi ad Acquanegra, suo pae-
se natale, per concludere le sue ricerche sulla penetrazione del marxismo in Italia, ma la
morte improvvisa non glielo permise.
Nel 1952 la Biblioteca Feltrinelli, alla cui fondazione e formazione nella sede milane-
se di via Scarlatti 5 Bosio ha dato un apporto rilevante, assume lonere della pubblicazio-
ne della rivista. Franco Ferri, allora direttore della Biblioteca, ha infatti caldeggiato lac-
quisto della testata per volere del Partito comunista, desideroso di imbrigliare un lavoro
storiografico le cui direttrici fuoriescono dalla linea politica che si tracciato. Con il nu-
mero di gennaio-febbraio la rivista assume quindi una nuova veste tipografica, grazie
allimpaginazione di Albe Steiner, e un pi ampio respiro. Entrano nella redazione Do-
menico Demarco, Alessandro Galante Garrone, Armando Saitta, Franco Venturi. Di-
rettore e condirettore sono sempre rispettivamente Gianni Bosio e Franco Della Peruta,
mentre, nella segreteria di redazione, a Gioietta Dall si aggiunge Franca Rigamonti.
Sul numero di gennaio-febbraio Bosio pubblica, assieme a Pier Carlo Masini, Baku-
nin, Garibaldi e gli affari slavi (1862-1863); poi si occupa di mettere a punto il numero di
marzo-aprile, interamente dedicato ad Andrea Costa, pubblicandovi scritti suoi o in col-
laborazione con altri: Materiali pubblicati del Fondo Costa e Le celebrazioni costiane;
Andrea Costa e la vita politica imolese (1871-1874). Documenti dellArchivio di Stato di
Bologna e La svolta di Andrea Costa con documenti sul soggiorno in Francia (con Fran-
co Della Peruta); Scritti e discorsi su Andrea Costa (19 gennaio 1910-1951) (con Amedeo
Tabanelli). Collabora inoltre alla messa a punto della Cronologia della vita di Andrea Co-
sta di Lilla Lipparini e alla bibliografia degli scritti di Andrea Costa.
Come si detto, Movimento operaio, dato lindirizzo impressogli da Bosio, si era
posto sulla via dello studio del movimento socialista e operaio, documentato con siste-
matiche, scrupolose e dettagliate ricerche dirette, dal momento che a Bosio interessava-
no le vicende della classe, il che, a suo avviso, era fondamentale per ricostruire la storia
del marxismo in Italia. Questo per non era in linea con la politica di unit nazionale dei
comunisti, per la quale
13
Cos si chiamarono le Edizioni Avanti! dal 25 dicembre 1964, dopo il distacco anche formale dal Partito
socialista italiano.
Cesare Bermani
428
le vicende della classe nel presente e nel passato diventano meno importanti della sua collo-
cazione internazionale. Quel filologismo a cui Movimento operaio era attaccato (...) si oppo-
neva, contrastava, infastidiva quella visione generale, in cui la collocazione internazionale del
movimento operaio italiano diventava pi producente della ricerca della possibilit di una sua
affermazione autonoma. Infatti il filologismo impediva la critica indiscriminata al vecchio
movimento socialista; i conti con i fatti, che il filologismo imponeva alla filosofia idealistica, li
imponeva tal quali alla storiografia comunista (...). Il filologismo sarebbe arrivato a scavare nel
campo della storia reale del movimento comunista. Ai miti avrebbe sostituito la realt: di qui il
fastidio per il filologismo
14
. Inoltre i comunisti chiedevano meno interesse per le vicende ide-
ologiche o reali del socialismo, meno interesse per lanarchismo; (...) e pi interesse per coloro
che idealmente potrebbero oggi essere degli alleati. Nel quadro della politica di unit naziona-
le, le vicende della sinistra risorgimentale sono direttamente connesse alla politica comunista
contro lattuale classe dirigente e servono quindi a provare la continuit storica, nazionale,
risorgimentale del PCI, pi di quanto non servano le vicende storiche del movimento operaio
nel momento egemonico anarchico e socialista
15
.
Per Bosio invece si trattava di ricercare il prodursi autonomo della organizzazione ope-
raia e della teoria che laccompagna e pu determinarla. Di qui il suo grande interesse
storico e politico per le molteplici forme di strumentazione organizzativa che il movi-
mento proletario si era dato nel corso della sua storia:
La classe operaia opera, costruisce, si organizza, pensa e si esprime in maniera propria. La sto-
ria dei suoi atti interni, delle sue organizzazioni, delle sue manifestazioni, materia di ricerca
e di analisi, argomento appunto di storia, ma di una storia viva e che fa vivere e quasi valica
i propri confini per diventare politica, cio linfa per nuova storia. La pi tipica di queste ma-
nifestazioni originali della classe operaia lorganizzazione, cio la strumentazione delloffesa
e della difesa del movimento proletario. Si pensi alla vita interna di una sezione dellInterna-
zionale e del Partito operaio, al sorgere spontaneo di una Lega di resistenza, si pensi cio a
questo processo di creativit spontanea che si verifica permanentemente nella vita della classe
operaia; e allora lo studio della formazione di questi strumenti sulla cresta o nellincastro di
una esigenza obiettiva diventa un punto di riferimento costante della politica in atto di un
partito marxista che deve trovare il punto dellequilibrio tra le componenti di quello che oggi
si chiama centralismo-democratico (basso-alto; centro-periferia) ecc. Le implicazioni politiche
che derivano dallo studio della vita interna del movimento operaio, nel periodo in cui fu rela-
tivamente spontaneo (1870-1921), sono evidenti, ma anche evidenti diventano le implicazioni
storiografche. Si esamini Movimento operaio e si esaminino gli scritti degli oppositori: non
rientra negli interessi delle loro ricerche e, soprattutto, non rientra nei loro interessi politici e
ideologici un aspetto fondamentalmente nuovo che offre la storia del movimento operaio
solo perch, nellambito delle preoccupazioni accademiche, il nuovo del mondo nuovo diven-
ta subalterno, non diventa grande storia
16
.
Lo studio della formazione di questi strumenti organizzativi sulla cresta o nellinca-
stro di unesigenza obiettiva era infatti gi una messa in discussione del binomio par-
14
G. Bosio, Giornale di un organizzatore di cultura, cit., p. 92.
15
Ibid., p. 95.
16
Ibid., pp. 105-106.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
429
tito-sindacato secondinternazionalista e del feticismo terzinternazionalista e stalinista
dellorganizzazione di un Partito che veniva calata dallalto, che doveva essere dovunque
identica, che spegneva qualunque creativit organizzativa. Lindirizzo che Bosio aveva
impresso a Movimento operaio riportava quindi alla discussione un variegato mondo
teorico aderente al movimento reale che lo stalinismo pensava di avere definitivamente
spazzato via e per esso poteva rappresentare una pericolosa indicazione per nuove for-
me aggregative nel presente.
Per questo nella primavera del 1953 Bosio sar estromesso da Movimento operaio
da un giorno allaltro, assieme ai suoi collaboratori, per una decisione delleditore Gian-
giacomo Feltrinelli, allora militante comunista, in accordo con la Commissione cultu-
rale del PCI. Quellestromissione che avviene con il n. 2 della rivista del marzo-aprile
1953 venne motivata con un metodo di denigrazione personale allora consueto nel-
la vita degli apparati, cio accusandolo di avere sparlato della moglie delleditore. Nel
PSI dove allora dominavano gli unitari, fautori di una sudditanza ideologica al Par-
tito-guida lunico dirigente di rilievo che gli espresse solidariet fu Raniero Panzieri.
Con Gaetano Arf e Giovanni Pirelli si incontr dapprima con Rodolfo Morandi, che
disse di conoscere abbastanza bene Togliatti per sapere che sarebbe stato irremovibile
e che lestromissione di Bosio andava considerata un prezzo da pagare alla politica uni-
taria tra PSI e PCI. Si rifiut quindi di intervenire direttamente ma autorizz Panzieri a
fare un passo ufficiale.
I tre si recarono alle Botteghe Oscure, ricevuti da Carlo Salinari, pari grado di
Panzieri nella politica culturale, che parl a lungo sulla efficacia di rintracciare nella bio-
grafia di un militante le origini delle sue deviazioni presenti, con allusione ai trascorsi
bassiani e luxemburghiani di Bosio. E disse che bisognava rendersi conto che la rivista
era spontaneistica e metteva in discussione la funzione di guida del partito di classe,
essendo quindi destinata a sfociare nel corporativismo operaistico e nel settarismo
frazionistico. Malgrado la posizione della Commissione culturale del PCI, Panzieri riu-
sc tuttavia a strappare un compromesso secondo il quale Bosio avrebbe conservato il
posto di direttore con un indirizzo storiografico mutato, ma Bosio non accett: avrebbe
dovuto non solo gestire una linea storiografica che non condivideva ma anche come
scrisse subire misure di controllo politico-familiare sulla sua direzione, che leditore,
Mario Alicata e Ambrogio Donini pretendevano, per diffidenza nei suoi confronti.
Bosio aveva preparato, accomiatandosi dalla rivista, una sorta di rendiconto del suo
operato:
Con il numero 2 dellannata in corso terminata la mia collaborazione a Movimento ope-
raio. Dalla nascita della rivista sono cos passati quasi quattro anni: pochi per consentire un
giudizio definitivo, ma sufficienti per misurare gli intenti con i risultati. Apparsa in forma
modesta, la rivista si venuta sviluppando seguendo lobiettivo che laveva determinata e la
muoveva: dare al movimento democratico e alla classe operaia, che in questo dopoguerra si
venuta affermando come movimento egemonico nazionale, uno strumento che aiutasse a
rendere chiare le ragioni di questo sviluppo, a prendere coscienza della strada percorsa, a
ritrovare nella storia delle lotte passate e delle conquiste del movimento di classe i motivi del
suo ulteriore sviluppo e le premesse per la costruzione di una nuova societ. La situazione
in cui nasceva la rivista e gli obbiettivi che a questa situazione corrispondevano portavano a
impostare questi studi in maniera diversa da come era avvenuto per il passato dove (e sono
Cesare Bermani
430
poche le eccezioni) la pseudostoria, di ispirazione apologetica e autobiografica, si accompa-
gnava alle costruzioni simboliche da servire alle pi diverse giustificazioni, o alle costruzioni
sociologiche; dove ancora la storiografia etico-politica sostituiva alla storia reale il senso della
storia, snaturando per fini pratici la verit stessa dei fatti. Alle condizioni di questi studi si
accompagnava lo stato delle fonti, disperso e rarefatto, per effetto del fascismo e della guerra
ed ancora per effetto del disinteresse della cultura ufficiale e accademica verso questi studi e
queste fonti considerate come espressione di un movimento minore e di minor valore. Di qui
la necessit di reperire e inventariare per consentire la possibilit della documentazione, per
dilatare e approfondire la tematica storica e renderla, nella misura del possibile, proporzionata
alleffettivo valore e allimportanza della vita e dello sviluppo del movimento operaio. Incerta
e faticosa agli inizi, la vita della rivista venuta mano a mano prendendo vigore ed riuscita ad
affinare i suoi strumenti e a presentare alcuni primi contributi storiografici di un certo valore,
grazie allinteresse che ad essa veniva portando un gruppo sempre pi numeroso e qualificato
di collaboratori. Ed anche in questo sta gran parte del merito della rivista: essere riuscita a di-
ventare uno strumento di organizzazione, di stimolo e di indirizzo degli studi, essere riuscita a
mobilitare in modo duraturo una grande quantit di forze giovani; aver pianificato le ricerche
e i metodi delle ricerche, e reso possibile, in poco tempo, la costituzione di quadri e di stru-
menti culturali che hanno fatto progredire a grandi passi un movimento di studi sorto in epoca
recentissima e in forma modesta. La rivista ha cos potuto svilupparsi risolvendo in parte le
difficolt e per buona parte creando le condizioni della loro risoluzione che esistevano
allinizio di questi studi, e avvicinandosi cos agli obbiettivi che si era proposta. E se il crescere
spesso sintomo di buona costituzione e fattura, il crescere e laffermarsi di Movimento ope-
raio pu essere assunto come riprova della corrispondenza fra le esigenze e lapporto della
rivista. La strada percorsa non per minore di quella che Movimento operaio ha ancora da
percorrere; e non sarei sincero se lasciando la rivista non dichiarassi di provare il rammarico di
non averla potuta condurre pi innanzi: ma non sempre gli impedimenti che si frappongono
sono di natura ragionevole, tali da consentire di poter essere superati; e nella nostra societ
le cose futili e irragionevoli possono ancora avere lo stesso peso, o anche maggior peso, di
quelle che non lo sono. Congedandomi da Movimento operaio il mio ringraziamento va a
tutti coloro che hanno contribuito a rendere possibile la nascita e laffermazione della rivista:
agli abbonati, ai lettori, ai collaboratori, a coloro che hanno agevolato e aiutato le ricerche.
Ai membri del Comitato di Redazione un ringraziamento particolare per laiuto recato alla
rivista, della quale sono stati per gran parte artefici, ed infine per avere voluto esprimere, con
lordine del giorno votato nella riunione del Comitato di Redazione tenutasi dopo luscita del
numero 3/1953 della rivista, il loro plauso unanime allopera mia di direttore, riaffermandomi,
la loro fiducia, la loro stima, la loro amicizia
17
.
Sullo scontro politico, restato implicito, Bosio avrebbe poi notato:
Se si confronta linteresse che muoveva i compagni comunisti verso la rivista e linteresse dei
compagni socialisti (della corrente di Quarto Stato, di coloro che credevano nella funzio-
ne del PSI) si deve convenire che le finalit erano opposte. Di qui innanzi si pu procedere
nel confronto tra il piano storiografico e il piano politico generale. Mentre per i comunisti la
politica di unit nazionale era la politica rivoluzionaria della classe operaia in quel momento
(di qui linteresse alla sinistra democratica del Risorgimento: una politica giusta con uno stru-
mento sbagliato), per i socialisti (di Quarto Stato) la politica nazionale era il contrario della
17
Conservata nel Fondo Gianni Bosio, Mantova, fascicolo 333, 89.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
431
politica rivoluzionaria e la tradizione socialista era un pezzo avanti alla sinistra democratica
risorgimentale. (...) Ognuna delle parti, dal punto di vista delle esigenze della propria politica,
era nel giusto
18
.
La linea comunista andava verso forme di storiografia idealista, quella di Bosio verso
il marxismo dal basso: il 10 luglio Bosio veniva licenziato sebbene ancora la met dei
membri del comitato di redazione prendesse le sue difese, mentre Delio Cantimori in lu-
glio e Gaetano Arf in novembre avrebbero declinato linvito di Feltrinelli a sostituirlo
19
.
Bosio aveva tra laltro pensato e avviato sin dal giugno 1950 una Bibliografia della stam-
pa operaia e socialista. Essa apparve a cura della Biblioteca Feltrinelli come Bibliografia
della stampa periodica e socialista italiana (1860-1926), ma limitata ai soli giornali di Mi-
lano e Messina, perch con lestromissione di Bosio il lavoro si interruppe, e a riprova
della durezza dello scontro la bibliografia venne pubblicata senza la sua firma, nono-
stante la sua esplicita richiesta
20
.
Eliminato Bosio, segu il drastico mutamento dellindirizzo della rivista, ormai in li-
nea con lorientamento caldeggiato in quegli anni da Palmiro Togliatti. Questo per la
rivista signific labbandono della ricerca organizzata fin l condotta, la fine di unac-
cumulazione di cultura operaia basata sullincremento delle ricerche locali e su unor-
ganizzazione delle fonti che andasse oltre la storia dei gruppi dirigenti per considerare
la storia stessa delle organizzazioni come un aspetto della pi ampia storia sociale della
classe. Significativamente alla fine del 1956 venne chiusa.
Gi qualche mese prima della rottura con Feltrinelli, Bosio e un ristretto gruppo di
compagni di partito avevano pensato di ridare vita in modo organico alle Edizioni Avan-
ti!, riallacciandosi allattivit svolta dalla casa editrice socialista dal 1910 al 1926, quan-
do era stata uno strumento importante della diffusione del marxismo in Italia avendo ri-
preso la pubblicazione delle opere di Marx, Engels e Lassalle curate da Ettore Ciccotti
e gi pubblicate a partire dalla fine del secolo da Luigi Mongini.
Il progetto scriver Bosio due anni dopo nato nel momento di massima espan-
sione del gruppo socialista presso la Biblioteca Feltrinelli, cominci a camminare quan-
do ebbero inizio le ostilit di Feltrinelli e soci. Si trattava di non disperdere forze e ener-
gie politicamente e metodologicamente omogenee, le uniche che, in campo culturale,
esistessero nel PSI, portando lattivit culturale allinterno del Partito, mentre con Movi-
mento operaio restava ai margini o, meglio, era situata nel mezzo della classe. Importan-
te diventava loperazione di inserimento in un punto vitale, anche se questo doveva pre-
supporre la costruzione di una piattaforma culturale e politica diluita e apparentemente
generica. Limportante era inserirsi, avere uninvestitura e conservare almeno la libert
dal conformismo
21
. Liniziativa, offerta dal gruppo redazionale alla Direzione del PSI,
venne per guardata con diffidenza e alfine accettata con non poche difficolt. Sar que-
sta lunica attivit autonoma e di un certo respiro nata in ambito socialista, caratterizzata
18
G. Bosio, Giornale di un organizzatore di cultura, cit., p. 96.
19
Cfr. M. Pelli, op. cit., p. 18.
20
Gianni Bosio a Franco Ferri, Milano, 28/11/1953 in Fondo Bosio, Biblioteca Comunale di Mantova, 323,
85, corrispondenza F-L.
21
G. Bosio, Giornale di un organizzatore di cultura, cit., p. 81.
Cesare Bermani
432
dallapertura verso le pi diverse esperienze di classe e dallampio spazio dato alle voci
di base, al di fuori di bigottismi e di aprioristiche chiusure di partito. Lannuncio della
ripresa delle Edizioni Avanti! venne dato dallAvanti! il 1 ottobre 1953.
Decollava cos un tentativo tollerato, ma riuscito, di non inaridire i problemi, di non
stringerli in morse ideologiche troppo strette, di presentarli a un pubblico a mentalit e a
interessi non identici ma affini, allargando la possibilit di travalicare il nostro pubblico
tradizionale
22
. Tuttavia non si perdeva di vista n la storia del movimento operaio nelle
sue varie componenti n quella del marxismo. La casa editrice pubblicher cos per pri-
ma in Italia, nel 1961, La guerra per bande di Ernesto Che Guevara, tenter di portare
avanti una storia completa e popolare del movimento operaio italiano dal punto di vista
marxista (della quale per appariranno solo 8 monografie) e nella collana Sotto le ban-
diere del marxismo, far uscire gli Scritti scelti di Rosa Luxemburg, gli Annali Franco-
Tedeschi; gli atti ufficiali della Federazione Italiana dellAssociazione Internazionale dei
lavoratori (1871-1880), gli atti, documenti e congressi dal 1906 al 1928 della Confedera-
zione generale del lavoro, gli scritti di Pietro Nenni sulla Spagna e sul fascismo e il reso-
conto stenografico del XVII congresso nazionale del PSI (Livorno, 15-20 gennaio 1921).
Negli Strumenti di lavoro/archivi del movimento operaio, Alfonso Leonetti, Michele
Salerno e Renzo De Felice scaveranno allinterno della storia reale del movimento comu-
nista, con contributi sulla confederazione generale clandestina, lopposizione nel PCdI
alla svolta del 1930 e il primo anno di vita del PCdI; mentre Gianni Bosio e Pier Carlo
Masini pubblicheranno rispettivamente La rivoluzione per la rivoluzione di Carlo Cafie-
ro e Carte della Commissione di Corrispondenza dallArchivio della Federazione Italiana
dellAssociazione Internazionale dei Lavoratori (1872-1874). Assai importante fu anche
la pubblicazione del testo stenografico integrale del Consiglio nazionale del PSI, tenuto-
si a Milano nellaprile 1920. Negli Strumenti di lavoro avrebbe dovuto uscire anche
uno dei lavori pi importanti di Bosio, poi pubblicato da Samon e Savelli, cio LOc-
cupazione delle fabbriche e i gruppi dirigenti e di pressione del movimento operaio
2
, steso
nel 1970, scritto a introduzione e chiarimento dei cosiddetti verbali delle riunioni degli
Stati generali del movimento operaio convocati nei primi giorni di settembre 1920 per
determinare lindirizzo a proposito delloccupazione delle fabbriche che, anche se non
ne fa esplicito riferimento, ha per modello Nascita e avvento del fascismo di Angelo Ta-
sca, dal momento che fa un uso delle fonti orali assai simile e sia Tasca che Bosio aveva-
no progettato unautonoma pubblicazione delle fonti orali raccolte per i rispettivi lavo-
ri, da entrambi poi non realizzata.
Unapposita collana, La condizione operaia in Italia (titolo ispirato dallopera di
Simone Weil), far conoscere la nuova fabbrica, la vita degli organismi sindacali, la vita
di base dei partiti operai, la situazione dei lavoratori. Inoltre appariranno presso le Edi-
zioni Avanti! anche i primi tre numeri di Quaderni rossi 1961-1963 e lunico numero
uscito di Cronache dei Quaderni Rossi (settembre 1962).
Nel 1956 Bosio, che dopo la sconfitta del Fronte si era dedicato meno attivamente
che per il passato alla politica diretta nel Partito socialista, era tornato a militarvi assi-
duamente perch riteneva che la situazione apertasi dopo il XX Congresso del PCUS (14-
22
Ibid., p. 157.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
433
25 febbraio 1956) avrebbe potuto permettere una rifondazione rivoluzionaria delle or-
ganizzazioni del movimento operaio internazionale e aveva adombrato in prospettiva la
possibile unificazione di PCI e PSI, ma ritenendo indispensabile che questultimo giun-
gesse alla possibile unificazione profondamente rinnovato. Del morandismo criticava
soprattutto il suo vivere in unazione di vertice non collegata alla base ed era preoccu-
pato per lassenza di forza e di consenso organizzativo della base del PSI rispetto ai ver-
tici. Richiedeva quindi unaltra organizzazione, non burocratica, che pensava in termi-
ni di superamento della II e della III Internazionale, come scriver sullAvanti! dell8
ottobre 1957, secondo una linea n mediana n conciliativa tra socialdemocrazia e co-
munismo.
Quello apertosi dopo il XX Congresso del PCUS era un dibattito politico e culturale
che, nella concezione unitaria di Bosio, investiva tutta larea della rappresentanza politi-
ca della classe. E, in vista del 32 Congresso nazionale del PSI, si era dato da fare per una
vittoria congressuale delle sinistre ed era stato lui il vero creatore della corrente bassia-
na. Bosio in quel momento era tra i pi impegnati nella lotta contro la destra del PSI e si
prodigava per unalleanza di tutte le sinistre del partito (i bassiani, i morandiani e i cosi-
detti carristi, cio coloro che avevano approvato lintervento dei carri armati sovieti-
ci in Ungheria nel novembre 1956). Ma alla vigilia del Congresso di Venezia, che si ten-
ne poi dal 6 al 10 febbraio 1957, Basso, in una riunione di corrente nella propria casa,
si disse daccordo per lalleanza con i morandiani ma non con i carristi, posizione che
avrebbe reso impossibile la vittoria delle sinistre. Bosio si arrabbi a tal punto che da
quel momento si disinteress del lavoro di partito, e non dimise questo atteggiamento
neanche dopo che Basso modific la sua posizione e le sinistre conquistarono la mag-
gioranza al Congresso.
Continu invece a dare un grande contributo di discussione teorica curando tra il 12
marzo 1957 e il 12 febbraio 1958 la rubrica Vetrina del movimento operaio, poi tra-
sformatasi in Questioni del socialismo, sulla terza pagina dellAvanti!. Sorta di ri-
vista nel giornale per la quale scriveranno Sergio Caprioglio, Ludovico Tulli, Raniero
Panzieri, Luciano Della Mea, Lucio Libertini, Danilo Montaldi, Luciano Amodio, Ful-
vio Papi, Arialdo Banfi, Luciano Cafagna, Roberto Guiducci, Lelio Basso, Giorgio Lau-
zi, Pier Carlo Masini, Esther Fano questa rubrica affront gli argomenti pi vivi emersi
dal dibattito seguito alla destalinizzazione in un modo problematico e legato allattuali-
t, non trascurando di riaprire la discussione su vicende della storia del movimento ope-
raio e aspetti teorici collegati che potevano essere utili ad affrontare i problemi del pre-
sente. Di Bosio sono in quella rubrica una serie di importanti recensioni: Ideologia e
socialismo (12 marzo), Intorno a Gramsci (26 marzo), La societ futura (9 aprile), Sociali-
smo polacco (3 maggio), Movimento socialista in Italia dalle origini al 1921 (14 maggio),
La via jugoslava (28 maggio), Una crisi politica (26 giugno), Internazionalismo socialista
(23 luglio), Mao e le contraddizioni nel popolo (7 agosto), Rosa Luxemburg e la rivolu-
zione russa (27 agosto), Il Plenum storico del Partito Unificato Polacco (18 settembre),
Rodolfo Morandi e la via italiana (8 ottobre), Studi mondolfiani (22 ottobre)
23
.
23
Questi scritti usciranno su Il Labriola del gennaio-febbraio 1960, con il titolo Un contributo alla via
italiana al socialismo, preceduti da una nota di Luciano Della Mea, pubblicati a cura dellautore con laggiunta
Cesare Bermani
434
Un discorso a s merita Il trattore ad Acquanegra uscito postumo e incompiuto
nel 1981
24
cui Bosio cominci a pensare alla fine degli anni Cinquanta e a lavorare dal
1960, perch voleva rappresentare la sua risposta alle polemiche apertesi su Movimen-
to operaio dopo la sua estromissione dalla direzione della rivista, risposta gi in qual-
che modo preannunciata nelle pagine del diario del 1955, dove Bosio aveva sostenuto
che occorreva in primo luogo ancorarsi a una concezione storiografica e applicarla
25
:
Lobiettivo dei giovani storici di sinistra scriveva non pu essere quello di compila-
re la nuova storia dItalia o dEuropa o letteraria o artistica, ma quello di impadronirsi,
applicare una concezione, una metodologia storiografica. (...) I giovani storici che si ri-
chiamano al marxismo debbono semplicemente passare o dal fatto alla sua illuminazio-
ne critica secondo la concezione appunto materialistica della storia o dal descrittivismo
saggistico, che obbedisce a una circolare di Partito, allapplicazione integrale di una con-
cezione storiografica che nessuno osa nemmeno nominare
26
.
Cosa, meglio di una monografia sulle trasformazioni avvenute dallUnit alloggi ad
Acquanegra sul Chiese, il suo paese, gli avrebbe permesso di saggiare la validit di una
metodologia che richiedeva la necessit di un rapporto costante e continuo con la storia
economica, levoluzione della tecnica, la trasformazione delle strutture
27
; di sottoporre
a verifica che le questioni di metodo, nel campo degli studi storici e, in particolare, nel
campo degli studi storici sul movimento operaio, rimandano senza appello alle questioni
di struttura, alla storia del capitalismo nel nostro paese, al variare lento delle strutture in
una giustapposizione di questioni rigorosamente economiche, politiche e giuridiche
28
;
di dimostrare che non si fa n si far storia corretta che non sia globale?
29
La ricerca su Acquanegra era anche laccoglimento di un suggerimento di Nello Ros-
selli che nel 1937 aveva notato come bellissimo tema in particolare sarebbe la storia di
un piccolo centro provinciale che abbia sentito, per tempo, linfluenza o il contraccol-
po della propaganda socialistica (...). La storia di dieci o dodici paesi di provincia, a eco-
nomia agraria o industriale o marittima, del Nord, del Centro o del Sud, di pianura o di
montagna, questa storia, narrata su fonti autentiche, con scrupolo di verit, senza inten-
zioni di rivendicazione, non ci fornirebbe forse un materiale prezioso per la pi grande
storia dItalia negli ultimi tre o quattro decenni del secolo passato?
30
.
Quella ricerca era anche quanto ci voleva per tentare di fare storiografia marxista attra-
di una lettera di Rosa Luxemburg apparsa, il 15 maggio 1911, sul giornale romano della frazione rivoluzio-
naria del PSI Soffitta. Sono ora ripubblicati in C. Bermani (a cura di), Bosio oggi: rilettura di unesperienza,
Provincia di Mantova Casa del Mantegna Biblioteca Archivio Istituto Ernesto de Martino, Mantova
1986, pp. 183-220.
24
G. Bosio, Il trattore ad Acquanegra. Piccola e grande storia in una comunit contadina, Cesare Bermani (a
cura di), De Donato, Bari 1981, pp. LIII-284.
25
Id., Giornale di un organizzatore di cultura, cit., p. 113.
26
Ibid., p. 101.
27
Ibid., p. 86.
28
Ibid., p. 104.
29
Ibid., p. 98.
30
N. Rosselli, Di una storia da scrivere e di un libro recente, Rivista storica italiana, 31 marzo 1937, I, pp.
98-86. Poi in Id., Saggi sul Risorgimento e altri scritti, Einaudi, Torino 1946, pp. 397-398.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
435
verso la ricerca metodica, lo spirito critico, cio opponendo il fare, la produzione, alla
polemica, allintenzione
31
.
Di una prima rilevazione di testimonianze orali da parte di Bosio ad Acquanegra ci
informa lAvanti! del 15 agosto 1959
32
. Un primo capitolo del libro cui aveva preso a
lavorare, La belle poque di Acquanegra sul Chiese, venne anticipato su Movimento
operaio e socialista dellaprile-giugno 1962, accompagnato da una nota esplicativa su-
gli intendimenti e i problemi suscitati da quella ricerca:
Il presente saggio un capitolo di un volume non ancora compiuto, dal titolo Il trattore ad
Acquanegra dedicato allanalisi delle trasformazioni strutturali in agricoltura dallunit dltalia
ad oggi, alla storia, non meccanica, delle variazioni politiche che intervengono e alla descri-
zione del mutare corrispondente dei mezzi di comunicazione collettivi e di massa. La storia
di questo paese, a livello dei mezzi di comunicazione collettivi e di massa, il centro della
ricerca, che trova ovviamente spiegazione nella mutazione delle proprie strutture. Lo stato
di incompiutezza della ricerca nel suo complesso ha favorito, nel capitolo dedicato alla belle
poque, cio al periodo del riformismo comunalistico, una incompletezza e una incertezza nei
giudizi che potranno precisarsi e variare alla fine della ricerca. Il fine specifico della ricerca, a
livello sovrastrutturale, ha imposto di valorizzare un particolare tipo di fonte, quello cio della
tradizione orale, allineato allo stesso grado di importanza e di attendibilit delle consuete fonti
storiografiche. (...) Il panorama apparentemente acritico delle fonti richiederebbe un lungo
discorso giustificativo: baster dichiarare che laccettazione di una versione orale tradizionale,
diversa da una versione corretta filologicamente sulla base delle fonti ufficiali (le quali a loro
volta ripropongono la questione circa la loro obiettivit), molto spesso voluta e molto spesso
preferita in relazione al valore che la testimonianza assume quale tipica espressione di elabo-
razione culturale collettiva o di massa; la discussione su queste affermazioni porterebbe molto
lontano, a un discorso complesso sulluso delle fonti che il libro, nella sua compiutezza, per
indiretto, spera di risolvere e rendere accettabile
33
.
Lassunto della ricerca porta sin dallinizio Bosio a utilizzare le testimonianze dirette con
una spregiudicatezza inconsueta per quel tempo, e ci anche se esse vengono ancora
appuntate e non registrate, se il testimone viene sollecitato come un depositario di me-
morie storiche, sorta di archivio vivente, e non in modo globale. La ricerca non inve-
ste cio ancora tutta la vita e tutta la cultura del testimone, anche perch Bosio lungi
dallaver in quel momento acquisito che tutti i momenti comportamentali del mon-
31
G. Bosio, Giornale di un organizzatore di cultura, cit., p. 132. Bosio era comunque critico sui risultati che
aveva raggiunto. Riteneva gli fosse mancata chiarezza definitoria, esemplificativa, storica, ideologica, del rap-
porto fra struttura e sovrastruttura, riscoperto, introdotto attraverso la lettura idealistica del marxismo filtrato
attraverso Labriola e Gramsci (G. Bosio, Fonti orali e storiografia, in Id., Lintellettuale rovesciato. Interventi e
ricerche sulla emergenza dinteresse verso le forme di espressione e di organizzazione spontanee nel mondo po-
polare e proletario (gennaio 1963-agosto 1971), C. Bermani (a cura di), Istituto Ernesto de Martino/Jaca Book,
Sesto Fiorentino-Milano 1998, pp. 263-265). Il titolo Lintellettuale rovesciato lantologia di scritti pi cono-
sciuta di Bosio credo sia stato ispirato dalla vita e dallazione di Afanasij Prokofevi/ S/apov (1830-1876), il
populista siberiano assertore delle forme spontanee della vita popolare, lo storico della loro vita interna. Fu
lui a creare quel filone del populismo che guardava al villaggio con lanimo di chi reverente ascolta e impara,
non di chi insegna e predica (F. Venturi, Il populismo russo, Einaudi, Torino 1952, volume I, p. 327).
32
In una risposta a un lettore dal titolo Come giudicano i socialisti lazione di Enrico Ferri?
33
Movimento operaio e socialista, VIII, n. 2, aprile-giugno 1962, pp. 111-112.
Cesare Bermani
436
do popolare sono egualmente importanti, e non solo i momenti ma anche le persone
34
.
Tuttavia ha gi chiaro che i racconti che raccoglie hanno spesso il valore di contro narra-
zioni opposte o comunque diverse dalle narrazioni delle classi dominanti.
Solo qualche mese dopo, allinizio del 63, Bosio inizier la sua riflessione anche sulle
forme di espressione spontanee del mondo popolare, cio sulle sue forme di consa-
pevolezza. Invece gi dallanno precedente si era mosso in direzione della funzionaliz-
zazione della ricerca folklorica alla storia, problematica teorica che Bosio viene ponen-
dosi in contrappunto al decollo e allo sviluppo delle ricerche sul campo condotte dal
Nuovo Canzoniere Italiano, esperienza nata dal seno delle Edizioni Avanti!.
lo stesso Bosio a sottolinearlo, non casualmente nella sua relazione su Iniziative e
correnti nello studio del movimento operaio 1945-1962 apparsa negli atti del Convegno
promosso da Mondo operaio per il 70 del Partito socialista italiano tenutosi a Firen-
ze dal 18 al 20 gennaio 1963:
Per curiosit culturale e per motivi professionali ho seguito in questi mesi lavvio di nuove
ricerche sul canto sociale italiano. I tempi, i modi e le forme adottate in questo settore di
studi non sono stati niente di diverso dai tempi e dai modi delle tecniche e delle ricerche o,
come si dice, della filologia. Per mezzo del reperimento dei materiali stato possibile indi-
viduare problemi di un certo valore metodologico ancora interni alla ricerca stessa e passare ad
alcune conclusioni provvisorie. Le ricerche, le scoperte in questa direzione hanno dato luogo
ad alcune considerazioni diverse da quelle sin qui acquisite, in relazione al fatto che larea
della ricerca precedente era prevalentemente rivolta alle regioni contadine del Sud, mentre
le ricerche attuali avvengono prevalentemente nelle regioni del Nord, contadine e industriali.
I materiali raccolti sono di diverso valore: i primi (quelli dellarea contadina) sono vestigia
dellautonoma civilt contadina, del periodo cio precapitalistico, questi ultimi sono materiali
in cui le vestigia dellautonoma civilt contadina, si mescolano e si rinnovano al servizio di una
classe che comprende ceti contadini e urbani nel periodo capitalistico. La recettivit di queste
produzioni sovrastrutturali quasi perfetta corrispondenza e verifica delle mutazioni obiettive
o del loro procedere lento, contraddittorio e perfino involutivo. Se tra il materiale del primo
filone il canto di protesta indiretto, subalterno, nel secondo la protesta esplicita, ferma,
sociale, anche se il canto sempre piegato a uninterpretazione personale. Confrontando lim-
postazione di queste ricerche con quelle precedentemente fatte da Ernesto de Martino (...)
ho notato che le accuse, fatte a de Martino per quanto riguarda il momento quantitativo della
ricerca, cio il momento filologico, erano uguali a quelle fatte allindirizzo di Movimento
operaio. Se ne difendeva il de Martino (...) rispondendo che ogni discussione in astratto sul-
la pertinenza storiografica delle tecniche [empiriche di ricerca] come tale , per definizione,
inconcludente. Ora, per continuare nelle non singolari coincidenze con la vicenda degli studi
su quello che viene comunemente e impropriamente chiamato folklore, mi riferir a un altro
tipo di polemica che si acceso attorno a questi studi, come introduzione allanalisi di un certo
tipo di deformazione di giudizio circa la posizione di Movimento operaio. La testimonianza
di Bla Bartk, uno studioso non del nostro ambiente, al quale, per, non capitavano cose
diverse quando respingeva la considerazione di inferiore in cui era tenuto il musicologo che
si fosse occupato del canto popolare. Scriveva Bla Bartk: Venti o venticinque anni fa, molti
si meravigliavano che musicisti preparati, perfino dei concertisti, si sobbarcassero la fatica e
il compito cos inferiore di raccogliere la musica della campagna. Che peccato commenta-
34
Da un intervento di Bosio al Primo anno culturale Chianciano, 24 settembre 1970.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
437
vano che un tale lavoro non sia lasciato a chi certamente non chiamato a missioni culturali
superiori! E non mancavano coloro che vedevano nella nostra tenace perseveranza addirit-
tura un segno di pericolosa pazzia
35
. Nulla di singolare per quanto accadeva a Bla Bartk:
si trattava di una definizione di classe, di antagonismo culturale di classe, che si riversava su
ci che era, a sua volta, antagonista. Singolare, ma forse solo in apparenza, il fatto che, nella
polemica su Movimento operaio, le distinzioni tra piccola storia e grande storia, cronaca e
sintesi, filologia e storia, inferiore e superiore, subalterno ed egemone avvenissero
allinterno della cultura di sinistra
36
.
Per Bosio sarebbe ben presto stato chiaro che il rapporto tra fonti orali e fonti scritte
come strumento di organizzazione di una frizione disciplinare si allarga[va] al rapporto
tra etnologia e storia. Il contrasto tra campo delletnologia e campo della storia e, allin-
terno della storia, tra storia vera e storia trapassata, e non storia cio piccola e presente,
una speciosa suddivisione derivata dallaccettazione della societ divisa in classi
37
.
Le ricerche sul canto sociale ponevano inoltre la questione di una definizione della
cultura del mondo popolare e Bosio nel suo impegno a liberare la classe da ogni tipo
di subalternit giungeva a negare lesistenza del folklore per affermare lesistenza di
una cultura di unaltra classe in tutte le implicazioni fenomenologiche
38
. Nel luglio 1969
avrebbe scritto:
Luomo folklorico la sola misura lecita per luomo contemporaneo e subalterno per parteci-
pare al festino della cultura politica della classe dominante. Si tratta della concezione tradizio-
nale e reazionaria del folklore che serve a rafforzare in Sardegna il potere coloniale dello Stato
italiano; si tratta dellunico modo di porsi di fronte allinterlocutore perch questo interlocu-
tore renda, generi in ogni senso profitto, dia ricchezza: alla lingua, allarte, ai poteri costituiti,
alla letteratura, alla musica, alla guerra, alle fabbriche. Luomo storico, luomo politico, luomo
della fabbrica e dei campi, viene semplicemente ignorato: i modi, i comportamenti, le forme
che ne provengono sono cronaca e non storia, grida di ubriachi e di scioperanti, urla incom-
poste di chi piange i suoi morti e non arte
39
.
Il lavoro di ricerca condotto dallIstituto de Martino sul canto sociale, apparentemente
cos settoriale, ha in realt esercitato unampia influenza sulla nostra cultura: non si li-
mitato infatti a organizzare un corpus di canti riguardanti la storia del nostro paese che
gi di per s cosa importante ma ha dato un repertorio di canti che si ben radicato
nella sinistra italiana a livello di massa, ha aperto la strada a un modo diverso di affron-
tare i problemi della conoscenza della cultura e della storia del movimento operaio ed
stato allorigine della nostra storia orale e delle correnti storiografiche aperte allan-
tropologia storica e alletnologia.
Bosio, che era tra laltro un attento studioso dei moti contadini padani dopo il 1880,
35
B. Bartk, Scritti sulla musica popolare, Einaudi, Torino 1955, p. 102.
36
G. Bosio, Iniziative e correnti negli studi, cit., pp. 23-25.
37
Id., Elogio del magnetofono. Chiarimento alle descrizioni dei materiali su nastro del Fondo Ida Pellegrini, in
Id., Lintellettuale rovesciato, cit., p. 159.
38
Cfr. Id., Alcune osservazioni sul canto sociale, in Id., Lintellettuale rovesciato, cit., p. 61.
39
Id., Uomo folklorico/uomo storico, in Id., Lintellettuale rovesciato, cit., pp. 235-236.
Cesare Bermani
438
ben conosceva la ricchezza culturale e organizzativa di quei movimenti. Affrontando
la ricerca sul canto sociale suo merito stato quello di non trascurare quanto ancora
di essi sopravviveva, anche se riteneva che con i contadini si pu operare insieme in
un periodo rivoluzionario ma non si fa il socialismo, e che ove lo spietato sviluppo del
capitalismo riduce la campagna a propria somiglianza e proiezione, i conti vanno fatti
col capitalismo
40
. Ma proprio lavere orientato inizialmente le ricerche soprattutto sul
mondo contadino padano ha permesso di raccogliere e tramite gli spettacoli del Nuo-
vo canzoniere italiano e I dischi del sole fare acquisire ai movimenti cittadini un reper-
torio di canto sociale fortemente contestativo, che altrimenti sarebbe stato votato alla di-
struzione nel giro di pochi anni.
Grazie a questa esperienza di ricerca, Bosio prese coscienza dellenorme importanza
assunta da uno strumento come il magnetofono,
strumento di molti e diversi confronti, pegno di molte possibilit anche nellambito delle tra-
dizionali discipline culturali. Accumula in maniera netta enormi quantit di materiale (...) e
le fissa in maniera permanente cos come appaiono nel momento della fissazione. (...) lavvio
degli studi sulla cultura del mondo popolare e proletario segna col magnetofono una da-
tazione nuova. Il magnetofono documenta la presenza costante della cultura oppositiva la
quale proviene non soltanto dalla obiettiva presenza storica delle classi popolari e della classe
operaia, ma anche dalle forme di consapevolezza. (...) il magnetofono restituisce ai mezzi di
comunicazione orale lo strumento per emergere, per prendere coscienza e quindi appunto per
disgrovigliare tutte le forme che si possono contrapporre, ma non appaiare, alle forme disci-
plinari e ai generi della cultura dominante. (...) La possibilit di fissare col magnetofono modi
di essere, porsi e comunicare (cos come la pellicola permette di fissare in movimento feste,
riti e spettacoli) ridona alla cultura delle classi oppresse la possibilit di preservare i modi della
propria consapevolezza, cio della propria cultura
41
.
Limportanza del magnetofono non stava quindi solo nella possibilit di fissare racconti
o canti riguardanti passato e presente del proletariato, ma soprattutto nel fatto di capo-
volgere il rapporto tra consapevolezza scritta (di pochi che riempiono in maniera quasi
totale le fonti scritte che la documentano) e consapevolezza non scritta (della stragran-
de maggioranza che non disponeva dei mezzi per fissarla)
42
.
Quello che Bosio propose fu per gli studi sul mondo popolare e proletario e per la-
stessa storiografia sul movimento operaio una vera e propria rivoluzione copernicana,
a lungo contrastata ad oltranza e tuttora poco compresa e praticata
43
. Da allora in poi si
sarebbe trattato di passare allorganizzazione di questa cultura orale,
di preparare gli strumenti di conservazione di questo materiale, la catalogazione, lutilizzazio-
40
Id., Iniziative e correnti negli studi, cit., p. 41.
41
Id., Elogio del magnetofono..., cit., in Id., Lintellettuale rovesciato ecc., cit., pp. 157-159.
42
Id., Archivi sonori, in Id., Lintellettuale rovesciato..., cit., p. 174. Bosio qui sviluppava e portava a coerenti
conseguenze lintuizione di Ernesto de Martino, che aveva messo in guardia dal confondere la mancanza del
mezzo tecnico della scrittura con la mancanza di ogni vita culturale (E. de Martino, La cultura nel mondo
contadino meridionale, Letture per tutti, n. 10, dicembre 1952, p. 25).
43
Sebbene sul finire degli anni Sessanta non siano mancate nel mondo esperienze storiografiche con le fonti
orali, mi pare che nessuno si sia spinto sino a teorizzare linversione gerarchica tra orale e scritto.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
439
ne; di prevedere nel nostro giro mentale la presenza di questa realt (...). Larco delle ricerche
del Nuovo canzoniere italiano oggi globale, fissa delle realt antiche e nascenti in molti
luoghi e in diverse situazioni dellItalia (...). Le ricerche e gli studi italiani sul mondo popo-
lare si muovono allinterno del mondo contadino; un mondo destinato a perire in quanto
autonomo e determinante della societ italiana. Le ricerche sul mondo proletario contadino,
unitamente alla considerazione della classe operaia come erede del mondo popolare soggetto
di nuova storia, e quindi oggetto della ricerca critica dal punto di vista degli interessi propri
della disciplina che studia le tradizioni popolari, sono senza dubbio uno dei meriti dellattivit
del Nuovo canzoniere italiano. Legemonia della citt sulla campagna, come forma adatta di
dominio e di espansione del capitalismo contemporaneo, pone questi studi di fronte a una
scelta: o si riducono a disciplina tradizionale, cio si atrofizzano, o si trasformano in mezzo per
la conoscenza della societ contemporanea. nato da questa esigenza linteresse, dichiarato
preminente allinterno del Nuovo canzoniere italiano, per la ricerca urbana e il configurarsi
del movimento in un organismo pi proprio come si spera possa essere lIstituto Ernesto de
Martino
44
Bosio lo aveva fatto sorgere nel 1966 con un nome programmatico: Istituto Ernesto de
Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e prole-
tario. Suo compito avrebbe dovuto essere quello di avviare la ricerca delluomo stori-
co il quale si proietta nel futuro armato del vecchio e del nuovo, che si proietta in quel
futuro anche per tagliare ogni concezione che lo considera uomo dimezzato
45
; e Bosio
lo aveva immaginato come un organismo che ricercasse, raccogliesse, ordinasse, elabo-
rasse, utilizzasse il complesso delle manifestazioni della cultura orale di tutto il mondo
popolare e proletario ma soprattutto fosse rivisto e bagnato allinterno della realt su
cui si esercita la prospezione
46
, in modo da raccogliere anche ricerche di storia imme-
diata che, legate alla lotta politica in corso, potessero rappresentare una dimensione
diversa e nuova circa il modo di precostituire le fonti per la storia del nostro paese e del
movimento operaio italiano
47
.
Si trattava quindi anche di far crescere una leva di ricercatori in grado di avere chia-
ro che cosa dovesse essere un archivio del presente per gli storici del mondo popolare e
del movimento operaio del futuro, con materiali basati su un colloquio tra due uomi-
ni uguali dove entra la morte, lal di l, la vita e le vicende della comunit, fino a giun-
gere a una vera ripulsa di eventuali domande estranee alla cultura del mondo popola-
re, fino a giungere cio a un discorso critico sul tipo di domande proprie della cultura
dominante
48
; e consapevoli che proprio quel rapporto paritario ma anche di comu-
nanza che produce fiducia reciproca. Non dimentichiamo che chiunque dica cose che
riguardano la sua vita, il suo passato, le sue idee, le sue conoscenze, i suoi affetti, le sue
emozioni, fa unoperazione di affidamento, cio ci sta affidando qualcosa di s, la parte
44
Id., Elogio del magnetofono..., cit., pp. 159 e 165.
45
Id., Uomo folklorico/uomo storico, cit., pp. 235-236.
46
Ibid., p. 243.
47
G. Bosio, [Controinformazione]. I fatti di Milano, in Id., Lintellettuale rovesciato, cit., p. 252.
48
Id., Inchiesta sulla visione del mondo ad Acquanegra sul Chiese, in Id., Lintellettuale rovesciato, cit., p.
188.
Cesare Bermani
440
pi intima di s, come dice de Martino. Non cosa che si fa a cuor leggero
49
. Solo cos
ci si porr in grado di raccogliere la verit dellinterlocutore, cio la sua verit che
sar poi sempre da analizzare e interpretare dallo storico, ma che non sar a priori falsa-
ta da menzogne e reticenze dovute a diffidenza.
LIstituto de Martino sopravvissuto a Bosio, ma certo se avesse potuto essere pre-
sente pi a lungo il suo apporto sarebbe stato determinante per tentare di inverare quel-
la funzione che auspicava lIstituto assumesse.
BIOGRAFIA
Gianni Bosio (Acquanegra sul Chiese, 20 ottobre 1923-Mantova, 21 agosto 1971). Il
padre Lorenzo Barbato era un fabbro di sentimenti socialisti, la madre Ida Pellegrini
era negoziante in ferramenta e casalinghi. Studia a Brescia e a Cremona, passando dal-
la scuola di avviamento commerciale allistituto tecnico inferiore e infine al liceo scien-
tifico. Viene cacciato dal Collegio arcivescovile di Cremona perch sorpreso a fare pro-
paganda razionalista e perch contrario ad accostarsi ai sacramenti. Trova pensione in
altro istituto religioso a Bergamo e sostiene allIstituto Paolo Sarpi, dopo essersi prepa-
rato da solo, gli esami per il passaggio al liceo classico. Nel 1939 fa azione capillare al
suo paese perch i giovani non aderiscano ai Battaglioni della Giovent italiana del lit-
torio. Nel giugno 1942 partecipa ai ludi giovanili di Firenze con uninchiesta sullanal-
fabetismo in Italia, alla fine dellanno fonda con dei compagni di liceo il ciclostilato
Chiaroscuri e cerca di realizzare una rete di rapporti con Cremona, Mantova, Lecco
e Como per cercare di creare unopposizione diffusa allinterno del fascismo scolastico.
Nel 1943 si iscrive alla facolt di lettere e filosofia dellUniversit di Padova. Allinizio
del IV anno passa allUniversit statale di Milano. Alla Resistenza partecipa con attivi-
t clandestina nel Mantovano e sul finire dellanno si collega con i garibaldini, dai qua-
li si stacca perch rifiuta azioni dimostrative e premature e concepisce la lotta armata
come mezzo per educare dei quadri politici e per un rinnovamento generale della socie-
t. Si collega allora, a Bozzolo, con don Primo Mazzolari, fondando il gruppo Noi Gio-
vani, al quale fa capo la Brigata Fiamme verdi Pompeo Accorsi, di cui Bosio un ca-
po-gruppo. Ricercato, finir la Resistenza nel Milanese, curando i rapporti con i giovani
di tendenza socialista e con gli intellettuali. Funzionario socialista presso la Federazio-
ne di Mantova (luglio 1945-gennaio 1947), redattore della rivista bassiana Quarto Sta-
to (gennaio-agosto 1946), intorno alla quale si sarebbe organizzata in quegli anni la si-
nistra del Partito socialista, dal 1947 collabora con ledizione milanese dellAvanti! e
diviene segretario per la Lombardia dei giovani socialisti. Nellottobre 1949 fonda la ri-
vista Movimento operaio, la pi importante rivista di storia di quegli anni. Dal 1950
segretario a Milano della Sezione Vittoria del Partito socialista italiano e nel 1953 rid
vita alle Edizioni Avanti!. Nel 1957 giocher un ruolo importante nella vittoria delle si-
nistre al 32 congresso nazionale del PSI e quando esse impaurite dalla vittoria offri-
49
B. Cartosio, Storia orale e storia, in C. Bermani, A. De Palma (a cura di), Fonti orali. Istruzioni per luso,
Societ di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino, Venezia 2008, p. 104.
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo e mondo popolare e proletario
441
ranno la segreteria a Pietro Nenni, rinuncer definitivamente alle lotte di corrente. Dopo
il XX Congresso del PCUS credette alla possibilit di una rifondazione rivoluzionaria del-
le organizzazioni del movimento operaio italiano e internazionale e tra il marzo 1957 e
il febbraio 1958 curer su lAvanti! una delle pi significative rubriche/riviste del pe-
riodo della destalinizzazione: Vetrina del movimento operaio (poi Questioni di so-
cialismo), suggerendo una linea n mediana n conciliativa tra socialdemocrazia e co-
munismo (...) che tocchi e concili, figurativamente, Milano e Matera. Tra laprile del
1957 e il dicembre 1958, nel periodo della condirezione di Raniero Panzieri a Mon-
do Operaio, sar tra i redattori pi attivi della rivista. Dal 1962 Bosio partecip atti-
vamente alle vicende del Nuovo canzoniere italiano e de I dischi del sole, fondando nel
1966 LIstituto Ernesto de Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del
mondo popolare e proletario. Mor di peritonite, subito dopo essere tornato da un viag-
gio di ricerca nel Salento.
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445
HANS-JRGEN KRAHL:
CONTESTAZIONE E RIVOLUZIONE
Massimiliano Tomba
Movimenti antiautoritari e societ tardocapitaliste
Il nome di Hans-Jrgen Krahl indissolubilmente legato al 68 tedesco. La sua morte,
in seguito ad un incidente stradale nel febbraio 1970, fu sentita come una indubbia per-
dita per il movimento di emancipazione nelle metropoli. La breve biografia politica di
Hans-Jrgen Krahl, la cui attivit di agitatore e il suo lavoro teorico hanno contribuito
significativamente a determinare la politica del movimento di protesta, riflette il proces-
so di formazione di molti giovani della sinistra che non ritrovano pi un nocciolo razio-
nale in un partito comunista rivoluzionario e che intrapresero un lungo tragitto di tradi-
mento nei confronti della loro classe borghese rifuggendo le garanzie del potere ricevute
in eredit
1
. Allievo di Adorno, con il quale si addottora con una Dissertazione dal tito-
lo Naturgesetz der kapitalistischen Bewegung bei Marx (La legge naturale del movimento
di capitale in Marx), si confronta costantemente con la riflessione della Scuola di Franco-
forte e la tradizione della filosofia classica tedesca, cercando di ripensarne i fondamenti
nella direzione di un percorso teorico intrecciato alla prassi politica. Al centro di questa
riflessione c lanalisi dei rapporti economici e sociali dei sistemi di dominio tardoca-
pitalistici. Un tema presente nelle discussioni dei movimenti antiautoritari della fine de-
gli anni Sessanta.
Dallinterno dellSDS (Sozialistischer Deutscher Studentenbund), lorganizzazione
studentesca nata nel 1946 in seno allSPD e poi formalmente esclusa dal partito nel 1961,
Krahl e Rudi Dutschke, che vi entrarono rispettivamente nel 64 e nel 65, radicalizzaro-
no lorganizzazione facendo pressione per un impegno maggiormente militante rivolto
contro laggressione nordamericana al Vietnam, contro la struttura patriarcale dellUni-
versit tedesca, contro le moderne forme di autoritarismo. Incrociando le istanze antiau-
toritarie del movimento studentesco degli anni Sessanta, Krahl cercava al tempo stesso
1
H. Reinicke, Fr Krahl, Merve-Verlag, Berlin 1973, p. 4.
Massimiliano Tomba
446
di riformularle in un nuovo contesto politico. La denuncia delle forme di violenza dei
rapporti sociali, dellisolamento e della deformazione delle relazioni umane erano da
Krahl comprese come elementi per una critica delleconomia politica delle societ tar-
docapitalsite. Secondo Krahl la libera concorrenza fra individui reciprocamente ostili e
il giusto scambio di equivalenti fra possessori di merci reciprocamente equivalenti e in-
differenti non hanno pi nulla in comune con il modo in cui il monopolio fissa i prezzi e
loligopolio stabilisce i suoi accordi di mercato
2
. In questo contesto, contrassegnato dal
passaggio al capitale monopolistico e che gi Horkheimer aveva analizzato nei termini
della distruzione della sfera della circolazione, la circolazione cessa di essere lideologi-
co Eden degli atti di fondazione borghesi e delle libert repubblicane
3
.
Pur concentrando la propria attenzione sulla sfera della circolazione, e quindi allin-
terno della tradizione delle analisi francofortesi sui cambiamenti indotti dal processo
monopolistico sulla struttura essenziale della societ, Krahl abbozzer un possibile svi-
luppo di quella tradizione decisamente alternativo a quello habermasiano. Gli esiti di-
versi di un comune nocciolo teorico erano del resto gi impliciti in un differente modo
di intendere il rapporto tra teoria e prassi che non solo Krahl, ma unaltra generazione
formatasi alla scuola di Francoforte, stava sperimentando
4
.
La protesta antiautoritaria per Krahl espressione della decadenza dellindividuo
borghese, una sorta di luttuosa protesta dinanzi alla sua morte, che significava la per-
dita dellideologia di una sfera pubblica liberale e di una comunicazione libera dal
dominio
5
. Le promesse liberali della borghesia, alle quali Habermas pareva voler re-
stare fedele, non solo non erano state mantenute, ma erano state definitivamente dissol-
te. Krahl praticava cos una doppia mossa: dal lato teorico attaccava la pretesa haberma-
siana di poter delineare una sfera pubblica libera dal dominio, l dove invece, secondo
Krahl , essa era ormai assimilata alla sfera dello scambio tra liberi possessori di merci.
Il linguaggio andava considerato per Krahl non come un medium neutrale di comunica-
zione, ma doveva essere indagato a partire dalla sua riduzione tecnologica allinterno di
rapporti strumentali, che avrebbero reso la concezione illuminista del parlamentarismo
una impossibilit storica. Dal lato politico Krahl cerca di trasformare la rivolta antiau-
toritaria in un processo di apprendimento marxista
6
. Il lutto per la morte dellindi-
viduo borghese doveva essere trasformato in esperienza (...) di ci che in questa socie-
t significa sfruttamento
7
.
Per Krahl i radicali mutamenti in corso nelle societ tardocapitaliste comportava-
no un altrettanto radicale mutamento nella prassi politica. Se il libero scambio costitui-
2
H.-J. Krahl, Konstitution und Klassenkampf, Verlag Neue Kritik, Frankfurt am Main 1971, tr. it. di S. de
Waal, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, Milano 1978, p. 109.
3
Ibidem.
4
Al riguardo, Detlev Claussen scriveva che Habermas, assumendo e operando la trasformazione della Teoria
critica in progetto accademico, escluse da quella tradizione una terza generazione che vide come protagonisti
Krahl, Oskar Negt, Alfred Schmidt ed altri: D. Claussen, Hans-Jrgen Krahl Ein philosophisch-politisches
Profil (1985), in http://www.krahl-seiten.de/.
5
H.-J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, cit., p. 33.
6
Ibid., p. 34.
7
Ibidem.
Hans-Jrgen Krahl: contestazione e rivoluzione
447
sce il modello della democrazia parlamentare, scrive Krahl , con la scomparsa del libero
scambio anche il parlamento perde la sostanza che lo fonda
8
. Lo Stato sociale distrug-
ge lo Stato borghese di diritto in modo non dissimile da come il fascismo annienta il par-
lamentarismo, dando luogo ad una integrazione e ad una sussunzione della democrazia
parlamentare come componente dellesecutivo. La prassi statale diventa decisionistica
ed emergenziale. Per Krahl si trattava di spiegare le ragioni di un interventismo statale
su tutti gli ambiti della vita, fino alla trasformazione della societ in ununica caserma
9
.
Queste analisi non erano in alcun modo avulse dal contesto politico del movimento stu-
dentesco. Krahl cercava di allargare e spostare il piano della riflessione e della prassi
mettendo in relazione le lotte universitarie con lintero contesto sociale. In termini im-
mediati, stava lavorando a una radicalizzazione dellSDS, che raggiunse il proprio acme
simbolico dopo lattentato contro Dutschke nel 1968. A partire da questa data gli ope-
rai pi giovani si unirono alla lotta degli studenti contro le leggi di emergenza e lim-
pero giornalistico di Axel Springer, i cui giornali avevano violentemente attaccato il mo-
vimento studentesco e le sue personalit pi rappresentative. La politica si rivers nella
societ, negli asili, nelle fabbriche, nelle scuole. LSDS non riusc a reggere al nuovo mas-
simalismo fino a che, il 21 marzo 1970, ebbe luogo a Francoforte il suo scioglimento uf-
ficiale.
Gli scritti di Krahl si pongono sempre in dialogo critico con lSDS. La strategia di
Krahl consisteva nellassumerne alcune istanze, come la critica antiautoritaria, per ri-
formularle in un contesto capace di generare nuovi problemi per una nuova agenda po-
litica. Quando, nel 1969, lSDS fu attraversata dalla contrapposizione tra le istanze ri-
formiste dellSHB (Sozialdemokratischer Hochschulbund) e una parte apparentemente
dura e radicale che gli contrapponeva unimmagina astratta e mitica del proletariato,
Krahl cerc di spiazzare i due corni dellopposizione. In un intervento ad un teach-in
per lelezione del parlamento degli studenti nel semestre invernale 1969/70
10
Krahl de-
nunci la gergalizzazione del linguaggio usato dai militanti dellSDS, un gergo accademi-
co che da un lato precludeva laccesso alla conoscenza dei bisogni di una vita liberata
e felice e dallaltro proiettava sulla societ intera rapporti che sono soltanto univer-
sitari ed accademici
11
. Ma non solo. Attacc anche, al tempo stesso, lincapacit di in-
crociare i bisogni concreti dei proletari da parte di chi si era costruito unimmagine pre-
costituita del proletariato, rinunciando a coniugare il discorso sulla scienza, la tecnica e
il linguaggio con la critica delleconomia. Reincontrava cos il discorso sulla critica del-
la conoscenza e della scienza da un nuovo punto di vista, che non era n quello astratta-
mente proletario n solo accademico. Alla prospettiva di Habermas, che secondo Krahl
era informata da unutopia parlamentare nella quale gli uomini comunicano e agisco-
no linguisticamente attraverso segni liberi dal dominio, obiettava che questa struttu-
ra linguistica, non riflettendo su se stessa, racchiude una proiezione di relazioni sociali
universitarie sul complesso della societ
12
.
8
Ibid., p. 109.
9
Ibid., p. 110.
10
Ibid., pp. 343-351.
11
Ibid., p. 344.
12
Ibidem.
Massimiliano Tomba
448
Il problema posto da Krahl riguardava la possibilit di un reale accesso alla classe
operaia. Per fare ci era necessario rifuggire sia dallimmagine mitica del proletariato sia
da quella, altrettanto mitica, del discorso razionale. Qui Krahl si riallacciava ad Adorno,
il cui lascito pi importante consisteva, sempre secondo Krahl , nella scoperta che Au-
schwitz contingente anche rispetto alle categorie delleconomia politica. La sua irrazio-
nalit indusse Adorno a mettere in crisi i criteri classici della tradizionale scienza razio-
nale. Inclusi quelli marxiani. Interessava a Krahl il fondo opaco di questa razionalit: la
possibilit di pensare bisogni qualitativi in un modo di produzione nel quale il valore di
scambio usurpa il valore duso
13
. Mostrare lorigine delle strutture di dominio della fab-
brica nella contraddizione fra lavoro e capitale, scrive Krahl , non interessa le masse se
non siamo in grado di individuare la concreta struttura dei loro bisogni e di enunciare
possibili bisogni emancipativi
14
. Krahl consapevole di muoversi in una direzione di
ricerca e di indicare un percorso pratico di riflessione che non ha punti di appoggio nel
passato, fatta eccezione, forse, per Wilhelm Reich ed Herbert Marcuse. Egli convin-
to che se trascuriamo simili riflessioni generali e non tentiamo di far presente alle mas-
se lestraniazione del loro destino esistenziale, tutte le strategie falliranno
15
. Per quan-
to questa affermazione possa apparire debole, essa sufficiente per spostare il piano del
lavoro politico. Scrive infatti Krahl : Se rinunciamo a formulare questi bisogni emanci-
pativi, magari con categorie scientificamente insufficienti, finiremo anche noi negli in-
granaggi del processo che trasforma le scienze in tecnologia; e credo che nel movimento
ve ne siano gi degli indizi. Siamo giunti ad una situazione fatale: dobbiamo organizzare
un movimento dellintellighenzia scientifica che astrattamente conosce, s, il corso della
storia capitalistica, ma che non pi in grado di mediare questa conoscenza con i con-
creti bisogni delle masse
16
.
Leggere Marx e fare politica nelle metropoli contemporanee
Comera accaduto in seno alloperaismo italiano, con la pubblicazione del Frammento
sulle macchine nel numero 4 dei Quaderni rossi (1964)
17
, anche Krahl inizia a riflettere
sulle pagine che Marx dedica allautomazione e alla sussunzione della scienza nel capita-
le. Ma la lettura del Frammento da parte di Krahl sensibilmente diversa da quella che
sar fatta negli anni Settanta da alcune correnti delloperaismo italiano. Anche per Krahl
si tratta di ripensare lautomazione macchinica in relazione alla scienza e alla dilatazio-
ne del concetto di lavoro produttivo, ma per il giovane militante tedesco il processo tec-
nologico di automazione attraversato da una dialettica potenzialmente in grado di pro-
13
Ibid., p. 79.
14
Ibid., p. 347.
15
Ibidem.
16
Ibidem.
17
Sulla recezione e le interpretazioni del Frammento marxiano si veda R. Bellofiore, M. Tomba, Lesearten
des Maschinenfragments. Perspektiven und Grenzen des operaistischen Ansatzes und des operaistischen Ausei-
nandersetzung mit Marx, in M. van der Linden e K.H. Roth (Hg.), ber Marx hinaus, Assotiation A, Berlin
2009, pp. 407-431.
Hans-Jrgen Krahl: contestazione e rivoluzione
449
durre, anzich liberazione dal lavoro, nuove forme di dominio. Lautomazione scrive
Krahl distruzione del capitale, e, secondo il concetto, proprio della filosofia della
storia, di forze-produttive metro delloggettiva possibilit di creare storia indica che
gli uomini possono essere liberati dal lavoro. Ma potrebbe anche avvenire che fossero
aboliti gli operai, che diventassero un esercito di pensionati, dominati e consegnati alla
benevolenza dellapparato di dominio
18
. Il processo di automazione non immedia-
tamente indice di liberazione. Le macchine, negli attuali rapporti di produzione, sono
strumenti di dominio e non di liberazione. Da qui linsistenza di Krahl sulla critica del-
la scienza e della tecnologia. Lespulsione di operai dal processo produttivo pu, invece
che dar luogo a fenomeni di liberazione dal lavoro, gettare una massa atomizzata di indi-
vidui espulsi dalla produzione nelle braccia della benevolenza dellapparato di dominio,
cosicch alla stretta vampiresca della grande industria subentrerebbe la morte per affo-
gamento nel latte tiepido dello Stato sociale. Contrariamente a quanto pensavano alcu-
ne correnti del marxismo ancora legate alla filosofia della storia delle forze produttive,
per Krahl va sottolineato che lautomazione non conduce necessariamente allabolizio-
ne del dominio e delloppressione
19
. Al contrario, la socializzazione dei mezzi di pro-
duzione sul terreno stesso del modo di produzione capitalistico riproduce in forma tota-
litaria il dominio stesso del capitale estendendo il lavoro astratto, e quindi la misura e il
computo del tempo di lavoro, a ogni sfera vitale, incluso il tempo libero.
Su questo punto il marxismo di Krahl incontra nuovamente la tradizione della Scuo-
la di Francoforte. Il valore, in quanto motore automatico dello sviluppo capitalistico,
ha rimpiazzato il valore duso e la confezione ha vinto sul prodotto
20
. Rispetto a questa
analisi marxiana Krahl interessato soprattutto alle modificazioni che questa inversio-
ne induce sulla sfera della coscienza e dellesperienza: la dequalificazione del tempo si
ripercuote infatti sullarticolazione del trascendentale e quindi sullesperienza della dif-
ferenza tra essenza e fenomeno della cosa. Se questa differenziazione permette di
interrompere il dominio astratto del valore, la sua unidimensionalizzazione (Eindimen-
sionalisierung) del sociale, e di pensare forme di prassi rivoluzionarie, linversione feti-
cistica che fa apparire il valore di scambio come la cosa in s, come la vera esistenza del
prodotto, distrugge quella possibilit di esperienza ed eleva il tempo astratto del lavoro
a seconda natura immodificabile
21
.
Lanalisi di Krahl , su questi punti, sicuramente suggestiva e, per quanto frammenta-
ria, molto istruttiva. Krahl pone con acume il problema della modificazione dellesperien-
za nella feticizzazione assoluta del capitale. Non per come problema di scuola, ma come
problema politico legato alle possibilit di una prassi rivoluzionaria. Solo che qui Krahl re-
sta ancora francofortese. La sua analisi parte dalla circolazione per tornare alla circolazio-
ne. Incontra la produzione non come altro punto di vista sul sociale, non come presenza di
corpi che lavorano, soffrono e lottano, ma solo come momento del processo capitalistico.
18
H.-J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, cit., p. 101.
19
Ivi, p. 102.
20
H.-J. Krahl, Vom Ende der abstrakten Arbeit. Die Aufhebung der sinnlosen Arbeit ist in der Transzen-
dentalitt des Kapitals angelegt und in der Verweltlichung der Philosophie begrndet, W. Neumann (hrsg. u.
eingeleitet von), Materialis, Frankfurt a.M. 1984, pp. 61-62.
21
Ibid., pp. 31-33.
Massimiliano Tomba
450
Per Krahl strategicamente importante riflettere sulla scienza come forza produt-
tiva, e quindi sul mutato rapporto fra lavoro intellettuale e lavoro manuale
22
. Ponen-
do questa questione Krahl mirava politicamente a dissolvere da un lato limmagine di
un proletariato mitico, e dallaltro a fugare la posizione rassegnata di quanti giungeva-
no ad affermare lirrevocabile integrazione della classe operaia nel sistema capitalistico.
Entrambe le posizioni si ispiravano secondo Krahl a un concetto tradizionale di pro-
letariato industriale che non coglie pi le possibili forme di mutamento del lavorato-
re complessivo
23
. Tutti gli scioperi spontanei che possono scoppiare nella RFT o alla
FIAT di Torino affermava Krahl non riusciranno minimamente a modificare il fat-
to che il proletariato industriale come tale soltanto un momento della intera classe e
non la rappresenta nella sua totalit
24
. Con ci Krahl metteva in guardia i militanti te-
deschi dallassumere un paradigma che si stava diffondendo invece nelloperaismo ita-
liano e che cercava di organizzare una possibile ricomposizione di classe a partire da un
segmento considerato egemone della classe. Per Krahl la questione era da porre in ter-
mini radicalmente diversi: se il lavoro intellettuale sempre pi integrato nel lavoratore
complessivo, la separazione tra intellighenzia scientifica e proletariato industriale anda-
va ridefinita, non per in termini di egemonia di un settore sullaltro, ma ridefinendo la
categoria marxiana di lavoro produttivo. La non coincidenza tra processo produttivo e
processo lavorativo porta ad una ridefinizione della totalit della classe proletaria e del
lavoro produttivo al di l della fabbrica vera e propria
25
. La sussunzione del lavoro in-
tellettuale nel processo di valorizzazione ha effetti diversi e contraddittori. Da un lato la
scienza tende a iscriversi nel codice computazionale del lavoro astratto, perdendo cos
laura borghese classica della Kultur. Dallaltro permette allintellettuale di intendersi
come produttore sfruttato nel momento stesso in cui, a differenza di quanto avveniva
per il proletariato industriale, rende impossibile mobilitare il ricordo dellemancipazio-
ne e dello sfruttamento
26
. Lavorare su questi limiti significa saper cogliere il limite del
limite. Il ruolo degli intellettuali nella lotta di classe non va giudicato in astratto, ma
secondo la loro oggettiva collocazione nel processo di produzione. LUniversit politi-
ca, o la controuniversit (Gegenuniversitt)
27
, deve definire praticamente questa collo-
cazione, senza autorappresentarsi come centro della resistenza o della lotta di liberazio-
ne. Il compito politico che Krahl raffigura di una larga ricomposizione di classe senza
alcun automatismo legato allo sviluppo delle forze produttive o alla spontaneit delle
lotte. Senza unorganizzazione dellintellighenzia scientifica, dellesercito degli operai
industriali e degli impiegati produttivi, anzi, senza unorganizzazione comune non si po-
tr mai riconquistare la totalit della coscienza di classe
28
.
La produzione, divenuta nei paesi tardocapitalistici in larghissima misura
22
H.-J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, cit., p. 322.
23
Ibidem.
24
Ibid., p. 348.
25
Ibid., p. 323.
26
Ibidem.
27
H.-J. Krahl, Aufklrung ist in der Tat..., testo inedito del 1969, trascritto da Tillman Rexroth, Tesi 3, dispo-
nibile in: http://www.digger3.de/00000099ee0f17e06/index.php.
28
H.-J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, cit., p. 324.
Hans-Jrgen Krahl: contestazione e rivoluzione
451
immateriale
29
, certamente incanalata nellindustria culturale che incatena le masse
alla sicurezza materiale e alla soddisfazione dei bisogni immediati
30
. In questa direzio-
ne si muoveranno le riflessioni svolte agli inizi degli anni settanta da Oskar Negt e Ale-
xander Kluge, anche loro formatisi alla Scuola di Francoforte. In Sfera pubblica ed espe-
rienza. Per unanalisi della sfera pubblica borghese e della sfera pubblica proletaria (1972),
Negt e Kluge cercarono di ripensare i movimenti di protesta in relazione alle difficolt
dellintellighenzia di stabilire un rapporto concreto col nesso di vita e la sfera pubbli-
ca proletaria
31
. Una delle cause di questa difficolt risiederebbe, secondo i due auto-
ri, nellastrazione politica delle avanguardie, che rovescerebbero unidea giacobina di
prassi in un rapporto di utilizzazione, che elimina tutto ci che non serve allintenzione
di trasformare lintera societ (...) e che trasforma in materiale tutto ci che serve a questo
scopo
32
. Si infrange cos il rapporto tra diversi livelli di prassi e le forme concrete di co-
stituzione di una sfera pubblica proletaria.
Se le forme classiche dellesperienza borghese erano state distrutte, come gi insegna-
vano Walter Benjamin e Adorno, era allora necessario trovare nuove forme di esperienza
allaltezza del presente. Non rispondendo a quella distruzione con lautocelebrazione di
gruppi marginali, intellettuali e privilegiati
33
che avrebbero dovuto agire al posto di una
classe operaia integrata nei rapporti di produzione capitalistica, ma assumendo la propria
condizione di chi ha il privilegio di studiare. Per spezzare questo privilegio. Non si tratta-
va per Krahl di cercare altrove nuovi soggetti rivoluzionari o riconoscere nuova centralit
a una qualche figura lavorativa; lesperienza rivoluzionaria inizia per Krahl dalla messa in
pratica dei bisogni antiautoritari in forme di anticipazione del regno della libert. La crea-
zione di un nuovo soggetto non va demandata al domani, ma il risultato della creazio-
ne dei nuovi rapporti sociali che veicolano la prassi politica.
Laccesso alla classe operaia non andava cercato riproducendo la scissione tra lavoro
e tempo libero, fra status di produttori e status di consumatori, ma a partire dalla strut-
tura concreta dei bisogni delle masse
34
, per trovare qui la chiave per enunciare possi-
bili bisogni emancipativi
35
. Il primo accesso alle masse scrive Krahl sta nello sfor-
zo scientifico di riconoscere la struttura dei loro bisogni
36
, ai quali non si accede per
deduzione teorica ma sulla base dellesperienza pratica della lotta politica
37
. Non pos-
sibile, secondo Krahl, replicare nelle societ tardocapitaliste lo schema della rivoluzio-
ne proposto da Marx, il cui problema era la trasformazione della lotta di classe borghe-
se in rivoluzioni proletarie
38
. Non possibile, e va anzi emendato il tentativo, presente
29
Ibid., p. 323.
30
Ibidem.
31
A. Kluge, O. Negt, ffentlichkeit und Erfahrung: zur Organisationsanalyse von brgerlicher und prole-
tarischer ffentlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1974, tr. it. a cura di P.A. Rovatti, Sfera pubblica ed
esperienza: per unanalisi dellorganizzazione della sfera pubblica proletaria, Mazzotta, Milano 1979, p. 113
32
Ibidem.
33
H.-J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, cit., p. 33.
34
Ibid., p. 346.
35
Ibid., p. 347.
36
Ibid., p. 350.
37
Ibid., p. 376.
38
Ibid., p. 421.
Massimiliano Tomba
452
anche in Marx e in parte della tradizione marxista, di proiettare il decorso di rivolu-
zioni borghesi sul decorso di rivoluzioni proletarie
39
. Si tratta piuttosto di giungere
ad una adeguata teoria, interna alla lotta di classe, della trasformazione della coscienza
e dellorganizzazione
40
. per Krahl significativo che dopo lesperienza della Comune,
Marx non parli pi di rivoluzione in termini teorici e secondo il modello delle rivoluzio-
ni che finora si erano date.
Questi temi si ricongiungono in Krahl in una nuova costellazione: nuova forma di
prassi, nuova organizzazione e quindi produzione di nuova coscienza prodotte al calor
bianco della lotta di classe. Il problema politico nelle societ contemporanee, che as-
sieme alla distruzione dellindividualit borghese procedono alla profonda distruzione
delle istituzioni democratiche, trasformare in rivoluzioni proletarie le lotte difensive
contro le tendenze fasciste del dominio tardocapitalistico. Poich le stesse istituzioni
parlamentari sono segnate dal decadimento della politica a concorrenza, la forma classi-
ca della partecipazione politica mediata dalle elezioni non che riproduzione dellapatia
e della passivit politica del singolo. Non si tratta di rivitalizzare istituzioni esangui, ma
di sostituire al principio della concorrenza quello della solidariet
41
.
difficile, se non addirittura scorretto, cercare nelle riflessioni del giovane Krahl
una coerenza sistematica, un ragionare consequenziale sempre attorno allo stesso tema.
Come pi volte sottolineato, la sua riflessione ha caratteristiche congiunturali, legate al
momento politico e allesigenza di incidere politicamente sul movimento studentesco,
che non devono essere trascurate. Cos la sua lettura di Marx non mai solo esercizio
teorico. Il suo utilizzo di Marx non solo unarma contro il riformismo, ma anche con-
tro la prassi di molti gruppi extraparlamentari sorti in seguito alla dissoluzione dellSDS.
La rilettura di Marx operata da Krahl intendeva strappare Marx ai gruppi che cercava-
no di legittimare la propria prassi facendo appello a una teoria marxista isolata dal con-
testo storico politico. Krahl contestava il carattere astratto della presa di posizione di chi
assumeva la propria presa di parte per il proletariato come una dichiarazione di fede, un
rituale di autoconferma rivoluzionaria in assenza di una reale classe rivoluzionaria. Nel-
le Tesi sul rapporto generale tra intellighenzia scientifica e coscienza di classe proletaria,
scritte tra il novembre e il dicembre 1969, Krahl rimprovera ai gruppi marxisti-leninisti
di non tener conto del mutamento strutturale intervenuto con lallargamento del lavoro
produttivo e il mutamento prodottosi nella struttura categoriale della coscienza di classe
e del lavoro intellettuale in seguito a ci. Si trattava di oltrepassare la forma tradiziona-
le del problema, smettere di chiedersi se lintellighenzia faccia o meno parte della classe
lavoratrice o la abbia addirittura sostituita, per iniziare ad interrogarsi sullintegrazione
del lavoro intellettuale al lavoratore produttivo complessivo. Da questo punto di vista la
separazione dellintellighenzia scientifica dal proletariato industriale andava rimessa in
discussione e ridefinita. Anche queste riflessioni teoriche costituivano per Krahl il modo
di prendere posizione nei confronti della riforma tecnocratica dellUniversit. Linte-
grazione oggettiva di rilevanti settori dellintellighenzia scientifica nel lavoratore produt-
39
Ibid., p. 423.
40
Ibidem.
41
H.-J. Krahl, Aufklrung ist in der Tat, cit., Tesi 3 e 6.
Hans-Jrgen Krahl: contestazione e rivoluzione
453
tivo complessivo era per Krahl un dato acquisito, ma quellintegrazione non trasfor-
ma ancora i suoi componenti in proletari coscienti
42
. Qui il problema politico. Dal lato
oggettivo del processo di trasformazione delle scienze in tecnologie si coglie la riduzione
del tempo qualitativo della riflessione, proprio di una lunga storia della cultura e della
formazione (Bildung), alle norme quantitative e destoricizzate della misura del valore. Il
lavoro intellettuale pu essere incorporato al processo di valorizzazione se diventa lavo-
ro astratto, quantitativamente misurabile. Questo processo, nella misura in cui lUniver-
sit e lintero ciclo della formazione vengono coinvolti nelle contraddizioni del processo
di tecnologizzazione, apre la strada a processi di riflessione proletari, alla liberazione
cio dalle finzioni idealistiche della propriet, e ci rende possibile che anche i produtto-
ri scientifici riconoscano nei prodotti del loro lavoro il potere oggettuale ed ostile del ca-
pitale e in se stessi degli sfruttati
43
. Proprio il coinvolgimento delle Universit nel pro-
cesso di tecnologizzazione costituisce loccasione perch anche i rappresentanti delle
scienze improduttive possano abbandonare quel concetto di cultura (Kulturbegriff)
definitivamente infranto cui sono legati
44
.
BIOGRAFIA
Hans-Jrgen Krahl nasce il 17 gennaio 1943 in un piccolo paese della Bassa Sassonia.
In un clima politico conservatore e alieno persino al liberalismo, il giovane Krahl aderi-
sce alla CDU. Presto rompe i rapporti con il Partito cristiano e, nel 1964, entra a far par-
te della Federazione socialista tedesca degli studenti (SDS), unassociazione studentesca
espulsa dalla SPD nel 1961 e che Krahl contribuisce a radicalizzare spingendola ad un
impegno maggiormente militante. Nel 1965 inizia a scrivere la propria Dissertazione
con Th.W. Adorno portando nel dibattito teorico del movimento studentesco molti dei
concetti chiave della Teoria critica.
politicamente attivo nel movimento studentesco fino a diventare una delle sue fi-
gure pi carismatiche. Nel 1969 viene processato assieme ad altri membri dellSDS a
causa delle agitazioni studentesche. Al processo sar chiamato a testimoniare anche
Adorno.
Muore il 13 febbraio 1970 nei pressi di Marburgo in seguito a un incidente stradale.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Hans-Jrgen Krahl
Zur historischen Dialektik der nachstalinistischen Reform in der CSSR, in Die Tschechoslowakei
von 1945-1968. Zwischen Kapitalismus und Revolution, R. Deppe, B. Heinrich, M. Brmann
(hrsg.), Voltaire Flugschrift 26, Frankfurt am Main 1968.
42
H.-J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, cit., p. 372.
43
Ibid., p. 373.
44
Ibidem.
Massimiliano Tomba
454
Aufklrung ist in der Tat..., testo inedito del 1969, trascritto da Tillman Rexroth, Tesi 3, disponi-
bile in: http://www.digger3.de/00000099ee0f17e06/index.php.
Ausgewhlte Werke. Aufstze, Fragmente, Exzerpte, Notizen, Tursen-Press, Helsinki 1970.
Bemerkungen zum Verhltnis von Kapital und Hegelscher Wesenslogik, in Aktualitt und Folgen
der Philosophie Hegels, O. Negt (hrsg.), Suhrkamp, Frankfurt am Main 1970.
Konstitution und Klassenkampf, Verlag Neue Kritik, Frankfurt am Main 1971, tr. it. di S. de Waal,
Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, Milano 1978; ora parzialmente ripubblicato in Attua-
lit della rivoluzione. Teoria critica e capitalismo maturo, manifestolibri, Roma 1998.
Eine Diskussion zwischen Peter Brckner, Hans-Jrgen Krahl und anderen, in Sinnlichkeit und Ab-
straktion. Prolegomena zu einer materialistischen Empirie, H. Brinkmann (hrsg.), mit Beitr-
gen von H. Brinkmann und M. Lauermann, Focus Verlag, Gieen 1978.
Erfahrung des Bewutseins: Kommentare zu Hegels Einleitung der Phnomenologie des Geistes und
Exkurse zur materialistischen Erkenntnistheorie, C.G. Hegemann (hrsg. u. bearb.), Materialis-
Verlag, Frankfurt am Main 1979.
Vom Ende der abstrakten Arbeit. Die Aufhebung der sinnlosen Arbeit ist in der Transzendentalitt
des Kapitals angelegt und in der Verweltlichung der Philosophie begrndet, W. Neumann (hrsg.
u. eingeleitet), Materialis, Frankfurt am Main 1984.
Cerutti, F., Claussen, D., Krahl, H.-J., Negt, O., Schmidt, A., Geschichte und Klassenbewutsein
heute. Diskussion und Dokumentation, Verlag de Munter, Amsterdam 1971.
Opere su Krahl:
Reinicke, H., Fr Krahl, Merve-Verlag, Berlin 1973.
Claussen, D., Hans-Jrgen Krahl Ein philosophisch-politisches Profil (1985), in http://www.krahl-
seiten.de/.
455
RUDOLF BAHRO:
LA COSCIENZA COME FORZA MATERIALE
Peter Kammerer
Dissensi comunisti nella DDR
Rudolf Bahro (1935-1997) rappresenta un tipo particolare di dissenso
1
formatosi nella
DDR intorno e dopo il 1956. Un dissenso comunista che mantiene una lealt verso lespe-
rimento socialista di questo stato tedesco anche dopo lespulsione dal partito e nono-
stante la persecuzione subita. I nomi pi noti di questo tipo di dissenso sono Robert Ha-
vemann (1910-1982), Wolfgang Harich (1923-1995) e Wolf Biermann (1936). Va detto
subito che questi non costituivano un gruppo. Avevano in comune solo lesigenza di di-
chiararsi comunisti e di criticare la DDR da un punto di vista marxista
2
. Le biografie
di questi personaggi illuminano le vicende pi tragiche della storia tedesca. Havemann,
illustre scienziato, diventa comunista nella resistenza contro il nazismo
3
. Catturato nel
1943 e condannato a morte si salva in quanto scienziato utile agli sforzi bellici (vuol
dire che viene impiegato nelle ricerche su armi chimiche) ed detenuto nello stesso car-
cere nel quale rinchiuso il giovane Erich Honecker che sar pi tardi segretario della
SED (il partito socialista-comunista unificato) e uomo forte della DDR fino a pochi gior-
ni dal crollo del muro nel 1989/1990. Nel 1950 gli americani mettono un veto alla con-
tinuazione della carriera scientifica di Havemann a Berlino Ovest. Cos la divisione della
Germania fa di lui un personaggio di spicco tra gli scienziati della DDR. Ma in seguito alla
pubblicazione del suo Dialettica senza dogma
4
nel 1964 viene espulso dalla SED e licen-
1
La prima parte del presente saggio una versione allargata di P. Kammerer, Rudolf Bahro: Il dissenso co-
munista nella DDR, in P.P. Poggio (a cura di), Il dissenso: critica e fine del comunismo, Marsilio, Venezia 2009,
pp. 107-119.
2
Alla visione di una DDR come Germania migliore Havemann credette fino alla sua morte; Biermann cam-
bi idea negli anni 80; Harich e Bahro non hanno mai ripudiato la loro fede in un nucleo originario positivo
della DDR da salvare anche dopo il 1989.
3
La sua storia e quella del suo gruppo di resistenza loggetto di un romanzo di F.C. Delius, Il mio anno da
assassino, Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2008.
4
R. Havemann, Dialettica senza dogma. Marxismo e scienze naturali, Einaudi, Torino 1965.
Peter Kammerer
456
ziato dallAccademia delle Scienze. Dopo le sue prese di posizione sul caso Biermann
(1976) passer gli ultimi anni della sua vita agli arresti domiciliari. Wolf Biermann un
suo giovane allievo e amico. Nato a Hamburg, figlio di un comunista di origine ebrea
ammazzato ad Auschwitz, si trasferisce nel 1953 nella DDR dove agisce come cantautore
politico permanentemente censurato e vessato. Nel 1976 dopo un concerto nella Repub-
blica Federale le autorit della DDR lo respingono alla frontiera impedendo il suo ritor-
no. Un altro intellettuale di sinistra regalato dalla DDR alla Germania federale. Negli anni
90 Biermann assumer posizioni nettamente anticomuniste e finir per appoggiare, da
posizioni filoisraeliane, le varie guerre contro lIraq. Wolfgang Harich il terzo nome
simbolo che rappresenta la fronda comunista nella DDR. Nel 1944 aveva disertato giova-
nissimo la Wehrmacht vivendo fino alla fine della guerra nascosto a Berlino in contatto
con un gruppo di resistenza comunista. Dopo la guerra il partito comunista gli affida in-
carichi importanti di lavoro culturale nelle zone occidentali della citt e poi nella stes-
sa DDR. Viene chiamato alla cattedra di filosofia marxista, collabora con Becher, Bloch e
Lukcs svolgendo unattivit importante nelleditoria della DDR
5
. Dopo il 17 giugno del
1953 Harich cerca di costituire una rete allinterno del partito comunista per rovescia-
re Ulbricht. Elabora la piattaforma per una via tedesca al socialismo e spera nellaiu-
to degli stessi sovietici. In un processo nel marzo 1957 istruito subito dopo la rivolta in
Ungheria (1956), condannato a 10 anni di detenzione. un segnale per tutti gli intel-
lettuali, in particolare quelli vicini a Brecht (morto nellagosto del 1956), Lukcs e Ernst
Bloch
6
. A differenza dei suoi coimputati (in particolare Walter Janka
7
) Harich durante
il processo collabora con il partito e lo ringrazia per averlo fermato in tempo, prima di
diventare un vero nemico del socialismo. Graziato nel 1964 continua a lavorare come
scrittore e filosofo. A lui si deve, in risposta al Club di Roma, il primo appello da posi-
zioni marxiste contro lideologia dello sviluppo e della crescita
8
.
Rudolf Bahro presenta unaltra storia. Non ha un ambiente di comunisti alle spal-
le n pu attingere al ricordo del clima culturale della Repubblica di Weimar. In questo
senso rappresenta la nuova giovent cresciuta nella DDR. In una autointervista, poco
prima del suo arresto, dichiara: Io sono, nel mio sviluppo complessivo, per cos dire,
un prodotto della DDR, in tutto e per tutto
9
. E la DDR, la Repubblica democratica tede-
sca, un prodotto della guerra hitleriana e della Guerra fredda. Tutta la storia di Bahro e
del suo dissenso non si spiega al di fuori di questo contesto storico. Dopo il 1945 una
intera generazione di tedeschi ha giurato un mai pi e si voluta impegnare nella co-
struzione di una Germania migliore. NellEst questa determinazione si espresse nellin-
5
Vedi C. Cases, Vicende e problemi della cultura nella DDR, in Il testimone secondario. Saggi e interventi sulla
cultura del novecento, Einaudi, Torino 1985, pp. 319-356. Il saggio risale al 1958. Interessante anche la breve
descrizione del clima culturale della DDR in C. Cases, Confessioni di un ottuagenario, Donzelli, Roma 2000,
pp. 100s.
6
E. Collotti, Storia delle due Germanie: 1945-1968, Einaudi, Torino 1968, pp. 844ss.
7
Vedi gli atti del processo pubblicati nel 1990, Der Proze gegen Walter Janka und andere, Rowohlt, Ham-
burg 1990.
8
W. Harich, Kommunismus ohne Wachstum? Babeuf und der Club of Rome, Rowohlt, Hamburg 1975.
9
R. Bahro, Per un comunismo democratico. Lalternativa, Sugarco Edizioni, Milano 1978, p. 271; edizione
tedesca: R. Bahro, Die Alternative. Zur Kritik des real existierenden Sozialismus, Europische Verlagsanstalt,
Kln-Frankfurt 1977.
Rudolf Bahro: la coscienza come forza materiale
457
vestimento ideale per il socialismo, nellOvest nella scelta di una democrazia di tipo oc-
cidentale. Determinante per Bahro stato limperativo categorico di Marx che chiede il
rovesciamento di tutti i rapporti in cui luomo un essere umiliato, asservito e disprez-
zabile. Sarebbe stato possibile fare della Germania un laboratorio di pace e di nuovi
rapporti sociali pi giusti?
Molti intellettuali (e non solo) ci credevano. Ma la possibilit o lillusione di un
dissenso comunista nella DDR svan definitivamente con il caso Biermann e poco
dopo con larresto di Bahro. Perch il caso Biermann del novembre 1976 segna uno
spartiacque: Da quel novembre del 1976, pur con alti e bassi, un rapporto di fidu-
cia tra intellettuali e potere non fu mai pi ristabilito
10
. Il dissenso marxista da ne-
mico del partito era diventato nemico dello stato. Ha vinto un marxismo scleroti-
co statale.
Rudolf Bahro. Appunti biografici
Bahro nasce nel 1935 in Slesia e a dieci anni costretto alla fuga insieme alla stragran-
de parte degli abitanti tedeschi delle regioni orientali del Reich che ora vengono annes-
se alla Polonia e allUnione Sovietica
11
. La sua odissea dura dal febbraio 1945 allago-
sto 1946 quando ritrova il padre dopo aver perso durante la fuga la madre, la sorella e il
fratello. Non dimenticher pi questo trauma. Fino al 1954 vive insieme al padre in un
pae se della provincia di Oderland nella DDR. Nel 1950 entra nella FDJ (giovent comu-
nista) sotto il ricatto di non poter continuare i suoi studi. In poco tempo la sua adesione
forzata si trasforma in convinzione. Gi nel 1952 diventa candidato e nel 1954 mem-
bro della SED. un attivista militante che svolge lavoro volontario nellindustria e viene
mandato insieme ad altri studenti anche nelle zone occidentali, cio la Repubblica fe-
derale, per fare propaganda contro il riarmo deciso dal governo Adenauer, che compor-
ter come logica conseguenza la divisione della Germania. Dal 1954 al 1959 studia filo-
sofia (cio marxismo-leninismo) a Berlino. Come tanti altri viene scosso dalle proteste
in Polonia e dalla rivolta dUngheria. Alle falsit diffuse dalla propaganda del regime ri-
sponde con un manifesto affisso alla Humboldt Universitt il 24 ottobre 1956 che reca il
titolo: La verit storica va ricostituita (Die historische Gerechtigkeit muss wieder herge-
stellt werden). Da allora viene tenuto sotto osservazione come sospetto nemico del par-
tito e collaboratore di organizzazioni occidentali. I rapporti della Stasi (i servizi della
sicurezza) forniscono un ritratto abbastanza ben fatto. Viene sottolineato lo zelo delle
sue opinioni, lestremismo con il quale persegue le sue convinzioni etiche, la sua impa-
zienza e una sua incapacit di distinguere il politicamente possibile dallutopia. Gli atte-
stati dei suoi datori di lavoro confermano questa diagnosi
12
. Bahro viene considerato un
10
E. Collotti, Dalle due Germanie alla Germania unita, Einaudi, Torino 1992, p. 176.
11
Si tratta di un terzo circa del territorio del Reich del 1939 e di una popolazione in fuga di circa 10 milioni
di persone.
12
G. Herzberg, K. Seifert, Rudolf Bahro-Glaube an das Vernderbare. Eine Biographie, Ch. Links, Berlin
2002, pp. 43, 46, 61, 75, 84, 86.
Peter Kammerer
458
idealista. Scrive poesie in un tono tra Rilke e Becher
13
. Dal 1960 al 1962 dirige il gior-
nale del partito allUniversit di Greifswald. Segue di nuovo con zelo la linea del partito
ed perfino disposto a collaborare con la Stasi, un progetto che per fortuna non si rea-
lizza. Rimane un oggetto di osservazione. Gli intrecci dei suoi rapporti con gli orga-
ni della sicurezza dello Stato sono incredibili, kafkiani, ma Bahro non mai stato una
vittima passiva, ignara. stato un uomo attivo che in modo ingenuo cercava lo scontro:
credeva nel valore della provocazione morale pronto a rispondere delle sue azioni.
Dal 1962-1965 lavora a Berlino presso la direzione centrale del sindacato dei lavora-
tori della scienza (Zentralvorstand Gewerkschaft Wissenschaft). Il suo compito quello
di studiare le condizioni nelle quali si svolge il lavoro scientifico nella DDR e le misure da
prendere per aumentare la sua produttivit. Si tratta di un tema della massima importan-
za generalmente eluso dalla burocrazia o trattato in modo propagandistico. Bahro inve-
ce arriva alla conclusione che la scienza della DDR nella sua organizzazione odierna sia
incapace di affrontare i compiti posti dalla terza rivoluzione tecnologica. Delle sue criti-
che i suoi superiori scrivono: Nel suo zelo di attaccare senza piet e con la massima co-
erenza situazioni vecchie e superate Bahro spesso arriva a concezioni estremistiche che
non corrispondono alla linea del partito
14
. Lapparato burocratico si difende e Bahro
viene trasferito per fare il viceredattore capo della rivista Forum la quale raccoglie nel
periodo 1965-1966 le voci di quei giovani riformatori richiamati poi duramente da
Ulbricht nel dicembre 1965. Nel 1967 Bahro deve lasciare la rivista per lavorare fino al
suo arresto nel 1977 in un gruppo dellindustria della gomma (VEB Gummi und Asbest).
Qui fa una esperienza decisiva e sconvolgente: I lavoratori non contano nulla. Ecco la
vera ragione della mancanza di motivazione spesso denunciata dal partito. Ancora nel
dicembre 1967 scrive una lettera di nove pagine a Ulbricht nella quale afferma: Come
materialisti storici noi cerchiamo sempre di cogliere le ragioni sociali e le radici obiettive
dei comportamenti soggettivi
15
. Elenca i comportamenti deplorati anche ufficialmen-
te dal governo: le tendenze allautocompiacimento, lindifferenza, il rifiuto di impara-
re, il conservatorismo, la vigliaccheria perfino in discussioni innocue. Come mobilita-
re limpegno e la motivazione dei lavoratori per dare al socialismo una dinamica reale?
La risposta che Bahro suggerisce consiste in un rafforzamento della partecipazione alla
gestione delle imprese creando istituzioni come i consigli
16
e altri organi di una demo-
crazia dal basso. Alcuni mesi dopo la sua lettera, nel maggio 1968, un emissario del Co-
mitato centrale raggiunge Bahro sul posto di lavoro e lo intimidisce: Ci pensi bene, non
siamo a Praga, occorre schierarsi: o con il partito o contro.
La primavera di Praga diventa per Bahro la grande rivelazione. Si sente in piena sin-
tonia con i riformisti cecoslovacchi ed esprime la sua solidariet contro la repressio-
ne militare organizzata dai paesi del patto di Varsavia. Fa una telefonata allambascia-
ta cecoslovacca a Berlino (il 24 agosto 1968). Gli rispondono, Grazie, ma stia attento,
c chi ci ascolta e lui: Non mi importa niente. Sono un comunista tedesco che pro-
13
R. Bahro, In dieser Richtung , Gedichte, Volk und Welt, Berlin 1960 e ancora: ...die nicht mit den Wlfen
heulen. Das Beispiel Beethoven und sieben Gedichte, Europische Verlagsanstalt, Kln-Frankfurt 1979,
14
G. Herzberg, K. Seifert, Rudolf Bahro-Glaube an das Vernderbare. Eine Biographie, cit., p. 74ss.
15
Ibid., pp. 91ss.
16
Bahro allude a esperienze degli anni 20 con particolare riferimento a Gramsci.
Rudolf Bahro: la coscienza come forza materiale
459
va vergogna. Il 1968 diventa un anno decisivo della sua vita. Dallesperienza di Praga
impara a) che le riforme sono possibili; b) ma non con questi partiti comunisti al pote-
re. Non strappa la tessera del partito, ma inizia una doppia vita
17
. Decide di laurear-
si con un tema che stava studiando da parecchio tempo: come incentivare la creativi-
t dei lavoratori tecnico-scientifici nellindustria. Non si accontenta delle formule e dei
luoghi comuni, ma intraprende una ricerca empirica intervistando 48 dirigenti e quadri
intermedi in vari gruppi industriali. Questo lavoro classificato nel 1974/75 dai suoi
professori come top secret viene respinto dalla commissione di laurea nel gennaio
1977 dopo pesanti interventi censori del partito e della Stasi. Deve firmare la dichiara-
zione di aver distrutto tutte le interviste, di cui nasconde in realt vari esemplari in casa
di amici. Insieme a questa tesi di laurea ha scritto di nascosto anche il suo grande libro:
LAlternativa. La moglie Gundula capisce che il marito si muove ormai nellillegalit
e cerca consiglio interpellando Markus Wolf, capo leggendario dei servizi segreti del-
la DDR. Le ore di Bahro sono contate. Viene arrestato nellagosto 1977 con laccusa di
attivit di spionaggio e alto tradimento: avrebbe passato notizie delicate allOcciden-
te per avidit di denaro. La sentenza di condanna parla della cifra di 200.000 marchi
(si tratta dei diritti dautore contrattati con una casa editrice tedesco-occidentale). Nel
1978 Bahro viene condannato a 8 anni di reclusione.
Larresto e la condanna di Bahro costarono caro allimmagine della DDR in un perio-
do di auspicata distensione tra i due stati tedeschi e di fervore eurocomunista tra i par-
titi fratelli
18
. Cos non meraviglia se alla prima occasione la DDR si sbarazz di questo
prigioniero scomodo utilizzando lamnistia promulgata per i 30 anni della Repubblica
democratica (1949-1979). Nellottobre 1979 Bahro libero e si stabilisce nella Bundes-
republik. Si getta di nuovo nella lotta politica. Le sue teorie circolano nellEst (clandesti-
namente) e nellOvest (appoggiate dai media). Si sviluppa un ricco dibattito
19
e la gran-
de sfida che Bahro intende affrontare quella di innestare una dinamica politica che
unisca in uno sforzo comune la sinistra dei paesi occidentali e quella dei paesi orientali.
Si tratta di un obiettivo vagamente perseguito sia dalleurocomunismo, verso il quale in
un primo momento si dirigono tutte le speranze di Bahro, sia da forti correnti del mo-
vimento verde. Bahro sceglie questultimi, affascinato dalla loro vitalit movimentista.
Gi nel novembre 1979 egli partecipa ai lavori per la nascita del partito verde in stret-
ta collaborazione con Lukas Beckmann, Rudi Dutschke, Milan Horacek e Willi Hoss.
Nel suo discorso del 12 gennaio 1980 a Karlsruhe, al congresso di fondazione del parti-
17
G. Herzberg, K. Seifert, Rudolf Bahro-Glaube an das Vernderbare. Eine Biographie, cit., pp. 100 e 115.
18
Proteste non ufficiali ma pubbliche vennero da dirigenti del PCI (particolarmente impegnato Lucio Lom-
bardo Radice) e dal PC spagnolo. Il 1 febbraio 1978 il Times di Londra pubblica un appello firmato da
Heinrich Bll, Gnter Grass, Arthur Miller, Graham Greene, Carola Stern, Miki Theodorakis ed altri e nella
Repubblica federale si raccolgono pi di 10.000 firme per la libert di Bahro. Dopo la condanna (30.6.1978)
unaltra iniziativa raccoglie firme che vanno da Agnes Heller fino a Romy Schneider, Rossana Rossanda, Jean
Paul Sartre e Martin Walser. Nel novembre del 1978 a Berlino Ovest si svolge un Congresso internazionale
per e su Rudolf Bahro, la svolta nellEuropa dellEst lalternativa socialista con pi di 2.000 partecipanti e
96 giornalisti accreditati. Tra gli organizzatori figurano Altvater, Biermann, Dutschke, Mandel, Jiri Pelikan,
Gerhard Schrder (allora capo dei giovani socialisti).
19
Al quale partecipano tra altri Abendroth, Altvater, Dutschke, Gollwitzer, Haug, Mandel, Marcuse, Narr,
Pelikan, Lombardo Radice.
Peter Kammerer
460
to dei Verdi, Bahro chiede un nuovo compromesso storico
20
che superi i vecchi anta-
gonismi tra destra e sinistra unendo comunisti e conservatori nel nome dei valori comu-
ni della salvezza del pianeta. Nellestate 1985 lascer i verdi diventati per lui un partito
come tutti gli altri.
Nel novembre 1989 dopo la caduta del muro si precipita nella DDR: La patria in
pericolo. Si tratta di salvare della DDR il suo nocciolo sano che Bahro crede esista an-
cora, la sua unica ragione storica di essere: il progetto di comunismo. Nel dicembre di
quellanno chiede la parola allultimo congresso della SED nella speranza che qualcosa
del patrimonio ideale della DDR fosse salvabile
21
. Fa la figura di un Don Quijote, amman-
tato dellinnocenza di un Parsifal. Si trasferisce di nuovo a Berlino, ottiene una cattedra
alla Humboldt-Universitt e fonda un suo Institut fr sozialkologie. Passa la sua vita
tra lezioni e partecipazioni a esperimenti di vita comunitaria. Si rafforza la sua convin-
zione della necessit di una svolta verso la soggettivit come presupposto di un muta-
mento radicale. Esplora i pi vari itinerari di un viaggio interiore. Confessa infine un
comunismo spirituale non basato sullespansione materiale prevista da Marx. Da tem-
po il suo pensiero carico di una profonda religiosit. Muore di cancro nel 1997.
LAlternativa
Lotta antimperialista e industrializzazione forzata invece del comunismo
Bahro ragiona nel nome di Marx. Si domanda perch la storia andata diversamente da
come Marx aveva prospettato e quale tipo di societ si nasconde dietro letichetta so-
cialismo reale. Lenorme materiale di esperienze storiche accumulate sotto le bandiere
del marxismo va analizzato e compreso se non si vuole che diventi storia in putrefazio-
ne che avvelena il futuro. Bahro inizia la sua analisi critica ricordando che il termine
critica ha per Marx il significato di analisi scientifica che deve servire come strumento
per una modificazione concreta del mondo
22
.
La prima parte del suo ragionamento riguarda il fenomeno della via non capitalisti-
ca verso la societ industriale
23
. Nella Russia della rivoluzione dOttobre mancava una
civilt industriale sviluppata, presupposto indispensabile del socialismo. Quando dopo
la Grande guerra non si realizz la rivoluzione in Occidente, il compito storico del
partito bolscevico divent quello di trovare una via non capitalistica per modificare ra-
20
Il pensiero politico di Bahro pieno di riferimenti al comunismo italiano da Gramsci fino a Berlinguer.
21
G. Herzberg, K. Seifert, Rudolf Bahro-Glaube an das Vernderbare. Eine Biographie, cit., p. 450.
22
R. Bahro, Per un comunismo democratico: lalternativa, Sugarco, Milano 1978, p. 13. Bahro si doman-
da: Che fare di questo materiale storico che costituisce una vera e propria provocazione morale? La storia
dellURSS, della Iugoslavia, della Cina ecc. non hanno gi fornito abbastanza testimonianze crudeli e dramma-
tiche dalla rivolta di Kronstadt alle insurrezioni polacche, dalla scissione dellavanguardia bolscevica dopo
la morte di Lenin alle lotte delle comuni popolari e dalla grande rivoluzione culturale in Cina, dalla scelta
iugoslava di un socialismo autonomo fino alla tiepida svolta dellUnione Sovietica dopo la morte di Stalin?,
ibid., p. 12.
23
Nelledizione italiana per un errore di stampa (?) saltato proprio questo non.
Rudolf Bahro: la coscienza come forza materiale
461
pidamente lantica struttura della societ russa onde creare la base materiale per il so-
cialismo. Occorreva promuovere una industrializzazione forzata. Della funzione svolta
in Occidente dai capitalisti, quella di imporre a un paese agrario una nuova civilt indu-
striale con la sua disciplina del lavoro, si incaricava ora lo Stato Socialista come nuova
forza civilizzatrice. Il potere statale invece di estinguersi doveva rafforzarsi. Perci la co-
struzione di un grande apparato politico-amministrativo stata una necessit storica e
non una degenerazione
24
. Lanalisi di Bahro fornisce una chiave di interpretazione non
solo dello stalinismo, ma di tutta la nuova formazione sociale sviluppatasi nei paesi so-
cialisti. Non si trattava di un capitalismo di stato, n di un socialismo complessivamen-
te sano, sebbene con sintomi gravi di deformazioni, come sosteneva ad esempio Togliat-
ti. Non si trattava di una semplice differenza tra ideale e realt da superare. Bahro
parla di una fase larvale del socialismo, di un protosocialismo.
Burocratizzazione e statalizzazione comportavano nellURSS una socializzazione dei
mezzi di produzione in forma totalmente alienata, inconciliabile con le idee di Marx
25
.
Infatti, il comunismo definito da Marx come abolizione della propriet privata capi-
talistica aveva ben poco da abolire in Russia. Cera da superare un sistema economico
patriarcale e piccolo borghese, ma alla sua negazione non poteva seguire una afferma-
zione positiva, comunista. Non era possibile nessuna appropriazione della ricchezza so-
ciale, frutto del lavoro comune, da parte di produttori liberamente associati che scrivono
un nuovo capitolo della storia umana
26
. Per questa ragione storica i produttori libera-
mente associati non compaiono per niente in Lenin, per lo meno nella prima fase del
comunismo
27
. Secondo Bahro il socialismo reale dellURSS un dispotismo industria-
le attuato da un apparato burocratico asiatico, creato dal partito bolscevico in una lot-
ta anticoloniale e antimperialista. Questa lotta stata la sua vera funzione, non la costru-
zione di un socialismo impossibile nelle condizioni storiche dellURSS. Bahro considera
storicamente giustificabile, anzi, necessaria nel senso pi alto della parola lillusio-
ne socialista della rivoluzione russa
28
. E giudica anche lapparato staliniano (che poteva
essere certamente pi o meno duttile, pi o meno criminale) una necessit storica. Bahro
ricorda che Marx aveva usato un argomento analogo nella sua analisi del ruolo storico
della borghesia giustificando il brutale cinismo di Ricardo (giusto per il suo tempo)
che dava un valore assoluto allinteresse della produzione e allo sviluppo produttivo del
lavoro umano in quanto condizione necessaria del pi alto sviluppo dellindividuali-
t che viene ottenuto solo attraverso un processo storico nel quale gli individui vengono
sacrificati
29
. Tutti i processi di industrializzazione storicamente si basano sul sacrificio
24
Secondo Bahro le teorie della deformazione hanno le loro radici in una visione romantica, non realistica
della storia, del tipo: se solo gli uomini, specialmente i bolscevichi, avessero avuto una volont pi forte e una
maggiore dose di saggezza (...), ibid., p. 145.
25
Ibid., pp. 39, 40.
26
Ibid., p. 27.
27
Ibid., p. 102.
28
Ibid., p. 132.
29
Ibid., p. 123; K. Marx, Teorie sul plusvalore, MEOC, vol. XXXV, Editori Riuniti, Roma 1979, pp. 416-418;
cit. in: E. Donaggio, P. Kammerer (a cura di), K. Marx, Antologia. Capitalismo, istruzioni per luso, Feltrinelli,
Milano 2007, p. 193.
Peter Kammerer
462
di popoli e classi inutili. Solo lultimo Bahro metter in discussione la natura di que-
sto pi alto sviluppo dellindividualit .
Superare lantica divisione del lavoro
Il comunismo non possibile senza varcare la soglia dellindustrialismo maturo. La ci-
vilt tecnico-scientifica trascina tutti i popoli sulla sua strada in un ritmo imposto da una
parte dallimperialismo e dal capitalismo pi avanzato, dallaltra dalla resistenza popo-
lare sia nei paesi arretrati, sia nei paesi avanzati. Il movimento operaio ha giocato
un ruolo di mediazione tra le esigenze della modernizzazione capitalistica con i suoi co-
sti umani e materiali e la resistenza delle classi subalterne. La rivoluzione dOttobre e il
blocco dei paesi socialisti formatosi dopo la Seconda guerra mondiale non sono riusci-
ti a capovolgere una sostanziale subalternit rispetto alle leggi dello sviluppo capitalisti-
co. Lo stesso vale per i movimenti operai nei paesi sviluppati. Quel che si raggiunto in
ambedue le sfere stato un aumento mai visto nella storia dellumanit del consumo di
merci e una articolata protezione del lavoro. Ambedue le conquiste fungono sostanzial-
mente come compensi quantitativi di una prolungata subalternit. Questa non si rom-
per finch non si superi lantica divisione del lavoro che nei paesi del socialismo reale
si concretizza nellantagonismo tra gli apparati burocratici che dirigono i processi mate-
riali e politici e i lavoratori. Nei paesi socialisti sono presenti fondamentali rapporti di
divisione gerarchica del potere come anche differenziazioni notevolissime nellimpegno
psico-fisico degli individui
30
. Sono questi i fattori che determinano la divisione e la stra-
tificazione delle societ socialiste
31
.
Bahro compie unanalisi precisa del corpo stratificato delloperaio complessivo
della DDR con particolare riferimento al ruolo dellintellighenzia manageriale, scientifi-
ca e tecnologica e alla crescente differenziazione delle sue funzioni. I suoi interessi non
sono universali come non lo sono quelli espressi dagli strati dei lavoratori non quali-
ficati. E anche gli apparati dello Stato e del partito esprimono interessi particolari deri-
vanti dalla loro funzione. Il superamento dellantica divisione del lavoro non pu avveni-
re da una composizione degli interessi particolari dallalto, ma solo attraverso una prassi
dei produttori e dei consumatori. Bahro conclude: Lintero problema dellemancipa-
zione universale deve essere rivisto in senso pratico-politico.
Bisogno di comunismo
Una critica in termini marxiani di questo sistema autoritario e gerarchico richiede secon-
do Bahro una riflessione sul comunismo del tutto diversa sia da quella socialdemocra-
30
R. Bahro, Per un comunismo democratico, cit., p. 157.
31
Ibid., pp. 171s. Bahro sostiene linadeguatezza della categoria classe per descrivere le stratificazioni
sociali delle societ altamente sviluppate, siano esse socialiste o capitalistiche. Insieme alla borghesia anche
il proletariato perde la sua specifica identit socio-economica, cosicch nella situazione post-rivoluzionaria,
devono diventare rilevanti criteri strutturali interni completamente diversi, p. 195.
Rudolf Bahro: la coscienza come forza materiale
463
tica, sia da quella canonizzata dallUnione sovietica. A suo giudizio la piaga principale
del socialismo reale consiste nella mancanza di iniziativa e di partecipazione dei lavo-
ratori, cio in una soggettivit frustrata e opaca, come dimostrano le ricerche empiriche
da lui svolte nelle imprese socialiste della DDR, ricerche che gli hanno valso laccusa
(e condanna) per spionaggio. Bahro sostiene che sia nel sistema capitalistico, sia nel
socialismo reale esistono forti costrizioni che impediscono lemancipazione universa-
le delluomo, un suo sviluppo libero e multiforme. Nel capitalismo lostacolo maggiore
costituito dalla propriet privata. Nel socialismo reale invece lostacolo da abbattere
lapparato partitico-burocratico (fenomeno sottovalutato da Marx nelle sue polemiche
con Bakunin). Tuttavia la nuova civilt industriale resa possibile dallo sviluppo crea un
nuovo bisogno di comunismo sia nei paesi del socialismo reale, sia in quelli del ca-
pitalismo maturo
32
. Tale civilt ha dato luogo a competenze individuali e sociali genera-
li, cio a una produzione massificata di coscienza eccedente
33
che fornisce il serbato-
io di una nuova soggettivit. Sono gli individui materialmente garantiti, ma socialmente
mutilati che hanno bisogno di un nuovo ordine sociale, che contestano una divisione del
lavoro alienante, che si ribellano allassorbimento delle loro energie psico-sociali in im-
pieghi e consumi devianti
34
. Per Bahro il soggetto rivoluzionario non una classe, ma
una massa critica di impulsi individuali che rifiuta prestazioni e ipocrisia, disinteres-
se e indifferenza
35
. Per i paesi socialisti Bahro proclama una vera rivoluzione cultu-
rale contro il nesso costituito da burocratismo e subalternit. La coscienza ecceden-
te in lotta con la coscienza assorbita sar la forza materiale che far crollare il potere
dellApparato (con la A maiuscola). N il capitalismo con il suo imperativo dellavere,
n il socialismo reale come sistema di irresponsabilit organizzata
36
hanno un futu-
ro come forma di vita.
Lalternativa comunista
Nella terza parte del suo Die Alternative non tradotta nelledizione italiana di Per un co-
munismo democratico
37
Bahro propone una strategia per abolire la subalternit degli in-
dividui e per superare la loro incapacit di appropriarsi della totalit delle forze produt-
tive. Tale strategia interessa sia i paesi socialisti, sia quelli del capitalismo maturo
38
.
Labolizione della propriet privata sar compiuta solo quando il lavoro sar diventato
la prima esigenza di vita, una naturale manifestazione della vita, il mezzo fonda-
32
I concetti elaborati da Bahro si rivelano rilevanti in ambedue i sistemi, vedi H. Marcuse, Protosocialismo
e tardocapitalismo, verso una sintesi teorica a partire dallanalisi di Bahro, in H. Marcuse, Marxismo e nuova
sinistra, Manifestolibri, Roma 2007, pp. 249ss.
33
R. Bahro, Per un comunismo democratico, cit., p. 288.
34
La coscienza eccedente la qualit crescente di energia psicosociale libera, non pi legata nel lavoro
necessario e nel sapere gerarchico, ibid., p. 290.
35
Ibid., pp. 290, 319.
36
Il termine spesso citato da Bahro di Andrs Hegeds (1922-1999), allievo di Lukcs.
37
Disponibile nel riassunto presentato dallo stesso Bahro nelle sue conferenze (ibid., pp. 285-319).
38
H. Marcuse, Protosocialismo e tardocapitalismo, cit., pp. 249-274.
Peter Kammerer
464
mentale per il piacere e lo sviluppo degli individui: termini marxiani che contraddico-
no i concetti semplicistici, solo giuridici, dell obiettivo di abolire la propriet privata.
Appropriarsi della totalit delle forze produttive significa inoltre superare la contraddi-
zione inerente al loro sviluppo descritta da Marx nel famoso capitolo de Il Capitale sul-
le macchine nellagricoltura: La produzione capitalistica sviluppa quindi la tecnica e la
combinazione del processo di produzione sociale solo minando al contempo le fonti da
cui sgorga ogni ricchezza: la terra e loperaio. Chi metter fine alla distruzione delle fon-
ti della ricchezza, chi affermer che il capitale abbia esaurita la sua funzione storica, chi
bloccher il meccanismo potente della produzione per la produzione? Senza ferma-
re lo sviluppo capitalistico anche fra centanni saremo ancora troppo poveri per il pas-
saggio al comunismo. Il comunismo diventa allora impossibile non solo sotto laspetto
economico, ma anche psicologico
39
. Una lunga rivoluzione culturale pu mobilitare la
coscienza eccedente contro i bisogni compensatori, una coscienza che si libera dal-
le necessit storiche imposte dalla vecchia divisione del lavoro cambiando una mentali-
t frutto di processi conoscitivi gerarchici. Lesperienza degli ultimi secoli dimostra che
la crescente complessit dei sistemi sociali stata accompagnata da una crescente subal-
ternit degli individui
40
. Questo fatto d unidea della vastit e profondit di una rivo-
luzione culturale necessaria per creare le nuove condizioni di uno sviluppo onnilatera-
le degli individui.
Bahro presenta e discute cinque grandi obiettivi affrontati finora dal marxismo or-
todosso e dalla sua prassi politica con un metodo rozzo tanto superficiale quanto pe-
rentorio.
a) Redistribuzione del lavoro secondo il principio che tutti debbano partecipare ai
lavori fisici e ripetitivi (che nei casi migliori diventano esercizio fisico) e che nessuna atti-
vit rimanga compito o privilegio esclusivo di determinate categorie di lavoratori. Il tem-
po disponibile creato dal progresso perde il suo carattere antitetico al tempo di lavoro e
diventa presupposto dello sviluppo di capacit umane che trasformano il suo possesso-
re in un soggetto diverso, ed in questa veste di soggetto diverso che egli entra poi an-
che nel processo di produzione immediato
41
capace di partecipare alla direzione della
produzione e alle decisioni che la riguardano.
b) Educazione e formazione non solo professionale, ma carica di una prassi artistica
e politica-filosofica che metta in discussione luomo subalterno e alienato. Appropria-
zione degli strumenti conoscitivi di una educazione politecnica. Sviluppo delle capaci-
t di godimento.
c) Protezione dellinfanzia, della sua capacit e voglia di apprendimento. Superare i
limiti di una pedagogia patriarcale centrata sul principio di prestazione. Sviluppo della
comunicazione erotica come antidoto ad ogni dispotismo.
d) Nuove esperienze di vita comune. La frontiera tra il regno della libert e quel-
lo della necessit passa in mezzo alle imprese e attraversa i progetti degli individui. La
39
R. Bahro, Per un comunismo democratico, cit., p. 304.
40
R. Bahro, Die Alternative. Zur Kritik des real existierenden Sozialismus, Europische Verlagsanstalt, Kln-
Frankfurt 1977, p. 324.
41
E. Donaggio, P. Kammerer (a cura di), K. Marx, Antologia, cit., p. 244.
Rudolf Bahro: la coscienza come forza materiale
465
routine ripetitiva deve essere accompagnata e contrastata da processi creativi realizzabi-
li in piccoli gruppi che ricompongono la frammentazione delle attivit umane nel mon-
do del lavoro, della famiglia, della scuola e degli svaghi, ragione di isolamento e di in-
felicit.
e) Socializzazione e democratizzazione del processo generale della conoscenza e del-
le decisioni che vanno sottratte sia alla burocrazia sia alle avanguardie intellettuali. Di-
scussione generale delle alternative sociali possibili. Chiarimenti degli interessi partico-
lari e ricerca dellinteresse generale con la partecipazione dei cittadini resa possibile dai
mezzi di comunicazione.
Bahro riteneva possibile perseguire questi obiettivi nei paesi socialisti a condizio-
ne che nascesse un nuovo partito comunista, una Lega dei comunisti, capace di restitui-
re alla popolazione lo Stato e tutti i suoi apparati burocratici. Espulso dalla DDR aderi-
sce al partito dei Verdi che lascer nel 1985. Alla fine della sua vita dichiarer: Non
pi possibile portare avanti dallinterno delle strutture politiche esistenti una linea al-
ternativa. Ci tocca aspettare senza consumare la nostra coscienza
42
. Organizzava da
anni tra successi e fallimenti gruppi di resistenza e di sviluppo spirituale per sperimenta-
re nuove forme di vita e di pensiero comune (ecologia profonda, ecofeminismo, buddi-
smo Zen, nutrizione olistica, sufismo e simili). Tuttora attivo il LebensGut Pommritz
presso Bautzen. Con mille oscillazioni e aperture Bahro era rimasto fedele allobietti-
vo dellemancipazione del genere umano delineato nei manoscritti filosofici giovanili di
Marx. Rifiutava un marxismo chiuso al pensiero femminista ed ecologico e perci inca-
pace di comprendere i rapporti tra gli esseri umani e il rapporto tra terra e specie uma-
na
43
. Ha continuato ad insistere su quanto aveva scritto nel lontano 1977: Bisogna fi-
nalmente smettere di farsi prescrivere dal tardo capitalismo che cosa la ricchezza e
che cosa e a quale fine dobbiamo produrre e secondo quali criteri di efficienza ci deve
avvenire
44
.
BIOGRAFIA
Bahro nasce nel 1935 in Slesia (Bad Flinsberg, oggi Swieradow Zdroj, Polonia). Nel
1945 gli abitanti tedeschi della Slesia vengono espulsi e Bahro trova una nuova patria
in un villaggio vicino a Frstenberg in quella parte della Germania che former a parti-
re dal 1949 la Repubblica Democratica Tedesca (DDR). Nel 1954, dopo due anni di pro-
va, viene accettato nella SED (il partito comunista-socialista unificato della DDR). Cos
42
Die Tageszeitung, Berlin, 13/14 dicembre 1997.
43
R. Bahro, Das Buch von der Befreiung aus dem Untergang der DDR, in G. Herzberg (Hrsg.), Rudolf Bahro:
Denker, Reformator, Homo Politicus, Edition Ost, Berlin 2007, pp. 23-164. Questo saggio del 1995 pubblicato
postumo costituisce una sintesi lucida, appassionata, talvolta patetica del suo ultimo pensiero: andare con
Marx oltre Marx; affrontare stratificazioni profonde della storia e della coscienza umana con il pensiero fem-
minista ed ecologico. Come pensatore di una nuova ecologia Bahro costruisce una linea ideale tra: Hlderlin
(Empedocle); Marx (umanizzazione della natura, naturalizzazione delluomo); Nietzsche (fedelt alla terra);
Heidegger (la tecnica). Il lettore perdoni la sommariet di queste indicazioni.
44
R. Bahro, Per un comunismo democratico, cit., p. 308.
Peter Kammerer
466
pu studiare filosofia (dal 1954 al 1959) alla Humboldt-Universitt di Berlino. Tra i suoi
insegnanti ci sono Kurt Hager (lideologo pi ortodosso e influente) e Wolfgang Hei-
se (il filosofo marxista pi aperto e problematico). Scrive la sua tesi di diploma sul tema
Johannes R. Becher e il rapporto della classe operaia tedesca e del suo partito con la que-
stione nazionale. Scrive poesie ed un comunista convinto, ma scosso dal rapporto di
Chruv e dalla rivolta in Ungheria nel 1956. Nel 1959 il Partito lo manda nelle cam-
pagne per convincere i contadini a formare delle cooperative. Nello stesso anno sposa
Gundula Lembke. Dal 1960 al 1962 dirige il giornale dellUniversit di Greifswald. Dal
1962 al 1965 lavora nel sindacato che organizza i lavoratori tecnici e della scienza. Dal
1965 al 1967 viceredattore della rivista Forum che raccoglie le voci dei giovani ri-
formatori. Dal 1967 fino al suo arresto nel 1977 lavora in varie imprese dellindustria
della gomma e di materie plastiche nel settore organizzazione del lavoro. una espe-
rienza che gli fornisce la conoscenza empirica di come funziona realmente leconomia
socialista della DDR.
Dopo la primavera di Praga si convince dellimpossibilit di agire allinterno del
Partito e si decide di elaborare le sue idee in modo sistematico come critica alleconomia
politica della DDR e dei paesi socialisti. Nel 1975 compie il tentativo di presentare il suo
lavoro come tesi di laurea al Politecnico di Merseburg. Riscontra un interesse positivo
dei suoi relatori, ma il Servizio per la sicurezza dello stato (Stasi) lo accusa di diffon-
dere notizie tendenziose e pericolose e di voler pubblicare dati segreti. Riesce a pub-
blicare LAlternativa nella Repubblica federale tedesca e viene arrestato. Il suo difensore
Gregor Gysi. Dopo una condanna a otto anni di prigione, condanna che provoca pro-
teste in tutto il mondo, Bahro viene espulso dalla DDR nel 1979 insieme alla sua famiglia
e la sua nuova compagna Ursula Beneke.
Nel 1980 partecipa ai lavori per la fondazione di un partito verde nella Repubblica
federale tedesca. Ritiene che la salvezza del pianeta richieda una formazione politica tra-
sversale e che la vecchia lotta di classe porti alla sconfitta di ambedue le classi. affa-
scinato dalla teologia della liberazione e studia il primo cristianesimo. Nellestate 1985
lascer i Verdi diventati per lui un partito come tutti gli altri. inquieto e cerca ovunque
nuove esperienze per combattere la megamacchina industriale. Nel 1981 va nella Co-
rea del Nord, ricevuto come un uomo di stato. Nel 1983 partecipa negli USA a una co-
mune di Bhagwan. A partire dal 1986 organizza a Worms comunit-lavoratori. Nel 1989
partecipa allultimo congresso della SED nella speranza che qualcosa del patrimonio ide-
ale della DDR sia salvabile. Nel 1990 riesce a fondare presso la Humbolt-Universitt di
Berlino un suo Institut fr Sozialkologie. Nellestate del 1991 nasce un laboratorio
di futuro il LebensGut Pommritz, nelle campagne di Bautzen. Da varie parti Bahro vie-
ne accusato di ecofascismo esoterico e autoritario. La sua seconda moglie Beatrice si sui-
cida. Nel 1995 si sposa con Marina Lehnert. gi malato di cancro e muore nel 1997.
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Bahro, R., ... die nicht mit den Wlfen heulen. Das Beispiel Beethoven und sieben Gedichte, Eu-
ropische Verlagsanstalt, Kln-Frankfurt 1979.
Sezione quarta
TEORIE CRITICHE
471
LA POSSIBILIT DELLALTRIMENTI.
ADORNO E LA TEORIA CRITICA DELLA SOCIET
Alessandro Bellan
Teoria contra rassegnazione
In una lettera scritta poco prima della sua morte al vecchio amico Sohn-Rethel, Adorno af-
ferma che una certa parte di colpa nella sconfitta del comunismo e nella sua costruzio-
ne di un altro sistema dellorrore dipende anche da un profondo danneggiamento della
teoria; e al vecchio amico che nutriva ancora aspettative circa un possibile ruolo di paesi
come la Cina nel cambiamento del mondo, replicava, non senza una certa mestizia ma con
unintuizione purtroppo profetica, che nemmeno in quello che accade in Cina si possono
ormai riporre speranze: Non posso credere che ci sia una qualche speranza in quello che
accade in Cina dovrei negare tutto quello che ho pensato per tutta la mia vita, se volessi
dare ad intendere di provarvi qualcosa di diverso dallorrore
1
.
Questo atteggiamento politico di Adorno stato spesso archiviato come una forma
di rassegnazione, di contraddizione politica, derivante da un concetto enfatico di teo-
ria che incatena se stessa, che inesorabilmente impigliata nellimmanenza dei propri
concetti
2
. Rifiutando lunit immediata di teoria e prassi e sottraendosi quindi allim-
perativo della spendibilit qui e ora della teoresi, il pensiero critico-sociale di Adorno
stato considerato ineffettuale in quanto difettoso di indicazioni e orientamenti preci-
si da chi invece reclamava un cambiamento radicale, senza rinvii, dellesistente. Eppure,
al tempo stesso, anche un pensiero che, pur rifiutando il primato della prassi sulla teo-
ria, mira pur sempre a quel sogno di una cosa della famosa lettera di Marx a Ruge: la
possibilit dellaltrimenti.
Un altrimenti negato alla radice da un mondo, lesistente in cui viviamo, che sem-
bra eternamente identico a s, statico e immutabile pur nella sua furia dissolutrice: im-
1
Th.W. Adorno, A. Sohn-Rethel, Briefwechsel 1936-1969, hrsg. v. Ch. Gdde, edition text+kritik, Mnchen
1991 (tr. it. Carteggio 1936-1969, manifestolibri, Roma 2000, p. 168).
2
H.-J. Krahl, Attualit della rivoluzione. Teoria critica e capitalismo maturo (1971), manifestolibri, Roma
1998, p. 122.
Alessandro Bellan
472
permeabile allo sguardo utopico, talmente integrato e compatto da impedire che persi-
no lironia vi faccia presa
3
. E bench lo stato di cose presente (come lo chiamava Marx
ai tempi dellIdeologia tedesca), diciamo pure il vigente modello ipercapitalistico, abbia
ormai raggiunto il punto di non ritorno in termini di insostenibilit sociale ed ecologi-
ca, squilibri distributivi, deterioramento delle relazioni sociali, dissipazione di ricchezze
rea li e impoverimento delle risorse morali
4
, lidea che possa esistere una reale alternativa
ad esso viene accolta con sospetto, rigettata o derisa, e comunque quasi mai presa seria-
mente in considerazione come possibilit reale. Sembra allora che alla teoria non riman-
ga altra alternativa, rebus sic stantibus, che accettare questa impasse e fare di necessit
virt, dato che volens nolens ci si muove in un quadro i cui contorni sono ormai tracciati
in modo definitivo. Inevitabile, quindi, giungere a conclusioni malinconiche, come quel-
le a cui approdata certa teoria sociale odierna: Tutto potrebbe essere altrimenti, e io
non posso cambiare quasi niente
5
.
Lopera, nonch la vicenda umana di Th.W. Adorno (1903-1969), respinge proprio
questa rassegnazione sistematica. Nei celebri studi filosofico-musicali e letterari (Filosofia
della musica moderna, Mahler, Note per la letteratura), nelle opere pi strettamente teore-
tiche (Dialettica dellilluminismo, Metacritica della gnoseologia, Dialettica negativa, Teoria
estetica), fino ai Minima moralia, ai saggi sociologici, di critica della cultura e alle ricer-
che empiriche, quello di Adorno stato lo sforzo, continuamente rinnovato, rimodula-
to, ma sommamente coerente, di concedere unaltra chance alla teoria filosofica, sociolo-
gica, estetica, nella ferma convinzione che il pensiero aperto il pensiero guidato dalla
tensione allaltro e allaltrimenti rinvia sempre al di l di se stesso
6
. Un pensiero guidato
non gi dallillusoria pretesa di cambiare il mondo sic et simpliciter con un repentino pas-
saggio alla prassi, ma dalla consapevolezza dei limiti posti dal presente, illuministicamen-
te fiducioso, nonostante tutto, nella forza trasformatrice e quasi redentrice dellautori-
flessione critica e della razionalit stessa. Una razionalit che non deve farsi imprigionare
nellalternativa teoria o prassi, ma solo rinunciare alle sue pretese totalizzanti, di domi-
nio univoco sulla realt, riconoscendo la propria natura storica e quellistanza di cambia-
mento che attraversa la storia la storia degli sconfitti, degli oppressi, degli umiliati e of-
fesi, come gi Benjamin aveva compreso. Perci se oggi la teo ria ancora possibile, essa
deve mostrarsi capace di riflettere criticamente su se stessa, ammettendo i propri limiti e
le proprie aporie: non pu che essere, cio, teoria critica.
Quella di Adorno perci unautoriflessione radicale sulla possibilit e i limiti del pen-
sare, del fare critica sociale, del creare e del fare esperienza dellarte oggi, senza voler pre-
giudizialmente aderire a una qualche svolta, linguistica, comunicativa, intersoggettiva,
pratica che sia. Essa nasce dallintreccio vertiginoso di una molteplicit di tendenze e pro-
3
Th.W. Adorno, Minima Moralia. Reflexionen aus dem beschdigten Leben (1951), in Gesammelte Schriften,
vol. 4, p. 241, tr. it. Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino 1979
2
, p. 255. Le opere di
Adorno sono citate in base alla paginazione delle opere complete (abbrev. GS) e della traduzione italiana, dove
esistente; le altre citazioni fanno per lo pi riferimento alle edizioni italiane. In seguito ho talora modificato
sensibilmente le traduzioni correnti.
4
G. Ruffolo, Il capitalismo ha i secoli contati, Einaudi, Torino 2008, p. 170.
5
N. Luhmann, Stato di diritto e sistema sociale, Guida, Napoli 1990
2
(1971), p. 78.
6
Th.W. Adorno, Resignation (1969), GS 10.2, p. 798.
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
473
poste teoriche profondamente innovative: il rinnovamento del marxismo dallinterno ( Lu-
kcs e Horkheimer), il pensiero utopico ( Bloch), la critica letteraria e culturale rivoluzio-
nario-messianica ( Kracauer, Kraus, Benjamin), la teologia esistenziale ed ebraica ( Tillich,
Scholem), lamicizia e spesso la collaborazione con le avanguardie artistiche ( Berg, Schn-
berg, Eisler, Fritz Lang, Thomas Mann, Bll, Beckett, Boulez), la ricerca empirica e stori-
co-sociale dellIstituto per la Ricerca Sociale e lo studio dei mass media ( Lazarsfeld).
Da tutte queste componenti della cultura del suo tempo Adorno distilla una teoria
critica della societ indipendente dalla grande tradizione tedesca ( Weber e Simmel) e
francese ( Comte e Durkheim), e la impernia su un radicale mutamento dei compiti della
teoresi filosofica e sociale, alla luce delle gigantesche trasformazioni strutturali e sovra-
strutturali che hanno investito il mondo, occidentale e non, dopo la Grande guerra, dal-
la ristrutturazione monopolistica del capitale con lavvento della mistificazione di massa
dellindustria culturale fino allesperienza dei totalitarismi e delluniverso concentrazio-
nario di Auschwitz. Si pensi che, senza lassistenza tecnico-musicale di Adorno a Tho-
mas Mann, non avremmo uno dei capolavori letterari del Novecento, il Doktor Faustus;
e che il suo ritorno in patria nel 1949 ha rappresentato la rinascita del pensiero filosofi-
co e sociale in un Paese distrutto dalla guerra, un contributo determinante allelabora-
zione del passato tedesco e alla costruzione di una nuova identit intellettuale democra-
tica e antiautoritaria.
I tipici concetti-chiave descrittivi entro i quali viene di solito inquadrata e risolta la ri-
flessione adorniana dominio, razionalit strumentale, industria culturale, tardo capita-
lismo, mondo amministrato, contesto di accecamento sono i sensoria di unanalisi che
scandaglia le strutture pi profonde e recondite della nostra forma capitalistica di vita
e che non esita a rompere tutte le barriere accademiche e mentali che dividono filoso-
fia, letteratura, sociologia, psicanalisi, estetica nel medium di una scrittura e di uno stile
espositivo spiazzante, paradossale, vertiginoso. Obiettivo ultimo quello di rendere vi-
sibile una realt divenuta opaca al nostro sguardo, di rendere giustizia e dare un asilo a
tutti i pensieri degli oppressi, anche di quello che essi non hanno mai pensato
7
. Insom-
ma teoria critica non come lennesima espressione della volont di sistema, di spiegazio-
ni totalizzanti e definitive del reale, ma come fiducia etica e utopica in una riflessione
che pu (e deve) ancora aprire prospettive in cui lesistente si dissesti, si estranei, rive-
li le sue fratture e le sue crepe, come apparir un giorno, deformato e manchevole, nel-
la luce messianica
8
.
Una dialettica anti-totalitaria
Gi negli scritti filosofici dei primi anni Trenta che precedono il lungo esilio inglese e
americano (Lattualit della filosofia, 1931; Lidea di storia naturale, 1932; Kierkegaard.
Costruzione dellestetico, 1933) appare netta la consapevolezza dellinammissibilit di
una ragione che pretenda di dedurre, e in tal modo fondare, tutto il reale a partire da se
7
Th.W. Adorno, Minima moralia, cit., p. 280 (tr. it. p. 300).
8
Ibid., p. 283 (tr. it. p. 304).
Alessandro Bellan
474
stessa. Loggettivit non si risolve nel movimento hegeliano del concetto o nella noesi in-
tenzionale husserliana, nella trasparenza autogarantita della dimensione logica. Il reale
attraversato da deformazioni, antagonismi e disgregazioni sui quali non possibile sor-
volare, annettendoli come mere contingenze, incidenti di percorso di un pensiero che
trionfa sul suo materiale.
Il motivo sicuramente quello classico dellIdeologia tedesca lo iato fra essere e co-
scienza ma Adorno gli conferisce una curvatura del tutto peculiare, sottoponendolo a
una torsione paradossale che lo rende irriconoscibile: limpossibilit di esprimere il tut-
to, questo fondamentale scetticismo, infatti, fa s che sia necessario ritornare alla theo-
ra, a fare filosofia, e questo proprio attraverso il suo medium originario: la dialettica.
Per Marx, e per tutta la sinistra hegeliana, era stata la mistificazione prodotta dal siste-
ma, la sua incapacit di render conto degli individui e dei rapporti reali, a innescare il
processo di putrefazione dello spirito assoluto
9
e a richiedere quindi il congedo dalla
teoria a favore della prassi e dellimmediatezza sensibile. Per Adorno, invece, appunto
tale mistificazione ci che costringe a ritornare alla teoria, senza illudersi di poter istitui-
re ununit immediata fra teoria e prassi. La filosofia, pertanto, non si dissolve nel mar-
xismo, scrive Adorno a Sohn-Rethel nel 1936
10
.
Ma il ritorno alla theora non il felice ritorno alla contemplazione, a concetti e cate-
gorie che la critica di Marx prima e quella di Nietzsche poi aveva giustamente dissolto.
Il recupero di tali concetti un ripensamento critico, riflessivo, non certo la loro riabili-
tazione o revisione. Una volta fallita la sintesi idealistica
11
lunica teoria filosofica possi-
bile che voglia ancora confrontarsi con la realt non pu che essere una teoria critica. Il
reale mostra infatti di essere, sempre, qualcosa di pi di quel che . Esso si sottrae alla
sua identificazione totale rivendicando una natura altra, indisponibile, non-identica: ci
che , pi di quel che (was ist, ist mehr, als es ist)
12
.
Adorno perci rovescia lidentificazione hegeliana di totalit e verit: il tutto il
falso (das Unwahre)
13
. Non solo falsa lidea di fondo secondo la quale il pensiero sa-
rebbe in grado di cogliere e riflettere in s il tutto (falsa perch il pensiero pur sem-
pre una parte di questo tutto, e quindi, in quanto parte, non pu avere in s il tutto),
ma anche lassunto che senza totalit non si possa pensare (falsa, dunque, poich assu-
me dogmaticamente, senza dimostrarlo, che ogni pensare, per essere veramente tale, o
si risolve nel tutto o non ). Il tutto inganna sul fatto stesso di rendere sempre dispo-
nibile e attingibile ogni alterit, gi da sempre attuata e risolta nel tutto. Esso diventa
cos concetto-feticcio, totem inattingibile e mistero gaudioso, davanti al quale la filo-
sofia si prostra con timore ancestrale senza mai interrogarne il senso
14
. Ma proprio
9
K. Marx, F. Engels, Lideologia tedesca (1846), Editori Riuniti, Roma 2000
5
, p. 5.
10
Adorno, Sohn-Rethel, Carteggio, cit., p. 169.
11
Th.W. Adorno, Die Aktualitt der Philosophie (1931), in GS 1, pp. 325-344, tr. it. Lattualit della filosofia,
Utopia, n. 7-8, 1973, pp. 3-11.
12
Id., Negative Dialektik (1966), in GS 6, p. 164, tr. it. Dialettica negativa, Einaudi, Torino 2004, p. 146.
13
Id., Minima moralia, cit., p. 55 (tr. it. p. 48); cfr. anche Drei Studien zu Hegel (1963), in GS 5, p. 324, tr. it.
Tre studi su Hegel, Il Mulino, Bologna 1976
2
, p. 131.
14
Questo anche il significato della formulazione presente nella quinta meditazione sulla metafisica della
Dialettica negativa il totum il totem (cfr. Negative Dialektik, cit., p. 370; tr. it. p. 339).
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
475
questa presunta verit, questa falsa assolutezza, che va spezzata con la forza dellauto-
riflessione. Ne consegue che il punto di vista sulla totalit non pu che essere un pun-
to di vista critico:
La teoria critica non mira alla totalit ma la critica. Questo per significa anche che, in base al
suo contenuto, essa anti-totalitaria, con tutte le conseguenze politiche che ne derivano
15
.
per questo che Adorno rivede radicalmente la critica marxiana delleconomia politica,
liberandola dalleredit hegeliana, ovvero dal primato della categoria di totalit, ancora
presente e cruciale in autori come Korsch, Sartre, Goldmann e soprattutto, per lin-
fluenza esercitata su Adorno, in Gyrgy Lukcs.
Per Lukcs, infatti, soltanto la considerazione dialettica della totalit garantisce la
comprensione della realt come accadere sociale
16
. Questo significa che, secondo lim-
postazione lukcsiana, solo con riferimento alla totalit la critica dialettica produce una
conoscenza vera della realt sociale; e solo mostrando linterconnessione tra fenomeni
sociali apparentemente indipendenti essa in grado di sottrarli allisolamento e quindi
di produrre il loro effettivo mutamento. Lontologia sociale allora il necessario fonda-
mento logico-normativo della possibilit di criticare e di pensare una societ giusta, con-
cretamente in grado di andare oltre quella esistente.
In Adorno, invece, nemmeno la totalit necessaria per conferire ai concetti dia-
lettici la loro funzione rivelatrice nella concatenazione del pensiero
17
. Il tutto, infatti,
non apre, ma chiude la possibilit dellaltro, del nuovo, del cambiamento; impedisce di
pensare ci che non appartiene alla totalit, recide tutto ci che non assimilabile ad
essa. La sola determinazione corretta per comprendere la totalit la sua conflittualit
interna, la sua natura antagonistica e repressiva, rispetto alla quale lunica posizione del
pensiero deve essere la critica, affinch possa emergere ci che ancora non , ovvero ci
che non ha ancora potuto essere. Come scrive Adorno nella sua introduzione al celebre
dibattito con Popper e i suoi seguaci:
La totalit non una categoria affermativa, ma critica. La critica dialettica cerca di aiutare a
salvare o a produrre ci che non appartiene alla totalit, che le si oppone, oppure, come po-
tenziale di unindividuazione che non esiste ancora, si sta solo formando. Linterpretazione dei
fatti guida alla totalit, senza che questa sia essa stessa un fatto. Non vi nessun fatto sociale
che non abbia il suo posto e il suo significato in quella totalit
18
.
Totalit e societ fanno circolo: entrambe sono determinazioni antagonistiche, violente
e repressive che bisogna sciogliere dialetticamente. La dialettica anti-totalitaria, negati-
va, necessaria per far emergere la forza trasformatrice del marxismo, ma anche la sua
15
Th.W. Adorno Archiv (hrsg.), Adorno. Eine Bildmonographie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2003, p. 292.
16
G. Lukcs, Geschichte und Klassenbewutsein (1923), tr. it. Storia e coscienza di classe, Sugar, Milano
1991
2
, p. 19.
17
Th.W. Adorno, Kierkegaard. Konstruktion des sthetischen (1933), GS 2, p. 10, tr. it. Kierkegaard. La co-
struzione dellestetico, Longanesi, Milano 1983
2
, p. 23.
18
Id., Einleitung zum Positivismusstreit in der deutschen Soziologie (1969), in GS 8, p. 292, tr. it. Introdu-
zione a Dialettica e positivismo in sociologia, in Scritti sociologici, Einaudi, Torino 1976, p. 251.
Alessandro Bellan
476
pericolosa tendenza a ri-idealizzare la prassi, e quindi anche la politica stessa. Il rischio
che la prassi venga assolutizzata come a suo tempo la teoria, facendone, daccapo, un pri-
mum, un nuovo assoluto. In tal modo il marxismo degenera in una metafisica dogmatica
se non in una religione vera e propria, fondata sul culto della totalit, una filosofia della
storia progressiva che dispone o crede di poter disporre di un senso, di una teleolo-
gia, di una verit definitiva che non pu non esplicarsi in una politica reattiva e repressi-
va. Ununit teoria-prassi tutta pensata dal lato della prassi rende ancor pi vuota la te-
oria e definitivamente cieca la prassi medesima:
Dacch stata liquidata lutopia ed stata posta lesigenza dellunit di teoria e prassi, si
diventati troppo pratici. Il senso angoscioso dellimpotenza della teoria diventa un pretesto
per consegnarsi allonnipotente processo di produzione, e riconoscere cos definitivamente
limpotenza della teoria
19
.
Mito dellorigine e pensiero identificante
Sin dagli anni Trenta tutta la riflessione filosofica di Adorno ruota attorno a questo pun-
to: impedire la riassolutizzazione di un primum, di qualsiasi presunta e sedicente di-
mensione originaria, sia in senso ontologico (lessere, o qualunque altra base sostan-
zialistica) che gnoseologico (la coscienza, la certezza, o qualunque altro fundamentum
inconcussum di stampo soggettivistico). Il presupposto inconfessato che il Primo, che
si erge poi a originario, sarebbe assolutamente superiore, puro, incontaminato, autono-
mo, mentre il derivato, sarebbe di conseguenza inferiore, impuro, subordinato:
Poich il Primo della filosofia deve sempre contenere gi tutto, lo spirito requisisce ci che
non gli uguale, lo rende uguale a s per possederlo. Ne fa linventario; nulla deve sfuggire
attraverso le maglie della rete, il principio deve garantire la compiutezza
20
.
