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LALTRONOVECENTO
COMUNISMO ERETICO E PENSIERO CRITICO
Volume II
Piano dellOpera
LALTRONOVECENTO
COMUNISMO ERETICO E PENSIERO CRITICO
Volume I
LET DEL COMUNISMO SOVIETICO
(EUROPA: 1900-1945)
Volume II
IL SISTEMA E I MOVIMENTI
(EUROPA: 1945-1989)
Volume III
CAPITALISMO E RIVOLUZIONE NELLE AMERICHE
(1900-1989)
Volume IV
ANTICOLONIALISMO E COMUNISMO IN AFRICA E ASIA
(1900-1989)
Volume V
COMUNISMO E PENSIERO CRITICO NEL XXI SECOLO
IL SISTEMA E I MOVIMENTI
(EUROPA: 1945-1989)
A cura di
Pier Paolo Poggio
Testi di
Stanley Aronowitz, Davide Artico, Daniel Blanchard,
Giorgio Barberis, Daniele Balicco, Alessandro Bellan, Cesare Bermani,
Mauro Bertani, Sergio Bologna, Massimo Cappitti, Delfo Cecchi,
Placido Cherchi, Fabio Ciaramelli, Pietro Clemente, Marco Clementi,
Cristina Corradi, Vincenzo Costa, Michele De Gregorio, Pino Ferraris,
Gianfranco Fiameni, Gian Andrea Franchi, Chiara Giorgi,
Paolo Godani, Franoise Gollain, Peter Kammerer, Martin Klimke,
Eugenia Lamedica, Sergio Landucci, Leonardo Lippolis,
Gianfranco Marelli, Marco Maurizi, Giancarlo Monina,
Samantha Novello, Andrea Panaccione, Luisa Passerini,
Vincenza Petyx, Mario Pezzella, Pier Paolo Poggio, Gianfranco Ragona,
Fabio Raimondi, Sergio Rapetti, Massimiliano Tomba, Franco Toscani,
Patrick Troude-Chastenet, Xavier Vigna, Michelle Zancarini-Fournel
2011
Editoriale Jaca Book SpA, Milano
Fondazione Luigi Micheletti, Brescia
tutti i diritti riservati
I testi di ???
sono stati tradotti da ???
Il testo di ???
stato tradotto da ????
Prima edizione italiana
aprile 2011
Copertina e grafica
Ufficio grafico Jaca Book
In copertina
???
Redazione e impaginazione
CentroImmagine, Lucca
Stampa e confezione
Grafiche Flaminia, Foligno (Pg)
aprile 2011
ISBN 978-88-16-00000-0
Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma
ci si pu rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA, Servizio Lettori
via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/48561520-29, fax 02/48193361
e-mail: serviziolettori@jacabook.it; internet: www.jacabook.it
VII
INDICE
Presentazione, Pier Paolo Poggio XI
LOTTE POLITICHE E CONFLITTI SOCIALI
Crisi e fine del comunismo sovietico, Pier Paolo Poggio 3
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956,
Andrea Panaccione 29
Il dissenso in URSS (1953-1991), Marco Clementi 47
Le lotte operaie in Polonia, Davide Artico 59
Dal Maggio 68 agli anni Sessantotto al 2008. Il caso francese,
Michelle Zancarini-Fournel 77
Gli scioperi del maggio-giugno 1968: linizio di uninsubordinazione
prolungata, Xavier Vigna 87
Il Sessantotto in Italia, Pietro Clemente 99
Il Sessantotto in Germania Ovest, Martin Klimke 117
Le problematiche ripercussioni intellettuali del Sessantotto, Luisa Passerini 131
Laltra contestazione: la resistenza allarbitrio e alla menzogna.
Nel mondo del dissenso russo, Sergio Rapetti 145
IDEOLOGIE E CORRENTI RIVOLUZIONARIE
Socialisme ou Barbarie. Prospettiva rivoluzionaria e modernit,
Daniel Blanchard 171
LInternazionale situazionista, Gianfranco Marelli 187
Loperaismo italiano, Sergio Bologna 205
Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989)
VIII
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredit delloperaismo italiano,
Cristina Corradi 223
La British New Left e lumanesimo socialista, Michele De Gregorio 249
Comunismo e femminismo, Gian Andrea Franchi 275
MARXISMO E RIVOLUZIONE
La rivoluzione possibile. Sartre e il marxismo, Vincenza Petyx 295
Il socialismo tra etica e scienza: la marxologia di Maximilien Rubel,
Gianfranco Ragona 317
Louis Althusser: alla ricerca di un tempo nuovo, Fabio Raimondi 329
Andr Gorz, un marxismo esistenzialista, Franoise Gollain 347
Lutopia di Lelio Basso, Giancarlo Monina e Chiara Giorgi 363
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta,
Pino Ferraris 381
Danilo Montaldi. Tempo di militanti, Gianfranco Fiameni 403
Lintellettuale rovesciato. Gianni Bosio tra marxismo
e mondo popolare e proletario, Cesare Bermani 423
Hans-Jrgen Krahl: contestazione e rivoluzione, Massimiliano Tomba 445
Rudolf Bahro: la coscienza come forza materiale, Peter Kammerer 455
TEORIE CRITICHE
La possibilit dellaltrimenti. Adorno e la teoria critica della societ,
Alessandro Bellan 471
Luomo reso superfluo. La critica di Gnther Anders
al totalitarismo morbido, Massimo Cappitti 491
Ragione e liberazione. La rivolta filosofica e politica di Herbert Marcuse,
Marco Maurizi 513
Lultimo testamento di Henri Lefebvre, filosofo e teorico della societ,
Stanley Aronowitz 531
Castoriadis: un profilo politico-filosofico, Fabio Ciaramelli 551
Le immagini della merce. Considerazioni sul pensiero di Guy Debord,
Mario Pezzella 569
Lavoro del pensiero ed esperienza della libert. Ipotesi su Foucault,
Mauro Bertani 589
Fortini e il comunismo come autoeducazione politica, Daniele Balicco 613
Sebastiano Timpanaro: sul materialismo, Sergio Landucci 629
Indice
IX
ALTERNATIVE
Hannah Arendt e il problema di Marx, Eugenia Lamedica 643
Albert Camus: dalla rivolta alla rivoluzione, Samantha Novello 665
La fine del mondo di Ernesto De Martino: scenari di unapocalisse
di fine millennio, Placido Cherchi 677
Unarcheologia del potere: lantropologia politica di Pierre Clastres,
Delfo Cecchi 691
La rivoluzione immanente. Politiche di Gilles Deleuze e Flix Guattari,
Paolo Godani 703
Jan Patocka e leresia della storia, Vincenzo Costa 715
Etica planetaria e profezia nel pensiero di Ernesto Balducci, Franco Toscani 733
Il comunismo critico ed eretico di Jacques Ellul, Patrick Troude-Chastenet 755
Il pensiero di Ivan Illich tra patogenesi della modernit e possibili
vie di fuga, Giorgio Barberis 771
Indice dei nomi 787
Gli autori 000
XI
PRESENTAZIONE
La rappresentazione prevalente del Novecento appiattisce e condensa tutti gli eventi
del secolo in un processo al contempo catastrofico e liberatorio sfociante nel crollo del
1989. Secondo tale narrazione lEuropa novecentesca stata lepicentro principale e il
teatro della guerra mondiale che, scoppiata come conflitto militare per decidere a quale
potenza statale spettasse il dominio sul mondo, per effetto della rivoluzione russo-bol-
scevica si trasformata e prolungata in guerra civile mondiale tra capitalismo e comuni-
smo, tra due sistemi opposti, sul piano politico, economico, ideologico. La lotta mortale
tra i due contendenti sfociata in una sconfitta certa e apparentemente definitiva, quel-
la del comunismo, a cui ha fatto da contraltare la vittoria del capitalismo.
I critici, talvolta eredi dei comunisti eretici, sostengono che le attese miracolistiche
nel mercato autoregolantesi e nellinnovazione tecnologica non fanno che riprodurre e
alimentare le cause della crisi, consegnando inerme lumanit futura alle sue conseguen-
ze. Secondo i suoi attuali avversari, la vittoria del capitalismo sarebbe stata allora tanto
indiscutibile quanto insostenibile: il capitalismo ancor meno del comunismo o di qual-
siasi forma di socialismo in grado di affrontare e risolvere linedita crisi ecologica glo-
bale, frutto avvelenato e eredit ingestibile del secolo breve.
La vittoria senza argini del capitalismo sembra riprodurre e rinnovare le motivazio-
ni pratiche e ideali che hanno alimentato il comunismo novecentesco, e al di l di esso
molti altri movimenti e posizioni politiche e ideologiche. La storia non finita: la demo-
crazia lungi dal generalizzarsi si svuota di contenuto anche nei paesi che lhanno tenuta
a battesimo, le enormi disuguaglianze economiche cambiano forma ma non diminuisco-
no, lesibizione della ricchezza e le tragedie della fame convivono nello spettacolo quo-
tidiano inscenato dai media, la criminalit e lillegalit avanzano di slancio in un paesag-
gio sociale desolato, ecc.
Ma il dubbio sulleffettivo carattere della vittoria capitalista va esteso allessenza
della sfida che si era combattuta, e in particolare alla rappresentazione dicotomica da
cui siamo partiti. Quello schema non forse il portato di una concezione, ad un tem-
po leniniana e schmittiana, secondo cui il politico e la Storia tout court sarebbero lesi-
Pier Paolo Poggio
XII
to di un conflitto polarizzato e irriducibile? La rappresentazione retrospettiva non
forse convergente con lideologia dei due attori principali? La parabola comunista rus-
so-sovietica, che ora ci appare lontana, marginale e quasi ininfluente, stata realmen-
te e a lungo egemone e determinante. Nondimeno, quello che si intende qui far vale-
re che essa, assieme al suo contraltare logico e storico, oscura e cancella tutto ci che
non pu essere irreggimentato nei due campi contrapposti, operando una semplifica-
zione inaccettabile sul piano storico, oltre che discutibile e contendibile su quello po-
litico-ideologico.
Una delle idee di fondo dellopera in cui inserito il volume qui presentato che lo
schema bellico amico-nemico, la guerra come motore ultimo della storia, rappresentano
precisamente il lascito culturale della modernit, sia statuale che rivoluzionaria un la-
scito da contrastare e superare, facendo valere gli esiti universalistici ideali e pratici del
bistrattato Novecento o, se si vuole, dellAltronovecento che ci prefiggiamo di far rie-
mergere.
Nello specifico, in questo volume si analizzeranno il tempo e lo spazio europeo de-
gli esiti della Seconda guerra mondiale, su cui era terminato il 1 volume. Ci significa
giocoforza considerare gli effetti della scomposizione dello schema bipolare dovuto alla
presenza della terza forza fascista nel cuore dellEuropa e alla paradossale, risolutiva, al-
leanza dei due nemici epocali contro tale terzo incomodo.
Innumerevoli sono stati gli sforzi degli ideologi delluna e dellaltra parte, prima e
dopo i fatti, volti ad affiliare fascismo e nazismo al proprio nemico: da una parte, descri-
vendolo come manifestazione ultima del capitalismo, caduti gli orpelli liberal-democra-
tici nel fuoco della guerra di classe; dallaltra, e pi massicciamente, facendone unarti-
colazione del totalitarismo, espressosi prima e pi compiutamente in forma comunista
cosiddetta sovietica. Ma di fronte alla dura realt dei fatti queste costruzioni lasciano il
tempo che trovano: in concreto la guerra vide schierarsi sullo stesso fronte la democra-
zia capitalistica occidentale e lURSS di Stalin contro gli Stati fascisti a guida nazista. Ri-
spetto agli schemi, il treno della storia compie uno scarto.
A dire il vero, durante i fatti la tesi maggioritaria fu che la storia fosse rientrata nei
giusti binari, con la ricomposizione di una alleanza in cui fossero presenti tutte le for-
ze del progresso in lotta contro quelle della reazione. In ogni caso questo fu il leit-motiv
della propaganda stalinista e delle forze intellettuali schierate a fianco dellURSS, supera-
to lo choc del patto Molotov-Ribbentrop.
Ma appena terminata la guerra Churchill proclama ci che Stalin pensava da sem-
pre, vale a dire che lalleanza era transitoria e contronatura, rispetto ad unostilit fon-
damentale che alimenter la Guerra fredda e molteplici sanguinosi conflitti locali . In
tal modo lo schema bipolare torna a governare le sorti del mondo, o almeno dellEuro-
pa, togliendo spazio e ossigeno a coloro che, senza alcuna nostalgia per una qualche ter-
za via fascista, sono critici dello stalinismo non meno che del capitalismo.
Si tratta di posizioni che nello spazio europeo presentano un sicuro interesse sul pia-
no intellettuale ma non hanno agibilit sociale. Prima, la Guerra mondiale in atto impo-
ne di schierarsi o di rinunciare completamente allazione politica, dato che le posizioni
neutraliste e pacifiste sono ancor pi screditate che nel corso della Prima guerra mon-
diale. Dopo, la Guerra fredda e lequilibrio del Terrore hanno come effetto se non come
obiettivo di congelare allinterno dei rispettivi campi i singoli e gli attori collettivi, in un
Presentazione
XIII
contesto che vede lEuropa spaccata a met, senza alcuna autonomia e forza politica,
ostaggio delle due superpotenze atomiche.
La situazione pare essere completamente bloccata, senza spazi di libert dazione e
di pensiero. In questo quadro ancor pi difficile di quanto lo fosse negli anni Tren-
ta costruire unalternativa ideale e pratica allesistente, dominato da una semplificazio-
ne dicotomica della realt che imprigiona le menti e riduce brillanti intellettuali al ran-
go di propagandisti.
In questa situazione tanto pi interessante far emergere e dare voce alle forze intel-
lettuali e sociali che hanno saputo riaprire i giochi, sviluppare una critica efficace e libe-
ra sia del capitalismo a netta egemonia americana che del comunismo staliniano e post-
staliniano.
Come gi nel 1 volume, laccento viene posto sullapporto di singoli e di correnti
politico-ideologiche, ma sullo sfondo sono da tenere presenti, e direttamente o indiret-
tamente ne diamo conto, i movimenti sociali e le lotte che nelle due met dellEuropa,
soprattutto dagli anni Cinquanta in poi, hanno riaperto una dinamica conflittuale allin-
terno dei blocchi dominanti, riuscendo a minarne legemonia, senza per questo dimen-
ticare che le novit e rotture decisive stavano maturando sulla scena extraeuropea, dove
dopo secoli si sviluppa una grande ondata di contestazione al dominio dellOccidente.
Il marxismo ossificato in versione sovietica non d segni di vita, anche se bisogna di-
stinguere tra lURSS dove per comprensibili motivi il rinnovamento avviene fuori e contro
il diamat e i paesi europei entrati nellorbita sovietica. Qui, partendo dal marxismo,
si sviluppano traiettorie diverse ma di indubbio interesse, bastino due nomi, tra quelli
che per varie ragioni abbiamo dovuto sacrificare: Karel Kosk e Leszek Kolakowski, ma
fermenti interessanti, poi del tutto oscurati, sono riscontrabili un po in tutti i paesi del
Centro ed Est Europa, talvolta in connessione con ribellioni e rivolte sociali che denota-
no un evidente deficit di legittimit del socialismo reale.
Una rivitalizzazione del marxismo si sviluppa con pi forza nei principali pae-
si dellOccidente, con posizioni diversificate per quanto riguarda lanalisi e il giudizio
sullUnione sovietica, che comporta il difficile e poco riuscito esercizio di applicare il
marxismo a se stesso.
Il caso italiano particolarmente interessante perch, nel dopoguerra, siamo in pre-
senza del pi grande partito comunista dellOccidente, con oltre 2,5 milioni di iscritti.
Sotto labile regia di Togliatti si dispiega loperazione di utilizzo e di nazionalizzazione
del pensiero di Gramsci, riuscendo a costruire unegemonia culturale di corto respiro,
gi in difficolt di fronte ai processi di modernizzazione intrecciati al miracolo econo-
mico nonch sostanzialmente acritica rispetto allURSS, anche dopo la crisi del 56. Le
potenzialit del pensiero di Gramsci, in una dimensione decisamente post-nazionale, sa-
ranno riscoperte in un contesto totalmente mutato, quando non esistono pi i referenti
politici della sua elaborazione.
Ma in contrasto e polemica con il gramscismo, specie negli anni Cinquanta e Sessan-
ta, emergono pensatori politici o vere e proprie correnti di pensiero in grado di elabo-
rare versioni creative e originali del marxismo, accentuandone i tratti rivoluzionari sia
in chiave leninista e operaista sia riproponendo il tema della democrazia diretta, ovve-
ro scavando nella profondit storico-antropologica di un mondo popolare e proletario,
colto nel pieno di una mutazione culturale carica di contraddizioni e conflitti, intrave-
Pier Paolo Poggio
XIV
dendo la possibilit di spezzare un destino di subalternit mascherato dallemancipazio-
ne dei costumi e dei consumi.
Anche in altri paesi gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta si rivelano un poten-
te laboratorio di idee, spesso lontano dalla scena politico-culturale ufficiale. Un caso ri-
levante e singolare stato quello inglese, dove il Partito comunista era poca cosa (come
anche le varianti critiche) ma dove studiosi di orientamento marxista, specie tra gli eco-
nomisti e gli storici, raggiunsero posizioni di grande prestigio, si pensi a Maurice Dobb e
Eric J. Hobsbawm: intellettuali influenti ma alquanto ortodossi sul piano politico quindi
tenaci difensori dellURSS. Per anche in Gran Bretagna, sia attraverso il recupero di tra-
dizioni socialiste ottocentesche sia per laffermarsi di esperienze di base (rank and file)
sia per linflusso del radicalismo pacifista di Bertrand Russel prese forma una nuova si-
nistra originale e in anticipo sui tempi, contestatrice dellordine borghese e fieramente
antistalinista.
Tra guerra e dopoguerra la teoria critica di matrice tedesca, identificata con la
Scuola di Francoforte, d il meglio di s, contribuendo in modo decisivo alla ripre-
sa dellanalisi diagnostica del capitalismo, fuoriuscendo dalle secche delleconomicismo
marxista e concentrando lattenzione sugli esiti ultimi della modernit, rintracciando le-
gami e complicit tra apocalisse nazista, consumismo, civilt della tecnica. Non si pu
dire che il pensiero critico, negli anni della Guerra fredda, si sia concentrato sul comu-
nismo sovietico e abbia fornito contributi memorabili in tal senso (Soviet marxism non
certo lopera pi significativa di Marcuse). Il distacco, che talora sfiora lindifferenza,
non sembra avere motivazioni politiche ma teoriche nel senso che i paesi della rivoluzio-
ne dOttobre, perduta da tempo la spinta espansiva, appaiono delle varianti inferiori di
uno stesso sistema di dimensioni planetarie. Diversa la posizione e la sensibilit politi-
ca della Arendt, che cerca di tenere uniti in un unico nodo problematico il capitalismo
imperialistico e la duplice faccia di destra e di sinistra del totalitarismo.
Si pu dire che solo in Francia, sia presso figure e correnti (anche volutamente) mi-
noritarie e appartate, ovvero da parte di personaggi celebri, come nel caso di Sartre, ma
lo stesso vale per Merleau-Ponty, la riflessione teorico-filosofica abbia assunto il comu-
nismo come tema di importanza fondamentale. I contributi presenti nel volume danno
conto di questa centralit e delle molte e irrisolte aporie, ereditate e solo apparentemen-
te scavalcate dal movimento del Sessantotto.
In ogni caso nessunaltra elaborazione teorica e prassi politica, soprattutto nel conte-
sto europeo, ha anticipato la contestazione giovanile, studentesco-operaia, quanto So-
cialisme ou Barbarie o lInternazionale situazionista. Unidentificazione cos forte da
bruciare e consumare queste esperienze nel giro di quei mesi e anni, o in anticipo su di
essi, come nel caso di Socialisme ou Barbarie, con il rischio di entrare in una dimen-
sione mitica e memoriale improduttiva, oltre che in bala delle oscillanti e antitetiche
rappresentazioni del Sessantotto.
Negli ultimi anni gli attacchi a tutto quello che pu essere ricondotto a questa data-
simbolo, spesso indifferenti ed estranei alla storiografia sullargomento, si sono fatti pi
insistenti e quasi generalizzati. La realt attuale appare ad un numero crescente di per-
sone insoddisfacente se non intollerabile, bisogna allora cercare la causa se non il capro
espiatorio responsabile di questa sorta di quieto disastro insediatosi nelle pieghe della
Presentazione
XV
societ e poi man mano in ambiti pi vasti, sino a coinvolgere le lites, che non solo si ri-
bellano ma additano un nemico da colpire: lo spirito del Sessantotto.
Le accuse eccessive nei confronti di un evento a cui, per altri versi, non si attribui-
sce alcuna consistenza e profondit sono la spia di unevidente difficolt nel prendere
le misure al nemico che si vorrebbe sconfiggere e distruggere. Per alcuni il Sessantot-
to non altro che una metamorfosi del comunismo, presentatosi in vesti carnevalesche
per nascondere la sua natura intimamente nichilistica, manichea e regressiva, poi venu-
ta alla luce con il terrorismo. Agli antipodi abbiamo coloro che imputano al Sessantotto
di aver svolto unazione dissolutrice nei confronti della tradizione comunista, esaltando
la spontaneit e limmediatismo, spingendo le masse a cercare soddisfazione e ad inve-
stire energie nei consumi, inaugurando una nuova stagione del capitalismo, allinsegna
dellindividualismo e narcisismo.
Senza avventurarsi in complesse tipologie, si pu dire che, come per il comunismo
novecentesco, le interpretazioni del Sessantotto, al di l dei giudizi di valore, si possono
raggruppare in due vasti schieramenti. Ci sono coloro che scorgono una piena continui-
t tra le premesse ideali, gli eventi e le conseguenze storiche. Tali letture lineari, anche di
segno opposto, si mantengono alla superficie e hanno come effetto o scopo la banalizza-
zione del Sessantotto. Pi stimolanti sono le interpretazioni che introducono variamen-
te il tema della eterogenesi dei fini, per cui gli effetti sono stati in tutto o in parte diver-
si e opposti rispetto alle intenzioni.
Senza entrare in questa sede in tale tipo di dibattiti e rimandando alla ricchezza dei
materiali presenti nella prima sezione della presente opera, oltre che in numerosi contri-
buti che affrontano il tema attraverso singole esperienze e orientamenti ideali, segnaliamo
un paio di questioni che hanno diretta attinenza con largomento generale del volume.
Innanzitutto il Sessantotto, e forse proprio lanno 1968, segna lultimo passaggio
del processo di dissoluzione del comunismo sovietico, anche se occorreranno altri ven-
ti anni prima della sua fine. Di contro il comunismo eretico sembra poter rinascere a
contatto del movimento di contestazione antisistemica generale. In ogni dove si molti-
plicano gruppi politici che si rifanno ad una qualche eresia del comunismo novecente-
sco ma anche alla pi stretta e surreale ortodossia. In realt sono fuochi di paglia desti-
nati a consumarsi rapidamente. Il comunismo eretico pu vivere solo in lotta e polemica
con quello ufficiale e statale. In caso contrario viene riassorbito o sopravvive come set-
ta religiosa astorica.
Crediamo che il ripiegamento del movimento di contestazione nellalveo delle va-
rie correnti del comunismo novecentesco costituisca un preciso segnale dei limiti e della
inadeguatezza del Sessantotto rispetto al compiersi dei suoi obiettivi. E proprio la scar-
sa comprensione e conoscenza del socialismo realmente esistente sono la spia di una de-
bolezza strutturale del movimento, dimostratosi incapace di affrontare la micidiale dis-
simmetria tra le due contestazioni.
Nei paesi comunisti le lotte, in condizioni difficilissime, avevano come obiettivo la
democrazia e la libert. In Occidente la riautentificazione del comunismo, spesso del
tutto acritica nei confronti del comunismo sovietico o di sue varianti, attivando proces-
si di identificazione con realt, come la Cina maoista, di cui non si sapeva nulla. Su un
punto cruciale luniversalismo militante del movimento del Sessantotto non regge alla
prova della storia. Tra i comportamenti e la cultura politica, la vita e lideologia si apre
Pier Paolo Poggio
XVI
uno iato che non trova ricomposizione in una sintesi superiore, a meno di appartarsi dal
mondo e abbandonare la lotta politica.
sicuramente possibile e legittimo cercare nel Sessantotto le origini pi prossime di
movimenti come il femminismo e lecologismo o le premesse dei movimenti anti o alter-
mondialisti di fine-inizio secolo. Bisogna per anche restituire il Sessantotto alla sua epo-
ca, senza apologia e demonizzazione; da questo punto di vista si pu dire che non riu sc a
superare i suoi limiti perch esso non fu solo un nuovo inizio, sia pure incerto e carico di
contraddizioni, ma soprattutto la fine di una storia, portata a esaurimento nei fatti pi che
nella coscienza, nei comportamenti e nei sentimenti pi che nella riflessione.
Nel momento decisivo la saldatura tra movimento e pensiero critico lasci il posto al
ritorno dellideologia vissuta in termini totalizzanti. Ma questa politicizzazione estrema
del movimento ne mina la forza e la credibilit, la capacit di diffondersi nella societ.
Nella divaricazione tra azione controculturale e uso delle armi si consuma lautoannul-
lamento del movimento, lasciando libero corso alle spinte restauratrici in chiave liberi-
sta e neoetnica.
Il comunismo eretico trova nel Sessantotto il palcoscenico su cui inscenare unulti-
ma rappresentazione, emergendo per un breve momento alla luce del sole, ma per il le-
game ferreo con la sua la sua matrice primonovecentesca non fornisce apporti significa-
tivi allelaborazione di una teoria che sia di supporto nel passaggio dallo stato nascente
alla maturit e al radicamento delle trasformazioni indotte dal movimento. Lo stesso si
pu dire, sia pure sommariamente, per le altre correnti storiche del movimento operaio,
da quelle socialiste a quelle anarchiche.
Il pensiero critico aveva alimentato e per certi versi anticipato il Sessantotto, da in-
tendersi qui in una accezione ampia che va al di l dellevento e copre un breve ciclo
storico. Eppure anche in questo caso il movimento, nonostante la sua sorprendente am-
piezza, non si pu dire che abbia alimentato un rinnovamento radicale della teoria po-
litica. Quel che avviene una sorta di neutralizzazione accademica del pensiero critico,
di cui beneficia in primo luogo il marxismo, specie nel caso italiano, con esiti modesti
non destinati a passare alla storia. Emergono piuttosto figure dotate di grande energia
che attraversano ambiti ed istituzioni diverse, in una dimensione pienamente internazio-
nale, saldando laudacia teorica allimpegno militante, come nel caso di Michael Fou-
cault e di Ivan Illich.