Come gi aveva annunciato Nietzsche, ci che la filosofia ha sempre considerato come
verit assoluta e incontrovertibile piuttosto una verit che deriva dal tentativo di salva-
re una dimensione privilegiata al caos dellesistenza, di rendere durevole qualcosa sot-
traendolo alla potenza annichilatrice della natura. Lorigine, intesa come essere, idea,
sostanza prima, riflette il privilegio cui anelano i filosofi sin dai tempi di Parmenide e
Platone: sottrarsi al dominio e allingiustizia imperante, confermandolo al tempo stesso
con la signora del concetto, che essi credono di poter controllare, non disturbati da una
realt antagonistica che invece sfugge al loro potere. Perci il cosiddetto mondo vero
(lEssere, le Idee, lUno, lEterno, il Dio dei filosofi ecc.), lindefettibile epistemico, ne-
cessario e incontraddittorio, stato pensato in modo residuale, a partire dalla contraddi-
19
Id., Minima moralia, cit., p. 49 (tr. it. p. 41).
20
Id., Zur Metakritik der Erkenntnistheorie. Studien ber Husserl und die phnomenologischen Antinomien
(1956), GS 5, p. 17, tr. it. Sulla metacritica della gnoseologia. Studi su Husserl e sulle antinomie fenomenologiche,
Sugar, Milano 1966, p. 16.
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
477
zione con il mondo contingente della dxa
21
. La critica nietzscheana non lascia scampo:
quella verit un assunto ideologico, mistificante, di evidente origine mitico-religio-
sa, ingiustificabile a uno sguardo critico-razionale. Non c alcuna verit originaria che
sia andata perduta e a cui si debba ritornare: semmai, la stessa idea di unOrigine pre-
suntamente incontaminata a testimoniare la frattura e lalienazione
22
. Ogni tentativo di
ricondurre tutto ci che , e da cui lente promanerebbe necessariamente, a una dimen-
sione originaria, sottratta di principio allesame critico-razionale, in s falso e ideologi-
co, in quanto sottende la pretesa di far prevalere una supposta verit perenne quale ad
esempio la superiorit razziale nel nazionalsocialismo a suggello del predominio iden-
titario, come nel tristemente noto Blut und Boden nazista.
Allo stesso modo lidentificazione totale, il convergere dellidentit nella totalit, na-
sconde la volont fascista e regressiva di sottomettere ogni diversit, ogni alterit impre-
vista (lextra, lexterus) come se fosse gi sempre sua. Il pensiero identificante e totaliz-
zante ha un odio antico e rabbioso nei confronti di tutto ci che non rientra negli schemi
e non si assimila al gi esistente:
Nel corso della storia il pensiero dellidentit stato un portatore di morte (ein Tdliches), ci
che soffocava tutto. Virtualmente lidentit cerca sempre solo la totalit; lUno come punto
privo di determinazione e lUno-tutto altrettanto indeterminato giacch non ha alcuna de-
terminazione fuori di s sono la medesima cosa. Ci che non tollera nulla al di fuori di s,
concepito in Heidegger, e da sempre nellidealismo, come totalit. La minima traccia al di l
di tale identit sarebbe altrettanto insopportabile quanto lo per i fascisti colui che diverso
anche nellangolo pi remoto della terra
23
.
Adorno non avanza, pertanto, una spiegazione politica del fascismo, ma ne propone uno
smascheramento filosofico, mostrando complicit e continuit tra fascismo e ontologia.
Ecco perch nella Metacritica della gnoseologia, giunge a sostenere che il fascismo cer-
cava di realizzare la prima philosophia
24
. Fascismo, infatti, non semplicemente un re-
gime politico, liquidabile come mero accidente storico, ma una struttura reificata e rei-
ficante di pensiero e di linguaggio, un gergo dellautenticit con radici profonde e
tuttora presenti:
Il fascismo non fu semplicemente quella congiura che pure fu, ma sorse entro una forte ten-
denza di sviluppo sociale. Il linguaggio gli concede asilo; in esso la sventura (Unheil), che
ancora cova sotto le ceneri, si manifesta come se fosse la salvezza (Heil)
25
.
Una tale reificazione del linguaggio ha una funzione di esonero, rende superfluo il
21
Si costruito il mondo vero sulla base della sua contraddizione col mondo reale: infatti un mondo
apparente, in quanto una mera illusione dottica morale (F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli ovvero come si
filosofa col martello, Adelphi, Milano 1988
2
(1889), p. 45).
22
Th.W. Adorno, Zur Metakritik der Erkenntnistheorie, cit., p. 21 (tr. it. p. 21).
23
Id., Jargon der Eigentlichkeit. Zur deutschen Ideologie (1964), GS 6, p. 506, tr. it. Gergo dellautenticit.
Sullideologia tedesca, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 97.
24
Id., Metakritik der Erkenntnistheorie, cit., p. 28 (tr. it. p. 28).
25
Id., Jargon der Eigentlichkeit, cit., p. 416 (tr. it. p. 8).
Alessandro Bellan
478
pensare
26
ed dunque unideologia. La teoria critica deve quindi mostrare la struttura
non logica ma ideologica, coattiva, repressiva del mito dellorigine e della purezza iden-
titaria: tutto ci che minaccia di sfuggire al sistema e al livellamento identitario (Gleich-
schaltung) deve essere differenziato e allontanato come altro, diverso, straniero,
non-identico, affinch lidentit possa far valere sempre e comunque il suo diritto di
prelazione:
Nellidealismo nel modo pi palese in Fichte vige inconsapevolmente lideologia che il non
io, lautrui, in fondo tutto quel che ricorda la natura, sia volgare, affinch lunit del pensiero
di autoconservazione possa divorarlo in pace
27
.
Si crede e si fa credere che lunico modo per pensare la differenza sia quello di ren-
derla identica a s, di assimilarla, di rovesciarne la specificit e particolarit, includendo-
la come momento dellautoarticolazione dellintero, del tutto. La negazione della nega-
zione in Hegel secondo Adorno fa proprio questo
28
.
Il pensiero filosofico tradizionale cos come buona parte di quello sociologico mo-
stra in tal modo la sua natura conservatrice, laffinit con la contrainte sociale che co-
stringe alluniformazione, allomologazione, allappiattimento su quel che gi c, impe-
dendo di pensare laltro, il nuovo, laltrimenti
29
. Come gi nella natura, anche nella
societ e nella riflessione filosofica che nelle intenzioni dovrebbero essere, entrambe,
unemancipazione dalla cieca naturalit il sempre uguale trionfa, rendendo impossibile
qualsiasi alterit, soffocando sul nascere la possibilit dellaltrimenti. Eppure, come ave-
va osservato gi Kant, lesperienza stessa cinsegna in verit che qualche cosa fatta in
questo o quel modo, ma non che non possa essere altrimenti
30
. La teoria critica adornia-
na si propone di riattivare, rendendolo esplicito, questo potenziale latente dellesperienza.
Le risorse concettuali per spezzare linganno dellidentificazione totale fra pensiero
e realt si trovano tuttavia solo nel filosofo che ha pensato lidentificazione fra totalit e
verit nel modo pi radicale: in Hegel. Nella dialettica hegeliana sono infatti presenti i
concetti-chiave della negazione determinata e della contraddizione dialettica che permet-
tono di spezzare la pretesa identitaria del pensiero.
Tale pretesa consiste nel movimento (logico) che porta la cosa a risolversi integral-
mente nel concetto e quindi a identificare senza residui loggetto nel soggetto, a risolvere
ogni contenuto nella pura forma del pensiero. Ma proprio tale identit mostra il contra-
rio di quanto Hegel intendeva: Una volta che, nellassoluto, loggetto il soggetto, al-
26
Ivi, p. 419 (tr. it. p. 11).
27
Id., Negative Dialektik, cit., p. 33 (tr. it. p. 23).
28
Id., Vorlesung ber Negative Dialektik. Fragmente zur Vorlesung 1965/66, in Nachgelassene Schriften, Bd.
16, hrsg. v. R. Tiedemann, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2003, pp. 28-29.
29
In una lezione Adorno definiva ironicamente questa natura conservatrice il momento retrospettivo della
sociologia (Id., Einleitung in die Soziologie, in Nachgelassene Schriften, Bd. 15, hrsg. v. Ch. Gdde, Suhrkamp,
Frankfurt a.M. 2003, p. 29).
30
I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 1987, vol. I, p. 41. Cfr. anche i Prolegomena: Lespe-
rienza certo mi insegna che cosa esiste e come esiste (was da sei, und wie es sei) ma mai che ci debba neces-
sariamente essere cos e non altrimenti (Id., Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potr presentarsi come
scienza, Bruno Mondadori, Milano 1997 (1783), p. 79).
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
479
lora loggetto non pi linferior rispetto al soggetto. Lidentit diventa, nella sua acme,
agente del non-identico
31
.
Lassoluto pensato hegelianamente si rivela conseguente nella sua contradditto-
riet: in esso si manifesta, infatti, non gi lassoluto dominio del soggetto sulloggetto
(come pretendeva Hegel), ma la liberazione delloggetto dalla sua minorit. Limperati-
vo dellidentificazione totale non riesce ad addomesticare la negazione determinata ren-
dendola funzionale al primato del tutto. Il risultato importante qui raggiunto che nes-
suna identit pu mai essere totale, immobile, definitiva. Essa denota solo lo schema,
letichetta, la categoria che sono stati calati sulla cosa, non la sua vera realt. Lidentit,
che il pensiero pretende di imporre logicamente agli oggetti assegnando loro una deter-
minata forma concettuale, facendoli rientrare in un dato schema o in una categoria spe-
cifica, unidentit falsa, contraddittoria, perch formulata a partire da quellapparenza
formale di unit che ogni oggetto sembra possedere. In realt tale unitariet piuttosto
unapparenza socialmente necessaria, il riflesso del principio di scambio che domina la
societ. Ogni cosa ununit in quanto deve essere scambiata con qualcosaltro: e tan-
to pi simpone lesigenza di unit e identit quanto pi tale principio domina la socie-
t, quanto pi una cosa deve essere una e identica per poter essere misurata e scambia-
ta con altre cose.
La contraddizione non sta dunque dalla parte del condizionato, ma nellincondizio-
nato stesso, nellassoluto. In questo modo il sistema idealistico rovesciato in modo im-
manente, dallinterno, senza ricorrere a un ulteriore punto di vista. Con ci emerge il
torto che lidealismo ha sempre perpetrato a danno del particolare, dellindividuale, di
ci che si differenzia e non appare immediatamente riconducibile a una qualche univer-
salit di principio:
Il differenziato appare divergente, dissonante, negativo, finch la coscienza in base alla sua
formazione deve premere per lunit; finch essa adegua ci che non le identico alla sua
pretesa di totalit. La dialettica rinfaccia questo alla coscienza come una contraddizione
32
.
Con Hegel, Adorno rifiuta dunque il formalismo, il metodologismo, lidea di un pensie-
ro calato dallalto sugli oggetti, il rifiuto dellintuizione immediata e condivide, soprat-
tutto, lidea della critica immanente, di rovesciare una tesi a partire da quanto questa
stessa non sviluppa fino in fondo. Ma questultima usata in ultima analisi anche con-
tro Hegel stesso
33
.
31
Th.W. Adorno, Drei Studien zu Hegel, cit., p. 308 (tr. it. p. 109).
32
Th.W. Adorno, Negative Dialektik, cit., p. 17 (tr. it. pp. 7-8); Id., Metakritik der Erkenntnistheorie, cit.,
p. 27 (tr. it. p. 27).
33
Questa impostazione spiega anche la refrattariet di Adorno a chiarire i fondamenti normativi della sua te-
oria. La critica, per Adorno, non pu che partire da quanto la tesi avversa sostiene, rovesciandola dallinterno
e non da un punto di vista ad essa esterno. Questo spiega labbandono habermasiano del modello adorniano
di critica, in quanto privo di giustificazione normativa (J. Habermas, Il discorso filosofico della modernit,
Laterza, Roma-Bari 1991 (1985), pp. 109-134; per una disamina meno pregiudiziale, cfr. invece G. Cunico,
Critica della ragione e utopia del non-identico, in Th.W. Adorno: mito, mimesis e critica della cultura, A. Borsari,
S. Mele (a cura di), Nuova Corrente, n. XLV, pp. 207-222).
Alessandro Bellan
480
Salvare lilluminismo
Una ragione che si sottomette senza critica a un concetto-feticcio come quello di totalit
non pu che diventare essa stessa qualcosa di reificato e reificante. Anzi, la reificazione
interamente inscritta nella genesi della ragione stessa. La storia dello sviluppo della ra-
zionalit occidentale rivela la sua natura reificante e, al tempo stesso, mostra in controlu-
ce come il processo di razionalizzazione non sia soltanto un processo di reificazione.
Va perci indagata innanzitutto la preistoria della soggettivit, ricostruendo a livello
genetico lorigine della pretesa della ragione occidentale di sottomettere a s la natura,
di conoscerne le leggi e di piegarle a bisogni umani. Alla base vi unautoestraniazione,
una particolare forma di alienazione: luomo si serve del pensiero e del linguaggio per di-
stanziarsi dalla natura per meglio osservarla e dominarla, per renderla cio oggetto ma-
nipolabile e quantificabile. Il fine non la conoscenza o lutilit, ma il dominio, lespan-
sione illimitata della capacit di disporre del reale. Il fulcro della ricostruzione critica sta
allora nel riportare alla luce questa occulta dimensione oggettivante che vive nella razio-
nalit, in una freudiana anamnesi del processo genetico che renda trasparente la violen-
ta deformazione cui luomo ha sottoposto la propria natura interna e quella esterna, in
un imbarbarimento via via crescente delloriginario e naturale impulso umano allauto-
conservazione:
Il pensiero, nel cui meccanismo coattivo la natura si riflette e si perpetua, riflette, proprio in
virt della sua consequenzialit inarrestabile, anche se stesso come natura immemore di s,
come meccanismo coattivo (...). Gli uomini si distanziano col pensiero dalla natura per averla
di fronte nella posizione in cui dominarla (...). Il concetto lo strumento ideale, che si adatta
a tutte le cose nel punto in cui si possono afferrare
34
.
Questa volont di controllo della natura ci che Adorno, con Horkheimer, definisce
illuminismo in senso ampio (Aufklrung), ovvero lemancipazione dellumanit da una
condizione di subordinazione, eteronomia e dipendenza nei confronti della natura, at-
traverso il progressivo sviluppo della scienza e della tecnica che mostrano in essa la pre-
senza di leggi conoscibili e manipolabili e quindi la realt come infinitamente disponibi-
le. In questo modo, per, lilluminismo, il tentativo di razionalizzare il reale, di coglierne
le leggi profonde attraverso numero, misura e calcolo, diventa pretesa di dominio tota-
le del reale (Herrschaft). La ricostruzione storico-genetica di Adorno e Horkheimer mo-
stra come ogni forma di illuminismo covi in s un germe totalitario
35
.
La Dialettica dellilluminismo svolge un tema originariamente weberiano, nel senso
che il processo di razionalizzazione anche per Weber in se stesso dialettico, in quanto
giunge a una ri-mitologizzazione di quella forza, la ragione formale o ratio, che si era in-
vece assunta il compito storico di dissolvere ogni superstizione, mitologia, fede, dogma.
Progressivamente, prima con la rivoluzione scientifica e lilluminismo e poi con il posi-
tivismo, la ragione giunge al proprio concetto, riconoscendo di essere lunica vera forza
34
M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialektik der Aufklrung (1944-47), GS 3, p. 56, tr. it. Dialettica dellillu-
minismo, Einaudi, Torino 1991
4
, pp. 46-47.
35
Ibid., pp. 22 e 41 (tr. it. pp. 14 e 32).
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
481
che governa il mondo, sbarazzandosi una volta per tutte degli antichi valori e degli an-
tichi di. Se la natura, il dominio delle forze che luomo non pu padroneggiare fino in
fondo, era il regno della fatalit mitica, del destino, di una necessit da temere e tenere
a bada con sacrifici e riti anche sanguinari, lo sguardo oggettivante della ratio produce
una mitologia ancor pi crudele e avvolgente, bloccando quella possibilit di pensare o
anche solo immaginare un oltre che trascenda la sfera dellimmanenza, che diviene, per-
tanto, una nuova fatalit mitica:
Lanimismo aveva vivificato le cose; lindustrialismo reifica le anime. Lapparato economico
dota automaticamente, prima ancora della pianificazione totale, le merci dei valori che deci-
dono del comportamento degli uomini. Da quando le merci, con la fine del libero scambio,
hanno perso le loro qualit economiche ad eccezione del carattere di feticcio, questultimo si
diffonde, come una maschera immobile, sulla vita della societ in tutti i suoi aspetti
36
.
Come aveva gi osservato Kracauer, la ragione non si muove nel cerchio della verit na-
turale; vuole introdurre nel mondo la verit
37
. Perci la terra interamente illuminata
splende allinsegna di trionfale sventura
38
. Il dominio delluomo sulla natura si rivela-
to doppiamente distruttivo. Da un lato non ha liberato luomo dalla sua dipendenza dal-
la natura come destino mitico, ma lo ha reso schiavo di una ragione autonomizzata, alla
quale stato riconosciuto valore universale e che ora gli si rivolta contro: luomo stato
riconsegnato a una necessit ancora peggiore di quella da cui credeva di essersi affranca-
to una volta per tutte grazie alla quantificazione e al calcolo. Dallaltro non ha reso pi
umano e razionale luomo: il dispiegamento della logicizzazione per carpire le leggi alla
natura ha fatto s che queste venissero poi proiettate sul mondo umano stesso, reifican-
dolo e al tempo stesso trasformandolo in unoggettivit dotata di legalit e forza sua pro-
pria, come vincolo sociale e potenza dellapparato.
Nelloblio della propria provenienza naturale la ragione produce un mondo in cui
la violenza di quella dimensione raddoppia, trasformandosi in qualcosa di ancor pi te-
mibile della logica di forza che governa lo stato di natura. Allingiustizia di una natu-
ra dominata con pratiche magiche e sacrifici umani e di un ordine sociale giustificato
da status ascritti legittimati dai miti, la ragione rischiarata risponde con un livellamen-
to integrale che stronca sul nascere ogni dimensione specifica, peculiare, ogni differen-
za non assimilabile:
Ci che potrebbe essere altrimenti viene livellato. (...) Lilluminismo dissolve il torto della vec-
chia inuguaglianza, il dominio immediato, ma lo eterna nelluniversale mediazione, che rap-
porta ogni ente ad ogni altro. (...) Gli uomini hanno avuto in dono un S proprio e particolare
e diverso da tutti gli altri, solo perch diventasse tanto pi sicuramente identico
39
.
Questa anche la vera origine di uno dei concetti pi importanti del marxismo occiden-
tale, quello di reificazione (Verdinglichung): poich ogni rapporto sociale si modella sulla
36
Ibid., p. 45, tr. it. p. 36.
37
S. Kracauer, La massa come ornamento, Prismi, Napoli 1982 (1921-33), p. 104.
38
M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialektik der Aufklrung, cit., p. 19 (tr. it. p. 11).
39
Ibid., pp. 28-29 (tr. it. p. 20).
Alessandro Bellan
482
base di quella violenza, di quellaccecamento, e poich ogni realt sociale tende a rimuo-
vere tale pulsione (ogni reificazione un oblio)
40
, che inconsciamente la anima, essa
fatalmente imprigiona gli uomini sia a livello materiale che a livello simbolico, costituen-
do un nuovo destino, una seconda natura, ancor pi feroce e paralizzante della prima:
Ogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura, cade tanto pi profon-
damente nella coazione naturale. questo il corso della civilt europea
41
.
La teoria critica deve perci assumere su di s il compito di mostrare come la pretesa
della ratio resti tale: illusoria volont di dominio. La necessit dellestendersi inarresta-
bile su tutta la terra della ragione-dominio il risultato di un processo storico la cui evi-
denza ineluttabile, ma la cui necessit non affatto definitiva:
Ma questa necessit logica non definitiva. Essa rimane legata al dominio, come suo riflesso e
strumento insieme. Pertanto la sua verit non meno problematica di quanto la sua evidenza
sia ineluttabile (...). Solo i dominati prendono come necessaria e intoccabile levoluzione che,
ad ogni aumento decretato del tenore di vita, li rende di un grado pi impotenti
42
.
Pur descrivendo un processo ineluttabile, la Dialettica dellilluminismo respinge nondi-
meno lidea che esso possa essere considerato ormai irreversibile. La teoria critica rifiuta
quindi lidea di una metafisica totalizzante del dominio e si propone, invece, di salvare
lilluminismo da se stesso. Se vero che la razionalit nasce da unalienazione origina-
ria, luniversalit della ragione-dominio pur sempre criticabile dal punto di vista logi-
co e contingente dal punto di vista storico. Nella ragione presente anche la resistenza a
unidentificazione senza residui nella sfera del dominio, a ununiversalit che la riduzio-
ne della ragione a strumento particolare ha tradito:
Gli strumenti del dominio, che devono afferrare tutti linguaggio, armi e finalmente le mac-
chine devono lasciarsi afferrare da tutti. Cos, nel dominio, il momento della razionalit si
afferma come insieme diverso da esso. Il carattere oggettivo dello strumento, che lo rende
universalmente disponibile, la sua oggettivit per tutti, implica gi la critica del dominio al
cui servizio il pensiero si sviluppato
43
.
Mostrare il carattere coattivo dellilluminismo, la sua natura totalitaria e totalizzante,
non significa liquidarlo, ma salvarlo
44
, attraverso una anamnesi della natura nel sog-
getto riportando alla coscienza degli uomini il legame mimetico che li unisce alla
natura che lo costringe ad ammettere di essere, in linea di principio opposto al
dominio
45
.
40
Ibid., p. 263 (tr. it. p. 248).
41
Ibid., p. 29 (tr. it. p. 21).
42
Ibid., pp. 54-55 (tr. it. pp. 44-45).
43
Ibidem.
44
Th.W. Adorno, M. Horkheimer, I seminari della Scuola di Francoforte. Protocolli di discussione, Franco
Angeli, Milano 1999, pp. 174ss.
45
M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialektik der Aufklrung, cit., p. 58, tr. it. p. 48.
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
483
Disincanto del marxismo
Poco prima della sua morte Adorno elaborer ulteriormente le tesi circa il nesso fra totali-
t e societ, razionalit e reificazione, in particolare in alcuni saggi sociologici come Osser-
vazioni sul conflitto sociale oggi, Tardo capitalismo o societ industriale? e nella celebre in-
troduzione al Positivismusstreit in der deutschen Soziologie (noto in Italia come Dialettica e
positivismo in sociologia), arrivando a conclusioni radicali che si possono cos sintetizzare:
1) la teoria sociale tende a reificare il proprio oggetto, considerandolo come entit
staticamente isolabile: una teoria critica della societ deve invece partire dalla considera-
zione della societ come soggetto, cio come entit dinamica autonoma, in grado di svi-
lupparsi non malgrado, ma grazie alle sue contraddizioni;
2) la totalit sociale pu quindi essere compresa solo come totalit antagonistica, au-
tonomizzata, che si realizza contro i bisogni e gli interessi dei singoli individui;
3) lantagonismo, tuttavia, non si esprime pi nel senso marxiano della lotta di clas-
se: lessere sociale non crea direttamente la coscienza di classe
46
.
Lapparente scomparsa del conflitto sociale in realt una pseudomorfosi
47
, visto
che gli antagonismi non sono spariti ma si ripresentano come conflitto latente fra gruppi
marginali o emarginati, come pregiudizio, razzismo, diffidenza, sospetto e infine ranco-
re, risentimento, odio per tutto ci che diverso e non assimilabile. La perdita dellauto-
nomia fa poi s che gli individui interiorizzino quellindividualismo che li distrugge come
individui
48
. Ciascuno, ormai, desidera non gi il meglio per s o per la propria classe so-
ciale, ma il peggio per gli altri, identificati sempre e comunque come privilegiati: e la de-
mocrazia stessa diventa un sistema fra gli altri, da giudicare secondo il successo o lin-
successo, anzich da custodire come concreta espressione di emancipazione e giustizia.
Il disinteresse della gente per le sorti della democrazia il riflesso dellautoestraniazio-
ne della societ
49
.
Gli individui assimilano, fino a identificarvisi, quel sistema organico di annientamen-
to della differenza che essi stessi sono diventati. Quel che resiste al principio di scambio,
allintegrazione funzionale dellindividuo nella totalit economico-sociale, sollevando
anche solo il sospetto di non essere fungibile e integrabile, viene a poco a poco sospin-
to ai margini, messo sotto sorveglianza, scrutato e comunque posto in condizione di non
nuocere: chi ha impulsi autonomi sospetto. Ma mentre per la teoria di Marx era evi-
dente lesistenza oggettiva di un antagonismo fra forze produttive e rapporti di produ-
zione, oggi il conflitto si situa a un livello che non pi semplicemente economico:
Limprenditore non si contrappone pi personalmente ai lavoratori, come incarnazione viven-
te degli interessi capitalistici. Il progresso della razionalizzazione tecnica, la spersonalizzazione
46
Th.W. Adorno, Sptkapitalismus oder Industriegesellschaft? (1968), GS 8, p. 358, tr. it. Tardo capitalismo o
societ industriale?, in Scritti sociologici, cit., p. 318.
47
Id., Reflexionen zur Klassentheorie (1942), GS 8, p. 391, tr. it. Riflessioni sulla teoria delle classi, in Scritti
sociologici, cit., p. 349.
48
Si vedano i saggi raccolti ora in La crisi dellindividuo, I. Testa (a cura di), Diabasis, Reggio Emilia 2010.
49
Id., Was bedeutet: Aufarbeitung der Vergangenheit, GS 10.2, pp. 559-560, tr. it. Che cosa significa elabora-
zione del passato, in Contro lantisemitismo, manifestolibri, Roma 2007
2
, pp. 25-26.
Alessandro Bellan
484
della struttura autoritaria (Versachlichung der Autorittsstruktur) fa s che i lavoratori non si
vedano pi davanti, nella fabbrica, un avversario tangibile. Tuttal pi si urtano con capisqua-
dra, capiofficina, superiori in genere, in una gerarchia di cui impossibile vedere i vertici
50
.
I lavoratori, e la classe operaia in particolare, non possono pi essere riconosciuti come
soggetti storico-sociali capaci di trascendere in modo rivoluzionario il capitalismo. Que-
sto non significa certo che non vi sia pi oppressione o che lantagonismo fra capitale e
lavoro si possa considerare un semplice retaggio del passato. Quel che apparentemente
sembra un senso di estraniazione dei lavoratori alla loro sorte, una condizione di apatia
politica, in realt nasconde tensioni latenti ben pi gravi, soprattutto laddove esse non
riescono a essere contenute dalla dimensione contrattuale, e finisce per esplodere in quei
fenomeni sociali marginali, oggi ancora pi evidenti che ai tempi di Adorno, dove lin-
tegrazione non ancora del tutto sufficiente, o in quelle scorie del mondo fenomeni-
co che il processo antagonistico continua a espellere non meno di prima. Tali residui
non assimilati dal mondo amministrato sono costituiti da piccoli pensionati, gruppi
intermedi o marginali non organizzati che possono esprimersi solo attraverso il risen-
timento, la rabbia, laggressivit, spesso indirizzata malamente, mai comunque verso le
cause strutturali del disagio e della marginalizzazione
51
.
chiaro, allora, perch non si possa pi parlare di coscienza del proletariato; anzi,
i proletari finiscono per diventare invisibili
52
, assieme alla borghesia stessa, a prima vi-
sta spezzando, in tal modo, uno dei fulcri della possibilit del cambiamento per la teo-
ria marxista. Ma questa daccapo ideologia: si fa credere che le classi non esistano pi
semplicemente per il relativo miglioramento delle condizioni lavorative, dei diritti dei
lavoratori e della loro qualit della vita. La proletarizzazione avviene invece a un livello
diverso rispetto a quello prospettato da Marx: non immiserimento progressivo, appiat-
timento verso il basso, caduta del potere dacquisto ma, al contrario, relativo migliora-
mento del potere dacquisto, parit formale dei diritti, ergo apparente innalzamento ver-
so la classe media. Questo per non significa che lantagonismo di classe sia scomparso
e che non esista pi una classe dominante:
La classe dominante scompare dietro la concentrazione del capitale. Questa ha raggiunto
una grandezza, una tale importanza, per cui il capitale si presenta come istituzione, come
espressione della societ nel suo complesso. Grazie allonnipotenza della sua realizzazione, il
particolare usurpa la totalit: nellaspetto socialmente totale del capitale si conclude il vecchio
carattere feticistico della merce, che riflette le relazioni degli uomini come se fossero relazioni
di cose
53
.
In altri termini, la societ non trova altra determinazione per se stessa se non quella del
capitale. La coesione sociale possibile soltanto grazie al mercato, alla reificazione, alla
dissoluzione del s nel ruolo e allintegrazione sistemica. Lessere sociale si costituisce
50
Th.W. Adorno, U. Jaerisch, Anmerkungen zum sozialen Konflikte heute (1968), GS 8, p. 187, tr. it. Osser-
vazioni sul conflitto sociale oggi, in Scritti sociologici, cit., pp. 180-181.
51
Ibidem.
52
Id., Sptkapitalismus oder Industriegesellschaft?, cit., p. 369 (tr. it. p. 329).
53
Id., Reflexionen zur Klassentheorie, cit., p. 380 (tr. it. p. 338).
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
485
ormai solo su queste basi, sicch ai lavoratori non resta altra scelta che annullarsi come
classe, assimilarsi, accettando, se vogliono vivere
54
, le regole di un gioco giocato con-
tro di loro. La possibilit stessa di costituirsi come classe attentamente ostacolata at-
traverso opportune misure, provvedimenti, accorgimenti da parte di chi li controlla eco-
nomicamente; e anche in chi li dovrebbe tutelare, i sindacati in particolare, si osserva la
tendenza a irrigidirsi in monopoli autoreferenziali, nei funzionari e nei sindacati stes-
si quella a diventare banditi che pretendono ciecamente ubbidienza dagli adepti
55
.
Le organizzazioni dei lavoratori finiscono per piegarsi alla ferrea legge che governa le
strutture organizzate
56
.
Pi lanalisi sociale penetra a fondo nel proprio oggetto, tanto pi questo le sguscia
fra le mani, diventa evanescente, impalpabile. Linafferrabilit del contenuto diventa
dunque pretesto per indagini mirate, delimitando con sempre maggiore acribia euristi-
ca il campo dindagine. Non si tratta per di inadeguatezza dello strumento dindagine,
quanto dellirrazionalit delloggetto stesso, che rende obsoleta a priori la tradizionale
critica marxiana delleconomia politica:
Lirrazionalit della societ borghese nella sua fase tarda restia a farsi comprendere: erano
ancora bei tempi quelli in cui si poteva scrivere una critica delleconomia politica di questa
societ cogliendola pienamente nella ratio a lei propria. Perch la societ ha ormai gettato
questa ratio tra i ferri vecchi sostituendola virtualmente con una disponibilit immediata su
ogni cosa
57
.
Il sociale cos divenuto una dimensione processuale opaca che struttura il nostro stes-
so modo di comprenderla, disarticolandolo a priori: nella sua interpretazione conta non
tanto ci che conosciamo, non quanto in essa ci noto e trasparente, ma ci che si sot-
trae alla nostra comprensione soggettiva. Ogni tentativo di definire e comprendere come
imperativi funzionali o strutturali, appiattendosi sulle funzioni biologiche, questioni in-
vece eminentemente dialettiche come adattamento e divisione del lavoro, raggiungimen-
to di scopi e coesione, integrazione e potere, stretto nella morsa fra concetti troppo ri-
gidi e universalizzanti e descrizioni troppo particolaristiche e non generalizzabili.
La societ essenzialmente processo, ma tale determinazione dinamica non basta
a qualificarla e a comprenderla in modo concettualmente adeguato, per cui necessa-
rio coglierne, al contempo, la natura funzionale di totalit che si mantiene solo grazie
allunit delle funzioni espletate dai suoi membri
58
. Qui sta la difficolt e la sfida del-
la sociologia dialettica, del tentativo di descrivere oggettivamente la societ, laddove le
54
Ibidem.
55
Ibidem.
56
Come spesso accade le analisi qui condotte da Adorno si appropriano, rovesciandole, di tesi conservatrici:
questo riferimento critico al sindacalismo ricorda la teoria delle lites di Michels (probabilmente per le comuni
ascendenze weberiane), in particolare la sua celebre tesi circa la legge ferrea delloligarchia (cfr. R. Michels,
La democrazia e la ferrea legge delloligarchia, in Sociologia del partito politico nella democrazia moderna, E.M.
Forni (a cura di), Il Mulino, Bologna 1966 (1911), pp. 501-521).
57
Th.W. Adorno, Versuch, das zu verstehen, GS 11, p. 284, tr. it. Tentativo di capire Finale di partita, in Note
per la letteratura 1943-1961, Einaudi, Torino 1979 (1961), p. 270.
58
Id., Gesellschaft, GS 8, p. 10, tr. it. Societ, in Scritti sociologici, cit., p. 4.
Alessandro Bellan
486
scienze sociali oggi non fanno altro che rendere universali statisticamente, quindi livel-
landoli, interessi e punti di vista puramente soggettivi:
La scienza sociale oggi dominante ritorna, in nome della rigorosa oggettivit dei metodi em-
pirici, alla base soggettiva, vale a dire a opinioni, idee, atteggiamenti dei soggetti che sono gi
dati e che vengono generalizzati statisticamente
59
.
Lobiettivo invece quello di comprendere teoricamente la societ, perch solo attraver-
so la teoria la societ pu essere compresa: solo un completo sviluppo della teoria del-
la societ potrebbe dire che cos la societ
60
. Ma, alla luce delle premesse preceden-
ti, resta da capire in che modo una critica radicale delle pretese totalizzanti-sistemiche
della concettualit filosofica e della scienza, possa avviare e dare consistenza a un pro-
gramma di ricerca teorica su un oggetto definito opaco e resistente alla concettualizza-
zione, qualcosa che agisce alle spalle degli individui, ma perci anche degli stessi teorici
che cercano di comprenderlo con concetti e categorie. La risposta di Adorno , ancora
una volta, il ritorno alla dialettica.
La teoria critico-dialettica il tentativo di portare il marxismo ad autocoscienza criti-
ca: nella teoria critica il marxismo senza annacquarsi deve riflettere criticamente su
di s
61
, si libera dal presupposto ideologico che la scienza sia un territorio franco, non
soggetto cio a quellideologia che invece domina ogni altra sovrastruttura:
Per la teoria critica la scienza una forza sociale produttiva tra le altre ed legata ai rapporti
di produzione. Essa stessa soggetta a quella reificazione contro cui si rivolge la teoria critica.
Essa non pu essere la misura della teoria critica e questa a sua volta non pu essere scienza
al modo in cui la postularono Marx ed Engels
62
.
Lunico antidoto alla reificazione perci non la coscienza del proletariato, ma una dia-
lettica calata nellesperienza. Non tanto e non solo perch essa si rifiuta di conferma-
re alcunch di singolo nel suo isolamento e nella sua separazione, ma soprattutto per il
fatto che essa insegna a vedere in questo isolamento lazione di quelluniversale, di quel-
la totalit che condanna gli uomini a una vita che non vive
63
. Perci la dialettica appare
spirito di contraddizione, ostinazione, irragionevolezza agli occhi di chi mira al com-
mon sense, alle giuste proporzioni, a sobri riformismi e si richiama alla ragione per na-
scondere lapologia del suo opposto
64
. La dialettica (negativa) chiamata a portare a
termine questa lotta contro la reificazione, a veicolare unetica della resistenza che non
sorvoli sulle contraddizioni n estorca una qualche conciliazione con lesistente, con
quel tutto che gli uomini stessi sono e contro il quale credono di non poter nulla.
59
Id., Einleitung zum Vortrag Gesellschaft, GS 8, p. 570.
60
Id., Gesellschaft, cit., p. 11 (tr. it. p. 5).
61
Th.W. Adorno-Archiv (hrsg.), Adorno. Eine Bildmonographie, cit., p. 292.
62
Ibidem.
63
Th.W. Adorno, Minima moralia, cit., p. 80 (tr. it. p. 75).
64
Ibid., p. 81 (tr. it. p. 76).
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
487
BIOGRAFIA
Figlio del commerciante di vini Oscar Alexander Wiesengrund, ebreo assimilato, e del-
la cantante lirica di origini franco-tedesche Maria Calvelli-Adorno, Theodor Ludwig Wie-
sengrund-Adorno nasce a Francoforte sul Meno l11 settembre 1903. Qui segue i corsi
di filosofia, psicologia e sociologia e conosce Max Horkheimer, laureandosi nel 1924 con
una tesi su Husserl. Influenzato dagli amici Kracauer e Benjamin e dal marxismo critico
di Bloch e Lukcs, Adorno affianca agli studi filosofici e sociologici quelli di musica sog-
giornando a Vienna, dove studia con Berg, Steuermann e Schnberg ed entra in contatto
con le avanguardie artistiche e letterarie viennesi. Rientrato a Francoforte, ottiene la venia
legendi in filosofia discutendo, con il teologo esistenzialista Paul Tillich, una dissertazio-
ne su Kierkegaard: la costruzione dellestetico (1933). Colpito dalle misure antisemite na-
zionalsocialiste, perde la libera docenza, ma solo nel 1938, dopo un soggiorno di studio
a Oxford, lascia definitivamente la Germania ed emigra negli Stati Uniti. Qui, assieme a
Horkheimer, pubblica la Dialettica dellilluminismo (1944-47). Rientrato in Germania nel
1949, pubblica Filosofia della musica moderna (1949), Minima moralia. Meditazioni della
vita offesa (1951), Prismi. Saggi sulla critica della cultura (1955), Sulla metacritica della gno-
seologia. Studi su Husserl e le antinomie fenomenologiche (1956), i tre volumi di Note per la
letteratura (1958-65), Tre studi su Hegel (1963) e Gergo dellautenticit (1964), oltre a nu-
merosi saggi musicologici e di sociologia della musica. Dirige lIstituto per la Ricerca So-
ciale, impegnandosi in una grande attivit pedagogica e culturale per la democratizzazio-
ne della Germania federale e per la ricostruzione della teoria sociale, diventando uno dei
maestri dei giovani del Sessantotto. Le ultime opere sono due classici del pensiero filosofi-
co ed estetico del Novecento: Dialettica negativa (1966) e Teoria estetica (postumo, 1970).
Muore improvvisamente a Visp (Svizzera) il 6 agosto 1969.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Adorno
Dal 1993 il Theodor W. Adorno Archiv di Francoforte sta pubblicando il lascito adorniano (Na-
chgelassene Schriften) secondo quattro ripartizioni (Abteilungen):
Abteilung I: Fragment gebliebene Schriften;
Abteilung II: Philosophischen Notizen;
Abteilung III: Poetische Versuche;
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La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ
489
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491
LUOMO RESO SUPERFLUO.
LA CRITICA DI GNTHER ANDERS
AL TOTALITARISMO MORBIDO
Massimo Cappitti
Se siamo disperati che ce ne importa?
Continuiamo come se non lo fossimo.
(Gnther Anders)
Quanto pi, scrive Anders, la vita si adorna del lucente cellophane della serena appa-
renza tanto pi vige per larte il dovere inderogabile di essere seria
1
. A essa, infatti,
spetta il compito di lacerare e screditare la variopinta continuit del quotidiano mo-
strando linsensatezza che lo abita e pervade senza rimedio. Lartista deve pertanto rap-
presentare lorrore del mondo, la dissonanza aperta nel cuore del reale: dissonanza
inconciliabile perch refrattaria a ogni compiutezza che voglia riassorbirla in s, giusti-
ficandola. Tensione dunque dolorosa e sofferta, perch lartista sa che non pu sottrarsi
alla responsabilit di dire lindicibile e nel contempo di dare forma e unit ai moltepli-
ci frammenti apparentemente incomponibili della realt. Eppure egli anche consape-
vole del rischio dello scacco che pu segnare e vanificare il suo sforzo, condannandolo
a un esito fallimentare. Anders vede nellopera di Grosz il frutto pi coerente e radica-
le di questo tentativo.
Grosz stato lartista del Novecento che, pi di altri, ha osato fissare il negativo sen-
za distoglierne mai lo sguardo, ma contemporaneamente senza alcuna illusione e pre-
sunzione di dominarlo risolvendolo in una forma esteticamente riuscita, poco importa
se ancora riconoscibile secondo i canoni di un realismo pur aggiornato, oppure scompo-
sta e stravolta secondo lo stile delle avanguardie.
Secondo Anders le avanguardie si sono limitate a distruggere le immagini della real-
t piuttosto che la realt stessa: per gli artisti che si sono riconosciuti in esse gli avve-
nimenti esplosivi e catastrofici fungevano ancor sempre da oggetti di fruizione estetica,
venivano trattati sul mercato dellarte
2
. Nonostante dunque le loro intenzioni rivolu-
zionarie, le avanguardie sono ricadute o forse non ne sono mai uscite in una visio-
ne che attribuisce allarte ancora una funzione rasserenante e conciliativa, che trasforma
linaccettabilit del dominio e dei suoi effetti disastrosi in un evento figurativo. Per-
1
G. Anders, Uomo senza mondo. Scritti sullarte e la letteratura, Spazio Libri, Ferrara 1991, p. 188.
2
Ibidem.
Massimo Cappitti
492
tanto la povert, lo sfruttamento, le divisioni di classe, ma anche il dolore e la sofferenza
umani diventano oggetto di contemplazione estetica, quindi giustificati, se non riscatta-
ti, dallintervento dellartista. Il lavorio creativo delle avanguardie allora non pu che ri-
dursi a un accadimento tutto interno allarte, appositamente escogitato per convegni o
riviste di cultura
3
. Le opere diventano cos pezzi di valore destinati a ornare e arre-
dare le case della borghesia ricca, per nulla interessata a cogliere il nesso che lega la vio-
lenza e la frantumazione rappresentate sulle tele e la violenza e la frantumazione di cui
quella borghesia responsabile che intridono la realt. Persino la distruzione an-
corch stimolata da macerie reali di Guernica, raffigurata da Picasso, diventa even-
to artistico, unopera esponibile, oggetto dellammirazione fatua e irriflessa del pubbli-
co. Le rivoluzioni delle avanguardie, conclude drasticamente Anders, hanno luogo solo
sui cavalletti.
Grosz allopposto non recede mai dalla sua intransigenza, esito di unindignazione
mai sopita e, insieme, del rigore che lartista in primo luogo esige da se stesso. Egli ri-
trae lorrore che lo ossessiona, reagendo alla sua pervasivit con sensibilit esasperata,
e cio tremendamente irritato
4
. Irritazione per che non sempre si traduce nel distan-
ziamento dal mondo o nel suo rifiuto o, peggio, nellesilio compiaciuto dellartista nel-
le sue opere, ma invece nel perseguimento tenace e nellapprofondimento della spinta
a dissolvere, scomporre, far esplodere le configurazioni abituali della realt e la loro
pretesa a una indiscutibile immodificabilit. Da qui lurgenza di stanare il nemico, di
colpirlo, di smascherarlo per far emergere la disumanit violenta di una societ che, da
un lato, attraverso il profluvio di merci, seduce e inganna e, dallaltro, utilizzando la vio-
lenza, reprime e punisce.
Grosz descrive impietosamente ma priva di piet la realt, non il suo sguardo la
ferocia della guerra, lo spietato cinismo del capitalismo, la sofferenza estrema del pro-
letariato umiliato e abbrutito dallo sfruttamento e dalla povert. Egli mostra contem-
poraneamente verit e trucco ovvero come la malvagit si annidi sotto lepidermi-
de della presunta benevolenza, come la lascivia della carne si nasconda sotto vestiti
eleganti, come il lusso arrogantemente ostentato dei potenti celi la loro miseria cultura-
le e morale.
Lartista tedesco, dunque, guarda al volto del mondo negli stessi termini con i quali i
marxisti prendono in considerazione lideologia, ossia le concezioni dominanti intorno
al reale
5
. I volti dei potenti si trasformano in maschere segnate da ghigni malvagi e bef-
fardi che svelano le loro intenzioni omicide. Talvolta sono sufficienti pochi tratti aspri e
pungenti per restituire un carattere: unintera vita sembra ricapitolarsi in scarni segni di
matita. Il disegno di Grosz procede per linee che si spezzano, prossime a interromper-
si e a ripiegare, che costeggiano e ritagliano vuoti, cavit, fessure come se in questi vuo-
ti consistesse lessenza del capitalismo, ossia il suo difetto dessere, la sua prossimit
al nulla. Allora, come nota Anders, Grosz sceglie di non dipingere contorni netti e defi-
3
Ibid., p. 189.
4
Ibidem.
5
Cfr. ibid., pp. 196-197.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
493
niti, n di ricercare la densit corposa dei colori per evitare di conferire al mondo vuoto
unidentit troppo definita e uneccessiva consistenza dellessere
6
.
Sguardo impietoso allora da cui non deflette mai, perch ogni defezione gi un ce-
dimento al male e una colpevole omissione, ogni seppur insignificante incertezza o esi-
tazione nellesercizio della critica un indizio di resa, ogni ammorbidimento e rilassamen-
to della tensione rivoluzionaria una complicit con il nemico. Per questo Grosz si vieta
ogni forma di simpatia nei confronti dei soggetti ritratti, al punto da rinunciare persino
alla sua maestria e rimettere continuamente in questione il suo stile, sfigurandolo al
pari dei suoi soggetti: Colui, il cui volto egli disegnava, era segnato. Colui, il cui tipo
egli centrava, era colpito come da un fendente
7
. Ogni segno e linea costituiscono un
giudizio negativo inappellabile, una sentenza irrevocabile. Taluni dei suoi disegni sem-
brano graffiati sulla carta col coltello dei carnefici che ritrae, altri calcati con i loro sti-
vali militari
8
.
Uomini e cose dunque portano fedelmente impresse la brutalit e lenormit dellin-
famia del mondo delle merci. Scrive ancora Anders che se gli oggetti delluniverso di
Grosz sembrano freddi, muti e senza anima, perch sono stati fatti freddi, muti e privi
danima, e appaiono vittime di una violenza o di un assassinio
9
. Partecipano cio della
modalit dessere pi naturale e diffusa, ovvero quella dellessere ucciso. Non pi,
sottolinea Anders, nature morte bens assassine, oggetti destinati a esaurire nel minor
tempo possibile il proprio ciclo di vita per lasciar posto, in una catena senza fine, ai nuo-
vi prodotti. Se nella raffigurazione delle nature morte le cose, bench sullorlo del loro
svanire, conservano per un istante la pregnanza e la loro ostinata presenza
10
, quelle di-
pinte da Grosz appaiono desolate, abbandonate, vittime inerti uccise, appunto del-
la violenza del ciclo produzione-consumo che le destina a una sempre pi rapida obso-
lescenza.
Se lanalisi della pittura di Grosz dimostra una perspicuit e una raffinatezza critica
ineguagliabili, tuttavia ci che pi colpisce delle considerazioni di Anders la profonda
consonanza con lintenzione critica del pittore tedesco: come se egli riconoscesse nel ri-
gore, nellintransigenza, nellindignazione di Grosz il proprio rigore, la propria intransi-
genza e la propria indignazione. Di Grosz condivide lo sguardo che scava, senza arretra-
menti, nella realt, per fare emergere la disumanit oppressiva e soffocante. Come egli
sfigura e stravolge ci che ritrae, cos Anders descrive il mondo contemporaneo defor-
6
Ibid., p. 217. Scrive Anders che Grosz ricorre alla tecnica dellomissione, ovvero egli omette proprio
lessenza, per mostrare, tramite la sua assenza, che fa parte della natura delluomo di oggi il sacrificio della sua
essenza. Dal momento che nellarte figurativa il corpo visibile delluomo rappresenta luomo, la rappresenta-
zione delluomo distrutto, che non nulla e nessuno, pu aver luogo soltanto mediante la rappresentazione
del corpo distrutto. Quando Grosz vuol dire o mostrare che le sue creature non hanno pi identit, o che il
loro essere costituito dal loro non essere, le costruisce disseminando intorno il nulla, buchi, cavit di finestre,
facendo in modo che i corpi servano da cornici a tali cavit vuote (sfrangiate e dentellate nel modo pi casuale
e arbitrario): un po come una struttura muraria pu servire da cornice a finestre bruciate (ibid., p. 215).
7
Ibid., p. 187.
8
Ibid., p. 193.
9
Ibid., p. 208.
10
R.M. Rilke, Lettera a Clara Rilke, 8 ottobre 1907, in F. Rella (a cura di), Verso lestremo. Lettere su Czanne
e sullarte come destino, Edizioni Pendragon, Bologna 1999, p. 48.
Massimo Cappitti
494
mandone gli aspetti, poich senza tale deformazione non si potrebbero identificare n
scorgere e, dato che si sottraggono allosservazione a occhio nudo, essi ci pongono da-
vanti allalternativa: esagerarli o rinunciare a conoscerli
11
.
La sola filosofia possibile allora la filosofia doccasione che nasce da esperienze
precise senza presupporre uno schema di costruzione elaborato. Lattivit filosofica
dunque non pu mai esaurirsi nella contemplazione dellidea del generale, della tota-
lit e del fondamento; il filosofo in realt deve sempre prendere di petto qualche cosa,
qualche cosa di specifico, qualche cosa di fondamentalmente distinto
12
. Oggetto della
investigazione profonda sono le ecceit, le particolarit opache e contingenti:
per il carattere arbitrario della loro fatticit, per lassoluta imprevedibilit e indeducibilit del
loro darsi, e del darsi in quel dato modo, esse propongono altrettanti enigmi e sono altrettanto
profondamente inquietanti dei concetti generali, della totalit, del fondamento; anzi,
forse anche pi profondamente inquietanti, perch la totalit e il fondamento sono consi-
derati appunto come le dimensioni della risposta in cui tutte le domande si acquietano
13
.
Lungi quindi dal sedare limpellenza con cui i singoli fenomeni esigono di essere pensa-
ti, il filosofo tiene desta lattenzione del pensiero, ne promuove linquietudine, vietan-
dogli in tal modo di sostare pigramente sui risultati raggiunti, sulle certezze nelle quali,
appagato, ama sostare. Chi pensa dunque non teme di oltrepassare e infrangere il con-
fine consentito della specificit particolare, anzi, scompagina e sovverte i saperi e le di-
scipline consolidate, consapevole della arretratezza delle loro categorie. La riflessione di
Anders sempre sollecitata dallurgenza degli avvenimenti e mossa dalla necessit, ri-
vendicata anche con amarezza ironica mista a ira, di denunciare lorrore del dominio e il
pericolo che luomo si trasformi definitivamente in un essere superfluo e quindi ster-
minabile.
La scrittura di Anders procede per frammenti, per quadri che allimprovviso si apro-
no, restituendo al lettore squarci imprevisti e inconsueti della realt. Lo stile incande-
scente eppure sobrio. Le sue pagine sono costellate da brevi apologhi, interviste imma-
ginarie, ricordi autobiografici, impressioni momentanee, considerazioni e valutazioni
estetiche, aforismi folgoranti che in poche parole dischiudono un mondo, senza mai
per cedere alla tentazione del sistema. Infatti le presentazioni del mondo in forma di
sistema potevano riuscire sempre e soltanto perch tutto ci che non entrava nello sche-
ma veniva oscurato o degradato come non essere
14
.
C nella vocazione sistematica uninsopportabile semplificazione della realt,
unadesione prona al cattivo realismo dominante, dove il realismo non evoca la fedele
rappresentazione del reale, bens lacquiescenza complice al suo corso. Realisti dunque
sono coloro che accettano e sostengono il mondo, incuranti della sua qualit morale,
11
G. Anders, Luomo antiquato. Considerazioni sullanima nellepoca della seconda rivoluzione industriale,
I, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 23.
12
Ibid., p. 19.
13
Ibid., p. 20.
14
G. Anders, Luomo antiquato. Sulla distruzione della vita nellepoca della terza rivoluzione industriale, II,
Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 386. Su cosa significhi per Anders fare filosofia cfr. le riflessioni meto-
dologiche conclusive, pp. 383-400, e lIntroduzione, pp. 11-27.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
495
semplicemente perch esso cos come
15
. Essi ribadiscono indefessamente la bont
del mondo e linutilit di ogni sforzo per modificarlo, al punto da rimproverare ad An-
ders di essere un assertore ottusamente ostinato della concezione umana delluomo:
come se nella connessione espressa senza malizia tra ottuso e umano, prendesse corpo
lidea raccapricciante che luomo possa venir qualificato altrimenti che umano
16
.
Il pensiero deve muovere dunque da esperienze precise
17
, ovvero da quelle urgen-
ze non sempre riconosciute che segnano la societ tardo-moderna: ad esempio, la tra-
sformazione o leliminazione delluomo per opera dei suoi prodotti; lascesa illimi-
tata della tecnica, ormai unico soggetto della storia, e la conseguente tecnicizzazione
del vivente; lo scarto tra ci che sappiamo e possiamo produrre e ci che possia-
mo immaginare e sentire, ovvero il dislivello delle facolt umane; il potere di dispor-
re dellapocalisse affidato a governanti incompetenti, mediocri e grotteschi; la tragica
mancanza di seriet
18
; lerosione della prossimit e lindifferenza etica; la saturazione e
lomologazione dellimmaginario; la scomparsa degli spazi pubblici e la contestuale af-
fermazione del totalitarismo morbido.
Il dislivello prometeico
In pi occasioni Anders sottolinea il nesso paradossale che lega la libert degli uomi-
ni e la loro costitutiva ontologica inadeguatezza alla vita. La libert trae forza, in-
fatti, dalla limitatezza umana, prende forma da una carenza originaria, come se que-
sto deficit dessere non essere legati a niente di preciso, non essere tagliati per niente
di preciso
19
fosse la condizione ineludibile del suo esercizio. Essa nasce dunque da
unestraneit, dalla mancanza cio di una natura definita e vincolante, da unidenti-
t fissa e stabilita una volta per sempre, che definisca inequivocabilmente il posto degli
uomini nel mondo. Essi, infatti, diversamente dagli altri viventi, non sono predisposti a
nessun mondo, non dispongono di una dotazione idonea che permetta loro di vive-
re in armonia con lambiente che li circonda, di muoversi in esso, riconoscendovi da su-
15
Ibid., p. 121.
16
Id., Luomo antiquato, I, p. 14.
17
Cfr. ibid., pp. 17ss.
18
Secondo Anders, nellet della tecnica, lopera di Beckett testimonia limpossibilit di ricorrere allele-
mento tragico, perch dove non c mondo non ci pu essere collisione con il mondo. O pi esattamente: la
tragicit di questa esistenza consiste nel fatto che neppure la tragedia le viene pi concessa, che sempre
anche tutta una farsa (e non soltanto mescolata con la farsa, come la tragedia dei nostri avi): dunque la si pu
rappresentare soltanto come farsa: come una farsa ontologica; non come una commedia (ibid., p. 205). Anche
in Kafka Anders evidenzia la quotidianit del grottesco, lassenza di sbalordimento dei suoi personaggi.
Scrive Anders che non sono gli oggetti o gli eventi in quanto tali ad essere inquietanti in Kafka, ma il fatto che
i suoi personaggi reagiscano ad essi come ad oggetti ed eventi normali, quindi senza agitazione (Id., Kafka.
Pro e contro, Quodlibet, Macerata 2006, p. 34).
19
Id., Patologia della libert. Saggio sulla non-identificazione, in Id., Patologia della libert, Palomar, Bari
1993, p. 58. Per un pi preciso inquadramento filosofico dei temi esposti nel paragrafo dedicato al dislivello
prometeico rinvio a R. Russo, Gnther Anders 1925-1945: dallantropologia filosofica alla critica della tecnica,
in G. Anders, Patologia della libert, cit., pp. 99-128.
Massimo Cappitti
496
bito sin dallinfanzia, ossia senza bisogno di un lungo apprendistato alla vita ci che
per la loro sopravvivenza utile e ci che invece nocivo, ci che costituisce un perico-
lo e ci che dal pericolo rappresenta un rifugio
20
.
Luomo quindi , come gi Nietzsche aveva sottolineato, un animale imperfetto e in-
compiuto, un essere debole, poco adatto e adattato alla vita. Egli soffre di uninsuf-
ficienza di integrazione per cui, irrevocabilmente esposto a se stesso e alla sua tragi-
ca contingenza, ha bisogno per vivere di un altro mondo da inventare ed edificare con
pazienza. Lassenza di un ambiente determinato nel quale gli uomini, da sempre e sen-
za attriti, siano naturalmente inseriti, li condanna alla solitudine e allestraneit. Frap-
pone tra loro e il mondo esterno una frattura irrimediabile, scavando uno scarto incol-
mabile e mai ricomponibile tra la realt e il senso che a essa gli uomini attribuiscono.
Per questo motivo luomo costretto a costruire una realt a sua misura, a farsi
essere storico: compito interminabile perch si traduce nella spinta inesausta a edifica-
re mondi che per si rivelano sempre inadeguati ad appagare i desideri umani. Segna-
ti pertanto dalla caducit e dalla parzialit, sono inevitabilmente destinati a essere supe-
rati da nuove conformazioni. La libert umana allora pu volgersi in indeterminatezza,
divenire il segno della mancanza di una destinazione e vocazioni definite, per risolversi
in una vaghezza marcata dal vertiginoso e sterile avvicendarsi dei possibili sempre lon-
tani dalla loro realizzazione.
Disancorati dal mondo e incapaci di sopravvivervi, confidando soltanto sulle loro
povere attitudini naturali, gli individui sono allora obbligati a compensare le loro caren-
ze creando da s di volta in volta lo schema della loro realt; devono, cio, inevitabil-
mente intervenire nella natura al fine di renderla abitabile e consona alle loro esigenze.
Essi sono impegnati nella trasformazione incessante del proprio dato naturale biologi-
co, nella continua uscita da s che impedisce loro di cristallizzarsi in unidentit definita
e definitiva. Da qui nasce la necessit di circondarsi delle cose, di dotarsi di strumenti in
grado di integrare se non, persino, di sostituire facolt e abilit limitate.
La natura delluomo quindi risiede nella sua artificialit, cos come la sua specializ-
zazione consiste nel non possederne alcuna, nel non essere tagliato per nulla, costret-
to a raggiungere il mondo che, gi da sempre, in anticipo su di lui. Sospeso tra losti-
lit dellambiente, da un lato, e, dallaltro, il bisogno di vivere in una realt finalmente
ospitale, luomo deve necessariamente trasformare la natura
21
.
Con la definitiva affermazione del modo di produzione capitalistico per e il cre-
scente dominio della tecnica il suo progresso imperturbabile e inarrestabile che
permette di costruire pezzi di natura mai esistiti prima e di fabbricare esseri viven-
ti da alti esseri viventi mutato non solo il rapporto delluomo con il suo ambiente,
divenuto oggetto della sua manipolazione illimitata, ma cambiata anche la relazione
delluomo con se stesso e il mondo da lui creato. venuta cio a compimento la pro-
gressiva discrepanza tra gli uomini e i loro prodotti. Questi, infatti, appaiono irricono-
20
Sulla differenza tra uomo e animale, per il quale il mondo non ha bisogno di essere appreso giacch la
domanda dellanimale e lofferta del mondo coincidono. Lanimale non richiede pi di quanto in linea di mas-
sima il mondo potrebbe dargli cfr. G. Anders, La natura dellesistenza. Uninterpretazione della posteriori, in
Id., Patologia della libert, cit., pp. 31ss.
21
Cfr. Id., Kafka. Pro e contro, cit., pp. 9ss.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
497
scibili ai loro stessi creatori, persino ostili, come se non fossero lesito dello sforzo idea-
tivo ed esecutivo del genere umano. Luniverso delle cose dotato di una spettrale vita
propria si erge estraneo davanti a chi lha progettato e costruito, ormai incapace di ri-
conoscervi la propria impronta. Neppure coloro che nota Anders producono real-
mente il mondo delle macchine e dei prodotti, gli operai, sono orgogliosi del loro pro-
dotto. E ci perch i processi di produzione si suddividono in tanti atti singoli, che non
c posto per lorgoglio, giacch si pu essere orgogliosi di quelle prestazioni che por-
tano le tracce del nostro lavoro
22
.
In questa estraneit definitiva, nellasservimento degli uomini alle loro cose, consiste
il dislivello prometeico, ossia lasincronizzazione ogni giorno crescente tra luomo e
il mondo dei suoi prodotti
23
, cosicch le stesse facolt umane non sono pi in grado di
tenere il passo dei mutamenti tecnici, che si sviluppano irrefrenabilmente e frenetica-
mente. Anders evidenzia di fronte alla illimitata libert prometeica di creare sempre
nuove cose lincapacit della nostra anima di rimanere al corrente con la nostra pro-
duzione, di muoverci anche noi con quella velocit di trasformazione che imprimiamo
ai nostri prodotti, e di raggiungere i nostri congegni che sono scattati avanti nel futuro e
che ci sono sfuggiti di mano
24
.
Viviamo dunque in un mondo che, sebbene progettato e costruito da noi, non ci ap-
partiene. diventato a tal punto smisurato che ha smesso di essere nostro, nostro in
senso psicologicamente verificabile
25
. La tecnicizzazione dellesistenza implica dun-
que che gli effetti provocati da ci che gli uomini costruiscono e fanno sono cos enor-
mi che essi non sono pi attrezzati per concepirli. Le cose stesse hanno raggiunto
una perfezione tale da divenire il modello cui gli uomini vogliono e devono soggiacere,
una perfezione cos scintillante ed esibita che li umilia perch davanti a essa le loro vite
appaiono marcate dallimprecisione e dalla fragilit creaturali. Si realizza pertanto una
discrepanza di capacit tra le diverse facolt, uno scarto tra la limitatezza di ci che si
pu concepire e lillimitatezza di ci che si pu produrre, tra quello che possibile im-
maginare e quello che si in grado di fare, tra limprevedibilit e lenormit degli effetti
e la paralisi, davanti a essi, dellesercizio della capacit critica e della responsabilit mo-
rale. Anders sottolinea con insistenza lanalfabetismo emotivo nel quale la potenza in-
controllabile della tecnica ha gettato il genere umano per cui quanto pi grandi sono
gli effetti della nostra produzione e quanto pi intricata la struttura dei nostri appa-
rati, tanto pi rapidamente la nostra immaginazione, la nostra percezione non riescono
a stargli dietro, tanto pi rapidamente cala la nostra chiarezza e tanto pi diventia-
mo ciechi
26
.
Luomo pertanto antiquato, vittima e prigioniero dei suoi prodotti. I sogget-
ti sono scomposti, lacerati, scissi al loro interno tra due o pi funzioni parziali. Lio
esplode allora in molteplici frammenti espressione, ciascuno, di una circoscritta e iso-
22
Id., Luomo antiquato, I, cit., p. 35.
23
Ibid., cit., p. 24.
24
Ibidem.
25
G. Anders, Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995, p. 29.
26
Ibid., p. 32. Anders parla anche di eventi sovraliminali, avvenimenti cio troppo grandi rispetto a quelli
che luomo riesce ad afferrare (G. Anders, Opinioni di un eretico, Theoria, Napoli 1991, p. 80).
Massimo Cappitti
498
lata funzione irriducibili alla loro ricomposizione unitaria, giacch queste funzioni non
soltanto non sono coordinate ma neppure coordinabili e, anche se lo fossero, lio non
attribuirebbe a tale opportunit pi alcuna importanza. Anzi, la rifiuterebbe energica-
mente.
Semmai gli individui modellano il proprio essere su quello delle cose e delle macchi-
ne. Affascinati dalla regolarit priva di incertezze e dalla precisione dei congegni da
loro stessi inventati, aspirano a divenirne parte od organi, a servirli fedelmente, rimuo-
vendo ogni resto o rudimento di individualit che possa intralciare laspirazione degli
uomini a diventare cosa tra le cose. La solidit degli oggetti e la loro apparente indistrut-
tibilit la perfezione priva di difetti porta alla luce allora i limiti definitivamente se-
gnati da cui i soggetti sono affetti e, insieme, la caducit immedicabile delle loro vite,
esposte al potere corrosivo del tempo. La loro conformazione psichica tradizionale di-
venta lostacolo che ritarda, se non impedisce, la trasformazione in cose pienamente uti-
lizzabili.
Ancor pi costrittivi e obbliganti sono per i vincoli posti ai soggetti dal corpo
nudo, non lavorato e modellato erroneamente. Il corpo costituisce un peso in-
sopportabile perch inchioda e condanna ciascuno a unesistenza imperfetta, serrandolo
in unindividualit avvertita come patologica e peso insopportabile del quale necessa-
rio liberarsi. Da qui il riconoscimento deferente della supremazia delle cose e la vergo-
gna di esser divenuto invece di essere stato fatto, di dovere la sua esistenza, a differenza
dei prodotti perfetti e calcolati fino allultimo particolare, al processo cieco e non cal-
colato e antiquatissimo della procreazione e della nascita
27
. La feconda imprevedibili-
t dellagire e lo sfondo creativo del pensiero, lungi dal rappresentare lespressione pi
alta della libert umana, diventano invece la prova evidente e inconfutabile della sua di-
fettosit.
Nella constatazione di questa imperfezione prendono forma i tentativi di metamor-
fosi cui i corpi vengono sottoposti per saggiarne, in condizioni inusitate e innaturali,
lestremo limite di sopportabilit e quindi di modificabilit. Si tratta di avvicinare la
soglia entro la quale il corpo informe mero e deperibile pezzo unico pu essere
modellato e, integralmente utilizzabile, divenire partecipe delle virt conferite agli ap-
parecchi, diventare cio perfettamente adeguato agli imperativi stabiliti e imposti dalle
macchine. I corpi dunque vengono osservati, scrutati, spiati, manipolati, resi oggetto di
sperimentazioni, forzati non per apprenderne i limiti o tracciare tali limiti con metodo
cartografico, bens per cogliere il lato debole (...) della natura corporea, ovvero indi-
viduare quei punti in cui quella natura rimasta amorfa, indefinita, fluttuante e ambi-
gua e perci tanto pi facilmente modellabile
28
.
In discussione per non , come nota Anders, la possibilit etica di modificare o
meno luomo secondo il principio per cui buono ci che , perch cos come . La
natura stessa, ad esempio, opera per mutazioni e variazioni incrementando la moltepli-
cit delle sue specie e luomo, a sua volta, aperto a infinite possibilit, poich non ca-
27
Ibidem. Sulla vergogna come sentimento primario delluomo cfr. G. Anders, Patologia della libert, cit.,
pp. 66-70.
28
Id., Luomo antiquato, I, cit., pp. 43-50.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
499
ratterizzato da unessenza immutabile e non oltrepassabile da cui non pu evadere senza
perdere la sua umanit. Questa risiede invece proprio nella sua plasticit e nella capa-
cit di adeguarsi alle situazioni inaspettate, impreviste e imprevedibili che ne costellano
lesistenza. Se luomo pu dunque mutare e cos espandere le proprie capacit e facol-
t, senza essere inchiodato a unidentit definitiva, rimane da comprendere chi di questa
attitudine disponga per piegarla alle proprie pretese.
In tal modo il corpo delluomo diventa oggetto di contesa tra chi ne individua e va-
lorizza la potenza e la ricchezza di vita, da un lato, e, dallaltro la tecnica che vuole
piegarlo alle sue pretese, riducendolo a docile strumento. Nellepoca dello human en-
gineering dellingegneria applicata alluomo e della fisiotecnica, prevale la con-
vinzione che il corpo vada tolto di mezzo affinch lasservimento delluomo possa final-
mente compiersi senza pi ostacoli. Per questo la tecnica ne fa luogo privilegiato della
sua attenzione. Essa, infatti, intride i corpi, se ne appropria, li governa, li violenta, li tra-
sforma in corpi condizionati, complici felici del proprio assoggettamento.
Lintero vivente in tal modo si riduce a potenziale territorio di occupazione, dove
energie, cose, uomini sono materiali tanto pi validi quanto pi sono fruttuosamente
soggiogati e integrati, costretti a funzionare insieme per confluire in macchine o
in pezzi di macchine pi grandi e infine fondersi nella megamacchina
29
. Nella coinci-
denza di apparato e mondo si realizza laspirazione totalitaria della tecnica a estinguere
e assorbire in s ogni fuori, a incorporare tutto e riunire in s tutte le funzioni pen-
sabili, ad assegnare a tutte le cose esistenti la propria funzione, a integrare in s, come
propri funzionari, tutti gli uomini nati nel suo ambito
30
. Totalitarismo morbido che,
come si vedr, non ha pi bisogno, come quello di met Novecento, dellimpiego siste-
matico e brutale della violenza, poich ottiene obbedienza automatica e incondizionata
in virt dellefficacia e dellefficienza del suo impercettibile e perci pi insidioso di-
spositivo di omologazione.
La voracit predatrice della tecnica e la sua necessit di espandersi mettono in pe-
ricolo la sopravvivenza stessa della specie e dellintero vivente. Se, infatti, lhomo faber,
inteso in senso tradizionale, si era limitato a impiegare porzioni di mondo per creare il
suo proprio, lasciando per contemporaneamente inalterato e intatto ci che non oc-
correva per il suo compito
31
, la tecnica, nellepoca del suo trionfo, fa del mondo nella
sua totalit lo strumento della sua crescita senza freni. Essa obbedisce al comando inde-
rogabile che impone di fare tutto ci che si pu fare e di portare a termine ogni uti-
lizzazione prevista del prodotto. Poco importa se si tratta di strumenti, come la bomba
atomica, in grado di annientare il genere umano. La tecnica dunque indifferente non
solo alla destinazione finale dei suoi prodotti, ma anche al loro valore morale. Per questo
non esita a scatenare, senza scrupolo alcuno, il suo potenziale distruttivo.
29
Su questo tema cfr., ad esempio, Id., Luomo antiquato, II, cit., pp. 105-115.
30
Ibid., p. 100.
31
Id., Luomo antiquato, I, cit., p. 176. Nellet della tecnica, invece, la non produzione di qualcosa di
producibile passa per uno scandalo (...). Scandalosa viene considerata non solo la non utilizzazione di una
potenziale materia prima; ma persino il non riconoscere in qualcosa di esistente della materia prima, e trattarla
come tale (Id., Luomo antiquato, II, cit., p. 25). Si tratta allora di scoprire la sfruttabilit che si presume
immanente a qualunque cosa (anche alluomo) (ibidem).
Massimo Cappitti
500
Questa constatazione rende vana la discussione se esista un cattivo uso della tecni-
ca che ne perverte le potenzialit emancipative. Anders ritiene invece che i suoi effetti
negativi siano ineliminabili perch a essa essenziali. Il rifiuto di collaborare allesigenza
della tecnica di produrre tutto ci che pu essere prodotto quindi ineludibile, bench
il suo esercizio risulti gravoso in unepoca caratterizzata dallincapacit di provare ango-
scia. La percezione dellinsensatezza della vita, anzich costituire un sintomo patolo-
gico da curare, segno di salute, della capacit cio di riconoscere la verit. Riconosci-
mento tanto pi importante perch crescono la possibilit di una catastrofe universale
e la consapevolezza della sua ineluttabile prossimit. Eppure le si muove incontro eufo-
ricamente, senza spavento, non perch gli uomini ne ignorino il pericolo, ma allopposto
come sottolinea Anders, perch lo conoscono.
Il totalitarismo morbido
Scandaloso dunque che non si utilizzi tutto ci che possibile utilizzare, che un atto
o un compito non giungano a esecuzione o manchino, anche solo parzialmente, la pro-
pria meta o, ancora, che qualcuno viva la propria esistenza autonomamente dalle mac-
chine, resistendo cos allimpiego totale e alla forzata integrazione nel totalitarismo
degli apparecchi. Ogni minimo grumo di mondo non ancora occupato diviene allo-
ra non solo motivo di tormento, ma unoccasione sprecata, addirittura un atto di
sabotaggio, perch tradisce la necessit della tecnica di non lasciare incompiuta alcu-
na prestazione
32
.
Scandalosa per anche la pretesa degli individui al riconoscimento della propria
individualit, come se questa insistenza costituisse unintollerabile macchia dinfamia
per il dispositivo domologazione, come se cio ne testimoniasse il fallimento. Chiun-
que sollevi anche solo un sospetto nei confronti del sistema delle macchine diviene, a
sua volta, oggetto di sdegno e di riprovazione. Colui che non desidera ci che desti-
nato a ricevere considerato immorale e inaffidabile, addirittura, qualora si rifiuti di
consumare, un sabotatore, poich col suo comportamento attenta alle legittime esigen-
ze della merce.
Si tratta pertanto di prevenire qualunque individualit, di bandire anche la pi la-
bile e fragile traccia di soggettivit che, attraverso limprevedibilit del suo agire, mini la
possibilit di edificare una realt senza lacune e vuoti, un mondo privo di intoppi e tal-
mente automatico che pu concedersi il lusso di fare a meno di una voce che comanda
o delle mani di un dittatore che governa con il terrore
33
. Da qui lurgenza di costruire
un individuo consono alle esigenze del sistema delle merci, un soggetto, cio, amputa-
to della facolt di giudizio ossia della facolt di pensare autonomamente e criticamen-
te da un lato e, dallaltro, esautorato della libert di agire, ovvero di modificare la sto-
ria tracciandovi il segno del suo intervento consapevole.
Il totalitarismo morbido perfeziona questa costruzione di individui conformisti e
32
Id., Luomo antiquato, II, p. 102.
33
Ibid., p. 188.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
501
congruenti che collaborano, spesso euforicamente, alla defraudazione delle proprie
qualit individuali e quindi di se stessi, per svanire nella massa indistinta degli spetta-
tori e dei consumatori che tutto inghiottono e tutto digeriscono. Allora davvero in-
teressanti sono soltanto i non interessanti, coloro cio nella cui esistenza non c nep-
pure la pi insignificante iniziativa alla quale essi comunque non si conformerebbero;
n il pi insignificante evento da cui comunque non verrebbero omologati, e che dun-
que non hanno pi assolutamente bisogno di misure o di cure particolari per essere
omologati
34
.
Il totalitarismo morbido giunge dunque a pervadere e a saturare di s lintera so-
ciet, ricorrendo solo eccezionalmente alla forza, grazie soprattutto al funzionamento
ininterrotto dei meccanismi di omologazione impercettibili e onnipresenti, agli scia-
mi di sirene seduttrici, che in un mondo ridotto a immensa esposizione pubblicitaria
impongono, seppur in modo suadente, i propri comandi. Il totalitarismo mite si pre-
senta allora come un sistema coesivo, senza saldature, senza lacune e senza finestre,
pronto a ricucire ogni strappo nella maglia compatta del suo dominio, a suturare ogni
soluzione di continuit, che potrebbe proiettare i soggetti fuori dal suo controllo, spin-
gendoli a scoprire e sperimentare altre varianti dellesistenza e del mondo
35
.
La molteplicit di merci offerte senza posa, quali surrogati di vite vacue, che scorro-
no insensatamente, assolve a questo scopo: ossia impedire lirruzione del possibile. Sem-
mai la pubblicit e la moda, ad esempio, producono e promuovono unimmagine di pos-
sibili fittizi. Gli individui allora devono obbedire spontaneamente, cosicch venga meno
la necessit della voce di unistanza centrale che esiga incondizionatamente che essi,
con gli altri, nuotino nella stessa corrente. Occorre cio che ciascuno creda di nuotarvi
liberamente obbedendo in tal modo a un ordine senza recepirlo come tale, essendo in-
capace ognuno, ormai, di riconoscere e smascherare i meccanismi conformanti. Questi,
infatti, agiscono come sistemi armonici prestabiliti dove non sono pi richiesti sforzi
espliciti di adattamento e le azioni di coordinazione riconoscibili e distinguibili ap-
paiono inutili e superflue, poich gli individui gi sinseriscono come viti standardizza-
te in viti femmine standardizzate
36
.
Il divertimento uno degli strumenti essenziali dellaffermazione del terrore mor-
bido delle merci. Esso disarma totalmente gli individui, li espone indifesi alla sedu-
zione degli oggetti. I soggetti incautamente vi si affidano senza precauzioni, ipno-
tizzati dal suo volto innocuo e confortevole, cos abile a presentare le sue offerte da
spegnere, prima ancora che prenda forma, ogni opposizione. Il divertimento e il pia-
cere associato alla fatua e triviale superficialit delle merci, che si autoraccomanda-
no corteggiando il consumatore, concorrono a costruire un domino inflessibile fon-
dato su individui spossessati di s e deprivati della libert di percepire la mancanza di
libert
37
. Individui che desiderano ci che loro stato ordinato di desiderare e che nel
34
Ibid., p. 128.
35
Cfr. ibid., pp. 182ss.
36
Ibid., p. 127.
37
Scrive Anders defraudati perfino della libert di soffrire della nostra illibert, adempiamo glincarichi a cui
la pubblicit ci costringe corteggiandoci con i suoi raggiri, senza neppure riconoscerli, senza neppure brontolare
(ibid., p. 156). Allora, il conformismo non sanguinario soltanto perch ci ha gi inghiottiti; perch ormai pu
Massimo Cappitti
502
contempo sono sempre pi simili ai beni che gli vengono somministrati. Come i beni, in-
fatti, sono insulsi, sciocchi e volgari, altrettanto insulsi, sciocchi e volgari sono i loro
utilizzatori. La merce viene fornita infatti priva di tutto quanto ci estraneo, disossata,
assimilabile, rassicurante, perch ci appare simile a noi, tagliata sulla nostra misura,
nostra pari. Non solo ciascuno accetta di assimilarsi ai contenuti che gli sono destina-
ti e forniti, ma la sua vita psichica giunge a coincidere senza scarti con quei contenuti:
ognuno quindi ci che consuma.
Un mondo gi interpretato
Anders non manca di ripetere che lefficacia dellesercizio del potere nel totalitarismo
mite risiede nella sua impercettibilit, fraintesa come non-esistenza. Come il deus
absconditus i cui decreti sono insondabili e imperscrutabili anche il potere sa di es-
sere al colmo della potenza se resta celato dietro le quinte
38
. Il suo silenzio segno della
sua forza: infatti quanto pi totale un potere, tanto pi muto il suo comando. Quan-
to pi muto un comando, tanto pi naturale la nostra obbedienza, quanto pi natura-
le la nostra obbedienza, tanto pi assicurata la nostra illusione di libert. Quanto pi as-
sicurata la nostra illusione di libert, tanto pi totale il potere
39
. Totalit significa che
il mondo dei prodotti il mondo stesso, cosicch agli individui si proibisce di pensare
non solo la possibilit di esistenza di altri mondi, ma anche dimmaginare che quello in
cui vivono potrebbe essere diverso. Contemporaneamente la pervasivit del dominio
si manifesta attraverso la sua sempre pi perfezionata capacit di costruire gli individui,
di forgiare in anticipo i loro desideri e renderli cos tra s uguali, imponendo modelli di
comportamento e di esperienza indiscutibilmente validi per tutti.
Ciascuno pertanto fornito non solo di ununica esperienza del mondo, ma anche
delle parole necessarie per descriverla, per cui, parlando, pronuncia le parole che un al-
tro chiunque altro al suo posto potrebbe dire e, ascoltando, ode le parole che lui
stesso nelle medesime condizioni direbbe. Un monologo indistinto e informe nel qua-
le convivono, sovrapponendosi, i luoghi comuni diffusi dai mass media, le sedicenti no-
vit quotidiane, le notizie che sempre uguali si ripetono stancamente, le parole banali
e rassicuranti dellesperto televisivo, gli stereotipi che costellano le conversazioni at-
traversa la societ, la percorre senza sosta, senza la possibilit di sottrarsi al suo ascolto.
Cade cos quello scarto tra s e gli altri labisso tra persona e persona che condi-
zione essenziale affinch si possa gettare un ponte linguistico tra gli uomini e, quindi,
possa prendere forma un dialogo, sia che si sviluppi in modo fecondo o invece si areni
nel fraintendimento. La societ dunque parla con se stessa. I suoi apparecchi parlano
in vece nostra, togliendoci la facolt di esprimerci, loccasione di parlare e per-
sino la voglia di parlare. Essa si avvita in una comunicazione dove laltro, lungi dal
risparmiarsi di fare i conti con il sorgere di quella opposizione per la cui liquidazione il totalitarismo di ieri
aveva bisogno o credeva di avere bisogno del terrore. Il conformismo mite perch pu permettersi di rinun-
ciare alla minaccia e allo spargimento di sangue (ibid., p. 249).
38
Ibid., p. 131.
39
Ibid., pp. 131-132.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
503
costituire un interlocutore, scompare dietro una realt monolitica contraddistinta dal-
la presenza di avvenimenti scelti e chimicamente preparati e per questo drasticamen-
te impoverita.
Il mondo quindi offerto agli individui gi interpretato, fuso in stampi pre-costituiti
da cui impossibile deragliare, regolato in anticipo e codificato in schemi fissi che
determinano rigidamente, in modo totale e completo, i modi di vedere, i comporta-
menti, i criteri dellagire. Poich tutto fornito a domicilio, non vi pi nulla da esplo-
rare, non esiste pi un fuori che, occasione di inquietudine, muova la ricerca, mobiliti la
sua tensione inesausta, mai paga dei propri esiti. Chiunque voglia o tenti di infrangere
il numerus clausus dei temi imposti, subir lopposizione non solo di chi questi temi ha
ideato, ma anche di chi ne cliente e ne accetta, grato, la semplificazione che essi pro-
mettono. La realt, infatti, appare ai loro occhi come un unico e gigantesco ambiente
domestico, come un universo di agio e cordialit, a tal punto familiare da vanificare la
necessit di unesperienza diretta.
Gli individui dunque sono fatti partecipare: passivamente obbedienti e, insieme,
appagati da una realt filtrata da altri e perci sollevati dalla fatica di interpretarla in
prima persona, i soggetti non sono neppure pi in grado di distinguere che cosa sia es-
senziale per le loro vite. Cos una crisi economica o sociale, un sommovimento politi-
co, una catastrofe naturale si mescolano, perdendo i loro tratti distintivi, alla sfilata di
moda, allavventura sentimentale di un personaggio dello spettacolo o, ancora, al risulta-
to di una prova sportiva. Gli avvenimenti si confondono, slittano gli uni negli altri, come
se non corresse alcuna differenza tra loro o, meglio, come se sottolineare o evidenziare
le differenze non fosse importante, perch a ciascuno si d tanto pi da vedere quan-
to meno gli consentito di metter bocca. Ognuno coinvolto e appassionato da det-
tagli insignificanti, da situazioni o episodi marginali, purch non rivendichi la possibili-
t di prender parte alle decisioni capitali che riguardano se stesso e il mondo. Infatti
quanto meno dobbiamo immischiarci in decisioni che ci riguardano realmente, tanto
pi misuratamente veniamo immischiati in cose
40
insignificanti. La serata finale di un
programma televisivo, ad esempio, potr acquistare un rilievo maggiore, come se l fos-
se veramente in gioco il destino degli spettatori, di fatti pi gravi e impegnativi, dai quali
essi ormai completamente anestetizzati esigono invece di essere distolti per non esse-
re riconsegnati allinsopportabile seriet della vita. Imboccati dopinione e ingozza-
ti dalla televisione, ne diventano succubi, ascoltano sempre e soltanto ci che viene loro
fornito senza poter interloquire, senza pi nemmeno lidea di poterlo o doverlo fare.
Il mondo come immagine
La massa ingente di immagini che inondano e affollano le esistenze nellepoca della tec-
nica, reclamando attenzione dai manifesti pubblicitari e dalle riviste piuttosto che dagli
schermi televisivi e cinematografici, contribuiscono allimbecillimento collettivo. In
quanto immagini infatti, a differenza dei testi, non fanno vedere i nessi ma sempre e sol-
40
Ibid., p. 234.
Massimo Cappitti
504
tanto alcuni brandelli di mondo: quindi, mentre mostrano il mondo, lo nascondono
41
.
Allora insignificante che la singola immagine possa rispecchiare fedelmente un aspetto
della realt, se per laccesso al reale nella sua totalit interdetto dal fatto che molti altri
suoi aspetti sfuggono alla rappresentazione o non sono ritenuti degni di essere rappre-
sentati, per essere in tal modo condannati allinvisibilit e, conseguentemente, allinesi-
stenza. Riproduzione quindi sempre parziale e frammentaria che, ambendo per a pro-
porsi come esaustiva, si risolve in una rappresentazione menzognera.
La produzione in serie delle immagini la possibilit cio di essere indefinitamen-
te replicate in esemplari innumerevoli sposta comunque lattenzione degli indivi-
dui dalla realt alla sua rappresentazione. La serialit impoverisce il mondo, poich esso
viene fatto entrare in casa dei soggetti in effigie, non pi oggetto del contatto di-
retto, ma contemplato da una rassicurante distanza. Se la realt acquista importanza
sociale nella sua forma riprodotta, cio quand immagine, la distinzione fra essere e ap-
parire, tra realt e immagine, risulta annullata
42
. La forma riprodotta dunque assume
un rilievo maggiore, una pi decisa pienezza dessere rispetto alloriginale, provocan-
do cos una sorta di rovesciamento del primato ontologico tradizionalmente attribuito
a questultimo. Il reale rifluisce scomparendo nella sua copia: ne viene risucchiato e oc-
cultato al punto che reale solo ci che riproducibile. Il potere della copia, quindi,
rende superflua la realizzazione degli originali.
Se il fantasmagorico scintillio delle merci fonte di unirresistibile fascinazione, poi-
ch seduce il consumatore con la speranza fiduciosa di poter, acquistando la cosa, com-
prare anche il sogno di felicit che essa promette, altrettanto lo splendore abbagliante
delle immagini menoma la capacit dellosservatore di pensare il fatto reale, ne al-
lontana lattenzione indirizzandola verso le copie del mondo. Illusoriamente protetti
dallestraneit, dallindocilit e dallopacit del reale refrattario a piegarsi ai loro pro-
getti e a disporsi secondo i loro desideri, gli individui si comportano come se esso non
fosse segnato dalla presenza invalicabile dellambiguit, definitivamente scomparsa o al
pi ridotta a mero accidente nelluniverso virtuale delle immagini.
Fenomeno particolarmente evidente, secondo Anders, qualora si prenda in conside-
razione la funzione della televisione, la sua attitudine ad alimentare una falsa confiden-
za con il mondo, e a sopprimere la distanza tra quanto viene fornito e colui che viene
fornito. Svolgendosi contemporaneamente agli eventi, le scene televisive si spaccia-
no per gli eventi stessi, ossia producono un secondo mondo pi tranquillizzante di
quello reale, perch immunizza e risparmia lo spettatore dai drammi che vede svolger-
si davanti ai suoi occhi.
La televisione dunque consegna il mondo a domicilio, smaterializzato e mondato
da ogni elemento che possa emotivamente coinvolgere gli spettatori e spingerli a pren-
dere posizione e, conseguentemente, ad agire. Lo schermo isola e al contempo proteg-
ge gli individui dalle conseguenze degli eventi. Literazione delle riproduzioni, la loro
proliferazione impazzita, poich ormai disancorate da ogni riferimento al reale, abitua-
no alla diminuzione della pregnanza delloggetto rappresentato, la ripetizione infini-
41
Id., Luomo antiquato, I, cit., p. 13.
42
Ibid., p. 108.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
505
ta di un evento lo svuota della sua drammaticit e della sua indubitabile e inoppugna-
bile realt, mitigandone, se non annullandone, limpatto emotivo. Essa dunque ottunde
la sensibilit morale: anestetizza i soggetti rinserrandoli in una contemplazione distrat-
ta e indifferente degli eventi, che rapidamente si srotolano come episodi slegati tra loro.
Contemplazione tuttavia compiaciuta della distanza che pone tra s e laltro, tra chi
guarda e chi dal suo sguardo irrimediabilmente trasformato in oggetto, esposto senza
difese alla curiosit vacua e oscena degli spettatori.
Laltro allora interessa solo quando acconsente a fare spettacolo di s, ovvero quan-
do accetta di mettere in scena il proprio universo interiore: meglio ancora se confessa
pubblicamente i suoi dolori, diventando in tal modo oggetto di uneffimera e voyeuristi-
ca attenzione e della compassione sapientemente evocata a comando, che conferma
gli utenti televisivi sulla loro bont e capacit di provare emozioni autentiche. Sfuma-
no pertanto i confini tra sfera pubblica e sfera privata fino a smarrirsi nellindistinzione
per cui, come nota Anders, si sta a casa stando in pubblico. Tutti si sentono obbligati
e invitati a dire, senza reticenza alcuna, tutto di s e a mostrare spudoratamente tutto a
ciascun altro senza farsi scrupolo di essere senza scrupolo.
Limperativo portare alla luce ogni segreto, rendere percettibile ciascuno a ciascu-
no, togliere di mezzo ogni riserva che fosse un impedimento, per condannare ogni pri-
vacy come tradimento; non permettere ad alcuno di vivere con le finestre chiuse e non
lasciare nulla che non sia sotto controllo
43
. Quando inoltre lesibizione di s diventa
volontaria, allora essa la gradita manifestazione di lealt, salute, felicit e nel-
lo stesso tempo il segno della felice complicit dei soggetti con i dispositivi del loro as-
soggettamento. Vite per procura, infine, poich contemplano con un misto di ammi-
razione, invidia, dispetto, risentimento, di maligna e persino ostentata speranza che il
successo abbandoni il personaggio del momento restituendolo cos allinterno dellano-
nimato le vite altrui, grottesche e mediocri. Eppure per questo esse appaiono tanto pi
affascinanti, perch specchio ed espressione della mediocrit condivisa. Se chi si esibi-
sce sullo schermo vantando la propria incompetenza come merito dove lunica com-
petenza consiste nel non possederne alcuna arrivato, allora chiunque pu spera-
re di essere al suo posto e di emanciparsi cos dal vegetare privo di senso e dal tempo
melmoso fatto poltiglia di unanonima e orribile quotidianit.
Cose caduche
Unambiguit irresolubile segna il sistema delle merci. Se da un lato, infatti, dei propri
prodotti esibisce la durevolezza sottratta alle leggi del tempo, ne esalta cio lattitudine
a permanere immutati e la capacit di sopravvivere agli uomini, loro creatori; dallaltro
invece, affinch il ciclo produzione-consumo non conosca soste, li destina a una sempre
pi veloce sostituibilit. Li condanna dunque a un invecchiamento e a una morte preco-
ce. Come, allora, facolt e sentimenti umani sono diventati antiquati, cos le cose sono
affette da unaltrettanto rapida obsolescenza.
43
Id., Luomo antiquato, II, cit., p. 218.
Massimo Cappitti
506
Esse, infatti, come sottolinea Anders, ci sono per non esserci, non sono cio fab-
bricate per durare nonostante la pubblicit ne garantisca la durata indefinita ben-
s, al contrario, per esaurire nel pi breve lasso temporale il loro corso di vita, per esse-
re consumate immediatamente senza perci aver la possibilit di consolidarsi nel tempo.
Se ci avvenisse, se, identiche a s, protraessero la loro esistenza e si potesse quindi con-
fidare nella durevolezza e affidabile stabilit che le caratterizzano, questo tempo, per i
produttori, sarebbe un tempo morto. Le cose quindi tradite dagli uomini, si riduco-
no a cose vuote indifferenti, cose apparenti, imitazioni
44
, come se, pervase dalla mor-
talit, le abitasse il desiderio impellente di affrettare la propria dissoluzione, avide, qua-
si, di essere sostituite.
Con esse dunque non pi possibile n un rapporto di propriet siamo, dice An-
ders, proprietari intermittenti n, ancor meno, un rapporto affettivo, poich, consu-
mandosi velocemente il loro tempo di vita, accompagnano solo per un breve tratto lesi-
stenza degli individui e prontamente sostituite da oggetti seriali e per larga parte uguali
tra loro, svaniscono senza lasciare traccia e memoria. Lobbligo allora risiede nel rende-
re il pi piccolo possibile lintervallo che si estende tra la produzione e la liquidazione del
prodotto
45
, facendo del consumo unattivit senza sosta, analoga, per tempi e regole ri-
gidamente stabiliti, al lavoro.
I soggetti pertanto sono obbligati alla spietatezza nei confronti delle loro cose;
sono spinti a sostituire il pi rapidamente possibile la vecchia generazione di prodot-
ti con la nuova
46
, a rinunciare agli oggetti che gi possiedono, mettendoli da parte
come se fossero gi finiti, resi inutili dal frenetico susseguirsi delle mode: come se la
produzione portasse in s la distruzione, ovvero fosse abitata dalla pulsione di morte.
Industria della pubblicit e industria della moda concorrono cos a creare uno stato di
bisogno permanente, per cui non si possiede ci di cui si avverte il bisogno, ma si sen-
te il bisogno di ci che si ha. Producono uninquietudine che non giunge mai a placarsi
nel possesso di un oggetto, giacch contemporaneamente infiniti altri, ammiccando, sol-
lecitano e tengono desti i desideri degli individui. Ne inibiscono la facolt di scelta, pa-
ralizzata dallabbondanza di merci, e si offrono vantando ciascuno la propria esclusiva
e insostituibile qualit. Insieme industria e moda assolvono il compito di soddisfa-
re il desiderio di vendetta dellindustria nei confronti della pretesa dei propri prodotti
a resistere, a conquistarsi nel tempo saldezza e consistenza
47
. Esse inducono il biso-
gno di prodotti che hanno bisogno di noi, affinch la produzione mantenga inalterato
il suo ritmo, ossia quando noi distruggiamo sempre daccapo i suoi prodotti (...) ne sia-
mo sempre di nuovo bisognosi, cosicch foraggiando noi stessi la foraggiamo, sazian-
do noi stessi la saziamo
48
.
44
R.M. Rilke, Lettera a W. Von Hulewicz, 13-11-1925, in Verso lestremo, cit., p. 102.
45
G. Anders, Luomo antiquato, II, cit., p. 43.
46
Ibid., p. 33.
47
Cfr. ibid., pp. 41ss.
48
Ibid., p. 38.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
507
Incolpevolmente colpevoli
Scrivendo al figlio di Eichmann, Anders sottolinea come il mostruoso ovvero lo
sterminio industriale e istituzionale di uomini durante il nazismo non sia stato solo
lesito della malvagit dei sui ideatori, n daltra parte non ha neppure costituito la mani-
festazione di circostanze eccezionali e perci irripetibili che, improvvisamente e inaspet-
tatamente, hanno fatto irruzione nella storia, pervertendone il corso altrimenti destinato
a procedere verso linarrestabile affermazione del progresso del genere umano. Piutto-
sto, lo sterminio la produzione sistematica di cadaveri ha preso forma e forza nel cuo-
re stesso della modernit: ne un approdo estremo, eppure tragicamente coerente.
La shoah stata possibile perch ha messo al suo servizio lorganizzazione burocra-
tica della societ moderna. stata, infatti, il risultato della combinazione di fattori che
ancor oggi non cessano di svolgere la loro funzione, come ad esempio: la pianificazio-
ne degli obiettivi; la specializzazione di competenze e saperi; la formazione di un ceto di
esperti impermeabili a qualsiasi controllo che non sia quello previsto e disciplinato dalle
regole dellorganizzazione a cui appartengono; la divisione del lavoro; il dispiegamento
della razionalit strumentale attenta alla congruenza di mezzi ai fini e quindi pi preoc-
cupata della bont del funzionamento, dellefficacia e dellefficienza dellazione che
della sua moralit. Per questo motivo, ricorda Anders, il fatto che ha reso possibi-
le una volta una cosa del genere non si lascia pi cancellare dalla faccia della terra e so-
pravvive come possibilit irrevocabile
49
, nuovamente riattingibile qualora le circostan-
ze sociali e storiche lo richiedano.
Eichmann e come lui molti altri ha creduto di poter giustificare se stesso e le
proprie scelte con il rispetto delle istruzioni ricevute, revocando in tal modo leserci-
zio della responsabilit morale. Egli invece si mosso con leccessivo zelo di sistema-
re chi non era ancora stato sistemato, come se questultimo fosse una fastidiosa sudicia
macchia
50
. Pertanto la constatazione che la complicazione degli apparati produce effet-
ti smisurati e straordinari, tali da eccedere limmaginazione umana e la possibilit di ri-
sponderne da un lato, e, dallaltro, tali da rendere minima la chance di comprendere i
procedimenti di cui noi siamo parti o condizioni, non giustifica gli individui. Non com-
porta cio lassoluzione di quelli che cedono alla tentazione della chance di infamia
51

che lapparato custodisce in s. Se vero, infatti, che i procedimenti aggrovigliati e in-
diretti che contraddistinguono il funzionamento della macchina totale producono
effetti dirompenti le cui conseguenze sono per gli individui inimmaginabili e irrapre-
sentabili, tuttavia su ciascuno incombe il dovere etico di rifiutare la propria obbedien-
za, di pensare cio autonomamente. Dovere inderogabile perch il compito della mora-
le consiste proprio nello screditare e dissolvere limmoralit di chi detiene legalmente il
potere
52
. Certo, continua Anders, un dovere faticoso da adempiere poich lorganiz-
zazione degli apparati e della produzione, frantumata in molteplici gesti sempre uguali e
49
Id., Noi figli di Eichmann, cit., p. 76.
50
Ibid., p. 21.
51
Ibid., p. 27.
52
Id., Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki, Einaudi, Torino 1961, p. 37.
Massimo Cappitti
508
ossessivamente ripetuti, impedisce di scorgere il nesso tra il proprio compito e quello al-
trui e, soprattutto, di misurare la totalit del contesto di produzione in cui integrato.
Viene meno in tal modo la possibilit di conoscere il prodotto finale e la destinazione
di questultimo, le sue qualit morali o immorali e ancora chi ne beneficia, ne usa,
ne rimane vittima. Laccurata parcellizzazione, le innumerevoli mediazioni tra il gesto
iniziale, quello che avvia la catena degli atti, e quello finale che la chiude, rendono irri-
conoscibile a ciascuno il ruolo che gli spetta nel meccanismo complessivo.
Il dissolversi della responsabilit personale nella complessit dellapparato impedi-
sce a ciascun soggetto coinvolto di sapere effettivamente ci che fa. Lautore dellazione,
infatti, ignora chi subir gli effetti del suo agire, dove questi si scateneranno con mag-
gior forza e, dallaltra parte, chi ne patisce limpatto ignora lartefice delle sue sofferen-
ze. Si produce cos una sclerosi delle emozioni, poich vittima e carnefice diventano
reciprocamente invisibili, privi di ogni coinvolgimento emotivo che, pur nella radicale
ostilit, consenta loro di riconoscersi vicendevolmente
53
.
Lerosione della prossimit si conclude dunque nellindifferenza per la quale laltro,
divenuto cosa, non neanche pi oggetto dodio. I carnefici allora non hanno nemme-
no pi la percezione delle loro vittime, ammutolite e impossibilitate a comprendere e
raccontare unesperienza di cui costituiscono lestremo grumo di sofferenza. I carnefici
quindi delle vittime ignorano, altrettanto ignorati, volto, storia e nome. Anonime e senza
possibilit di riscatto, esse scivolano nellindistinzione dove tutto uguale, ha identico
valore, indifferente, identico senza valore. I confini tra chi colpito e chi colpi-
sce perdono la loro nettezza: linvisibilit dei colpevoli rende invisibile la colpa, lin-
visibilit delle vittime rimuove ogni inibizione nel compimento delle azioni. Chi patisce
ingiustamente soffre un male il cui responsabile ignoto il ritorno della fatalit tragi-
ca nella modernit avanzata , cos gli esecutori incolpevolmente colpevoli , solle-
vati dal tormento del senso di colpa e del rimorso, sono liberi di portare a esecuzione i
loro incarichi nei confronti di chi da persona stato trasformato in una pratica burocra-
tica da espletare con rapida solerzia.
Un pensiero ineffettuale?
Sbaglia chi pretenda di trarre dalle riflessioni teoriche di Anders indicazioni precise per
unazione politica significativa. Fraintenderebbe le intenzioni dellautore, preoccupato
in primo luogo di smascherare e denunciare linfamia e la disumanit che caratterizzano
le societ emerse dalla fine della seconda guerra mondiale. difficile pensare che unor-
ganizzazione politica tradizionale un partito o anche un movimento possa fare delle
affermazioni di Anders un programma da sottoporre a elettori inebetiti e stupefatti o a
militanti tristemente risucchiati in confortanti ma sterili, nonch pericolosi, vortici iden-
titari. N si pu sperare in unazione rivoluzionaria di massa, poich, come lautore ri-
corda, mai stato tanto lontano il pericolo di uninsorgenza rivoluzionaria quanto nello
53
Cfr. ibid., pp. 89ss. Cfr. anche Id., Lodio antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
509
stadio della pi alta industrializzazione, nel quale ognuno viene ridotto a essere massifi-
cato attraverso la manipolazione dei mezzi di massa
54
.
Il totalitarismo morbido quindi impedisce la formazione di una massa, seppur
piccola, perch ne conosce il pericolo. Essa, infatti, ancorch composta da pochi dimo-
stranti potr pur sempre assumere un proprio peso e in tal modo sfuggire al control-
lo e mettersi in moto. Lefficacia dei mezzi di comunicazione, della pubblicit, della se-
duzione mercantile risiede nella loro capacit di liquefare ogni momento collettivo, di
portare a compimento la spoliticizzazione dellagire e degli spazi, che un tratto signifi-
cativo della modernit
55
. Lomologazione allora funziona quando la massa sia diventata
massa paralizzata e dispersa, composta da eremiti di massa, assegnati alla solitu-
dine dei loro dormitori, separati e tuttavia uguali luno allaltro, perch riforniti del-
le stesse cose
56
.
Anders evoca, volta a volta, concetti generali, talvolta apparentemente vaghi tota-
litarismo morbido o del piacere, et della tecnica, sistema delle merci, per fare alcuni
esempi come se, tra loro, non vi fossero differenze rilevanti, come se, pur con decli-
nazioni e accenti diversi, comunque descrivessero lo stesso fenomeno. Concetti tutta-
via persuasivi, poich sono espressione di unanalisi critica che, inflessibilmente e senza
esitazioni, si esercita nel corpo della societ capitalisticamente avanzata. Di essa egli de-
nuda la violenza estrema, ancor pi insidiosa perch mascherata da un sembiante con-
fortevole che per non esita a trasformarsi in un ghigno feroce contro chi sia solo so-
spetto di resisterle. Anders allora assume il compito di costruire strumenti interpretativi
e apparati concettuali allaltezza del mutamento antropologico. Ripercorre la storia dei
sentimenti, la loro progressiva obsolescenza, coglie nella fragilit e vulnerabilit emoti-
ve di fronte alla capacit produttiva, sviluppatasi oltre misura, lo scarto che rende luo-
mo antiquato.
Lanalisi di Anders, la sua critica radicale allesistente, costituiscono un punto di non
ritorno. Infatti, dopo aver gettato con lui lo sguardo sullinfamia e la stupidit domi-
nanti, impossibile ripristinare le vecchie e ormai logore categorie con le quali alme-
no dagli inizi dellet moderna sono stati pensati la politica, letica, le relazioni tra gli
individui e i rapporti tra le diverse facolt che li costituiscono. Egli si prefigge lo scopo
di sconcertare il lettore, di risvegliare il suo senso critico e, in particolare, la capacit di
provare angoscia, tonalit emotiva che sola pu essere, nella bonaccia escatologica del
presente, il valido contrappeso allistupidimento collettivo.
Manca in Anders cos lontano e ostile a ogni pensiero sistematico la messa a tema
del rapporto tra tecnica e dominio capitalistico. Vi accenna appena quando riflette sulla
necessit del capitalismo di produrre, incessantemente, ad ogni costo, mettendo a pro-
fitto lo sviluppo tecnologico. Ancora, non c una teoria compiuta del potere, come, ad
esempio, il potere che reprime e punisce interagisca con il totalitarismo mite che in-
vece promuove lassimilazione e lintegrazione dellindividuo attraverso la seduzione del
consumo e del divertimento. Talvolta sembra che il sistema delle merci non abbia pi
54
Id., Luomo antiquato, II, cit., p. 73.
55
Cfr. ibid., pp. 70-81.
56
Cfr. ad esempio ibid., pp. 133-135 e anche Id., Luomo antiquato, I, cit., pp. 101-102.
Massimo Cappitti
510
bisogno di ricorrere alla violenza, eredit della sovranit statale, resa anchessa obsole-
ta dal potere globale; in altri casi invece luso della forza pare inevitabile e necessario al
suo consolidamento. Anders lascia indecisa e irrisolta loscillazione tra le due polarit,
suggerendo cos che esse cooperano efficacemente al medesimo fine, allassoggettamen-
to, cio, degli individui.
La concezione di un potere totale, che pervade ogni aspetto del reale e ricomprende
in s, annullandola, ogni singolarit, pu tradursi nella constatazione della vanit e ste-
rilit di ogni forma dellagire, destinata comunque a fallire. La realt, dunque, immodi-
ficabile si offre ormai soltanto a uno sguardo che, ripiegato su se stesso, ha malinconi-
camente rinunciato a intervenirvi. Dal pensiero di Anders pu allora talvolta trasparire
lidea che la storia sia giunta al suo compimento, catastroficamente conclusa nellaffer-
mazione definitiva della tecnica. Pertanto sembra che nulla di significativo possa pi
accadere che non soggiaccia al controllo del totalitarismo. Eppure, se la lettura dei te-
sti pu autorizzare talvolta anche questa interpretazione, tuttavia gli individui non sono
mai esonerati dalla loro responsabilit e dal dovere di prendere posizione. La rinuncia
ad agire, infatti, scrive Anders un agire insufficiente, cos come di fronte allo
strapotere delle macchine appaiono inefficaci e pertanto ridicoli i semplici prov-
vedimenti verbali. Occorre invece ripensare e riflettere quali nuovi tipi di rivoluzione
devono essere inventati e inaugurati.
In questa tensione etica intransigente e ferma quindi risiede il contributo prezioso di
Anders. Negli ultimi anni della sua vita, dopo lincidente nucleare di Chernobyl prova
inconfutabile dellinimicizia assoluta della tecnica nei confronti degli uomini e, contem-
poraneamente, dellinettitudine di governanti mediocri e grotteschi, nonch per crimi-
nalmente complici limperativo etico di Anders ha assunto il tono di uninvettiva, ama-
ra e feroce insieme, contro i poteri esistenti. Nei suoi interventi finali egli abbandona
definitivamente le posizioni pacifiste e non violente, delle quali, con profonda lucidit,
denuncia limpotenza inconcludente.
Invocando il diritto alla difesa, legittimato dai codici di tutti gli Stati e dal codi-
ce canonico, Anders sostiene che in una situazione di necessit la violenza non solo
permessa, ma raccomandata
57
. Quando, cio, coloro che detengono il potere mi-
nacciano, per calcoli economici e affaristici o per sprovvedutezza o convenienze perso-
nali e politiche, la sopravvivenza del genere umano, legittimo e necessario intimidirli:
restituire la minaccia e rendere innocui quei politici che incoscientemente accettano il
rischio della catastrofe
58
. Il ricorso alla violenza non costituisce il fine ultimo nel qua-
le lazione politica si risolve, diventa per il gesto indispensabile che solo pu impedi-
re definitivamente ogni violenza, per consentire finalmente laffermazione della non
violenza. Strumento estremo quindi, perch prende corpo nelle situazioni disperate
come contro-violenza, eppure inevitabile nei confronti di coloro che preparano o
57
Id., Stato di necessit e legittima difesa. Violenza s o no: una critica del pacifismo, Edizioni Cultura della
pace, San Domenico di Fiesole (Firenze) 1997, p. 19. Sulla miseria degli ambienti politici alternativi si veda
la bella e dolente presentazione di Goffredo Fofi (pp. 7-13).
58
Ibid., p. 20. Nella stessa pagina Anders ricorda che su ordine del potere non solo si pu essere violenti,
ma perfino si deve e si obbligati ad esserlo.
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders al totalitarismo morbido
511
che per lo meno accettano il rischio delleliminazione di milioni di persone di oggi e di
domani
59
.
Limpossibilit di arginare o tagliare via lillimitatezza e limmortalit degli effetti
della tecnica, linadeguatezza a porre limiti alla sua onnipotenza catastrofica, evidenzia
che non pi sufficiente astenersi da azioni che mettono a repentaglio la vita delluma-
nit, rifiutando di collaborare. Si tratta, allopposto, di mettere ogni tanto in pratica
le minacce, perch esse non vengano relegate a espressione di un puro teatro festivo. I
potenti quindi devono stare-sulle-spine, convivere con langosciante sensazione che cia-
scuno, imprevedibilmente e inaspettatamente, potrebbe essere colpito. Nel loro non
sapere consiste dunque lunica arma a disposizione.
Minacciare la vita di pochi significa allora proteggere la vita dei molti anche quando
questo alluda alla terribile seriet delluccidere. Sperare quindi non basta: anzi,
non si deve dar speranza, si deve impedire la speranza, poich a causa della speranza non agir
pi nessuno. Chi spera lascia a qualche altra istanza il diventare meglio. S, che il tempo possa
farsi bello, lo si pu forse sperare. In ragione di ci, il tempo non si fa pi bello; ma neanche
pi brutto. Ma in una situazione in cui vale solo lagire in prima persona, speranza solo la
parola per la rinuncia a una propria azione
60
.
BIOGRAFIA
Gunther Stern, che assume negli anni Trenta lo pseudonimo di Gnther Anders, nasce
a Breslavia da Clara e William Stern, entrambi psicologi. Il padre, inoltre, era docente
universitario. Anders svolge gli studi liceali dapprima a Breslavia e successivamente, dal
1915, ad Amburgo. Qui inizia a frequentare luniversit, seguendo, in particolare, i cor-
si di Cassirer e di suo padre. Nel 1922 lascia Amburgo per Friburgo, dove assiste alle le-
zioni di Husserl e di Heidegger. Nel 1924 discute la tesi di dottorato con Husserl.
Nel 1925 si reca a Marburgo dove conosce Hannah Arendt, che diventer sua mo-
glie. Intanto nel 1928 esce il suo primo libro dedicato allontologia della conoscenza.
Alla fine degli anni Venti inizia a collaborare a diversi giornali berlinesi firmando-
si dai primi anni Trenta Anders. Lavvento al potere dei nazisti e il conseguente timo-
re di essere perseguitato per la sua origine ebraica spingono Anders a lasciare la Ger-
mania per la Francia. Egli infatti, nel 1933, si reca a Parigi dove pubblica in francese la
rielaborazione di due conferenze tenute nella capitale francese con il titolo Une inter-
prtation de la Posteriori et Pathologie de la Libert. Dopo la separazione da Hannah
Arendt, nel 1936 va negli Stati Uniti dove svolge diversi lavori. Fondamentale lespe-
rienza della catena di montaggio che costituir la base per le successive riflessioni criti-
che sulla tecnica e sullalienazione contemporanea. Scrive, per, anche alcuni saggi de-
dicati allesperienza artistica: Homeless Sculpture, Kafka pro und contra e Mensch ohne
59
Ibid., p. 43.
60
Ibid., p. 27. Ricorre in pi occasioni la critica di Anders alla categoria della speranza, cos come formula-
ta da Bloch, condannato senza speranza alleterna speranza (Id., Uomo senza mondo, cit., p. 29).
Massimo Cappitti
512
Welt. Nel 1948 sposa Elisabeth Freundlich. Torna in Europa nel 1950 e si stabilisce a
Vienna dove vivr fino al 1992 anno della sua morte. A partire dagli anni Cinquanta in-
tensifica il suo impegno pacifista a favore del disarmo atomico. Nel 1956 pubblica il pri-
mo volume de Luomo antiquato cui far seguito, nel 1980, il secondo. Risale al 1959
linizio dello scambio epistolare con uno dei piloti che aveva partecipato al bombarda-
mento di Hiroshima. Lettere che, poi,verranno raccolte in La coscienza al bando. Il car-
teggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Gunther Anders. Anders continua a
riflettere sul mutamento antropologico ed etico provocati dalla tecnica senza, per, sot-
trarsi allimpegno militante.
BIBLIOGRAFIA
Principali opere tradotte in italiano
Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki, Einaudi, Torino 1961.
La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Gunther Anders, Ei-
naudi, Torino 1962.
Opinioni di un eretico, Theoria, Napoli 1991.
Uomo senza mondo. Scritti sullarte e la letteratura, Spazio Libri, Ferrara 1991.
Luomo antiquato. Sulla distruzione della vita nellepoca della terza rivoluzione industriale, vol. II,
Bollati Boringhieri, Torino 1992.
Patologia della libert. Saggio sulla non-identificazione, Palomar, Bari 1994.
Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995.
Stato di necessit e legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (FI)
1997.
Saggi dallesilio americano, Palomar, Bari 2003.
Amare, ieri. Appunti sulla storia della sensibilit, Bollati Boringhieri, Torino 2004.
Kafka. Pro e contro, Quodlibet, Macerata 2006.
Lodio antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
Luomo antiquato. Considerazioni sullanima nellepoca della seconda rivoluzione industriale vol.
I, Bollati Boringhieri, Torino 2007.
Discesa allAde. Auschwitz e Breslavia, 1966, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
La catacomba molussica, Lupetti, Milano 2008.
513
RAGIONE E LIBERAZIONE.
LA RIVOLTA FILOSOFICA E POLITICA
DI HERBERT MARCUSE
Marco Maurizi
La celebrit mediatica goduta negli anni Sessanta-Settanta da Marcuse non sembra aver
giocato a favore della sua credibilit filosofica. Rinchiuso nelletichetta restrittiva del
freudo-marxismo il suo pensiero divenne presto un bersaglio di comodo sia per chi
condannava in toto le pratiche libertarie che ad esso si ispiravano, sia per chi ne auspi-
cava un superamento a sinistra
1
. Daltro canto, e per lo stesso motivo, la produzione
filosofica marcusiana ha corso costantemente il rischio di essere svalutata come un ce-
dimento della Teoria critica nei confronti delle esigenze della prassi politica immediata,
come un esempio di semplificazione e volgarizzazione. Come accade per tutte le etichet-
te ermeneutiche e le polemiche su cui si sedimenta la polvere del tempo anche su questi
giudizi, in larga parte passati in giudicato, non il caso di soffermarsi troppo. Il pensie-
ro di Marcuse, ad una rilettura attenta, rivela oggi tutta la complessit di temi, ispirazio-
ni e intendimenti che ha attraversato il secolo di cui fu testimone e, in certa misura, ar-
tefice. Filosofia e politica si intrecciano nel pensiero marcusiano non come due estranei
tra loro irriducibilmente avversari, n si fondono in ununit indistinta che ne oblitera
la specificit e lautonomia. La grandezza filosofica e politica di Marcuse sta invece nella
sua straordinaria capacit di confrontare costantemente le esigenze delluna e dellaltra
per restituire al pensiero e allazione il respiro della pluridimensionalit.
LHeidegger-Marxismus
Herbert Marcuse nasce a Berlino nel 1898. La discendenza ebraica della famiglia, cos
come le sue simpatie politiche, segneranno le svolte decisive della sua giovinezza: la rot-
tura con il maestro Heidegger e lesilio statunitense. La sua attivit politica diretta, se si
esclude lengagement degli anni Sessanta-Settanta, pu essere sintetizzata nella breve e
1
Un classico esempio, in tal senso, LAnti-Edipo di Deleuze e Guattari.
Marco Maurizi
514
burrascosa esperienza del biennio 1918-1919. Fu dapprima membro del Consiglio dei
soldati di Berlino-Reinickendorf e in seguito dellSPD. Dopo la repressione dellinsurre-
zione spartachista, tuttavia, Marcuse abbandon definitivamente il partito accusandolo
di aver consumato il tradimento definitivo nei confronti della classe operaia
2
.
Nel 1922, terminati gli studi a Friburgo con una tesi sul Knstlerroman
3
, Marcuse
torn a Berlino e inizi a lavorare presso un antiquario e un editore berlinese. La sce-
na accademica, ricord in seguito, era dominata dal neokantismo, dal neohegelismo e
allimprovviso apparve Essere e tempo come una filosofia veramente concreta
4
. Heideg-
ger influenz cos il pensiero del primo Marcuse spostandolo in direzione della ricerca
ontologica. Ma non si tratt di un tradimento o di un ripensamento dellimpegno marxi-
sta che aveva accompagnato il filosofo berlinese fino ad allora: Marcuse sperava, anzi, di
affrontare la sconfitta storica del movimento operaio tedesco muovendo da una pi ade-
guata formulazione teorica dei problemi che esso aveva incontrato. Gli scritti marcusiani
di questo periodo, quindi, sono imbevuti di un linguaggio e di temi che riecheggiano la
filosofia heideggeriana ma tentano al tempo stesso di mostrarne lideale continuit con
il pensiero marxiano che la Seconda internazionale aveva invece distorto tatticamente e
ridotto a mera formula esteriore.
La collaborazione con lIstituto per la ricerca sociale
Linflusso heideggeriano sul pensiero di Marcuse si compie ed esaurisce nel libro Lonto-
logia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicit del 1932
5
. Linfluenza del mae-
stro in tale testo resa evidente dalla preoccupazione marcusiana di far emergere la Sto-
ria a partire dalla cornice, ancora trascendentale, della Storicit (Geschichtlichkeit); al
tempo stesso, si nota lassenza di quella particolare enfasi sullelemento critico-negativo
della dialettica che costituir invece il cuore delle ricerche hegeliane successive. Scritto
come Habilitationschrift, il libro sullontologia di Hegel non avr conseguenze n teori-
che n accademiche per lavventura di Marcuse

che di l a poco, a fronte delle simpatie
naziste manifestate da Heidegger, romper ogni rapporto
6
. Su interessamento di Hus-
2
Ancora nel 65, in risposta ad una lettera di Adorno che gli comunicava sconsolatamente di essere dispo-
sto a votare SPD per scongiurare una vittoria elettorale della CDU, Marcuse sostenne che gli assassini di Rosa
Luxemburg e Karl Liebknecht, al pari dei loro avversari, non avrebbero fatto nulla per impedire lavvento di
un nuovo fascismo. Cfr. H. Marcuse lettera ad Adorno del 28 settembre 1965, in Frankfurter Adorno Blaetter,
III, Mnchen 1992, p. 152.
3
H. Marcuse, Der deutsche Kunstlerroman, tesi di dottorato, rist. in H. Marcuse, Schriften, Band I: Der
Deutsche Knstlerroman; Frhe Aufstze, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1978 (dora in poi S, seguito dal nume-
ro del volume), tr. it. H. Marcuse, Il romanzo dellartista nella letteratura tedesca. Dallo Sturm und Drang a
Thomas Mann, Einaudi, Torino 1985.
4
H. Marcuse, Theorie und Politik, intervista con J. Habermas, H. Lubasz, T. Spengler, in Gesprche mit
Herbert Marcuse, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1978 (Sonderausgabe del 1991), p. 10.
5
H. Marcuse, Hegels Ontologie und die Grundlegung einer Theorie der Geschichtlichkeit, Suhrkamp, Frank-
furt-am-Main, 1932, (S2), tr. it. H. Marcuse, Lontologia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicit,
La nuova Italia, Firenze 1969.
6
La storia del dissidio documentata nel drammatico carteggio pubblicato in P.-E. Jansen (a cura di), Befrei-
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse
515
serl, Marcuse entr quindi in contatto con Horkheimer e inizi a collaborare con lIsti-
tuto per la ricerca sociale di Francoforte, seguendone il destino della forzata emigrazio-
ne negli USA.
Dallontologia alla storia
Il Marcuse che si distacca dallontologia heideggeriana un Marcuse che , come si det-
to, non ha mai abbandonato il proprio interesse al marxismo e che, anzi, comprende il
proprio impegno teorico come tentativo di fornire una base filosofica adeguata alla cri-
tica delleconomia politica. Marcuse delineer i modi concreti di questo processo negli
anni successivi, abbandonando sempre pi il linguaggio dellontologia e limpostazione
trascedental-fenomenologica per tornare ad abbeverarsi alla dialettica hegeliana.
Questo sviluppo gi compiuto in un altro importante saggio che appare sulla rivista
dellIstituto nel 1938 intitolato Per la critica delledonismo
7
. in gioco qui una questione
centrale dellintera storia della filosofia: il rapporto tra ragione e felicit. Tale rapporto,
una volta sottratto allillusione delloggettivismo metafisico (cio della corrispondenza
oggettiva, eterna, immutabile tra esigenze di felicit dellindividuo e ordine cosmico-po-
litico) stato declinato in et moderna in senso soggettivo. Se in tal modo il pensiero
borghese ha dato voce allindividuo, contrapponendo le sue irriducibili esigenze a quel-
le di un ordine eteronomo, tuttavia, la societ borghese che da quella critica sorta ha
nuovamente sancito limmutabilit dellordine socio-economico, auto-rappresentando-
si come ultimo stadio dellevoluzione storica e come rappresentante di un equilibrato,
naturale soddisfacimento dei bisogni. La natura, evocata dalla borghesia per mettere
in moto la storia congelata nellAncien Rgime, la abolisce di nuovo per paura che inizi
davvero. La felicit ora possibile solo nellordine sociale borghese che rende potenzial-
mente tutti portatori di un progetto di felicit individuale sottraendolo quindi ad ogni
critica di tipo oggettivo. La critica marcusiana si appoggia proprio su questo aspetto e,
recuperando lesigenza oggettivista che era stata ingiustamente abbandonata dal sogget-
tivismo moderno, mette in rapporto bisogni ed evoluzione storica: felicit e libert pos-
sono tornare a coincidere solo se lordine sociale viene decostruito e ricostruito secon-
do un nuovo imperativo etico-politico di tipo razionale, dunque, oggettivo. Non si tratta
dunque di un ritorno ad una razionalit e ad unoggettivit di stampo metafisico, n del-
le verit eterne di cui si pasce la coeva antropologia filosofica
8
. Solo nella storia e non
al di sopra o al di sotto di essa possibile declinare coerentemente i concetti di raziona-
lit, di oggettivit e di verit.
ung denken Ein politischer Imperativ. Ein Materialband zu Herbert Marcuse, Verlag 2000, Offenbach 1990, tr.
it. in H. Marcuse, Davanti al nazismo, Laterza, Roma-Bari 2001.
7
H. Marcuse, Zur Kritik des Hedonismus, Zeitschrift fr Sozialforschung, n. 7, (1938), (S3), tr. it. in H.
Marcuse, Cultura e societ, cit.
8
Tutte queste non sono affermazioni dellantropologia filosofica sulla natura delluomo, ma descrizioni di
una situazione storica che lumanit si guadagnata da sola lottando con la natura, ibid., p. 139.
Marco Maurizi
516
Gli Studi sullautorit e la famiglia
La riflessione sul processo storico come unico orizzonte possibile di individuazione del-
la verit delluomo certo un elemento costitutivo della tradizione marxista. Il proble-
ma determinare come e in che senso la storia si faccia orizzonte di manifestazione del-
la verit. Come da intendersi il processo storico e il suo rapporto alla verit? Queste le
questioni teoriche che muovono la riflessione marcusiana e che la legano ancora, nono-
stante tutto, allorizzonte della riflessione fenomenologica ed ontologica. Non infatti la
storia in quanto tale, come mero succedersi di epoche storiche a farsi portatrice della ve-
rit, come vorrebbe lo storicismo. Nemmeno essa da intendersi come sviluppo lineare
e graduale, come voleva il marxismo positivista, smentito nel suo opportunismo dallor-
rore della guerra e, ora, dal dilagare della barbarie fascista. Tutto ci mostrava senza om-
bra di dubbio che cera qualcosa nella concezione della storia che non era stato adegua-
tamente compreso e che doveva necessariamente andare ad integrare lanalisi marxiana
del modo di produzione capitalistico.
Inizia cos per Marcuse una fase in cui urgente e inaggirabile appare lanalisi del dis-
solvimento del mondo borghese classico nel tentativo di chiarire le ragioni dellir-
rompere del totalitarismo. Gli sforzi di Marcuse in questo campo troveranno un primo
punto di approdo con la partecipazione al lavoro di gruppo che culminer nella pubbli-
cazione degli Studi sullautorit e la famiglia del 36. Il primo importante contributo di
Marcuse alla Zeitschrift fr Sozialforschung , in tal senso, La lotta contro il liberalismo
nella concezione totalitaria dello Stato del 1934
9
. Si tratta di un testo che pone a tema pro-
prio le tendenze della cultura borghese che, in unacuta fase di trasformazione sociale e
di dissoluzione dellordine economico liberale, hanno condotto allo smantellamento dei
capisaldi ideologici del liberalismo e, nellincapacit di costruire un nuovo assetto della
societ senza rivoluzionarne le strutture produttive, hanno aperto la strada allirraziona-
lismo e al fascismo. Marcuse viviseziona quel costrutto ideologico che definisce reali-
smo eroico-popolare e che, sconfessando la vera potenza critica della filosofia politi-
ca borghese, luniversalismo, si consacra alla mitologia oscurantista del radicamento nel
sangue e nella terra. Oltre alleroicizzazione delluomo, oggetto della puntigliosa
ricostruzione critica marcusiana sono il culto della vita intesa come datit primor-
diale ed energetica il naturalismo che sottrae lanalisi sociale alla dimensione sto-
rica per consegnarla ad una visione della realt organica e statica, e quelluniversalismo
formale e astratto che tende alla giustificazione della totalit sociale di volta in volta data.
Centrale appare qui lopposizione tra una teoria razionalistica della societ (come il mar-
xismo) che non ignora i limiti del sapere umano ed i limiti di una auto-organizzazione
conforme alla ragione [ma che] evita di tracciare questi limiti in maniera troppo preci-
pitosa e una teoria irrazionalistica che pone
di fronte allautonomia della ragione (...) come suoi limiti costitutivi e non meramente di fat-
to, delle datit irrazionali (natura, sangue e terra, stirpe, stati di cose esistenziali,
9
H. Marcuse, Der Kampf gegen den Liberalismus in der totalitren Staatsauffassung, Zeitschrift fr Sozial-
forschung, n. 2, (1934), (S3), tr. it. in H. Marcuse, Cultura e societ, cit.
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse
517
totalit ecc.), a cui la ragione e rimane legata in una dipendenza causale, funzionale o
organica
10
.
Un risultato decisivo di queste analisi, che si muovono in sinergia con la riflessione di
Horkheimer e le analisi psicoanalitiche di Fromm, la messa a nudo di quella dialetti-
ca tra libert e subordinazione che costituisce la struttura del rapporto autoritario
11
. Il
rapporto autoritario si costituisce infatti a partire da una libert possibile che il soggetto
sacrifica volontariamente a beneficio di unautorit il cui interesse egli considera supe-
riore al proprio. Questa dinamica verr successivamente approfondita dallo stesso Mar-
cuse facendo riferimento al pensiero di Freud.
Nel saggio del 1937 intitolato Filosofia e Teoria critica
12
, Marcuse tenter una prima
sistemazione teorica della propria ricerca filosofica e politica. La teoria critica, scri-
ve Marcuse, si mette a confronto con la filosofia, perch interessata al contenuto di
verit dei concetti e problemi filosofici, e parte dal presupposto che in essi sia realmen-
te contenuta una verit
13
. Qui Marcuse delinea lideale di una ricerca filosofica che sia,
secondo lispirazione del giovane hegeliano Marx, momento ineludibile di una pras-
si trasformativa. Lalternativa idealismo/materialismo, in cui la ragione si trova alterna-
tivamente a determinare a priori la realt oppure ad esserne determinata passivamente,
deve essere superata in una visione dinamica, essa stessa processuale. La teoria critica
si oppone cos, certo, allhegelismo che troppo facilmente identifica come razionale il
sussistente ma, al tempo stesso, non trasforma il pensiero in un mero apparato ricettivo
e riproduttivo del dato (come vorrebbero, in forme diverse ma convergenti, tanto il po-
sitivismo quanto certa rozza gnoseologia marxista), bens fa del pensiero stesso un atto
essenzialmente e costitutivamente trasformativo, negativo, giudicante: non c pensiero
senza modificazione della realt. Ci che qui segna il discrimine epistemologico con la
filosofia borghese e la concezione volgare del materialismo , a detta di Marcuse, il ruolo
centrale dellimmaginazione. la fantasia, infatti, nella sua funzione strutturale di supe-
ramento, di allontanamento dal meramente fattuale che garantisce al logos la sua valen-
za eminentemente politica: senza la fantasia ogni conoscenza filosofica rimane sempre
e soltanto legata al presente o al passato e tagliata fuori dal futuro, che il solo a con-
giungere la filosofia con la storia reale dellumanit
14
. nellabbandono dellimmagina-
zione alla sfera estetica che il materialismo ha siglato, con una malintesa pretesa di scien-
tificit, il suo patto scellerato con lidealismo
15
. La successiva speculazione marcusiana
tender a rendere sempre pi evidente e a chiarire la posta di questo nesso tra ragione e
immaginazione, perseguendo il suo progetto originario di una fondazione filosofica del-
10
Ibid., pp. 15-16.
11
Cfr. H. Marcuse, Horkheimer, E. Fromm et al., Studien ber Autoritt und Familie, Alcan, Parigi 1936,
(S3), tr. it. parziale, H. Marcuse, Lautorit e la famiglia, Einaudi, Torino 1970 (5a ed. 1982), p. 21.
12
H. Marcuse, Philosophie und kritische Theorie, Zeitschrift fr Sozialforschung, n. 6, (1937), (S3), tr. it.
in H. Marcuse, Cultura e societ, cit.
13
Ibid., p. 98.
14
Ibid., p. 106.
15
Ibidem.
Marco Maurizi
518
la critica al capitalismo che non ceda n alle blandizie della cultura affermativa, n ai
falsi imperativi del pragmatismo politico.
Le grandi sintesi della maturit. Hegel e Freud
Come si visto, Marcuse ha sempre tenuto chiara lesigenza di non sacrificare ci che di
buono il pensiero borghese poteva ancora offrire ad un progetto critico-rivoluzionario.
Proprio per chiarire i termini e le condizioni di una simile strategia gli anni Quaranta e
Cinquanta si apriranno e chiuderanno con due grandi operazioni teoriche che costitui-
scono dei tentativi di sintesi in cui Marcuse fa i conti con i due pensatori della borghesia
a loro modo eretici: Hegel e Freud.
Ragione e rivoluzione il dichiarato tentativo, allindomani dello scoppio del secon-
do conflitto mondiale, di sottrarre Hegel ad ogni possibile contiguit col nazismo. Lesi-
genza di una nuova interpretazione della filosofia di Hegel
16
sorge cos allinsegna di
una lettura critica del pensatore tedesco. In questa prima grande sintesi delle sue ricer-
che, che copre un arco temporale che va da Hegel fino allavvento del fascismo, Mar-
cuse ingaggia un corpo a corpo formidabile con il testo hegeliano, tentando di estrarne
quel nucleo razionale e critico che, fin dalla nota prefazione del Capitale, rappresenta il
lascito duraturo e non negoziabile dellhegelismo al pensiero rivoluzionario. Non a caso
il sottotitolo dellopera marcusiana Hegel e il sorgere della teoria sociale. Marcuse si
impegna cio a mostrare come Hegel, lungi dallessere (solo) il pensatore reazionario,
conciliativo e potenzialmente totalitario con cui certa critica liberale tuttora lo identi-
fica, ospita in s (anche) il pensatore della trasformazione sociale, della critica, della li-
bert incondizionata. Ci che caratterizza questo aspetto centrale del pensiero di He-
gel, secondo Marcuse, la posizione del pensiero di fronte al fatto. Per Hegel, osserva
Marcuse, il semplice dato di fatto dapprima negativo, lontano dalle sue reali possi-
bilit. Esso diventa vero solo nel processo di superamento di questa negativit, cos che
la nascita della verit richiede la morte dellessere come dato di fatto
17
. Compito del-
la dialettica , appunto, quello di dissolvere lapparente fissit e rigidezza di ci che ap-
pare come dato di fatto e giungere cos alla realizzazione delle possibilit insite nella
realt
18
. Il pensiero, come potenza eminentemente negativa che si erge contro il sempli-
ce dato, appare dunque un fattore di trasformazione della realt; privato di questo aspet-
to, esso si riduce a mero raddoppiamento dellesistente, a resa incondizionata di fron-
te ai Powers That Be.
Ma il pensiero non si esercita in un vuoto, non idealisticamente indipendente da
un sostrato materiale. Questo assunto, su cui ha abbondantemente insistito il necessita-
rismo marxista-leninista, va secondo Marcuse approfondito e letto in modo pi duttile
di quanto fatto fino ad allora. In analogia con lorientamento generale dellIstituto per la
16
H. Marcuse, Reason and Revolution. Hegel and the Rise of Social Theory, New York, Oxford University
Press 1941, (tr. ted. in S4), tr. it. Ragione e rivoluzione. Hegel e il sorgere della teoria sociale, Il Mulino,
Bologna 1966, p. 7.
17
Ibid., p. 49.
18
Ibid., p. 47.
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse
519
ricerca sociale che, pur non rinnegandole, trovava insoddisfacenti le spiegazioni econo-
miciste dellirrazionalismo fascista, Marcuse cerca nella psicoanalisi una teoria del cor-
po, della libido e dellinconscio, la rappresentazione di quellAltro che, urgendo mate-
rialmente al di sotto della coscienza, ne condiziona surrettiziamente loperato.
Laltra grande sintesi marcusiana di questi anni, pubblicata nel 1955, Eros e civilt,
cos una lunga e serrata analisi del pensiero freudiano che tenta di tradurne le catego-
rie centrali in una forma spendibile per la critica del capitalismo. Marcuse pone mano di
fatto al pi grande tentativo organico di sintesi di Freud e Marx dopo Wilhelm Reich e
Erich Fromm, le cui opere pioneristiche avevano progressivamente abbandonato il sol-
co dellanalisi marxista e quello dellortodossia freudiana
19
.
A fronte dellinterpretazione di Freud come grande pensatore conservatore inter-
pretazione di cui Marcuse non nega certo la pertinenza Eros e civilt intende restitu-
ire alla riflessione freudiana la forza scandalosa e innovatrice che le propria. Marcuse
riconosce, come ovvio, che la concezione della civilt in Freud radicalmente pessimi-
sta, volta ad una razionalizzazione del conflitto tra libido ed ordine sociale tale che,
secondo Freud, solo attraverso la repressione delle pulsioni che possibile il progres-
so sociale e culturale. Daltro lato e per lo stesso motivo, osserva per Marcuse, la sua
opera caratterizzata dallinsistenza e dalla mancanza di compromessi nello svelare il
contenuto repressivo dei valori supremi e delle supreme conquiste della cultura. E ci
facendo, egli nega lidentit di ragione e repressione, sulla quale costruita lideologia
della cultura
20
. Di nuovo, come si vede, il problema di come coniugare ragione e feli-
cit che aveva costituito il cuore di Per la critica delledonismo. Marcuse interessato a
sovvertire il pessimismo freudiano che identifica ladattamento razionale dellindividuo
col sacrificio pulsionale in nome di un principio di realt imposto dallalto. Questa di-
screpanza, osserva Marcuse, pu e deve essere ridotta e quanto pi possibile armoniz-
zata. Si tratta quindi anzitutto di operare una relativizzazione dellopposizione tra prin-
cipio di piacere e principio di realt in modo da definire questultimo in termini meno
rigidi, meno eteronomi.
Cade qui la critica di Marcuse al cosiddetto principio di prestazione che la
forma storica prevalente del principio di realt
21
. In base ad esso il meccanismo del-
la sublimazione cio la dilazione del soddisfacimento pulsionale appare totalmen-
te funzionalizzato alle esigenze della riproduzione sociale, asservito alla logica del pote-
re operante in una data organizzazione sociopolitica della realt. Marcuse definisce cos
repressione addizionale
22
quegli elementi repressivi che non appartengono al minimo
necessario di repressione libidica che implicito in ogni realt sociale organizzata, bens
vengono inflitti allindividuo da una forma storicamente determinata di civilt. La costi-
tuzione di un carattere aggressivo, predatorio, genitalmente centrato, rappresenta per-
ci la conseguenza di una specifica organizzazione pulsionale della societ che incentiva
19
Sia il primitivismo reichiano che il culturalismo di Fromm verranno criticati da Marcuse. Cfr. H.
Marcuse, Eros and Civilization. A Philosophical Inquiry into Freud, Beacon Press, Boston 1955, (S5), tr. it. Eros
e civilit, Einaudi, Torino 1967, pp. 249ss.
20
Ibid., p. 64.
21
Ibid., p. 80.
22
Ibid., p. 81.
Marco Maurizi
520
tali caratteristiche a scapito di altre qualit come la dolcezza, la ricettivit e lerotizzazio-
ne del corpo nella sua integrit
23
.
il predominio della lotta per lesistenza (Ananke, Lebensnot), di una situazio-
ne conflittuale allinterno della societ a rendere necessaria la costituzione repressiva
dellindividuo, il sacrificio pulsionale in ottemperanza a un principio di realt eterono-
mo. Una societ libera, una societ che ponesse fine alla lotta per lesistenza, rendereb-
be possibile un accordo tra il libero sviluppo libidico dellindividuo e lorganizzazione
della vita, non certo abolendo totalmente la repressione
24
e sostituendo il gioco al lavo-
ro ma, sicuramente, aprendo possibilit inaudite allo sviluppo delle capacit individuali
e collettive di progettare e godere lesistenza.
Il mondo a una dimensione
Nel 1964, Marcuse pubblica Luomo a una dimensione
25
, un impressionante compendio
delle sue ricerche, una serrata e spietata analisi della societ opulenta e delle sue false e
illusorie alternative, un pamphlet al tempo stesso raffinatissimo e radicale che riesce, no-
nostante una visione complessivamente apocalittica dei destini dellOccidente, a farsi
strada tra i movimenti radicali come una diagnosi aggiornata e originale dei nuovi mec-
canismi di oppressione e controllo.
Il famigerato pessimismo spesso denunciato dai critici de LUomo a una dimensio-
ne sembra essere confermato dal punto di partenza del libro: ovvero dal fenomeno ribat-
tezzato da Marcuse paralisi della critica
26
. Luomo a una dimensione, spiega Mar-
cuse, luomo reso incapace non solo di desiderare ma anche di immaginare un mondo
diverso da quello in cui vive. Tale situazione, apparentemente disperata, leffetto com-
binato del benessere diffuso dalla societ opulenta e tecnocratica e dei corrispondenti
fenomeni di chiusura delluniverso di discorso e delluniverso politico ovvero della mar-
ginalizzazione e dellazzeramento di ogni prospettiva verso un mondo altro: ogni ipo-
tesi politica e finanche il linguaggio che dovrebbe descriverla ricade sempre e necessa-
riamente tra le alternative entro lorizzonte disegnato dallo status quo. Lopposizione
23
Le caratteristiche che delineano la sfera dello spirito, del principio dominatore e creatore definiscono
anche, per negazione, lambito di tutto ci che la civilt bolla come inferiore, femminile, animale. Da qui la
nota tesi marcusiana secondo cui il movimento femminista dovrebbe valorizzare, in forma polemica, queste
caratteristiche come prefigurazioni di una struttura caratteriale e libidica altra rispetto alla civilt del dominio.
Le accuse di sessismo che questa tesi marcusiana ha sollevato non tengono conto, ovviamente, del fatto che
Marcuse sta sempre parlando di caratteristiche non naturali della donna, bens di unimmagine storica che,
seppure sorta con intenti repressivi, pu svolgere una funzione progressiva e critica. Cfr. Weiblichkeitbilder,
intervista con S. Bovenschen, M. Schuller, in Gesprche mit Herbert Marcuse, cit., pp. 65-87.
24
Leliminazione della repressione addizionale tenderebbe di per s a eliminare non il lavoro, ma lorganiz-
zazione dellesistenza umana in uno strumento di lavoro. H. Marcuse, Eros e civilt, cit., p. 180.
25
H. Marcuse, One-Dimensional Man. Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, Beacon Press,
Boston 1964, (tr. ted. S7), tr. it. Luomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967 (ed. aggiornata con una nota
di L. Gallino, 1991).
26
Ibid., pp. 7ss.
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse
521
istituzionale unopposizione apparente che celebra in realt una surrettizia conver-
genza degli opposti
27
in un ordine totalitario pseudo-democratico.
Ci accade, in sintesi, perch non pi possibile individuare il nucleo alienato della
societ capitalistica contemporanea: la classe operaia che avrebbe un interesse oggettivo
al superamento dello stato di cose esistente si trova in gran parte integrata nei suoi mec-
canismi economici e di potere, sedotta da una condizione di soddisfazione dei bisogni
attraverso il flusso costante delle merci che rende pi difficile scegliere la via del rifiuto
e, dunque, della rinuncia per il raggiungimento di ci che ancora non . La scelta rivo-
luzionaria appare cos una follia nellordine perfettamente razionale delle societ tardo-
capitalistiche. compito della critica, spiega Marcuse, dimostrare che questa raziona-
lit invece irrazionale, che il soddisfacimento dei bisogni che essa produce in realt
la riproduzione di uno stato di indigenza generalizzato, che il suo progresso e il suo be-
nessere non sono possibili che a prezzo dellesercizio della violenza a livello individua-
le, psico-fisico, e di sistema.
Rientra in questo ambito la critica di Marcuse alla desublimazione repressiva
28
,
elemento nuovo e caratteristico della societ capitalistica contemporanea. Si tratta della
tendenza a ridurre la repressione pulsionale in alcuni ambiti ristretti della vita del sog-
getto non per liberarne la potenzialit creativa in direzione del radicalmente nuovo, ben-
s come una forma di addomesticamento di secondo livello, pi efficiente e duttile ri-
spetto alla castrazione diretta delle istanze erotiche. Il sistema repressivo, in altri termini,
pu ben concedersi un moderato allentamento dei costumi e della moralit pubblica, a
patto che lenergia cos liberata fornisca, attraverso la gratificazione aggiuntiva, un ulte-
riore elemento di cementificazione sociale a difesa dellesistente
29
.
Marcuse e il 68: rilievi critici
Con i suoi libri e i suoi interventi Marcuse diventa sempre pi lispiratore di quella cor-
rente della sinistra americana, libertaria e antistalinista, generalmente conosciuta come
New left. Sar pensando a questo ambiente radicale, giovanile, ribelle ma interessato
ad una discussione teorica che incrocia spesso i suoi testi che Marcuse trover una via
duscita dallisolamento teorico e pratico che caratterizz gli anni grigi e la pesante at-
mosfera del dopoguerra, diventando licona della protesta che conosciamo. Il cambio di
passo e la rinnovata energia nellimpegno in una lotta senza sconti al sistema di domi-
nio segnato dalla famosa Prefazione politica che Marcuse antepone nel 1966 alla nuo-
va edizione di Eros e civilt e che si chiude, come noto, con laffermazione: oggi la lot-
ta per la vita, la lotta per Eros lotta politica
30
. Ma proprio Luomo a una dimensione
lopera destinata a dargli maggior fama presso gli studenti e i contestatori dellepoca fino
27
Ibid., p. 39.
28
Ibid., pp. 75ss.
29
La gamma delle soddisfazioni socialmente permesse e desiderabili stata molto ampliata, ma per loro
tramite il principio di piacere viene ridotto, privato delle istanze inconciliabili con la societ stabilita. Grazie a
questo processo di adattamento, il piacere genera la sottomissione, ibid., p. 95.
30
H. Marcuse, Eros e civilt, cit., p. 45.
Marco Maurizi
522
a rendere di maniera lattribuzione dellepiteto di ispiratore o (cattivo) maestro del
68
31
. Da questo momento in poi e fino agli ultimi anni della sua attivit, il rapporto con
il movimento diverr centrale per la riflessione di Marcuse: sar un rapporto segnato da
profonde ambiguit ma anche unico nel suo genere. Forse nessun altro filosofo accade-
mico del Novecento ha avuto la fortuna di essere letto e messo in pratica da un vasto
pubblico come capit a Marcuse.
Dal canto suo, Marcuse, pur tentando in vario modo di correggerne gli errori, ha
costantemente cercato e incoraggiato questa dialettica con i movimenti di protesta.
Giacch confidava nelle capacit auto-regolative, auto-formative del movimento stesso,
Marcuse pens che esso fornisse unimmagine ancora insufficiente ma aggiornata e pro-
mettente della necessaria unit tra teoria e prassi
32
. Se quindi gli errori del movimento
non gli possono certo essere ascritti ut sic, ci implica una certa difficolt nel misurare gli
effetti del pensiero di Marcuse distinguendoli da ci che Marcuse ha veramente detto.
Un punto certo, come Marcuse stesso ribad
33
, che non consider mai questi grup-
pi soggetti rivoluzionari in quanto tali, bens, intravide in essi nel modo in cui inno-
vavano il linguaggio e il dibattito politico con elementi di critica dellesistente nuovi e
inconciliabili col capitalismo delle avanguardie
34
di un possibile soggetto rivoluzio-
nario a venire di cui la classe operaia avrebbe dovuto comunque costituire ancora e sem-
pre il punto archimedico. Se la critica marxista ortodossa a Marcuse non coglie nel se-
gno, comunque certo che la sua teoria non si preoccup di indicare in che modo quei
gruppi da lui identificati come potenziale innesco di un processo di trasformazione (gli
studenti, il movimento femminista, le minoranze etniche, i movimenti di liberazione nel
Terzo mondo, gli hippies e la controcultura giovanile) potessero interagire con una clas-
se operaia che, secondo quella stessa teoria, era ormai integrata nei riti di autoconserva-
zione della societ opulenta. probabile che Marcuse attendesse un segnale dalla real-
t che permettesse di correggere o aggiornare la sua analisi della situazione della classe
operaia e ovviamente sperava che la marea crescente del movimento di protesta potesse
fornire lo spunto per un simile sviluppo.
Il maggio francese offr una prima importante verifica di questa eventualit. Proprio
a ridosso degli eventi parigini Marcuse ridiscusse le proprie tesi in Saggio sulla libera-
zione (1969)
35
, tentando di dare una lettura dinsieme delle tendenze ribellistiche e delle
31
Epiteto che, per altro, Marcuse sempre rifiut. Cfr. H. Marcuse, Modern Philosophy: Marcuse on the Frank-
furt School, intervista con B. Magee, BBC, Londra 1978. Sul rapporto tra Marcuse e il movimento studentesco
in Germania cfr. C. Albrecht et al. (a cura di), Die intellektuelle Grndung der Bundesrepublik. Eine Wirkung-
sgeschichte der Frankfurter Schule, Campus Verlag, Frankfurt a.M. 1999; W. Kraushaar (a cura di), Frankfurter
Schule und Studentenbewegung: von der Flaschenpost zum Molotowcocktail 1946-1995, Rogner & Bernhard,
1998, 3 voll. Sulle ambiguit della ricezione di Marcuse come maestro del 68 cfr. R. DAlessandro, La teoria
critica in Italia. Letture italiane della Scuola di Francoforte, manifestolibri, Roma 2003, pp. 154-163.
32
Cfr. H. Marcuse, Counterrevolution and Revolt, Beacon Press, Boston 1972, (S9), tr. it. Controrivoluzione
e rivolta, Mondadori, Milano 1973, p. 44.
33
Cfr. ad es., Gesprch mit Herbert Marcuse, cit.
34
Seppure, come chiarir in seguito, data la diversa condizione e struttura delle classi esse saranno necessa-
riamente diverse dalle avanguardie leniniste. Cfr. H. Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, cit., p. 52.
35
Come nota Marcuse stesso nellintroduzione, questo testo fu scritto prima del Maggio sebbene lautore
vedesse negli avvenimenti parigini una certa coincidenza con le idee che aveva espresso nel testo. H. Mar-
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse
523
aspirazioni autenticamente rivoluzionarie della contestazione. Qui si analizzava il con-
testo che aveva prodotto le esigenze di cambiamento di settori marginali e non-operai
delle societ a capitalismo avanzato e se ne mostravano le potenzialit rispetto ai feno-
meni di ricomposizione di classe nei paesi capitalistici che portavano invece ad una pro-
gressiva esautorazione del ruolo strutturale del lavoro manuale
36
. Ma ci che soprattutto
rendeva Marcuse attento agli ambienti della contestazione era il tentativo che vedeva in
corso di sviluppare una nuova sensibilit
37
, cio una costituzione percettiva, emotiva
e intellettuale del soggetto radicalmente in contrasto con lordine repressivo vigente.
questo, osserva Marcuse, lunico elemento che permette di spezzare la circolarit perver-
sa tra produzione capitalistica e sussunzione dei bisogni nel sistema omnipervasivo del-
la merce: solo dove la negazione dellesistente giunge ad essere incorporata nel Grande
Rifiuto si apre la possibilit di un universo dove il sensuale, il gioco, il calmo, il bello
diventano forme di esistenza, e pertanto la forma stessa della societ
38
.
In consonanza con i temi centrali di Eros e civilt che prevedevano la possibilit di
mettere in discussione lordine costituito a partire da una diversa organizzazione della li-
bido e delle sue priorit, infatti, cominciavano allora a diffondersi nellambito della pro-
testa giovanile pratiche di liberazione del linguaggio, della sessualit e della vita quoti-
diana che non potevano apparire a Marcuse che punti di convergenza oggettivi con le
proprie tesi.