Si pu ipotizzare che limpasse in cui finito il Sessantotto, e che ancora grava sui
movimenti antisistemici che di l derivano, anche quando hanno pi lontane origini, di-
penda dallenorme dilatazione dello spazio della politica, rispetto alle societ tradizio-
nali, che ha reso quasi immediatamente manifesta una sproporzione incolmabile tra gli
obiettivi e i risultati, da cui il rifugio nella privatizzazione se non nella servit volonta-
ria. Venuta meno lazione permanente del movimento, la democrazia diventa ostaggio
di forze che governano la paura e limpotenza e si riduce a vuoti rituali, che non modi-
ficano la riproduzione dellesistente. Al contrario il movimento di contestazione e quel-
li che ne sono seguiti, minoritari ma non privi di seguito e di influenza, miravano ad una
sorta di democrazia assoluta.
Le difficolt di una costante mobilitazione democratica, utopistica ma tuttaltro che
priva di motivazioni e forza, appaiono evidenti se si prendono in considerazione i due
movimenti che dopo il Sessantotto si sono diffusi nei pi diversi contesti, senza pi ave-
Presentazione
XVII
re come avveniva in passato un centro principale di irradiamento, superando per la loro
stessa natura i confini nazionali e statali, al cui interno ha finito per ridursi il movimento
dei lavoratori nonostante le sue origini programmaticamente internazionaliste.
Il movimento femminista, centrando lattenzione sulla dimensione antropologica, di
genere, sulla differenza sessuale, la singolarit, i sentimenti, le passioni, il corpo, ha ra-
dicalizzato il discorso critico ed analitico, rompendo con le tradizioni emancipazioni-
stiche ed egualitaristiche, ma tutto ci nei fatti ha prodotto un indebolimento della sua
forza e incisivit, se non la scelta esplicita di abbandonare la politica, irrimediabilmen-
te perduta.
Lecologismo, per parte sua, attraversato da contraddizioni irrisolte che derivano
dalla sua collocazione al di l della destra e della sinistra, quindi al di fuori delle coor-
dinate di fondo della politica otto-novecentesca. Ma la sua maggiore difficolt discende
dal rapporto con la modernit e la tecnica. Se da un lato non pu aderire alle posizioni
tecnofile e scientiste, tuttora egemoni nelle culture politiche di sinistra, dallaltro lace-
rato tra opzioni incomponibili. Da un lato, pur in una gamma differenziata, dalla deep
ecology al neo-primitivismo a posizioni molto pi moderate, ci sono coloro che propu-
gnano un freno immediato e uninversione di marcia allo sviluppo palesemente insoste-
nibile. Dallaltro, in nome dello sviluppo sostenibile, preso sul serio e reso possibile da
un diverso uso della scienza e della tecnica, si schierano coloro che scommettono sulla
capacit degli uomini di riportare sotto il loro controllo la tecnica e il capitalismo, facen-
do leva sulla presa di coscienza indotta dal manifestarsi della crisi ecologica. Un dibat-
tito interessante ma che rischia di arrivare in ritardo rispetto a diverse e pi impellenti
scadenze sociali e politiche.
Con il che abbiamo superato i limiti cronologici e tematici di questo volume, che ci
auguriamo possa fornire materiali utili per approfondire le questioni qui appena evoca-
te, riannodando le fila di percorsi che forse pi di altri hanno qualcosa da dire al tempo
presente e al futuro imprevedibile che ci attende.
PIER PAOLO POGGIO
Sezione prima
LOTTE POLITICHE
E CONFLITTI SOCIALI
3
CRISI E FINE DEL COMUNISMO SOVIETICO
Pier Paolo Poggio
Lapogeo dello stalinismo
La guerra aveva causato alla popolazione sovietica perdite spaventose in vite umane,
con oltre venti milioni di morti, a cui si aggiungevano le distruzioni materiali e spiritua-
li. Sommate a quelle derivanti dagli eventi degli anni Trenta, in particolare la colletti-
vizzazione forzata, si capisce perch la societ nel suo complesso manifestasse un atteg-
giamento di acquiescenza verso il regime nonostante il perpetuarsi di condizioni di vita
durissime. Su tutto prevaleva la ricerca della tranquillit e la speranza in un periodo di
tregua, di allentamento della repressione.
Ma non erano solo queste le basi su cui si reggevano Stalin e il suo sistema di potere.
La guerra svolse anche un ruolo formidabile di rilegittimazione del comunismo sovieti-
co, una vera e propria rifondazione, conforme alla natura che aveva assunto, ma con lef-
fetto di riproiettarlo sulla scena mondiale, anche al di l delle mire immediate di Stalin.
Questi di sicuro voleva fare dellURSS una superpotenza in grado di vincere la lotta per la
supremazia mondiale, utilizzando tutti gli appoggi esterni possibili, per cui i movimenti
rivoluzionari, anticoloniali e antimperialistici erano visti come fattori in grado di accre-
scere la potenza dello Stato sovietico, centro egemonico unico della rivoluzione a cui su-
bordinare e sacrificare ogni altra istanza.
La vittoria nella guerra al nazifascismo legittimava tale pretesa: Stalin incarnava il
comunismo e ogni critica finiva oscurata dal fulgore del mito. Dopo la vittoria il dit-
tatore sovietico era esaltato da tutti i leader politici occidentali, dallintero movimen-
to operaio, dai movimenti di liberazione nazionale dei paesi extraeuropei allavvio
dellepopea della decolonizzazione. Nella stessa Unione Sovietica, soprattutto in Rus-
sia, Stalin viene visto come lartefice della vittoria, colui che riuscito a respingere
unaggressione senza precedenti, volta a distruggere e schiavizzare i popoli slavi. Alla
paura si mescola lammirazione e non manca, in un primo momento, la speranza che
si possa aprire una nuova fase, che il dittatore rinsaldato nel suo potere potesse rinun-
ciare al terrore.
Pier Paolo Poggio
4
Lottica con cui si guarda a Stalin (e attraverso di lui allURSS) in Occidente diversa,
se non rovesciata, rispetto alla prospettiva in cui si pongono i sovietici. Per gli occiden-
tali, in primo luogo per gli ambienti intellettuali progressisti (con poche eccezioni), Sta-
lin rappresenta il comunismo finalmente vittorioso. Essi vedono nellURSS con speranza
(o timore) il centro propulsivo della rivoluzione mondiale, il luogo dove si sono realizza-
te le aspettative del proletariato, mettendo in pratica le teorie di Marx
1
.
Anche per i sovietici Stalin, sulle orme di Lenin, linterprete autentico del mar-
xismo, ridotto alla scolastica obbligata del diamat, ma il suo vero merito consisti-
to nella nazionalizzazione dellideologia, attraverso la creazione di una nazione inedita,
nella capacit di fare dellURSS una potenza statale mondiale, dando vita ad una realt,
il mondo sovietico, appunto, frutto dellibridazione tra la tradizione russa e lideologia
marxista.
Nel clima della Guerra fredda gli ideologi dellanticomunismo, spesso con trascorsi
di sinistra in particolare trockista, hanno dipinto lURSS stalinista come il centro della ri-
voluzione in espansione, una potenza pericolosa per la sua spinta ad allargare la rivolu-
zione in ogni dove, soprattutto verso lOccidente, facendo leva sulle quinte colonne in-
terne. Tale visione stata fatta propria da una parte della storiografia che ha finito col
fare di Stalin lincarnazione del vero capo rivoluzionario, non tanto un despota o uno
statista, sia pure sanguinario, ma lautentico esecutore testamentario di Lenin e in defi-
nitiva di Marx. una rappresentazione, non importa se polemica o apologetica, che non
trova riscontro nei fatti. Stalin intendeva sicuramente esercitare un controllo monopo-
listico sul movimento comunista internazionale, pur non riuscendoci, ma aveva di mira
non la rivoluzione mondiale, il sogno svanito di Trockij, bens la crescita della potenza
politico-militare dellURSS, a cui ogni altra istanza doveva essere subordinata.
Non a caso su questa base promosse il patto Molotov-Ribbentrop e le sue mire si in-
dirizzarono verso lEuropa centro-orientale, nellottica di un ampliamento territoriale di
tipo zarista pi che sovietico-rivoluzionario. Il risultato fu che lURSS inglob e sottomi-
se, nella forma degli Stati satelliti, una serie di Paesi e popolazioni che si rivelarono da
subito, e poi per tutti i decenni successivi, sommamente ostili a Mosca e decisivi nel crol-
lo del sistema sovietico.
Daltro canto Stalin non colse le potenzialit dei moti di liberazione in atto nelle co-
lonie e nemmeno la portata della rivoluzione cinese a guida maoista. Non era questo il
terreno su cui intendeva muoversi il dittatore sovietico, stratega di una lotta mortale con
la superpotenza americana da ingaggiarsi innanzitutto sul terreno della forza militare,
nella convinzione dellinevitabilit della guerra.
Per tale motivo la concezione politico-strategica con cui Stalin intendeva il confron-
to nellarena mondiale rendeva assolutamente cruciale il possesso della bomba atomica.
Non a caso venne costituito un apposito comitato per affrontare il problema numero
uno: la costruzione della bomba. Facendo leva sullottimo livello della scienza sovieti-
1
In questo clima chi osava criticare lURSS era considerato un calunniatore e traditore. Celebre e tragico il
caso di Viktor Krav/enko, ingegnere sovietico consegnatosi alle autorit americane nel 1944 e autore del libro
Ho scelto la libert (1946), sottoposto a violenti attacchi da parte della stampa comunista e progressista di
mezzo mondo.
Crisi e fine del comunismo sovietico
5
ca, e della fisica in particolare, nonch sulle capacit organizzative e la spregiudicatezza
di Berija, responsabile del comitato, i progressi atomici sovietici furono rapidissimi, dal-
la prima reazione controllata del 1946 si arriva allo scoppio riuscito della bomba atomica
nel 1949. La Guerra fredda si sarebbe ormai sviluppata sotto legida del Terrore.
La divisione in due campi contrapposti era funzionale al completo allineamento di
tutti i partiti comunisti alle direttive di Mosca, compatti nel contrastare le mosse del ne-
mico. In questa fase la politica staliniana trov il suo interprete in Andrej Zdanov, che
sotto lo stretto controllo del Capo, orchestr le campagne ideologiche interne ed esterne
contro ogni forma vera o presunta di dissidenza, pericolo, minaccia. Cos il piano di aiu-
ti americani allEuropa fu interpretato da Stalin come un attacco politico allURSS e alla
sua sfera di influenza. Come contromisura fu costituito il Cominform (1947) che ave-
va lobiettivo di creare un blocco antiamericano riconducendo le democrazie popola-
ri dellEst Europa e i partiti comunisti occidentali, in particolare il PCI e il PCF, sotto lo
stretto controllo sovietico sia sul piano politico che ideologico.
A partire dal 1947 si svilupp una politica di sovietizzazione forzata delle democra-
zie popolari, eliminando la finzione del pluralismo e arrivando rapidamente al mono-
polio politico del Partito, con la statalizzazione delleconomia e limposizione della col-
lettivizzazione delle campagne (per altro registrando notevoli insuccessi).
Lungi dallallentarsi la presa dispotica dello stalinismo si faceva ancora pi pesante
nel momento del suo apogeo e trionfo. Si pu sostenere che in tal modo si manifestas-
se la sua autentica e insuperabile natura, ma bisogna tener conto di almeno altri due ele-
menti: in primo luogo la leadership sovietica non aveva certo superato, per effetto della
vittoria, la sua paura e diffidenza verso una popolazione a cui aveva inflitto enormi sof-
ferenze; in secondo luogo la guerra aveva comportato unapertura verso lesterno e i sol-
dati sovietici erano giunti sino nel cuore dellEuropa, il che, agli occhi di Stalin, costitui-
va un potenziale pericolo da rintuzzare preventivamente. Mentre nel mondo brillava la
stella di Stalin la situazione interna era tragica e le speranze nei frutti della vittoria veni-
vano rapidamente spazzate via. La repressione si abbatteva durissima colpendo in par-
ticolare la popolazione dei territori riconquistati ai nazisti e gli ex prigionieri di guerra.
Gli anni dal 45 alla morte di Stalin vedono la massima espansione del Gulag e il tentati-
vo di farne una struttura produttiva in grado di porre rimedio ai vuoti causati dalla guer-
ra. I detenuti passano da 1,5 milioni a 2,5, a cui sono da aggiungere altrettanti coloni de-
portati forzosamente (in primo luogo tedeschi e ceceni).
Si tenga conto che un po in tutta lEuropa orientale la guerra si prolunga ben al di
l del maggio 1945. Oltre alle guerriglie antisovietiche che continuano sino ai primi anni
Cinquanta, un fenomeno saliente rappresentato dallo spostamento forzato delle popo-
lazioni. I casi pi eclatanti riguardano la Polonia e lUcraina con la deportazione di mol-
te centinaia di migliaia di persone, a seconda dei casi verso est o ovest. Si calcola poi, se-
condo stime prudenziali, che 7 milioni di tedeschi dei territori orientali sotto controllo
sovietico vengano espulsi con oltre un milione di morti. Nel frattempo, specie in Polo-
nia, continua la persecuzione degli ebrei, mentre lantisemitismo prende sempre pi pie-
de in Unione Sovietica.
La ricostruzione viene fatta puntando da un lato sullo sfruttamento del lavoro coat-
to, dallaltro sul reclutamento di una vasta massa di forza-lavoro, in fuga dalle campa-
gne, nuovamente in preda alle carestie. I contadini a milioni si spostano verso le citt for-
Pier Paolo Poggio
6
mando il nuovo proletariato urbano, da cui venivano reclutati gli operai dellindustria,
in crescita da 8 a 14 milioni tra il 45 e il 53. Stalin e il Partito, nel secondo dopoguerra,
riproponevano la loro ricetta di costruzione del socialismo in transizione verso il comu-
nismo: concentrazione massima degli sforzi e delle risorse sullindustria pesante, e in pri-
mo luogo su quella bellica, repressione generalizzata di ogni dissenso, disastro garantito
nel settore agricolo. Ancora una volta la palla al piede del sistema sovietico.
Nel 1946 scoppia una nuova carestia e la situazione diventa rapidamente drammati-
ca, con oltre un milione di morti. Il modus operandi di Stalin quello gi collaudato: re-
pressioni, nessuna concessione o aiuto alle campagne, esportazioni propagandistiche di
cereali allestero, censura sugli eventi. La crisi degli approvvigionamenti colpiva anche
le citt, ma per lo stato di prostrazione in cui versava la popolazione non ci furono pro-
teste collettive.
Lopposizione si esprimeva secondo il metodo tradizionale adottato dai lavorato-
ri sovietici, mantenendo al livello pi basso possibile la produttivit del lavoro. Que-
sta era ancora pi bassa nel vasto arcipelago del lavoro forzato, dove si diffondeva un
vero e proprio rifiuto del lavoro e non mancavano le sommosse, gli scioperi della fame,
i tentativi di fuga, ancor prima delle grandi rivolte del 1953-54. Tutto ci, almeno sino
alla scomparsa di Stalin, non intaccava il regime di doppia realt insediatosi in Unio-
ne Sovietica.
La potente, anche se farraginosa, macchina costruita dai bolscevichi era ancora pie-
namente in corsa e, nonostante tutto ci che travolgeva e schiacciava nel suo movimen-
to, sembrava, soprattutto a chi la guardava da lontano, in grado di raggiungere la meta
prefissata. La ripresa della produzione agricola (nel 1948) e la crescita del settore indu-
striale incentivarono sia lelaborazione ideologica che la promulgazione di grandi pro-
getti e programmi. Allordine del giorno veniva posto il passaggio al comunismo imper-
niato sul massimo sviluppo delleconomia sovietica che doveva rendersi autonoma dalle
economie capitalistiche e imperialistiche, estendere la statizzazione ad ogni ambito di at-
tivit, superare il capitalismo nei risultati quantitativi e come benessere della popolazio-
ne. Per raggiungere tali mete furono lanciati i cantieri del comunismo.
Uno dei pi ambiziosi di questi cantieri fu il grande programma di trasformazione della
natura, il pi vasto e costoso progetto agricolo dellera staliniana. Prevedeva la creazione di
otto enormi fasce forestali, alcune delle quali lunghe pi di mille chilometri, per proteggere
i terreni agricoli dai venti aridi del sud-est, lintroduzione della rotazione delle colture e la
creazione di innumerevoli laghi e bacini artificiali (...). Alla fine del 1949 erano stati piantati
alberi su mezzo milione di ettari, pi di quanto previsto dal piano, e spesso grazie al lavoro dei
prigionieri di guerra tedeschi, erano stati scavati numerosissimi bacini idrici. Ma nel 1951 pi
della met degli alberi piantati era gi morta, e nel 1953 il programma, che in teoria sarebbe
durato fino al 1965, fu abbandonato
2
.
Sempre al fine di superare linvincibile arretratezza delle campagne, Nikita Chru/v, a
cui era stata affidata la supervisione dellagricoltura, lanci nel 1951 un piano per supe-
2
A. Graziosi, LURSS dal trionfo al degrado. Storia dellUnione Sovietica 1945-1991, Il Mulino, Bologna 2008,
p. 85.
Crisi e fine del comunismo sovietico
7
rare la divisione tra citt e campagna, fondamentale ostacolo sulla via del comunismo,
attraverso la creazione di agrocitt, in cui concentrare la popolazione dei villaggi, tra-
sformando i contadini in cittadini dediti allagricoltura: idea tacciata da Stalin di avven-
turismo di sinistra. Chru/v si era spinto troppo oltre, entrando nel terreno minato del-
le scelte ideologiche di fondo, appannaggio esclusivo del Capo, ma la sua proposta, che
ritorner anche successivamente sino allultima fase del socialismo sovietico
3
, esprimeva
perfettamente le coordinate culturali della nomenklatura al potere.
Lapogeo della glorificazione di Stalin si ebbe nel dicembre del 1949, in occasione
della celebrazione del suo 70 compleanno, a pochi mesi di distanza dallo scoppio della
prima bomba atomica sovietica e dai riti celebrativi dellOttobre. Contemporaneamente
allo spettacolo di una santificazione che aveva echi in tutto il mondo, il clima interno era
tragico a causa della deriva psicopatica e paranoica del dittatore: antisemitismo e com-
plotti; ostilit generalizzata nei confronti dei suoi pi stretti collaboratori; diffidenza ver-
so gli ex alleati, a partire da Tito e le nuove realt emergenti, in primo luogo la Cina di
Mao; paura della guerra totale con lOccidente e convinzione della sua inevitabilit.
Il 1949 anche lanno della presa del potere del partito comunista in Cina. I comuni-
sti cinesi, dopo lesperienza fallimentare dellalleanza con il Guomindang, erano riusci-
ti a sconfiggere i nazionalisti attraverso una lunga lotta sviluppatasi principalmente nelle
campagne. La seconda, fondamentale, rivoluzione comunista del Novecento era avve-
nuta indipendentemente se non contro la politica di Stalin.
Proprio quando il comunismo sembrava poter assumere una effettiva dimensione
mondiale, superando i confini dellURSS e delle sue proiezioni esterne, si ponevano le
basi della rottura con la creazione di due poli comunisti facenti capo a due diversi Stati.
Lomogeneit dellassetto sociale non si traduceva in convergenza politica. La comune
base ideologica veniva coniugata diversamente, sino ad arrivare poi alle scomuniche re-
ciproche. Lelemento statale-nazionale prevaleva sullinternazionalismo comunista, con
la creazione di due campi di influenza e di affiliazione ideologica, ponendo fine allidea
stessa di una futura Internazionale, dopo la liquidazione della Terza e lesistenza solo vir-
tuale della Quarta Internazionale (trockista).
Il disgelo
Dopo la morte di Stalin (1953) inizia la stagione del disgelo e delle tentate riforme sino
agli esiti fissati dal XX Congresso del 1956. In un primo momento fu uno dei pi stretti
collaboratori di Stalin, Laurentij Berija, a dare una forte spinta riformistica cercando di
smantellare lelefantiaco sistema del Gulag. Il suo attivismo gli coalizz contro i vertici
del Partito che lo eliminarono politicamente e fisicamente. Loperazione costitu il tram-
polino di lancio di Chru/v, un tipico neopromosso di umili origini e nessuna istru-
zione formale, che doveva tutto alla rivoluzione plebea del 1917-18 e a quella stalinia-
na del 1928 (A. Graziosi).
3
Cfr. B. Kerblay, Du mir aux agrovilles, Institut dEtudes slaves, Paris 1985.
Pier Paolo Poggio
8
Sullo sfondo cerano le rivolte nei lager di Norilsk, Vorkuta e Karaganda, mentre a
Berlino e nella Germania dellEst si sviluppava la rivolta operaia. Nonostante la sua roz-
zezza e il carattere superficiale e primitivo di molte sue idee e convinzioni, nonch la
compromissione totale in alcune delle pagine pi nere dello stalinismo, il nuovo leader
sovietico venne visto con favore sulla scena internazionale e anche in URSS, a parte losti-
lit dellala conservatrice del Partito. Ci fu dovuto principalmente a due fattori collega-
ti tra di loro: il miglioramento generale del quadro economico, dopo i decenni stalinia-
ni di opzione costante per lindustria pesante; la scelta di Chru/v di diminuire le spese
militari, anche per effetto di una notevole revisione ideologica.
Nellagosto 1953 lURSS era riuscita a far esplodere la prima bomba a idrogeno (con
lapporto decisivo di Sacharov). Prima negli ambienti scientifici poi presso alcuni espo-
nenti politici, ad esempio in Malenkov, si afferm lidea che fosse possibile e necessario
evitare la guerra, a causa dei suoi effetti distruttivi incontrollabili. Era una rottura non
da poco, dato che la tesi dellinevitabilit della guerra e del rapporto tra guerra e rivo-
luzione costituivano dei capisaldi della teorizzazione leniniana e staliniana. In ogni caso
Chru/v si fece il portavoce di una auspicabile coesistenza pacifica, affidando la vitto-
ria sul capitalismo alla superiorit economica del socialismo pianificato, cosa di cui era
totalmente convinto.
Lazione politica pi eclatante e di maggior impatto dovuta a Chru/v fu in ogni
caso il rapporto segreto Sul culto della personalit e le sue conseguenze letto il 25 feb-
braio 1956 durante il XX Congresso del PCUS. La denuncia dei crimini di Stalin, prove-
nendo dal vertice del potere ebbe unenorme risonanza e contribu certamente a incrina-
re il prestigio dellURSS e il mito della rivoluzione, incontrando adesioni, ma anche molte
resistenze sia allinterno del Partito che in settori della societ sovietica oltre che pres-
so esponenti dei partiti comunisti in Europa e nel mondo. Al punto che Chru/v fu poi
costretto a compiere diversi passi indietro, anche se le critiche a Stalin furono da lui ri-
badite al XXII Congresso del 1961.
In effetti le denunce di Chru/v riguardanti i crimini commessi da Stalin contro i
comunisti, gli errori nella condotta della guerra e nella gestione delleconomia, non mi-
ravano affatto a colpire il sistema e nemmeno aspetti cruciali dello stalinismo quali lin-
dustrializzazione e la collettivizzazione forzata. Inoltre concentrando tutte le colpe su
Stalin e la sua peculiare personalit, il rapporto salvava il Partito e lessenza stessa del
comunismo sovietico, in cui Chru/v poneva tutta la sua fiducia. Del resto anche colo-
ro che propugnavano la necessit di far chiarezza sullintera epoca staliniana, allargan-
do lattenzione a molte altre categorie di vittime, non si spingevano in generale al di l
di un ritorno a Lenin, considerato la vera guida e il depositario intangibile della veri-
t. Si produceva in tal modo un curioso cortocircuito.
La denuncia contro Stalin si concentrava sugli effetti negativi del culto della perso-
nalit, che aveva intaccato e deviato le sue indubbie capacit a causa della illimitata con-
centrazione di potere sia pratico che ideologico nelle sue mani, facendone linterprete
infallibile della dottrina marxista-leninista, per cui una teoria, che voleva essere scienti-
fica e sommariamente impersonale, finiva con lidentificarsi con una persona, a sua vol-
ta elevata al rango di padre del popolo e scienziato di tipo nuovo. Ma lalternativa non
era meno antimarxista visto che si attribuiva a Lenin le qualit usurpate da Stalin, per
cui soltanto il primo aveva diritto di essere venerato, imbalsamato, nel mausoleo che il
Crisi e fine del comunismo sovietico
9
secondo gli aveva dedicato, ponendo le basi del culto per la personalit, ovvero la mitiz-
zazione pseudo-religiosa di individui di per s capaci di indirizzare il corso della storia,
in totale antitesi con quanto sosteneva il marxismo e pensava Marx.
Con il che non si intende affatto sminuire il significato e la portata periodizzante del
XX Congresso che, ben al di l delle intenzioni di Chru/v, ebbe conseguenze imme-
diate su tutto luniverso comunista, spezzandone la compattezza e unit, e conseguenze
di pi lungo periodo, consumatesi attraverso un lungo e tormentato percorso. Si pu in
ogni caso convenire che: questo evento, pur con tutta la sua ambiguit e strumentali-
t, ebbe un effetto decisivo, dando involontariamente lavvio a quel processo incontrol-
labile che nei decenni successivi avrebbe portato alla crisi finale del sistema comunista e
della stessa Unione Sovietica
4
.
Nel 1956 le conseguenze pi significative del XX Congresso si ebbero nei paesi satel-
liti con i sollevamenti in Polonia e soprattutto la rivolta in Ungheria, risolta con linter-
vento diretto dellArmata Rossa. Il crollo del prestigio sovietico fu irreversibile in tut-
ta lEuropa centro-orientale; la destalinizzazione che poteva tradursi nella dissoluzione
dellimpero venne fermata con la forza, mentre lappoggio accordato allEgitto nellaf-
fare del canale di Suez, rilanciava limmagine della patria del socialismo come baluardo
contro le pretese neocoloniali dei paesi capitalisti.
Ma se in Occidente e nel Terzo Mondo lURSS godeva ancora di un diffuso prestigio,
la credibilit del socialismo realizzato non aveva nessuna possibilit di ripresa nei Pae-
si satelliti. In particolare la Germania Est costituiva un incubo per la dirigenza sovieti-
ca: nonostante gli abbondanti aiuti economici lemorragia di popolazione verso lOvest
era inarrestabile; oltre due milioni di tedeschi, soprattutto giovani, avevano abbandona-
to la DDR dalla sua fondazione nel 1949. Nellestate del 1961 il flusso delle fughe arriv
a 3.000 persone al giorno, inducendo Chru/v ad accettare la proposta di Ulbricht di
costruire un muro che tagliasse in due Berlino: era lammissione aperta del fallimento, il
campo socialista sopravviveva solo come carcere a cielo aperto.