Se lelaborazione di una nuova sensibilit rivoluzionaria era dunque un segnale inco-
raggiante, cos come il ritorno delle barricate e la messa in pratica di un rifiuto dello sta-
tus quo che era al tempo stesso generazionale e politico, si pu dire che essa fu anche il
punto dolente della ricezione di Marcuse da parte del movimento. Come gli svilup-
pi di questo rapporto mostrarono probabile che il movimento abbracci Marcuse solo
laddove sentiva una certa consonanza con le sue posizioni e questa vicinanza non pote-
va comunque celebrarsi senza ambiguit, semplificazioni e distorsioni. Il filosofo berli-
nese risult invece meno efficace negli sforzi che fece per correggere quelli che conside-
rava errori e impasse della protesta.
Lo spartiacque nei rapporti tra Marcuse e il movimento di contestazione, da questo
punto di vista, rappresentato da Controrivoluzione e rivolta (1972) che, come annun-
cia il titolo, analizza la risposta delle classi dominanti al radicalismo politico e il nuovo
scenario in cui questultimo viene a trovarsi in conseguenza di tale risposta. Anzitutto,
c il pericolo diretto che la pressione esercitata dai contestatori sugli apparati di potere
inneschi una dinamica repressiva neo-totalitaria, magari garantendosi una base in quei
settori della classe operaia e della classe media che pi hanno introiettato le strutture ca-
ratteriali e libidiche autoritarie della societ unidimensionale. Marcuse, echeggiando le
famose ricerche americane dellIstituto sulla personalit autoritaria, parla esplicitamen-
te di sindrome protofascista
39
.
cuse, An Essay on Liberation, Beacon Press, Boston 1969, (S8), tr. it. Saggio sulla liberazione, Einaudi, Torino
1969 (6 ed. 1980), p. 11.
36
Ibid., p. 69.
37
Ibid., pp. 36-62.
38
Ibid., p. 38.
39
Ibid., p. 35. Quello del possibile ritorno del fascismo un tema persistente della riflessione marcusiana di
Marco Maurizi
524
Il pericolo della controrivoluzione in atto, tuttavia, non deve far sottovalutare le
possibili involuzioni che possono prodursi nel seno della rivolta stessa. Marcuse si sof-
ferma particolarmente sul problema classico del conflitto tra organizzazione politica e
critica dellautoritarismo che assumeva allora una nuova forma poich sorgeva diretta-
mente da quel rapporto circolare tra oppressione politica e manipolazione libidica de-
scritto da Marcuse in Eros e civilt e ne Luomo a una dimensione. Tale circolarit rende
necessaria, ma non sufficiente, lelaborazione di una nuova sensibilit in grado di op-
porre al sistema razionale di dominio il Grande rifiuto delle sue logiche a partire dal-
la denuncia dellirrazionalit dei bisogni e dei suoi imperativi morali. Proprio tale circo-
larit, per, impedisce a Marcuse di offrire una soluzione univoca e chiara al dilemma
da lui evidenziato.
Da un lato, infatti, Marcuse non lesina critiche al settarismo che impedisce, spesso
attraverso una celebrazione puramente verbale della propria purezza ideologica, la cre-
scita numerica di cui la sinistra necessita per fronteggiare lo strapotere economico e cul-
turale della classe egemone: la risposta repressiva, scrive infatti Marcuse, accentua le
debolezze, e soprattutto i conflitti ideologici interni e la mancanza di organizzazione del-
la nuova sinistra
40
.
Daltro canto, osserva come gli aspetti pi libertari del movimento di contestazio-
ne se non sottoposti alla disciplina rivoluzionaria finiscono per mostrarsi prematuri e
svolgere una funzione di freno allazione politica
41
. C il pericolo, osserva Marcuse, che
queste tendenze finiscano per rientrare nel pi generale processo di desublimazione re-
pressiva denunciato ne Luomo a una dimensione. Lesigenza di soddisfacimento libi-
dico individuale in una societ ancora organizzata in senso repressivo necessita di esse-
re inserita in un progetto di trasformazione collettiva. Conseguentemente, la liberazione
delle pulsioni non di per s un fattore rivoluzionario, n il loro controllo da parte di
unistanza razionale rappresenta un cedimento allautoritarismo
42
.
Occorre per dire che non fu facile nemmeno a Marcuse tenere la barra in questa mi-
cidiale dialettica. Su questo punto fu, anzi, addirittura costretto a fare autocritica. Se nel
Saggio sulla liberazione, aveva appoggiato luso del linguaggio scurrile nella sua funzione
di desublimazione della cultura in senso critico-progressivo
43
, cos come la celebrazio-
ne della sensualit nera e della musica rock come rivolta contro la cultura-affermativa
44
,
in Controrivoluzione e rivolta gli accenti sono diversi. A distanza di poco tempo, scrive
Marcuse, quel presunto potenziale politico (...) gi sfumato. (...) La verbalizzazione
questi anni. Interrogato a proposito di cosa significhi laggettivo radicale sovente riferito al suo pensiero e
alla prassi politica che ad esso si ispira, Marcuse rispose proprio collegando il radicalismo al tentativo di pre-
venire lavvento di un regime fascista di tipo nuovo. H. Marcuse, in Gesprch mit Herbert Marcuse, cit.
40
H. Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, cit., pp. 47ss.
41
Ibid., pp. 58ss.
42
forse un dettaglio significativo che nella classifica dei libri che circolavano clandestinamente in Germa-
nia Wilhelm Reich venisse stampato cinque volte pi di Marcuse. C. Albrecht et al. (a cura di), Die intellektuel-
le Grndung der Bundesrepublik, cit., p. 378. Negli USA, daltronde, Reich aveva avuto una certa diffusione
negli ambienti anticonformisti gi allepoca della beat generation.
43
H. Marcuse, Saggio sulla liberazione, cit., p. 48 n.
44
Lanima nera, violenta, orgiastica; non pi in Beethoven, in Schubert, ma nei blues, nel jazz, nel rock
and roll, nel soul food, ibid., p. 49.
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse
525
della sfera genitale e anale, divenuta rituale nella parlata della sinistra extra-parlamen-
tare (...) costituisce una degradazione della sessualit
45
. Allo stesso modo, la celebra-
zione di una certa immediatezza legata allespressione corporea nella musica pop, cos
come la generale tendenza alla dissoluzione della sfera estetica messa in opera dallarte
radicale, appare a Marcuse frutto di confusione ed espressione di impotenza. Confusio-
ne, perch si prende a bersaglio come nemico da abbattere un ideale di arte borghese
che non pi la cultura di riferimento della classe dominante
46
. Espressione di impoten-
za perch, abolendo la tensione tra la forma estetica e la realt, tra immanenza e trascen-
denza che era invece il portato critico dellarte borghese, si giunge ad una piatta affer-
mazione dellesistente per di pi mistificata dalla pretesa di essere qualcosa di altro da
una mera rappresentazione
47
.
Tra i vari obiettivi polemici di Marcuse figurano il Living Theatre e i Jefferson Air-
plane, due icone della controcultura americana. Il primo, propugnando lunificazione di
teatro e rivoluzione attuerebbe una commistione di marxismo e misticismo in cui la
rivoluzione rimane incatenata allapparenza e il teatro alla sublimazione (anche e soprat-
tutto laddove inscena una desublimazione radicale)
48
. La musica rock, pi piattamen-
te, trasforma il gesto di dolore che un vissuto della musica nera, in spettacolariz-
zazione, celebrando nei grandi concerti un pacificante rito collettivo attraverso la scarica
corporea: questa musica imitazione in senso letterale, mimesis di una reale aggressi-
vit; ed anche uno dei tanti casi di catarsi: terapia di gruppo che temporaneamente ri-
muove le inibizioni
49
.
Marcuse denuncia, dunque, le involuzioni che vede in atto in seno al movimento di
protesta, eppure la costellazione teorica in cui inserisce il conflitto non sembra offrire
una via duscita. Tanto pi difficile e problematica appare per la speranza che dalla pra-
xis possa svilupparsi unalternativa praticabile. Proprio su tale punto, di fronte alla ra-
dicalizzazione dello scontro, alla repressione e alla nascita delle ipotesi terroristiche in
seno alla contestazione, Marcuse viene in quegli anni spesso sollecitato ad intervenire
sul problema della violenza. Il filosofo berlinese era gi intervenuto nel 64 sulla que-
stione in un intervento alluniversit del Kansas dal titolo Etica e rivoluzione
50
e si pu
dire che la sua posizione sul tema non cambier mai. Il problema veniva qui declinato
da Marcuse nel senso del rapporto tra mezzi e fini: la questione se la violenza possa esse-
re un mezzo giustificabile o non entri invece in contraddizione con il fine di una societ
liberata dal dominio non pu avere una risposta generale e univoca, poich questa ver-
rebbe a porsi su un piano meta-storico, di etica assoluta. Su un tale piano, scrive Mar-
cuse, non c nulla che possa giustificare loppressione e il sacrificio (...) in nome della
45
H. Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, cit., p. 101.
46
Ibid., pp. 106-107.
47
Ibid., p. 137.
48
Ibidem.
49
Ibid., p. 138.
50
H. Marcuse, Ethics and Revolution, in R.T. de George (a cura di), Ethics and Society: Original Essays on
Contemporary Moral Problems, Anchor, Garden City, NY 1966, (tr. ted. S8), pp. 133-147, tr. it. in H. Marcuse,
Cultura e societ, cit.
Marco Maurizi
526
libert e della felicit future
51
. E tuttavia, aggiunge subito il filosofo berlinese, sul pia-
no storico ci troviamo di fronte a una distinzione e a una decisione
52
. Ovvero: in una
realt che strutturalmente violenta, basata sulloppressione e sul sacrificio irrazionale
della maggioranza, la scelta etica oggettiva (cio politica), basata su una razionalit stori-
ca, aperta allimmaginazione di una condizione umana altra da quella attuale, non per-
mette di escludere a priori il ricorso alla resistenza contro la violenza che gi in corso.
Tale resistenza implica anche la chiusura e il rifiuto, apparentemente intolleranti ver-
so teorie e pratiche che riproducano loppressione e la miseria collettiva, come scriver
Marcuse nel famoso saggio La tolleranza repressiva
53
.
Le critiche che Marcuse si attir con queste prese di posizioni furono in gran par-
te strumentali e reazionarie. Non va tuttavia taciuta la difficolt che lanalisi di Marcuse
incontrava sul finire degli anni Sessanta . Lo stallo organizzativo del movimento, dovuto
ad una mancata risposta della classe operaia alle sollecitazioni che arrivano dalla sinistra
radicale, cos come certa autoindulgenza anarcoide della controcultura che praticava il
mito della desublimazione radicale, rendevano urgente ma pressoch disperato il tenta-
tivo di risolvere il problema della prassi (in cui si inscrive la questione della violenza). La
diagnosi marcusiana riusciva convincente nellindicare che una risposta al tempo stesso
razionale e rivoluzionaria alla crisi in corso fosse possibile, ma non sembrava altrettanto
in grado di indicare quale fosse.
Lultimo Marcuse: estetica e politica
Lultimo Marcuse, pur impegnato con problemi apparentemente solo politici e prag-
matici, alza costantemente lo sguardo al di l dellorizzonte del presente, animato da
quella potenza dellimmaginazione che sola d senso e prospettiva alla lotta contro lop-
pressione. Ed in queste stesse pagine, marchiate a fuoco dallincandescenza dello scon-
tro politico in corso, che tornano a farsi sentire i grandi temi filosofici cari alla prima
generazione della Scuola di Francoforte: la denuncia del dominio sulla natura, limpor-
tanza attribuita allarte come finestra aperta sul possibile.
Gi nel capitolo Natura e rivoluzione di Controrivoluzione e rivolta, Marcuse era
tornato sulla grande frattura teorica prodotta nel marxismo da Adorno e Horkheimer
con la Dialettica dellilluminismo, denunciando lelemento idealistico che si nasconde
dietro lipotesi (marxista ortodossa) di un incessante e illimitato sfruttamento della
natura. Si spesso fraintesa la critica francofortese alla tecnica e al dominio confonden-
dola con analoghe formulazioni heideggeriane. Oppure si letta la denuncia dellomo-
geneit tecnocratica tra capitalismo e socialismo reale come una sopravvalutazione
del ruolo svolto dai mezzi di produzione rispetto ai rapporti di produzione. Ma la que-
stione della tecnica non mai affrontata in questi autori e meno che mai lo in Mar-
51
Ibid., p. 276.
52
Ibidem.
53
H. Marcuse, Repressive Tollerance, in R.P. Wolff, B. Moore jr., H. Marcuse, A Critique of Pure Tolerance,
Beacon, Boston 1965, (tr. ted. S8), tr. it. R.P. Wolff, B. Moore jr., H. Marcuse, Critica della tolleranza, Einaudi,
Torino 1968, p. 93.
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse
527
cuse svincolata dal contesto politico ed economico. Non c alcun rimpianto di unet
delloro pre-tecnologica (mai esistita)
54
, n il sogno di un ritorno alla natura come
elemento incontaminato dal dominio
55
. La critica al dominio sulla natura fa parte inve-
ce della scoperta e dellaffermarsi della nuova sensibilit teorizzata da Marcuse: la ca-
pacit, da parte degli esseri umani, di ritirarsi rispetto allaltro-da-s, di limitare la pre-
sa e la violenza sul non-umano
56
. Come Marcuse aveva gi sostenuto ne Luomo a una
dimensione, il bisogno di uno sviluppo illimitato delle forze produttive costituisce esso
stesso uneredit del capitalismo ed strutturalmente connesso alle sue esigenze vitali e
alla struttura pulsionale che esso induce nelle sue vittime. In tal senso, non aveva esitato
a ipotizzare la necessit di porre un limite al sovrasviluppo
57
, anticipando i temi delleco-
logia e della decrescita ma inserendoli in un contesto di critica della civilt dai contenu-
ti esplosivi e interamente politici. Lidea, insomma, che il progresso tecnico rendesse fin
da ora possibile porre fine alla miseria generalizzata
58
.
Lultima opera di Marcuse, La dimensione estetica
59
, rilancia il tema della trascen-
denza rispetto al meramente dato, dello sviluppo di una sensibilit altra e di una ragio-
ne conciliatrice non pi legata al principio di prestazione, a partire dallarte e dal ruolo
da essa svolto nella societ. Si trattava di temi gi trattati, ad esempio, in Eros e civilt
60
e
in Controrivoluzione e rivolta
61
ma su cui Marcuse torna a insistere, segno dellimportan-
za che egli accordava a una questione che rappresenta il crocevia di tutti i problemi teo-
rici e pratici che attraversano la sua riflessione. chiaro, anzitutto, che una concezione
adeguata del fenomeno estetico non pu seguire la via dellestetica marxista ortodos-
sa (il cui rappresentante ufficiale e pi autorevole senzaltro Lukcs) che, imponendo
allarte il compito di denunciare lo sfruttamento e lingiustizia, finisce nella celebrazio-
ne del realismo socialista e nellidea di un impegno politico esplicito dellartista. Marcu-
se ribalta invece questa concezione, sottolineando come il rapporto tra prassi politica e
54
H. Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, cit., p. 85.
55
Il mondo della natura un mondo di oppressione, crudelt e dolore, com il mondo umano; come
questultimo, esso aspetta la sua liberazione, H. Marcuse, Eros e civilt, cit., p. 189.
56
Nel concetto marxiano dellappropriazione umana della natura c un residuo di hybris della dominazio-
ne: la appropriazione, per quanto umana, resta appropriazione di un oggetto (vivente) da parte di un sogget-
to. Si offende ci che essenzialmente altro dal soggetto che si appropria, e che esiste in proprio come oggetto
autonomo, cio come soggetto! Esso pu essere ostile alluomo, e allora il rapporto di lotta; ma la lotta pu
anche aver termine e lasciar posto alla pace, alla tranquillit, alla realizzazione. In questo caso il rapporto di
non sfruttamento sarebbe non lappropriazione ma il suo contrario: cedimento, permissivit, accettazione...Il
cedimento urta contro limpenetrabile resistenza della materia; la natura non manifestazione dello spirito, ne
piuttosto il limite fondamentale, H. Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, cit., p. 84.
57
H. Marcuse, Luomo a una dimensione, cit., p. 251.
58
A questo proposito, Marcuse sosteneva la necessit di abbandonare il linguaggio dellutopia, caro a Bloch
e ad Adorno, ormai divenuto uno strumento nelle mani della reazione, sempre impegnata a bollare come
acchiappanuvole e irrazionalisti coloro che immaginano un sistema sociale alternativo, retto da un diverso
principio di realt. H. Marcuse, Das Ende der Utopie, Verlag Peter von Maikowski, Berlino 1967, tr. it. La fine
dellutopia, Laterza, Bari 1968.
59
H. Marcuse, The Aesthetic Dimension, Beacon Press, Boston 1978, (S9), tr. it. La dimensione estetica.
Uneducazione politica tra rivolta e trascendenza, Guerini e Associati, Milano 2002.
60
H. Marcuse, Eros e civilt, cit., pp. 194-214. Il capitolo si intitolava, appunto, La dimensione estetica.
61
H. Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, cit., pp. 99ss.
Marco Maurizi
528
arte sia necessariamente indiretto, mediato e sfuggente
62
. Lelemento irreale e illu-
sorio dellarte non una tara che andrebbe bilanciata con una dose di sano realismo,
facendo dellarte un semplice rispecchiamento dei rapporti sociali ed economici. Al con-
trario, scrive Marcuse, larte irreale non perch sia meno, ma perch pi reale oltre
che qualitativamente altro rispetto alla realt stabilita. (...) Solo nel mondo illusorio
le cose appaiono come ci che sono e ci che possono essere
63
. Il potenziale politico
dellarte, cio, racchiuso nella forma estetica in quanto tale
64
.
Conclusione
Non si pu restare indifferenti al fascino che la produzione marcusiana emana, dai pri-
mi tentativi di mediazione filosofica alle ultime grandi testimonianze del suo impegno
politico. Ci che coglie di sorpresa il lettore di oggi, al di l delle questioni, delle parole
dordine e delle speranze che restituiscono fin troppo il sapore e anche il retrogusto non
sempre piacevole di unepoca turbolenta che non c pi, la profonda differenza tra
lo stile di Marcuse e quello di tanti maestri dellepoca. Uno stile, che anche, senza
dubbio, uno stile di pensiero, fatto di attiva e pressante denuncia, ma in cui si respira
sempre la seriet e la profondit di chi non cede mai alla facile polemica o allancor pi
facile narcisismo del profeta. Se non si corresse il rischio di dir troppo poco si avrebbe
il dovere di sottolineare la commovente umanit che si registra nella pagina marcusia-
na, la sua capacit, anche nella critica ai contestatori, anche nella denuncia delloppres-
sore, di mostrare la differenza tra lesaltazione e la militanza per lumanit. La nuova
sensibilit di cui Marcuse parla come prefigurata, fissata plasticamente in un linguag-
gio che riesce a veicolare in modo unico la potenza dellastrazione e la solidariet ver-
so gli oppressi. Il pensiero di Marcuse traspare cos dai suoi scritti con lurgenza critica,
lemozione avvincente e larticolazione sapiente di una vita che ha attraversato un seco-
lo di devastazioni senza abdicare alla fragile ma incrollabile speranza di vederci un gior-
no pronunciare quella parola di libert in grado di ridestarci ad unesistenza non abbru-
tita dal dominio.
BIOGRAFIA
Herbert Marcuse nasce a Berlino nel 1898. Il padre, di origine ebraica, fabbricante tes-
sile. Nel 1918 membro del Consiglio dei soldati di Berlino-Reinickendorf. Nel 1919
entra nella SPD da cui fuoriuscir dopo la repressione dellinsurrezione spartachista. Nel
1922 termina gli studi presso lUniversit di Friburgo con una tesi sul Knstlerroman e
torna a Berlino dove inizia a lavorare nelleditoria. Nel 1924 sposa la prima moglie So-
phie Wertheim. Nel 1929 torna a Friburgo dove collabora con Husserl e Heidegger. Nel
62
H. Marcuse, La dimensione estetica, cit., p. 14.
63
Ibid., p. 41.
64
Ibid., p. 11.
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse
529
1932 termina lo scritto per labilitazione Lontologia di Hegel e la fondazione di una teoria
della storicit ma lavvento del nazismo lo spinge a rompere ogni rapporto con Heideg-
ger. Su interessamento di Husserl inizia a collaborare con lIstituto per la ricerca socia-
le di Francoforte, diretto da Max Horkheimer. Lascia la Germania, recandosi prima in
Svizzera e poi negli USA dove otterr la cittadinanza americana nel 1941. Lo stesso anno
esce Ragione e rivololuzione. Tra il 1942 e il 1950 collabora allOffice of Strategic Ser-
vices nellambito di un programma per la denazificazione tedesca. Nel 1951 muore So-
phie. Collabora al Russian Institute della Columbia University di New York e al Russian
Research Center dellUniversit di Harvard (da cui lopera Soviet Marxism del 1958).
Nel 1956 sposa Inge Neumann. Tra il 1954 e il 1965 insegna Scienze politiche alla Bran-
deis University (Waltham/Massachussetts) e pubblica i suoi lavori pi noti ed influen-
ti nellambito della New Left (Eros e civilt, 1955; Luomo a una dimensione, 1964). Nel
1965 ottiene una cattedra allUniversit della California (San Diego). Nel 1967 invitato
dalla SDS organizzazione degli studenti tedeschi di sinistra ad un convegno sul Vie-
tnam in cui Marcuse tiene due relazioni: La fine dellutopia e Il problema della violenza
nellOpposizione. Nel 1972 pubblica Controrivoluzione e rivolta. Nel 1973 muore la se-
conda moglie. Nel 1976 sposa Erica Sherover. Nel 1979 durante un viaggio in Germa-
nia muore a Starnberg.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Marcuse
Ledizione di riferimento delle opere di Marcuse : H. Marcuse, Schriften. 9 Bnde, Suhrkamp,
Frankfurt am Main 1978-1989 che contiene anche gli scritti del periodo americano ri-tradotti in
tedesco. Di seguito si elencano le principali opere marcusiane accessibili al lettore italiano:

Marxismo e rivoluzione. Studi 1929-1932, Einaudi, Torino 1975.
Cultura e societ. Saggi di teoria critica 1933-1965, Einaudi, Torino 1969 (5a ed.).
Lautorit e la famiglia, Einaudi, Torino 1970 (5a ed. 1982).
Ragione e rivoluzione. Hegel e il sorgere della teoria sociale, Il Mulino, Bologna 1966.
Eros e civilit, Einaudi, Torino 1967.
Luomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967 (ed. aggiornata con una nota di L. Gallino, 1991).
Saggio sulla liberazione, Einaudi, Torino 1969 (6a ed. 1980).
Controrivoluzione e rivolta, Mondadori, Milano 1973.
La dimensione estetica. Uneducazione politica tra rivolta e trascendenza, Guerini e Associati, Mi-
lano 2002.
Letteratura secondaria
Su Marcuse
Casini, L., Eros, utopia e rivolta: il pensiero e lopera di Herbert Marcuse, Angeli, Milano 2004.
Fuchs, C., Emanzipation: Technik und Politik bei Herbert Marcuse, Shaker, Aachen 2005.
Marco Maurizi
530
Kellner, D., Herbert Marcuse and the crisis of Marxism, Macmillan, Basingstoke 1984.
Raulet, G., Herbert Marcuse: philosophie de lmancipation, Presses Universitaires de France, Pa-
rigi 1992.
Sul rapporto tra Marcuse e la Scuola di Francoforte
DAlessandro, R., La teoria critica in Italia. Letture italiane della Scuola di Francoforte, manifesto-
libri, Roma 2003.
Jay, M., The dialectical imagination: a history of the Frankfurt School and the Institute of social re-
search: 1923-1950, Heinemann, Londra 1974, tr. it. Limmaginazione dialettica. Storia della
Scuola di Francoforte e dellIstituto per le ricerche sociali 1923-1950, Einaudi, Torino 1979.
Wiggershaus, R., Die Frankfurter Schule: Geschichte Theoretische Entwicklung Politische Be-
deutung, Hanser, Mnchen/Wien 1986, tr. it. La Scuola di Francoforte. Storia, sviluppo teorico,
significato politico, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
531
LULTIMO TESTAMENTO DI HENRI LEFEBVRE,
FILOSOFO E TEORICO DELLA SOCIET
Stanley Aronowitz
Un filosofo ignorato
Henri Lefebvre un classico caso di misconoscimento. stato etichettato come sociolo-
go, urbanista o teorico della societ, ma raramente stato preso in considerazione come
filosofo. Il solo terzo volume della Critica della Vita Quotidiana
1
dovrebbe bastare per
correggere questo errore, non soltanto perch lo stesso Lefebvre ha sottotitolato lopera
Per una meta-filosofia del quotidiano, ma per i contributi filosofici originali offerti. Non
esagerato affermare che Lefebvre sia leco-filosofo del XXI secolo. stato Lefebvre a
istituire la connessione tra la vasta spoliazione degli ecosistemi globali, la nuova forma
del tempo e dello spazio sociale e la lotta per la trasformazione della vita quotidiana, che
dalla sua prospettiva la chiave per il progetto di cambiamento del modo di vita e di ri-
composizione del nostro rapporto collettivo con la natura.
La sua opera, cos originale, ha abbracciato larga parte del XX secolo. Dopo la Secon-
da guerra mondiale divenne uno degli intellettuali francesi di punta e scrisse su unam-
pia serie di temi, superando gli steccati tra le discipline e, in particolare, i rapporti con-
solidati tra filosofia, scienze sociali e arte. Del resto, egli mise apertamente in discussione
il confinamento del sapere in partizioni disciplinari. Per decenni, marxisti, filosofi, so-
ciologi e altri specialisti delle scienze sociali lo ignorarono soprattutto per limpossibili-
t di classificarlo.
La sua riscoperta avvenne solo negli anni che seguirono la sua morte, avvenuta nel
1991 allet di 90 anni, ma purtroppo le interpretazioni non andarono nel senso che lui
avrebbe desiderato. Lefebvre stato riconosciuto dal geografo e teorico della societ
David Harvey quale uno dei re-inventori dellurbanismo, e i suoi vari lavori sul tema, in
1
H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne, III, De la modernit au modernisme (Pour une mtaphilosophie
du quotidien), LArche, Paris 1981.
Stanley Aronowitz
532
particolare La produzione dello spazio
2
, hanno influenzato unintera generazione di ar-
chitetti e geografi sociali in Europa, America Latina, Stati Uniti e Gran Bretagna.
La produzione dello spazio costituisce il suo sigillo nel canone degli urban studies,
per quanto si tratti di unopera che sfida la frammentazione del sapere caratteristica
delle scienze sociali. Lefebvre riesce a richiamare la specificit dei vari campi anche
quando, assumendo il punto di vista della totalit sociale, istituisce connessioni tra am-
biti apparentemente disparati. Si tratta di un approccio che non verr mai meno e che
gli valse il disprezzo o lindifferenza dei contemporanei, per i quali la totalit, nel mon-
do postmoderno, non appariva altro che unantiquata prospettiva ottocentesca. Non-
dimeno, limpressionante ampiezza e originalit dellopera la rendono, assieme ai tre
volumi della Critica della vita quotidiana, una vetta del pensiero sociale e politico con-
temporaneo.
Lefebvre non si attenne allimperativo metodologico che affligge la sociologia, o a
quello che C. Wright Mills ha chiamato empirismo astratto studi circoscritti e ato-
mizzati, in cui la teoria sociale non pu discernere alcuna implicazione diretta. In con-
trasto con tale approccio, articol un progetto di vasta portata: individuare le conse-
guenze della modernit nella sua incarnazione tardo capitalistica sulla molteplicit delle
forme di vita e sullessere sociale. Le sue ricerche affrontarono la questione chiave: per-
ch e in che modo il capitalismo globale riuscito a sopravvivere, malgrado un seco-
lo costellato da guerre, rivoluzioni, crisi economiche e sollevazioni politiche? I cinque
studi sulla vita quotidiana, scritti in un lasso di tempo di circa quarantanni (i tre volu-
mi della Critica della vita quotidiana e altre due opere da considerare parti del medesi-
mo progetto, La vita quotidiana nel mondo moderno
3
e la ricerca sulla ritmoanalisi
4
,
pubblicata postuma) costituiscono un contributo monumentale per la trattazione di tale
questione decisiva. Questo progetto ebbe enorme significato teoretico per lo sviluppo
dello stesso materialismo storico.
Un marxismo eterodosso
Mentre sociologi e filosofi trattavano il quotidiano come un sotto-sistema, Lefebvre so-
steneva il terzo volume della Critica contiene le tesi pi esplicite a riguardo che la vita
quotidiana costituisce il livello fondamentale dellesistenza sociale e che esso, nel mondo
contemporaneo, aveva soppiantato il livello economico e quello politico:
La vita quotidiana non pu essere definita un sotto-sistema di un sistema pi ampio. Al
contrario: la base a partire da cui il modo di produzione cerca di costituirsi come sistema,
programmando questa base. La programmazione della vita quotidiana ha mezzi potenti a
sua disposizione: controlla gli elementi del destino individuale, ma ha anche a che fare con le
2
H. Lefebvre, La Production de lespace, Anthropos, Paris 1974, tr. it. La produzione dello spazio, Moizzi,
Milano 1976.
3
H. Lefebvre, La vie quotidienne dans le monde moderne, Gallimard, Paris 1968, tr. it. La vita quotidiana nel
mondo moderno, Il Saggiatore, Milano 1979.
4
H. Lefebvre, lments de rythmanalyse. Introduction la connaissance des rythmes, Syllepse, Paris 1992.
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
533
scosse della base che rendono ledificio instabile. Qualsiasi cosa capiti, le alterazioni nella vita
quotidiana rimarranno il criterio del cambiamento
5
.
Per Lefebvre la vita quotidiana il luogo di, e la condizione per, la riproduzione del-
le relazioni di produzione. La sua colonizzazione da parte dello Stato e delle relazioni
economiche fornisce la risposta alla questione della sopravvivenza del capitalismo dopo
lorrenda storia del XX secolo. Questa la tesi che Lefebvre cerca di difendere nei suoi
scritti sullo Stato, la produzione dello spazio e altri lavori.
Come abbiamo appreso dagli esempi delle rivoluzioni del XX secolo condotte nel
nome del socialismo, il cambiamento della forma statuale, anche abolendo la proprie-
t privata in settori chiave della produzione e in varie altre imprese, non riesce ad arri-
vare alle radici del dominio capitalista. Largomento centrale di Lefebvre che Stato ed
economia sono prodotti del quotidiano. Abbiamo gi fatto breve accenno a questa tesi
della priorit della vita quotidiana sul modo di produzione. Ma importante capire che
largomento ha la sua specificit storica. In un determinato momento storico, quando
lo Stato e i suoi apparati amministrativi sembrano le chiavi di volta della societ, egli
afferma con forza che questo in un certo senso vero, ma che, pi in profondit, vale
quanto segue:
Adesso lo Stato riposa sul quotidiano; ha per base la quotidianit. La tesi marxista tradizionale
individua come base delle sovrastrutture ideologiche e politiche i rapporti di produzione
e le forze produttive. Oggi, cio da quando lo Stato assicura la gestione della societ invece
di lasciar fare ai rapporti sociali, al mercato e alle forze cieche oggi questa tesi riduttiva e
insufficiente. I rapporti di dominio e la riproduzione di questi rapporti hanno conquistato,
attraverso grandi conflitti e grandi avvenimenti, la priorit sui rapporti di produzione, che essi
implicano e contengono
6
.
Se le forme della vita sociale non vengono cambiate, il vecchio ordine ricomparir. Se lo
Stato e leconomia cercano di dominarla, questo dominio solo la forma apparente dei
rapporti sociali. Se il vecchio regime resta centrale al livello della famiglia, delle relazio-
ni personali, soprattutto della sessualit e della struttura dellautorit sul posto di lavo-
ro, se le routine dellesistenza quotidiana ripetitiva sono preservate, se la vita svuotata
di piacere e il desiderio relegato alla sfera dei sogni, ma negato nel quotidiano, nien-
te davvero cambiato.
Bisogna ricordare che, per salvare la Rivoluzione russa al tempo della guerra civile e
dellinvasione di ventuno eserciti stranieri, Lenin pose fine ai consigli operai e alla rivo-
luzione culturale iniziata da Alexandra Kollontaj, repressione poi amplificata da Stalin,
che dichiar apertamente come la rivoluzione si dovesse fermare sulla soglia della vita
quotidiana. Pochi giorni dopo la morte di Lenin, nel 1924, il regime decise, trattando-
la come una normale questione amministrativa, di sopprimere quella sfera pubblica, vi-
vace e spesso conflittuale, in cui rivoluzionari appassionati osavano entrare in disaccor-
do tra di loro e con i vertici del Partito comunista. Gli effetti di queste repressioni sul
5
H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne, III..., cit., p. 122.
6
Ibidem.
Stanley Aronowitz
534
corso successivo della rivoluzione furono incalcolabili. Il vecchio quotidiano pre-rivo-
luzionario fu restaurato, per editto e insieme per inerzia. Il Partito dichiar che la fami-
glia era il fondamento della vita sociale e che il lavoro, sotto forma di lavoro salariato,
era la pi alta etica rivoluzionaria. Possiamo qui vedere labisso che separava Lefebvre
dai marxisti ortodossi, per i quali i precetti fondamentali del materialismo storico erano
stati fissati da Marx ed Engels, e corretti da Lenin, una volta per sempre. Per lortodos-
sia, conquistare il potere politico e abolire la propriet privata dei mezzi di produzione
materiale erano considerate le condizioni non solo necessarie, ma anche sufficienti, del
socialismo. Lefebvre, invece, non si lasci mai del tutto alle spalle lesperienza del sur-
realismo: una societ cupa e produttivista in cui lindividuo sovra-represso diventa
pressoch inevitabilmente quella che egli chiamava una societ del terrore, e questo
precisamente quanto accadde alla rivoluzione bolscevica dopo la presa del potere. Una
volta al potere, la vita interna dei partiti rivoluzionari rispecchi e riprodusse la societ
che avevano ereditato, ci anche contro le loro intenzioni. I partiti che si proclamavano
leninisti rimpiazzarono la democrazia con il centralismo burocratico. Inutile dire che
la storia della Francia rivoluzionaria mostra tratti simili: con il Termidoro gli elementi
chiave del vecchio ordine furono restaurati e rimasero dominanti per larga parte del XIX
secolo. Possiamo vedere questi caratteri nei romanzi di Flaubert, e persino oggi: la do-
menica rimane sacra per il ciclo della vita familiare in quasi tutte le famiglie della classe
media. Si trovano, mangiano il pranzo rituale, cenano insieme e si trascinano da un rito
allaltro, specifico o caratteristico della famiglia francese estesa in generale. Anche se per
lo pi laica tributo alla storia nazionale la famiglia francese osserva riti simili a quel-
li rintracciabili in qualsiasi religione.
Cos, lungi dallessere considerata parte della sovrastruttura, riflesso della base
economica, o un livello intermedio tra infrastruttura economica e Stato, la vita quoti-
diana costituisce lesperienza vissuta del mondo sociale: lalienazione. E lalienazione
resta il modo di essere fondamentale nelle societ capitaliste e del socialismo di Stato.
Entro societ in cui il potere schiacciante dei rapporti economici e dello Stato sembra
determinare la vita sociale, solo quando la vita quotidiana posta allaltezza del pen-
siero critico diventa possibile discernere la sua effettiva relazione con il processo di
produzione. Certo, dalla prospettiva della totalit la vita quotidiana solo un momen-
to del tutto, nel senso che anchessa determinata. quando il modo di produzione
programma con successo la vita quotidiana che essa diventa la base per la riprodu-
zione dei rapporti di produzione. Leresia di Lefebvre diviene evidente se confronta-
ta allinfinita sequela di predizioni marxiste sulla morte del capitalismo. Rifiutando il
classico modello infrastruttura/sovrastruttura, non c inevitabilit del socialismo o
del comunismo. Di pi, le crisi cicliche del capitalismo e la guerra permanente in cui
viviamo non offrono basi, oggi, per la predizione dellarrivo di una crisi generale
del capitalismo ( Lenin). Questa prognosi stata periodicamente enunciata nel corso
del XX secolo, tra gli altri, da Lenin e Trockij. Negli anni Trenta John Strachey e Lewis
Corey pubblicarono testi che ebbero una larga circolazione in cui le conseguenze del-
la crisi economica erano considerate garanzia sufficiente per annunciare limminen-
te lotta per il potere o, per usare i termini di Corey, il declino del capitalismo ameri-
cano. Queste tesi furono seguite da un vero e proprio esercito di economisti politici
e di pensatori di sinistra, secondo i quali la duplice crisi (guerre e crollo economico)
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
535
era lindicatore e la condizione della trasformazione sociale. Fu Lefebvre gi nel 1947
a far notare che, se lanalisi non tiene in conto il quotidiano (lorganizzazione e la pro-
duzione del tempo e dello spazio sociale, nonch le questioni associate alla cultura),
risulta impossibile calcolare i possibili sviluppi della storicit capitalista. Lobiettivo
principale di Lefebvre quello di generare concetti che permettano di pensare il rap-
porto tra quello che egli chiama essere dellUomo e le pratiche storicamente e spa-
zialmente situate che segnano lumana esistenza. Si tratta di un livello posto al di sot-
to delle istituzioni del capitale e dello Stato.
Lefebvre rifugg il dogmatismo caratteristico delle versioni ufficiali del marxismo
promulgate dai partiti comunisti e persino dagli esponenti della sinistra pi indipenden-
ti. Rigett lortodossia marxista con la stessa veemenza da lui riservata agli ideologi bor-
ghesi. Chiar che lortodossia caratterizzata dalleconomicismo, la dottrina derivata
da una lettura non dialettica dellIdeologia tedesca, ma in particolare dalla celebrata pre-
fazione a Per una critica delleconomia politica. Qui Marx introduce la distinzione tra in-
frastruttura e sovrastruttura politica e ideologica, argomentando che la sovrastruttura
riflette la base economica e che con la trasformazione della prima, linsieme dei rap-
porti politici e sociali saranno pi o meno rapidamente trasformati.
Ora, la prefazione non pu essere astratta dal suo contesto: Marx sta combattendo
a difesa di una posizione materialistica contro lidealismo dominante che caratterizza
la filosofia e leconomia del suo tempo. Per ogni lettore critico chiaro che la prefa-
zione non lultima parola di Marx sulla concezione materialistica della storia. In mol-
te altre opere, infrastruttura e sovrastruttura sono viste come momenti di una totalit
pi che come entit a ruoli fissi, unite da un rapporto di causalit unidirezionale. Lin-
fluenza di cultura, ideologia e politica sul costituirsi delleconomico e sul corso degli
eventi particolarmente evidente negli scritti storici di Marx, ma anche nelle note per
Il Capitale, i Grundrisse, che molti marxisti ortodossi non prendono in considerazio-
ne per il loro carattere preliminare e incompleto. Ignorando o rifiutando lintenzione
di Marx di sottoporre a critica leconomia politica, cio di mostrare come le categorie
delleconomia politica siano forme di ideologia che nascondono pi di quanto riveli-
no, la tendenza delleconomicismo marxista consiste nel trasformare il materialismo
storico in uno studio positivo delleconomia politica e di ricondurre la maggior parte,
se non la totalit, dei fenomeni ed eventi sociali alle loro dimensioni economiche. Se-
condo Lefebvre, Marx sottopose prezzi, profitti e salari, offerta e domanda a una cri-
tica immanente spietata proprio per portare alla luce i rapporti sociali di dominio su
cui essi si fondano. La teoria del valore e del plusvalore la fonte segreta del profit-
to non erano volte a fondare una nuova scuola di analisi economica, ma a mostrare
che le relazioni di dominio e sfruttamento il lavoro alienato sono alla base dellac-
cumulazione e della riproduzione del capitale. Oltre al soddisfacimento del bisogno
biologico elementare, come ogni sistema economico leconomia capitalista un modo
di vita, un sensorio culturale e tecnologico che d forma alla vita sociale. Nellepo-
ca capitalista la forma-merce definisce, ma anche reifica, tutti gli aspetti dellesistenza
umana. Per Lefebvre il compito meta-teoretico degli studi sociali consiste nello scar-
dinare i rapporti reificati che sono incorporati in queste categorie, non nellesibire la
superiorit dellanalisi marxista al livello delleconomico. Questa la prima tesi di fon-
do della Critica.
Stanley Aronowitz
536
La seconda consiste nella messa in discussione della teoria della causalit su cui si
fonda lortodossia marxista, e in una pi complessiva opposizione a tutte le forme di ri-
duzionismo. Per Lefebvre, come per Marx, una teoria della determinazione deve ren-
dere conto della molteplicit delle relazioni che interessano un evento, incluse le forme
di lotta intraprese dalle classi oppresse e sfruttate. Il punto consiste nello scoprire tanto
come le persone si sono costruite per quello che sono, quanto il modo in cui sono sta-
te modellate dalle cosiddette forze oggettive. Se le condizioni che vincolano la prassi
dominino davvero la creativit dellazione umana, questa rimane sempre una questione
empirica. Se i vincoli fossero sempre dominanti, sarebbe difficile anche solo delineare
la possibilit di un cambiamento, a meno che non si chiami in causa una contraddizio-
ne interna al sistema dei vincoli. Nella retorica dellinevitabilit, la prassi sempre gi
determinata dalla Storia e gli esseri umani non sono mai veramente creativi, ma porta-
tori di forze a loro esterne. Cos, quello che distingue la filosofia di Lefebvre dallogget-
tivismo il suo elevare il sottodeterminato a oggetto del pensiero critico.
Dai primi scritti sul materialismo dialettico agli ultimi libri, Lefebvre fu un critico
delle questioni epistemologiche del tipo: Come conosciamo?, Qual la natura del-
la verit?, e in generale della pretesa dei ricercatori scientisti di una conoscenza cer-
ta, cio riducibile a un insieme di formule. Non smise mai di ricordarci che il proble-
ma della verit non collocato nei labirinti della conoscenza o della coscienza, come
nel pensiero cartesiano, ma nella vita sociale e nelle sue pratiche. Cos, come Adorno,
nei cui confronti avvert negli ultimi tempi una certa affinit, Lefebvre fu un critico se-
vero dellepistemologia quale prospettiva da cui cogliere il mondo sociale. Il lettore del
terzo volume della Critica pu facilmente identificare alcuni dei suoi bersagli in autori
che hanno seguito le prescrizioni kantiane: tra di essi, il sociologo Pierre Bourdieu, Al-
thusser e i custodi francesi dellortodossia marxista. Di fatto, il suo giudizio finale circa
il carattere dogmatico di larga parte del marxismo del Dopoguerra lo condusse a soste-
nere che la fenomenologia aveva reso alla filosofia, e in particolare alla critica della vita
quotidiana, contributi pi importanti di quellossificato marxismo di partito che ave-
va dominato la sinistra per la maggior parte del periodo successivo alla guerra. In que-
sto senso, egli riconosce un debito notevole nei confronti di Maurice Merleau-Ponty, i
cui primi lavori, in particolare Fenomenologia della percezione, furono tra i primi ten-
tativi di suggerire una politica e una psicologia del quotidiano da una prospettiva feno-
menologica marxista.
Marxismo e critica della vita quotidiana
Nato nel 1901, la traiettoria di Lefebvre da bambino nato nel Sud-Est rurale della Francia
a intellettuale parigino di punta fu segnata da numerose svolte. Negli anni Venti egli di-
venne un membro del circolo surrealista guidato da Andr Breton, che includeva nume-
rosi futuri comunisti di spicco: il poeta e romanziere Louis Aragon, lo scrittore Paul Ni-
zan e, per un breve periodo, Breton stesso. Alla fine degli anni Venti i membri del circolo
si iscrissero in massa al Partito comunista francese, ma solo in pochi rimasero nel Parti-
to dopo i processi di Mosca e il patto nazi-sovietico. Aragon, Nizan e Lefebvre furono
tra i pi noti di coloro che restarono. Nel 1939 Lefebvre pubblic il suo primo libro im-
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
537
portante, Il materialismo dialettico
7
, interno alla tradizione marxista, che divenne in bre-
ve tempo libro di testo nelle scuole di partito e nei gruppi di studio. A differenza dei con-
tributi al genere di ispirazione sovietica, il libro di Lefebvre una trattazione sofisticata
e generalmente non dogmatica, in cui si sottolineano le radici pre-socratiche e hegeliane
della dialettica, si evita il ricorso a formule (caratteristiche, per esempio, di Dialettica e
materialismo storico, dove Stalin spiega le tre leggi della dialettica: contraddizione, tra-
sformazione della quantit in qualit, negazione della negazione) e viene criticato il mate-
rialismo dialettico in quanto forma di scientismo un modo di pensare nato nellIllumini-
smo francese e oggetto della critica di Marx, ma che riappare sotto forma di dogmatismo
marxista nel periodo della Seconda e della Terra Internazionale. In questo libro Lefebvre
mostra, in forma embrionale, limportanza della dialettica in quanto metodo di compren-
sione dei rapporti sociali, in particolare nella vita quotidiana (uno spunto che sar ela-
borato dopo la guerra). Alla fine della Seconda guerra mondiale, durante la quale ave-
va partecipato alla Resistenza, divenne uno dei portavoce intellettuali pi importanti del
Partito. Tra il 1945 e il 1948 si impegn, com ampiamente noto, in una serie di dibat-
titi pubblici con Sartre e altri membri della rivista indipendente di sinistra Temps Mo-
dernes, che nei suoi primi anni di vita fu la voce intellettuale di riferimento per unipo-
tetica formazione politica collocata in un terzo campo una prospettiva che Sartre e
Merleau-Ponty condividevano con la corrente del trockijsmo francese associata al grup-
po di Socialisme ou Barbarie, i cui esponenti pi noti erano Castoriadis e Lefort. Come
pot questo marxista non dogmatico giustificare il suo ruolo di guida in un partito di cui
era leggendaria la sottomissione a Stalin e alle aride ideologie del marxismo-leninismo del
Dopoguerra? Dopo il collasso del comunismo dellEst europeo risulta difficile immagi-
nare il rispetto goduto dallUnione Sovietica tra operai, contadini e intellettuali. Lefebvre
stesso offre la spiegazione che il ruolo decisivo del PCF nella lotta contro il fascismo gli
aveva conferito un enorme prestigio e lo rendeva il candidato pi plausibile, tra tutte le
forze politiche esistenti, per guidare la trasformazione della societ francese. Inoltre, Le-
febvre fu tra quegli intellettuali che non potevano dimenticare il ruolo giocato dai sovie-
tici nella lotta contro Hitler e il fascismo. E come avrebbe sostenuto pi tardi Sartre, i co-
munisti non erano solo i pi ferventi difensori della pace in un tempo in cui la catastrofe
nucleare minacciava lumanit, ma erano la forza guida della classe operaia francese. Alla
fine, quando Lefebvre intraprese, in quella che divenne la causa efficiente del suo distac-
co dal Partito, la critica di quello che C. Wright Mills chiamava metafisica del lavoro e
una denuncia del comunismo sovietico, non era rimasto pi molto da difendere. Lefebvre
divent un critico convinto del Partito comunista francese, ma non si un mai agli intel-
lettuali anti-comunisti nel periodo della Guerra Fredda, come Raymond Aron, gi nel co-
mitato di redazione di Temps Modernes, n a coloro che, come Castoriadis, ritenevano
che il blocco sovietico fosse una forma pura e semplice di capitalismo di stato.
Nel 1947 Lefebvre pubblic il primo volume della Critica della vita quotidiana
8
. Fu
annunciata da molte parti come uninnovazione decisiva, a tutta prima persino dagli
7
H. Lefebvre, Le Matrialisme dialectique, Alcan, Paris 1939.
8
H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne, I, Introduction, Grasset, Paris 1947, tr. it. Critica della vita
quotidiana vol. I, Dedalo, Bari 1977.
Stanley Aronowitz
538
ideo logi di partito. Tuttavia, pochi mesi dopo la sua pubblicazione, Lefebvre dovette
subire i loro attacchi: lopera non era marxista perch pareva minimizzare limportan-
za della classe e della lotta di classe; non insisteva sulla priorit dellinfrastruttura eco-
nomica nella costituzione dei rapporti sociali (in effetti il libro puntava in tuttaltra dire-
zione); virava pericolosamente in direzione degli esistenzialisti, in particolare di Sartre e
Merleau-Ponty. Ovviamente, al fondo di queste critiche vi erano le figure di Nietzsche
e Heidegger, con cui Lefebvre era, implicitamente, in dialogo. Entrambi affrontano la
questione del quotidiano: Nietzsche, su cui Lefebvre scrisse un libro notevole, pu es-
sere riconosciuto come lo scopritore del quotidiano come oggetto legittimo di riflessio-
ne filosofica. Si pensi al concetto nietzscheano di eterno ritorno, che rimanda alla ripe-
tizione che marca la vita quotidiana. O alla sua idea che niente scompare, riferimento al
suo rifiuto dellideologia del progresso: Lefebvre conduce un attacco profondo contro
la dottrina a essa corrispondente, levoluzionismo, caratteristica tanto del marxismo che
del pensiero liberale. Alla luce di tutto questo, le condizioni del cambiamento risultano
estremamente difficili da osservare senza che sia affrontata la realt fondamentale del-
la ripetizione nei pi intimi dettagli dellesistenza ordinaria. Nel sesto capitolo del suo
capolavoro Essere e Tempo, Heidegger affronta la vita quotidiana nei termini della ca-
tegoria di cura, come quellontico (lessere storicamente situato) temporalmente li-
mitato che fonda lessere sociale ma non contribuisce alla realizzazione dellautentico
essere delluomo. Ecco allora che il peso della cura come attenzione per i dettagli della
vita quotidiana, e in particolare la cura degli altri, ci schiaccia. Unattenta lettura dellIn-
troduzione mostra che Lefebvre sta cercando di superare la banalit del quotidiano ma
in maniera del tutto diversa da quella suggerita da Heidegger.
A trentacinque anni di distanza, nel terzo volume della Critica, lo stesso Lefebvre
a sintetizzare i tratti principali di quella prima incursione nel territorio della vita quoti-
diana. La cosa pi importante che Lefebvre marca una svolta decisiva nella filosofia e
nella teoria sociale su un punto praticamente ignorato dalla filosofia classica e dal mar-
xismo: la critica della vita quotidiana la chiave per il recupero del concreto contro
le astrazioni del pensiero, per la comprensione delle molteplici dimensioni dellaliena-
zione e non solo del lavoro alienato e delle forme di rapporto sociale reificato ini-
zialmente discusse nella Filosofia del denaro di Simmel, ma in modo per Lefebvre anco-
ra pi incisivo nel saggio di Lukcs Reificazione e coscienza del proletariato. Anche se
evidente linfluenza di Lukcs, a sua volta riferimento diretto della polemica di Heideg-
ger contro il quotidiano ( stato sostenuto che Essere e Tempo in parte sia una risposta
a unopera cos influente come Storia e coscienza di classe), Lefebvre esplora una nuova
via del pensiero sociale, in particolare le dimensioni del tempo e dello spazio, sia nel-
la loro appartenenza di fondo alla Natura che nelle loro forme sociali. Il progetto del-
la Critica si apre con lo sforzo di riconquistare lesperienza vissuta: Il vissuto colto e
portato al pensiero teorico
9
, focalizzandosi sulla questione della relazione tra le atti-
vit parcellari riflettere, abitare [echi di Heidegger, anche se accuratamente trasfor-
mati], vestirsi, ma anche dedicarsi a questo o questaltro lavoro
10
. Si noti anche che
9
Ibid., p. 16.
10
Ibidem.
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
539
diversamente dalla tendenza della teoria sociale da Antonio Gramsci, a Erving Gof-
fmann sino a Jrgen Habermas di situare la vita quotidiana tra lo Stato e linfra-
struttura economica, per Lefebvre la vita quotidiana include il regno della ripetizione,
caratteristica della produzione materiale, come pure il tempo ciclico, che nasce dal
bisogno biologico ma trasformato in tempo lineare da condizioni come gli orologi e
altri strumenti di dominio, in particolare il tempo di lavoro nella produzione industria-
le, e da altri prodotti della tecnologia. Nel terzo volume la distinzione tra tempo cicli-
co e tempo lineare giocher un ruolo cruciale nellesplorazione dei cambiamenti occor-
si nellultimo mezzo secolo.
Concludendo il suo resoconto del primo volume, Lefebvre ricorda che nellimme-
diato Dopoguerra la vita quotidiana sembrava esprimere la frammentazione del mon-
do sociale, quello che Nietzsche aveva chiamato la sua decadenza. La frammentazio-
ne segnava leclissi della verit assoluta e delle norme sociali incontestate che avevano
regolato i rapporti umani. Fu un tempo in cui concetti come verit e norma sembrava-
no arcaici. Eppure la banalit stessa del quotidiano rimase decisiva per la riproduzione
del sistema nel suo insieme, precisamente per il suo implicare linearit e ripetizione. Per
quanto degradata, essa forniva un alto grado di rassicurazione in un mondo altrimenti
incerto. Badare al proprio corpo, fare shopping, consumare e altre attivit ripetitive ci
allontanano dalla sfera pubblica, ma costituiscono una garanzia di certezza.
Nelle note dedicate al secondo volume della Critica
11
, pubblicato nel 1961, Lefebvre
sottolinea il rapporto che lega lopera allemergere di una critica politica del quotidiano.
Egli aveva gi lasciato il PCF per effetto dalle rivelazioni di Chru/v sui crimini di Stalin
al XX Congresso del PCUS nel 1956, ma anche del rifiuto da parte del partito di trarne le
dovute conseguenze. Semplicemente, era troppo politicamente indipendente per digeri-
re il rifiuto di affrontare le conseguenze sul marxismo-leninismo dellignominioso po-
tere staliniano, che oltre a una serie di altri obblighi imponeva disciplina dacciaio nella
promozione della linea del partito e scoraggiava attivamente la discussione e il dibattito
tra le sue fila. Alla fine fu espulso dopo aver cercato di porre allordine del giorno una
discussione di ampio respiro su tali questioni.
Affrancato dalla disciplina asfissiante di unorganizzazione gerarchica del genere,
Lefebvre nel secondo volume si concentr sul tema della libert. Il concetto di deside-
rio e piacere non vengono considerate categorie dellimpossibile una cattiva uto-
pia , ma lespressione di un pi ampio riconoscimento, tra intellettuali, lavoratori,
studenti e altri elementi collocati nella parte bassa della gerarchia sociale, che il vuo-
to dellesperienza vissuta pretende una trasformazione rivoluzionaria della vita quoti-
diana come condizione di possibilit per la realizzazione della libert, che resta la pi
alta aspirazione dellessere sociale. In effetti, mentre i ricchi possono sfuggire alla vita
quotidiana vivendo in un mondo parallelo (buttandosi in forme di misticismo come
lastrologia, in attivit di crescita personale, meditazione, affiliandosi a religioni orien-
tali e cos via), tutti gli altri, per quanto cerchino di adottare queste illusioni come scu-
do contro il quotidiano, sono condannati ad aver a che fare con la dura realt del lavo-
11
H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne, II, Fondements dune sociologie de la quotidiannit, LArche,
Paris 1961, tr. it. Critica della vita quotidiana vol. II, Dedalo, Bari 1977.
Stanley Aronowitz
540
ro, del consumo controllato e dellalienazione nel suo senso pi ampio. Questo fu il
momento in cui scrittori e artisti la Nouvelle Vague in Francia, gli Angry Young Men
in Gran Bretagna e i beats negli Stati Uniti espressero la loro profonda insoddisfazio-
ne nei confronti dellalta cultura occidentale e il loro rifiuto di sottomettersi alle sue re-
gole. La povert non era pi definita esclusivamente in termini materiali: il boom del
Dopoguerra nel mondo industrializzato spinse in primo piano le sue dimensioni emo-
tive e psicologiche. La scommessa del tardo capitalismo che il cambiamento tecnologi-
co, con la sua proliferazione di prodotti di consumo a basso costo acquistabili a credito
e postponendo indefinitamente il saldo, e con la sua promessa di un lavoro meno duro
e di maggior tempo libero per una corposa minoranza, avrebbe inaugurato una nuo-
va epoca di prosperit illimitata e di conformit allordine sociale dominante, ebbene
tale scommessa non riusc a placare unintera generazione di scrittori e artisti, ma anche
una frazione rilevante di intellettuali, di intelligentsia tecnica e di lavoratori dellindu-
stria. Proprio per il fatto che il benessere materiale non poteva annullare il sentimento
di vuoto culturale, loppressione del tempo lineare e la diffusa percezione che lo spazio
urbano non fosse pi aperto allintervento di questi soggetti, ma stesse ormai per essere
inghiottito dallalleanza di Stato e capitale, i semi della rivolta apparvero tra la nuova
classe media. N i piaceri di quella che Lefebvre avrebbe pi tardi chiamato la socie-
t burocratica a consumo controllato, n La societ della spettacolo descritta da Guy
Debord erano sufficienti per lasciarsi alla spalle il tratto insopportabile dellesperienza
vissuta, cio lalienazione.
Quello che Lefebvre aggiunse a questo scenario fu il concetto di rivoluzione cultu-
rale, cio il concetto fino ad allora poco teorizzato di una trasformazione della vita quo-
tidiana che abbracciasse una nuova urbanistica, in cui le persone comuni potessero pro-
durre nuovi e autonomi spazi sociali. Lefebvre richiama la comparsa dei primi scritti e
discorsi critici sul lavoro, temi apparsi per la prima volta in Marx e nel libro-scandalo di
Paul Lafargue, Il diritto allozio (1879), riflessioni che negli anni Sessanta avevano ripre-
so corso sullonda dei radicali cambiamenti tecnologici del Dopoguerra, accompagna-
ti dalla prosperit materiale per unampia fetta di popolazione e dallemergere della so-
ciet dei consumi, in cui gli oggetti del desiderio apparivano sempre pi incorporati in
beni di consumo e stili di vita che esemplificavano la reificazione nella definizione data-
ne da Marx e Lukcs. Che la banalizzazione della vita quotidiana diventi la base per una
nuova politica presuppone una relativa prosperit materiale, in cui la lotta per la mera
sopravvivenza non definisce pi il quotidiano della maggior parte delle persone. Ora
queste persone possono misurare qualitativamente la soddisfazione apportata dallam-
biente modificato dalluomo, la relazione tra le cose acquistabili e il loro essere socia-
le, la distanza tra lesperienza vissuta e la libert. Anche se pubblicato sette anni prima
dei decisivi eventi del Sessantotto, quando gli studenti e poi gli operai inscenarono una
ribellione che ebbe echi mondiali e che quasi rovesci il regime di De Gaulle, il secon-
do volume anticipa alcuni degli slogan che caratterizzano il movimento del Maggio: con-
tro la povert della vita da studente, lidea era che lo scopo della rivoluzione fosse cam-
biare vita; inoltre, anche quando i situazionisti ruppero con Lefebvre e lo attaccarono
aspramente, la condanna di Guy Debord della societ dello spettacolo, dove limma-
ginazione risultava assediata dalle immagini dellintrattenimento, faceva eco e integra-
va la critica di Lefebvre .
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
541
Discontinuit
Il terzo volume della Critica ha i tratti di una valutazione finale sul progetto della vita
quotidiana. Il fatto che fosse seguito dalla ritmoanalisi ha spinto qualcuno a conclu-
dere che lopera postuma fosse il quarto volume della Critica. In effetti, nel terzo volu-
me Lefebvre presenta la ritmoanalisi come una nuova scienza in via di costituzio-
ne. Torneremo pi avanti sul punto. In ogni caso, per la maggior parte il terzo volume
dedicato a una sintesi delle precedenti scoperte
12
, seguita da una prima parte intito-
lata Quello che continua
13
e poi da un elenco di quelle caratteristiche della vita quo-
tidiana che sono variate rispetto al tempo in cui furono scritti i primi due volumi le
discontinuit
14
. Avendo discusso sopra la sostanza della parte sulle continuit, de-
dicata a un riassunto dei primi due volumi e alle modifiche apportate nel secondo volu-
me, passo ora alle novit.
La rivoluzione tecnologica
Lefebvre comincia la sezione dedicata alle discontinuit osservando che i colossali pas-
si in avanti a livello tecnologico che hanno accompagnato lintroduzione del computer
nella produzione industriale permette (a lungo termine) la fine del lavoro. Quello che
pareva ieri astrattamente utopico prende ora forma e si mostra allorizzonte: lautoma-
zione integrale della produzione materiale
15
. Ovviamente, il diffondersi della compute-
rizzazione nellamministrazione, nelle professioni indipendenti, nella vendita e nellin-
tero commercio non fa che rafforzare questa intuizione. A trentanni di distanza si pu
dire che lautomazione della produzione materiale non affatto totale. Su scala globale,
decine di milioni di persone sono ancora impegnate a piantare e raccogliere, a mano o
tirando carri trainati da buoi; molti dei vestiti che indossiamo sono fatti da persone che
tagliano e cuciono, a mano o con macchine elettriche. Anche se per entrambi i processi
potrebbero essere usate macchine computerizzate, semplicemente costa meno servirsi di
lavoro a basso costo nei capannoni della miseria di Cina e Thailandia. Negli Stati Uni-
ti, molte operazioni nellindustria edile richiedono ancora lavoro umano, pur se anches-
se in parte (carpenteria, muri, intonaco e tinteggiatura) soggette a un certo grado di au-
tomazione. Tutto questo, per, combinato con la trasformazione a livello mondiale della
produzione materiale outsourcing in Paesi in via di sviluppo e regioni con bassi salari e
senza sindacati, chiusura di impianti a causa del potenziamento delle strutture reso pos-
sibile dalla tecnologia, licenziamento dei lavoratori in eccesso ha significato per milio-
ni di persone, in un momento in cui le reti di sicurezza sociale si fanno sempre pi labili,
la fine del lavoro, o pi precisamente la fine del reddito. Oggi la delocalizzazione tecno-
logica del lavoro salariato talmente ubiqua da essere divenuta routine.
12
Introduction, pp. 7-47.
13
Ce qui continue, pp. 47-89.
14
Les discontinuits, pp. 91-153.
15
Ibid., p. 191
Stanley Aronowitz
542
Lefebvre si chiede: sufficiente la riduzione del tempo di lavoro per innescare il
processo che porter alla fine del lavoro? [...] I lavoratori la classe operaia si trovano
stretti tra tecniche minacciose che conoscono male (e che hanno gi cominciato a pro-
durre i loro disastri) e, dallaltra parte, un conservatorismo che promette uno statu quo
pi o meno migliorato
16
. Egli battezza questo cambiamento come la rivoluzione radi-
cale del non-lavoro. Nel criticare aspramente lideologia della fine delle ideologie,
secondo cui la panacea costituita dalla tecnologia sarebbe evidente non solo nella ridu-
zione del tempo di lavoro ma anche nellespansione del welfare state e nella fine del con-
flitto di classe, Lefebvre nota che, anche davanti alla drastica riduzione del tempo di
lavoro richiesto per la produzione di beni, i leader sindacali e la sinistra continuano ge-
neralmente a invocare il pieno impiego, rifiutando di guardare in faccia la nuova situa-
zione. Tuttavia, la gente comune risponde alla crisi in modo diverso: Gli esclusi, i reiet-
ti non abboccano alle prospettive offerte loro dalla rivoluzione tecnologica e scientifica,
cio quella di una crescita illimitata. La gente resa sempre pi disincantata dalle istitu-
zioni e manca di capacit interpretative e organizzative per elaborare delle alternative.
In risposta alla fine del vecchio capitalismo, che aveva nel tempo di lavoro la sua pra-
tica regolativa, Lefebvre solleva la questione cruciale che era stata fino ad allora accura-
tamente evitata dalla Sinistra. Facendo riferimento a Marx egli sostiene:
La classe operaia non pu affermarsi che nella sua negazione, a differenza delle altri classi
storicamente superate e della borghesia. Lauto-determinazione per cui la classe operaia si
erige a soggetto, superando la condizione di oggetto, implica lauto-negazione: la fine di
tutte le classi, la fine del salariato e di conseguenza la fine del lavoro, la fine della stessa classe
operaia
17
.
Segue il commento forse pi significativo: lorganizzazione o istituzione di un partito
del non-lavoro non pu nemmeno essere immaginata. Questa unallusione alla man-
canza di immaginazione radicale, un riferimento alla presa conservata dai vecchi valori
e dai vecchi programmi sui cervelli dei viventi ( Marx), il dominio di quello che Sartre
aveva chiamato pratico-inerte (il passato morto) sulla pratica attuale. Possiamo imma-
ginare un movimento che chieda, o meglio, crei la situazione in cui il rifiuto di accetta-
re lavoro sottopagato, e la conseguente subordinazione alla macchina e allautorit ge-
rarchica, sia ricompensato, e un lavoro auto-determinato sia possibile? Non ancora, ma
poich la rivoluzione tecnologica ha messo sottosopra il mondo di molte persone, Le-
febvre sembra prevedere una rottura nella vita quotidiana.
Ma la rivoluzione tecnologica ha altre conseguenze, ugualmente importanti: Labi-
tare, atto sociale eppure poetico, generatore di poesia e opere, sparisce davanti allhabi-
tat, funzione economica
18
. La questione se tale cambiamento sia da far risalire agli anni
Sessanta e Settanta gli anni dellavvento del computer e dellimporsi della logica tecno-
logica nella vita quotidiana aperta. Negli Stati Uniti, dove grandi cambiamenti nelle
tecnologie agricole sono occorsi nel periodo tra le due guerre e ledilizia di massa, nel-
16
Ibid., p. 92.
17
Ibid., p. 93.
18
Ibid., p. 94.
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
543
le citt e nelle periferie, ha accompagnato lesodo dalle campagne, il passaggio dallabi-
tare allhabitat ebbe luogo prima che nella maggior parte dEuropa prima persino che
in Germania, dove durante la Repubblica di Weimar era stata promossa, nelle citt pi
grandi, una cultura urbana. Ma quello che Lefebvre indica indiscutibile: la netta frat-
tura tecnologica che separa passato e presente rende lecito il dubbio che tragedia e gio-
co, riso e pianto i binomi contraddittori della modernit possano mantenere la loro
autonomia nellera postmoderna, se non in forma mercificata.
Eppure egli rifiuta lidea che ogni cosa sia stata ormai recuperata dalla tecnologia e
dalla merce. Il ludico mescolato allo scambio mercantile, ma in forma instabile. Le-
febvre non ha abbandonato ogni speranza, ma ammonisce che qualora venga perduta la
nostra capacit di giocare, se il riso sparisce a livello di rappresentazioni come di rela-
zioni personali, la tecnologia avr compiuto il suo disastro pi profondo: avr distrutto
limmaginazione creativa, senza la quale il cambiamento impossibile.
Recupero
Ovviamente laltro termine della dialettica della trasformazione il recupero. Non ci si
pu illudere che la sovversione dellordine stabilito nuove idee, nuove formazioni po-
litiche, esperimenti nel modo di vivere, prodotti che violano le norme della produzione
di massa, in particolare cibi possano muoversi nello spazio e nel tempo senza essere sfi-
dati dai poteri dominanti. Quasi inevitabilmente i poteri costituiti troveranno il modo di
appropriarsi di questi cambiamenti. Contro ipercritici e settari, che tendono a con-
dannare gli innovatori per lintrodurre cambiamenti soggetti a cooperare con il potere,
Lefebvre sostiene che pi di una fusione, dovremmo attenderci un recupero: pi pro-
fondi sono i cambiamenti, pi probabile sar lo sforzo di sussumerli nella logica del si-
stema. Val la pena di ripetere la legge di Lefebvre : niente immune dal recupero.
Notando la crescente importanza delle rivendicazioni dei movimenti delle donne,
degli immigrati e cos via, Lefebvre evoca il concetto di differenza in quanto sfida
allideologia dellomogeneit che accomunava sinistra e destra. In un aspro rimprovero
alla sinistra francese che, seppur non apertamente sessista e xenofoba, restava in silenzio
davanti alle lotte per la libert sessuale e per i diritti degli immigrati e pareva non avver-
tire il crescere del razzismo, il Diritto alla Differenza per lui un principio fondamenta-
le, soprattutto al fine di rendere efficace la lotta della sinistra per la democrazia.
Egli oppone la differenza alla separazione, ma anche alla nozione di distinzione, in
una critica non troppo sottile a Pierre Bourdieu:
Cos la distinzione? Un principio astratto di classificazione e nomenclatura, da un lato, e
dallaltro un principio di valorizzazione. Questi due principi sono difficili da discernere. Il
concetto resta dunque ambiguo tra la logica e letica (o lestetica). La rappresentazione che
teorizza il concetto passa troppo facilmente da quello che distinto, cio semplicemente di-
verso, da unaltra cosa, a ci che si distingue (cio che pi valido) dal resto. cos che essa
effettua delle separazioni accentuando le distanze sociali nella gerarchia
19
.
19
Ibid., p. 114.
Stanley Aronowitz
544
Lefebvre controbatte che la distinzione una classificazione che pretende di avere un
carattere strettamente oggettivo quando in effetti essa interviene e modifica loggetto
20
.
Si tratta di un tema ricorrente dellopera: questi passaggi illustrano il continuo attacco
portato da Lefebvre contro uno scientismo che pone oggetti come dati indipendenti dal-
la pratica sociale, negando il ruolo della conoscenza quale agente attivo nella loro costi-
tuzione (e a prescindere dal fatto che gli scienziati e gli studiosi intendano o meno in-
tervenire). Facendo eco a una famosa nota di Marx, Lefebvre ripudia la tendenza delle
scienze sociali ad ascrivere lappartenenza di classe dei soggetti sulla base delle loro au-
to-valutazioni. Per esempio, a una domanda sulla sua classe di appartenenza il capitalista
probabilmente asserirebbe di essere un lavoratore, ma il fatto che lo dica non significa
che sia vero senza tener conto della porzione della sua attivit che pu essere denomi-
nata lavoro di management. In tal modo Lefebvre difende la tesi che le categorie pos-
sono essere oggettive, pur esprimendo forme di intervento e ideologia.
Abituato a scritture che obbediscono alla logica lineare, il lettore potrebbe essere re-
spinto dal modo in cui Lefebvre giustappone il discorso della filosofia della scienza a
una riflessione storicamente situata. Ma c una ragione per procedere in tal modo. Le-
febvre sta cercando di chiarire i concetti in gioco, ma anche di mostrare la loro dipen-
denza da assunzioni metodologiche. La differenza definita in modo da suggerirne la
connotazione democratica, mentre la distinzione parte di una gerarchia classificatoria.
Sempre sensibile al contesto, la giustapposizione tra riflessione storica e scientifica mo-
stra tutte le implicazioni dei concetti, invece di limitarsi a fornire aride definizioni e de-
scrizioni.
Spazio e tempo... e tecnologia dellinformazione
Il tema principale de La produzione dello spazio la tesi che lo spazio non un etere o
un contenitore naturale. Quella che viene fortemente contrastata lidea che lo spazio
sia pre-dato. Lo spazio sociale quanto una propriet del mondo naturale, ma nel len-
to corso dello sviluppo storico (capitalista) nello spazio terrestre tutto stato esplora-
to, quasi tutto occupato e messo in valore [...]. Quanto alle foreste, ai laghi, alle spiagge,
alle montagne, sono quasi completamente inglobate dal capitale. A parte le profondi-
t degli oceani, lo spazio ludico, dove il corpo ritrova se stesso riscoprendo luso del-
le proprie membra, diventa occasione di profitto
21
. Il ludico non scomparso del
tutto, ma costretto a lottare per ogni centimetro di spazio che il corpo riesca a ricon-
quistarsi. Cosha aggiunto Lefebvre alla filosofia ecologica? Ha aggiunto che impos-
sibile affrontare lumana spoliazione della natura senza affrontare la logica del capitale,
per la quale non c pi alcuna frontiera da conquistare. Invertire il processo, di modo
tale che la natura mantenga la sua relativa autonomia dallintervento delluomo, richie-
de che contemporaneamente spazio e tempo si liberino degli imperativi dellaccumu-
lazione economica. In altre parole, come sostengono Horkheimer e Adorno, Murray
20
Ibidem.
21
Ibid., p. 128
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
545
Bookchin, James OConnor e Joel Kovel, la crisi ecologica diventata la pi caratteristi-
ca espressione della crisi del capitalismo e della modernit. Lefebvre non si accontenta
di una spiegazione degli effetti della produzione capitalista, ma introduce nel dibattito
una riflessione su spazio e tempo, modernit e tecnologia lette in termini di trasforma-
zione della vita quotidiana.
Per quanto riguarda il tempo, Lefebvre distingue anzitutto il carattere ritmico del
tempo naturale, di cui il tempo qualitativo una parte. A questo riguardo, dopo aver ri-
vendicato per il corpo lo statuto di soggetto un tributo allinfluenza di Maurice Mer-
leau Ponty, i cui primi lavori trovano chiari paralleli nella sua opera , Lefebvre porta
largomento a un livello pi alto di astrazione. Il tempo biologico non lineare, cicli-
co. Tuttavia le funzioni corporee sono subordinate alle richieste della societ industria-
le. Come mostrato da E.P. Thompson nel suo classico Time, work-discipline and indu-
strial capitalism, la produzione non pi unattivit auto-regolata, ma deve rispondere
allesigenza che il lavoro socialmente necessario sia ridotto con tutti i mezzi possibi-
li. Di conseguenza il corpo non pi libero di obbedire alle proprie esigenze natura-
li, ma deve rispondere allimperativo economico. La sussunzione del tempo ritmico sot-
to il tempo lineare (quello del lavoro) significa che il tempo qualitativo subordinato al
tempo quantitativo ed virtualmente scomparso sotto il peso della ripetizione line-
are, il tempo caratteristico della produzione industriale. Come nellanalisi della produ-
zione dello spazio, il termine virtualmente una connotazione decisiva: il problema
generale qui la specializzazione dei processi temporali. In parallelo con il riconosci-
mento da parte di Adorno dellarte come forse unica sfera residua di resistenza alle rou-
tine della ripetizione e dellappropriazione spaziale, Lefebvre dichiara: lopera darte
esibisce una vittoria del ritmico sul lineare, integrandolo senza distruggerlo. Ma non si
accontenta di esaminare opere darte in termini puramente spaziali, quali fonti di resi-
stenza marginali. Dichiara che la commistione di arte e vita quotidiana ha conseguenze
esemplari per rovesciare quella reversibilit del tempo forgiata da routine e ripetizioni.
Qui, in contrasto con le implicazioni del concetto di eterno ritorno per le possibilit di
un cambiamento effettivo, Lefebvre reintroduce indirettamente una differente no-
zione di progresso: agendo al livello pi profondo della vita umana, in quello strato che
stato chiamato cultura, un altro mondo possibile. Contro Nietzsche e Heidegger,
Lefebvre reimmagina la storia non come inevitabilit, ma come possibilit dipendente
dalla nostra capacit di agire sulla base del riconoscimento collettivo che lalienazione
pu essere superata. A tale riguardo, una restaurazione di musica e danza nella vita quo-
tidiana diviene un compito cruciale, poich tale processo rinvigorisce il corpo ridestan-
do i suoi elementi ritmici. Ricorrendo alle sue conoscenze musicali, Lefebvre d lesem-
pio del metronomo che fornisce un tempo lineare alla musica, in cui si trovano per
elementi sia lineari che ritmici, come esemplificato dal concetto di intervallo. Mentre
in questo libro la ritmoanalisi solo introdotta brevemente, il suo ultimo libro ne forni-
r una trattazione articolata.
Stanley Aronowitz
546
Le rivoluzione dellinformazione
La lunga sezione finale del capitolo sulle discontinuit costituita da unaccesa pole-
mica contro la maggior parte delle tesi di quegli autori, come Marshall McLuhan, Ma-
nuel Castells e Jean Baudrillard (gli ultimi due peraltro strettamente legati a Lefebvre ),
secondo cui la diffusa introduzione della tecnologia digitale non solo nella produzio-
ne materiale, ma anche nei media (nel senso pi largo del termine, includendo internet)
avrebbe alterato in modo fondamentale la vita sociale. Pur riconoscendo la proliferazio-
ne delle tecnologie dellinformazione e il potere dellideologia della comunicazione, in
questa sezione Lefebvre afferma che linformazione semplicemente un prodotto che,
nellorganizzazione capitalista, ha un valore di scambio, e che essa il risultato di una
determinata attivit produttiva incorporata nei circuiti del capitale, come ogni altra
merce. Anticipando i successivi scritti di Hardt, Negri e Virno, Lefebvre sostiene che si
tratta di una forma di lavoro sociale, per quanto immateriale. Tuttavia, sottolineando
che, dal punto di vista storico, la comunicazione in generale e linformazione in parti-
colare hanno posseduto uninnegabile capacit creativa, connettendo luoghi prima iso-
lati attraverso la navigazione, lesplorazione e la pirateria, nel tempo la potenzialit pro-
duttiva e quella creativa di comunicazione e informazione si sono divaricate sempre di
pi. Il semplice fatto che i nuovi media abbiano proliferato, moltiplicando la quantit di
informazione secondo una crescita geometrica, non significa che la creativit sia aumen-
tata nella stessa misura. Al contrario, Lefebvre sostiene che il trionfo dellinformazio-
ne la sostituzione dei significati coi segni, il passaggio dalla conoscenza rigorosa allin-
formazione, la tecnologia che subentra alla filosofia potrebbe realizzare il sogno pi
ambizioso del dominio: seppellire definitivamente il pensiero critico.
Per giustificare oggi la tesi ottimistica e razionalista di McLuhan, fondata sul ruolo creativo
della comunicazione, bisognerebbe mostrare che nel mondo moderno vi sia un fiorire di pos-
sibilit tendenti di per se stesse verso la loro realizzazione. Ora, noi vediamo che lintensit
crescente delle comunicazioni nutre il controllo del quotidiano, il suo consolidamento e la
sua chiusura. Nutre anche il pericolo crescente della catastrofe. Mantenere questa tesi non
oggi demagogico? Non sarebbe la negazione del negativo che oggi traspare e si manifesta
nella societ?
22
Quello che vi di nuovo nel mondo contemporaneo che esiste un mercato mondiale
dellinformazione che guida concretamente gli altri mercati, attraverso la pubblicit,
la propaganda, la trasmissione di sapere e cos via. Non forse linformazione la merce
suprema, quindi la merce finale? In opposizione alla vita quotidiana computerizzata
che egli identifica nella crescente tendenza al dominio dellastratto sul concreto, origi-
nariamente teorizzata da Marx nella sua critica della trasformazione del lavoro concre-
to in valore e valore di scambio, la critica di Lefebvre alla societ dellinformazione con-
siste nellidea che essa feticizzi il proprio processo produttivo e il suo ingresso nella vita
quotidiana. Allorch Lefebvre esce dal proprio quadro critico e affronta la questione del
che fare?, molte parti del terzo volume possono essere lette come un programma di
22
Ibid., p. 143.
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
547
riconquista del concreto, quellesperienza vissuta che era stata schiacciata dalla raziona-
lit astratta e tecnologica.
Fino a un certo punto la requisitoria di Lefebvre incontrovertibile. Chi pu difen-
dere lidea che lubiquit dei media e la disponibilit in internet per milioni di persone di
milioni di informazioni abbiano portato con s una rinascita del pensiero critico? Lim-
maginazione radicale stata forse stimolata dai sordidi dettagli su guerra e torture, dalla
crescita del sapere medico e dalla conoscenza di massa delle scoperte scientifiche, dagli
infiniti dettagli sulle vite dei ricchi e famosi che sgorgano da internet e dai media main-
stream con allarmante regolarit? I media hanno davvero migliorato la nostra civilt o
non servono piuttosto a limitare ulteriormente la vita quotidiana, a restringere lo spet-
tro dellazione collettiva o, pi precisamente, della reazione collettiva davanti ai temi
fissati dalla comunicazione di massa? Questi media, blog progressisti e webzine inclu-
si, non finiscono con il pre-definire lagenda dellunica politica sensata e legittima? Non
sono forse orientati a bloccare le idee che non si conformano ai termini e alle condizio-
ni imposte dal capitale circa quello che pu entrare nel dibattito? Chiaramente, almeno
se comparato al periodo che fin con la Seconda guerra mondiale, il livello del dibattito
filosofico e politico si abbassato e limmaginazione radicale stata semplicemente az-
zerata dai media globali. Tutto questo riflette le nuove gerarchie sociali: laccesso ai da-
tabase e a internet diventa un indicatore del peso della persona e la conoscenza che vi
contenuta mostra in tal modo tutto il suo grado di politicit.
Peraltro, un interlocutore convinto che viviamo in una societ della conoscenza o
dellinformazione capace di offrire benefici illimitati potrebbe ribattere che internet ha
reso possibile unesplosione di attivismo senza precedenti contro la guerra in Iraq, e ha
portato le persone a confrontarsi su problemi e bisogni comuni. Si pu persino afferma-
re che internet una nuova sfera pubblica e che se il computer domina la vita quotidia-
na, a un crescere delle persone che ne fanno uso corrisponder un aumento delle oppor-
tunit di arricchire lesperienza vissuta e di produrre nuovi spazi sociali. Altrimenti non
si spiegherebbero gli sforzi furiosi dei media pi potenti per assicurarsi il controllo di
internet, rimasto sostanzialmente non regolato, almeno in termini di contenuti, nei suoi
venti anni di storia, per quanto la concentrazione della propriet di browser e hardware
riproduca pi antiche concentrazioni nella sfera della produzione materiale.
Nella sua replica, Lefebvre sosterrebbe che la classe media il nuovo soggetto del-
la vita quotidiana, ma non autonoma dalla legge del capitale. Il disaccordo ammesso,
ma solo limitatamente a singoli temi, non sul modo di vivere nel suo complesso. La
classe media non pronta alla rivolta perch presa nel suo insieme si percepisce come
qualcosa che dentro, e non contro, il sistema. Rompere le barriere erette dagli apparati
della vita quotidiana, compresi gli strumenti della comunicazione mediata dal computer,
richiede una critica pi profonda, che vada al di l dei generici appelli per un nuovo or-
dine economico. Lefebvre ha offerto un contributo decisivo nel mettere a fuoco ed ela-
borare la problematica del cambiamento sociale nella nostra epoca, pur non essendo in
grado di individuare gli attori di tale cambiamento. in grado il pensiero critico di sov-
vertire la negazione del negativo, la sostituzione del dettato tecnologico alla riflessione
libera e quella che alla fine egli chiama egemonia della classe media sulla vita quotidia-
na nellambito del dominio del capitale monopolistico? In conclusione, data la com-
plicit della sinistra con il sistema, Lefebvre pu solo enunciare principi generali, come
Stanley Aronowitz
548
lurgenza della trasformazione della vita quotidiana al di l del cambiamento del perso-
nale politico, evocando una non meglio precisata crescita alternativa rispetto allac-
cumulazione capitalista, la creazione di un nuovo spazio e un nuovo tempo sociale che
non riproducano lordine egemone, e come condizione di queste pratiche una forma
di pensiero differente da quello che pone il sapere positivo come lunica conoscenza
possibile, dove positivo significa sapere che contribuisce alla produzione di merce.
Quello che distingue la filosofia critica di Lefebvre dalla Teoria Critica della Scuola
di Francoforte la capacit di capire come categorie quali societ totalmente ammini-
strata e eclissi della ragione sono accurate nel descrivere le tendenze, ma diventano
parziali se assunte come una nuova totalit. Come per Adorno, lobiettivo pi urgen-
te di Lefebvre riconquistare lesperienza e liberare il concreto dalla sua sussunzione
nellastratto, di cui la rappresentazione pi potente costituita dalla tecnologia e dalla
sua compagna, lamministrazione. A differenza di Adorno, per, egli rifiuta di confina-
re la propria ricerca nella sfera dellarte. E anche se, in accordo con la dialettica negati-
va adorniana, egli insiste che la dialettica non si risolve con lunificazione degli opposti
e la costituzione di una nuova identit che, nel trasformarlo, preserva il passato, Le-
febvre non segue Nietzsche (come fa invece Adorno) nelladottare il nichilismo come ri-
fiuto dellideologia del progresso, e il cinismo come possibilit di oltrepassare le condi-
zioni presenti. Facile ottimismo? No, perch la filosofia di Lefebvre rifiuta la tesi che le
sconfitte del secolo scorso siano eterne e giustifichino il rifiuto dellintellettuale a impe-
gnarsi nella pratica sociale e politica (in questo senso, Lefebvre vicino a Sartre, che in-
sisteva sul dovere dellintellettuale di adottare un punto di vista storico, pur riconoscen-
done i rischi).
In conclusione, Lefebvre ci indica un percorso che, pur accidentato, vale la pena di
essere intrapreso.
BIOGRAFIA
Henri Lefebvre nasce nel 1901 a Hagetmau, nei Pirenei francesi. Inizialmente studia
matematica e si prepara per diventare ingegnere. In seguito a una grave malattia si tra-
sferisce ad Aix, dove studia diritto e, soprattutto, filosofia, con Maurice Blondel. A
ventanni va a Parigi dove fonda, assieme a un gruppo di amici filosofi, la rivista Phi-
losophies. Entra in contatto con il circolo surrealista guidato da Andr Breton. Nel
1928 si iscrive al Partito comunista francese. Nel 1939 pubblica la sua prima opera im-
portante, Il materialismo dialettico, che diventa in breve tempo libro di testo nelle scuo-
le di partito e nei gruppi di studio. Partecipa alla Resistenza e torna nei Pirenei, la ter-
ra natale che sar oggetto della sua tesi di dottorato in sociologia rurale, nel 1948, e di
altri scritti. Nel 1947 pubblica il primo volume della sua Critica della vita quotidiana.
Nel 1958 viene sospeso dal PCF, con cui decide di rompere. Nel 1961, oltre a pubblica-
re il secondo volume della Critica, diventa, sessantenne, professore universitario a Stra-
sburgo. Nel 1965 si trasferisce a Nanterre, futuro epicentro del movimento del 68, di
cui sar riconosciuto come uno dei principali ispiratori. Negli anni Settanta pubblica
una serie di lavori sullo spazio e sulla citt, tra cui spiccano Spazio e politica (1973) e
soprattutto La produzione dello spazio (1974). Negli anni Ottanta torna a meditare sul
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ
549
marxismo (Une pense devenue monde, 1980), conclude la trilogia della Critica (1980)
e rilegge miti e tragedie greci (Quest-ce quest penser? 1985). Muore a Navarrenx, nei
Pirenei Atlantici, nel 1991.
BIBLIOGRAFIA
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1980.
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no 1976.
Critique de la vie quotidienne, III, De la modernit au modernisme (Pour une mtaphilosophie du
quotidien), LArche, Paris 1981.
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Merrifield, A., Henri Lefebvre : a Critical Introduction, Routdledge, London-New York 2006.
551
CASTORIADIS: UN PROFILO POLITICO-FILOSOFICO
Fabio Ciaramelli
Vita e opere
I tre fulcri della vita e dellopera di Cornelius Castoriadis sono stati la politica, la psi-
coanalisi e la filosofia. Ciascuna di esse realizza al proprio livello la dimensione creativa
del progetto dellautonomia
1
, la cui prima formulazione risale agli anni della militanza in
Socialisme ou Barbarie (il famoso periodico antistalinista che, dopo labbandono del
trotskismo, egli aveva fondato con Claude Lefort nel 1949 e sulle cui pagine, fino alla
sua chiusura nel 1965/66, si preannunciarono molti dei motivi antiburocratici e libertari
del Maggio francese)
2
. Lopposizione dei socio-barbares alla vulgata filo-sovietica do-
minante a sinistra negli anni della guerra fredda fu inflessibile e quasi solitaria. Sociali-
sme ou Barbarie fu a lungo onorato dalla cospirazione del silenzio, come Castoriadis
amava ripetere
3
. I riconoscimenti sono venuti pi tardi
4
.
1
Questo il filo conduttore che ho seguito nella stesura della voce Castoriadis, tradotta in inglese da
D.A. Curtis e apparsa in S. Critchley, W.R. Schroeder (a cura di), A Companion to Continental Philosophy,
Blackwell, Oxford 1997, pp. 492-503.
2
Per una documentata e completa visione dinsieme si veda P. Gottraux, Socialisme ou Barbarie: un enga-
gement politique et intellectuel dans la France de laprs-guerre, ditions Payot Lausanne, Lausanne 1997.
3
Cfr. lIntroduzione generale alla pubblicazione dei suoi scritti politici in C. Castoriadis, La socit bureau-
cratique. 1: Les rapports de production en Russie, Editions 10/18, 1973 (ristampato per i tipi di C. Bourgois nel
1990, tr. it. parziale di G. Ferrara degli Uberti, SugarCo, Milano 1978).
4
Uno dei rari dibattiti sulle questioni sollevate dal gruppo e dalla rivista pu leggersi nel numero 3 di Ar-
guments, aprile 1957 (con glinterventi di G. Genette, Notes sur Socialisme ou Barbarie e E. Morin, Solcisme
ou Barbarisme e la replica C. Lefort Sur larticle de Morin). Ma sar il 68 a riconoscere lattualit di Socialisme
ou Barbarie, come si evince dalle testimonianze di G. e D. Cohn-Bendit, Petite postface lire dabord!,
Le Gauchisme: remde la maladie snile du communisme, Seuil, Paris 1968, e da quella di P. Vidal-Naquet e
A. Schnapp nellIntroduzione al Journal de la commune tudiante. Textes et documents, novembre 1967 juin
1968, Seuil, Paris 1969 (seconda edizione 1988). Cfr. infine R. Gombin, Les origines du gauchisme, Seuil, Paris
1971 e J.-F. Lyotard, Economie libidinale, Minuit, Paris 1974 (soprattutto alle pp. 142-146). Si leggano anche
Fabio Ciaramelli
552
Negli anni di Socialisme ou Barbarie, secondo il costume dei trotskisti, ma anche
per prudenza, giacch non aveva ancora il passaporto francese e lavorava come econo-
mista in unorganizzazione internazionale, Castoriadis si firmava con diversi pseudo-
nimi tra i pi usati: Chaulieu, Delvaux, Cardan che contribuirono a circondarne la
figura dun alone tra il misterioso e il mitico. Allinterno della sinistra antistalinista, coa-
gulata intorno a questo gruppo minoritario (a cui, per, si sono in varie epoche avvici-
nate personalit del calibro di Edgar Morin, Jean-Franois Lyotard, Daniel Moth, Guy
Debord e i situazionisti della prima ora)
5
, la centralit politica dellautonomia, ricercata
attraverso la gestione operaia della produzione, costituiva il filo conduttore duna posi-
zione marxista eterodossa, che a partire dalla fine degli anni Cinquanta avrebbe condot-
to i fondatori del gruppo (cio essenzialmente Castoriadis e Lefort) a un esplicito con-
gedo dal marxismo, soprattutto dal suo economicismo e della sua filosofia della storia.
Molte delle polemiche di quel periodo sono poi diventate patrimonio comune, soprat-
tutto grazie alla capillare diffusione del movimento antitotalitario nellultimo decennio
prima della caduta del Muro di Berlino.
Ottenuta la cittadinanza francese agli inizi degli anni Settanta, Castoriadis, divenuto
nel frattempo psicoanalista e approdato, come directeur dtudes, alla Ecole des hau-
tes tudes en sciences sociales, pubblicava presso una prestigiosa casa editrice parigina
Linstitution imaginaire de la socit
6
. Il suo pensiero cominciava a esser conosciuto ne-
gli ambienti universitari e tra il pubblico colto. Allinizio degli anni Ottanta, un suo li-
bro sullUnione Sovietica e i rischi di guerra nucleare fece molto discutere
7
: Castoria-
dis fu pi volte invitato alla radio e alla televisione francesi, dapprima come sovietologo,
poi anche come studioso di teoria politica e filosofia. Nel 1989 usc in Svizzera, curato
da Giovanni Busino, un grosso volume di studi a lui dedicati
8
. Da allora la sua opera ha
le considerazioni di L. Ferry e A. Renaut, 68-86. Itinraires de lindividu, Gallimard, Paris 1986 (soprattutto
alle pp. 45-74, oltre alla dedica del libro).
5
Limitatamente allultimo punto, cfr. S. Hastings-King, LInternationale Situationniste, Socialisme ou Bar-
barie, and the Crisis of the Marxist Imaginary, SubStance: A Review of Theory and Literary Criticism, n. 90
(1999).
6
Seuil, Paris 1975. Cfr. in italiano F. Ciaramelli (a cura di), Listituzione immaginaria della societ. Seconda
parte, con Introduzione di P. Barcellona, Bollati Borignhieri, Torino 1975. Per ragioni di spazio furono esclusi
dalledizione Bollati Boringhieri i primi tre capitoli del testo, apparsi originariamente negli ultimi numeri di
Socialisme ou Barbarie nel 1965-66; una buona met di queste pagine stata inserita nellantologia di Casto-
riadis, F. Ciaramelli (a cura di), Lenigma del soggetto. Limmaginario e le istituzioni, Dedalo, Bari 1998.
7
Cfr. C. Castoriadis, Devant la guerre, Fayard, Paris 1981 e la recensione di G. Challiand, Le poids de lar-
me. LURSS vue par Cornelius Castoriadis, Le Monde, 5 novembre 1981.
8
Cfr. G. Busino (a cura di), Autonomie et autotransformation de la socit. La philosophie militante de Cor-
nelius Castoriadis, Droz, Genve 1989 (uscito originariamente come numero monografico della Revue eu-
ropenne des sciences sociales, n. 86, dicembre 1989), comprendente i seguenti testi: G. Berthoud, Casto-
riadis et la critique des sciences sociales; G. Busino, Pour Castoriadis; F. Ciaramelli, Le cercle de la cration; V.
Descombes, Un renouveau philosophique; J.-P. Dupuy, Individualisme et auto-transcendance; K. Eguchi, Un
portrait de Castoriadis, penseur de lautonomie; E. Enriquez, Cornelius Castoriadis: un homme dans une uvre,
L. Ferry, Dclin de lOccident? De lpuisement libral au renouveau dmocratique; H.G. Furth, Lorigine volu-
tive de limaginaire radical sous-jacent aux institutions sociales; F. Guibal, Imagination et cration: sur la pense
de Cornelius Castoriadis; A. Honneth, Une sauvegarde ontologique de la rvolution. Sur la thorie sociale de
Cornelius Castoriadis; H. Jonas, Linstitutionalisation comme processus crateur. Sur la signification sociologique
Castoriadis: un profilo politico-filosofico
553
goduto duna crescente attenzione negli ambienti universitari internazionali, culminata
in un importante convegno, tenutosi allindomani della sua morte, su iniziativa di Na-
dia Urbinati alla Columbia University di New York
9
. In generale, poi, nel mondo anglo-
sassone, in Germania, Spagna e America Latina si moltiplicano le traduzioni e gli studi.
Solo in Italia linteresse editoriale per il suo pensiero non decolla
10
, per ragioni che un
giorno bisogner pur provarsi a indagare.
Lautonomia individuale e sociale
Il punto di partenza della riflessione di Castoriadis la constatazione di unanalogia pro-
fonda tra le questioni che affronta e i compiti che si propone lattivit politica in quan-
to progetto di autonomia della societ e quelli che affronta e si propone la pratica psi-
coanalitica nel suo sforzo mirante a realizzare lautonomia personale. Castoriadis mette
al centro della propria opera teorica le implicazioni sociali e psichiche dellautonomia,
e in tal modo intende ripensare in termini nuovi la tensione tra il collettivo e il singolo,
vale a dire tra lambito della societ e della storia, da un lato, e lunicit di ciascun esse-
re umano, dallaltro. Questa tensione irriducibile, che tuttavia non esclude n annulla
la sovrapposizione o lintreccio fra i due momenti, attraversa e pervade lintera esisten-
za concreta degli individui sociali, a patto che ci si guardi bene dal riprodurre lastra-
de la philosophie politique de Cornelius Castoriadis; E. Morin, Un Aristote en chaleur; . Pisier, La pense 68 de
Castoriadis; H. Poltier, De la praxis linstitution et retour; P. Raynaud, Socit bureaucratique et totalitarisme.
Remarques sur lvolution du groupe Socialisme ou Barbarie; J.-P. Simon, La pense de la dmocratie chez Cas-
toriadis; M. Vajda, La philosophie de la cration absolue; P. Vidal-Naquet, Souvenirs btons rompus sur Casto-
riadis et Socialisme ou Barbarie; S. Zorrilla, Peut-on rflchir lthique dans le cadre dune pense comme celle de
Castoriadis? Successivamente la rivista Thesis Eleven (n. 49, 1997) ha dedicato a Castoriadis una Festschrift
per il suo settantacinquesimo compleanno (a cura di D. Curtis, con interventi di J.P. Arnason, P. Beilharz, V.
Lambropoulos, S. Gourgouris, F. Ciaramelli e S. Hastings-King) e dopo la sua morte, la rivista Free Associa-
tions (n. 43, 1999) gli ha dedicato un numero speciale con interventi di D. Curtis, J. Whitebook, F. Ciaramelli,
F. Urribarri e P. Gordon. Da segnalare infine, in lingua tedesca, limportante volume curato da A. Pechriggl e
K. Reitter, Die Institution des Imaginren. Zur Philosophie von Cornelius Castoriadis, Turia & Kant, Wien 1991
(con interventi dei curatori e di J. Arnason, A. Heller, K. Thomas e B. Waldenfels).
9
Cfr. F. Ciaramelli, Il logos dellautonomia. A partire da un convegno su Castoriadis, Filosofia e questioni
pubbliche, vol. VI (2001), n. 1, pp. 269-279.
10
In Italia lopera di Castoriadis stata diffusa presso il grande pubblico soprattutto da Micromega, che
oltre a pubblicare molti suoi testi, ha poi tradotto lepitaffio dedicatogli da P. Berman (cfr. Leresia di Cornelius,
Micromega, 4/1999). Anche la rivista anarchica Volont, trasformatasi successivamente in Libertaria,
ha fatto la sua parte traducendo un certo numero darticoli a partire dagli anni Ottanta. Quanto ai libri,
dopo la pubblicazione di unantologia, intitolata Socialisme ou Barbarie, curata da M. Baccianini (Guanda,
Parma 1969), e la coeva traduzione del volume sul maggio del 68 (cfr. J.-M. Coudray [alias Castoriadis], C.
Lefort, E. Morin, La Comune di Parigi del maggio 68, Il Saggiatore, Milano 1968), alla fine degli anni Settanta
usc in italiano C. Castoriadis, La societ burocratica, SugarCo, Milano 1978-1979, 2 voll. Di questopera, che
riprendeva le famose analisi (apparse originariamente a firma di P. Chaulieu) sui rapporti di produzione in
Russia, erano circolate, negli anni Sessanta, alcune traduzioni pirata. Successivamente, oltre alle traduzioni
citate nelle note precedenti (cfr. supra nota 4 e nota 7), sono usciti Gli incroci del labirinto, Hopeful Monster,
Firenze 1988; La rivoluzione democratica (unantologia di scritti politico-filosofici), Eleuthera, Milano 2001 e
Finestra sul caos (una raccolta di scritti sullarte e la democrazia), ivi 2007.
Fabio Ciaramelli
554
zione, a suo tempo energicamente denunciata da Marx, consistente nel separare surret-
tiziamente e, in conseguenza di ci, nel contrapporre indebitamente lindividuo e la
societ
11
.
La centralit riconosciuta da Castoriadis alla dimensione creativa della polarit psi-
che/societ, di cui gli individui umani concreti, cio sempre gi socializzati, costituisco-
no di volta in volta lesito inevitabile e al tempo stesso contingente, alla base della sua
riflessione sulla politica e sulla psicoanalisi, sulle loro implicazioni filosofiche e in ultima
analisi sul loro necessario intrecciarsi.
La critica della societ burocratica e il progetto di auto-trasformazione della societ
Castoriadis ha criticato fin dallinizio e in modo radicale, soprattutto dalle pagine di
Socialisme ou Barbarie, il totalitarismo burocratico del regime sociale instaurato-
si in Russia allindomani della Rivoluzione del 1917 e dopo la Seconda guerra mondiale
nei cosiddetti paesi satellite
12
. Ma non s limitato alle critiche. Queste ultime si fonda-
vano su di un progetto politico di auto-trasformazione della societ il cui contenuto es-
senziale era il dispiegamento dellautonomia degli individui e dei gruppi sociali, e il cui
obiettivo prevedeva la realizzazione dellautogoverno effettivo della societ. Sulla base
di questa critica e di questo progetto, Castoriadis ha sostenuto sin dal fine degli anni
Quaranta, come si pu vedere ora chiaramente dai suoi inediti filosofici pubblicati re-
centemente e che meritano unanalisi pi dettagliata
13
, che la storia umana creazione,
creazione nel senso forte del termine, genesi ontologica, insorgenza e posizione di forme
di vita inedite e tra loro irriducibili.
Questa critica del totalitarismo burocratico, culminante nella rottura col marxismo
14
,
si ripercuote in Castoriadis sullanalisi delle societ occidentali, e permette di scoprire
unaltra forma dellalienazione burocratica degli individui allimmaginario del dominio
pseudo-razionale della realt, caratterizzato dal privilegiamento acritico della crescita
economica illimitata e perci implicante lasservimento della vita umana alleconomico
come valore centrale e, di fatto, unico
15
.
Fra il totalitarismo dei paesi cosiddetti socialisti e la societ capitalistica cera un ele-
mento comune: lalienazione disconosciuta dellumanit alle sue opere. In questa forma di
alienazione Castoriadis individuava la caratteristica fondamentale della societ burocrati-
ca, fenomeno al tempo stesso politico ed economico, attraverso il quale si esprimono
le tendenze pi profonde della produzione capitalistica moderna (...). Per lessenziale, la di-
visione di classe nelle societ contemporanee non corrisponde (...) pi alla divisione tra pro-
11
Cfr. C. Castoriadis, Les carrefours du Labyrinthe, Seuil, Paris 1978, pp. 62-63.
12
Cfr. F. Ciaramelli, Socialisme ou Barbarie e la questione sovietica, Mondoperaio, gennaio 1987, pp. 100-
106.
13
C. Castoriadis, Histoire et cration. Textes philosophiques indits (1945-1967), N. Poirier (a cura di), Seuil,
Paris 2009.
14
Cfr. F. Ciaramelli, Una critica libertaria al marxismo: C. Castoriadis, Il tetto, XX (1983), pp. 601-621.
15
C. Castoriadis, Fait et faire. Les carrefours du Labyrinthe V, Seuil, Paris 1997, p. 76.
Castoriadis: un profilo politico-filosofico
555
prietari e non-proprietari ma a quella, molto pi profonda e molto pi difficile da eliminare,
tra dirigenti ed esecutori
16
.
Solo su questa base che in anni recenti Z. Bauman ha posto al centro delle sue analisi
della globalizzazione possibile mettere a fuoco la burocratizzazione che rende la so-
ciet novecentesca contraddittoria nel senso rigoroso in cui lo un individuo nevroti-
co: per tentare di realizzare le sue intenzioni, essa costretta a compiere atti che costan-
temente le contrastano
17
. Che ci abbia luogo a livello della produzione, della politica o
della cultura, le istituzioni della societ burocratica si propongono esplicitamente di al-
lontanare i cittadini dagli affari pubblici, di persuaderli che sono incapaci di occuparse-
ne, pur lamentando la loro passivit e la loro apatia, e di conseguenza facendo retorica-
mente appello alla loro partecipazione. In tal modo la societ contemporanea persegue
la chimera di individui che si troverebbero sempre simultaneamente al colmo dellen-
tusiasmo e al colmo della passivit
18
.
In questo senso, come Castoriadis scriveva nel 1964,
se il termine barbarie ha ancora un senso oggi, non il fascismo n la miseria, e neanche il
ritorno allet della pietra. esattamente questa specie di incubo climatizzato, il consumo
per il consumo nella vita privata, lorganizzazione per lorganizzazione nella vita collettiva e i
loro corollari: privatizzazione, riflusso e apatia rispetto agli affari comuni, disumanizzazione
dei rapporti sociali
19
.
Il diffondersi dellimmaginario dello sviluppo illimitato della produzione e del consu-
mo
20
finisce con lemarginare la possibilit stessa dellazione politica
nello stesso momento in cui si espande trionfante il furore della potenza, il feticismo del
potere razionale, nello stesso momento sembra subire uneclissi laltra grande significazione
immaginaria creata dalla storia greco-occidentale, quella dellautonomia, in particolate politi-
ca. La crisi attuale dellumanit crisi della politica nel senso principale del termine
21
,
crisi di un ethos democratico, crisi della prassi. Questultima si rivela irriducibile a qua-
lunque azione strumentale, volta alla realizzazione di un obiettivo predeterminato. Per
Castoriadis la prassi infatti quel fare in cui laltro o gli altri sono presi di mira come
esseri autonomi e considerati come gli agenti essenziali dello sviluppo della propria
autonomia
22
. La prassi politica si differenzia radicalmente dalla sua degenerazione bu-
16
C. Castoriadis, Lexprience du mouvement ouvrier. 1: Comment lutter, Ed. 10/18, Paris 1974, p. 351.
17
C. Castoriadis, Capitalisme moderne et rvolution. 2: Le mouvement rvolutionnaire sous le capitalisme
moderne, Ed. 10/18, Paris 1979, p. 106.
18
C. Castoriadis, La socit bureaucratique. 1: Les rapports de production en Russie, Ed. 10/18, Paris 1973,
p. 35.
19
C. Castoriadis, Lexprience du mouvement ouvrier. 2: Proltariat et organisation, Ed. 10/18, Paris 1974,
p. 351.
20
Cfr. C. Castoriadis, Domaines de lhomme. Les carrefours du labyrithe II, Seuil, Paris 1986, pp. 131-154.
21
C. Castoriadis, Lenigma del soggetto. Il sociale e le istituzioni, F. Ciaramelli (a cura di), Dedalo, Bari 1998,
pp. 286-287.
22
C. Castoriadis, Linstitution imaginaire de la socit, cit., p. 103.
Fabio Ciaramelli
556
rocratica e tecnica dal momento che prende di mira lautonomia della societ, il supera-
mento della sua alienazione, cio lauto-istituzione esplicita della societ.
La tensione feconda tra psiche e societ
LEssere ci che esige da noi creazione per averne lesperienza [LEtre est ce qui exige
de nous cration pour que nous en ayons lexprience], scriveva cos Merleau-Ponty in
uno dei frammenti postumi pubblicati da Claude Lefort in Le visible et linvisible
23
.
La rivendicazione accanita della creazione in unaccezione ontologicamente forte, in
quanto caratterizzante levento stesso dellessere, e non solo il modo soggettivo di acce-
dervi per farne esperienza (come accade viceversa nel frammento di Merleau-Ponty or
ora citato)
24
, costituisce il contributo principale del pensiero di Castoriadis, la cui ori-
ginalit consiste nellinsistere sulle radici psichiche della creazione sociale-storica come
genesi ontologica
25
.
A ben vedere, come gi si accennava in precedenza, quella tra individuo e societ si
rivela una separazione astratta e una contrapposizione indebita, dal momento che lin-
dividuo umano concreto sempre e solo lindividuo sociale, cio il singolo esponente
della specie, socializzato allinterno delle istituzioni e per loro tramite, e perci sempre
inserito in un contesto culturale di volta in volta dato. Questa delimitazione spazio-tem-
porale della socializzazione dellindividuo le essenziale e attesta la dimensione inevita-
bilmente storica del sociale.
In conseguenza di ci, collettivit e anonimato che ontologicamente caratterizza-
no il sociale in quanto sociale si trovano in un rapporto di irriducibile tensione non gi
con lindividuo concreto, ma secondo la terminologia costante nellopera di Castoria-
dis con la sua psiche, in quanto nucleo monadico del singolo essere umano.
Lindividuo sociale concreto, in effetti, costituisce lesito del processo di socializza-
zione dogni singola psiche, e questo processo viene messo in moto e condotto a termi-
ne da individui ovviamente gi a loro volta socializzati. Di fronte alla psiche singola sta
quindi il collettivo anonimo in una sua configurazione sociale concretamente data e cul-
23
Gallimard, Paris 1964, p. 251, corsivo nelloriginale.
24
La strada aperta dalla riflessione filosofica di Merleau-Ponty sicuramente molto importante per il pen-
siero di Castoriadis. Uninterpretazione originale e penetrante delle loro opere, riletta a partire dalla centralit
del tema del corpo, offerta da C. Rea, Dnaturaliser le corps. De lopacit charnelle lnigme de la pulsion,
Prface de F. Ciaramelli, LHarmattan, Paris 2009.
25
Sulla centralit della nozione di creazione come genesi ontologica nel pensiero di Castoriadis mi sia per-
messo di rinviare ai miei seguenti testi: Le cercle de la cration, in Revue europenne des sciences sociales,
XXVII (1989), n. 86, pp. 87-104; Castoriadis e listituzione immaginaria della societ, Paradigmi, VIII (1990),
pp. 521-548; Il problema del senso e il rapporto tra psiche e societ in Castoriadis, Democrazia e diritto, XXXIII
(1993), n. 4, pp. 105-122; The Self-presupposition of the Origin. Homage to Cornelius Castoriadis, (tr. it. D.A.
Curtis), Thesis Eleven, Sage Publications, London, n. 49 (1997), pp. 45-68; Human Creation and the Para-
dox of the Originary, (trad. D.A. Curtis), Free Associations, Process Press, London 1999, vol. 7, part 3 (n.
43), pp. 357-366 (una versione leggermente diversa di questo mio testo apparsa in lingua spagnola Creacin
humana y paradoja de lo originario, (trad. A. Garcia-Ormaechea), Archipilago, Cuadernos de critica de la
cultura, n. 54, dic. 2002, pp. 58-67.
Castoriadis: un profilo politico-filosofico
557
turalmente caratterizzata cos e non altrimenti. Solo attraverso questopera di socializza-
zione sempre storicamente determinata i singoli esponenti della specie umana diventano
individui e possono accedere a un mondo comune, forgiato innanzitutto dallistituzio-
ne di una lingua, e poi da modelli di comportamento, usi, costumi, rappresentazioni col-
lettive, e via dicendo. In assenza duna simile mediazione sociale e culturale di volta in
volta istituita, e proprio per questo caratterizzata da una sua inevitabile storicit, la vita
stessa degli individui non sarebbe quella che .
Listituzione tra conformismo e innovazione sociale
Scrive Castoriadis:
Muovendo dalla psiche, la societ istituita fa di volta in volta degli individui; e costoro, in
quanto tali, non possono pi fare nientaltro se non la societ che li ha fatti [A partir de la
psych, la socit institue fait chaque fois des individus qui, comme tels, ne peuvent plus faire
que la socit qui les a faits]
26
.
Questo , per, solo il punto di partenza della riflessione di Castoriadis. Infatti, se ci
si fermasse qui, se cio la societ una volta istituita attraverso gli individui sociali da
essa stessa forgiati in modo da diventarne ubiquitari rappresentanti e fedeli riprodutto-
ri fosse destinata alla propria propagazione inalterata e inalterabile, non vi sarebbe al-
cuna possibilit di trasformazione sociale e di conseguenza non potrebbe aver luogo n
sarebbe pensabile la stessa esperienza storica.
In realt, invece, il processo di socializzazione, per quanto caratterizzato da una vio-
lenza primaria invadente e pervasiva
27
, non arriva mai ad abolire lo scarto tra la singo-
larit della psiche e la collettivit anonima del sociale-storico. Neanche agli esperimenti
totalitari pi violenti e deliranti riuscito di risolvere integralmente la prima nella se-
conda.
Il contributo pi significativo del pensiero di Castoriadis alla filosofia contempo-
ranea sta nellindagare le ragioni profonde di questa irriducibilit della psiche allope-
ra della socializzazione. La resistenza del nucleo monadico originario del singolo essere
umano laltra faccia della sua creativit, ed proprio nellabissale creativit della psi-
che che si radica linstabilit ontologica dellistituito, cio lintrinseca alterabilit del so-
ciale-storico.
In tal modo, fra linconscio e listituzione del sociale Castoriadis invita a scoprire un
intreccio inestricabile, a partire dal quale va ripensato il loro rapporto. Il dato innegabi-
le dellalterazione dei gruppi umani, cio lesperienza del cambiamento e della trasfor-
mazione pi o meno deliberati che attraversano inevitabilmente il collettivo anonimo di
volta in volta istituito, attenua la subordinazione dei singoli esseri umani alla pesantezza
26
C. Castoriadis, Le monde morcel. Les carrefours du labyrinthe III, Seuil, Paris 1990, p. 115.
27
Su questo punto Castoriadis debitore di Piera Aulagnier, di cui andrebbe citata lintera opera. Mi limito
a segnalare limportante volume La violence de linterptation. Du pictogramme lnonc, PUF, Paris 1975,
scritto negli anni del matrimonio con Castoriadis, al quale questultimo fa spesso riferimento.
Fabio Ciaramelli
558
dellistituito, cui sembrerebbe condannarli linesorabilit del processo di socializzazio-
ne, fonte di conformismo sociale, ma anche, perlomeno nella modernit capitalistica, del
conclamato riconoscimento della necessit di permanenti innovazioni.
Come render conto dellalterabilit del collettivo anonimo che socializza gli indivi-
dui, orientandoli prevalentemente verso la propagazione dellordine costituito? Come
delucidare la sua intrinseca e inaggirabile storicit, la cui evidenza, perlomeno nella so-
ciet moderna e ancor pi clamorosamente nella societ capitalistica, sotto gli occhi di
tutti? Da dove proviene questa instabilit che, a dire il vero, caratterizza il sociale in tut-
te le sue configurazioni conosciute (anche nelle societ premoderne e nelle stesse cosid-
dette societ primitive che pretendevano di abolire la storicit proprio per contrastare
la minaccia di alterazione e cambiamento che dallinterno inevitabilmente le attraversa-
va)? Insomma, che cosa attenua intrinsecamente la stabilit di tutto ci che socialmen-
te istituito, e che era stato istituito proprio per stabilizzare il sociale?
A questo tipo di domande intende rispondere la riflessione di Castoriadis sulla ten-
sione irriducibile tra psiche e societ, che permette di radicare nella magmatica creati-
vit della prima lintrinseca instabilit della seconda. In altri termini, la fonte dellalte-
razione sociale ci che Castoriadis chiama limmaginazione radicale della psiche, in
quanto istanza di singolarit irriducibile da cui prende le mosse la costituzione sociale
dellindividuo concretamente esistente.
Grazie allimmaginazione radicale della psiche singola, lindividuo non costituisce
solo il principale fattore di riproduzione della societ istituita ma funge al tempo stesso
da fondamentale vettore della sua sempre possibile alterazione. In questa insuperabile
instabilit che caratterizza intrinsecamente il sociale va riconosciuta lopera permanente
della societ istituente nel seno stesso della societ istituita
28
. Nessun gruppo umano ri-
sulta vincolato alla ripetizione indefinita della propria configurazione sociale e cultura-
le, o, detto in altri termini, listituito essenzialmente alterabile.
Linstaurazione dellautonomia, vale a dire il superamento delleteronomia istituita,
non sarebbe possibile se il conformismo dellistituzione non fosse suscettibile di altera-
zione e interruzione. Se la trasmissione da unepoca allaltra della configurazione isti-
tuita della societ non caratterizzata da una ferrea immutabilit, ma risulta viceversa
sempre attraversato da trasformazioni che nelle societ tradizionali risultano quasi im-
percettibili e in ogni caso non volute ci reso possibile dallurgenza incontenibile e
non totalmente addomesticabile dellimmaginazione magmatica della psiche singola.
Radici psichiche della creazione sociale-storica
Per dare il giusto peso a questo aspetto fondamentale, ma forse non sempre adeguata-
mente sottolineato, del pensiero di Castoriadis, opportuno ripercorrere le tappe fon-
damentali del suo ragionamento. Egli parte da una osservazione generale, secondo la
quale
28
Cfr. C. Castoriadis, Linstitution imaginaire de la socit, cit., p. 154.
Castoriadis: un profilo politico-filosofico
559
nelle istituzioni, esiste sempre un elemento centrale, potente ed efficace che prende di mira
la loro auto-perpetuazione, e che comporta gli strumenti necessari a realizzarla; in psicoanalisi
si parlerebbe di ripetizione. Di tutto ci, lo strumento principale (...) la fabbricazione di
individui conformi alla societ
29
.
, dunque, il funzionamento generale delle societ umane a esigere che gli esseri uma-
ni singoli vengano socializzati proprio per perpetuare listituito (la configurazione socio-
culturale attraverso cui ogni insieme di individui rende di volta in volta umana la vita).
Perci costoro, in quanto socializzati da un determinato immaginario istituito, non pos-
sono prima facie che riprodurne la configurazione (il sistema simbolico di significati, va-
lori, motivazioni e norme) da cui essi stessi sono stati forgiati, giacch esattamente lin-
teriorizzazione dei significati veicolati dallimmaginario sociale che fa degli individui lo
strumento fondamentale della sua stabilizzazione e propagazione. La societ in tal modo
istituisce la propria auto-riproduzione attraverso la chiusura dellindividuo che vive nel-
la ripetizione e la cui immaginazione soggettiva viene asservita allimmaginario istituito,
ai suoi contenuti e alla sua regolarit.
Attraverso questa fabbricazione sociale dellindividuo, listituzione assoggetta a s limmagi-
nazione singola del soggetto e in regola generale non le permette di manifestarsi se non entro
e attraverso il sogno, la fantasmatizzazione, la trasgressione e la malattia. In particolare, tutto
accade come se listituzione giungesse a interrompere la comunicazione tra limmaginazione
radicale del soggetto e il suo pensiero. Qualsiasi cosa egli possa immaginare (sapendolo o
meno), il soggetto penser e far solo ci che socialmente obbligatorio pensare e fare. In ci
consiste il versante sociale-storico dello stesso processo che, psicoanaliticamente parlando,
il processo di rimozione
30
,
culminante in una repressione/mutilazione del potere creativo dellimmaginazione psi-
chica dei singoli
31
.
Tuttavia, ci non esaurisce il processo reale di socializzazione. Il sistema simbolico di
ogni societ, per il fatto stesso di essere socialmente e culturalmente istituito, intrinse-
camente storico. Lungi dal derivare da una qualche misteriosa oggettivit extra-sociale,
la sua stabilit non ha nessun fondamento ontologico, ma a sua volta lesito di un pro-
cesso sociale di stabilizzazione.
La dimensione conformistica e ripetitiva di cui ogni societ umana si mostra prov-
vista dunque la risposta dellistituito al rischio di dissolvenza rappresentato dalla sua
intrinseca alterabilit. La sfera profonda della psiche singola, con la sua creativit mag-
matica alla cui scoperta la psicoanalisi freudiana ha dato un contributo fondamentale,
secondo Castoriadis la principale responsabile di questa minaccia di instabilit dellisti-
tuito.
29
Traduzione dal testo francese C. Castoriadis, Le monde morcel. Les carrefours du labyrinthe III, cit, pp.
148-149.
30
C. Castoriadis, Fait et faire. Les carrefours du labyrinthe V, cit., pp. 262-263.
31
C. Castoriadis, Domaines de lhomme. Les carrefours du labyrinthe II, cit., pp. 259-260.
Fabio Ciaramelli
560
Psicoanalisi ed emancipazione democratica
Proprio per questo, la psicoanalisi appartiene a pieno titolo al progetto moderno di
emancipazione, in quanto lobiettivo della pratica psicoanalitica il superamento della
ripetizione coatta dei modelli sociali tramandati come insindacabili
32
. In questo senso,
la cura psicoanalitica mira a rendere lindividuo soggetto di unattivit autonoma, capa-
ce di deliberazione riflessiva.
Ma, a meno che non si entri in una ripetizione senza fine, i contenuti e gli oggetti di questa
attivit (...) possono essere forniti soltanto dallimmaginazione radicale della psiche. Si trova
qui la fonte del contributo dellindividuo alla creazione sociale-storica
33
.
Questo contributo non sarebbe possibile se la psiche non costituisse unistanza radicale
di singolarit, in quanto tale irriducibile alla societ. Il sistema simbolico dei significati
istituiti viene in tal modo fecondato e arricchito dallapporto creativo e innovativo pro-
veniente dallimmaginazione psichica dei singoli. Un simile apporto si rivela irriducibi-
le ai sogni, alle velleit e ai deliri, solo a patto che venga ripreso socialmente; ma le
condizioni di questa ripresa (...) superano di gran lunga tutto ci che pu fornire lim-
maginazione individuale
34
.
In altri termini, la magmatica creativit della psiche, perch si abbia davvero trasfor-
mazione sociale, presuppone delle condizioni storiche che la psiche singola non pu
darsi da sola, perch implicano unauto-alterazione del sociale-storico che non dipende
pi dallagire individuale. In ci va riconosciuta lopera dellimmaginario radicale isti-
tuente come creativit dellazione collettiva, irriducibile alla sommatoria degli interven-
ti individuali.
Una simile auto-alterazione possible proprio perch il sociale in quanto tale non si
lascia mai imprigionare dalla sua istituzione gi effettuata e compiuta, ma la supera in
maniera imprevedibile e indeterminabile
35
. In ogni societ data, sotto la cenere della sua
stabilit (la societ istituita), cova la brace dellalterazione e del cambiamento (la so-
ciet istituente). Infatti, c sempre uno sdoppiamento inevitabile, uno scarto, maga-
ri impercettibile, ma insanabile, tra la stabilit delle istituzioni sociali e ci che ne deter-
mina lassetto e ne rende possibile la tenuta e la permanenza. Si tratta di due dimensioni
distinte e irriducibili, che per coesistono simultaneamente come due facce della stessa
medaglia. Listituzione del sociale risulta dallintersezione tra listituente e listituito, il
cui esito sempre provvisorio, ma di volta in volta relativamente stabile. Il ritmo storico
della vita sociale scandito dalla loro incessante mediazione.
32
Osservazioni acute sul legame tra la scoperta della psicoanalisi e la dissoluzione dei capisaldi della cer-
tezza operata dalla rivoluzione democratica si leggono in C. Lefort, Les temps prsents. Ecrits 1945-2005,
Belin, Paris 2007, pp. 461-469.
33
C. Castoriadis, Le monde morcel. Les carrefours du labyrinthe III, p. 150.
34
C. Castoriadis, Linstitution imaginaire de la socit, cit., p. 359.
35
Cfr. C. Castoriadis, Linstitution imaginaire de la socit, cit., p. 154.
Castoriadis: un profilo politico-filosofico
561
Instabilit dellistituito e ruolo creativo dellinconscio
Lindeterminatezza ontologica del sociale-storico si rivela, dunque, la condizione posi-
tiva della sua creativit, vale a dire di unauto-trasformazione la cui possibilit non gli
proviene dallesterno, ma dalle sue radici immaginarie che costituiscono il momento
fondamentale della sua instabilit, e perci stesso la fonte inesauribile della sua sempre
possibile alterazione.
Il sociale-storico radicalmente istituente poich crea le proprie figure attraverso
limmaginario, e in tal modo fa spazio ad una retroazione dellessere umano singolo
sulla societ [action en retour de ltre humain singulier sur la socit]
36
. Questo contri-
buto, questo apporto, questa retroazione non sarebbe neanche possibile se il collettivo
anonimo non avesse la particolarit di sfuggire alla determinatezza identitaria. E tuttavia
una simile azione quasi sempre disinnescata nei suoi effetti nelle societ tradizionali in
cui regna leteronomia istituita che si propone precisamente di ignorare e che tende ad
abolire lauto-alterazione del sociale.
Ritroviamo qui la questione principale che lepoca della burocratizzazione pone al
pensiero di Castoriadis. La societ attuale, a causa dellusura dei suoi significati imma-
ginari (progresso, crescita, benessere, dominio razionale, ecc.) sempre meno capace
di fornire senso
37
, e di soddisfare in tal modo la richiesta psichica fondamentale degli
individui. E da parte loro questi ultimi non possono, a livello radicale, produrre in pro-
prio il loro senso per se stessi. Ci che lindividuo pu produrre [da solo], sono fan-
tasmi privati, non gi istituzioni
38
, e quindi ancor meno significati sociali, condivisibi-
li e aggreganti.
La crisi della societ contemporanea riguarda dunque innanzitutto la crisi della pro-
duzione di significati sociali, il che comporta un autentico crollo dellauto-rappresenta-
zione della societ, il cui immaginario autonomizzato si riproduce in maniera inerte. Si
ritrova qui scriveva Castoriadis in un testo del 1982 intitolato La crisi delle societ oc-
cidentali lesito estremo di ci che ho analizzato, da una ventina danni, come la pri-
vatizzazione nelle societ moderne. E aggiungeva: La societ contemporanea non si
vuole come societ, si subisce, mentre luomo contemporaneo si comporta come se
lesistenza in societ fosse per lui unodiosa corve che solo uninfausta fatalit glimpe-
disce di evitare; perci si comporta passivamente, come se la subisse, senza nutrire pi
alcun progetto riguardo alla societ, n quello della sua trasformazione, n quello del-
la sua conservazione/riproduzione. Non accetta pi i rapporti sociali in cui si sente pre-
so e che riproduce solo in quanto non pu fare altrimenti
39
.
Proprio perch le istituzioni e i significati sociali si radicano nellimmaginario, Ca-
storiadis esclude che siano costruibili sulla base di una qualche attivit cosciente di
36
C. Castoriadis, Le monde morcel. Les carrefours du labyrinthe III, p. 115.
37
C. Castoriadis, Domaines de lhomme. Les carrefours du labyrinthe II, cit., p. 102.
38
C. Castoriadis, Linstitution imaginaire de la socit, cit., p. 202.
39
C. Castoriadis, La monte de linsignifiance. Les carrefours du labyrinthe IV, Seuil, Paris 1996, pp. 22-23.
Fabio Ciaramelli
562
istituzionalizzazione
40
. In questo senso, la loro fonte travalica la coscienza lucida degli
esseri umani
41
, e perci chiama in causa la funzione immaginaria dellinconscio
42
.
La societ come auto-istituzione e lo spazio della politica
Ci che costituisce e determina ogni societ, in nessun caso la trascende dallesterno. In
altri termini, lo sdoppiamento di istituente e istituito immanente a qualunque tipo di
societ umana. Non c nessuna alterit di tipo religioso o biologico o puramente ra-
zionale che dallesterno potrebbe fondare universalmente il sociale. La molteplicit e
variabilit delle diverse istituzioni della societ un dato di fatto, che sfida qualunque
spiegazione deterministica. Tra le cosiddette societ animali e le societ umane, corre
una differenza abissale e invalicabile, conseguenza dun dato molto semplice: le prime
non sono autoistituite. La nozione di istituzione allude esattamente alla non-naturali-
t del sociale: allimprevedibilit della sua autocreazione. Labisso che separa le neces-
sit delluomo come specie biologica e i bisogni delluomo come essere storico scavato
dallimmaginario
43
. E limmaginario, tanto a livello collettivo quanto a livello indivi-
duale, la capacit originaria di creare senso dando senso alla stessa nozione di vali-
dit o funzionalit.
Le societ umane, esattamente in quanto istituiscono il proprio immaginario, non
possono non avere una dimensione intrinsecamente e originariamente politica. Ci vuol
dire che la determinazione dellassetto globale duna qualunque societ sempre e sol-
tanto lopera di questa stessa societ: unopera collettiva di cui ogni societ al tempo
stesso soggetto e oggetto.
Ebbene, esattamente questa dimensione politica dellautoistituzione del sociale che
viene occultata e negata attivamente nella maggioranza delle societ conosciute. Quasi
dappertutto e quasi sempre le societ hanno vissuto nelleteronomia istituita; la rappre-
sentazione istituita di una fonte extra-sociale del nomos ne parte integrante
44
.
Leteronomia istituita induce a considerare e vivere la propria condizione e il pro-
prio modo di essere come risvolti immodificabili di un ordine cosmico, perci sottratti
a ogni responsabilit e disponibilit umane. Laddove non riconosciuto il carattere isti-
tuito della normativit sociale, non sar neanche possibile dubitare delle sue componen-
ti e mettere in discussione la sua stessa legittimit.
Nelle societ eteronome, da una parte,
listituzione afferma di se stessa di non essere opera umana; dallaltra, gli individui sono
educati, addestrati, formati in modo tale da essere, per cos dire, completamente riassorbiti
dallistituzione della societ. Nessuno pu affermare delle idee, una volont, un desiderio che
si oppongano allordine istituito, e questo non perch egli subirebbe delle sanzioni, ma perch
40
C. Castoriadis, Linstitution imaginaire de la socit, cit., p. 183.
41
Ibidem.
42
Ibid., p. 142.
43
C. Castoriadis, Les carrefours du labyrinthe, cit., p. 232.
44
C. Castoriadis, La rivoluzione democratica, cit., pp. 65-66.
Castoriadis: un profilo politico-filosofico
563
antropologicamente costruito in questo modo, ha interiorizzato a tal punto listituzione della
societ che non dispone dei mezzi psichici e mentali per rimettere in questione listituzione
stessa. Quello che cambia, con la Grecia antica da una parte, con lEuropa postmedievale
dallaltra, che listituzione della societ rende possibile la creazione di individui che in essa
non vedono pi qualcosa dintoccabile, ma riescono a metterla in discussione con le parole o
con gli atti, o con entrambi contemporaneamente. Arriviamo cos al primo abbozzo storico di
quello che chiamo il progetto di autonomia sociale e di autonomia individuale
45
.
autonomo chi d a se stesso le proprie leggi. Lautonomia, perci, ha due implicazio-
ni fondamentali: da un lato, la necessit della legge (il che ci consente di sottolineare un
punto decisivo: autonomia non significa affatto a-nomia, assenza della legge e incoeren-
te pretesa a una spontaneit immediata priva di mediazione istituzionale); dallaltro, lo
smascheramento del carattere socialmente e storicamente istituito delle leggi che regola-
no la vita sociale, e che, proprio perch la loro origine lattivit collettiva, possono per
definizione essere rimesse in discussione e modificate.
Democrazia e radicalit ontologica della contingenza
La democrazia lunica forma di societ che rende esplicita e perci regolamenta pub-
blicamente la dimensione politica della societ
46
. Proprio in virt di queste sue impli-
cazioni rivoluzionarie, la democrazia costituisce dal punto di vista storico uneccezione.
Essa infatti comporta uninversione radicale della diffusa tendenza storica alleterono-
mia sociale, alla quale si riferisce brillantemente Paul Valry in questo suo lapidario as-
sunto: La politica fu in primo luogo larte di impedire alla gente di immischiarsi in ci
che la riguarda
47
. Lobiettivo rivoluzionario della politica democratica esattamen-
te il contrario, e perci entra in rotta di collisione con le tendenze dominanti dellimma-
ginario contemporaneo, polarizzato dal primato delleconomia e della sua presunta ra-
zionalit inderogabile.
Da tutto quel che s detto circa lintreccio di istituito e istituente consegue che les-
sere del sociale sfugge in quanto tale allontologia identitaria della determinatezza: nel-
la temporalit che intrinsecamente gli appartiene, costituendone lessenziale storicit, il
sociale si pone come insorgenza incessante di nuovi modi di essere. Per questa ragione,
nelle societ tradizionali, caratterizzate dallistituzione della propria eteronomia, il so-
ciale sistituisce attraverso il diniego accanito della propria storicit
48
.
In un discorso filosofico come quello di Castoriadis, la condizione di possibilit del-
la democrazia la radicalit ontologica della contingenza. La contingenza non concer-
45
C. Castoriadis, La rivoluzione democratica, cit., pp. 38-39. Su questo punto cfr. C. Castoriadis, Istituzione
della societ e religione, in Id., Lenigma del soggetto. Il sociale e le istituzioni, cit.
46
Per una rilettura del pensiero di Castoriadis a partire dalla questione della democrazia, mi sia permesso
di rinviare alle pagine che ho dedicato a Castoriadis in Lo spazio simbolico della democrazia, Citt Aperta,
Troina (EN) 2003, pp. 113-198, nonch alla prima parte del mio Limmaginario giuridico della democrazia,
Giappichelli, Torino 2008.
47
P. Valry, Sguardi sul mondo attuale, a cura di F.C. Papparo, Adelphi, Milano 1998, p. 51.
48
Cfr. C. Castoriadis, Linstitution imaginaire de la socit, cit., p. 258.
Fabio Ciaramelli
564
ne soltanto limprevedibilit dellagire umano, che costituisce linevitabile premessa so-
ciologica della stabilizzazione messa in opera dallistituzione, ma riguarda la strutturale
mancanza di determinatezza dellessere. In altri termini, lagire umano strutturalmente
contingente perch la realt ad esso esterna, cio lessere stesso, contrariamente alle pre-
tese speculative della metafisica e del razionalismo, che vorrebbero enuclearne lessen-
za stabile e la determinazione oggettiva, non ha in se stesso ununit di misura e quindi
un senso universale.
Leredit della filosofia greca
Questa scoperta del carattere abissale, caotico, magmatico dellessere, e quindi della
necessit di unistituzione sociale-storica che possa dargli quel senso che esso non ha,
lo specifico dellistituzione greca della filosofia, radicantesi nella permire saisie imagi-
nare du monde grec quest sa mythologie. In effetti, come scrive Castoriadis nel primo
volume dei suoi seminari sulla Grecia da poco pubblicati,
la filosofia nasce in Grecia simultaneamente e consustanzialmente con il movimento politico
esplicito (democratico). Entrambi emergono come messe in discussione dellimmaginario so-
ciale istituito. Sorgono come interrogazioni collegate in profondit dal loro oggetto: listituzio-
ne stabilita del mondo e della societ e la sua relativizzazione attraverso il riconoscimento della
doxa (opinione) e del nomos (...). La domanda: perch la nostra tradizione vera e buona?
perch il potere del Gran Re sacro?, non solo non si pone in una societ arcaica o tradizio-
nale ma non pu porsi, perch in una tale societ non avrebbe senso. La Grecia fa esistere,
crea, ex nihilo, quella domanda (...). Lo specifico della Grecia il riconoscimento del fatto che
lopinione della trib non garantisce nulla: lopinione della trib (greca) solo il suo nomos,
la sua legge posta, la sua convenzione. (...) Questo riconoscimento possibile unicamente
sulla base di una rottura radicale dellatteggiamento tradizionale rispetto alla tradizione, (...)
che comporta la posizione della tradizione, di una e di una sola tradizione la nostra , come
la sola vera; il che, per, non pi accettabile da quando la tradizione riconosciuta come
semplice tradizione, trasmissione attraverso le generazioni di una posizione iniziale modifica-
bile da una nuova posizione. Se la legge legge unicamente perch stata posta come legge,
ne possiamo porre unaltra. Questa rottura dunque una rottura politica, nel senso radicale
( Mos o, comunque, Maometto). Ma in questi ultimi casi, che sia Profeta o Re, il legislatore
invoca un potere di istituire che di diritto divino. Si richiama a Libri sacri o ne produce.
Ma se i Greci hanno potuto creare la politica, la democrazia, la filosofia, anche perch non
avevano n Libri sacri, n profeti. Avevano poeti, filosofi, legislatori e politai. La politica, quale
i Greci lhanno creata, stata lesplicita messa in discussione dellistituzione costituita della
societ, il che presupponeva, come chiaramente affermato nel V secolo, che parti rilevanti
di tale istituzione non avessero niente di sacro n di naturale, ma derivassero dal nomos.
Il movimento democratico affronta quello che ho chiamato il potere esplicito e tende a re-
istituirlo. Com noto, fallisce (o non riesce neanche davvero a cominciare) nella met delle
poleis. (...) Ma il movimento democratico non si limita a questo, esso tende potenzialmente
alla re-istituzione globale della societ, il che si realizza attraverso la creazione della filosofia.
Non pi commento o interpretazione di testi sacri o tradizionali, il pensiero greco ipso facto
mette in discussione la dimensione pi importante dellistituzione della societ: le rappresen-
tazioni e le norme della trib e la nozione stessa di verit. Certo, sempre e dappertutto, esiste
Castoriadis: un profilo politico-filosofico
565
verit socialmente istituita, equivalente alla conformit canonica delle rappresentazioni e
degli enunciati a ci che socialmente istituito come lequivalente di assiomi e di proce-
dure di convalida. Ma meglio chiamarla semplicemente correttezza. I Greci invece creano
la verit come movimento interminabile del pensiero che mette costantemente alla prova i
propri limiti e ritorna su se stesso (riflessivit), e la creano come filosofia democratica: pensare
non appannaggio di rabbini, preti, mullah, cortigiani o asceti, ma di cittadini che vogliono
discutere in uno spazio pubblico creato da questo stesso movimento.(...) La profondit del
termine: riconoscimento da parte della stessa societ della sua possibilit e del suo potere di
porre le proprie leggi
49
.
La Grecia come cultura tragica e la creazione sociale del senso
Il fondamento di possibilit dellattivit umana come attivit istituente dunque las-
senza di determinatezza ontologica, vale a dire la mancanza dun modello universale nel
quale potrebbero coincidere esistenza e significato. La Grecia innanzitutto e per pri-
ma cosa una cultura tragica. Quel che fa greca la Grecia non la misura e larmonia, n
unevidenza della verit come disvelamento. Quel che fa greca la Grecia la questione
del non-senso o del non-essere. Lesperienza greca fondamentale il disvelamento non
dellessere e del senso, ma del non-senso irremissibile
50
. Il nomos, cio listituzione so-
ciale-storica, allora lunico luogo nel quale possono instaurarsi la stabilit e lordine
necessari allindispensabile costituirsi e codificarsi dellesperienza umana.
Alla luce di questa scoperta dellassenza radicale di un senso ontologico oggettivo
e universale, si precisa meglio il senso della creazione greca di democrazia e filosofia se-
condo Castoriadis. Egli scrive:
I Greci non hanno inventato il politico, nel senso della dimensione di potere esplicito sem-
pre presente in ogni societ; essi hanno inventato, o meglio creato, la politica, che tuttaltra
cosa. (...) Prima dei Greci (e dopo) ci sono intrighi, cospirazioni, millantato credito, lotte
sorde o aperte per impadronirsi del potere esplicito, c unarte di gestire il potere esisten-
te (straordinariamente sviluppata in Cina, per esempio), e perfino di migliorarlo. Ci sono
cambiamenti netti ed espliciti di certe istituzioni, e anche delle re-istituzioni. La creazione
della democrazia e della filosofia coincide con lorigine del movimento storico, movimento
che opera dallVIII al V secolo, e che di fatto si conclude con la disfatta del 404. La radicalit
di questo movimento non pu essere sottovalutata. (...) I Greci scoprono molto presto che
lessere umano sar ci che ne faranno i nomoi della polis (...). Essi sanno dunque che non c
essere umano che valga senza una polis che valga, cio che sia governata dal nomos adeguato.
Sanno anche che non c nomos naturale (che in greco sarebbe un accostamento di termini
contraddittori). la scoperta dellarbitrariet del nomos, insieme alla sua dimensione co-
stitutiva per lessere umano, individuale e collettivo, che apre linterminabile discussione sul
49
C. Castoriadis, Ce qui fait la Grce. 1. DHomre Hraclite. Sminaires 1982-1983. La cration humaine
II, E. Escobar, M. Gondicas, P. Vernay (a cura di), preceduto da P. Vidal-Naquet, Castoriadis et la Grce an-
cienne, Seuil, Paris 2004, pp. 274-276. Si veda anche C. Castoriadis, La Cit et les lois. Ce qui fait la Grce. 2.
Sminaires 1983-1984. La cration humaine III, E. Escobar, M. Gondicas, P. Vernay (a cura di), preceduto da
Ph. Raynaud, Castoriadis et lhritage grec, Seuil, Paris 2008.
50
C. Castoriadis, Ce qui fait la Grce. 1. DHomre Hraclite, cit., p. 278.
Fabio Ciaramelli
566
giusto e sullingiusto, e sul buon regime. questa radicalit, e questa coscienza della costru-
zione dellindividuo da parte della societ in cui vive, che sta dietro alle opere filosofiche della
decadenza (del quarto secolo, di Platone e di Aristotele), che le alimenta e le orienta come
unovviet. Essa consente a Platone di pensare unutopia radicale, e lo spinge a mettere lac-
cento, come Aristotele, pi sulla paideia che sulla costituzione politica in senso stretto. Non
affatto un caso che la rinascita della vita politica in Europa occidentale sia accompagnata,
in modo relativamente rapido, dal riapparire di utopie radicali. Le utopie testimoniano in
primo luogo e innanzitutto di questa consapevolezza: listituzione opera umana
51
.
La creazione greca della filosofia trasmette alla cultura greco-occidentale lidea della so-
ciet umana come auto-istituzione. Ci che in tal modo viene risolutamente negato
lesistenza di un fondamento universale e oggettivo dellesperienza sociale-storica, che
possa ontologicamente ratificare, convalidare o magari anche sacralizzare lordine socia-
le effettivamente vigente, disconoscendone o lasciandone in ombra il carattere istituito.
La scoperta della centralit dellistituzione riguarda in ultima analisi lo statuto del
senso, che oggi come oggi il discorso sociale dominante vorrebbe letteralmente elimi-
nare, proprio per rimuovere lo scandalo del suo carattere istituito
52
. Lanalisi filosofica
mostra che alla base dellordine sociale e della sua stabilizzazione c lopera dellimma-
ginario. Lassetto fondamentale della societ, in quanto esito di una deliberazione collet-
tivamente istituente, rinvia a un senso socialmente istituito, che proprio per questa ra-
gione si rivela anche, per essenza, socialmente destituibile.
BIOGRAFIA
Cornelius Castoriadis (1922-1997), di famiglia e cultura greca, nato per a Costantino-
poli nellultima fase cosmopolitica della vita di quella straordinaria citt che ostenta-
tamente si rifiut sempre di chiamare Instabul , il giovane Cornelius crebbe ad Atene,
dove la sua famiglia era riparata pochi anni dopo la sua nascita. L ricevette una soli-
da formazione universitaria di natura interdisciplinare (studi essenzialmente econo-
mia, diritto e filosofia), base costante della sua futura versatilit enciclopedica, che gli ha
consentito nella vita professionale allindomani del suo arrivo in Francia nel 1945 di
spaziare dallattivit di economista a quella di psicoanalista, e nellimpegno intellettuale
di eccellere tanto nella pubblicistica socio-politica quanto nellanalisi propriamente fi-
losofica, producendo unopera di considerevole ampiezza e vastit. Fin da quando, con
Claude Lefort e pochi altri ex trotzkisti, fond Socialisme ou Barbarie (1949-1965),
Castoriadis stato uno dei protagonisti della scena politico- culturale parigina. Noto ini-
zialmente come critico implacabile del regime sovietico, nel corso degli anni Settan-
ta, Castoridis elabora una originale teoria della istituzione immaginaria della societ
(espressione che d il titolo al suo libro pi famoso, apparso nel 1975), in cui il congedo
dal marxismo culmina nella proposta filosofica e politica dellautonomia in quanto regi-
me di democrazia radicale.
51
C. Castoriadis, La rivoluzione democratica. Teoria e progetto dellautogoverno, cit., pp. 62-63.
52
Cfr. C. Castoriadis, Linstitution imaginaire de la socit, cit., pp. 194-195.
Castoriadis: un profilo politico-filosofico
567
BIBLIOGRAFIA
Opere principali di Castoriadis in italiano
53
Castoriadis, C., La societ burocratica. I rapporti di produzione in Russia, tr. it. di G. Ferrara degli
Uberti, prefazione di M.L. Salvatori, SugarCo, Milano 1978.
Castoriadis, C., La rivoluzione contro la burocrazia. La societ burocratica, tr. it. di G. Ranzato, Su-
garCo, Milano 1979.
Castoriadis, C., Gli incroci del labirinto, tr. it. di M.G. Bicocchi e F. Lepore, Hopeful Monster, Fi-
renze 1988.
Castoriadis, C., Listituzione immaginaria della societ (parte seconda), F. Ciaramelli (a cura di), In-
troduzione di P. Barcellona, Bollati Boringhieri, Torino 1995.
Castoriadis, C., Lenigma del soggetto. Limmaginario e le istituzioni, F. Ciaramelli (a cura di), De-
dalo, Bari 1998 (contiene saggi originariamente apparsi in C. Castoriadis, Institution imagi-
naire de la socit, Seuil, Paris 1975; Id., Domaines de lhomme. Les carrefours du labyrinthe II,
Seuil, Paris 1986; Id., Le monde morcel. Les carrefours du labyrinthe III, Seuil, Paris 1990).
Castoriadis, C., La rivoluzione democratica. Teoria e progetto dellautogoverno, F. Ciaramelli (a cura
di), Eleuthera, Milano 2001 (contiene saggi originariamente apparsi in C. Castoriadis, Le mon-
de morcel. Les carrefours du labyrinthe III, Seuil, Paris 1990; Id., Figures du pensable. Les car-
refours du laburynthe VI, Seuil, Paris 1999).
Castoriadis, C., Finestra sul caos. Scritti su arte e societ, tr. it. di G. Lagomarsino, Eleuthera, Mi-
lano 2007.
Castoriadis, C., Relativismo e democrazia. Dibattito col MAUSS, tr. it. di C. Milani, Eleuthera, Mi-
lano 2010.
Principali contributi italiani su Castoriadis
Ciaramelli, F., Una critica libertaria al marxismo: C. Castoriadis, Il tetto, n. XX (1983), pp. 601-
621.
Ciaramelli, F., Intorno a Castoriadis, in Id., Lo spazio simbolico della democrazia, Citt Aperta,
Troina 2003, pp. 113-198.
Lucani, F., Idee per una democrazia dal volto umano. Cornelius Castoriadis, pp. 205-261, in Maestri
di morale, Brenner, Cosenza 1999.
Menga, F.G., Il carattere radicalmente creativo del potere costituente. Il discorso politico di Corne-
lius Castoriadis, in Id., Potere costituente e rappresentanza democratica, Editoriale Scientifica,
Napoli 2010, pp. 65-98.
Menga, F.G., Il progetto dellautonomia sociale. Castoriadis e la democrazia diretta, in Id., Potere co-
stituente e rappresentanza democratica, Editoriale Scientifica, Napoli 2010, pp. 131-164.
Profumi, E., Lautonomia possibile. Introduzione a Castoriadis, Mimesis Edizioni, Milano 2010.
53
Una bibliografia completa di e su Castoriadis, raccolta e costantemente aggiornata da D.A. Curtis,
consultabile su internet al seguente indirizzo elettronico: www.agorainternational.org (dove si troveranno i
riferimenti alle edizioni originali, e molti rimandi a siti nei quali possibile leggere online testi di e su Casto-
riadis in francese e in inglese).
569
LE IMMAGINI DELLA MERCE.
CONSIDERAZIONI SUL PENSIERO DI GUY DEBORD
Mario Pezzella
La societ delle merci
La Societ dello spettacolo
1
di Guy Debord, il suo libro pi importante, presenta una
vera e propria fenomenologia del post-moderno, che viene ricondotto ad un fenomeno
originante: la merce e il suo feticismo.
Da questo punto di vista, la societ spettacolare diffusa (la prima forma di spettacolo
distinta da Debord) non si limita a ribadire lesistente e a ripeterlo in modo coattivo e in-
cessante
2
; ma intensamente produttiva di percezioni e visioni del mondo, e muta effet-
tivamente ogni piega del corpo sociale, fino allautopercezione del corpo e allo sguardo.
Il potere non ha natura semplicemente repressiva, non si limita a confermare lesistente,
ma produce un ordine e un linguaggio, entro cui si esplica poi ogni vita possibile. La so-
ciet dello spettacolo in certo senso un orizzonte del dicibile e del visibile, che con-
diziona ogni formazione della soggettivit.
Il surrogato spettacolare mostra unimmagine invertita del mondo reale: questa
devessere tanto pi intensa, rilucente e fascinatoria, quanto pi radicale lassenza o la
negativit che si tratta di compensare. Lintensit affermativa di unimmagine spettaco-
lare direttamente proporzionale allindebolirsi della forza viva, che esso deve sostitu-
ire: Non si pu opporre astrattamente lo spettacolo e lattivit sociale effettiva (...) Lo
spettacolo che inverte il reale effettivamente prodotto. Nello stesso tempo la realt vis-
suta materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo e riproduce in se stes-
sa lordine spettacolare portandogli unadesione positiva
3
.
I fantasmi della merce occludono il vuoto affiorante nella vita, il suo smarrimento di
1
G. Debord, La societ dello spettacolo, in Commentari sulla societ dello spettacolo, SugarCo, Milano 1990.
Il volume contiene anche La societ dello spettacolo, i rimandi a tale opera si riferiscono a questa edizione.