Questa era limmagine che la propaganda occidentale dava dei Paesi al di l della
cortina di ferro, il che per induceva a crederla falsa, anche perch il comunismo so-
vietico poteva vantare grandi successi che attiravano lattenzione dei media. In partico-
lare, tra il 1957 e il 1961, lURSS consegu successi spettacolari in campo aerospaziale,
riuscendo a lanciare il primo satellite artificiale al mondo e a mandare il primo uomo nel-
lo spazio. Limpatto fu enorme accreditando lURSS di una superiorit tecnico-scientifica
in realt inesistente ma considerata effettiva anche in Occidente; altra conseguenza non
meno importante fu il rinnovato oscuramento dei perduranti e gravi problemi sociali ed
economici che attanagliavano il Paese.
La convinzione comune era per ben diversa e Chru/v era in prima fila nel procla-
mare limminenza del sorpasso sugli Stati Uniti
5
. Proprio in ragione di tali risultati dati
4
V. Strada, Lutopia comunista come problema storico, Lettera internazionale, n. 78, 2003, p. 9.
5
Il programma del Partito, approvato nellottobre 1961, recitava: Nel prossimo decennio 1961-71, lUnio-
ne Sovietica nel creare la base tecnico-materiale del comunismo, superer nella produzione pro capite il pi
forte e ricco paese capitalistico, gli Stati Uniti (...). Tutti i colcos e sovcos si trasformeranno in aziende alta-
mente produttive e altamente redditizie; (...) scomparir il lavoro fisico pesante: lURSS diverr il paese con la
giornata lavorativa pi corta (...). La presente generazione del popolo sovietico vivr nel comunismo.
Pier Paolo Poggio
10
per acquisiti o imminenti venne avviato un percorso di revisione ideologica di grande ri-
lievo anche se in una sfera fantasmatica e immaginaria. Bisognava prendere atto che la
fase della dittatura del proletariato si era compiuta e che il passaggio al comunismo si
sarebbe realizzato non pi su basi classiste ma con il coinvolgimento dellintero popolo
sovietico. Il che significava porre allordine del giorno il processo di superamento delle
nazionalit e lo sviluppo di ununica lingua. Senza spingersi a questi estremi, Chru/v
al XXII congresso proclam apertamente listituzione dellob/enarodnoe gosudarstvo (lo
Stato di tutto il popolo) e implicitamente la fine della lotta di classe. Anche le relazio-
ni tra le diverse nazionalit sovietiche dovevano svilupparsi seguendo un percorso pro-
gressivo in direzione della formazione di un unico popolo sovietico. Lintera costruzio-
ne poggiava per sulla promessa di un effettivo e consistente incremento del tenore di
vita della popolazione, cosa che si scontrava con la perdurante penuria di generi di pri-
ma necessit a partire da quelli alimentari.
Lo iato tra le altisonanti promesse e la realt accentu ulteriormente il malcontento
sino a sfociare in vere e proprie rivolte, la pi grave delle quali si ebbe a Novo/erkassk
(1962), oltre tutto ad opera della locale classe operaia. Lintervento dellesercito provo-
c una strage, a cui fece seguito una durissima repressione con lerogazione di condanne
a morte e lunghe pene detentive. I manifestanti furono presentati, dallo stesso Chru/v,
come elementi antisociali, criminali e fannulloni. Il che nelle coordinate ideologiche vi-
genti era inevitabile essendo inconcepibile che degli operai protestassero violentemente
contro il loro stesso Stato e Partito. A latere si pu aggiungere che, in base a tale schema
mentale, oppositori e dissidenti finivano in manicomio: solo dei matti potevano rifiuta-
re il migliore tra i sistemi sociali possibili.
La baldanza di Chru/v, che lo indusse a clamorosi errori sia in politica interna che
estera, derivava da alcuni fattori oggettivi, da lui sopravvalutati per motivi ideologici.
Sul fronte interno leconomia sovietica, dopo decenni di difficolt e disastri, stava cono-
scendo una fase di effettiva espansione. Nel teatro internazionale, attraverso i movimen-
ti di liberazione anticoloniale, si era affacciato un terzo attore che sembrava propendere
molto di pi per il campo socialista, rafforzandolo enormemente, che non per quello ca-
pitalistico-occidentale, contro cui stava lottando. Daltro canto la linea della coesistenza
pacifica trovava ascolto nellopinione pubblica progressista, mentre a livello politico-so-
ciologico prendevano piede le teorizzazioni sulla tendenziale convergenza tra i sistemi,
con la prospettiva di un definitivo superamento della Guerra fredda.
In questo clima ottimistico, nellottobre 1962, si giunse improvvisamente ad un pas-
so dalla guerra atomica, a causa della partita a scacchi inscenata da Chru/v con lin-
stallazione dei missili sovietici a Cuba, motivata dalla difesa dellindipendenza dellisola
dagli attacchi statunitensi, in realt rispondente alla logica del mantenimento del duo-
polio mondiale della potenza.
Cosa niente affatto gradita alla Cina con cui, sempre allepoca di Chru/v, si consu-
m una rottura di cui, al momento, da pochi fu colta la portata e il significato. Una rottu-
ra tanto pi sconcertante e apparentemente incomprensibile se si considera che la poli-
tica cinese si ispirava allo stesso credo ideologico e operava scelte non dissimili da quelle
sovietiche, specie staliniane. Il che rendeva irritante, se non avventuristica, agli occhi di
Mao e degli altri leader cinesi, la principale operazione politica compiuta da Chru/v,
vale a dire la messa sotto accusa di Stalin.
Crisi e fine del comunismo sovietico
11
Lobiettivo di Chru/v di ridare vitalit al sistema sovietico liberandolo dal peso
rappresentato dalleredit di Stalin era privo di interesse per i cinesi che considerava-
no lURSS e Stalin consustanziali, inseparabili luna dallaltro. La rottura era ad un tempo
politico-ideologica e strategica. Mao non era disposto a rinunciare al metodo staliniano
della radicalizzazione della lotta contro i nemici di turno per far procedere la rivoluzio-
ne. Daltro canto la Cina era ancor meno disposta che in passato a riconoscere una qual-
che egemonia o ruolo di guida allURSS. Le concause della rottura furono molteplici, e di
lunga data, in ogni caso la questione di maggior rilievo ideologico e strategico concerne-
va il rifiuto maoista della politica della coesistenza pacifica, a cui veniva contrapposta la
classica tesi leniniana sulla guerra quale esito inevitabile dellimperialismo.
Per parte sua Chru/v era costretto ad imbucare la strada del revisionismo e del di-
sgelo, lunica che gli restava, dopo i decenni di guerra del potere contro il proprio po-
polo, per cercare di conquistare in breve tempo quei miglioramenti del tenore di vita,
indispensabili per riottenere il consenso popolare e mantenere fede alle promesse che le-
gittimavano il sistema avente nella rivoluzione dOttobre latto fondativo.
Dopo Stalin la questione dei consumi individuali e famigliari rappresentava il prin-
cipale punto debole del socialismo reale e ci non solo per loggettivo squilibrio con
i Paesi di punta dellOccidente, che non poteva essere compensato da garanzie e servizi
sociali universalistici (almeno in linea di principio). A causa della concentrazione asso-
luta delle aspettative sul lato materialistico dellesistenza, il soddisfacimento dei bisogni
doveva trovare un riscontro tangibile nel consumo di beni materiali. Il differimento di
tale aspettativa non poteva andare al di l della soglia della guerra, e siccome la Guerra
fredda veniva combattuta principalmente sul piano economico, comprensivo della pro-
duzione bellica, la questione si riproponeva intatta e aggravata. N i cittadini sovietici,
che sapevano dei consumi speciali riservati alla nomenklatura, potevano essere messi del
tutto al riparo dalle lusinghe e dal confronto con lOccidente. La cortina di ferro era
efficace ma insufficiente; del resto i soldati dellArmata rossa avevano potuto constatare,
nonostante le distruzioni belliche, che il tenore di vita in Germania e altrove era molto
pi alto che in URSS. Non cerano soluzioni possibili, tanto pi che lesperienza non era
quella di consumi bassi ma in crescita, bens di una cronica penuria di beni, che alimen-
tava leconomia in nero e forme varie di illegalit. Nel settore primario lesistenza di
due economie, quella statale e quella privata, rappresentava un dato strutturale e costi-
tuiva il riconoscimento ufficiale del fallimento del socialismo nelle campagne: la fornitu-
ra di derrate alimentari indispensabili era demandata a trenta milioni di piccole aziende
contadine. Ma la seconda economia (K.S. Karol) si estendeva a tutta una serie di altri
ambiti: cominci cos a prendere forma un sistema che legava la corruzione delle strut-
ture pubbliche a quella dei comportamenti della popolazione (...), il sistema di produ-
zione statale a quello privato, quello legale a quello extralegale o illegale
6
.
Chru/v, anche per la sua storia personale, non aveva alcuna possibilit di rompere
veramente con lo stalinismo. Per altri versi il suo tentativo di riformare il comunismo so-
vietico anticipa quello di Gorba/v. In fondo si tratt di un intermezzo tra lera di Stalin
e quella di Brenev. Il primo massacrava tranquillamente il suo popolo al fine di costrui-
6
A. Graziosi, op. cit., p. 374.
Pier Paolo Poggio
12
re il socialismo, per come lo poteva intendere un bolscevico ad un tempo dogmatico e
pragmatico. Il secondo si prefiggeva solo di conservare, ibernandola, la costruzione le-
niniano-staliniana. Chru/v, del tutto velleitariamente in ci simile a Gorba/v in-
tendeva rimettere in moto le masse, stremate dai decenni dello stalinismo, di vitalizza-
re dallalto la societ al fine di dare slancio alleconomia. Egli stato cos linventore di
una specie di populismo di apparato, che mirava a collegare gli aspetti autoritari dello
stalinismo e la base popolare in una nuova sintesi (...). Laspetto principale del chru/evi-
smo sta proprio nella volont di rimettere allintero popolo (...) una parte delliniziativa
confiscata dai vertici del partito
7
, restando allinterno dello stesso sistema sociale.
Nonostante il ruolo avuto nellattuazione della politica di terrore staliniana, si pu
convenire sul fatto che a Chru/v stesse veramente a cuore il miglioramento dellagricol-
tura e delle condizioni di vita dei contadini. Ma proprio ci rende pi significativi i suoi
fallimenti che discendono dallidea base dellinsuperabile arretratezza del mondo con-
tadino e quindi della necessit di decontadinizzare le campagne, generalizzandovi lor-
ganizzazione e il modo di produzione industriale, sostenuto dagli esiti pi avanzati della
ricerca scientifica che agli occhi di Chru/v era rappresentata dalle teorie di Lysenko, se-
condo una tipica concezione miracolistica e acritica del progresso della scienza.
Loperazione Terre vergini con la messa a coltura di oltre trenta milioni di ettari in
Siberia e Kazachistan, al fine di espandere la produzione di mais sul modello america-
no, rappresent limpresa pi impegnativa di Chru/v e un epitome della sua cultura
e mentalit, dallincancellabile imprinting staliniano. Senza lesinare in mezzi, soprattut-
to in forza-lavoro, bisognava dare lassalto alla natura e piegarla alle esigenze del socia-
lismo. Ai successi iniziali, con rese spettacolari, fece seguito una crisi profonda, la di-
minuzione drastica dei rendimenti, vasti fenomeni di erosione del suolo: lassalto aveva
prodotto un disastro ecologico.
In realt lintera vicenda sovietica andrebbe esaminata nellottica del contrasto insa-
nabile tra economia e ecologia, un settore di studi a cui gli scienziati sovietici diedero
un grande contributo, basti il nome di V.I. Vernadskij. A differenza che nelle economie
capitalistiche in cui la questione ecologica considerata irrilevante ovvero da gestirsi
estendendo il mercato ad ogni componente dellambiente, lURSS sembr prestare grandi
attenzioni alla protezione della natura, in primo luogo sottraendola al mercato, e quindi
riconoscendole un valore in s. Per altro, in perfetta simmetria con quel che accadeva al
lavoro, linsieme delle risorse naturali doveva essere a totale disposizione del potere che
poteva farne ci che voleva al fine di realizzare i suoi obiettivi, in primo luogo quello di
superare il capitalismo sul piano economico-produttivo.
Nel contesto del sistema sovietico, nonostante errori ed oscillazioni, Chru/v aveva
indubbiamente segnato una discontinuit, imprimendo una spinta contraddittoria ma
genuina per il rinnovamento dellURSS, ci provoc una reazione conservatrice da parte
dellestablishment che attraverso una congiura di palazzo capeggiata da Brenev, Pod-
gornyi e Suslov riusc a destituirlo. Prendeva cos avvio la fase di stagnazione che sfoce-
r nellimplosione dellUnione Sovietica.
7
A. Adler, Politica e ideologia nellesperienza sovietica, in Storia del marxismo, vol. IV, Einaudi, Torino 1982,
pp. 138-139.
Crisi e fine del comunismo sovietico
13
La stagnazione
La lunga transizione incarnata dallera Brenev (1964-1982) stata interpretata come
una forma di normalizzazione. Di sicuro un ritorno al terrore dispiegato non era pi
possibile, mancavano sia lenergia che la convinzione. La normalizzazione, gestita dal-
la burocrazia che si era sentita minacciata dallattivismo incoerente di Chru/v, una
sorta di stalinismo depotenziato, una versione russo-sovietica di totalitarismo morbido,
che prevede la repressione di chi la pensa diversamente ma che soprattutto si sostiene
sullapatia e la depoliticizzazione dei cittadini-sudditi, sulla diffusione della corruzione e
dellillegalit a tutti i livelli dellapparato di potere, mentre le persone comuni cercavano
rifugio e protezione nella vita privata, nella creazione di circuiti di relazione prepolitici.
Se lascesa al potere di Brenev era stata possibile per le preoccupazioni della no-
menklatura di fronte ai fermenti innescati dalla destalinizzazione, laccentuazione con-
servatrice della sua politica fu dovuta ai timori della leadership sovietica di fronte al mo-
vimento di contestazione che stava coinvolgendo lOccidente, in generale ostile allURSS
anche se pieno di illusioni verso la Cina maoista.
Anche in URSS e nel sistema sovietico il 68 ebbe modo di manifestarsi attraverso il
fiorire di iniziative da parte del mondo del dissenso, molto variegato al suo interno, ma
con la prevalenza, allepoca, di posizioni di sinistra sia socialiste che comuniste antista-
liniste. Lepisodio pi significativo fu il varo nellaprile del 68 del pi importante perio-
dico del samizdat, la Cronaca degli avvenimenti correnti. La svolta si ebbe per con la
primavera di Praga, vale a dire con la crisi di uno dei pilastri del sistema sovietico in
Europa centrale. Mentre emergevano le profonde differenze tra il movimento di conte-
stazione in Occidente e gli obiettivi che si ponevano gli insorti di Praga, il primo impe-
gnato a riautentificare il comunismo, i secondi a rompere con esso, la leadership sovie-
tica non dimostrava incertezze: i fermenti che provenivano dallOvest, e soprattutto il
pericolo che il contagio cecoslovacco si estendesse verso il cuore dellimpero
8
, vennero
percepiti come un pericolo mortale, accentuandone la chiusura burocratico-ritualistica.
Con il 68 il ciclo del comunismo sovietico, leniniano e staliniano, si chiude defini-
tivamente, cristallizzandosi in un organismo che mira alla pura sopravvivenza. Come in
altre epoche della storia russa il potere si autonomizza dalla societ, rinuncia a forgiar-
la, non concede nulla sul piano della libert politica ma lascia che la popolazione si con-
centri sulle necessit immediate della vita nel contesto dato. La volont di convincere
a ogni costo cedette il posto a un atteggiamento di compromesso: se in pubblico si era
sempre costretti a far professione di fede, in privato ognuno poteva pensare un po quel
che voleva. Gli anni di Brenev sono infatti gli anni di un conformismo esasperato, ot-
tenuto al prezzo di uno sdoppiamento costante delle coscienze
9
. Contemporaneamen-
te la secessione di intellettuali, artisti, religiosi si esprime nel dissenso, minoritario, divi-
so ma capace di creare e lottare.
8
Un timore che venne confermato dalle rivolte degli operai polacchi, nel dicembre 1970, sanguinosamente
represse da Gomulka, che aveva anche inutilmente richiesto lintervento dellesercito sovietico.
9
M. Ferretti, Il malessere della memoria. La Russia e lo stalinismo, Italia contemporanea, n. 234, 2004, p.
118.
Pier Paolo Poggio
14
Soprattutto in Occidente limmobilismo breneviano venne interpretato da molti os-
servatori come una conferma della stabilit e solidit del sistema, anche perch lURSS
beneficiava, ancora una volta, del cambiamento in atto sulla scena mondiale. Si pensi da
un lato alla crisi petrolifera e dallaltro allesito della guerra in Viet-Nam, due eventi che
colpivano duramente il mondo occidentale, ancora scosso dalle ondate della contesta-
zione, non amata dai sovietici ma dagli innegabili tratti anticapitalistici.
LURSS, a parte il dissenso di cui poco si sapeva, sembrava essere al riparo da ogni tur-
bolenza e conflitto, obiettivo scientemente perseguito dalla dirigenza sotto forma di im-
balsamazione e nuova glaciazione, dopo la fragile stagione del disgelo. Un clima ben
colto da Andrej Amalrik nel suo profetico pamphlet che, al di l di singoli errori di pre-
visione, poneva il tema, inimmaginabile per la stragrande maggioranza degli osservatori
e sovietologi, dellimminente fine dellURSS
10
.
In effetti, data la mancanza di conflitti aperti, lerosione dallinterno non era imme-
diatamente visibile; daltro canto le crisi novecentesche avevano avuto piuttosto un esi-
to esplosivo che implosivo, come avverr invece per lURSS. Gli indicatori principali era-
no tipici di processi di lunga durata: la crisi del mondo rurale, il declino demografico,
con la sconcertante diminuzione della speranza di vita, la cronica mancanza di beni di
consumo anche di prima necessit. La cosa che maggiormente colpiva e stupiva era la
perdurante arretratezza dellagricoltura, una sorta di ineliminabile zavorra che trascina-
va allindietro un Paese che, per altri versi, era una grande potenza industriale, oltre che
militare, con un apparato tecnico-scientifico di primo livello.
Come noto, la teoria bolscevica, ampiamente condivisa anche fuori dallURSS, pre-
vedeva che, nella fase della costruzione e sviluppo del sistema sovietico, lagricoltura, le
campagne, fungessero da supporto dei veri motori della modernizzazione, vale a dire
lindustria e le citt. Nei fatti una sorta di colonia interna da utilizzare per le esigen-
ze dellaccumulazione primitiva e principale serbatoio di manodopera. La seconda fase
prevedeva invece lallineamento e il superamento della divisione tra citt e campagna.
Come detto sforzi in tal senso, anche con soluzioni del tutto utopistiche, vennero fat-
ti lungo tutto larco della vicenda sovietica, a conferma che si trattava di uno dei pila-
stri dellideologia.
Nei fatti le campagne svolsero pienamente la funzione di serbatoio di manodopera,
ma a partire dalla collettivizzazione non riuscirono pi a sostenere leconomia del Pae-
se che, mentre esportava materie prime, era costretto ad importare derrate alimentari in
gran quantit: nella seconda met degli anni Settanta lURSS diventa il principale impor-
tatore di cibo del pianeta. Il progetto di cancellare la civilt contadina, concepita come il
ricettacolo dellarretratezza, era stato portato a compimento: le campagne uscivano dal
lungo esperimento sovietico del tutto svuotate di energia, con una popolazione apatica,
indifferente, completamente alienata. Lungi dal realizzare qualsiasi forma di socialismo,
erano state minate anche le basi di un possibile sviluppo del capitalismo agricolo, che lo
stesso Lenin, tanto prima quanto dopo la rivoluzione, aveva considerato una transizio-
ne imposta dallo stato delle cose.
Ma il pragmatismo e realismo di cui aveva dato prova Lenin, seppure nel contesto di
10
Cfr. A. Amalrik, Sopravviver lUnione Sovietica fino al 1984?, Coines, Roma 1970.
Crisi e fine del comunismo sovietico
15
un disegno strategico di estrema audacia, e indifferente per i costi umani che compor-
tava, non erano pi possibili se non sotto la forma degradata del compromesso e della
doppiezza. Da troppo tempo lUnione Sovietica viveva immersa in unatmosfera di fal-
sit e finzione.
Le analisi critiche dellURSS, sin dagli anni Trenta, avevano messo laccento sul ruolo
della menzogna nella costruzione della realt sovietica. Con il trascorrere del tempo la
menzogna divent sistematica e generale; gli stessi vertici del Partito dovevano mentire
non solo alla popolazione ma anche a se stessi: mentivamo nei nostri rapporti, sui gior-
nali, dal podio, ci rivoltolavamo nelle nostre menzogne (N.I. Rykov). Nellera Brenev
persino il KGB falsificava scientemente i rapporti segreti per contribuire alla costruzio-
ne di una realt immaginaria e edulcorata. Lungo tutta la vicenda dellURSS la manipola-
zione delle statistiche, utilizzate a fini propagandistici, aveva assunto dimensioni tali da
produrre effetti strutturali sul funzionamento delleconomia e la conoscenza della socie-
t. Se si considera limmagine che lURSS era riuscita a proiettare sulla scena mondiale, in
primo luogo presso i suoi sostenitori, dagli operai agli ambienti intellettuali progressisti,
si pu dire che la costruzione di una realt immaginaria ebbe un grande successo.
I contraccolpi interni furono per molto penalizzanti e sul lungo periodo lintera co-
struzione and in rovina, cosicch sia in Russia che altrove coloro che sono rimasti fe-
deli alla memoria dellURSS hanno dovuto aggrapparsi a Stalin e riabilitarne le pratiche
in nome della difficile costruzione del socialismo in un solo Paese. Legittimato e assol-
to Stalin, tutto il resto diventava pi facile: il fallimento dipendeva dal non averne segui-
to coerentemente le orme, in primo luogo rinunciando ad usare la violenza di fronte alla
crisi. Si tratta di una spiegazione senza controprova (a meno di assumere a modello sicu-
ramente vincente Tien An Men).
Per altro gli interventi armati in Cecoslovacchia e Afghanistan si rivelarono fallimen-
tari e luso della forza aveva piuttosto compromesso leconomia, come nel caso della col-
lettivizzazione, piuttosto che galvanizzato la capacit produttiva del sistema. Dopo gli
anni di Chru/v, pieni di contraddizioni e illusioni, leconomia sovietica entr in una
fase depressiva che rifletteva la sua debolezza strutturale, lincapacit di porre rimedio
allarretratezza dellagricoltura, alla bassa produttivit del lavoro, al crescente gap tec-
nologico nei confronti dellOccidente
11
.
La realt si rivelava non solo lontana ma letteralmente antitetica rispetto alla propa-
ganda. La costruzione del socialismo e poi del comunismo era stata affidata al successo
dellindustrializzazione (anche dellagricoltura) ma nei fatti lURSS si stava riducendo ad
un Paese esportatore di materie prime verso le economie capitalistiche. La dipendenza
dallesterno era mascherata dal rango di superpotenza mondiale e per il mantenimento
di tale status imponeva una crescente militarizzazione delleconomia, la concentrazione
delle risorse nellapparato militare-industriale, divenuto, assieme alla sicurezza, il vero
fulcro del comunismo sovietico
12
.
11
Anche per scelta della nomenklatura breneviana, lURSS aveva perso completamente i contatti con la
rivoluzione informatica. Negli anni Ottanta i calcolatori si contavano in poche migliaia mentre negli USA erano
gi molti milioni.
12
In presa diretta Cornelius Castoriadis lo definisce una stratocrazia. Cfr. C. Castoriadis, Devant la guerre,
Fayard, Paris 1981.
Pier Paolo Poggio
16
La politica di normalizzazione breneviana, con il suo clima di pace sociale, era ac-
compagnata da spese militari crescenti, sia nel campo delle armi strategiche che in quelle
convenzionali. Le spese militari coprivano una quota spropositata del reddito del Pae se,
vicina al 30% del totale. Per lopacit e la segretezza dei dati statistici, stime esatte non
sono possibili, in ogni caso il bilancio dello Stato era destinato in gran parte alle spese
militari. Allo stesso modo la quota preponderante degli investimenti in campo scientifi-
co concerneva ricerche di interesse bellico. Negli anni Ottanta i tre quarti di tutte le ri-
cerche scientifiche e dei lavori di sperimentazione avvenivano nellambito del comples-
so militare-industriale
13
.
significativo che le spese militari in URSS, nonostante le fasi di distensione, siano au-
mentate quasi costantemente, attraversando indenni le varie stagioni del poststalinismo,
senza che ci si possa interpretare come il portato della natura intimamente aggressiva
ed espansionistica dellURSS, secondo le perduranti letture da Guerra fredda. Lobiettivo
della gerontocrazia burocratica sovietica non era la rivoluzione mondiale ma la conser-
vazione del suo potere, sotto lassillo della sicurezza. Tale valutazione non viene smentita
neppure dallultimo intervento militare operato dallURSS con linvasione dellAfghani-
stan nel 1979, conclusasi disastrosamente dieci anni dopo. Lobiettivo sovietico era stato
quello di mantenere il controllo di unarea che veniva considerata strategica per la pro-
pria sicurezza. Leffetto pratico fu di dare slancio allIslam politico, affacciatosi impetuo-
samente sulla scena con la rivoluzione iraniana, causando nel contempo una catastrofe
umanitaria ai danni della popolazione civile afghana.
Limplosione
Dopo la morte di Brenev nel 1982, ci fu un primo tentativo di riforme dallalto da par-
te di Andropov, gi capo del KGB, ripreso con pi energia da Gorba/v, salito al potere
nel 1985 dopo lintermezzo di ernenko. Senza sottovalutare il ruolo e la capillarit del
dissenso, bisogna prendere atto che tutto il ciclo finale della vicenda sovietica si svilupp
senza un intervento attivo da parte della societ. In tutti gli ambienti prevaleva la passivi-
t e la sfiducia nei confronti della cosa pubblica. Decenni di predominio del Partito-sta-
to avevano indotto una privatizzazione galoppante; ognuno badava alla sopravvivenza
personale e della propria famiglia, abbandonandosi a quei comportamenti antisociali,
dallillegalit allalcolismo causa principale del tracollo dellaspettativa di vita nella po-
polazione maschile che il riformatore-poliziotto Andropov si riprometteva di colpire.