2
Come lindustria culturale nella concezione di Adorno. Il potere come ordine del discorso, potenza
produttiva piuttosto che repressiva, al centro del pensiero di Foucault.
3
G. Debord, La societ dello spettacolo, cit., p. 87.
Mario Pezzella
570
fronte alla perdita di relazioni corporee, sessuate, emotive, e lo rendono tollerabile. Si
delinea cos una forma di immaginario che non progetta di trascendere lesistente, ma
di rovesciarlo specularmente: L dove il mondo reale si cambia in semplici immagini,
le semplici immagini divengono degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un com-
portamento ipnotico
4
. Comunque, non sarebbe esatto dire che esse confermano ci
che esiste, come le vecchie ideologie: in realt lo sostituiscono, accompagnando il suo
processo di sparizione. Per tutte queste ragioni lo spettacolo non una sovrastruttu-
ra nel tradizionale linguaggio marxista e neanche una simulazione
5
. Lo spettaco-
lo allo stesso tempo una forma dellimmaginario, una tecnica di produzione, un moto-
re della circolazione del capitale, e queste cose indissolubilmente insieme.
La legge fondamentale della societ dello spettacolo si potrebbe formulare in que-
sto modo: quanto pi lesperienza deperisce e si degrada sul piano reale, tanto pi la
sua messa in scena spettacolare ne offre un surrogato seducente e potente. A questa in-
versione fondamentale ne segue immediatamente unaltra: quanto pi un fenomeno
potenzialmente minaccioso per il potere esistente, tanto pi viene rappresentato come
effimero, contingente, gi noto. Ovunque sia possibile, occorre mostrare un universo
continuo, senza strappi, lacerazioni, fessure. Da qui poi discendono una serie di conse-
guenze, che investono per intero la percezione collettiva del mondo: quanto pi un feno-
meno perde in qualit materiale, tanto pi la sua immagine-fantasma acquista splendo-
re e luminosit; quanto pi artificiale, tanto pi deve apparire naturale e indiscutibile;
quanto pi frutto della necessit economica, tanto pi appare delegato alla libera scel-
ta dei singoli.
Passaggio dal concreto allastratto; luso dellimmagine come surrogato del concreto; la
simulazione potenziata delle qualit; in questi tre passaggi si costruisce il valore fanta-
smatico della merce, che diviene sempre pi indispensabile alla realizzazione dello stes-
so valore di scambio. La societ spettacolare il momento in cui la forma di merce rea-
lizza la colonizzazione totalitaria delle forme di vita: Lo spettacolo, compreso nella sua
totalit, nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esisten-
te. Non un supplemento del mondo reale, la sua decorazione sovrapposta. il cuore
dellirrealismo della societ reale
6
.
Le immagini dello spettacolo non sono cos arbitrarie come sembrano; esse riattiva-
no in modo tecnicizzato e manipolatorio pulsioni profonde ed arcaiche dellincon-
scio collettivo. La fantasmagoria delle merci cita e attualizza lesperienza primordiale
delle feste, dei riti, della pratica magica dellumanit e la converte al dominio del valore
di scambio: gi Benjamin aveva osservato che la festa in senso tradizionale era sostituita
dalle ricorrenze commerciali del consumo collettivo e della moda. Allo stesso modo, nel
tempo vuoto delle vacanze, che ritornano ogni anno puntuali a intervalli fissi, si con-
serva un ricordo impoverito del ciclo sacro delle civilt agrarie: Questa epoca, che mo-
4
Ibid., p. 90.
5
Cos come la intende Baudrillard, happening di maschere vuote di un soggetto inconsistente.
6
G. Debord, La societ dello spettacolo, cit., p. 86.
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
571
stra a se stessa il proprio tempo essenzialmente come un ritorno precipitoso di innume-
revoli e varie festivit, per anche unepoca senza festa
7
.
La societ dello spettacolo crea un suo tempo fittizio che ricorre parodicamente alle
forme temporali costituite in passato dalla civilt occidentale. Essa ne riprende apparen-
temente il corso e lorientamento, ma lo scandisce al ritmo della circolazione delle mer-
ci. quanto avviene, in primo luogo, col tempo lineare, esperito dai dominatori e dalle
lite egemoni della storia: per questi padroni del tempo esisteva il futuro, o la potenza
del progetto, che dal fondamento del passato si slanciava verso un fine e unapertura
e un mutamento della situazione presente: I possessori della storia hanno introdotto nel
tempo un senso: una direzione che anche un significato
8
. il tempo dei Signori, pro-
gettuale e aperto, che nega il dato immediato e trascende il passato.
Accanto al tempo dei Signori, scorreva tuttavia quello dei Servi: ciclico, con caden-
ze segnate dalla sacralit del cosmo, eternamente indifferente rispetto alla novit e alla
crea zione della storia: sempre uguale ritorno di feste e celebrazioni connesse al ritmo
delle stagioni, alle fasi collettive e ricorrenti della vita. Il tempo del ritorno si oppone a
quello del progetto.
Si potrebbe discutere a lungo sulla superiorit delluna forma di tempo sullaltra.
proprio giustificata la preferenza esclusiva di Debord per il tempo progettuale? Il suo
progresso cos indiscutibile? E il tempo ciclico davvero cos uniformemente op-
pressivo? Ma lasciando in sospeso queste domande, comunque innegabile che la so-
ciet dello spettacolo fornisce una versione fittizia a entrambe le forme vissute del tem-
po. Il tempo lineare non pi quello dellazione storica creativa, ma si dilunga in uno
sviluppo indefinito, interamente quantificato ed economico. in esso che si misura lin-
cremento delle quote di profitto, da un periodo allaltro, senzaltro senso o direzione,
che quello dellaccumulazione. Il tempo ciclico domina invece nella circolazione delle
merci, nelle sue pseudo-feste ricorrenti si celebrano le epifanie della moda, il ritorno del
nuovo fantasma di merce, distinto nellapparenza ed eguale in essenza a quello dellan-
no precedente.
Il tempo pseudo-lineare appartiene ai detentori del potere finanziario e alla loro ma-
croeconomia di tassi e di indici; il tempo pseudo-ciclico asservisce il consumatore alle ri-
correnze dei fantasmi della moda. Entrambi interiorizzano nellesperienza temporale la
realizzazione in danaro della forma di merce: Il tempo generale del non-sviluppo uma-
no esiste altres sotto laspetto complementare di un tempo consumabile, che ritorna ver-
so la vita quotidiana della societ, a partire da questa produzione determinata, come un
tempo pseudo-ciclico (...)
9
.
Se questo il tempo del consumo, il tempo pseudolineare si riferisce alla produzio-
ne: Il tempo della produzione, il tempo-merce, unaccumulazione infinita di intervalli
equivalenti. linversione completa del tempo. Entrambe le forme costituiscono la
temporalit dello spettacolo, che in effetti la falsa coscienza del tempo
10
. A differen-
07
Ibid., p. 190.
08
Ibid., p. 173.
09
Ibid., p. 187.
10
Ibid., p. 192.
Mario Pezzella
572
za della sua forma tradizionale, il tempo pseudo-lineare privo di fine; e reciprocamen-
te quello pseudo-ciclico manca del riferimento allorigine, da cui scaturiva il suo model-
lo classico. Annullati gli orientamenti del senso, che provenivano dalle idee dellorigine e
della fine, il tempo spettacolare scorre in una scansione puramente immananente, mero
strumento di misura economica, omogeneo e vuoto
11
.
Nella societ dello spettacolo si riduce il tempo di lavoro necessario per la produzione
di ogni singola merce e si dilata a dismisura quello dedicato alla sua circolazione (pub-
blicit, esposizione, gadget, servizi, ecc.): aumenta, pi che proporzionalmente, quello
indispensabile alla produzione della sua immagine. Ma la costituzione di una simile co-
stellazione immaginaria richiede una mobilitazione generale e permanente della vita, da
cui non risparmiato il tempo libero (che sia quello dedicato alle vacanze, alla televi-
sione o al cinema). Ci vuole meno tempo per produrre una merce e assai di pi per pro-
porla, farne una moda, assicurarsi della sua vendibilit, farla sparire e sostituirla: e infi-
ne per trattare limmensa quantit di spazzatura che ne deriva
12
.
Molto tempo di lavoro necessario dedicato alla produzione del bisogno quasi in-
teramente artificiale a cui limmagine di merce pretende di corrispondere: questo incre-
mento indefinito, questa sollecitazione continua, pu realizzarsi solo facendo ricorso in
modo massiccio ad archetipi mitici e pulsioni inconsce. Cos ad esempio la pubblicit
dei prodotti per linfanzia accompagnata dalle pi vivide immagini di Madre, che non
hanno nulla a che vedere con la qualit dei pannolini o dei biscotti. Ma in tal modo lac-
quisto di quella merce si associa alla devozione e alla protezione dellarchetipo materno.
Insieme al biscotto compro in realt una carezza di madre, il calore protettivo general-
mente assente dalla vita alienata.
Il deposito mitico dellumanit continuamente sollecitato e riattualizzato dalle im-
magini di merce, ma in forma depotenziata; limmagine psichica ridestata non agisce,
non viene proiettata nella dinamica di relazioni viventi, non crea conflitto (e profondit
psichica): si coagula e si dissolve nellatto astratto dellacquisto e del consumo.
Col realizzarsi del dominio reale del capitale, non c ambito della vita che rimanga
del tutto autonomo rispetto al mondo delle merci: perfino le relazioni damore si svolgo-
no secondo codici e riti preformati dalle esigenze superiori della merce e della sua con-
versione in danaro. Da Natale a San Valentino tutto un fiorire di buoni sentimenti, ine-
sprimibili in altro modo se non ricorrendo allacquisto e alla vendita. La realizzazione di
certe merci diventa cos simbolo damore, la manifestazione erotica si mescola alla prati-
11
La storia diviene solo un magazzino, un deposito di eventi, personaggi, stili, da cui estrarre materiale
depositato e accumulato, per ricostruire a proprio piacimento il volto sia del passato che della propria contem-
poraneit (R. Finelli, Alcune tesi su capitalismo, marxismo e postmodernit, in L. Cillario, R. Finelli (a cura
di), Capitalismo e conoscenza. Lastrazione del lavoro nellera telematica, manifestolibri, Roma 1998, p. 20).
12
Questultimo tema al centro del grande romanzo di D. De Lillo Underworld, Einaudi, Torino 1999: non
solo uno dei personaggi principali un imprenditore nel ramo dello smaltimento dei rifiuti, ma limmensa
quantit di detriti e cascami che provengono dal mondo delle merci, una volta conclusa la loro circolazione
domina ossessivamente il romanzo. Se in Rumore bianco il tema decisivo lepifania abbagliante e seducente
della merce, in Underworld si scopre il velo della merce come rovina: Dice che limmondizia la gemella del
diavolo. Perch limmondizia la storia segreta, la storia che sta sotto, il modo in cui larcheologo dissotterra
la storia delle culture precedenti (...) (p. 841).
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
573
ca dello scambio e la passione stessa indissociabile dalla circolazione monetaria. La ge-
nerosit del dono si perverte in atto di consumo.
Alla fine di questo processo, il segno stesso, il marchio della merce, che si carica
di arcani richiami e profferte e seduzioni, quasi un fantasma abbreviato, che caduto il
lenzuolo si sia ridotto a uno spolverio di scintille: Il linguaggio dello spettacolo co-
stituito da segni della produzione imperante, che sono allo stesso tempo la finalit ulti-
ma di questa produzione
13
.
Luniverso linguistico, non meno di quello sentimentale e affettivo, penetrato dal-
la forma di merce. La produzione spettacolare riprende per suo conto le forme e gli sti-
li che ricordano il passato storico dellumanit. Lo spettacolo, in senso stretto, non ne
inventa di nuovi ma ricorre al pi vario campionario di simboli, miti e qualit materia-
li del passato: solo che essi riappaiono come pure apparenze della forma di merce. Per
lo pi lo spettacolo si limita a invertire il senso di ci che gi stato, senza creare nul-
la di nuovo.
Le guglie gotiche della grande cattedrale, sotto cui nella pubblicit si arresta soli-
taria lultima vettura di una casa produttrice francese, non rinviano pi allo slancio ver-
ticale verso il cielo o allinattingibile trascendenza di Dio: sono solo un segno che allu-
de alla potenza narcisistica del ricco guidatore in grado di comparare lauto. Il vero
un momento del falso
14
: in questa frase, che rovescia unaffermazione celebre di He-
gel, bisogna intendere la verit in una dimensione storicamente concreta. Vera la qua-
lit simbolica e materiale di unesperienza, non asservita e non subordinata alla forma
di merce, come quella dei grandi costruttori di cattedrali: in essa la falsit del potere
mondano veniva integrata e oltrepassata dallo spirito che dominava la costruzione. Ora
invece quella stessa qualit viene ripresa e finalizzata alla commercializzazione e alla ven-
dita di un feticcio narcisista, diviene un momento subordinato alla produzione del fal-
so, e la sua verit viene dunque invertita. Lo spirito in generale, in tutte le sue scansioni
storiche, viene scimmiottato dalla moda e realmente rovesciato, cio finalizzato alla pro-
duzione dellapparenza di merce.
La sovrapposizione postmoderna degli stili rende larte omogenea al consumo, la tra-
sforma in una rassegna dei ricordi
15
. Daltra parte, anche larte cosiddetta davan-
guardia si limita a significare negazione e autonegazione e questo il suo unico merito:
o precipita anchessa nel consumo o si risolve in una pratica rivoluzionaria che di per
s non ha pi niente a che fare con una attivit artistica autonoma o separata: Si trat-
ta di possedere effettivamente la comunit del dialogo e il gioco con il tempo, che sono
stati rappresentati dallopera poetico-artistica
16
.
Limmagine spettacolare distrugge lantica dialettica di quella artistica: essa non rin-
via pi a qualcosa che non e potrebbe essere, non ha pi alcun potere di trascendi-
mento del dato. Non rimanda pi a qualcosa di assente, lo sostituisce. Essa determina
13
G. Debord, La societ dello spettacolo, cit., p. 87.
14
Ibid., p. 49.
15
Ibid., p. 212.
16
Ibid., p. 210.
Mario Pezzella
574
cos latrofia di quello scarto tra presenza e assenza, tra attualit e possibilit, tra neces-
sit e libert, che caratterizzava lattivit simbolica e in particolare quella dellarte. Lim-
magine simbolica rinviava oltre il proprio limite, verso ci che la trascendeva nel tempo
e dello spazio; quella spettacolare non rimanda a nulla, se non alla sorda insistenza del-
lo spettacolo stesso:
Colui che colleziona i portachiavi appena fabbricati proprio per essere collezionati accumula
le indulgenze della merce, un segno glorioso della propria presenza reale tra i suoi fedeli (...)
Come nei rapimenti dei convulsionari o dei miracolati del vecchio feticismo religioso, il fetici-
smo della merce raggiunge dei momenti di eccitazione fervente
17
.
In apparenza, lo spettacolo il luogo dellerotismo persistente e disinibito, ove la for-
ma di merce si produce in inesauribili esibizioni. Niente sembra pi lontano dello spet-
tacolo dalla repressione autoritaria e patriarcale, ma niente anche pi distante dal de-
siderio rivolto ad un partner vivo, in carne ed ossa. Nella sfera sessuale si afferma quel
predominio della vista su ogni altro senso, che caratterizza in generale la forma percet-
tiva dello spettatore:
Lo spettacolo come tendenza a far vedere per il tramite di diverse mediazioni specializzate il
mondo che non pi direttamente coglibile, trova naturalmente nella vista il senso umano
privilegiato che in altre epoche fu il tatto; il senso pi astratto, e pi mistificabile, corrisponde
allastrazione generalizzata della societ attuale
18
.
Il predominio della contemplazione passiva pi che mai evidente nellerotizzazione
delle immagini di merce: la pubblicit seduttiva associata allultimo articolo alla moda
suscita il desiderio e allo stesso tempo lo perverte, dirigendolo sulloggetto esposto; re-
ciprocamente, lacquisto e il consumo delloggetto assumono una valenza sostitutiva
dellatto sessuale. Ogni merce allude al feticismo sessuale, che i particolari anatomici o
gli indumenti esibivano per il feticista patologico studiato da Freud: occlusione e diffe-
rimento di un vuoto, rinvio indefinito del rapporto con laltro, rifiuto e sostituzione del-
la fase genitale.
La stessa perversione tuttavia vissuta in una sfera spersonalizzata e del tutto im-
maginaria: la sessualit spettacolare ammicca continuamente allimmagine, un eterno
possibile, che mai diventa atto, una promessa che non verr mantenuta. Questa conti-
nua sollecitazione metaforica tuttavia esposta al rischio patologico di essere presa alla
lettera; come nel film Nashville di Robert Altman, limmaginazione spettacolare si rove-
scia allora improvvisamente in un abisso patologico, in esplosioni di follia e violenza, che
nulla lasciava presagire. Ma questo furore irrelato non fa in realt che attuare nellimme-
diatezza la perversione metaforica e per cos dire normale del desiderio verso luni-
verso dei feticci.
Come il danaro la potenza pura di ogni soddisfacimento possibile, cos la sessuali-
t passiva e visiva associata alla merce contiene in potenza tutti i godimenti immaginabi-
17
Ibid., p. 121.
18
Ibid., p. 90.
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
575
li: il mondo delle merci induce a mantenersi in questa potenzialit immaginaria, ripete
ogni volta latto magico che sostituisce latto sessuale con quello incorporeo dellacqui-
sto. Questa tensione allimmaginario cos pervasiva, che anche la donna o luomo reali
vengono infine trattati come se fossero immagini; fino alleccesso in cui divengono vio-
labili, come fossero i fantasmi insensibili della pubblicit e della pornografia. Ma anche
senza giungere a questi estremi, lattrazione sessuale verso un essere reale condiziona-
ta dal suo aderire e mostrare in s larchetipo della moda. Si produce cos questa inver-
sione: che il corpo reale stesso a divenire allegoria dellimmagine di merce, metafora di
una metafora, seguito spettrale che pi non rinvia ad altro significato.
La critica di Debord muove contro il presupposto di ogni forma di societ spettacola-
re: la separazione. In Marx essa era il fondamento della produzione capitalistica: Con
la separazione generalizzata del lavoratore e del suo prodotto, si perde ogni punto di
vista unitario sullattivit compiuta, come ogni comunicazione personale diretta fra i
produttori
19
.
La societ spettacolare maschera la dissimmetria dei rapporti di potere. Lo spetta-
colo esibisce lunitariet di tutti e di ciascuno, leguaglianza di fronte alle pari opportu-
nit del diritto e del mercato (per non dire di quelle offerte fantasmagoricamente dalla
televisione o dalla pubblicit). Se la separazione tra llite dominante e i soggetti del suo
dominio si accresce sul piano reale, e cio cresce come presupposto sociale, tanto pi
lo spettacolo inverte nelle sue immagini questo stato di fatto e unifica solo fantasmago-
ricamente coloro che sono realmente sempre pi divisi, e non hanno affatto eguale po-
tere di disporre della propria vita: Lorigine dello spettacolo la perdita dellunit del
mondo, e lespansione gigantesca dello spettacolo moderno esprime la totalit di que-
sta perdita
20
.
Lo spettacolo crea un linguaggio comune, un sistema simbolico, una fantasma-
goria collettiva, fondati su una simmetria e reciprocit di rapporti, che esistono solo sul
piano della rappresentazione: e celano la dissimetria che governa ogni rapporto reale. Lo
spettacolo indispensabile perch la separazione reale sia tollerabile e possa espandersi
ulteriormente. Lunit astratta del capitalismo approfondisce la distanza tra gli individui,
la loro scissione dal proprio stesso corpo e dalla propria vita psichica, la sempre minore
autonomia di ogni singolo. Sono unificato quanto pi sono identico al mio essere cosa;
sono separato quanto meno possiedo un essere-in-comune con gli altri. Sono unificato
in quanto funzione, sono separato in quanto singolarit esistente: Lo spettacolo non
19
Ibid., p. 94. Cfr.: (...) Il punto di partenza della societ capitalistica sono la separatezza e lasimmetria: la
separatezza dei produttori dai mezzi di produzione (...) e la separatezza del singolo da ogni nesso comunitario
interpersonale (...) (R. Finelli, Astrazione e dialettica dal romanticismo al capitalismo, Bulzoni, Roma 1987,
p. 198). La tesi di fondo di Marx sul rapporto diacronia-sincronia che lo svolgimento e la maturazione del
rapporto capitalistico di produzione ha come filo rosso lapprofondimento costante della separatezza. Dalla
separazione originaria che oppone i lavoratori ai mezzi di produzione si giunge alla separazione del lavoratore
dalla propria prassi lavorativa, per continuare sulla via di una sempre pi intensa astrazione qualitativa nel
processo di uso della forza-lavoro (ibid., 158).
20
G. Debord, La societ dello spettacolo, cit., p. 96.
Mario Pezzella
576
che il linguaggio comune di questa separazione. Ci che avvicina gli spettatori non che
un rapporto irreversibile al centro stesso che mantiene il loro isolamento
21
.
Se dunque la separazione il presupposto economico del dominio, lo spettacolo ne
estende il principio e linfluenza ad ogni ambito della vita sociale, intellettuale, psichica,
e ne fa una forma di soggettivit. La soggettivit apparentemente unitaria: ma in realt
scissa in una frammentazione di comportamenti incompatibili. Realizzo un simulacro
di identit, per identificazioni successive alle vedettes che si alternano nel primo piano
della scena televisiva o politica; ma in nessuna di esse vivo la mia autonomia persona-
le, le occasioni concrete di disporre di me stesso, il progetto che inerisce alla mia situa-
zione: piuttosto abdico a ogni possibilit autonoma e mi consegno al modello estraneo
e trascendente, in cui mi delego e mi abolisco. Tale trascendenza del modello spettaco-
lare costituisce una sorta di caricatura del sacro e dellal di l religioso; la mia finitudi-
ne concreta non trascesa verso lalterit del divino, ma verso una personificazione alie-
nata della vita.
Cos la vita pi terrena che diviene opaca e irrespirabile. Essa non respinge pi nel cielo,
ma alberga presso di s il suo ripudio assoluto, il suo ingannevole paradiso. Lo spettacolo la
realizzazione tecnica dellesilio dei poteri umani in un al di l; la scissione compiuta allinterno
delluomo
22
.
Unulteriore scissione che lo spettacolo deve riuscire a contenere e gestire quella tra il
permesso e il possibile. Se le forme di godimento e di consumo sono rappresentate come
possibili ed eventuali per tutti, la separazione di fondo della societ permette che la loro
realizzazione pratica possa avvenire solo per pochi e in modo ristretto. Questa caratteri-
stica si accentua nello spettacolare integrato, di cui parleremo pi oltre, ove la distinzio-
ne tra le lite del potere e la moltitudine condannata alla precariet non fa che intensi-
ficarsi. Lo spettacolo forgia un linguaggio comune, ma questo non fa che articolare e
rendere sempre pi accettabile la separazione reale: Lo spettacolo riunisce il separato,
ma lo riunisce in quanto separato
23
.
Come afferma la densissima tesi 54, lo spettacolo edifica la sua unit sulla lacera-
zione. La contraddizione, che sta alla base del modo di produzione capitalista, non
espressa o resa visibile dal linguaggio, al contrario, viene occultata, contraddetta e ad-
dirittura rovesciata. Eppure, e almeno in apparenza e soprattutto nello spettacolare in-
tegrato, non ci sono forse opposizioni, contrasti, conflitti, che emergono nelluniverso
politico e spettacolare? Non ci sono litigi, baruffe, e pubbliche offese tra le vdettes del
momento? Il fatto che nessuna di queste opposizioni si riferisce alla scissione prima-
ria, ma la stempera in distinzioni di secondo piano, come avviene per lo pi nella logica
binaria e superficiale dei sondaggi. La divisione mostrata unitaria, perch i conten-
denti sono daccordo nel non porre in questione le regole del linguaggio che condivido-
no, ma solo le sue varianti accettate. Daltra parte, questa unit esibita non pu impedi-
21
Ibidem.
22
Ibid., p. 91.
23
Ibid., p. 96.
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
577
re che si approfondiscano solchi e lacerazioni reali: Lunit mostrata divisa; unit
solo allinterno di una fantasmagoria estetizzante.
La societ autoritaria
Lo spettacolare concentrato la seconda forma di societ dello spettacolo distinta da
Debord. In essa, ritroviamo i fenomeni di inversione del reale, di fascinazione ipnotica,
di seduzione generalizzata, che caratterizzano lo spettacolare diffuso: essi tuttavia non
sono pi associati direttamente alla forma di merce, ma alle strutture e alle personifica-
zioni di un potere politico totalitario.
Il potere concentrato che Debord maggiormente considera nella Societ dello spet-
tacolo quello burocratico del socialismo reale. Esso realizza il monopolio statale
della rappresentazione, che non dunque pi diluita molecolarmente nel mondo dif-
fuso della merce, ma si condensa in una trasfigurazione fantasmagorica del potere po-
litico. Questo si concentra in un partito, che non ha pi nulla di rivoluzionario, ma in
realt una lite dominante, e riunisce i proprietari del proletariato, che eliminavano per
lessenziale le forme precedenti di propriet
24
.
Se la forma di merce sembra passare in secondo piano, come in genere la sfera visi-
bile della circolazione e del consumo, resta per in vigore la separazione originaria tra i
proprietari dei mezzi di produzione e la forza lavoro asservita ad essi. Questa non viene
liberata dalla sua condizione di alienazione, di astrazione, ma viene pi che mai utilizza-
ta per la produzione di valore e di plusvalore e subordinata al processo macchinico. Il
capitalismo di stato staliniano rivela la realt ultima della burocrazia: essa la conti-
nuazione del potere delleconomia, il salvataggio dellessenziale della societ mercantile,
che mantiene il lavoro-merce
25
.
Nata in condizioni particolari di sottosviluppo economico, per sostenere la compe-
tizione con le altre potenze imperialiste mondiali, questa forma politica un primitivi-
smo locale dello spettacolo
26
, che non trasforma materialmente la societ e i rapporti
intersoggettivi, ma solo la loro rappresentazione. In altra forma, anchessa caratteriz-
zata dallinversione: quanto pi una classe dominante esiste e detiene un potere totale,
tanto pi essa appare dissolta nella comunit collettiva dello Stato. La burocrazia si af-
ferma come classe invisibile
27
, entro una simulazione spettacolare in cui non esiste-
rebbero pi classi.
Ci determina una ipocrisia oggettiva, che divide ogni coscienza tra il rapporto
rea le di subordinazione e la messa in scena delluguaglianza assoluta. Il terrore, nella sua
versione staliniana, nasce da questa dissimetria o ambiguit insolubile tra la non dicibi-
lit e linvisibilit del potere e la sua affermazione reale. Non solo il linguaggio politico,
ma ogni linguaggio in generale viene dunque colpito da una doppiezza che pu essere ri-
24
Ibid., p. 147.
25
Ibid., p. 149.
26
Ibid., p. 150.
27
Ibid., p. 151.
Mario Pezzella
578
solta e dissolta solo con la violenza. Chi chiede diritti in nome dei principi proclamati
pubblicamente, pu essere solo la vittima della contraddizione che esiste tra questi e le
regole concrete della dominazione. Non ha capito o non ha accettato la menzogna costi-
tutiva, che determina ogni piega della vita sociale: la propriet reale della burocrazia
dissimulata, ed essa non divenuta proprietaria che per via della falsa coscienza
28
.
Questa scissione menzognera tra la rappresentazione e la realt, pu sopravvivere
solo grazie al terrore e alla sua condensazione mitica su una personalit unica: Solo nel-
la persona di Stalin gli atomi burocratici trovano lessenza comune del loro diritto. Stalin
il signore del mondo che in tal modo si sa come la persona assoluta, per la cui coscienza
non esiste spirito pi alto
29
. Solo la dittatura e il terrore possono eliminare senza giu-
stificazione chi in nome dei principi rivoluzionari si oppone al potere indicibile della
classe burocratica, al suo proliferare nellombra e nelloscurit di ogni spazio pubblico.
A un secondo modello dello spettacolare concentrato, quello fascista, Debord dedi-
ca ununica importante tesi. Il fascismo lo stato dassedio nella societ capitalista
30
,
quando questa per mantenersi non pu pi ricorrere solo alle forme consuete
dellalienazione economica e richiede il sostegno di un apparato politico totalitario. Se
per alcuni aspetti (la concentrazione personale del potere, lo sviluppo di una classe bu-
rocratica, il terrore) pare simile al primo modello di spettacolare concentrato, esso pre-
senta tuttavia un elemento caratteristico:
Esso si d per quello che : una resurrezione violenta del mito, che esige la partecipazione a
una comunit definita da pseudo-valori arcaici: la razza, il sangue, il capo. Il fascismo larcai-
smo tecnicamente equipaggiato. Il surrogato decomposto del mito che esso presenta ripreso
nel contesto spettacolare dei mezzi di condizionamento e dillusione pi moderni
31
.
Se il totalitarismo staliniano si presenta pi direttamente come accumulazione originaria
e dominio sfrenato della tecnica, il fascismo pretende di dare ad essi una giustificazio-
ne mitico-arcaica. Entrambi si iscrivono in quel processo complessivo che Adorno- Hor-
kheimer hanno definito come dialettica dellilluminismo: e cio il rovesciarsi della ra-
zionalit liberatrice della tecnica in forme di dominazione totale. Se per la mitologia
staliniana si incarna nel progresso delle forze produttive, nella sua materialit irresisti-
bile e nel suo sbocco in una societ senza classi, quella nazista rievoca il mito nel suo
strato biologico e archetipico, come una sorta di fondo primario e destinale della tecni-
ca stessa.
Quando Debord scrive nel 1988 i Commentari alla societ dello spettacolo, le aspettative
rivoluzionarie di cui colmo ad esempio un testo del 1972, Internazionale situazio-
28
Ibidem.
29
Ibid., p. 152.
30
Ibid., p. 153.
31
Ibid., p. 154, Lo stato sovietico voleva sviluppare leconomia, al prezzo di spaventose ferite inferte al
corpo sociale; il nazismo voleva rimodellare lumanit imponendo il dominio di una razza di signori. La
differenza importante e si iscrive in fondo nella loro relazione antinomica alla tradizione dellIlluminismo.
Cfr. E. Traverso, Introduction. Le totalitarisme, jalons pour lhistoire dun dbat, in Le totalitarisme, Seuil, Paris
2001, p. 96.
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
579
nista. La vera scissione, sono crudamente disattese. Debord deve giustificare il fallimen-
to delle sue precedenti previsioni: lo spettacolare diffuso e quello concentrato sono ef-
fettivamente entrati in uno stato di crisi e di precariet, ma il risultato non stato quello
sperato. Il capitalismo si rinnovato, creando un nuovo modello di spettacolo, caratte-
rizzato da un inedito connubio delle forme precedenti, lo spettacolare integrato: Suc-
cessivamente si costituita una terza forma, attraverso la combinazione ragionata delle
due precedenti, e sulla base generale di una vittoria di quella che si era mostrata pi for-
te, la forma diffusa
32
.
Certo, nello spettacolare integrato la forma di merce mantiene la sua preminenza vi-
sibile: ma rappresentazioni fondamentalistiche, etniche, razziste vengono a coesistere
col suo feticismo fantasmatico. Se il nazismo cercava di coniugare la tecnica e il mito, lo
spettacolare integrato tenta di articolare insieme lessere della merce, e forme arcaiche
e ormai puramente illusorie di appartenenza. Se effettivamente le diverse identit che
hanno segnato la tragicommedia della storia universale stanno esposte e raccolte in una
fantasmagorica vacuit, appare invece come possibile la loro rinascita: come se le socie-
t capitalistiche occidentali potessero nuovamente riconoscersi in un nucleo identitario
roccioso e irreversibile.
Quanto pi il dominio finanziario e astratto della forma di merce produce disappar-
tenenze, lacerazioni, crisi di identit, tanto meno lo spettacolare diffuso in grado di
contenere i conflitti che sorgono al suo interno o ai suoi margini, nelle aree povere del
mondo; il surplus di violenza e controllo, ormai indispensabile, viene allora affidato alle
vecchie forme dello spettacolare concentrato.
In una certa misura, liperappartenenza mitica caratteristica dei regimi fascisti vie-
ne ora riproposta e aggiornata. Quanto pi la diffusione della forma di merce dissolve
le radici stesse dellesistenza individuale, tanto pi viene a questa offerta la consolazio-
ne dellabbandono di s e della fusione: nella micropatria etnica, in corpi militarizzati,
in sette di ogni tipo, nellodio comune contro i nemici, che turbano la felicit possibi-
le dellordine spettacolare.
Lo spettacolare integrato non letteralmente una forma di totalitarismo. Lidentifi-
cazione mistica col capo si decentra in quella coi personaggi eminenti imposti dalla
macchina spettacolare (eroi, politici, guitti, ballerine, papi o calciatori). Tuttavia, al po-
tere spettacolare diffuso si affiancano ora organi di decisione concentrata, capaci di ge-
stire unemergenza dichiarata o luso aperto della violenza.
Il regime democratico viene integrato da centri decisionali ufficiosi, servizi e associa-
zioni parallele, che si diffondono in una molteplicit frammentata. Questa attivit in om-
bra affianca la celebrazione pubblica dello spettacolo. Essa si dispone accanto alle isti-
tuzioni, alle leggi e agli ordini professionali visibili. Lapparato giuridico e istituzionale
resta apparentemente intatto: ma le decisioni spettano effettivamente al potere concen-
trato che agisce parallelamente.
Non si tratta solo di interventi clamorosi e violenti orchestrati dai servizi segreti de-
viati, ma anche di misure che riguardano lordinaria quotidianit. I concorsi pubblici
32
G. Debord, Commentari sulla societ dello spettacolo, cit., p. 16.
Mario Pezzella
580
sono sostituiti da riunioni preliminari ufficiose; la libert di stampa viene controllata pri-
ma di ogni censura da comitati editoriali che scelgono i giornalisti affidabili; molti rea-
ti finanziari sono di fatto depenalizzati, anche se le leggi che dovrebbero punirli restano
ufficialmente in vigore. Questo processo determina la divergenza sistematica tra la rego-
la pubblicamente ammessa e il centro decisionale occulto: cinismo, ipocrisia oggettiva,
menzogna, divengono comportamenti sociali indispensabili per orientarsi in questa sor-
ta di doppio comando sociale permanente. Nei Commentari, Debord indica la P2 italia-
na e le sue diramazioni come il prototipo sperimentale di un simile sistema di comando.
Chi resta legato ingenuamente allapparenza pubblica dello spettacolo (e, per esempio,
si oppone a una decisione di fatto in nome di una norma del diritto) viene piegato, com-
prato, intimidito e in casi estremi eliminato
33
.
La mafia diviene secondo Debord un modello attuale di funzionamento associa-
tivo segreto: non dunque una sopravvivenza arcaica, ma un organismo a pieno titolo esi-
stente entro lo spettacolare integrato. Il suo modello seguito dai centri decisionali
che ormai sostituiscono i poteri formali dello Stato:
La mafia trova dappertutto le condizioni migliori sul terreno della societ moderna. La sua
crescita rapida quanto quella degli altri prodotti del lavoro col quale la societ dello spetta-
colare integrato plasma il suo mondo. La mafia aumenta con gli enormi progressi del compu-
ter e dellalimentazione industriale, della ricostruzione urbana integrale e delle bidonville, dei
servizi speciali e dellanalfabetismo
34
.
I poteri paralleli e i servizi segreti proliferano comunque in una molteplicit caotica,
producendo eventi altrimenti inspiegabili (aerei che scoppiano misteriosamente in volo,
incidenti ripetuti e sincronici, faide di cui non si sospetta lorigine): dopo tutto, essi non
procedono secondo un piano unificato e omogeneo, non convergono in modo piramida-
le come accadeva nello spettacolare concentrato. Se la modalit dazione e leffetto poli-
tico sono in certa misura comuni (lo svuotamento interno e sostanziale del diritto e della
democrazia), i diversi centri decisionali possono eventualmente contraddirsi e confligge-
re: La direzione della sorveglianza e della manipolazione non unificata. Infatti si lot-
ta ovunque per la spartizione dei profitti; e quindi anche per lo sviluppo prioritario di
una data virtualit della societ esistente, a scapito di tutte le altre virtualit che pure, a
patto che siano dello stesso stampo, sono reputate anchesse rispettabili
35
. A patto cio
che nessuna di esse metta in discussione il regime spettacolare integrato e tutte mirino
a confermarlo.
Come nel romanzo Libra, che Don De Lillo ha dedicato allomicidio di Kennedy,
ognuno spia, cospira, uccide, senza sapere esattamente cosa stia facendo un altro ser-
vizio in quel momento. Del resto, anche durante il nazismo, associazioni e servizi agi-
vano spesso in continua e sorda concorrenza; limportante laccettazione del gioco
33
Lo stesso programma della P2 pienamente realizzato, mentre gli affiliati sono giunti alle pi alte cariche
di potere prevedeva una serie di misure precise per porre sotto controllo i settori di resistenza (televisioni,
giornali, magistrati, ecc.).
34
G. Debord, Commentari sulla societ dello spettacolo, cit., p. 61.
35
Ibid., p. 74.
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
581
complessivo che separa le lite dominatrici dalle masse democratizzate (e frodate) dallo
spettacolo: Occorre concludere che imminente e ineluttabile un ricambio nella casta
cooptata che gestisce il dominio e in particolare dirige la protezione di tale dominio. In
tale campo, ovviamente, la novit non sar mai esibita sulla scena dello spettacolo
36
.
Se la decisione ora presa in organismi paralleli, il diritto pubblico agisce come una
semplice messa in scena. Perfino nel caso di reati gravi, esiste un codice ufficioso in cui
viene determinato chi pu essere imputato e per quale motivo:
Proprio in questo punto sta la profonda verit della formula, immediatamente comprensi-
bile in tutta lItalia, usata dalla mafia siciliana: Quando si hanno soldi e amici, si ride della
giustizia. Nello spettacolare integrato le leggi dormono; perch non erano state fatte per le
nuove tecniche di produzione, e perch sono stravolte nella distribuzione da intese di nuovo
genere
37
.
Se non ha pi corso la legalit astratta, impersonale, uguale per tutti del diritto, allora
le gerarchie, i ruoli, le funzioni devono essere attribuiti su base diversa. Prevale cos la
cooptazione e laffiliazione diretta entro gli organismi paralleli, e cio un sistema di di-
pendenza personale che tuttavia non proclamato pubblicamente, che ha le sue rego-
le e i suoi codici non scritti: la cui semplice conoscenza gi un segno di familiarit e di
possibile accettazione entro le lite del potere. Queste regole a loro modo inflessibili
segnano il tramonto della legge scritta che, almeno in teoria, veniva considerata una
delle maggiori conquiste della democrazia occidentale: Si tratta in ultima analisi dello
sviluppo particolare scelto dalleconomia del nostro tempo, che arriva a imporre ovun-
que la formazione di nuovi legami personali di dipendenza e di protezione
38
.
Nel sistema giuridico classico lo stato demergenza permetteva il ricorso alla dittatura e
la sospensione del diritto abituale; nello spettacolare integrato emergenze simulate e in-
gigantite con tutti i mezzi mediatici divengono una pratica alternativa e ricorrente della
democrazia: I procedimenti demergenza diventano cos procedure di sempre
39
.
Abbiamo visto come nella societ spettacolare diffusa pienamente realizzata il ca-
pitale si presentasse come totalit astratta o dominio reale dellastrazione, dissolven-
do i precedenti rapporti di dipendenza personale e di servit concreta. Questo dominio
astratto delleconomia e del diritto subisce tuttavia una correzione, con laffermarsi del-
lo spettacolare integrato, che ripropone rapporti di potere personali, forme di dipenden-
za servile, figure mitiche di soggettivit. In primo piano, nella scena pubblica, restano
le relazioni formali del diritto e del mercato; ma, contemporaneamente, si sovrappone
ad esse la personalizzazione dei rapporti di potere. Una decisione politica viene a so-
vrapporsi al funzionamento puro del diritto e del mercato, per gestire gli stati di emer-
genza che continuamente si riproducono ed esigono lintervento di un potere diretto e
personale. Una mistura di astrazione giuridico-economica e personalit autoritaria ca-
36
Ibid., p. 79.
37
Ibid., p. 65.
38
Ibid., p. 65.
39
Ibid., p. 72.
Mario Pezzella
582
ratterizza il regime spettacolare integrato: destinato al governo di una normalit che or-
mai non pi tale, ma una serie di stati deccezione.
Questo controllo sempre pi soffocante sulla vita, si associa per a una festa spet-
tacolare in cui non ne rimane traccia: il mondo della rappresentazione pi che mai e
sempre di pi quello della libert universale e senza limiti, promessa dallideologia della
merce. In questo senso, la societ dello spettacolo resta fedele alle sue origini e alla sua
essenza: essa fornisce un surrogato tanto pi forte, splendente e affermativo, quanto pi
manca o deperisce il suo corrispettivo reale. Tutto ci che era direttamente vissuto si
allontanato in una rappresentazione
40
: questa inversione sistematicamente praticata co-
stituisce pi che mai la legge generale dello spettacolo, in tutte le sue forme.
Societ e utopia
I situazionisti hanno accolto lidea di Fourier, secondo cui sarebbe possibile una tecni-
ca ludica, che sviluppi lo spazio-tempo della passione e del gioco, di contro a quella
asservita allideologia dello sviluppo e dellincremento produttivo: un uso inutile, an-
tieconomico, festoso della tecnica, che per non significa ritorno allo stato di natura o
allautenticit originaria. Se la razionalit strumentale animata solo dalla volont di po-
tenza
41
, la tecnica ludica mira invece alla moltiplicazione dei possibili, allintensificazio-
ne delle relazioni intersoggettive, alla distruzione dei fantasmi dello spettacolo.
Le situazioni costruite immaginate da Debord non erano dunque banali happening o
spettacoli di sons et lumires: esse dovevano convergere nel riconoscimento intersogget-
tivo dei partecipanti a una festa, articolando consapevolmente il tempo e lo spazio a tale
scopo, invece di abbandonarli alla freddezza estraniata della reificazione:
La costruzione di situazioni comincia al di l del crollo moderno della nozione di spettacolo.
facile vedere a quale punto legato allalienazione del vecchio mondo il principio stesso di
spettacolo: il non intervento. Si vede, al contrario, come le pi valide ricerche rivoluziona-
rie nella cultura hanno cercato di spezzare lidentificazione psicologica dello spettatore con
leroe, per trascinare questo spettatore allattivit (...) La situazione cos fatta per essere
vissuta dai suoi costruttori
42
.
Con un procedimento specularmente rovesciato rispetto a quello dellalienazione, gli
oggetti, gli ambienti, i ritmi temporali, dovevano sciogliersi e risolversi in relazioni tra
uomini. Il termine costruzione di situazioni va del resto preso in un senso abbastanza
letterale. Soprattutto nei primi anni di attivit dei situazionisti, larchitettura e lurbani-
stica giocano un ruolo di primo piano nelle loro speculazioni estetiche e politiche; in ef-
40
Ibid., p. 85.
41
Benjamin attribuiva alla tecnica capitalista un carattere magico. possibile che questo connubio tra
tecnica e magia sia ispirato direttamente da Jnger: riferendosi a uno scritto di Jnger, Benjamin vi vedeva
il tentativo di risolvere i misteri della natura grazie a una tecnica trasfigurata in termini mistici. Invece di
considerare la tecnica come una chiave della felicit, il fascismo tedesco la trasformava in un feticcio della
decadenza (cit. in E. Traverso (a cura di), Le totalitarisme, cit., p. 112).
42
G. Debord, uvres, Gallimard, Paris 2006, p. 325.
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
583
fetti, quasi impossibile pensare a una situazione costruita, se non in un ambiente me-
tropolitano radicalmente modificato.
La situazione costruita destinata a suscitare passione in luogo di alienazione,
emotivit in luogo di fredda astrazione, sperpero invece di funzionalit. Se Pinot-Galli-
zio si lancia in sfrenate fantasie utopico-fourieriste sulla macchina antieconomica e su-
per-poetica, Debord riassume pi sobriamente il senso dellurbanistica unitaria: Gli
urbanisti rivoluzionari non si preoccuperanno soltanto della circolazione di cose e di
uomini immobilizzati dentro un mondo di cose. Cercheranno di spezzare queste cate-
ne topologiche, sperimentando terreni per la circolazione degli uomini attraverso la vita
autentica
43
.
La teoria debordiana del linguaggio ruota intorno al concetto, difficilmente traducibi-
le, di dtournement. Il dtournement qualcosa di pi di una citazione, sia pure nel sen-
so critico ed estraniante in cui la intendeva Benjamin: lo spiazzamento di un fram-
mento della tradizione culturale dal suo contesto abituale, monumentale o retorico, la
sua estrazione dalla storia dei vincitori. Esso pu giungere fino a rovesciare o inverti-
re il senso delloriginale, rivelando in esso un significato possibile, latente o dimenticato:
un atto di rapina rivoluzionaria nel deposito della tradizione.
Il dtournement implica la scomposizione in frammenti dellopera originaria, dissol-
ve la sua totalit, la riduce a rovina: la rivelazione del perturbante nel familiare, della
storia critica in quella monumentale, del possibile in ci che era considerato necessario.
In tal senso una riappropriazione critica della storia e del linguaggio. Se la citazione
ancora rispetta almeno in apparenza il testo dorigine, il dtournement ne disloca e
ritocca gli elementi interni:
Luso del dtournement nellarchitettura come nella costruzione di situazioni, segna il reinvesti-
mento di prodotti che occorre sottrarre ai fini dellattuale organizzazione economico-sociale,
e la rottura con la preoccupazione formalista di creare astrattamente qualcosa di sconosciuto.
Si tratta di liberare dapprima i desideri esistenti e di svolgerli nelle nuove dimensioni di una
realizzazione sconosciuta
44
.
Certo, il dtournement stato oggi adottato dalla stessa pubblicit spettacolare. La pra-
tica fantasmagorica del detournement interviene sul passato e sul presente dellesperien-
za per finalizzarla alla vendita delle merci.
Contro questa pratica mercantile tuttavia possibile utilizzare un dtournement per
cos dire di secondo grado, di cui gi si trovano alcuni esempi nei film di Debord e
nella rivista Internazionale situazionista. Nel film Societ dello spettacolo, limmagi-
ne pubblicitaria viene ripresa, sospesa, ripetuta, smontata, posta in urto con la voce che
legge i passi teorici. In altre sequenze viene ripetuto un frammento di telegiornale. Nel
suo contesto originale, esso possiede la forza ottusa e asservita che ne fa uno strumento
43
G. Debord, Posizioni situazioniste sulla circolazione, Internazionale situazionista, n. 3, p. 37. Le cita-
zioni dellInternazionale situazionista si riferiscono alla traduzione italiana dei numeri della rivista, Editore
Nautilus, Torino 1994.
44
La frontiera situazionista, Internazionale situazionista, n. 5, p. 9.
Mario Pezzella
584
di comunicazione manipolata. Levento filmato appare con un effetto di realt incon-
futabile, come il vero oggettivo. Debord monta il frammento in un altro contesto filmi-
co, tra fatti alternativi, concorrenti o discordi, interrompendo e spezzando pi volte
la sequenza. Come ha osservato Giorgio Agamben
45
, il dato del telegiornale perde in
tal modo la sua assertivit: esso appare come un possibile tra altri e magari come un orri-
do possibile. Ma un possibile, per quanto terribile, si pu pur sempre modificare: men-
tre limmagine del telegiornale assumeva unautorit necessitante.
Il dtournement fa parte di una strategia di lotta nellambito del linguaggio, che va ag-
giornata continuamente, rilanciata a unulteriore potenza, come Schlegel riteneva doves-
sero fare la critica e lironia romantica rispetto alle opere darte. La critica del linguaggio
si pone in un ambito in cui lOpera come forma perenne o totalit compiuta non pi
possibile. Debord muove attacchi tattici al contingente e alleffimero, in un attimo desti-
nato a passare, in una situazione affatto alterabile. Ogni strumento critico pu essere del
resto distolto dalla sua intenzione e recuperato dal linguaggio spettacolare; lo si abbando-
ner allora senza scrupoli, trovandone un altro, adeguato alla situazione mutata. Questa
guerriglia nellambito del linguaggio, che non si fissa a nessunarma specifica, non manca
tuttavia di una strategia di largo respiro: ogni mossa contingente mira a scompaginare la se-
parazione tra immagine e significato proposta dalla macchina dello spettacolo.
La situazione costruita articola lo spazio e il tempo in funzione di un evento, destinato
a ridestare lattivit condivisa e la capacit di decisione dei partecipanti. Pu trattarsi di
situazioni teatrali, architettoniche, estetiche in senso lato; ma anche direttamente politi-
che, come le occupazioni durante il maggio 1968. Nella durata dellevento, il tempo cro-
nologico della vita economica e produttiva sospeso, a favore di un tempo vissuto e in-
tensivo, che lega gli attori allesperienza comune. Questo arresto doveva prefigurare la
sospensione rivoluzionaria del decorso storico; e rievocare lesperienza tradizionale del-
la festa indifferente alla scansione quantitativa del tempo:
La situazione non mai stata tuttavia presentata come un istante indivisibile, isolabile, nel
senso metafisico di Hume (...) ma come un momento nel movimento del tempo, momento
contenente i suoi fattori di dissoluzione, la sua negazione. Se essa pone laccento sul presente,
nella stessa misura in cui il marxismo ha potuto formulare il progetto di una societ nella
quale il presente domina il passato
46
.
C unaffinit riconoscibile tra la situazione costruita e lesperienza consiliare, che i si-
tuazionisti cercano di praticare durante il maggio francese e a cui Debord ha dedicato
alcune pagine del suo libro maggiore. Il sentimento di un rinnovarsi festoso del mondo,
45
G. Agamben, Il cinema di Guy Debord, in G. Debord, Contro il cinema, E. Ghezzi (a cura di), Il Castoro-
La Biennale di Venezia, Milano 2001, p. 105.
46
G. Debord, A proposito di alcuni errori di interpretazione, Internazionale situazionista, n. 4, p. 31. Il
passo cos continua: Questa struttura del presente che conosce la sua inevitabile scomparsa, che concorre
alla sua sostituzione, pi lontana da un presentismo di quanto non lo sia larte tradizionale, che tendeva a
trasmettere un presente ipostatizzato, estratto dalla sua realt mobile, privato del suo contenuto di passaggio.
Passo che andrebbe confrontato con quello del Frammento teologico-politico, in cui Benjamin parla del nesso
fra caducit e felicit e del nichilismo come metodo della politica mondiale.
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
585
la condivisione animata e comune della decisione, una relazione intersoggettiva allo stes-
so tempo emotiva e consapevole: questo essere-in-comune non passerebbe per la media-
zione di un potere impersonale, come quello del danaro e della merce, ma coincidereb-
be con la lacerazione intuita come un prodigio della rete dellastrazione.
La situazione costruita prefigura lesperienza consiliare, emersa nei momenti cru-
ciali delle insorgenze del Novecento e presto dissolta dal riaffermarsi del potere statale:
La loro effettiva esistenza non stata finora che un breve abbozzo
47
, ma daltra par-
te per quanti problemi pratici possa presentare il funzionamento dei Consigli ab-
bastanza chiara lintenzione centrale: cercare ovunque e con ogni mezzo di dissolvere la
separazione e lastrazione, che abbiamo visto reificare i rapporti intersoggettivi. Pi che
rivolgersi al sogno di grandi mete future o di origini ritrovate, lesperienza consiliare si
colloca decisamente nella situazione presente, nella sua articolazione di forze, nelle sue
possibilit in bilico. Si tratta di pervenire a una decisione, che liberi il possibile, conte-
nuto nellattimo presente, e passare in tal senso da una situazione subita come spettato-
ri dominati, a una situazione costruita dal convergere delle energie che ad essa parteci-
pano. La situazione subita caratterizzata da unanonimia astratta, in cui il sentimento
prevalente di fronte al mondo quello della rassegnazione al destino, dellaccettazione
della necessit, mentre la contraddizione reale resa invisibile dalle apparenze inverti-
te dello spettacolo. Lesperienza consiliare un trascendimento collettivo della situazio-
ne subita, rompe la violenza asimmetrica del rapporto tra dominati e padroni, suppone
il riconoscimento reciproco tra coloro che partecipano alla decisione.
Questo essere-in-comune non pu realizzarsi senza una localizzazione geografica speci-
fica e precisa: lurbanesimo unitario significa letteralmente la costruzione di ambienti fi-
nalizzati allincontro degli individui separati e al loro riconoscimento. Esso presuppo-
ne la reciprocit, il potere di decidere le condizioni in cui insieme vivono. La situazione
costruita un campo di forze, che trova il suo punto di applicazione in un territorio
psicogeografico preciso, nelle aggregazioni elementari di un quartiere o di un luogo di
lavoro o di lotta politica. Entro questarea decisionale, si inserisce poi una rivoluzio-
ne dei costumi e delle abitudini, linvenzione di giochi totalmente nuovi. La sosti-
tuzione del gioco al potere (come nellutopia di Fourier, gi evocata da Benjamin)
implica in realt il rovesciamento di un modello di riconoscimento intersoggettivo fon-
dato sullasimmetria e la sottomissione. Il gioco non caos e arbitrio: un ambito di re-
ciprocit in cui valgono regole stabilite e condivise in comune, entro cui la singolarit di
ognuno si libera, e al contempo trova il suo limite non arbitrario nel rapporto simmetri-
co con gli altri.
La vita di un uomo una serie di situazioni fortuite, nella loro essenza uguali luna
allaltra; la vita reificata dominata dalleterno ritorno delluguale, dalla ripetizione in-
differenziata del medesimo, in cui ogni singolarit perde la presenza a se stessa e si dile-
gua come la copia sorta da una matrice. Il vivente si perde nello spettacolo come lincre-
spatura di un sogno. Onirica diviene la sua stessa percezione fisiologica, linconsistenza
virtuale del proprio corpo. Nella situazione costruita, invece, si ha un approfondimen-
47
G. Debord, La societ dello spettacolo, cit., p. 162.
Mario Pezzella
586
to appassionato della costellazione presente, fino a sbalzare la qualit specifica che ca-
ratterizza quellattimo, nella sua irripetibilit, nellintensit emozionale che si sprigiona
in-comune dai partecipanti della situazione. La situazione fatta per essere vissuta dai
suoi costruttori: niente di pi lontano dal pubblico degli spettatori, a cui ogni reazio-
ne emotiva viene estorta dallesterno e dallestraneo.
La forma consiliare la traduzione politica di questa esperienza della pluralit e del-
la qualit del tempo, in cui la decisione riguarda la configurazione comune del mondo
presente e concreto, e allo stesso tempo la sua apertura, il trascendimento consapevole
che la muove verso unaltra situazione. Se il pensiero critico e il dtournement rivelano
la contraddizione invisibile del potere spettacolare, lesperienza consiliare sorge quan-
do essa diviene insopportabile, nel tempo di emergenza in cui necessaria una decisio-
ne che la trascenda. Certo, resta il problema della sua durata. Come pu la situazione
consiliare non essere schiacciata dalla violenza di unorganizzazione militare e partitica?
Come pu non risolversi in un nuovo Stato? La risposta a queste domande ci viene la-
sciata in eredit da coloro che hanno compiuto questo tentativo nel secolo passato, solo
punto non vinto del movimento vinto
48
. Lesperienza consiliare appare per ora come
una insorgenza di senso nel tempo del dominio.
BIOGRAFIA
Guy Debord nasce a Parigi nel 1931 ed allet di quattro anni rimane orfano di padre.
Studia a Cannes ed allet di diciotto anni ritorna a Parigi, dove scopre il surrealismo e
le avanguardie artistiche e letterarie. Si unisce al gruppo di Isidore Isou. Nel 1952 lala
radicale del lettrismo si stacca dalle posizioni del suo fondatore Isou, e Debord d vita
allInternazionale Lettrista.
Nel 1957 Debord partecipa alla fondazione dellInternazionale situazionista, che
unisce una serie di movimenti artistici europei in una critica radicale della societ capi-
talistica e dellindustria culturale. Gli strumenti individuati per superare larte borghese
sono quelli della psicogeografia, dellurbanismo unitario e del dtournement.
Nel 1967 scrive il suo saggio pi celebre, La societ dello spettacolo, che denuncia
profeticamente il processo di trasformazione dei lavoratori in consumatori operato dal
capitale.
Tra il 1952 e il 1978 Debord dirige tre lungometraggi e tre cortometraggi; viaggia
molto e visita spesso lItalia, in particolare durante gli anni di piombo, e nel 1977 ne vie-
ne espulso con laccusa di fomentare la violenza.
Muore suicida nel 1994.
48
Ibid., p. 163.
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord
587
BIBLIOGRAFIA
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Zagdanski, S., Debord ou la diffraction du temps, Gallimard, Paris 2008.
589
LAVORO DEL PENSIERO
ED ESPERIENZA DELLA LIBERT.
IPOTESI SU FOUCAULT
Mauro Bertani
Giusto per dare una nota pi o meno religiosa, direi che fra i Dieci
Comandamenti della Torah e tutti i precetti antichi e moderni,
nazionali e politici, me ne resta soltanto uno: c fin troppo
dolore in giro, vietato provocarne dellaltro. E invece, per quanto
possibile, bisogna ridurlo. Non spargere altro sale sulle ferite
aperte. In breve: Non far del male (fra parentesi, neanche a se
stessi. Se possibile)
(Amos Oz)
Il suolo da cui parlo...: Aufklrung e Rivoluzione
Michel Foucault conosceva il dolore del mondo e la sofferenza degli uomini, al punto di
farne, nella Storia della follia, il fondo insondabile dellesistenza e della storia. A fianco
di quel dolore e di quella sofferenza Foucault si battuto, quando ha cercato di smon-
tare il congegno del manicomio o quello del carcere, o si mobilitato a favore degli ope-
rai di Danzica, degli studenti tunisini, degli insorti iraniani, dei prigionieri politici spa-
gnoli o dei profughi vietnamiti, delle vittime del razzismo o degli oppositori ai regimi
militari in Brasile come in Argentina. E ovunque nel mondo vi fosse un delinquente che
insorgeva contro una punizione ingiusta, un folle che si ribellava contro un internamen-
to ingiustificato e la cancellazione dei suoi diritti, un popolo che rifiutava il regime che
lopprimeva, egli scorgeva qualcosa di decisivo: la lotta per non soccombere al silenzio
della servit. Solo non si illudeva e non voleva che si nutrisse lillusione che ci po-
tesse rendere il ribelle innocente, guarire il secondo, assicurare al terzo i domani che
cantano. Per lui non si trattava, cio, di ritenere che tali voci confuse fossero prefe-
ribili ad altre, esprimessero una qualche verit ultima, o imponessero un qualche obbli-
go di solidariet, bens di riconoscere il factum della loro esistenza, e di prestar loro
ascolto per via della loro semplice opposizione a ci che si erge contro di esse per far-
le tacere. Ovunque, cio, la soggettivit, come Foucault diceva, fa irruzione nella storia
e le conferisce il soffio della vita, occorre essere desti, pronti ed attenti a scorgerne
non solo i segni prognostici, come la sentinella kafkiana, ma anche quelli diagnostici.
Poich non conta soprattutto quello che essa annuncia, bens quello che essa provoca sul
piano della wirkliche Historie
1
; non il progresso o levoluzione che essa rende possibile,
1
La storia effettiva di cui parlava Nietzsche, come osserva Foucault, non che uno degli altri nomi della
genealogia, ovvero una storia e un uso della storia che si oppone al dispiegamento metastorico dei signi-
ficati ideali e delle indefinite teleologie, alla ricerca dellorigine e del fondamento, per sostituirvi lindagine
sulla provenienza e dellemergenza delle forze, sullapparizione dellevento, e infine sulla nostra volont,
indefinitamente dispiegata, di sapere (cfr. Nietzsche, la genealogia, la storia, in Il discorso, la storia, la verit.
Interventi 1969-1984, Einaudi, Torino 2001, pp. 43-64).
Mauro Bertani
590
bens la forma che essa contribuisce a darle, e precisamente quella dellaffrontamento in-
cessante, della lotta interminabile, dellapertura indecidibile, del sollevamento. E tutto
questo senza alcuna deduzione trascendentale n dalla dottrina degli elementi lar-
cheologia n da quella del metodo la genealogia. Fa parte, piuttosto, dellordine
dellevento, ovvero di ci che non deducibile in linea retta e rigorosa da una teo-
ria per quanto possa pretendersi vera. Appartiene, cio, alla dimensione delletica.
Il pensiero di Foucault si dispiegato infatti, fin dallinizio, allinterno di uno spazio cri-
tico definito da quella che rester fino alla fine, per lui, la problematica kantiana essen-
ziale, ma non nel senso del progetto trascendentale di fondazione a priori della possibi-
lit della conoscenza, bens piuttosto in quello della relazione e dellappartenenza
reciproca della libert e della verit, e pi precisamente di una libert pericolosa che
correla al lavoro della verit la possibilit dellerrore, facendo per cos sfuggire alla
sfera delle determinazioni il rapporto con la verit, come scriveva gi nella sua tesi com-
plementare sullAnthropologie in pragmatischer Hinsicht
2
. Si apre cos, egli riteneva, la
possibilit ulteriore di articolare una analisi di ci che lhomo natura su di una defi-
nizione delluomo inteso come soggetto di libert, alla condizione, beninteso, di non
considerarlo soggetto puro di libert, bens soggetto preso allinterno delle sintesi
gi operate del suo legame col mondo. Mostrando lo spazio di gioco della libert, in
un movimento che interroga il soggetto su se stesso, sui suoi limiti, e su ci che esso au-
torizza nel sapere che si acquisisce su di lui, si schiuderebbe cos la possibilit di descri-
vere non tanto quel che luomo , bens ci che egli pu fare di se stesso, la possibili-
t di cominciare a decifrare il legame della verit e della libert attraverso il lavoro ed i
pericoli della Kunst
3
. Kant costituisce dunque da subito, agli occhi di Foucault, il pen-
satore essenziale, anche e forse proprio nella sua essenziale ambivalenza e nellanfibolo-
gia che caratterizza larchitettonica del suo pensiero, in cui lempirico e il trascendenta-
le si trovano entrambi implicati. Kant infatti colui il quale dir nel 1983 in uno dei
suoi corsi al Collge nei testi brevi sullidea di razza umana, sul cosmopolitismo,
sullimpiego dei principi teleologici nella filosofia, ha inaugurato un nuovo campo di ri-
flessione filosofica, ponendo una questione che concerne la storia, o meglio ancora la
questione della storia, nella forma di una interrogazione sul cominciamento della sto-
ria umana, sul suo compimento e sulla teleologia che le risulterebbe immanente, ma in-
sieme anche colui il quale ha suscitato unaltra questione, che a sua volta ha fondato una
forma di riflessione che va da Hegel alla scuola di Francoforte, passando per Marx, Niet-
zsche, Max Weber, ed alla quale Foucault diceva di volersi ricollegare. infatti nel testo
sullAufklrung, o in Der Streit der Fakultten, che, sosteneva Foucault, appare un nuo-
vo e diverso modo di interrogazione critica, che verte non tanto sulle condizioni forma-
li della verit (che saranno oggetto, in particolare, della filosofia analitica), quanto piut-
2
Nel 1961 Foucault aveva presentato la sua tesi di dottorato principale, pubblicata col titolo Folie et Drai-
son. Histoire de la folie lge classique, accompagnata, secondo le consuetudini delluniversit francese
dellepoca, da una tesi detta secondaria o complementare, rappresentata dalla traduzione, annotazione e in-
troduzione della Antropologia dal punto di vista pragmatico di I. Kant. Tale testo, pubblicato in Francia solo nel
2008 (tr. it. Introduzione a I. Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico, Einaudi, Torino 2010), contiene
in filigrana molti dei temi affrontati da Foucault nei successivi ventiquattro anni di ricerca e riflessione.
3
M. Foucault, Introduzione a I. Kant Antropologia dal punto di vista pragmatico, cit., p. 68.
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
591
tosto sul problema dellattualit, del presente, dellevento, di noi stessi. Una
interrogazione che Foucault propone di chiamare una ontologia del presente, una on-
tologia dellattualit, una ontologia della modernit, una ontologia di noi stessi. In essa
assisteremmo allemergere della questione del presente come evento filosofico al quale
appartiene il filosofo che ne parla e della filosofia come discorso della modernit e
sulla modernit, vale a dire discorso che prende in carico la propria attualit per tro-
varvi il proprio luogo, per dirne il senso e per indicare il modo dazione e di effet-
tuazione che esso realizza allinterno di tale attualit
4
. Ebbene, due sarebbero gli even-
ti che per Foucault caratterizzano il presente fatto oggetto di indagine e riflessione del
pensiero moderno inaugurato da Kant. Da un lato, il processo dellAuklrung, che con-
trassegna un pensiero, una ragione ed un sapere allinterno dei quali si pone la questio-
ne di riconoscere la situazione storica presente (nellorizzonte, in ogni caso, di un pro-
getto politico, quello dellemancipazione, della fuoriuscita dallo stato di minorit,
che, onde garantire lobbedienza di una massa ben ordinata, non potr prescindere, per
quanto transitoriamente, dal ricorso alla meccanica assicurata dallesercito del princi-
pe). Dallaltro, la Rivoluzione, intesa come ci che porta a compimento e assicura la con-
tinuit del processo dellAuklrung, ma che al contempo rappresenta anche levento
che, nella forma del sollevamento, interrompe il corso della storia, segna una discontinu-
it nella successione lineare, anche se magari contraddittoria, del divenire. La Rivoluzio-
ne viene infatti interrogata da Kant non tanto in s e per s, come evento che fa senso
in quanto tale, bens in quanto evento che ha valore di segno per quanto indica, diagno-
stica, suscita, per lentusiasmo che produce in coloro i quali ne sono semplici spettatori.
Il che significa che la Rivoluzione conta non tanto per quello che fa o che , per gli ap-
parati e le istituzioni che scardina o distrugge e per quelli che allestisce (nuovo ceto di-
rigente, oppure avanguardie, forma-partito, Stato, ecc.), quanto per la differenza che
rende possibile, per la capacit che ha di suscitare sul piano storico, politico ed infine
ontologico, una virtualit permanente nel cuore del presente
5
. Una virtualit che isti-
tuisce lattualit come principio dinquietudine, che rende possibile individuare nella
differenza (e non nella crisi, con le sue determinazioni in ultima istanza o le sue surde-
terminazioni, i suoi soggetti, le sue teleologie o i suoi motori) la possibilit permanen-
te di spazi di dispersione interminabili, un modo dessere in cui lesperienza della liber-
t non appare come conclusione e compimento, disalienazione e totalizzazione, effetto
secondario di una liberazione o esito di una rivoluzione, ma come evento singolare, eser-
cizio della resistenza, effettuazione di nuove possibilit dessere per essere governati il
meno possibile. E in ogni caso la Rivoluzione non appare pi come leffetto di una co-
scienza (o dei suoi legittimi rappresentanti, o dei depositari della sua giusta interpreta-
zione, o delle istanze capaci di decifrare i segni della direzione del corso e del senso del-
la storia), bens piuttosto come eventualit, come possibilit, modo di soggettivazione,
espressione dello sforzo di stabilire un rapporto sagittale (ovvero che divide ed insieme
rende visibile secondo una diversa simmetria ci che altrimenti, per eccesso di prossimi-
4
M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collge de France. 1982-1983, Gallimard-Seuil,
Paris 2008, pp. 12-15 e 21-22.
5
Ibid., pp. 17-21.
Mauro Bertani
592
t, pur presente ed illuminato, resterebbe invisibile), rispetto al presente che instaura
lattualit e al contempo consente di installare se stessi lungo la verticale e nella distan-
za di quellattualit. Tutto questo nello spazio di un istante, prima che qualcosal-
tro Stato, apparato, ecc. giunga ad insediarvisi. In questa oscillazione, nellincontor-
nabile, inaggirabile ed indecidibile, ambiguit che si disegna allinterno della modernit,
nelle biforcazioni che di continuo si dischiudono dinnanzi a noi, si colloca dunque il la-
voro politico-filosofico di Foucault. Per lui si trattava allora di capire che uso possibi-
le fare della nostra attualit, quale posizione in essa possibile occupare per scavare al
suo interno la differenza del presente, lungo una verticale di cui si deve innanzitutto de-
lineare la configurazione archeologico-genealogica. Compito tanto pi urgente in quan-
to siamo entrati in una fase della storia in cui si sono combinate insieme specifiche mo-
dalit di organizzazione delle tecnologie politiche, peculiari forme di gestione della vita
e del vivente, particolari strutture di funzionamento della produzione, a cui si sono cor-
relate delle forme di razionalizzazione locali, puntuali e specifiche. Si trattava di capire,
insomma, attraverso un certo uso della storia, come siamo stati intrappolati nella nostra
storia, ma ci sarebbe stato possibile solo risalendo a processi molto pi lontani nel
tempo, come Foucault stesso far attraverso la sua lunga plonge nel mondo antico e in
quello cristiano, fatti reagire a contatto con la nostra attualit. Quella inauguratasi con
lavvento della Storia, della razionalit politica, degli eccessi e delle malattie del po-
tere. Ed qui che incontreremo Marx.
Una sorta di energia morale: questioni di principio
noto lo scandalo suscitato dalle pagine di Le parole e le cose in cui Foucault iscrive-
va Marx allinterno dello stesso archivo, della stessa episteme, di Ricardo, e per questo
in molti avevano denunciato la leggerezza pre-teorica dei suoi giudizi sul pensatore
di Treviri
6
. Ma ci era potuto accadere, egli sosteneva, perch sia luno che laltro erano
stati resi possibili da unalterazione irreparabile che aveva riguardato il sapere stesso
ed il pensiero quali erano potuti emergere a partire dalla critica kantiana. Questa infatti,
nel primo dei due assi che la contrassegnano (ragion teoretica e ragion pratica), si confi-
gura come problematizzazione del fondamento, dellorigine e dei limiti dello spazio del-
la rappresentazione, alla ricerca di ci che ne costituisce la scaturigine e lorizzonte (la
potenza del lavoro, la forza della vita, il potere di parlare) e di ci che potr fungere da
fondamento della sintesi delle rappresentazioni (il soggetto trascendentale), con tutte le
questioni correlate, ed innanzitutto quella dei rapporti tra lempirico e il trascendenta-
le, destinate a risolversi in unantropologia che trova il suo spazio di dispiegamento in
6
Che nella lettura del pensiero di Marx da parte di Foucault intervenisse una sorta di cancellazione di ci
che, attraverso la sua lettura sintomale, L. Althusser (e a seguire tutti i suoi allievi) aveva definito la coupure
epistemologica tra Marx e Ricardo (cfr. in particolare Leggere il Capitale, Feltrinelli, Milano 1971, pp. 18-30,
84-126, 152-209) quanto verr denunciato da A. Badiou, (Le (re)commencement du materialisme historique,
Critique, n. 240, 1967, p. 443 n. 9) e analizzato da F. Wahl (La filosofia tra il pre- e il post-strutturalismo, in
AA.VV., Che cos lo strutturalismo?, ILI, Milano 1971, pp. 399ss.), dando luogo ad una letteratrura critica che
continua ancora ai giorni nostri.
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
593
una Storia che, sosteneva Foucault, almeno a partire dal XIX secolo diventato il modo
dessere radicale, il Fondamento e lOrigine, di tutto ci che vediamo, diciamo e faccia-
mo
7
. Il modo dessere delluomo, come lo chiamava Foucault, definito dalla positivit
dei saperi che su di lui e attorno a lui si costituiscono e dalla finitudine che tale positivit
delimita, diventato, allalba del XIX secolo, quello di una realt densa e prima, og-
getto difficile e soggetto sovrano di ogni conoscenza possibile, soggetto che vive, che
lavora e che parla e che proprio grazie a ci non pi solo un essere collocato accanto
ad altri esseri nella tavola continua delle creature, bens un essere che nello spessore opa-
co del corpo, nelloscurit dei desideri e della trama di un linguaggio che da sempre lo
precede trova ci che lo costituisce e ci che dovr essere conosciuto se vorr compren-
dere se stesso. Luomo emerge dunque dalla riconfigurazione del sistema del sapere mo-
derno inaugurato nellet di una critica che ha privilegiato solo uno dei suoi assi, come
soggetto e oggetto di una conoscenza di cui egli a un tempo il sovrano che ne decreta
i limiti e la figura che da essa riceve le condizioni della sua stessa esistenza (il Sapere As-
soluto hegeliano ne sar lespressione compiuta, Essere-rivelato dal Logos che si ma-
nifesta storicamente come Uomo-nel-Mondo, aveva detto A. Kojve)
8
. Lantropologia
sar dunque il tratto costitutivo di una forma di pensiero incentrata sulla configurazio-
ne strutturalmente allotropica vale a dire almeno duplice e composta delluomo qua-
le indagato dai saperi positivi e dallinterrogazione trascendentale. Luomo che ha fat-
to cos la sua comparsa per un uomo che lanalitica della finitudine mostra immerso
in un orizzonte che, a dispetto dellapparente positivit dei saperi che lo descrivono, re-
sta un orizzonte fondamentalmente metafisico: metafisica di una vita che converge ver-
so luomo pur non fermandovisi; metafisica dun lavoro che libera luomo in modo
che luomo a sua volta possa liberarsene; metafisica dun linguaggio che luomo pu
riappropriarsi nella coscienza della propria cultura. Dal permanere di tale fondamenta-
le orizzonte metafisico verranno tutti i miti del pensiero moderno: quello della possibi-
lit di squarciare il velo dellillusione, di eliminare un pensiero alienato e lideologia che
lo sostiene, di recuperare al di sotto della cultura una parola piena e autentica; verranno
inoltre i compiti che il pensiero assegna a se stesso: muoversi nella direzione in cui lal-
terit delluomo, in lui e fuori di lui, possa diventare il suo medesimo, la sua alienazio-
ne possa essere ricondotta e ricompresa nella sua identit, le sue partenze ricongiunger-
si con i suoi ritorni, la parte dellombra restituita alla luce.
Quello che Foucault legge nella positivit del sapere che si annuncia con la filoso-
fia critica una positivit che far delluomo un vivente, uno strumento di produzio-
ne, un veicolo per parole che gli preesistono, un essere dominato dal lavoro, dalla
vita e dal linguaggio un evento fondamentale, ovvero lapparizione di un nuo-
vo modo di essere per gli oggetti del desiderio, le parole, gli esseri viventi, quello del-
la Storia, che definisce ormai il luogo in cui tutto ci che empirico acquista il suo es-
sere proprio. Inizia cos lordine del tempo, che Ricardo, dopo Smith, si incaricher
di trasferire dallanalisi delle ricchezze alleconomia politica
9
. Sar Ricardo infatti, soste-
7
Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967, pp. 237ss.
8
A. Kojve, Introduction la lecture de Hegel, Gallimard, Paris 1979, p. 573.
9
M. Foucault, Le parole e le cose, cit., pp. 273ss.
Mauro Bertani
594
neva Foucault , ad analizzare il lavoro come fatica, tempo e forza delloperaio, acquista-
ti e venduti, e il lavoro come attivit originaria che forma valori scambiabili, il che far s
che il valore cessi di essere un segno per diventare un prodotto che trae la propria ori-
gine dal lavoro. Nella teoria della produzione che allora appare e comincia a preva-
lere su quella della circolazione il lavoro si organizza in base ad una causalit lineare
che forma il principio di un accumulo in serie che fonda lintroduzione della continui-
t storica nel processo economico. Ma si tratta di un processo che diventato possibile
pensare solo in virt di unantropologia, radicata sul presupposto di una rarit origina-
ria che quanto costringe luomo al lavoro. insomma la minaccia della morte a rende-
re possibile leconomia, la cui positivit si situa nellintervallo in cui la vita e la morte si
fronteggiano: la finitudine delluomo a fondarla. Nella misura in cui quellessere finito
che luomo progredisce nel possesso della natura, egli si approssima per ci stesso alla
propria fine, mentre la Storia procede verso il punto in cui essa finalmente si immobi-
lizzer. Nella proporzionalit diretta tra aumento della rarit (che si traduce in aumen-
to dei costi di produzione) e intensificazione del lavoro si colloca, secondo Ricardo letto
da Foucault , il processo che nella Storia fa s che finitudine e produzione giungano a so-
vrapporsi. La difettosit strutturale delluomo si intreccia infatti con la crescita della po-
polazione e la diminuzione delle risorse che destina inesorabilmente il primo alla morte
e che il lavoro consente solo di differire provvisoriamente.
Rispetto alla serie tempo-lavoro-produzione-accumulazione percorsa dallanalisi di
Ricardo, Marx, nella lettura datane da Foucault , avrebbe invece percorso unaltra se-
rie, opposta ed alternativa, ma insieme anche complementare, ed in fondo appartenente
alla stessa configurazione epistemica, rispetto a quella di Ricardo. Marx ha fatto appa-
rire una formazione discorsiva completamente nuova, dir Foucault ne LArcheologia
del sapere, fondando una serie di concetti che hanno permesso la costituzione di una teo-
ria della storia inedita. E tuttavia, al livello profondo del sapere occidentale formatosi a
partire dal XIX secolo, tale teoria non introduce alcuna coupure reale, ed anzi riattiva
alcuni elementi della stessa metafisica la metafisica di un lavoro che far dipendere
la liberazione delluomo dal lavoro dalla libert che il lavoro stesso dovrebbe assicurar-
gli, e di cui si conoscono gli esiti in quella sfrenata apologia del lavoro e in quella infer-
nale macchina panottica e disciplinare, radicata come il marxismo stesso (beninteso, al
livello delle sue condizioni archeologiche e del suo regime discorsivo) nel pensiero del
XIX secolo come un pesce nellacqua, che il socialismo reale stato di cui pure inten-
de denunciare il carattere di realt rovesciata (ma che attende solo di essere rimessa sui
suoi piedi), di ideologia.
nella Storia, dunque, che si realizza secondo Marx il processo di sfruttamento,
espropriazione, alienazione, e questo in ragione della divisione del lavoro, della proprie-
t privata dei mezzi di produzione, del processo di valorizzazione del valore, ecc. Ed
la Storia stessa a mostrare la finitudine degli uomini, ma nella forma positiva della rive-
lazione della loro verit materiale. Nellesperienza nuda del bisogno, della fame e del
lavoro della classe di coloro che la Storia mantiene ai limiti delle condizioni di sussi-
stenza e che tendono ad avvicinarsi progressivamente a ci che render puramente e
semplicemente impossibile lesistenza stessa, per via dellinesorabile consunzione delle
condizioni materiali dellesistenza, vale a dire tanto delle risorse naturali quanto del la-
voro vivo, messa in atto dallo sfruttamento capitalistico Marx riconosce lesito di un
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
595
processo storico (e non una causalit naturale, spontanea) attraverso cui la finitudine
perde la propria essenza originaria. La classe operaia, infatti, verr chiamata a farsi co-
scienza universale, e solo cos, e solo essa, potr recuperare quellessenza, potr restau-
rare la verit dellumanit (dietro cui si profila lhomo natura), alla condizione ulterio-
re, per, di un rovesciamento della Storia e dellavvento di un nuovo tempo, preparato
e prefigurato dal cammino della Rivoluzione, evento della soppressione e del rovescia-
mento necessario dello stato di cose presenti, attraverso cui arriva a compimento il mo-
vimento della Storia. Per Foucault , dunque, anche in Marx la Storia fondata sulla fi-
nitudine (e sul postulato antropologico che essa cela), solo che laddove in Ricardo era
possibile intravedere la negativit del ciclo crescita-stagnazione con, allorizzonte, la ca-
tastrofe finale, in Marx laccento posto non sulla rarit bens sul lavoro e sulla sua po-
tenza emancipatrice, sia pure nella forma negativa di uno sfruttamento che il proletaria-
to dovr convertire in promessa rivoluzionaria attuando un rovesciamento radicale
della Storia, la cui possibilit emersa per solo a partire dal momento in cui appar-
sa una disposizione del sapere in cui figurano a un tempo la storicit delleconomia (in
rapporto con le forme di produzione), la finitudine dellesistenza umana (in rapporto
con la rarit e il lavoro) e la scadenza duna fine della Storia
10
. Una disposizione del sa-
pere che si radica nellet della Storia, la cui filosofia si situer nella distanza dalla
storia alla Storia, dal grigiore meticoloso, basso, modesto, della descrizione delle mi-
riadi di avvenimenti, affrontamenti, esperienze entro cui si dipanano le esistenze effetti-
ve degli individui, alla donazione di senso, alla ricerca di una teleologia ultima, votata
al Tempo, al suo scorrere, ai suoi ritorni, perch presa nel modo dessere della Storia e
che ha fatto rinascere le utopie e tutte le fantasticherie su di un termine della Storia
destinate a provocare (accelerare o contrastare) lerosione lenta o la violenza della Sto-
ria, al di sotto della quale sempre esse cercheranno di ritrovare la verit antropologica
delluomo, di sovrapporre la storicit alla essenza umana
11
. Di qui il legame indisso-
ciabile, intravisto da Foucault nel discorso di verit, e poi anche nella pratica che da tale
discorso stata dedotta, che il marxismo ha inteso allestire, tra dialettica, antropologia
(o teoria del soggetto, in questo caso soggetto rivoluzionario) e Storia. Ora, tale discorso
di verit poggia a sua volta su una vera e propria escatologia, su un discorso profetico,
che annuncia luomo come una verit promessa e che a restaurarne lidentit perdu-
ta si dedicher incessantemente. Ed anche il tentativo, da parte della tradizione politica
che al marxismo far riferimento, di rivestire i panni della scientificit non potr, in ogni
caso, mai cancellare la disposizione profonda e fondamentale che agli occhi di Foucault
ne ha ipotecato i destini. Per quella scienza delle formazioni storico-sociali che ha in-
teso essere, secondo Althusser, il materialismo storico, il regno della libert si annun-
cia comunque come conclusione di un processo che nelle strutture che lo costituiscono
e nelle contraddizioni che lo animano contiene gi in s il fine e la fine che lo porteran-
no a compimento, cos come gli elementi che lo compongono sono gi definiti come i
membri di una totalit, differenze nellambito di una unit, come scrive Marx nel Ca-
pitale. La grande ombra di Hegel (di ci che Hegel incarna) non ha insomma mai ces-
10
Ibid., p. 284.
11
Ibidem.
Mauro Bertani
596
sato di stagliarsi alle spalle della storia del comunismo e della metafisica essenziale che
lo sostiene. Non infatti facile e forse bisogna addirittura chiedersi se sia possibile, ed
eventualmente a che prezzo, sosteneva Foucault , anche quando si voglia dar luogo, un
po parodisticamente, ad uno Hegel filosoficamente barbuto separarsi da una forma
di pensiero che nel Medesimo raccoglie sia lIdentit che la Differenza, un pensiero nel
quale la Differenza la stessa cosa dellIdentit, scriveva ne Le parole e le cose, quasi
che avessimo paura di concepire lAltro nel tempo del nostro pensiero, dir nellAr-
cheologia del sapere
12
. Per riuscire a sottrarsi al sapere assoluto, ai temi della fine dei tem-
pi, della finitudine antropologica e del compimento della Storia, alle promesse della dia-
lettica e dellantropologia congiunte, alla forma dellIdentico, sarebbe stata necessaria
una volont implacabile di disidentificare il Medesimo, come qualcuno ha scritto, ma
sappiamo che le cose sono andate altrimenti
13
.
Lombra di Hegel e la luce di Nietzsche: questioni di metodo
nella grande luce di Nietzsche che Foucault andr a cercare (o semplicemente tro-
ver) di che incendiare le forme sicure e rassicuranti del nostro sapere: non il compi-
mento della metafisica occidentale, bens ci che rende possibile pensare nuovamente
sottraendosi alla sovranit del soggetto; non la continuit della Storia ma la dispersio-
ne degli eventi; non il solido terreno dellEssere e dellUniversale che ha assunto il vol-
to delluomo, bens la serie indefinita delle differenze e delle singolarit; non il lento ma
inesorabile cammino della Ragione per ritrovare se stessa e riprendersi nel movimento
incessante delle sue riappropriazioni e riconciliazioni, ma tutte le innumerevoli ed irri-
ducibili forme ed esperienze dellalterit che non cessano di affermare la propria diver-
genza. Che cosa resta allora di Marx? Non certo la Teoria vera di cui parlava Lenin,
bens le analisi puntuali e specifiche, le ipotesi e le piste di ricerca da lui aperte, gli stru-
menti da lui forgiati, e che non potranno mai essere ridotti allinterno di alcuna totaliz-
zazione di cui taluni dirigenti, intellettuali, partiti sarebbero la coscienza o i deposi-
tari. Resta quello che di Marx Foucault diceva di far funzionare allinterno delle proprie
ricerche, nel proprio lavoro effettivo, senza bisogno di mettere le virgolette, vale a dire
lanalisi delle relazioni di lavoro allinterno del sistema di fabbrica, lanalisi della divisio-
ne del lavoro, quella dellantagonismo tra capitale e lavoro, lanalisi delle forme di assog-
gettamento, dominio, sorveglianza e disciplinamento messe in atto dal capitale e dalle
sue forme di razionalit allinterno della fabbrica. Resta la capacit che ha avuto il pen-
siero di Marx di suscitare le lotte, i gesti, gli atti esistenziali, lo slancio di rivolta radi-
cale e limpegno concreto, fisico, personale, di chi non accetta pi di essere governa-
to e di cui lo stesso Foucault sar testimone ad esempio nel 1968 in Tunisia. Ma rispetto
allillustre tradizione in cui Marx viene fatto rientrare, la genealogia foucaultiana ha in-
teso mandare allaria le evidenze e le certezze relative alla Storia; ha voluto agire come
12
M. Foucault, Larcheologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971, p. 19.
13
M. Serres, Le rtour de la nef, Les tudes philosophiques, n. 3, 1967, p. 256 (ora in Herms I. La com-
munication, Les ditions de minuit, Paris 1968).
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
597
un perpetuo principio dinquietudine, di contestazione, di problematizzazione. Quel
che Foucault non ha mai smesso di interrogare infatti innanzitutto il pensiero: un pen-
siero sempre investito in determinate formazioni di sapere; un pensiero concepito come
un atto che stabilisce le diverse relazioni possibili tra un soggetto e un oggetto. La ge-
nealogia, intesa come storia critica del pensiero, emerge come lanalisi delle condizio-
ni allinterno delle quali sono formate o modificate relazioni determinate tra un sogget-
to e un oggetto al fine di costituire un sapere possibile. Non si tratter, per Foucault, di
fare la storia delle acquisizioni e dei disvelamenti progressivi, o quella degli occultamen-
ti della verit, bens di determinare quello che chiamer il modo di soggettivazione,
ovvero di chiedere quale e che cosa debba essere il soggetto che conosce, a quali condi-
zioni debba soggiacere, quale debba essere il suo statuto e quale la sua posizione per po-
ter essere legittimato a produrre un determinato tipo di conoscenza. In secondo luogo,
Foucault pone il problema delle condizioni in base alle quali qualcosa pu diventare un
oggetto per una conoscenza possibile, delle procedure di individuazione e delimitazione
alle quali stata sottoposta. Non si tratta, per Foucault, di fare una storia della scoper-
ta della verit. Piuttosto, di fare una storia delle veridazioni come la chiamava
14
, una
storia dellemergere dei giochi di verit, fondata sul principio di metodo secondo cui
dal rapporto reciproco e dal rispettivo sviluppo di un soggetto e di un oggetto che na-
scono quelli che Foucault chiama i discorsi ed i saperi, definiti essenzialmente dai siste-
mi di regole in base a cui solamente quel che un soggetto pu dire a proposito di deter-
minate cose appartiene al regime del vero oppure a quello del falso. Egli, insomma, fa la
storia delle forme in base alle quali quel che dice un determinato soggetto su di un cer-
to insieme di cose (un referenziale) fa parte del campo della verit oppure no, la sto-
ria delle forme in base alle quali su un certo insieme di cose possono venir formulati dei
discorsi che potranno venir definiti discorsi veri oppure no. Tale storia Foucault la scri-
ve sotto forma di finzioni storiche, e tutto ci risulta particolarmente complesso, diffi-
cile, sovente drammatico, allorch ci si interroga sui processi di soggettivazione e di og-
gettivazione che si riferiscono ad un soggetto che, come tale, pu diventare oggetto di
conoscenza, ovvero allorquando lo stesso soggetto conoscente che viene istituito come
oggetto di un sapere possibile. il caso delle scienze umane, quello del soggetto mala-
to, del soggetto criminale, del soggetto folle che Foucault ha interrogato nei suoi libri,
ma anche quello del soggetto rivoluzionario, del soggetto morale, del soggetto che dice
il vero a rischio della vita.
Il problema fondamentale di Foucault dunque stato quello della verit, ed in parti-
colare quello dei rapporti del soggetto con la verit, ma secondo una curvatura profon-
damente diversa da quella affermatasi in una tradizione immemoriale, quella dellintera
14
Sulla veridizione, i giochi del vero e del falso, i modi di dire (stabilire, riconoscere) il vero, le pro-
cedure in base alle quali non si tratta tanto di scoprire o rivelare il vero, ma di determinare le regole in base
alle quali si potr effettuare la partizione tra il vero ed il falso (M. Foucault, Lordine del discorso e altri
interventi, Einaudi, Torino 2004, p. 7) e in virt delle quali ci che un certo soggetto dice ( autorizzato a dire)
a proposito di un determinato oggetto potr essere ascritto allambito della verit, che costituisce il problema
filosofico fondamentale e costante di Foucault, si veda almeno la voce Foucault redatta da lui stesso per
il Dictionnaire des philosophes (tr. it. in Archivio Foucault 3. 1978-1985. Estetica dellesistenza, etica, politica,
Feltrinelli, Milano 1998, pp. 248-252).
Mauro Bertani
598
storia della metafisica occidentale. Il problema di Foucault, infatti, non quello di sta-
bilire la struttura ontologica di un soggetto originario sempre gi dato e di determinare
le condizioni di possibilit in base alle quali egli potr stabilire una conoscenza vera, e
neppure di individuare quelle verit eterne ed eternamente fondate su cui potr edificar-
si il corteo di tutte le nostre conoscenze. Non si tratta, cio, di chiedersi in che modo un
soggetto possa conoscere il mondo come totalit degli oggetti, n di chiedersi quale lega-
me consustanziale sussista tra il soggetto e ci che conosce, tra lanima e la verit; o cosa
fondi la possibilit per un soggetto di conoscere il mondo, o quale grado di adeguazione
esista o debba esistere tra il soggetto e loggetto affinch la conoscenza che ne risulta
possa essere detta vera. E neppure si tratta di chiedersi secondo quali processi storici de-
terminate forme di soggettivazione hanno potuto legarsi a determinate forme di verit. Il
problema di Foucault piuttosto quello di descrivere come si sono storicamente stabiliti
dei dispositivi, delle procedure, degli apparati per mezzo dei quali determinati discorsi
di verit, determinati regimi di verit, ovvero certi saperi, secondo regole, grammatiche e
procedimenti riconosciuti, utilizzati e valorizzati come veri, intervengono su dei sogget-
ti oggettivandoli, alienandoli, modificandoli, plasmandoli, e reciprocamente certe forme
di soggettivit giungono a costituirsi come libere ed autonome, a costruirsi e modificar-
si secondo determinati discorsi veri. Sul piano della concreta ricerca storica questa pre-
messa metodologica si traduce nel rigetto dei modi tradizionali di fare storia del sapere
e delle scienze, i quali assumevano (assumono) come fondamento le supposte verit po-
sitive raggiunte nel momento storico preciso in cui si fa appunto la storia della loro pro-
gressiva scoperta o del loro disvelamento semplicemente assumendole come ogget-
to e schema interpretativo della ricostruzione retrospettiva della loro storia, destinata a
mostrare come tali verit siano il risultato dellabbandono degli errori, delle illusioni, dei
pregiudizi, delle inerzie, degli occultamenti che le avevano a lungo sepolte sotto le scorie
o le coperture dellideologia. La verit risulterebbe, cio, dalla rottura tra scienza e ideo-
logia. Tuttaltro il metodo di Foucault, il quale non assume come dato o evidente a prio-
ri alcun enunciato positivo ammesso dalle scienze e dai saperi come ultimo e definitivo,
bens mira a neutralizzare le loro pretese di scientificit e verit, la loro supposta capaci-
t di rendere retrospettivamente intelligibile la loro storia, ed infine i loro effetti di po-
tere. Con questa operazione di messa a distanza critica, come stata chiamata, Fou-
cault non si mai sognato di mettere in discussione i saperi o di contestare il loro valore
di verit intrinseco, bens ha cercato piuttosto di fare una storia che sospendesse la sup-
posizione di sapere, la pretesa di conoscere in anticipo il vero ed il falso, per vedere se
altre eventualit sarebbero state possibili, se altre verit sarebbero potute emergere, se
insomma la nostra libert non avrebbe potuto manifestarsi altrimenti. questo ci che
intendeva affermare Foucault quando nellArcheologa del sapere dichiara che il compito
della storia critica e della storia effettiva fare le differenze nel nostro pensiero e nel
nostro presente
15
. Larcheologia del sapere, infatti, una operazione di pensiero critico
che cerca di far affiorare larchivio di unepoca, ovvero di far emergere, rispetto allin-
sieme degli enunciati, dei discorsi, delle formazioni discorsive relative ad un certo refe-
renziale, alle modalit enunciative, ai concetti, agli stili ed alle pratiche non discorsive
15
M. Foucault, Larcheologia del sapere, cit., pp. 233-234.
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
599
che da l discendono o che contribuiscono a farli esistere, in un certo tempo e in un cer-
to spazio, ci che li rende possibili nel loro sistema di relazioni, nella loro coerenza e nel
loro insieme. Larcheologia come descrizione degli archivi non va dunque alla ricerca de-
gli a priori formali, che valgono sempre universalmente ed assolutamente, a fondamen-
to degli enunciati e del loro valore di verit; non si interroga sul loro significato alla ri-
cerca del non detto, dellimplicito, dellimpensato che si trattava di far affiorare affinch
se ne possa infine intendere la verit. Si occupa unicamente della norma del vero e del
falso, ovvero delle regole di formazione e delle condizioni di possibilit storiche stori-
camente situate e determinate che presiedono allapparizione ed allammissione degli
enunciati rilevanti allinterno di un determinato campo di sapere. Larcheologia interro-
ga insomma leffettivamente detto e la genealogia integra tutto questo nel campo dei ge-
sti, degli atti, delle decisioni e delle condizioni di esistenza materiale dei saperi e delle
scienze, ovvero nel campo delle loro condizioni storiche. Il programma foucaultiano di
una descrizione pura delleffettivamente detto, degli enunciati nella loro materialit
effettiva, nella loro realt, nella loro dispersione coerente, nella loro rarit, intende esse-
re una storia evenemenziale poich tratta gli enunciati, i discorsi ed i saperi come even-
ti, (e con Deleuze, si potrebbe sostenere che lintera filosofia di Foucault una filosofia
dellevento)
16
nel quadro di una wirckliche Historie. Il sapere viene cos interrogato nel-
la sua esistenza effettiva, nella sua materialit storica, secondo la prospettiva di un ma-
terialismo dellincorporeo, quello degli enunciati e del sapere che prima di essere veri
o falsi, servono a definire, secondo precise modalit storiche suscettibili di trasformazio-
ne, e a distribuire determinate posizioni soggettive, precisi regimi doggetti, certe orga-
nizzazioni concettuali e specifici investimenti allinterno di pratiche, e infine delle tatti-
che e delle strategie allinterno di lotte e affrontamenti.
C una lotta per la verit: il problema della genealogia
La verit di cui si occupa la genealogia foucaultiana dunque sempre quella dei proces-
si tanto di soggettivazione quanto di oggettivazione. Come tale, una storia critica che si
incentra innanzitutto su quel fenomeno peculiare del sapere occidentale che la dupli-
ce costituzione delluomo come soggetto di conoscenza e oggetto di sapere, ovvero che
si incardina intorno alla natura allotropica delle verit che hanno come oggetto e sogget-
to ad un tempo luomo: allorch questi delira, allorch si ammala, allorch parla, vive,
produce, o perch insorge, o si organizza (per fare la rivoluzione, per prendere il potere,
piuttosto che per condurre unesistenza decente). Gli uomini, insomma, vivono di veri-
t, consumano verit, dicono confessano verit, ed il problema di Foucault quel-
lo di disseppellire gli strati e le formazioni discorsive e non discorsive che hanno fatto s
che quelle verit diventassero enunciabili ed i saperi che si sono edificati su di esse po-
16
Una filosofia che non si interessa dellessere e degli attributi, dellessenza e della sostanza delle cose, bens
delle circostanze e delle occasioni della loro apparizione, cos come della loro scomparsa, del loro divenire,
rivenire, avvenire, con il corteo di saperi, poteri, modi di individuazione che le accompagna, nella forma
dellattuale. Cfr. G. Deleuze, Foucault, Feltrinelli, Milano 1987; Pourparlers, Les ditions de minuit, Paris
1990, pp. 115-161.
Mauro Bertani
600
tessero conquistare levidenza che sar la loro. Ma senza lentrata in funzione di un de-
terminato dispositivo di potere, ovvero di un determinato regime di governamentalit,
di un certo modo di condurre e di guidare la condotta degli altri, i discorsi ed i saperi
veri non potrebbero dispiegare i loro effetti. La genealogia si occupa appunto di questa
embricazione di ricerca della verit, di volont di sapere, e di rapporti di potere. Il luo-
go in cui avviene tale reciproco innesto lesteriorit della storia, ovvero la superficie
su cui avviene lentrata in scena delle forze
17
, la loro eventuale composizione e la loro
possibile piegatura, a partire da cui potr avvenire lapparizione delle forme
18
, e si ma-
nifesta attraverso il sistema delle pratiche. La genealogia si configura dunque come una
storia politica della verit, in cui questultima appare allinterno di una dinastia. In que-
sta prospettiva, la verit emerge come produzione, rituale, procedura regolata, a partire
da un insieme di affrontamenti, da guerre e conflitti, da vittorie e sconfitte, da rapporti
di forza tra s e gli altri e tra s e s. La verit, inoltre, si manifesta (si afferma, si enun-
cia, viene riconosciuta) solo in specifici luoghi e contesti, in momenti e circostanze de-
finiti. Infine, solo determinati soggetti potranno proferirla, in virt delle intronizzazio-
ni (ovvero le autorizzazioni e i riconoscimenti) ricevute, delle legittimazioni conquistate,
delle qualificazioni ottenute, e secondo procedure e rituali rigorosi. Insomma, la veri-
t, per Foucault, non una realt, un essere, una natura o unessenza finalmente cono-
sciuta, scoperta e riconosciuta, bens qualcosa di costruito che ha la forma dellevento,
e precisamente un evento in cui entrano in azione determinate tecnologie che non si li-
mitano a riconoscere e riflettere la realt in un discorso o in un pensiero che avrebbero
la forma della adaequatio, bens che la producono come tale. Insomma, gli oggetti dal-
la malattia mentale alla delinquenza alla sessualit alla politica per Foucault non esi-
stono. Ci nondimeno essi sono qualcosa, e persino qualcosa di reale e vero, qualcosa
che stato prodotto, sostenuto, condotto allessere grazie al sistema di veridizione e ve-
rificazione esistente in una determinata epoca, in una certa congiuntura, secondo il si-
stema di regole di una determinata formazione discorsiva. La verit, che come tale non
pu prescindere dai dispositivi di potere, produce la realt di ci che non esiste (se non
come virtualit o possibilit ancora del tutto indecise, la cui forma del tutto indeter-
minata) grazie al fatto che le esistenze materiali, gli individui effettivi, vengono piega-
ti la forza piegata, la chiamava Deleuze e costretti a conformarsi a tale realt. La veri-
t dellindividuo risulta essere cos la realt fabbricata, costruita, dai dispositivi di sapere
e potere che gli vengono applicati. Il che comporta che allopera, in tale processo di co-
struzione e fabbricazione dellindividuo, dei gruppi, delle societ, siano sempre e indis-
solubilmente congiunti un sistema di pensiero e di sapere ed un apparato di potere e di
governo. Attraverso le tecnologie di verit e di governo viene realizzato, cio, un proces-
so di assoggettamento che era per Foucault cosa diversa da una relazione di sempli-
ce dominio allinterno di uno spazio di libert, grazie al quale il soggetto assoggettato
potr allestire delle strategie di soggettivazione antagonista ed alternativa. Tali tecnolo-
17
M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 51.
18
Invece di andare da unesteriorit apparente a un nucleo di interiorit considerato essenziale, bisogna
esorcizzare lillusoria interiorit per rendere alle parole e alle cose la loro esteriorit costitutiva (G. Deleuze,
Foucault, cit., p. 50).
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
601
gie, infatti, sono s ci che, sia pur formando, trasformando, spostando incessantemen-
te il proprio punto di applicazione, producono lindividuo come individuo normale gra-
zie al sistema disciplinare, normalizzatore che le scienze umane e quelle bio-mediche
allestiscono, e che giungono a plasmare pratiche, condotte, persino forme e modalit di
pensiero grazie alla docilit, alla regolarit, ai codici ermeneutici (ovvero al tipo di au-
tocomprensione) che impongono e che consentono di indurre la normalizzazione del-
le condotte, dei pensieri, dei discorsi. Ma non possono impedire che magari proprio a
partire dai dispositivi istituiti da esse stesse sorga un altro, inedito, gioco di verit, un fe-
nomeno di resistenza, un altro modo di condursi, di darsi una forma (lestetica dellesi-
stenza), che tentano di rovesciare i rapporti di forza istituiti e di organizzare unaltra mo-
dalit di soggettivazione. A questi rifiuti e a queste resistenze Foucault dava il nome di
critica, ed alla riflessione su di essa quello di pratica riflessa della libert
19
.
Annunciata in filigrana gi nella Storia della follia e in Nascita della clinica, la questio-
ne che ha ossessionato il pensiero occidentale, riapparsa sotto le specie del problema del
ruolo delle armate del principe e del governo in Kant, ripresa alla met dellOttocento
sotto quelle della critica dellideologia e riformulata un secolo dopo nella forma degli ap-
parati ideologici di stato, ovvero la questione dei rapporti tra potere e sapere, viene
esplicitamente tematizzata da Foucault alla met degli anni Settanta, nei testi che vanno
da Sorvegliare e punire a La Volont di sapere e nei corsi al Collge de France fino al
1976, per venire ripensata, a partire dal corso del 1 febbraio 1978, nel quadro pi gene-
rale di una storia della governamentalit che lo condurr, al termine di una lunga re-
gressio che passer attraverso una genealogia del cristianesimo, ad esaminare lapparizio-
ne dellimplicazione reciproca di governo di s e governo degli altri nel contesto della
cultura greca. In risposta alle numerose critiche che su tale specifica questione gli ver-
ranno rivolte, Foucault affermer ripetutamente di non avere assolutamente voluto ela-
borare unaltra, una nuova, Teoria del Potere, bens solo una analitica delle relazio-
ni di potere che si colloca da subito sotto le insegne di un radicale nominalismo. Un
nominalismo per il quale, forse, il potere qualcosa che non esiste, e che in ogni
caso si limita a delineare la cartografia, sempre provvisoria e rivedibile, delle relazioni
di forza, dei rapporti strategici, propri di una situazione complessa allinterno di una so-
ciet determinata, come scriveva ne La volont di sapere, e al cui riguardo, dir in segui-
to, non si tratta tanto di chiedersi che cosa sia e da dove provenga, bens come si eser-
cita, quali effetti produce e che cosa avviene allorch delle relazioni di potere vengono
stabilite, quali siano le modalit di tale esercizio, quali i campi di applicazione. Sar per-
tanto parte integrante di tale analitica il rigetto dellassiomatica che ha retto gran parte
delle interpretazioni del potere in Occidente da parte di un pensiero e di unanalisi po-
litica che, nonostante alcune rivoluzioni, non hanno ancora tagliato la testa al re, vale
a dire, innanzitutto, la concezione del potere come sostanza, che sostiene la convinzio-
ne, che transita attraverso le prospettive teorico-politiche le pi diverse e le pi distanti,
secondo cui il potere sarebbe una struttura, uno strumento, una istituzione, un bene,
una cosa, insomma, di cui ci si pu appropriare, di cui alcuni individui, classi, isti-
19
Cfr. almeno M. Foucault, Illuminismo e critica, Donzelli, Roma 1997; Letica della cura di s come pratica
della libert, in Archivio Foucault 3, cit., pp. 273-306.
Mauro Bertani
602
tuzioni, apparati di Stato, ecc. sarebbero i detentori. In secondo luogo, sosteneva Fou-
cault, la concezione del potere nella storia della filosofia occidentale sarebbe informata
dal modello della Legge, ovvero dal principio secondo cui esisterebbe unistanza centra-
le, unitaria, suprema depositaria della sovranit (poco importa se concentrata nella per-
sona del sovrano o in un soggetto collettivo), da cui procederebbero il diritto, i diritti, le
regole da applicare e da osservare, che funzionerebbe in base ai meccanismi dellinterdi-
zione e dellingiunzione, che farebbe cio del potere essenzialmente unistanza che re-
prime e sanziona. Un potere che funziona in base alla Legge infatti un potere che sta-
bilisce una demarcazione definita tra il proibito e il consentito, agisce su atti e
comportamenti visibili, interviene a sanzionarne le trasgressioni e procede sempre a par-
tire dallo Stato, ovvero da unistanza unica e centralizzata da cui la Legge si diffonde per
cerchi progressivamente pi ampi. Corollario di tale costruzione sono certo le concezio-
ni giuridico-contrattualiste della tradizione liberale, ma anche, ci che qui ci interessa,
quelle marxiste, le une orientate a fare del potere listanza che trascende e compone, pa-
cificandoli, le lotte ed i conflitti, le altre a cogliere del funzionamento del potere la sola
dimensione negativa, repressiva, tale per cui la sua presenza comporterebbe la scompar-
sa, o almeno lelisione o il travestimento, di un sapere o di un discorso veri, rimpiazzati
piuttosto dallideologia intesa come falsa coscienza. Il che significa che Foucault riget-
ter due ulteriori postulati della tradizione del pensiero giuridico e politico occidentale.
Il primo, quello secondo cui le relazioni di potere funzionerebbero unicamente ed esclu-
sivamente nella modalit dei rapporti di dominio, nella forma della dominazione degli
uni che riduce allimpotenza radicale ed allasservimento incondizionato gli altri, della
violenza degli uni che annulla la libert degli altri. Il secondo, quello secondo cui tutta
linfinita trama delle relazioni di potere troverebbe nello Stato il suo punto dorigine ed
insieme il telos a cui tenderebbero a ritornare (che sia per esserne fondate o per legitti-
marlo, che sia per consolidarlo o per conquistarlo). A tutto ci lanalitica di Foucault in-
tende contrapporre alcune ipotesi e nulla pi che ipotesi di ricerca o piste da control-
lare, verificare, eventualmente abbandonare, come in parte a lui stesso capiter di
fare che cos possiamo riassumere. La prima: il potere incita, il potere produce. Attra-
verso un complesso ed eterogeneo sistema di dispositivi, tecnologie, apparati, istituzio-
ni, regimi (discorsivi e non) e rituali, il potere costituisce saperi, corpi, individui, identi-
t, forme di vita, soggettivit, ed infine (o meglio, soprattutto) produce verit e produce
reale. La seconda: la forma di esercizio di un potere concepito non in termini di interdi-
zione bens di produzione non quella della Legge bens quella della norma. Si tratta di
un potere normalizzatore che trova nella disciplina/discipline la propria matrice e il pro-
prio regime di funzionamento ordinario, che solo la riconfigurazione dinsieme dellepi-
steme moderna ha reso possibile, grazie allemergere delle nuove positivit costruite in-
torno alluomo e che le scienze umane, le scienze bio-mediche, e lorganizzazione del
lavoro nel sistema di fabbrica si incaricheranno di allestire. Il potere di normalizzazio-
ne si serve dunque di un complesso dispositivo che funziona secondo una graduazione
continua ed infinitesimale lungo lasse della normalit, interviene sotto forma di indu-
zioni, ingiunzioni, incitamenti destinati a penetrare nel foro interiore dellanima, dove
viene plasmata la nostra soggettivit, ed insieme sulla tecnologia bio-regolatrice che si
esercita su quelle masse globulari (in cui ogni singolarit risulta indistinta e indifferen-
ziata) che sono le popolazioni. Sorveglianza, esame, conformit modulabile alla norma
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
603
diventano cos, agli occhi di Foucault, i veri meccanismi del potere. La terza: le relazio-
ni e le dinamiche di potere risultano diffuse, in estensione ed intensione, ovunque, onni-
presenti e pervasive, onnivore, multiformi e multifocali, operano sul dettaglio infinitesi-
male dellesistenza individuale (sono microfisiche, diceva) e assicurano il
coordinamento dinsieme delle strutture molari, ovvero degli aggregati gi formati e de-
terminati. Inoltre investono ogni dimensione ed ambito, servendosi di tutti i possibili
strumenti, dai corpi, gli atti ed i gesti, alle intenzionalit, le conoscenze scientifiche, le
verit. Ci non significa tuttavia che il potere abbia la capacit di impossessarsi irrever-
sibilmente e irrevocabilmente di noi, di dominarci, paralizzando ogni nostra possibile
azione, reazione, attivit, risposta. Per Foucault, al contrario, la caratteristica prima del-
le relazioni di potere la loro contingenza, la loro reversibilit, il loro carattere indefini-
to, indecidibile e, forse, puramente virtuale (che non impedisce loro di avere effetti tut-
tavia ben reali). Insomma, la parte della libert a risultare irriducibile, secondo
Foucault, allinterno delle relazioni di potere; una libert che assume il volto della resi-
stenza, della soggettivazione e del governo di s alle condizioni che vedremo come
possibile linea di fuga, o differente composizione delle forze, rispetto alle prese del po-
tere ed ai suoi sforzi per controllarci, assoggettarci, governarci. Insomma, se il potere
funziona in maniera disseminata, secondo tattiche e strategie polimorfe; se produce ve-
rit e consuma saperi; se investe corpi, individui, soggettivit, allora risulta evidente che
non si trover da nessuna parte unistanza che condensa in s tutta la potenza, che non
esister un solo luogo destinato a sfruttare la forza lavoro e ad estrarne plusvalore, e che
non verranno semplicemente elaborate false rappresentazioni tese a prolungare il domi-
nio nella sfera della riproduzione.
Contro il silenzio della servit
Lidea di Foucault piuttosto che ogniqualvolta vi sia esercizio di un potere, ad esso
sia coestensiva una forma di resistenza: se il potere ovunque, ovvero se esso si eserci-
ta ovunque vi sia una differenza ed unasimmetria (di forza, di potenziale, di ruoli e fun-
zioni, di grado, ecc.) e si produce ad ogni istante ed in ogni punto del campo delle rela-
zioni sociali, politiche, economiche, ad esso risulta coalescente un sistema sovraordinato
di resistenze, un insieme di pratiche che Foucault chiamer controcondotte, una se-
rie di possibilit di opposizione e contrapposizione e questo anche laddove le relazioni
di potere si cristallizzano in quel caso limite del potere che costituito dalla domina-
zione. Anche in quella apparente fissit e irreversibilit, infatti, sar sempre possibile di-
sobbedire, oppure, con Bartleby, esercitare quella forma marginale e residuale di libert
che consiste nel dire di no
20
. Ed anzi, proprio lesistenza e linsistenza della libert, dir
Foucault, a far s che possano costituirsi ed istituirsi relazioni di potere: senza libert non
vi sarebbe, per una relazione di potere, necessit di stabilirsi e possibilit di esercitar-
si in maniera proficua e produttiva, ovvero efficace. Insomma, come scriver nel 1982,
20
Anche questo adesso? esclamai io. Non avete pi intenzione di copiare? No (H. Melville, Bartleby,
in Opere scelte, Mondadori, Milano 1972, vol. I, p. 769).
Mauro Bertani
604
piuttosto che analizzare il potere dal punto di vista della sua razionalit interna, si trat-
ta di analizzare le relazioni di potere attraverso lantagonismo delle strategie
21
. E pro-
prio per approfondire tale correlazione tra potere e resistenza che ipotizza una sorta di
primato della resistenza e di antecedenza della libert vista come il fattore che induce il
potere a trasformarsi a partire dalla capacit che essa possiede di provocare modificazio-
ni ed alterazioni nel campo di forza della loro relazione, Foucault aprir un nuovo can-
tiere, quello della governamentalit. Attorno al concetto in questione si svilupper tut-
ta lultima fase della riflessione foucaultiana di cui qui ci limiteremo a rammentare per
sommi capi i caratteri generali e la problematica dinsieme, dal momento che esso apri-
r anche una serie di nuove prospettive, rimaste tutte quante in sospeso, nella lettura del
marxismo (e del comunismo) messa in atto da Foucault. Il problema della governamen-
talit nasce infatti, da un lato, dallesigenza di superare la riduzione marxista la
questione che ho posto si rivolgeva essenzialmente al marxismo del problema del po-
tere, della sovranit e del controllo, a quello della dominazione nella dialettica del con-
flitto tra le classi. Questo perch, secondo Foucault, il capitalismo non si limita ad or-
ganizzare i processi di estrazione del plusvalore dal lavoro operaio, ma si occupa anche
di predisporre un sistema di addestramento, assoggettamento, disciplinamento, sorve-
glianza; perch capace di formare la forza-lavoro e di razionalizzarne i rendimenti, ma
anche di esercitare su di essa un controllo in grado di ridurne le resistenze, di neutra-
lizzarne le rivolte, di vincerne le inerzie. Dallaltro lato, per, tale problema sorge an-
che dalla individuazione del biopotere come questione centrale nelle societ contempo-
ranee
22
, ovvero societ alle prese col problema di assicurare processi di normalizzazione
e bio-regolazione delle popolazioni, di rendere possibile il controllo biomedico e sanita-
rio del corpo sociale nel suo insieme, di accrescere e potenziare forza, capacit produt-
tiva, sviluppo demografico, salute insomma: di intervenire sulla vita di quella mas-
sa e di quella totalit che forma una societ, investendo al contempo gli individui che
ne fanno parte nella loro singolarit. Indagando sulla governamentalit e sui processi di
governamentalizzazione dello Stato, Foucault sar condotto a ricostruire una carto-
grafia complessa che comprende la ragion di Stato, la polizia medica e tutte le altre isti-
tuzioni, tecnologie, tattiche, strategie, calcoli e forme di riflessivit che hanno consentito
la messa in atto di una biopolitica delle popolazioni che culminer nel razzismo di Sta-
to. Ma di fronte al versante globale e molare, Foucault vi insister sempre pi, ne sussi-
ste un altro, quello individuale ed individualizzante, destinato ad investire lindividuo,
la sua libert, la sua singolarit, le pratiche e le strategie da ciascuno messe in atto per
assicurare il controllo di s e della propria condotta e per intervenire sulla condotta de-
gli altri; le azioni che gli individui progettano e compiono per agire su di s e sulle azioni
degli altri. In questa prospettiva, la governamentalit non si riduce ai soli dispositivi di
sovranit-sorveglianza-sicurezza che hanno come campo elettivo lo Stato, come moda-
lit di esercizio lassoggettamento dei corpi e come tecnologia i meccanismi di domina-
21
M. Foucault, Perch studiare il potere: la questione del soggetto, in H.L. Dreyfus, P. Rabinow, La ricerca di
Michel Foucault, La casa Usher, Firenze 2010, p. 282.
22
Cfr. almeno M. Foucault, La volont di sapere, Feltrinelli, Milano 1978 e Bisogna difendere la societ,
Feltrinelli, Milano 1998.
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
605
zione, ma concerne il governo e le tecniche di s. Il che implica il riferimento a soggetti
liberi, alla singolarit di individui capaci di decisione, scelta, azione. Il campo dellazio-
ne sullazione (propria o altrui) risulta allora strutturato secondo un duplice fronte. Da
una parte, la governamentalit emerge come linsieme delle tecnologie per mezzo delle
quali dei soggetti liberi vengono assoggettati intervenendo direttamente sulla loro liber-
t, investendoli in modo da ottenere (un tempo grazie alle promesse di salvezza, salute,
felicit, emancipazione, oggi dello sviluppo personale e della promozione delle proprie
potenzialit e del proprio capitale umano) la loro attiva partecipazione al processo de-
stinato a renderli soggetti volontariamente docili ed obbedienti. Foucault rintraccer
la matrice di tale arte di governo nel potere pastorale che vede sorgere fin dagli albo-
ri dellesperienza cristiana primitiva come arte di dirigere le anime verso la salvezza, de-
stinata in seguito a svilupparsi nella direzione di coscienza, nella pratica confessionale,
nel complesso dispositivo pedagogico che penetra fin dentro let moderna e che ver-
r associandosi sempre pi alle pratiche di governo allestite dai grandi apparati statali,
in vista non pi, per, della salvezza dellanima e della formazione delle coscienze, ben-
s della potenza e della solidit degli Stati. Dallaltra, invece, vediamo emergere una mo-
dalit esattamente contraria di messa in atto della governamentalit, quella che dar luo-
go alla cultura di s (che nulla aveva a che fare, per Foucault, con il contemporaneo
culto del s), e pi particolarmente intorno a quella forma particolare di governo di
s che rappresentata dallepimeleia heautou (la cura di s) e dalla costituzione di s
come soggetti etici
23
. Rivolgendosi al mondo antico e tardo antico, Foucault non vuole
recuperare nessuna origine perduta o nessuna perfezione immaginaria; va semplicemen-
te alla ricerca di ci che suscettibile di introdurre una differenza nel nostro pensiero (e
con esso nel nostro presente), mostrando che nella nostra storia sono stati possibili alcu-
ni eventi, ma altri avrebbero potuto realizzarsi.
La posta in gioco dellultima parte della riflessione foucaultiana sulla governamen-
talit etica una posta in gioco complessa, in cui sono implicati il problema del sogget-
to morale chiamato a scegliere ed agire, quello della forma che questi riesce a darsi ed
infine quello del telos perseguito. Lobiettivo di Foucault quello di consentire una cer-
ta intelligenza dei modi di costituzione di se stessi come soggetti morali, per poi decli-
narlo in relazione al problema delle possibili modalit di affrontamento della questione
politica. in questa direzione che si colloca il progetto finale di un grande programma
di ricerca che avrebbe dovuto studiare alcune delle forme della governamentalit nove-
centesca, da quella liberale a quella socialista, da quella nazifascista a quella comunista.
Ci restano solo alcuni jalons intorno allarte di governo liberale e al genere di soggetti-
vit che al suo interno cominciava a formarsi sul finire degli anni Settanta (la teoria del
capitale umano, ecc.). Su tutto il resto solo alcuni suggerimenti ed alcune piste, insieme
ad uno schema genealogico possibile intorno ad alcune delle forme della soggettivazio-
23
Sulla cura di s e la questione etica si veda innanzitutto lIntroduzione di carattere teorico e metodo-
logico a Luso dei piaceri, Feltrinelli, Milano 1984; La cura di s, Feltrinelli, Milano 1984; unitamente ai corsi
al Collge de France degli ultimi tre anni: Lermeneutica del soggetto. Corso al Collge de France (1981-1982),
Feltrinelli, Milano 2003; Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collge de France. 1982-1983, Gal-
limard-Seuil, Paris 2008: Le Gouvernement de soi et des autres: le courage de la vrit. Cours au Collge de
France. 1983-1984, Gallimard-Seuil, Paris 2009.
Mauro Bertani
606
ne morale
24
. Foucault aveva infatti immaginato che alle spalle di tutti gli sforzi compiuti
nella storia delle societ occidentali per rendere possibile la formazione di un soggetto
morale vi fossero, egli sosteneva, almeno tre elementi: innanzitutto, linsieme dei valo-
ri e delle regole di comportamento e di azione prescritti dalle varie istituzioni agli indi-
vidui ed ai gruppi nella forma del codice morale; il modo, poi, in cui gli individui en-
trano in relazione con tale codice e lo mettono in atto traducendolo in comportamenti
ed azioni reali (alla condizione beninteso, che vogliano possano conferir loro un ca-
rattere morale); ed infine, quella che Foucault chiamava letica in senso proprio, vale
a dire i modi, le tecniche e le pratiche attraverso cui gli individui hanno storicamente
cercato di darsi la forma di soggetti morali, ovvero le modalit di soggettivazione attra-
verso cui gli uomini hanno elaborato un rapporto con se stessi e sono intervenuti su se
stessi per comportarsi moralmente (e non pi, solo, assoggettarsi a dei codici). Letica si
compone a sua volta di unontologia, che concerne la sostanza etica, ovvero il modo in
cui lindividuo determina una certa parte di s come materia e ambito dellagire mora-
le; una deontologia, che si riferisce al modo in cui egli stabilisce un certo rapporto con
la regola morale e si assoggetta a determinati modi di metterla in atto; una ascetica, che
riguarda il lavoro etico effettuato dagli individui su se stessi per tentare di trasformar-
si in soggetti morali della propria condotta e non solo in esecutori del codice, ed infi-
ne una teleologia, che ha a che fare con le finalit che consentono di realizzare un cer-
to comportamento, capaci di condurre lindividuo ad un modo dessere che proprio
di un soggetto morale. Per riassumere tutto questo, potremmo fare ricorso ad una cate-
goria che a Foucault capiter sovente di utilizzare nel corso degli ultimi anni, quella di
spiritualit, con cui egli intendeva alludere ad un tipo di soggettivazione diverso tan-
to dagli assoggettamenti predisposti dai dispositivi di potere susseguitisi nel corso del-
la storia, quanto dai soggetti della storia che si sono candidati a conquistare tale potere
e a fletterlo nella direzione di unaltra governamentalit grazie al possesso di una verit
che autorizza ad assumere la direzione della condotta degli altri. Con la categoria del-
la spiritualit senza arcana conscientiae n exploratio conscientiae, senza cio quel-
li che per i cristiani diventeranno i segreti pi profondi e misteriosi dellanima umana
e lobbligo di ricercarvi i segni della presenza del maligno, con il corteo di direzione di
coscienza e governo delle anime e dei corpi allestito dal pastorato cristiano
25
e riversa-
tosi, a partire dallet moderna, nei pi diversi dispositivi della governamentalit occi-
dentale Foucault voleva invitarci a riflettere sul pi gravoso dei nostri compiti attuali:
accedere ad unaltra figura della verit, dopo tutte quelle che si sono consumate fino ad
oggi, pensare una nuova relazione al vero che passi attraverso una trasformazione, un
lavoro su noi stessi che ci renda capaci di modificare il nostro modo di essere e di diven-
tare nuovamente parresiasti
26
. In un movimento di ripresa di quanto aveva scritto in
24
Cfr. M. Foucault, Introduzione a Luso dei piaceri, cit.
25
Vale a dire della forma specificamente cristiana di potere e di vita morale (di governamentalit) caratte-
rizzata, secondo Foucault, dallorientamento verso la salvezza, dalla sua natura oblativa, dalla sua vocazione
individualizzante e dal suo legame con una modalit specifica di produzione di verit rappresentata dalla con-
fessione (cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collge de France (1977-1978), Feltrinelli,
Milano 2005, in particolare pp. 99-167, 172-173, 181-182, 205-206).
26
Sulla parrhsia come parola di verit, pratica del dir-vero, cfr. M. Foucault, Discorso e verit nella Grecia
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
607
precedenza che gli era abituale, Foucault, proprio alla fine della vita, ritorna cos sulle
figure della profezia, della critica e della rivoluzione, ma per ridefinirne i lineamenti e
la stessa possibilit: non pi una parola ed unesperienza che parla in nome di qualcun
altro, dirige in vista di un avvenire che nessun altro in grado di scorgere e che solo per
alcuni ha acquistato la forma del destino, e forse neppure solo lesercizio di un dirit-
to nella forma dellesistenza libera di individui liberi, bens piuttosto come una prati-
ca pericolosa, che espone al rischio della morte e che esige il coraggio di dire la verit.
Ma questo, diceva Foucault, comporta una vera e propria trasfigurazione dellesisten-
za, lesercizio di unascesi radicale che consiste nel dare alla propria vita una forma ed
uno stile che rende visibile la verit nel modo dello scandalo e dellinquietudine, e di
cui lo stesso militantismo rivoluzionario ha fornito un esempio, almeno allorch ha cer-
cato di tenere insieme indissolubilmente, al prezzo di una certa erranza e di una certa
solitudine, persino di una certa derisione (comera accaduto un tempo nel caso dei ci-
nici), la vera vita e la vita di verit. In questo senso Foucault, alla fine, stabiliva tra
discorso critico, discorso rivoluzionario e persino discorso scientifico, una cer-
ta prossimit, ma alla condizione che il loro esercizio avvenga secondo la modalit par-
resiastica, vale a dire nella forma della critica della societ esistente, con il suo carico di
ingiustizie e di vergogne; nella forma di unanalisi e di una riflessione sulla finitudine
umana e come tentativo di oltrepassarla tanto nellordine del sapere quanto nellordi-
ne della morale; ed infine nella forma della critica dei pregiudizi, dei saperi esistenti,
delle istituzioni dominanti, dei modi di agire attuali. Insomma, nella forma del rifiu-
to di essere governati e dello sforzo interminabile di costituire se stessi come soggetti
morali capaci di dare a se stessi la regola, di soggetti che si sottraggono ai tentativi che
da millenni proliferano di farli confessare ed obbedire, per costituirsi come soggetti au-
tonomi di azioni rette e giuste. La sola promessa che alla fine Foucault riteneva ancora
possibile, e addirittura necessaria, era infatti quella di una rivoluzione morale. Nulla di
pi. Ma neppure nulla di meno. Se possibile.
BIOGRAFIA
Michel Foucault, nato a Poitiers nel 1926, dopo aver studiato psicologia e filosofia pres-
so lEcole Normale Suprieure di Parigi ed avere militato nel partito comunista tra il
1950 e il 1952, lavora presso lospedale psichiatrico Sainte Anne ed insegna allUniversi-
t di Lille. Tra il 1953 e il 1954 escono i suoi primi scritti. A Uppsala avvia la ricerca per
quella che diventer la sua tesi di dottorato, Folie et Draison, per poi trasferirsi a Varsa-
via e successivamente ad Amburgo. Rientrato in Francia, nel 1961 consegue il dottora-
to e pubblica la tesi. Ottiene una cattedra di psicologia a Clermont-Ferrand e nel 1963
pubblica La nascita della clinica e Raymond Roussel. A consacrarlo tra i pensatori in-
fluenti nella stagione del cosiddetto strutturalismo sar per la pubblicazione, nel 1966,
di Le parole e le cose. Nel frattempo Foucault si trasferisce ad insegnare filosofia allUni-
antica, Donzelli, Roma 1996; Lermeneutica del soggetto, cit.; Le gouvernement de soi et des autres, cit.; Le
Gouvernement de soi et des autres: le courage de la vrit, cit.
Mauro Bertani
608
versit di Tunisi, dove assiste al sorgere di un movimento studentesco oggetto di una fe-
roce repressione. Rientrato in Francia collaborer alla nascita del Centro universitario
sperimentale di Vincennes, dove insegner filosofia. Nel 1969 pubblica Larcheologia del
sapere e subito dopo viene chiamato al Collge de France. La sua cattedra prender il
nome di Storia dei sistemi di pensiero e la sua lezione inaugurale viene pubblicata con
il titolo Lordine del discorso. Nelle sue ricerche al Collge mette a punto il cantiere di
una storia della verit e della nostra volont di sapere, ma al contempo moltiplica
gli interventi, le interviste, i viaggi allestero, in particolare nei paesi in cui sono al potere
regimi dittatoriali, in occasione dei quali intreccia relazioni intense con intellettuali, stu-
diosi, militanti e oppositori dei regimi in questione. In Francia, grazie soprattutto allim-
pegno del suo compagno di vita D. Defert, nel 1971 fonda con P. Vidal-Naquet e J.-M.
Domenach, il Groupe dinformation sur les prisons (GIP), mentre al Collge de France
avvia un ciclo di ricerche sui sistemi giudiziari e punitivi delle societ occidentali da cui
verranno varie pubblicazioni, tra cui il dossier su Pierre Rivire nel 1973 e Sorvegliare e
punire nel 1975. Sono anni di analisi e inchieste, ma anche di lotte, scontri con la polizia
(Foucault verr fermato e malmenato in pi occasioni), manifestazioni contro la repres-
sione poliziesca, episodi di razzismo, morti nelle carceri; di proteste (Spagna e Brasile
in particolare) ma anche di denuncia inflessibile di ogni deriva di tipo terroristico. Nel
1976 pubblica il primo volume di un vasto progetto di storia della sessualit, La volon-
t di sapere, che avrebbe dovuto essere seguito da una serie di altri cinque che Foucault
non scriver mai. Continua a viaggiare incessantemente, tiene seminari in Giappone,
Canada, Sud America, Stati Uniti (dove predispone un programma di ricerca sulla go-
vernamentalit in occidente), mentre in Francia si occupa di organizzare manifestazioni
in sostegno dei dissidenti sovietici. Nel 1978 il programma sulla governamentalit si in-
flette in una duplice direzione: da un lato, lanalisi della razionalit politica dalla Ragion
di stato al liberalismo; dallaltro, con lanalisi del tema della carne, della concupiscen-
za e della confessione proprie dellars gubernatoria cristiana, attraverso i padri della
Chiesa, Foucault indotto ad occuparsi sempre pi della cultura antica e tardo antica
cui aveva gi iniziato a consacrare le sue ricerche agli inizi degli anni Settanta occupan-
dosi del ciclo su Edipo di Sofocle. Contemporaneamente progetta per il Corriere della
sera i reportages di idee che lo porteranno ad occuparsi della situazione iraniana ed
a riflettere sulle possibilit di una spiritualit politica e sulle condizioni di un solleva-
mento popolare. Nel 1979 organizzer insieme a Sartre il primo colloquio israelo-pale-
stinese, in seguito dar vita a iniziative a favore dei boat people (il problema dei rifugiati
un presagio della grande migrazione, dir, destinata diventare il problema fondamen-
tale del XXI secolo ed arrivando a teorizzare la necessit di fondare quello che nel 1981
chiamer un diritto dei governati). Nelle sue ricerche e nei suoi corsi al Collge si pre-
cisa sempre pi un piano di lavoro che si incentra progressivamente sulla soggettivit,
e in particolare sul governo di s. Nel corso degli anni Ottanta i soggiorni allestero di-
ventano sempre pi frequenti ed ipotizza persino la possibilit di trasferirsi in Califor-
nia, dove sperimenta un differente modo di vivere la condizione omosessuale. Riprende
a studiare Kant e la questione dei Lumi nel mentre proseguono le sue ricerche sui Padri
della Chiesa, sulla confessione e sulletica sessuale nella tarda antichit. Nel 1981 viene
attaccato dalla cerchia di Mitterrand per il suo rifiuto di sostenere la campagna elettora-
le dei socialisti, ma Foucault rimarca il ruolo dellintellettuale critico e specifico, che non
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
609
quello di funzionare da direttore di coscienza elettorale. Preferisce occuparsi atti-
vamente del movimento di Solidarnosc, in collaborazione con la CFDT, come continuer
a fare per tutto il 1982, e delle sue ricerche sulla storia della soggettivit e la cura di
s. Visita Auschwitz e progetta un istituto di filosofia del diritto incaricato di studiare
come iscrivere la vita, lesistenza, la soggettivit nella pratica del diritto. Partecipa
allAcadmie Tarnier, in cui vengono discussi i suoi lavori, fatti reagire a contatto con
lattualit, come i problemi dei rifugiati, la questione dei governati, il terzo mon-
do, la politica internazionale. Con la storica A. Farge pubblica Le dsordre des familles
sulle lettres de cachet e partecipa in Vermont al seminario sulle tecnologie del s. Sem-
pre pi interessato al problema dellorganizzazione e della trasmissione dei saperi acca-
rezza lidea di fondare una casa editrice di ricerca: nel 1983 nasce la collezione Des
Travaux da lui diretta con P. Veyne e F. Wahl. Nel frattempo il piano del progetto sul-
la storia della sessualit subisce continui rifacimenti e rimaneggiamenti. Ormai le ricer-
che sulla parrhesia, il dir vero, la cultura di s e il governo di s e degli altri han-
no preso il sopravvento. Negli Stati Uniti propone ai suoi studenti un progetto di ricerca
sulla governamentalit socialista, liberale, ecc., in Europa dagli anni Trenta, mentre al
Collge studia la pratica del dir vero nei suoi rapporti con la democrazia ateniese. Si
sa malato, ma nella prima met del 1984 riesce comunque a portare a termine i due vo-
lumi previsti sui Greci Luso dei piaceri e La cura di s ma non il terzo sui padri del-
la Chiesa Les aveaux de la chair. Lultimo corso, dedicato alla parrhesia in Socrate e nei
cinici, affronta la questione del coraggio della verit nei suoi rapporti col potere, fino
allestremo rischio della stessa vita. Muore di AIDS il 25 giugno 1984.
BIBLIOGRAFIA
Libri pubblicati dallo stesso Foucault
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1962; tr. it. Malattia mentale e psicologia, Cortina, Milano 1997).
Folie et draison, Plon, Paris 1961 (poi Histoire de la folie lge classique, Gallimard, Paris 1972;
tr. it. Storia della follia nellet classica, Rizzoli, Milano 1976).
Naissance de la clinique, PUF, Paris 1963 (tr. it. Nascita della clinica, Einaudi, Torino 1998).
Raymond Roussel, Gallimard, Paris 1963 (tr. it. Raymond Roussel, Ombre corte, Verona 2001).
Les mots et les choses, Gallimard, Paris 1966 (tr. it. Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967).
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1971).
Lordre du discours, Gallimard, Paris 1971 (tr. it. Lordine del discorso e altri interventi, Einaudi,
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Surveiller et punir, Gallimard, Paris 1975 (tr. it. Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976).
La volont de savoir, Gallimard, Paris 1976 (tr. it. La volont di sapere, Feltrinelli, Milano 1978).
Lusage des plaisirs, Gallimard, Paris 1984 (tr. it. Luso dei piaceri, Feltrinelli, Milano 1984).
Le souci de soi, Gallimard, Paris 1984 (tr. it. La cura di s, Feltrinelli, Milano 1985).
Mauro Bertani
610
Interventi, interviste, dialoghi, prefazioni, saggi critici, raccolti e ordinati in:
Dits et crits, Gallimard, Paris 1994, vol. I: 1954-1969; vol. II: 1970-1975; vol. III: 1976-1979; vol. IV:
1980-1988 (dei Dits et crits in lingua italiana, esistono solo varie raccolte parziali, tra cui si se-
gnalano: Poteri e strategie, Mimesis, Milano 1994; Archivio Foucault 1, Feltrinelli, Milano 1996;
Archivio Foucault 2, Feltrinelli, Milano 1997; Archivio Foucault 3, Feltrinelli, Milano 1998;
Scritti letterari, Feltrinelli, Milano 1996; Taccuino persiano, Guerini, Milano 1998; Spazi altri,
Mimesis, Milano 2001; Il discorso, la storia, la verit, Einaudi, Torino 2001; Biopolitica e liberali-
smo, Medusa, Milano 2001; Colloqui con Foucault, Castelvecchi, Roma 2005; Della natura uma-
na, DeriveApprodi, Roma 2005; Follia e psichiatria, Cortina, Milano 2005; Il sapere e la storia,
Ombre corte, Verona 2007; Discipline, poteri, verit, Marietti, Milano 2008; Strategie dellaccer-
chiamento. Conversazioni e interventi 1975-1984, Duepunti edizioni, Palermo 2009).
Vi sono poi i volumi curati da Foucault o quelli usciti postumi, tra cui:
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1976).
Herculine Barbin dite Alexina B., Gallimard, Paris 1978 (tr. it. Una strana confessione, Einaudi,
Torino 1979).
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Entretiens avec R.-P. Droit, O. Jacob, Paris 2004 (tr. it. Conversazioni, Mimesis, Milano 2007).
Utopie et htrotopies, INA, Paris 2004 (tr. it. Utopie eterotopie, Cronopio, Napoli 2006).
Introduction lAnthropologie, in I. Kant, Anthropologie dun point de vue pragmatique, Vrin, Pa-
ris 2008 (tr. it. Introduzione a I. Kant. Antropologia dal punto di vista pragmatico, Einaudi, To-
rino 2010).
La serie costituita dai tredici anni dei corsi al Collge de France
di cui sono per ora usciti:
Il faut dfendre la socit. Cours 1975-1976, Gallimard-Seuil, Paris 1997 (tr. it. Bisogna difende-
re la societ, Feltrinelli, Milano 1998).
Les anormaux. Cours 1974-1975, Gallimard-Seuil, Paris 1999 (tr. it. Gli anormali, Feltrinelli, Mi-
lano 1999).
Lhrmneutique du sujet. Cours 1981-1982, Gallimard-Seuil, Paris 2001 (tr. it. Lermeneutica del
soggetto, Feltrinelli, Milano 2003).
Le pouvoir psychiatrique. Cours 1973-1974, Gallimard-Seuil, Paris 2003 (tr. it. Il potere psichiatri-
co, Feltrinelli, Milano 2004).
Scurit, territoire, population. Cours 1977-1978, Gallimard-Seuil, Paris 2004 (tr. it. Sicurezza, ter-
ritorio, popolazione, Feltrinelli, Milano 2005).
Naissance de la biopolitique. Cours 1978-1979, Gallimard-Seuil, Paris 2004 (tr. it. Nascita della bio-
politica, Feltrinelli, Milano 2005).
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault
611
Le gouvernement de soi et des autres. Cours 1982-1983, Gallimard-Seuil, Paris 2008 (tr. it. Il gover-
no di s e degli altri, Feltrinelli, Milano 2010).
Le gouvernement de soi et des autres. Le courage de la vrit. Cours 1983-1984, Gallimard-Seuil,
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613
FORTINI E IL COMUNISMO
COME AUTOEDUCAZIONE POLITICA
Daniele Balicco
Tutto se non si vince ritorner
(F. Fortini)
Franco Fortini stato uno dei pi importanti intellettuali italiani della seconda met del
Novecento. Tuttavia, il suo nome dice poco, se non addirittura pochissimo, a chi oggi
abbia meno di trentanni. Del suo lavoro di scrittore, di poeta, di traduttore, di rigoroso
intellettuale politico, di severo polemista, il presente non porta che rarissime tracce. Ri-
spetto a personaggi molto diversi, ma a lui facilmente associabili, come furono Pier Pao-
lo Pasolini o Italo Calvino, la cui fama e popolarit oggi fuori discussione, perfino a li-
vello internazionale, Fortini allopposto una figura intellettuale quasi del tutto rimossa;
le sue opere, tranne alcune eccezioni, sono per lo pi fuori catalogo. Solo chi si occupa
professionalmente di storia letteraria sa riconoscerlo come uno dei pi importanti poe-
ti della tradizione post-montaliana, collocandolo correttamente accanto a Vittorio Sere-
ni e Mario Luzi e ricordandone, magari, la funzione di mediatore in Italia dellopera di
Bertold Brecht. O poco altro. Per questa ragione, credo che un buon modo per inizia-
re a tratteggiare il profilo generale di un intellettuale politico come Fortini sia anzitutto
quello di provare a ragionare sul significato storico della rimozione che il suo lavoro ha
subito. Prima dunque di presentare gli elementi essenziali della sua biografia e del suo
pensiero, partir descrivendo il conflitto che per molti anni lha opposto a Calvino, ma
soprattutto a Pasolini. Nel confronto con questi due grandi scrittori del secondo Nove-
cento italiano, dovrebbe risaltare con una certa chiarezza la differenza specifica del suo
lavoro intellettuale. Da cui mi pare discenda, come logica conseguenza di una sconfitta
storica molto pi vasta, loblio che la sua opera e il suo pensiero tuttora subiscono.
Attraverso Pasolini e Calvino
A differenza di Fortini, Pasolini e Calvino sono stati scrittori gravitanti, naturalmente
non senza problemi e scontri, nellorbita culturale del PCI. Qui non interessa ricostrui-
re il progressivo evolversi di un distacco nel caso di Calvino, dopo il 56 o di un
complicato ed intermittente rapporto di espulsione e riavvicinamento come nel caso
Daniele Balicco
614
di Pasolini. Quello che si pu sostenere, anche se in modo necessariamente apoditti-
co, che entrambi appartengono alla storia della crisi della cultura comunista in Italia.
Tanto in Pasolini, quanto in Calvino, riconoscibile, infatti, un itinerario espressivo
ed intellettuale che a quella crisi cerca risposte e soluzioni nuove. E non senza origina-
lit e successo. Litinerario di Fortini, rispetto ad entrambi, invece molto pi linea-
re: il suo anticapitalismo stato radicale quanto il suo rifiuto politico del comunismo
stalinizzato. Del resto, Fortini non fu mai iscritto al PCI; i suoi saggi, fin dalla fine degli
anni Quaranta, possono allopposto essere letti come documento storico di unimpla-
cabile requisitoria contro le distorsioni dello stalinismo, italico e mondiale
1
. Se nutr
non poche speranze sulla rivoluzione cinese nel 1955 partecip, insieme a Norber-
to Bobbio, Pietro Calamandrei, Cesare Musatti, Antonello Trombadori e Carlo Casso-
la alla prima delegazione occidentale nella Repubblica popolare di Mao
2
lamicizia
con Edoarda Masi lo mise da subito in guardia sulle contraddizioni di quellimmen-
sa trasformazione sociale; e, dalla fine degli anni Settanta in poi, sui fenomeni dege-
nerativi che avrebbero trasformato la Cina in quello che oggi: lepicentro dellaccu-
mulazione mondiale.
In un testo poetico del 1958, intitolato niente meno che Il comunismo
3
, Fortini de-
scrive, non senza ironia, il proprio tumultuoso rapporto con la causa e con i compa-
gni. Credo valga la pena citarlo per intero:
Sempre sono stato comunista.
Ma giustamente gli altri comunisti
hanno sospettato di me. Ero comunista
troppo oltre le loro certezze e i miei dubbi.
Giustamente non mhanno riconosciuto.
La disciplina mia non potevano vederla.
Il mio centralismo pareva anarchia.
La mia autocritica negava la loro.
Non si pu essere un comunista speciale.
Pensarlo vuol dire non esserlo.
Cos giustamente non mhanno riconosciuto
i miei compagni. Servo del capitale
io, come loro. Pi, anzi: perch lo dimenticavo.
E lavoravano essi; io il mio piacere cercavo.
Anche per questo sempre ero comunista.
Troppo oltre le loro certezze e i miei dubbi
di questo mondo sempre volevo la fine.
Ma anche la mia fine. E anche questo, pi questo,
1
F. Fortini, Dieci inverni (1947-1957). Contributi ad un discorso socialista, Feltrinelli, Milano 1957.
2
Un diario di questo viaggio, che attravers anche lUnione Sovietica, si pu leggere in: Id., Asia Maggiore
[1956], Manifestolibri, Roma 2007.
3
Id., Il comunismo, in Una volta per sempre, ora in Versi scelti, Einaudi, Torino 1989, p. 136.
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica
615
li allontanava da me. Non li aiutava la mia speranza.
Il mio centralismo pareva anarchia.
Com chi per s vuole pi verit
Per essere agli altri pi vero e perch gli altri
siano lui stesso, cos sono vissuto e muoio.
Sempre dunque sono stato comunista.
Di questo mondo sempre volevo la fine.
Vivo, ho vissuto abbastanza per vedere
da scienza orrenda percossi i compagni che mhanno piagato.
Ma dite: lo sapevate che ero dei vostri, voi, no?
Per questo mi odiavate? Oh, la mia verit necessaria,
dissolta nel tempo e aria, cuori pi attenti ad educare.
Anche se oggi questo termine pu sembrare quasi del tutto incomprensibile, Fortini vo-
leva essere un rivoluzionario. Il punto di partenza non negoziabile della sua riflessione
critica e poetica la fine del modo di produzione capitalistico. Per tutta la vita sceglie-
r di stare dalla parte del lavoro vivo contro la logica astratta ed autodistruttiva dellac-
cumulazione.
Calvino e Pasolini hanno seguito invece un itinerario pi tradizionale. Hanno cerca-
to, in un primo tempo, di interpretare, bench in forme espressive diametralmente op-
poste, un ruolo antico, ma in linea con la politica culturale del PCI: quello del letterato ci-
vile, del poeta impegnato, dellartista coscienza infelice della vita offesa. In un secondo
tempo, entrando in crisi quel modello di cultura di fronte alla fine del togliattismo e so-
prattutto alla simmetrica intensificazione delle forme espressive dellindustria culturale,
hanno cercato strade nuove. E tuttavia, semplificando al massimo, si pu sostenere che
entrambi hanno provato a riadattare, in un contesto culturale ormai mutato, quel ruolo
di intellettuale engag a cui tutto sommato restano fedeli. Calvino modificher il proprio
profilo di scrittore civile in quello di scienziato della scrittura: si immaginer come un
osservatore distaccato dalla vita alla ricerca di un senso, circostanziato e sempre relativo.
in fondo, la sua, la messa in scena di un soggetto malinconico, imprigionato nei confi-
ni di una convenzione, come quella del gioco letterario, vissuta, soprattutto nelle ultime
opere Lezioni americane e Palomar come barriera di sabbia fragilissima eretta contro
linforme barbarico che avanza veloce e inesorabile come la marea. Pasolini, allopposto,
lautore che punta tutte le sue carte contro le barriere e i confini della convenzione let-
teraria, che vuole forare, aprire e oltrepassare: se Calvino sceglie per s il ruolo di scien-
ziato, Pasolini preferisce quello del predicatore profetico capace di indicare, nel pro-
prio personale moto di ribellione contro il presente, le forze e i poteri che lo devastano.
Da parte sua, invece, Fortini, non avendo mai scommesso sul PCI, e men che meno
su quel modello di lavoro intellettuale, di fronte alla crisi dello stalinismo non arretra
di un passo. Anzi. I saggi pi famosi di quegli anni, come Mandato degli scrittori e fine
dellantifascismo e Astuti come colombe, entrambi pubblicati nel 1965 in Verifica dei po-
teri, sono proprio una diagnosi lucida, e forse definitiva, dellerrore politico nascosto in
quel progetto culturale di cui il PCI stato, in Italia, il massimo promotore: lengagement.
Ma altrettanto lucida lanalisi della successiva metamorfosi progressista di quellidea
Daniele Balicco
616
di un impegno civile tutto e solo culturale. Di fronte alle nuove avanguardie o ai pro-
getti di trasformazione del ruolo intellettuale alla Calvino o alla Pasolini, il suo dissenso
sar sempre radicale. Chi crede di trasformare la societ facendo saltare in aria la sintas-
si o semplicemente azzerando il sistema delle forme estetiche non si rende davvero con-
to che il capitale sta facendo lo stesso, ma con ben altri mezzi e potenza; ma soprattut-
to ignora che lantitesi altrove. Contro linsieme di questi progetti di modernizzazione
del ruolo di scrittore Fortini opporr, insieme, Brecht e Mandelstam: prima di ogni im-
pegno estetico, si discuta anzitutto dei rapporti di propriet; prima di ogni sperimenta-
lismo e fuga in avanti avanguardistica, si ricordi che la poesia classica la poesia della
rivoluzione. Perch lidea di uomo integrale l protetta , insieme, anticipo di un futu-
ro liberato e forma che illumina per antinomia la miseria che contro ogni ragionevolezza
ancora incatena il nostro presente.
A partire dagli anni Sessanta, Fortini ha sempre pi esacerbato il giudizio politico
sulle scelte intellettuali di Pasolini e Calvino, i quali, da parte loro, nonostante le criti-
che ricevute, hanno invece continuato a considerarlo come uno degli interlocutori privi-
legiati, se non il lettore ideale, di quanto andavano scrivendo o realizzando, negli anni,
con le loro opere. Molte lettere di Pasolini e di Calvino, a lui indirizzate, sembrano esse-
re state scritte nello stesso momento e dalla stessa persona. Ne prender come esempio
solo due. La prima un biglietto che Pasolini invia alla fine del 1961, in risposta ad una
lettera dove, almeno per una volta, Fortini sembra cedere le armi e complimentarsi con
lamico per il successo e la bellezza di Accattone (per aver fatto Accattone, ti perdono
molte cose). Vediamo come gli risponde Pasolini:
ti scrivo solo un magro biglietto, per ricordarti che esisto e che soprattutto tu esisti in me: esisti
tanto da essere lideale destinatario di quasi tutto quello che scrivo. Spero di esserlo un poco
anche io per te, anche se non possiedo la tua formidabile ed esplicita, sempre, reattivit
4
.
Una risposta quasi identica quella che Calvino scrive il 3 giugno 1977 da Parigi. Dopo
aver ricevuta una lettera di complimenti da Fortini per la pubblicazione del racconto la
Poubelle Agre (la tua Poubelle un bote merveilles. Hai scritto un pezzo bellissimo.
Credo che i pi ci metteranno un bel po ad accorgersene perch non si presta, come
molti dei tuoi scritti pi recenti, alle brame dei giovinetti delle ultime piogge e mode)
gli risponde con queste parole:
Caro Fortini la tua lettera mha fatto un enorme piacere. Di quelle pagine tu eri gi men-
tre le scrivevo uno dei lettori ideali, e tenevo molto al tuo giudizio. Tu sei una delle poche
persone con cui continuo a dialogare anche senza parlarci n scriverci : devo dire che pi
raramente di una volta mi trovo a contraddirti
5
.
Fortini, da parte sua, non smetter mai, fino alla fine, di distinguere la propria traietto-
ria intellettuale e politica da quella dei due suoi amici/antagonisti. In un commento di
4
Id., Uno scambio di lettere in Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi 1993, p. 121.
5
G. Nava, E. Nencini (a cura di), Italo Calvino Franco Fortini. Lettere scelte 1951-1977, Lospite Ingrato,
I, 1998, pp. 116, 118.
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica
617
raccordo scritto presumibilmente nei primi anni Novanta, interno alla sezione epistola-
re di Attraverso Pasolini, che il suo ultimo libro pubblicato in vita, la distanza segna-
ta quasi con violenza. Pasolini e Calvino, pi o meno involontariamente, avrebbero in-
fatti favorito e non a caso proprio a partire dagli anni Sessanta nella forma di lavoro
intellettuale scelto, come nei modelli estetici praticati, unidea di cultura e di intervento
politico sul presente che la mutazione avrebbe, negli anni, integrato come opposizione
trasgressiva illusoria o come nobile e distaccato disincanto:
forse difficile oggi rendersi conto di quanto fosse stridulo il contrasto fra il modo in cui
veniva vissuto il presente fra Torino e Milano in quegli anni di trasformazione profonda e
limmagine che di quello ci veniva da Roma. Per di pi quasi tutti gli intellettuali che erano
stati vicini a pubblicazioni come Quaderni rossi e Quaderni piacentini, fra il 1962 e il
1964 scomparivano alla vista, rinunciavano alla presenza, sopravvivevano nelle forme pi
modeste e anonime. forse difficile capire, oggi, che per costoro, non solo Pasolini ma anche
Calvino erano dei perduti, dei passati nel campo avverso
6
.
A partire dagli anni Sessanta, mentre Fortini, licenziato da Olivetti e da Einuadi, lavo-
ra come professore di scuola secondaria e si muove allinterno della galassia non istitu-
zionale dei movimenti e della nuova sinistra, Pasolini e Calvino iniziano invece a posi-
zionarsi, con successo, al centro del campo intellettuale ed artistico italiano; il primo
come regista maudit integrato nello star-system del cinema di ricerca europeo, il secondo
come scrittore di best-seller raffinati, tradotti in moltissime lingue, e consulente di pun-
ta dellEinaudi, la pi prestigiosa casa editrice italiana. Dunque: da una parte, succes-
so economico, prestigio, fama, riconoscimenti; dallaltra, impegno politico come lavoro
di servizio invisibile e interno alle lotte dei movimenti antisistemici. Due mondi opposti,
non c dubbio; come opposte, inevitabilmente, sono le forme pratiche di intervento e di
lavoro intellettuale vissute. Non un caso dunque se, ancora oggi, il valore politico della
scrittura di Fortini, diversamente da quanto poi accaduto con gli scritti polemici di Pa-
solini anzitutto, ma anche di Calvino, riconosciuto purtroppo quasi esclusivamente
da chi appartenuto a quella storia di trasformazione sociale, che il presente ha con for-
za annientato. Come ha scritto, non senza ragioni, Rossana Rossanda:
Fortini giace insepolto fuori dalle mura. E si spiega: ha voluto essere una voce poetica di quella
parte del secolo che aveva tentato lassalto al cielo dun cambiamento del mondo, ha perduto
ed ricaduta fra le maledizioni del Novecento e linizio di un millennio che non ne sopporta
il ricordo
7
.
Pasolini e Calvino, invece, hanno riscosso in vita, e proprio a partire dagli anni Sessan-
ta, un vasto e duraturo successo di pubblico, anche internazionale; per diventare, ne-
gli anni successivi alla morte, due classici riconosciuti del secondo Novecento italiano.
Entrambi: con buona pace di Carla Benedetti. Dopo la pubblicazione dei dieci volumi
nei Meridiani dellOpera omnia di Pasolini unico autore di tutta la tradizione lettera-
6
F. Fortini, Uno scambio di lettere, in Attraverso Pasolini, cit., p. 122.
7
R. Rossanda, Uno sperato tutto di ragione, in F. Fortini, Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003, p.
XIII.
618
Daniele Balicco
ria italiana a godere di un riconoscimento di queste dimensioni editoriali credo che le
sar molto difficile sostenere oggi la tesi che mosse un suo fortunato pamphlet di qual-
che anno fa
8
. Per essere chiari: quello che distingue realmente Fortini, come scrittore e
poeta, da Calvino e Pasolini, il suo posizionamento come intellettuale allinterno dei
conflitti di massa. La sua convinzione profonda che il lato politico della cultura vada
studiato e praticato anzitutto nellorganizzazione del lavoro intellettuale. Se non si ana-
lizzano le condizioni di possibilit materiale del proprio lavoro, se non si attraversano,
fino in fondo, le contraddizioni di classe che ne deformano lautocoscienza e i poteri; se
non si porta fino alle estreme conseguenze la critica dei propri strumenti espressivi, si pu
tranquillamente vivere nellinganno di essere autori al di sopra del processo di mercifica-
zione che invade lesistente; si potranno perfino criticarne gli effetti devastanti sul mon-
do, ma senza riconoscerne le cause reali; le stesse che trasformano un autore in unico-
na/merce della trasgressione o del disincanto. Quello che Pasolini e Calvino rifiutano di
compiere in sostanza una critica radicale dei mezzi di comunicazione che usano, la sola
che avrebbe potuti introdurli in un universo realmente politico. una questione centra-
le per capire Fortini e va approfondita.
Liberazione del lavoro
In un articolo intitolato Le firme supplici, pubblicato alla fine del 1977 e poi confluito in
Insistenze, Fortini prende spunto dalla sostituzione di Piero Ottone con Francesco Di
Bella alla direzione del Corriere della Sera per riflettere sulluso politico che le dire-
zioni dei quotidiani hanno fatto, negli ultimi trentanni, dei propri collaboratori ester-
ni. La sostituzione di Ottone nascondeva in realt questioni politiche molti gravi, che
di l a poco sarebbero state scoperte: vale a dire il coinvolgimento diretto della famiglia
Rizzoli, allora proprietaria del quotidiano, nella loggia massonica P2, di cui Di Bella era
membro. Dopo questa inquietante sostituzione, un gruppo di collaboratori esterni, fra
cui Fortini che in un primo momento incerto se firmare o meno il documento, visto
che ha gi deciso di andare allo scontro diretto e dimettersi chiede lestensione del di-
ritto sindacale di poter discutere, con il direttore e la redazione del giornale, la linea edi-
toriale del quotidiano. Di fronte ad un cos brusco cambio di direzione, infatti, i colla-
boratori esterni chiedono un minimo di verifica e di controllo sulla linea del giornale di
cui comunque restano firme prestigiose. La richiesta viene naturalmente respinta. Alcu-
ni collaboratori, insieme a Fortini, daranno le dimissioni; altri continueranno a collabo-
rare lo stesso. La storia di questo piccolo conflitto sindacale portato allinterno della di-
rezione del pi influente quotidiano nazionale da uno sparuto gruppo di firme esterne,
pi o meno importanti, offre a Fortini loccasione per riflettere sulluso ambivalente del-
la funzione autore in questa circoscritta forma di collaborazione.
Larticolo anzitutto ricostruisce per sommi capi un problema gi analizzato da For-
tini in Astuti come colombe. Il problema quello della fine del mandato sociale per gli
scrittori a partire dal boom degli anni Sessanta:
8
C. Benedetti, Pasolini contro Calvino, Bollati Boringhieri, Torino 1996.
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica
619
Se ben ricordiamo, nella prima met degli anni Sessanta, lo scrittore aveva perduta la sua ri-
levanza semisecolare sulla terza pagina del quotidiano e aveva dovuto ripiegare sulle rubriche
dei settimanali. Le mode della neoavanguardia prima, poi la crescita della protesta giovanile e
studentesca dissolsero definitivamente laura del direttore di coscienza.
Fortini continua ricordando che lattacco a quellidea di scrittore come umanista generi-
co, veniva da due direzioni antitetiche: la prima, di area tecnocratica progressista, chie-
deva specializzazioni e scienza, quindi esperti. La seconda, invece, propria dei movi-
menti di contestazione giovanile, disprezzava la letteratura per le sue forme tradizionali
di linguaggio e di illusorio engagement al di sopra delle parti, in stile anni Cinquanta: di
qui il non riconoscimento, per quella generazione, della funzione politica di autori come
Moravia, Morante, Pasolini e Calvino. Era un rifiuto ambivalente, ma che avrebbe por-
tato fino ad una negazione profonda del presunto potere della cultura, tanto umanistica
quanto tecnica, e alla conoscenza approfondita della sua subordinazione diretta alle for-
me di sfruttamento, di selezione e di produzione, dellindustria culturale.
Ma solo a questo punto, per Fortini, che il lavoro intellettuale pu entrare realmen-
te in una dimensione politica. Dopo aver attraversato fino in fondo le falsi immagini di
S come autore (prestigio, autonomia, libert), dopo aver ricostruito il posizionamento
reale e lo sfruttamento subito allinterno della macchina dellindustria culturale, a quel
punto il livello dello scontro pu alzarsi e diventare politico: gli intellettuali si riconosco-
no come lavoratori, si organizzano sindacalmente, chiedono potere di verifica e di con-
trollo sulla propria attivit:
non un caso che questa conoscenza si traducesse, in quel periodo, nei primi tentativi di orga-
nizzazione di una rappresentanza politico-sindacale di tipo fino allora sconosciuto allinterno
di alcune case editrici, dove la forza-lavoro intellettuale chiedeva compartecipazione alle scelte
e alla gestione culturale.
Questo tipo di educazione politica e di organizzazione del lavoro intellettuale portava
con s richieste sindacali di settore, ma soprattutto esprimeva esigenze generali di tra-
sformazione sociale. Era solo una parte, infatti, di un movimento pi vasto, e per quasi
un decennio egemonico in Italia, di conflitto sociale portato dentro la dimensione del la-
voro, mettendone in discussione comando, condizioni materiali e insieme qualit. Contro
questo movimento, che nei suoi punti pi alti e rigorosi fu realmente capace di mutare
temporaneamente i rapporti di forza allinterno di vasti settori della societ italiana, lo
Stato ag con tutti i mezzi, leciti ed illeciti, dalla strategia della tensione allinflazione. Ed
essendo lo scontro poderosamente giocato ad armi impari, i movimenti per un po resi-
stono e poi si sfaldano; e una volta separata dal conflitto politico di cui era logica conti-
nuazione, lesigenza di una trasformazione complessiva del costume e della cultura viene
parzialmente accolta, ma conformata a diritto civile. Poco pi di un adeguamento neces-
sario allincremento di nuovi consumi in una societ ormai affluente.
Ed proprio su questo processo di modernizzazione repressiva che, come noto, si
scaglia Pasolini. Ma solo come autore, appunto; come spettatore al di sopra delle parti.
Pu denunciare gli effetti, pu profeticamente disegnare una tendenza apocalittica ge-
nerale; non pu tuttavia capire luso che viene fatto del suo lavoro e del suo nome. Che
quello, secondo Fortini, di trasformare in generico discorso antropologico e in questio-
Daniele Balicco
620
ne di diritti civili e libert della persona, la forza di un ben pi destabilizzante conflit-
to politico di massa. Non un caso, dunque, che proprio negli stessi anni in cui lo Sta-
to agisce brutalmente contro i movimenti, i pi importanti quotidiani nazionali tornino
a conferire a scrittori come Pasolini, Calvino, Moravia e la Ginzburg, un mandato socia-
le come generici direttori delle coscienze:
Di qui la sorpresa di alcuni di noi quando, qualche anno pi tardi, la direzione di Piero Ottone
apr spazi e confer autorit proprio a quel tipo di intervento etico che pareva scomparso.
(...) Loperazione che gli scrittori adempirono sul Corriere (e anche su non pochi altri
giornali) fu di disinnescare quanto ancora restava di propriamente eversivo nel repertorio
extra-parlamentare e di accettarne e discuterne invece le richieste di diritti civili. (...) Per
questa tematica hanno lavorato, fra terza e prima pagina, proprio gli autori ( Calvino, Pasolini,
Moravia, Ginzuburg, e non pochi altri) che il decennio precedente aveva allontanato dalla
ribalta: essi interpretavano le esigenze di unarea che diviene importante ogni volta che sono
in gioco problemi di libert; e che perde importanza quando i conflitti sociali, espliciti o im-
pliciti, inalveati o no nelle forme del gioco politico, si fanno pi seri
9
.
Dietro luso delle collaborazioni esterne, come se la funzione pubblica dellautore ri-
conquistasse proprio quel falso potere prestigio, autonomia, libert contro cui le for-
me comuni dellintellettuale massa, e solo qualche anno prima, avevano radicalmente
combattuto. Dietro questa restaurazione del mandato sociale allo scrittore, dunque, va
letta, per Fortini, la volont di neutralizzare lidea che un conflitto sociale, portato den-
tro la dimensione del lavoro, anche intellettuale, possa di nuovo arrivare fino al punto di
mettere in discussione i presupposti generali (politici, culturali, antropologici) della ri-
produzione allargata.
Attraversare le false immagini di S
Con la fine degli anni Settanta, e la sconfitta politica del lavoro, naufraga sempre pi
anche lidea di una necessaria trasformazione del ruolo intellettuale; e con questultima
viene forzatamente spostata nellirrealt la persuasione che sia possibile lottare per una
cultura diffusa, capace di portare il senso comune fino alla comprensione politica del
presente. difficile capire oggi il senso di molti degli scritti saggistici, e perfino della
poesia, di Fortini, perch sono precisamente orientati a questo fine. Lo presuppongono
come un orizzonte scomparso. La sua scrittura, infatti, non si rivolge ad un pubblico ge-
nerico, come invece quella di Pasolini o di Calvino e, nello stesso tempo, non neppure
organica ad un partito, ad un movimento sociale o tecnicamente accademica. Come ha
pi volte egli stesso ripetuto:
non parlo a tutti. Parlo a chi ha una certa idea del mondo e della vita e un certo lavoro in esso
e una certa lotta in esso e in s
10
.
9
F. Fortini, Le firme supplici, in Id., Insistenze, pp. 105-107.
10
Id., Scrivere chiaro, in Questioni di Frontiera, Einaudi, Torino 1977, p. 125.
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica
621
Non dovrebbe essere difficile capire a questo punto che loblio caduto sullopera e sul-
la figura intellettuale di Fortini deriva precisamente dalla scomparsa dei destinatari ver-
so cui la sua scrittura orientata. Non solo. lidea stessa di politica come fare co-
sciente e possibilit comune di emancipazione presupposta da questa forma di lavoro
intellettuale ad essere, insieme alla memoria di quegli anni, rimossa dallorizzonte dat-
tesa del presente. Senza una comunit politica coinvolta in un progetto di trasforma-
zione radicale della societ questi scritti, come i vecchi 33 giri, girano a vuoto. A par-
tire dagli anni Ottanta, inizia ad essere visibile, anche per Fortini, quella mutazione di
cui, qualche anno prima, lamato/odiato Pier Paolo aveva parlato nei suoi famosi Scrit-
ti corsari. Con unimpressionante rapidit, infatti, il quadro generale della societ e del-
la cultura italiana muta. Spariscono dalla scena pubblica i destinatari verso cui la scrittu-
ra di Fortini diretta e, nello stesso tempo, per tantissime ragioni che qui non possono
essere spiegate, viene reciso il confronto con le nuove generazioni che sembrano vive-
re ormai in un mondo separato, impermeabile alla ricerca di un senso storico e politico
del presente. Discutendo con Rossana Rossanda sui contenuti politico/culturali dellin-
contro giovanile organizzato da Roberto Roversi, a Bologna, ad un anno dalla strage del
1980, cos scrive:
Perch andare a dire quel che non ci viene chiesto? (...) Debbono essere i giovani a chiedere,
a cercare chi pu rispondere, a domandare sempre di pi, a federarsi, a controllare; altrimenti
meritano di essere lasciati affogare nella panna delle proprie spiegazioni organizzate. Debbo-
no arrivare a sentire intollerabile la loro miseria e la loro ignoranza. Debbono chiedere aiuto.
Al passato; alla storia; ai libri dei morti. Debbono morire al presente. Finch non capiranno
che chiunque altrimenti li lusinga il loro nemico, non meritano che di distrarsi a Bologna
e di leggersi a vicenda le loro caritatevoli poesie di bambini cresciuti. Avranno, tuttal pi il
destino dei loro genitori. Che i giovani si separino, invece. Li invito ad una dissidenza meno
vistosa di quella del 68 ma pi spietata e intransigente. A una clandestinit; che nulla abbia
con quella terroristica. A una segretezza; che nulla abbia della P2. Una congiura in piena luce
che non perdoni nessuno e non renda facondo il disprezzo; e che, con tenacia da formica,
ripensi e rifondi le ragioni di una democrazia, proponendosi un fino in fondo che implica la
pi radicale condanna, quella delloblio, per chi li avr ingannati
11
.
Da questa risposta emerge con chiarezza come Fortini intenda lo scopo del proprio me-
stiere. Per lui la riflessione ideologica non un discorso moralistico che un soggetto
esterno propone ed impone ad un altro soggetto, generico, subalterno e ancora informe.
Lattivit critica piuttosto lavoro autoriflessivo di un gruppo, di una classe sociale sulla
forma della propria esistenza. Il fine quello di corrodere le false immagini di s, di rico-
noscere cio la deformazione forzata che ogni soggettivit subisce sotto il dominio stre-
gato del capitale. In una lontana pagina della fine degli anni Sessanta questidea, vera e
propria stella polare della sua produzione intellettuale, veniva descritta cos:
il compito ideologico non quello di dar forma ad un informe (soluzione tipica del razionali-
smo borghese), di venerare un informe (soluzione dellestremismo vitalistico e avanguardisti-
co) o di difendere un catalogo di forme (soluzione del populismo) ma di criticare limmagine
11
Id., Per una congiura in piena luce, in Saggi ed epigrammi, cit., p. 1054.
Daniele Balicco
622
mistificata, ossia la forma illusoria, che la classe oppressa ha di se stessa. Non quindi col tradi-
zionale processo di assunzione a coscienza e a consapevolezza, ma con la proposta di attivit,
di prassi
12
.
Il lavoro critico anzitutto un lavoro autoriflessivo di un gruppo; implica una relazio-
ne orientata da una comune volont di conoscenza, di autoeducazione e quindi di lotta.
Per questo, Fortini, rispondendo a Rossanda, insiste sulla necessit di una ragionevole
posizione dattesa: devono essere i pi giovani a pretendere una relazione di conoscenza
adulta, perch capace di trasformarli e farli crescere. Solo se vissuta come un processo
di trasformazione di s e di emancipazione dallincoscienza subalterna nella quale sono
forzatamente costretti, la cultura critica pu avere, per le nuove generazioni, un senso e
unefficacia pratica. Altrimenti vuoto moralismo. Non siano dunque gli adulti a pro-
porre ed imporre una narrazione politica possibile della feroce sconfitta subita, ma sia-
no, allopposto, i pi giovani a riconoscere chi, fra gli adulti, pu aiutarli a capire perch
il presente nel quale sono bloccati dipenda anche da quella sconfitta.
Comunque sia, rispetto a questultima, la convinzione di Fortini pressappoco la se-
guente. La storia dei movimenti antisistemici italiani del decennio 67-77, piena di pro-
blemi, eppure straordinaria per intensit, estensione e durata, finita molto male per una
serie di contraddizioni e debolezze interne. Ma soprattutto per limparit dello scontro.
Un insieme di fattori eterogenei, eppure convergenti la violenza militare dello Stato, una
profonda crisi economica con rapida ristrutturazione industriale, il potenziamento dellin-
dustria culturale e una vera e propria rivoluzione tecnologica hanno fisicamente distrut-
to e culturalmente annientato linsieme eterogeneo di quel laboratorio politico e il suo pro-
getto di trasformazione sociale. Nessun altro paese occidentale del resto uscito dalla crisi
dei lunghi anni Settanta mutando la propria fisionomia generale con un tale cumulo di vio-
lenza militare subita, di disgregazione sociale e di corruzione istituzionale:
Qualche volta penso a tutti quelli che da pi di un decennio, ascritti alla criminalit politica,
sono gi condannati o in attesa di giudizio oppure di qualche legge doblio (...); penso a in-
quisiti e inquisitori; ai sospettati e ai loro fratelli; alle madri degli ammazzati; ai fermati e alle
loro mogli; ai rilasciati e ai loro datori di lavoro; ai licenziati e ai loro delegati sindacali. Quanti
sono! Dovete aggiungere, sia chiaro, tutti i settori e i gradi della amministrazione che si affa-
ticano per le carte e i corpi di tutti costoro; e i magistrati, i poliziotti e i carabinieri assassinati
e i loro figli e famiglie. E poi le folle dei giovani senza lavoro, dei cassintegrati che perdono il
proprio passato e il mestiere, dei marginali che perdono lorizzonte, dei drogati che conver-
sano con il demonio: mai era stata nel nostro paese cos densa e oleosa la spremitura sociale,
ormai color pece, crescente, stabilizzata, accettata
13
.
E tuttavia non pu neppure essere dimenticato che leredit vera di quella stagione va
cercata, anche come espressione momentanea di un mutato rapporto di forze, in una
profonda democratizzazione degli apparati ideologici dello stato (scuola, universit, ma-
gistratura, fisco, polizia, ospedali, manicomi). Processo che pu essere ben compendiato
12
Id., Prefazione alla seconda edizione, in Verifica dei poteri [1965], Einaudi, Torino 1989, p. 311.
13
Id., Insistenze, cit., pp. 263-264.
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica
623
in due straordinarie conquiste legislative: lo Statuto dei lavoratori e la legge 180. Il pro-
blema, semmai, fu che quel moto di trasformazione, per precise ragioni e vincoli interna-
zionali, non poteva superare un certo limite. Non poteva cio raggiungere n i centri di
comando della macchina dello Stato e neppure i centri di selezione delle sue vere lite:
nel periodo che va dal 63 al 73 si erano determinate nel nostro paese le condizioni perch
una gran parte degli italiani politicamente attivi uscisse dai termini politici stabiliti dalle or-
ganizzazioni sindacali e politiche della sinistra storica, dominanti gi nel ventennio successivo
alla guerra. La classe politica dominante, quindi anche buona parte della classe politica della
sinistra storica, ha combattuto quella realt con tutti i mezzi, legali e illegali; dal terrorismo di
stato allo sfruttamento di quello di altra origine, dalla provocazione ai normali metodi politici.
Ci nonostante la spinta fu cos forte da determinare alcune fondamentali vittorie civili e da
accettare di confluire nel 76 in un voto di fiducia delle giovani generazioni al maggior partito
della sinistra storica. La risposta stata per un verso il terrorismo senza disegno politico, la
degenerazione intellettuale e morale, la diffusione del cinismo e della droga, la politica di unit
nazionale, la legislazione speciale, le stragi, i poteri occulti. A questo punto, chi condivida
anche solo per sommi capi questo schema non pu accettare di limitare il discorso a questa o a
quella puntualizzazione storica. Capire indietro vuol dire capire avanti, avere dei reali progetti
politici, avere la pazienza di spiegarli; mi rifiuto di rispondere a chi mi chieda di dare una va-
lutazione morale di questo o di quel comportamento, perch lesecrazione non un giudizio
n politico, n morale, un atto di propaganda
14
.
Gli ultimi scritti di Fortini, quelli saggistici, ma con i dovuti giochi di rifrazione pro-
pri del genere in parte anche quelli poetici, possono essere interpretati come tentativi
di trovare una ragione a questa sconfitta e al suo conseguente collasso sociale. Letti oggi
molti dei suoi saggi appaiono come referti di un paesaggio devastato. Potrebbero anche
essere pensati e studiati come una continuazione, ben pi calibrata, delle scritture cor-
sare pasoliniane. Perch se ostinatamente invitano ad un buon uso delle rovine
15
sot-
tendono sempre uno sguardo tragico sul presente. Sono testi che ragionano a fondo su
una sconfitta violenta. Ma ragionare a fondo su una sconfitta violenta significa anche as-
sumersi la responsabilit politica degli errori commessi. E Fortini non era certo un in-
genuo, n tanto meno un velleitario. Sapeva coserano i rapporti di forza e che una po-
litica incapace di calibrarli era destinata, nella migliore delle ipotesi, allirrilevanza. Per
questo non era un minoritario per scelta, ma un militante che sapeva stare in minoran-
za. Ed una cosa ben diversa. Se cerc negli ultimi anni di capire le ragioni della scon-
fitta dei movimenti italiani, sapeva che una politica allaltezza del presente andava ripen-
sata da capo, fin dalle radici.
14
Id., Violenza e non violenza, in Non solo oggi. Cinquantanove voci, Editori Riuniti, Roma 1991, pp. 302-
303.
15
Come ironicamente indica il sottotitolo della sua ultima raccolta di saggi politici: Id., Extrema ratio. Note
per un buon uso delle rovine, Garzanti, Milano 1990.
Daniele Balicco
624
Un itinerario antiriformista
Fortini aveva vissuto, non ancora trentenne, la catastrofe della guerra. Sopravvissuto ai
bombardamenti di Milano, nellagosto del 1943, era stato esule in Svizzera e poi parti-
giano nella repubblica liberata di Valdossola. Nel 1945 torn a Milano e di l a poco Vit-
torini lo volle con s nella redazione del Politecnico di cui divenne rapidamente una
delle firme pi note. Lesperienza della guerra lo aveva costretto alla politica, che non
era stata davvero la sua passione di giovent, impossibile del resto per una generazione
come la sua cresciuta sotto il fascismo: non fui io ad impegnarmi nella politica attiva,
fu la guerra che mi impegn
16
. Di fronte alla catastrofe, fare politica significava alme-
no tre cose: anzitutto lottare per sopravvivere, quindi capire le ragioni della guerra e dei
fascismi, infine organizzarsi per renderli irripetibili. Ancora in Svizzera, tramite Ignazio
Silone, Fortini si era cos iscritto al PSI, ma la sua successiva militanza nel partito fu poco
serena, se non tumultuosa. Basta leggere Dieci Inverni per rendersi conto degli ostacoli
e delle incomprensioni radicali che la sua ricerca di una verit politica tanto sulle con-
dizioni reali della vita nellUnione Sovietica; quanto sul nicodemismo imposto al lavo-
ro intellettuale dalle burocrazie dei partiti di sinistra incontrava allinterno del Fron-
te popolare.
Riconsegn a Nenni la tessera del PSI nel 1957 perch lipotesi di autonomia sociali-
sta, su cui aveva puntato insieme ai compagni di Ragionamenti, si rivelava essere poco
pi di unillusione: il partito, infatti, stava s virando verso lautonomia dal PCI, ma inter-
pretandola ora esclusivamente come ipotesi socialdemocratica di coesistenza e sviluppo.
E di l a qualche anno, infatti, il partito di Nenni dar vita insieme alla Democrazia cri-
stiana al primo governo di centro-sinistra della storia repubblicana. Ormai fuori da ogni
istituzione e casa politica, Fortini si avvicina, in quei primi anni Sessanta, a Raniero Pan-
zieri, altro esule socialista come lui, e al suo strano gruppo di giovani lettori del Capita-
le e attivisti politici senza mandato: sono gli anni di Quaderni Rossi. Quasi contem-
poraneamente per stringe anche un altro legame profondo, da persuasore permanente
o, forse meglio, da vero e proprio mentore. Questa volta con alcuni giovani intellettua-
li piacentini, politicamente appartati e culturalmente radicali. Diventeranno di l a breve
la redazione della pi importante rivista della Nuova sinistra italiana: Quaderni Piacen-
tini. Sono questi probabilmente gli anni migliori di Fortini. Sui suoi scritti pi famosi,
poi confluiti nel 1965 in Verifica dei poteri, si formarono, in quegli anni, molti dei quadri
politici intellettuali di quello che sar, nel decennio 67-77, il movimento antisistemico
italiano. Sono saggi ricchissimi, densi e stratificati; ancora oggi sono capaci di aggredire
il lettore per un verso costringendolo ad attraversare le false immagini, le autorappresen-
tazioni deformate del nostro paese a cui costrinsero, insieme, boom economico e togliat-
tismo; e per un altro, sprigionano ancora un residuo di quellenergia di trasformazione
che avrebbe abitato lItalia negli anni successivi.
I saggi di Fortini sono spesso complicati. Se in uno scritto famoso apparso in tre pun-
tate su il Manifesto, prover a spiegare le ragioni che lo spingono ad una scrittura non
immediatamente chiara (dicono che scrivo difficile. Peggio: non chiaro. vero. Non
16
Id., Un dialogo ininterrotto, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 30
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica
625
sempre. In parte colpa mia e dunque mi riguarda. In parte, e maggiore, non riguarda
solo me. Proviamo a parlarne)
17
altres vero che il suo stile non mai oscuro. La diffi-
colt della sua scrittura sta piuttosto nella costruzione del ragionamento: sono i tagli me-
tonimici, le allusioni, la stratificazione sovrabbondante dei riferimenti a rendere la let-
tura dei suoi testi impegnativa. Lidea di Fortini che la comprensione politica richieda
sempre uno sforzo di estraneamento. Per questa ragione il suo stile lavora sui tagli, sulle
accelerazioni, sulle distorsioni sarcastiche, sui cortocircuiti teorici: perch vuole obbli-
gare il lettore a fermarsi, ad approfondire, a ricredersi. Lo sfida mostrando di continuo
come non sempre convinzioni e presupposti che possono anche apparire semplici, chia-
ri e distinti, portino necessariamente con s idee giuste:
le idee chiare non sono la stessa cosa delle idee giuste, di cui ci parl Mao. La giustezza di
una idea si verifica (in modo piuttosto complicato) nella pratica. La sua chiarezza invece
una questione di legalit interna; stipulato un codice comune, chiaro il messaggio che passa
da chi lo emette a chi lo riceve col minimo di distorsioni. Ma qual il codice comune della
comunicazione politica?
18

Questo il problema centrale degli scritti di Fortini nella stagione dei movimenti anti-
sistemici. Come fare a costruire un linguaggio e un pensiero politico comune allaltezza
del presente. Per Fortini il nodo si pu sciogliere solo capendo che il linguaggio politi-
co una mediazione fra discorso comune e scienza specialistica. Perch, come insegna
Brecht, da lui in quegli anni meravigliosamente tradotto, per sconfiggere il re bisogna
parlare anche la lingua dei re. Non si pu dunque seguire n la strada del PCI, che d ai
suoi intellettuali organici relativa libert scientifica, purch la direzione politica di fon-
do del discorso non venga mai discussa; n tantomeno il politicismo gergale che infesta
la mente e gli scritti dei gruppi extraparlamentari. Bisogna saper parlare la lingua dei re:
bisogna cercare e selezionare ovunque sia il massimo di sapere critico esistente e poi ar-
marlo in una forma adeguata alla trasformazione politica per cui si lotta.
La verit e la tenerezza
Per concludere, riporter uno stralcio di una breve autopresentazione destinata ad un
programma radiofonico di Cesare Zavattini e mandata in onda su radio uno, registrata
con la voce di Fortini stesso, i primi giorni di gennaio del 1978. In queste poche righe il
poeta di Traducendo Brecht, il traduttore di Goethe e di Proust, il polemista dellAvan-
ti! e del Manifesto, lattivista politico dei Quaderni Rossi, mostra con chiarezza
quale modello unitario di intellettuale politico abbia cercato di praticare nella sua attivi-
t di poeta, di scrittore e di polemista, per tutta la vita.
Non so chi sono ma cerco di sapere chi sono stato, ossia quale rete di storia e di societ mi
17
Id., Scrivere chiaro (I), in Disobbedienze, I, Gli anni dei movimenti. Scritti sul Manifesto 1972-1985, Mani-
festolibri, Roma 1997, p. 55.
18
Ibid., p. 58.
Daniele Balicco
626
sono trovato a vivere. Langolo di mondo, che si chiama Italia, i rapporti fra la gente, fra gli
analfabeti, gli studiati, la gente colta, le sinistre borghesi, i borghesi di sinistra, i nuovi veri
irraggiungibili privilegiati, i mangiatori di uomini, diciamo, che incontro ogni giorno, ai quali
sorrido affabilmente ed ai quali spero piaccia il mio lavoro... tutto questo cerco s, di capirlo
come posso. Non vero che non sono stato felice. La felicit stata nei momenti di accordo
fra lesperienza e la parola mentale. Nei momenti di novit, anche, quando la promessa di
cambiamento diventava decisione. (...). Mi viene in mente il poscritto che un grande uomo,
uno scrittore e combattente della libert del suo paese, il cubano Jos Mart, quasi ottantanni
fa verg in una lettera a sua madre. Le annunciava che era sul punto di partire per una spedi-
zione, uno sbarco nellisola, contro gli occupanti spagnoli, come il nostro Pisacane; che sapeva
del rischio (fu ucciso, infatti, dopo lo sbarco e una lunga guerriglia). Scriveva quelluomo che
aveva pi di quarantanni, alla madre, come tanti di noi hanno scritto, chiedendo perdono di
mettersi nei pericoli ma riconoscendo che, se lo fanno, anche per linsegnamento che le ma-
dri gli hanno dato. E dopo aver firmato (tuo figlio Jos), aggiunge: la verit e la tenerezza
non passeranno. La verit e la tenerezza, contrapposte e unite
19
.
BIOGRAFIA
Franco Fortini, pseudonimo di Franco Lattes, nasce a Firenze il 10 settembre 1917.
Dopo la guerra e lesperienza partigiana nella Repubblica liberata di Valdossola, si tra-
sferisce a Milano dove inizia a lavorare come consulente per lOlivetti e per la casa edi-
trice Einaudi. Sar dal 1945 al 1947 una delle firme del Politecnico di Vittorini e, per
tutti gli anni Cinquanta, uno dei corsivisti dellAvanti!. Uscito dal PSI nel 1957, dopo
la breve esperienza di Officina, rivista diretta a Bologna da Pier Paolo Pasolini, Fran-
cesco Leonetti e Roberto Roversi, far parte di Quaderni rossi e Quaderni piacenti-
ni, due delle riviste pi importanti della nuova sinistra italiana. Licenziato contempora-
neamente da Olivetti e da Einaudi allinizio degli anni Sessanta, Fortini inizia a lavorare
come professore di scuola media superiore fino al 1971, quando vince la libera docenza
allUniversit degli Studi di Siena. In questi ultimi anni, scriver, fra gli altri, su il Mani-
festo, sul Corriere della Sera, su LEspresso. Dal giugno del 1992 la sua collabora-
zione con il supplemento domenicale de il Sole 24 ore susciter non poche polemiche
a cui Fortini risponde con chiarezza: si pu scrivere sullinserto culturale del quotidia-
no di Confindustria solo se scrive contro la classe dirigente italiana. Muore a Milano il
28 novembre 1994.
BIBLIOGRAFIA
Dieci inverni (1947-1957). Contributi ad un discorso socialista, Feltrinelli, Milano 1957.
Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Il Saggiatore, Milano 1965.
I cani del Sinai. Testi e note per versi ironici, De Donato, Bari 1967.
Questioni di frontiera. Scritti di politica e di letteratura, Einaudi, Torino 1977.
Insistenze. Cinquanta scritti 1976-1984, Garzanti, Milano 1985.
19
Id., Ultimo dellanno, in Un giorno o laltro, Quodlibet, Macerata 2006, pp. 513-514.
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica
627
Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine, Garzanti, Milano 1990.
Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino 1993.
Saggi ed epigrammi, L. Lenzini (a cura di), Mondadori, Milano 2003.
Versi scelti 1939-1989, Einaudi, Torino 1990.
Bibliografia secondaria
Balicco, D., Non parlo a tutti. Franco Fortini intellettuale politico, Manifestolibri, Roma 2006.
Berardinelli, A., Franco Fortini, La Nuova Italia, Firenze 1973.
Dalmas, D., La protesta di Fortini, Stylos, Aosta 2006.
Lenzini, L., Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura, Manni, Lecce 1999.
Luperini, R., Il futuro di Fortini, Manni, Lecce 2007.
629
SEBASTIANO TIMPANARO: SUL MATERIALISMO*
Sergio Landucci
Il materialismo come visione del mondo
Dacch s fatto avanti lidealismo, il senso di materialismo s arricchito. Prima, era
solo la negazione dello spiritualismo, con questo termine intendendo le dottrine dellani-
ma-sostanza; e difatti come tale era accettato anche da taluni teisti (dallinterpretazione
alessandrista di Aristotele tra gli altri, Pomponazzi fino a Voltaire ed oltre). Da quan-
do venuto a significare lopposto, per eccellenza, dellidealismo, invece materialismo
venuto anche ad inglobare tacitamente lateismo. Che si fondassero sulla coppia idea-
lismo/materialismo, ad esempio, Marx ed Engels, non era affatto solo un residuo della
loro formazione in un clima ancora dominato dallhegelismo.
Anche Timpanaro ha sempre dato lidealismo, per lopposto del materialismo. Il suo
intento era di mostrare quanto fosse invadente, nel Novecento, ma anzitutto da stana-
re, ch solo nella parte minore dei casi conclamato. Al riguardo, Timpanaro sera forma-
to una sorta di fiuto infallibile, anche se poi passava sempre allillustrazione ed allargo-
mentazione; e la sua prosa saccendeva allora di tutta una gamma di toni, dallironia al
sarcasmo ed anche allo sdegno.
Per lateismo, Timpanaro riteneva che largomento fondamentale fosse stato, e ri-
manesse, lanti-teodicea; perch con argomenti tratti solo dalle scienze non si riuscireb-
be ad evitare lagnosticismo
1
. Dargomenti semantici, egli non ha mai voluto tener con-
to; nonostante che li prediligesse gi dHolbach (i termini Dio e anima come privi
di senso, conoscitivamente). Per il materialismo, invece s, pensava che occorresse rifar-
si alle scienze, ma discriminando tra di esse. Indicava: le scienze biologiche e, in modo
particolare, le scienze storiche della natura, dalla geologia alla paleontologia alla biologia
* Il testo riprende il contributo di S. Landucci apparso ne Il Ponte, n. 10-11, ott.-nov. 2001. La Biogra-
fia di Luca Baranelli.
1
Cfr. S. Timpanaro, Introduzione a Holbach, in Il buon senso, Garzanti, Milano 1985.
Sergio Landucci
630
evoluzionistica
2
soprattutto, questultima. Se poi, nellelencazione menzionata, non
comparivano le neuroscienze, ovviamente Timpanaro era per ben convinto che una
teo ria della conoscenza pu essere costruita solo per via sperimentale, nellambito del-
la fisiologia del cervello e degli organi di senso
3
.
Un simile atteggiamento, di estrapolazione dalle scienze dei risultati pertinenti per
una visione del mondo che si voleva quindi anchessa scientifica previa difesa dellog-
gettivit della conoscenza scientifica stessa, nel caso di Timpanaro, di contro ai franco-
fortesi pu dirsi illuminismo, o magari anche positivismo; mettendo in conto pur il
pathos di cui egli laccompagnava. Se negli scritti di storia letteraria ha battuto sul pas-
saggio dallilluminismo al romanticismo, anzitutto rivendicando la pertinenza di queste
due etichette, in quelli materialistici ha battuto sul passaggio dal positivismo alle criti-
che della scienza, esterne o anche interne a questa, fra Ottocento e Novecento. Questa
prospettiva epocale fa da filo conduttore di tutti quanti i saggi raccolti nel volume Sul
materialismo, compreso quello su Karl Korsch aggiunto nella 2
a
edizione.
Allauspicio di una teoria della conoscenza per via sperimentale e non per via me-
ramente concettuale o filosofica era speculare, nel Timpanaro, la diffidenza per le
teo rie della scienza, inevitabilmente solo filosofiche. Nelle epistemologie del Novecen-
to, egli denunciava certo, alquanto allingrosso un impianto che giudicava aberrante:
puntare sullattivit della ricerca in quanto tale, sulloperare peculiare dello scienziato, il
quale, producendo fenomeni per conoscerli, elaborando e sistemando concettualmen-
te i risultati del suo sperimentare, si illude di essere legislatore della natura
4
; dove, ad
essere pedanti, naturalmente sarebbe da dire che sono gli epistemologi ad illudersi che
tale sia lo scienziato.
Allorch scriveva che ogni vero materialismo diciamo la parola che fa inorridi-
re i metodologisti una Weltanschauung
5
, con il conio un po strano metodologisti,
Timpanaro avr alluso agli epistemologi inclini a qualificare di metafisica anche il mate-
rialismo, in quanto, appunto, visione del mondo. Il caso, che avr avuto presente come
paradigmatico, sar stato il Carnap del materialismo metodico (= adozione dun lin-
guaggio fisicalistico), in alternativa al materialismo metafisico. Vero che visione del
mondo, di suo, non finisce dinquietare, per il tono soggettivistico e letterario. Ma si ca-
pisce, appunto come provocazione.
Quanto a quel che venuto dopo il neopositivismo, certo, se mai vi si fosse rivolto,
Timpanaro avrebbe trovato un nuovo dilagare di idealismo. Ma forse avrebbe anche po-
tuto avvertire una certa tal quale affinit, putacaso, col Quine monista, naturalista e dar-
winista, convinto che la conoscenza, la mente e il significato fanno parte di quel me-
desimo mondo al quale essi si riferiscono, e li si debbono studiare nel medesimo spirito
empirico che anima la scienza naturale
6
. Per inciso, degno di nota che Timpanaro fa-
2
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, 2
a
ediz. riveduta ed ampliata, Nistri
Lischi, Pisa 1975, pp. 11s.
3
Ibid., p. 8.
4
Ibid., pp. 8-10.
5
Ibid., p. 62.
6
W.V.O. Quine, Ontological Relativity and Other Essays, Columbia Univ. Press, New York-London 1969,
p. 26.
Sebastino Timpanaro: sul materialismo
631
cesse buon viso al rifiuto del riduzionismo radicale, a proposito del rapporto tra teorie
ed esperienza
7
. In compenso, vero, mai avrebbe fatto buon viso al comportamentismo.
In riferimento al Bloomfield, infatti:
Il behaviorismo non mira ad una spiegazione materialistica del pensiero, ma ad una sorta di
negazione del pensiero, di riduzione del (cosiddetto) pensiero ad un meccanismo estrema-
mente semplificato di stimolo-risposta. Perci anche il problema che va affrontato materia-
listicamente, ma sussiste anche per un materialista del rapporto tra pensiero e linguaggio,
viene annullato
8
.
Per il senso pi ristretto di idealismo, non sarebbe neppure il caso di tirare in ballo
il materialismo: Se il materialismo consistesse soltanto nel riconoscimento di una real-
t esterna al soggetto, materialisti sarebbero Platone, san Tommaso e tutti i loro segua-
ci. Il materialismo non soltanto realismo
9
. Ci non toglie che il Timpanaro abbia insi-
stito anche sul realismo, per necessit. Cos, non appena avanzata una definizione del
materialismo (Per materialismo intendiamo anzitutto il riconoscimento della priorit
della natura sullo spirito, o, se vogliamo, del livello fisico sul biologico e del biologico
sulleconomico-sociale e culturale), saffrettava a soggiungere che in sede conoscitiva,
quindi, il materialista sostiene che non si pu (...) in alcun modo riassorbire il dato ester-
no facendone un mero momento negativo dellattivit del soggetto, o facendo del sog-
getto e delloggetto meri momenti, distinguibili solo per astrazione, dellunica realt ef-
fettiva, che sarebbe lesperienza
10
. Come sappiamo, il materialista delega la gnoseologia
alle neuroscienze; ma intanto ha dunque da contrastare due vie gnoseologiche allidea-
lismo. Nel caso, la via pi speculativa, neo-hegeliana, o, meglio ancora, neo-fichtiana, e,
rispettivamente, la via allorigine empiriocriticistica, ma destinata al successo pi pro-
lungato, nella quale rientrava anche uno slogan come quello (nel caso, dimpronta de-
weyana) che il Timpanaro recava ad esempio: Lesperienza nella natura, ma anche la
natura nellesperienza.
La critica allidealismo marxista
Timpanaro avvi la battaglia per il materialismo con la denuncia dellostilit da parte dei
marxismi, tutti quanti, del XX secolo. lincipit del primo saggio sullargomento (1966).
Ma ne riconosceva il germe gi in Marx stesso, per il privilegiamento del lato attivo (il
lavoro), nel rapporto delluomo con la natura
11
. Il punto decisivo, si pu indicare nel-
la riduzione della natura umana ad unastrazione. Questo, lidealismo che Timpana-
7
Cfr. S. Timpanaro, Il lapsus freudiano. Psicanalisi e critica testuale, La Nuova Italia, Firenze 1975, p. 37:
(...) il valore del cosiddetto experimentum crucis, che oggi si tende, con forti ragioni, a negare.
8
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., pp. 159s.
9
Ibid., p. 62.
10
Ibid., p. 7.
11
Lo confermava in questa diagnosi la voga anti- Engels, allora prevalente tra i marxisti; ma, per reazione, su
Engels il Timpanaro eccedeva.
Sergio Landucci
632
ro denunciava nei marxismi del XX secolo, allorch li vedeva convergenti nellanti-ma-
terialismo.
La polemica storicistica contro luomo in generale, giustissima finch nega che siano pro-
prie dellumanit in generale certe caratteristiche storico-sociali come la propriet privata o la
divisione in classi, diventa errata quando trascura il fatto che luomo come essere biologico,
dotato di certi impulsi allattivit e al raggiungimento della felicit, soggetto a vecchiezza e a
morte, non una costruzione astratta, e non nemmeno un nostro antenato preistorico, una
specie di pitecantropo ormai superato dalluomo storico-sociale, ma esiste tuttora in ciascuno
di noi
12
.
Lattacco la polemica storicistica (...) autorizza a supporre che Timpanaro aves-
se in mente un passo di Gramsci, allora tanto presente che non cera neppure biso-
gno devocarlo pi esplicitamente: La innovazione fondamentale introdotta dalla filo-
sofia della prassi (...) la dimostrazione che non esiste una astratta natura umana fissa
e immutabile...., ma che la natura umana linsieme dei rapporti sociali storicamen-
te determinati
13
; che (non so se lo si sia notato) a sua volta era una parafrasi della sesta
delle Tesi su Feuerbach: Lessenza umana non qualcosa di astratto che risieda nellin-
dividuo singolo; nella sua realt, essa linsieme dei rapporti sociali. Ma, per quanto
fossero diffuse queste convinzioni, basti che anche un Colletti diceva allora che la natu-
ra delluomo la sua socialit o storicit, o che nelluomo esse sequitur operari
14
(rie-
cheggiamento, senzaltro contro tutte le intenzioni, della sartriana precedenza dellesi-
stenza, rispetto allessenza, nelluomo).
Replicava dunque Timpanaro che, se la biologicit delluomo un presupposto tan-
to ovvio quanto generico, rispetto non soltanto agli eventi storici, ma anche alle forma-
zioni economico-sociali, tuttavia essa rimane decisiva, sempre, rispetto ad ogni singo-
lo, comunque collocato storicamente. Lungi dallessere stata listanza ultima solo in una
lontana pre-istoria, non ha mai cessato e non prevedibile che mai cesser desserlo.
(Questa formulazione, mi sembra preferibile ad altre, del Timpanaro, in termini di con-
dizionamento del biologico rispetto al sociale e allo storico).
Lo storicismo sulla natura umana una forma, inoltre, di umanesimo, nel senso fi-
losofico, della dignitas hominis
15
. Anche questo, per il Timpanaro, idealismo, allinter-
no o al di fuori del marxismo. Anzi, la variante di pi facile presa, perch rivolta espres-
samente a riassicurare luomo della sua, neppure superiorit, ma eterogeneit, rispetto
al resto della natura. La funzione, che tradizionalmente era stata svolta dallanima-so-
stanza.
Se oggi risultasse difficile da capire una battaglia, per una posizione simile, riporta
subito alla realt dallora il dibattito che segu al primo dei saggi materialistici di Tim-
12
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., p. 21.
13
A. Gramsci, Quaderni del carcere, ed. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, III, pp. 1598s. Si noti la corrispon-
denza precisa delle parole del Timpanaro citate sopra: che la natura umana non sia fissa ed immutabile, vero;
ma non ne segue che allora sia solo variabile storicamente, come sono i rapporti sociali.
14
Cfr. L. Colletti, Il marxismo e Hegel, Laterza, Bari 1969, pp. 374 e 394.
15
Basti, anche qui, il rimando letterale al De hominis dignitate di Pico della Mirandola, in Il marxismo e
Hegel, pp. 389ss.
Sebastino Timpanaro: sul materialismo
633
panaro
16
. Tutti che intervennero si dicevano marxisti; e, dal pi al meno, quasi tutti dis-
sentirono sulla rivendicazione dellelemento di passivit che c nellesperienza
17
. In-
verosimile senzaltro, la motivazione: che ne venisse un passivismo (fu detto proprio
cos), in contrasto con lappello rivoluzionario alla prassi trasformatrice della realt so-
ciale data. Giustamente, Timpanaro
18
ne trasse conferma, invece, di quanto fosse pene-
trato anche nel marxismo quelluso ideologico della gnoseologia, che gi gli era parso
improntare tanta parte della filosofia otto-novecentesca. Lidentificazione immediata
del conoscere con lagire (...) , nella sua forma pi coerente, gentilianesimo
19
.
Per il resto, se gingillarsi con lovvio, tornare a ripetere ogni volta come nelluomo
attuale non ci sia niente, o quasi, non mediato dal suo essere sociale, invece solo sofisti-
co passare, di qui, a negare che anche luomo attuale continui pur ad essere un ente na-
turale, o a sostenere che luomo ha unorigine animale, ma non pi un animale
20
.
Verso la conclusione di questa risposta ai suoi critici, saffaccia per la prima volta an-
che un altro avversario, che avr poi molta presenza negli interventi successivi del Timpa-
naro: lantistoricismo, qui come lo professa Althusser (dunque, di nuovo in quellam-
bito marxista a cui egli guardava pi che a qualsiasi altro); in quanto la scienza a cui
si rif Althusser, contro lo storicismo, daccordo con molta epistemologia odier-
na una scienza essenzialmente platonizzante, che svaluta il momento sperimentale
21
.
Che anche questo fosse idealismo, Timpanaro sosterr tre anni dopo (1970), nel sag-
gio Lo strutturalismo e i suoi successori
22
. Fu il confronto con la linguistica del Novecento
a convincerlo che il formalismo dilagante in essa, il privilegiamento del sistema rispetto
alla diacronia, ecc., fossero idealismo; e che ancora di pi ce ne fosse nello strutturali-
smo extra-linguistico. Versioni oggettivistiche, queste, dellidealismo.
La distinzione fra un idealismo storicistico-umanistico ed uno scientista, per cui in
questo secondo venivano messe insieme una variante empirio-criticistica ed una plato-
nizzante
23
, forse era per suggestione della problematica, allora allordine del giorno, del-
le due culture, quella umanistica e quella scientifica
24
. In questo luogo, idealismo sto-
ricista-umanistico avr voluto dire idealismo di letterati, critici della scienza in quanto
supposta portatrice di materialismo; laddove in entrambe le varianti dellaltro idealismo
la scienza era usata contro il materialismo
25
.
Dallo sviluppo del saggio, risultava come i due idealismi pertinenti per la storia del-
la linguistica nel Novecento fossero, da una parte, uno storicismo, e, dallaltra, un pla-
tonismo; che venivano a spartirsi, per dir cos, la parole e la langue. Per la prima tenden-
16
Sei interventi, in Quaderni piacentini, nel corso del 1967.
17
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., p. 8.
18
Nella risposta ai suoi critici, Prassi e materialismo, poi in Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro,
Sul materialismo, cit.
19
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., p. 36.
20
Ibid., p. 43.
21
Ibid., p. 46.
22
Edito per la prima volta direttamente in Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materiali-
smo, cit. (1
a
ed.: 1970).
23
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., p. 125.
24
Ibid., p. 4.
25
Ibid., p. 138.
Sergio Landucci
634
za, il punto culminante era Benedetto Croce. Per la seconda, invece, Saussure era solo
il punto di partenza; il punto culminante, ma a molta distanza, Lvi-Strauss, o, appun-
to, Althusser.
Qui, storicismo era dunque nel senso di rifiuto della generalizzazione e dellastra-
zione, e quindi della scienza, a proposito del mondo umano (daltronde, il senso origina-
rio di storicismo, nel Novecento). Quanto al platonismo concessa senzaltro la va-
ghezza di questo termine, in uso polemico qualificarlo a sua volta come idealismo
bens del tutto corrente, per in un senso completamente eterogeneo rispetto agli ideali-
smi che il Timpanaro aveva presi di mira precedentemente
26
. Di come questo passaggio
possa venire spontaneo, il riscontro pi illustre Kant, il quale us idealismo anche
per Platone
27
, dopo che (nella Critica della ragion pura) solo per Cartesio e Berkeley.
Il punto , semmai, se, cos, non ci si venga a trovare in una situazione analoga a
quella con limmaterialismo. Per rifiutare un idealismo platonizzante, non necessa-
rio essere materialisti. Altrimenti, sarebbero materialisti anche Aristotele, san Tom-
maso, e cos via. In effetti, le critiche di Timpanaro alle linguistiche del Novecento e
agli strutturalismi non linguistici potrebbero essere sottoscritte anche da chi non per-
ci sottoscriverebbe il suo materialismo. Di specifico, nel saggio del Timpanaro, cera
per la lettura degli strutturalismi come, essi, anti-materialismi, per i loro lati ideolo-
gici. Il filo conduttore era il rapporto con levoluzionismo darwiniano, sul presuppo-
sto che questo rappresenti il maggior contributo moderno al materialismo, per quanto
riguarda il posto delluomo nel mondo. Nella sua ricostruzione dei diversi struttura-
lismi, ad ogni svolta il Timpanaro veniva a far emergere le suggestioni metodologi-
che per lui, ideologiche provenienti dallanti-darwinismo o da biologie alternati-
ve al darwinismo.
Il valore prioritario della verit
Tra le implicazioni del materialismo, Timpanaro ha insistito sulla negazione del libero
arbitrio, inteso come autodeterminazione da parte del soggetto. Anche in ci, in pole-
mica con quei marxisti che cominciassero col puntare unilateralmente sul carattere fi-
nalistico delloperare delluomo forti duna nota a pie di pagina del Capitale e poi vi
ritrovassero la libert delluomo. La finalisticit delloperare umano non toglie che esso
sia tutto interno alla necessit: non soltanto per quant dellesecuzione del voluto, ma
gi per quant della scelta dei fini.
Si rivela illusoria la pretesa che la determinazione del fine sia non causata, o che nelluomo,
prodotto della natura, scatti a un certo punto non si sa quale processo per cui egli si svincoli
totalmente, almeno quanto allelemento volont, dalla natura stessa
28
.
26
Tant vero che ancora nel saggio su Engels, materialismo, libero arbitrio, del 1969, si trovava che
laspetto pi vistoso della svolta di fine Ottocento un antioggettivismo sempre pi radicale..., con quel che
seguiva (Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., p. 113).
27
In una delle note a pie di pagina nella penultima delle appendici ai Prolegomeni.
28
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., p. 90.
Sebastino Timpanaro: sul materialismo
635
In un intervento successivo ormai fuori del ciclo dei saggi raccolti nel volume Sul ma-
terialismo Timpanaro si rifar proprio daccapo. Il libero arbitrio saccorda solo con
lanima-sostanza, e quindi subisce le sorti di questaltra; viene a cadere, quando le fun-
zioni attribuite allanima siano spostate sul cervello umano. Sarebbe una banalit, se
non fosse che, incredibilmente, non se ne sono voluti rendere conto, per lo pi, i soste-
nitori del libero arbitrio nel XX secolo (sintende, che non fossero di loro spiritualisti).
Aggiungeva Timpanaro che la dottrina del libero arbitrio conferisce allanima di ogni
singolo individuo un potere che tradizionalmente si attribuisce a Dio: di essere causa
prima. E questo, ha avuto il coraggio di riconoscerlo, a mia conoscenza, solo uno, dei
sostenitori del libero arbitrio nel XX secolo
29
(sintende, che non lo sbandierassero addi-
rittura, come Sartre).
La conseguenza ovvia, era linfondatezza di tutte quelle valutazioni morali che po-
trebbero essere pertinenti solo se si desse il libero arbitrio (terminologicamente, Tim-
panaro riportava simili valutazioni sotto la categoria del moralismo). Per quant poi
delle reazioni emotive, si prova orrore anche vedendo una persona sbranata da un leo-
ne o uccisa dal cancro, bench luno e laltro siano incolpevoli
30
. Col che, siamo nei
paraggi di Spinoza. Altro sarebbe il discorso quanto ad assunti positivi di etica, come
ledonismo la base di ogni etica scientifica
31
. Beninteso, n questultimo sintagma n
la tesi sono residui ottocenteschi. Basti che sono pari pari nelle Fragen der Ethik di Mo-
ritz Schlick
32
; anche se in ci non rappresentativo del neopositivismo nel suo insieme.
Ma non potr non dissentire chi ritenga insuperabile la cosiddetta legge di Hume, o la
grande divisione, tra essere e dover essere. Se per questo, per, oggi la legge di Hume
altrettanto fuori moda quanto un naturalismo cos franco, come quello professato dal
Timpanaro. Per la verit, il naturalismo etico bens alquanto diffuso, oggi; ma in forme
camuffate, cos raffinate da renderlo riconoscibile con difficolt.
Sanno tutti come per il Timpanaro al materialismo dovesse coniugarsi il pessimismo;
naturalmente, questo, nella versione leopardiana (dalla quale saranno comunque da ri-
muovere talune cadute, del genere di il brutto/Poter che, ascoso, a comun danno im-
pera).
Di come da parte marxista si recalcitrasse, lesempio maggiore in un intervento
di Cesare Cases (pubblicato, un anno avanti il primo saggio di Timpanaro, nel mede-
simo periodico in cui sarebbe comparso questo); nel quale, senza nominarlo, lo evoca-
va cos:
(...) un mio amico, illustre studioso del Leopardi, che vuole integrare Marx con il suo poe-
ta prediletto, in quanto sostiene che il comunismo non pu eliminare le limitazioni natura-
li delluomo, la malattia, la morte, ecc., di fronte alle quali il pessimismo leopardiano resta
29
Cfr. R.M. Chisholm, Freedom and Action, in K. Lehrer (a cura di), Freedom and Determinism, Random
House, New York 1966, p. 23: If (...) what I have been trying to say is true, then we have a prerogative which
some would attribute only to God: each of us, when we act, is a prime mover unmoved.
30
Cfr. Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, ETS, Pisa 1982, pp. 317s. Per lorigine di questa
problematica, cfr. Il lapsus freudiano, cit., pp. 178s.
31
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., p. 47.
32
Tr. it. di A. Ioly Piussi: Problemi di etica e Aforismi, Ptron, Bologna 1970.
Sergio Landucci
636
unistanza valida (...) Ero sempre in polemica con questo mio amico, non gi perch negassi
lesistenza del male naturale, ma perch mi pareva in qualche modo secondario rispetto al
male di origine storica
33
.
Il raccordo tra materialismo e pessimismo, Timpanaro lo indicava nelledonismo, inten-
dendo con questo termine, stavolta, non gi una posizione teorica, ma una tendenza na-
turale delluomo, se non offuscato da cattive ideologie. Pessimismo vuol dire che in
quanto tale essa destinata ad essere, in definitiva, frustrata
34
. Timpanaro ha sempre ri-
fiutato si trattasse di Leopardi o di se stesso che il pessimismo si riduca ad atteggia-
mento emotivo (o, peggio, che sia esso a comandare, segretamente, gi il materialismo).
Il problema del piacere e del dolore (...) un problema scientificissimo
35
.
In presenza di materialisti che, di fatto, non sono stati pessimisti, Timpanaro osser-
vava che in tutti i materialismi c un intimo contrasto fra una spinta illuministica, fidu-
ciosa che ogni liberazione dal mito e dal dogma, ogni acquisto di verit, sia per ci stes-
so un acquisto di felicit, e laffiorare di motivi pessimistici, che inevitabilmente risulta
da una visione smitizzata della condizione umana. In tutti i materialismi, unesage-
razione evidente. Dicendolo, Timpanaro avr avuto locchio soprattutto al XVIII secolo.
Comunque, con lesempio conclusivo dun equilibrio, sia pur difficile, fra entram-
bi quegli atteggiamenti, in Giacomo Leopardi
36
, egli veniva a chiarire: contrasto, nel
senso della difficolt dellequilibrio, per anche pertinenza, dunque, di entrambi gli at-
teggiamenti. Quella tale fiducia, non sarebbe quindi da giudicare come tutta soltan-
to illusoria.
Nel seguito anche in questo caso, al di fuori del ciclo dei saggi raccolti in Sul mate-
rialismo invece Timpanaro introdurr un altro parametro: se un materialista neutraliz-
zi o no le implicazioni pessimistiche, con argomenti consolatori; nel caso, da qualificare
senzaltro come religiosi, nel senso duna religione per gli intellettuali.
Cos, mentre ai tempi di Classicismo e illuminismo aveva notato come una stranezza
il riserbo di Leopardi nei confronti di Epicuro, invece ora Timpanaro veniva a spiegar-
lo fin troppo, con lasserire di netto che lepicureismo una religione
37
. Per un simi-
le scatto, gli si farebbe torto, a soffermarsi su argomenti a cui pur non rinunciava, come
lammissione degli di, da parte di Epicuro, o la venerazione di lui come un salvatore, da
parte dei discepoli. Il motivo reale rimaneva la difesa preventiva, messa in atto da Epi-
curo rispetto alle implicazioni pessimistiche. Anche a tal proposito, Timpanaro parla-
va di un escamotage idealistico; intendendo, in questo caso: una riforma dellinteriori-
t (una sorta di psicoterapia, se si vuole)
38
mistificatrice, perch rivolta a convincere che
33
C. Cases, Un colloquio con Ernesto De Martino, ora in Id., Il testimone secondario, Einaudi, Torino 1985,
p. 54.
34
Per la prima formulazione di questa tesi, cfr. S. Timpanaro, Alcune osservazioni sul pensiero di Leopardi, in
Classicismo e illuminismo nellOttocento italiano, Nistri Lischi, Pisa 1965, pp. 160s.
35
Considerazioni sul materialismo, in S. Timpanaro, Sul materialismo, cit., p. 47.
36
Ibid., p. 81.
37
Epicuro, Lucrezio e Leopardi (1988), poi in Nuovi studi sul nostro Ottocento, Nistri Lischi, Pisa 1995, pp.
173s.
38
Uno spunto in questo senso, in Il lapsus freudiano, cit., p. 181.
Sebastino Timpanaro: sul materialismo
637
non siano dei mali eventi come, in primis, la morte, e che luomo sia in grado di raggiun-
gere la felicit, solo che lo voglia.
Quanto a religione, questione di definizioni: invece di dire, putacaso, che non c
religione senza consolazione, dire che, dove c consolazione, c religione, perch quel-
la la funzione essenziale di questa. Per il resto, la conferma di quanto tuttavia si ricava-
va gi dai saggi di Sul materialismo: come il Timpanaro riconoscesse il valore prioritario
nella verit. Quando siano in contrasto, deve cedere a questo anche quellaltro valore,
del benessere psichico, che, traducendo dal greco, chiamiamo di solito la felicit.
BIOGRAFIA
Figlio di Sebastiano Timpanaro (1888-1949) e di Maria Cardini (1890-1978), Sebastiano
Timpanaro nacque il 5 settembre 1923 a Parma e mor a Firenze il 26 novembre 2000.
Iscrittosi nel 1940 alla facolt di Lettere di Firenze, fu allievo di Giorgio Pasquali: sot-
to la sua guida intrapresi una tesi di laurea in filologia classica (Per una nuova edizione
critica di Ennio). Ammalatosi Pasquali, si laure nel febbraio 1945 con Nicola Terzaghi;
e la tesi fu poi pubblicata in forma riveduta e accresciuta (Studi italiani di filologia clas-
sica, 1945-48). Oltre a Pasquali e Terzaghi, riconosceva suoi maestri degli anni universi-
tari Giuseppe De Robertis e Giacomo Devoto.
Dal 1945 al 1959 insegn materie letterarie in varie scuole medie inferiori della pro-
vincia di Pisa, unesperienza che fu da lui sempre considerata felice e altamente forma-
tiva sia dal punto di vista culturale e politico sia da quello umano. Dal 1960 al 1983 la-
vor nella redazione della casa editrice La Nuova Italia di Firenze. Nel triennio 1983-85
collabor al seminario di Storia moderna di Antonio Rotond alla facolt di Lettere di
Firenze.
Si occup di critica testuale e di lessicografia latina, con particolare riferimento ai
poeti latini arcaici e ai commentatori antichi di Virgilio. Gli studi pi significativi sono
raccolti nei volumi Contributi di filologia e di storia della lingua latina (Ateneo e Bizzar-
ri, Roma 1978), Per la storia della filologia virgiliana antica (Salerno, Roma 1986), Nuovi
contributi di filologia e storia della lingua latina (Ptron, Bologna 1994), Virgilianisti an-
tichi e tradizione indiretta (Olschki, Firenze 2001). Oltre a moltissimi saggi e interventi
sulle riviste specializzate, pubblic unesemplare edizione del De divinatione di Cicero-
ne (Grandi libri Garzanti, Milano 1988), da lui definita divulgativa, che si segnala an-
che per unampia e rilevantissima introduzione di taglio filosofico. Nonostante la loro
destinazione scolastica, vanno segnalati anche il limpido manualetto Nozioni elementari
di prosodia e di metrica latina per la scuola media (DAnna, Messina-Firenze 1953) e un
corso di latino per il biennio delle medie superiori scritto in collaborazione con A. Pasi-
ni, De lingua latina (Liviana, Padova 1990).
Nel saggio Il lapsus freudiano. Psicanalisi e critica testuale (La Nuova Italia, Firenze
1974; nuova ed. a cura di F. Stok, Bollati Boringhieri, Torino 2002), usando gli strumen-
ti e il metodo della critica testuale, discusse la validit dellinterpretazione freudiana dei
lapsus. Di Freud torn a occuparsi nel volume La fobia romana e altri scritti su Freud
e Meringer (ETS, Pisa 1992; poi ivi 2006, a cura di A. Pagnini). Di grande interesse sono
anche le lettere, uscite postume, fra lui e Francesco Orlando: Carteggio su Freud 1971-
Sergio Landucci
638
1977 (Scuola Normale Superiore, Pisa 2001); e quelle fra lui e Carlo Ginzburg: Lettere
intorno a Freud (1971-1995), pubblicate con una Nota di C. Ginzburg nel volume Seba-
stiano Timpanaro e la cultura del secondo Novecento, a cura di E. Ghidetti e A. Pagnini,
pp. 317-345 (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005).
Un altro campo dei suoi studi fu la storia della filologia classica. Dopo La filologia di
Giacomo Leopardi (Le Monnier, Firenze 1955; nuova ed. riveduta, Laterza, Roma-Bari
1977) pubblic La genesi del metodo del Lachmann (Le Monnier, Firenze 1963; nuova
ed. riveduta, Liviana, Padova 1981; poi Utet Libreria, Torino 2003). In collaborazione
con Giuseppe Pacella cur unedizione degli Scritti filologici di Leopardi (Le Monnier,
Firenze 1969).
Dalla met degli anni Cinquanta rivolse il suo interesse anche alla storia della cultura
letteraria e linguistica del secolo XIX. In Classicismo e Illuminismo nellOttocento italiano
(Nistri-Lischi, Pisa 1965; nuova ed. accresciuta, ivi 1969; nuova ed. postuma accresciuta
a cura di C. Pestelli, Le Lettere, Firenze 2011) raccolse saggi sulla figura intellettuale di
Pietro Giordani, sul pensiero di Leopardi, sulle teorie etnografiche e linguistiche di Car-
lo Cattaneo, sulla posizione antimanzoniana di Graziadio Isaia Ascoli riguardo alla que-
stione della lingua. Riprese e ampli questi temi in Aspetti e figure della cultura ottocen-
tesca (Nistri-Lischi, Pisa 1980) e in Nuovi studi sul nostro Ottocento (ivi 1995). Nel libro
Il socialismo di Edmondo De Amicis. Lettura del Primo maggio (Bertani, Verona 1983)
esamin, rivalutandole, le idee politiche e sociali dellautore di Cuore. Cinque suoi stu-
di eccezionalmente importanti dedicati alla storia della linguistica sette-ottocentesca
sono stati raccolti e presentati da Giulio C. Lepschy nel libro Sulla linguistica dellOtto-
cento (il Mulino, Bologna 2005). Per i Grandi libri Garzanti, oltre al gi citato De divina-
tione di Cicerone, tradusse e cur un classico del materialismo settecentesco: Paul Thiry
dHolbach, Il buon senso (Milano 1985); e due romanzi del ciclo Les Rougon-Macquart
di mile Zola: La fortuna dei Rougon (ivi 1992) e La conquista di Plassans (ivi 1993).
A lungo militante di base prima nel PSI e poi nel PSIUP, partecip al dibattito ideo-
logico e politico della sinistra italiana con interventi, articoli e saggi apparsi su Belfa-
gor, Il Ponte, quaderni piacentini e altre riviste della nuova sinistra. Tra essi spic-
cano quelli raccolti in Sul materialismo (Nistri-Lischi, Pisa 1970; nuova ed. accresciuta,
ivi 1975; terza edizione riveduta e ampliata, con unIntroduzione dal titolo Venti anni
dopo, Unicopli, Milano 1997) e in Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana
(ETS, Pisa 1982; ristampa corretta, ivi 1985). Un volume postumo a cura di L. Cortesi,
dal titolo Il verde e il rosso. Scritti militanti, 1966-2000 (Odradek, Roma 2001), riunisce
gli interventi in cui Timpanaro espresse pi direttamente le sue idee politiche e il suo pe-
culiare marxismo-leopardismo.
Postumi sono usciti anche i Contributi di filologia greca e latina a cura di E. Narduc-
ci (Universit degli studi di Firenze, 2005) e Un lapsus di Marx. Carteggio 1956-1990 con
Cesare Cases, a cura di L. Baranelli (Edizioni della Normale, Pisa 2004).
Timpanaro raccolse e present numerosi scritti del padre nel volume Scritti di storia
e critica della scienza (Sansoni, Firenze 1952); e lanno stesso della morte aveva appron-
tato per la stampa una raccolta di saggi e articoli di sua madre Maria Timpanaro Cardi-
ni, Tra antichit classica e impegno civile (ETS, Pisa 2001).
Fu socio corrispondente della British Academy e dellAccademia dei Lincei, socio ef-
fettivo dellAccademia dellArcadia e dellAccademia fiorentina La Colombaria.
Sebastino Timpanaro: sul materialismo
639
Le carte, i copiosissimi carteggi e i libri di Timpanaro sono stati conferiti dalla vedova
Maria Augusta Morelli Timpanaro alla biblioteca della Scuola Normale di Pisa. Da molti
anni Michele Feo lavora alla bibliografia di Timpanaro: in attesa delledizione annunciata
dal Centro interdipartimentale di Studi umanistici delluniversit di Messina, si veda Lope-
ra di Sebastiano Timpanaro (1923-2000), in Il filologo materialista. Studi per Sebastiano
Timpanaro editi da R. Di Donato (Scuola Normale Superiore, Pisa 2003), pp. 191-293.
BIBLIOGRAFIA
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a
ed. riveduta ed am-
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Quine, W.V.O., Ontological Relativity and Other Essays, Columbia Univ. Press, New York-Lon-
don 1969.
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tocento italiano, Nistri Lischi, Pisa 1965.
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Timpanaro, S., Introduzione a Holbach, Il buon senso, Garzanti, Milano 1985.
Timpanaro, S., Nuovi studi sul nostro Ottocento, Nistri Lischi, Pisa 1995.
Sezione sesta
ALTERNATIVE
643
HANNA ARENDT E IL PROBLEMA DI MARX
Eugenia Lamedica
(...) va detto che non intendere correttamente le questioni
che occupavano Marx abbastanza preoccupante, in
quanto egli stato il primo ad accorgersi che determinati
problemi emergevano proprio dalla rivoluzione
industriale. Distorcere, pertanto, le questioni che
occupavano Marx significa, allo stesso tempo, rinunciare
ad un valido strumento daiuto per comprendere
problemi coi quali ancora oggi, e in maniera ancor pi
urgente, dobbiamo confrontarci
*
.
Il genitivo del titolo indica, in primo luogo, limportanza che Arendt riconosce al pro-
blema che Marx tent di pensare, vale a dire laumento epocale, e verosimilmente irre-
versibile, del potere produttivo sorto dalla rivoluzione industriale. In una battuta, Marx
fu il primo ad interrogarsi sulle due cifre fondamentali del mondo moderno: il Lavoro e
la Storia
1
. Ma il genitivo rimanda altres al problema costituito dal pensiero di Marx, fi-
losofo che secondo Arendt si pone al termine della tradizione occidentale traghettando-
ne le categorie politiche in quella variante del totalitarismo che a lui esplicitamente si ri-
chiam: lo stalinismo. Nella storia del pensiero Marx ricopre dunque un ruolo chiave,
ponendosi al contempo alle soglie della modernit e allinterno dellordine categoriale
tradizionale, di cui rompe la continuit dando nuova base teorica alle inquietudini rivo-
luzionarie scaturite dal 1789 e, per questa via, alla nuova forma di governo concretiz-
zatasi in Europa dellest nella prima met del Novecento. Secondo Arendt, infatti, pur
essendo stato utilizzato e travisato da uno dei regimi totalitari o forse proprio per
questo , il pensiero di Marx pare fornire un legame plausibile tra il totalitarismo e la
tradizione
2
. Cerchiamo allora di capire come.
Marx tra tradizione e totalitarismo
Secondo Arendt, Marx si pone provocatoriamente al termine della tradizione nel mo-
mento in cui definisce luomo in base alla capacit di lavorare e fa del lavoro, attivit tra-
dizionalmente disprezzata e relegata al rango pi infimo delle attivit umane, il princi-
* H. Arendt, Karl Marx e la tradizione del pensiero politico occidentale, S. Forti (a cura di), MicroMega, 35,
1995, p. 44. Da qui in avanti, dove non specificato altrimenti, i corsivi sono da intendersi come nostri.
1
Ibid., p. 45.
2
Ibid., p. 47.
Eugenia Lamedica
644
pale motore dello sviluppo storico. Al termine, quindi, ma anche allinterno: attraverso
la filosofia della storia di Hegel, infatti, Marx fa propria la rivendicazione illuministica
dellautonomia del progetto posto dalla ragione contro il dato positivo ereditato dal pas-
sato. La potente equazione moderna di razionalit, autonomia e libert, aveva trovato
proprio in Hegel il suo pi completo e paradossale sviluppo: contrapponendosi al sog-
gettivismo dellilluminismo storico che si limitava alla negazione critica del passato in
senso immediatamente riformistico o rivoluzionario, Hegel ritenne di poter dimostrare
la razionalit dellintera positivit storica fondandola nellautomovimento dello Spirito.
Il compito degli uomini non era pi quello di progettare e riformare il proprio mondo
fondandosi, kantianamente, sullautonoma legalit della ragione, bens quello di ricono-
scere la razionalit oggettiva e interamente dispiegata della realt. Scoprendosi ragion
dessere di tutto ci che alla coscienza ingenua appare come alcunch di semplicemen-
te e casualmente dato, la ragione moderna portava dunque a compimento la propria
tendenza a concepirsi come fondamento del reale stesso. Marx invece, ponendosi tra la
ragione militante dellilluminismo e la razionalit oggettiva di Hegel, volle riconsegna-
re il superamento delle alienazioni tramite cui lessenza umana si ricongiunge a se stes-
sa, alla concreta prassi storica delluomo
3
. Non per un velleitarismo critico della ragione
negativa, ma assecondando un reale processo immanente alla societ capitalistica, per
Marx era possibile prevedere lo sviluppo storico verso la gestione collettiva dei mezzi
di produzione cos da accelerarne lavvento tramite la rivoluzione. Fonte prolifica e am-
bivalente di analisi socioeconomiche ed utopie escatologico-millenaristiche, il pensiero
marxiano oscillava cos irrisolto tra una legge obiettiva dellevoluzione storica prevista
dalleconomia politica tramite lo smascheramento dei presupposti sociali dellideologia
borghese, e unazione soggettivo-rivoluzionaria plasmatrice della storia stessa
4
.
Ora, secondo Arendt, il primo problema di Marx , proprio questo intreccio in-
separabile di libert e necessit, di prassi rivoluzionaria e legge oggettiva, non pi tra-
sfigurato sul piano trans-umano della Sostanza spirituale, con cui Hegel era riuscito a
conciliare metafisica e storia. Da Hegel, Marx eredita la moderna coincidenza di auto-
nomia e libert, ma, a differenza di Hegel, restituisce agli uomini, pensati nella loro con-
cretezza di agenti socioeconomici, la capacit di attuarla tramite la direzione consape-
vole del processo storico. Perch dunque, secondo Arendt, Marx decreterebbe la fine
della tradizione proprio allorch sembra finalmente portarne a compimento le promes-
se demancipazione?
Apparentemente anti-metafisca nella misura in cui rivolta a liberare gli uomini dal do-
minio dello Spirito che si sviluppa indipendentemente dalle loro azioni, secondo Arendt
loperazione di Marx non esce affatto dalla logica hegeliana. Hegel insieme colui che
3
Come noto, ci avviene soprattutto negli scritti giovanili, fortemente influenzati dal linguaggio hegeliano.
Cfr. K. Marx, Manoscritti economico- filosofici del 1944, Einaudi, Torino 1968. Per uno studio sullevoluzione
e sul progressivo ridimensionamento degli scopi attribuiti da Marx al comunismo dagli scritti giovanili al
Capitale , si veda lancora utile saggio di A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, Laterza, Roma-Bari 1973,
in particolare il capitolo Lutopia del rapporto fra uomo e natura, pp. 119-155.
4
Per linterpretazione del marxismo come religione millenaristica la letteratura vastissima. Ci limitiamo a
segnalare i fondamentali testi di K. Lwith, Significato e fine della storia, il Saggiatore, Milano 2004, pp. 53-72,
e Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del XIX secolo, Einaudi, Torino 1999.
Hannah Arendt e il problema di Marx
645
compie la struttura categoriale della metafisica occidentale e che, pensandola come svi-
luppo storico, la sfida apertamente
5
. Malgrado ci, in Hegel la metafisica ancora pre-
servata nella paradossale immobilit del movimento logico in cui tutte le determinatezze
sono gi svolte a priori. Lo Spirito, infatti, conserva solo la parvenza del movimento nel
momento in cui, logica mondanizzata, sussume in s la finitezza storica negando proprio
quei caratteri che la rendono tale: contingenza, spontaneit, imprevedibilit. La finitezza
hegeliana si riscopre cio momento necessario dello sviluppo dello Spirito dileguando
in quanto finitezza; essa guadagna luniversalit solo negando in s la propria contingen-
za ed imprevedibilit. Il finito, preso per se stesso, non altro che negativit, negazione
dellassoluto, e quindi in senso proprio non . Solo sopprimendosi come dato, e per-
ci casuale, il reale diventa compiutamente posto, e quindi razionale, estrema forma
dilluminismo riportata da Marx allinterno delle possibilit concrete della prassi umana. E
tuttavia Marx non esce dalle categorie della metafisica nel momento in cui le rovescia, ma
le trasforma in vere e proprie armi al servizio dellazione. Cos, dal rovesciamento solo ap-
parente attuato dallAufhebung hegeliana che, interiorizzando le determinazioni finite del
reale, le conserva cos come sono
6
, Marx passa alla soppressione reale e rivoluzionaria del
capitalismo. Lambiguit irresoluta del suo pensiero consent cio di legittimare il passag-
gio che altri avrebbero fatto
7
ad un atto reale che sopprime una parte di umanit de-
finita tramite la categoria di nemico di classe , nella sua bruta esteriorit fisica.
Per Arendt, dunque, il nodo fondamentale della questione di natura essenzialmen-
te teo retica poich riguarda le categorie di pensiero formulate dalla tradizione occiden-
tale per pensare la realt. Il Soggetto hegeliano, infatti, non muta affatto la sua natura
per l'essere pensato dal punto di vista dei processi concreti di produzione anzich da
quello dello Spirito o della ragione universale. Ci che non viene intaccato il suo moni-
smo di fondo, dal momento che rimane muto nella sua articolatezza interna, o, in termi-
ni arendtiani, nella sua strutturale declinazione al plurale
8
. La politica si fonda sul dato
di fatto della pluralit degli uomini
9
; non lUomo, ma gli uomini abitano il mondo
10
:
tutta limpresa di pensiero di Arendt non che ununica articolata glossa a queste affer-
mazioni.
Secondo Arendt la semplice esistenza di singoli uomini inceppa il meccanismo stori-
cistico spostando lasse della riflessione dalla storia alla politica, dalla progettazione del
5
H. Arendt, Karl Marx e la tradizione..., cit., p. 48.
6
Sulla critica marxiana dellAufhebung hegeliana cfr. il saggio di L. Colletti, La teoria hegeliana della media-
zione, in Il marxismo ed Hegel, Laterza, Bari 1969, pp. 3-85.
7
Il passaggio del marxismo dalla teoria della prassi (materialismo storico) alla prassi vera e propria, verr
compiuto da Lenin (materialismo dialettico), il quale dovette tradurre in azione rivoluzionaria una teoria,
quella marxiana, del tutto priva di istruzioni pratiche su come organizzare concretamente la rivoluzione pro-
letaria. Come noto ci avviene con la creazione del partito di quadri (V.I. Lenin, Che fare?, Editori Riuniti,
Roma 1970).
8
Laffinit tra prassi rivoluzionaria di Marx e sostanza spirituale di Hegel colta da Arendt, va dunque oltre
alla critica marxiana dellAufhebung hegeliano e mira piuttosto al cuore del presupposto teoretico della filoso-
fia della storia (la mancata teorizzazione della pluralit dellesperienza umana) anche laddove, come in Marx,
lazione non una semplice finzione logica di una razionalit soprastante.
9
H. Arendt, Che cos la politica?, Edizione di Comunit, Milano 1995, p. 5.
10
H. Arendt, Vita Activa, Bompiani, Milano 1964 (2004), p. 7.
Eugenia Lamedica
646
futuro al riconoscimento del presente. Infatti, la dignit ontologica dellintreccio del-
le relazioni umane che si schiude nel presente (qui e ora) demistifica, disinnescando-
la, la logica secondo la quale le singolarit sarebbero liberamente sacrificabili al proces-
so rivoluzionario, semplici mezzi per la realizzazione di un fine universale
11
. Nel fragile
ambito degli human affaires, ogni fine ab-solutus sciolto, cio, da ogni fattore con-
dizionante, e perci escludente la pluralit dei fini umani , infatti destinato per sua
natura a degenerare in pratica di dominio su tutto ci che ad esso si rivela esterno ed
estraneo. Ricompreso nella categoria universalistica di classe, anche il soggetto eman-
cipatore di Marx ripropone perci la medesima negazione hegeliana della contingenza e
della finitezza strutturalmente inscritte nella spontaneit dei molteplici progetti dellagi-
re umano. Come dire che lUmanit di Marx sottomette a s il processo storico soltanto
assoggettando i singoli uomini alla violenza del processo rivoluzionario. Le potenzialit
totalitarie del pensiero di Marx, dunque, sono le stesse che legano intimamente le cate-
gorie della metafisica tradizionale a qualsiasi filosofia della prassi storica: il mancato ri-
conoscimento del semplice dato di fatto della pluralit degli uomini
12
.
Ora, secondo Arendt , proprio su questa lacuna che si fonda lontologia nascosta
dei regimi totalitari, cosicch, nel saggio del 51, la pensatrice poteva scrivere che il tota-
litarismo la prima forma politica della storia occidentale a considerare, e di conseguen-
za a rendere, del tutto superflui
13
i singoli uomini.
Tra i primi testi ad aver reso popolare la tesi dellunicit del fenomeno totalitario, di
cui i regimi comunista e nazista non sarebbero che due diverse manifestazioni
14
, Le Ori-
gini del Totalitarismo si presenta come una complessa ed articolata ricognizione degli
elementi e degli eventi della civilt europea moderna che agiscono nella nascita e nellaf-
fermazione dei movimenti nazionalistici e nel concomitante declino dello stato-nazio-
ne cos come era venuto consolidandosi territorialmente e costituzionalmente a parti-
re almeno dal XVI secolo
15
. Insoddisfacente, pertanto, a livello esplicativo e storiografico
nella misura in cui viene unilateralmente riferito alla genesi del nazismo
16
, il concetto
di totalitarismo riacquista plausibilit sul piano fenomenologico, allorch, nella ter-
11
La critica della concezione strumentale della politica che per Arendt accomuna pensiero liberale e
rivoluzionario e di cui rintraccia le radici remote nella filosofia di Platone , un nucleo forte del pensiero
arendtiano. Per la tipizzazione antropologica delle caratteristiche della mentalit strumentale (homo faber),
cfr. Vita Activa, cit., pp. 97-127.
12
Le analisi arendtiane sono consonanti con quelle svolte nel classico saggio di J.L. Talmon, Le origini della
democrazia totalitaria, il Mulino, Bologna 2000 (1952).
13
Finch tutti gli uomini non sono resi egualmente superflui il che finora avvenuto solo nei campi di
concentramento lideale del dominio totale non raggiunto. H. Arendt, Le Origini..., cit., pp. 625-626.
14
Per una esposizione dettagliata del dibattito filosofico e storiografico sul concetto di totalitarismo dagli
anni Trenta ai giorni nostri, si veda S. Forti, Il totalitarismo, Laterza, Roma-Bari 2001.
15
Che la stabilizzazione delle moderne entit statali e lepoca della loro convivenza in nome di un diritto
territoriale condiviso risalga al sedicesimo secolo, sostenuto per esempio da C. Schmitt (C. Schmitt, Lo jus
publicum europaeum, in Il nomos della terra, Adelphi, Milano 1991, pp. 164-266).
16
La prima parte del saggio dedicata allantisemitismo, la seconda allimperialismo e alle teorie razziste. In
particolare Arendt analizza i cambiamenti avvenuti nella politica europea in seguito allespandersi del colo-
nialismo, la crisi dello stato-nazione e lemergere dei pan-movimenti come Arendt chiama i movimenti a
carattere nazionaltribalistico e sovrastatale, come il pangermanesimo e il panslavismo.
Hannah Arendt e il problema di Marx
647
za parte
17
, Arendt tenta di individuare le forme che distinguono strutturalmente i tota-
litarismi novecenteschi dai semplici regimi tirannici o autoritari
18
. Il primo elemento di
novit radicale la dissoluzione dellapparato statale e la sua completa sostituzione con
organismi di partito legati alla volont del capo e a gerarchie instabili, sottoposte a con-
tinuo ricambio. In secondo luogo, contrariamente ai tentativi dei regimi dispotici di sta-
bilizzare i rapporti dautorit mantenendo la popolazione estranea alla politica, il regi-
me totalitario pretende che il cittadino partecipi attivamente alla vita pubblica; e tuttavia
non in quanto singolo capace di agire ed esprimere giudizi, bens in quanto membro og-
gettivo di una comunit predefinita sulla base di criteri razziali o di classe cui viene im-
posto un consenso incondizionato. In terzo luogo i regimi totalitari sono caratterizzati
da un articolato apparato di polizia politica concepito come braccio esecutivo dello sta-
to-partito. Lazione della polizia segreta non regolata da nessun limite legale, ma fun-
ziona in base ad un sistema discrezionale che rispecchia la dipendenza del regime dalla
volont del capo, garantendo la mobilitazione continua dei cittadini-sudditi e vigilando
sulla loro ortodossia ideologica tramite la diffusione di quello che Arendt chiama il ter-
rore totale
19
. Una societ terrorizzata quella in cui viene eliminato il nesso di causa-
effetto tra responsabilit personale e perseguibilit giuridica poich la repressione vie-
ne pianificata con criteri imprevedibili, sulla base di caratteristiche del tutto esteriori,
lasciando gli individui privi di garanzie e protezioni istituzionali (categoria di nemico
oggettivo).
In estrema sintesi, dunque, la fenomenologia totalitaria delineata da Arendt restitui-
sce gli elementi caratterizzanti che accomunarono i regimi del Novecento: la conquista
del potere statale da parte di un unico partito e lassoggettamento dellintera societ at-
traverso limpiego terroristico della polizia politica e lutilizzo spregiudicato dellideo-
logia (propaganda).
Ma la ricostruzione arendtiana non si ferma qui; il totalitarismo, infatti, ha per
Arendt il significato di unautentica rivoluzione antropologica. Di conseguenza, la pen-
satrice insiste sulla necessit di pervenire ad uninterpretazione radicale che, superando
lapproccio storico-fenomenologico, illumini lontologia del totalitarismo, la concezione
dellessere delluomo e della realt che esso mette in atto. In questa interpretazione pret-
tamente filosofica dellevento totalitario risiede forse lautentico punto di originalit del
saggio
20
. Eccone il nucleo essenziale: scopo dei regimi totalitari la volont di costruire
17
In particolare il capitolo finale: Il regime totalitario, suddiviso in: Lapparato statale, La polizia segreta, I
campi di concentramento.
18
In questa operazione Arendt non parte da zero, ma raccoglie e sintetizza in modo originale i due decenni
precedenti di studi sul totalitarismo, portandoli a una coerenza narrativa che far scuola. Per una ricostruzione
di tutto il dibattito cfr. S. Forti, Il totalitarismo..., cit., pp. 32-42.
19
Il terrore estremamente sanguinoso dello stadio iniziale del regime totalitario serve invero soltanto a sba-
ragliare gli avversari e a rendere impossibile ogni ulteriore opposizione; ma il terrore totale si scatena soltanto
quando, superato questo stadio, il regime non ha pi nulla da temere dagli oppositori. In proposito si spesso
osservato che in tal caso il mezzo diventato il fine, ma ci dopotutto equivale semplicemente ad ammettere,
in maniera paradossale, che la categoria fine-mezzo non pi valida, che il terrore ha perso il suo scopo e non
pi lo strumento per incutere paura alla gente (H. Arendt, Le Origini..., cit., p. 602. Sullantiutilitarismo dei
regimi totalitari cfr. anche pi avanti, nel testo).
20
Il capitolo pi denso da questo punto di vista quello inserito nella seconda edizione americana (1958) e
Eugenia Lamedica
648
la Nuova Umanit tramite la messa in atto delle leggi necessarie della storia per il co-
munismo , e della natura per il nazismo
21
. Il mezzo principale per attuare questo sco-
po il terrore, lessenza di questo tipo di governo un movimento incessante e fine a se
stesso. Secondo Arendt, lintera struttura del totalitarismo pu essere dedotta da queste
tre fondamentali caratteristiche, la cui connessione risalta nellanalisi dei campi di con-
centramento e di sterminio. Pur comparendo soltanto alla fine, questa analisi ricopre in-
fatti un ruolo rilevante nel saggio di Arendt, portandolo su posizioni di notevole radica-
lismo interpretativo. Secondo Arendt, se lideologia totalitaria mira alla trasformazione
della natura umana che, cos com, si oppone al processo totalitario; i Lager sono i
laboratori dove si sperimenta tale trasformazione
22
. Se, dunque, lideologia dei regimi
spiega il ruolo dei campi come luoghi in cui viene accelerata la naturale estinzione delle
classi e delle razze gi destinate alla decadenza ossia delluomo vecchio, gi storica-
mente morto , la vera natura del campo, afferma Arendt, piuttosto quella di labora-
torio per la fabbricazione dellUomo Nuovo. Un uomo non-uomo, perch privato della
spontanea capacit di agire e pensare autonomamente in cui si estrinseca lunicit del-
la persona. Nei regimi totalitari, limmobilit ottenuta tramite lirregimentazione ideo-
logica delle menti e la paralisi terroristica dei corpi, prelude cio allaffossamento delle
caratteristiche propriamente umane sistematicamente perseguite nel campo e di cui la
morte non rappresenta che lo stadio finale
23
. Secondo Arendt, dunque, lutilizzo totali-
tario dei campi eccede ogni forma di persecuzione e repressione degli oppositori prece-
dentemente nota, presentandosi come conseguenza logica di una volont metafisica por-
tata alleccesso: se, infatti, lo scopo di questi regimi il lasciare che le forze della natura
o della storia corrano liberamente attraverso lumanit senza limpedimento dellazione
umana spontanea
24
, allora diventa necessario assicurarsi la totale impotenza dei singoli
individui, sradicandone la capacit di intervenire e modificare il corso degli eventi. Ma
dal momento che la possibilit dagire e di intraprendere qualcosa di nuovo si radica
nellevento della nascita, con cui un nuovo singolo individuo viene al mondo, il terro-
pubblicato cinque anni prima sotto forma di articolo autonomo, dal titolo Ideologia e Terrore. Per una sintesi
antologica di alcune delle pi importanti posizioni filosofiche sul totalitarismo, rimandiamo al testo di S. Forti,
La filosofia di fronte allestremo. Totalitarismo e riflessione filosofica, Einaudi, Torino 2004.
21
La differenza tra legge della natura nel razzismo, lideologia fondante del nazismo, e legge della storia
nel materialismo dialettico del comunismo, in realt solo superficiale. La struttura fondamentale di en-
trambe, infatti, la processualit, concetto che si modernamente impadronito tanto delle scienze delluomo
quanto, grazie a Darwin, di quelle della natura. La legge della sopravvivenza del pi forte appunto una
legge storica, e come tale pot essere usata dal razzismo. Daltronde la lotta di classe marxista, in quanto
forza motrice della storia, soltanto lespressione esterna dello sviluppo delle forze produttive, che hanno la
loro origine nella forza-lavoro umana. Questa una forza biologico-naturale, sprigionata dal metabolismo
con la natura con cui luomo conserva la propria vita e assicura la continuazione della specie, H. Arendt, Le
Origini..., cit., p. 635.
22
H. Arendt, Le origini..., cit., p. 68.
23
Nel totalitarismo lindividuo viene spogliato prima di ogni garanzia istituzionale (persona giuridica), poi
di ogni responsabilit etica (personalit morale) e infine, nel campo, avviene la distruzione della singola indivi-
dualit e luomo viene ridotto a un fascio di reazioni animali. Arendt insiste sulla riduzione a mera vita della
persona umana, concetto che ha fatto scuola ponendosi, insieme agli studi di Foucault, alla base degli studi
odierni sulla biopolitica (si veda H. Arendt, Le origini..., cit., pp. 599ss.).
24
Ibid., p. 636.
Hannah Arendt e il problema di Marx
649
re, in quanto servo fedele del movimento naturale o storico, deve eliminare dal proces-
so non soltanto la libert in ogni senso specifico, ma la sua stessa fonte, ossia, appun-
to, la nascita in quanto tale
25
. Unico nella storia delle forme politiche finora conosciute,
il totalitarismo si fonda, perci, sulla morte di coloro che governa. E non per accidente,
ma per sua stessa logica interna. I regimi totalitari rappresentano cio la prima forma di
governo in cui gli uomini in quanto tali sono divenuti totalmente superflui, meri ostaco-
li nel processo della realizzazione dellUmanit ideale: ecco il paradossale ed ultimo ro-
vesciamento del senso stesso della politica, nata per organizzare la citt (plis) degli es-
seri umani reali
26
.
Questa metafisica si estrinseca in una forma di idealismo antiutilitaristico del tutto
incommensurabile con gli scopi umani dal momento che, come scrive Arendt, il terrore
totale, lessenza di un simile regime, non esiste n per gli uomini n contro di essi.
Il terrore viene considerato uno strumento incomparabile per accelerare il movimento delle
forze della natura o della storia. Tale movimento, che procede secondo la propria legge, non
pu alla lunga essere impedito; perch alla fine si dimostra pi potente di qualsiasi forza
prodotta dalle azioni e dalla volont degli uomini. Ma pu essere rallentato, e lo quasi ine-
vitabilmente dalla libert umana, che neppure i governanti totalitari sono in grado di negare,
perch questa libert per quanto irrilevante e arbitraria possano reputarla si identifica con
la nascita degli uomini, col fatto che ciascuno di essi un nuovo inizio, comincia, in un certo
senso, il mondo daccapo. Dal punto di vista totalitario, il fatto che gli uomini nascano e muo-
iano pu essere considerato soltanto una noiosa interferenza con forze superiori
27
.
Un chiaro esempio della radicalit interpretativa di questa lettura filosofica si ritrova
nellopinione di Arendt che, connaturata ai regimi totalitari, vi sia la necessit di con-
quistare lintera umanit, necessit che la pensatrice deduce direttamente dalla natura
dellideologia totalitaria. Lideologia una visione del mondo assurta a interpretazione
totalizzante della realt, da cui ci si aspetta una spiegazione totale del passato, una com-
pleta valutazione del presente, unattendibile previsione del futuro
28
. La caratteristica
25
In questa chiave teoretica si possono dunque rileggere anche le politiche di profilassi sociale eugenetica
messe in atto dal nazismo.
26
Per Arendt il vero orrore dei regimi totalitari non consiste nella privazione dei diritti delluomo, ma in
quelli del cittadino. Solo dopo leliminazione della personalit giuridica, infatti, avviene la riduzione a mera
vita, come residuo dellimpossibilit di essere riconosciuti parte di una comunit umana qualunque e, dun-
que, dallumanit stessa. Infatti lumanit per Arendt non esiste come concetto astratto, ma soltanto declinata
in contesti politici determinati, che sono lunica garanzia della tutela della personalit giuridica. Infatti, la
disgrazia degli individui senza status giuridico non consiste nellessere privati della vita, della libert, del
perseguimento della felicit, delleguaglianza di fronte alla legge e della libert di opinione (formule intese a
risolvere i problemi nellambito di determinate comunit), ma nel non appartenere pi ad alcuna comunit di
sorta, nel fatto che per essi non esiste pi nessuna legge, che nessuno desidera pi neppure opprimerli. Solo
nei regimi totalitari, nellultima fase di un lungo processo, il loro diritto alla vita minacciato; solo se riman-
gono perfettamente superflui, se non si trova nessuno che li reclami, la loro vita in pericolo. (...). In altre
parole, stata creata una condizione di completa assenza di diritti prima di calpestare il diritto alla vita, H.
Arendt, Le Origini..., cit., p. 409. Cfr. tutto il paragrafo Le incertezze dei diritti umani, pp. 402-419.
27
Ibid., p. 638.
28
Ibid., p. 644.
Eugenia Lamedica
650
principale del pensiero ideologico la coerenza logica. Esso spiega i fatti deducendoli
da premesse indimostrabili ma allo stesso tempo non falsificabili, in quanto emancipa-
tosi dalla realt percepita coi cinque sensi, insiste sullesistenza di una realt pi vera,
che nascosta dietro alle cose percepibili (...) producendo una mentalit che spinge a so-
spettare sempre qualcosa di diverso dietro lesperienza del reale
29
(complotti, cospira-
zioni, congiure). Data linvisibilit e pertanto la non controllabilit delle cause che sup-
pone agire dietro ai fatti, lideologia costruisce un sistema che non ha nulla a che vedere
con la realt, incatenando le menti con il fascino di una spiegazione perfettamente coe-
rente e apparentemente infallibile. I regimi totalitari, per, lideologia non si limitano a
propagandarla: la loro forza consiste nel procedere direttamente alla trasformazione del-
la realt secondo i suoi postulati. Cos, ad esempio, la classe in via destinzione consi-
ste di gente condannata a morte
30
mentre le razze inadatte a vivere vengono diretta-
mente sterminate
31
: la logicit stringente della deduzione diventa nei regimi totalitari
un principio dazione. Lideologia totalitaria, pertanto, implica la conquista dellintera
umanit, nel caso contrario, infatti, ci saranno sempre uomini portatori di una realt al-
tra ed esterna che potrebbe contraddire e falsificare quel sistema logico rinchiuso in se
stesso che si vuole impermeabile alla smentita dei fatti. La stessa conseguenza appartiene
anche alla logica della persecuzione e dello sterminio: la sistematica eliminazione del ne-
mico oggettivo, infatti, non potr mai avere fine, poich finch continueranno ad esserci
nascite finch cio continuer ad esserci umanit continueranno ad esserci potenzia-
li individui non sottomessi alla totalit. Arendt, quindi, scopre alla base del totalitarismo
una volont metafisica di morte che si presenta come la paradossale ma coerente conse-
guenza della stessa assoluta volont di vita da esso perseguita: la volont di unumanit
razzialmente pura nel nazismo, o della societ felice nel comunismo
32
. Un rovesciamen-
to dialettico non lontano da quello che abbiamo visto implicato ancorch solo poten-
zialmente
33
nella marxiana filosofia della storia, dove, facendosi agente della tendenza
oggettiva dellevoluzione sociale verso linstaurazione del comunismo, la prassi rivolu-
zionaria negava la pluralit di altri possibili progetti umani.
In conclusione, dunque, per Arendt il totalitarismo rappresenta qualcosa di pi di
una nuova inaudita forma di governo: esso levento catastrofico che costringe i poste-
ri a ripensare radicalmente lintera tradizione politica e filosofica che li ha preceduti. A
partire da qui, nel corso degli anni Cinquanta il pensiero arendtiano si svilupper per-
correndo due vie intimamente legate tra loro: da un lato vi sar la critica dei tentativi del
pensiero filosofico di appiattire il linguaggio della politica sul proprio monismo logico
e metafisico; dallaltro Arendt tenter un ripensamento delle forme e dei principi della
politica a partire dallesperienza fattuale della pluralit umana, ci che la stimoler a ri-
leggere alcune esperienze politiche sia antiche che moderne.
29
Ibid., p. 645.
30
Ibid., p. 646.
31
Ibidem.
32
Cfr. infra, nota 20.
33
Cfr. H. Arendt, Karl Marx e la tradizione ..., cit.
Hannah Arendt e il problema di Marx
651
La semantica della libert: i consigli e le repubbliche elementari di Hannah Arendt
Allequazione moderna di libert, autonomia e razionalit, Arendt contrappone la riva-
lutazione di quegli elementi tipici dellesperienza esistenziale della finitezza che si sot-
traggono per principio al progetto di autofondazione assoluta e trasparente della sfe-
ra degli affari umani. La sintassi arendtiana della libert, infatti, implica in primo luogo
la negazione del principio moderno portato alla sua massima espressione in Hegel
dellautonomia del soggetto agente inteso sia come autoposizione (da cui deriva la cen-
tralit della categoria di natalit), sia come capacit di controllo sulle conseguenze
delle proprie azioni. Lintreccio di relazioni pi o meno casuali, contingenti e spontanee,
che esiste ovunque gli uomini vivono insieme
34
, consente infatti ai singoli di intrapren-
dere unazione, ma non di controllarla in tutte le sue conseguenze, cosicch esperien-
za comune il fatto che raramente lazione consegue il suo scopo
35
:
il grande enigma che ha sconcertato la filosofia della storia dellepoca moderna, appare quan-
do si considera la Storia come un tutto, e si scopre che il suo soggetto, lumanit, unastra-
zione che non pu mai diventare un agente attivo (...). La difficolt nasce dal fatto che in ogni
serie di eventi, che insieme formano una storia con un unico significato, possiamo tuttal pi
isolare lagente che ha innescato lintero processo; e sebbene questo agente spesso rimanga poi
il soggetto, leroe della storia, non possiamo mai identificarlo, senza possibilit di dubbio,
come il responsabile dei suoi esiti finali
36
.
Una volta persa lautonomia, anche la razionalit intesa come posizione di criteri assolu-
ti, autotrasparenti e quindi, daccapo, pienamente controllabili, viene a cadere in favore
di un ripensamento della politica a partire dal senso immanente che scaturisce dallespe-
rienza originaria dellinterdipendenza degli uomini tra loro. Se, dunque, la libert illumi-
nistica intesa come coincidenza universale di autonomia e razionalit si rovescia, alla fine
di una lunga e nobile storia, in una categoria di dominio
37
, il prezzo della libert plurale
invece il riconoscimento della fragilit di unazione singolare che dipende costitutiva-
mente dalla presenza degli altri. In questa prospettiva, la razionalit intesa come capaci-
t di comprendere non viene persa, ma ricercata altrove: non pi, cio, nel movimen-
to necessario della storia, bens nella produzione spontanea e contingente di significati
propria della sfera degli human affaires. Nel discorso arendtiano, lautonomia diventa
cos la spontanea espressione della propria singolarit, mentre la razionalit diventa la
produzione di un contesto di senso narrativo che scaturisce dalla libert intesa a sua vol-
ta come possibilit di prendere parte, tramite azione e parola, alla scena pubblica.
La riflessione arendtiana sullesperienza storica dei consigli rivoluzionari si inscrive
proprio in questo tentativo di risemantizzare e ripensare il senso della politica. Potrebbe
34
H. Arendt, Vita Activa, cit., p. 133.
35
Ibid., p. 134.
36
Ibid., p. 133.
37
Rovesciamento che avviene attraverso quella rimozione originaria della pluralit operata dalla metafisica
che secondo Arendt ha inficiato tutte le categorie della filosofia politica tradizionale. Sul rovesciamento della
tradizione occidentale in categorie di dominio, pi esplicita e diversificata la posizione della Scuola di Franco-
forte (cfr. in particolare M. Horkheimer, Th. Adorno, Dialettica dellIlluminismo, Einaudi, Torino 1966).
Eugenia Lamedica
652
stupire, pertanto, che insieme ai club della rivoluzione francese, alla Comune di Parigi
del 1871, ai soviet del 1905 e ai consigli ungheresi del 1956, Arendt esalti anche lespe-
rienza dei soviet del 1917 nonch quella dei Rte comunisti tedeschi del 1918-1919
38
.
Tuttavia, nel ripensare gli eventi in questione, Arendt ne ignora sistematicamente ogni
contenuto di lotta di classe: la spontanea formazione di consigli, nelle prime fasi delle ri-
voluzioni, riveste infatti per lei ben altro significato. Secondo Arendt i consigli aprirono
quello spazio relazionale dellagire insieme agli altri che, qualora fosse stato inteso nella
sua semantica originaria, avrebbe destrutturato la concezione strumentale della rivolu-
zione, concepita come un mezzo per realizzare un fine ulteriore rispetto al dischiudersi
dellesperienza della partecipazione rivoluzionaria stessa. I consigli, scrive Arendt, era-
no spazi di libert, che come tali si rifiutarono invariabilmente di considerarsi come
organi temporanei della rivoluzione
39
. Al contrario, essi tentarono con ogni mezzo di
consolidarsi in organi permanenti di governo, ma non per rendere permanente la rivolu-
zione; il loro scopo esplicitamente espresso era piuttosto quello di porre le fondamen-
ta di una repubblica (...). Non il paradiso in terra, non una societ senza classi, non il
sogno della fraternit socialista o comunista, ma linstaurazione della vera repubblica
era la ricompensa sperata alla fine della lotta
40
. La logica repubblicana, cio, rovescia
radicalmente la logica marxiana della storia contrapponendole un discorso completa-
mente diverso: la prassi rivoluzionaria non deve mirare n alla rifondazione delluma-
nit, n alla palingenesi finale della societ; suo scopo piuttosto la fondazione di isti-
tuzioni in grado di garantire ai singoli uomini la possibilit di prendere parte agli spazi
pubblici. Come accade per tanta parte dei concetti arendtiani, anche la fondamentale
differenza tra cambiare gli uomini e modificare le istituzioni trae forza argomentativa
dallopposizione radicale che instaura con la prassi totalitaria il cui scopo, come si vi-
sto, la creazione dellUomo Nuovo. Al centro della politica, afferma Arendt, vi sem-
pre la preoccupazione per il mondo, non per luomo: la preoccupazione per un mondo
fatto cos o in altro modo, senza il quale coloro che si preoccupano e sono politici repu-
tano la vita indegna di essere vissuta. E il mondo non si cambia cambiandone gli uomi-
ni (...). Se si vuole cambiare unistituzione, una organizzazione, una qualunque corpo-
razione pubblica mondana, se ne pu solo rinnovare la costituzione, le leggi, gli statuti
41
.
Secondo Arendt, dunque, i consigli rivoluzionari, ovunque si presentarono, inseguirono
una nuova logica politica del tutto estranea alla progettualit utopica dellIlluminismo,
cos come alla filosofia marxiana della prassi storica: la logica della libert politica, la ri-
vendicazione, cio, della partecipazione alla cosa pubblica.
Per questo motivo, nellottica arendtiana, lerrore fondamentale di Lenin fu laver
subordinato i soviet alla realizzazione dello scopo rivoluzionario rendendoli poi, con la
creazione del partito bolscevico, del tutto superflui. E ci esattamente come, pi di un
secolo prima, il partito giacobino aveva depotenziato la forza delle esperienze dei club
parigini nati sullonda dellentusiasmo rivoluzionario. Ci che n i bolscevichi n, pri-
38
H. Arendt, La tradizione rivoluzionaria e il suo tesoro perduto, in H. Arendt, Sulla Rivoluzione, Einaudi,
Torino 2006, pp. 247-326.
39
Ibid., p. 306.
40
Ibid., pp. 306-307.
41
H. Arendt, Che cos la politica?, cit., p. 18.
Hannah Arendt e il problema di Marx
653
ma di loro, i giacobini, erano attrezzati a vedere perch, come Arendt suggerisce, non
ne avevano gli strumenti concettuali , era il senso immanente, fortemente capace di au-
tolegittimazione, che scaturiva dalle esperienze spontanee dei consigli rivoluzionari in
cui gli uomini assaporavano la felicit
42
dellagire insieme anche e nonostante lo sco-
po che si erano prefissati di realizzare. Quel momento di partecipazione attiva, cio, non
voleva essere hegelianamente superato, n marxianamente soppresso nellottica del
conseguimento di un fine ulteriore, bens riconosciuto nella singolarit del suo discorso
proprio. Quella di Lenin e di Robespierre fu, dunque, la lotta per il potere, condotta da
un partito e dagli interessi di partito contro la chose publique, il bene comune
43
, rap-
presentato dai consigli. Tanto Robespierre quanto Lenin considerarono i consigli organi
temporanei nella lotta rivoluzionaria
44
, non capendo in quale misura il sistema dei con-
sigli proponeva una forma di governo interamente nuova, con un nuovo spazio pubblico
per la libert che veniva costituito e organizzato nel corso della rivoluzione stessa
45
.
Secondo Arendt, paradigmatico di questa cecit di fronte allenorme passione pub-
blica scaturita durante le esperienze rivoluzionarie fu la totale incomprensione del senso
del proprio agire dimostrata dai protagonisti della rivoluzione americana. I padri fonda-
tori, infatti, nel mentre sperimentavano la soddisfazione e lappagamento di intervenire
negli affari pubblici, interpretavano le proprie azioni attraverso i concetti ereditati dalla
tradizione filosofico-politica, sacrificando il significato delle loro esperienze alle esigen-
ze tecniche di un governo efficiente e di una amministrazione efficace. In altre paro-
le, i padri fondatori non seppero dare voce a quellaspetto altrettanto importante della
propria esperienza grazie al quale lagire in comune rivelava loro un significato che non
si esauriva completamente nelle specifiche necessit di governo, bens assumeva una va-
lenza autonoma che trascendeva il che cosa venisse realmente discusso e deciso. In-
capaci di articolare concettualmente la felicit che provavano nellagire insieme e nel
mostrarsi lun laltro sulla sfera pubblica, riconoscendo in ci la profonda ragion des-
sere, la motivazione autentica del loro stesso agire, essi non seppero far altro che por-
re il problema centrale per ogni pensiero politico: qual il fine del governo? senza riu-
scire a pervenire sino alle origini del linguaggio concettuale da loro usato
46
. Ma, cosa
ancora pi grave, a causa di questa incomprensione essi lasciarono inascoltate le solleci-
tazioni di Jefferson per la suddivisione dei nuovi stati della Confederazione in circoscri-
zioni territoriali (repubbliche elementari)
47
. Solo questo assetto costituzionale, infatti,
sarebbe riuscito a conservare lo spirito della fondazione repubblicana a livello delle au-
tonomie di base, offrendo alle generazioni future la possibilit di ripetere, su una scena
istituzionalizzata a tal fine, latto rivoluzionario in s della partecipazione alla cosa
pubblica.
Da questo punto di vista, quindi, la modernit presenta un duplice collasso di signi-
42
H. Arendt, Azione e la ricerca della felicit, in G. Duso (a cura di), Filosofia politica e pratica del pensiero.
Eric Voegelin, Leo Strauss, Hannah Arendt, Franco Angeli, Milano 1988, pp. 333-348.
43
H. Arendt, Sulla Rivoluzione, cit., p. 288.
44
Ibidem.
45
Ibidem.
46
H. Arendt, Azione e la ricerca..., cit., p. 341.
47
H. Arendt, Sulla Rivoluzione, cit., pp. 287ss.
Eugenia Lamedica
654
ficativit: collasso teorico, a livello di concetti, e collasso pratico, a livello di esperienze
possibili. Essi sono complementari: ci che non viene espresso e quindi riconosciuto non
ha nemmeno una rilevanza per coloro che lo vivono, tutto avviene proprio come se non
esistesse. Le istituzioni consiliari non trovarono posto nellautocomprensione dellatto
rivoluzionario poich mancarono i concetti per articolare un tipo di esperienza che si of-
fr ai suoi protagonisti in uneccedenza di significato rispetto alle parole della tradizione;
di conseguenza, ogni possibilit di ritrovare in questi eventi un nuovo principio fondati-
vo dello spazio politico and perduto con lo svanire delle esperienze stesse
48
.
Ora, lidea che i consigli rivoluzionari possano costituire organi dazione, em-
brioni di uno stato nuovo, nuove forme di governo
49
, pu certamente essere messa
in discussione. Si pu obiettare ad Arendt di essersi lasciata rapire da un eccesso di fan-
tasia ottimistica, scambiando quello che costituisce lemergere di una situazione struttu-
ralmente legata a circostanze di mobilitazione straordinaria per un nuovo tipo di pras-
si passibile di essere convogliata verso una forma politica normalizzata, in cui, cio, la
mobilitazione si trasformi in un principio permanente ed istituzionalizzato di partecipa-
zione dal basso alla vita pubblica. Che, da questo punto di vista, il pensiero politico di
Arendt risulti impraticabile, modello normativo e controfattuale rispetto alla realt del-
le moderne democrazie di massa quanto le viene imputato da pi parti, a comincia-
re dalla letteratura critica soprattutto di matrice anglosassone, impegnata nel tentativo
di convogliare le idee arendtiane in una concezione militante e politicamente utilizzabi-
le della societ civile
50
.
Tuttavia, pi che con disegni di ingegneria costituzionale, il punto fondamentale del
discorso di Arendt risiede probabilmente in unaltra serie di considerazioni. Esso ri-
guarda la ragion dessere della politica, vista innanzitutto come una dimensione dellesi-
stenza umana. Per Arendt la domanda a che cosa serve la politica? del tutto legit-
tima, ma non esaustiva; necessario innanzitutto ricominciare a chiedersi che cos
la politica?
51
, tentando di riattivare i contesti di senso che la rendono e lhanno resa,
quando ci avvenuto nel corso della storia, un evento significativo
52
. Cosa vuol dire
48
Dove questa perdita, sembra concludere Arendt, si inscrive nelle origini stesse del linguaggio della filo-
sofia politica occidentale, il cui atto di nascita si fonda sulla rimozione dellesperienza della pluralit umana.
laltra strada percorsa da Arendt nella sua decostruzione della tradizione filosofica occidentale: Arendt
rintraccia nella filosofia politica di Platone la rimozione dellesperienza democratica della plis ateniese e lim-
posizione alla sfera degli human affaires dei criteri assoluti della ragione teoretica. Lincomprensione dellespe-
rienza dei consigli rivoluzionari, dove sempre la concettualit dominante che impedisce il riconoscimento del
senso esistenziale dellesperienza, non dunque che una ripetizione di quella rimozione originaria che rimane
inscritta nellinizio della tradizione occidentale. (Cfr. soprattutto H. Arendt, Vita Activa, cit.; e H. Arendt, Tra
passato e futuro, Vallecchi, Firenze 1970; Garzanti, Milano 1999).
49
Cos vengono definite nel corso di La tradizione rivoluzionaria..., cit.
50
Queste critiche prendono le mosse dal saggio di J. Habermas La concezione comunicativa del potere in
Hannah Arendt, Comunit, n. XXXV, 1981 (183), pp. 56-73. Riprese poi da S. Benhabib, The Reluctant
Modernism of Hannah Arendt, Sage, Thousand Oaks 1996.
51
Titolo di un saggio introduttivo alla politica, incompiuto e pubblicato postumo, cui Arendt si dedic nel
corso degli anni Cinquanta: H. Arendt, Che cos la politica?, cit.
52
Lautonomia del politico in Arendt non ha nessuna eco schmittiana ma consiste, appunto, nel cogliere
le condizioni esistenziali che danno significato allesperienza politica a prescindere da qualunque teorizzazione
Hannah Arendt e il problema di Marx
655
per gli uomini avere la possibilit di vivere autenticamente la dimensione politica, di far-
ne, cio, un vissuto fondamentale della propria esistenza singolare e collettiva? La ri-
sposta a questa domanda il sempre rinnovato tentativo di Arendt di ricollocare al cen-
tro dellevento politico lesperienza fattuale della pluralit, ripensando le condizioni di
possibilit perch la partecipazione attiva alla vita pubblica possa essere sperimentata
al di fuori delle categorie filosofiche tradizionali e restituita alla propria autonomia se-
mantica. Insofferente ad ogni tipo di progettualit utopistica, lesperienza dellagire plu-
rale in cui risiede il senso immanente della politica si oppone dunque al tentativo
moderno di far coincidere la libert con la totale autonomia di un ordinamento sociale
trasparente e pienamente controllabile, ci che, come chiaramente suggerisce la rifles-
sione arendtiana, prelude direttamente allavvento della dominazione totalitaria. Il to-
talitarismo, infatti, non un evento che si possa relegare definitivamente al passato: an-
che se la sua forma storica potrebbe essere tramontata, per Arendt esso rappresenta una
possibilit ormai aperta contro la quale il futuro non pu essere garantito. E ci perch a
non essere tramontato invece lUmwelt che lha reso possibile: vale a dire quella socie-
t composta da individui sradicati, politicamente impotenti e privatisticamente ripiegati
su se stessi, che il totalitarismo tent di ricomporre in una comunit fittizia e che anco-
ra costituisce le moderne democrazie di lavoratori/consumatori. Come pu una socie-
t interamente dedita al consumo recuperare lesperienza dellazione politica? Proprio
qui, secondo Arendt, comincia il secondo problema di Marx. Nella centralit assegna-
ta dal filosofo al lavoro umano, infatti, Arendt vede la ratifica filosofica dellavvento del-
la moderna societ di massa. Vediamo.
Lavoro, opera e tecnica tra Arendt e Marx: la difficile dialettica di liberazione e libert
Tra gli errori che Arendt imputa a Marx vi quello di aver confuso la distinzione tra
fabbricare, attivit con cui gli uomini predispongono un mondo di cose oggettive, e
lavorare, attivit che, secondo Arendt, rimane rinchiusa entro i bisogni della vita bio-
logica
53
. Lintento di Arendt, infatti, quello di attribuire a Marx la legittimazione filo-
sofica dellevento moderno costituito dallassurgere delle attivit produttive a fenomeno
centrale della sfera pubblica. In altre parole, Arendt cerca nel pensiero del filosofo tede-
sco la giustificazione teorica della nuova organizzazione della societ che ha trasformato
ogni possibile genere di attivit, anche le arti liberali e le professioni tradizionalmente li-
bere e mondanamente rilevanti, in lavoro finalizzato alla produzione di valore sociale.
Va tuttavia subito rilevato che Arendt giudica Marx dal punto di vista delle conseguenze
novecentesche del capitalismo, vale a dire dalla prospettiva di quella societ dei consu-
mi di massa che la pensatrice ebbe modo di osservare nel suo pieno sviluppo nellAme-
rica degli anni Cinquanta e di cui il saggio del 58, Vita Activa, costituisce un tentativo
dinterpretazione filosofica. Non difficile infatti vedere come la differenza istituita da
filosofica. I due momenti in cui essa si realizzata nel corso della storia occidentale premoderna sono ravvisati
dalla pensatrice nella polis democratica del V secolo a.C. e nellantica Roma.
53
H. Arendt, Vita Activa, cit.
Eugenia Lamedica
656
Arendt tra lavorare e fabbricare con le sue corrispettive tipizzazioni antropologi-
che animal laborans e homo faber non sia affatto attribuibile a Marx, le cui analisi sto-
rico-economiche si propongono piuttosto di spiegare le trasformazioni subite dallattivi-
t umana nel nuovo contesto produttivo sorto dalla rivoluzione industriale.
La prima mossa di Arendt quella di ridurre il concetto marxiano di lavoro a un fat-
to meramente fisiologico, tale per cui esso non designa pi unattivit di mediazione con
lambiente esterno, quanto il metabolismo interno al corpo umano
54
: in una civilt, il la-
voro quellattivit grazie alla quale ci possibile consumare ci che lo spazio pubblico
ci ha messo a disposizione. Il lavoro, in quanto metabolismo con la natura, non in pri-
mo luogo unattivit produttiva, ma unattivit di consumo
55
. Non solo il lavoro ne-
cessario, ma, afferma Arendt, esso rimarrebbe una necessit, anche se ad esso non fosse
collegato alcun tipo di produttivit, alcun tipo di accrescimento del mondo comune
56
.
Separato da ogni contesto determinato, in Arendt il lavoro diventa cos unattivit di de-
predazione delle risorse del mondo, un attributo indefinito
57
di una vita altrettan-
to indefinita nella sua configurazione storica; unattivit di puro consumo e completa-
mente priva di risvolti mondani, attribuiti da Arendt esclusivamente alla fabbricazione
58
.
Poich, dunque, il metabolismo corporeo lunica attivit in cui viene eliminato il pro-
cesso di differimento tra temporalit soggettiva e ciclica del lavoro e suo contenuto og-
gettivo e mondano, Arendt pu agevolmente argomentare la natura alienante del lavo-
ro, il quale la sola attivit che corrisponde strettamente allesperienza della estraneit
dal mondo, o meglio alla perdita del mondo che occorre nel dolore
59
. Infatti nel lavo-
ro il corpo umano (...) ripiegato su se stesso, non si concentra su nientaltro che sul
suo essere vivo, e rimane imprigionato nel suo metabolismo con la natura senza mai tra-
54
Come noto, la definizione del lavoro come metabolismo delluomo con la natura di Marx. Tuttavia, il
paradigma interpretativo del filosofo tedesco il materialismo storico, dove tutti i concetti naturali vengono
presentati nellinscindibile mediazione storica con lattivit umana. A causa delladozione di una antropolo-
gia radicalmente antinaturalistica e dicotomica, basata sulla definizione delluomo come animale politico,
Arendt riduce invece il materialismo di Marx a un naturalismo immediato travisandone il significato. Per la
questione della natura in Marx cfr. A. Schmidt, Il concetto..., cit.
55
H. Arendt, Che cos la politica?, cit., p. 60.
56
Ibid., p. 50.
57
P.P. Portinaro, Hannah Arendt e lutopia della polis, Comunit, n. XXXV (183), 1981, p. 42.
58
Un chiaro esempio di questa dicotomia ce lo fornisce la seguente affermazione: La natura vista con gli
occhi dellanimal laborans la grande fornitrice di tutte le buone cose, che appartengono egualmente a tutti
i suoi figli, che [le] prendono dalle [sue] mani e si mescolano con essa nel lavoro e nel consumo. La stessa
natura, vista con gli occhi dellhomo faber, il costruttore del mondo, fornisce solo i materiali quasi senza
valore in se stessi, in quanto lintero loro valore sta nellopera che li trasforma [whose whole values lies in
the work performed upon them], H. Arendt, Vita Activa, cit., p. 71. Qui Arendt si riferisce alla preistoria
della teoria del valore-lavoro rintracciabile in Locke. E tuttavia non dice nel lavoro che li trasforma, bens
nellopera (in inglese work opposto a labor). La valorizzazione dei prodotti del lavoro risiederebbe quindi
per Arendt nella natura e non nellatto del lavorare, mentre lunica attivit umana che valorizza la materia
sarebbe invece lopera. Di conseguenza il lavoro, lungi dallessere unattivit di umanizzazione della natura,
rappresenta, al contrario, unattivit di naturalizzazione delluomo. Vista dal punto di vista della teoria del
valore, quindi, il circolo vizioso che sostiene la dicotomia arendtiana tra lavoro ed opera appare manifesto.
Sul punto si veda J. Locke, Della propriet, in J. Locke, Il secondo trattato sul governo, Biblioteca Universale
Rizzoli, Milano 1998, pp. 95-127.
59
H. Arendt, Vita Activa, cit., p. 81.
Hannah Arendt e il problema di Marx
657
scendere il ciclo ricorrente del proprio funzionamento
60
. Una volta dimostrato che il
lavoro come attivit umana elementare ha effetti alienanti, Arendt ha buon gioco nello
spiegare anche l alienazione dal mondo del moderno abitatore della societ del con-
sumo di massa lanimal laborans , presentandola come una semplice estensione della
prima naturale alienazione
61
.
Una volta isolato dal processo lavorativo il lato puramente soggettivo, il consumo,
anche il surplus produttivo di uneconomia di tipo capitalistico diventa per Arendt una
semplice funzione delleterna fecondit della natura senza alcuno specifico riferimen-
to a categorie storiche e socioeconomiche. La fecondit del metabolismo uomo-natu-
ra, afferma Arendt, che scaturisce dalla naturale abbondanza di forza-lavoro, appartie-
ne ancora alla sovrabbondanza che vediamo ovunque nel regno della natura
62
; mentre
vero proprio il contrario, e cio che in natura non vi alcuno sviluppo di sovrappi,
dal momento che la scarsit delle risorse determina il costante riequilibrio degli indivi-
dui in soprannumero
63
. Soltanto la nascita di uneconomia capitalistica di mercato sta-
ta storicamente in grado di innescare il meccanismo di una riproduzione esponenziale
e, di conseguenza, lo sviluppo potenzialmente illimitato delle condizioni simbolico-ma-
teriali della societ
64
. Come Marx spiega, dunque, il surplus produttivo reso possibi-
60
Ibidem.
61
necessario pertanto specificare che in Arendt alienazione ha tuttaltro significato rispetto al corrispet-
tivo concetto marxiano. Essa non , come per il filosofo tedesco erede della tradizione hegeliana e della critica
feuerbachiana, lestraniazione dellattivit vitale delluomo; della prassi sottoposta a un modo di produzione
(quello capitalistico) i cui scopi e il cui senso sono fuori dalla coscienza del lavoratore; in Arendt, al contrario,
alienazione significa estraniazione delluomo dal mondo e ritorno delluomo in se stesso. E ci sia da un
punto di vista filosofico il dubbio cartesiano sul mondo esterno con cui inizia la modernit , sia da un
punto di vista storico fuga delluomo nello spazio e, soprattutto, avvento della societ del consumo, dove,
passando dalla produzione artigianale e artistica alla produzione industriale di beni destinati ad un consumo
sempre pi accelerato, il concetto tradizionale di fabbricazione viene de-mondanizzato. In questo processo,
infatti, viene perduto il senso stesso del mondo come sfera durevole della cose nonch come sfera pubblico-
politica, soppiantata dal trionfo pubblico di attivit private (su questa concezione di Arendt della societ come
una sfera semipubblica, cfr. H. Arendt, Lo spazio pubblico e la sfera privata, in Vita Activa, cit., pp. 18-58).
Il concetto arendtiano di alienazione, dunque, non ha nulla a che vedere con il corrispettivo marxiano, anzi:
nella critica mossa da Marx alla produzione capitalistica per cui loggetto prodotto diventa estraneo agli sco-
pi e alla creativit di colui che lha prodotto, Arendt ravvisa il tentativo di Marx di appiattire le cose nella sfera
dellincorporazione (consumo) umano, e, pertanto, di legittimare la vera alienazione, quella dalla sfera
mondana. Anche nel concetto di alienazione, quindi, Arendt vede in Marx gli antecedenti teorici della societ
del consumo di massa. Sul punto cfr. H. Arendt, Il lavoro pi note correlate, in Vita Activa, cit., pp. 58-126.
62
H. Arendt, 1958, tr. it. p 76.
63
Cfr. Ch. Darwin, Lorigine delle specie, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 407ss.
64
Confondendo la necessit di lavorare imposta agli uomini dalla natura stessa per poter ri-produrre la
propria esistenza, con la necessit di lavorare per produrre un surplus imposta dalla societ e dai suoi spe-
cifici rapporti di produzione, Arendt elude del tutto la differenza, riscontrabile gi in Aristotele, tra sistemi
economici basati sulla riproduzione semplice e finalizzati allautosufficienza (crematistica naturale, scienza
dellacquisizione delle ricchezze o anche ikos-nomia, economia della casa) e sistemi fondati sullespansione
della domanda in cui il rapporto produzione/consumo viene invertito (crematistica innaturale). Cfr. Aristo-
tele, Politica, I (A), 9, 1257 a- 1258 b.; Etica Nicomachea, E 1133 b 16-28. Allinizio della seconda sezione de
Il Capitale, Marx individua nella distinzione aristotelica lantecedente teorico della sua analisi del processo di
scambio tipico del capitale.
Eugenia Lamedica
658
le dallorganizzazione produttiva capitalistica ha una propria specificit storica e socio-
economica che solo metaforicamente pu essere assimilata alla sovrabbondanza e alla
crescita tipica della vita organica
65
.
In conclusione, si pu affermare che Arendt opera una sorta di naturalizzazione
dei fenomeni consumistici della societ di massa che ottiene il risultato di neutralizza-
re la forza critica delle analisi marxiane. Questo effetto neutralizzante dovuto alla so-
vrapposizione dellambito semantico della necessit con quello della natura tout
court, laddove limpostazione critico-dialettica di Marx consente di rilevare la particola-
rit tuttaltro che naturale della necessit imposta da specifici rapporti sociali. Sen-
za questa differenziazione non solo la capacit ermeneutico-esplicativa delle analisi del
filosofo tedesco viene a crollare, ma anche il presupposto dellemancipazione della so-
ciet dai rapporti capitalistici di produzione perde di significato. Rovesciando, pertanto,
la questione storico-sociale della coercizione del lavoro in quella antropologica della
schiavit della vita, non c dubbio che Arendt tradisca quello che in definitiva un
intento ideologico di confutazione immediata della prospettiva socialista
66
.
Tuttavia, nel discorso arendtiano, il concetto di necessit ha a che fare anche con
un altro ordine di considerazioni, che ci conduce al confronto decisivo tra i due pensa-
tori vertente sul piano delle rispettive concezioni della tecnica.
noto che, secondo Marx, la liberazione intesa in primo luogo come liberazione del
lavoro dai rapporti capitalistici di produzione tramite lappropriazione collettiva degli
stessi, e in secondo luogo come liberazione dal lavoro tramite la maggior estensione del
tempo libero consentita dallo sviluppo delle forze produttive, resa possibile per luo-
mo attraverso lo sviluppo dei propri mezzi tecnici. Pur non eliminandola mai del tutto
67
,
infatti, tramite il potere sulla tecnologia luomo fa arretrare la necessit naturale facili-
tando il processo di soddisfacimento dei propri bisogni e diminuendo il tempo di lavo-
ro necessario il quale, eliminato il mercato, riproduce un sistema di bisogni non pi
vincolato al meccanismo coercitivo dellespansione della domanda. Per Marx, quindi,
lidea le illuministico di autonomia e libert realizzato solo dallo sviluppo della tecnica,
poich, nel processo sempre pi esteso di sostituzione del dato naturale con il prodotto
dalluomo, si verifica la possibilit di portare le forze della natura sotto il controllo uma-
no, indirizzandole e pianificandole verso gli scopi coscientemente posti dagli uomini
stessi. Tutto ci a patto che la forma storica della necessit, incarnata dai rapporti capi-
talistici di produzione, venga rovesciata, dal momento che la gestione capitalistica rein-
troduce indirettamente la coercizione nella societ sotto forma dello sfruttamento della
65
H. Arendt, Vita Activa, cit., p. 35. Questa, per altro, anche lunica pagina in cui Arendt sembra rendersi
conto che la produzione umana in fondamentale contrasto con la limitatezza di quella naturale, frenata
dal continuo processo di decadenza e riequilibrio della vita organica. Ma poi non trae alcuna conseguenza da
ci, proponendo quindi una teoria confusa e sostanzialmente contraddittoria.
66
Cos P.P. Portinaro, Hannah Arendt e lutopia della polis, Comunit, n. XXXV (183), 1981, pp. 27-56.
67
Sulla natura in Marx come residuo non ulteriormente umanizzabile, cfr. A. Schmidt: Solo il Marx della
maturit affronta seriamente il problema della non-identit. Come non si pone per lui lequazione hegeliana
soggetto-oggetto, cos non si pone nemmeno lequazione umanismo-naturalismo (...). La materia esterna agli
uomini resta lelemento da assimilare e da assoggettare anche in una societ senza classi, sia pure in condizioni
pi favorevoli che non nelle precedenti societ, e la natura umana deve continuare a pagare il suo tributo. A.
Schmidt, Il concetto..., cit. pp. 128-129.
Hannah Arendt e il problema di Marx
659
forza lavoro e della sottomissione alle leggi del mercato. Queste infatti invertono il rap-
porto tradizionale tra produzione e bisogni umani, al punto che Marx, noto ammiratore
della borghesia, giunge a rilevare che la vecchia concezione pre-capitalistica secondo
cui luomo anche se inteso in un senso molto limitato dal punto di vista nazionale, reli-
gioso, politico, sempre lo scopo della produzione, appare molto elevata nei confronti
del mondo moderno, in cui la produzione si presenta come scopo delluomo
68
.
Ora, se tutto ci vero, evidente che, negando il potenziale liberatore della tecni-
ca rispetto al lavoro e quindi alla vita umana, Arendt rimuove la pietra angolare del si-
stema marxiano introducendo un insieme di considerazioni e valutazioni sulla moderni-
t di tuttaltro tenore. Innanzitutto, Arendt attribuisce alla tecnica moderna uno statuto
ontologico che rovescia diametralmente il discorso del filosofo tedesco. Se, infatti, per
Marx, attraverso la tecnica luomo domina la natura, per Arendt la tecnica moderna rea-
lizza, al contrario, il dominio della natura sulluomo, vale a dire il dominio della ne-
cessit. Ora, a prescindere dal dubbio valore ermeneutico del lessico naturalizzante di
Vita Activa
69
, risulta chiaro che, per Arendt, la questione della tecnica umana non coin-
cide con il problema storico della sua gestione capitalistica o socializzata. Per Arendt,
infatti, la tecnica costituisce un problema soltanto nella misura in cui estende lambi-
to della razionalit strumentale allinterno della spontanea socialit umana. Lo sviluppo
tecnologico, infatti, apre nuovi ambiti di conoscenze specializzate e campi di applicazio-
ne in cui si inserisce un potere tecnico-amministrativo che in s, del tutto indipendente-
mente, cio, dalla questione marxiana della propriet privata, restringe le possibilit del
cittadino comune di esercitare il proprio giudizio politico. Estendendo la sua presenza
nelle sfere vitali delluomo la tecnica incrementa la necessit di regolamentare i compor-
tamenti a scapito della spontaneit dellagire. Le umane res gestae cedono il posto alla
storia delle rivoluzioni tecnologiche, lazione diventa innovazione.
Gi lo si detto: il punto di vista arendtiano quello della societ di massa avan-
zata, ultimo esito del capitalismo novecentesco; per Arendt non si tratta pi di libera-
re, marxianamente, la tecnica da specifici rapporti umani, ma, al contrario, di liberare i
rapporti umani dalla tecnica. Qui si palesa anche linsufficienza dellequazione moder-
na di autonomia e libert nella sua versione marxiano-positivista. Lautonomia con-
sentita dalluso della tecnica, infatti, non restituisce agli uomini la libert, bens sostitui-
sce una necessit con unaltra, quella, cio, della gestione dellapparato tecnico stesso.
Di conseguenza, la tecnica non solo non realizza affatto la libert della marxiana societ
degli uguali, ma rende altrettanto impossibile la spontaneit delle singolarit arendtiane,
dal momento che la vera libert possibile soltanto come trascendimento della necessi-
t. La libert, infatti, non uno stato negativo dellessere che proviene automaticamen-
te dalla liberazione da qualche genere di costrizione, ma un esercizio positivo di facol-
t; attivit, praxis, espressione di potenzialit appartenenti a ci che vi di pi proprio
in ogni singolo individuo. Certo, non si pu negare che, nelle intenzioni di Marx, an-
che la societ comunista dovesse andare in questa direzione: emancipati dalla coercizio-
68
K. Marx, Forme economiche precapitalistiche, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 87.
69
Per lanalisi di Arendt della tecnica moderna cfr. Vita Activa, cit., La vita activa e let moderna, pp. 183-
242; H. Arendt, Verit e Politica, V. Sorrentino (a cura di), Bollati Boringhieri, Torino 1995.
Eugenia Lamedica
660
ne dei rapporti capitalistici, infatti, gli uomini si sarebbero riappropriati di una prassi li-
beramente creativa
70
. E tuttavia, neutralizzando la dimensione politica, Marx elimin il
solo luogo dove lesercizio della prassi diventa significativo e acquisisce efficacia. Lidea
socialista si rivela pertanto fallimentare in quanto basata su un fondamentale errore di
prospettiva: il complesso sistema produttivo sorto dalla rivoluzione industriale, infatti,
non regalerebbe allipotetica umanit che lo gestisse in comune il tempo libero previsto
da Marx. Unumanit compiutamente tecnicizzata non sarebbe infatti altro che unuma-
nit posta sotto la tirannia degli apparati amministrativi e burocratici, colonizzata da un
potere politico celato dietro lapparente neutralit della pura gestione. In queste con-
dizioni, la rivoluzione non apporterebbe nessuna libert, poich non saprebbe riattiva-
re la spontanea espressivit di una prassi che, in una societ priva dello spazio pubbli-
co e dedita esclusivamente alle attivit tecnico-produttive, si atrofizzerebbe per la stessa
mancanza di esercizio
71
.
Da qualunque punto di vista lo si prenda, il pensiero di Arendt appare rivolto a
quellevento totalitario che con cos tanta passione ha tentato di spiegare. E cos, esso si
riaffaccia anche al termine del nostro percorso nel concetto marxiano di lavoro. Il domi-
nio totalitario, infatti, pu concretizzarsi proprio laddove nessuno possiede pi la capa-
cit di contrastarlo, laddove, cio, tutte le questioni politiche sono state ridotte a fatti di
mera amministrazione. una societ di lavoratori [ossia, come abbiamo visto, di con-
sumatori], quella che sta per essere liberata dalle pastoie del lavoro, afferma Arendt
con tutto il pessimismo di chi osserva una mutazione antropologica in atto; ed una
societ che non conosce pi quelle attivit superiori e pi significative per le quali que-
sta libert meriterebbe di essere conquistata
72
.
Conclusioni
La prima accusa che Arendt muove a Marx quella di essersi affidato a un concetto mo-
nolitico di prassi ancora legato, tramite Hegel, alle categorie della metafisica e fonda-
to sulla rimozione della pluralit umana e perci della politica. Teorizzando il concetto
di liberazione Marx si illuse che tutto il resto, ossia le attivit positive che devono so-
stanziare la libert, venisse automaticamente da s una volta che luomo fosse restituito
a se stesso al di fuori di ogni sovrastruttura ideologica. Ma proprio questo automati-
smo limpossibile per Arendt, per la quale la liberazione da una condizione di necessi-
t non dice ancora propriamente nulla sulla libert la quale, come abbiamo visto, non
passa per una rifondazione dellessere umano, ma esclusivamente per quella delle istitu-
zioni mondane ed inter-umane.
La seconda accusa che Arendt muove al filosofo tedesco di aver teorizzato unan-
70
Cfr. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici..., cit.; K. Marx, Forme economiche..., cit., pp. 86-88.
71
Il pericolo che una societ del genere, abbagliata dallabbondanza della sua crescente fecondit e assor-
bita nel pieno funzionamento di un processo interminabile, non riesca pi a riconoscere la propria futilit la
futilit di una vita che non si realizza in qualche oggetto permanente che duri anche dopo che la fatica necessa-
ria a produrlo sia passata, H. Arendt, Vita Activa, cit., tr. it. pp. 95-96.
72
H. Arendt, Vita Activa, cit., p. 4.
Hannah Arendt e il problema di Marx
661
tropologia rovesciata rispetto a tutti i canoni tradizionali. Infatti, facendo del lavoro la
principale attivit delluomo, Marx avrebbe filosoficamente fondato quellunicit bio-
logica della specie umana basata sulla comune capacit di produrre (forza-lavoro) che
i regimi totalitari, attraverso la politica di profilassi eugenetica, avrebbero cercato di tra-
durre in prassi. Nellesaltazione marxiana del lavoro, quindi, Arendt ravvisa lelemento
che unifica democrazia di massa e totalitarismo.
Per un altro verso, tuttavia, pur vero che, travisando polemicamente le categorie
analitiche del Marx critico del capitalismo, Arendt rimane nelle maglie di un umanesimo
troppo ristretto, ancora incapace, cio, di incorporare una riflessione sulla natura e sulle
conseguenze di un sistema di mercato completamente globalizzato. Non a caso Vita Ac-
tiva non pu far altro che terminare sulla sconsolata constatazione dellimpoverimento
della societ dellanimal laborans, incapace di agire politicamente cos come incapace di
arginare i processi irreversibili scaturiti dalla tecnica.
Da questo punto di vista, quindi, una teoria che, come quella arendtiana, ripen-
sa le condizioni di possibilit per una prassi libera, non pu prescindere dalle riflessio-
ni di Marx sulla necessit di uneconomia liberata dalla logica di uno sviluppo trasci-
nato dallespansione senza limiti della produzione e del mercato. Una teoria politica
che rinuncia a riflettere sul dato economico o che, peggio, lo neutralizza appiattendolo
sullidea di uneterna necessit naturale, si condanna infatti ad un idealismo impotente,
un ideale nostalgico di unumanit perduta per sempre. Certo, anche Marx fu un uma-
nista radicale che esalt con fede positivista il nuovo dominio delluomo sulla natura, la
sua inaudita capacit di sostituire il dato con un posto, senza interrogarsi a fondo
sulle implicazioni liberticide di una tecnica estesa globalmente a una umanit compiu-
tamente socializzata. Ma, proprio per queste inevitabili carenze di prospettiva storica,
forse il compito di integrare i due pensieri in una nuova teoria che tenga insieme econo-
mia e politica, filosofia e prassi sociale ripensando insieme luomo e la natura, la tecni-
ca e la vita, un compito che spetta oggi a noi, spettatori impotenti e critici della trion-
fante societ di mercato.
BIOGRAFIA
Nata nel 1906 ad Hannover da famiglia benestante appartenente alla borghesia ebraica,
Hannah Arendt cresce a Knigsberg, nella regione storica della Prussia , da cui nel 1871
aveva preso avvio lunificazione tedesca. Studia con Heidegger allUniversit di Marbur-
go e successivamente a Heidelberg, dove si laurea con Karl Jaspers. Nella tesi, sul con-
cetto di amore in santAgostino, dalle chiare influenze heideggeriane, si pu gi vedere
in nuce quel paradigma interpretativo basato sulla dicotomia tra vita e mondo con
cui Arendt tenter di interpretare i cambiamenti epocali della modernit. Nel 1929 si
trasferisce a Berlino ottenendovi una borsa di studio per una ricerca sul romanticismo
tedesco. Occupandosi di Rahel Varnhagen, scrittrice ebrea che tra la fine del XVIII seco-
lo e linizio del XIX aveva tenuto un salotto frequentato da artisti e letterati, Arendt co-
mincia a riflettere sul problema dellassimilazionismo ebraico. Sposa Gnther Anders,
da cui divorzier qualche anno pi tardi ma del quale condivider molte delle riflessioni
sulla tecnica e la societ dei consumi di massa svolte dal filosofo nel primo libro di Luo-
Eugenia Lamedica
662
mo antiquato, uscito nel 1956, due anni prima di The Human Condition. Nel 1933, alle
prime misure antiebraiche, fugge a Parigi, dove lavora per lorganizzazione sionista Yu-
gend-Aliyah, finalizzata alla preparazione professionale di giovani ebrei diretti nei kib-
butzim palestinesi. In seguito Arendt dir che questo era stato lunico periodo della sua
vita in cui aveva realmente agito. Attorno al tema dellazione, peraltro, ruoter tut-
ta la sua riflessione politica, stimolata in modo determinante dallesperienza del nazi-
smo e dalla privazione dei diritti politici. Dal 1933 al 1951, infatti, anno in cui le venne
concessa la cittadinanza americana, Arendt unapolide e, come tale, allo scoppio del-
la guerra viene internata dal governo di Vichy nel campo femminile di Gurs. Nel 1941,
con il secondo marito, Hienrich Blcher, gi militante spartachista, riesce ad imbarcarsi
per gli Stati Uniti, dove raggiunge la comunit ebraica emigrata. Salpando da Lisbona,
i Blcher portano il manoscritto sulle Tesi di filosofia della storia affidato loro dallami-
co Walter Benjamin poco tempo prima di togliersi la vita. Negli anni successivi, Arendt
svolge unintensa attivit per il settimanale newyorchese Aufbau, diffuso tra gli emigrati
tedeschi di tutto il mondo. Nel 1961 segue le centoventi sedute del processo Eichmann
come inviata del settimanale New Yorker a Gerusalemme. Da questa esperienza nasce il
celeberrimo La banalit del male, a causa del quale per non aver risparmiato critiche
alle modalit con cui si era voluto inscenare il processo si mette in contrasto con la co-
munit ebraica. Allintensa produzione di articoli e allattivit saggistica (tra il 1958 e il
1963 escono: The Human Condition, Between Past and Future, On Revolution), dal 1957
Arendt affianca anche linsegnamento accademico, prima presso le Universit di Berke-
ley, Columbia, Princeton, e, dal 1967 fino alla morte, anche alla New School for Social
Research di New York. Nel 1972 viene invitata a tenere le Gifford Lectures allUniversi-
t scozzese di Aberdeen, sulla scia di pensatori del calibro di Bergson, Gilson e Marcel.
Due anni pi tardi viene colta dal primo infarto. Si spegne nel dicembre del 1975 a cau-
sa di un secondo arresto cardiaco. Sulla sua macchina per scrivere viene trovato lesor-
dio della terza parte del libro che avrebbe dovuto costituire la sua resa dei conti finale
con la filosofia, da lei sempre criticata e giudicata dal punto di vista dellautonomia della
politica. Le prime due parti vengono pubblicate postume nel 1978 col titolo La vita del-
la mente. La biografia pi bella e completa di Hannah Arendt rimane tuttora quella di
Elizabeth Young-Bruhel: Per amore del mondo.
BIBLIOGRAFIA
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665
ALBERT CAMUS:
DALLA RIVOLTA ALLA RIVOLUZIONE
Samantha Novello
Nato sotto il sole invincibile dAlgeria
1
, orfano della Grande guerra e cresciuto in con-
dizioni di estrema povert a Belcourt, quartiere popolare di Algeri, Albert Camus non
ha mai mancato di sottolineare il legame fra il comunismo e le proprie origini, ossia gli
uomini e le donne del quartiere povero
2
nel quale aveva vissuto, che con la miseria ed
il mare allo svoltare di ogni strada avevano contribuito a formare la sua sensibilit
3
. la
vita e non le idee, egli scriveva nel 1935 a Jean Grenier, che conduce al comunismo
4
. Tut-
tavia, quando, appena ventiduenne, egli decide di iscriversi al PCF, Camus consapevo-
le di non essere un comunista ortodosso
5
.