Lo stesso Andropov aveva individuato in Gorba/v il suo successore, ma la vecchia
guardia, timorosa dei cambiamenti, era riuscita a dilazionare, anche se di poco, il nuo-
vo corso. Lazione di Gorba/v fu ad un tempo efficace e micidiale, avendo come esito
la dissoluzione dellURSS. Ci dipese da due fattori contrastanti ma con effetto cumu-
lativo. Gorba/v era consapevole che lUnione Sovietica era da tempo in grandi diffi-
colt, in preda alla stagnazione se non al declino. Di qui la necessit di riforme radica-
13
I.V. Bystrova, Complesso militare industriale, in Dizionario del comunismo nel XX secolo, Einaudi, Torino
2006, vol. 1, p. 184.
Crisi e fine del comunismo sovietico
17
li, di una vera e propria ristrutturazione del sistema. Daltro canto era convinto della
bont del socialismo e della sua superiorit, almeno sul piano etico-politico, rispetto al
capitalismo.
In base a tale convinzione, Gorba/v e i suoi consiglieri decisero di attaccare a viso
aperto la mancanza di chiarezza e di trasparenza in cui vivevano le istituzioni e la socie-
t intera. La glasnost, vale a dire la conoscenza della verit, era per una medicina insop-
portabile per lorganismo artificiale e autoreferenziale a cui avevano dato vita i bolsce-
vichi
14
. I riformatori, di cui faceva parte Elcin poi principale rivale di Gorba/v, erano
un prodotto del sistema che volevano cambiare e migliorare ma non abbattere, almeno
sino alla crisi dell89. A tal fine essi cercarono di coniugare la fede nel socialismo sovie-
tico con le idee di base del dissenso, vale a dire la libert e la democrazia. Un innesto ri-
velatosi impossibile anche perch frutto di un colossale abbaglio sulla natura del comu-
nismo sovietico, forgiatosi, sin dallinizio, contro la democrazia e la libert.
Gorba/v, nonostante lenorme potere che aveva nelle mani, mantenendo fede allim-
pegno di non usare la violenza per conservarlo, fin col ritrovarsi isolato tra coloro che
avrebbero voluto restaurare la situazione antecedente, e che a tal fine si spinsero sino al
golpe fallimentare dellagosto 91, e coloro che, definitisi democratici, scelsero per il
salto di sistema, abbandonando il socialismo per linstaurazione del capitalismo liberale.
La decisione di Gorba/v di non usare la forza per costringere i cittadini sovieti-
ci, russi e non russi, a rimanere fedeli ad un sistema di cui era a capo, rappresentava sia
una novit che linizio della fine. Tanto pi che lo stesso atteggiamento fu mantenuto nei
Paesi satelliti, dove il socialismo aveva basi ancora pi fragili se non inesistenti. Qui il
crollo avvenne in poco pi di un mese avendo come epicentro la Germania Est. Anti-
cipato dallapertura delle frontiere ungheresi, il 9 novembre 1989 lannuncio che erano
abolite le restrizioni ai viaggi allestero determin labbattimento pacifico del muro di
Berlino da parte dei cittadini dei due settori della capitale tedesca.
In effetti tra tutti gli Stati satelliti creati da Stalin dopo la Seconda guerra mondiale,
la Germania Est era il pi rigidamente dogmatico e il pi fragile. Non a caso la leadership
sovietica, in tempi diversi non sarebbe stata contraria alla riunificazione della Germania,
purch su posizioni neutrali. La creazione della DDR aveva dovuto fare i conti con una
societ articolata e ricca di cultura, tenuta sotto controllo grazie ad un grande e capilla-
re apparato spionistico-repressivo. Lo stesso marxismo nella DDR non era privo di vitali-
t ma spesso insofferente per la cappa dogmatica che lo imprigionava. Dopo la precoce
ribellione del 1953, non cerano pi stati movimenti aperti di protesta, ma nel 1989, in
seguito alla riforma dallalto di Gorba/v e alla crisi da tempo in atto in Polonia, la rot-
tura cruciale avvenne in Germania Est sotto forma di unaperta secessione dei cittadi-
ni rispetto al regime: stato lesodo massiccio di cittadini dalla DDR verso lUngheria e
dallUngheria, attraverso la frontiera ormai parzialmente aperta verso lAustria e poi la
Germania occidentale, che ha rapidamente messo in discussione, oltre al regime politi-
co-sociale, la legittimit e lesistenza stessa della DDR
15
.
14
Le difficolt del percorso riformatore furono crudelmente messe a nudo dalla catastrofe di Cernobyl (26
aprile 1986) e da come fu gestita, che segnando la fine dellesaltazione tecnicistica acceler quella dellURSS.
15
A. Guerra, Il 1989, in Enciclopedia della sinistra europea nel XX secolo, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 813.
Pier Paolo Poggio
18
Giungeva a compimento una vicenda innestata dalla creazione staliniana di un im-
pero esterno, imponendo dallalto il modello sovietico e suscitando ripetute reazioni
sociali delegittimanti per il comunismo europeo: lEuropa sovietizzata non fu soltanto
lovvio tallone dAchille dellURSS come impero, ma il fattore storico primario che impe-
d linstaurazione della legittimit comunista nellEuropa del dopoguerra
16
.
Intanto anche in URSS la lunga stagione di apatia volgeva al termine; nellestate dell89
vi furono estesi scioperi di minatori, la parte pi compatta della classe operaia sovieti-
ca. Sempre i minatori ebbero un ruolo attivo nel 91, quando la loro opposizione alla pe-
restrojka svolse, secondo Gorba/v, un ruolo fatale nel destino dellUnione. In realt
le spinte centrifughe stavano diventando incontenibili e anche se la questione nazionale
non ebbe il ruolo cruciale che molti le attribuivano nel far precipitare la crisi, lindebo-
limento del centro e gli eventi nei Paesi satelliti incentivarono le spinte indipendentisti-
che, innanzitutto degli Stati incorporati con la Seconda guerra mondiale.
La crisi decisiva si produsse per al centro sotto forma di rottura russo-sovietica, vale
a dire tra Elcyn e Gorba/v. Questultimo, per normalizzare lURSS ponendo fine alla
saldatura Stato-Partito, intendeva svuotare di poteri il Partito, concentrandoli nella pre-
sidenza dello Stato sovietico
17
. Del resto il Partito in quanto organismo unitario sovieti-
co, interprete ed erede della rivoluzione, era ci che teneva assieme lURSS, senza di esso
lintero sistema collassava. A ci si aggiungeva che laffermazione della superiorit della
Russia perseguita da Elcyn faceva saltare il compromesso russo-sovietico su cui si reg-
geva lUnione. Il 12 giugno 1990 con la proclamazione della sovranit della Russia si in-
staura un vero e proprio dualismo di poteri che durer sino alle dimissioni di Gorba/
v il 25 dicembre 1991: La questione russa (...) rivelava la sua natura di principale que-
stione dellURSS, diventando il problema centrale della perestrojka, quello da cui dipen-
devano tutti gli altri
18
.
La struttura delleconomia sovietica e la peculiare politica delle nazionalit praticata
in URSS fece s che le popolazioni delle repubbliche periferiche venissero avvantaggia-
te dallarretratezza economica: La periferia, con i suoi prodotti a basso valore aggiun-
to diretti al mercato interno, poteva assicurare alla sua popolazione un tenore di vita su-
periore a quello del centro dellimpero (V. Zaslavsky), minando la fedelt della nazione
russa al sistema sovietico. su questo sfondo che Elcyn sviluppa la sua azione politica
volta a risolvere a favore proprio e della Russia, la partita ingaggiata con Gorba/v. Egli,
proveniente da una famiglia contadina colpita dalla collettivizzazione forzata, si mosse
con determinazione nel colpire il fulcro del sistema sovietico: al XXVIII e ultimo Congres-
so del PCUS, nel luglio 1990, annunci la sua uscita dal Partito e proclam la necessit di
scioglierlo. In effetti, eletto nel luglio 1991 presidente della Russia, sospese e poi nel no-
vembre 1991 soppresse il PCUS.
I tentativi di Gorba/v di mantenere in piedi e nello stesso tempo riformare lURSS,
ovvero il comunismo sovietico, vennero frustrati nonostante la sua energia ed abilit. Il
dualismo si rivel irrisolvibile anche perch Gorba/v venne a trovarsi sotto attacco su
16
S. Pons, Concettualizzare l89: la prospettiva storica, Passato e Presente, n. 80, 2010, p. 21.
17
Al fine di democratizzare il sistema senza uscire dalle coordinate del socialismo, Gorba/v si spinse sino a
lanciare, nella XIX Conferenza del PCUS (1988), la parola dordine di ridare tutto il potere ai soviet, come se
non si rendesse conto che i soviet, da sempre, erano stati politicamente cancellati e ridotti a meri ectoplasmi.
18
A. Graziosi, op. cit., p. 614.
Crisi e fine del comunismo sovietico
19
due fronti, da un lato i conservatori, dallaltro i democratici. La sua aperta rottura col
bolscevismo per gli uni era troppo, per gli altri troppo poco. I nazionalcomunisti mira-
vano a ricentralizzare sulla Russia lesperienza sovietica, i democratici propugnavano lo
smantellamento immediato del socialismo in nome del mercato autoregolantesi. Lideo-
logia sovietica si era interamente consumata e non riusciva n a frenare le spinte centri-
fughe nazionalistiche, di cui si facevano interpreti gli stessi partiti comunisti delle varie
repubbliche, n a fronteggiare le nuove-vecchie ideologie che stavano prendendo piede,
quella nazionalista e quella liberista.
Secondo Aleksandr Jakovlev, tra i principali collaboratori di Gorba/v, il fallimen-
to del tentativo di riformare e rilanciare il socialismo sovietico discendeva da una illu-
sione condivisa da tutti coloro che in URSS come in Occidente non avevano portato sino
in fondo la critica del bolscevismo e del sistema a cui aveva dato vita. Per tutti costoro
lURSS era lincarnazione storica del socialismo, ovvero il socialismo realmente esistente,
il socialismo possibile nelle condizioni date, da riformare senza distruggere. Una tesi an-
cora oggi condivisa dai nostalgici dellURSS, solo che, dice Jakovlev: alla prova dei fatti
emerso che il socialismo nellUnione Sovietica non mai esistito: si trattava di un vol-
gare regime dittatoriale di tipo dispotico.
La breve storia del comunismo sovietico successiva alla caduta del muro e alla fine
dellimpero esterno si svolta tutta attorno al destino dellUnione Sovietica, principale
posta in gioco, ultima e unica fonte di legittimazione della specifica ed egemonica for-
ma di comunismo prodotta dalla vittoria bolscevica nella rivoluzione del 17. Lintento
di Gorba/v era di riformare e superare il comunismo di stampo bolscevico-staliniano
senza abbattere lURSS. Elcyn, a cui erano estranee le preoccupazioni ideologico-politi-
che in merito alle sorti del socialismo, mirava a farla finita con lUnione Sovietica. A tal
fine, riprendendo la celebre formula leniniana, riconobbe il diritto di autodeterminazio-
ne delle repubbliche socialiste sovietiche, a partire da quelle baltiche. LUnione dove-
va sciogliersi e lasciare posto a Stati sovrani indipendenti, il primo dei quali era la Russia,
come fulcro di un assetto che non aveva pi alcun rapporto con il passato socialista.
Per tentare di bloccare la dissoluzione dellUnione Sovietica, perseguita anche dal-
le altre repubbliche, compresa lUcraina, sarebbe stato necessario il ricorso alla forza,
ma n Gorba/v n i vertici militari erano disposti a compiere tale passo. Daltro canto
agli schieramenti in campo non corrispondeva alcuna mobilitazione della popolazione.
La costruzione dellURSS era avvenuta a prezzo di sommovimenti sociali e conflitti san-
guinosi e tutto il processo aveva avuto come perno luso della violenza. La fine del so-
cialismo sovietico avviene invece in modo pacifico e quasi nellindifferenza della popo-
lazione che da tempo aveva preso atto del paradosso richiamato da Gorba/v nel suo
discorso daddio: Avevamo di tutto e in abbondanza: terre, petrolio, gas, intelligenza e
talento eppure abbiamo vissuto molto peggio dei popoli degli altri Paesi industrializ-
zati e il divario andava costantemente allargandosi (...) Non era possibile andare avan-
ti cos.
In fondo tutti i dirigenti bolscevichi avevano agito nella convinzione che il sociali-
smo, al di l di ogni altro aspetto, si sarebbe affermato se avesse dimostrato la sua supe-
riorit economica rispetto al capitalismo usando tutti i mezzi, compresa la violenza. Tale
via era stata perseguita sino in fondo, il suo fallimento delegittimava lesistenza del so-
Pier Paolo Poggio
20
cialismo in base agli stessi principi che si era dato. Il tentativo di riformarlo ebbe come
effetto di affrettarne la fine.
Con la dissoluzione dellURSS la privatizzazione delleconomia si tradotta in for-
me variegate di accaparramento dei beni statali da parte dei poteri politici che control-
lavano quei beni ed erano in grado, nellassenza di controlli, di trasformarli in patrimo-
ni privati. La forza dellapparato, il suo strapotere sulla societ, risalente per certi aspetti
allepoca pre-sovietica, si espressa in spinte neopatrimoniali e neofeudali, capaci di in-
quinare i processi di democratizzazione, preparando il terreno ad una ricentralizzazio-
ne del potere.
Visto il grande successo della Cina ad un tempo comunista e capitalista legittimo
chiedersi perch lURSS e poi la Russia non abbiano seguito tale via. Il bolscevismo di
mercato di Elcyn e del suo successore Putin, ma forse lidea si pu far risalire allenig-
matico Parvus, non ha sinora prodotto grandi risultati economici, visto che tutto si reg-
ge sullesportazione delle materie prime, in primo luogo delle fonti energetiche.
Senza la pretesa di spiegazioni esaustive, segnaliamo due elementi: da un lato il fatto
che in Unione Sovietica lesperimento socialista, pur con tutte le perversioni, si svilup-
pato con unestensione e una profondit senza pari, esso rappresenta tuttora un retag-
gio difficile da cancellare e inglobare, al di l delle amnesie di comodo o indotte artifi-
cialmente. In secondo luogo bisogna tener conto della forza dellanticapitalismo russo,
uneredit potente anche se sotterranea, di cui si fatto interprete il maggiore intellet-
tuale e scrittore russo della seconda met del Novecento. In Aleksandr Solzenicyn la cri-
tica dellURSS ha il suo contraltare e completamento nella critica dellOccidente, luogo
del nichilismo e del terzo totalitarismo, quello democratico, incentrato sul dominio
del denaro e della tecnica.
Anche il pieno inserimento nel mercato globale non ha prodotto i frutti politici che i
suoi fautori propugnavano e propagandavano. In realt il sistema sovietico non era mai
stato uno spazio economico chiuso: significativi e spregiudicati rapporti cerano stati nei
primi anni e decenni sia con le democrazie occidentali, in particolare gli USA, sia con le
dittature fascista e nazista. Neppure la Guerra fredda aveva reso la cortina di ferro una
barriera invalicabile agli scambi economici. Una fase nuova si era poi avuta con laffer-
marsi della Ostpolitik di Willy Brandt. Negli anni Settanta la Germania federale assurge
a partner strategico per leconomia sovietica.
Su questo sfondo la crisi dellURSS fornisce allEuropa occidentale e in primo luogo
alla Germania unificata loccasione per una aggressiva penetrazione verso Est, favorita
dalla politica economica liberista, divenuta il credo ufficiale della Russia post-sovietica.
Un po tutti i Paesi dellEuropa orientale e la stessa Russia diventano terra di conquista,
una sorta di nuova frontiera che promette guadagni illimitati, con manodopera a bas-
so costo, anche in condizioni semischiavili, affari leciti e illeciti, eliminazione dei lacci e
lacciuoli che in patria condizionavano il libero dispiegarsi degli spiriti vitali del capita-
lismo. Si trattato probabilmente del pi grande fallimento della politica europea de-
gli ultimi due decenni. Leconomia al primo posto ha significato lincapacit di dare lin-
fa ad un antico legame e ridefinire con arricchimenti reciproci il rapporto ineludibile tra
Russia e Europa.
La Russia post-sovietica conserva tratti enigmatici, il potere cavalca il nazionalismo
come collante ideologico, mentre pratica un affarismo spregiudicato. Di sicuro limplo-
Crisi e fine del comunismo sovietico
21
sione del comunismo sovietico non ha inaugurato un processo di democratizzazione ed
affermazione della libert. Si sviluppata una transizione pilotata dallalto in cui si com-
binano elementi del passato russo e di quello sovietico. Il potere rimasto in mano alla
nomenklatura e ai suoi eredi, postisi alla guida di un capitalismo clientelare che vive de-
gli introiti dei prodotti petroliferi. La continuit data dal prevalere dellelemento au-
tocratico, la discontinuit dal fatto che in epoca sovietica i detentori del potere si con-
sideravano lincarnazione di unidea universalistica alla guida di un processo storico
generale che aveva il suo epicentro nellURSS. I nuovi governanti hanno di mira il loro
tornaconto immediato, vedono nello Stato russo solo uno strumento per le loro ru-
berie, su scala nazionale o, meglio ancora, globale (J. Afanasev). Hanno costruito uno
Stato azienda per fare affari con i loro omologhi occidentali. Il peggior capitalismo si
insediato nelle terre devastate dal socialismo staliniano.
Nella nuova Russia di Putin leredit sovietica viene conservata e riassorbita senza
fare i conti con la sua vera natura attraverso un duplice movimento: dellURSS si rivendi-
ca il ruolo storico-universale avuto con la Grande guerra patriottica, pi in generale la
statura di superpotenza industriale-militare. Questo discorso pubblico ha per un sot-
totesto noto a tutti ma che non viene esplicitato, vale a dire una seconda continuit, in-
carnata in primo luogo dagli uomini dei servizi segreti, tra lapparato di potere attuale e
quello sovietico.
Lartificialit della costruzione sovietica e lirrisolto rapporto tra Russia e URSS in-
duceva molti osservatori e studiosi ad identificare nella questione nazionale il tallone
dAchille del socialismo sovietico. In effetti ai confini dellimpero i conflitti nazionali si
sono sviluppati in modo acuto ma lelemento cruciale per la dissoluzione dellURSS sta-
ta la crisi socioeconomica su cui si innestato il nazionalismo russo, per altro ingredien-
te fondamentale della stessa vicenda sovietica, fortemente impregnatasi di umori nazio-
nalbolscevichi, come nel caso del paradossale comunismo russo di Stalin, per non dire
della persistenza di elementi sovietici nel regime di Putin.
Bisogna tener conto che il nazionalismo sovietico, in quanto realizzazione del bolsce-
vismo, sarebbe rimasto una contraddizione in termini, una costruzione fantastica e con-
traddittoria, se non si fosse calato in uno spazio-tempo determinato, la Russia. In questo
senso si pu dire che fosse una vera novit storica, un nazionalismo russo e non russo
(V. Strada), che si rifaceva a unideologia internazionalistica e contemporaneamente la
tradiva, vista la priorit e centralit del Partito comunista sovietico, derivazione diretta
e prosecuzione del bolscevismo russo, su ogni altro partito o movimento comunista del
mondo, compreso il Comintern per non dire del Cominform.
Sulla base di queste coordinate e sullo sfondo della crisi dellURSS, si realizza una sal-
datura tra nazionalismo e comunismo che va ben al di l degli ambienti intellettuali ere-
di del nazionalbolscevismo. I nazionalisti russi mettevano tra parentesi lanticomunismo
per approdare alla valorizzazione del sistema che aveva consentito di costruire un impe-
ro, facente perno sulla Russia, in grado di reggere il confronto con lOccidente.
Daltro canto i quadri comunisti del Partito, dellesercito e della polizia politica si
convertivano al nazionalismo. La vicenda sovietica si chiude approdando agli antipodi:
dellinternazionalismo delle origini, principale elemento di affermazione e legittimazio-
ne del bolscevismo, non resta neppure il ricordo.
Pier Paolo Poggio
22
Dopo la fine
Le interpretazioni generali dellURSS, attraverso il dibattito sulla sua natura sociale, era-
no state fissate da tempo e si possono riassumere in una tipicizzazione schematica e som-
maria. In primo luogo lURSS attraverso la rivoluzione dOttobre avrebbe rappresentato
la realizzazione storico-pratica del marxismo. Tesi che accomunava i sostenitori pi ac-
cesi ai critici pi radicali, convinti del ruolo determinante svolto dallideologia. Secondo
altri lURSS e la rivoluzione dOttobre non hanno costituito la realizzazione bens il per-
vertimento o tradimento del marxismo.
Tali interpretazioni si articolavano poi variamente: secondo molti Lenin nel bene
e nel male aveva fortemente innovato la dottrina, divenendo nella teoria e nella pras-
si il demiurgo del comunismo novecentesco, con tutto ci che ne consegue alla luce de-
gli eventi. Altre interpretazioni hanno dato molto pi spazio allincidenza del contesto
storico, in sintesi al ruolo della Russia rispetto allURSS, inclusa la sua natura imperiale,
espressasi nello zarismo e poi nel comunismo e ben presente nel postcomunismo, no-
nostante la caduta di status e di immagine. Per alcuni il comunismo sovietico era essen-
zialmente una dittatura di sviluppo che aveva consentito la creazione di una grande
superpotenza militare industriale, con costi umani molto rilevanti, accompagnati per
dalla costruzione di uno Stato sociale tendenzialmente universalistico. In definitiva, at-
traverso la forma specifica del comunismo sovietico, era stato possibile passare dallar-
retratezza alla modernit. Una tale interpretazione viene frontalmente respinta da chi
considera lesperienza sovietica un totale fallimento e un arretramento rispetto alla stes-
sa Russia zarista di fine Ottocento-inizi Novecento, in via di rapido sviluppo se non di
vera e propria democratizzazione e liberalizzazione. da registrare per una notevole
divaricazione in merito alle cause del fallimento, esse infatti sono da imputare, per al-
cuni, allideologia e prassi marxista-leninista, per altri al prevalere, sotto la facciata so-
cialista-sovietica, di una Russia profonda, antioccidentale e antiliberale, per influssi bi-
zantini e asiatici, sino a fare del comunismo russo-sovietico vuoi una reincarnazione del
messianismo religioso ortodosso (Mosca come Terza Roma) vuoi una versione industria-
le del dispotismo asiatico.
Si pu dire che queste diverse e anche opposte letture abbiano accompagnato tut-
ta la vicenda sovietica con aggiustamenti e arricchimenti di cui non possibile qui dare
conto, e che in qualche misura siano ancora in campo, nonostante il verdetto della sto-
ria appaia inequivocabile, e per alcuni aspetti sicuramente lo sia. Resta il fatto che a dif-
ferenza del nazismo, e con qualche somiglianza con il fascismo, oggetto anchesso di re-
visioni relativizzanti se non riabilitanti, il dibattito sullURSS e sul comunismo sovietico
rimane ancora aperto, seppure ai margini della scena politica e culturale, segno di un
non compiuto superamento, nonostante lampiezza del lavoro di ricerca storiografica.
In tale ambito, non senza linfluenza delle interpretazioni generali richiamate, gli stori-
ci si sono confrontati a lungo sullapplicazione o meno della categoria di totalitarismo
allURSS; la sua fine, mettendo fuori gioco le letture revisioniste pi spinte in senso filo-
sovietico, ha spostato il fulcro del dibattito anche perch si deve fare i conti con la sto-
riografia post-sovietica, sia russa che delle altre repubbliche dellex URSS. Leffetto com-
plessivo sembra essere quello di una ricentralizzazione sullelemento nazionale, quindi
sulle specificit russe del comunismo sovietico, indebolendo il paradigma totalitario ne-
Crisi e fine del comunismo sovietico
23
cessariamente comparativo e sociologizzante, sia che privilegi il ruolo guida dellideolo-
gia e della progettualit politica sia che si concentri su elementi impersonali e incontrol-
labili quali le dinamiche sistemiche distruttive di apparati che si reggono sulla violenza
e il terrore.
Rischia di sfumare del tutto perch priva di interesse, o gi risolta nei fatti, la que-
stione del rapporto tra il comunismo sovietico e il comunismo novecentesco nelle sue
varie coniugazioni, ovvero tra comunismo e altre correnti e movimenti rivoluzionari del
Novecento, per non dire dellipoteca che il comunismo sovietico, a lungo egemone pri-
ma della sua autodissoluzione, getta su ogni altra formulazione di idee, progetti, prati-
che volte ad oltrepassare lo stato di cose esistente, vale a dire il capitalismo come for-
ma di civilt unica e globale e senza alternative dopo la vittoria conseguita nei confronti
di un nemico tanto temuto quanto intimamente debole, anche perch mirava a sconfig-
gere il capitalismo rimanendo sul suo stesso terreno, oltre ad usare metodi peggiori e
meno efficaci.
Alla luce degli sviluppi della storia russa post-sovietica, linterpretazione del comu-
nismo come realizzazione pratica del marxismo, e verifica del suo fallimento, ha un po
perso terreno rispetto allaltra grande corrente interpretativa che ha considerato lURSS e
lo stesso bolscevismo espressioni di una fortissima specificit culturale russa. Il rischio di
queste interpretazioni onnicomprensive di essere sovrastoriche, poco pi che schemi
in cui ingabbiare la realt e darle un ordine e una spiegazione, con risultati a volte para-
dossali. Cos la filiazione Marx- Lenin- Stalin con la sottolineatura della piena continuit
tra il fondatore della dottrina e teorico dellunit di teoria e prassi e i suoi seguaci rus-
si, innovatori e realizzatori pienamente sovrapponibile, anche se con segno rovesciato,
alla genealogia marxista-leninista che fungeva da fondamento ideologico del socialismo
sovietico. Ma rischi non inferiori si corrono applicando acriticamente il paradigma russo
sia in termini apologetici che critici. In entrambi i casi si perde di vista la specificit del
comunismo sovietico e la valenza storica periodizzante della rivoluzione del 17.
Lobiettivo di arrivare ad una societ senza classi, attraverso la costruzione del popo-
lo sovietico, fatto da uomini nuovi, uomini sovietici, definisce limpianto ideologico
del comunismo russo-sovietico, in ci del tutto differente da quello fascista e nazista ba-
sato sulla gerarchia e lesclusione. Il comunismo, russo e sovietico, invece fortemente
inclusivo e totalmente egualitario, mirando alla completa omogeneit della societ. Solo
che labolizione di ogni differenza, attuata attraverso la totale concentrazione del pote-
re nel Partito (che avrebbe dovuto essere un organismo impersonale) si traduceva nel-
la pura e semplice cancellazione degli individui, ridotti a risorse lavorative, forza-lavoro
di propriet dello Stato. La costruzione del socialismo ad opera di Stalin significava una
duplice e simmetrica distruzione: degli individui e della societ in quanto prodotti sto-
rico-culturali, portatori di uneredit che doveva essere cancellata. La costruzione del
socialismo dice Jurij Afanasev fu la messa in atto di un piano per sradicare nel modo
pi completo lelemento umano della struttura sociale e per creare un ambiente sociale
artificiale in tutta lUnione Sovietica
19
.
Mentre il nazismo voleva modellare la societ secondo la natura di cui sarebbero
espressione le razze, eliminando gli ebrei e altri elementi antinaturali, il comunismo so-
19
J. Afanasev, De profundis per la Russia, Lettera internazionale, n. 101, 2009, p. 41.
Pier Paolo Poggio
24
vietico ha come obiettivo la costruzione di un artefatto sociale ad opera dello Stato, se-
condo le direttive del Partito. Linsieme dei provvedimenti assunti, sino allestremo del
terrore contro gli elementi anti-sovietici, i nemici soggettivi e oggettivi del sistema, coe-
rente con una tale finalit, che riduce a strumenti al servizio dello Stato gli individui ed
ogni articolazione della vita sociale, la cultura, larte, la scienza. In linea di principio non
esistono sfere o ambiti protetti, sul piano dei comportamenti ma ancor prima su quel-
lo del pensiero; tutti possono e debbono essere sospettati. Questo impianto orwelliano
del comunismo sovietico si mantenne sino alla fine, ma la fase espansiva, dopo il culmi-
ne staliniano, non supera gli anni Sessanta, il ventennio successivo caratterizzato dal-
la stagnazione a cui fa seguito un tentativo di riforma e rilancio che accelera la dissolu-
zione e fine.
Il centro elaboratore dellideologia coincide con il detentore monopolistico della for-
za, il Partito-Stato, che si trasforma nel tempo, divenendo da partito di quadri a partito
di massa senza mai perdere sino al crollo unegemonia che non ha precedenti stori-
ci e che distingue il sistema sovietico dai totalitarismi coevi, in cui la funzione del capo
carismatico cruciale e dove esistono molteplici centri di potere e di elaborazione ideo-
logica in lotta tra di loro.
Nel caso sovietico tutto passa attraverso il Partito e al suo interno. Sarebbe per sba-
gliato immaginare che il Partito fosse separato dalla societ, anche se non gli riusc, no-
nostante enormi sforzi e ogni sorta di disastri, di modellarla secondo i suoi intenti. Nella
societ il Partito ebbe i suoi terminali e i suoi sostenitori, sia al momento della rivoluzio-
ne e presa del potere che negli anni e decenni successivi. Ci fu sicuramente uno stalini-
smo operaio e proletario. Tutto il potere era concentrato nel vertice ma non tutto veni-
va dallalto, cera una continua interazione tra vertici e base, almeno sino a quando non
prevalsero lapatia e lopportunismo.
Lintero apparato che costituiva lossatura dellURSS in campo politico, giudiziario,
militare, economico, culturale faceva capo al Partito, attraverso linsieme dei suoi comi-
tati, da quello Centrale a quelli territoriali. Ogni comitato disponeva di propri elenchi
(nomenklatura) di mansioni sottoposte al suo diretto controllo (O.V. Chlevnjuk), con
diritto di nomina, trasferimento, destituzione. In tal modo il Partito fungeva da princi-
pale agenzia di collocamento del Paese. Al vertice dellintero sistema cera il Politbju-
ro del Comitato centrale, a sua volta facente capo al Segretario generale del PCUS. Le di-
mensioni complessive del Partito erano impressionanti: nel 1986, prima della sua rapida
fine, contava oltre 18 milioni di iscritti (10 % della popolazione), raggruppati in circa
450 mila organizzazione primarie (cellule).
La concentrazione del potere nel Partito e nelle sue articolazioni, cos come la cen-
tralizzazione delle decisioni nel contesto di un sistema altamente burocratizzato, causa-
vano sia un eccesso che un occultamento di informazioni. La conseguenza, specie a li-
vello economico, era che per uscire dallimpasse ci si affidava allimprovvisazione. La
stessa pianificazione era una finzione: essendo uno strumento al servizio del potere poli-
tico mutava arbitrariamente a seconda delle esigenze di chi lo deteneva.
Ancor pi che negli altri sistemi totalitari il consenso e ladesione al comunismo so-
vietico, sia nel perimetro dellURSS, a cui qui ci riferiamo, che nellimpero esterno e nel
mondo intero, necessitano di una valutazione attenta e ricerche capillari, mentre le scor-
ciatoie ideologiche sono esiziali. Riteniamo in particolare che sia da respingere netta-
Crisi e fine del comunismo sovietico
25
mente la tesi che finisce con lindividuare negli stessi operai e contadini, russi e non rus-
si, i responsabili in ultima istanza del fallimento del comunismo sovietico, presentato
come lespressione autentica del mondo del lavoro, che nei suoi confronti non avrebbe
manifestato solo consenso ma totale identificazione. Ne consegue che il crollo e i di-
sastri precedenti sarebbero da imputare ad un insuperabile, ontologico, deficit politi-
co e umano dei lavoratori. In breve, dopo l89 la colpevolizzazione si estende dai con-
tadini agli operai, attribuendo loro il fallimento della teoria che ne aveva fatto la classe
messianica e salvifica.
Queste elucubrazioni, oltre ad essere intellettualmente discutibili, sono anche prive
di fondamento storico fattuale. Esse oscurano completamente il dato saliente costituito
dalla guerra condotta dal regime contro il proprio popolo, che doveva essere abolito per
lasciare il posto alla vera classe operaia sovietica, letteralmente da produrre nel crogio-
lo dellindustrializzazione forzata. In tutta la sua parabola storica il comunismo sovieti-
co, in realt unicamente bolscevico, si affermato colpendo duramente i lavoratori, la
classe eletta, oltre che altri gruppi sociali, le classi che dovevano sparire. Ci non toglie
nulla alla tragedia di lotte sanguinose allinterno del proletariato, delle sue articolazioni
sociali e frazioni politiche, minando le teorizzazioni sul finalismo soprastorico e ontolo-
gicamente rivoluzionario della classe operaia, di cui le sopracitate diagnosi pessimistiche
sono il rovesciamento simmetrico.
Linterpretazione molto pi lineare secondo cui il fallimento del socialismo in Unio-
ne Sovietica era iscritto nelle premesse si articola in due varianti. Nella prima il proget-
to di superamento del capitalismo era impossibile dato che, come prevedeva la dottrina,
esso avrebbe dovuto saldarsi ad una rivoluzione vittoriosa in Occidente e non rimane-
re relegato in Russia e negli altri Paesi dellex impero zarista. La seconda tesi argomen-
ta che la rivoluzione contro Il Capitale era semplicemente impossibile e che i bolscevichi
non erano in grado di sfruttare i vantaggi dellarretratezza, dato che la rivoluzione ple-
bea che avevano capeggiato era precisamente il prodotto di quella stessa arretratezza.
Sono letture del Novecento sovietico incardinate attorno al tema della modernizza-
zione e che leggono il tutto alla luce di tale categoria, cosa legittima dato che il potere so-
vietico, almeno da Stalin in poi, scelse proprio questo terreno come banco di prova. Per
altro sia il pensiero socialista europeo che la cultura russa, nonch un vasto continente di
esperienze rimaste sotterranee, si erano caratterizzate per la ricerca di alternative al do-
minio delleconomia e della forza. Non si pu nemmeno dire che tutto sia stato cancel-
lato e distrutto, nonostante lazione congiunta delle potenze ideologiche e politiche che
hanno dominato, con le loro guerre, la scena del Novecento.
Anche in ragione delle implicazioni teoriche lo studio delle basi sociali del sistema
sovietico particolarmente importante. Secondo alcuni ladesione e il successo popolare
conseguiti dallo stalinismo furono tali da dar vita ad una specifica civilt sovietica cen-
trata sullesaltazione del lavoro, della produzione, del dominio della natura. Si pu con-
venire con una tale rappresentazione purch si tenga sempre presente quale fu il risvolto
di sangue e terrore di tale civilt, oltre che la sua intrinseca fragilit.
Di sicuro la documentazione disponibile consente di registrare il consenso che le
stesse politiche repressive di Stalin e dei suoi successori ebbero presso certe fasce del-
la popolazione: lo dimostrano le lettere di denuncia indirizzate alle autorit e ai giorna-
li. Resta da vedere se queste forme di complicit con il potere derivassero da convinzio-
Pier Paolo Poggio
26
ni ideologiche oppure da motivi pratici e vantaggi materiali o da un mix tra le due cose.
Indubbiamente il sistema aveva una propria base sociale, mantenuta e consolidata nel
tempo sino allidentificazione e intercambiabilit, se non altro perch sistema e appara-
to, vasto e capillare, erano la stessa cosa.
Lesistenza e la consistenza di questo vasto corpo intermedio, sempre pi articola-
to e ramificato allinterno di tutte le istituzioni e organizzazioni, conferisce allURSS la
sua inconfondibile fisionomia burocratica, non senza profondi legami con la Russia za-
rista, secondo una continuit che unisce i vari cicli della storia sovietica, pur profonda-
mente diversi tra di loro, come esemplificato dalle figure di Stalin, Chruscv, Brenev e
Gorba/v, a loro volta aventi in Lenin il loro referente comune. Si pu quindi sostenere
che pur avendo una durata e sviluppi interni che lo differenziano dagli altri totalitarismi
politici novecenteschi, il comunismo sovietico fu un sistema unitario, definito nelle sue
coordinate di fondo allepoca di Lenin e Stalin.
La sua crisi e dissoluzione, allorch si tenta di riformarlo e innovarlo in profondit,
ne costituiscono lovvia controprova, purch si tenga presente che la dimensione russa
inseparabile da quella sovietica. da questa inestricabile saldatura che deriva la peculia-
rit, la forza e debolezza dellURSS, nel cui contesto storico-culturale, ad un tempo rus-
so e sovietico, nessuna Tien An Men avrebbe potuto risolvere la crisi e dare slancio ad
un solido bolscevismo di mercato. quindi legittimo sostenere che nel Novecento ci
sono stati diversi comunismi ma altrettanto vero che solo il comunismo sovietico riu-
scito ad assurgere ad una dimensione storico-universale. N al momento del manifestar-
si palese della crisi, almeno dal 1956, e neppure dopo la sua fine sono emersi altri comu-
nismi, veramente diversi e alternativi.
quindi giusto collocarlo al centro del Novecento, sicuramente per quanto riguarda
lEuropa, valorizzando contestualmente le esperienze e le analisi degli eretici impegnati
in una critica radicale del comunismo sovietico, e per tale motivo scomunicati, piuttosto
che soffermarsi su varianti e vie nazionali, di interesse locale, nonch inconcludenti, an-
che perch incapaci di fare i conti con lepicentro del comunismo novecentesco, se non
nella forma della resa o della liquidazione della loro stessa storia.
Dopo l89 e la fine dellUnione Sovietica il comunismo scomparso, ma non del tut-
to. A parte i nostalgici, esso aleggia in confuse teorie politico-filosofiche ed presente
in deboli esperienze che cercano di coniugare universale e locale. Come comunismo di
mercato sta avendo in Cina un enorme successo, al punto che la sfida nella competizio-
ne economica persa clamorosamente dal comunismo sovietico sembra essere alla porta-
ta dei suoi tassi di crescita. per una vittoria basata sulla resa alle ragioni dellavversa-
rio; un gigantesco fenomeno nazionale, se si vuole continentale, interno al sistema, alla
sua logica, alle sue finalit.
Siccome per n il capitalismo planetario n i fondamentalismi pseudo-universalisti-
ci che lo fronteggiano sembrano in grado di dare una soluzione dignitosa alla sopravvi-
venza e vita dellumanit attuale e futura, possibile che la scomparsa del comunismo
sia solo temporanea. Di sicuro non potr ripresentarsi nella sua veste novecentesca: que-
sta una storia definitivamente chiusa, ricca di insegnamenti per chi voglia imparare e
capire. A tal fine la rimozione, insediatasi dopo lesaltazione o la deprecazione, deve la-
sciare il posto alla conoscenza della verit. su questo terreno che critici e dissiden-
Crisi e fine del comunismo sovietico
27
ti si incontrano, accomunati dalla lotta contro un avversario in apparenza enormemen-
te pi forte.
Una lotta difficile perch condotta contro chi proclamava di agire in nome di ideali
di giustizia e per lemancipazione universale dei lavoratori. Al punto che il pensiero cri-
tico progressista fatic nel prendere le misure ad una realt che ne spiazzava le categorie
interpretative, contribuendo allisolamento di chi riteneva e ritiene indispensabile cono-
scere e capire cosa stato il comunismo sovietico, come passaggio necessario anche se
non sufficiente affinch il nuovo si manifesti libero dalle ipoteche del passato.
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29
LA PRIMA EPOCA DELLE RIVOLTE
NEL SOCIALISMO REALE: 1953-1956
Andrea Panaccione
Gli avvenimenti del 1953-1956 possono essere considerati un processo unitario: unepo-
ca delle rivolte che attraversa i diversi paesi del socialismo reale europeo, che ha il suo
inizio nella situazione determinatasi in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin e che
rinvia ad alcune radici comuni negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. La
morte di Stalin infatti la grande occasione nella quale vengono al pettine le tensioni
accumulatesi in URSS e nei paesi dellEuropa centro-orientale in quel periodo. La cate-
na degli eventi negli anni successivi mostrer lo svolgersi di quei tratti comuni e insieme
una articolazione che riflette le caratteristiche dei diversi paesi.
Il Gulag in rivolta
Il clima di alta drammaticit delle reazioni di massa alla morte di Stalin, il cui simbo-
lo pi eloquente rappresentato dallo svolgimento stesso dei funerali e in particolare
dai gravi incidenti verificatisi durante lafflusso della folla per rendere omaggio alla sal-
ma, indicativo di un senso generalizzato di vuoto e di panico fra i tanti che identifica-
vano nella personalit di Stalin la potenza e la garanzia di stabilit di un sistema sociale.
La preoccupazione, nel gruppo dei pi stretti collaboratori del capo, di dare una for-
te impressione di unit nellorganizzazione della successione domina la riunione dei ver-
tici del partito e dello Stato sovietico, che precede addirittura, sia pure di poco, la morte
biologica dello stesso e che ha il compito di ... assicurare una giusta e continua guida a
tutta la vita del paese, ci che a sua volta richiede la massima compattezza della direzio-
ne, linammissibilit di qualsiasi sbandamento e panico, limpegno incondizionato a rea-
lizzare con successo la politica elaborata dal partito e dal governo sia negli affari inter-
ni del nostro paese che nei rapporti internazionali
1
. Il confronto allinterno del gruppo
1
Poslednaja otstavka Stalina [La rimozione finale di Stalin], Isto/nik, n. 1, 1994, p. 108; la pub-
Andrea Panaccione
30
dirigente sovietico nel periodo immediatamente successivo, e in particolare il caso Be-
rija, permetteranno di verificare il carattere provvisorio dellequilibrio realizzato, ma
soprattutto porteranno alla luce tutti gli elementi di precariet e di pericolo che il nuo-
vo potere deve affrontare nel suo rapporto con la societ. Quello che pu essere definito
il programma di Berija ricostruibile dallinsieme delle iniziative politiche e degli inter-
venti nelle istanze di vertice del partito e dello Stato sovietico e anche dalle accuse che
gli saranno mosse soprattutto linventario dei punti di crisi che il nuovo potere deve
affrontare e che il potente capo della polizia sembra cogliere con maggiore lucidit degli
altri dirigenti: linsostenibilit del sistema del Gulag, le questioni nazionali e dellagricol-
tura, il superamento della crisi con la Jugoslavia, lesercizio del potere da parte dei pic-
coli Stalin dellEuropa centro-orientale
2
. Sulle stesse questioni si svilupper, dopo leli-
minazione di Berija, lazione della direzione collettiva sovietica e poi di Chru/v.
Che lattenzione di Berija si concentri prima di tutto sulla questione del Gulag, pro-
vocando la prima grande uscita
3
di circa 1.200.000 detenuti appena tre settimane
dopo la morte di Stalin, non pu essere visto come il modo di affrontare un problema
particolare, seppure di grandi dimensioni.
ormai acquisito da parte della storiografia, ma lo era gi nella coscienza dei con-
temporanei, il significato del Gulag per linsieme della societ sovietica. Esso ne costitui-
va ormai da decenni una parte quantitativamente significativa, da quella societ conti-
nuamente alimentata ma che in essa anche periodicamente rifluiva:
In contrasto con una convinzione molto diffusa, gli archivi del gulag rivelano che fra la po-
polazione concentrazionaria si aveva una notevole rotazione dato che ogni anno era rilasciato
dal 20 al 35 per cento dei detenuti. (...) lingresso nei campi non equivaleva a un viaggio senza
ritorno, anche se, per il dopo, era prevista unintera gamma di pene accessorie, come il
domicilio coatto o lesilio
4
.
blicazione presenta e riproduce il protocollo della riunione, conservato nellArchivio del Presidente della
Federazione russa.
2
La diffusione dellimmagine di Berija come riformatore e destalinizzatore ante litteram stata dovuta
soprattutto alla biografia di A. Knight, Beria, Mondadori, Milano 1997, pubblicata nelledizione originale nel
1993 e che gi poteva utilizzare la nuova documentazione apparsa in particolare nei primi due numeri della
rivista Izvestija CK KPSS del 1991. Che alcune delle proposte e iniziative di Berija abbiano anticipato quelle
di Chru/v risulta comunque anche dalle accuse rivoltegli insieme a quella sicuramente pi preoccupante
della eccessiva concentrazione di potere nei confronti del partito e a quelle sulla vita personale, il cui stile
stalinista non ne attestava automaticamente linattendibilit in occasione della sua eliminazione politica
(cfr. Lavrentij Berija. 1953. Stenogramma julskogo plenuma CK KPSS i drugie dokumenty, Demokratija, Mo-
skva 1999), cos come risulta dai documenti pubblicati sui rapporti del gruppo dirigente sovietico con quelli
dellEuropa centro-orientale nella primavera del 1953: particolarmente interessante il resoconto dellincontro
del 13/6/1953 con la delegazione ungherese capeggiata da Rakosi, nel corso del quale Berija dirige effettiva-
mente i colloqui ed anche lunico a parlare ben quattro volte di errori di Stalin: cfr. C. Bks, M. Byrne,
J. Rainer (Eds.), The 1956 Hungarian Revolution: A History in Documents, Central european university press,
Budapest 2002, Doc. 1, Notes of a Meeting between the CPSU Presidium ant the HWP Political Committee Delega-
tion in Moscow, June 13 and 16, 1953, pp. 14-23.
3
Cfr. N. Werth, Lamnistie du 27 mars 1953. La premire grande sortie du Goulag, Communisme, n. 42-
43-44, 1995, pp. 211-223. Lamnistia fu proposta da Berija anche se fu chiamata di Voroilov dal nome del
firmatario del decreto del Soviet supremo dellURSS.
4
N. Werth, Violenze, repressioni, terrori nellUnione Sovietica, in: AA.VV., Il libro nero del comunismo, Mon-
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
31
Limportanza assunta dallo sfruttamento del lavoro forzato nel sistema produttivo so-
vietico rifletteva inoltre, in forma appunto concentrata, alcuni dei caratteri essenzia-
li di quel sistema, a cominciare da quelli di una economia di mobilitazione (mobiliza-
cionnaja ekonomika) estensiva e senza risparmio di tutte le risorse, prima di tutto quelle
umane, in base a obiettivi volta a volta definiti come prioritari (un ambito rilevante era
stato per esempio dopo la guerra, accanto ai settori tradizionali dellestrazione e approv-
vigionamento delle materie prime e della costruzione di grandi opere, il Gulag ato-
mico). Il Gulag assicurava la disponibilit di milioni di vite e capacit lavorative da
parte dello Stato, gestite attraverso una organizzazione di rapporti di lavoro che erano
direttamente dei rapporti di forza. Nelle pagine sulle forme che precedono la produ-
zione capitalistica, Marx aveva caratterizzato il rapporto moderno tra capitale e lavo-
ro come il dissolvimento dei rapporti in cui gli stessi lavoratori, gli stessi portatori viven-
ti di capacit di lavoro appartengono ancora direttamente alle condizioni obiettive della
produzione e come tali diventano propriet di terzi dunque sono schiavi o servi della
gleba
5
. I lavoratori del Gulag non erano schiavi o servi della gleba, ma semplicemente
detenuti; sottoposti comunque, per usare la terminologia di Hobsbawm nella sua Prefa-
zione alla edizione citata delle Forme, a una appropriazione del lavoro che passava attra-
verso lappropriazione degli uomini.
Infine, i rapporti di dominio nel Gulag erano garantiti dallapparato repressivo e
concentrazionario ma determinati anche da una serie di fattori che avevano a che fare
con elementi come la composizione e gli stati danimo degli abitanti dellarcipelago, la
qualit delle prestazioni richieste e la loro resa nel sistema economico sovietico. La per-
cezione di una situazione di crisi, per il gioco di questi diversi fattori, aveva preceduto la
morte di Stalin, ma ad essa si aggiungeva, in quella anticipata primavera del 1953, la sen-
sazione di un vuoto di potere e laffacciarsi di stati danimo di smobilitazione (smobiliza-
cionnye nastroenija) in coloro a cui era affidato il funzionamento del sistema.
Credo che sia importante tenere presenti questi elementi per cogliere pienamente il
significato degli avvenimenti del 1953-54. Le motivazioni della crisi del Gulag, in quan-
to espressione della crisi storica di un sistema di organizzazione economica e sociale che
nella sua composizione riproduceva i passaggi attraversati a partire dalla guerra dalla so-
ciet sovietica in quanto tale, e la congiuntura e loccasione di un difficile passaggio poli-
tico, segnato dalla morte del padrone (era la denominazione confidenziale di Stalin tra
i pi diretti subordinati), determinano i caratteri e il significato delle grandi rivolte, sulle
quali esiste ormai una grande ricchezza di ricostruzioni documentarie e storiografiche
6
.
dadori, Milano 1998, pp. 191-192. Werth ha anche opportunamente notato che le cifre, comunque impressio-
nanti, dei detenuti del Gulag risultano spesso gonfiate dal fatto che storici e testimoni hanno spesso confuso
il flusso dentrata nel gulag con il numero di detenuti presenti in una data specifica (ivi, p. 193).
5
K. Marx, Forme economiche precapitalistiche, terza ed., Editori Riuniti, Roma 1974, p. 102.
6
Tra le ricostruzioni della crisi e delle rivolte del Gulag va citata in primo luogo, per il grande impatto inter-
nazionale, quella di A. Solenicyn in: Arcipelago Gulag, ed. it., vol. 3, Mondadori, Milano 1978, in particolare
cap. 24, A testoni spezziamo le nostre catene, e cap. 25, I quaranta giorni di Kengir. Una recente ricchissima do-
cumentazione offerta dal vol. 6, Vosstanija, bunty i zabastovki zaklju/ennych [Insurrezioni, rivolte e scioperi
dei detenuti] della serie Istorija stalinskogo gulaga, Rosspen, Moskva 2004, a cura di V.A. Kozlov. In Italia
apparsa sul tema lopera importante di M. Craveri, Resistenza nel Gulag, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003.
Andrea Panaccione
32
Anche il rapporto del sistema del Gulag con linsieme della societ sovietica (la
zona e la grande zona nel linguaggio dei detenuti) stato oggetto di molte riflessio-
ni e approfondimenti. Credo che un approccio particolarmente stimolante sia stato ne-
gli ultimi anni quello di un fotografo polacco, che partito dalla questione della debo-
lezza della memoria visiva del Gulag, rispetto al suo peso nella vita sovietica, rispetto
a ci che esso ha rappresentato per milioni e milioni di cittadini del paese
7
. La scarsa vi-
sibilit non esclude lincombenza di questa realt su tutta la trama dei rapporti sociali:
la rende anzi pi minacciosa e pervasiva, solidifica i sensi di paura e di vergogna, impe-
disce di prendere le distanze.
Ci che accomunava il Gulag alla societ sovietica spiega la variet delle reazioni nei
campi alla morte di Stalin, le manifestazioni di giubilo, ma anche di paura e di confusio-
ne non solo tra i detentori ma tra gli stessi detenuti. Ci che lo separava e lo rendeva una
situazione estrema spiega il concentrarsi in esso dellondata delle rivolte.
Il Gulag del 1953 era espressione, inoltre, di un settore particolarmente politicizzato
della popolazione, non tanto perch ospitava ancora i resti delle opposizioni storiche, e
per la maggior parte di ispirazione socialista, al potere sovietico (menscevichi, socialisti
rivoluzionari, anarchici, comunisti dissidenti dei pi diversi tipi)
8
, ma soprattutto per al-
cune delle correnti (i diversi collaborazionismi, le guerriglie antisovietiche dai Paesi Bal-
tici alla Polonia orientale allUcraina, le manifestazioni di dissidenza interna) di cui si era
alimentato a partire dalla guerra. Era per certi aspetti il proseguimento della tradizione
delle deportazioni e delle operazioni nazionali degli anni Trenta, ma la congiuntura
della guerra dava a questi processi di soluzione dei conflitti un carattere pi direttamen-
te politico-militare. Craveri ha sottolineato come in particolare queste nuove presenze
significassero una possibilit di politicizzazione anche per coloro che potevano essere al
loro ingresso del tutto privi di una coscienza di opposizione:
Molti degli arrestati in Ucraina, Paesi Baltici e Bielorussia erano di origine contadina e ascol-
tando le testimonianze di alcuni di loro si ha limpressione che lesperienza dei lager li abbia
in qualche modo educati e soprattutto politicizzati. Ragazzi e ragazze che avevano sem-
pre vissuto in un ristretto mondo contadino, molto tradizionale, si ritrovarono di colpo a
convivere con veri e propri oppositori del regime, dai sopravvissuti socialisti rivoluzionari ai
partigiani che avevano combattuto sia contro i tedeschi sia contro lArmata rossa. Molti di
loro impararono a leggere e scrivere, altri vissero una vera e propria educazione politica che
7
T. Kizny, Gulag, ed. it. Bruno Mondadori, Milano 2004. Anche la sovrapposizione, nel libro di Kizny,
delle fotografie depoca con quelle contemporanee, scattate dallautore, dei personaggi o dei resti del Gulag,
sottolinea, ancora pi che lassenza o la scarsit di immagini, le difficolt e gli scarti nella trasmissione di una
memoria collettiva.