Malato di tubercolosi dallet di diciassette anni, il giovane militante ritratto da Oli-
vier Todd nella sua biografia come un brillante studente impegnato a godere della gene-
rosa natura nord-africana e a conversare di letteratura, pittura e filosofia, finch la poli-
tica europea, con lelezione di Hitler in Germania e la formazione del Front populaire in
Francia, non lo raggiunge e lo spinge a rifiutare lirresponsabilit della sua giovinezza
algerina
6
. Ma sono proprio larte e la filosofia, che Camus studia a partire dal 1930 sotto
la guida di Grenier, a portare alla sua attenzione il problema dellazione politica. Sin dai
primi anni Trenta, egli eredita dal maestro la convinzione che la vita e lazione non si se-
parino dal pensiero e dallopera del filosofo e dello scrittore. Come Hannah Arendt, nel
corso di tutta la sua vita, egli rifiuter lappellativo di filosofo, legato a doppio filo con
1
A. Camus, Essais, Gallimard, Paris 1972, p. 1339. Si veda Jos Lenzini, LAlgrie de Camus, disud,
Aix-en-Provence 1998.
2
A. Camus, Les Voix du quartier pauvre, in uvres Compltes, I, 1931-1944, Gallimard, Paris 2006, pp.
75-86.
3
Lettera di Camus a Grenier (21 agosto 1935), in A. Camus, J. Grenier, Correspondance 1932-1960, Galli-
mard, Paris 1981, p. 22.
4
J. Grenier, Albert Camus (Souvenirs), Gallimard, Paris 1968, p. 46.
5
A. Camus, J. Grenier, Correspondance, cit., p. 22.
6
O. Todd, Albert Camus. Une vie, Gallimard, Paris 1996, p. 86, tr. it. Albert Camus. Una vita, Bompiani,
Milano 1997.
Samantha Novello
666
una tradizione razionalistica irrimediabilmente messa sotto accusa dai terrorismi, indivi-
duali e di Stato, del Novecento: Non sono un filosofo scriveva nel 1952 (...) non so
parlare che di quel che ho vissuto
7
. Camus ha vissuto il nichilismo, la contraddizione,
la violenza e la vertigine della distruzione e a questi ha risposto con il potere di creare e
lonore di vivere
8
, consapevole che la creazione, identificata nel Novecento nella volon-
t totalitaria di trasformare luomo e il mondo, fosse il problema politico fondamentale
dellet contemporanea, dilaniata dal virus dellefficacia
9
o dalla peste del nichilismo,
e che la critica radicale della logica e del linguaggio che governano lazione politica e ri-
voluzionaria sia la condizione ineludibile per la rinascita
10
della civilt occidentale.
Antirazionalismo, comunismo e libert
Lapprendistato filosofico-politico del giovane Camus si colloca sin dal 1932 sotto il se-
gno delloriginale riflessione di Jean Grenier. Gi collaboratore, con lo pseudonimo di
Jean Caves, della rivista Philosophies (1924-25), organo del movimento letterario di
ispirazione epica, mistica, metafisica fondato da Pierre Morhange, Georges Fried-
mann, Georges Politzer, Henri Lefebvre e Norbert Guterman, Grenier un lucido os-
servatore della crisi del razionalismo europeo degli anni Venti
11
. Attento conoscitore di
Nietzsche e delle appropriazioni del suo pensiero da parte degli autori della cosiddet-
ta rivoluzione conservatrice tedesca, egli denuncia il culto dellazione e dellefficacia
nei movimenti nichilisti in Germania, Russia e Italia. Alle politiche di potenza nove-
centesche ed al diffuso senso di smarrimento generato dalla crisi del cartesianismo, Gre-
nier oppone una filosofia della libert ispirata allantirazionalismo di Jules Lequier e di
Pascal e sottopone a severa critica i messianismi politici. Come i membri fondatori di
Philosophies, giovani filosofi non marxisti
12
ma destinati a contribuire in maniera de-
cisiva alla ricezione di Marx in Francia
13
, Grenier rifiuta lintellettualismo accademico
e riconduce la crisi dello spirito, culminata nella Grande guerra, alla subordinazio-
07
A. Camus, Rvolte et romantisme (maggio 1952), in uvres Compltes, III, 1949-56, Gallimard, Paris
2008, p. 411.
08
Ibidem.
09
A. Camus, Le Temps des meurtriers (1949), in uvres Compltes, III, cit., p. 356.
10
Ibidem.
11
J. Caves, Le nihilisme et les appels de lOrient, Philosophies, n. 1 (15 marzo 1924), pp. 51-65 (parte I) e
n. 2 (15 maggio 1924), pp. 185-196 (parte II).
12
P. Ory, J.-F. Sirinelli, Les intellectuels en France, de lAffaire Dreyfus nos jours, Armand Colin, Paris 1986,
p. 87.
13
Alla fine degli anni Venti, alcuni dei philosophes confluiscono nel Partito comunista e animano La revue
marxiste. In particolare, Guterman e Lefebvre introducono al pubblico francese i Manoscritti del 1844 di
Marx, pubblicando nel 1934 unantologia di scritti, che portano lattenzione sulla centralit del periodo fran-
cese e dei rapporti con lopera di Hegel nella formazione del pensiero filosofico politico marxista (si veda S.
Elden, Understanding Henri Lefebvre: theory and the possible, Continuum, London-New York 2004, p. 15).
Camus si serv principalmente dellantologia di Lefebvre per il suo studio di Marx nellHomme rvolt, ma non
si pu escludere che gi intorno alla met degli anni Trenta, sotto la guida di Jean Grenier, egli si sia accostato
al marxismo attraverso la lettura hegeliana-nietzscheana dellautore della Conscience mystifie (1936).
Albert Camus: dalla rivolta alla rivoluzione
667
ne dellesistenza alle leggi disumanizzanti dellutilitarismo. I membri di Philosophies
sono fautori di un nuovo misticismo, che coniuga il concetto marxiano di praxis con lo
sforzo nietzscheano di vivere la filosofia: lazione politica e la rivoluzione non si separa-
no da una rivolta spirituale, capace di affermare lautentica creativit e libert delles-
sere umano. Affermato saggista, Grenier insegna filosofia al Grand lyce di Algeri dan-
do vita a veri e propri cenacoli di discussione filosofica e politica con i suoi studenti,
ai quali spiega il comunismo
14
. Nel 1932-1934, i primi scritti di Camus attestano linsof-
ferenza, particolarmente diffusa in Francia fra le due guerre, nei confronti del raziona-
lismo e del formalismo accademico; in particolare, il giovane studente si appassiona alla
filosofia dellintuizione di Henri Bergson e fa propria la critica dellintelligenza pura o
astratta e dellutilitarismo dissolutore della societ di Les Deux Sources de la Morale et de
la Religion. Ma senza niente concedere alle tentazioni vitalistiche e irrazionalistiche del
sorelismo, che al bergsonismo si richiama, egli intraprende una ricerca insieme filosofica
e politica, che afferma il primato della libert e dellazione al di fuori delle categorie tra-
dizionali del pensiero politico e cerca (bergsonianamente) nellarte una via mistica o
non-utilitarista di liberazione delluomo dalla servit alla pratica, al calcolo e allutile.
Negli anni Trenta, lappello ad una rivoluzione spirituale contro la morale tradizio-
nale e la politica liberale diffuso in Europa, a destra come a sinistra, e si serve del lin-
guaggio del misticismo e dellorganicismo per rivendicare la libert e creativit delluo-
mo a rifondare la comunit umana in senso violentemente antidemocratico. Negli stessi
anni, attraverso Grenier
15
, Camus comincia ad interessarsi alla letteratura mistica, ma al
rifiuto antimoderno e sentimentale del pensiero astratto o analitico, disgregatore della
societ, tipico del romanticismo politico fra le due guerre
16
, egli oppone un misticismo
dellintelligenza, ispirato, soprattutto, alla lettura del filosofo greco Plotino, e rifiuta
tanto lumanitarismo astratto della tradizione liberale e socialista, quanto le tesi razziste
e biologiciste. Camus si accosta alla filosofia tedesca, in particolare, al pensiero di Kier-
kegaard e Nietzsche, attraverso gli articoli di Jean Wahl pubblicati nella Nouvelle Re-
vue Franaise, lautorevole rivista letteraria diretta da Jean Paulhan, che allindomani
dellascesa al potere di Hitler apre le sue colonne alla riflessione politica.
Letteratura, filosofia e politica non si separano: nella capitale algerina, Camus si in-
forma dei dibattiti metropolitani e si procura i libri pi discussi. Di Nietzsche legge Ecce
homo, Aurora, Il Crepuscolo degli idoli e Umano, troppo umano
17
, tradotti in francese e
commentati dai socialisti Henri Albert e Charles Andler. Ma a differenza della giovane
destra maurrassiana, cosiddetta rivoluzionaria, che si appropria dei concetti di volon-
t di potenza e violenza creatrice o dionisiaca per fondare una morale aristocratica e
14
O. Todd, Albert Camus, cit., p. 548.
15
Si veda T. Garfitt, Situating Camus: the formative influences, in Cambridge Companion to Camus, Cambrid-
ge UP, Cambridge 2007, pp. 26-38.
16
S. Breuer, La rivoluzione conservatrice. Il pensiero di destra nella Germania di Weimar, Donzelli Editore,
Roma 1995, p. 52.
17
F. Favre, Quand Camus lisait Nietzsche, in Albert Camus 20, Le premier homme en perspective, La revue
des lettres modernes, Minard, Paris 2004, pp. 197 ss. Per unanalisi delle fonti nietzscheane di Camus, si veda
S. Novello, Albert Camus as Political Thinker. Nihilisms and the Politics of Contempt, Palgrave MacMillan,
Basingstoke 2010.
Samantha Novello
668
guerriera e una politica antidemocratica come soluzione alla moderna crisi nelluomo,
Camus si forma sul Nietzsche degli scritti del 1882-86, in particolare sulla critica nietz-
scheana della ragione universale e della morale tradizionale (immoralismo). Del te-
desco fa propria la lucida diagnosi del nichilismo o romanticismo, che egli identifica
con lasservimento feticistico della vita al servizio delle finzioni o menzogne del raziona-
lismo occidentale, che Nietzsche smaschera alla base dei rapporti economici, sociali e
politici della modernit. In particolare, ispirandosi ad Aurora e al Crepuscolo degli ido-
li, Camus riconosce che i rapporti di produzione ed i rapporti sociali di dominio ed op-
pressione, nelle fabbriche come nei moderni partiti di massa, non sono fatti naturali
e, quindi, immodificabili, bens interpretazioni, prodotti umani, troppo umani della
ragione della filosofia. Questultima instaura connessioni causali false fra eventi, che im-
brigliano la realt in uninterpretazione morale dellesistente come negativo e malvagio
(pessimismo). Svuotando luomo e il mondo di ogni bellezza e valore, la ragione, eret-
ta a principio organizzativo o legislatore logico dellesistente, svaluta ci che in quanto
niente (nihil) e lo subordina alla realizzazione del fine (telos). Sin dalla met degli anni
Trenta, Camus individua questa moderna sensibilit romantica
18
o nichilista nello sto-
ricismo di matrice gnostica, che culmina nellapocalittismo politico. La critica della fede
nella ragione teleologica, che governa il concetto di azione della tradizione occidenta-
le e di cui il culto irrazionalistico della potenza solo laltra faccia, per Camus la con-
dizione ineludibile per un radicale ripensamento della teoria e pratica della rivoluzione,
che emancipi luomo dalla schiavit nei confronti della logica del potere e dellefficacia.
In particolare, la liberazione da quanto vi di sordido e miserabile nel lavoro e nella ci-
vilt fondata sui lavoratori costituisce il filo rosso della sua riflessione politica. Nel caso
della popolazione nordafricana, lineguaglianza politica e sociale aggrava la miseria del-
lo sfruttamento dei lavoratori: diffidente nei confronti della Section Franaise de lIn-
ternationale Ouvrire (SFIO) e del Partito radicale di Daladier e Herriot
19
, fra la fine di
agosto e la seconda quindicina del settembre 1935
20
il giovane studente di filosofia de-
cide di aderire al PCF di Thorez, identificato con il partito della classe operaia, della fra-
ternit e della liberazione sociale dei popoli, a sostegno del programma internazionali-
sta, antifascista, anti-imperialista e anti-colonialista. Camus sostiene il progetto di legge
Blum- Viollette per lemancipazione politica della popolazione indigena e si impegna
attivamente per promuovere larabizzazione della sezione algerina del partito comu-
nista, voluta da Jean Chaintron (Barthel)
21
. Ma dopo il patto Laval- Stalin la messa in sor-
dina della lotta per il riconoscimento dei diritti civili alla popolazione araba da parte dei
dirigenti del PCF determina la rottura e, infine, nellestate del 1937, lespulsione di Ca-
mus dal partito. Questi non si stancher mai di ripetere, ancora negli anni della Guerra
fredda, che i popoli asserviti nelle colonie, i campi di concentramento e la miseria dei la-
voratori non sono che diverse forme della stessa logica nichilistica.
18
A. Camus, Mtaphysique chrtienne et noplatonisme, in uvres Compltes, I, cit., pp. 1029, 1056 (tr. it.
Metafisica cristiana e neoplatonismo, Diabasis, Reggio Emilia 2004).
19
O. Todd, Albert Camus, cit., p. 86.
20
J. Lvi-Valensi, Lentre dAlbert Camus en politique, in Camus et la politique, cit., pp. 137-151.
21
Si veda S. Tarrow, Exile from the kingdom: a political rereading of Albert Camus, University of Alabama
Press, Alabama 1985.
Albert Camus: dalla rivolta alla rivoluzione
669
In questo senso va intesa limportanza che Camus accorda alla cultura: nel periodo
della sua militanza, egli si adopera nei quadri culturali del PCA
22
per promuovere un tea-
tro popolare e politico; nella veste di regista, attore e autore, fonda la compagnia del
Thtre du Travail sotto gli auspici del PCF e, dopo la sua uscita dal partito, una seconda
compagnia amatoriale politicamente indipendente, il Thtre de lquipe. Nel febbraio
del 1937, nella veste di segretario della neo-fondata Maison de la Culture di Algeri, teo-
rizza la creazione di una nuova cultura indigena mediterranea
23
. In polemica con le
tesi fasciste e nazionaliste di un Maurras o di un Thierry Maulnier, che celebrano la cul-
tura come principio apollineo, capace di dar forma alle forze vitali e istintuali di un
popolo, ed esaltano il valore positivo della violenza, giustificando le politiche imperia-
listiche, intorno alla met degli anni Trenta, Camus scommette sulla popolazione al-
gerina come depositaria di una barbarie autenticamente creativa, che proprio in vir-
t della sua estraneit alla tradizione filosofica e politica europea i nuovi barbari
24

sono, appunto, gli stranieri o estranei al linguaggio della cultura egemonica sia ca-
pace di fondare una nuova civilt al di fuori della logica fatalista e nichilista, che subor-
dina la vita al profitto e allutile.
Nutrito delle letture di Nietzsche, dellHomme du ressentiment di Max Scheler un
testo decisivo nella genesi della nozione camusiana di rivolta e dellEssai sur lesprit
dorthodoxie di Jean Grenier (1938), il comunismo del giovane Camus fortemente cri-
tico nei confronti dellepistemologia marxista. Egli riconduce lhomo oeconomicus della
teoria marxista, quindi il primato dei rapporti di produzione e la determinazione della
cultura (sovrastruttura) da parte della struttura economica, allhomo faber della tra-
dizione razionalista, ossia, al modello di azione prodotto dalla ragione teleologica. Que-
sto modello, che Camus individua alla radice del postulato della libert della tradi-
zione filosofico-politica, implica e normalizza la violenza in quanto prerogativa della
volont libera ed in questultima identifica il soggetto della rivoluzione, intesa come pro-
cesso di distruzione di un disordine preesistente e creazione di un ordine nuovo. Il gio-
vane Camus fa propria la critica scheleriana della teoria economica di Marx e dellillu-
sione del progresso, che subordina la vita umana agli imperativi dellutile, dellefficacia
e del potere, e rifiuta la visione volontaristica e umanistica alla base del marxismo. Egli
rifiuta linterpretazione della lotta di classe e del materialismo storico in senso finalistico,
come la vittoria e la conquista della felicit da parte della sola classe operaia
25
; nel marxi-
smo rifiuta la pretesa di edificare la morale sul concetto astratto e nichilistico di Uomo,
riducendo la dimensione spirituale dei singoli esseri umani alla biologia (natura o
specie umana)
26
. Ancora quindici anni dopo, nel saggio LHomme rvolt (1951), Ca-
mus definisce romantica la ragione storica del materialismo dialettico
27
e denuncia
22
O. Todd, Albert Camus, cit., p. 96.
23
A. Camus, La culture indigne. La nouvelle culture mditerranenne, in uvres Compltes, I, cit., pp.
565-572.
24
A. Camus, Noces, in uvres Compltes, I, cit., p. 124.
25
A. Camus, J. Grenier, Correspondance, cit., p. 22.
26
Ibidem.
27
A. Camus, Essais, cit., p. 625.
Samantha Novello
670
la logica nichilista allopera nel millenarismo anarchico, nella profezia marxista della
societ senza classi
28
e nel socialismo autoritario novecentesco
29
.
Attento lettore di Nietzsche, Camus mette sotto accusa le categorie del raziona-
lismo in quanto cristallizzazioni dei rapporti esistenti di sfruttamento e dominio.
Utilizzando la terminologia di Scheler, egli radica questa ragione etica o teleologi-
ca in un atteggiamento di odio e disprezzo (ressentiment) nei confronti delluomo e
del mondo. Su questa base, Camus rifiuta la concezione stessa di intellettuale militan-
te e riconduce ai dualismi della ragione teleologica (soggetto vs. oggetto, volont (at-
tiva) vs. materia (passiva), teoria vs. prassi, materialismo vs. idealismo) la separazione
fra estetica e politica (larte per larte), cos come il fenomeno di quel che Benja-
min chiama lestetizzazione della politica, ossia lidentificazione totalitaria delluo-
mo politico con lartista e del corpo politico con lopera darte. La ragione responsa-
bile di mettere larte e lintelligenza al servizio della politica di potenza e delle direttive
dei partiti: Camus non si stancher mai di denunciare la divisione fra lavoro intellet-
tuale e lavoro manuale come lespressione di un falso razionalismo, ossia di una ma-
niera errata di pensare lesistente (idealismo o nichilismo radicale), che separa lavoro
e cultura per asservire lessere umano
30
. Non stupisce che nel 1935 Camus identifichi
il comunismo con unascesi
31
, ossia un esercizio di demistificazione e smascheramen-
to degli pseudo-idealismi e dei falsi ottimismi della ragione teleologica, responsabile
di ridurre gli uomini e le donne a funzionari del cuore e della mente
32
, docili ingra-
naggi in unorganizzazione sociale di sfruttamento ed oppressione, che culmina nelle
politiche di potenza degli stati totalitari e coloniali la politica fatta per gli uomini,
non gli uomini per la politica
33
.
La rivoluzione dal punto di vista dellartista
Vicino alle posizioni spiritualiste di Grenier , ma anche a talune tesi di Georges Ba-
taille, Camus concepisce il comunismo come un esercizio (ascesi, appunto) di libera-
zione delluomo dalla logica nichilistica dellutile. Come Nicola Chiaromonte
34
, Simone
28
Facendo propria la tesi dei marxismi nelle Pages choisies pour une thique socialiste di Maximilien Ru-
bel, Camus distingue una minoranza di discepoli di Marx rimasti fedeli al suo metodo di indagine critica dei
fatti sociali ed economici, dai marxisti che hanno fatto la storia impugnando la profezia rivoluzionaria (da
Kautsky a Lenin) e gli aspetti apocalittici della sua dottrina (A. Camus, Essais, cit., pp. 613-614).
29
Ibid., p. 598.
30
A. Camus, Le pain et la libert (settembre 1953), in L. Marin, Albert Camus et les libertaires, ditions
grgores, Marseille 2008, pp. 275-284.
31
A. Camus, J. Grenier, Correspondance, cit., p. 22.
32
A. Camus, uvres Compltes, I, cit., p. 1199.
33
Ibid., p. 571.
34
Chiaromonte conosce Camus ad Algeri nel 1941, dove lintellettuale antifascista in attesa di imbarcarsi
per gli Stati Uniti ospitato dalla famiglia di Francine Faure, la seconda moglie dello scrittore francese. Le
circostanze di quellincontro e lamicizia che ne nacque, proseguita dopo la guerra e fino alla morte di Camus
in un incidente stradale nel gennaio del 1960, sono raccontate in Albert Camus, ora in N. Chiaromonte, Il tarlo
della coscienza, Il Mulino, Bologna 1992. Chiaromonte svolse un ruolo cruciale nel far conoscere lopera di
Camus al pubblico statunitense dalle colonne di politics, la rivista di Dwight MacDonald. Ricevette Camus
Albert Camus: dalla rivolta alla rivoluzione
671
Weil
35
e Andrea Caffi, egli difende lirriducibilit dellumano alla storia e alle religioni
politiche del Novecento. Sin dal suo Diplme dtudes suprieurs in Filosofia del 1936 su
metafisica cristiana e neoplatonismo, egli radica la propria ricerca di un altro pensiero e
di un nuovo linguaggio politico al di fuori delle categorie del ressentiment, in un atteg-
giamento di amore del mondo, che egli vede magistralmente illustrato nellopera di Plo-
tino. Il pensatore ellenistico, avversario del romanticismo gnostico, offre un modello,
anche stilistico, di una ragione estetica o mistica, ossia, a-teleologica
36
, attraverso la
quale reinterpretare il mondo da un punto di vista non di filosofo ma dartista, ossia, ol-
tre il nichilismo omicida.
Il rifiuto del nichilismo o romanticismo alla base della posizione pacifista, che
Camus difende alla fine degli anni Trenta, prima dalle colonne di Alger Rpublicain, il
giornale indipendente, antifascista e vicino al Front populaire, diretto da Pascal Pia, poi
di Soir rpublicain, al quale i due giornalisti non tardarono a dare un indirizzo anar-
chico, convinti comerano che le democrazie borghesi e capitaliste non costituissero
unalternativa al fascismo, bens lo preparassero
37
. Costretto ad un soggiorno nellAu-
vergne per curare la tubercolosi, nel 1942 lo sbarco americano in Nord Africa e loccu-
pazione tedesca della zona Sud gli impediscono di rientrare in Algeria, segnando linizio
di un doloroso esilio. Camus non torner pi ad abitare nella propria terra dorigine.
In Francia, egli entra in contatto con la resistenza lionese di cultura pacifista e collabo-
ra al movimento clandestino Combat di Claude Bourdet e Henri Frenay, assumendo
la direzione dellomonimo giornale del movimento dalla Liberazione fino al giugno del
1947
38
. Analizzando la situazione della Germania hitleriana nelleditoriale del 17 settem-
bre 1944, Camus distingue le rivoluzioni che affrancano luomo
39
dalle rivoluzioni le-
gali, che rinforzano, cio, lo Stato e la nazione, ma negano la libert e lesercizio della fa-
colt di giudicare dei singoli individui. Al tempo stesso, egli mette in guardia contro un
processo rivoluzionario, che pretenda di ridurre la questione della giustizia sociale alla
dimensione materiale dellesistenza (il pane), sganciandola dalla questione della liber-
t, quindi lasciando intatte le relazioni di potere preesistenti, che perpetuano un sistema
di sfruttamento ed oppressione delluomo sulluomo. Per Camus, la miseria cresce lad-
dove la libert si riduce e non basta liberare gli oppressi dalla fame, occorre liberarli dai
a New York nel marzo del 1946, in occasione della lezione alla Columbia University sulla situazione europea.
Il testo della conferenza, La Crise de lHomme, fu tradotto da Lionel Abel e pubblicato in Twice a Year (XIV-
XV, 1946-47, pp. 19-33), ora in Albert Camus 5. Journalisme et politique: lentre dans lhistoire (1938-1940), La
Revue des Lettres Modernes, Minard, Paris 1972, pp. 157-176.
35
Camus si interessa allopera di Simone Weil a partire dal 1947 e, in qualit di direttore della collezione
Espoir presso la casa editrice Gallimard, cura ledizione delle seguenti opere: LEnracinement (1949), La Con-
naissance surnaturelle (1950), Lettre un religieux (1951), La Condition ouvrire (1951) e La Source grecque
(1953). Sulle affinit fra il pensiero dei due autori, si veda il numero monografico dei Cahiers Simone Weil.
Albert Camus et Simone Weil, n. 29, Association pour ltude de la pense de Simone Weil, Paris 2006, in
particolare, larticolo di G. Basset, Camus diteur de Simone Weil, pp. 249-263.
36
A. Camus, Essais, cit., p. 861.
37
Si veda L. Marin, Albert Camus et les libertaires, cit., p. 18.
38
Gli editoriali e articoli in Combat sono raccolti in J. Lvi-Valensi (a cura di), Camus Combat, Cahiers
Albert Camus, 8, Gallimard, Paris 2002.
39
Ibid., pp. 195-196.
Samantha Novello
672
loro padroni
40
. Questo , precisamente, il senso della sua nozione di libert assurda,
identificata, nel saggio del 1942, Le Mythe de Sisyphe, con laffrancamento delluomo
dalla feticistica osservanza delle gerarchie e con la negazione della relazione nichilisti-
ca di dominio inscritta nelle categorie del pensiero occidentale. Sisifo, il proletario degli
Inferi, eroe mitico del saggio camusiano, illustra una saggezza tragica che irriducibile
alla scienza: inutile perch estranea alla logica utilitarista, essa smaschera i concetti della
metafisica tradizionale (essere, soggetto, libert)
41
e struttura un modello diverso
di azione, non produttivo o contemplativo, che dissolve le strutture di dominio (relazio-
ne servo/padrone) e con esse la violenza.
Come osserva Nicola Chiaromonte, ragionare con Camus sul filo dellassurdo, ai
margini, cio, del nichilismo moderno
42
, significa negare al tempo stesso la ragione e
lirrazionale, la rivoluzione e la soggezione allordine costituito
43
. Il 21 agosto 1944, Ca-
mus redige leditoriale Dalla Resistenza alla Rivoluzione, che detta la linea politica di
Combat, il giornale che sotto la sua direzione si distinse nel panorama della stampa
francese dellimmediato dopoguerra per la sua indipendenza nei confronti del potere e
dei partiti
44
. Nellarticolo, egli identifica la rivoluzione con un radicale cambiamento nel-
la maniera di pensare il mondo e le relazioni umane, quindi la libert stessa, al di fuori
della relazione di dominio, che struttura il linguaggio e lazione politica nella civilt oc-
cidentale. Nel 1944, la rinascita della Francia e dellEuropa esige una nuova prassi po-
litica
45
e Camus auspica la creazione di unautentica democrazia popolare e operaia
46

attraverso la distruzione dei trusts e delle potenze del denaro. Tuttavia, la creazione di
una politica nel senso nobile del termine
47
, dellintelligenza, del coraggio e dellono-
re, delineatasi per la prima volta nella Resistenza e che doveva sostituirsi alle politiche
di potenza, del fanatismo e del terrore, non dipende esclusivamente da fattori economi-
ci. Essa esige la radicale messa in discussione delle categorie del pensiero e del linguag-
gio tradizionali, in quanto cristallizzazioni del ressentiment, ossia, della logica nichili-
stica della ragione.
La rivolta implica, anzitutto, un no incondizionato nei confronti della riduzione
dellessere umano a ingranaggio nella macchina del profitto e dellefficienza, di cui la
ghigliottina, insieme strumento della fabbricazione del criminale da parte del raziona-
lismo occidentale e simbolo del terrorismo di Stato, lespressione. Nelle sue Rflexions
40
A. Camus, Le pain et la libert, cit., p. 282.
41
Camus colloca il proprio pensiero dellassurdo e della rivolta, sviluppato nel Mythe de Sisyphe e nella Re-
marque sur la rvolte del 1944, in quanto rifiuto della negazione della vita (ressentiment) delle contemporanee
politiche di potenza, nel solco della critica nietzscheana del nichilismo o romanticismo. Ancora nel 1950,
nellarticolo Nietzsche et le nihilisme, poi incluso nellHomme rvolt, Camus salva il Nietzsche implacabile
demistificatore dei concetti fondamentali della teoria politica, sottraendo questa parte del suo pensiero alle
accuse mosse allautore della Volont di potenza nel dopoguerra.
42
Lettre au sujet du Parti Pris, datata 27 gennaio 1943, pubblicata per la prima volta nella Nouvelle
Revue Franaise nel settembre del 1956, ora in A. Camus, uvres Compltes, I, cit., p. 887.
43
N. Chiaromonte, Albert Camus e la giusta misura, in A. Camus, Opere, Bompiani, Milano 1968, p. 11.
44
Si veda J. Lvi-Valensi, Un crivain face lhistoire, in Camus Combat, cit., p. 94.
45
Editoriale del 19 settembre 1944, in Camus Combat, cit., p. 199.
46
Ibid., p. 143.
47
Editoriale del 21 agosto 1944, ibid., p. 142.
Albert Camus: dalla rivolta alla rivoluzione
673
sur la guillotine
48
, Camus paragona la pena di morte o lomicidio legalizzato dei cosid-
detti paesi liberali ai campi di sterminio in quanto fabbriche di cadaveri, catene di mon-
taggio della de-umanizzazione di massa, che riducono le singole esistenze a cose (sot-
to-uomini), oggetti inerti da sfruttare, mutilare e modificare. La nozione di rivolta, che
Camus delinea nella Remarque del 1944 e sviluppa pienamente nel controverso saggio
del 1951, LHomme rvolt, che scaten la nota polemica con Sartre e Jeanson sulle co-
lonne di Les Temps Modernes, designa qualcosa di pi di un movimento di insurre-
zione contro loppressione. La rivolta incarna il s integrale, una prospettiva di amo-
re nei confronti dellesistente, che si pone al di fuori e contro lodio (ressentiment) e
la negazione nichilistica, che egli vede allopera nel pensiero e nellazione rivoluziona-
ria della tradizione politica occidentale. Questo s integrale non pu coincidere con
lamor fati nietzscheano, che finisce per accettare tutto, anche il crimine e il male. A dif-
ferenza di Georges Bataille, Camus non identifica la libert nei confronti della ragione/
ordine/utile con lanarchia della violenza, bens con una trasfigurazione o trasvaluta-
zione di tutti i valori, che rifiuta la relazione di dominio alla radice delle tradizionali cop-
pie servo/padrone, vittima/carnefice
49
.
In quanto trasformazione del modo di pensare il mondo oltre il nichilismo, la rivolta
la sola condizione di unautentica azione emancipatrice, che dalla Resistenza approdi
alla Rivoluzione. Nella misura in cui la violenza inscritta nella logica nichilista del-
la ragione teleologica, che governa la politica di potenza e giustifica la guerra in quanto
mezzo per realizzare il fine della liberazione sociale e di una societ migliore
50
, la rivol-
ta camusiana mette in discussione il concetto tradizionale di azione rivoluzionaria, come
attestano le pagine sui terroristi russi del 1905 nellHomme rvolt e nella tragedia Les
Justes. Critico instancabile, come Andrea Caffi, della macchina burocratica statale,
Camus studia in maniera approfondita le forme del terrorismo, distinguendo il terrori-
smo individuale da un terrorismo di Stato, o totalitario questultimo a sua volta distin-
to in due tipi in base alluso del terrore irrazionale (nazismo) e razionale (comunismo so-
vietico) e denuncia la logica nichilista alla radice dei diversi fanatismi morali e politici.
Il rifiuto di tale logica , quindi, il filo conduttore delle sue Cronache algerine, la raccol-
ta di articoli apparsi in Alger rpublicain, Combat, Le Monde e LExpress fra
il 1939 al 1958 e ripubblicati nel terzo volume di Actuelles, con cui, nella societ intel-
lettuale della malafede e della denigrazione
51
, lo scrittore testimonia la propria posizio-
ne sulla situazione dellAlgeria. Duramente criticata e ridotta al silenzio durante la guer-
ra, poi sommariamente liquidata subito dopo lindipendenza
52
, la posizione di Camus si
48
Il testo pubblicato in Rflexions sur la peine capitale nel 1957 insieme a due saggi di Arthur Koestler e
Jean Bloch-Michel.
49
Camus intitola Ni victimes ni bourreaux (N vittime n carnefici) una serie di articoli, pubblicati in Com-
bat fra il 19 e il 30 novembre 1946 e poi in traduzione inglese nella rivista newyorkese politics nel luglio-
agosto 1947.
50
A. Camus, Dialogue pour le dialogue, Dfense de lhomme, n. 10, giugno 1949, ora in L. Marin, Albert
Camus et les libertaires, cit., p. 78.
51
Lettera citata in O. Todd, Albert Camus, cit., p. 974.
52
Si veda D. Carroll, Albert Camus, the Algerian. Colonialism, Terrorism, Justice, Columbia University Press,
New York 2007.
Samantha Novello
674
distingue nel dibattito contemporaneo per la strenua difesa dei civili e dei lavoratori al-
gerini contro la violenza, tanto governativa quanto del movimento terroristico del Front
de Libration Nationale (FLN)
53
.
Sin dalla fine degli anni Trenta e fino alla sua morte, lo scrittore vicino al movimen-
to sindacalista rivoluzionario di Pierre Monatte
54
, liquidato come inefficace dai comuni-
sti e dai compagni di strada esistenzialo-marxisti. Nelle pagine conclusive dellHom-
me rvolt, il rifiuto della logica omicida dellefficacia e la fede in una rivoluzione che
liberi, anzich umiliare, lessere umano, caratterizzano la posizione dei sindacalisti rivo-
luzionari, che proprio dal ripensamento delle condizioni del lavoro partono per fondare
una politica estranea al terrore, tanto del nichilismo borghese quanto del socialismo ce-
sareo una politica che incarna il s della rivolta.
BIOGRAFIA
Albert Camus nasce il 7 novembre 1913 a Mondovi in Algeria. Orfano di padre, ucci-
so sul fronte della Marna nellottobre del 1914, si trasferisce ad Algeri presso la famiglia
della madre, di origini spagnole, nel quartiere popolare di Belcourt. La madre, analfa-
beta e quasi sorda, lavora come donna delle pulizie e Camus allevato dalla nonna ma-
terna, come egli stesso racconta in LEnvers et lEndroit (Il Rovescio e il diritto). Riesce
a studiare grazie ad una borsa di studio, che gli permette di accedere agli studi superio-
ri al Grand lyce di Algeri, dove segue i corsi di Jean Grenier , e poi alluniversit. Ma la
tubercolosi, contratta nel 1930, gli impedisce di intraprendere la carriera dellinsegna-
mento. Studente di filosofia, milita nella sezione algerina del partito comunista francese
fra il 1935 e il 1937, e comincia a scrivere saggi lirici, adattamenti teatrali, un romanzo
autobiografico. Nel 1938 lavora come redattore per Alger rpublicain, il nuovo gior-
nale dei lavoratori che sostiene il Front populaire, diretto da Pascal Pia, poi per Soir
rpublicain, dalle cui colonne Camus prende posizione a favore della giustizia in Alge-
ria e dei repubblicani spagnoli. Nel 1942 soggiorna nel sud della Francia per curare la
tubercolosi e, dopo lo sbarco alleato in Marocco e Algeria, vive fra il Panelier e Parigi,
dove lavora per la casa editrice Gallimard. Nel 1943, incontra Claude Bourdet, respon-
sabile del Comit national de la rsistance e collabora alla redazione del giornale clan-
destino Combat, del quale assumer la direzione dopo la Liberazione. Dopo la guer-
ra, riallaccia i rapporti con Nicola Chiaromonte negli Stati Uniti, il quale contribuisce a
far conoscere il suo saggio filosofico, Le Mythe de Sisyphe (1942), e i suoi articoli politi-
ci in traduzione inglese sulle colonne di Partisan review, Twice a Year e Politics.
Nel 1947 si ritira dal giornalismo politico e pubblica con grande successo di critica il ro-
manzo La Peste. Isolato e violentemente attaccato a destra e a sinistra allindomani del-
53
In unintervista a Helmut Rdiger, collaboratore del giornale anarco-sindacalista svedese Arbetaren,
Camus definiva il FLN un movimento totalitario, citato in L. Marin, Albert Camus et les libertaires, cit., p. 15.
54
Camus collabora a La Rvolution Proltarienne e alla rivista antimilitarista e libertaria Tmoins, e
partecipa agli incontri organizzati da Rirette Matrejean gi compagna del sindacalista rivoluzionario russo
Victor Serge e co-direttrice di Anarchie da Jean-Paul Samson e Robert Proix, in occasione dei quali cono-
sce Giovanna Berneri, vedova dellanarchico italiano assassinato in Spagna nel 1937.
Albert Camus: dalla rivolta alla rivoluzione
675
la pubblicazione del suo saggio sulla rivolta, LHomme rvolt (1951), e poi ancora nelle
fasi pi drammatiche della guerra per lindipendenza algerina, Camus continuer a pro-
nunciarsi contro ogni forma di oppressione attraverso appelli e articoli in numerosi gior-
nali, in particolare di orientamento anarco-sindacalista. Insignito nel 1957 del premio
Nobel alla letteratura per unopera che mette in luce i problemi che ai giorni nostri si
pongono alla coscienza degli uomini, muore in un incidente stradale il 4 gennaio 1960,
lasciando incompiuto il suo romanzo autobiografico, Le Premier Homme.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Albert Camus
uvres Compltes, I. 1931-1944; II. 1944-48, Gallimard, Paris 2006.
uvres Compltes, III. 1949-56; IV. 1957-59, Gallimard, Paris 2008.
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In traduzione italiana: Opere: romanzi, racconti, saggi, R. Grenier (a cura di), Bompiani, Milano
2000; La rivolta libertaria, A. Bresolin (a cura di), Eleuthera, Milano 1998; Ribellione e morte:
saggi politici, Bompiani, Milano 1961; Taccuini, Bompiani, Milano 1995.
Studi su Camus
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Novello, S., Albert Camus as Political Thinker. Nihilisms and the Politics of Contempt, Palgrave
Macmillan, Basingstoke 2010.
Tarrow, S., Exile from the kingdom: a political rereading of Albert Camus, University of Alabama
Press, Alabama 1985.
677
LA FINE DEL MONDO DI ERNESTO DE MARTINO:
SCENARI DI UNAPOCALISSE DI FINE MILLENNIO
Placido Cherchi
Un crociano contromano
Ernesto De Martino non stato solo lantropologo italiano pi originale e innovativo,
stato anche ed ancora uno dei nomi pi importanti della cultura etno-antropologi-
ca e storico-religiosa internazionale. Formatosi nellambiente crociano, ha sempre testi-
moniato fedelt a questa matrice culturale, anche quando ha cercato di oltrepassarne le
angustie elaborando per conto proprio una versione di storicismo che alcuni interpre-
ti hanno appropriatamente definito come storicismo critico. In termini metodologici
globali, un merito cospicuo di questo oltrepassare stato quello di allargare la coscien-
za storiografica in direzione delle alterit culturali pi diverse e in direzione di quel-
le consapevolezze sul rapporto noi-gli altri che laristocraticit egemonica dellumane-
simo tradizionale non aveva avuto interesse a sviluppare.
Dopo la straordinaria messa in causa delle presunzioni socioetnocentriche dellOcci-
dente avanzata ne Il mondo magico (1948), De Martino cominci a volgere la sua atten-
zione al mondo del nostro meridione, restituendo piena dignit di storia alla tradizionale
non-storia delle periferie e preparando le condizioni per affrontare la questione meri-
dionale dal punto di vista di una storia religiosa del Sud. Tutto questo accadeva negli
anni incandescenti di quella grande speranza suscitata dallirruzione nella storia del
mondo popolare subalterno e accadeva in lui allinterno di unintensa militanza politi-
ca in terra pugliese, quasi immediatamente allindomani degli anni della Resistenza vis-
suti sul fronte del Senio in terra emiliana. La strumentazione teorico-politica era allora
di tipo gramsciano e sensibilmente gramsciani erano anche i presupposti storiografici di
quella storia religiosa del Sud che attraversava dallinterno il rapporto centro-perife-
rie e cattolicesimo-magia. Il passaggio dal PSI nenniano al PCI togliattiano si d in quegli
stessi anni, ma, a partire dai fatti dUngheria, la sua adesione comincia a farsi molto cri-
tica e lo stesso marxismo diventa spesso oggetto di riserve teoriche di notevole interesse,
con una spiccata predilezione alternativa per i retaggi dialettici di tipo hegeliano e per le
posizioni del giovane Marx. Fino ad arrivare, nellopera rimasta incompiuta, a un aper-
Placido Cherchi
678
to dissenso anche nei confronti di questultimo, per tutti gli aspetti riguardanti la valuta-
zione dellesperienza religiosa in termini di percorso indiretto e allungato nel riconosci-
mento delluomo o per il modo velatamente ancora metafisico di intendere la natura.
Fondamentali sono, in De Martino, le tesi sulla crisi della presenza e sulla stori-
cizzazione delle categorie. Allinizio, con un linguaggio storicisticamente rigoroso ma
sempre molto carico di echi heideggeriani, ne erano derivate linterpretazione della ma-
gia come pedagogia della presenza e come inizio della storia, nonch le tesi sulla real-
t dei poteri magici, che scandalizzarono allora anche i paladini pi ortodossi dello
storicismo assoluto. In seguito ne deriveranno le letture di etnologia religiosa che egli
dedicher al Sud, a cominciare dal lamento funebre lucano (Morte e pianto rituale, 1958)
e dalla bassa magia cerimoniale incontrata ancora in Lucania (Sud e magia, 1959), fino
alle esplorazione del tarantismo pugliese (La terra del rimorso, 1961).
Si capisce che letnologia demartiniana , come in Lvi-Strauss (ma prima che in
Lvi-Strauss), unetnologia del rimorso, un compito sentito come espiazione delle
colpe che lOccidente ha storicamente accumulato nei confronti delle culture dominate.
Letnocentrismo critico
1
, che riflette sulla possibilit di unautocoscienza culturale vis-
suta come autocoscienza del valore e, insieme, come autocoscienza del limite, forse il
contributo pi alto dato dallantropologia alla comprensione delle dialettiche autointer-
roganti implicite in questo rimorso. Esso esprime in modo impareggiabile le posizioni
maturate da De Martino nel corso della sua parabola etno-antropologica.
Ma il libro sulle apocalissi culturali quello che dispiega nel modo pi completo la
personalit di De Martino. Malgrado lo status di opera incompiuta, La fine del mondo
(uscita postuma nel 1977) riesce a tornare in modo nuovo e oltrepassante sui principa-
li nodi del pensiero demartiniano, portandoli quasi sempre a soluzione o ripensando-
li in forma nuova nellottica di una filosofia della cultura che appare tra le pi moderne
che il pensiero novecentesco abbia prodotto. Per cominciare a farsene unidea, si veda-
no, per esempio, le riflessioni sullethos del trascendimento
2
, o quelle sullumanesi-
1
Letnocentrismo critico demartiniano in qualche modo intermedio tra letnocentrismo ideologico e
il relativismo culturale. Ma si distanzia di molto da queste due opposte posizioni. Come autocoscienza del
valore, respinge gli appiattimenti omologanti del relativismo culturale; come autocoscienza del limite,
mette in causa le sicumere delletnocentrismo ideologico. E si autodefinisce comunque etnocentrismo
perch impensabile che lattivit giudicante del soggetto (in questo caso quella delletnologo) possa fare a
meno della cultura a cui appartiene. Essa dice De Martino inseparabile da noi, ci insegue sempre come
unombra. Importante esserne consapevoli e saper trasformare le domande sullaltro-da-noi in domande su
noi stessi.
2
La nozione di ethos del trascendimento non nasce allinterno dellopera postuma, ma trova nelle sue
pagine lesposizione pi compiuta. Se si guarda allesistenza del singolo, essa indica la forza che porta il fare
individuale a progettarsi sempre come fare culturale e a motivare se stesso sulla base delle coordinate di senso
culturalmente pi sedimentate e condivise. Da un punto di vista pi largo, essa indica invece le dinamiche
per le quali la cultura sempre spinta a porsi al di l delle particolarit immediate e a mantenersi allaltezza
delle sue istanze pi profonde. Nelluno e nellaltro caso, ci che d centralit etico-culturale allethos il suo
costante bisogno di stare dalla parte del valore (o dei significati presenti nellidea kantiana e crociana di forma),
attestandosi su una polarit opposta a quella del non-senso (designato, qui, anche come nulla, caos, assenza di
orizzonti). Senza lethos che la costituisce, nessuna cultura potrebbe mantenersi come tale. Ma anche la realt
cosmica della natura finisce per essere una creazione dellethos o una plasmazione culturale riconducibile alla
produzione di senso derivante dalle sue dialettiche: per De Martino, lapparenza oggettiva della natura altro
La fine del mondo di Ernesto De Martino
679
mo etnografico
3
. Si capir subito per quale ragione le tematiche apocalittiche diventino
un penetrante angolo dosservazione e si prestino a essere usate come misura critica nel-
la lettura dei drammi deculturanti patiti dal mondo occidentale contemporaneo.
Il mito di Atlante o la cultura come esorcismo
Che la cultura sia tutto e che nulla, nella sfera antropo-cosmica, possa considerarsi ge-
neticamente estraneo alla produzione di senso di cui sono sempre carichi i processi della
prassi collettiva, non , in De Martino, unaffermazione episodica, ma una convinzione
storicistica che viene portata alle estreme conseguenze. Nel suo essere sistema di codi-
ci simbolici e, al tempo stesso, orizzonte del senso, la cultura , per lui, anche un gran-
de esorcismo, il mezzo attraverso il quale luomo ha la possibilit di uscire dal caos delle
pulsioni irrelate della sua originaria fisionomia ferina e di collocarsi allaltezza della pro-
pria umanit. Senza la cultura, il caos prende il sopravvento e crollano i limiti allinterno
dei quali lorda primitiva si a poco a poco trasformata in una comunit umana gover-
nata da regole e dalle condizioni della propria continuit, a cominciare dalla reiterazio-
ne delle operazioni pratico-economiche pi rispondenti alla costruzione degli operabi-
li culturali
4
da cui sorge la stabilit del mondo. Se peraltro ci si interroga sul modo in
cui De Martino intende la cultura, prende subito evidenza la tensione formale che la ca-
ratterizza. Proprio in quanto antitesi del caos, essa appunto essenzialmente forma,
processo cosmicizzante, funzione plasmatrice di senso e di significati, ovvero la tensio-
ne etico-doverosa che ci fa essere umani (lethos trascendentale del trascendimento del-
la vita nel valore di cui parla La fine del mondo).
grazie a queste sue caratteristiche che essa, crescendo su se stessa, si vive costan-
temente come antitesi del suo contrario e non dimette mai lo scopo del suo essere diffe-
renza oltrepassante rispetto a ci che si presenta come pura vitalit priva di un fine (te-
los) esistenzialmente significativo. In questo senso, appunto, se ne pu parlare come di
una grande tecnica esorcistica, ovvero come della condizione su cui vengono a incardi-
narsi lumanit dellumano e lo scenario della natura che questa umanit si crea attorno.
Non a caso, sempre in questo senso, De Martino si talvolta riferito al mito di Atlante
(il mito del gigante che regge il mondo sulle spalle), per assumerlo come metafora globa-
non che laddomesticamento dei possibili realizzato nei millenni dalla cultura. Nelle sue coerenze, lethos
fa diventare ovviet acquisita (cio aspetto non pi problematizzabile) quel che in origine era solo opera-
bilit faticosamente tentata.
3
Polemizzando con lumanesimo classicistico-filologico e con le sue chiusure etno-sociocentriche, De Mar-
tino teorizza un tipo di umanesimo consapevole dei propri limiti e fortemente segnato da attenzioni di taglio
etno-antropologico. Col chiamare etnografico tale umanesimo, egli rende molto esplicite le valenze che
nascono dal suo continuo mettersi in causa e dal vivere il confronto col diverso in termini di costante au-
tointerrogazione.
4
Se si potesse mappare nella sua interezza la complessit della cultura, avremmo come risultato un groviglio
di percorsi, fatto di sentieri e di linee pi o meno marcate. Ciascuno di essi, direbbe De Martino, unope-
rabilit culturale riuscita, una possibilit della praxis tentata in illo tempore da qualche individuo e divenuta
a poco a poco acquisizione collettiva. Nel linguaggio dellethos, la cultura sempre un infinito accumulo di
operabilit che funzionano.
Placido Cherchi
680
le del rapporto cultura-mondo, o per tentare di rendere trasparente con una immagine
lethos del trascendimento posto alla base delle cosmogonie oggettivate dalla cultura.
una delle metafore pi pregnanti tra quelle che punteggiano il farsi della concettua-
lizzazione demartiniana nello spazio di queste tematiche e potrebbe esserci utile scavare
per un momento il terreno delle sue valenze.
Poich Atlante immagine del soggetto e delle sue strutture categoriali, chiaro che
i rischi che incombono sulla soggettivit finiscono con lessere anche i rischi che incom-
bono sul mondo e che ne mettono a repentaglio lesistenza. Senza dubbio, nello spa-
zio semantico che si sviluppa tra il significato del verbo attivo (reggere) messo in atto
da Atlante e il significato del verbo passivo (essere retto) fruito dal mondo, c sem-
pre lalea del possibile, la rischiosit visceralmente connessa al divenire temporale e agli
scarti della storia. Al di qua del mito, tutti gli equivalenti simbolici di Atlante appaiono
a tal punto esposti al pericolo della temporalit da lasciar sospettare che anche il mitico
cardine delluniverso debba essere pensato come un essere suscettibile di stanchezze. Le
sicurezze dellordine metastorico del mito cominciano, qui, a cedere il passo alla rischio-
sa evenemenzialit della storia e a incrinarsi sotto la pressione dellesistenza. Dalle sor-
genti del tempo zampillano, inarrestabili, i problemi.
Che Atlante regga saldamente sulle sue spalle il mondo, senza avvertire stanchezze
rischiose, vuol dire che la forza di progettazione del reale da parte del singolo trae ali-
mento da un rapporto di intima solidariet con luniverso dei significati collettivi; che
Atlante possa, invece, lasciar cadere il mondo, vuol dire che il tessuto delle relazioni in-
dividuo-comunit presenta pericolose sfilacciature e che, a poco a poco o allimprovvi-
so, il mondo pu scivolar via dalle mani, perdersi, infrangersi, diventare non pi rico-
noscibile. Le tensioni dellethos, che sono alte o normalmente sostenute in un regime
esistenziale comunitariamente integrato, crollano e si disgregano quando la relazione
che lega lindividuo al suo ambiente umano entra in crisi e non riesce pi a farsi paesag-
gio rassicurante, o entroterra di scontate certezze, in vista di tutti i possibili oltrepassa-
menti dellimmediato. Daltra parte, cos come per le tradizioni culturali non esistono
casseforti blindate custodite in banche che non possono fallire, allo stesso modo la pre-
sa di Atlante pu diventare rischiosamente labile e il suo passo farsi rischiosamente tra-
ballante, tanto da lasciare che sotto le mura delluniverso si intravedano i paurosi abis-
si del nulla e che insorga ancora una volta la minaccia di quegli esiti apocalittici sempre
sopiti sotto le apparenze del tranquillo corso delle culture umane.
Come prova questo libro sulle apocalissi culturali, il rischio di un torpore di Atlante
o di un suo non previsto smarrimento pi reale di quanto il mito non racconti: la sto-
ria si sempre sviluppata, e continua a svilupparsi, sullorlo del nulla, anche quando as-
sume un passo eroico mostrando dessersi lasciata alle spalle da molto tempo il caos
da cui era uscita con sforzo indicibile. Non per nulla il focus tematico su cui De Marti-
no ha fermato lattenzione fin dallinizio quello della crisi, e della pericolosit di una
regressione al pre-culturale, e non per nulla le ultime riflessioni insistono con particola-
re forza sulla doverosit dellethos.
La fine del mondo di Ernesto De Martino
681
Il telos malato
A questo punto, inevitabile chiedersi perch mai, nel caso dellOccidente, il carattere
identificante del suo sviluppo eroico si trasformi in una condizione di smarrimento,
se non addirittura nella condizione per eccellenza del suo finire.
Se i titoli pi significativi di questo sviluppo si chiamano Rinascimento e Riforma, Il-
luminismo e Storicismo ovvero si chiamano nuova scienza e autonomia della mo-
rale, spirito laico e percezione dialettica della storia , importante capire che gli
aspetti progressivi appartenenti a ciascuno di essi non traggono origine da uno scarto
storico fatto di slanci e di strappi repentini, ma derivano da una decisione tuttaltro che
indolore e dalla lenta rinuncia a porre lumano sotto la tutela del numinoso. importan-
te cio capire che i frutti pi maturi e la stessa fisionomia dellautocoscienza culturale
dellOccidente nascono dal sacrificio di vecchie sicurezze e dalla scissione lacerante che
la conquista del tempo storico ha dovuto consumare nei confronti del passato. Essi han-
no un rapporto di filiazione diretta con quello smascheramento della storicit che si
venuto a poco a poco ingenerando nel divenire oggettivo dellOccidente e che neces-
sario leggere come sviluppo-superamento del senso della storia inaugurato dalla linea-
rizzazione cristiana del tempo.
In realt, sarebbe difficile spiegarsi gli esiti alti a cui approda la civilt occidenta-
le senza passare attraverso questo processo di smascheramento della storia o senza
fare i conti con le dialettiche della scissione che vi restano coinvolte. Labbandono del
mondo protetto del mito e lavventuroso inoltrarsi senza guida nei deserti di una sto-
ricit punteggiata di incognite rischiose sono condizioni che fanno apparire eroico
il nucleo delle decisioni fondatrici poste allorigine della nostra storia, ma, come nei
riti di passaggio incontrati a tutte le latitudini dagli etnologi, anche questo smasche-
ramento conosce conquiste che hanno una pesante controparte di perdite e che ren-
dono traumatiche le separazioni da cui esse traggono la propria ragion dessere. Per
questo, nel suo essere insieme emancipazione liberatrice e sofferenza, lo smaschera-
mento si rivela come il nodo problematico pi interiorizzato della visione del mon-
do coltivata dallOccidente, ma anche come il versante in cui meglio si riconoscono
i segni delle asperit che il suo sviluppo ha dovuto attraversare. Molte cose, di fatto,
concorrono a configurarlo come il tratto pi costitutivo dellidea di modernit che si
prodotta alla nostra latitudine.
Ricostruendone la genesi a partire dalle celebri tesi di Cullmann e di Puech intor-
no allorigine della nostra coscienza storica (a partire cio dal problema del superamen-
to del tempo ciclico antico da parte dellescatologismo cristiano), De Martino non ha
dubbi sul fatto che la linea pi profonda dello sviluppo dellOccidente debba essere ri-
conosciuta proprio in questo smascheramento e nel processo di emancipazione dal-
la stessa matrice giudaico-cristiana che lo ha messo in movimento. questa, in realt, la
scelta autofondante che ha formato lOccidente e che ha spinto la sua cultura ad avan-
zare sulla strada di unaperta coscienza storica, lungo direzioni radicalmente divergen-
ti da quelle che hanno continuato ad essere battute dalle altre civilt; questa la tensio-
ne pi profonda del suo divenire, il suo telos, la cifra interna che ne ha definito in modo
crescente la fisionomia.
Ma di che cosa propriamente si ritiene che lo smascheramento debba essere con-
Placido Cherchi
682
siderato smascheramento quando se ne parla come del telos profondo della civilt oc-
cidentale?
Baster vedere qualche passo di Storia e metastoria (ovvero del gruppo di note
che cos si intitola) per capire che da un punto di vista strettamente storico-religioso lo
smascheramento riguarda soprattutto la conquista della storicit e il passaggio tipi-
camente occidentale dal piano degli occultamenti mitici del tempo al piano della di-
svelata immanenza delluomo nel mondo. In tali contesti, cos scrive, per esempio, De
Martino:
Luomo sempre vissuto nella storia, ma tutte le culture umane, salvo quella occidentale,
hanno speso tesori di energia creativa per mascherare la storicit della esistenza. Si potrebbe
dire che la storia culturale umana la storia dei mascheramenti della storicit dellesistenza, la
storia del modo con cui luomo si finto di stare nella storia come se non ci stesse. Ma occor-
rerebbe subito aggiungere che questi mascheramenti ricevono il loro senso nella misura in cui
la storia ha sempre di nuovo vinto, obbligando a cambiar maschera destorificatrice (...). Ma
ora c da chiedersi: che cosa significa questo? Ove mai il destino delluomo fosse quello di
star mascherato nellesistenza o di perire, significa questo umanesimo semplicemente la scon-
fitta delluomo o almeno delluomo occidentale? E ancora: dato che non possiamo neppure
cambiar maschera in quanto ora non potremmo farlo che per gioco carnevalesco e qui non si
tratta di far carnevale, ma di esistere come uomini in societ questo non poter cambiare la
maschera non equivale forse a una sentenza di morte? Il sillogismo sarebbe tremendo: luomo
pu vivere nella storia solo mascherandola, la vita culturale questa maschera, ma daltra par-
te luomo che sappia questo non pu assumere pi nessuna maschera, e quindi tale questo
sillogismo luomo (e sia pure luomo che ha espresso la civilt occidentale) destinato a
perire nella misura in cui demistifica la storia
5
.
Non occorre aggiungere altro per precisare meglio il carattere propriamente demitizzan-
te dello smascheramento o per rendere pi chiaro il significato laico-umanistico della
sua intenzionalit. evidente che esso da intendersi soprattutto come smascheramen-
to degli occultamenti del divenire operati dai molti come se della proiezione mitico-
rituale, e dunque come disvelamento della verit temporale dellumano. La sua funzio-
ne pi esplicita inequivocabilmente quella volta a restituire luomo alla sua storicit e a
far trionfare sugli orizzonti del tempo il regnum hominis, dopo averlo sottratto alla me-
tastoria o alla tutela di qualche entit trascendente. Da questo punto di vista necessario
considerare che il processo di smascheramento procede di pari passo con lemancipa-
zione della storia dalle nebbie oniriche del soprannaturale e che la loro stretta recipro-
cit determina lo sviluppo crescente del nostro telos, spiegando il suo tendenziale pro-
tendersi verso gli approdi illuminati dellautocoscienza. Di fatto, quello che il telos pu
scrivere su questo versante del divenire entra a buon diritto fra le ragioni che contribui-
scono a legittimare il primato della civilt occidentale sulle altre civilt e costituisce con
sicurezza il suo carattere identificante meno confondibile.
Ma, come pu dimostrare lalto grado di infelicit che affligge la coscienza liberata,
questo versante dellemancipazione dal mito non lunico versante attivo del processo
5
E. De Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino 1977, pp.
354-355 e 353-354.
La fine del mondo di Ernesto De Martino
683
impegnato a portare avanti laffermazione dellimmanenza. Accanto al passo eroico ce-
lebrato da tutte le ideologie eurocentriche, il telos occidentale conosce anche il passo re-
gressivo di quella forma di aggressione che lo smascheramento pu esercitare sulla cul-
tura. Quel che va infatti sottolineato, in questa nota, che lo smascheramento, oltre
alle funzioni positive di affermazione dellimmanenza, ha il potere di innescare anche di-
namiche poco adatte a favorire il buon funzionamento della cultura, se vero che la po-
lemica nei confronti del mito si accompagna generalmente alla polemica nei confronti
delle molte costellazioni simboliche che danno senso al mondo. Lo smascheramento
ha, cio, il potere di far nascere funzioni negative destinate, in una prima fase, a inde-
bolire le protezioni esorcistiche normalmente presenti negli apparati destorificanti della
cultura e ad azzerarne, pi in l, le capacit di difesa.
Certo, non stato sempre cos, ma a partire dal momento in cui il telos ha incomin-
ciato a caricarsi di ragione illuminata ha sicuramente incominciato a essere sempre
cos. In realt, quel che venuto mano mano affermandosi lungo larco della moderni-
t dispiegata il predominio del pensiero tecnico, con le tipiche caratteristiche binarie
delle sue istanze operative e con le angustie logiche della sua ratio calcolante. E a farne
le spese non sono stati solo la metastoria e lorizzonte dei suoi mascheramenti mitici, ma
anche le forme pi radicate della cultura, ovvero le condizioni pi costitutive della no-
stra identit. Le quali, paradossalmente, hanno incominciato a essere viste come arcai-
smi intollerabili e resistenti al progresso. A parte lantipatia che la ragione illuminata
ha sempre nutrito nei confronti della tradizione, la costante di maggior rilievo, nei di-
scorsi a carico della cultura tradizionale, ha finito con lessere il luogo comune secon-
do cui la metastoria avrebbe avuto proprio qui, nelle dimensioni della lunga durata, i
suoi punti di resistenza pi saldi. Se alle origini dellet moderna smascheramento ed
emancipazione dal mito avevano costituito laccoppiata vincente del telos, gi nel corso
dellet dei lumi smascheramento e deculturazione si presentavano invece come lac-
coppiata che incominciava a far capire come la perdita di certe sicurezze culturali doves-
se essere il pesante effetto retroattivo delle dinamiche collegate alla necessit umanisti-
ca di far cadere la maschera. Una sorta di ribaltamento dei risultati ottenuti sul piano
dellemancipazione ha finito con lessere lapprodo pi reale della dialettica dellillumi-
nismo che cos si realizzata. Smascheramento e deculturazione, di fatto, cammina-
no da tempo paralleli e vanno smantellando sempre pi speditamente il sistema di sicu-
rezze in cui si oggettivavano le funzioni esorcistiche indispensabili alla continuit.
Ma se il carattere pi proprio della civilt occidentale era dato da questo telos sma-
scherante che ha restituito luomo alla storia, quale pu essere il destino dellOcciden-
te e del suo telos nel momento in cui lo smascheramento, trasformandosi in un ecces-
so, si rivolta contro le funzioni esorcistiche della cultura e sottrae alluomo la possibilit
di proteggersi dalle insidie dellinsignificanza? Senza dubbio sta qui laspetto pi pro-
blematico e pi inquietante della civilt occidentale contemporanea, e stanno pure qui i
nodi che rovesciano in una vicenda di cadute e di disagi quasi irrimediabili le ideologie
trionfalistiche della ragione liberata. Come se la metastoria umiliata vivesse qui una sua
ghignante nemesi e riuscisse a far allungare anche sulle altre protesi culturali lafflizione
del denudamento. Con laggravante, per, che il denudamento , in questo caso, di tipo
totale e rassomiglia molto alla perdita della stessa pelle. Cos, da slancio vitale aperto al
futuro, il telos si viene a poco a poco trasformando in malattia e noi, moderni cultori del
Placido Cherchi
684
progresso, siamo gi vittime di una consapevolezza che comincia ad apparire troppo an-
gusta per il fatto di essere ragionata solo sul filo della logica e secondo direzioni che si
rivelano ormai a senso unico.
De Martino- Adorno: una convergenza possibile
In queste pieghe, il parallelismo fra La fine del mondo e la Dialettica dellilluminismo
horkheimero-adorniana sensibile: anzi, se si guarda alle forme di affinit che si incro-
ciano in queste convergenze, non difficile accorgersi che il parallelismo su cui si po-
trebbe insistere ha come presupposto fondamentale la polemica contro la ragione il-
luminata che la Dialektik e la Fine del mondo fanno pesare in modo determinante nel
loro giudizio sul tipo di sviluppo scelto dalla civilt occidentale. un presupposto che,
sul piano delle convergenze di dettaglio, significa naturalmente molte cose, a incomin-
ciare dallo svuotamento dellimpressione di episodicit che lo stato frammentario delle
note demartiniane riverbera su alcuni passaggi significativi. Direi che, nellinsieme, esso
costringe a pensare queste convergenze in termini di forte compattezza, malgrado levi-
dente diversit dei rispettivi linguaggi e malgrado la non occultabile consistenza di qual-
che differenza di fondo.
In tutti i casi, quale che sia il grado di attendibilit filologica che si sar disposti a ri-
conoscere a questo prolungamento di De Martino in Adorno, resta il fatto che, per lau-
tore della Fine del mondo, la ragione della malattia che fa declinare il telos verso le forme
erosive e destabilizzanti della deculturazione data proprio dallegemonia che vi ha con-
quistato la ratio calcolante. Il fatto che, da un certo punto in poi, il telos della nostra ci-
vilt sia venuto affermandosi sotto il segno dominante della ragione illuminata cosa
che ha condizionato pesantemente tutto il resto della sua storia, trasformando in ragio-
ne antiumana proprio quella ragione che si era assunta il compito di liberare gli uomini.
Tuttavia, non sul trasformarsi della ragione in ragione cinica che De Martino preferi-
sce insistere. A differenza dei Francofortesi, che amano puntare le armi della critica sulla
fenomenologia distruttiva del capitale e sulle forme della vita insudiciata, egli, da an-
tropologo, appare semmai pi interessato a registrare lo sfacelo che la propensione sma-
scherante della ragione illuminata viene determinando sui tessuti simbolici della cul-
tura, e a sottolineare le insicurezze ingenerate da questo sfacelo nella rega di senso che
laddomesticamento culturale del mondo tende normalmente a produrre.
Inevitabilmente, perci, la sua attenzione si sposta dalle vicende della cultura an-
tropologicamente intesa alle vicende della comunit che ne la protagonista. E qui,
nellorizzonte comunitario, le forme di spoliazione perpetrate dalla ragione illuminata
sono particolarmente vistose e inquietanti. Innanzitutto lo , per esempio, il venir meno
della comunit come centro di identificazione, come luogo per eccellenza dei significa-
ti che innalzano il suo orizzonte a patria culturale, e dunque lo , innanzitutto, il ve-
nir meno del senso interiorizzato della coralit che riusciva ad annullare, in ogni circo-
stanza, gli smarrimenti della solitudine. Si tratta di una caduta che trascina con s ampie
parti del sistema simbolico posto alla base del mondo e che finisce inevitabilmente col
desertificare il paesaggio della realt condenda verso cui si protende ogni umana proget-
tualit del culturalmente operabile. Questo vuol dire che tutto tende a chiudersi in se
La fine del mondo di Ernesto De Martino
685
stesso e a pietrificarsi nella reiterazione senza scopo dellidentico. Non c solo la solitu-
dine dellindividuo, c anche il procedere a tentoni di unumanit che ha perduto il sen-
so della storia e che, al di l della propria immediatezza, non riesce pi a percepire qual-
che forma significativa di ulteriorit.
Si veda, per esempio, quel che De Martino scrive a proposito del venir meno di un
momento particolarmente alto della dimensione comunitaria, il momento del consumo
conviviale dei frutti del lavoro, pi volte visto, in altri luoghi della Fine del mondo, come
la risposta rituale pi pregnante tra quelle che la cultura riuscita a dare al bisogno di
celebrare se stessa e la propria fecondit.
Se una minaccia la fame, una minaccia anche mangiar da soli: ch il pane come cibo che
nutre si pu perdere anche quando si spegne la sua valorizzazione di cibo da mangiarsi in co-
mune. Nel simbolo eucaristico il pane si assottigliato nellostia, perdendo qualsiasi significa-
to nutritivo corporeo, per lesclusivo vantaggio di un nutrimento di altro genere che distingue
luomo dallanimale. Giustamente il mondo moderno volge la mente a coloro che non hanno
pane, ai milioni che patiscono la fame: ma, daltra parte, attenzione allimbanditissimo self
service delle nostre metropoli, dove si rischia di perdere il pane in altro senso, perch mal-
grado la folla di individui solitariamente masticanti e deglutenti, non c pi n banchetto
n commensale. Occorre ricordare che quando mangio il pane, mangio sempre, in un certo
senso, il corpo del Signore: perch il pane tale per luomo in quanto racchiude molteplici
memorie culturali umane, la invenzione dellagricoltura, della domesticazione degli animali,
della cerealicoltura, sino a giungere al lavoro dei contadini e dei fornai che hanno realizzato
questo pane che sto mangiando: un progetto comunitario dellutilizzabile, con tutti i suoi echi
di immani fatiche umane, di decisioni, di scelte, di gusti socializzati, sostiene e assapora questo
pane qui e ora, e ne condiziona lappettibilit e il nutrimento. Senza dubbio il mio senso stori-
co moderno mi rende avvertito che io non mangio il corpo del Signore ma il pane: ma ci
vero solo nel senso che siamo giunti in unepoca in cui dobbiamo demistificare il pane, ricon-
ducendo lostia del banchetto eucaristico al pane dellultima cena, e il pane dellultima cena
alla vicenda operativa umana che, attraverso la fondazione delle civilt cerealicole, giunge sino
ai contadini e ai fornai che resero possibile il pane dellultima cena. Se per ci rendiamo conto
delle ragioni che fecero occultare nel corpo del Signore il pane generato dalla fatica e destinato
alla nutrizione del corpo, resta il problema di ritrovare il pane del banchetto, e di comunicare
in tal modo, attraverso il suo diretto significato umano che accenna a contadini e a fornai, con
la comunit intera e reale, davanti a cui testimoniare per luomo
6
.
Attenzione, dunque, allimbanditissimo self service e ai vuoti che labbondanza non pu
in nessun modo coprire. Dellagape non rimasto nulla e si fa persino fatica a percepi-
re in che senso lassenza di quello che non c pi possa costituire problema. Del resto,
la caduta del valore simbolico del pane come cibo da mangiarsi in comune non che
una spia di innumerevoli altre cadute. Poco pi in l, forse, sar addirittura la spia delle
atrofie che luomo, come animale simbolico, sta incominciando a patire, lungo la linea
delle regressioni gi visibili nel suo divenire. Se per funzione simbolica sintende anche
la capacit di relazionarsi a un accumulo di memorie comuni, al fine di poterle presenti-
ficare quando occorre, riconoscendo sempre in ogni questo qualche traccia di quel-
6
E. De Martino, op. cit., pp. 616-617.
Placido Cherchi
686
lo, di quali risorse rammemoranti potr avvalersi una cultura che investe la maggior
parte delle sue energie smascheranti nel cancellare le tracce del passato? Non entra in
campo solo la questione delle terribili angustie a cui porta questo sterile ridursi allo spa-
zio puntiforme di un assoluto presente: c di mezzo soprattutto il tipo di spessore di cui
la coscienza pu disporre: e laddove si ammetta che il respiro della coscienza non di-
verso da quello della memoria, bisogna anche ammettere che una memoria diminuita da
drastiche amputazioni non potr produrre che forme di coscienza tragicamente incapa-
ci di levarsi al di sopra dellistante.
Si affievoliscono lethos e lamore, mentre progrediscono a grandi passi lindifferen-
za nei confronti dei propri simili e lo svuotamento dei significati che erano ancora in
grado di dare orizzonte allaltra generazione. A questo punto la comunit solo unin-
sopportabile societ organizzata, un indistinto brulicho di ombre che pu essere quan-
tificato come entit inespressiva. Ma, a questo punto, il telos si gi rovesciato nel suo
contrario e la fine del mondo, da condizione latente, pu diventare orgastica eplosio-
ne distruttiva.
Si comprende, allora, come una delle parti centrali del libro incompiuto insista sul
rischio di una caduta senza ripresa e in particolare sulla guerra nucleare che, fra tutti
i rischi possibili, quello che pi compiutamente esprime il senso di una catabasi senza
ritorno. Senso che testimonia di una catastroficit tanto pi abissale e inumana quanto
pi si presenta come il risultato di un gesto tecnico della mano scaturito dal fondo di
una coscienza ormai desertificata e tragicamente impoverita di ogni memoria culturale.
La guerra nucleare scrive De Martino la fine del mondo non come rischio o come
simbolo mitico-rituale di reintegrazione, ma come gesto tecnico della mano, lucidamen-
te preparato dalla mobilitazione di tutte le risorse della scienza nel quadro di una politi-
ca che coincide con listinto di morte.
Quando ci prende la tentazione di premere il bottone e si cade in questa tentazione an-
che ammettendo che qualche altro, un giorno, potrebbe essere costretto a farlo, se necessa-
rio quando cadiamo in preda di cos atroce insidia e di cos disperata e deserta contempla-
zione del possibile, ricordiamo non gi i duecentomila di Hiroshima, o i sei milioni di ebrei,
perch questo aver bisogno di immagini quantitative per respingere la nuova ecatombe gi
un segno di dannazione. In realt dovrebbe bastare limmagine di un solo volto umano se-
gnato dal dolore, di un concretissimo volto di persona che abbiamo visto patire senza colpa,
in un certo luogo del nostro spazio e in un certo momento del nostro tempo: per esempio
limmagine di una bambina solitaria, affamata e disperata che una volta incontrammo in una
certa strada di campagna del miserabile Sud. Dovrebbe bastare questo ricordo, o qualchaltro
del genere, affiorante malgrado il nostro impegno a diffidare del sentimento e del cuore, e
malgrado la nostra maschera di calcolante freddezza e di virile pudore. Che se invece quel
volto concretissimo non affiora, e anche affiorando non basta a farci riconoscere tutti i possi-
bili volti umani in atto di lottare contro il dolore, e il nostro volto stesso: e persino se avremo
bisogno del volto del Cristo sulla croce per mascherare questa memoria, non essendo capaci
di viverla nella immediatezza di una persona singola che abbiamo amato, allora pur sempre
possibile che qualcuno, oggi o domani, compia latto estremo che in fondo, con quel non poter
rivivere, abbiamo gi compiuto noi stessi: vero delitto perfetto che nessuna polizia al mondo
potr mai scoprire, e non soltanto per il solito criterio quantitativo che lo sterminio della spe-
cie umana avr coinvolto anche poliziotti e giudici, ma perch era stata spenta nellintimo la
La fine del mondo di Ernesto De Martino
687
stessa umanit giudicante ancora prima dellatto che la distrugge materialmente nellecatombe
dei corpi
7
.
A partire da qui, naturalmente, diventa possibile tutto. Sulle ceneri della comunit pol-
verizzata, le valenze esorcistiche della cultura arrivano a conoscere il loro punto di de-
pressione pi spinto, dissipando con la propria funzione anche il senso del normale tes-
suto delle opere e i giorni. Lautonomia amorale del gesto tecnico, nella sua sinistra
irresponsabilit, gi una misura compiuta della devastazione che la ratio calcolante
riuscita contemporaneamente a produrre sul tessuto simbolico della coscienza e sugli
orizzonti comunitari del senso.
Ma, stando cos le cose, che ne delle origini umanistiche del telos? Che cosa pu
voler dire questa caduta se non che la nostra civilt, persino nella parte pi prossima a
realizzarne gli auspici originari, ancora ben lontana dal poter restituire alluomo la sua
piena dignit? Non significa forse che lumanesimo integrale a cui essa aspira non e
non potrebbe in nessun caso essere solo quello proposto dalla ragione illuminata?
Sempre pi privo di protezioni e, proprio per questo, pi che mai esposto allangoscia
della storia, lOccidente si trova inscritto nel suo telos un destino da coscienza infeli-
ce: il destino di dover vivere come espropriazione proprio le conquiste che avrebbe-
ro dovuto liberarlo e di essere reso debole dalla sua stessa forza. Sta qui, in sostanza, il
male oscuro che lo insidia, la dialettica perversa che, in modo sempre pi spinto, rischia
di trasformare le promesse del suo telos in una minaccia.
Qualche via duscita
Naturalmente, si farebbe di De Martino un pensatore della crisi se arrestassimo la sua ri-
flessione a queste pieghe aporetiche. Occorrer non perdere di vista, invece, il fatto che
tutta la sua teorizzazione di un umanesimo etnografico opportunamente rettificato dal-
le consapevolezze delletnocentrismo critico si propone di dare risposte importanti alle
contraddizioni implicite nel telos dellOccidente. Lo dimostrano le sue insistenze sulla
tematica delle patrie culturali e sul bisogno di trovare vie duscita ai nodi della macro-
storia radicandosi nella propria identit. Lo dimostrano con forza lintensa valorizzazio-
ne di tutta la fenomenologia esistenziale del centro che si accompagna allidea e allespe-
rienza della patria culturale, nonch landar continuamente sostenendo la necessit
di rendere domestici i significati del mondo. Ma ancor di pi lo dimostrano la
teorizzazione criticamente etnocentrica della necessit di un allargamento dellautoco-
scienza culturale e il quadro delle grandi metanoie storicistiche che danno supporto alla
progettata riforma delletnologia e alle valenze, appunto, etnografiche di un nuovo uma-
nesimo.
Anche se in costante e dialettico contrappunto col versante catastrofico a cui ho de-
liberatamente dato risalto, la loro presenza, soprattutto nelle sezioni che insistono sulla
forma-cultura, diffusa e appare ben tematizzata. Risulta particolarmente cospicua, fra
7
E. De Martino, op. cit., pp. 477-478.
Placido Cherchi
688
laltro, in alcune note che costituiscono il corollario deontologico pi alto delle analisi
dedicate allethos. Da alcune di queste possiamo sapere compiutamente quale fosse, in
termini di bilancio finale, il punto di vista di De Martino sullintero problema.
Pu finire il mondo?: questa domanda, nella misura in cui dominata dal terrore della fine,
costituisce uno dei prodotti estremi della alienazione, e quando diventa esperienza della fine
del mondo si confonde col Weltunterganserlebnis [il vissuto di fine del mondo] dello schizo-
frenico. Pu finire il mondo?: chi cos chiede pone il finire del mondo, si immette nel corso
del finire che non si trattiene pi in nessun nuovo inizio, corre al termine sottraendosi alluni-
co compito che spetta alluomo, cio di essere lAtlante, che, col suo sforzo, sostiene il mondo
e sa di sostenerlo. Certo il mondo pu finire: ma che finisca affar suo, perch alluomo
spetta soltanto rimetterlo sempre di nuovo in causa e iniziarlo sempre di nuovo. Luomo non
pu recitare che questa parte, combattendo di volta in volta, fin quando pu, la sua battaglia
contro le diverse tentazioni di un finire che non ricominci pi e di un cominciare che non in-
cluda la libera assunzione del finire. Il pensiero della fine del mondo, per essere fecondo, deve
includere un progetto di vita, deve mediare una lotta contro la morte, anzi, in ultima istanza,
deve essere questo stesso progetto e questa stessa lotta. I primi cristiani attendevano il Regno
di Dio, ma se dalla loro attesa risult poi la civilt cristiana, ci deriva dal fatto che il Cri-
stianesimo oltre che fede e speranza fu amore, anzi come si legge nel famoso inno della I ai
Corinzi amore pi alto della fede e della speranza. Oggi il pensiero della fine del mondo nei
culti profetici dei popoli coloniali e semicoloniali fecondo nella misura in cui media la fine
dellepoca del colonialismo e il processo di liberazione di nuove comunit nazionali; e infine il
pensiero della fine del mondo per effetto della guerra nucleare oggi fecondo nella misura in
cui media la presa di coscienza di quella estrema forma di alienazione tecnicistica che la fine
del mondo come gesto tecnico della mano, come apocalisse premendo un bottone. Eppure,
se un giorno, per una catastrofe cosmica, nessun uomo potr pi cominciare perch il mondo
finito?. Ebbene, che lultimo gesto delluomo, nella fine del mondo, sia un tentativo di co-
minciare da capo: questa morte ben degna di lui, e vale la vita e le opere delle innumerevoli
generazioni umane che si sono avvicendate sul nostro pianeta
8
.
In un tempo di molte catabasi senza anabasi, che altro pu essere la pulsione che tra-
sforma il finire in un ricominciare, se non lethos del trascendimento? Contemplato
sullestremo orizzonte della storia, lethos, al di l della sua interna fenomenologia indi-
viduale, torna ad essere il logos della specie, la spinta profonda che sostiene la cultura
e il mondo che essa genera. Il bisogno di fronteggiare la sempre ritornante insidia delle
pulsioni dissolvitrici e di esorcizzare listinto di morte che si annida in quella nostal-
gia del non-umano a cui, in contrasto col telos pi caratteristico della sua storia, sembra
abbandonarsi lOccidente, sono aspetti vistosi della robusta deontologia demartiniana e
formano senza dubbio il registro pi alto di quellintonazione. La stessa formalizzazione
teoretica dellethos del trascendimento , in realt, lultimo atto di questo lungo esor-
cismo esercitato nei confronti di un nulla che chiama perentoriamente a s, nel gorgo di
una irrisolvente fuoriuscita dalla storia, ed necessario considerarlo nella generale pro-
spettiva di queste tensioni.
Le parole che lUlisse dantesco rivolge ai compagni sulla soglia dellignoto sono pi
8
E. De Martino, op. cit., pp. 629-630.
La fine del mondo di Ernesto De Martino
689
volte ricordate nelle pagine della Fine del mondo e in una misura molto interna esse de-
finiscono il segno dellintenzione demartiniana, indicandone il valore globale che in-
sieme, appunto, altamente esortativo e oratorio nel senso preciso di quei versi, ma non
senza il sapore particolare di messaggio estremo, di testamento, che quei versi riusciva-
no a comunicare.
BIOGRAFIA
Nelle sue vicende di studioso, Ernesto De Martino (Napoli 1908 Roma 1965) sconta
fino in fondo la resistenza che le enclaves accademiche di parte cattolica e di parte cro-
ciana avevano sempre opposto alla storiografia religiosa di taglio laico e allantropologia
culturale. Formatosi alla scuola di Omodeo e di Croce, non stenta a emanciparsi dalla
loro tutela e a utilizzare in direzione etno-antropologica le lezioni di metodo che i mae-
stri pensavano finalizzate ad altro. I suoi primi libri (Naturalismo e storicismo nellet-
nologia, 1941; Il mondo magico, 1948) non rinnegano quelle origini, ma ne trasformano
i principi proponendo unidea di storicismo che radicalizza in senso kantiano e vete-
ro-idealistico le posizioni di Croce. Con la guerra e la militanza politica (partigiano sul
fronte del Senio, funzionario del PSI in Puglia, aderente al PCI fino ai fatti di Ungheria),
hanno luogo lincontro con letnos e la svolta in direzione meridionalistica. Intanto di-
rige assieme a Pavese la collana viola Einaudi, che gli resta affidata fino alla fase bo-
ringhieriana: un altro modo per confermarsi come il maggior conoscitore, da noi, delle
discipline etno-antropologiche e storico-religiose. Nelle opere della trilogia meridiona-
listica (Morte e pianto rituale nel mondo antico, 1958; Sud e magia, 1959; La terra del ri-
morso, 1961), un umanesimo etnografico di taglio antropoanalitico oltrepassa di mol-
to lumanesimo filologico-classicistico della cultura egemonica e inaugura una forma
di approccio al diverso che anticipa di anni letnopsichiatria. Solo nel 58 tuttavia, gra-
zie a Aldo Capitini che lo chiama a Cagliari, riesce ad accedere allinsegnamento di Sto-
ria delle Religioni. Lo tiene in quella cattedra fino alla morte. Con le ultime opere (Furo-
re Simbolo Valore, 1962; Magia e civilt, dello stesso anno, e La fine del mondo, rimasta
incompiuta, ma apparsa postuma nel 1977), tornano a riproporsi le attenzioni macrosto-
riche degli esordi. Oggi si torna con molto interesse alla sua figura, scoprendo in modo
crescente la statura del pensatore.
BIBLIOGRAFIA
Opere fondamentali di Ernesto De Martino
Naturalismo e storicismo nelletnologia, Laterza, Bari 1941.
Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino 1948.
Morte e pianto rituale nel mondo antico, Einaudi, Torino 1958.
Sud e magia, Feltrinelli, Milano 1959.
La terra del rimorso, Il Saggiatore, Milano 1961.
Furore Simbolo Valore, Il Saggiatore, Milano 1962.
Placido Cherchi
690
Magia e civilt, Garzanti, Milano 1962.
La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino 1977.
Bibliografia critica essenziale
Angelini, P., Ernesto de Martino, Carocci, Roma 2008.
Cases, C., Introduzione a Ernesto De Martino, Il mondo magico, Boringhieri, Torino 1973.
Cherchi, P., Cherchi M., Ernesto De Martino. Dalla crisi della presenza alla comunit umana, Li-
guori, Napoli 1987.
Cherchi, P., Il peso dellombra, Liguori, Napoli 1996.
Galasso, G., Croce, Gramsci e altri storici, Il Saggiatore, Milano 1969.
Gallini, C., Introduzione a Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apo-
calissi culturali, Einaudi, Torino 1977.
691
UNARCHEOLOGIA DEL POTERE:
LANTROPOLOGIA POLITICA DI PIERRE CLASTRES
Delfo Cecchi
Antropologia e politica
Limpiego delletnologia come banco di prova per la filosofia politica il tratto pi evi-
dente dellopera del nostro autore. Lo studio delle societ amerinde non conduce infatti
Clastres solo a una revisione di molti postulati dellantropologia, ma anche a una critica
radicale delle categorie politiche tradizionali. Il bersaglio principale del suo lavoro pu
essere rapidamente individuato nellabitudine di pensiero che vuole lo spazio del poli-
tico coincidente con quello della coercizione, e che quindi postula linesistenza di una
politica che non si attui sotto la condizione di un organamento gerarchico della societ,
regolato dalla legge e reso possibile dal modello statuale. Secondo questo schema, le co-
munit primitive
1
descritte dagli etnografi dovrebbero essere trattate alla stregua di so-
ciet del tutto ignare della politica oppure come societ in attesa di una politica a venire,
la quale non potrebbe per trovare una manifestazione diversa da quella rappresenta-
ta da tale modello
2
. Proprio dalla negazione di questi due postulati, che lo accomuna a
Marx e a Engels (per quanto egli diverga su molti punti dai marxisti), prende la mossa
la riflessione dellantropologo francese: dal suo punto di vista, falso che le societ pri-
ve di Stato siano apolitiche, ed addirittura assurdo credere che la statualit di cui man-
cano sia qualcosa che esse ricercherebbero. Anzitutto, lidea di una societ apolitica
per Clastres una contraddizione in termini. Poich, nella sua concezione, lo spazio poli-
tico ha la stessa estensione del campo sociale, non pu affatto darsi una societ priva di
1
Clastres parla costantemente di societ primitive o selvagge termini che anchio user quindi in senso
sinonimo , secondo un lessico antropologicamente contestato ma che, nel suo caso, non pu certo essere
sospettato di qualche compiacenza etnocentrica.
2
Cfr. P. Clastres, Copernic et les sauvages, Critique, n. 270/1969 (tr. it. in Idem, La societ contro lo Stato.
Ricerche di antropologia politica, ombre corte, Verona 2003, pp. 14-15). Per le versioni originali dei libri che
raccolgono i saggi clastresiani e per le loro prime edizioni italiane rinvio alla bibliografia.
Delfo Cecchi
692
politica
3
; viceversa, poich il politico non congruente con lo statuale, pu ben darsi un
modello positivo di politica che si proponga non solo come alternativo, ma anche come
apertamente refrattario alle forme della legge, del comando e della coercizione
4
. Tutto il
sociale ipso facto politico, ma non tutto il politico ipso facto statuale. Le societ primi-
tive sono dunque prive solo di quella politica molto specifica che, per losservatore fret-
toloso o interessato, rappresenta la politica tout court: di quella, cio, che trova nello Sta-
to la propria espressione ideale.
La radicalit di queste tesi deve essere bene intesa. Clastres non il primo autore
che osservi la latenza dello Stato nelle culture del Nuovo Continente diverse dagli im-
peri precolombiani, ma il primo a fornirne uninterpretazione fruibile anche al di fuo-
ri dei confini delletnologia. Il dato che egli descrive che i capi amerindi eccettuati i
Tup-Guaran della Foresta Tropicale e altri gruppi affini, i quali presentano forme svi-
luppate di chefferie
5
non comandano le loro comunit se non in tempo di guerra
6
, per
di pi andando soggetti, anche in quel frangente, a forti limitazioni del potere
7
; presso
le trib pellirosse, per esempio, gli ordini del comandante possono sempre essere disat-
tesi dai guerrieri, come Geronimo impar a proprie spese
8
. Un comando che si protrag-
ga oltre il tempo della guerra quindi sconosciuto alle societ americane tradizionali; il
discorso del capo in tempo di pace, incessantemente riproposto, privo di ogni effetto
che non sia quello dellapprezzamento estetico. Dal lato psicologico, in questa ineffica-
cia semantica del potere dobbiamo veder riprodotto il precipuo rapporto amerindo con
il linguaggio
9
, autentica strategia di boicottaggio della comunicazione: solo se la parola
accolta come performance piuttosto che come emissione significante, solo se essa chie-
de valutazione estetica anzich comprensione intellettuale
10
infatti possibile a chi la ri-
ceve svincolarsi da un dovere anticipato di risposta che gi premessa di asservimento.
Ma questa situazione ermeneutica presenta anche un lato oggettivo: la parola del capo,
scrive radicalmente Clastres, non detta per essere ascoltata
11
.
3
Cfr. Ibid., pp. 17-18.
4
Cfr. Ibid., p. 18.
5
Conformemente al lessico antropologico pi diffuso, Clastres intende per chefferie un tipo di organiz-
zazione che, pur priva di un vero apparato burocratico, prevede un capo dotato a tutti gli effetti di poteri
politici. Per, egli definisce invariabilmente capo (chef ) anche la figura, priva invece di poteri politici reali,
presentata in queste pagine e che altri antropologi chiamerebbero forse big man, personaggio contraddistinto
appunto da uno status tanto prestigioso quanto oneroso e dallassenza di poteri decisionali. Cfr. per esempio
Ch. Seymour-Smith, Dictionary of Anthropology, Macmillan Press, London 1986 (tr. it. Dizionario di antropo-
logia, Sansoni, Firenze 1991, p. 67).
6
Cfr. P. Clastres, Echange et pouvoir. Philosophie de la chefferie indienne, Lhomme, vol. II, n. 1/1962 (tr.
it. in La societ contro lo Stato, cit., p. 24).
7
Cfr. Idem, Malheur du guerrier sauvage, Libre, n. 2/1977 (tr. it. in Idem, Archeologia della violenza,
Meltemi, Roma 1998, p. 70).
8
Cfr. Ibid., p. 98.
9
Il primo americano (...) non ha mai affermato che la facolt di articolare parole fosse la prova della sua su-
periorit sulle creature mute; daltra parte essa per lui un dono pericoloso (Ch. A. Eastman (Ohiyesa), The
Soul of the Indian (1911) (tr. it. Lanima dellindiano. Uninterpretazione, Adelphi, Milano 1983, pp. 53-54)).
10
Cfr. P. Clastres, Larc et le panier, Lhomme, n. VI, 2/1966 (tr. it. La societ contro lo Stato, cit., pp. 94-
95).
11
Idem, Le devoir et la parole, Nouvelle Revue de Psychanalise, n. 8/1973 (tr. it. cit., p. 114).
Unarcheologia del potere: lantropologia politica di Pierre Clastres
693
Di fronte a questi rilievi, si possono assumere posizioni distinte. Una di queste con-
siste nel leggerli in senso storiografico: nelle societ americane tradizionali, lassenza di
un potere politico coercitivo dipenderebbe allora semplicemente dalla debolezza dei
capi; per estensione, la politica non autoritaria dei primitivi sarebbe quindi tale solo per
un difetto contingente di esecutoriet. Linterpretazione che qui propongo sulla scor-
ta di Clastres medesimo
12
, invece, pi strutturale. Che la parola del capo non sia detta
per essere ascoltata significa, in questa prospettiva, che la sua non esecutoriet non di-
pende dallassenza circostanziata di efficacia coercitiva, ma dalla mancanza dello spa-
zio stesso che dovrebbe essere preposto al passaggio del comando. Se cos, allora dav-
vero quella di societ senza Stato una nozione positiva, in cui si esprime non lidea
generica di unassenza di autorit ma il concetto preciso secondo cui la distribuzione
del potere primitivo semplicemente non contempla il caso politica interna, che co-
stituisce invece, nelle societ civilizzate contemporanee, la forma basilare del politico.
Questa accezione della politica selvaggia confermata dal fatto che il luogo nel quale,
nelle societ a noi note, passa il potere coercitivo occupato nelle trib amerinde, piut-
tosto che da una felice assenza dogni potere, da dispositivi sociali completamente al-
ternativi a quelli statuali ma non per questo meno rigorosi, di alcuni dei quali tentere-
mo ora di dare conto.
Secondo Clastres, le societ primitive si contraddistinguono a dispetto del pre-
giudizio che le vorrebbe impegnate in unincessante lotta contro lindigenza
13
per un
rapporto ideale con le risorse di cui dispongono: lontana dallessere insufficiente o ap-
prossimativa, la loro tecnologia
14
perfettamente adeguata alle esigenze di unecono-
mia capace di garantire una sussistenza tuttaltro che disagevole. Sgravato dal compito
di produrre eccedenze di beni e, quindi, liberato da ogni lavoro che non sia strettamen-
te indispensabile per il sostentamento immediato
15
, il maggior tempo dei selvaggi per
lozio, il gioco, la guerra o la festa
16
. La capacit, dettata da un rapporto calibrato e ra-
zionale con lambiente, di sostentarsi agevolmente senza dover ricorrere a un aumen-
to della produzione anche la ragione per cui le societ primitive ignorano la propriet
privata e le disparit economiche, lorigine e la tutela delle quali come Clastres obiet-
ta ai marxisti
17
pu dunque costituire leffetto, ma non certo spiegare la causa dellav-
vento del potere statuale. Questo quadro non sarebbe per completo senza un esame di
ulteriori aspetti, apparentemente meno collimanti con quelli appena descritti. La real-
t sociale politicamente ed economicamente egualitaria dei selvaggi non affatto immu-
ne da una peculiare cultura del prestigio e del privilegio: a fronte della propria mancan-
za strutturale di potere e dellobbligo di essere inoltre munifico verso la collettivit
18
, il
12
Cfr. in particolare Idem, Echange et pouvoir, cit. (tr. it. cit., p. 34).
13
Cfr. ibid., p. 138.
14
Cfr. ibid., p. 139.
15
Su questi aspetti e sul rifiuto del lavoro nelle societ amerinde cfr. ibid., pp. 140-142.
16
Ibid., p. 143.
17
Cfr. ibid., pp. 147-148 e Idem, Archologie de la violence. La guerre dans les socits primitives, Libre, n.
1/1977 (tr. it. in Archeologia della violenza, cit., pp. 36-37).
18
Cfr. Idem, Echange et pouvoir, cit. (tr. it. cit., p. 25).
Delfo Cecchi
694
capo gode dei notevoli benefici carismatici connessi al suo ruolo e, in particolare, del di-
ritto pressoch esclusivo alla poliginia.
Interrogandosi sullo strano dato di una funzione impotente ad esercitarsi e tut-
tavia associata a privilegi che egli stesso definisce esorbitanti
19
, Clastres vi riconosce
una riprova pur paradossale della logica di non reciprocit che contraddistingue le so-
ciet selvagge: offrire al leader le donne un modo di rimarcare una differenziazione di
status che, inerendo al rango anzich alla politica, alla natura e non alla cultura
20
,
dimostra la sua separatezza dal potere effettivo
21
. Quale che sia il valore da attribuire a
questa spiegazione (si tratta solo della giustificazione a posteriori di un dato sociale op-
pure, come Clastres vuole, di una logica politica inconscia?)
22
, certo almeno che il pri-
vilegio della poliginia non pu implicare un depauperamento catastrofico delle societ a
cui si applica, a meno di voler concludere in perfetta antitesi al dato etnografico che
la stragrande maggioranza delle trib sudamericane soggetta a un regime dispotico e a
un incessante sfruttamento. Per converso, il possesso (verosimilmente non indiscrimina-
to n quanto al numero n quanto alla scelta possibile) di mogli non oziose rappresen-
ta per il capo ben pi una condizione necessaria per soddisfare le costanti richieste della
collettivit (feste, banchetti, manufatti) che non un beneficio economico personale: egli
non lavora meno degli altri, ma anzi di pi
23
. Lo status del capo quindi tanto invidia-
bile quanto scisso da un potere ricattatorio reale; la sua condizione sembra essere quel-
la di chi possegga beni lussuosi ma debba faticare come tutti gli altri per procurarsi inve-
ce il necessario, il che, in uneconomia non basata su un equivalente generale del valore
com quella primitiva, sembra essere tuttaltro che contraddittorio.
I selvaggi donano quindi anche se si dovrebbe parlare, piuttosto che di una loro
volont consapevole o inconscia, di una macchina sociale oggettiva cos funzionan-
te sfruttando appieno lambiguit insita nel dono naturale-prestigioso: poich esso
appunto tale, la sua cessione tacita anticipatamente leventualit di una richiesta di alie-
nazione concernente invece i valori (ordinari e quindi pi onerosi da alienare) della civil-
t e della cultura
24
, cio anzitutto il comando politico democratico e leguaglianza giuri-
dica dei membri della collettivit
25
. Ed significativo come linalienabilit di questa sfera
19
Ibid., p. 31.
20
Ibid., p. 35.
21
Cfr. in particolare ibid.: Le societ indiane (...) istituiscono [il potere] secondo la sua essenza (la negazio-
ne della cultura), ma proprio per negargli ogni potenza effettiva.
22
La questione non pu certo essere affrontata in poco spazio. Mi limito a osservare come la nozione di mac-
china (della guerra) che Clastres, come vedremo, introdurr costituisca anche un tentativo di dare una risposta
epistemologica a questo problema, che verr poi ereditato e risolto in altro modo da Deleuze e Guattari.
23
Cfr. P. Clastres, Echange et pouvoir, cit., p. 32.
24
La dicotomia, come si visto, di Clastres medesimo.
25
Il saggio giovanile (1962) di Clastres qui esaminato sembra particolarmente debitore, ma anche precoce-
mente critico, verso C. Lvi-Strauss, Les structures elementaires de la parent, PUF, Paris 1967 (I ed.: 1947) (tr.
it. Le strutture elementari della parentela, Feltrinelli, Milano 1984 segnatamente pp. 89-90, ove la non recipro-
cit connessa al fenomeno in particolare sudamericano della poliginia del capo viene bens rimarcata, ma
non certo ricondotta a una logica politica finalizzata a salvaguardare la societ dal servaggio. Si legge anzi in
questo luogo: Qual dunque lorigine del privilegio [suddetto], e qual il suo significato? Riconoscendolo,
il gruppo ha ceduto gli elementi di sicurezza individuale connessi alla regola di monogamia, in cambio della
sicurezza collettiva che deriva dalla organizzazione politica).
Unarcheologia del potere: lantropologia politica di Pierre Clastres
695
giuridica venga a coincidere, nei cruenti riti di appartenenza tribale, con quella del cor-
po, sulla cui superficie legualitarismo selvaggio incide, con fierezza crudele, la propria
legge: Tu non avrai il desiderio del potere, tu non avrai il desiderio di sottomissione
26
,
secondo lefficace parafrasi di Clastres. Questo marchio di crudelt non soltanto il me-
mento alla libert politica che lantropologo francese attribuisce a una societ primitiva
giustamente concepita come una sorta di coniuratio, ma forsanche una rivendicazio-
ne della realt del politico e di esso soltanto, a fronte della naturalit eslege tanto desi-
derabile quanto inefficace rappresentata dai poteri del capo. Lordinario e non lo stra-
ordinario viene infatti vergato sulla pelle; la lacerazione delle carni impone il civile, non
il carismatico; il mondo dei primitivi cos poco naturalistico da celebrare addirittura
il trionfo della cultura. Al contempo, questa semiotica dolorosa inseparabile dalla fi-
gura del guerriero, non solo perch appartiene soprattutto ai riti diniziazione che lo ri-
guardano
27
, ma anche perch rientra in una logica della guerra che sembra essere ben
pi profonda e radicale rispetto a una semplice attitudine bellicosa, e della quale dob-
biamo ora occuparci.
La guerra
Questa vera e propria costante delle societ primitive non riconducibile per Clastres
n a unorigine economica n a unaritmetica sociale. Impegnato a confutare lecono-
micismo antropologico (anche marxista) e a rivedere in profondit lantropologia strut-
turalista, letnologo francese mostra, sul primo fronte, come la guerra dei selvaggi non
dipenda dalla lotta per le risorse e, sul secondo, come essa non derivi da un fallimento
dello scambio. Le due confutazioni hanno valore opposto: mentre la prima consiste nel
mostrare, quasi more geometrico, come una societ primitiva stanziale o nomade non
sia pensabile prescindendo dal territorio in cui si approvvigiona
28
, talch o essa ampia-
mente in grado di sostenersi oppure semplicemente si disgrega, la seconda nasce inve-
ce dal rifiuto, dettato stavolta da unosservazione strettamente etnografica, di attribuire
alle societ tradizionali un ideale di alleanza generalizzata che verrebbe perseguito me-
diante lo scambio delle donne e rispetto al quale la guerra non costituirebbe che un ac-
cidente sfortunato
29
. Clastres rovescia quindi lassiomatica di Lvi-Strauss: in generale, i
selvaggi non aspirano affatto ad allearsi con lestraneo, se non in quanto vi siano costret-
ti dalle circostanze
30
; per tacere del fatto che la poligamia del capo, di cui si parlato pi
sopra, impone dei limiti demografici alla cessione delle donne ai membri di altri gruppi,
lo scambio pu essere solo il suggello di unalleanza a cui ci si rassegna e non certo il cu-
26
P. Clastres, De la torture dans les socits primitives, Lhomme, vol. XIII, n. 3/1973 (tr. it. La societ contro
lo Stato, cit., p. 136. contro la legge dello Stato che si pone la legge primitiva. (...) E questa legge non sepa-
rata non pu trovare, dove iscriversi, che uno spazio non separato: il corpo stesso).
27
Cfr. Ibid., pp. 131-132.
28
Cfr. Idem, Archologie de la violence, cit. (tr. it. cit., pp. 38 e 45-46).
29
Cfr. C. Lvi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, cit., pp. 118-119.
30
Cfr. P. Clastres, Archologie de la violence, cit. (tr. it. cit., p. 55).
Delfo Cecchi
696
neo dingresso per una socialit allargata che sinvocherebbe. Agli occhi di Clastres, non
vale dunque la sequenza deduttiva crisi dello scambio rottura dellalleanza tra le co-
munit guerra: viceversa, la guerra a imporre le alleanze, le quali a propria volta ri-
chiedono lo scambio delle donne tra alleati e tra di loro soltanto
31
.
Se dunque la sua ragion dessere non economica e la sua esistenza non acciden-
tale, qual lo scopo della guerra nelle societ primitive? Solo gli sciocchi, scrive Cla-
stres, possono credere che per rifiutare lalienazione si debba prima averla subita
32
.
Quella che, per distinguerla da una tesi minore che considereremo pi oltre, possiamo
chiamare la sua grande tesi che la guerra rappresenta, nelle societ primitive, il prin-
cipale dispositivo di prevenzione contro la possibilit generale dello Stato e, quindi, il
fondamento stesso della politica positivamente non coercitiva di cui, in quanto prece-
de, ho cercato di tracciare i contorni. Questa esplicita antitesi al pensiero di Hobbes
33

per tanto interessante quanto problematica. In un primo e intuitivo senso, la guer-
ra contro lo Stato perch la conflittualit incessante tra le trib impedisce la formazio-
ne di poteri durevoli o di istituzioni che le sovrastino; lopposizione alla formazione di
organismi transnazionali, della quale si pu ammettere che i conflitti siano spesso uno
strumento efficace, non sembra tuttavia implicare giocoforza una limitazione dei poteri
anche allinterno delle singole comunit, come invece Clastres con troppo spirito di geo-
metria inferisce
34
. Una seconda interpretazione potrebbe essere che la guerra contro
lo Stato perch (o finch) impedisce la progettazione di una politica interna efficiente.
Questa formulazione, presupponendo una nozione implicitamente meno ristretta della
guerra, non va soggetta allobiezione precedente; anchessa, per, ha il difetto di presen-
tare la contrariet alla quale fa riferimento come accidentale piuttosto che come unop-
posizione positiva.
Cominciamo a intuire che, per dare un contenuto reale alla grande tesi di Clastres,
dobbiamo passare da una considerazione evenemenziale o etnografica a una considera-
zione etnologica e archeologica. Lo stesso antropologo francese si presta in effetti a que-
sto passaggio concettuale, elaborando un concetto di societ per la guerra
35
grazie al
quale questultima viene a essere intesa come qualcosa di pi marcatamente struttura-
le rispetto a unattitudine bellicosa dispirazione libertaria propria dei popoli primiti-
vi. Ma il suo discorso presenta un livello ancor pi profondo, propriamente archeologi-
co ed esso s radicalmente non hobbesiano, che passa per una nozione che avr giusta
fortuna. Lontana dallessere solo un apparato militare, quella che egli chiama la mac-
china della guerra invero lautentico motore della macchina sociale primitiva
36
, e
31
Cfr. ibid., pp. 55-56: I partner dello scambio sono gli alleati, e la sfera dello scambio coincide esattamente
con quella dellalleanza.
32
Ibid., p. 65.
33
Cfr. ibid., p. 66.
34
Cfr. ibid., p. 63: Da ci si vede come la stessa logica rigorosa determini sia la politica interna sia la politica
estera della societ primitiva: da un lato, la comunit vuole conservare il proprio essere indiviso, e per questa
ragione impedisce che unistanza unificatrice la figura del capo si separi dal corpo sociale introducendo
al suo interno la divisione tra padrone e sudditi; daltra parte, la stessa comunit vuole conservare il proprio
essere autonomo cio vuole esser soggetta alla sua propria Legge.
35
Ibid., p. 62.
36
Cfr. ibid., p. 65.
Unarcheologia del potere: lantropologia politica di Pierre Clastres
697
come tale indica pi il sistema complessivo delle societ senza Stato che non la loro com-
ponente stricto sensu bellica. A questo livello, la tesi dellantropologo francese non si-
gnifica pi soltanto e in modo cos problematico che la guerra impedisce la forma-
zione di centri di potere durevole, ma anche che esiste qualcosa come un sistema della
guerra strutturalmente (e non: strumentalmente) antistatuale il quale, senza confonder-
si neppure con una politica di belligeranza a lungo termine, qualifica le societ primiti-
ve in tempo di pace non meno che durante i conflitti, investendosi senza contraddizio-
ne in un tipo di produzione sociale che, se del caso, pu ben essere distante da scopi di
ordine militare
37
. Nel discorso di Clastres, per, questo livello di analisi spesso riassor-
bito dal precedente, con la conseguenza che, per far fronte alle aporie pi sopra esem-
plificate, egli costretto a indebolire la sua concezione primaria con quella che ho defi-
nito la sua tesi minore.
Alla visione secondo cui le comunit primitive sono contrarie allo Stato in virt del
loro essere societ per la guerra Clastres affianca infatti lidea che esse siano contro lo
Stato, in certe circostanze, malgrado la guerra e il ruolo del guerriero
38
. Sembra quin-
di che il titolo del suo libro pi celebre debba essere ripensato: La societ contro lo Sta-
to significa, come finora sapevamo, che le comunit primitive avversano questultimo in
quanto guerriere, oppure significa che lo avversano avversando i guerrieri? Tutto ha ori-
gine da una distinzione tecnica che letnologo francese prospetta in forma esplicita in
uno dei suoi ultimi saggi. Tra gli Amerindi, scrive, non vi sono solo societ nelle quali
ciascun uomo si dedica periodicamente alla guerra, ma anche gruppi in cui solo alcuni
individui vi si dedicano permanentemente
39
, non perch formino una casta, ma perch
solo pochi uomini riescono a superare le temibili prove necessarie per entrare nel nove-
ro dei guerrieri. I gesuiti hanno conosciuto, nel Chaco, alcune di queste trib, fieramen-
te sprezzanti verso levangelizzazione
40
. Le comunit di questo genere, come gli Abiponi,
riservano grandi onori al guerriero, che vi onorato quanto temuto; la guerra, infatti, di-
venta in esse una vocazione personale, un fenomeno quasi asociale
41
solo raramente
approvato dalla collettivit. Che cosa impedisce dunque, si domanda Clastres, che que-
sti gruppi armati prendano il sopravvento sulla popolazione civile?
42
La sua risposta
che questultima, pur indifesa contro il guerriero, rappresenta per anche la sola deposi-
taria di ci a cui questi pi di tutto aspira, ossia la gloria mondana. La societ dunque
in grado di ricattare i guerrieri non rinnovando il prestigio a quelli che non si prestano a
prove sempre pi temerarie, spinte al limite del suicidio, e persino rifiutando di accoglie-
37
Cfr. ibid., p. 60: La guerra mette in dubbio lo scambio come insieme di relazioni sociopolitiche tra comunit
differenti, ma lo mette in questione proprio per fondarlo e istituirlo grazie alla mediazione dellalleanza. La
guerra, che nella proposizione principale un evento che contrasta con lo scambio, compare invece nel seguito
del periodo come un sistema che, sottoponendolo alle condizioni dellalleanza, lo trasforma in qualcosa di
nuovo e specifico. Da fenomeno antisociale quale dapprima appare, essa diventa quindi una vera e propria
macchina produttrice di realt sociale.
38
Cfr. Idem, Malheur du guerrier sauvage, cit. (tr. it. cit., p. 104).
39
Cfr. ibid., pp. 71-72.
40
Cfr. ibid., pp. 80-81.
41
Ibid., pp. 72-74.
42
Cfr. ibid., p. 90.
Delfo Cecchi
698
re gli sconfitti
43
. Sete donore ed essere-per-la-morte
44
esauriscono la vita del guerriero,
sottomessa a un destino che la collettivit sfrutta per cautelarsi contro il suo potere.
Non immediatamente evidente che Clastres abbia voluto esemplificare in questa
scena il problema dellorigine dello Stato; numerosi segni, tuttavia, rendono legittima
questa lettura
45
. Risulta subito chiaro, invece, che la sua protagonista la macchina del-
la guerra. Gi per il coniatore di questa nozione, ma pi radicalmente nellinterpreta-
zione di Gilles Deleuze e Flix Guattari
46
, questultima si presenta come una vera e pro-
pria produzione di realt sociale, nella quale rientrano il sistema primitivo dei lignaggi,
leconomia della violenza, lesercizio della crudelt rituale sui corpi, ecc.
47
. Non diffi-
cile scorgere molti di questi elementi nella nostra scena: un sistema nel quale un gruppo
armato possa essere tenuto in ostaggio dalla mancata conferma del prestigio e soggiace-
re consapevolmente a una politica del suicidio non si spiega certo solo con un riferimen-
to alla mentalit primitiva, bens presuppone unappropriata macchina sociale, nella
quale la gloria e la crudelt non rappresentano affatto dei valori sostitutivi rispetto a un
preteso potere reale che risiederebbe altrove, ma costituiscono anzi precisamente i di-
spositivi reali di un potere estraneo alla statualit. Questo significa, in breve, che non sta
proprio nelle teste dei guerrieri di trasformarsi in poliziotti, o almeno che un tale ma-
chiavellismo, se pure li riguarda, non pu essere che allogeno. Allora, per, per spiega-
re lavvento dello Stato non sembra pertinente riferirsi, come fa Clastres, allo sviluppo
di societ di guerrieri a fronte delle vecchie societ per la guerra, cio alla formazio-
ne di una macchina della guerra oligarchica anzich democratica; da un certo punto di
vista, anzi, la prima e non la seconda quella che estremizza il principio antistatuale di
un potere che si riversa integralmente allesterno. Il punto forte della riflessione di Cla-
stres che mi sembra necessario tenere fermo a monte delle sue riflessioni complementari
quindi che la genesi dello Stato dalla sola macchina della guerra strutturalmente im-
possibile
48
, perch persino una macchina della guerra gerarchica qualcosa che si oppo-
ne a ogni livello allo Stato.
43
Cfr. ibid., pp. 95-100.
44
Cfr. ibid., p. 101.
45
Cfr. ibid., p. 91: mai possibile che il gruppo dei guerrieri, come organo specializzato del corpo sociale,
divenga un organo separato del potere politico? In altre parole possibile che la guerra nasconda in s leven-
to probabile che qualunque societ primitiva tenta di scongiurare con ogni mezzo vale a dire la divisione
del corpo sociale in Signori (la minoranza dei guerrieri) e Sudditi (il resto della societ)?. Ora Clastres, per
esempio in op. cit., p. 64, definisce cos lo Stato: il segno di una divisione definitiva in seno alla societ,
poich lorgano separato del potere politico: la societ ormai divisa tra quanti esercitano il potere e quanti
lo subiscono.
46
Rinvio anzitutto, anche per tale interpretazione, al saggio di Paolo Godani presente in questo stesso vo-
lume. Non posso non riferirmi a mia volta in modo diretto ai due autori francesi, in ragione dellimportanza
della loro lettura di Clastres.
47
Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille plateaux. Capitalisme et schizophrnie, Minuit, Paris 1980 (tr. it. Mille
piani. Capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1987, per esempio pp. 535-536 e
579-580).
48
Cfr. peraltro lo stesso Clastres, La societ contro lo Stato, cit., p. 149: Non certo dalla chieftainship pri-
mitiva che pu dedursi lapparato statale in generale.
Unarcheologia del potere: lantropologia politica di Pierre Clastres
699
Archeologie dello Stato (un commento)
Nella loro profonda lettura di Clastres, che merita di essere qui esaminata anche per
meglio chiarire il discorso dellantropologo francese, Deleuze e Guattari tengono fer-
mo proprio quel punto. La macchina da guerra, dicono, non pu generare lo Stato,
dal momento che gli assolutamente esterna
49
; piuttosto, esso finisce per incorporar-
la fraudolentemente in s
50
. A differenza dellantropologo, i due filosofi presuppongo-
no quindi lesistenza dello Stato
51
ma, come si vedr, questa presupposizione tuttal-
tro che viziosa. Solitamente, il problema dellorigine del potere statuale viene impostato
cos: come sorto un detentore del potere coercitivo, ossia lo Stato? Tuttavia, quando si
domanda da dove tragga origine il potere statuale, ci che si vuol sapere potrebbe esse-
re non gi come sia sorto un detentore del potere coercitivo o Stato, bens come sia po-
tuto accadere che lo Stato, e non qualche altra cosa, sia divenuto il detentore del potere
coercitivo. Nella prima concezione si assume cio che, qualunque cosa divenga il deten-
tore del potere coercitivo, quel qualcosa lo Stato; nella seconda, Stato non invece
assunto come descrizione abbreviata per detentore del potere coercitivo, ma come de-
signatore rigido o nome proprio
52
. La seconda idea nega, quindi, che vi sia contraddi-
zione nel pensare che lo Stato possa esistere (o essere esistito) in qualche forma senza es-
sere dotato del potere coercitivo, postulato su cui viceversa la prima si regge. Le due tesi
sono talmente diverse che sembra a me pi importante mostrare la solidariet concettua-
le tra le posizioni che, stataliste oppure anche anarchiste, accolgono la prima (e sono la
maggior parte) che non invece farle divergere. La cosa vale esemplarmente per Clastres,
il quale si riconosce appunto da una coraggiosa prospettiva anarchica nella prima e
non nella seconda posizione indicata.
Postulando una sua aseit che precede lincorporazione della macchina da guerra,
gli autori di Mille piani determinano invece lo Stato in base a una posizione del secondo
tipo: evidentemente, infatti, concepire lo Stato come qualcosa che pot esistere in qual-
che modo o forma senza il potere militare significa asserire che esso non si definisce in
base al monopolio della forza coercitiva, che viene semmai ad assumere da fuori, succes-
sivamente e sorprendentemente. Vi dunque un Urstaat, privo di soldati ma non di po-
liziotti
53
, che funziona come un apparato di cattura nei confronti di tutto ci che cade
sotto la sua influenza, si tratti di uomini o enunciati o flussi di merci. Lobiezione secon-
do cui esso deve dunque disporre del monopolio della coercizione mal posta, perch
tutte le forze che potrebbero conferirglielo gli sono esterne e nemiche; ci che lo con-
traddistingue , semmai, lapplicazione di una forza concentrazionaria (poliziesca e non
bellicosa) che nessun guerriero avrebbe mai potuto concepire n credere possibile. Il
49
Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., pp. 514-515.
50
Cfr. ibid., p. 519. Anche lo spunto per questa idea clastresiano: cfr. P. Clastres, Archologie de la violence,
cit. (tr. it. cit., p. 67).
51
Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 526.
52
I termini sono quelli della semantica di S. Kripke, Naming and Necessity, Blackwell, Oxford 1980 (tr. it.
Nome e necessit, Boringhieri, Torino 1982). La responsabilit per un eventuale uso impreciso o teoreticamen-
te scorretto di questo libro illuminante , naturalmente, solo mia.
53
Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., pp. 611, 625.
Delfo Cecchi
700
problema del potere statuale in tal modo impostato in modo molto preciso: lo Stato
un sistema sempre gi dato (sia pure a diversi livelli di realizzazione), che opera in ogni
fase della storia umana
54
e si presenta in origine, forse, come una sorta di esperimento
di teratologia, dominio sperimentale degli infermi o dei miracolati
55
. Lontana dallessere
una trasmissione lineare del potere dai vecchi ai nuovi dominatori
56
, lorigine del potere
statuale assomiglia piuttosto allimprevedibile diffusione di un modello dapprima mar-
ginalizzato e secondario, non certo bellicoso ma anzi pacifista, fondato sulla segrega-
zione, sulla sicurezza e sul lavoro. Limpostazione classica (la prima pi sopra indicata)
allora completamente ribaltata: si potrebbe dire che, mentre per Clastres i dominatori
diventano carcerieri, per Deleuze e Guattari i carcerieri diventano dominatori.
Questa seconda prospettiva giustifica il problema dello Stato sul piano teoretico e lo
ribalta sul piano genetico. Lo giustifica sul piano teoretico perch, anzich dirci che il
dominatore il dominatore, afferma che il dominatore il carceriere o un suo epigono,
il che tuttaltro che tautologico. Lo ribalta sul piano genetico perch il carceriere che
divenuto dominatore non mai stato un guerriero, sebbene il modello sociale da lui rap-
presentato non avrebbe potuto imporsi senza limprevedibile incameramento della mac-
china da guerra. Il problema dello Stato non quindi come il potere politico giunga a
formarlo a partire da se stesso, bens come il dispositivo statuale si associ ai vettori del-
la politica, che in origine passano lontanissimi da lui e perseguono fini non solo distin-
ti, ma addirittura opposti ai suoi. Ci pu essere meglio illustrato come segue. Una po-
sizione continuista suo malgrado (negli esiti seppure non nei presupposti)
57
come quella
clastresiana, ove applicata a livello protostorico, conduce allidea che il comando dello
Stato sia il naturale attributo del capo vincitore e dei suoi guerrieri. Ma ci non affatto
ovvio, e tutto il problema reale passa appunto per questa non ovviet. Perch il dinasta
diventi altres uomo di Stato, come indubbiamente accade, necessario che due funzio-
ni completamente diverse si concatenino: da una parte, una politica barbarica che attra-
versa i lignaggi, versa il sangue oppure lo mescola, attua le vendette e le razzie; dallal-
tra parte, una politica di servizio consistente nella quadrettatura di un corpo sociale
di cui la prima funzione ignora persino lesistenza, e nei confronti del quale il monarca si
presenta come grande dispensatore
58
, impegnato nellorganizzazione del lavoro e nel-
la redistribuzione dei beni.
54
Per la critica esplicita dellopposta concezione clastresiana cfr. ibid., segnatamente pp. 627-631.
55
Cfr. ibid., p. 623: Il mito dello zombi, del morto-vivente, un mito del lavoro e non della guerra. La
mutilazione una conseguenza della guerra, ma una condizione, un presupposto dellapparato di Stato e
dellorganizzazione del lavoro (...). Lapparato di Stato ha bisogno, al vertice come alla base, di handicappati
presupposti, di mutilati preesistenti o di morti-nati, di malati congeniti, di guerci e di monchi.
56
Paradigmatico di questa concezione il libro, per altri versi pregevole, di un autore non ignoto a Deleuze
e Guattari come L. Mumford, The City in History, Harcourt, Brace and Jovanovich, 1961 (tr. it. La citt nella
storia, vol. I, Dal santuario alla Polis, Bompiani, Milano 1996, per esempio pp. 37 e 48: La naturale evoluzione
del cacciatore in condottiero politico apr probabilmente la strada alla sua successiva conquista del potere;
il condottiero locale si trasform in sovrano assoluto e divenne anche il sommo sacerdote del santuario, cui
si assegnavano ora attributi divini o quasi).
57
Cfr. anche G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 525.
58
Cfr. M. Harris, Cannibals and Kings. The Origins of Culture, Random House, New York 1977 (tr. it. Can-
nibali e re. Le origini delle culture, Feltrinelli, Milano 2007, p. 83).
Unarcheologia del potere: lantropologia politica di Pierre Clastres
701
Il re miceneo, per esempio, compare addirittura sotto due alfabeti: come uomo di
Stato (anax) nella durezza cacofonica della lineare B e come macchina da guerra (basi-
leus) nel greco di Omero
59
. Parleremo rispettivamente di uninfrastruttura reale e della
sua espressione ideologica, cortigiana e mistificante? Sembra a me pi interessante os-
servare che abbiamo qui a che fare con pezzi disparati
60
, che si costruiscono in luoghi di-
versi e per ragioni opposte; e mi sembra anche che, senza questa ammissione, sia mol-
to facile cadere nella madre di tutte le illusioni a proposito dello Stato, quella che ne fa,
magari con buona fede anarchica, un organismo. Anche Clastres, del resto, avanza in un
suo saggio il dubbio che una posizione continuista potrebbe essere illusoria
61
. Secondo il
pensiero Tup-Guaran, vera antitesi della filosofia occidentale, lUno lorigine dellim-
perfezione e la Terra che ne soffre terra malata
62
. I profeti nella giungla che, in un
contesto tribale eccezionale rispetto alla regola americana perch sottomesso allautorit
dei capi
63
, annunciano ai villaggi la mala essenza dellUno sembrano quindi essere, con
facile trasposizione, i nemici dello Stato
64
. E tuttavia, osserva acutamente Clastres, c
qualcosa di stranamente statuale in questa predicazione, perch la parola dei profeti, a
differenza di quella del capo amerindo tradizionale, chiede e ottiene consenso, sommuo-
ve lanima e la indirizza verso un compito
65
. La Foresta Tropicale amazzonica forse an-
che il labirinto del politico, nel quale le assonanze sono sempre echi che tradiscono e i
sentieri, pi sono chiari, pi sono interrotti. Testimonianza feconda dellaporia connes-
sa alla natura del potere, la ricerca rimasta aperta di Clastres costituisce, in pari tempo e
per altro verso, una tappa cruciale del pensiero rivoluzionario passato e presente.
BIOGRAFIA
Di formazione filosofica e precocemente ispirato dai lavori di Lvi-Strauss, a partire dal
1963 e per tutto il decennio Pierre Clastres (Parigi 1934-Gabriac, Linguadoca, 1977)
svolge ricerche etnografiche in Sudamerica soggiornando a pi riprese presso diverse
trib, tra cui i Guayaki paraguayani, i Guaran del Brasile e (nel 1970, assieme a Jacques
Lizot) gli Yanomami dellAmazzonia. Nel 1974 ricercatore presso il CNRS e, lanno suc-
cessivo, direttore della quinta sezione dellEcole Pratique des Hautes Etudes. Vicino fin
dalla giovinezza al gruppo di Socialisme ou barbarie, elabora unantropologia libertaria
nella quale si produce una critica radicale non solo delletnocentrismo e dellevoluzioni-
59
Cfr. J.-P. Vernant, Les origines de la pense grecque, PUF, Paris 1962 (tr. it. Le origini del pensiero greco,
Editori Riuniti, Roma 1993, pp. 38-39).
60
Per il mondo miceneo, cfr. a tal proposito ibid., p. 28.
61
Cfr. in particolare P. Clastres, La societ contro lo Stato, cit., p. 155.
62
Cfr. Idem, De lUn sans le Multiple, LEphmre, n. 19-20/1972-73 (tr. it. in op. cit., p. 126).
63
Cfr. Idem, Indpendance et exogamie. Structure et dynamique des socits indiennes de la Fort Tropicale,
Lhomme, vol. III, n. 3/1963 (tr. it. in op. cit., pp. 56-57).
64
Cfr. ibid., p. 157: LUno lo Stato. Il profetismo tup-guaran il tentativo eroico di una societ primitiva
di abolire il male nel rifiuto radicale dellUno come essenza universale dello Stato.
65
Cfr. ibid., p. 158: Parola profetica, potere di questa parola: abbiamo ritrovato, qui, il luogo originario del
potere senzaltro, il principio dello Stato nel Verbo? Sono, i profeti, conquistatori di anime in attesa di essere
signori degli uomini? Forse.
Delfo Cecchi
702
smo antropologico, ma anche delleconomicismo che contraddistingue letnologia mar-
xista e del relazionismo astratto su cui si basa quella strutturalista. Muore appena qua-
rantatreenne, a seguito di un incidente automobilistico.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Clastres
Chronique des indiens Guayaki. Ce que savent les Ach, chasseurs nomades du Paraguay, Plon, Paris
1972 (tr. it. Cronaca di una trib. Il mondo degli indiani Guayaki, cacciatori nomadi del Para-
guay, Feltrinelli, Milano 1980).
Le grand parler. Mythes et chants sacrs des indiens Guarani, Seuil, Paris 1974.
La socit contre lEtat. Recherches danthropologie politique, Minuit, Paris 1974 (tr. it. La societ
contro lo Stato, Feltrinelli, Milano 1977).
Recherches danthropologie politique, Seuil, Paris 1980.
Mythologie des indiens Chulupi, Peeters, Paris 1992.
Archologie de la violence. La guerre dans les socits primitives, Laube, Paris 1997 (ristampa in
volume dellomonimo articolo di Libre, n. 1/1977) (tr. it. in Archeologia della violenza, La
Salamandra, Milano 1980).
Letteratura secondaria su Clastres e testi complementari
AA.VV., Lesprit des lois sauvages. Pierre Clastres ou une nouvelle anthropologie politique, Seuil,
Paris 1987.
Balandier, G., Anthropologie politique, PUF, Paris 1967 (tr. it. Antropologia politica, Etas Kompass,
Milano 1969).
Clastres, H., La terre sans mal. Le prophtisme Tupi-Guarani, Seuil, Paris 1975.
Deleuze, G., Guattari, F., Mille plateaux. Capitalisme et schizophrnie, Minuit, Paris 1980 (tr. it. Mil-
le piani. Capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1987, vol. II).
Sahlins, M., Stone Age Economics, Aldine-Atherton, Chicago 1972 (tr. it. Leconomia dellet del-
la pietra. Scarsit e abbondanza nelle societ primitive, Bompiani, Milano 1980). (La prefazio-
ne alledizione francese di questo libro di Clastres).
703
LA RIVOLUZIONE IMMANENTE.
POLITICHE DI GILLES DELEUZE E FLIX GUATTARI
Paolo Godani
Desiderio e campo sociale
Le analisi di pi spiccato interesse politico che Deleuze e Guattari svolgono nelle loro
opere maggiori, LAnti-Edipo e Mille piani, e che vengono variamente rubricate dagli
stessi autori sotto i titoli di schizoanalisi, pragmatica o cartografia presentano, almeno in
prima approssimazione, i caratteri di una genealogia del potere. Pi precisamente, lana-
lisi cartografica intende essere una sorta di genesi trascendentale delle dinamiche socia-
li, delle istituzioni, dei dispositivi e degli apparati di potere, non cio una ricostruzione
empirica di processi storici, bens una ricerca delle condizioni che stanno alla base del-
le diverse componenti di una formazione sociale con la precisazione necessaria che in
Deleuze e Guattari tali condizioni, per quanto non empiriche, non si presentano come
strutture trascendenti, sempre identiche a s e indipendenti dalla contingenza storica,
ma vanno intese come campi virtuali messi in continua variazione dalle loro attualizza-
zioni storiche: la cartografia deleuziano-guattariana consiste nel reperimento di con-
dizioni trans-storiche, le quali sono tuttavia modulate dalle loro stesse attualizzazioni,
ovvero dalle diverse modalit concrete con cui vengono, di volta in volta, praticamen-
te realizzate (ed per questo che il lavoro di Deleuze e Guattari pu essere considera-
to come una pragmatica).
Propriamente parlando, le analisi che si trovano nellAnti-Edipo e in Mille piani non
si riducono ad una genealogia del potere. In effetti, gli oggetti di tali analisi non sono sol-
tanto i dispositivi e gli apparati di potere o di governo, bens, pi in generale, ogni gene-
re di relazioni e tendenze che costituiscono una societ. Implicita in questa presa di po-
sizione metodologica lidea che non esista alcuna differenza di natura tra gli apparati
di potere e le dinamiche sociali, ovvero che il potere non costituisca unentit autono-
ma e separata rispetto alle molteplici tendenze e configurazioni possibili del campo so-
ciale. In questo, lopera di Deleuze e Guattari concorda pienamente con quella di Mi-
chel Foucault e, come questultima, si oppone esplicitamente ad unimmagine del potere
come entit trascendente. In entrambi i casi, si tratta di far valere listanza critica per cui
Paolo Godani
704
il pericolo da evitare pi di ogni altro consiste nel forgiarsi limmagine del potere come
Moloch incomprensibile, inarrivabile, padrone dei propri mezzi, infinitamente potente
e dunque, in fin dei conti, intoccabile. La tesi radicale che gli autori dellAnti-Edipo arri-
vano a sostenere che le organizzazioni di potere, lungi dallessere i prodotti puri di un
Padrone supremamente maligno e scaltro
1
, sono da considerarsi entit spurie, secon-
de e derivate, in quanto sempre fondate su un campo di relazioni che non pertiene in-
nanzitutto al potere, bens al desiderio
2
.
Lanalisi genetica delle configurazioni sociali avr dunque come suoi oggetti le diffe-
renti modalit con cui il campo sociale viene investito dalle dinamiche del desiderio (
questa la ragione per cui la cartografia pu essere chiamata anche schizoanalisi). In ge-
nerale, infatti, le condizioni di cui la genesi trascendentale fa il proprio oggetto dinda-
gine sono le tendenze che strutturano i livelli di organizzazione costitutivi di una societ;
tali tendenze sono sempre positive e affermative, sono cio sempre espressioni di desi-
derio, anche quando, per ragioni che sar necessario mettere in luce, danno luogo a con-
figurazioni repressive, castranti o sacrificali.
Ci che lAnti-Edipo definisce coestensivit del desiderio e del campo sociale
un principio fondamentale dellintero lavoro di Deleuze e Guattari, che spiega la ra-
gione per cui ogni genesi delle formazioni sociali deve affondare le sue radici sul terre-
no di unanalisi dellinconscio. Che desiderio e campo sociale siano coestensivi signifi-
ca che ogni fenomeno sociale presenta un determinato coefficiente di desiderio e che
ogni desiderio ha sempre come suo oggetto lintero campo delle relazioni sociali; signi-
fica in altre parole che, da un lato, ogni evento collettivo e ogni configurazione sto-
rica sono sempre lespressione immediata di una certa economia libidinale, e, daltro
lato, che ogni desiderio si compone sempre di materiali storici e sociali, ovvero sem-
pre lespressione immediata una certa economia politica. La schizoanalisi non si limite-
r come ancora il freudo-marxismo di Reich e Marcuse a cercare le condizioni di una
conciliazione dialettica tra le due sfere separate del desiderio e dellorganizzazione so-
ciale, delleconomia libidinale e delleconomia politica, ma affermer lesistenza di una
sola economia (libidinale e politica al contempo) e si proporr di mostrare come il de-
siderio inconscio investa sessualmente le forme di questa economia tutta intera
3
. Ricu-
sare il dualismo tra economia politica ed economia libidinale significa negare che, al fine
di comprendere la comunicazione tra la sfera psichica e quella sociale, tra il privato e il
pubblico, tra lindividuale e il collettivo, tra lambito della sessualit e quello della poli-
tica, sia necessario far ricorso a mediazioni dialettiche. Significa cio affermare listanza
di un pensiero monista e immanentista, per il quale tra economia libidinale ed economia
politica non sussiste alcuna differenza di natura, bens solo una differenza di regime.
Una conseguenza di questo discorso, sul piano terminologico e metodologico, sar
che i termini tratti dalleconomia libidinale (schizofrenia, paranoia etc.) varranno lette-
1
G. Deleuze, C. Parnet, Dialogues, Flammarion, Paris 1977; tr. it. di G. Comolli, Conversazioni, ombre
corte, Verona 1988, p. 160.
2
Solo su questo punto gli autori sembrano distinguersi da Foucault: cfr. G. Deleuze, Desir et plaisir, in Id.,
Deux rgimes de fous, Minuit, Paris 2003; tr. it. di A. Negri, Desiderio e piacere, in Id., Divenire molteplice,
ombre corte, Verona 1996, pp. 77ss.
3
G. Deleuze, Quatre propositions sur la psychanalyse, in Deux rgimes de fous, cit., p. 79.
La rivoluzione immanente. Politiche di Gilles Deleuze e Flix Guattari
705
ralmente per identificare gli elementi e le dinamiche delleconomia politica, cos come i
termini tratti dalleconomia politica (reazionario, rivoluzionario etc.) verranno utilizza-
ti, senza la necessit di alcuna transizione del senso, cio senza metafora, per individua-
re gli elementi e le dinamiche delleconomia libidinale. Si dir, per esempio, che il dive-
nire rivoluzionario di una certa porzione di societ sar identico al manifestarsi in essa
di una tendenza schizofrenica, cos come il divenire reazionario sar la stessa cosa che
il diffondersi di una tendenza di tipo paranoico. E se sar inutile domandarsi attraverso
quali mediazioni un regime totalitario possa influire sulle menti dei propri cittadini, op-
pure come un desiderio individuale arrivi a connotarsi politicamente, diverr invece ne-
cessario mostrare limmanenza reciproca delle pratiche di uno Stato totalitario con cer-
te configurazioni di desiderio, oppure la coincidenza immediata tra una certa dinamica
del desiderio e una determinata configurazione sociale e politica.
Trovandosi di fronte ad una questione classica della filosofia politica quella che nel
Trattato teologico-politico di Spinoza viene formulata con la domanda perch gli uomi-
ni combattono per la propria servit come se si trattasse della propria salvezza? e che
Wilhelm Reich ripropone a suo modo, dichiarando la propria sorpresa per il fatto che
gli affamati non rubino sempre e che gli sfruttati non facciano sempre sciopero
4
De-
leuze e Guattari, conseguentemente alle loro premesse, sono costretti a prendere le di-
stanze dalla risposta paternalistica che il marxismo condivide con il senso comune, cio
dallappello alle mistificazioni del potere e agli inganni che questultimo ingenera nelle
masse. Sulla scia di Reich, che sottolinea lurgenza della questione al fine di render con-
to delladesione delle masse al fascismo, Deleuze e Guattari ricusano lipotesi paternali-
stica e, coerentemente con il loro principio di coestensivit, ritengono che ogni adesione
delle masse ad un potere oppressivo implichi una determinata configurazione del desi-
derio che andr indagata come tale.
Per rispondere alla questione di Spinoza e di Reich, LAnti-Edipo invita a considera-
re due elementi. Il primo, in base al quale necessario distinguere due livelli dellinve-
stimento libidinale: pre-conscio e inconscio. Linteresse razionale decisivo, nella deter-
minazione di una decisione politica, solo ad un livello pre-conscio. Pu ben sussistere,
tuttavia, una contraddizione flagrante tra ci che si desidera razionalmente, al livello su-
perficiale del pre-conscio, e ci che invece governa le profondit dellinconscio. Per que-
sto pu accadere che ladesione ad un determinato regime sociale e politico venga riget-
tata razionalmente e tuttavia affermata inconsciamente (si consideri, in questo senso, il
caso da manuale del razzismo); cos come pu accadere che coesistano senza problemi
un investimento pre-conscio rivoluzionario (ad esempio ladesione ad un gruppo sov-
versivo) e un investimento inconscio reazionario (ad esempio la conservazione, in quel-
lo stesso gruppo, della subordinazione femminile). Il secondo elemento da considerare
la necessit di distinguere due poli dellinvestimento inconscio: luno fondamentalmente
paranoico, laltro essenzialmente schizofrenico corrispondenti rispettivamente ad una
posizione politicamente reazionaria e ad una rivoluzionaria. Semplificando alla radice le
analisi complesse che Deleuze e Guattari dedicano a questi temi, si dir che il polo para-
4
Entrambe le citazioni sono riportate in G. Deleuze, F. Guattari, LAnti-dipe. Capitalisme et schizophrnie,
Minuit, Paris 1972; tr. it. di A. Fontana, LAnti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975, p. 32.
Paolo Godani
706
noico-reazionario implica una subordinazione delle molteplicit e delle variazioni costi-
tutive sia del desiderio sia del campo sociale ad una loro organizzazione globale, selettiva
e statistica, laddove, viceversa, il polo schizofrenico-rivoluzionario implica la subordi-
nazione di ogni forma di organizzazione alle micro-dinamiche cui essa si applica. Si tro-
ver una tendenza o un regime di desiderio di tipo paranoico-reazionario tutte le volte
che le variazioni e le punte estreme di una macchina desiderante e di un campo socia-
le vengono subordinate ad unorganizzazione statistica e globale (o molare, come di-
cono anche gli autori, utilizzando il linguaggio della chimica); si trover invece una ten-
denza o un regime schizofrenico-rivoluzionario ogni volta che saranno le organizzazioni
molari ad essere subordinate ai movimenti infinitamente sottili (o molecolari) che cor-
rono sul piano del desiderio e sul campo sociale. In conclusione, il proprio assoggetta-
mento ad un regime reazionario pu essere letteralmente desiderato, in quanto anche la
subordinazione delle dinamiche libidinali e sociali ad unorganizzazione molare una
certa configurazione inconscia del desiderio, la quale pu venire parafrasata nei termini
seguenti: piuttosto che restare impotenti fuori dai giochi, si preferisce godere nel sentirsi
un ingranaggio, per quanto infimo e oppresso, di una potente macchina sociale.
Il compito della schizonalisi sar innanzitutto quello di operare una valutazione im-
manente delle caratteristiche che, in una data situazione (sia una formazione sociale, un
gruppo politico o una relazione di coppia), distinguono il polo paranoico-reazionario da
quello schizofrenico-rivoluzionario. Si tratter dunque di unanalisi che, facendosi cari-
co al contempo delle dinamiche del desiderio e dei movimenti sociali, tenter di ricono-
scere e denunciare, ad ogni livello, le tendenze che possono portare allinstaurarsi di un
regime oppressivo, e cercher viceversa di mettere in luce, ancora ad ogni livello, le ten-
denze proprie di un processo di liberazione riconoscendo tuttavia linutilit, oltre che
linanit teorica, di concepire la differenza tra reazione e rivoluzione come unopposizio-
ne manichea tra due principi indipendenti. Unimpostazione di questo genere ci sugge-
risce fra laltro qualcosa che concerne ancora il metodo dellanalisi sociale e politica, cio
che se le decisioni che fanno andare la storia in una direzione piuttosto che in unaltra,
che stabiliscono se una situazione declina verso il generalizzarsi della reazione o piutto-
sto verso il diffondersi di esigenze rivoluzionarie, si compiono in funzione di svolte mi-
nime, impercettibili e inconsce, queste, per essere comprese, esigono analisi micrologi-
che e concetti appuntiti, piuttosto che grandi opposizioni globali.
Schizofrenia e capitalismo
Lidea che la schizofrenia sia la malattia del nostro tempo non si fonda, almeno in Deleu-
ze e Guattari, su vaghe considerazioni riguardanti lo stile di vita moderno, bens sullin-
dividuazione di meccanismi molto precisi di natura economica, sociale e politica
5
, in
particolare sulla considerazione che le nostre societ non funzionano pi in base a co-
dici e territorialit, ma al contrario secondo una decodificazione e una deterritorializza-
5
G. Deleuze, Schizophrnie et societ, in Deux regime de fous, cit., p. 27.
La rivoluzione immanente. Politiche di Gilles Deleuze e Flix Guattari
707
zione massicce
6
, cio secondo quelle che sono le tendenze fondamentali del processo
schizofrenico
7
. Secondo gli autori, tra la societ moderna o, meglio, tra la societ capi-
talistica e i processi propri della schizofrenia esiste una relazione immediata, la quale si
dispiega tuttavia in maniera essenzialmente problematica, nel senso che nella formazio-
ne sociale capitalistica le operazioni fondamentali della schizofrenia sono al contempo
costitutive e contrariate.
Facendo riferimento, da un lato alle celebri analisi marxiane, dallaltro alle ricerche
storiche di Fernand Braudel, Deleuze e Guattari ritengono che le condizioni di possibi-
lit del capitalismo risiedano in due figure nate dalla disgregazione dei legami sociali
precedenti: operai e capitale. Perch vi sia capitalismo necessario, in primo luogo, lav-
vento di una figura nata dalla progressiva scomparsa dei codici (il vassallaggio, ad esem-
pio) e delle territorialit (il castello e il suo circondario) che definivano il regime feudale,
quella del lavoratore deterritorializzato e decodificato, libero e nudo, costretto a ven-
dersi come forza-lavoro. In secondo luogo, altres necessario che una potenza econo-
mica, cio una massa monetaria decodificata, si sia resa libera e si sia accumulata sotto
forma di capitale, perch cominci a sussistere la capacit di comprare quella forza-lavo-
ro. Sono numerosi, diversificati e complessi, naturalmente, i processi storici che hanno
prodotto le condizioni per la nascita del capitalismo; tuttavia, secondo Deleuze e Guat-
tari, sono fondamentalmente processi di decodificazione e deterritorializzazione
8
quelli
che definiscono il capitalismo come tale, in tutti i suoi sviluppi.
Nondimeno, decodificazione e deterritorializzazione non costituiscono che una par-
te della definizione deleuziano-guattariana del capitalismo. In generale, infatti, lessenza
della dinamica capitalistica quella di una tendenza contrariata. Ci non significa affat-
to che la tendenza fondamentale del capitalismo (la quale risulterebbe in tal caso intima-
mente positiva) sia contrariata da qualche forza esteriore: il capitalismo stesso a pro-
durre, come sua necessit intrinseca, i dispositivi (psichici, sociali, economici e politici)
che ne contrariano la tendenza decodificante e deterritorializzante, ovvero schizofreniz-
zante. Della molteplicit di tali dispositivi limitiamoci a considerare quelli che esercita-
no le funzioni primarie. La tendenza schizofrenica del capitalismo contrariata a tre li-
velli: quello della produzione desiderante stessa, attraverso la costruzione di dispositi-
vi per la riproduzione sociale (la famiglia e lEdipo, ad esempio); quello propriamente
economico della produzione di ricchezza, attraverso listituzione della propriet privata
dei mezzi di produzione; quello sociale, economico e politico ad un tempo, della produ-
zione, della riproduzione e soprattutto della regolazione del sistema capitalistico nel suo
6
Ibidem.
7
Facendo proprie le analisi di K. Jaspers prima e di R.D. Laing poi, Deleuze e Guattari ritengono che sia
necessario distinguere la schizofrenia in se stessa, come processo affermativo, dalla sua degenerazione in fe-
nomeno patologico.
8
Deterritorializzazione del suolo realizzata attraverso la privatizzazione; decodificazione dei mezzi di
produzione realizzata per appropriazione; privatizzazione dei beni di consumo realizzata attraverso la dis-
soluzione della famiglia e della corporazione; e ancora: deterritorializzazione della ricchezza compiuta per
mezzo dellastrazione monetaria; decodificazione dei flussi di produzione da parte del capitale mercantile;
decodificazione degli Stati da parte del capitale finanziario e il debito pubblico: G. Deleuze, F. Guattari,
LAnti-Edipo, cit., p. 255.
Paolo Godani
708
complesso, attraverso la funzionalizzazione dellapparato di Stato e listituzione di orga-
nismi di controllo (le banche centrali, per esempio). Non potendo qui illustrare i tre li-
velli nella complessit delle loro connessioni reciproche, ci limitiamo a prendere in con-
siderazione lultimo di essi.
Una delle affermazioni pi perentorie che si possano trovare nellAnti-Edipo que-
sta: non c mai stato capitalismo liberale
9
. Con ci, gli Autori vogliono indicare chia-
ramente come per il capitalismo la funzione contrariante dello Stato e delle istituzioni
che regolano il mercato non sia in alcun caso un elemento estrinseco, contingente,
prescindibile: si ha talora limpressione che i flussi di capitale filerebbero volentieri
sulla luna, se lo Stato capitalistico non fosse l a ricondurli sulla terra
10
. La relazione
del capitalismo con lo Stato, cos come viene professata dai suoi intellettuali e praticata
dagli operatori economici e politici, dipende sostanzialmente dai cicli economici e dal-
la situazione del conflitto sociale. In generale, sostengono Deleuze e Guattari, i con-
trolli e le regolazioni statali non tendono a scomparire o ad attenuarsi se non in caso di
abbondanza di manodopera e di espansione inabituale dei mercati
11
, e viceversa ten-
dono a farsi sempre pi numerosi e invasivi nelle fasi di recessione e nei momenti in cui
necessario contenere il conflitto sociale. Il capitalismo ha certo bisogno dello Stato
per lesercizio delle funzioni repressive e poliziesche, ma ne ha bisogno soprattutto per
la sua funzione economica di regolazione. Vedremo subito in cosa consista pi esatta-
mente questultima. Prima per necessario precisare che, per Deleuze e Guattari, le
funzioni regolatrici dello Stato non implicano alcuna sorta di arbitrato tra classi. Che lo
Stato sia interamente al servizio della classe dominante ai loro occhi unevidenza
pratica
12
che trova la sua ragione teorica nellimpossibilit strutturale di un vero anta-
gonismo che sia interno alla formazione capitalistica. Da questa ipotesi deriva fra lal-
tro la convinzione, espressa a pi riprese dagli Autori, che la distruzione del capitali-
smo non possa essere il frutto della contraddizione di classe, bens semmai il risultato
di unaccelerazione e di una radicalizzazione degli stessi processi di decodificazione e
deterritorializzazione.
Vediamo dunque, attraverso quello che ci pare lesempio decisivo, come possa
concretizzarsi la funzione regolatrice o di controllo dello Stato, in quanto tendenza
che contraria, in un senso perfettamente immanente, la schizofrenizzazione capitali-
stica. Lesempio concerne la natura della moneta. Questa, in quanto equivalente gene-
rale, una quantit astratta indifferente agli oggetti qualificati a cui si applica. solo
in funzione della moneta come mera quantit che la qualificazione, la codificazione e
il valore duso di un oggetto o di una cosa perdono la loro rilevanza, trasformando la
cosa stessa in una merce. La trasformazione di un oggetto qualificato in merce , in
altri termini, un processo di decodificazione. Nella sua sussunzione capitalistica, que-
sta tendenza necessariamente contrariata, e lo grazie al lavoro di due agenti (o di
un agente a due facce): il sistema bancario e lapparato di Stato. Loperazione fonda-
9
Ibid., p. 287.
10
Ibid., p. 294.
11
Ibid., p. 288.
12
Ibid., p. 290.
La rivoluzione immanente. Politiche di Gilles Deleuze e Flix Guattari
709
mentale consiste, dalla parte del sistema bancario, nel canalizzare la moneta nei due
percorsi differenti del pagamento e del finanziamento, dello scambio e del credito, e,
dalla parte dello Stato, nellassicurare la convertibilit teorica della moneta di credi-
to. Ci che questi due momenti realizzano limposizione di una regolazione imma-
nente, ovvero di una assiomatizzazione, la quale, senza rinunciare al carattere che
consente alla moneta di circolare dovunque funzionando come equivalente generale,
le impone un doppio regime di funzionamento e di circolazione. Non lo stesso de-
naro scrivono gli Autori ad entrare nelle tasche del salariato e ad iscriversi nel bi-
lancio di unimpresa. Nel primo caso, segni monetari impotenti di valore di scambio,
un flusso di mezzi di pagamento relativi a beni di consumo e a valori duso, una rela-
zione biunivoca tra la moneta e una gamma imposta di prodotti (...); nellaltro caso,
segni di potenza del capitale, flussi di finanziamento
13
. Da un lato, il cosiddetto po-
tere dacquisto del salario espressione derisoria, in quanto indica precisamente il
suo contrario: limpotenza assoluta del salariato, nonch limpotenza relativa del capi-
talista industriale dallaltro, il flusso di potenza del capitale mercantile e finanziario.