8
Solo nellagosto del 1953 il successore di Berija al ministero dellinterno, Kruglov, avrebbe proposto di
escludere dalla categoria di prigionieri particolarmente pericolosi i menscevichi, i socialisti-rivoluzionari e i
prigionieri condannati per spionaggio, terrorismo, trockismo e deviazionismo di destra (M. Craveri, Resisten-
za nel Gulag, cit., p. 228). Riferendomi in particolare ai dibattiti tra i menscevichi nei luoghi di detenzione e di
confino, ho gi avuto modo di osservare riguardo al clima politico dellURSS che soprattutto nel periodo dagli
anni Trenta alla met degli anni 50, una discussione sul senso della rivoluzione e del socialismo in Russia, e
negli altri paesi che hanno costituito lURSS, stata continuata e trasmessa forse pi nelle forme imposte dalla
detenzione, dal lavoro forzato, dalle deportazioni, che nelle sedi ufficiali della scienza e della politica (A.
Panaccione, Socialisti europei, Franco Angeli, Milano 2000, p. 127).
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
33
li trasform da semplici contadini in intransigenti nazionalisti, nemici dello stato sovietico e
del popolo russo
9
.
Ma tutto ci non poteva che rafforzare, nei dominanti, la preoccupazione che le rivolte
diventassero il detonatore, il meccanismo dinnesto di sconvolgimenti pi ampi
10
.
Sulla base dellintreccio tra forti motivazioni legate alle condizioni di vita e di lavo-
ro ed elementi di coscienza politica di varia origine ma che comunque permettevano pi
facilmente di percepire il senso di incertezza o di smobilitazione seguito alla morte di
Stalin, un processo di crisi gi in corso da tempo acquistava adesso nuovi significati e
possibilit. per questo che quanto avviene nel Gulag sovietico tra il 1953 e il 1954 e
i cui epicentri possono essere collocati nel maggio-giugno 1953 nel campo speciale del
Gorlag, allinterno del complesso minerario e di costruzioni di Norilsk; nel giugno-ago-
sto 1953 nel Re/lag, nel complesso carbonifero di Vorkuta; nel maggio-giugno 1954 nel-
lo Steplag presso il villaggio di Kengir, Kazakistan pu essere ascritto alla prima fase
dellepoca delle rivolte, ne rappresenta lapertura allo stesso titolo di quanto avviene
nellEuropa centro-orientale nella primavera del 1953.
Gli appelli e le dichiarazioni dei rivoltosi esprimono in modo particolarmente chia-
ro ci che fa di queste rivolte la manifestazione di una particolare forma di lotta di una
particolare classe di lavoratori.
I detenuti del Gorlag il 27 giugno 1953 manifestano cos la loro volont di continua-
re nello sciopero: La nostra forza lavorativa la nostra propriet e, in qualsiasi condi-
zione ci potranno mettere, noi non la cederemo fino a quando non riceveremo una ri-
sposta a questo appello
11
.
Un altro appello, questa volta dei detenuti del Re/lag il 29 luglio 1953, esprime, con
toni meno sindacali e pi politici e con una utilizzazione abbastanza evidente del discor-
so pubblico dei dominanti da parte dei dominati, le speranze di cambiamento dopo leli-
minazione di Berija , ma anche una forte coscienza del valore del lavoro compiuto, del-
le opere realizzate:
Il boia Berija e i suoi complici ci hanno chiamato delinquenti, probabilmente perch da molti
di noi sono stati costruiti il canale del mar Bianco, il canale Volga-Don, le miniere degli Urali,
del Nord, dellAsia centrale, le ferrovie e i combinati di lavorazione del legno della Siberia e
una serie di impianti e costruzioni segrete di importanza statale! Tutte queste persone hanno
9
M. Craveri, Resistenza nel Gulag, cit., p. 218.
10
un punto su cui insiste V.A. Kozlov nella sua Introduzione a: Vosstanija..., cit. Anche linfluenza di av-
venimenti internazionali poteva essere motivo di preoccupazione data la presenza di settori molto politicizzati
nella popolazione concentrazionaria. Una informazione (spravka) sul Gorlag del 5 giugno 1953 indicava che i
nazionalisti ucraini (benderovcy, i seguaci di Stepan Bandera) utilizzavano interventi di Eisenhower e Churchill
per lavorarsi i detenuti: il riferimento, per quanto riguarda il primo, era probabilmente un passo di un di-
scorso del presidente USA del 16 aprile 1953, riportato dalla Komsomolkaja Prava del 26 aprile 1953, in cui
si affermava che con la morte di Stalin era comunque finita unera alla quale la nuova dirigenza sovietica non
poteva essere considerata completamente legata (cfr. Vosstanija..., cit., p. 329 e nota 160, p. 669). Di l a pochi
giorni sarebbero arrivate anche nei campi le notizie su Berlino e la Germania orientale.
11
Vosstanija..., cit., p. 353.
Andrea Panaccione
34
costruito senza lamentarsi, convinti che tutto questo fosse importante e indispensabile per
accrescere la forza e il potere della nostra Patria socialista, del suo Partito e del suo Governo.
Noi abbiamo fatto tutto questo anche perch pensavamo che il Partito e il governo Sovietico
avrebbero tenuto conto e preso atto del nostro onesto lavoro nella loro paterna preoccupa-
zione per i lavoratori, avrebbero ridotto le pene per i delitti commessi di fronte al partito la
forza pi grande e pi autorevole.
Ma evidentemente il Partito e il Governo sono stati ingannati dallavventurista Berija e dai
suoi complici. Questo provato dal fatto che a noi non stato applicato il decreto di amnistia
del 27 marzo 1953
12
.
Una spravka del 30 luglio 1953 di un anonimo agente sulle cause dello sciopero nel-
la quarta sezione dello stesso Re/lag era chiarissima nella sua semplicit: Vivere in mi-
niera 25 anni senza riposo non possibile. Morire lentamente o rapidamente la stes-
sa cosa
13
.
Craveri ha sottolineato anche che la richiesta della giornata lavorativa di 8 ore era
una delle principali rivendicazioni dei prigionieri in sciopero
14
e la documentazione
recentemente pubblicata ne fornisce diverse testimonianze: era una rivendicazione sto-
rica del movimento operaio autonomamente organizzato che entrava nel mondo del la-
voro forzato e, accanto a quelle di eliminazione del regime speciale, di abolizione del-
le misure non umane, di allargamento dellamnistia, di revisione dei procedimenti di
condanna, ecc., contribuiva a svelarne la doppia natura. Altrettanto rivelatrici del con-
tinuo intreccio tra logica puramente repressiva e logica di sfruttamento del lavoro era-
no le discussioni che, negli organi governativi e di partito, avrebbero accompagnato nel
1953-54 il processo di smantellamento del Gulag per quanto riguardava lattribuzione
delle competenze sui campi: al ministero dellinterno, a quello della giustizia, ai ministe-
ri economici
15
.
Infine le forme di lotta: labbandono della forma tradizionale dello sciopero della
fame (golodovka) e ladozione di quella dello sciopero, e delle rivolte, come interruzione
della produzione, significava, come ha indicato nellIntroduzione Kozlov
16
, puntare di-
rettamente al cuore del sistema economico e sociale che il Gulag rappresentava. La ra-
dicalit e la durezza degli scontri indicavano linsostenibilit e il necessario superamento
di un sistema di rapporti di produzione, la disponibilit ad arrivare allestremo, a rifiu-
tare una mediazione umanitaria e a mettere in gioco la propria vita pur di uscire da una
condizione non pi sopportabile. Un sistema politico e sociale che si definiva socialista
doveva affrontare la vergogna di reprimere rivolte che ricordavano quelle degli schia-
vi (anche se Spartaco difficilmente poteva essere un riferimento simbolico familiare ai
protagonisti di quei movimenti, come lo era stato per tanti militanti della storia del mo-
vimento operaio).
12
Ibid., p. 472. Per il rapporto tra i discorsi dei dominanti e dei dominati, cfr. J.C. Scott, Il dominio e larte
della resistenza. I verbali segreti dietro la storia ufficiale, Eluthera, Milano 2006, ed. orig. 1990.
13
Ibid., p. 481.
14
M. Craveri, Resistenza nel Gulag, cit., p. 231.
15
Anche su questo molti elementi si trovano nellopera citata di M. Craveri.
16
V.A. Kozlov, Vvedenie, in Vosstanija, cit., p. 92.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
35
1953: lEuropa centro-orientale dopo la morte di Stalin
La coincidenza, nel giugno 1953, delle prime grandi rivolte dei campi con gli avveni-
menti di Berlino est era di per s motivo di riflessione per i dirigenti sovietici sui caratte-
ri sistemici della crisi in corso: del fatto che ne avessero una percezione piuttosto chiara
sono uneloquente testimonianza le discussioni interne, le consultazioni con i rappresen-
tanti di altri paesi del blocco, le stesse iniziative di Berija . La morte di Stalin aveva fun-
zionato da detonatore in diverse altre situazioni. Sulla base di una importante serie di ar-
ticoli di Mark Kramer
17
, e con qualche integrazione da altre fonti, possibile ricostruire
il quadro dei principali avvenimenti.
Si erano fortemente intensificati dallinizio dellanno e malgrado la stretta nel
controllo dei confini introdotta nel luglio 1952 con la cosiddetta Operation ungezie-
fer gli espatri dalla Germania orientale a quella occidentale, il cui numero, per i pri-
mi 4 mesi del 1953, sar calcolato in 122.000, con un tasso raddoppiato rispetto allanno
precedente. Il fenomeno era evidentemente da mettere in relazione con lapprovazione
da parte dei dirigenti della Repubblica democratica tedesca del programma di costru-
zione del socialismo (seconda conferenza di partito della Sozialistische einheitspartei
deutschlands, SED, luglio 1952) e si rifletteva, gi nei mesi precedenti la morte di Stalin,
in una forte crisi interna al partito dominante (unondata di espulsioni e arresti, ma an-
che linasprimento delle tensioni interne che accompagnava la concentrazione del pote-
re nelle mani di Ulbricht)
18
.
Dal 3 maggio entravano in sciopero, soprattutto contro lelevamento delle quote di
lavoro, centinaia di operai delle fabbriche di tabacco di Plovdiv e Chaskovo in Bulga-
ria. Gli scioperi sarebbero cessati dopo alcuni giorni in seguito ad incontri e concessioni
da parte dei vertici del partito comunista
19
, ma non potevano non colpire quanti consi-
deravano la Bulgaria come un esempio di situazione particolarmente tranquilla, lascian-
do linquietante sensazione che perfino il paese pi fedele potesse un giorno sottrarsi al
controllo.
Le manifestazioni contadine svoltesi in Ungheria nel corso del mese di maggio sa-
rebbero state rievocate da Imre Nagy in quella che pu essere definita la sua piattafor-
ma politica dopo lestromissione, nella primavera del 1955, dalla guida del governo as-
17
M. Kramer, The Early Post-Stalin Succession Struggle and Upheavals in East-Central Europe: Internal-Ex-
ternal Linkages in Soviet Policy Making, Journal of Cold War Studies, n. 1, 1999, pp. 3-55, n. 2, pp. 3-38,
n. 3, pp. 3-66.
18
La pi ampia raccolta documentaria, ma anche ricostruzione storiografica, sul 1953 nella Germania orien-
tale quella di Ch.F. Overman (Ed.), Uprising in East Germany 1953: The Cold War, the German Question,
and the First Major Upheaval behind the Iron Curtain, Central european university press, Budapest 2001. La
messa a fuoco della portata della crisi della SED nel 1953 stata giustamente indicata come uno dei principali
risultati della ricerca dopo la caduta del Muro (cfr. T. Schaarschmidt, La rivolta del 17 giugno 1953, Contem-
poranea, n. 3, 1999, p. 570).
19
Per un resoconto di prima mano di una militante di partito, che sottolinea le insufficienze del lavoro
sindacale, ma anche lo stato danimo assolutamente disperato delle lavoratrici e dei lavoratori, cfr. un signi-
ficativo documento ripreso dallArchivio nazionale bulgaro: Report on the Disturbances at the Tobacco Depot
in Plovdiv, Bulgaria, Cold War International History Project, Virtual Archive, Bulgaria in the Cold War, www.
wilsoncenter.org.
Andrea Panaccione
36
sunta nel 1953 e dalle cariche di partito come una serie di minacciose manifestazioni
di massa nella Grande pianura ungherese
20
; proteste e scioperi operai, soprattutto per
laumento dei salari, si verificavano inoltre ai primi di giugno a Csepel, importante sob-
borgo industriale di Budapest con una lunga tradizione di lotte operaie, e nei centri me-
tallurgici dellUngheria orientale di Ozd e Diosgyor
21
.
Dopo il verificarsi, nei mesi di aprile e maggio, di numerosi scioperi e proteste nel-
le fabbriche cecoslovacche contro laumento dei prezzi, con un coinvolgimento di oltre
32.000 operai, il 1 giugno, giorno della entrata in vigore della riforma monetaria ceco-
slovacca, una grande manifestazione operaia promossa da migliaia di operai della Skoda
a Plzen coinvolgeva gli operai di altre fabbriche e molti giovani; veniva occupato il mu-
nicipio, esposti ritratti di Masaryk e Bene, buttati dalle finestre i busti di Lenin, Stalin e
Gottwald, chieste le dimissioni del governo e libere elezioni; la citt sarebbe rimasta per
due giorni nelle mani dei dimostranti, mentre manifestazioni di protesta si svolgevano
anche a Praga e Ostrava. La rivolta di Plzen era repressa dalla polizia e dallesercito con
la proclamazione della legge marziale e circa 2.000 arresti, molti processi e condanne,
ma, dopo la fase repressiva della mano ferma, avrebbe spinto i dirigenti cecoslovacchi
alla adozione di una politica di Nuovo corso, con riduzione dei prezzi e delle spese
militari e aumenti salariali che, secondo lo storico cecoslovacco Karel Kaplan, avranno
leffetto di lasciare in secondo piano la questione operaia durante la crisi del 1956
22
.
Dopo gli incontri tra i dirigenti tedesco-orientali e sovietici a Mosca il 2-4 giugno e
lannuncio di un nuovo corso in Germania est da parte del Politbro tedesco l11 giu-
gno, che aveva avuto come effetto immediato una ondata di dimissioni dal partito e di
abbandono delle aziende collettive nelle campagne, la conferma dellinnalzamento delle
quote di produzione il 16 giugno scatenava immediatamente forti manifestazioni di pro-
testa a Berlino, Dresda e in altre citt tedesche. Il 17 giugno la rivolta operaia e popola-
re si estendeva a pi di 450 citt tedesche e i partecipanti superavano il mezzo milione (il
10% della popolazione adulta della Repubblica democratica tedesca); molti reparti del-
la polizia e delle organizzazioni ausiliarie di sicurezza si rifiutavano di intervenire contro
gli insorti, molti aderenti allorganizzazione giovanile comunista Freie deutsche jugend
si univano alla rivolta. Solo lintervento delle truppe sovietiche, che in pratica sostituiva-
no la polizia e lesercito tedeschi e avrebbero mantenuto la legge marziale nel paese per
oltre tre settimane, portava al ristabilimento dellordine, con una sanguinosa repressio-
ne e processi e condanne che si succederanno per anni. Walter Ulbricht, la cui caduta
sembrava imminente, sar salvato dalla eliminazione a Mosca del suo principale nemi-
co, Berija , al quale sar imputato il fallimento della politica adottata nel paese e la regia
dellopposizione al segretario della SED. La notizia degli avvenimenti tedeschi si era dif-
20
I. Nagy, Scritti politici, Feltrinelli, Milano 1958, p. 125. Cfr. anche F. Fejto, Histoire des dmocraties popu-
laires. 2. Aprs Staline, Seuil, Paris 1969, p. 45.
21
Cfr. B. Lomax, The Working Class in the Hungarian revolution of 1956, Critique, n. 12, Autumn-Winter
1979-80, p. 49, e M. Kramer, The Soviet Union and the 1956 Crisis in Hungary and Poland, Journal of Con-
temporary History, n. 2, 1998, p. 175.
22
Cfr. K. Kaplan, La crisi cecoslovacca, Annali della Fondazione Feltrinelli, XXII, Feltrinelli, Milano 1982,
pp. 267-327, e La Cecoslovacchia nel decennio successivo alla morte di Stalin, in Ripensare il 1956, Socialismo
Storia. Annali della Fondazione Giacomo Brodoloni, Lerici, Roma 1987, pp. 39-40.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
37
fusa immediatamente negli altri paesi del campo e in particolare in Polonia, dove negli
stessi giorni si svolgevano manifestazioni in diverse citt, tra cui Varsavia a Cracovia, che
venivano represse anche con la partecipazione di carri armati sovietici.
Nel caso tedesco, come in quello cecoslovacco, possibile notare anche il peso di alcu-
ne tensioni o incompatibilit culturali nei confronti del paese guida del blocco socialista.
Nel primo caso, sulla questione dellinnalzamento delle quote di produzione e del modo
in cui era stato imposto dal partito al potere, particolarmente efficace la descrizione del-
la reazione di un operaio tedesco nel romanzo di Stefan Heym Cinque giorni in giugno:
quello che viene rifiutato prima di tutto il metodo russo, quel misto di volontarismo,
improvvisazione e non considerazione per le reazioni delle persone, che una classe opera-
ia magari troppo celebrata come erede della filosofia classica tedesca, ma comunque orgo-
gliosa della sua tradizione storica e del suo livello di qualificazione, non riusciva ad accet-
tare. Nel secondo, lesposizione dei ritratti di T. Masaryk e di E. Bene a Plzen, centro del
movimento del 1953 e gi roccaforte socialdemocratica, e le defenestrazioni dei busti dei
dirigenti comunisti, che richiamavano il precedente della caduta probabilmente volonta-
ria dellultimo ministro degli esteri non comunista Jan Masaryk il 10 marzo 1948, indicava-
no una difficolt per il nuovo regime a cancellare le tracce di una eredit politica partico-
larmente ricca e anche una predisposizione diffusa a comportamenti sia pure tragicamente
ironici, che appartenevano alla cultura del paese.
Londata della primavera del 1953 lasciava il suo segno e imponeva processi di ria-
dattamento nei diversi paesi, che per altro non significavano affatto la crisi dei gruppi
dirigenti staliniani. Il caso di Rakosi, che continua a dominare il partito ungherese e che
riuscir nel 1955 a liberarsi del condominio di potere con il capo del governo Nagy, e so-
prattutto il caso di Ulbricht, che costruir proprio sulla crisi tedesco-orientale del 1953
la sua resa dei conti con lopposizione interna al partito e una relazione con lalleato pi
potente che ha potuto essere definita come una tirannia del debole
23
, sono un esem-
pio del rapporto particolarmente complicato, in questo tipo di regimi, tra societ e po-
litica
24
. Leliminazione di Berija a Mosca era quindi unancora di salvataggio o addirittu-
ra un fattore di rafforzamento per quei dirigenti staliniani che erano stati direttamente
presi di mira dalle riforme del capo della polizia politica. Non poteva per impedire
che molte delle questioni da lui sollevate diventassero parte essenziale del programma
dei suoi affossatori e della piattaforma di colui che rapidamente sarebbe riuscito ad af-
fermarsi come il nuovo capo del paese.
23
Su tutto ci particolarmente importante lopera di H.M. Harrison, Driving Soviets up the Wall: So-
ciet East German Relations, 1953-1961, Princeton, Princeton University Press, 2003.
24
La questione stata anche posta nei termini di un confronto tra le lagnanze e i tumulti del 1953 e i movi-
menti del 1956 che per primi avrebbero costituito delle sfide sistematiche e ideologiche alla eredit struttura-
le dello stalinismo (J. Rotschild, N.M. Wingfield, Return to diversity. A political history of East Central Europe
since World War II, Oxford university press, New York-Oxford 2000, p. 150). Mi sembra che questa lettura
non colga pienamente il significato degli avvenimenti del 1953 come prima rivelazione di una crisi generale
del modello tardo-staliniano.
Andrea Panaccione
38
Pankratova e il rapporto segreto
Il rapporto segreto, presentato da Nikita Chru/v alla seduta straordinaria che chiu-
de il XX congresso del PCUS, stato soprattutto analizzato, fin dai primi mesi successi-
vi alla sua controversa pubblicizzazione, nella logica e negli obiettivi che lo ispiravano,
come atto di lotta politica interna al gruppo dirigente sovietico (la riaffermazione del
primato del partito nel sistema del potere, il consolidamento della propria autorit da
parte del segretario generale e insieme la promessa di un nuovo stile di direzione politi-
ca) e, nelle sue implicazioni, pi o meno volute e dirette, per lo stato dei rapporti nel co-
munismo internazionale
25
. Solo grazie a nuove possibilit di documentazione si aperta
una direzione di ricerca sulla diffusione, limpatto e le reazioni provocate dal rapporto
sulla societ che dalla gestione del potere staliniano era stata pi direttamente interes-
sata
26
. Una traccia specifica, ma che mi sembra molto significativa per lambiente da cui
proviene e per la personalit di chi lha trasmessa, lesperienza di una storica di gran-
de prestigio, Anna Pankratova, che nel marzo 1956 si trova a dover illustrare il rappor-
to segreto negli ambienti della sua professione e che scrupolosamente registra, ordina
e comunica alle istanze di partito interessate, il comitato di Leningrado e quello centra-
le di tutta lUnione, le domande e le osservazioni che le sono state rivolte, nelle assem-
blee a cui ha partecipato, con il tipico metodo dellinvio di biglietti, firmati o no, al re-
latore. La recente pubblicazione di questi materiali sulla rivista russa Voprosy istorii
27
permette di ricostruire questa testimonianza privilegiata sullapertura in URSS di unepo-
ca non pi di rivolte, ma di domande sempre pi radicali e spesso senza risposte, forte-
mente intrecciate con ci che avviene in altri paesi.
25
Per alcuni di questi approcci rinvio a: A. Panaccione, Il 1956. Una svolta nella storia del secolo, Unicopli,
Milano 2006, in particolare la sezione Il XX Congresso e il rapporto segreto di Chru/v.
26
Si tratta di una documentazione e in parte di una memorialistica che hanno prima di tutto riguardato
la diffusione del rapporto allinterno delle strutture di partito cfr. in particolare Doklad N.S. Chru/eva o
kulte li/nosti Stalina na XX sezde KPSS. Dokumenty [Il rapporto di N.S. Chru/v sul culto della personalit
di Stalin al XX congresso del PCUS. Documenti], Rosspen, Moskva 2002; . e R. Medvedev, Stalin sconosciuto,
Feltrinelli, Milano 2006, in particolare il capitolo di R. Medvedev, Il XX congresso del partito: prima e dopo ma
che si sono allargate anche a sfere pi ampie, naturalmente coinvolte dalle implicazioni del rapporto nella
pratica e nella coscienza collettiva. Per un tentativo particolarmente ambizioso di analisi, cfr. J. Aksjutin,
Cru/evskaja ottepel i ob/estvennye nastroenija v SSSR v 1953-1964 gg. [Il disgelo chru/viano e gli stati
danimo sociali in URSS tra il 1953 e il 1964], Rosspen, Moskva 2004. Tra gli storici non russi: K.E. Loewen-
stein, Re-emergence of Public Opinion in the Soviet Union: Khrushchev and Responses to the Secret Speech, in
T. Cox (Ed.), 1956 and Its Legacy, Europe-Asia Studies, Special Issue, dicembre 2006, pp. 1329-1345; J.-P.
Depretto, La rception du XX
e
Congrs du PCUS dans la rgion de Gorki, Revue dhistoire moderne et contem-
poraine, gennaio-marzo 2008, pp. 98-124.
27
Pervaja reakcija na kritiku kulta li/nosti I. V. Stalina (Po itogam vystuplenij A. M. Pankratovoj v Le-
ningrade v marte 1956 goda) [La prima reazione alla critica del culto della personalit di Stalin (Sulla base
degli interventi di A.M. Pankratova a Leningrado nel marzo del 1956)], A.V. Novikov (a cura di), Voprosy
Istorii, n. 8, 2006, pp. 3-21; n. 9, 2006, pp. 3-21; n. 10, 2006, pp. 3-24. I materiali pubblicati sono conservati
in: Rossijskij gosudarstvennyj archiv novejej istorii (RGANI, Archivio statale russo di storia contemporanea), f.
5, op. 16, d. 747, ll. 74-175. Ad essi aveva fatto sinteticamente riferimento Alexander Kan (Anna Pankratova
and Voprosy istorii, Storia della storiografia, n. 29, 1996, pp. 71-97), che aveva potuto consultarli presso
lArchivio dellAccademia russa delle scienze.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
39
Anna Michajlovna Pankratova nel 1956 era al culmine di una carriera travagliata
28
ma
anche ricca di riconoscimenti, dirigeva la pi importante rivista storica sovietica, Vopro-
sy istorii
29
, era membro del Comitato centrale del PCUS, aveva pronunciato al XX con-
gresso del partito un intervento sicuramente diplomatico
30
, ma comunque fortemente cri-
tico sullo stato della storiografia sovietica e deciso nella richiesta di estensione dei contatti
internazionali, aveva avuto un ruolo nella stesura del rapporto letto in seduta segreta da
Chru/v. Dal 20 al 23 marzo 1956, con un vero e proprio tour de force, tiene 9 lezioni e
relazioni, in diverse istituzioni di Leningrado, sul tema Il XX congresso del PCUS e i com-
piti della scienza storica a un totale di quasi 6.000 quadri di partito, storici, archivisti, in-
segnanti di materie storiche. Trasmettendo al comitato centrale copia di 825 domande e
appunti ricevuti, compresa lindicazione della firma o della sua inesistenza o indecifrabi-
lit, sottolinea la loro importanza per lo studio degli stati danimo e degli interrogativi
dellattivo di partito e della intelligencija della citt
31
. In un memorandum introduttivo
per il Prezidium del CC
32
, nel quale sono sintetizzate le principali domande ricevute, Pan-
kratova spiega anche che il contenuto stesso delle sue relazioni ha assunto una dimensio-
ne molto pi ampia di quella inizialmente prevista, che avrebbe dovuto riguardare lorga-
nizzazione del lavoro storiografico nel nuovo piano quinquennale, per venire incontro a
un bisogno di informazione e di discussione al quale evidentemente non aveva risposto la
lettura del rapporto segreto precedentemente organizzata dal partito.
Le domande coprono in effetti uno spazio molto ampio di questioni e rivelano una
variet molto grande di posizioni e atteggiamenti.