La banca attiva in entrambi i circuiti, ad esempio quando utilizza le riserve di mo-
neta di scambio come elemento di garanzia per la convertibilit della moneta di credi-
to. Questultima operazione, tuttavia, non potrebbe essere appannaggio delle banche,
e in particolare delle banche centrali come organi istituzionali, se non fosse in vario
modo sostenuta dalla superiore assicurazione dello Stato, che dunque interviene in
maniera non contingente nellorganizzazione del sistema monetario. Per questo pos-
sibile concludere, tenendo assieme i due volti dellagente che conserva e riproduce la
duplicit dei flussi (e con questa la gerarchia sociale capitalistica), che la vera polizia
del capitalismo sono la moneta e il mercato
14
.
Come si pu comprendere anche solo da questo esempio, la posizione di Deleuze e
Guattari non si confonde n con quella di chi vede come una sorta di male assoluto la
circolazione del denaro e la conseguente mercificazione universale indotta dal capita-
lismo (si pensi alle pur diverse posizioni espresse dalla Scuola di Francoforte e dal Situa-
zionismo), n con quella di chi vuole vedere in certe dinamiche capitalistiche una sorta
di comunismo in nuce, che attende, per la sua realizzazione, solo leliminazione dei ca-
pitalisti (si pensi, in questo caso, allimpostazione di un certo operaismo o post-operai-
smo italiano). Contro i primi, Deleuze e Guattari non smettono di sottolineare come nel
carattere schizofrenico della monetizzazione e della mercificazione, nel continuo fuggire
dei flussi, il capitalismo mostri lidentit della propria tendenza con quella, liberatoria,
della produzione desiderante; e come, di conseguenza, il movimento della liberazione
non possa che procedere nella stessa direzione schizofrenizzante che muove il deside-
rio e che si trova contrariata dal capitalismo. Contro i secondi, gli Autori possono far
notare che non esisterebbe capitalismo se la sua tendenza alla decodificazione e alla de-
territorializzazione non fosse permanentemente e immanentemente contrariata, se cio
la dinamica affermativa e positiva del desiderio che nel capitalismo si esprime non fos-
se costantemente e violentemente controllata dalla produzione di una assiomatica che
13
Ibid., pp. 258-259.
14
Ibid., p. 271.
Paolo Godani
710
ripristina, sotto tuttaltre forme rispetto a quelle dei regimi precedenti, le funzioni di ri-
codificazione e di riterritorializzazione
15
.
Concludendo sulla questione dei rapporti tra capitalismo e schizofrenia, si compren-
der, a questo punto, in che senso si possa dire che lo schizofrenico come il limite del-
la nostra societ, ma il limite sempre scongiurato, represso, aborrito
16
. La schizofrenia
la condizione desistenza della dinamica capitalista (o la sua tendenza fondamentale) e il
suo limite interno, come tale sempre controllato e contrariato; ma al contempo, in quan-
to non assicurato che i flussi schizofrenici prodotti dalla dinamica del capitalismo rie-
scano ad essere ogni volta ricondotti allinterno delle compatibilit economiche, sociali
e politiche, la schizofrenia anche il limite esterno del capitalismo, cio la condizione di
possibilit (essa stessa immanente) della sua distruzione
17
.
La macchina da guerra
La questione di cui abbiamo in precedenza ricordato i termini spinoziani (perch gli uo-
mini combattono per la propria servit come se si trattasse della propria salvezza?)
strutturalmente analoga alla domanda che ogni rivoluzionario non ha mai smesso di por-
si: perch la rivoluzione viene tradita? Anche la risposta di Deleuze e Guattari a questa
seconda domanda del tutto simile a quella fornita per la prima: i tradimenti, in quan-
to fondati su investimenti paranoici inconsci che persistono allinterno dei gruppi rivo-
luzionari, sono presenti fin dallinizio. Ma che le rivoluzioni finiscano male, e per ragio-
ni intrinseche (che non significa fatalmente inevitabili), non certo una buona ragione
per criticare o reprimere (a seconda dei ruoli sociali che si recitano) linvestimento schi-
zofrenico inconscio presente in esse; semmai un buon motivo per non dismettere mai
la vigilanza critica, verso i nemici come verso gli amici, tanto nei confronti della forma-
zione sociale vigente quanto nei riguardi delle proprie formazioni sovversive. In effetti,
il compito che Deleuze e Guattari attribuiscono allanalisi non in nessun caso di natu-
ra progettuale, bens sempre e solo critico:
la schizoanalisi come tale non pone il problema della natura del socius che deve uscire dalla
rivoluzione; n pretende in alcun caso di valere per la rivoluzione stessa. Dato un socius, la
schizoanalisi si domanda solo che posto esso riservi alla produzione desiderante, quale ruolo
motore abbia in esso il desiderio, in quali forme vi si realizzi la conciliazione tra il regime della
produzione desiderante e il regime della produzione sociale
18
.
15
Valga, per gli uni e per gli altri, la seguente dichiarazione: Nella formazione di sovranit capitalista (...) la
grande assiomatica sociale ha rimpiazzato i codici territoriali e le surcodificazioni dispotiche che caratterizza-
vano le formazioni precedenti; cos si formato un insieme gregario, molare, in cui lassoggettamento non ha
eguali: G. Deleuze, F. Guattari, LAnti-Edipo, cit., pp. 427-428.
16
G. Deleuze, Schizophrnie et societ, in Deux rgimes de fous, cit., p. 27.
17
Pi precisamente: poich le tendenze schizofrenizzanti e rivoluzionarie del capitalismo sono sempre in-
trinsecamente contrariate, la schizofrenia capitalistica sempre e solo un rischio scongiurato. Solo la ripresa
schizofrenica di una tendenza in atto nel capitalismo e la sua trasformazione in linea di fuga rivoluzionaria
consente di creare le condizioni per la distruzione del capitalismo.
18
G. Deleuze, F. Guattari, LAnti-Edipo, cit., p. 437.
La rivoluzione immanente. Politiche di Gilles Deleuze e Flix Guattari
711
Proprio un atteggiamento di questo genere, puramente analitico e critico, conduce De-
leuze e Guattari a prendere posizioni non pregiudiziali, e tuttavia molto nette, su alcu-
ne delle questioni che hanno diviso i movimenti rivoluzionari novecenteschi, ad esem-
pio sulla natura e la funzione dellorganizzazione politica. Lungi dal militare in favore di
uno spontaneismo ingenuo, Deleuze e Guattari sono ben consapevoli che il problema di
ogni rivoluzione sempre di natura organizzativa; e tuttavia ritengono che lorganizza-
zione tradizionale del partito vada rifiutata, in quanto costruita in funzione della conqui-
sta dellapparato di Stato. Cos, la questione che devono porsi la seguente: possibile
unorganizzazione che non si modelli sullapparato di Stato, anche solo in modo da pre-
figurare lo Stato a venire?
19
. Che una risposta positiva a questa domanda debba esservi
non deriva da ci che altri, con le note conseguenze, hanno esaltato come ottimismo del-
la volont, bens semmai da un ottimismo della ragione (il quale saccoppia forse ad un
pessimismo o, meglio, ad una messa fuori causa della volont)
20
, quello stesso ottimismo
che attraversa le pagine di Mille piani dedicate alla macchina da guerra.
Sono innanzitutto gli studi di Georges Dumzil sulla mitologia indo-europea ad es-
sere utilizzati da Deleuze e Guattari per argomentare in favore della loro tesi fondamen-
tale: lesteriorit della macchina da guerra rispetto allapparato di Stato. La sovranit
politica, con i suoi due poli, quello del despota e del legislatore, del re-mago e del prete-
giurista, di Varuna e Mitra, non contempla nel proprio orizzonte la funzione guerriera,
la figura di Indra, il dio della guerra. Ci non significa che lo Stato non disponga di una
violenza propria, di apparati di tipo poliziesco o carcerario ad esempio, o che non pos-
sa appropriarsi di un esercito per condurre una guerra. Ma indica che la funzione guer-
riera, in quanto tale, essenzialmente esteriore allapparato di Stato. Lintento di Deleu-
ze e Guattari mostrare la possibilit e la natura di una macchina sociale che, in quanto
genealogicamente esteriore allapparato di Stato, risulti essenzialmente eterogenea ri-
spetto ad esso; e tuttavia, nelle loro ricerche considerano innanzitutto la macchina da
guerra, in ragione dellipotesi, formulata da un discepolo di Dumzil, letnologo Pierre
Clastres, secondo cui proprio la guerra nelle societ primitive avrebbe avuto la funzio-
ne eminente di conservare la molteplicit dei gruppi sociali, scongiurando la centraliz-
zazione del potere e dunque la formazione dello Stato. In breve, nella nozione di mac-
china da guerra Deleuze e Guattari vogliono conservare il carattere desteriorit che la
funzione guerriera presenta rispetto alla sovranit, nonch la funzione anti-statuale del-
la guerra primitiva, mostrando tuttavia come una macchina da guerra assuma la guerra
come suo oggetto proprio solo in determinate circostanze (cio, nella fattispecie, quan-
do viene catturata da un apparato di Stato). In che cosa consiste, dunque, questa fun-
zione guerriera che non ha pi solo la guerra come oggetto? Ovvero, che cos una mac-
china da guerra rivoluzionaria?
Per Deleuze e Guattari una macchina da guerra rivoluzionaria non certo perch
dia luogo ad unorganizzazione capace di prendere il potere, sostituendo i reggitori pre-
19
G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., pp. 159-160. La citazione continua: Allora, una macchina da
guerra, con le sue linee di fuga? Opporre la macchina da guerra allapparato di Stato: in ogni concatenamento,
anche musicale, anche letterario....
20
Cfr. F. Zourabichvili, Deleuze e il possible (sul non volontarismo in politica), aut-aut, n. 276/1996.
Paolo Godani
712
cedenti. Anche in questo caso, si tratta di pensare la dinamica rivoluzionaria, quello che
gli autori chiamano divenire rivoluzionario, senza far ricorso ad alcun tipo di dialet-
tica, per esempio senza ricorrere alla logica del rovesciamento (quella stessa che Marx
mette al lavoro ancora nel Capitale). Se qualcosa come una funzione rivoluzionaria esi-
ste, se cio si d una macchina da guerra rivoluzionaria, allora essa esister da sempre e
dovunque, sar coestensiva allintero campo sociale e si attualizzer in maniera univo-
ca (conservando la propria esteriorit e opposizione nei confronti del modello statuale)
nellambito delle attivit pi diverse: larte, la scienza, il pensiero, lorganizzazione del-
lo spazio, la tecnologia, oltre che, naturalmente, la societ e la politica. Una macchina
da guerra non potr presentare il suo polo rivoluzionario, senza mostrare al contempo
la possibilit immanente del suo contrario, cio le condizioni alle quali essa pu venire
subordinata ai fini politici dello Stato, assumere la guerra come proprio oggetto esclusi-
vo, rivolgersi alla mera distruzione, lanciarsi alla conquista di un dominio sul mondo. La
coesistenza di un polo della macchina da guerra appropriabile, sotto determinate condi-
zioni, dallo Stato e di un polo rivoluzionario non esclude la possibilit di individuare le
caratteristiche della macchina da guerra che sfuggono necessariamente alla subordina-
zione ai fini dello Stato, che risultano cio essenzialmente inappropriabili e dunque co-
stitutivamente rivoluzionarie. Tali caratteristiche sono: la costruzione di linee di fuga
creatrici e la composizione di uno spazio liscio sul quale il movimento e la distribu-
zione degli uomini risultino non compartimentati il che significa, in due parole, anco-
ra decodificazione e deterritorializzazione.
Senza dubbio scrivono Deleuze e Guattari nel 1980 la situazione attuale sconfortante.
Abbiamo visto la macchina da guerra mondiale
21
costituirsi sempre pi forte, come in un
racconto di fantascienza; labbiamo vista assegnarsi come obiettivo una pace forse ancora pi
terrificante della morte fascista; labbiamo vista sostenere o suscitare le pi terribili guerre
locali (...); labbiamo vista identificare un nuovo tipo di nemico, che non era pi un altro
Stato, n un altro regime, ma il nemico qualunque; labbiamo vista erigere i suoi elementi
di contro-guerriglia, tali che essa si pu lasciare sorprendere una volta, non due... Tuttavia, le
condizioni stesse della macchina da guerra di Stato o di Mondo, cio il capitale costante (ri-
sorse e materiali) e il capitale variabile umano, non smettono di ricreare possibilit di risposte
inattese, di iniziative impreviste che danno luogo a macchine mutanti, minoritarie, popolari,
rivoluzionarie
22
.
Nella situazione attuale, uninsorgenza rivoluzionaria (le cui condizioni di possibilit ri-
siedono nellessenza stessa del sistema capitalistico come tendenza contrariata) non si
dar a partire da una centralizzazione delle minoranze attive sui diversi terreni di lotta
(il che porterebbe in maniera pressoch inevitabile alla sottomissione di talune riven-
dicazioni ad altre, ritenute decisive in ultima istanza), bens in funzione di una connes-
sione capace di mantenere ognuna di esse nella sua eterogeneit. In altri termini, il pro-
21
Gli autori parlano di macchina da guerra mondiale intendendo, con ci, lappropriazione della macchina
da guerra da parte degli Stati e delle organizzazioni militari sovranazionali, nel contesto di un capitalismo
mondializzato.
22
G. Deleuze, F. Guattari, Mille plateaux. Capitalisme et schizophrnie, Minuit, Paris 1980; tr. it. di G. Passe-
rone, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1987, p. 617.
La rivoluzione immanente. Politiche di Gilles Deleuze e Flix Guattari
713
blema rivoluzionario della nostra epoca (che per Deleuze e Guattari lepoca delle
minoranze)
23
non pu essere quello di immaginare il futuro della rivoluzione, il socius
che dovr uscire da una rivoluzione a venire, come un ossimorico Stato delle minoranze,
bens di trovare di volta in volta, pragmaticamente, le condizioni affinch la congiunzio-
ne tra le lotte, le rivendicazioni, le rivolte (necessariamente minoritarie) che nascono in
luoghi, in momenti e a livelli differenti sia tale da amplificare la loro potenza, invece di
diminuirla e assoggettarla con il pretesto dellunificazione.
Piuttosto che scommettere sulleterna impossibilit della rivoluzione, dandosi laria
di pensatori tragici, realisti e rigorosi, o predicare lesistenza di un mostro maligno in-
finitamente potente al quale sarebbe impossibile resistere se non con il sacrificio di s,
Deleuze e Guattari ci mostrano come la natura stessa della societ nella quale viviamo
implichi sempre e necessariamente, accanto alla costruzione di una macchina di dominio
mondiale o nei suoi stessi interstizi, la produzione di macchine rivoluzionarie capaci di
rimettere in gioco lintera storia universale.
BIOGRAFIA
Gilles Deleuze (1925- 1995) considerato uno dei maggiori filosofi del Novecento. La
sua opera consta di numerose monografie (dedicate, fra gli altri, a Nietzsche, Bergson,
Spinoza) e di testi originali come Differenza e ripetizione (1968), Logica del senso (1969),
Limmagine-movimento (1983), Limmagine-tempo (1985). A partire dalla fine degli anni
Sessanta inizia una intensa collaborazione con Flix Guattari (1930-1992). Questulti-
mo, psichiatra e militante dellestrema sinistra francese, a sua volta autore di numerosi
scritti autonomi, tra i quali si segnalano Psicoanalisi e trasversalit (1972), La rivoluzione
molecolare (1977), Le tre ecologie (1989) e Caosmosi (1992).
BIBLIOGRAFIA
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Per una letteratura minore, Quodlibet, Macerata 1996; Mille piani. Capitalismo e schizofrenia,
Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1987; Che cos la filosofia?, Einaudi, Torino 1996.
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Hardt, M., Gilles Deleuze. Un apprendistato in filosofia, a-change, Milano 2000.
23
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 687. La questione delle minoranze ancora quella di abbat-
tere il capitalismo, ridefinire il socialismo, costituire una macchina da guerra capace di replicare alla macchina
da guerra mondiale, con altri mezzi, ibid., p. 691.
Paolo Godani
714
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Zourabichvili, F., Deleuze. Una filosofia dellevento, ombre corte, Verona 1998.
715
JAN PATO\KA E LERESIA DELLA STORIA
Vincenzo Costa
Natura e storia
Il nucleo del pensiero di Jan Pato/ka senza dubbio costituito dal concetto naturale di
mondo, che egli riprende dalla tradizione fenomenologica, cos come si presenta in Hus-
serl, Heidegger e Fink
1
. Si tratta di un concetto che gli permette di prendere le distan-
ze da una concezione meccanicistica della natura, delluomo e della storia, cos come
da una scienza che ha preteso, e pretende, di stabilirsi come ontologia, di determinare
cio la natura delluomo e del suo agire, e che, considerando la totalit di ci che esiste
un immenso deposito da sfruttare ma anche privo di senso, sta alla base degli aspetti di-
struttivi della societ industriale moderna. Si tratta dunque, per Pato/ka, in primo luo-
go di chiedersi quali rapporti esistano tra natura e storia, e di farlo interrogando la no-
zione di mondo.
In effetti, se poniamo la domanda che cosa il mondo? assai probabile che ci si
trovi davanti a una risposta di questo tipo: il mondo un insieme di cose tenute insieme
dal nesso causale. Ogni evento legato ad altri eventi dalla legge della causazione univer-
sale. Questa prospettiva, soprattutto nella sua versione meccanicistica, non corrispon-
de, secondo Pato/ka, a una semplice concezione scientifica. Essa si configura come una
vera e propria metafisica
2
, riconducibile ad una certa declinazione del principio di ragio-
ne, e dunque allidea secondo cui qualcosa esiste solo se inserito allinterno della cau-
sazione universale. Ci che non pu essere compreso entro questa serie non ha unesi-
1
Sul significato del concetto naturale di mondo nella fenomenologia ci permettiamo di rimandare al nostro
Il concetto naturale di mondo e la fenomenologia, in E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia.
Lezioni sul concetto naturale di mondo, Quodlibet, Macerata 2008.
2
Il meccanicismo moderno non evidentemente una semplice scienza. Esso realmente di natura meta-
fisica (J. Pato/ka, Le monde naturel et la phnomnologie (1967), in Le monde naturel et le mouvement de
lexistence humaine, tr. fr. di E. Abrams, Kluwer, Dordrecht 1988, p. 13).
Vincenzo Costa
716
stenza effettiva, un non ente, un nulla. Di qui una precisa metafisica: esistere significa
avere una causa come proprio fondamento.
Non ci vuole molto a capire come questimpostazione comporti una certa compren-
sione di quellessere che noi stessi siamo. In quanto esseri reali, noi soggetti umani sia-
mo, infatti, inseriti allinterno di questo nesso causale. Ci che governa i nostri pensieri e
le nostre rappresentazioni, i nostri desideri e le nostre tristezze, sono eventi fisici, per cui
la coscienza diventa un insieme di effetti prodotti da cause; essa si ridurr, per esempio,
a una funzione del sistema nervoso centrale
3
. Il sentimento di s, dellagire responsabi-
le e dunque dellagire politico nella storia verranno interpretati come una sorta di falsa
coscienza, poich la responsabilit e lagire responsabile non esistono e non possono esi-
stere in un mondo costituito esclusivamente da eventi fisici che producono quello strato
illusorio che la coscienza di s. Pertanto, lo stesso agire responsabile diviene unillusio-
ne, poich, in quanto esseri fisici, siamo soggetti alla legge della causazione universale,
che si manifesta dentro di noi in quanto i processi di coscienza sono governati da un or-
gano fisico che determina, in ultima istanza, come agiremo. Proprio per questo, il senti-
mento soggettivo della libert privo di qualsiasi valore noetico; semplice effectus non
efficax
4
. Dunque, se si segue quella prospettiva obbiettivistica che sta alla base della so-
ciet industriale moderna il mondo viene ridotto ad unimmensa riserva di materiale,
tutto lesistente giace allo scoperto della sua calcolabile insensatezza
5
e lessere umano
esperimenta se stesso non come una persona, bens come una cosa
6
.
In questa lettura dellumano Pato /ka rintraccia lorigine del nichilismo e della malat-
tia spirituale e politica del mondo contemporaneo. Infatti, quando lessere umano giun-
ge ad interpretare se stesso in questo modo, come una sorta di macchina soggetta a for-
ze che la determinano, allora si fa strada una sorta di svalorizzazione della vita stessa,
perch in tal modo luomo si cosificato e si alienato il sentimento naturale della sua
vita
7
. A partire da queste posizioni, lessere umano abdica da se stesso e perde il contat-
to con le forze autentiche della sua esistenza, con quanto, nella sua vita, vi di originale
e di unico, cosicch quella concezione dellessere estende la sua influenza mortifera:
come se, attraversando linfinita variet della vita, vi risuonasse una tonalit unica, quel-
la del niente, la cui indifferenza rende ogni cosa perfettamente uguale alle altre
8
.
In tale ordine di discorso, dunque, concetti come libert e responsabilit, e dunque
lagire storico in senso autentico, perderanno ogni senso. Infatti, lesistenza umana esi-
stenza storica solo perch si muove allinterno di un ambito di possibilit di azione, co-
sicch, per dirla con Marx, sono gli uomini a fare la storia, sebbene la facciano a partire
dalle possibilit che la storia pone loro di fronte. Ma se lessere umano riceve la sua vita
come gi fatta, organizzata, stabilita, come qualcosa di cui quindi non responsabile,
3
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique (1936), tr. fr. di J. Danek e H. Decleve, Ni-
jhoff, Den Haag 1976, p. 60.
4
Ibid., p. 10.
5
J. Pato/ka, Saggi eretici sulla filosofia della storia, tr. it. di D. Stimilli, a cura di M. Carbone, Einaudi, Torino
2008, p. 128.
6
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique, cit., p. 11.
7
Ibidem.
8
Ibid., p. 12.
Jan Pato/ka e leresia della storia
717
la questione relativa al senso totale dellesistenza sprovvista di ogni interesse. Il senso con-
siste nel seguire le pulsioni, e noi le seguiamo in tutti i casi automaticamente
9
.
Il punto , dunque, che vi una versione del materialismo che non giunge a compren-
dere la storicit dellesistenza umana e, di conseguenza, non pu affrontare la questione
della storicit e della responsabilit umana nella storia.
Va da s, infatti, che da una concezione naturalistica dellessere umano consegue una
certa interpretazione della nozione stessa di azione. Questa diviene qualcosa che deve
essere compreso allinterno di un sistema complessivo di causazione universale, il quale
deve necessariamente giungere a svalutare come pseudo-problema ogni domanda relati-
va al significato delle azioni, e dunque a ridurre il ruolo e il senso della politica in quanto
agire responsabile allinterno di una comunit. Un problema di significato si pone solo
rispetto a un essere per il quale, nellesistenza e nellagire, ne va di se stesso, per un esse-
re che, vivendo, consuma le proprie possibilit, e che, pertanto, pu fallire, portando il
peso del proprio fallimento. Invece, allinterno dellimpostazione meccanicista vi lagi-
re, ma non un soggetto che agisce.
Il fatto che la questione dellazione sensata rimanda a una decisione, a chi si vuo-
le essere, e questa determinazione di s costituisce, secondo Pato /ka, la caratteristica
dellumano che, a differenza degli animali, non incollato al suo presente e pu rappor-
tarsi a se stesso avendo da determinare il proprio futuro, consumando le proprie possi-
bilit. Un problema di senso o di non senso si presenta solo per un ente che, nel fondo
del suo essere, possibilit, e che dunque aperto al tempo: un essere che deve sceglie-
re, e scegliersi, tra possibilit di esistenza. Ma un essere che si rapporta a se stesso come
a un poter essere un essere storico, che porta la responsabilit per il suo agire in quan-
to agire nella storia.
Al contrario, dove non vi sono possibilit non vi scelta, decisione, e dove non vi
decisione, presa di posizione, non vi un S, n vi storia. Pertanto, lorigine della poli-
tica, ci che ha creato lEuropa, la cura dellanima, il tentativo di cogliere la verit del-
la propria esistenza e di accordare ad essa il proprio agire nello spazio pubblico. In bre-
ve, la politica possibile solo quando nasce il concetto di conferimento di senso alla
vita nata dalla libert per la libert
10
, cosicch il venir meno dello spazio pubblico come
luogo di manifestazione della ricerca individuale di senso, come accadeva nei paesi del
socialismo reale, tende ad apparire agli occhi di Pato/ ka come un ritorno alla pre-isto-
ria, cio ad una situazione in cui agli individui viene imposto un senso dato, da osservare,
mentre la storia caratterizzata proprio dal crollo del senso dato e dallapparire di quel-
la problematicit del senso che apre la ricerca di s e lo spazio politico come ricerca in
comune di un senso nella storia.
Infatti, se lessere umano si sottrae alla causalit naturale e alle stesse leggi della pro-
duzione, ci avviene perch un essere aperto al possibile e al tempo, e dunque per-
ch pu comprendere il mondo in quanto totalit di possibilit dazione. Questo concet-
to avanza la pretesa di essere il punto discriminante a partire dal quale dovrebbe essere
9
Ibid., p. 11.
10
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 166.
Vincenzo Costa
718
impostata la classica questione dei rapporti tra natura e spirito, o, in termini a noi pi vi-
cini, tra scienze naturali e scienze umane, ed a partire dal quale deve potere essere com-
preso lagire responsabile nella storia.
Il mondo come orizzonte di senso
Per chiarire il senso della nozione di mondo Pato/ ka usa un metodo ben preciso: lana-
lisi dellesperienza. Invece di costruire teorie sul mondo dobbiamo, in primo luogo, de-
scrivere il modo in cui esso si manifesta, seguendo, da un certo punto di vista, lindica-
zione dellempiriocriticismo di Richard Avenarius
11
, che tanta influenza aveva gi avuto
sul pensiero di Edmund Husserl e Martin Heidegger. Se lanalisi filosofica prende le
mosse dalla descrizione dellesperienza, risulta allora che ogni cosa pu essere quella che
solo perch inserita in una connessione totale, e luomo pu percepire le cose nella
loro determinatezza e come dotate di significato, dunque come possibilit storiche, uni-
camente perch si trova allinterno di una connessione nella quale sono incorporate tut-
te le cose. Non essendo niente di determinato, non essendo una cosa tra le cose, la con-
nessione tuttavia sempre presente nella vita e agisce; senza di essa noi potremmo avere,
certo, delle impressioni, delle percezioni, dei pensieri, dei singoli ricordi, ma manche-
rebbe quel legame quasi automatico che li unisce in un tutto
12
.
Se ci chiediamo, infatti, che cosa impedisca alla nostra vita di coscienza di disfarsi in
frammenti privi di nessi, non vi dubbio che possiamo rapidamente indicare la risposta:
la connessione del mondo. La coscienza una totalit unitaria perch unapertura al
mondo. Senza questa connessione preliminare non avremmo alcuna possibilit di ordi-
nare e di unificare mutuamente le fasi della vita. In breve, non vi sarebbe alcuna ragione
di dire che siamo al mondo con le altre cose; troveremmo delle singolarit; non vi sareb-
be il mondo
13
, e non ci sarebbe un S, cio un essere che, essendo aperto ad una totalit
di significati, esso stesso strutturalmente caratterizzato come un poter essere, cio come
un essere che, agendo, determina il suo essere scegliendosi tra il possibile.
Se prendiamo le mosse da quelli che, apparentemente, sono i dati pi semplici, e cio
i dati dei sensi, ci accorgiamo presto che
qualcosa come una datit sensibile singola non esiste nellesperienza concreta, cos come non
esiste un insieme di dati di questa specie. Ogni presenza sensibile si inscrive gi in una totalit.
(...) Quanto alla totalit, che non meno presente (perlomeno nella vita adulta normale), non
potrei mai ricondurla a una presenza corporea analoga alla presenza delle cose singole. Tuttavia,
ogni singolarit ci viene da questa totalit, ogni singolarit in qualche modo unesplicazione,
unappresentazione espressa di ci che vi era contenuto, rinchiuso nella totalit in una maniera
non schiusa. In maniera metaforica diciamo che il mondo presente come un orizzonte
14
.
11
R. Avenarius, Der menschliche Weltbegriff, O.R. Reisland, Leipzig 1891.
12
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique, cit., pp. 77-78.
13
Ibid., p. 78.
14
J. Pato/ka, Notes sur la prhistoire de la science du mouvement: le monde, la terre, le ciel e le mouvement de
la vie humaine (1965), in Le monde naturel et le mouvement de lexistence humaine, cit., p. 4.
Jan Pato/ka e leresia della storia
719
Qualcosa pu apparire nella nostra esperienza solo perch un certo mondo lo consen-
te. Cos, per esempio, la nozione di frequenza pu essere scoperta solo allinterno di
un mondo caratterizzato dal progetto matematico della natura, oppure un certo tipo di
monachesimo peculiare pu emergere solo allinterno di quellapertura prodotta dal cri-
stianesimo, e una certa idea di lavoro pu affiorare solo allinterno di un contesto si-
stemico determinato. Nei Saggi eretici Pato/ka noter pertanto che il fenomeno ontico
che simpone riceve la sua natura di fenomeno da qualcosa di nascosto, dal fenomeno
ontologico che si manifesta solo in determinate circostanze, e si manifesta anchesso da
se stesso (e non si limita a nascondersi nel fenomeno ontico)
15
.
Qualcosa pu emergere solo allinterno di una complessiva apertura di senso, e ci
che pu emergere in essa vi deve essere implicitamente contenuto: niente pu giungere
a manifestarsi che non sia gi dato nellorizzonte di un mondo come una sua possibilit
latente. I significati delle cose, le possibilit storiche non esistono in se stessi. Essi esisto-
no solo a partire da un mondo
16
, perch ogni cosa quella che solo a partire dalle diffe-
renze che la separano dagli altri enti e dai rimandi che la collegano, in un nesso unitario,
con essi. Questa struttura differenziale la condizione di possibilit dellidentit dellen-
te e dellapparire dei mondi storici.
Proprio per questo, la stessa idea di produzione sociale della loro esistenza, che
Marx pensava caratterizzare strutturalmente lessere degli uomini, pecca forse di una
fondamentale astoricit, perch vedere il lavoro come produzione possibile solo in
unepoca determinata
17
, e cio allinterno di unapertura di senso che vede la terra solo
come ente inanimato piuttosto che, come pure era accaduto in altre epoche e in differen-
ti aperture di mondo, come madre. Il punto , dunque, che il marxismo rischia di consi-
derare come un dato strutturale ed astorico ci che solo lepoca capitalista rende possi-
bile e offre alla comprensione, e proprio in questo modo rischia di perpetuare il dominio
e il carattere distruttivo del capitalismo stesso, poich si mostra incapace di pensare al-
trimenti la natura del lavoro nel suo rapporto al mondo ed alla terra, e dunque di coglie-
re, in esso, altre possibilit.
Bisogna dunque guardarsi da una certa ingenuit, poich la comprensione e linter-
pretazione storica presuppongono un terreno gi aperto, lapparire di un orizzonte di
senso. Proprio per questo, parlare delle strutture gi date del mondo, di unapertura
allinterno della quale i significati possono essere compresi, significa anche parlare del-
la storicit essenziale che caratterizza il concetto di mondo. Da questo punto di vista, an-
dando appena oltre la lettera del testo di Pato/ka, potremmo dire che lautentica critica
delleconomia politica consiste nel fare emergere possibilit che un certo mondo stori-
co ed un certo modo di concepire la relazione tra lavoro e mezzi di produzione ha fini-
to per nascondere.
Pato/ka ritiene infatti necessario prendere coscienza del fatto che lio filosofante as-
sume ingenuamente il dato del mondo come norma ontologica e come fondamento
18
, e
15
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., pp. 10-11.
16
J. Pato/ka, Leib, Mglichkeiten, Welt, Erscheinungsfeld, in H. Blaschek-Hahn, K. Novotny (a cura di),
Vom Erscheinen als solchem. Texte aus dem Nachla, Alber, Freiburg/Mnchen 2000, p. 95.
17
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 164.
18
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique, cit., p. 29.
Vincenzo Costa
720
questo perch unapertura di mondo tende ad assolutizzare se stessa. Di qui una tenden-
za inevitabile a considerare certe categorie come determinazioni della struttura del rea-
le o dellessenza dellumano, e il sorgere di un pensiero che, dimentico dellorigine del-
le proprie categorie e del loro radicarsi in un mondo, diviene, inevitabilmente, ideologia.
Si tratta di un pensiero incapace, secondo Pato/ka, di giungere a una domanda radicale
sulle sue stesse origini, e dunque di interrogarsi sulla sua stessa storicit.
Quando questo accade, la storia, caratterizzata dallo stupore, cio da uno sguardo se-
condo cui nel cuore stesso del reale vi qualcosa di segreto e misterioso
19
che inter-
pella la responsabilit del soggetto, tende a ricadere nella pre-istoria. Ad un senso da
portare alla luce attraverso lazione politica si sostituisce un senso gi dato, ingenuamen-
te accettato o imposto, costruito dal potere o dalleconomia, oppure la percezione del
non senso. Ed questo che accomuna i regimi capitalistici liberali e quelli collettivisti-
ci, entrambi soggetti alla stessa dinamica nichilistica che rimuove la questione del sen-
so e riduce il mondo a mero materiale accumulato da sfruttare in vista della potenza e
della guerra.
Infatti, proprio questa comprensione dellessere sta alla base di quello che il pensie-
ro marxista ha chiamato imperialismo. Questo non rappresenta dunque, per Pato/ka,
lespressione del mondo europeo, n deve essere interamente spiegato a partire dal pro-
cesso di accumulazione capitalistica, ma deve essere compreso come uno smarrimento
complessivo dellidentit dellEuropa, compresa quella dei paesi del socialismo reale. In-
fatti, a costituire il carattere nichilistico del moderno mondo europeo proprio loblio
dello stupore davanti allessere e la riduzione dellesistente a materiale duso. Questo fa
s che proprio nel momento in cui i popoli europei cominciarono ad incontrare i popo-
li non europei, questi non incontrarono lEuropa, ma una vita che si svuota e mutila
ad ogni suo passo e in ogni sua azione
20
. Infatti, a partire dal XVI secolo non pi la
cura dellanima, la cura dellessere, ma quella dellavere, quella del mondo esterno e del
suo dominio a diventare predominante
21
. Con lo sviluppo della societ industriale, e
Pato/ka non distingue tra liberalismo e collettivismo, avviene infatti la riduzione delles-
sere a fondo da sfruttare, e questo rende possibile la creazione di un enorme predomi-
nio tecnologico-militare a cui il mondo extraeuropeo non ha nulla da opporre
22
.
Per questo, la crisi politica e quella sociale hanno le loro radici in quella morale
23
,
cio nel venire meno della domanda sul senso dellessere. Certo, questo significa rivendica-
re un ruolo della soggettivit e della coscienza che Marx aveva inteso criticare, consideran-
dola come una sovrastruttura e riconducendola allessere sociale. Ma proprio la nozio-
ne marxiana di essere sociale che Pato/ka sospetta di ideologia, poich tende a ridurre
la dimensione della morale e della politica a quella delleconomico, mentre il filosofo ceco
vuole fare emergere che la storia occidentale inizia proprio quando una massa enorme di
energie umane si liberarono dal lavoro e aprirono un nuovo spazio: lo spazio pubblico, la
politica nella sua indipendenza dalleconomico, cio lo spazio della cura di s.
19
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 84.
20
Ibid., p. 107.
21
Ibid., p. 92.
22
Ibid., p. 96.
23
Ibid., p. 104.
Jan Pato/ka e leresia della storia
721
Dire questo, tuttavia, non significa per Pato/ka assumere una posizione idealistica,
ma semplicemente avviare una nuova determinazione dellidea di soggetto. Ci che in
Kant e nellidealismo tedesco vi di vero consiste nellidea secondo cui, perch si ma-
nifesti un mondo, vi deve essere una soggettivit aperta ad esso, mentre il loro limite ri-
siede nel costruttivismo e nel primato della nozione di giudizio, che tende ad assolutiz-
zare un certo apparato categoriale e un certo modo di essere della soggettivit, obliando
la sua costitutiva appartenenza ad un orizzonte storico. Cos facendo, lidealismo clas-
sico non giunge a comprendere che il soggetto che agisce si radica in un mondo, e dun-
que che se da una parte lorigine del legame, dallaltro prodotto e tenuto insieme da
sintesi che lo precedono e lo costituiscono. Questo significa, per Pato/ka, che la prima re-
sponsabilit e la prima azione storica responsabile consiste nel chiedersi quale sia la pro-
venienza dei concetti che guidano il nostro agire. Se non si avvia questo lavoro di scavo
fenomenologico si rischia di perpetuare loppressione e lillibert che lagire responsa-
bile vorrebbe combattere.
Secondo Pato/ka, che su questo punto segue fondamentalmente Heidegger, la posi-
zione peculiare delluomo nel cosmo, quella che possiamo chiamare la differenza antro-
pologica, non deriva dunque da una diversit biologica dellessere umano, ma dal suo
essere inserito in un ordine di senso in cui i significati sono possibilit che al soggetto
vengono consegnate dalla storia:
Le cose scrive Pato/ka non hanno un senso di per se stesse (...). Il senso non originaria-
mente negli enti, ma nellapertura, nella comprensione delle cose, vale a dire in quel processo,
in quel movimento che non si differenzia da quello del nucleo stesso della nostra vita
24
.
Ogni ente pu essere un senso solo a partire dai rimandi orizzontali e laterali che lo ca-
ratterizzano, e dunque luomo un soggetto solo in quanto aperto a questa totalit di
rimandi. Il mondo non , dunque, la somma delle cose, ma ci che permette ad esse di
manifestarsi come possibilit che interpellano il soggetto storico.
Cos, per un primitivo, la luna una dea, ma essa pu manifestarsi come tale solo
allinterno di una totalit che prescrive quel modo di manifestazione. Essendo nel mon-
do, lessere umano dunque un essere finito, ancorato al mondo a partire dal quale le
cose possono apparire per lui. E questo mondo non solamente linsieme delle cose esi-
stenti, ma soprattutto la funzione grazie alla quale possiamo avere nella coscienza una
tale realt, che si accresce
25
. Il mondo dunque ci in virt di cui noi possiamo possede-
re la realt come un tutto unificato e coerente.
La vita umana caratterizzata da una totalit data gi prima, poich, a differenza di
un animale, un essere umano non pu compiere niente di specificamente umano sen-
za rapportarlo tacitamente o esplicitamente alla totalit gi data
26
. La comprensio-
ne dei singoli enti presuppone cio una pre-comprensione della totalit dei rimandi di
senso. Per questo, solo nel caso di un essere umano parliamo di azione: perch in ogni
azione, bench in maniera non tematica, vi una presa di posizione rispetto al tutto del
24
Ibid., p. 63.
25
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique, cit., p. 78.
26
J. Pato/ka, Notes sur la prhistoire de la science du mouvement, cit., p. 6.
Vincenzo Costa
722
mondo. Cos, luomo non comprende la terra solo come il suolo che lo regge, ma anche
come il suolo che lo nutre, ed aperto al cielo come a qualcosa di impalpabile. Oppu-
re lo comprende, come accade nella societ industriale moderna, come uno sfondo iner-
te di materiale da sfruttare.
Attraverso il contatto sensibile con le cose noi possiamo essere toccati da qualcosa
che colpisce quanto di istintivo vi in noi, ma il contatto sensibile pu anche contenere
una vertigine specifica che sorge l dove la terra e il cielo cessano di essere una semplice
cosa per ... e divengono un passaggio, un rinvio allincommensurabile
27
. Un punto che
attira lattenzione sul fatto che ogni azione storica ha un carattere simbolico, e che solo
in questo contesto ed a queste condizioni essa diviene autenticamente storica, inserendo
lessere umano in una totalit di senso e in un percorso di emancipazione.
Se vogliamo spingere pi a fondo la nostra analisi dobbiamo tuttavia chiederci per-
ch luomo aperto alla totalit del mondo, e su questo punto la risposta secondo
Pato/ka riconduce ad Heidegger, il quale ha inteso luomo come colui che compren-
de lessere, nel senso che si rapporta ad esso, che si comporta verso di esso (ed questo
rapporto). Solo cos possibile che sia aperto allente (a cui appartiene lessere)
28
. Es-
sendo aperto al mondo come a un tutto, nellessere umano non vi sono sensazioni intese
come un riflesso passivo degli oggetti, degli stimoli. pertanto una teoria del rispecchia-
mento che deve essere rifiutata. Un essere aperto ad una totalit di relazioni sottratto
alla legge di causazione universale. Il suo comportamento non deve essere spiegato, ma
compreso a partire dal mondo in cui egli agisce.
Cos, sarebbe vano spiegare la credenza nella divinit della luna sulla base di leggi na-
turali, mentre possiamo comprenderla descrivendo la rete di significati al cui interno un
certo essere umano vive: descrivendo il suo mondo. Di conseguenza, i nostri comporta-
menti non potranno essere compresi come risposta allo stimolo, ma come prese di posi-
zione rispetto a ci che vogliamo essere, come una scelta tra significati possibili.
Laddove la psicologia parla del movimento come di un riflesso che accompagna la
percezione o la stimolazione, dobbiamo invece dire che qualcosa entra nel nostro campo
di esperienza solo in quanto sinserisce nel movimento della nostra esistenza, per esempio
in quanto ci orienta, come accade per gli oggetti spaziali o per le parole, che entrano nel
nostro campo di esperienza solo in quanto ridestano una direzione di senso. Gli oggetti
del mondo circostante non stimolano il soggetto personale in virt delle loro qualit fi-
siche, ma in quanto possibilit dazione.
Se volessimo dirlo prendendo in considerazione la biologia obiettiva, dovremmo dire
che un pregiudizio pensare che vi siano stimoli che raggiungono il cervello in quanto
sede della coscienza. Nel cervello arrivano stimoli, impulsi elettrici, ma a raggiungere la co-
scienza sono significati. Per la coscienza, gli impulsi elettrici sono veicoli di senso. solo
in virt del nostro essere in una totalit che possiamo avere attese, che possiamo essere
qualcosa come una persona a cui possono apparire unit di significato, poich lorizzon-
te al cui interno viviamo condiziona la direzione che prendiamo verso gli oggetti
29
.
27
Ibid., p. 8.
28
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 8.
29
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique, cit., p. 94.
Jan Pato/ka e leresia della storia
723
Il mondo non dunque la totalit delluniverso delle cose, ma il fondo di ogni espe-
rienza umana
30
. Lessere umano, in virt dellapertura a quella totalit che il mondo,
giunge alle cose in quanto queste possono manifestarsi come significati, e possono es-
sere significati solo in quanto sono inserite in un sistema di rimandi di senso, cio in un
mondo o in una cultura. Pertanto, vivere umanamente significa mettere necessariamen-
te in rapporto le cose con il loro senso.
Dobbiamo per ora cercare di comprendere meglio che cosa Pato/ka intenda con
mondo. E la risposta semplice: un sistema di regole. Nello scritto del 1936 leggiamo:
Esso sarebbe piuttosto uno schema
31
, che fissa le regole di compossibilit. Cos, lap-
parire della democrazia moderna non compatibile con unorganizzazione tribale, al
cui interno non emerso il significato e il valore dellindividuo. Tuttavia, mentre i mon-
di sono storici, lo schema del mondo, potremmo dire il mondo, in quanto schema tra-
scendentale, non storico. Esso appartiene allontologia, alla possibilit dellapparire in
quanto tale. Pertanto, si pu parlare di un elemento invariabile del mondo solo in sen-
so formale: non esiste nessuna componente invariabile, n alcun elemento permanente
nella rivelazione dellessere tranne il fatto che una singola cosa acquista il suo significato
solo allinterno di un sistema di rimandi, di un modo complessivo di considerare il mon-
do. Una necessit che Pato/ka chiama sintesi ontico-ontologica
32
.
Questa necessit di comprendere il significato delle singole cose a partire dalloriz-
zonte di senso in cui sono inserite caratterizza dunque la struttura formale e invariabi-
le del mondo. Che cosa dobbiamo intendere con lespressione sintesi ontico-ontologica,
Pato/ka lo dice con grande chiarezza:
Gli enti sono sempre una sintesi, non solo soggettiva, ma una sintesi ontico-ontologica; il che
significa che in ogni disvelamento umano, storicamente prodotto, dellessere, si manifestano
sempre nuovi mondi storici che, in quanto sintesi, devono essere essi stessi qualcosa dorigina-
le, perch non vi parte o componente di esso che non sia influenzata dal fatto di appartenere
ad un nuovo complesso. Noi non abbiamo neppure la stessa percezione degli antichi Greci,
sebbene, dal punto di vista fisiologico, gli organi di senso siano identici
33
.
Ogni manifestazione del mondo dunque un disvelarsi dellessere, un differente appa-
rire del medesimo che interpella luomo in modi diversi. La nozione di mondo , infatti,
indissolubilmente legata a quella di tempo, poich lorizzonte di senso a partire dal qua-
le ogni singola cosa ottiene il suo significato non la semplice somma degli enti che si
manifestano in un mondo, ma ci a partire da cui, in unepoca determinata, si possono
rendere comprensibili i singoli enti. Per esempio, in un mondo mitico la luna non pu
essere compresa come una corpo celeste, poich il suo modo di apparire per luomo
determinato dalla complessiva concezione del mondo in cui egli abita.
30
Ibid., p. 122.
31
Ibid., p. 86.
32
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., pp. 14-15.
33
Ibid., p. 14.
Vincenzo Costa
724
Chiamati ad agire
Pertanto, il mondo, ci che consente lapparire, non qualcosa di fisico, ma unintela-
iatura di senso: una condizione di possibilit. E questo significa che il nostro rapporto
al mondo non rispecchiamento, ma relazione vitale: Ci che la percezione sensibile ci
offre non sono n qualit n unit sintetiche con le relazioni che le uniscono, ma la re-
lazione vivente e vitale degli oggetti
34
. Incontrando le cose, noi percepiamo se esse sono
situate bene o male, se rappresentano un ostacolo, se sono o no in buono stato: scopria-
mo il loro significato per noi. Vivere in un mondo di significati vuol dire, quindi, muo-
versi in un ordine di possibilit dazione, cosicch percepire le cose significa comprende-
re ci che esse rendono possibile e ci che esse impediscono, come esse corrispondono
ai nostri bisogni
35
.
Lidentit dellente secondo Pato/ka non costituita dalla materia di cui com-
posto, n dalle caratteristiche percettive di ci che si manifesta, bens dalla funzione che
esso esercita: Questo coltello che non taglia, che non potr mai tagliare in alcuna circo-
stanza, non che lapparenza di un coltello, gli manca lelemento costitutivo essenziale
della cosa stessa, cio la sua funzione
36
.
E se lessere di qualcosa deriva dalla sua funzione, allora questa a far s che qual-
cosa sia quello che . Ma qualcosa ha una funzione solo rispetto a uno scopo, in vista di
qualcosa, per cui qualcosa quello che solo nel suo rimandare a qualcosaltro. E qualco-
sa pu rimandare a qualcosaltro solo se la totalit dei rimandi si gi aperta.
Essere al mondo significa, allora, essere chiamati ad agire. Infatti, il mondo non
un campo del rappresentare, bens dellazione; il campo non ce lo rappresentiamo,
agiamo in esso
37
. Solo un essere che si rapporta ad un mondo, cio a una totalit di pos-
sibilit dazione, pu agire, perch a lui non giungono stimoli che innescano un mecca-
nismo di risposta innato oppure sviluppatosi attraverso laddestramento e labitudine,
bens possibilit dazione. Ma per un simile essere, rapportarsi a queste possibilit signi-
fica rapportarsi a se stesso. Le possibilit del mio mondo sono ci che posso fare di me, co-
sicch rapportarsi al mondo storico significa avere cura del proprio poter essere. Pertan-
to, a rendere sensata la vita delluomo il fatto che ogni suo minimo movimento pu
venir spiegato solo mediante un rapportarsi interessato a se stesso sulla base dellaper-
tura verso ci che
38
.
Per il soggetto umano tutto una possibilit dazione, e ci significa che egli stes-
so, nel fondo del suo essere, possibilit. Rapportandosi alle sue possibilit dazione, a
ci che pu fare, si rapporta a se stesso. Non nel modo della riflessione, dunque, ben-
s in quello dellazione:
Il mondo scrive Pato/ka ci che rende possibile, nello stesso tempo, il realizzatore e
lazione in quanto azione, in quanto qualcosa che egli stesso deve portare a termine, che non
34
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique, cit., p. 98.
35
Ibidem.
36
Ibid., p. 112.
37
J. Pato/ka, Leib, Mglichkeiten, Welt, Erscheinungsfeld, cit., p. 87.
38
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 31.
Jan Pato/ka e leresia della storia
725
si limita ad accadere. In questo agire ne va, invece, di me, la decisione presa mi riguarda, io
dipendo da me stesso
39
.
Quando Pato/ka scrive che io dipendo da me stesso non vuol tuttavia dire che sono
indipendente nel senso che mi costruisco da me. Dipendo invece da me nel senso che,
nellazione, rispondo e prendo posizione rispetto a possibilit che si sono gi delineate.
Proprio per questo, la libert non giace nel progetto delle possibilit, bens nella respon-
sabilit per lazione
40
. A differenza di Sartre, dunque, la libert non consiste nel proget-
tare se stessi, bens nel rispondere a possibilit dazione che, va da s, sono possibilit
dessere, di esistenza: agendo, infatti, determino chi sono. La libert dunque, innanzi-
tutto, responsabilit verso il proprio poter-essere.
Questa fondamentale responsivit non deve, tuttavia, far dimenticare che lazione
qualcosa di attivo, bens solo attirare lattenzione sul fatto che lo solo in quanto ac-
colgo o rifiuto la possibilit che, a partire dal mondo, mi interpella
41
. Pertanto, non
dal soggetto che dovremo prendere le mosse, bens dal mondo, intendendo il soggetto
come il luogo del ricevere, come risposta e presa di posizione rispetto a ci che, nel mon-
do, bussa alle sue porte.
Proprio per queste ragioni, se per molti versi Pato/ka prende le mosse da Heidegger,
su un punto, ma decisivo, ritiene di dovere prenderne le distanze, e cio rispetto allidea
secondo cui la comprensione delle possibilit ha in s il carattere del progetto
42
. Si po-
trebbe cio pensare che, progettandosi, un essere umano delinea se stesso e proprio per
questo produce le sue possibilit. Le comprende perch stato lui a delinearle. In que-
sto senso, le possibilit emergerebbero solo con lapparire del progetto politico. Una
prospettiva che, evidentemente, ha il suo nucleo nella creativit della soggettivit. Per
Pato/ka, invece, chi sono io mi si manifesta dallesterno, viene compreso da me, una
delle possibilit che si trovano nel mondo in quanto esse sono il mondo, una possibilit
che mi interpella e a partire dalla quale comprendo me stesso
43
. Una politica responsabi-
le, dunque, non segue il progetto, ma interpreta e risponde alle possibilit dazione che,
di volta in volta, si delineano. Pertanto, la responsabilit situata.
Un essere vivente deve dirigersi verso un ente determinato, ma per poterlo fare deve
poterlo comprendere in ci che , dunque in quanto possibilit dazione, in quanto ente
di cui possibile farsene qualcosa: Nessun ente finito in grado di creare possibili-
t cos come realt. Non possiamo neanche progettare autonomamente alcun ens ima-
ginarium se la sua possibilit non gi data
44
. Dobbiamo dunque dire che le possibilit
non le creo io, ma esse creano me, giungono a me dallesterno, dal mondo
45
. Pertanto,
lagire storico si muove allinterno di una finitezza e di una storicit irriducibile, e lesse-
re umano chiamato ad agire responsabilmente, cio verso tutti e verso la storia, a par-
39
J. Pato/ka, Leib, Mglichkeiten, Welt, Erscheinungsfeld, cit., p. 87.
40
Ibidem.
41
Ibid., p. 87.
42
M. Heidegger, Essere e tempo, tr. it. di P. Chiodi e F. Volpi (a cura di), Longanesi, Milano 1970, p. 182.
43
J. Pato/ka, Leib, Mglichkeiten, Welt, Erscheinungsfeld, cit., p. 88.
44
Ibid., p. 94.
45
Ibid., p. 90.
Vincenzo Costa
726
tire dalla finitezza della sua comprensione. Proprio questa doppia ingiunzione, contrad-
dittoria, costituisce la responsabilit dellagire politico.
Manifestandosi, quella totalit di possibilit che il mondo mi fornisce una via per
accedere a me stesso, perch mi pone di fronte allazione possibile, e dunque a chi pos-
so essere, cio alle possibilit che incombono e che interpellano la mia responsabilit e la
mia libert. Di conseguenza, non nella riflessione che incontro me stesso. Invece, sco-
pro chi sono rapportandomi, nellazione, alle mie possibilit. Lessere umano si rappor-
ta a se stesso e alla totalit consumando le proprie possibilit, consumando il tempo di
cui fatto, e dunque consumando la propria carne. Ma un ente che si rapporta a se stes-
so , necessariamente, un ente per il quale, nellazione, ne va di se stesso, un ente che,
nellazione, deve dare senso al suo essere, cio a se stesso in quanto tempo.
Proprio per questo, agendo, il soggetto si radica nella storia. Solo nellazione que-
sta si rende trasparente, perch il senso del racconto si rende comprensibile attraverso
lazione storica
46
. Solo a chi si appresta ad agire le possibilit storiche si rendono manife-
ste. Un tema che Pato/ka poteva riprendere da Hannah Arendt, autrice frequentemente
menzionata nei Saggi eretici. Questa aveva infatti osservato che lazione, in quanto fon-
da e conserva gli organismi politici, crea le condizioni per la continuit delle generazio-
ni, per il ricordo, e quindi per la storia
47
.
Lazione rompe la crosta della tradizionalit e dellessere gettati. Rispondendo alla si-
tuazione che lo interpella, il soggetto accoglie ci che gli destinato. Quando ci accade,
quando linvio viene accolto, il mondo non pi quello sfondo inerte sul quale si mo-
stra ci che ci tiene prigionieri, ma solo ora esso stesso in grado di mostrarsi come il
tutto che si apre sul fondo oscuro della chiusa notte
48
.
Il tempo della responsabilit
Dunque, un mondo si apre nelluomo. Ma ci non significa che venga aperto dalluomo.
Il punto che, secondo Pato/ka, a rendere disponibili le possibilit del nostro essere
non siamo noi, ma lessere fenomenico
49
. Le cose che si manifestano hanno qualcosa
da dirmi, mi indicano lazione possibile. E lo fanno traendo questa capacit di direzione
dal mondo che ne consente lapparire, dunque dalle relazioni che costituiscono il loro
essere
50
. Ma il mondo non solo una totalit strutturale di rimandi: un incessante flus-
so temporale, cosicch il tempo la condizione universale dellessere in generale
51
. E
questo significa che ogni mondo storico gi pregno di avvenire, di tracce di ci che non
stato e di ci che pu essere, sicch il futuro rappresenta il tesoro delle possibilit di
46
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 32.
47
H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, tr. it. di S. Finzi, Bompiani, Milano 2004, p. 8.
48
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 45.
49
J. Pato/ka, Der Subjektivismus der Husserlschen und die Forderung einer asubjektiven Phnomenologie
(1971), adesso in J. Pato/ka, Die Bewegung der menschlichen Existenz. Phnomenologische Schriften II, K.
Nellen (a cura di), Jir Nemec und Ilja Srubar, Klett-Cotta, Stuttgart 1991, p. 307.
50
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 8.
51
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique, cit., p. 99.
Jan Pato/ka e leresia della storia
727
vita della soggettivit
52
. Affinch un mondo possa aprirsi per un soggetto, questi deve
potere, nel suo presente, trattenere ci che defluisce verso il passato, quanto di non rea-
lizzato vi in esso, e lasciarsi intaccare dal futuro, dallambito del possibile. Di qui, lidea
secondo cui, a differenza di quanto teorizzato da Heidegger, il momento fondamentale
di una teoria dellazione umana andrebbe cercata nella natalit e non nella mortalit.
Come ha notato Hannah Arendt, che Pato/ka segue, tra le attivit umane lazione che
in pi stretto rapporto con la condizione umana della natalit; il nuovo inizio che acca-
de nel mondo con ogni nascita pu farsi riconoscere nel mondo solo perch il nuovo ve-
nuto possiede la capacit di produrre esso stesso un nuovo inizio, cio di agire
53
.
Nel costituirsi di una coscienza storica, infatti, attraverso il ricordo, lessere che sgor-
ga nel presente rimane come traccia, che pu essere riattivata, dunque come tradizione.
Caratterizzandosi come una tendenza, lattesa del futuro predelinea le possibilit laten-
ti, ma implicite in ci che si tradizionalizzato e rimane nella memoria. Questo signifi-
ca, dunque, che il mondo non una totalit strutturale chiusa, sincronica, ma una tota-
lit strutturalmente instabile.
Il passato che si sedimentato e tradizionalizzato non infatti qualcosa di morto, ma
un gi-stato carico di avvenire, dato che in questo passato c molto di non realizzato. Ci
che chiamiamo presenza, il nostro mondo attuale, quello in cui viviamo oggi, costituisce,
pertanto, un intero aperto su due lati. Il mondo, dunque, lungi dallessere una forma
statica, , conformemente alla sua essenza pi propria, divenire
54
. Ma non meno vero
laltro aspetto: che passato e futuro possono sintetizzarsi solo collassandosi nel presente.
Quando passato e futuro si sintetizzano, si apre lo spazio dellazione storica.
Per un essere che non ha un mondo il passato qualcosa di morto, in esso non vi al-
cuna promessa che si proietta sullavvenire. E viceversa: solo un essere aperto al tempo
pu avere un mondo. Bisogna dunque avvertire questa dialettica tra tempo (momento dia-
cronico) e mondo (momento sincronico) come insuperabile e originaria, ed evitare di deri-
vare il mondo dal tempo o il tempo dal mondo. In questo senso, possiamo dire che il tem-
po il fondamento attraverso il quale le cose sono, tutte insieme, le cose appartenenti a
un medesimo e unico mondo: correlato di questa coscienza originaria di un orizzonte
55
.
Storicit ed emancipazione
Dobbiamo dunque prendere atto che nel pensiero di Pato/ka agiscono due idee di mon-
do: da un lato il mondo unapertura a partire dalla quale guardo e a partire dalla qua-
le le cose possono manifestarsi nel loro essere, dallaltro esso ci che dovrebbe essere,
ci che manca, ci che non pu mai giungere a fenomenizzarsi. Ogni mondo storico una
determinazione dellessere, e ogni posizione, che come tale pu avere senso solo in una
catena di rimandi, rinvia a una verit che non si ancora manifestata.
52
Ibid., p. 100.
53
H. Arendt, Vita Activa, cit., p. 8.
54
J. Pato/ka, Le monde naturel comme problme philosophique, p. 113.
55
Ibid., p. 112.
Vincenzo Costa
728
Pertanto, la giustizia e il bene, come dati esigenziali, non possono mai divenire no-
zioni normative, determinabili una volta per tutte. Essi agiscono nella storia come un
non-ancora, ma non possono mai divenire tematici. Restano meramente utopici. E tutta-
via sono costitutivi dellumano e della storia. La pace e la giustizia sono fuori dalla storia,
sono qualcosa che non ha mai avuto luogo, ma il rapporto con questo non luogo costitui-
sce lessenza della storia e dellessere umano in quanto essere storico. Essere nella storia
significa, infatti, essere ospitati in un movimento innescato da qualcosa che non ha mai
avuto luogo n pu averlo. Da questa esigenza di giustizia, che etica prima che conosci-
tiva, sorge lidea di verit, che dunque irriducibile al mondo come apertura.
In questo modo Pato/ka prende le distanze dallimpostazione storicista e heidegge-
riana del problema della verit. Per Heidegger, infatti, non vi alcuna verit assoluta
56
.
La verit appartiene unicamente allapertura a partire dalla quale si guardano le cose,
cosicch non vi alcuna verit al di fuori dellinterpretazione che se ne d. Di conseguen-
za, si tratta di muoversi allinterno di questa verit relativa, senza cercare di eccederla
57
.
Di qui, in Heidegger, una precisa indicazione di come rapportarsi alla filosofia: si tratta
di vivere in una verit relativa, abbandonando lesigenza della verit, decidendosi per la
propria generazione e per la propria epoca, invece di costruire una filosofia che aleg-
gia tra le nuvole
58
. Un punto che, come noto, giocher un ruolo notevole nelladesio-
ne di Heidegger al nazismo.
Diversa , invece, la posizione di Pato/ka. Da un lato vero che noi abbiamo accesso
allente solo a partire da un certo mondo. Tuttavia, dallaltro anche vero che un mondo
non una totalit interamente integrata, ma pu a sua volta apparire a partire da un mo-
vimento pi profondo che quello del tempo, per cui ogni mondo reca in s qualcosa che
lo eccede, una tendenza, unesigenza di verit o di emancipazione che, se da un lato non
pu essere soddisfatta, dallaltro non pu neanche essere rimossa.
Questa esigenza rappresenta ci che scuote ogni mondo storico, che lo rende pro-
blematico, che lo destabilizza e lo mette in movimento. La storia nasce, infatti, quan-
do, invece di vivere in unapertura, ci si distacca da essa, quando si avverte la differen-
za tra il mondo e la nostra rappresentazione di esso, ed emerge la necessit di cercare la
verit del fenomeno
59
. Nella misura in cui ogni apparire si costituisce rapportandosi ad
un assoluto, al bene e alla giustizia, esso esibisce se stesso come mancante. Rapportan-
do il mondo presente al mondo giusto lessere umano esperisce il proprio mondo come
distante da ci che dovrebbe essere, e dunque esperisce il possibile, ci che non ma
che dovrebbe essere. Per questo, il riferimento alla verit, intrinseco al movimento del-
la temporalizzazione, muove e scuote ogni apparire, cio ogni mondo storico. Ed pro-
prio la rimozione di questo problema a caratterizzare la societ industriale nel suo com-
plesso come decadente.
La verit, dunque, non riducibile, come pensa Heidegger, a un mondo: lo ecce-
de. In questo senso, la verit un compito, cio unesigenza pratica di emancipazione. Es-
56
M. Heidegger, Logik als die Frage nach dem Wesen der Sprache, Sommersemester 1934, in G. Seubold (a
cura di), Gesamtausgabe, Bd. 38, Klostermann, Frankfurt a. M. 1998, p. 79.
57
Ibidem.
58
Ibidem.
59
J. Pato/ka, Saggi eretici, cit., p. 30.
Jan Pato/ka e leresia della storia
729
sendo in un mondo, essendo in una certa manifestazione dellessere questa lidea di
Pato/ka siamo tuttavia diretti verso la verit del manifestarsi, e questo riferimento av-
viene nella prassi, attraverso la quale ci riferiamo alla verit cercando di farla venire alla
luce. Ilja Srubar ha giustamente notato che, in questo modo, Pato/ka intende tracciare
la via per rimettersi dal nichilismo, in quanto il senso pur nella sua necessaria relativi-
t ci si schiude solo in quanto ci impegniamo nella nostra finitezza, in quanto agiamo,
e ci significa, in quanto ci facciamo carico della responsabilit
60
.
Questo rapporto alla verit cio, secondo Pato/ka, generatore di storia. Essendo di-
retto verso la verit, lessere umano verso questa che si supera, e questa trascendenza
che egli , la coglie appunto superando lalienazione. Pertanto, vi storia solo in virt
del movimento verso e nella verit
61
. Lattivit delluomo viene cos a configurarsi come
un comportamento aperto, in cui ne va, per il soggetto, della verit di s. Attraverso il
rapporto alla verit, in ogni azione (rituale, politica, morale) luomo si situa in rappor-
to alla totalit e a tutto ci che la rivela
62
.
Per Pato/ka, dunque, da un lato non pi possibile fondare lagire umano su una
verit apodittica, e su un fine della storia che il soggetto potrebbe possedere e compren-
dere in anticipo, come per esempio accade in certe versioni del materialismo storico in
cui il ruolo del soggetto responsabile viene interamente soppresso. Dallaltro, tuttavia,
lappartenenza ad unapertura di senso non implica che si debba abbandonare lidea di
verit e seguire ci che sembra imporsi nella propria epoca, aderendo alla propria epo-
ca. Al contrario, in questo spazio si colloca il valore politico e storico della dissidenza, in
cui viene a collassarsi il valore trascendentale dellidea di verit, di cui non bisogna smar-
rire il potere generativo e costitutivo dellumano, ancora prima che della storia. Infatti, se-
condo Pato/ka, e qui possiamo cogliere con evidenza la distanza rispetto alla posizio-
ne di Heidegger,
la vita umana in tutti i suoi aspetti una vita in verit; verit finita, vero, ma che impegna
la nostra responsabilit con non meno rigore di quanto facesse lesigenza apodittica del ra-
zionalismo. Perch verit finita non significa verit relativa, verit in rapporto a qualche cosa
daltro da essa, ma appunto lotta di ogni giorno contro gli errori, le illusioni, le ostinazioni
inseparabili della lotta stessa, e che sono i tentativi delluomo per allontanarsi dal suo essere
divenendo come un pezzo di lava sulla superficie della luna
63
.
La direzione verso la verit dunque un processo di emancipazione dallerrore, da-
gli sviamenti, dalle cadute. Nella misura in cui il soggetto pensa praticamente, cercando
di liberare se stesso da tutto ci, la verit emerge in negativo, appunto come ideale tra-
scendentale, cio come unimpossibilit che genera il possibile. Vorremmo dire: proprio
perch lemancipazione impossibile vi storia dellemancipazione. In questo senso, in
quanto riserva attiva del possibile, la verit non uno stato, ma un processo di differi-
60
I. Srubar, Vom begrndenten Leben. Zu Jan Pato/kas praktischer philosophie, Phnomenologische For-
schungen, n. 17, p. 19.
61
J. Pato/ka, Postface, p. 178.
62
Ibidem.
63
Ibid., p. 181.
Vincenzo Costa
730
mento infinito al cui interno il soggetto ospitato nel suo cammino di emancipazione. In
questo mantenersi desti verso il non ancora la categoria di dissidenza assume dunque un
valore filosofico autonomo
64
, poich nella soggettivit dissidente viene ritenuto ci che
non si realizzato e che si presenta come mai accaduto, e tuttavia a-venire.
BIOGRAFIA
Jan Pato/ka nasce il 1 giugno del 1907 a Turnov, in Boemia, in una modesta ma colta
famiglia, attraverso la quale ha modo di frequentare molti dei pi autorevoli protagoni-
sti della scena politica della neonata Repubblica Cecoslovacca. Dopo avere seguito i cor-
si di filologia romanza e di slavistica si interessa alla filosofia, attraverso la quale cerca
un centro spirituale per la vita. Insoddisfatto tanto dal declinante positivismo quanto
dallidealismo ceco che inclinava alla mistica e alla teosofia, il giovane Pato/ka tro-
v un punto di riferimento importante in Jan Blahoslav Kozk (1889-1974), che soste-
neva lidea secondo cui la storia una collaborazione tra luomo e Dio, ed in essa luo-
mo, agendo, realizza il piano di Dio sul mondo.
Nel 1933 si reca a Friburgo per poter studiare con Husserl, ma dove finisce per es-
sere fortemente attratto dalla personalit filosofica di Martin Heidegger. Al ritorno dalla
Germania Pato/ka si inserisce allinterno di una creativa stagione culturale ceca che cul-
miner nellinvito a Husserl a tenere quelle fondamentali conferenze che diverranno La
crisi delle scienze europee. Tuttavia, alla fine degli anni Trenta, questa stagione volge al
termine con linvasione tedesca della Cecoslovacchia, ed proprio questo evento a fare
emergere nel pensiero del filosofo ceco la nozione di scossa (otres), intesa come ci
che apre il soggetto umano alla responsabilit.
Al termine della guerra, dopo un breve periodo in cui sembra possibile svolgere una
certa attivit culturale, la situazione muta, deludendo le speranze di Pato/ka. Dopo ave-
re rifiutato, nel 1949, di iscriversi al Partito comunista Pato/ka sar escluso dallinse-
gnamento per ventanni. Con lavvento della Primavera di Praga, che gli sembra rap-
presentare il tentativo di tornare al senso originario del socialismo come liberazione
delluomo, Pato/ka viene chiamato a svolgere un nuovo ruolo culturale. Linvasione so-
vietica dellagosto 68 spezza queste fragili speranze. Tuttavia, a differenza di tanti altri
intellettuali cechi, Pato/ka rifiuter di abbandonare il paese, iniziando invece una serie
di riflessioni teoriche che formeranno la piattaforma culturale e filosofica di Charta 77,
di cui Pato/ka diviene portavoce. Charta 77 riveste infatti per Pato/ka un fondamenta-
le significato di ordine etico e questo laspetto a suo avviso pi decisivo nella piattafor-
ma del movimento, che dopo decenni di rassegnazione ha fatto s che la gente tornas-
se a sapere che esistono cose per cui mettere in conto anche soffrire. Che le cose per cui
eventualmente si soffre sono quelle per cui vale la pena di vivere.
Lo stress derivante dallattivit politica e gli estenuanti interrogatori della polizia se-
greta minano la salute dellormai anziano filosofo. Agli inizi del marzo 1977 Pato/ka
64
E. Tardivel, La subjecitivit dissidente: tude sur Pato/ka, in Jan Pato/ka and the European Heritage, Vol.
VII di Studia Phnomenologica: Romanian Journal for phenomenology, Bucharest 2009, pp. 435-464.
Jan Pato/ka e leresia della storia
731
deve recarsi al commissariato per essere interrogato. Dopo quasi dieci ore di interro-
gatorio ritorna a casa in preda ad una crisi cardiaca, con tutta probabilit causata dalla
brutalit dellinterrogatorio, per cui viene ricoverato in ospedale. Nellultimo documen-
to steso in ospedale, rispondendo alle critiche di chi sosteneva che Charta 77 avrebbe
peggiorato le condizioni di vita dei dissidenti e della popolazione, inasprendo lopera re-
pressiva del regime, Pato/ka scrive che nessuna arrendevolezza ha finora portato a un
miglioramento, bens soltanto ad un peggioramento della situazione. Quanto maggiore
la paura e il servilismo, tanto pi quelli che hanno il potere hanno osato, osano e ose-
ranno....
Il 10 marzo, la polizia segreta torna allospedale per interrogarlo di nuovo, con un ac-
canimento che prostra definitivamente lanziano filosofo e che provoca, nella notte suc-
cessiva, unemorragia cerebrale che lo porter alla morte, avvenuta il pomeriggio del 13.
Ma la persecuzione non era finita con la morte. Il regime cerc di impedire la parteci-
pazione ai funerali, arrestando tutti gli esponenti pi in vista di Charta 77 ed espellendo
amici e colleghi stranieri che si erano recati in Cecoslovacchia per rendergli omaggio.
BIBLIOGRAFIA
J. Pato/ka, Il mondo naturale e la fenomenologia, Mimesis, Sesto San Giovanni 2003.
J. Pato/ka, Saggi eretici sulla filosofia della storia, Einaudi, Torino 2008.
J. Pato/ka, Il senso delloggi in Cecoslovacchia, edizioni Lampugnani Nigri, Milano 1970.
J. Pato/ka, Platone e lEuropa, Vita e Pensiero, Milano 1997.
J. Pato/ka, Phnomnologie asubjective et existence, Mimesis, Sesto San Giovanni 2007.
J. Pato/ka, Socrate, Bompiani, Milano 2003.
J. Pato/ka, Che cos la fenomenologia? Movimento, mondo e corpo, Centro Studi Compostrini,
Verona 2010.
733
ETICA PLANETARIA E PROFEZIA
NEL PENSIERO DI ERNESTO BALDUCCI
Franco Toscani
Le radici popolari e la peculiarit del cristianesimo di Balducci
In Ernesto Balducci la parola lucida, rigorosa e razionale non era mai disgiunta da un
profondo e concreto amore per lumanit. Pi precisamente, la sua intelligenza vigile e
brillante, le sue eccezionali capacit oratorie erano al servizio dellumanit calpestata e
della dignit offesa dei pi emarginati e indifesi.
Lo stesso Balducci, nel libro-intervista Il cerchio che si chiude (1986), risaliva alle ra-
dici autobiografiche di questo atteggiamento e ammetteva di aver vissuto dolorosamente
la frattura col mondo popolare delle sue origini, quando da ragazzo entr in seminario.
La frattura sera ricomposta dopo aver compiuto il cerchio esistenziale, riprenden-
do i contatti a lungo interrotti e ritornando a imparare dal mondo operaio e contadino
del suo paese natale toscano, Santa Fiora, sul monte Amiata:
Il cerchio si risaldato con grande beneficio psicologico per me, pacificante e anche capi-
sco un po scandalizzante. Le persone religiose sopravvissute in quel mondo mi guardano
un po con meraviglia. Esse non capiscono che cosa voglia dire per me vivere in perfetta pace
con le mie origini e con profondo rispetto per i modi umani con cui gli operai del mio paese
hanno condotto le loro lotte
1
.
Tutta la vita, la predicazione, lattivit di pensiero di Balducci possono essere considera-
te come un lungo e tenace tentativo di ricongiungimento col mondo popolare delle sue
origini. questo il motivo della santit anonima, che ritorna con insistenza in nume-
rosi scritti e omelie della maturit del nostro autore
2
.
1
E. Balducci, Il cerchio che si chiude, intervista autobiografica, L. Martini (a cura di), Marietti, Genova 1986,
p. 16. Cfr. le pp. 9-17. Leggiamo pagine toccanti e significative sul mondo dellAmiata come scuola inconsa-
pevole di Vangelo nellintervista, a cura di P. Listri, Lo specchio del cielo, Testimonianze, nn. 421-422 (nu-
mero monografico dedicato a Ernesto Balducci: attualit di una lezione), gennaio-aprile 2002, pp. 288-290.
2
Fra i testi omiletici balducciani, ricordiamo soprattutto i tre volumi intitolati Il mandorlo e il fuoco. Com-
Franco Toscani
734
Ne Luomo planetario (1990), nel mettere a punto la sua nuova identit di credente,
Balducci un vero prete scomodo, come il suo amico don Lorenzo Milani ribadi-
va che il vero culto di Dio nellessere di aiuto alluomo e parlava delluomo planeta-
rio come di un uomo post-cristiano, giungendo ad affermare: La qualifica di cristiano
mi pesa (...) Chi ancora si professa ateo, o marxista o laico e ha bisogno di un cristiano
per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi.
Io non sono che un uomo
3
.
Entro tale prospettiva diveniva per Balducci di fondamentale importanza il momen-
to della teologia della croce, intesa non come legittimazione ed esaltazione della mor-
tificazione e della sofferenza, ma come principio contestativo delle potenze di questo
mondo. Da questo punto di vista i veri nemici della croce non sono i cosiddetti infede-
li e gli avversari del cristianesimo, ma sono quei cristiani stessi che nella loro pratica di
vita si discostano di fatto dalla logica della croce
4
.
Lultimo Balducci mette in luce la dimensione laica del mistero della croce, consi-
stente nel fatto che Ges rivelazione non solo di Dio, ma pure delluomo a s medesi-
mo. Il discorso sulla croce ha per il padre scolopio uno spiccato interesse antropologi-
co, vuole essere un discorso accettabile da chiunque, dalle intelligenze laiche e dai non
credenti che rimangono sul mero piano del discorso razionale, vuole dunque avere una
portata rivoluzionaria e universale.
Il Dio della croce nel Ges e negli uomini che soffrono e stanno morendo; come
dice Elie Wiesel ne La notte, il Dio misterioso e sconosciuto rintracciabile nelluomo
legato al palo del campo di concentramento. Nella croce si rivela dunque il mistero di
Dio, della sua rivelazione nellassenza e della sua Alterit come pura oblazione; la croce
cos il luogo della transizione allAltro
5
.
La straordinaria passione per luomo concreto ha impedito a Balducci di diventare
un ideologo. Il suo pensiero radicalmente anti-ideologico, opposto a qualsiasi integra-
lismo, ateo, cattolico o marxista che sia, avverso a qualsivoglia chiusura settaria. Per lui
lintegralismo cattolico non fedele alle sorgenti vive del cristianesimo, ma solo a una
tradizione consolidata.
Di fatto non c il cristianesimo, ma ci sono i cristianesimi, rigorosamente al plurale
e il cristianesimo ha sempre oscillato, nella sua lunga storia, tra lessere la religione del
potere, del privilegio, del dominio e il suo pi genuino, generoso slancio di fede nellan-
nuncio evangelico-messianico.
Disprezzando le etichette ideologiche, nella fase pi matura del suo pensiero il pa-
dre scolopio mostrava di aver assimilato a fondo la lezione dei tre grandi maestri del so-
mento alla liturgia della Parola (Borla, Roma 1979-1981), che raccolgono le omelie corrispondenti alla liturgia
delle domeniche e delle festivit degli anni compresi fra il 1974/75 e il 1978/79.
3
E. Balducci, Luomo planetario, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1990, pp. 176-178.
Il volume fu pubblicato per la prima volta presso Camunia, Milano 1985.
4
Cfr. E. Balducci, I nemici della croce, in Il tempo di Dio. Ultime omelie Avvento 1991 Pasqua 1992, Pre-
sentazione di L. Martini, Nota sullAutore di B. Bocchini-Camaiani, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico
di Fiesole (FI) 1996, pp. 155-163. Cfr. anche p. 132 e p. 154.
5
Cfr. E. Balducci, LAltro. Un orizzonte profetico, Presentazione di P. Onorato, Nota sullAutore di B. Boc-
chini-Camaiani, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1996, pp. 53-54 e 63-67.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
735
spetto, Marx, Nietzsche e Freud. Lui stesso si rendeva conto dessere un personaggio
scomodo per tutti, visto con sospetto dalla sinistra per il suo riferimento al tempo ultra-
storico, alla salvezza per antonomasia e con altrettanto sospetto dalla gerarchia eccle-
siastica per la sua insistenza sulla salvezza temporale: risultava fastidiosamente troppo
cattolico agli occhi dei marxisti dogmatici e troppo marxista agli occhi dei cattolici in-
tegralisti.
In realt egli non ha elaborato altro, con tenacia e sino allultimo, che lanti-ideologia
della passione per luomo: per questo la sua opera risulta e continuer a risultare frut-
tuosa per tutti, al di l di ogni ideologia di appartenenza.
Fra homo editus e homo absconditus, Christus cognitus e Christus absconditus
Balducci leggeva la pluralit delle culture e delle esperienze religiose alla luce della po-
larit, di ascendenza blochiana, tra homo editus e homo absconditus, affinch la riserva
dumanit insita nelle varie culture e religioni fosse finalmente posta al servizio delluo-
mo planetario. Dal punto di vista storico, le religioni hanno per lo pi temuto e negato
luomo inedito, si sono poste dalla parte delledito, del senex contro il puer.
Lumanit inedita lumanit possibile, in tensione verso il futuro e verso il proprio
adempimento, verso nuove possibili forme della convivenza e della civilt planetaria.
Commentando un passo della Prima Lettera di Giovanni, secondo cui ancora non
stato manifestato quello che saremo, ma sappiamo che quando ci sar manifestato sare-
mo simili a Lui perch lo vedremo quale Egli (1 Gv 3,2), Balducci afferma che, come
Dio Deus absconditus, cos anche luomo homo absconditus:
Nessun nome pi funesto di quello di Dio quando diventa un dio edito, il dio del gruppo,
della citt, emblema e garanzia di ogni potere. Luomo inedito lo sa e non ama nominarlo. Il
vero Dio un Deus absconditus, lestremo corrispettivo dellhomo absconditus. La preghiera
, nella sua intima essenza, una silenziosa corrispondenza tra luomo sconosciuto e il Dio
sconosciuto (...)
6
.
Lansia del trascendimento che caratterizza luomo inedito impedisce a ogni cultura
e a ogni civilt di ritenersi centrale ed esclusiva. Di qui viene un formidabile messaggio
di speranza e di fiducia nelle molteplici vie aperte alluomo di invenzione storica, di am-
pliamento e arricchimento delle sue possibilit di esistenza, dei suoi orizzonti di senso.
Le religioni avranno in futuro peso e valore storico soltanto se perderanno le loro ca-
ratteristiche dogmatiche, se in esse sesprimer lumana tensione al trascendimento, se
daranno voce al multiversum delluomo inedito. C pure un Christus absconditus non
coincidente affatto col Christus cognitus.
V una drammatica ambivalenza delle religioni, poste fra il condizionamento
ideo logico-storico e lafflato del trascendimento. Su di esse pesa in permanenza lin-
sidia ideologica, nel senso della falsa coscienza e della manipolazione delle coscien-
6
E. Balducci, LAltro, cit., p. 100. Cfr. anche p. 97.
Franco Toscani
736
ze individuate da Marx, in particolare il rischio dello spiritualismo, della evasione, della
deresponsabilizzazione, della fuga mistica dalla storia.
Le religioni sono chiamate perci al superamento della loro attuale forma storica,
allindividuazione e al recupero del loro contenuto originario, al di l degli esiti delle cul-
ture e dei simboli storicamente determinati. A questo livello si pone, a nostro avviso, la
forte vicinanza e sintonia tra i temi tipici della riflessione balducciana e quelli del cristia-
nesimo post-religioso di Dietrich Bonhoeffer, come, soprattutto, il rifiuto del Dio tap-
pabuchi, la forte rivendicazione dellessere-per-altri proprio di Ges, la piena accetta-
zione della mondanit, lassunzione integrale della responsabilit di questo mondo per
ladempimento dellannuncio profetico di liberazione.
La distinzione tra fede e religione, cara a Balducci, tesa alla salvaguardia delle pos-
sibilit vitali delluomo inedito. Il messaggio evangelico non coincide con la morale cat-
tolica ufficiale, con le posizioni della Chiesa, il suo dottrinarismo e le sue leggi.
La fede non religiosit superstiziosa o meschina proiezione dei nostri bisogni,
non una cognizione in pi nei confronti degli altri, non va vissuta alla maniera con-
solatoria e compensativa, ma principio critico anche della religione, scelta libera e
dialogo con un Tu che ci parla attraverso gli eventi stessi, nella direzione dellulterio-
rit di senso, dellinesauribilit della verit, di Qualcuno che oltre
7
.
Quella della fede una parola incredibile e paradossale, che non offre ricompen-
se, consolazioni, garanzie e certezze precostituite; essa si avvolge di e insieme dissolve
le forme religiose, va vissuta nellalternanza ineludibile di paure, dubbi e speranze, con
umilt, senza presunzione e saccenteria, come un servizio, non come un privilegio di po-
tere o come lindiscutibile conclusione di un teorema.
Anche il cristianesimo divenuto una religione storicamente determinata, cristalliz-
zatasi in ideologia. Il soprannaturalismo e lo spiritualismo che al suo interno lo insidia-
no fanno s che il messaggio di salvezza non parta dai bisogni degli uomini concreti e dai
pericoli reali che oggi tutti corriamo. Se il cristianesimo si trasformato, specie nelle sue
forme ed espressioni ufficiali, in ideologia, pure a esso necessita una metanoia, una con-
versione radicale che gli permetta un riattingimento pi autentico del messaggio evan-
gelico, in virt del quale il servizio alluomo sia proprio servizio a tutti gli uomini, non
solo e non tanto come vogliono le posizioni integraliste e fondamentalistico-dogmati-
che ai cristiani o alla pura idea astratta di universalit umana.
Balducci ridava dignit inventiva e creativa alla coscienza, rivalutava ci che Gandhi
chiamava la piccola silenziosa voce della coscienza come la voce dellhomo abscondi-
tus abitante dentro tutte le morali, le religioni, le ideologie delluomo edito.
Pochi come Balducci sono riusciti a parlare della coscienza in termini cos stimolan-
ti, efficaci e non coscienzialistico-idealistici.
In lui la coscienza , nella sua libert creativa, lorgano del futuro, delle nuove pos-
sibilit della storia umana. Tra la coscienza e la legge, tra lo Spirito e la lettera sono la co-
scienza e lo Spirito che contano di pi, perch l dove soffia lo Spirito cresce la libert
7
Cfr. E. Balducci, Il tempo di Dio, cit., pp. 18, 96, 119, 160.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
737
vivificante e anche il santo Vangelo non dice nulla se non passa attraverso la testimo-
nianza, il modo di esistere
8
.
Proprio a questo livello dellautonomia della coscienza, della sua capacit critica e
libert rispetto a tutte le forme opprimenti di mediazione, possiamo rintracciare il sen-
so genuino duna nuova laicit, ben differente dal laicismo borghese o piccolo-borghe-
se impastato di cinismo e di opportunismo, che ha gi dato ampia prova di s; si tratta
qui piuttosto di una nuova laicit caratterizzata dalla lucidit razionale, dalla spregiudi-
catezza e da una grande apertura intellettuale, oltre che da unistanza etico-politica im-
prescindibile.
Modernit, post-modernit e carattere bifronte dellOccidente
Nel gran parlare di questi ultimi decenni, spesso confuso e oscuro, di modernit e post-
modernit, la riflessione sviluppata da Balducci in testi rilevanti come Luomo planeta-
rio e La terra del tramonto ha senza dubbio, fra gli altri, il pregio della incisivit e della
chiarezza. Secondo lautore, la crisi della modernit riguarda essenzialmente lautoco-
scienza dellOccidente, che nella sua storia ha proposto la propria identit come asso-
luta, fondandola sul rifiuto dellaltro-da-s, sul mancato riconoscimento della dignit e
legittimit di altre culture e civilt. Un solo tipo, una sola forma di umanit stata con-
siderata e privilegiata.
Ma luomo europeo-occidentale non luomo come tale, non risolve nella propria
storia nonostante la sua soggettivit iperbolica la storia del mondo. Contrariamen-
te alle sue credenze e aspettative, egli si ritrova impoverito dalla sistematica esclusione e
negazione dellaltro, con cui ha costruito la sua nozione di progresso e di storia.
La nostra civilt vive nellopulenza e, nel contempo, sconta un proprio peculiare
tempo di povert, uninterna crisi di senso e di direzione del vivere. La crisi delluo-
mo edito non solo di tipo economico o politico, ma di proporzioni gigantesche, crisi
epocale e antropologica che investe lintero modo dessere delluomo nel mondo e i suoi
rapporti con gli altri uomini, gli esseri viventi tutti, le cose, la natura, la verit.
Nelle ultime omelie balducciane si avverte una sofferta consapevolezza della molti-
plicazione dei segni del deserto che avanza, si accenna alla patologia collettiva, alla
spinta politicamente reazionaria destinata a non esaurirsi brevemente, al degrado del
tessuto morale e civile, allidolatria e allabuso del potere, allavidit di ricchezza e al cul-
to del denaro, allimporsi dellindividualismo utilitaristico, alla devastazione ambien-
tale, alla crescente diffusione della xenofobia e del razzismo, del cinismo e dellopportu-
nismo, ecc., tutti fenomeni tipici delle cosiddette societ sviluppate.
Il male nel quale si radica lesistenza umana sembra dotato di una forza incoercibile
e ostinata, linterrogativo sul male si ripropone sempre di nuovo, irrisolto e forse irrisol-
vibile. La riflessione balducciana si sviluppa allora in modo inquieto sullidentit oggi in
questione dellOccidente che, dal punto di vista antropologico, appare in una dura espe-
8
Cfr. E. Balducci, op. cit., pp. 184-191.
Franco Toscani
738
rienza del tramonto; si tratta per di vivere sino in fondo lesperienza del tramonto per
trovare laccesso ad una nuova possibile alba della storia umana.
Lesigenza di un nuovo umanesimo planetario si fa perci pressante, agli occhi di
Balducci , sia per il crescente inaridimento che minaccia la nostra civilt sia per affronta-
re il divario abissale e vergognoso di ricchezza e di potere tra Nord e Sud della Terra.
Rivestendo forzatamente ed esclusivamente la pelle bianca, la Ragione si un po
logorata, nonostante le sue smanie e illusioni di potenza. Che avvenne con la scoperta
di Colombo? In estrema sintesi questo: Luomo incontr luomo e non lo riconobbe,
come dire: luomo incontr se stesso e non si riconobbe, avviando cos una tragica alie-
nazione che solo in una autentica et planetaria potr essere pienamente risanata
9
.
Balducci scommette perci sul superamento del paradigma eurocentrico e del mo-
nologo culturale delluomo occidentale, incapace di cogliere laltro come tale e di sta-
bilire un rapporto di effettiva reciprocit con lui. Dinnanzi allOccidente si prospetta un
radicale aut-aut: integrazione, condivisione, solidariet, societ conviviale e accogliente
oppure logica dello scontro, muro contro muro, netta separazione tra noi e loro,
diffidenza, disprezzo, odio, violenza, guerra. La crisi e la fine del paradigma eurocentri-
co derivano, secondo Balducci, dalla stessa situazione oggettiva delle risorse energetiche
e degli equilibri vitali del pianeta, che non rende possibile lestensione illimitata del mo-
dello di sviluppo occidentale.
Il fondatore di Testimonianze individua il punto aporetico, il vicolo cieco del-
la modernit nel fatto che la cultura delluomo moderno universale per certi aspetti e
non lo per altri, nella consapevolezza della dissociazione interna e del carattere bifron-
te dellOccidente, della sua oscillazione tra universalismo astratto e universalit concre-
ta, tra riconoscimento e negazione dellaltro.
Dobbiamo stare attenti a non scambiare questa critica implacabile delleurocentri-
smo con il rifiuto totale dellOccidente e della sua cultura.
Premesso che il recupero, la rimessa in discussione e la ridefinizione della nostra
identit passano doverosamente attraverso il riconoscimento dellalterit, Balducci ri-
fiuta esplicitamente ogni passione masochista per la negazione di ci che noi siamo,
ogni indigenismo e etnocentrismo rovesciato, ogni vergogna di essere occidenta-
li e mimetismo infantile delle soggettivit altre
10
.
Serve ununiversalit concreta che ammetta al suo interno la libera esplicazione del-
le differenze, che sia fondata sulleguaglianza nella diversit e sulla diversit nellegua-
glianza. La cultura occidentale ha elaborato alcuni principi, idee e valori come il pri-
mato della coscienza in rapporto alla legge, la nozione di Stato di diritto, la democrazia
e i diritti umani , che vanno senzaltro assunti pienamente nella cultura in via di forma-
zione delluomo planetario.
Luomo occidentale ha in s un afflato universale quando elabora la cultura dei di-
ritti umani, ma ha finito col negare queste sue stesse premesse universalistiche imponen-
do allaltro-da-s la sua strategia di dominio e sfruttamento.
Scienza e tecnologia potranno servire nella direzione della svolta verso unautentica
09
E. Balducci, La terra del tramonto, cit., p. 70.
10
Cfr. E. Balducci, LAltro, cit., pp. 48 e 83-84.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
739
universalit, ma esse saranno cariche di frutti e di futuro per tutti se si svincoleranno dal-
la cultura della competizione e del dominio in cui si sono sviluppate sinora, se sinstau-
rer un rapporto di maggiore compatibilit fra tecnologia e ambiente, se si porr atten-
zione alla salvaguardia della biosfera, se lhomo faber non riassorbir pi completamente
in s lhomo sapiens e si ricongiunger allhomo ludens, superando lideologia dellhomo
oeconomicus. Occorre dunque riscoprire un nuovo senso della praxis, al di l del prassi-
smo prometeico, furioso e cieco dellOccidente.
In questa direzione il pensiero di Balducci era fortemente interessato, sensibile e
aperto a certi temi della cultura orientale, ad esempio al principio taoista del wu wei, il
non agire che non passivit e inazione, ma agire semplice e concreto, modesto ed ef-
ficace, ponderato e responsabile, libero e spontaneo. Linteresse e lattenzione al pensie-
ro orientale sono in lui di lungo periodo e sono testimoniati pure dalla pubblicazione,
nel 1986, dei tre volumi della Storia del pensiero umano, dove la storia della filosofia non
viene ridotta allo studio della storia del pensiero occidentale, ma viene dato ampio spa-
zio alla storia del pensiero orientale
11
.
Anche nel saggio Elogio (penitenziale) del silenzio (1991), citando il sermone dei
fiori di Buddha, lautore sottolinea il valore della grande scuola del silenzio rappre-
sentata dal buddhismo zen, che prima o poi, in una forma o in unaltra, luomo occi-
dentale dovr decidersi a frequentare
12
, se vorr fare i conti con la propria furia prassi-
stica e frenesia produttivistico-consumistica.
Il limite del pensiero orientale consiste per Balducci nellaffidarsi a un Assoluto im-
personale, ad un universale senza soggetto, in cui a suo dire si dissolve il senso es-
senziale della relazione Io-Tu, del rapporto con lAlterit; della cultura orientale, inol-
tre, egli non condivide alcune ambiguit e alcuni esiti irrazionalistici, mistici, di fuga
dalla storia.
Nei suoi ultimi anni Balducci metteva in guardia sempre pi spesso con accenti si-
mili a quelli che troviamo in Das Prinzip Verantwortung (1979) di Hans Jonas circa il
primato dellhomo faber, peculiare della modernit occidentale e laffermazione duna
nozione impoverita, unidimensionale di uomo, lhomo oeconomicus del consumismo e
del produttivismo, dellefficientismo e del mondo totalmente amministrato, obbediente
alla logica della ratio strumentale-calcolante, che riduce le cose a semplici merci e a ma-
teriale di consumo, a meri mezzi per luso delluomo, a sua volta ridotto essenzialmente
a produttore, consumatore, funzionario delle merci e del capitale, del denaro e della tec-
nica, Menschenmaterial, materiale umano impiegabile e illimitatamente sfruttabile.
Il paradigma della modernit e lalienazione capitalistica.
Il marxismo, la sua crisi e la sua eredit. La cosmopoli
Le suddette caratteristiche di economicismo e produttivismo, efficientismo e funziona-
lismo non si sono rivelate esclusive del capitalismo e del neoliberismo, ma in forme di-
11
Cfr. E. Balducci, Storia del pensiero umano, 3 volumi, Edizioni Cremonese, Firenze 1986.
12
E. Balducci, LAltro, cit., p. 95.
Franco Toscani
740
verse hanno contraddistinto largamente pure il marxismo, soprattutto nelle sue versio-
ni ufficiali e dominanti.
Neoliberismo, ideologia capitalistica e comunismo, al di l delle loro evidenti diffe-
renze, si scoprono interni al medesimo paradigma della modernit, alle categorie dellin-
dustrialismo, al comune progetto teso al dominio tecnologico della natura, a quella re-
ligione del progresso tecnologico il cui dogma stato quello di credere in un rapporto
meccanico mezzi/fini.
Lideologia borghese e quella proletaria sono rimaste interne al medesimo presup-
posto del modello di sviluppo economico e sociale approntato dalla rivoluzione indu-
striale.
Per il Marx del Manifest (1848), la civilizzazione borghese indica la strada obbliga-
ta da percorrere alle nazioni pi barbare. Egli vedeva nella contraddizione tra svilup-
po delle forze produttive e rapporti capitalistici di produzione la contraddizione fonda-
mentale che avrebbe determinato, con linflessibilit di una legge naturale, lavvento del
socialismo.
In tal modo il marxismo si risolto in economicismo ed rimasto irretito nelleuro-
centrismo:
Marx sconta il limite specifico dellantropologia moderna, che la identificazione del senso
delluomo col suo dominio sulle cose (...) nel presupposto che luomo si realizza nella mani-
polazione tecnica della realt, quasi fosse una manipolazione in se stessa neutra, proseguibile
allinfinito. Il dominio ha finito col diventare, mediato dalla tecnica, il vero soggetto della
storia (...). Proprio per questo sono cadute nellinsignificanza, anche agli occhi dei marxisti,
sia le forme di esperienza estranee alla logica produttiva sia le forme di umanit che non hanno
ancora vissuto la rivoluzione industriale
13
.
Poco o per nulla attenti ai lati ludico-estetici e contemplativi, Marx e il marxismo non
hanno preso in considerazione gli aspetti di gratuit e di non strumentalit del rapporto
uomo/natura, ridotto essenzialmente allaspetto tecnico-produttivo.
Inoltre il proletariato industriale occidentale non ha pi quel ruolo trainante che do-
veva avere secondo la visione originaria di Marx, perch oltre alla mutata composizio-
ne di classe e alle trasformazioni cui andata incontro la societ capitalistica dal XIX al
XX secolo esso rimasto interno al Panopticon, associato dal capitalismo alla spar-
tizione del profitto (un profitto che, visto sul parametro planetario, rapina) e ha ere-
ditato il pregiudizio etnocentrico proprio della cultura borghese; lo stesso Marx rimane
interno al paradigma eurocentrico della modernit
14
.
Balducci sostiene la piena attualit della teoria marxiana del feticismo delle merci, re-
cupera il Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, critico dellalienazione ca-
pitalistica e della espropriazione della soggettivit, ma d a queste formulazioni un sen-
so nuovo e pi ampio, non limitato alluomo: lalienazione colpisce infatti ormai, come
cinsegna lodierna coscienza ecologica, la stessa biosfera.
Del marxismo non va quindi fatta unassunzione acritica, ma nella misura in cui
13
E. Balducci, La terra del tramonto, cit., pp. 24-25.
14
Cfr. E. Balducci, Luomo planetario, cit., p. 170 e Id., LAltro, cit., pp. 56, 81.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
741
riesce a proporsi come punto di vista degli emarginati e degli oppressi e in esso rimane
custodito il sogno di una cosa caro al giovane Marx vanno riprese e rinnovate la cri-
tica dellalienazione e listanza di liberazione umana in esso presente.
Sin da Il terzo millennio. Saggio sulla situazione apocalittica (1981), Balducci ana-
logamente al Sartre delle Questions de mthode e della Critique de la raison dialectique
(1960), che aveva considerato il marxismo lorizzonte filosofico insuperabile dellepo-
ca aveva ritenuto il marxismo come lunica vera cultura dellalternativa storica
15
,
sensibile allurgenza di un progetto di radicale cambiamento del mondo, ritenendolo
per inadeguato ad affrontare i complessi problemi della civilt contemporanea per i pa-
lesi limiti della sua cultura antropologica.
Il sogno della congiunzione fra giustizia e amore pu avverarsi solo assumendo come
punto di partenza la giustizia, presupposto essenziale dellamore. La giustizia nasce
come fioritura interiore non concepita solo in riferimento ai principi giuridici, ma come
profonda esigenza di coscienza, vissuta nella responsabilit per laltro e per la comune
umanit.
La evidente crisi del marxismo deve condurre ad un suo profondo ripensamento teo-
rico-pratico e a una sua rifondazione radicale:
Se non si ripensa radicalmente, mediante una specie di morte a se stesso, anche il marxismo
un relitto del passato. Il che non vuol dire (...) che il marxismo debba essere abbandonato. La
novit unaltra: (...) non ci si converte pi al marxismo come a un punto di vista totalizzante.
Anzi, non ci si converte pi a nessuna forma spirituale tra quelle esistenti, dato che in ciascuna
accaduto levento drammatico della decadenza nella relativit
16
.
Vanno portate avanti, dopo la caduta dei regimi burocratici neo-stalinisti, le istanze di li-
bert, di giustizia sociale e di eguaglianza presenti nel pensiero di Marx, saldandole coi
nuovi imperativi posti dalla drammaticit della questione ambientale e operando in di-
rezione di un rinnovato progetto etico-politico di cambiamento della civilt.
Scrive Balducci, a questo proposito, ne La terra del tramonto:
Come non pensare, in questo momento, alla luce di consapevolezza che Marx ha fatto scen-
dere nella moltitudine degli oppressi di tutto il pianeta? Chi potrebbe dire che quella era la
luce di unillusione? Chi potrebbe dire che il sogno antico di quelle moltitudini si sia dissolto
col dissolversi dei burocrati e dei dottrinari che in nome di Marx lo avevano tradotto in una
calotta glaciale?
17
Sul piano politico si tratta di uscire dalle secche dellesistente e di considerare, rispetto
alla vecchia centralit operaia e alle macchine burocratiche dei partiti-stati, la rilevanza
dei movimenti della societ civile, capaci di stimolare e di premere sulle istituzioni, di
proporre nuovi modi e forme della praxis politica, di cui v un gran bisogno. Lobietti-
vo di fondo una civilt pi fraterna, solidale e conviviale, la riconciliazione delluomo
15
E. Balducci, Il terzo millennio. Saggio sulla situazione apocalittica, Bompiani, Milano 1981, p. 52.
16
E. Balducci, Luomo planetario, cit., pp. 170-171.
17
E. Balducci, La terra del tramonto, cit., p. 195.
Franco Toscani
742
con luomo e delluomo con la natura; lispirazione la passione e la premura per luo-
mo, per il bene comune, attraverso una conversione del cuore e della mente.
Senza voler e poter offrire indicazioni operative immediate, Balducci ribadisce che
ogni ragion di Stato deve subordinarsi dora in poi alla ragione di umanit, essendo
il nuovo soggetto storico in via di formazione, finalmente, lumanit planetaria.
Qui lindividuo non pi soltanto cittadino di uno Stato, ma in senso lato pure
membro della specie; vi una duplice appartenenza, al proprio paese e al pianeta inte-
ro. Questa lidea di fondo della cosmopoli di cui nei suoi ultimi anni il padre scolo-
pio parlava.
Il progetto balducciano duna comunit mondiale, di una civilt delluomo plane-
tario, di una federazione internazionale degli Stati, di poteri sovranazionali si pone in
esplicita continuit con le considerazioni svolte nel 1795 da Immanuel Kant in Zum ewi-
gen Frieden
18
e pu apparire, proprio come lo scritto kantiano di oltre due secoli fa, ana-
cronistico e velleitario nel momento in cui le spinte dei nazionalismi e delle rivendica-
zioni etniche si ripropongono ancora, talvolta con forza e in modo inquietante, in varie
parti del pianeta.
Secondo Balducci possibile costruire la cosmopoli o la nuova civilt delluomo pla-
netario solo allargando la tenda, facendovi entrare gli esclusi, operando uno spodesta-
mento storico, con popoli diversi destinati a prendere il nostro posto, come scrive
ne Il mandorlo e il fuoco: Il compito di costruire una umanit pi umana, forse passa
ad altri
19
.
Ora, allinizio del XXI secolo non solo tutto ci non ancora avvenuto e non sta av-
venendo, ma il peso delle contraddizioni, irrazionalit e inerzie della storia umana si ri-
velato e si sta rivelando davvero molto duro.
Negli eventi del nostro tempo ogni facile ottimismo sembra fuori luogo, il lato tragi-
co (e, talvolta, tragicomico) della storia continua a manifestarsi copiosamente, si mostra-
no vecchie e nuove forme di barbarie e alienazione, si moltiplicano i rischi e i pericoli in
quella che alcuni studiosi hanno definito la societ del rischio globale.
Uno degli aspetti pi gravi e drammatici consiste come rileva Balducci stesso ne Il
mandorlo e il fuoco nel fatto che i minores e i Lazzari di questo mondo,
gli esclusi hanno adottato il modello di vita degli oppressori. Lazzaro sogna di diventare un
Epulone. Ed questa lultima iniqua vittoria dei potenti, dei privilegiati: lannientamento
della coscienza degli oppressi.
Un compito delle comunit cristiane dovrebbe essere quello di mostrare la possibilit di for-
me di esistenza che scartino radicalmente il modello propagato dagli Epuloni, e in cui il
rapporto con la natura e il rapporto con gli uomini e luso dei beni diventino espressioni e
garanzie di autentica umanit. qui che la fede, se ha fantasia creativa, dovrebbe manifestarsi.
Se su questo punto la fede sterile, allora non ci resta che quel che ci resta oggi: la possibilit
18
Cfr. I. Kant, Zum ewigen Frieden (Per la pace perpetua, 1795), tr. it. di R. Bordiga, Prefazione di S. Veca,
con un saggio di A. Burgio, Feltrinelli, Milano 1991. Per unaltra edizione di questo testo, si veda I. Kant, Per
la pace perpetua, A. Bosi (a cura di), Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1995. Sulla co-
smopoli, cfr. E. Balducci, La terra del tramonto, cit., cap. X, pp. 194-215. Cfr. anche M. Malucchi, Un ethos
cosmopolitico per lepoca planetaria, dalla parte del torto, n. 42, autunno 2008, Parma, p. 6.
19
Cfr. E. Balducci, Il mandorlo e il fuoco, vol. II, cit., pp. 204-205.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
743
di predicare allinfinito lo stesso Vangelo allinterno di un mondo che vive come se il Vangelo
non fosse mai da nessuno stato annunziato
20
.
Ci ancor pi vero oggi che nel momento in cui queste parole furono pronunciate, nel-
la seconda met degli anni Settanta del XX secolo.
Anche oggi il progetto di cosmopoli o di una nuova civilt planetaria certamente
utopico, ma probabilmente si tratta di quellutopia concreta di blochiana memoria di
cui abbiamo e ancor pi avremo nel futuro bisogno, come del pane, per poter soprav-
vivere come specie.
Lesigenza di una svolta ecologico-antropologica
Nelle ultime opere di Balducci ritroviamo con insistenza lesigenza di una svolta ecolo-
gica e antropologica. Il sapere-potere di stampo baconiano, al fondamento della moder-
nit, sta entrando in crisi e in discussione. Il potere prometeico scatena la rappresaglia
degli dei; la natura si vendica dei soprusi subiti. Il collasso della natura evidenzia il
crollo irreversibile della fede nel progresso illimitato, caratteristica della modernit.
La crisi del paradigma classico della ratio strumentale-calcolante, del progetto uma-
no del dominio illimitato sulla natura rende necessario il passaggio al nuovo paradigma
della complessit, ad un sapere non meramente analitico, ma sistemico, capace di co-
gliere i nessi fra le cose.
Nellolismo del pensiero ecologico contemporaneo, Balducci vedeva salvaguarda-
to il principio di relazione, il bisogno e il rinvio reciproco fra le parti, la fecondazione e
il dialogo fra le diverse culture, il superamento dei dualismi metafisici tipici della tradi-
zione di pensiero occidentale.
La nuova etica della interdipendenza delle cose insiste sul tessuto di reciprocit
che lega tutti gli enti fra loro, non pi antropocentrica ma planetaria, preoccupa-
ta della sorte della biosfera e consapevole del riferimento essenziale della specie uma-
na al sistema ecologico nel suo complesso. Teologia ed ecologia si tendono qui la mano
in modo davvero inedito, la teologia chiamata a nuovi compiti e responsabilit: oggi
avere a cuore le cose del Padre vuol dire avere a cuore niente meno che le foreste, i fiu-
mi, i laghi, i mari che sono in rovina
21
.
Balducci parla della necessit di una premura amorosa non solo per la specie uma-
na, ma verso ogni forma di vita. La base anti-antropocentrica dellumanesimo planeta-
rio da lui sostenuto la solidariet biologica con tutti gli esseri viventi.
Letica planetaria ha per mantello cosmico la biosfera, la cui salvaguardia indi-
spensabile non solo alla sopravvivenza, ma anche alla dignit di un uomo che si ricono-
sce dentro, non sopra il tessuto di relazioni che costituisce il mondo e non si concepisce
pi come il padrone delle cose, divenendo piuttosto il custode della comunione crea-
turale cos ben intravista da Francesco dAssisi.
20
E. Balducci, Il mandorlo e il fuoco, vol. III, cit., p. 330.
21
E. Balducci, Il tempo di Dio, cit., p. 54.
Franco Toscani
744
La nuova collocazione e la nuova dignit delluomo consistono allora nel suo essere
il punto estremo di autoconsapevolezza della correlazione necessaria e della catena di re-
ciprocit che stringono tutte le cose fra di loro.
Lumanesimo del dominio, tutto preso dalla furia prassistico-progressistica, rigetta
la preziosa coscienza del limite e non tiene conto della legge dellentropia che governa e
condiziona il destino umano. Per garantire il futuro della specie, occorrono nuovi mo-
delli di umanit, come quelli incarnati in Francesco dAssisi e Gandhi:
I modelli di umanit che eravamo soliti esaltare diventano funesti perch la loro imitazione
implica un grande sperpero di energia; gli uomini del futuro o saranno, come Francesco o
come Gandhi, non entropici, o semplicemente non saranno
22
.
Di qui il richiamo forte di Balducci alla povert e sobriet di vita di Francesco dAssi-
si, oltre che allautoregolazione dei bisogni e dei consumi di Gandhi
23
.
Per dirla con Erich Fromm, va finalmente privilegiata lottica dellessere su quella
dellavere. La provocazione di Francesco una sfida difficile e in apparenza dispera-
ta, non pu che suscitare irrisione nel mondo dellopulenza, che tende irresistibilmente
allo sfondamento di ogni limite, vive nel consumismo esasperato e nello spreco perma-
nente, non vuol saperne e anzi concepisce come assurdo il solo parlare di senso del limi-
te e della misura, di saggezza e sobriet.
Consumismo, mercificazione e logica della societ sirenico-spettacolare (come lha
definita Gnther Anders) non riguardano pi solo o soprattutto le cose e la natura, ma an-
che le idee, la cultura, i sentimenti e gli affetti, tutto lambito dellumano, la vita intera.
La nostra una societ dellavere e non dellessere, nella quale gli esseri umani val-
gono per quello che hanno e non per quello che sono. Il primato dellavere diffonde ari-
dit e disperazione, favorisce la crescita del deserto. La volont di potenza economico-
politica, scientifico-tecnologica e militare, il dominio delluomo sulla natura producono
linimicizia tra luomo e la natura e tra gli uomini stessi.
Vi un aut-aut posto di fronte a noi e alle cose: queste ultime possono essere stru-
mento di dominio/maledizione o di comunione/benedizione; le cose-idoli, le cose-fetic-
ci del feticismo economico analizzato da Marx, irretite completamente nei meccanismi
della societ dei consumi, della mercificazione e dello spettacolo oppure i beni della ter-
ra distribuiti pi equamente, le cose del reciproco servizio e fruizione, della compene-
trazione e crescita comune, salvaguardate nella loro cosit e dignit.
La figura di Francesco dAssisi viene riletta allinterno della nuova consapevolezza
ecologica della comunione creaturale, in cui la terra diviene la casa, labitazione di quei
viandanti che noi stessi siamo, ora avvertiti di ci che comporta il suo degrado e sac-
cheggio. La povert francescana risulta profetica per il nostro presente e per il bene del-
le generazioni future.
Si tratta di intendere bene, soprattutto in riferimento al tempo di privazione pecu-
liare della societ opulenta occidentale, il senso della povert qui evocata, che non si-
gnifica elogio della rinunzia e del sacrificio, ma nuovo senso della fruizione, della gratui-
22
E. Balducci, Francesco dAssisi, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1989, p. 138.
23
Cfr. E. Balducci, Gandhi, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1988, p. 160.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
745
t delle cose, sapersi rapportare e cogliere i loro segreti, sobriet e misura, senso del
limite e della ricchezza insieme.
Entro la logica della mercificazione e amministrazione totale del mondo, le cose ap-
paiono essenzialmente come merci sottoposte al valore di scambio, sono sottratte al loro
coseggiare, alla loro essenza di cose, non sono pi le cose del mondo che mondeggia,
con cui luomo instaura un rapporto ricco e complesso, non riducibile al puro ambito
economico
24
.
La povert francescana non ha nulla di tetro e di austero, anzi strettamente im-
parentata con la letizia, in quanto luomo, grazie a essa, si sente riconciliato con le cose,
senza pi la pretesa del possesso e della padronanza assoluta su di esse.
Essendo in comunione e in relazione profonda con tutte le cose anche con quel-
le ritenute pi umili e insignificanti , lesistenza umana si sposta lungo lasse ontolo-
gico e si arricchisce di inediti aspetti ludico-estetici e contemplativi del tutto estranei
agli orizzonti angusti della mera ratio strumentale-calcolante. Il senso del mondo qui
non si chiude mai, ma si dischiude nella prospettiva dellarricchimento e dellulteriori-
t di senso.
Francesco dAssisi e Gandhi come uomini del futuro.
Il senso della profezia in Balducci e gli interrogativi sulla storia umana
La povert francescana rivendicata in antitesi allopulenza povera di senso, di dire-
zione e di ricchezza umana del mondo mercificato, oggi vincente e apparentemente in-
sormontabile costituisce un serbatoio di inaudita ricchezza, perch con essa luomo
riguadagna un nuovo possibile rapporto tra s e il suo ambiente vitale, sottratto alla lo-
gica irresponsabile del consumo sfrenato e dello spreco, della devastazione e dellabbru-
timento.
Riguadagniamo ci che ci pi proprio, una nuova dignit di mortali, riscopriamo
la bellezza e il piacere della gratuit. Nellindicarci tutto ci, Francesco dAssisi appar-
tiene non solo al mondo dei credenti, ma a tutti gli uomini del pianeta ed un uomo
del futuro. La semplicit e levangelica follia di Francesco gli fanno considerare potere,
ricchezza, gloria, successo come vanitas vanitatum, la fiera della vanit in cui gli uomi-
ni sono irretiti e corrotti.
Occorre invece rinunziare al mondo per riottenerlo mutato di senso, morire alla vec-
chia vita per rinascere a vita nuova. In Francesco non v apologia del dolore, linvito
piuttosto quello di passare attraverso la sua ineludibile esperienza e quella della croce
perch da queste nasca, nonostante tutto, lamore. Letizia e allegria sorgono qui dai te-
sori della povert.
24
Per le nozioni di cosit della cosa (das Dinghafte des Dinges) e di mondeggiare del mondo (das Welten der
Welt), in unottica stimolante pur diversa da quella balducciana, si veda M. Heidegger, Das Ding (La cosa,
1950), in Vortrge und Aufstze (1954), tr. it. G. Vattimo (a cura di), Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976-80,
pp. 109-124.
Franco Toscani
746
Francesco homem do Paraso, figlio della letizia e della gioia del mondo, luomo che
custodisce e contempla lincanto e larmonia di tutte le cose
25
.
Egli ci appare come il simbolo delluomo del futuro, in rispondenza alla svolta an-
tropologica ed ecologica gi cominciata dopo la presa di coscienza dei limiti e delle con-
traddizioni della civilt del consumo e dello spreco, dove lo spreco riguarda non solo le
risorse naturali, ma anche e soprattutto quelle umane.
Da questo punto di vista rileviamo con Balducci:
La povert di Francesco era anche una forma di amore per le generazioni future, una forma
di amore a cui oggi affidata, con piena nostra consapevolezza, la stessa possibilit che la
storia umana prosegua. (...) C un tempo qualitativo che si misura verticalmente lungo lasse
che segna il movimento dellessere umano dalla sua condizione di bruta forza competitiva alla
condizione di centro cosciente degli intrecci cosmici, chiamato a provvedere, senza violenza,
ma con amore, alla piena maturazione della creazione. Secondo questa misura, Francesco non
un uomo del passato, un uomo del futuro
26
.
Uomo del futuro pure Gandhi, con la sua prospettiva tuttora piuttosto utopica del-
la nonviolenza, che ha dato frutti concreti anche se solo parzialmente in India.
La praxis nonviolenta fa saltare il falso aut-aut fra realismo opportunistico, appiatti-
mento sullesistente da un lato e spiritualismo consolatorio, interiorismo inefficace dal-
tro lato. La nonviolenza nellaltro non vede mai soltanto il nemico o lavversario, ma
sempre anche attraverso lesercizio concreto dellempatia laltro uomo, la sua uma-
nit da non calpestare, le sue eventuali e almeno parziali buone ragioni da riprendere e
far proprie.
La pratica nonviolenta vuole far s che la lotta non simbarbarisca al punto di non ri-
conoscere pi le caratteristiche umanamente rilevanti dei contendenti e perci sem-
pre tesa al recupero possibile delle qualit e risorse non ancora emerse e valorizzate dei
soggetti in campo.
Balducci parte dalla constatazione della tragicit e della durezza della storia umana,
della fragilit dellamore, della vastit del peccato che fuori di noi e in ciascuno di noi.
Tutti i poveri, i deboli, gli emarginati e le vittime stesse della violenza sono oppresso-
ri potenziali, perch la violenza ha un potere diabolico di contagio e pu contamina-
re chiunque. Anche certe ideologie e certi progetti rivoluzionari di trasformazione della
societ sono falliti, in quanto troppo legati alla e affascinati dalla mitologia della violen-
za e dal culto del potere.
La violenza per il massimo dei peccati e, come legge del mondo, la prospetti-
va catastrofica e irrealistica alla quale deve e pu subentrare quella introdotta da Gan-
dhi della ahimsa, della in-nocentia, della nonviolenza intesa positivamente come pratica
dellamore e della fratellanza
27
.
25
Cfr. L. Boff, Il sentiero dei semplici. Francesco dAssisi e la teologia della liberazione (1985), M.G. Maglie
(a cura di), Editori Riuniti, Roma 1987.
26
E. Balducci, Francesco dAssisi, cit., pp. 176-177.
27
Cfr. E. Balducci, Gandhi, cit., p. 14; E. Balducci, L. Grassi, La pace. Realismo di unutopia, Principato,
Milano 1983; F. Toscani, Gandhi e la nonviolenza nellera atomica, Testimonianze, n. 403, gennaio-febbraio
1999, pp. 78-93.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
747
Purtroppo, nel mondo occidentale, siamo tutti in qualche modo complici del siste-
ma della violenza che determina lo squilibrio tra Nord e Sud del pianeta e costruisce la
propria identit sulla distinzione amico/nemico, ma nelle attese profonde dellumanit
ci sono la nonviolenza, la mitezza, la convivenza, la pratica dellamore.
Balducci cercava testardamente e profeticamente di leggere negli eventi della sto-
ria contemporanea i segni della progressiva affermazione della cultura della pace e del-
la pratica nonviolenta.
difficile esprimere in poche parole il senso, lampiezza semantica che le espressioni
pace, uomini di pace e cultura della pace assumendo in s tutte le tensioni po-
sitive della nostra vita individuale e collettiva hanno nel vocabolario balducciano
28
.
Il termine pace in Balducci ricco e complesso, indica una pace spirituale e materia-
le, soprattutto una pienezza di adempimenti, rammentando in primo luogo che non vi
pace autentica senza giustizia, che pace e giustizia sono il compito dei credenti, il con-
tenuto essenziale della speranza messianica, del Regno di Dio, in cui gli ultimi saranno i
primi e i primi saranno ultimi.
Essere uomini di pace vuol dire vivere nella gioia dello spirito una gioia che ri-
sponde ad un ingresso in noi di una pace che non viene da noi , essere uomini aman-
ti del dialogo, della collaborazione e della fraternit, aprirsi al contributo, al valore e alla
dignit di tutti gli esseri, spogliarsi dogni violenza per abbattere tutti i muri di separa-
zione soprattutto quelli del potere, del sapere e dellavere , nel segno del riconosci-
mento della diversit, della ricchezza delle differenze.
La fase storica recente e attuale col riproporsi drammatico della cultura della guer-
ra e di innumerevoli forme di violenza, col riemergere dei nazionalismi, degli etnocen-
trismi e delle rivalit interetniche sembra smentire con la forza brutale dei fatti la pro-
spettiva balducciana.
Quando, e se, gli uomini torneranno a riflettere su di s, al di l dei molti e inquietan-
ti oscuramenti della ragione cui assistiamo, lindicazione della nonviolenza apparir pro-
babilmente se non sar gi troppo tardi come lunica strada realistica a noi dischiu-
sa nella prospettiva della sopravvivenza e, ancor pi, della dignit della specie. In questo
senso la cultura della pace cara a Balducci
29
era ed una posta in gioco molto pi alta
della mera assenza di guerra e di violenza.
La profezia, qui, si fa profezia anche di possibile sventura e il fondatore di Testimo-
nianze non sottovaluta le profonde tendenze radicate nei singoli e nella storia umana
allaggressivit, al dominio, alla violenza e alla guerra, non si nasconde affatto i gravi ri-
schi che corriamo: Siamo chiamati a compiti cos nuovi che, se non avremo uno spirito
nuovo, commetteremo i crimini che i nostri padri hanno commesso
30
. In questione, ra-
dicalmente, sono infatti lessenza delluomo, il senso stesso del nostro esistere.
Profezia e profetico sono parole spesso adoperate da Balducci stesso per definire il
senso del proprio pensiero e del proprio messaggio. Bisogna per intendersi. Egli met-
28
Cfr. E. Balducci, Il Vangelo della pace. Commento alla liturgia della Parola, Borla, Roma 1985-1987, 3
volumi.
29
Com noto, Balducci fond nel 1986 le Edizioni Cultura della Pace (S. Domenico di Fiesole, Firenze),
che costituirono uno degli impegni pi assidui dei suoi ultimi anni di vita.
30
E. Balducci, Il tempo di Dio, cit., p. 137.
Franco Toscani
748
teva in guardia innanzitutto se stesso da ci che chiamava il fasto delle profezie, che ri-
schiano di sottrarci alla reale condizione della nostra vita, proponendoci una realt che
vera solo nella immaginazione e che di generazione in generazione inseguiamo senza
che mai metta piede sulla terra
31
.
Nel nostro autore grande maestro dellottica evangelico-sapienziale la profezia
non rivelazione o predizione ingenuamente ottimistica, non sicuro possesso o rigida
predeterminazione del futuro, non intende in nessun mondo ingabbiare il mondo; essa
invece tentativo di interpretazione, lettura dei segni dei tempi, piuttosto fragile, esposta
a tutti i rischi; eppure essa sempre rinasce, in mille forme e in mille luoghi, (...) perch
la sua vera sorgente il cuore delluomo inedito che per ogni dove (...)
32
.
Il linguaggio dellhomo ineditus profetico, ma non immaginario-astratto e vuole
sfuggire alle false alternative rappresentate dallutopismo ingenuo e dal realismo oppor-
tunistico. La profezia indica una direzione non garantita in anticipo verso il futuro, vuo-
le essere generatrice di storia a partire dalla lucidit e dal rigore razionali, da unanali-
si accurata del reale che ne riconosca le asperit e ne interpreti le cifre in direzione del
meglio.
Il senso della storia umana va riscoperto al di l delle varie forme di storicismo, sia
idealistico sia marxista, che hanno fatto della storia un processo il cui esito sarebbe ga-
rantito in anticipo dallastuzia della ragione o da quella del Partito-Stato dagli attribu-
ti teologici, oltre che dalla presunta ferrea inesorabilit di leggi scientifiche.
La storia va liberata dallideologia storicistica e da quel progressismo di stampo eu-
rocentrico che cercano di imbavagliarla in un senso unidimensionale-riduttivo, per es-
sere riaffidata alle esperienze e alle capacit creative di tutti i popoli e di tutte le cultu-
re del pianeta.
Lethos, che innanzi tutto cosmico perch la vita umana lesito di un intreccio di
relazioni , diviene qui cosmopolitico. Linterdipendenza fondamentale tra specie uma-
na e sistema ecologico richiama e richiede pure quella fra tutti i popoli della terra.
Il problema dellAltro
Si ripropone qui il decisivo problema del rapporto fra lOccidente e il suo altro-da-s,
il diverso. La terra del tramonto (Abendland) ha sinora per lo pi avvertito e vissuto
laltro come essenzialmente pericoloso, la diversit come minaccia per il proprio senso
di s. Il rifiuto dellalterit stato motivato con la paura di perdere, sporcare o compro-
mettere in qualche modo la propria identit.
Balducci individua tre paradigmi fondamentali dellincontro con laltro: i pri-
mi due quello dellassimilazione e quello che concepisce la diversit come inferiori-
t sono vie gi ampiamente sperimentate, storicamente fallimentari e superate; il terzo,
invece, definisce il progetto antropologico del superamento dellet moderna
33
.
31
Ibid., p. 21.
32
E. Balducci, La terra del tramonto, cit., p. 59.
33
Cfr. ibid., pp. 71-73.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
749
questa la via che, secondo una bella espressione di Emmanuel Lvinas, richie-
de lepifania dellaltro che, anzich limitarmi o impoverirmi, arricchisce la mia stessa
umanit. Lalterit si fa qui componente indispensabile della mia coscienza.
Ricevendo i doni che gli vengono da lontano, lOccidente riacquisterebbe un nuo-
vo senso di s, attuerebbe la rivoluzione pi concreta, una svolta antropologica radica-
le in direzione dellaccoglienza, dellapertura a una civilt e comunit internazionale pi
solidale e conviviale.
Il tema dellaltro e dellAlterit centrale nella riflessione balducciana pi matura.
Esso non mai nel nostro autore un tema puramente e astrattamente teorico, teologico-
filosofico, ma sempre messo in relazione alle problematiche dellesistenza, del vissuto
e dellumanit concreta; il tema viene comunque sviluppato e riccamente articolato at-
traverso una molteplicit di influenze, corrispondenze, riferimenti e suggestioni, prove-
nienti soprattutto da Bonhoeffer, Lvinas, Buber, Teilhard de Chardin, Panikkar, Barth,
Moltmann, Weil, Sartre, Todorov, Rizzi, Meister Eckhart, Montaigne e Feuerbach.
Laltro e lAlterit rinviano sia allaltro essere umano il diverso da noi da ricono-
scere e da riscoprire sia allorizzonte infinito, a noi dischiuso, dellAlterit irriducibi-
le alle mere misure umane.
Vi nellultimo Balducci una peculiare, acuta nostalgia dellAltro, che al tempo
stesso nostalgia e pure tensione, desiderio, amore dellaltro uomo, di noi stessi e di
Dio come il totalmente Altro di horkheimeriana memoria (Gott als ganz Anderes):
Se ne avessi il tempo e la capacit, amerei scrivere una storia della nostalgia dellAltro lungo
tutta la storia umana. La nostalgia dellAltro poi anche la nostalgia di noi stessi, dellAltro
che in noi, dato che il ripudio dellAltro un ripudio di noi, una nostra menomazione in
quanto la nostra totalit implica la presenza irriducibile dellalterit
34
.
Balducci ricerca qui come sia possibile giungere a una via, un guado, un varco nella tra-
scendenza. Confrontandosi con lo scetticismo moderato di Montaigne, egli crede di tro-
vare in modo orizzontale e non pi verticale/metafisico nel Tu quel varco allEssere
che Montaigne aveva vanamente cercato (a suo dire) nei suoi stupendi Essais.
Il soggetto emerge solo a partire dalla correlazione originaria con gli altri, dalla con-
sustanzialit fra i soggetti, la quale non pu consentire di ridurre gli altri a meri ogget-
ti. Perci occorre essere capaci di guardare noi stessi con gli occhi degli altri e di ravvi-
sare in noi stessi lestraneo: questa la via maestra della vera pace e riconciliazione tra
gli uomini.
Non si d identit individuale senza il riferimento allaltro, non si pu ricercare il
senso di s senza considerare la relazione con lAltro,
il cui ultimo gesto loblazione totale, al punto di assumere lAlterit come centro di prospet-
tiva su di s, fino ad addossarsi il destino dellAltro come il proprio destino: Io sono lAltro.
La transizione come una morte. Le assonanze evangeliche sono trasparentissime. Nel gesto
della totale oblazione di s, fino alla totale dimenticanza di s nellAltro, si ha la rivelazione
dellEssere, lingresso nella trascendenza, in quella ulteriorit in cui lIo e il Tu sono fondati.
34
E. Balducci, LAltro, cit., p. 26.
Franco Toscani
750
(...) Noi siamo in grado di capire come il passaggio alla trascendenza non sia pi nelle verticali
metafisiche, ma in questa orizzontalit in cui si ritaglia il rapporto Io/Tu, nel quale pu avveni-
re che il rapporto si risolva in una totale oblazione di s, nella immersione totale nellAltro
35
.
La transizione allAltro si presenta nellautore della Terra del tramonto come un vero
e proprio evento antropologico e non come un fatto occasionale o meramente senti-
mentale.
In polemica piuttosto chiara bench non sempre esplicitata e approfondita come
forse sarebbe stato necessario con il pensiero dellessere heideggeriano e con certi
esiti metafisici del pensiero orientale, Balducci ritiene che laccesso allEssere non con-
sista nel dissolvimento dellIo in omaggio allassolutezza e alla impersonalit dellesse-
re stesso, ma si renda possibile nella relazione Io-Tu portata al limite estremo delle sue
possibilit.
La relazione Io-Tu si pone sempre anche come pura possibilit, una sorta di idea
regolativa della prassi concreta dellumanit. Vi qui un intreccio chiasmatico indisso-
lubile, per cui noi siamo nellAltro e lAltro in noi.
Ora, questa Alterit , nel contempo, ombra e luce:
noi portiamo in noi qualcosa che Altro da noi ma questa alterit non soltanto lombra. Cer-
to questo qualcosa giace nellombra, ma luce, la potenzialit obiettiva di forme umane pi
alte in cui le culture si comprendono luna con laltra, in cui le alterit non si annullano n si
assimilano ma restano tali nel gioco dello scambio reciproco in vista di intese sempre pi alte.
LAlterit il veicolo della nostra dilatazione, perch comprendendo lAltro che in me ed
fuori di me io dilato me stesso, rimanendo altro dallAltro che ho compreso
36
.
Loblazione qui unofferta, un dono di s in cui non si avvantaggia solo laltro, ma ci
arricchiamo noi stessi soggetti dellofferta, nel senso che diventiamo pi ricchi di nuova
umanit. Ci arricchiamo di unumanit pi ricca di noi stessi e dellaltro insieme.
A questo proposito Balducci riprende esplicitamente il tema biblico del cuore nuo-
vo, capace di ispirare una ascetica nuova, dalla quale avrebbero molto da imparare gli
asceti dal cuore duro. Qui in gioco il cuore delluomo che, come punto massimo del-
la interrelazione di tutte le cose, informa di s, nella sua recettivit, la volont, lamo-
re, il pensiero e la passione. Con la capacit recettiva del suo cuore, luomo sente laltro
uomo e avverte lAlterit.
Il viaggio dellagape avviene solo attraverso lapertura piena e totale allAltro, al pi di-
verso da noi. In questo modo noi non oggettiviamo Dio, ma lo intendiamo come un Tu.
Dio non per Balducci il Dio-tappabuchi, provvidenziale e passe-partout che finisce
col deresponsabilizzare lazione umana nel mondo e non la mera causa sui, lEns perfec-
tissimum, sussistente beatamente per s, il summum Ens della gerarchia degli enti tipica
della tradizione metafisica cristiana. N il Dio di comodo dei potenti e privilegiati, dei
conformisti e ipocriti, dei ricchi dal cuore arido, che si riduce piuttosto a cifra ideologi-
ca, a ideologia del sacro, che nasconde il dominio e legittima la cattiva realt.
35
Ibid., p. 57.
36
Ibid., p. 91.
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
751
Troppe volte abbiamo costruito un Dio a nostra immagine e somiglianza, al servizio
di interessi di parte e di una tradizione religiosa fra le altre. Questo Dio nel nome del
quale hanno prosperato guerre e violenze, odi e divisioni davvero morto, come ci
hanno gi insegnato, in modi diversi, Marx e Nietzsche.
Lannunzio profetico implica secondo Balducci una forte negazione dei mali del pre-
sente e un netto privilegiamento del futuro come luogo di pienezza, delleschaton
come ultimo evento.
Qui ritorna la specificit cristiana della fede, ma per tutti non va dimenticato ci
che di prezioso serba in s il discorso di Balducci, nonostante e, anzi, proprio in virt
della sua fortissima tensione escatologica.
Quel che importa infatti il vigoroso e salutare richiamo a camminare insieme, cre-
denti e non credenti per ricorrere a una terminologia sempre pi inadeguata e obsole-
ta , popoli e culture del Sud e del Nord del pianeta, uniti dalla passione e dalla pratica
dellamore per lumanit concreta, rivolti a far emergere le possibilit inedite dellhomo
absconditus che sempre abita, per lo pi inespresso e soffocato, nel cuore e nella men-
te di ciascuno di noi.
BIOGRAFIA
Ernesto Balducci nasce in Toscana nel 1922 a Santa Fiora, un piccolo paese di minato-
ri sul monte Amiata, da una famiglia povera. Egli ritorner sempre al ricordo di questo
mondo della sua infanzia e adolescenza come fonte inesauribile di formazione umana
e religiosa. Entrato da adolescente negli Scolopi, studia in seminario, decide successi-
vamente di prendere i voti e viene ordinato sacerdote nel 1944. A Firenze inizia linse-
gnamento nelle Scuole Pie Fiorentine, frequenta la Facolt di Lettere e Filosofia, dove
si laurea nel 1950 con Attilio Momigliano, con una tesi su Fogazzaro. La collaborazio-
ne con La Pira contribuisce a spostare lasse dei suoi interessi dalle tematiche prevalen-
temente letterarie a quelle sociali e politico-culturali. Nei primi anni Cinquanta fonda a
Firenze il circolo culturale Il Cenacolo e comincia a partecipare intensamente alla vita
culturale della citt. Nel 1958 insieme ad amici e giovani legati al Cenacolo come
Vittorio Citterich, Giampaolo Meucci, Mario Gozzini, Danilo Zolo e Ludovico Gras-
si fonda la rivista Testimonianze. Dal 1959 al 1965 viene trasferito dal vescovo coa-
diutore di Firenze Ermenegildo Florit altri trasferimenti tra il 1954 e il 1959 piovvero
pure sul capo di Milani, Turoldo e Vannucci prima a Frascati poi a Roma, dove segue
i lavori conciliari. Tra il 1963 e il 1964 subisce un processo per apologia di reato a causa
della sua difesa dellobiezione di coscienza, con la condanna in appello e in cassazione
e la denunzia al SantUffizio sulla base delle stesse accuse. Tornato a Firenze, deluso dal
mancato rinnovamento ecclesiale e religioso, comincia a elaborare da un punto di vista
teologico la svolta antropologica e i temi della cultura e civilt delluomo planetario,
centrali negli scritti degli anni Ottanta e Novanta. Sino allultimo forte il suo impegno
nel movimento per la pace, come instancabile conferenziere, collaboratore di giornali e
riviste, promotore culturale e scrittore. Nel 1986 fonda le Edizioni Cultura della Pace.
Muore in un incidente stradale nellaprile 1992.
Franco Toscani
752
BIBLIOGRAFIA
Scritti di Ernesto Balducci
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Viatico, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1956.
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Papa Giovanni, Vallecchi, Firenze 1964.
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Cristianesimo come liberazione (con R. Garaudy), Coines, Roma 1975.
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Il terzo millennio. Saggio sulla situazione apocalittica, Bompiani, Milano 1981.
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Pensieri di pace, Cittadella Editrice, Assisi 1985.
Luomo planetario, Camunia, Milano 1985.
Il cerchio che si chiude, Intervista autobiografica, L. Martini (a cura di), Marietti, Genova 1986.
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Storia del pensiero umano, 3 voll., Edizioni Cremonese, Firenze 1986.
Gandhi, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1988.
Giorgio La Pira, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1988.
Francesco dAssisi, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1989.
Gli ultimi tempi, Borla, Roma 1991.
Le trib della terra. Orizzonte 2000, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI)
1991.
Montezuma scopre lEuropa, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1992.
La terra del tramonto. Saggio sulla transizione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fie-
sole (FI) 1992.
LAltro. Un orizzonte profetico, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1996.
Il tempo di Dio. Ultime omelie Avvento 1991-Pasqua 1992, Edizioni Cultura della Pace, S. Dome-
nico di Fiesole (FI) 1996.
Scritti su Ernesto Balducci
Testimonianze, nn. 347-349, luglio-agosto-settembre 1992 (numero monografico dedicato a Er-
nesto Balducci, con contributi di U. Allegretti, J. Balcells, B. Balducci, E. Balducci, A.G. Bar-
baro, R. Barzanti, M. Bassetti, B. Berni, L. Boff, A. Bondi, S. Bozzi, B. Calati, M. Camagni,
L. Capovilla, A. Cecconi, S. Ciuffi, L. Cortesi, T. Crespellani, P.L. Di Giorgi, G. Di Norscia,
M. Dinucci, G. Ferrara, F. Fortini, D. Gallo, G. Giudici, M. Gozzini, F. Graiff, L. Granelli, L.
Grassi, P. Inghilesi, P. Ingrao, A. LAbate, R. La Valle, A.M. Lombardo Benedetti, P. Lucche-
si, S. Margara, C. Martelli, L. Martini, E. Masina, R. Neri, P. Onorato, A. Paoli, G. Peruzzi, S.
Pezzoli, M. Ranchetti, S. Saccardi, A. Scivoletto, M.C. Sermanni, F. Setti, F. Stella, F. Toscani,
L. Toschi, G. Vettori, M. Vezzani, B. Zarmandili, S. Zavoli, D. Zolo).
Testimonianze, nn. 421-422, gennaio-aprile 2002 (numero monografico dedicato a Ernesto Bal-
ducci: attualit di una lezione, con contributi di S. Saccardi, E. Balducci, L. Grassi, P.L. Di
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci
753
Giorgi, S. Piovanelli, A. Bigalli, E. Chiavacci, A. Checchucci, S. Dianich, R. Bonaiuti, L. Mar-
tini, M. Ranchetti, G. Della Pergola, G. Pecorini, P. Ricca, A. Rizzi, F. Taiten Guareschi, F.
Donfrancesco, A. Divizia, J.M. Balcells, P. Ingrao, F. Gentiloni, F. Mussi, L. Castellina, R. Zan-
gheri, A. Giuntini, V. Chiti, G. Toraldo di Francia, M. Bassetti, E. Morin, M. Ceruti, R. La Val-
le, S. Siliani, F. Lotti, M. Primicerio, R. Mosi, C. Fracassi, T. Virone, W. Goldkorn, L. Niccolai,
A. Paoli, A. Aruffo, G. Vettori, R. Cassigoli, E. Sensi, B. Bellaccini, P. Di Piazza, G. Manfredi,
G.P. Armano, G. Catti, L. Domenici, C. Martini, G. Buonsanti, B. Biagini, C. Martelli, P.F. Li-
stri, F. Graiff, C. Prezzolini, P. Onorato, F. Toscani, F. Cardini, S. Beccastrini, R. Foa, F. Giu-
liani, G. Lombardi, C. Mazzanti, A. Cecconi).
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critico nellet globale. Testimonianze per una civilt planetaria, Prefazione di A. Rizzi, CLEUP,
Padova 2010, pp. 21-105.
755
IL COMUNISMO CRITICO ED ERETICO
DI JACQUES ELLUL
Patrick Troude-Chastenet
Il pensiero di Marx mi ha indiscutibilmente ispirato un pensiero rivoluzionario
1
. Mar-
xista, Jacques Ellul? Non cos semplice. Marxologo? Senza dubbio. Marxiano? Si-
curamente! Si troppo spesso insistito sul carattere inclassificabile del suo pensiero
per volerlo rinchiudere post mortem in un cassetto
2
. Linteressato daltronde si espres-
so spesso sulla questione, come per esempio nel 1982 in occasione di unintervista accor-
data al Nouvel Observateur: Marxologo s, ma non solo. Direi veramente marxista
nella misura in cui non ho trovato pensiero o metodo che mi permettessero di analizzare
meglio il mondo in cui vivo
3
. Non bisogna comunque dimenticare che Ellul affermava,
da un lato, che Marx aveva illuminato la sua lettura della Bibbia e, dallaltro, che non si
poteva essere al contempo cristiano e marxista
4
. Perch? Perch in sostanza la Rivelazio-
ne cristiana era, secondo lui, lanti-ideologia per eccellenza e lateismo materialista era la
porta dingresso di tutto il pensiero di Marx.
Inoltre, Ellul non ha mai cessato di proclamare che, contrariamente alle idee ricevu-
te, non solo anarchia e cristianesimo non erano incompatibili, ma che la posizione anar-
chica costituiva il solo atteggiamento accettabile nel mondo moderno. O almeno, egli
progressivamente giunto a questa conclusione nel corso di una traiettoria che qui il
caso di ricostruire nelle sue grandi linee.
1
J. Ellul, Ellul par lui-mme, Entretiens avec Willem H. Vanderburg, La Table Ronde, Paris 2008, p. 27, tra-
duzione francese di Perspectives on Our Age, Jacques Ellul speacks on his life and work, Canadian Broadcasting
Corporation/The Seabury Press, Toronto 1981.
2
P. Troude-Chastenet (a cura di), Jacques Ellul, penseur sans frontires, LEsprit du temps, Paris 2005.
3
Intervista con Jean-Claude Guillebaud, 17/7/1982.
4
Cfr. su questo punto J. Ellul, Lidologie marxiste chrtienne, Le Centurion, Paris 1979; La pense marxiste,
La Table Ronde, Paris 2003, p. 35.
Patrick Troude-Chastenet
756
Origini
Ellul aveva labitudine di dire di essere nato a Bordeaux per caso, il 6 gennaio 1912, ma
deliberatamente che scelse di passarvi la quasi totalit della sua vita, al contrario del-
la grande maggioranza degli intellettuali francesi, che non pu concepire la propria car-
riera altrove che a Parigi.
Le sue origini cosmopolite lo resero molto presto allergico a ogni sentimento na-
zionalista. La nonna paterna era serba, il nonno paterno italiano ma originario di Mal-
ta e suo padre, nato a Trieste, era al contempo cittadino austriaco e suddito britannico.
Quanto a sua madre, era la figlia di una francese e di un portoghese. Joseph Ellul era di
formazione greco ortodosso ma voltairriano di convinzione, mentre Marthe Mends era
protestante ma non mostrava la sua fede per non contrariare il marito. Questi due desti-
ni si incrociarono un giorno a Bordeaux, dove il padre di Jacques Ellul era stato assun-
to come rappresentante di commercio da una grande casa vinicola. Bambino povero ma
felice, sua madre dava corsi privati di disegno e suo padre conobbe pi volte la disoccu-
pazione per la sua intransigenza di carattere e per una congiuntura economica partico-
larmente disastrosa.
Amante del mare, reduce da brillanti studi liceali, egli sperava di diventare ufficia-
le di marina, ma il padre lo obblig a intraprendere gli studi di diritto. Entr nella fa-
colt di Bordeaux nellautunno 1929 e lanno universitario successivo sent parlare per
la prima volta di Marx in un corso di economia politica. Con suo padre in quel momen-
to disoccupato, egli avvert come uningiustizia terribile che un uomo della sua qualit
si trovasse in una condizione del genere. Attraverso la sua analisi del capitalismo e del-
le sue crisi, Marx mi forniva una spiegazione del dramma vissuto da mio padre
5
. In-
traprende cos la lettura di Il Capitale, ci rinuncia passando a Lideologia tedesca per poi
tornare a immergervisi e leggere lopera di Marx nella sua integralit. Preoccupato di
non rimanere a un approccio libresco ma di cambiare radicalmente la societ, egli pren-
de dapprima contatto con i membri della Sezione francese dellinternazionale operaia
(SFIO), che lo deludono per il loro carrierismo, poi con militanti comunisti pi preoc-
cupati della linea del Partito che dellermeneutica marxista. Alla fine sar entro la sfera
dinfluenza personalista che Ellul trover loccasione di mettere in pratica e approfondi-
re il pensiero di Marx pensiero chegli distingueva con cura dal comunismo e che con-
siderer fino alla morte come il miglior metodo dinterpretazione di una realt sociale
sempre in movimento.
Se lincontro con Marx quantomai decisivo nella genesi del pensiero di Ellul, non
si pu dire che esso sia stato il solo. Altri due dialettici di genio hanno avuto ugualmen-
te grande importanza: Sren Kierkegaard e Karl Barth. Lesistenza considerata e vissuta
come una tensione permanente tra due poli irriducibili, lindividuo pensato come un es-
sere unico cosciente delle categorie esistenziali e posto sotto lo sguardo di un Dio fat-
tosi uomo ma che resta al contempo Totalmente Altro , il salto nella fede come uni-
ca soluzione per uscire dallassurdo, il principio di non-conformit al mondo, la critica
5
J. Ellul, P. Troude-Chastenet, Jacques Ellul on politics, technology and christianity, Wipf and Stock, Eugene
(Oregon) 2005, p. 55; Patrick Chastenet, Entretiens avec Jacques Ellul, La Table Ronde, Paris 1994, p. 91.
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul
757
di una Chiesa traditrice del messaggio originale di Cristo, la difesa della persona davan-
ti al Potere, questi sono alcuni dei temi affrontati da Ellul sulla scia del padre dellesi-
stenzialismo. Quanto a Karl Barth (1886-1968), egli aiuta Ellul a pensare dialetticamen-
te lobbedienza delluomo libero nei confronti del Dio libero, a sfuggire ai vari o... o...
del dilemma dei non credenti, ad articolare il gi e il non ancora, cio la promessa
e lesaudimento. Ma soprattutto, il teologo svizzero gli fa comprendere lidea centrale di
un messaggio biblico formulato essenzialmente in termini dialettici: la libera determina-
zione delluomo nella libera decisione di Dio.
Ma gli incontri importanti non si limitano alla scoperta di questi tre autori, che saran-
no peraltro i punti di riferimento di numerose figure emblematiche del movimento per-
sonalista, come Arnaud Dandieu, Alexandre Marc e Denis de Rougement. Alluniversit
egli diventa amico di un vecchio compagno di liceo, Bernard Charbonneau (1910-1996).
A quel tempo, se Ellul non si era ancora convertito al cristianesimo poich la sua fede
impiegher del tempo prima di acquisire la sua forma definitiva , si pu comunque dire
che Dio gli si era gi manifestato. Nel corso del tempo, ciascuno a modo proprio, i due
amici cercheranno di convertirsi reciprocamente a ci che sembra loro essenziale. La
speranza in Dio per Ellul; la Grande Muta per Charbonneau, cio il cambiamento ra-
dicale della condizione umana provocato dallascesa della scienza e della tecnica. Lau-
tore di Le Jardin de Babylone
6
rimprovera al progresso tecnico di sconvolgere al contem-
po la natura, la libert e il rapporto dialettico che le unisce. Se le loro concezioni della
libert differiscono cristiana e barthiana in Ellul, personale e agnostica in Charbonne-
au , il concetto rimane centrale. In entrambi i casi, libert lesatto contrario di unidea
astratta definita secondo le categorie filosofiche. concepita come una lotta permanen-
te dellindividuo davanti ai pericoli che lo minacciano: lottimismo scientista, la fiducia
cieca nel progresso tecnico, la depersonalizzazione dellindividuo, la crescita dello Sta-
to totalitario.
Lungi dallessere semplici ripetitori o cloni provinciali degli intellettuali non confor-
misti della capitale, i due bordelesi daranno vita a una variante guascona del personali-
smo la cui originalit comincia solo oggi ad essere riconosciuta dagli storici. In seguito
al loro incontro con il fondatore di Esprit, Emmanuel Mounier, il loro gruppo di di-
scussione adotter questetichetta allinizio del 1934. Questi personalisti di Guascogna
si preoccupano anzitutto di rispettare la diversit, ritrovare un contatto diretto con la
natura e dare alla loro rivoluzione una dimensione tanto carnale che spirituale. A parti-
re da unanalisi rigorosa delle tendenze pi radicate della societ moderna, essi voglio-
no inscrivere la loro azione nei minimi fatti e gesti della vita quotidiana. Il loro proce-
dere privilegia la messa in rete di piccoli gruppi locali autogestiti che potranno sfociare,
nel tempo, in unorganizzazione federale. Pur senza averla creata, Ellul e Charbonneau
mettono dunque in pratica la massima pensare globalmente, agire localmente a par-
tire dagli anni Trenta.
Se le sommosse del 6 febbraio 1934 hanno per effetto quello di rinforzare i sentimen-
ti antifascisti di Ellul, egli non intende lasciarsi rinchiudere in una logica bipolare e ri-
durre la sua lotta al solo piano politico. A partire dal 1935, le relazioni tra i personalisti
6
B. Charbonneau, Le Jardin de Babylone, Encyclopdie des Nuisances, Paris 2002 (1969).
Patrick Troude-Chastenet
758
guasconi e la direzione nazionale di Esprit si degradano. Mounier rimprovera ai bor-
delesi di non pensare che alla rivoluzione e al disordine, mentre questi ultimi soppor-
tano sempre meno il suo autoritarismo centralizzatore, il suo parigismo intellettuale e
il suo cattolicesimo intransigente. Daltro canto, pur moltiplicando i contatti con il mo-
vimento concorrente che aveva fondato la rivista eponima LOrdine nuovo, essi con-
tinuano comunque ad esprimersi esclusivamente sulle colonne di Esprit, a eccezio-
ne ovviamente dei testi che fanno circolare in proprio presso i gruppi personalisti del
Sud-Est. Apprezzano la critica della societ macchinista e la sensibilit federalista e li-
bertaria di LOrdine nuovo. Sfortunatamente, questo antistatalismo singolarmente
temperato da idee pianificatrici che gi risultavano a loro ripugnanti nel programma di
Esprit.