28
Sui costi umani di questa carriera (compreso il rinnegamento del suo maestro Pokrovskij e la separazio-
ne dal marito Grigorij Ja. Jakovin, ospite per molti anni come trockista dei campi e degli isolatori sovietici
ed eliminato nel 1938) e sulla complessa biografia politico-intellettuale di Pankratova, cfr. la pubblicazione
postuma di R.E. Zelnik, Perils of Pankratova. Some Stories from the Annals of Soviet Historiography, University
of Washington Press, Seattle 2005.
29
Lesperienza del marzo 1956 a Leningrado ha certamente pesato nel coinvolgimento di Pankratova po-
sta a capo, dopo la morte di Stalin, del nuovo collegio redazionale della rivista e affiancata da personalit di
grande prestigio scientifico come lo storico della rivoluzione di Febbraio Burdalov, in qualit di vicedirettore,
lo storico dei movimenti contadini Druinin, il medievista Grekov, lo storico dellimperialismo Erusalimskij
e altri nellimportante tentativo di rinnovamento storiografico di Voprosy istorii, troncato nel marzo del
1957 da una deliberazione del Comitato centrale del partito preparata da una riunione di segreteria condotta
da Suslov, che difficile non mettere in relazione con lictus che il giorno dopo avrebbe colpito la storica, la
quale aveva potuto assistere ma non intervenire alla riunione. Pankratova non si sarebbe pi ripresa e sarebbe
morta dopo due mesi. Tutta la vicenda stata rievocata in tempi di perestrojka come esempio del meccanismo
di freno dei cambiamenti messo in atto dopo il XX congresso e soprattutto dopo gli avvenimenti polacchi e
ungheresi: E.M. Gorodeckij, urnal Voprosy istorii v seredine 50-ch godov [La rivista Voprosy istorii alla
met degli anni 50], Voprosy istorii, n. 9, 1989, pp. 69-80; n. 11, 1989, pp. 113-138.
30
Per esempio, aveva definito improrogabile (...) il compito di portare a un livello scientifico lo studio della
storia del nostro partito comunista, ma non aveva fatto menzione della versione pi manipolatoria di tale
storia, internazionalmente nota come il Breve Corso; lintervento di Pankratova compreso in: XX Congresso
del Partito Comunista dellUnione Sovietica. Atti e risoluzioni, Editori Riuniti, Roma 1956, pp. 406-415.
31
Pervaja reakcija..., Voprosy istorii, n. 8, 2006, p. 3.
32
Nella pubblicazione su Voprosy istorii, a questo memorandum di Pankratova seguono lelenco dei
gruppi tematici in base a cui sono raccolte le domande ricevute e, in base a questordine, il testo delle stesse;
nellultimo gruppo (XVII) sono comprese quelle sul taglio e tono delle relazioni di Pankratova e sui suoi perso-
nali contributi al culto di Stalin o a deformazioni nella storia dellURSS.
Andrea Panaccione
40
La questione generale del culto di Stalin si articola subito in una serie di altre que-
stioni: quella ricorrente del Dove erano i membri del Prezidium?
33
mentre tanti crimi-
ni venivano perpetrati, o della responsabilit di tutti coloro che hanno sostenuto que-
sto culto
34
, dellipocrisia di quanti hanno esaltato Stalin da vivo e, prima di scatenare la
lotta con i morti, ne hanno pianto la scomparsa
35
, e pi in generale della responsabili-
t storica del partito
36
e del rapporto tra culto della personalit e monopartitismo
37
; quel-
la del fondamento stesso della categoria del culto come criterio di spiegazione storica,
delle versioni contrastanti a cui pu dare origine la sua indeterminatezza (Stalin come
vittima o come creatore del culto?) e comunque delle sue radici e di quali condizioni
oggettive hanno prodotto il culto della personalit nel socialismo
38
, ovvero se vi sono
stati nella vita sovietica i presupposti storici, dal punto di vista sociale-economico e so-
ciale-psicologico, del fantastico sviluppo del culto della personalit
39
; quelle nelle quali,
secondo il resoconto di Pankratova, si avanza lidea della formazione nel nostro pae se
di un grande strato di burocrazia sovietica e si arriva al punto di mettere in dubbio la so-
stanza socialista della nostra costruzione sociale e statale
40
; quelle, nella cui formulazio-
ne sembra riflettersi una preoccupazione marxista della stessa Pankratova, di un ap-
proccio idealistico nel rapporto, che riconduce tutto alle caratteristiche della personalit
di Stalin, allinfluenza di Berija , ecc. La stessa scarsa consistenza della categoria del cul-
to apre la via a problematiche pi radicali sul partito, sul sistema sovietico.
La questione del come adesso considerare Stalin si specifica anchessa, per coloro
che si pongono sul terreno della critica, da una parte in interrogativi concreti (sul trasfe-
rimento della salma del dittatore dal mausoleo della Piazza Rossa, sul significato dei di-
sordini e degli scontri anche sanguinosi verificatisi in Georgia nel marzo in coinciden-
za con la prima diffusione del rapporto segreto e del terzo anniversario della morte
di Stalin), dallaltra in una riflessione pi profonda sul significato di una vera uscita dal-
lo stalinismo. Su questo piano si va dalle domande su come si arrivati alla redazione
del rapporto, e se esso possa essere considerato il risultato di una vera discussione col-
lettiva, fino allindicazione del rischio dellaffermazione di un nuovo culto, di Chru/v;
si denuncia il pericolo di una degenerazione del partito e dello stato sovietico
41
; si
guarda alle prospettive della democrazia sovietica e di partito sulla base di unade-
sione di principio al sistema ma con una dettagliata elencazione di tutto ci che non
funziona (dalla scelta dei candidati alle elezioni dei soviet al funzionamento degli stes-
33
Pervaja reakcija..., Voprosy istorii, n. 8, 2006, p. 7.
34
Ibid., p. 6.
35
Perch i compagni Molotov e Malenkov, conoscendo la storia del partito, si lamentavano a quel modo
sulla salma di Stalin?, ibid., p. 16
36
Che cosa abbiamo avuto dal 1934 al 1956: una dittatura di classe, del partito del CC o la dittatura militare
di una particolare personalit? Se stata questultima, perch il partito ha taciuto e quale stato il suo ruolo
in questa dittatura?, ibid., p. 8.
37
Non favorisce il culto della personalit il monopartitismo e la fusione quasi totale degli organi del potere
e di quelli di partito?, ibidem.
38
Ibidem.
39
Ibidem.
40
Ibidem.
41
Ibidem.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
41
si e allassicurazione ai deputati di tutti i tipi di pagamenti supplementari in denaro e
in natura)
42
; si chiede la pubblicazione degli elenchi dei membri del partito riabilitati,
la revisione rapida dei materiali dei grandi processi degli anni Trenta, laccessibilit di
quelli sul caso Berija e sulla sua condanna; si indicano questioni di fondo come quella
del rapporto tra il partito e la societ (Se non cambia, si afferma in un appunto senza fir-
ma, il rapporto tra le masse popolari e i dirigenti, cominciando da quelli di livello pi
basso, tutto il resto solo chiacchiera e non ha senso parlare del ruolo creativo del-
le masse)
43
, o quella degli obiettivi e delle misure effettive per realizzare la svolta pro-
clamata dal partito (Se si parla di una svolta di principio, con quali reali misure contro
lonnipotenza di una burocrazia di questo tipo essa si esprime?)
44
.
Data la composizione professionale dei partecipanti alle assemblee normale trovare
molti riferimenti ai diversi nodi della storia dellURSS. Colpisce tuttavia lampiezza delle
questioni che vengono poste, molto al di l di quelle gi numerose sollevate dal rappor-
to di Chru/v, e una volont di scavo che non si limita alla messa in dubbio delle ver-
sioni ufficiali o delle leggende di partito, ma indica una disponibilit a riconsiderazio-
ni pi profonde: sullultimo Lenin, sul testamento e gli altri scritti di cui si sollecita la
pubblicazione; sulle diverse opposizioni a Stalin e la loro eliminazione; sul Breve Corso e
la sua valutazione come enciclopedia del marxismo-leninismo, come esatto e collauda-
to corso di storia del partito
45
; sulle questioni se era giusta la politica estera dellURSS
negli anni precedenti la guerra, se non stato un errore la conclusione del patto con la
Germania nel 1939, se non stata anche colpa nostra la rottura delle trattative con lIn-
ghilterra e la Francia, di come spiegare la guerra con la Finlandia nel 1940, ecc.
46
. In
qualche caso la relatrice esprime la sua disapprovazione e non si sottrae alluso della cate-
goria tipicamente poliziesca degli stati danimo non sani (nezdorovye nastroenija): cos
a proposito di coloro che mettono in dubbio la necessit della liquidazione dei kulaki
come classe nel nostro paese
47
. In altri invece lordine in cui sono presentate le zapiski
sembra volerne accentuare limpatto: le disgrazie e le sofferenze della popolazione del-
la citt nella quale si svolgono le assemblee, riferibili a una serie di eventi gi toccati nel
rapporto di Chru/v, sono evocate in un impressionante rapporto di continuit, dallas-
sassinio di Kirov al 1937-38, dalla situazione di Leningrado fin dallinizio della guerra al
Leningradskoe delo (laffare di Leningrado), lultima purga di partito staliniana che
colpisce un importante gruppo dirigente a livello locale e anche nazionale
48
. Alcune do-
mande riguardano questioni attuali ma radicate profondamente nella storia russa, come
quella dellantisemitismo; altre i trattamenti riservati in sede storiografica e celebrativa
a grandi personaggi della Russia pre-rivoluzionaria, dal pi celebre combattente antizari-
sta del Caucaso, amil, agli zar Ivan e Pietro; alcune la mancata pubblicazione in URSS di
42
Ibid., p. 9.
43
Ibid., p. 8.
44
Ibidem.
45
Ibid., p. 10; le domande sul Breve Corso sono raccolte in un gruppo specifico XIII, Pervaja reakcija..., Vo-
prosy istorii, n. 10, 2006, pp. 12-13.
46
Pervaja reakcija..., Voprosy istorii, n. 8, 2006, p. 9.
47
Ibidem.
48
Ibid., p. 6.
Andrea Panaccione
42
un testo molto importante di Marx sulla Russia, le Revelations of the Diplomatic History
of the 18th Century, apparse sulla stampa britannica tra il 1856 e il 1857
49
. Tutta lultima
parte delle questioni messe in ordine da Pankratova dedicata ai temi dellinsegnamento
della storia e del mestiere di storico nella societ sovietica del tempo.
Le considerazioni della storica sovietica alla fine del suo memorandum, sulla ne-
cessit di sviluppare una campagna di chiarimento sul significato del rapporto e del XX
congresso e di superare le insufficienze del lavoro ideologico e della situazione delle
scienze sociali nel paese, appaiono davvero molto riduttive rispetto allinsieme dei ma-
teriali raccolti e a tutto quello che in essi veniva rimesso in discussione. Per farci unidea
dellimpatto e del coinvolgimento reale dellanziana storica, dovremmo prendere in con-
siderazione in modo approfondito le vicende drammatiche dellultimo anno di vita di
Pankratova
50
. Per la nostra ricostruzione pu comunque essere sufficiente il repertorio
dei dubbi, dei sospetti, delle accuse, di fronte a cui il potere sovietico veniva posto da
questa relazione di servizio.
1956: Polonia, Ungheria e dintorni
La continuit tra i movimenti del 1953 e quelli del 1956 in Polonia e in Ungheria, dalla
rivolta di Poznn alla fine di giugno allaggravarsi del conflitto sociale in Ungheria du-
rante lestate alle crisi polacca e ungherese nellottobre e ai loro diversi esiti
51
, data pri-
ma di tutto dalla conferma sostanziale del modello staliniano nelle sue caratteristiche
pi generali riguardanti il monopolio del potere, il rapporto tra il potere e la societ, le
forme di controllo su di questa, e quindi di una frattura profonda fra alcuni regimi che
si dichiaravano socialisti e vasti settori della popolazione, tra i quali gli operai svolgono
un ruolo di primo piano. Il movimento che a Poznn si svilupper in una aperta rivol-
ta, con assalti agli edifici pubblici, comprese le prigioni, e che sar represso dallesercito
con molte decine di morti e centinaia di arresti, parte da uno sciopero alla fabbrica di lo-
comotive Stalin e dalladesione ad esso delle altre fabbriche della citt
52
. Il movimento in
Ungheria non solo vedr la formazione di organi di autogoverno e di consigli operai in
tutte le principali fabbriche del paese, ma avr nei consigli operai la forza protagonista,
49
Cfr. la traduzione italiana, Storia diplomatica segreta del 18 secolo, La Pietra, Milano 1978. In URSS questo
testo sarebbe stato pubblicato solo nel 1989 sulla rivista Voprosy istorii.
50
Cfr. nota 29.
51
Per le premesse e gli sviluppi della rivoluzione ungherese, insieme alla documentazione archivistica ampia-
mente utilizzata nella pi recente storiografia, va segnalata limportante raccolta, dovuta alla collaborazione di
storici e archivisti russi e ungheresi, Sovetskij Sojuz i vengerskij krizis. Dokumenty [LUnione sovietica e la crisi
ungherese. Documenti], ROSSPEN, Moskva 1998, che contiene un ricco materiale informativo in particolare per
quanto riguarda le riunioni dei dirigenti sovietici e ungheresi, le missioni in Ungheria di alti dignitari del Prezi-
dium dellURSS, i rapporti a Mosca del giovane e intelligente ambasciatore sovietico a Budapest Jurij Andropov.
La pi ampia storia documentaria quella C. Bks, M. Byrne e J.M. Rainer (a cura di), The 1956 Hungarian
Revolution: A History in Documents, Central european university press, Budapest 2002.
52
La caratterizzazione operaia della rivolta sottolineata anche dalla pi recente storiografia polacca: Fra
i circa 250 arrestati, 196 erano operai (A. Paczkowski, The Spring Will Be Ours: Poland and the Poles from
Occupation to Freedom, University Park, Pennsylvania State UP 2003, p. 273).
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
43
per oltre un mese, della resistenza e del tentativo di esercitare un contropotere rispetto
al governo Kdr imposto da Mosca. Senza nessun intento di semplificare la variet del-
la composizione sociale di quel movimento, come i caratteri spontanei, improvvisati, im-
prevedibili dei comportamenti di massa di quei giorni, non pu essere trascurata la rap-
presentativit e la circolazione di una piattaforma come quella elaborata dallassemblea
dei consigli operai di Budapest il 31 ottobre:
1. La fabbrica appartiene agli operai. Questi pagheranno allo stato una tassa calcolata sulla
base della produzione e una parte dei profitti. 2. Lorgano supremo di controllo della fabbrica
il consiglio operaio, eletto democraticamente dai lavoratori. 3. Il consiglio operaio elegge il
proprio comitato esecutivo, composto da 3 a 9 membri, che agisce come organo esecutivo del
consiglio operaio, mettendo in atto le decisioni e i compiti stabiliti da questo. 4. Il direttore
assunto dalla fabbrica. Il direttore e gli impiegati del pi alto livello devono essere eletti dal
comitato esecutivo. 5. La direzione responsabile di fronte al consiglio di fabbrica per ogni
questione che riguarda la fabbrica. 6. Il consiglio operaio si riserva tutti i diritti di: a) appro-
vare e ratificare tutti gli atti che riguardano limpresa; b) decidere i livelli salariali di base e i
metodi per determinarli; c) decidere tutte le questioni riguardanti i contratti con lesterno. 7.
Allo stesso modo il consiglio operaio risolve tutti i conflitti riguardanti lassunzione e il licen-
ziamento di tutti i lavoratori dellimpresa. 8. Il consiglio operaio ha il diritto di esaminare il
bilancio e di decidere sullutilizzazione dei profitti. 9. Il consiglio operaio responsabile per
tutte le questioni sociali allinterno dellimpresa
53
.
Certo la frattura tra i regimi socialisti e gli operai era anche una frattura interna ai se-
condi, tra una classe operaia di massa, la cui composizione era certamente sovradeter-
minata dagli sconvolgimenti politici e dai cambiamenti di posizione sociale che avevano
caratterizzato la storia delle democrazie popolari, e una classe operaia di lite che, sul-
la base degli stessi sconvolgimenti, si era in gran parte trasformata in un ceto di dirigenti
politici e amministrativi. Queste profonde trasformazioni della classe operaia unghe-
rese erano rapidamente ma efficacemente indicate, a ridosso dellesplosione rivoluziona-
ria e della sua repressione, da Franois Fejto, nella Conclusione scritta per la traduzione
italiana della sua opera apparsa poco prima in Francia su La tragdie hongroise:
... la classe operaia ungherese ha subito durante gli ultimi anni e in conseguenza dellindustria-
lizzazione a oltranza, profonde trasformazioni. Gli effettivi operai sono pressoch raddoppiati
rispetto al 1938, grazie allintegrazione nellindustria di centinaia di migliaia di contadini e
di numerosissimi artigiani, piccoli borghesi e perfino piccoli borghesi impoveriti. Questi ele-
menti hanno portato nuovo sangue al proletariato industriale, ma al tempo stesso lo avrebbero
contaminato con le loro idee tradizionaliste; e il regime non aveva n il tempo n i mezzi per
rieducarli e inquadrarli. Linquadramento delle reclute dellindustria era tanto pi manchevo-
le in quanto il partito aveva utilizzato decine di migliaia di operai tra i pi fedeli per formare
i quadri dellamministrazione politica ed economica. E se vero che questi quadri operai
chiamati a occupare posti di responsabilit spesso senza preparazione, erano diventati i pi
53
La piattaforma riportata in A. Panaccione, Il 1956, cit., pp. 112-113; da B. Lomax, Hungary 1956, Lon-
don 1976, pp. 140-141.
Andrea Panaccione
44
zelanti difensori del regime, daltra parte innegabile che essi si erano in tal modo staccati
dalla classe operaia e avevano acquisito una mentalit tipicamente padronale
54
.
In ogni caso quelle rivolte operaie costituivano un fattore di radicale delegittimazione
per dei gruppi dirigenti che in nome della classe operaia erano andati al potere.
La crisi del 1956 si concentrava nelle due situazioni nazionali nelle quali maggior-
mente sembravano aprirsi gli spazi di un cambiamento politico. Gli esiti diversi dei due
processi (un comunismo nazionale contrattato con la potenza dominante, come quello
di Gomulka, che segnava per anche una linea di confine che non poteva essere supe-
rata; un vero movimento rivoluzionario, come quello ungherese, che, nelle condizioni
dellepoca, non poteva che essere il preludio di una repressione violenta e di una lun-
ga normalizzazione, gestita comunque con riconosciuta abilit dal principale responsa-
bile nazionale della repressione stessa) rinviavano a fattori specifici come la collocazio-
ne geopolitica dei due paesi o la diversa situazione dei due partiti al potere (tenuto sotto
controllo da Gomulka quello polacco, irrimediabilmente spaccato quello ungherese). Il
fatto che la crisi non si generalizzasse agli altri paesi del blocco indicava che molte car-
te potevano essere ancora giocate (da una pi forte caratterizzazione nazionale di alcu-
ni regimi alla repressione, alle concessioni economiche e alla riduzione delle prestazioni
imposte ai lavoratori) per garantire una stabilit e una durata a quel sistema di potere: la
capacit di impedire il contagio delle proteste e manifestazioni di intellettuali e soprat-
tutto di studenti agli ambienti operai si confermava nella primavera del 1956 come una
vera specialit del regime cecoslovacco, e lo sarebbe stata ancora per diversi anni
55
; il ri-
corso a forme di repressione sempre pi selettive e giocate sui conflitti etnici e sul fat-
tore nazionale avrebbe caratterizzato le reazioni rumene agli avvenimenti ungheresi
56
; il
controllo e lemarginazione delle prime forme di potenziale dissenso sarebbero diventa-
ti una priorit del gruppo dirigente sovietico
57
.
Gli avvenimenti polacchi e ungheresi del 1956 confermano, in conclusione, il quadro
di una crisi generale che non solo quella del modello tardo-staliniano in quanto tale,
ma dei caratteri specifici della sua imposizione/generalizzazione nella seconda fase del-
le cosiddette democrazie popolari, quella fase che dal 1947-48, dopo la costituzione del
Cominform e poi la rottura con gli jugoslavi, aveva messo in atto una netta inversione
di tendenza rispetto ad alcune caratteristiche (la politica di fronte popolare, la riforma
54
Ungheria 1945-1957, Prefazione di J.-P. Sartre, Einaudi, Torino 1957, p. 399; edizione originale: Pierre
Horay, Paris 1956.
55
Sul movimento studentesco in Cecoslovacchia, che si inserisce nelle tradizionali manifestazioni goliardiche
del mese di maggio ed esprime la sua carica dissacrante anche nellincoronare come re e regina della parata il
marxismo e la lingua russa, cfr. J.P.C. Matthews, Majales: The Abortive Student Revolution in Czechoslowakia in
1956, Cold War International History Project, Working Paper n. 24, September 1998, www.wilsoncenter.org.
56
Cfr. S. Bottoni, Limpatto della rivoluzione del 1956 sulla Romania negli archivi della polizia politica, Studi
Storici, 1, 2006, pp. 283-307.
57
Le sedute del Presidio del PCUS del 29 novembre 1956 e del 6 dicembre 1956 hanno allordine del giorno
la repressione delle sortite degli elementi antisovietici e ostili riferendosi a interventi e opere di noti scrittori
come Simonov, Dudincev e altri: cfr. Prezidium CK KPSS. Protokolnye zapisi i stenogrammi zasedanij 1954-1964
[Il Presidio del CC del PCUS. Note verbali e stenogrammi delle sedute 1954-1964], Rosspen, Moskva 2003, vol.
1, pp. 211-213.
La prima epoca delle rivolte nel socialismo reale: 1953-1956
45
agraria, la salvaguardia delle particolarit nazionali) degli anni pur difficili e conflittuali
dellimmediato dopoguerra, nei quali la stessa prospettiva geopolitica staliniana di con-
trollo dellEuropa centro-orientale aveva seguito vie diverse nei diversi paesi (dai casi di
Polonia e Germania orientale a quelli di Ungheria e Cecoslovacchia). Il contrasto tra i
due periodi sar una chiave importante per la comprensione della crisi del 1956, che nel-
le situazioni topiche vede il ritorno al potere di personaggi legati ai temi forti della pri-
ma fase: Gomulka in Polonia per limportanza dellelemento nazionale, Nagy in Un-
gheria per la politica frontista e di riforma agraria. In un movimento pi radicale e pi
lungo, come quello ungherese, avrebbero avuto il tempo di consumarsi i tentativi di re-
cupero di momenti precedenti della storia sociale e politica del comunismo: il consilia-
rismo, il frontismo, il bucharinismo, le esperienze di nuova democrazia dellimmediato
secondo dopoguerra. Ma gli elementi di autonomia operaia e le forme di lotta rivoluzio-
narie presenti in quel movimento ne avrebbero reso scomoda e controversa la memoria
anche dopo la fine del regime contro il quale si era battuto e la sistemazione celebrativa
del 1956 come lotta per la libert.
Nella storia del socialismo reale il 1956 ha indicato la prima grande crisi di quel
modello di societ. stato sia un punto darrivo che di partenza. Non stato per la pre-
figurazione di una catastrofe inevitabile, non riducibile a semplice premessa del 1989,
se non altro perch si trattato di una crisi situata in un contesto storico molto diver-
so e animata da idee e aspirazioni di riforme nazionali e sociali che saranno invece qua-
si del tutto marginalizzate nel 1989. Saranno diverse anche la composizione dei movi-
menti e le forme di azione. Sar diverso soprattutto il livello di logoramento dei diversi
regimi politici, tanto da generare parecchi dubbi sul fatto che nel 1989 si possa parlare
di rivoluzioni: a parte alcuni importanti contributi storiografici che hanno preferito far
ricorso a termini come implosione o bancarotta, la questione se ci sia stata o meno
una rivoluzione, della quale ciascuno ha ricordi molto confusi e improbabili, il moti-
vo dominante di un riuscito film romeno del 2006, A est di Bucarest. Proprio in Unghe-
ria si arrivati perfino a rimpiangere che non ci sia stata nel 1989 una vera rivoluzione
come quella del 1956:
Nellottobre del 2006, durante i disordini a Budapest, rimasero feriti centocinquanta mani-
festanti assai di pi rispetto alla rivoluzione di velluto del 1989. Uno studente universita-
rio disse al corrispondente del New York Times: Dovremmo imparare dallo spirito del 56.
Dovremmo portare a termine ci che stato iniziato nel 1956, poich nel 1989 non ci fu un
cambiamento davvero completo.
Ci a cui probabilmente pensava quel ragazzo era un contratto sociale allinsegna della solida-
riet, che renda il diritto alla vita e alla libert inalienabile, e la ricerca della felicit (materiale)
possibile
58
.
Il 1956 conclude una prima epoca di rivolte contro un sistema sociale gi gravato dal
peso di molti errori e crimini, ma che non mostra ancora i segni di un invecchiamento
che anche i fallimenti di quellanno, le stesse delusioni della destalinizzazione, renderan-
no irreversibile.
58
C. Pleshakov, Berlino 1989: la caduta del muro, Corbaccio, Milano 2009, pp. 209-300.
Andrea Panaccione
46
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47
IL DISSENSO IN URSS (1953-1991)
Marco Clementi
Il dissenso segn la parte conclusiva della storia sovietica e nellesperienza europea pu
essere considerato un fenomeno anomalo per alcune peculiarit: innanzitutto, pur svi-
luppandosi prevalentemente in ambito politico, nacque in ambiente letterario e assunse
connotazioni politiche solo in seguito ad alcuni precisi avvenimenti. Non si tratt di una
manifestazione organizzata, n omogenea, in quanto al suo interno troviamo una com-
plessa congerie di elementi, uniti dal comune desiderio di ottenere il rispetto dei diritti
civili da parte del regime comunista attraverso metodi legali e non violenti. Nonostante
abbia assunto elementi distintivi prevalentemente politici, furono redatti solo embrioni
di programmi alternativi a quello del Partito comunista sovietico, mentre, con pochis-
sime eccezioni, manc lattivit di partiti clandestini. Le forme di lotta furono sempre
chiare e palesi e le riviste, i libri e i saggi che furono pubblicati a cura dei dissidenti e
concorsero a formare un unico e vasto campo di informazione alternativa a quella uffi-
ciale, furono quasi sempre firmati dai loro estensori. Per usare le parole di Tatjana Cho-
dorovi/, una rappresentante del dissenso moscovita, gli attivisti per i diritti civili cono-
scevano solo una legge, quella della coscienza, il naturale sentimento di solidariet verso
i perseguitati ingiustamente, il rispetto della persona umana, della sua libert di spirito e
della verit, ossia di quei diritti sanciti anche dalla Costituzione sovietica e dai documen-
ti internazionali firmati da Mosca quali la Dichiarazione universale dei diritti delluomo
del 1948 o lAtto finale della Conferenza di Helsinki del 1975. A queste istanze, che si
possono definire generali, se ne affiancarono altre, precipue del contesto sovietico, come
la richiesta dello svolgimento dei processi penali a porte aperte, il rispetto delle mino-
ranze nazionali e sociali (per esempio, gli invalidi) o la non ingerenza dello Stato e del
governo in questioni appartenenti alla sfera privata dellindividuo come le inclinazioni
sessuali o la fede religiosa.