In definitiva, il gruppo guascone si affranca molto presto dai due movimenti perso-
nalisti rivali e batte un cammino proprio
7
. In vari testi e conferenze i suoi esponenti insi-
stono sulla necessit di costituire a livello locale piccoli gruppi autogestiti e tra loro fede-
rati. Funzionando come contro-societ, questi gruppi esemplari incarnazioni concrete
dellordine da costruire non avrebbero per fine di rovesciare il regime ma di testimo-
niare, qui e ora, la rivoluzione immediata. A poco a poco, per contagio, questa rete par-
tita dalla base potrebbe estendersi oltre le stesse frontiere nazionali, destinate del resto
a scomparire. Per fare la rivoluzione non basta condividere le stesse idee, bisogna essere
capaci di viverle in comune, nel quotidiano, se possibile a contatto con la natura. Latti-
vit di militante non impedisce a Ellul di dare corsi privati per pagarsi gli studi e far vive-
re la propria famiglia, di animare dei circoli di giovani protestanti bordelesi e di redige-
re la propria tesi di dottorato in diritto. Nello stesso periodo, verosimilmente nel 1935,
pubblica e diffonde con Charbonneau un testo che condensa lessenziale di un pensiero
destinato, secondo la formula, non solo a interpretare il mondo ma a cambiarlo
8
. Que-
ste Direttive per un manifesto personalista consacrano la tesi elluliana dellimpoten-
za della politica davanti al dominio della tecnica, che interessa allo stesso modo i regimi
capitalisti, fascisti e comunisti. In effetti, se esiste una costante che lega le sue opere del-
la giovinezza agli scritti della maturit, essa consiste proprio nellaffermazione secondo
cui, davanti al fatto determinante delluniversalit della tecnica, le differenze politico-
istituzionali sono perfettamente secondarie. Ben lungi dal limitarsi al mondo meccaniz-
zato, la tecnica definita da Ellul come la ricerca in tutti i campi del metodo in assoluto
pi efficace. Questo manifesto descrive il fenomeno della proletarizzazione generalizza-
ta di un mondo in cui luomo non pi la misura di tutte le cose. Solo una rivoluzione
pu porre rimedio a questo degrado poich ogni tentativo riformista non porter che a
un rafforzamento delle strutture alienanti. La rivoluzione personalista una rivoluzio-
ne di civilt. Essa passa per listituzione di una societ personalista allinterno della so-
ciet globale. Nellattesa dellautodistruzione della societ attuale, questa contro-societ
preparer i quadri di domani. I suoi membri devono dunque limitare al massimo la loro
7
P. Troude-Chastenet, Jacques Ellul: une jeunesse personnaliste, Revue franaise dhistoire des ides politi-
ques, n. 9, 1
er
semestre 1999, pp. 55-75.
8
Una presentazione con annotazioni delledizione originale del testo, scritto da Bernard Charbonneau e Jac-
ques Ellul, si trova in Revue franaise dhistoire des ides politiques, n. 9, 1
er
semestre 1999, pp. 159-177.
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul
759
partecipazione alla societ tecnica. Per il momento, si tratta di giungere a una formazio-
ne dottrinale propizia allinvenzione di un altro stile di vita. Questo stile di vita sar il
solo segno esteriore di questo impegno vissuto. Al posto delle grandi citt devono essere
create delle comunit elettive. In questi piccoli gruppi, in questa citt ad altezza duo-
mo, una vera politica, fondata sulla comunicazione diretta tra governanti e governati,
sar condotta nella trasparenza. I Paesi saranno divisi in regioni con uno Stato centra-
le dalle competenze ridotte. Solo il federalismo potr dunque coordinare senza rigidit
queste unit autonome. La salvezza verr dalla diminuzione del potere effettivo degli
Stati. Questa organizzazione permetter ugualmente di restringere la portata delle crisi
economiche, controllando la tecnica. Una tecnica sotto controllo, al servizio delluomo,
favorit la riduzione del tempo di lavoro. Il settore delleconomia privata sar riservato
ai beni di qualit, i prodotti necessari al minimo vitale saranno assicurati dal settore pub-
blico. Linterdizione del prestito a interesse e addirittura del profitto si riveler la sola
misura efficace per lottare contro la potenza del Denaro. Quanto alla famiglia borghese,
essa non merita di essere difesa. Solo una comunit familiare rinnovata avr il suo posto
nella societ personalista, senza peraltro costituirne la base.
La questione della propriet pu essere regolata da questa formula: Non si pro-
prietari di quello che si possiede. La propriet dovr dunque corrispondere a un uso
reale e a un godimento effettivo. Quanto alleredit, essa sar tollerata nella misura in cui
testimonia di una continuit familiare, a esclusione della trasmissione di denaro, di sta-
tus o di privilegi. Il diritto moderno, divenuto un semplice assemblaggio di regole tecni-
che, dovr ritrovare il filo che lo unisce a due elementi essenziali della sua essenza: senso
della giustizia e della realt quotidiana. Un ruolo preponderante accordato al costume,
sotto il controllo del giudice, sfocer nellemergere di un diritto vivente. In ragione
della sua influenza nefasta, la pubblicit dovr essere sorvegliata dal governo. La stampa
fatta di cronaca nera e curiosit sparir in favore di giornali di informazione locali, mu-
rali etc. Quanto allarte vivente, migliore espressione delluomo, non pu essere oggetto
di un programma n lasciarsi rinchiudere in un museo. Avremo il segno di una vera ri-
voluzione allorch vedremo nascere autonomamente unarte nuova, senza teorie.
Questa rivoluzione totale, condotta al contempo contro la miseria e contro la ric-
chezza
9
nel quadro di una citt ascetica, dovr sfociare in una societ equilibrata sul
piano materiale e spirituale. Ci passa soprattutto per linstaurazione di un minimo vi-
tale gratuito per tutti
10
. Oltre allidea della allocazione universale si ritrovano qui due
elementi classici di quello che sar il discorso ecologista: il principio di solidariet socia-
le e la difesa della qualit della vita. Si noter ugualmente la condanna del produttivismo
in un periodo di crisi mondiale in cui la produzione industriale francese ancora molto
inferiore al livello del 1928. Questo progetto di citt ascetica privilegia il qualitativo e
9
Queste tesi si ripresenteranno pi tardi sotto i concetti di societ dei consumi ed economia duale.
10
Questa tematica direttamente ispirata da LOrdine nuovo. Cfr. Su quetso punto in particolare Patrick
Troude-Chastenet, La critique de la dmocratie dans les crits personnalistes des annes 1930 : Esprit et Ordre
nouveau, Cits, n. 16, 2003, pp. 161-176; cfr. ugualmente la ristampa anastatica della rivista LOrdre nou-
veau da parte della Fondazione mile-Chanoux, Edizioni Le Chteau, Aoste 1997, 5 volumi.
Patrick Troude-Chastenet
760
anticipa la nozione di austerit volontaria sviluppata da Ivan Illich e dai partigiani del-
la decrescita conviviale, come Serge Latouche
11
. Consumare meno per vivere meglio!
La radicalit di questo programma e la tonalit utopica di molte di queste propo-
ste sono in singolare contrasto con le future tassonomie che faranno di Ellul un intellet-
tuale di destra, col pretesto chegli criticava i partiti di sinistra, contestava i presunti be-
nefici dellinterventismo statale e rifiutava di affiliarsi al culto del progresso. In realt,
egli disprezzava la destra e riservava le critiche alla sua famiglia politica, che era, in ulti-
ma istanza, la sinistra. Avendo come preoccupazione primaria la libert, egli considera-
va la crescita universale dello Stato, indipendentemente dalle vesti ideologiche e giuridi-
che, come una minaccia gravante sulluomo. Quanto alla sua critica del progresso, essa
differisce su tutta la linea dalle malinconie dello scrittore ( Duhamel) nostalgico di unil-
lusoria et delloro o dallinterrogazione metafisica del filosofo ( Heidegger) sul Gestell.
La critica portata da uno storico e sociologo che, qui e ora, in una societ data in un
momento dato, indica lambivalenza della Tecnica, che libera tanto quanto asservisce.
Cos, nel suo articolo del 1937 Il fascismo, figlio del liberalismo, Ellul non si accontenta
di affermare che la socialdemocrazia conduce al totalitarismo come il capitalismo libera-
le, combinato con la potenza tecnica, genera il fascismo
12
, ma offre involontariamente la
prova che la sua analisi del sociale differisce da qualsiasi sistema filosofico astratto, im-
permeabile a ogni contingenza storica. In effetti, egli vi afferma in sostanza che la tecni-
ca, che ha lavorato fino ad allora nel senso di un asservimento delluomo, potr forse un
giorno mettersi al suo servizio
13
. Bisogner attendere Changer de rvolution (1982) per
ritrovare traccia di un simile ottimismo, che peraltro spiazzer completamente quanti
fra i suoi lettori lo consideravano un filosofo o un profeta di sventura.
Sul piano internazionale, i processi di Mosca, le purghe staliniane aventi come vit-
time anche marxisti chegli ammirava, come per esempio Bucharin, ma soprattutto il
comportamento dei comunisti durante la Guerra civile in Spagna lo avvicinano gi agli
anarchici. Per il tramite di un vecchio compagno di classe, daltra parte, Ellul e sua
moglie aiuteranno dei giovani anarchici spagnoli venuti in Francia per procurarsi del-
le armi. Sul piano interno, lascesa al potere del Front populaire lo riempie di speran-
za. Crede fermamente che lora della rivoluzione stia finalmente per suonare. del resto
lunica volta in cui ammette di aver votato. Sul piano professionale, insegna alla facol-
t di diritto di Montpellier (1937-1938), per poi essere chiamato a Strasburgo lanno ac-
cademico successivo. Quando professori e studenti della facolt alsaziana sono trasferi-
ti a Clermont-Ferrand a causa della guerra, Ellul si permette di esprimere i suoi timori
quanto al rischio di arruolamento forzato dei giovani alsaziani nellesercito tedesco e le
sue riserve nei confronti del maresciallo Ptain. Denunciato da uno dei suoi allievi per
11
Ivan Illich e Serge Latouche, daltronde, hanno espresso il loro debito nei confronti di Ellul in sua pre-
senza, in occasione della conferenza del 1993: Technique et socit dans luvre de Jacques Ellul. Cfr. P.
Troude-Chastenet (a cura di), Sur Jacques Ellul, LEsprit du Temps, Le Bouscat 1994.
12
J. Ellul, Le fascisme, fils du libralisme, Esprit, n. 53, 1
er
fvrier 1937, pp. 761-797. Larticolo preso da
una serie di conferenze e pubblicato anteriormente in Journal du Groupe de Bordeaux des Amis dEsprit.
13
Questo anello che ha forgiato il fascismo attorno ai valori putrescenti del liberalismo non fatto per essere
eterno. Se noi possiamo aver fiducia in qualche potenza, nella tecnica stessa, che ha occasionato questo anello
ma che sar anche il fattore della sua rottura, J. Ellul, Le fascisme..., cit., pp. 796-797 (corsivo aggiunto).
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul
761
aver espresso in pubblico simili propositi, in qualit di figlio di straniero gli viene revo-
cata la cattedra dal governo di Vichy.
Durante lestate del 1940, ormai senza lavoro e con una sposa di origini olandesi ma
di nazionalit britannica, Ellul si rifugia in una fattoria molto isolata in Gironda, dove
per nutrire la famiglia si improvvisa contadino. Confesser di aver tratto altrettanto or-
goglio dalla sua prima tonnellata di patate che dallaver passato, nel 1943, il concorso di
agrgation di diritto romano e di storia del diritto. Partecipa attivamente alla Resistenza,
senza tuttavia prendere le armi. Funge da agente di collegamento per diversi partigia-
ni girondini, nasconde prigionieri evasi, stranieri o amici ebrei, procura loro documenti
falsi e li aiuta a passare nella zona libera. Grazie alla protezione di un vice-preside di fa-
colt riesce a tenere clandestinamente dei corsi nella facolt di giurisprudenza di Borde-
aux, largamente ptainista. Nominato professore in questa stessa facolt nel 1944, vi in-
segner fino al 1980, anno del suo pensionamento.
Resistenza senza rivoluzione
Alla Liberazione, in quanto segretario generale del Movimento di Liberazione naziona-
le
14
della regione di Bordeaux presiede diversi processi nei confronti di collaborazionisti
e fa in modo che lepurazione non si accompagni ad alcun eccesso. Su richiesta del com-
missario della Repubblica partecipa alla delegazione municipale di Bordeaux, presiedu-
ta da un socialista, dallottobre 1944 allaprile 1945. Questa breve esperienza rafforza la
sua idea che gli eletti sono alla merc degli uffici e che la politica impotente davanti
alla tecnocrazia. In disaccordo sul piano locale e nazionale con la SFIO, rifiuta di presen-
tarsi con la lista socialista alle elezioni municipali della primavera del 1945. Di converso,
prende parte attiva alle elezioni generali elezioni legislative e referendum del 21 otto-
bre. Ellul figura in effetti al terzo posto della lista dellUnion dmocratique et socialiste
de la Rsistance. Il professore agrg prende sul serio il suo ruolo di candidato e parteci-
pa attivamente alla campagna elettorale. In tutti i suoi discorsi, si pronuncia in partico-
lare per la soppressione del Senato e linterdizione del cumulo delle cariche (a tuttog-
gi, in Francia, un pio voto). I risultati non sono allaltezza degli sforzi profusi. Il verdetto
delle urne crudele. La sua lista totalizza meno del 5% dei suffragi e non ottiene alcun
deputato. A trentatr anni, lui che sperava di passare dalla resistenza alla rivoluzione,
secondo le parole dordine di Combat, assiste, impotente, al ritorno di gran carriera dei
vecchi partiti tradizionali.
Nondimeno, egli continuer a voler cambiare radicalmente il mondo in cui vive, ba-
sandosi sulla sua fede cristiana e sulla sua lettura libertaria di Marx. Il suo ragionamento
grosso modo il seguente: se Marx vivesse nel XX secolo, la tecnica sarebbe per lui lele-
mento fondamentale della societ. Questo non significa che il capitalismo sia superato
ma che la creazione di valore non risulta pi principalmente dal lavoro e dal capita-
le ma dal progresso tecnico risultante dalla ricerca scientifica. Tutta la teoria di Marx
14
Nato nel gennaio 1944 in seguito alla fusione di varie organizzazioni della Resistenza, il MLN diretto dal
fondatore del movimento Combat, Henri Frenay.
Patrick Troude-Chastenet
762
rovesciata dal semplice processo tecnico
15
. Questa intuizione, gi presente in filigrana
nei suoi scritti giovanili, sar prolungata e approfondita da Ellul per tutto il resto della
sua vita. Nel corso degli anni Quaranta, la societ capitalista avrebbe cambiato di natu-
ra. La societ industriale, cos ben descritta da Marx nel suo tempo, avrebbe ormai la-
sciato il posto alla societ tecnica.
Sulle colonne del settimanale protestante Rforme Ellul si esprime in quanto uomo
di fede e non in quanto uomo di scienza, e si pu constatare la coerenza delle sue posi-
zioni nel tempo. Se c un punto su cui non ci sono mai state variazioni, proprio la con-
danna delleconomia capitalista. La conclusione di un articolo pubblicato nellottobre
del 1945 cade come un colpo daccetta: Il capitalismo incompatibile con la dignit
che il cristianesimo esige per luomo
16
. In primo luogo, egli prende di mira la mondia-
lizzazione delleconomia e della politica, critica leconomia detta liberale e il vecchio
ragionamento americano che lega linteresse degli operai al sostegno accordato al loro
padrone, laumento della produzione a quello dei salari, la ricchezza delle imprese al be-
nessere generale della popolazione. Non solo il capitalismo riposa su una concezione del
lavoro abbassato al rango di volgare merce, ma la sua pratica contemporanea sfocia in
una mostruosit. Negazione del suo stesso significato, separazione tra lavoro e suo pro-
dotto, idolatria del lavoro che finisce per assorbire la totalit della vita umana ed entra,
quindi, in contraddizione esplicita con la Bibbia, Ellul non esita a denunciare leconomi-
cismo, il culto della produzione e del sempre di pi, lorrore economico in tutte le sue
forme che colloca luomo al servizio delleconomia invece dellinverso. E allorch impie-
ga il termine schiavit, il riferimento non anodino, se fatto da uno specialista della
Roma antica. Nel dicembre 1945, tornando sulle reazioni provocate dal suo testo prece-
dente, ricorda che ogni sistema politico ed economico per sua essenza imperfetto
17
.
Rifiuta di lasciarsi rinchiudere nei dilemmi comunista o anti-comunista, liberale o totali-
tario, e invita i suoi lettori a pensare al di fuori di queste categorie. Ai giorni nostri, con-
stata Ellul, il peggior insulto quello di passare per utopista e in effetti si tratta pro-
prio di lottare contro i fatti, in particolare contro il primato delleconomia. I fatti hanno
sempre ragione, si ripete allinfinito si tratta di rompere con questa idolatria del fat-
to. Non perch una cosa esiste che giusta, buona, legittima e vera. Ellul si chiarisce
anche su unaccusa gi allora ricorrente: il suo negativismo e/o il suo pessimismo. Ci
torneremo, ma segnaliamo subito quattro articoli di giornale, destinati quindi al grande
pubblico, che permettono di comprendere come Ellul giunga ad alienarsi la totalit dei
protagonisti del campo politico e preannunciano il suo coming out anarchico.
Chi dunque, avendo avuto ventanni nel 1936 e il cuore a posto, non ha trasalito di speranza
davanti alla grande rivoluzione che veniva, chi non ha visto rischiararsi lorizzonte. Certo,
cerano difficolt, cera anche del sangue, ma niente di grande si fa senza dolore; non c
nascita senza sangue. La ricaduta stata dura; non c stata rivoluzione [...] ma la speranza
rimasta
18
.
15
J. Ellul, Changer de rvolution. Linluctable proltariat, Seuil, Paris 1982, p. 42.
16
J. Ellul, Le capitalisme et nous, Rforme, 20/10/1945.
17
J. Ellul, propos du libralisme. Essai de rponse et de justification, Rforme, 7/12/1945.
18
J. Ellul, Jeunesse du monde, Rforme, 12/1/1946.
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul
763
Ellul il primo ad ammettere che tutti i partiti francesi sono borghesi o imborghesiti ad
eccezione del Partito comunista, che pareva la sola forza capace di abbattere il capita-
lismo. Ma egli distingue attentamente i dirigenti dai militanti di base. Quello che va ri-
conosciuto al comunismo, sono i comunisti. Sembra che in loro si sia rifugiato quan-
to resta di forte e umano nella nostra societ. Essi incarnano una volont di impegno
in un mondo disarmante, anche se diventano strumenti del loro partito. Il comunismo
seduce perch d una risposta semplice e coinvolgente alla questione dellasservimento
delluomo per mezzo del denaro. Se gli assetati di giustizia si rivolgono al Partito piut-
tosto che a Dio, colpa di una Chiesa imborghesita che ha tradito la sua missione. Ma
come un tempo i cattolici, il Partito comunista distingue tra religione per il popolo e re-
ligione per le lite. Ai quadri la dottrina, mentre le masse devono accontentarsi di ri-
conoscere il programma. Dopo le dimissioni di De Gaulle nel gennaio 1946, la mag-
gior parte degli osservatori si felicitano della messa in opera di un regime democratico.
Ellul non gaullista ma non si unisce alla nuova religione dellUnion nationale istitui-
ta dai tre grandi (Partito comunista, Movimento repubblicano popolare e SFIO), che
sono secondo lui tre partiti fascisti perch hanno elaborato una legge elettorale abo-
minevole destinata a scartare tutti i loro concorrenti e perch pretendono di incarna-
re da soli la democrazia
19
.
Il ruolo degli intellettuali non quello di ridare alle parole il loro senso originale? In
queste condizioni, si pu dire che la Francia sia una democrazia? S, risponde Ellul, se
si ammette con i marxisti che la democrazia non che la dittatura camuffata delle clas-
si dirigenti
20
. Gli elettori francesi subiscono la doppia influenza dei partiti politici e dei
poteri economici, e si limitano al legislativo quando lesecutivo che predomina. Vi di
che illustrare la formula di Marx: La democrazia la facolt per il popolo di decidere
chi lo strangoler. Inoltre, inesatto affermare che il ricorso alla guerra sia appannag-
gio esclusivo delle dittature. Malgrado le differenze ideologiche, tutti i regimi condivi-
dono la medesima concezione materialistica della felicit
21
e perseguono fini identici: la
ricerca della potenza e dellefficacia. Del resto, democrazie e dittature condividono an-
che gli stessi mezzi: lutilizzo della propaganda, la standardizzazione dei gusti, lunifor-
mazione sociale
22
.
sempre in quanto cristiano che Ellul, nello stesso periodo, si esprime su questio-
ni politiche sulla rivista protestante Foi et Vie. Egli ricorda che dopo gli scacchi del
1936, 1940 e 1944, la Francia ha ancora bisogno di una rivoluzione. Ora, la rivoluzione
autentica andare controcorrente rispetto allevoluzione normale, non conformarsi alla
storia come fa la Sinistra
23
. Nella nostra societ, tutte le questioni fondamentali sono po-
ste o in termini tecnici o in termini utopici: lurgenza di trovare un nuovo Karl Marx,
il solo uomo del suo tempo che abbia colto linsieme dei problemi sociali, politici ed
economici, e che abbia correttamente posto le questioni di civilt del XIX secolo
24
. Pro-
19
J. Ellul, Nouvelle dmocratie, Rforme, 27/4/1946.
20
J. Ellul, Quand les mots perdent leur sens, Rforme, 10/8/1946.
21
Di cui si trova illustrazione nel culto votato allautomobile.
22
J. Ellul, Le mcanisme totalitaire, Rforme, 31/8/1946.
23
J. Ellul, Situation politique actuelle de la France, Foi et Vie, mars-avril 1946, pp. 283-300.
24
J. Ellul, On demande un nouveau Karl Marx!, Foi et Vie, mai-juin 1947, pp. 360-374.
Patrick Troude-Chastenet
764
prio Ellul, che aveva scoperto Marx per caso in un corso di economia politica, uno dei
primi a consacrargli un programma di insegnamento in ununiversit francese
25
.
La tecnica, questione del secolo
Ma per Ellul, se si vuole far fronte alla straordinaria accelerazione della Storia che ca-
ratterizza i tempi moderni conviene conservare il metodo dialettico marxiano di inter-
pretazione dei fatti e non applicare dogmaticamente schemi ereditati dal passato. Nella
fattispecie, riduttivo voler ricondurre tutto alla variabile economica, davanti al ruolo
crescente della tecnica e dello Stato. Vi ritroviamo il filo conduttore di unanalisi abboz-
zata durante gli anni personalisti e che egli andr sistematizzando nei suoi libri, in parti-
colare nel suo capolavoro La tecnica rischio del secolo (1954). Daltra parte, questa cre-
scita smisurata dello Stato tecnico ad averlo fatto avvicinare agli anarchici, non i testi di
Bakunin e Proudhon, che Ellul ha sempre trovato un po superficiali rispetto al pensie-
ro di Marx
26
. Essi avevano in comune lo stesso avversario e una concezione simile della
rivoluzione. Allorch Ellul evoca per la prima volta pubblicamente, nel 1947, la sua in-
clinazione libertaria, lo fa con grande cautela:
Sostengo che attualmente e per un certo periodo, in Francia, lanarchia la sola soluzione
possibile. Non pretendo in alcun modo che sia il regime del futuro, ma quello del momento
presente; n che sia il regime universale e ideale, ma locale e concreto
27
.
Per quanto intrattenesse gi delle relazioni di amicizia e avesse condotto numerose lot-
te a fianco di militanti anarchici, bisogner attendere il 1974 perch ritorni sul tema in
modo nettamente pi audace e argomentato. Questo articolo di rivista dal titolo Anar-
chia e cristianesimo segna la via poi proseguita nel libro eponimo, dove conferma in so-
stanza che la posizione anarchica la pi atta a permettere allindividuo di diventare una
persona capace di esercitare un controllo sulle decisioni prese in nome del popolo, di
introdurre dei granelli di sabbia in un meccanismo troppo ben oliato, di creare delle ten-
sioni davanti a un potere politico per essenza totalitario.
Ellul ha spesso dovuto ricordare ai suoi detrattori che egli non si opponeva allo Sta-
to e alla tecnica in s, ma alla loro sacralizzazione qui e ora
28
. la loro combinazione,
secondo lui del tutto inedita nella storia dellumanit, che alla base dellalienazione
e della reificazione delluomo. Lo Stato-nazione diventato la potenza coordinatrice
dellorganizzazione tecnica e non si pu toccare luno senza modificare anche laltro. La
25
Con il suo corso dispensato nel 1946-1947 presso lInstitut dtudes politiques di Bordeaux, Ellul diceva
addirittura di essere stato il primo. Due suoi corsi (La pense marxiste e Les successeurs de Marx) sono stati
pubblicati da La Table Ronde (collana Contretemps) rispettivamente nel 2003 e nel 2007.
26
J. Ellul, P. Troude-Chastenet, Jacques Ellul on politics, technology and christianity, cit.; P. Troude-Chaste-
net, Entretiens, cit., p. 136.
27
J. Ellul, Propositions louches, Rforme, 28 giugno 1947.
28
J. Ellul, Les nouveaux possds, Mille et une Nuits, Paris 2003 (1973).
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul
765
tecnica
29
, cio, ricordiamolo, la ricerca del mezzo in assoluto pi efficace in tutti i domi-
ni, costituisce la chiave della nostra modernit
30
. Da semplice intermediario tra uomo e
ambiente naturale, la tecnica diventata, a partire dalla Seconda guerra mondiale, un
processo autonomo che obbedisce solo alle proprie leggi. In sostanza, luomo crede di
servirsi della tecnica, ma lui che la serve. Luomo moderno divenuto lo strumento dei
suoi strumenti, per usare le parole di Bernanos. Il mezzo si trasformato in fine, le ne-
cessit stata eretta a virt, la cultura tecnica non tollera alcuna esteriorit.
La societ tecnica quella in cui installato un sistema tecnico tende sempre pi
a confondersi con il sistema tecnico, prodotto della congiunzione del fenomeno tecni-
co (caratterizzato dallautonomia, lunicit o insecabilit, luniversalit e la totalizzazio-
ne) e del progresso tecnico (definito da auto-accrescimento, automatismo, progressione
causale e ambivalenza). Bisogna per precisare che la societ non riducibile al sistema
e che tra i due elementi esistono delle tensioni. Il sistema tecnico per la societ tecnica
quello che il cancro per lorganismo umano. Se per lessenziale Ellul fa il processo non
al progresso ma allideologia tecnicista, nella sua opera si trovano anche degli elementi
che possono confortare la sua reputazione di tecnofobo, di persona cio che portereb-
be sulla tecnica un giudizio basato su presupposti metafisici. Si tratta allora di una tec-
nica personificata, ipostatizzata, assimilata a una potenza, addirittura a un mostro. Ellul
talora esita tra lidealtipo weberiano con semplice funzione euristica e una sorta di feti-
cizzazione della tecnica.
Secondo Ellul, il progresso tecnico genera un fenomeno di proletarizzazione gene-
ralizzata che si lascia alle spalle la situazione descritta dalla vulgata marxista e concerne
tutti gli uomini, in tutti gli aspetti della loro vita. Il progresso tecnico non ambiguo,
come spesso si dice in forme pi o meno dotte, ma ambivalente. Ambiguit significa
indeterminatezza, confusione, vaghezza, equivocit, quando la tecnica non ha in alcun
modo queste caratteristiche. Essa porta in s i suoi effetti, indipendetemente dai suoi
usi. Ellul rifiuta la tesi della neutralit della tecnica illustrata classicamente dallim-
magine del coltello che pu servire a pelare una patata o a sgozzare il vicino con il
suo corollario: non lo strumento che cattivo, ma luomo. Se cos fosse, si potrebbe
ipotizzare un buon uso della bomba atomica! Ellul ritiene con Gabor che tutto quello
che potr essere fatto, lo sar (es. la clonazione umana), poich la tecnica si affran-
cata dalle categorie morali di bene e male in nome dellefficacia.
La tecnica ambivalente perch aliena nella stessa misura in cui libera. Ogni pro-
gresso tecnico ha un costo
31
. Non solo non esiste progresso in assoluto, ma il prezzo da
pagare (distruzione del paesaggio, delle specie e dei modi di vita) non della stessa na-
tura del beneficio ottenuto. Chi pu dire che quanto apportato dal progresso tecnico
pi importante di quanto distrutto? La velocit dellautomobile o la bellezza dei plata-
29
Contro luso corrente in francese come in italiano, Ellul riserva il termine tecnologia, ispirato dallingle-
se technology, al discorso sulla tecnica.
30
Oltre al suo libro pi importante, il gi citato La tecnica rischio del secolo, Giuffr, Milano 1959, vale la
pena citare: Il sistema tecnico: la gabbia delle societ contemporanee, Jaca Book, Milano 2009 e Le bluff techno-
logique, Hachette, Paris 1988.
31
J. Ellul, Rflexions sur lambivalence du progrs technique, Revue administrative, 1965, pp. 380-391. Si
veda anche J. Ellul, Le bluff technologique, cit.
Patrick Troude-Chastenet
766
ni sacrificati colmo dellironia sullaltare della sicurezza stradale? La tecnica crea
problemi nellatto stesso con cui ne risolve e si accresce da se stessa mediante le solu-
zioni che apporta. Parlare di auto-accrescimento significa che la tecnica largamen-
te diventata un processo senza soggetto, ma anche che nel quadro di una societ tec-
nica tutti i problemi umani sono trasformati in problemi tecnici. Il progresso tecnico
solleva problemi pi difficili di quelli da esso risolti. (Il vecchio cestino sostituito dal
sacchetto di plastica, pi leggero ma fonte di inquinamento perch non biodegradabi-
le, cui si aggiungono i milioni di imballaggi e di sacchi dellimmondizia. Si costruisco-
no allora inceneritori per riciclarli, ma viene cos emesso un nuovo veleno, la diossina,
che non si ancora riusciti a eliminare). Ellul fu uno dei primi a comprendere che la
questione ecologica doveva essere affrontata nel suo insieme, in tutte le sue interazio-
ni, e non solo dal punto di vista tecnocratico dellesaurimento di questa o quella risor-
sa naturale o di un qualche inquinamento specifico, per quanto importante esso possa
essere. Gli effetti nefasti del progresso tecnico sono inseparabili dai suoi effetti posi-
tivi. La ricerca sullatomo non poteva non sfociare in un uso militare. Daltro canto, il
vero pericolo per la popolazione sta di certo pi nella vicinanza delle centrali nucleari
che nelleventualit di una guerra atomica. Su un registro pi prosaico ma sempre per-
tinente, laumento della massa delle nostre competenze porta al sovraccarico dei pro-
grammi scolastici e poi a una chiusura nelle specializzazioni. Insomma, ogni progresso
tecnico comporta sempre una parte non indifferente di effetti imprevedibili sul nostro
ambiente o sulla nostra sicurezza, nel senso pi largo del termine. Ragionare in termini
di incidente, come si fa nel caso del nucleare, significa rifiutarsi di affrontare la realt
intrinseca del progresso: la sua ambivalenza. Nel dominio dellagricoltura si conosco-
no le devastazioni del trinomio infernale semente perfezionata-concimi chimici-pestici-
di. In quello della vita quotidiana, un consumatore vigile pu constatare come non pas-
si praticamente giorno senza che si scopra un nuovo prodotto pericoloso per la salute
umana: detergenti, cosmetici, arosol, insetticidi, medicinali. I dibattiti attuali sulla pe-
ricolosit degli OGM o dei telefoni cellulari confortano questa osservazione oggi bana-
le. Tra gli effetti a lungo termine e i bisogni immediati, la logica tecnica sceglier sem-
pre in favore dei secondi. Tutto, subito. E che dire dellinformatica? Certo, i timori per
il millennium bug si sono rivelati infondati. Ma nellera degli ormai classici virus nella
Rete o dei cyber-attacchi praticati da Stati come la Cina o la Russia, chi pu garantire
che un giorno il cybergeddon, la grande catastrofe informatica mondiale, non avr
luogo? Pi cresce il progresso tecnico, pi aumenta la somma degli effetti imprevedi-
bili. Lambivalenza della tecnica proibisce ogni possibilit di previsione. Le tesi ellu-
liane possono cos essere considerate come una delle fonti del (troppo?) famoso prin-
cipio di precauzione.
Tra le tecniche delluomo, Ellul si focalizza sulla propaganda per sottolineare su-
bito che essa non appannaggio delle sole dittature. La distinzione classica tra linfor-
mazione (la verit) e la propaganda (la menzogna) rassicurante, ma anche fragile. La
prima non costituisce, in s, una garanzia contro la seconda. Linformazione addirit-
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul
767
tura la condizione di esistenza della propaganda, poich lopinione pubblica non che
un artefatto Ellul lo scrive sin dal 1957
32
fabbricato mediante linformazione per
poi fare da supporto alla propaganda. Essendo linformazione in una societ tecnica
forzatamente complessa, frammentata e catastrofista, la propaganda ordina, semplifi-
ca e rassicura; di qui la complicit del propagandista e del destinatario della propagan-
da. Dopo aver evidenziato il carattere indissociabile di informazione e propaganda, El-
lul osserva che per resistere ai loro nemici i regimi democratici sono condannati, a loro
volta, a fare propaganda. Ora, per natura, la propaganda la negazione della democra-
zia (in quanto sistema di valori). Loggetto della propaganda tende allora ad assumere la
forma della propaganda stessa, per sua essenza totalitaria, poich per Ellul, a differen-
za dei discepoli di Lasswell, lo strumento non neutro. Non esiste propaganda buona
o cattiva, sul piano etico, ma propagande pi o efficaci sul piano tecnico. Questa elimi-
nazione della facolt di scegliere corrompe lessenza stessa dellarte del governo.
Le altre conseguenze nel campo politico del primato dei mezzi sui fini sono espo-
ste in Lillusion politique. In una societ tecnica, la politica qualcosa di necessario ed
effimero. I governanti si agitano per conservare le apparenze di uniniziativa abbando-
nata, in realt, ai tecnici. Con accenti molto weberiani, egli stigmatizza lo svuotamento
della politica ad opera della burocrazia, linversione del modello teorico di unammi-
nistrazione sottomessa allautorit degli eletti, con lefficacia assunta ormai quale uni-
co criterio di legittimazione.
La societ tecnica implica daltronde una confusione tra politico e sociale. Tutto
politico, ma la politica non che illusione. La politica si sostituita alla religione, lo
Stato moderno ha preso il posto di Dio. La sovranit popolare non che un mito e il
suffragio universale si rivela incapace di selezionare buoni governanti e controllare la
loro azione. altres illusorio credere al controllo del popolo sui suoi rappresentanti
come a quello degli eletti sugli esperti. Lo Stato tecnico per essenza totalitario, poco
importa la sua forma giuridica e la sua copertura ideologica. Detto altrimenti, la com-
binazione di Stato moderno e ideologia tecnica rende la politica non solo illusoria, ma
anche pericolosa. Eppure, lungi dallessere unapologia di un disimpegno altrettanto il-
lusorio, che altra conseguenza non avrebbe se non un rafforzamento del dominio dello
Stato, il messaggio di Ellul mira a riabilitare le virt della resistenza personale nei con-
fronti del Leviatano. Per luomo, esistere resistere. Bisogna dunque sviluppare delle
tensioni, una delle parole cardine del vocabolario personalista, contro tutti i tentati-
vi totalitari dintegrazione sociale. Si tratta insomma di reinventare una democrazia che
scomparsa da molto tempo.
32
Propagande et dmocratie in P. Troude-Chastenet (dir.), La propagande, LEsprit du Temps (coll. Ca-
hiers Jacques- Ellul), 2006, pp. 47-79; Revue franaise de science politique, vol. 2, n. 3, juillet-sept. 1952,
pp. 474-504.
Patrick Troude-Chastenet
768
Una rivoluzione da inventare
Per laver dipinto un quadro particolarmente cupo della societ del XX secolo, Ellul si
talora lasciato rinchiudere nellimmagine di puritano pessimista avente in spregio il
mondo. Gli si spesso rimproverato il suo negativismo. Dialettico dichiarato, segue le
orme di Hegel nel riaffermare la positivit della negativit. Invoca lesempio del medico
che, nel lottare contro unepidemia, compie unopera positiva. Del resto, sullesem-
pio di Rousseau, egli arriva a presentarsi come medico del corpo sociale, chiamato a pre-
scrivere rimedi alle malattie chegli stesso aveva individuato. Ma per lappunto, restando
nella metafora, la diagnosi non deve forse precedere la terapia? E trattandosi di una que-
stione di vita o di morte, Ellul prescive un trattamento choc: la rivoluzione. Oltre al suo
impegno personale, vi dedicher tre libri
33
. Anche da questo punto di vista, non manca
certo di costanza. La necessit rivoluzionaria anteriore alle nostre persone [...]. Siamo
rivoluzionari nostro malgrado, scriveva alla met degli anni Trenta. Rester convinto
tutta la vita che una rivoluzione autentica presuppone la distruzione dello Stato buro-
cratico e centralizzatore. Finora le rivoluzioni hanno avuto come conseguenza non gi
la sua distruzione, n il suo indebolimento, ma il suo rafforzamento. Seguendo Hegel,
Marx ha normalizzato la rivoluzione presentandola come un fenomeno spiegabile e re-
lativamente prevedibile. Fare della rivoluzione un prodotto logico della Storia, gi tra-
dirla. Persuadere luomo in rivolta che si liberer sottomettendosi al meccanismo impla-
cabile di una Storia che si fa nel momento stesso in cui egli la fa, sconfina nellimpostura.
Il pensiero complesso di Marx si trasformato in ideologia dogmatica e in teologia di
una religione secolare. Se la rivoluzione inscritta nel corso della Storia, se discende da
un sapere scientifico e non dipende che da condizioni oggettive, allora in questo proces-
so luomo in carne e ossa diviene un ostacolo. Ora, secondo Ellul la rivoluzione deves-
sere uninvenzione permanente che risulta dallanalisi concreta di una situazione con-
creta. Normalizzata dai marxisti-leninisti, la rivoluzione stata banalizzata nella societ
tecnica. Sul piano del linguaggio, la si resa asettica, addomesticata, privandola del suo
carattere tragico. Impiegata per qualificare un nuovo modello di macchina per cucire, di
pannolini o di libretto di risparmio, rivoluzionario diventata la parola dordine della
routine pubblicitaria. A forza di invocarla ed evocarla in permanenza, la nostra societ
commercial-spettacolare ci ha letteralmente mitridatizzato contro i suoi effetti
34
.
Inoltre, la rivoluzione stata travestita dai vari teorici della festa rivoluzionaria, che vo-
levano farla passare per un grande party a sorpresa, se non per una gigantesca parata ses-
suale. Alla fin fine, si fa fatica a trovare nella societ tecnica autentiche forze rivoluzionarie.
In effetti, Ellul non aderisce alla teoria della salvezza apportata dallesterno, dalle nazio-
ni proletarie, e nemmeno a una rivoluzione scaturita dalla punta avanzata del capitali-
smo, cio dalle minoranze contestatarie del regime statunitense. Eppure, Ellul non rinun-
cia. Cos, in Changer de revolution, egli giudica sempre augurabile, ma molto difficilmente
33
Autopsia della rivoluzione, SEI, Torino 1974 (1969); De la Rvolution aux rvoltes, Calmann-Lvy, Paris
2011 (1972); Changer de rvolution. Linluctable proltariat, Seuil, Paris 1982. Senza contare i suoi libri di
teologia, come Prsence au monde moderne (1948), in Le dfi et le nouveau, La Table Ronde, Paris 2007.
34
P. Troude-Chastenet, Lire Ellul, Presses universitaires de Bordeaux, Talence 1992, p. 108.
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul
769
realizzabile, questa rivoluzione necessaria. A fianco del proletariato tradizionale e del
lumpenproletariato, egli indica la nascita di una nuova condizione proletaria estesa a quasi
tutta la popolazione, ad eccezione dellaristocrazia tecnica: deprivazione del tempo, subor-
dinazione, controllo, svago programmato etc. Precisamente, queste forme di alienazione e
di dominio ricordano la pertinenza degli obiettivi iniziali del socialismo, nonostante i mez-
zi viziati utilizzati dai comunisti e dai riformisti per raggiungerli. Daltro canto, egli osser-
va i primi passi di una tecnica dal grande futuro: il personal computer. Pi esattamente, El-
lul considera che la micro- informatica potrebbe apportare alle teorie autogestionarie e
consiliariste i mezzi materiali per le loro aspirazioni. In che modo? Permettendo una coor-
dinazione flessibile dellattivit libera di piccoli gruppi autonomi; favorendo la circolazio-
ne dellinformazione, la democrazia locale e lemergere di uneconomia pi frugale fonda-
ta sullassenza di potere e il ricorso a tecniche morbide. Ellul osserva con simpatia alcune
isole contestatarie: ecologisti fuori dai partiti, autonomisti, movimenti femministi, movi-
menti di base cristiani, gruppi neo-rurali, comunit etc. Come la micro-informatica per-
metterebbe di uscire dal sistema tecnico, cos questi granelli sparsi permetterebbero di
costruire un socialismo rivoluzionario della libert. Questo socialismo pu attribuire una
finalit a questa tecnica, questa tecnica pu diventare lo strumento di questo socialismo?
La congiunzione di questi due movimenti non ha niente di automatico, previene Ellul. E in
effetti, alla lettura di Le bluff technologique (1988) ci si accorge che lincontro non ha avuto
luogo. Impressione confermata da Anarchia e cristianesimo (1988), dove presenta lanar-
chismo come la forma pi completa e seria di socialismo, ma ci dice anche che essendo
luomo quello che , la societ anarchica ideale non di questo mondo.
BIOGRAFIA
Jacques Ellul nasce il 6 gennaio 1912 a Bordeaux da padre nativo di Trieste e madre fi-
glia di una francese e di un portoghese. I genitori sono persone colte ma spesso senza
soldi. Suo padre lo obbliga a seguire gli studi di diritto, che porter a termine brillante-
mente. Decide addirittura di abbracciare la carriera di professore universitario, offren-
dosi cos il lusso di essere remunerato dallo Stato (di cui un avversario risoluto) e di
specializzarsi volontariamente in storia del diritto romano, materia che egli giudica la
pi inutile in una societ capitalista. Grande lettore di Marx, egli frequenta socialisti e
comunisti senza peraltro essere iscritto al PCF, come scrive Le Monde nella sua ne-
crologia. Allinizio del 1934 unisce il gruppo di discussione che egli anima con Bernard
Charbonneau al movimento diretto da Emmanuel Mounier, con cui litiga nel 1937, anno
di pubblicazione del suo primo articolo sulla rivista Esprit. Toltagli la cattedra dal re-
gime di Vichy, partecipa alla Resistenza. poi delegato municipale della citt di Bor-
deaux (1944-1945). Nel 1954 pubblica il suo capolavoro, La Tecnica rischio del secolo.
Per raggiungere il grande pubblico scrive degli articoli su Le Monde, Le Quotidien
de Paris, Ouest-France e Sud-Ouest, ma alla stampa protestante che egli riserva
lessenziale della sua attivit giornalistica. Dopo il maggio 68 dirige un comitato di dife-
sa della costa dellAquitania. Negli anni Settanta anima dei gruppi non-violenti cui par-
tecipa, in particolare, Jos Bov. D il suo sostegno agli obiettori di coscienza e agli anti-
Patrick Troude-Chastenet
770
militaristi. Nel 1976 presiede alla nascita dellassociazione ecologica europea Ecoropa.
Muore il 19 maggio 1994 a Pessac, non lontano dal campus universitario di Bordeaux.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Jacques Ellul
Prsence au monde moderne (1948), in Le dfi et le nouveau, La Table Ronde, Paris 2007.
La Technique ou lenjeu du sicle, conomica, Paris 1990 (1954), tr. it. La tecnica rischio del seco-
lo, Giuffr, Milano 1959.
Propagandes, conomica, Paris 1990 (1962).
Lillusion politique, La Table Ronde, Paris 2004 (1965).
Autopsie de la rvolution, La Table Ronde, Paris 2008 (1969), tr. it. Autopsia della rivoluzione, SEI,
Torino 1974.
De la Rvolution aux rvoltes, La Table Ronde, Paris 2011 (1972).
Les nouveaux possds, Mille et une Nuits, Paris 2003 (1973).
Le systme technicien, Le Cherche-Midi, Paris 2004 (1977), tr. it. Il sistema tecnico: la gabbia delle
societ contemporanee, Jaca Book, Milano 2009.
La parole humilie, Seuil, Paris 1981.
Changer de rvolution. Linluctable proltariat, Seuil, Paris 1982.
La raison dtre. Mditation sur lEcclsiaste, Seuil, Paris 1987.
Le bluff technologique, Hachette, Paris 1988.
Anarchie et christianisme, La Table Ronde, Paris 1998 (1988).
La pense marxiste, La Table Ronde, Paris 2003.
Opere su Jacques Ellul
Goddard, A., Living the Word, Resisting the World. The life and thought of Jacques Ellul, Paterno-
ster Press, Cumbria 2002.
Hanks, J.M., Jacques Ellul: an annotated bibliography of primary works, Jai Press, Stanford 2000.
Rognon, F., Jacques Ellul. Une pense en dialogue, Labor et Fides, Genve 2007.
Troude-Chastenet, P., Lire Ellul, Introduction luvre sociopolitique de Jacques Ellul, Presses uni-
versitaires de Bordeaux, Talence 1992.
Troude-Chastenet, P., Entretiens avec Jacques Ellul, La Table Ronde, Paris 1994.
Troude-Chastenet, P. (a cura di), Jacques Ellul, penseur sans frontires, LEsprit du Temps, Le Bou-
scat 2005.
Troude-Chastenet, P. (a cura di), La Politique, LEsprit du Temps, Le Bouscat 2008.
771
IL PENSIERO DI IVAN ILLICH TRA PATOGENESI
DELLA MODERNIT E POSSIBILI VIE DI FUGA
Giorgio Barberis
La paradossale attualit di un pensiero rivoluzionario
Sarebbe impresa ben ardua, se non impossibile, realizzare una bibliografia esaustiva
comprendente tutti quei volumi che, dopo la caduta del comunismo sovietico, hanno
sentenziato con maggiore o minore gaudio il trionfo definitivo delliper-capitalismo
globale. Non solo e non tanto la fine della storia annunciata da Francis Fukuyama nel-
la sua celebrazione delle liberaldemocrazie occidentali
1
, quanto piuttosto la presa dat-
to dello strapotere degli attori economici, dal Fondo Monetario Internazionale allOr-
ganizzazione mondiale del commercio, dalla Banca mondiale alle grandi corporations, di
fronte alle quali impallidisce ogni tradizionale concetto di sovranit statale e di control-
lo democratico.
Di fine, in realt, credo che sia giusto parlare. Nel suo ultimo lavoro, La terra del tra-
monto
2
, padre Ernesto Balducci, con il tratto profetico che gli sempre stato peculiare,
afferma risolutamente che la parabola della modernit in rapido esaurimento. A de-
limitarla due tragici eventi: la strage del mar delle Antille, immediatamente successiva
allarrivo di Cristoforo Colombo nelle nuove Indie, con il massacro di milioni di indigeni
inermi, e quella lungo il Tigri e lEufrate dellultimo decennio del Novecento e dellini-
zio del nuovo millennio. Al di l dellarco temporale, mi pare molto difficile confutare
che limpulso di dominio e la volont di imporre universalmente un unico modo di es-
sere, di vivere, di pensare, abbiano segnato in profondit il cam mino delluomo moder-
no. Oggi, tuttavia, qualcosa sta cambiando. La politica, leconomia, il mondo so ciale e
1
F. Fukuyama, The End of History and the Last Man, The Free Press, New York 1992, tr. it. La fine della
storia e lultimo uomo, Rizzoli, Milano 1996. Dal noto quanto discutibile testo dellautore nippo-americano
abbiamo preso le mosse per articolare la nostra riflessione sul pensiero di Alexandre Kojve nel primo volume
della presente opera sullAltronovecento, ossia Let del comunismo sovietico, Jaca Book, Milano 2010, pp.
591-604, La coscienza anarchica di Stalin.
2
E. Balducci, La terra del tramonto. Saggio sulla transizione, Giunti, Milano 2005 (1992).
Giorgio Barberis
772
culturale sono accomunati da grandi trasformazioni, le quali met tono fortemente in di-
scussione le pi diffuse categorie interpretative e riferi menti culturali a lungo condivisi
3
,
e che ci fanno appunto pensare, in continuit con le tesi balducciane, alla fine di unepo-
ca, allavvento di un tempo nuovo, che scompagina ogni cosa. Fondamentale, dunque,
pensare questo rivolgimento, provare a definirlo, a penetrarlo concettualmente, ed
mia convinzione che vi siano diversi autori, magari a lungo trascurati, o relegati agli stu-
di di qualche ricercatore un po originale o ai ricordi e alle riflessioni di qualche raro di-
scepolo, che tornano oggi ad essere di grandissima utilit. A partire da Ivan Illich, una
figura chiave, certamente degna di un adeguato approfondimento scientifico, che for-
se soprattutto in Italia non le ancora stato integralmente riconosciuto. Pochi, infat-
ti, gli studi a lui dedicati nel nostro Paese, e per lo pi concentrati in opere collettanee,
in atti di convegni o in resoconti di conversazioni spesso brevi ma di straordinaria ric-
chezza, oppure disseminati nel magma dei siti web. Sembra, per, che lautore sia desti-
nato a suscitare un rinnovato interesse, come attestano la ripubblicazione di molte sue
opere e un capillare lavoro di ricerca di diversi studiosi
4
. La pratica di unoriginale ar-
cheologia del sapere che scava alle radici dei luoghi comuni della modernit riesaminan-
doli in una prospettiva storica, la denuncia (purtroppo inascoltata) del cortocircuito del
capitalismo avanzato e la prefigurazione di una societ conviviale, il progetto di una de-
crescita regolatrice e gioiosa, il tentativo problematico ma affascinante di tenere insieme
tensione spirituale e ideali libertari, sono solo alcune delle proposte culturali che Illich
ci ha lasciato in eredit, e che possono aiutarci a meglio decifrare le antinomie dellepo-
ca contemporanea, a partire dalla crisi della rappresentanza e dalla complessa ridefini-
zione identitaria, e al di fuori delle pi comuni categorie del politico.
Pensatore straordinariamente versatile, uomo di Chiesa sempre inquieto e intellet-
tualmente libero, Illich nelle sue opere ha tracciato sentieri innovativi per la scuola, la sa-
nit, lo studio e la tutela dellambiente, la scienza, leconomia e credo anche per lanalisi
dei fenomeni politici, in particolare in due direzioni. Da un lato, la fondazione nel 1966
a Cuernavaca del CIDOC, un ricchissimo centro di documentazione interculturale dove
vengono raccolti cospicui lavori sulle societ e sulle tradizioni popolari latino-americane
e, contestualmente, documenti e materiali di approfondimento sullo sviluppo e sul fun-
zionamento delle grandi agenzie e istituzioni globali. Dallaltro lato, lidea di una societ
conviviale, che si propone come alternativa praticabile allideologia dello sviluppo illimi-
tato e agli effetti perversi del capitalismo maturo, che Illich nei suoi testi, sicuramente
discutibili e a tratti apertamente provocatori, ma sempre di grande interesse nel loro ap-
3
Per unanalisi specifica, seppur sintetica, di ciascuno di questi aspetti mi permetto di rimandare al volume
di M. Revelli, G. Barberis, Sulla fine della politica. Tracce di un altro mondo possibile, Guerini e Associati,
Milano 2005.
4
Tra le poche monografie al momento pubblicate vi quella di Maurizio di Giacomo (Ivan Illich. Una voce
fuori dal coro, Ancora, Milano 2006), il quale, chiudendo lintroduzione del suo testo essenzialmente biografi-
co, afferma a proposito di Illich: Per scriverne un profilo propriamente scientifico occorreranno diversi anni
di duro lavoro e la capacit di ascoltare a lungo Valentine Borremans, la sua discreta e costante collaboratrice
in tante ricerche e battaglie ideali. Nonch ritengo opportuno aggiungere meditare sui lunghi dialoghi
del Nostro con lo scrittore e broadcaster canadese David Cayley. Tra i molti materiali, basti qui ricordare The
Rivers North of the Future. The Testament of Ivan Illich as told to David Cayley, Toronto 2005, tr. it. I fiumi a
nord del futuro. Testamento raccolto da David Cayley, Quodlibet, Macerata 2009.
Il pensiero di Ivan Illich tra patogenesi della modernit e possibili vie di fuga
773
prodo paradossale ha analizzato e denunciato con mirabile lucidit e con uno stile nel
contempo brillante e asciutto, un argomentare acuto e spiazzante, e la capacit come
bene ha scritto Filippo Trasatti
5
di guardare il mondo alla rovescia senza alcun timo-
re, distruggendo certezze e dando vita ad un pensiero critico, da cui in tanti hanno potu-
to attingere. E non mi riferisco soltanto al nascente ecologismo, agli ambienti terzomon-
disti e al movimento studentesco degli anni Settanta del Novecento. Penso anche a gran
parte di quegli autori che, in opposizione al progetto di estendere la logica di mercato
ad ogni possibile settore, compresi tutti i beni comuni disponibili in natura, propongo-
no oggi di dare maggior spazio e concretezza a una politica economica ambientalista, a
una societ del dopo-sviluppo e della decrescita (volontaria, consapevole, felice), ispirata
da criteri di equit, dalla comprensione della finitezza delle risorse naturali e da un for-
te senso di responsabilit nei confronti del proprio ambiente e delle generazioni presen-
ti e future
6
. Unidea con molti tratti di ingenuit, e che richiederebbe un serio approfon-
dimento anche genealogico
7
, ma certamente utile a decostruire almeno parzialmente un
discorso pubblico che rimane ancorato al feticcio della crescita e del profitto ad ogni co-
sto, e incapace di reagire alle devastanti criticit che segnano il nostro tempo.
Le antinomie della contemporaneit e la perversione del capitalismo maturo
Diversi gli epifenomeni che palesano la fase di profondo declino della politica, gi pre-
senti in nuce in alcuni passaggi profetici della riflessione di Illich: an zitutto la mediocri-
t (inconsapevole) della leadership globale, non pi in grado di af frontare efficacemente
le complesse questioni ambientali, sociali ed economiche e di tenere sotto controllo gli
enormi flussi di merci e capitali, di in formazioni e di persone. Nel contempo, si amplia
5
Trasatti ha curato un approfondimento monografico su Ivan Illich nel n. 294 di A rivista anarchica (anno
33, novembre 2003), con i contributi anche di Paolo Perticari, Francesco Scotti, Pietro M. Toesca.
6
Per unintroduzione alla questione della decrescita particolarmente utile il volume collettaneo Dfaire le
dveloppement, rfaire le monde, LAventurine, Paris 2003, tr. it. Disfare lo sviluppo per rifare il mondo, Jaca
Book, Milano 2005. Molto esplicativo il titolo del contributo di Serge Latouche: Lo sviluppo rappresenta il
problema, non il rimedio alla mondializzazione! Lo stesso Latouche autore di altre importanti pubblicazioni
sui limiti e le contraddizioni dello sviluppismo e sulla follia del dogma di una crescita infinita. Penso in
particolare a Survivre au dveloppement, Fayard, Paris 2004, tr. it. Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla deco-
lonizzazione dellimmaginario economico alla costruzione di una societ alternativa, Bollati Boringhieri, Torino
2005; al Petit trait de la dcroissance sereine, Fayard, Paris 2007, tr. it. Breve trattato sulla decrescita serena,
Bollati Boringhieri, Torino 2008; infine, a Le pari de la dcroissance, Fayard, Paris 2007, tr. it. La scommessa del-
la decrescita, Feltrinelli, Milano 2007. Di decrescita felice si parla invece con un approccio peculiare nel
volume di Maurizio Pallante, intitolato appunto La decrescita felice. La qualit della vita non dipende dal PIL,
Editori Riuniti, Roma 2005.
7
Che cosa significa e come si articola in concreto il concetto di decrescita? Da dove viene questidea e
come si pu realmente declinare? In tal senso, ritengo che la lettura illichiana sia un punto di riferimento
imprescindibile. Proprio Latouche, del resto, non esita a riconoscere come la decrescita sia nata in seno alla
critica dello sviluppo e della crescita condotta da una piccola internazionale di pensatori raccolti attorno a
Ivan Illich; pensatori del Sud, oppure che avevano unesperienza concreta della sconfitta dello sviluppo nei
Paesi dellAfrica o dellAmerica latina; S. Latouche, La plante uniforme (2000), tr. it. La fine del sogno occi-
dentale, Eluthera, Milano 2010
2
, p. 185.
Giorgio Barberis
774
senza posa la crisi di partecipazione e legittimit delle tradizionali forme ed espressioni
dellagire politico (i partiti, le consultazioni elettorali, le istituzioni, sia a livello locale sia
in ambito nazionale e internazionale). Del resto, il turbo-capitalismo glo bale, come gi
detto in principio, non pu essere arginato da nessuna forma di sovranit democratica.
Le scelte delle multina zionali e gli investimenti speculativi di un capitale finanziario sen-
za freni e regole sono in grado di abbattere ogni tentativo di resistenza di qualsiasi co-
munit politica. Una tecnocrazia non elettiva che Illich definiva, senza troppi scrupoli,
fascismo manageriale ha in mano la sorte di milioni di persone, per nulla coinvolte
nei processi decisionali che le riguardano. Infine, se vero che nella modernit, a parti-
re dalla riflessione hobbesiana, la politica si fonda sul nesso virtuoso di potere e ordine
(il monopolio statale della forza come garanzia della sicurezza e della pace sociale), ora
il meccani smo pare essersi irrimediabilmente inceppato
8
. Laddove il potere po litico in-
terviene per ristabilire lordine (o per instaurarne uno pi funzionale ai propri interessi)
non fa altro che amplificare il di sordine e linsicurezza, dal Medio Oriente allAfghani-
stan, dal Caucaso allIraq, dai Balcani al continente africano.
Convincente, pertanto, la celebre definizione di Ulrich Beck, che da decenni parla
di societ del rischio
9
: tra emergenze ecologiche, instabilit politica e socio-economica,
atten tati terroristici e guerra globale, il mondo si complica sempre pi e lincertezza di-
viene il carattere dominante del nostro esi stere. Decisiva in tal senso anche la rivoluzio-
ne del modello produttivo, e pi in generale del sistema econo mico, compiutasi negli
ultimi lustri del Novecento, con il brusco salto di paradigma dal fordismo al post-fordi-
smo, e con il conseguente riassetto dellorganizzazione del lavoro e dei lavoratori. Sono
passaggi ben noti. La ristrutturazione, incentrata sulluso dellinformatica e dellelettro-
nica e sullo sviluppo tecnologico nelle telecomunicazioni e nei trasporti, ha determina-
to lesternalizzazione di una serie di lavorazioni prima integrate allinterno delle fabbri-
che e ha ridotto gradualmente il peso delloccupazione nelle grandi unit produttive.
Con lintensificarsi dei processi di automazione e il prevalere delleconomia finanzia-
ria sulleconomia reale il mercato del lavoro si destrutturato e fluidificato, e alla mo-
lecolarit del post-fordismo hanno fatto seguito la preca rizzazione a tutti i livelli e la
richiesta di una sempre maggiore flessibilit. Limpresa ha visto cos i suoi profitti mol-
tiplicarsi e i margini di manovra crescere esponenzialmente, mentre il lavoro si frantu-
mato in infinite ti pologie contrattuali, con pi obblighi e meno tutele. Le tremende crisi
che ciclicamente sembrano travolgere il capitale finanziario e bucare quella bolla spe-
culativa che schiaccia ogni possibile forma di alternativa sociale in realt non riescono a
mutare lo scenario complessivo, che rapidamente si ricompone e recupera il proprio as-
setto consolidato: le disuguaglianze si acuiscono, le rendite tornano a crescere, i salari ri-
stagnano e la bolla si ripresenta immutata.
Situazione invero paradossale. Lemergenza ecologica planetaria, che moltiplica i fat-
tori di rischio e chiama in causa soprattutto i Paesi con un maggiore livello di sviluppo,
do vrebbe indurci a comprendere lurgenza di fuoriuscire dalle leggi ferree dellecono-
8
M. Revelli, La politica perduta, Einaudi, Torino 2003.
9
U. Beck, Risikogesellschaft: Auf dem Weg in eine andere Moderne, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1986, tr. it. La
societ del rischio. Verso una seconda modernit, Carocci, Roma 2000.
Il pensiero di Ivan Illich tra patogenesi della modernit e possibili vie di fuga
775
mia capitalista o almeno di ridiscu terne criticamente lo scopo alienato, che consiste nel
produrre non in ragione delle necessit sociali, ma soltanto per il profitto. Sarebbe op-
portuno porre finalmente la questione di riconvertire e socia lizzare leconomia, a par-
tire anzitutto da due interrogativi fonda mentali: Cosa e per chi si produce? Quanto la
produzione rispetta la riproducibilit sociale e ambientale?
10
. Prendere atto, insomma,
dellimpossibilit di una crescita infinita, e dar vita a nuove forme economiche e socia-
li meno distruttive ed ini que
11
. Lunica alternativa possibile al cortocircuito del sistema
vigente, scrive Paolo Cacciari, consiste nello sganciare leconomia dalla spirale espan-
siva, incrementale, dissipativa, dando corso ad altra economia responsabile, autososte-
nibile e cooperante
12
. Qui lautore veneziano chiama in causa Andr Gorz, allorch
questi rileva come limperativo economico del rendimento sia per molti aspetti antiteti-
co rispetto allimperativo ecologico del risparmio felicemente sintetizzabile con la for-
mula meno ma meglio , e soprattutto Ivan Illich, che contro lideologia dello svi-
luppo illimitato, gli effetti perversi, controproduttivi, del sovrasviluppo industriale ha
dimostrato la necessit di affermare unausterit equilibratrice e gioiosa
13
. Con il suo
genio poliedrico, infatti, egli nei suoi testi pi noti ha implacabilmente denunciato il
cortocircuito del sistema produttivo del capitalismo avanzato, mostrando come lo stru-
mento industriale abbia da tempo superato quella soglia critica che lo rende, appunto,
contro-producente. Cos la diffusione universale dei mezzi di trasporto riduce la veloci-
t media degli spostamenti
14
; la professionalizzazione del sapere amplifica disuguaglian-
ze ed esclusione; lo sviluppo di un sistema scolastico obbligatorio e uniforme annulla lo
spirito critico e crea consumatori di cultura docili e disciplinati
15
; lipermedicalizzazio-
ne priva gli individui del controllo sulla propria salute, causando una dipendenza pato-
10
P. Sullo, Prefazione al volume di P. Cacciari, Pensare la decrescita, Carta/Intra Moenia, Napoli 2006,
pp. 5-6.
11
Ibid., p. 13. Si pensi ad esempio, scrive Pierluigi Sullo, a cosa si potrebbe fare per la promozione delle
economie e produzioni locali auto-sostenibili con i cento miliardi di euro che solo il folle progetto dellalta
velocit ferroviaria costerebbe alla collettivit (p. 7).
12
P. Cacciari, Pensare la decrescita, cit., p. 39.
13
Ibid., pp. 15-16. I riferimenti sono rispettivamente ad A. Gorz, Capitalismo, socialismo, ecologia, manife-
stolibri, Roma 1992, pp. 73-75, e a I. Illich, Tools for Conviviality, Harper & Row, New York 1973, tr. it. La
convivialit, Boroli, Milano 2005. Nellintroduzione del suo testo Illich opportunamente precisa: Lausterit
non significa isolamento o chiusura in se stessi. Per Aristotele come per Tommaso dAquino, il fondamento
dellamicizia. Trattando del gioco ordinato e creatore, Tommaso definisce lausterit come una virt che non
esclude tutti i piaceri, ma soltanto quelli che degradano o ostacolano le relazioni personali. Lausterit fa parte
di una virt pi fragile, che la supera e la include, ed la gioia, leutrapelia, lamicizia (tr. it., p. 15).
14
I. Illich, Energy and Equity, Calder & Boyars, London 1974, tr. it. Energia, velocit e giustizia sociale, Fel-
trinelli, Milano 1974. A Illich dobbiamo anche questo curioso e inquietante calcolo: Lamericano tipo dedica
pi di 1.500 ore allanno alla sua automobile: ci sta seduto dentro, fermo o in moto, lavora per comprarla e
mantenerla, per pagare la benzina, i pneumatici, i pedaggi, lassicurazione, le contravvenzioni e le imposte.
Dedica cio 4 ore al giorno alla sua auto, sia che se ne serva, se ne occupi o lavori per lei. E non consideriamo
tutti gli altri suoi impegni di tempo regolati dal trasporto: il tempo passato in ospedale, in garage o in tribunale,
il tempo consumato a guardare la televisione e la pubblicit delle automobili, il tempo speso a guadagnare il
denaro necessario per viaggiare durante le vacanze, eccetera. A questo americano occorrono dunque 1.500 ore
per percorrere 10.000 km di strada: 6 km gli prendono pi di unora (La convivialit, cit., p. 25).
15
I. Illich, Deschooling Society, Harper & Row, New York 1971, tr. it. Descolarizzare la societ, Mondadori,
Milano 1972, ripubblicato da Mimesis, Milano-Udine 2010 (con una postfazione di Paolo Perticari).
Giorgio Barberis
776
logica da mezzi tecnici in continua evoluzione, sempre pi sofisticati ma anche ineffi-
cienti
16
; pi in generale, leccesso di produttivit genera crisi economiche e il progresso
tecnico isterilisce le capacit intellettuali. Particolarmente noto il testo sulla descolarizza-
zione della societ, che ha dato luogo a un ampio e vivace dibattito, con alcune adesioni
entusiastiche e molte critiche anche aspre. Convinto che il sistema educativo occidenta-
le fosse ormai al collasso, schiacciato dal peso della burocrazia, dei dati e delle statistiche
insignificanti e del culto della specializzazione, Illich si schier contro i diplomi, i certi-
ficati, le lauree, e soprattutto contro listituzionalizzazione e lomologazione dellimpa-
rare. Egli si spinge a sostenere forse anche riflettendo sulla propria esperienza educa-
tiva che un adulto sarebbe in grado di apprendere i contenuti di dodici anni di scuola
dellobbligo dai programmi standardizzati in uno o due anni al massimo. Ma ormai sia-
mo tutti parte afferma Illich nella fase matura del suo pensiero di un sistema ci-
bernetico fuori dal nostro controllo, che ci disincarna in uneterea virtualit e ci allonta-
na dal reale sentire il nostro prossimo. Di qui limportanza di ricostruire una storia della
conoscenza, intesa nel senso pi ampio possibile, e delle sue progressive trasformazio-
ni, che dalla consapevolezza istintiva della conformit delle cose a un ordine cosmi-
co si piega via via a finalit puramente strumentali e allidea di un progresso senza limiti
del tutto chimerica, per giungere infine allattuale crollo, ancora da decodificare com-
piutamente. Ecco dunque lesigenza di prendere le distanze, di osservare la tecnolo-
gia culturale occidentale con il dovuto distacco, e di volgere lo sguardo altrove, sia dal
punto di vista geografico (come avveniva al CIDOC, e come Illich cerc di fare concreta-
mente, trascorrendo alla fine degli anni Settanta lunghi periodi in India e in Estre-
mo Oriente) sia dal punto di vista storico. Lo straordinario commento al Didascalicon di
Ugo di San Vittore che troviamo Nella vigna del testo libro colto e affascinante, il quale
si presenta appunto come una storia sullarte di leggere nei suoi passaggi fondamenta-
li si inserisce in questo percorso, di cui rappresenta un prezioso tassello
17
.
Guardando il mondo alla rovescia: la critica delle istituzioni totali
e la ricerca di unalternativa possibile
Durante lestate immediatamente precedente la sua morte, avvenuta a Brema il 2 dicem-
bre 2002, Illich ha lavorato alla revisione della sua ultima opera, significativamente inti-
tolata La perdita dei sensi
18
, che si incentra appunto sulla denuncia di una realt sempre
pi astratta e dominata da regolamenti tecnici e dalle scelte di fantomatici esperti, che
alienano la nostra libert e annullano la possibilit di scelta. Nellintroduzione ai saggi
che compongono il volume egli scrive: Mi batto per una rinascita delle pratiche asceti-
che, allo scopo di mantenere vivi i nostri sensi, nelle terre devastate dallo show, in mez-
16
I. Illich, Medical Nemesis. The Expropriation of Health, Pantheon, New York 1976, tr. it. Nemesi medica.
Lespropriazione della salute, Mondadori, Milano 1977, ripubblicato da Boroli, Milano 2005.
17
I. Illich, In the Vineyard of the Text. A Commentary to Hughs Didascalicon, 1993, tr. it. Nella vigna del
testo. Per una etologia della scrittura, Raffaello Cortina, Milano 1994.
18
I. Illich, La perte des sens, Fayard, Paris 2004, tr. it. La perdita dei sensi, Libreria Editrice Fiorentina,
Firenze 2009.
Il pensiero di Ivan Illich tra patogenesi della modernit e possibili vie di fuga
777
zo a informazioni schiaccianti, a consigli perpetui, alla diagnosi intensiva, alla gestione
terapeutica, allinvasione dei consiglieri, alle cure terminali, alla velocit che toglie il re-
spiro. Come una Cassandra che tutto prevede, e che tuttavia destinata a rimanere ina-
scoltata, Illich sviluppa e articola, nellarco di gran parte della propria riflessione teorica,
unaspra critica al processo di istituzionalizzazione, che nato dallesigenza di rispondere
a bisogni diffusi, a poco a poco li cristallizza, perpetuando un sistema di organizzazio-
ne sociale finalizzato essenzialmente a ipostatizzare strutture di potere e nel quale lindi-
viduo sempre pi alienato. Argomentazioni che per molti aspetti si possono accostare
alle pi note analisi di Michel Foucault. Nella sua introduzione a un altro testo illichia-
no, Disoccupazione creativa
19
, Roberto Mordacci, con mirabile sintesi, osserva:
Nel sistema basato sulla professionalizzazione delle funzioni essenziali, il cittadino del mondo
civilizzato espropriato della propria capacit di fare da s ci che altrimenti saprebbe fare
benissimo: costruirsi una casa, curare le patologie pi semplici, istruirsi, gestire le proprie con-
troversie giuridiche e politiche, muoversi da un luogo allaltro; tutte queste attivit sono state
requisite, sottratte allabilit personale e monopolizzate da professionisti del settore
contro i quali Illich polemizza costantemente
20
. Perfino la carit, principio fondante del
cristianesimo, cos come pure pi in generale ogni forma di relazione umana, si isti-
tuzionalizza, si pietrifica o si mercifica, dando luogo a un mondo capovolto, iniquo, per-
verso. Illuminanti le riflessioni di Illich, in conversazione con David Cayley, sul perverti-
mento del cristianesimo e sul processo di istituzionalizzazione che ha coinvolto anzitutto
la Chiesa. Essa, a poco a poco, ha snaturato il messaggio originario il dono incondi-
zionato di s e lapertura totale allaltro da parte del fedele e ha dato vita a un sistema
gerarchico di potere e di controllo sociale. Lamore al di sopra della legge diviene esso
stesso Legge, obbligo morale e poi giuridico, infine estremo paradosso strumento di
limitazione della libert, e dunque di oppressione di chi non vi si adegua. In pieno Me-
dioevo, essenzialmente con il Dictatus Papae di Gregorio VII (siamo nel 1075), la Chie-
sa, societ perfetta, strutturata gerarchicamente e indipendente da ogni altra autori-
t, getta i semi dello Stato moderno. La sovranit di Dio, la sua dichiarata onnipotenza,
vengono assunte come modello di dominio delluomo sulluomo e sulla natura; un domi-
nio che, evidentemente, non ammette limiti. La logica strumentale, di cui i sacramenti
sono un chiaro segno, non ha pi alcun argine. E quando ci che rappresenta il meglio si
corrompe, si hanno le conseguenze peggiori (citando Gregorio Magno, corruptio opti-
mi pessima), come il degrado odierno mostra impietosamente
21
.
Ma pu allora esistere una qualche alternativa? La convinzione che un altro mondo
sia non solo possibile, ma anche necessario, ha animato, a partire dalle contestazioni nel
19
I. Illich, The Right to Useful Unemployment and its Profesional Enemies, Boyars, London 1978, tr. it.
Disoccupazione creativa, Boroli, Milano 2005. Mordacci ha prefato anche le altre riedizioni dei testi di Illich
proposti dalleditore Boroli.
20
Si veda ad esempio I. Illich et. al., Disabling Professions, Boyars, New York 1977, tr. it. Esperti di troppo,
Erickson, Gardolo (TN) 2008, con unintroduzione di Bruno Bortoli.
21
I. Illich, The Corruption of Christianity, Canadian Broadcasting Corporation, trascrizione di Susan Young,
2000, tr. it. Pervertimento del cristianesimo. Conversazioni con David Cayley su Vangelo, Chiesa, Modernit,
Quodlibet, Macerata 2008.
Giorgio Barberis
778
novembre 1999 al vertice WTO di Seattle, la vasta mobilitazione altermondialista, che ha
posto con forza il problema di un cambiamento radicale dellorganizzazione sociale, del
modo di produrre, distribuire e consumare le risorse su scala globale. In opposizione al
progetto liberista di estendere la logica di mercato a ogni ambito, e quindi anche a tutti i
beni comuni disponibili in natura
22
, contro chi si propone di prezzare perfino laria e
lacqua, occorrerebbe dare sempre pi solidit e spazio a uneconomia diversa, che fac-
cia propri la coscienza del limite e il principio responsabilit secondo la ben nota locu-
zione di Hans Jonas , quanto mai decisivo per il nostro tempo. Al contrario, come gi
abbiamo avuto occasione di osservare, il discorso pubblico rimane ancorato al feticcio
della crescita, allobiettivo della massimizzazione delle rendite. Ci si limita a rispondere
alle emergenze ambientali con provvedimenti estemporanei del tutto inefficaci, e resiste
tenacemente il mito della tecnologia salvifica. Ma molto pericoloso affidarsi alle pre-
sunte capacit della tecnica di risolvere da s le proprie contraddizioni, come Illich de-
nunciava in molti dei suoi scritti. Si tratta di un puro atto di fede, mentre certo invece
che i (presunti) progressi nel campo della ricerca medica e dellingegneria genetica,
cos come il perfezionamento delle biotecnologie, pongano fin da ora in forte discussio-
ne i tradizionali criteri di legittimazione morale, incrinando la fiducia in norme etiche
che parevano ovvie e complicando notevolmente la possibilit stessa di stabilire in modo
univoco, o quanto meno condiviso, ci che bene e ci che male
23
.
Un quadro molto complesso, dunque, che non riconosce pi punti di riferimen-
to certi e che ulteriormente complicato dallerosione del legame sociale in atto nel-
le societ del benes sere diffuso, giunte ormai a uno stadio avanzato di disgregazione. In
quella modernit liquida al centro dellanalisi di Zygmunt Bauman, caratterizzata da un
incessante mo vimento e dallassenza di un ancoraggio sicuro, lamore per il pros simo,
lapertura allaltro e la fiducia reciproca sembrano avere sempre pi uno spazio margi-
nale, rimpiazzati da unendemica incertezza, dalla fragilit e dalla fluidit dei legami e
dalla perpetua volubilit delle regole
24
. Privo di relazioni stabili e definite, lindividuo
22
Se lautomobile stata la merce simbolo del Novecento e cito ancora Paolo Cacciari (Pensare la decresci-
ta, cit., pp. 91-92) senzaltro opportuno, e forse necessario, che per il secolo che stiamo vivendo lumanit
assuma come nuovi suoi simboli i beni comuni: aria, acqua, suolo, biodiversit, conoscenza, educazione,
salute, energia, liberati dal giogo della privatizzazione, a disposizione di tutti, tenuti nella considerazione di
tutti. Insomma, sottratti al mercato.
23
In effetti, i dilemmi bioetici e i rischi di derive biopolitiche accom pagnano costantemente linnovazio-
ne tecno-scientifica e lavanzamento della ricerca biomedica. I dispositivi di protezione e incremento della
vita tendono a rovesciarsi nel loro contrario, ossia in micidiali fattori tanatopolitici. Per approfondire questo
aspetto si veda in particolare larticolata riflessione condotta da Roberto Esposito in testi quali Immunitas.
Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002, e Bios. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004.
Anche Illich, in La perdita dei sensi (ed. it., cit., pp. 253-260), aggiornando lidea di iatrogenesi introdotta nelle
diverse sezioni di Nemesi medica, si sofferma su stringenti questioni bioetiche descrivendo quella chegli
definisce La societ amortale , ossia sul rimaneggiamento superstizioso della societ e della cultura at-
traverso linteriorizzazione dei miti della medicina, compresa la crescita esponenziale delle cure terminali e
di quello che oggi chiamiamo accanimento terapeutico. La sofferenza e la morte, per, sono due dimensione
dellessenza umana di quella sua costitutiva fragilit , dinanzi alle quali la medicina, impregnata di ideologia
dello sviluppo, dovrebbe arrestarsi.
24
Z. Bauman, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge 2000, tr. it. Modernit liquida, Laterza, Roma-
Bari 2002. Opportunamente Pierre-Andr Taguieff parla di culto del movimento per il movimento e della
Il pensiero di Ivan Illich tra patogenesi della modernit e possibili vie di fuga
779
lacerato dal contrastante desiderio di ricercare la sicurezza dellaggregazione e di strin-
gere rapporti, ma anche di tenerli il pi possibile allentati, per il timore di essere limita-
to entro confini troppo angusti; la mediazione tra pulsioni libertarie e richiesta di stabili-
t, tra tendenza allindividualizzazione e bisogno di connessione comunque imperfetta
e incompleta.
La crisi delle forme tradizionali dellagire politico, del mondo pro duttivo, del legame
sociale, apre poi unaltra questione deci siva, ossia la definizione o ridefinizione sempre
pi problema tica delle identit individuali e collettive. La complessit globale d luogo
a due tendenze antitetiche. Da un lato, in atto una crescente omologazione culturale e
una condivisione forzata di stili di vita e di consumo, imposti dal dominio commercia-
le, militare e ideologico dellOccidente
25
. Un mondo a una dimensione, che pare esclu-
dere qualunque credibile alternativa. Dallaltro lato, per, si rafforza anche la tenden-
za a rivendi care identit esclusive (ed escludenti), spesso costruite in modo strumentale
per sostenere un atteggiamento di chiusura, di dif fidenza verso tutto ci che altro, di-
verso, nuovo. Un improbabile radicamento a luoghi, tradizioni, culti, ideologie, che ri-
sponde allesigenza di contenere la sensazione di minaccia e disorienta mento, riducendo
arbitrariamente gli ele menti di complessit. Ma si tratta di una risposta artefatta, inef-
ficace, deludente. Le identit non si improvvisano e il rimando al passato non pu elu-
dere il con fronto con le questioni poste dallinnovazione tecnologica e dai radi cali mu-
tamenti in atto. Una reazione pi adeguata di fronte alla crescente incertezza consiste
semmai nellaprirsi allaltro, nel depotenziare le proprie rivendicazioni identitarie, rico-
noscendone la parzialit, la pluralit e la mutevolezza, senza paura del confronto cultu-
rale, ma con lobiettivo di ampliare i luoghi e gli spazi di dialogo, e la capacit di rico-
noscere la ric chezza della differenza, di elaborare nuove forme di condivisione e nuovi
e pi articolati valori di riferimento. Una difesa del meticciato, dellibridazione, che di-
viene ancora pi importante in tempi di chiusure culturali e di mu scolari esaltazioni del
dogma, pesantemente gravati, soprattutto dopo gli attentati terroristici dell11 settem-
bre 2001 alle Twin Towers, da ossessioni paranoiche, da un persistente e onnipervasivo
senso di minac cia, da manie di persecuzione diffuse su scala mondiale e da un egorife-
rimento ipertrofico di opposti fondamentalismi
26
.
necessit di resistere allagitazione frenetica e caotica di un presente perpetuo, privo di memoria e di futuro.
Si vedano in particolare P.-A. Taguieff, Leffacement de lavenir, Galile, Paris 2000, e Rsister au bougisme.
Dmocratie forte contre mondialisation tecno-marchande, Mille et une nuits, Paris 2001. Si consideri anche Z.
Bauman, Liquid love. On the Frailty of Human Bonds, Polity Press, Cambridge e Blackwell, Oxford 2003, tr.
it. Amore liquido, Laterza, Roma-Bari 2004.
25
Il riferimento diretto a quella occidentalizzazione del mondo che Serge Latouche descriveva gi nel
1989, contestualmente alla caduta del Muro di Berlino (Loccidentalisation du monde. Essai sur la signification,
la porte et les limites de luniformation plantaire, La Dcouverte, Paris 1989, tr. it. Loccidentalizzazione del
mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992). Ma una denuncia comune a larga parte del pensiero critico nove-
centesco, e quindi anche a Illich, il quale ha sempre rifiutato lautoreferenzialit dellOccidente (cos come
pure del cattolicesimo), le sue pulsioni imperialistiche e la standardizzazione dellimmaginario, che anestetizza
il dissenso.
26
Sul rapporto complesso ma per molti aspetti innegabile tra paranoia e politica rimando alla raccolta di
saggi curata da Marco Revelli e Simona Forti, intitolata appunto Paranoia e politica, Bollati Boringhieri, Torino
2007.
Giorgio Barberis
780
Qui ci viene in soccorso ancora una volta Ivan Illich, con la sua idea di convivialit, di
apertura incondizionata allaltro, che non stata solo una proposta teorica originale, ma
anche autentica pratica esistenziale. noto, infatti, come laspetto conviviale fosse forte-
mente valorizzato da Illich, che cercava il pi possibile lincontro, lo scambio diretto con
i propri interlocutori, al di fuori delle ingessate ritualit accademiche. Le conversazioni
attorno alla tavola insieme a lui erano spesso il momento pi alto di confronto culturale
ed elaborazione teorica, in un clima di ascolto, armonia e condivisione vera, raccontato
con nostalgia ed emozione da tutti coloro che ebbero la fortuna di parteciparvi
27
.
Tuttavia, prima di soffermarci conclusivamente sulle peculiarit di questa proposta,
forse utile sottolineare anche unaltra questione di grande rilievo, che chiama ancora
in causa il nesso tra la difficile definizione identitaria, e pi in generale il quadro di in-
certezza e di disorientamento che stiamo vi vendo, e il funzionamento del sistema demo-
cratico rappresentativo. Certamente si tratta di un terreno fragile, in cui muoversi con
la massima cautela. Ma la solitudine normativa che oggi vive la democrazia quasi nes-
suno, infatti, osa porla in discussione non pu celare una serie di contraddizioni, cri-
ticit, sfide complesse che essa chiamata ad affrontare. La democrazia rappresentativa
funziona ancora? Difficile rispondere affermativamente con sicu rezza. Troppo comples-
so il quadro globale, nel quale si riducono drasticamente i margini di azione della sovra-
nit statale. Troppo corrotte le procedure e le mo dalit di acquisizione del consenso, con
un dibattito politico inqui nato dai mezzi e dalle forme di una societ dello spettacolo che
tende ad azzerare lo spazio di una critica radicale (e dalla quale, infatti, Illich si sempre
tenuto lontanissimo). Troppo fragili, frammentate, incerte, le identit da rappresentare.
Esiste evidentemente una relazione diretta, anche se problematica, tra identit e rappre-
sentanza. E la crisi delluna porta con s la crisi dellaltra. Non ci sono pi istanze collet-
tive che si possano ricom prendere in aggregazioni partitiche ampie e coese, e il crescente
frammentarsi delle identit tradizionali ha dato una spinta deci siva alla semplificazione
o, per meglio dire, alla primitivizzazione dellagire politico: solo le idee forti o il carisma
di un leader sembrano riuscire a unire e aggregare, ma spesso facendo leva sugli istinti
pi imme diati e meno razionali, appiattendo tutte le differenze e non la sciando spazio
ad alcun reale dissenso, con gravi rischi di degenerazione dei regimi democratici.
E allora? Se la democrazia ha un senso, se il potere del popolo un valore da difen-
dere, occorre ripensarlo in modo radicale, inedito. Bi sogna, anzitutto, proporre e pra-
ticare nuove forme di gestione della cosa pubblica e creare meccanismi innovativi che
riattivino la parte cipazione dei cittadini, sulla scia di alcune fortunate esperienze di de-
mocrazia diretta che hanno gi dimostrato nei fatti la loro validit. Mi riferisco in parti-
colare al bilancio partecipativo, che in quel continente latino-americano a Illich tanto
caro ha profondamente trasformato la citt brasiliana di Porto Alegre mediante leffet-
tiva partecipazione popolare alla discussione sullimpiego dei fondi comunali e sullal-
27
Giuseppina Ciuffreda, ad esempio, nel necrologio pubblicato sul quotidiano il Manifesto (04/12/2002,
Il rovescio del progresso), ricordando lincontro con Illich ad Assisi nel novembre del 1985, scrive: Un se-
minario con lui era unesperienza totale; mentre Franco La Cecla precisa: Il suo metodo di lavoro pi
simile a una sto dellantica Atene che a una vita accademica: un gruppo di fedeli giovani ricercatori, di adulti
studiosi e di vecchi amici lo ricordano e lo seguono (Libertaria, n. 4, 2001). Ma qui le citazioni potrebbero
moltiplicarsi a dismisura.
Il pensiero di Ivan Illich tra patogenesi della modernit e possibili vie di fuga
781
locazione delle risorse per opere e servizi, in base alle priorit discusse e condivise nelle
assemblee delle varie circoscrizioni. Ma penso anche alle embrionali sperimen tazioni di
democrazia deliberativa, alle giurie dei cittadini, ai Consigli municipali e alle assemblee
di quartiere; pi in generale, a tutte quelle pratiche che rispondono allesigenza di favo-
rire quanto pi possibile lincontro e la discussione e che riescono a valorizzare la plura-
lit delle esperienze e dei punti di vista, partendo dai bisogni immediati, quotidiani, dei
cittadini, ma capaci altres di offrire una prospettiva pi ampia, di incentivare forme di
libera cooperazione, mutualit, reciprocit. Penso, infine, alla moltitudine di forum e di
cantieri sociali che elaborano e veicolano il pensiero di un altro mondo possibile, pi giu-
sto, solidale e armonico; che ricercano nuove vie, nuove pratiche, nuovi linguaggi per ri-
spondere al senso di impotenza, rabbia e sgomento di fronte alle tragiche contraddizio-
ni che segnano lepoca attuale; che si propongono di cambiare in profondit il modo di
leggere il presente e di sovvertire pacificamente le forme di dominio, a partire dalle co-
munit locali per arrivare fino alla proposta di un profondo rias setto delle istituzioni in-
ternazionali (ispirate non pi a un muscolare ma in fondo perdente unilateralismo, ben-
s pi democratiche, policentriche, tra sparenti) e allidea per ora del tutto vuota, e in
quanto tale ancora impensabile di una cittadinanza globale, consapevole che i diritti di
ciascuno non devono e non possono prescindere dai diritti di tutti.
Per unautentica emancipazione umana:
il rifiuto della monocultura occidentale e lelogio dellimperfezione
Non ci sono verit assolute da difendere o, peggio, da esportare con le armi in pugno,
ma solo il bisogno di costruire un nuovo pensiero critico e aperto, vie originali da sco-
prire e per correre insieme camminare domandando, ci suggeriscono gli Zapati sti del
Chiapas
28
, spazi di discussione e condivisione da moltiplicare quanto pi possibile. Se
la strada giusta questa, nella direzione dellautorganizzazione e dellautogestione dei
soggetti sociali, anche la questione dellidentit assume una valenza differente. Contro
la logica della purezza, la retorica dei Noi contrapposti a Loro, contro steccati e barrie-
re, contro ostilit, pregiudizi e chiusure, si dovrebbe alfine comprendere che proprio
nellincontro con laltro, nella relazione, nella condivisione, che si pu trovare la miglio-
re risposta al disor dine globale. Unidentit che si chiude e si arrocca su se stessa inu-
tile e per dente; quel che occorre, oggi pi che mai, invece unidentit che si apre allal-
tro, che riconosce in s lalterit come elemento coessenziale, che respinge le retoriche
dello scontro di civilt e il monologo dellOccidente, e ricerca semmai un universalismo
non discriminante, una polifonia capace di coniugare le diversit pi che di aggrega-
re ci che gi omogeneo e di connettere sensibilit culturali, opzioni politiche e in-
teressi materiali diversi.
28
Con il suo metodo di elaborazione teorica e di azione politica, ispirato appunto al Caminar preguntando,
il movimento zapatista, guidato dal subcomandante Marcos, riuscito a far conoscere le ragioni della propria
lotta a tutto il mondo, a ottenere successi imprevisti e, per alcuni aspetti, a innovare anche il lessico della poli-
tica. Un utile approfondimento di questa peculiare esperienza si ritrova nel volume collettaneo di A. Marucci
(a cura di), Camminare domandando. La rivoluzione zapatista, DeriveApprodi, Roma 1999.
Giorgio Barberis
782
Illich lo aveva compreso con largo anticipo, mescolando arditamente genuine istan-
ze cristiane e proposte radicali, rivoluzionarie, scomode. Cosmopolita per origine e vo-
cazione, poliglotta, straordinariamente curioso e intellettualmente aperto, egli come
ribadito pi volte una figura paradigmatica del pensiero critico novecentesco, al con-
tempo precursore e riferimento ineludibile di tutti coloro che rifiutano la monocultura
occidentale, con la sua vocazione imperialistica e omologante, e che invece ricercano o
praticano percorsi alternativi, fondendo virtuosamente radici e culture locali e coscienza
globale. Demolitore del mito del progresso, egli non pu certo essere ascritto alla tradi-
zione del marxismo novecentesco
29
, e da prete cattolico che mai ha rinnegato la propria
fede e la propria appartenenza allistituzione ecclesiastica, della quale pure ha denun-
ciato con coraggio e fermezza la perversione
30
, ben difficilmente pu essere incluso
nellalveo dellanarchismo classico. Il fatto che Illich, pensatore come detto parados-
sale ed eterodosso, stato tante cose insieme, ma ha sempre avuto come faro dei propri
studi e del proprio agire unidea di autentica emancipazione umana e di costruzione di
una vera autonomia dellindividuo, pur nella condivisione allinterno della comunit e
nellamore universale.
Siamo dunque di fronte ad un autore radicalmente rivoluzionario, la cui lezione in
fondo ci dice questo: bisogna imparare a gestire lincertezza e lassenza di punti di rife-
rimento costanti nel tempo, senza per rinunciare allaspirazione di trasformare in pro-
fondit lattuale assetto sociale, sottraendosi al dominio di un sistema economico che si
autorappresenta come assoluto ed eterno e di un sistema politico quanto mai fragile e de-
legittimato
31
, riuscendo finalmente a coniugare il pieno riconoscimento dellindividuali-
t e della singolarit con il bisogno di inter connessione e di ricostruzione di un saldo le-
game sociale, e ritrovando il gusto e il senso di una libert che sia davvero autonomia e di
relazioni autentiche ispirate ai principi di cooperazione e reciprocit. Questa la speranza
che ci deve muovere, significativamente lunica condizione umana a non uscire subito dal
vaso di Pandora insieme a tutti i mali in esso contenuti, e chiamata anzi a mitigarne i ca-
tastrofici effetti diffusi per ogni dove. La speranza cosa ben diversa dallaspettativa, che
29
Ben pi complesso, invece, il riferimento di Illich al testo marxiano. Qui la distanza sembra ridursi di
molto, con una singolare convergenza, tutta da indagare, su una prospettiva autenticamente edonistica, tesa
ad affrancare luomo dalla coazione originaria dei bisogni primordiali del singolo, sciolti nel benessere gioioso
della comunit, e frutto di un consapevole atto rivoluzionario, il quale certo si configura in modo molto diver-
so nei due autori, ma il cui risultato pu essere plausibilmente accostato.
30
Nel gennaio 1969 il SantUffizio viet ai preti di seguire i corsi del CIDOC. Due mesi dopo, in una lettera
aperta pubblicata prima sul quotidiano messicano Excelsior e poi sul New York Times, Illich, al culmine
di un rapporto gi molto logoro, decide infine di rinunciare unilateralmente a tutte le prerogative, i benefici
e i privilegi conferitigli dalla Chiesa, e di interrompere lesercizio delle funzioni ecclesiastiche, smettendo ad
esempio di dire messa, ma non chiedendo mai la riduzione allo stato laicale e senza mai essere sospeso a divinis
(e dunque rimanendo fino alla morte nellelenco dei sacerdoti incardinati nella diocesi di New York). Pubbli-
camente egli non sar pi identificabile come uomo di chiesa, anche se in privato la sua tensione morale e
religiosa rester sempre fortissima.
31
Al contrario, la discussione politica odierna appiattisce il confronto e marginalizza la critica. Chi governa
o chi si candida a farlo non va oltre allaccettazione dello stato di fatto, della realt considerata per quella che
. Ci si propone semplicemente di gestire i processi meglio di quanto potrebbero fare altri, rassegnandosi di
fronte allingiustizia e al privilegio. E anche chi dissente e lavora per costruire un diverso modello di societ
spesso vinto da un senso di impotenza e sfiducia.
Il pensiero di Ivan Illich tra patogenesi della modernit e possibili vie di fuga
783
vive solo nel futuro: essa non lo nega, ma semplicemente non se ne cura, essendo chia-
mata a vivere il presente nella sua presenza e a non lasciare spazio alle ansie, alla paura,
allattesa di qualcosa che potrebbe non arrivare mai. Luomo non lautoma piegato dal
processo di istituzionalizzazione, dalla cultura omologante e dalla comunicazione vuota e
autoreferenziale, ma un soggetto vitale, creativo, libero nel proprio legame conviviale con
la comunit e perfetto nella propria incompiutezza
32
. Il rimedio a quel senso di impoten-
za che lepoca della complessit costantemente amplifica non affatto quello di tornare
a vivere nelle tenebre come troppi detrattori di Illich e dei suoi epigoni hanno denun-
ciato , bens quello di portare una candela nelle tenebre, di essere una fiammella di
luce e di speranza, di giustizia, amore e libero pensiero. Esattamente questa la convin-
zione del nostro autore, che nella prima serie di conversazioni radiofoniche con David
Cayley emerge come meglio non si potrebbe in alcuni aneddoti relativi alla straordina-
ria figura di Helder Camara, un esempio da emulare, a partire proprio dallincrollabi-
le fiducia nella forza del dialogo per quanto ristretti ne possano apparire gli spazi e
dallapertura verso il prossimo senza distinzione alcuna. Bellissime le parole che Illich
pronuncia a conclusione del suo ragionamento: difficile dire alla gente di oggi, ai gio-
vani, che non dovrebbero dispiacersi di essere una piccola candela. Ormai la gente abi-
tuata a lampadine elettriche e interruttori: la metafora della luce non funziona se non c
pi il buio
33
. Ma ora il buio c di nuovo. E non sappiamo fino a quando dureranno le
nostre lampadine e i nostri interruttori sempre pi difettosi. Meglio dunque non dimen-
ticarsi delle candele e non relegarle in qualche polveroso cassetto.
BIOGRAFIA
Ivan Illich nasce a Vienna il 4 settembre 1926 da Ivan Peter , cattolico di nobili origini
dalmate, e da Elena Regenstreif, ebrea sefardita (il nonno materno era un rabbino). Fin
dallinfanzia fu abituato a viaggiare molto e a parlare correntemente diverse lingue. Non
si potrebbe oggi comprendere il cammino chegli ha compiuto se non si tiene conto del-
la tensione morale che sottende tutto il suo lavoro e della complessit della sua forma-
zione: Illich fu teologo, storico, sociologo, linguista, filosofo, antropologo, economista,
e molto altro ancora ( stato anche definito un profeta fuori tempo). Nel 1941 deve la-
sciare lAustria a causa delle leggi razziali e si reca a Firenze, dove inizia luniversit, stu-
diando discipline scientifiche, psicologia e storia dellarte. Nel 1943 segue a Roma i cor-
si allUniversit gregoriana. Ordinato sacerdote nel 1951, chiede di essere assegnato alla
32
Bisogna prendere atto sostiene Illich dei propri limiti strutturali, rinunciando alle chimere e alle false
promesse di una modernit sclerotizzata, e ritornare invece alla conspiratio originaria, allamore come dono
gratuito di s, alla comunit di sentire nella gioia e nel dolore. Sul concetto di conspiratio, il bacio mediante
il quale i fedeli nelle prime comunit cristiane mescolavano il loro spirito e suggellavano la loro reciproca
comunione, si vedano in particolare I. Illich, Pervertimento del cristianesimo, cit., pp. 93-96 e I fiumi a nord
del futuro, cit., pp. 214-218.
33
D. Cayley, Ivan Illich in Conversation, 1992, tr. it. Conversazioni con Ivan Illich. Un archeologo della mo-
dernit, Eluthera, Milano 1994 (con un saggio introduttivo di Franco La Cecla intitolato Illich, la passione
del distacco), pp. 101-103.
Giorgio Barberis
784
diocesi di New York e viene nominato viceparroco in una comunit portoricana, ove
opera con grande passione, ottenendo i primi riconoscimenti e iniziando a sviluppare
la sua vastissima rete di conoscenze e amicizie. Nel 1956 nominato prorettore allUni-
versit di Portorico. Nel 1959 diviene uno dei pi giovani monsignori del tempo, ma nel
1960 lascia lisola anche per lopposizione a un modello di Chiesa troppo condizionata
dalle spinte imperialistiche statunitensi. Dopo un lungo peregrinare per il continente la-
tino-americano, sceglie Cuernavaca come luogo da cui organizzare la resistenza ai pro-
cessi di omologazione culturale di un Occidente completamente asservito alla logica di
uno sviluppo senza limiti. In Messico fonda il CIDOC, un centro di documentazione dove
vengono raccolti enormi quantit di lavori sulle tradizioni indigene e, nel contempo, ma-
teriali sullo sviluppo delle grandi istituzioni mondiali nel campo delleducazione, salute,
economia, In opere divenute celebri, Illich mostra gli effetti controproducenti e le gravi
contraddizioni del capitalismo maturo e di una societ dei consumi dominata da presun-
ti esperti, ossia tecnocrazie non elettive che azzerano ogni forma di dissenso. Allontana-
tosi dalla Chiesa ufficiale dalla fine degli anni Sessanta, egli non rinuncia mai al proget-
to di recuperare e di dare sostanza al genuino messaggio del cristianesimo individuato
nel dono gratuito di s e nellapertura incondizionata allaltro delineando un modello
di societ conviviale, insieme austera e gioiosa, che diverr punto di riferimento co-
stante per una parte essenziale del pensiero critico novecentesco. Negli ultimi anni di
vita insegna regolarmente a Brema e in Pennsylvania, ma continua a essere presente in
altri centri di ricerca (tra cui Bologna) dove ha innumerevoli amici e seguaci, e dove tie-
ne seminari e conferenze. Sempre pronto allincontro e al dialogo, coerente con i propri
alti ideali, intellettualmente vivacissimo e spiazzante nella sua genialit, Illich si spegne a
Brema il 2 dicembre 2002, non a causa del tumore al volto che gli ha tormentato il nervo
trigemino per quasi ventanni, ma in conseguenza di un arresto cardiaco.
BIBLIOGRAFIA
Cayley, D., Ivan Illich in Conversation, 1992, tr. it., Conversazioni con Ivan Illich. Un archeologo
della modernit, Eluthera, Milano 1994 (con un saggio introduttivo di Franco La Cecla inti-
tolato Illich, la passione del distacco).
Di Giacomo, M., Ivan Illich. Una voce fuori dal coro, Ancora, Milano 2006.
Hoinacki, L., Mitcham, C. (a cura di), The Challenger of Ivan Illich. A Collective Reflection, State
University of New York Press, New York 2002.
Illich, I., The Church, Change and Development, Herder & Herder, New York 1970.
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787
INDICE DEI NOMI INDICE DEI NOMI
Abel L. 671
Abendroth W. 459
Abrams E. 715
Achmatova A.A. 152, 153
Adenauer K. 117, 118, 457
Adler A. 12
Adorno Th.W. 124, 288, 395,
445, 448, 451, 453, 471-
487, 514, 526, 527, 536,
544, 545, 548, 569, 578,
651, 684
Afanasev J. 21, 23
Agamben G. 584
Agostino, santo 661
Aksjutin J. 38
Alasia F. 209, 393, 411
Albert H. 665, 667, 668, 669,
670, 674
Albrecht C. 522, 524
Albrecht W. 119
Alekseeva L.M. 150
Alessandrini L. 372
Alessi G. 386, 387
Alicata M. 429
Allara M. 100
Alleg H. 303
Alquati R. 208, 224, 241, 411
Althusser L. 319, 329-343,
536, 592, 595, 633, 634
Altman R. 574
Altunjan G. 49
Altvater E. 459
Amalrik A. 14, 48, 50, 55,
153
Amendola G. 367
Amodio L. 433
Anders G. 491-498, 500-502,
504-512, 661, 744
Anderson P. 251, 272
Andler C. 667
Andropov J.V. 16, 42, 156
Andrzejewski J. 71
Anin D.S., v. Daniel Ju.M.
Antonioni M. 103
Anzi F. 426
Aragon L. 536
Arendt H. 357, 511, 643-662,
665, 726, 727
Aresu M. 99, 101, 105, 111,
114
Arf G. 429, 431
Aristotele 566, 629, 634, 657,
775
Arnason J.P. 553
Arnold M. 263
Aronowitz S. 531
Aron R. 79, 313, 342, 537
Aronson R. 309
Arrighi G. 133
Artico D. 59, 61
Arak N. 50, 146
Ascoli G.I. 638
Ashton Th.S. 257
Asor Rosa A. 102, 227, 228,
236
Auden W.H. 267, 268
Audier S. 141, 142
Audin M. 303
Aulagnier P. 557
Avenarius R. 718
Avtorchanov A.G. 153
Baader A. 125
Babel I.E. 153, 161
Baccianini M. 179, 553
Bachelard G. 331, 332
Bachmann J. 124
Bachmin V. 51
Badiou A. 335, 342, 592
Baez J. 110, 112
Bahro R. 351, 455-466
Bakunin M. 322, 463, 764
Baldini N. 426
Balducci E. 733-753, 771
Balestrini N. 114
Balibar E. 331, 336, 341, 343
Balicco D. 613, 627
Balzac H. de 295
Bandera S. 33
Banfi A. 424, 433
Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989)
788
Baranelli L. 399, 629, 638
Barbato L. 440
Barberi A. 370
Barberis G. 771, 772
Barcellona P. 552
Barth K. 749, 756, 757
Bartocci E. 365
Bartk B. 436, 437
Basaev . 56
Basaglia F. 109
Basso L. 102, 103, 113, 207,
321, 363-380, 384, 418,
425, 426, 433
Bataille G. 110, 670, 673
Bateson G. 113
Bateson M.C. 113
Battersby C. 280
Battinelli A. 214
Baudrillard J. 546, 570
Bauer O. 389
Bauman Z. 555, 778, 779
Beauvoir S. de 313, 314
Beccalli B. 209
Becher R. 456, 458
Beckett S. 473, 495
Beckmann L. 459
Beck U. 774
Beethoven L. van 524
Beilharz P. 553
Bks C. 30, 42
Bellan A. 471
Bellofiore R. 241, 448
Benedetti C. 617, 618
Beneke U. 466
Bene E. 36, 37
Benhabib S. 654
Benjamin W. 451, 472, 473,
487, 570, 582, 583, 584,
585, 662, 670
Berg A. 473, 487
Bergman I. 103
Bergson H.L. 662, 667, 713
Berija L.P. 5, 7, 30, 32, 33-37,
40, 41
Berkeley G. 634
Berlinguer E. 70, 227, 460
Bermani C. 214, 423, 434,
435, 440
Berman P. 133, 553
Bernanos G. 765
Berneri G. 674
Bernstein E. 319
Bernstein M. 196, 200
Bertani M. 589
Berthoud G. 552
Berti L. 214
Bertilotti T. 278, 279
Betri M.L. 423, 426
Bvort A. 94
Bianchini G. 213, 217
Bibichin V.V. 154
Bichler A. 138, 139
Bie J. 63
Biermann W. 455-457, 459
Bierut B. 61, 62, 63, 67
Bigazzi F. 156
Birnbaum J. 77
Bissolati L. 420
Blanchard D. 171, 193
Blaschek-Hahn H. 719
Bloch E. 365, 456, 473, 487,
511, 527
Bloch-Michel J. 673
Blondel M. 548
Bloomfield L. 631
Blcher H. 662
Blum L. 668
Boarelli M. 414
Boatti G. 102
Bobbio N. 105, 614
Bocchini-Camaiani B. 734
Bckelmann F. 120
Boff L. 746, 752
Bogoraz-Bruchman L.I. 149,
156
Bogoraz L. 56
Bll H. 459, 473
Bologna S. 205, 214, 217,
228, 245, 405
Bologna Sa. 210
Bonhoeffer D. 736, 749
Bonini E. 416
Bonner E. 54, 156, 162, 166
Bookchin M. 183, 545
Bordiga R. 742
Borgia C. 334, 340
Borio G. 207, 223, 229
Borisov V. 49
Borremans V. 772
Borsari A. 479
Bortoli B. 777
Bosi A. 742
Bosio G. 230, 418, 423-441
Bosquet M., v. Gorz A.
Bosteels B. 335
Bottaioli G. 408, 410, 421
Bottoni S. 44
Boulez P. 473
Boumedienne H. 199
Bourdet C. 671, 674
Bourdieu P. 85, 337, 536,
543
Bourgois C. 551
Bov J. 769
Bovenschen S. 520
Brandt W. 20
Braudel F. 707
Bravo A. 100, 101
Bravo G.M. 308
Brecht B. 102, 613, 616, 625
Brera G. 110
Breton A. 110, 536, 548
Breuer S. 667
Brenev L.I. 11-13, 15, 16,
26, 68-70, 133, 148, 155,
165, 167
Bricianer S. 326
Brioschi F. 295
Brodskij I.A. 154
Broz J. 7
Brune, v. Soury P.
Bubennov M.S. 161
Buber M. 749
Bucharin N.I. 760
Buddha 739
Buggeri M.L. 308
Bukovskij V.K. 51, 55, 56,
145, 146, 148, 153, 156
Bulgakov M.A. 153, 161
Bunin I.A. 157
Burdalov E.N. 39
Burgio A. 742
Busino G. 552
Butler J. 284, 342
Buttarelli A. 281
Buttitta I. 102
Buzek J. 74
Indice dei nomi
789
Byrne M. 30, 42
Bystrova I.V. 16
Cacciari M. 227, 228, 238-
240
Cacciari P. 775, 778
Cafagna L. 433
Caffi A. 671, 673
Cafiero C. 426, 427, 432
Calamandrei P. 614
\alidze V. 156, 165
Calvelli-Adorno M. 487
Calvino I. 613-620
Camara H. 783
Camus A. 102, 153, 313, 665-
675
Canjuers P. 193
Cantimori D. 308, 431
Capitini A. 103, 689
Capovin R. 114
Cappitti M. 491
Caprioglio S. 433
Carandini G. 366
Carbone M. 716
Cardan, v. Castoriadis C.
Cardan P., v. Castoriadis C.
Carini L. 378
Carli-Ballola R. 426
Carmichael S. 105, 106
Carnap R. 630
Carnevale S. 102, 386
Caro P. 88
Carpignano P. 214
Carpinelli S. 388
Carroll D. 673
Cartesio R. 634
Cartosio B. 440
Caruso P. 295, 301
Cases C. 456, 635, 636, 638
Cassirer E. 511
Cassola C. 614
Castagnoli C. 388
Castells M. 546
Castoriadis C. 15, 79, 90,
141, 142, 172-176, 178,
179-185, 277, 405, 411,
412, 537, 551-567
Castro F. 83
Catalano F. 426
Cattaneo C. 638
Cavarero A. 278, 280, 281,
286, 289
Caves J. 666
Cayley D. 772, 777, 783
Cazzaniga G. 103
Cecchi D. 691
Cera G. 309
\ernenko K.U. 16
Certeau M. de 81
Cervigni G. 383
Chachaev S. 56
Chaintron J. 668
Challiand G. 552
Chaplin C. 110
Charbonneau B. 757, 758, 769
Charbonnier V. 330
Charlot, v. Chaplin C.
Chaulieu P., v. Castoriadis C.
Cherchi P. 677
Chiaromonte N. 670, 672,
674
Chiodi P. 304, 310, 725
Chirot D. 133
Chisholm R.M. 635
Chlevnjuk O.V. 24
Chodorovic T. 47, 49
Chrucv N.S. 6-13, 15, 30,
38-41, 49, 56, 61, 62, 64,
69, 148, 151, 154, 155,
157, 160, 165, 177, 249,
252, 313, 333, 387, 466,
539
Churchill W. 33
Ciaramelli F. 551-556
Ciccotti E. 431
Cicerone 637, 638
Cigarini L. 276, 281, 291
Ciliga A. 173
Cillario L. 572
Citterich V. 751
Ciuffreda G. 780
Clapham J. 257
Clario J.C. 92
Clastres P. 691-701, 711
Claussen D. 446, 454
Clemente P. 99, 100, 113
Clementi M. 47, 150, 166,
167
Clment O. 165
Clifford J. 110
Coates K. 272
Codino F. 300
Cohn-Bendit D. 79, 86, 551
Cohn-Bendit G. 551
Colletti L. 154, 231, 236, 632,
645
Collotti E. 363, 375, 378-380,
456, 457
Colombo C. 738, 771
Comolli G. 704
Compton Burnett I. 277
Comte 473
Constant 189, 191
Conti E. 426
Conti L. 363
Contorbia F. 364
Cooper D. 112
Corey L. 534
Corradi C. 223
Cortesi L. 638
Corvaln L. 55, 146
Costa A. 426, 427
Costa V. 715
Coudray J.-M., v. Castoria-
dis C.
Cox T. 38
Crainz G. 112, 411
Craveri M. 31-34
Craxi B. 382
Cristo Ges 686
Critchley S. 551
Croce B. 224, 634, 689
Cromwell O. 270
Crosland A. 259, 262
Crossman R.H.S. 259
Crouch C. 97
\ukovskaja L. 156
\ukovskaja N. 55
Cullmann O. 681
Cunico G. 479
Curcio R. 112
Curtis D. 551, 553, 556, 567
Cvetaeva M.A. 153
Czerwiski M. 63
Daladier E. 668
DAlessandro R. 522
Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989)
790
Dalla Costa M. 283
Dall G. 426, 427
Dalos G. 134
Dal Pane L. 426
Dandieu A. 757
Danek J. 716
Daniel A.Ju. 48, 53, 148
Daniel Ju.M. 49, 50, 54, 56,
145-148, 153, 156
Darwin Ch. 339, 648, 657
Davis K. 256
Debord G. 181, 188, 191,
193, 196, 197, 200, 201,
203, 540, 552, 569, 570,
571, 573, 575, 577, 578,
579, 580, 582-586
Dbray R. 132
De Caro G. 205
Decleve H. 716
Defaud N. 95
De Felice R. 432
Defert D. 608
De Gaulle C. 79, 91, 174,
180, 181, 314, 540, 763
De Gregorio M. 249
DeKoven M. 141, 143
De Lauretis T. 287
Del Bo G. 426
Deleuze G. 215, 244, 277,
513, 599, 600, 694, 698-
700, 703-713
De Lillo D. 572, 580
Delius F.C. 455
Della Mea L. 103, 112, 433
Della Peruta F. 426, 427
DellAsta M. 150, 163
Della Volpe G. 208, 235, 384
Delorme-Montini B. 135
Del Re A. 213
De Lutiis G. 102
De Marchi L. 110
Demarco D. 427
De Martino E. 384, 423, 425,
434-441, 677-682, 684-
689
De Palma A. 440
Depretto J.P. 38
De Robertis G. 637
Dry T. 134
De Sanctis F. 224
Descombes V. 552
Devoto G. 637
Di Bella F. 618
Di Donato R. 639
Dieuaide P. 357
Dini V. 227
Dmowski R. 60
Dobb M. 252
Dobrovolskij A.A. 148
Domenach J.-M. 608
Dominijanni I. 280, 286
Donaggio E. 461, 464
Donini A. 429
Dossetti G. 372
Dotti L. 381
Dreyfus-Armand G. 91
Dreyfus H. 604
Droit M. 79
Druinin A.W. 39
Dubcek-Havel A. 133
Duclos J. 300
Duden B. 281
Dudincev V.D. 44, 154
Duhamel G. 760
Dumzil G. 711
Dupuy J.-P. 552
Durand P. 88
Durkheim E. 108, 109, 113,
473
Durruti B. 413
Duso G. 653
Dutschke R. 105, 119-124,
126, 127, 445, 447, 459
Duvakin V.D. 148
Dylan B. 112
Demilev M. 49, 51, 148
Eagleton T. 342
Eastman Ch. A. 692
Eco U. 111
Eguchi K. 552
Eichmann A. 162, 497, 507,
512, 662
Einaudi G. 205, 212, 382,
387, 389, 391, 395, 399,
400
Eisenhower D.D. 33
Eisenstein S. 103
Eisler H. 473
Elcyn B.N. 18-20
Elden S. 666
Eliot Th.S. 263
Elkham F. 309, 314
Ellul J. 755-758, 760-769
Engels F. 101, 173, 211, 275,
276, 278, 297, 300, 308,
309, 318, 320-325, 327,
330, 339, 340, 364, 424,
427, 431, 474, 486, 534,
629, 631, 691
Enriquez E. 552
Ensslin G. 125
Enzensberger H.M. 121
Enzensberger U. 119, 126
Epicuro 339
Erenburg I.G. 161
Erusalimskij A.S. 39
Escobar E. 565
Esenin S.A. 50, 146
Esenin-Volpin A. 50, 146
Esposito R. 223, 778
Establet R. 343
Etkind E.G. 154, 155, 160,
162, 163
Falk G. 138
Fanelli A. 113
Fano E. 433
Fanon F. 112, 115, 121, 302,
304, 305, 306
Farge A. 609
Faure E. 81, 85
Faure F. 670
Febvre L. 365
Fejto F. 36, 43
Feltrinelli G. 102, 107, 113,
212, 213, 217, 415, 417,
427, 429, 431
Feo M. 639
Fergnani F. 295, 299
Ferragni R. 404
Ferrari Bravo L. 213, 217
Ferraris P. 381, 383
Ferrarotti F. 387
Ferrero P. 229, 383
Ferretti M. 13
Ferri F. 427, 431
Indice dei nomi
791
Ferry L. 141
Feuerbach L. 278, 320, 333,
337, 749
Fiameni G. 209, 403, 411
Fichte J.G. 478
Fichter T. 125
Figes O. 152
Filodemo P. , v. Basso L.
Finelli R. 233, 572, 575
Fink E. 715
Finzi S. 726
Fioravanti M. 368
Fischer L. 153
Flaubert G. 295, 313, 534
Flige I. 53, 57
Flores M. 99, 101, 102, 111,
388, 390
Florit E. 751
Foa V. 103, 113, 350, 387,
389, 392, 393, 418
Fofi G. 209, 510
Fogazzaro A. 751
Fontana A. 705
Forni E.M. 485
Forti S. 643, 646-648, 779
Fortini F. 101, 114, 230, 400,
411, 613-627
Foti V. 387
Foucault M. 81, 215, 216,
569, 589-608, 648, 703,
704, 777
Fouque A. 281
Fourier C. 582, 585
Fox R. 268
Franceschini C. 368
Francesco, santo 743-746
Franchi G. A. 275
Franchi P. 385, 386
Frenay H. 671, 761
Freud S. 102, 107, 109, 139,
173, 331, 338, 517-519,
574, 637, 638, 735
Freundlich E. 512
Friedmann G. 666
Fromm E. 517, 519, 744
Fukuyama F. 771
Fumagalli A. 217, 245
Furth H.G. 552
Gabor D. 765
Gadda C.E. 111
Gaitskell H. 259, 262, 269-
271
Galanskov Ju.T. 145, 148,
149
Galante Garrone A. 427
Galasso G. 383
Galilei G. 235
Gallerani R. 295
Gallerano N. 253, 388, 390,
404
Galli G. 223
Gallino L. 114, 387, 520
Gallizio P. 189, 191
Galloni G. 387
Gambino F. 213
Ganapini L. 372
Gandhi M. 736, 744, 746
Gangale G. 366
Garaudy R. 297, 310
Garavini S. 392, 393
Garca Lorca F. 103
Garfitt T. 667
Garsztecki S. 133
Garton Ash T. 133
Gasparini G. 393
Gassert P. 118, 128
Gauchet M. 134
Gaudioso M. 426
Gavi Ph. 300, 310
Gehrke B. 97
Geiger Th. 205
Gentile G. 364
George R.T. de 525
Georgi F. 91
Geronimo 692
Gerratana V. 632
Ges Cristo 734, 736, 757
Ghezzi E. 584
Ghidetti E. 638
Giacch P. 114
Giardini F. 281
Gide A. 295, 326
Gierek E. 62, 69, 70-73
Gilly A. 140
Gilson E. 662
Ginsberg A. 112
Ginsborg P. 104, 112
Ginzburg A.I. 55, 145, 147-
149, 152, 155
Ginzburg C. 638
Ginzburg N. 620
Ginzburg-Zolkovskaja E.S.
153
Giordani P. 638
Giorgi C. 363, 365, 370, 372,
373, 380
Giovanni, apostolo 735
Giovannini E. 384
Glotz P. 351
Glucksmann A. 342
Gnocchi Viani O. 426
Gobetti P. 364, 378
Gobille B. 80
Godani P. 698, 703
Godard J.-L. 110
Gdde Ch. 471, 478
Goethe J.W. 625
Goffmann E. 539
Golding W. 267
Goldman L. 262
Goldmann L. 475
Gollain F. 347
Gollanz V. 261
Gollwitzer H. 459
Golomtok I.N. 148
Goloviznin M.V. 158, 159
Gomuka W. 13, 44, 45, 61,
64, 65, 67-69
Gondicas M. 565
Gonnella G. 387
Gontarbert S. 326
Gorba/v M.S. 11, 12, 16-19,
26, 50, 54
Gorbanevskaja N. 49, 55,
149, 152
Gordon P. 553
Gori F. 214
Gorodeckij E.M. 39
Gorz A. 141, 310, 347-359,
775
Gottraux P. 551
Gourgouris S. 553
Gozzini M. 751, 752
Gramsci A. 108, 113, 136,
208, 224, 225, 331, 341,
364, 387, 389, 395, 408,
Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989)
792
411, 433, 435, 458, 460,
539, 632
Grass G. 110, 459
Grassi L. 746, 751, 752
Graziosi A. 6, 7, 11, 18
Greene G. 459
Gregorio Magno 777
Gregorio VII 777
Grekov B.G. 39
Grenier J. 665-667, 669, 670,
674
Grigorenko P.G. 51, 153,
156
Grigorevi/ I. 162
Grillo E. 205, 212
Grossman V.S. 153, 155, 156,
159-162
Grosz G. 491-493
Grotowski J. 114
Gruel L. 141
Guareschi G. 104
Guastini R. 374
Guattari F. 277, 513, 694,
698-700, 703-713
Gubbini C. 387
Guccini F. 115
Guerra A. 4, 5, 10, 11, 16,
17, 20
Guerra E. 278
Guerrieri S. 368
Guevara E. 83, 108, 109, 112,
121, 124, 432
Guibal F. 552
Guiducci R. 405, 409, 433
Guillaume Ph. 182
Guillebaud J.-C. 755
Gumilv L.N. 153
Guterman N. 666
Gysi G. 466
Habermas J. 123, 124, 357,
446, 447, 479, 514, 539,
654
Hager K. 466
Hall S. 136, 251, 260, 262, 263
Hammond B. 257, 258
Hammond J.L. 257, 258
Hamon H. 81, 140
Hardt M. 245, 246, 546
Harich W. 455, 456
Harris M. 700
Harrison H.M. 37
Hartog F. 82
Harvey D. 531
Hastings-King S. 552, 553
Hatzfeld N. 90, 97
Haug W.F. 459
Havel V. 133
Havemann R. 455
Hayek F.A. 257
Hegeds A. 134, 463
Hegel G.W.F. 187, 239, 276,
278, 280, 290, 297, 309,
478, 479, 514, 518, 529,
573, 590, 595, 596, 644,
645, 651, 660, 666, 768
Heidegger M. 239, 306, 465,
477, 511, 513, 514, 528,
529, 538, 545, 715, 718,
721, 722, 725, 727-730,
745, 760
Heise W. 466
Heller A. 134, 142, 459, 553
Heller (Geller) M.Ja. 153, 159
Hendrix J. 112
Hermann F. 138
Hernndez Nova L. 139
Herriot E. 668
Herzberg G. 457-460, 465
Heym S. 37
Hill C. 252
Hilton R. 252
Hitler A. 537, 665, 667
Hobbes T. 239
Hobsbawn E. 251, 252
Ho Chi Minh 83
Hodenberg C. von 127, 128
Hoggart R. 136, 250, 262
Holbach P.H.T. d 629, 638
Hlderlin F. 465
Holmig A. 126
Honecker E. 455
Honneth A. 552
Horacek M. 459
Horkheimer M. 288, 289,
446, 473, 480-482, 487,
515, 517, 526, 529, 544,
578, 651
Horn G.-R. 97, 136
Horst G., v. Gorz A.
Hoss W. 459
Hsing Chen K. 251, 262
Hume D. 635
Humphrey H. 122
Husserl E. 313, 511, 514,
528, 529, 715, 718, 730
Husserl H. 487, 488
Hyppolite J. 310, 313
Illich I. 352, 353, 357, 760,
772-780, 782-784
Illich I.P. 783
Illuminati A. 342
Ingermann B. 466
Invitto G. 309
Iofe V. 56, 57
Ioly Piussi A. 635
Irigaray L. 281, 283-285, 289
Isou I. 586
Ivan IV 41
Izdebny Z. 63, 65
Jaerisch U. 484
Jakir P. 49
Jakobson A. 49
Jakovin G.J. 39
Jakovlev A. 19
Jakunin G.P. 51, 152
James S. 283
Jancs M. 134
Janka W. 456
Jankelevi/ E.V. 165
Janover L. 323, 325, 326
Jansen P.-E. 126, 514
Jarausch K. 118
Jaroszewicz P. 70
Jarreau P. 77
Jaruzelski W. 68, 74
Jaspers K. 309, 661, 707
Jastrzab . 64
Jeanson F. 295, 673
Jefferson Th. 653
Joffrin L. 78
Jonas H. 552, 739, 778
Jones M. 255
Jong J. de 193
Jorn A. 191-194
Indice dei nomi
793
Joyce J. 103
Jullien F. 277
Jnger E. 582
Jurczyk M. 72
Kafka F. 102, 153, 495, 496,
511, 512
Kaganovskij G.G. 149
Kallistratova S.V. 51, 56
Kallscheuer O. 319
Kaminskaja D.I. 55, 148
Kammerer P. 455, 461, 464
Kan A. 38
Kant I. 478, 590, 591, 601,
608, 634, 721, 742
Kaplan K. 36
Kaplun I. 51
Karol K.S. 11
Kautsky K. 670
Kennedy J.F. 580
Kennedy R. 111
Kerblay B. 7
Kerbs E. 426
Kergoat D. 89
Kerouac J. 112
Keynes J.M. 213, 239
Khayati M. 200
Kierkegaard S. 238, 309, 326,
667, 756
Kierman V. 252
King M.L. 111, 112
Kirilenko A.P. 156
Kirov S.M. 41
Kizny T. 32
Klimke M. 117, 123, 125,
126, 128, 133
Kluge A. 451
Knight A. 30
Kocioek S. 69
Koedt A. 277, 282
Koestler A. 153, 673
Kojve A. 299, 593, 771
Koakowski L. 67, 74, 411
Kollontaj A. 276, 533
Konrd G. 134
Kopelev L. 54, 156
Korjagin A. 51
Korsch K. 323, 407, 418, 419,
475, 630
Koselleck R. 80
Kotnyi A. 191, 193, 197
Kouvlakis E. 330
Kovalv S.A. 49, 156
Kovel J. 545
Kozk J.B. 730
Koevnikov V.M. 160
Kozlov V.A. 31, 33, 34, 155
Kracauer S. 473, 481, 487
Krahl H.-J. 121, 445-453,
471
Kramer M. 35, 36
Krasin V. 49
Kraus 473
Kraushaar W. 118, 119, 125,
126, 128
Krav/enko V. 4
Kripke S. 699
Krohn C.-D. 126
Kruglov S.N. 32
Krzaklewski M. 74
Kuhn T. 111
Kuliscioff A. 426
Kunzelmann D. 119
Kuro J. 66-68, 70, 71, 74
Kurras K.-H. 117
Kuznecov E. 55, 149, 153
Kwaniewski A. 74
Labb D. 94
Laborde, v. Lyotard J.-F.
Labriola A. 224, 364, 426,
435
Lacan J. 277, 331, 337, 343
La Cavera D. 386
La Cecla F. 780, 783
Laclau E. 342
Lafargue P. 540
Laing R.D. 112, 707
Lambropoulos V. 553
Lamedica E. 643
Land R. 351
Landucci S. 629
Lang F. 473
Langhans R. 119
Lapassade G. 182
La Pira G. 751
Lakova V.I. 148, 155
Lassalle F. 431
Lasswell H.D. 767
Latouche S. 760, 773, 779
Lattes F., v. Fortini F.
Lauzi G. 433
Laval P. 668
Lavut A. 49
Lazarev L.I. 160
Lazarsfeld P.F. 473
Lazzari C. 420
Leavis F.R. 263, 264
Lecourt D. 77, 341
Lefebvre H. 197, 198, 531-
549, 666
Lefort C. 79, 90, 141, 172-
174, 176, 180, 181, 301,
405, 407, 413, 422, 537,
551-553, 556, 560, 566
Leghisa G. 251
Le Goff J.-P. 77, 78, 82, 134,
135
Lehnert M. 466
Lehrer K. 635
Lembke G. 466
Lenin V.I. 4, 8, 14, 22, 23, 26,
36, 41, 104, 108, 153, 157,
162, 164, 173, 208, 231,
232, 234, 235, 237, 239,
312, 317, 325, 331-333,
335, 339, 389, 398, 404,
460, 461, 533, 534, 596,
645, 652, 653, 670
Leonardi S. 395
Leonetti A. 432
Leonetti F. 626
Leopardi G. 330, 635, 636,
638
Lepschy G.C. 638
Lequier J. 666
Lessing D. 255
Lvinas E. 749
Levinton S. 161
Lvi-Strauss C. 109, 634, 678,
694, 695, 701
Levitin-Krasnov A. 49, 51
Lvi-Valensi J. 668, 671, 672
Leys S. (Ryckmans P.) 178,
180
Libertini L. 103, 383, 385,
390, 392, 398, 433
Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989)
794
Li Causi G. 386
Liebknecht K. 389, 514
Linden M. van der 448
Linhart R. 140
Linhart V. 140
Lipovetsky G. 132, 133
Lipparini L. 427
Lispector C. 277
Listri P.F. 733, 753
Litvinov P. 56, 149, 156
Lizot J. 701
Locke J. 656
Loewenstein K.E. 38
Lomax B. 36, 43
Lombardi R. 102
Lombardo Radice L. 459
Lnnendonker S. 125, 128
Lonzi C. 276, 278, 279, 281-
284, 287, 290
Lwith K. 644
Lubasz H. 514
Lucarelli A. 426
Luciani S. 378, 379
Luhmann N. 472
Lukcs G. 121, 134, 238,
297, 308, 331, 374, 456,
463, 473, 475, 487, 527,
538, 540
Luperini R. 229
Lussu E. 103
Lustiger A. 161
Lutero M. 103
Luxemburg R. 103, 124, 173,
175, 289, 321, 326, 373,
374, 376, 379, 389, 432,
434, 514
Luzi M. 613
Lyotard J.-F. 172, 177, 178,
182, 551, 552
Lysenko T.D. 12
Macaluso E. 385, 386
Macchioro A. 230
MacDonald D. 670
Mach E. 239
Macherey P. 330, 331, 341,
343
Machiavelli N. 239, 244, 334,
336, 338-340
Madonia F. 341
Magee B. 522
Maglie M.G. 746
Matrejean R. 674
Majakovskij V.V. 145
Makowski E. 64, 65
Malacki V. 326
Malagugini A. 102
Malaquais J. 326
Malcev J.V. 49, 153, 154,
166
Malcolm x 106
Malenkov G.M. 8, 40
Malinovsky R.V. 173
Malinowski B. 101
Malucchi M. 742
Manacorda G. 426
Mancini S. 382, 392, 395
Mandel E. 459
Mandeltam N.Ja. 153, 158,
159
Mangano A. 230
Mann T. 255
Mann Th. 473
Mantoux P. 257, 258
Mantovani M. 426
Maometto 564
Mao Tse-Tung 7, 10, 11, 83,
332, 614, 625
Marazzi C. 214, 245
Marc A. 757
Marcel G. 662
Marcellin R. 95
Marcenaro G. 365
Marcos (subcomandante) 781
Marcucci L. 167
Marcuse H. 110, 120, 121,
126, 312, 357, 448, 459,
463, 513-529, 704
Marelli G. 187
Mar/enko A.T. 55, 56, 148,
153, 156
Marglin S. 351
Marin L. 670, 671, 673, 674
Marker C. 132
Markish (Marki) S.P. 161,
162
Markov G.M. 160
Marramao G. 364
Mart J. 626
Martini L. 733, 734, 752, 753
Martin J.V. 195
Martinoli G. 387
Marucci A. 781
Marwick A. 80
Marx K. 4, 9, 23, 31, 42, 101,
104, 109, 110, 139, 173,
175, 181-184, 187, 195,
197, 205, 206, 208, 209,
212-214, 223, 224, 229,
231, 233-235, 237, 239,
242, 244, 246, 249, 253,
254, 256, 276, 297, 300,
304, 306-312, 317-327,
330, 331, 333, 336-340,
343, 349, 351-354, 356,
358, 359, 364-367, 373-
377, 381, 394, 395, 398,
399, 415, 421, 424, 427,
431, 445, 448, 451, 452,
457, 460, 461, 463-465,
471, 472, 474, 483, 484,
486, 517, 519, 534-537,
540, 542, 544, 546, 554,
575, 590, 592, 594-596,
629, 631, 635, 643-646,
655-661, 666, 669, 670,
677, 691, 716, 719, 720,
735, 736, 740, 741, 744,
751, 755, 756, 761-764,
768, 769
Masaryk J. 36, 37
Masaryk T.G. 37
Masi E. 614
Masini P.C. 426, 427, 432, 433
Matthews J.P.C. 44
Mattick P. 326
Maulnier T. 669
Maurizi M. 513
Maurras C. 669
Mausbach W. 121, 125
Mazzali G. 426
Mazzolari P. 440
McLuhan M. 546
Mead M. 112
Medvedev R.A. 38, 151, 165
Medvedev .A. 38, 151, 156
Meinhof U. 125
Indice dei nomi
795
Meister Eckhart 749
Melandri L. 279
Melanotte G. 191
Melegari D. 246
Mele S. 479
Melgunov S. 153
Melville H. 603
Men A. 51, 55
Mends-France P. 91
Mends M. 756
Merker N. 309
Merleau-Ponty M. 141, 296,
301, 313, 348, 536-538,
556
Merli S. 226, 381-383, 385,
387, 392, 418
Merrill M. 253, 254, 268
Messori M. 214
Meucci G. 751
Mezzadra S. 223
Michels R. 485
Michnik A. 68
Miegge M. 394, 396
Milana F. 207, 226
Milani L. 105, 106, 734, 751
Miliband R. 254, 255, 268
Miller A. 459
Mitchell J. 276
Mitterrand F. 84, 608
Moczar M. 68
Modzelewski K. 66-68
Mollet G. 177, 303
Molostvov M. 56
Molotov V.M. 40
Moltmann J. 749
Momigliano A. 751
Momigliano F. 387, 395
Monatte P. 674
Mondolfo R. 364
Mondolfo U.G. 364, 365
Mongini L. 431
Monina G. 363, 364, 368-
370, 372, 380
Monsivis C. 134, 139
Montagnani L. 158
Montag W. 342
Montaigne M. 749
Montalbano G. 386
Montaldi D. 206, 208, 209,
212, 230, 403-421, 433
Montaldi G. 420
Montal, v. Lefort C.)
Montano A. 309
Moore B. 526
Morandi R. 225, 382-387,
389, 391, 392, 397, 400,
418, 429
Morante E. 277, 619
Moravia A. 619, 620
Mordacci R. 777
Morelli Timpanaro M.A. 639
Morhange P. 666
Morin E. 79, 90, 182, 551-
553
Morley D. 251
Moro A. 115, 387
Morris W. 253, 255, 256, 259,
263, 264
Mos 564
Moth D. 176, 185, 406, 407,
410, 411, 413, 419, 552
Mottura G. 209
Mounier E. 413, 757, 758,
769
Mro>ek S. 68
Mumford L. 700
Muraro G. 393
Muraro L. 277, 279, 284,
286-289
Musatti C. 102, 614
Muscetta C. 388
Musini L. 426
Nagel H. 120
Nagy I. 35-37, 45
Nairn T. 251, 271, 272
Narducci E. 638
Narr W.D. 459
Narutowicz G. 60
Nash J. 193
Nava G. 616
Navarro F. 342
Naville P. 296
Negri A. (detto Toni) 102,
205, 207, 213-215, 223,
227-229, 241-246, 283,
285 342, 350, 382, 426,
546, 704
Negt O. 363, 375, 380, 446,
451
Nekrich (Nekri/) A.M. 153
Nellen K. 726
Nemec J. 726
Nencini E. 616
Nenni P. 364, 384, 386, 388,
389, 391, 400, 432, 441,
624
Neruda P. 103
Neumann I. 529
Nevermann K. 123
Nietzsche F. 229, 238-240,
243, 465, 474, 476, 477,
496, 538, 539, 545, 548,
589, 590, 596, 600, 666-
670, 672, 713, 735, 751
Niewiadomski E. 60
Nigra C. 111
Nirumand B. 123
Nitsch W. 120
Nizan P. 313, 536
Nolli C. 420
Nora P. 78, 81
Novello S. 665, 667
Novikov A.V. 38
Novotny K. 719
Ochab E. 61, 63, 64, 68
OConnor J. 545
Oeding K. 139
Offe C. 142, 143
Ogurcov I. 150
Ohnesorg B. 117, 123
Olivetti A. 224, 225
Olsfieva M. 157
Omero 701
Omodeo A. 689
Onorato P. 734, 752, 753
Orcel J. 310
Orlando F. 637
Orlova R.D. 156
Orlov Ju.F. 149, 152
Ortega Jurez J. 134, 139,
140
Ortoleva P. 101
Orwell G. 153, 267
Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989)
796
Ory P. 80, 666
Ottone P. 618, 620
Otto R. 367
Overman Ch.F. 35
Oz A. 589
Pacella G. 638
Paci M. 209
Paczkowski A. 42
Pagnini A. 637, 638
Pahlewi R. 123
Paine T. 257
Pala G. 235
Pallante M. 773
Panaccione A. 29, 32, 38, 43
Panikkar R. 749
Pankratova A.M. 38-40, 42
Pannekoek A. 326
Panzieri R. 205, 207, 211,
212, 223-226, 229-235,
237, 238, 308, 381-400,
404, 410, 418, 429, 433,
441, 624
Papi F. 433
Papparo F.C. 563
Papuzzi A. 381
Parinetto L. 288
Parnet C. 704, 711
Parson T. 256
Parvus A.L. 20
Pascal B. 337
Pascal P. 666, 671, 674
Pasolini P.P. 100, 110, 111,
416, 613-621, 626, 627
Pasquali G. 637
Passerini L. 101, 109, 110,
131, 132
Passerone G. 712
Pasternak B.L. 50, 153, 154,
158, 160
Pato/ka J. 715-731
Pauer J. 133
Paulhan J. 667
Pavard B. 77
Pavese C. 102, 689
Pcheux M. 341
Pechriggl A. 553
Pelikan J. 459
Pellegrini I. 437, 440
Pelli M. 425, 431
Peronnet P. 357
Perticari P. 773, 775
Pestelli C. 638
Ptain H.P. 760
Petersen J. 367
Petyx V. 295
Pezzella M. 569
Pezzi F. 426
Picasso P. 492
Pico della Mirandola 632
Pietro Il Grande 41
Pietrzak S. 63
Pigenet M. 94
Pilnjak B.A. 153
Pimenov R. 56
Pinot-Gallizio G. 583
Pirelli G. 426, 429
Pisacane C. 365, 626
Pisier . 553
Pizzorno A. 97, 387, 414
Platone 566, 631, 634, 646,
654
Platonov A.P. 153, 161
Pleshakov C. 45
Plju/ L. 49, 51, 156
Plju/ itnikmova T. 156
Plogstedt S. 127
Plotino 667, 671
Podgornyi N.V. 12
Podjapolskij G. 49
Podrabinek A. 51
Poggio P.P. 3, 154, 418, 455
Pogliano C. 366
Pokrovskij M.N. 39
Polanyi K. 358
Politi A. 372
Politzer G. 296, 666
Pollock F. 387, 395
Pol Pot 107
Poltier H. 553
Pomerancev V. 49, 50
Pomeranc G.S. 153
Pompeo Faracovi O. 311
Pomponazzi P. 629
Ponchiroli D. 383
Ponomarv B.N. 156
Pons S. 18
Ponzani M. 372
Popper K. 475
Porhel V. 96
Portinaro P.P. 656, 658
Poulantzas N. 341
Pozzi F. 207, 223, 229
Pozzi P. 223
Presley E. 112
Preve C. 223, 230, 342
Proix R. 674
Proll Th. 125
Prost A. 81
Proudhon P.-J. 764
Proust M. 625
Puccini D. 102
Puech H.Ch. 681
Pugno E. 393
Putino A. 287, 288
Putin V.V. 20, 21
Quiligotti J. 411
Quine W.V.O. 630
Rabinow P. 604
Raffetto A. 159
Ragionieri E. 426
Ragona G. 317
Raimondi A. 426
Raimondi F. 329
Rainer J.M. 30, 42
Rakosi M. 30, 37
Rancire J. 341, 343
Rapetti S. 145, 153, 156-158,
164
Rapoport L. 162
Raynaud P. 553, 565
Rea C. 556
Reagan R. 138
Reed J. 103
Regenstreif E. 783
Reich W. 103, 173, 448, 519,
524, 704, 705
Reinicke H. 445
Reitter K. 553
Rella F. 493
Renaut A. 141, 552
Restaino A. 280, 286
Restivo F. 386
Revel J. 82
Indice dei nomi
797
Revelli M. 100-102, 245, 772,
774, 779
Ricardo D. 461, 592-595
Riccio C. 153
Rich A. 281
Ricur P. 342
Rieser V. 102, 104-106, 209
Rigamonti F. 427
Rigaux F. 378
Rigola R. 426
Rilke R.M. 317, 458, 493,
506
Rioux J.-P. 82
Rizzi A. 749, 753
Rizzi B. 175
Rizzo D. 385, 386
Rjazanov B. 318
Robespierre M. 653
Rodot S. 370
Roggero F. 207
Roggero G. 223, 229
Roginskij A.B. 57, 151
Romano P. 176, 407, 411,
412
Ronkin V. 56
Ronzenblatt P. 95
Rossanda R. 350, 459, 617,
621, 622
Rosselli C. 364
Rosselli N. 424, 434
Ross K. 132
Rostagno M. 105, 106, 110,
113
Roth K.H. 448
Rotman P. 81, 140
Rotond A. 637
Rotschild J. 37
Rougement D. de 757
Rousseau J.-J. 768
Rousso H. 86
Rovatti P.A. 295, 342, 382,
451
Roversi R. 102, 621, 626
Rubel M. 317-327, 670
Rdiger H. 674
Ruffolo G. 472
Ruge A. 471
Russell B. 103, 377, 378
Russo R. 495
Rytmann H. 343
Rykov N.I. 15
Sacchetto D. 213
Sacharov A.D. 8, 50, 54, 146,
149, 151, 156, 162, 165-
168
Sado M.Ju. 150
Saint-Exupry A. de 153
Saint-Just L.A. 200
Saitta A. 427
alamov V.T. 147, 153, 156-
160
Salerno M. 432
Salinari C. 429
Salinger J.D. 110
Salvati M. 363, 368, 369, 381
amil 41
Samson J.-P. 674
Samuel R. 261, 262
S/apov A.P. 435
Saragat G. 388
/aranskij A. (Natan) 51
Saraskina L.I. 163
Sarel B. 405
Sarkozy N. 77, 133, 140
Sarnov B.M. 160, 162
Sartakov S.V. 160
Sartre J.-P. 44, 102, 141, 143,
295-304, 306-314, 330,
331, 347-349, 359, 377,
459, 475, 537, 538, 542,
548, 608, 673, 725, 741,
749
Saussure F. de 634
Saville J. 253-255, 263, 272
Sbarberi F. 102
Sbardella R. 238
Scattigno A. 278, 279
Schaarschmidt T. 35
Scharloth J. 125, 126, 133
Scheler M. 669, 670
Schildt A. 125, 128
Schlegel K.W.F. von 584
Schlick M. 635
Schmidt A. 446, 644, 656,
658
Schmidt C. 322
Schmitt C. 239, 646
Schnapp A. 551
Schneider R. 459
Scholem G. 473
Schnberg A. 473, 487
Schopenhauer A. 238
Schrder G. 459
Schroeder W.R. 551
Schubert F. 524
Schuller M. 520
Schulz C.M. 110
Sclavi G. 102
Scotti F. 773
Secchia P. 103
Sguy G. 91
Seidman M. 89
Seifert K. 457-460
Sensini P. 153, 167
entalinskij V.A. 154
Serafini S. 213
Serebrov F. 51
Sereni V. 613
Serge A. 141
Serge V.L. 173, 674
Serres M. 596
Seubold G. 728
Seymour-Smith Ch. 692
Shachtman M. 175
Shaefer J. 91
Sherover E. 529
Siegfried D. 125, 127, 128
Silone I. 624
Simon J.P. 553
Simmel G. 473, 538
Simonov K.M. 44
Sinatti P. 149, 158
Sinibaldi M. 114
Sinjavskij A.D. 49, 50, 54,
145-148, 156
/ipa/v S.P. 160
Sirinelli J.-F. 80, 666
Sirotinskaja I.P. 156-158
Sisifo 672
Smieckus A. 70
Smith A. 593
Socrate 609
Soehnlein H. 125
Sofri A. 351
Sohn-Rethel A. 471, 474
olochov M.A. 161
Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989)
798
Solenicyn A.I. 20, 31, 51, 54,
149, 152-154, 156- 158,
160, 163-166, 168
Sorel G. 224, 326
Sorgoni A. 425, 426
Soury P. 177, 178, 182
Soutcott J. 258
Souvarine B. 318
Spartaco 34
Spengler T. 514
Spinoza B. 244, 245, 298,
334, 339, 342, 635, 705,
713
Spriano P. 390
Springer A. 447
Sprinker M. 342
Srubar I. 726, 729
Stalin I.V. 3-8, 10, 11, 15, 17,
21, 23, 25, 26, 29-33, 35,
36, 38-42, 49, 51, 148,
150, 151, 153, 157-162,
164, 225, 252, 267, 268,
298, 325, 333, 383, 533,
537, 539, 578, 668
Steiner A. 427
Stein G. 277
Steinweis A. 118
Stern C. 459, 493, 511
Stern G. (Anders G.) 511
Stern W. 511
Steuermann E. 487
Stimilli D. 716
Stok F. 637
Stone R. 412
Strachey J. 534
Strada V. 9, 21, 165
Strauss F.-J. 118
Sturzo L. 367
Sullo P. 775
Superfin G.G. 156
Suslov M.A. 12, 39, 156, 160
Szab M. 133
Szelnyi I. 134
Tabanelli A. 427
Tabaton F. 95
Taguieff P.-A. 778, 779
Talbo J.-P. 93
Tallard M. 95
Tambroni F. 225
Taormina F. 386
Tardivel E. 730
Tarrow S. 668
Tartarini A. 179
Tasca A. 432
Tawney R. 264
Teilhard de Chardin P. 749
Terc A. 50
Ternovskij L. 51
Terray E. 342
Terzaghi N. 637
Terz A., v. Sinjavskij A.D.
Testa I. 483
Teufel F. 119
Theodorakis M. 459
Thomas K. 553
Thompson E.P. 136, 249-
251, 253-258, 260-263,
265-273, 545
Thorez M. 668
Thorn J.-P. 93
Tillich P.J. 473, 487
Timofeev L.M. 153
Timpanaro Cardini M. 637,
638
Timpanaro S. 629-639
Timpanaro S. (senior) 637
Tismaneanu V. 133
Tito (vedi Broz J.) 7
Todd O. 665, 667-669, 673
Todorov T. 749
Toesca P.M. 773
Togliatti P. 224, 225, 388,
429, 431, 461
Tomassini R. 223
Tomba M. 230, 445, 448
Tommaso dAquino, san-
to 631, 634, 775
Tort M. 342
Toscani F. 733, 746, 752, 753
Tosel A. 330
Touraine A. 79, 279, 356
Trasatti F. 773
Traverso E. 578, 582
Trentin B. 350
Trevisani G. 426
Trockij L.D. 4, 124, 159, 173,
534
Trombadori A. 614
Tronti M. 102, 205, 211, 214,
223, 226-230, 235-241,
382, 397
Trotta G. 207, 226
Troude-Chastenet P. 755,
756, 758-760, 764, 767,
768
Tulli L. 433
Turchetto M. 223, 229, 342,
394
Tur/in V.F. 151, 156, 165
Turoldo D.M. 751
Tvardovskij A.T. 158, 160,
161, 163
Tverdochlebov A.N. 165
Ugo di San Vittore 776
Ulbricht W. 9, 35-37, 456, 458
Urbinati N. 553
Urribarri F. 553
Vagin E.A. 150
Vajda M. 134, 553
Vajl B. 56
Valry P. 563
Valori D. 384
Vaneigem R. 191, 192, 197,
200-202
Van N. 326
Vannucci G. 751
Vasoli C. 104
Vattimo G. 745
Veca S. 742
Vga L.M. 176, 180, 182
Velikanova E.M. 147
Velikanova T. 49
Veneziani M. 133
Venturi F. 427, 435
Vercellone C. 357
Verhaar H.L. 156
Vernadskij V.I. 12
Vernant J.-P. 701
Vernay P. 565
Verstraeten P. 301
Vesper B. 123
Vester M. 125, 126
Veyne P. 609
Viale V. 100, 105, 114
Indice dei nomi
799
Viansson-Pont P. 79
Victor P. 300
Vidal-Naquet P. 303, 551,
553, 565, 608
Vigier J.-P. 310
Vigna X. 87, 92
Vigreux J. 92
Vindt G. 89
Viollette M. 668
Virgilio 637
Virno P. 546
Vittorini E. 225, 624, 626
Vivier G. 407
Vojnovi/ V.N. 162
Voloanovi/ A. 51
Voloin M.A. 153
Volpi F. 725
Voltaire 295, 314, 629
Wahl F. 592, 609
Wahl J. 667
Wajda A. 68
Waldenfels B. 553
Wa esa L. 72
Wallerstein I. 133
Walser M. 459
Weber M. 234, 239, 357, 473,
480, 590
Weil S. 102, 413, 432, 671,
749
Wertheim S. 528
Werth N. 30, 31
Whitebook J. 553
Wiesel E. 734
Wiesengrund O.A. 487
Williams R. 136, 250, 251,
260-265, 268, 271-273
Willis E. 141
Wilson H. 271, 272
Wingfield N.M. 37
Wintringham T. 268
Witaszewski K. 64
Wittgenstein L. 239
Woldenberg J. 134
Wolf C. 277
Wolf M. 459
Wolff R.P. 526
Woolf V. 277
Wright Mills C. 120, 532,
537
Wright S. 223
Wyszyski S. 61
Yamada K. 138
Young-Bruhel E. 662
Young R. 132, 137, 139, 143
Young S. 777
Zamboni C. 287
Zamjatin E.I. 153
Zancarini-Fournel M. 81, 91,
92
Zangheri R. 426
Zannino F. 102, 363, 375, 380
Zanzani M. 214
Zaslavsky V. 18
Zavattini C. 102, 625
Zdanov A. 5, 252, 269
Zelnik R.E. 39
Zinovev G.E. 404
Zirardini C. 426
iek S. 335, 342
Zola . 295, 638
Zolo D. 751, 752
Zolotuchin B. 56
Zorrilla S. 553
Zourabichvili F. 711

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