Cercando dei sinonimi, o delle locuzioni adatte a sintetizzare il fenomeno, si deve ri-
nunciare a definire il dissenso come opposizione democratica, se non in senso molto
lato: al suo interno, infatti, troviamo ideali laici e democratici, ma anche tendenze con-
fessionali, nazionalistiche e, in singoli casi, addirittura fasciste o naziste. Lespressione
Marco Clementi
48
russa usata per definire i dissidenti inakomyslja/ie coloro che pensano in modo di-
verso ; essa per non definisce in modo pieno la loro attivit: i dissidenti non si limita-
rono a pensare, ma cercarono di agire, giungendo a ipotizzare e in alcuni casi a praticare
unesistenza parallela a quella ufficiale.
Quando si studia il dissenso luso del termine movimento, se riferito al fenomeno, va
inteso in senso lato. Un movimento, per essere definito tale, deve soddisfare alcune pe-
culiarit: avere una chiara coscienza di s, autodefinirsi, distinguere chiaramente i pro-
pri obiettivi e il proprio antagonista. In linea di massima, queste tre caratteristiche man-
carono. Per chiarire il campo dindagine Aleksandr Daniel ha preferito a movimento
lespressione attivit di dissenso o la formula dissidentskij potok, corrente, o fiumana del
dissenso. Entrambe le espressioni sono preferibili a quella di movimento: il dissenso fu
una corrente ideale formata da persone che svolsero unattivit concreta al fine di difen-
dere i diritti civili e delluomo, denunciando le violazioni e chiedendo al governo mo-
difiche adeguate della legislazione, pur in presenza di marcate differenze politiche. An-
drej Amalrik stil un elenco dei gruppi nei quali si divideva, contandone quattro: uno
marxista, uno democratico liberale, uno nazionalista e uno neoslavofilo. Si tratta di una
divisione imperfetta, ma indicativa, perch manc una vera militanza, se si escludono i
pochissimi gruppi organizzati come il Partito cristiano sociale, che ebbe vita effimera, i
marxisti Comunardi, i sindacalisti di Smot, i pochi di Perspektiva e i nazionalisti ucrai-
ni e lituani. In senso pi ampio si pu affermare che appartennero al dissenso coloro
che dal 1953 al 1991 si definirono dissidenti, oppure non respinsero per s questa deno-
minazione, qualora assegnata da terzi, ovvero subirono repressioni dirette a causa del-
le loro convinzioni o per unazione legata alle stesse (per esempio, la partecipazione a
una manifestazione informale, la diffusione di materiale edito in proprio samizdat o
allestero tamizdat , la partecipazione a gruppi informali). Non andrebbe invece con-
siderato come dissidente un artista informale che non abbia partecipato coscientemen-
te alla fiumana o non abbia subito un processo per le sue convinzioni o per azioni a que-
ste legate.
Questo ragionamento ne introduce un altro, che porta a distinguere lessere dissiden-
te dal vivere da dissidente. Intorno ai nomi pi noti del dissenso letterario, artistico e po-
litico, infatti, ruotava una massa variabile e imponderabile di persone che vivendo in un
determinato modo tenevano atteggiamenti da dissidenti. Tali si manifestavano nelle for-
me di esistenza allinterno delle maglie della societ conformista, dove trovavano ricove-
ro e riparo. Questi soggetti, spesso non lavoravano ufficialmente (in URSS fu promulgata
una legge sul cosiddetto parassitismo, con la quale si colp anche il futuro premio Nobel
per la letteratura Josif Brodskij) e conducevano unesistenza parallela a quella ufficiale.
Questa forma di vita cre dei canoni, ossia un certo tipo di conformismo da dissidente; in
termini economici, costoro non partecipavano attivamente alla creazione della ricchezza
del paese e le loro attivit erano economicamente improduttive. Ci fu possibile grazie
alla produzione di una quantit di plusvalore tale da permettere, in Unione Sovietica (e
in altri paesi dove si registr lo stesso fenomeno), una ridistribuzione della ricchezza in
grado di premiare sia i produttori che i dissidenti (o, se si preferisce, coloro che viveva-
no secondo dei canoni dissidenti). Dunque, accanto alla produzione di idee e agli ampi
dibattiti che oggi possiamo documentare per effetto del lavoro di molti attivisti, esisti-
ta una schiera di persone che si ricavata allinterno del regime socialista uno spazio nel
Il dissenso in URSS (1953-1991)
49
quale si muoveva vivendo da dissidente, ossia riproducendo in maniera diffusa, ma sin-
golarmente, la problematica della realizzazione del proprio io nella societ, vivendo se-
condo quellindividualismo che il regime cercava di eliminare anche attraverso una ri-
partizione egualitaria del prodotto interno. Il tema accattivante e le ricerche in questa
direzione sono state appena avviate.
Periodizzazione
Non possibile indicare con precisione una data di inizio del fenomeno del dissenso, in
quanto esso ha avuto una lunga gestazione e si manifestato nelle forme che lo avrebbe-
ro caratterizzato storicamente nel corso di unevoluzione durata alcuni anni: diversi stu-
diosi indicano il 1969, anno della costituzione del primo gruppo informale, il Gruppo
di iniziativa per la difesa dei diritti civili nellURSS
1
, altri il 1965, lanno dellarresto degli
scrittori Julij Daniel e Andrej Sinjavskij. Non azzardato fissare come termine a quo il
1953, lanno della morte di Stalin e della pubblicazione di un importante articolo di cri-
tica letteraria sulla rivista Novyj Mir a cura di Vladimir Pomerancev, intitolato Del-
la sincerit in letteratura. Esso apr una discussione sulla libert di creazione e costitu
il punto di partenza da cui si svilupp la riflessione allinterno dellintelligencija sovie-
tica, che ebbe come esito la fiumana del dissenso. Il limite estremo pu essere indicato
nel 1991, anno della promulgazione della legge sulla riabilitazione delle vittime delle re-
pressioni politiche. I 38 anni che separano le due date possono essere divisi in 6 periodi.
Il primo comincia nella primavera del 1953 e termina nel 1964. In tale lasso di tempo si
denunci il culto della personalit di Stalin dalle tribune di due Congressi del PCUS (XX
e XXII), esplose la voglia di libert creativa da parte della giovent moscovita, cominci
il fenomeno delleditoria clandestina il samizdat e, infine, il successore di Stalin, Ni-
kita Chru/v fu allontanato dal suo posto di segretario generale.
Secondo periodo (1965-1967): nel 1965 due letterati semisconosciuti, Julij Daniel e
Andrej Sinjavskij, furono processati a causa delle loro composizioni letterarie. Ci diede
origine a una serie di manifestazioni di protesta e a nuovi arresti e alla fine del 1967 mol-
ti intellettuali decisero di impegnarsi in una lotta per laffermazione del diritto, la fine
dellarbitrio e la resistenza contro i tentativi di riabilitazione di Stalin. grazie al caso
Sinjavskij- Daniel che il dissenso prese coscienza di s.
Terzo periodo (1968-1972): il 1968, proclamato dalle Nazioni Unite lanno dei dirit-
ti umani, fu un anno intenso in Unione Sovietica. In generale, furono anni di crescita del
movimento, finch nel 1972 le autorit non decisero di reprimerlo con forza.
Quarto periodo (1973-1974): furono anni di crisi e di riflusso, sebbene non mancas-
sero iniziative, peraltro isolate, quali la fondazione del Gruppo 73 o lapertura della se-
zione russa di Amnesty International.
Quinto periodo (1975-1982): dopo la firma dellatto finale della Conferenza di Hel-
1
Vi presero parte Tatjana Velikanova, Aleksandr Lavut, Grigorij Podjapolskij, Tatjana Chodorovi/, Ana-
tolij Levitin-Krasnov, Mustafa Demilev, Anatolij Jakobson, Natalja Gorbanevskaja, Sergej Kovalv, Viktor
Krasin, Jurij Malcev, Petr Jakir, Vladimir Borisov, Genrich Altunjan e Leonid Plju/.
Marco Clementi
50
sinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, nacque il Gruppo Helsinki, con se-
zioni in diverse Repubbliche sovietiche, che chiese lapplicazione dei principi firmati in
Finlandia. Nel 1975 il fisico Andrej Sacharov ricevette il premio Nobel per la pace. La
repressione si inaspr nuovamente e si registrarono a partire dal 1976 moltissimi arresti.
Nel 1982 il Gruppo Helsinki russo sospese ufficialmente la propria attivit, mentre qua-
si tutti i dissidenti erano ormai in carcere o in esilio.
Sesto periodo (1983-1991): in questi anni si registr un ulteriore riflusso nella societ
e il ritorno delliniziativa riformatrice nelle mani del PCUS attraverso lelezione di Michail
Gorba/v a primo segretario del Comitato centrale. Le sue riforme condussero alla li-
berazione di tutti i prigionieri di coscienza e, infine, alla promulgazione di una legge per
la riabilitazione, ma il suo progetto generale si concluse con la dissoluzione dellUnio-
ne Sovietica.
Temi
La prima ampia discussione allinterno della societ civile sovietica (che in questa fase
si identifica con lintelligencija) ebbe come punto centrale la libert di creazione e di
espressione. Si detto che lo stimolo era venuto dallarticolo di Pomerancev, ma poi il
tema si allarg. In seguito al rifiuto delle autorit di far pubblicare in patria il romanzo
di Boris Pasternak Dottor ivago nel 1957, allarresto e condanna di Josif Brodskij per
parassitismo (1964) e quindi di Sinjavskij e Daniel, accusati di aver pubblicato alleste-
ro scritti antisovietici nascondendosi dietro agli pseudonimi di Abram Terc e Nikolaj
Arak (1965), ci si rese conto che la libert di espressione coincideva con tutte le altre
e che un paese sprovvisto della prima, conseguentemente non poteva rispettare i dirit-
ti civili. Accanto ai giovani poeti informali moscoviti, che negli anni Cinquanta avevano
organizzato incontri informali, riviste autogestite come Sintaksis e Feniks, dando
sviluppo al fenomeno del samizdat, e gruppi letterari come Smog, una parte dellintelli-
gencija gi strutturata allinterno del sistema colse nelle repressioni contro gli scrittori il
rischio di un ritorno al passato staliniano e decise di chiedere in modo aperto il rispetto
di tutti i diritti civili. Per iniziativa di Aleksandr Esenin-Volpin figlio del poeta Sergej
Esenin e letterato a sua volta si richiese per Sinjavskij e Daniel lo svolgimento di un
processo pubblico. Da quel momento si registrarono manifestazioni di protesta in occa-
sione di importanti avvenimenti, come per esempio loccupazione della Cecoslovacchia
nel 1968, il divieto di svolgere mostre informali o la chiusura di riviste autogestite. Ai
primi documenti sottoscritti dai dissidenti in forma di appelli alla pubblica opinione in-
ternazionale, alle Nazioni Unite o allo stesso governo dellURSS, seguirono pubblicazioni
periodiche, come la Cronaca degli avvenimenti correnti, nata nel 1968 allo scopo di
raccogliere tutte le notizie riguardanti il dissenso e le persecuzioni subite dagli attivisti.
Furono diffusi anche importanti pamphlet come le Considerazioni sul progresso, la coesi-
stenza pacifica e la libert intellettuale di Andrej Sacharov, noto con il nome di Trattato o
il libello di Andrej Amalrik Sopravviver lUnione Sovietica fino al 1984?
In seguito allintensificarsi degli arresti il mondo del dissenso cominci a interrogar-
si anche sui diritti dei prigionieri di coscienza e, di conseguenza, sulla vita allinterno dei
campi di lavoro, compreso il regime alimentare e il diritto dei reclusi a ricevere pacchi o
Il dissenso in URSS (1953-1991)
51
incontrarsi con i propri cari. Allo scopo di assistere i prigionieri, nel 1974, dopo lespul-
sione di Aleksandr Solenicyn dallURSS, fu fondato a Mosca il Fondo sociale russo (Rus-
skij ob/estvennyj fond), detto anche Fondo Solenicyn. Se ne occuparono, tra molte
difficolt, diversi dissidenti e venne finanziato attraverso sottoscrizioni e con i proventi
mondiali dei diritti sulle vendite del libro Arcipelago GULag.
Non tutti i dissidenti arrestati furono processati e condannati ai lavori forzati. Alcu-
ni, come il generale in pensione Ptr Grigorenko, il matematico Leonid Plju/ o Vla-
dimir Bukovskij, vennero rinchiusi in ospedali psichiatrici speciali gestiti dagli uomini
dei servizi, dove subirono la somministrazione indiscriminata di sostanze psicotrope. La
protesta contro luso distorto della psichiatria si manifest dapprima con la denuncia dei
singoli episodi, quindi con la pubblicazione dei risultati di uninchiesta raccolta in un
Libro bianco, infine con la formazione di una Commissione per la psichiatria, nella qua-
le lavorarono Irina Kaplun, Aleksandr Podrabinek, Feliks Serebrov, Vja/eslav Bachmin,
Leonard Ternovskij, S.V. Kallistratova, Aleksandr Voloanovi/, e Anatolij Korjagin.
Nel pi ampio contesto della violazione dei diritti civili da parte del regime sovieti-
co, alcuni dissidenti si impegnarono in particolare per il rispetto di quelli religiosi e la li-
bert di fede. Tra essi, Gleb Jakunin, Anatolij Levitin-Krasnov e padre Aleksandr Men.
Si ebbero anche iniziative da parte di alcune comunit religiose come i battisti, gli aven-
tisti del settimo giorno, i pentacostali o i cattolici lituani. In tali casi le istanze riguarda-
vano le specifiche comunit, con leccezione dei cattolici lituani, dove la disputa per laf-
fermazione della fede rappresent un capitolo della pi ampia lotta per laffermazione
dellindipendenza nazionale. La Chiesa ortodossa ufficiale russa attravers diverse fasi
nei rapporti con il regime e in alcuni casi si registrarono dei contrasti al suo interno, o
con alcune comunit ortodosse dissenzienti come gli iosifliani; questi formavano il grup-
po pi numeroso, sorto nel contesto del movimento dei nepominaju/ie (non commemo-
ranti) formatosi nel 1927 dopo la sottomissione del patriarcato al potere politico.
Accanto ai diritti dei singoli e dei credenti, il dissenso difese anche alcune comuni-
t, unite da vincoli etnici. In particolare, si tratt di popolazioni deportate dai luoghi di
origine nel corso della Seconda guerra mondiale, perch accusate di collaborazionismo
ed escluse dal processo di riabilitazione seguito alla morte di Stalin, quando si permi-
se il ritorno nella patria di origine a molte di loro. La comunit pi numerosa era com-
posta dai Tartari di Crimea, che lottarono fino alla fine degli anni Ottanta per ottenere
il permesso di rientrare sulle coste del Mar Nero (Mustafa Demilev fu il loro maggio-
re rappresentante); una seconda comunit che si impegn nella difesa dei propri diritti
fu quella dei Mecheti, una popolazione di origine turca che viveva nel sud della Geor-
gia dalla fine del XVI secolo.
Oltre ai popoli deportati, fu importante il movimento degli ebrei sovietici per lemi-
grazione in Israele, che ebbe i suoi momenti di maggiore attrito con il potere nel corso
degli anni Settanta e fin per identificarsi con gli otkazniki (o refuzniki), ossia coloro che
avevano richiesto, senza ottenerlo, il permesso di emigrare. Tra i maggiori attivisti si ri-
corda Anatolij (Natan) /aranskij, un matematico arrestato e processato nel 1977 con
laccusa di tradimento della patria, quindi liberato dopo alcuni anni, emigrato e in segui-
to divenuto un importante politico israeliano.
Marco Clementi
52
Epilogo
Dopo il fallimento del colpo di Stato tentato nellestate del 1991 da alcuni membri di
primo piano del regime sovietico, il governo russo promulg nellottobre di quello stes-
so anno una legge per la riabilitazione dei prigionieri politici, in vigore ancora oggi nel-
la Federazione Russa. Secondo quanto vi si legge, si devono intendere per repressio-
ni politiche le coercizioni, subite dai cittadini per motivi politici, che hanno condotto
alla perdita della vita, alla privazione della libert, al ricovero coatto in un ospedale psi-
chiatrico, alla deportazione fuori dei confini del paese e alla conseguente privazione del-
la cittadinanza, alla deportazione di massa dai luoghi di origine, al lavoro obbligatorio o
alla deportazione in luoghi speciali.
Le norme riguardano i cittadini della Federazione Russa, quelli delle Repubbliche
ex sovietiche e i cittadini stranieri o apolidi repressi per motivi politici nel territorio del-
la Repubblica federativa russa a partire dal 7 novembre 1917. Il punto 2.1 indica chi,
accanto alle vittime dirette, si pu ritenere a sua volta in diritto di appellarsi alla legge:
i bambini che si sono trovati con i genitori in luoghi di pena o di esilio, gli orfani di ge-
nitori uccisi durante la loro minore et, i familiari pi stretti di persone fucilate o dece-
dute nei luoghi di pena e riabilitati dopo la morte. Per quanto riguarda il compenso per
le sofferenze subite, larticolo rimanda a ulteriori decisioni delle amministrazioni fede-
rali locali.
In base alla legge, possono chiedere la riabilitazione i condannati ai lavori forzati o al
carcere per decisione degli organi della polizia politica, della procura, delle cosiddette
trojke e dvojke e altri organi similari, oppure coloro che sono stati rinchiusi in ospedali
psichiatrici, inviati al confino o deportati. Larticolo 4, per, pone una grave limitazione
alle premesse contenute nella legge, in quanto afferma che non ci si pu appellare alla
norma se la condanna sia stata emanata per fondati motivi (obosnovanno). Questo arti-
colo, che serve a escludere dalla riabilitazione chi si sia macchiato di reati quali lo spio-
naggio, il terrorismo e lomicidio, determina che il fondamento di una pena sia deciso
di volta in volta dal giudice naturale e non stabilito in un modo generale valido per tut-
ti. Lunica eccezione (art. 5) costituita dalle condanne comminate in base agli artico-
li riguardanti i reati di coscienza, ossia il 70 e il 190 (limitazione della libert di espres-
sione e manifestazione), nonch il 142 e il 227 (riguardanti la libert di culto), condanne
che sono sempre ritenute infondate dalla nuova legge. Gli articoli successivi riguarda-
no le modalit della presentazione della domanda di riabilitazione e le conseguenze del-
la stessa, ossia la piena riabilitazione civile, il recupero dei beni eventualmente confiscati
e dellabitazione (se perduta), oltre al ricevimento di una compensazione monetaria non
inferiore a 100 salari minimi stabiliti per legge, pi una serie di facilitazioni riguardanti
aspetti diversi della vita sociale, come un periodo di vacanza a spese dello Stato, un cer-
to quantitativo mensile di prodotti alimentari o il pagamento delle spese per la ristruttu-
razione della casa. Non pu essere per reclamata la terra nazionalizzata dopo la rivolu-
zione, cos come tutte le propriet nazionalizzate o municipalizzate, o distrutte durante
la guerra civile e la Seconda guerra mondiale.
La legge ha scontentato molti attivisti per la mancata condanna politica delle repres-
sioni, intese come singoli crimini e non come una qualit intrinseca al totalitarismo, ma
alcuni elementi vanno incontro alle richieste dei dissidenti. Anzitutto, la norma pone
Il dissenso in URSS (1953-1991)
53
un termine a quo per linizio delle repressioni illegali: il 7 novembre 1917, ossia il primo
giorno del regime bolscevico. In secondo luogo, stabilito che la repressione politica co-
stitu per il regime un importante strumento di lotta contro il dissenso. Se la condizione
di condanna fondata o meno limita la valenza della legge, essa sanziona comunque lo
Stato per le condanne ingiuste. Dato lalto numero di persone arrestate senza aver vio-
lato la legge, se ne deduce che fu il governo sovietico a compiere azioni criminose con-
tro i suoi cittadini, sebbene non lo si dica chiaramente. Per alcuni casi, inoltre, sotto-
lineato che, al fine di munirsi di strumenti repressivi, quello stesso governo eman leggi
che violavano i diritti delluomo e che ci avvenne dal momento della sua fondazione.
Tutto ci positivo.
Esiste un aspetto importante che pu spiegare la mancanza di una decisa condanna
del passato. La legge del 1991 rientra in un contesto di riforma dello Stato e non il ri-
sultato di un nuovo patto sociale. Come ha notato Aleksandr Daniel, infatti, n in Ger-
mania dopo la fine del nazismo, n in Russia dopo la fine dellimpero zarista, fu promul-
gata una legge analoga, perch i governi che seguirono quei regimi vennero costituiti
nellambito di nuovi contesti statali: le vecchie istituzioni crollarono e furono sostitui-
te da nuove. Nella Federazione Russa, invece, ci non accaduto: si continuato a vi-
vere allinterno dello stesso Stato, sebbene riformato rispetto al passato sovietico. In al-
tre parole, la legge afferma che, dal momento della sua promulgazione, quello Stato,
che in passato ha violato le sue stesse leggi e i principali diritti delluomo, si impegna a
non ripetere larbitrio e ad accettare la convivenza civile. In altre parole, la norma rien-
tra nella stessa logica delle amnistie sovietiche dei decenni precedenti, sebbene rispet-
to a queste la riabilitazione sia divenuta, da individuale, di massa. Luso del terrore, del
resto, non definito dalla legge come un crimine, n sono individuati dei responsabili;
nel testo della legge non sono indicate persone, organizzazioni o istanze contro le qua-
li prevista la possibilit di ricorrere in giudizio, costituendosi parte civile. In questo
modo, per dirla con Irina Flige, le repressioni di massa ci sono state, ma non ci sono sta-
ti i crimini contro la legalit. Un ultimo punto deve essere analizzato e riguarda il termi-
ne obosnovanno. Esso ha sostituito la parola nezakonno illegalmente usata nelle pre-
cedenti amnistie. Al contrario di questo termine, la locuzione in modo infondato, usata
per coloro che sono stati condannati per gli articoli 70, 190, 142 e 227, dunque per tutti
i dissidenti, permette allo Stato di non riconoscere la valenza politica della lotta per laf-
fermazione del diritto, in quanto chi si batteva per questo non stato condannato con-
tro la legge, ma solo in modo infondato, concetto che non ha una base prettamente giu-
ridica. Forte di queste conclusioni, qualcuno ha rifiutato la riabilitazione e lo status di
vittima, ma ci risulta inutile perch, come detto, per questi articoli la riabilitazione di
massa e non prevede possibilit di rifiuto. In altre parole, chi in passato ha lottato con-
tro il regime sovietico in modo cosciente, e per questo stato condannato, si ritrova vit-
tima di una condanna infondata, trasformando, contestualmente, il suo impegno in mai
avvenuto. Dal punto di vista dello Stato, dunque, la legge del 1991 cancella la memo-
ria della resistenza contro il regime sovietico, derubricando la lotta per il rispetto dei di-
ritti civili a condanne non valide.
Marco Clementi
54
Persone
Il dissenso ha attraversato diverse fasi e in esso sono confluite molte persone, provenien-
ti da diversi ambiti e con interessi lontani. Si possono prendere brevemente in esame le
biografie di alcune di queste, perch caratterizzanti di un particolare aspetto. Molti altri,
ovviamente, ebbero ruoli altrettanto importanti.
Andrej Sacharov (1921-1989) stato certamente lattivista pi noto in patria e alleste-
ro e quello che ha saputo interpretare la maggioranza delle istanze di emancipazione e li-
bert. Gi noto fisico impegnato nella ricerca segreta per la costruzione della bomba ter-
monucleare, alla fine degli anni Sessanta giunse alle tematiche dei diritti civili, dando un
notevole contributo teorico e pratico. Scrisse nel 1968 un pamphlet intitolato Considera-
zioni sul progresso, la coesistenza pacifica e la libert intellettuale, quindi, nel 1975, il sag-
gio Il mio paese e il mondo. In quello stesso anno venne insignito del premio Nobel per
la pace, ritirato a Oslo dalla moglie Elena Bonner. In quel periodo un Tribunale interna-
zionale che portava il suo nome svolse diverse sessioni di lavoro in Occidente al fine di
denunciare le violazioni dei diritti civili in URSS. Nel 1980, dopo aver subito numerose
intimidazioni, Sacharov fu esiliato a Gorkij, dove rimase fino al 1986, quando Gorba/v
ne permise il rientro a Mosca. Eletto membro del Congresso dei deputati del popolo nel
1987, egli scrisse un progetto costituzionale che rappresenta la sintesi dellimpegno pro-
fuso negli anni precedenti. Nel 1988 divenne presidente del Centro sociale e di ricerca
Memorial, fondato a Mosca allo scopo di studiare le repressioni staliniane e denun-
ciare le violazioni dei diritti civili. Dopo la sua morte stato aperto a Mosca un Centro
di studi e di ricerca che ne porta il nome, mentre ogni anno assegnato un Premio Sa-
charov a chi si distinto nel mondo per la difesa dei diritti civili.
Aleksandr Solenicyn (1918-2009), scrittore e saggista, autore di importanti ricer-
che sul sistema dei campi di lavoro sovietici. A lui si deve il volume intitolato Arcipelago
GULag, pubblicato in tutto il mondo a partire dal 1973. In precedenza il suo racconto
Una giornata di Ivan Denisovi/, stampato sulle pagine di Novyj Mir nel 1962, gli aveva
procurato grandi riconoscimenti anche in patria. Nel 1970 fu insignito del premio No-
bel per la letteratura per i romanzi Il primo cerchio e Divisione Cancro, premio che pot
ritirare solo dopo la sua espulsione dallURSS, avvenuta nel 1973. Visse gli anni dellesilio
negli Stati Uniti, ma con la fine del comunismo fece ritorno a Mosca. Per quanto riguar-
da la sua concezione politica, col tempo si caratterizzata per un progressivo conserva-
torismo: dalle discussioni con Sacharov rispetto alle prospettive di sviluppo per la Rus-
sia, che secondo Solenicyn doveva guardarsi dallinfluenza occidentale, si avvicinato
al neonazionalismo del regime putiniano.
Lev Kopelev (1912-1997) gi iscritto al partito comunista, fu arrestato nel 1929 con
laccusa di aver partecipato allopposizione trockista. Liberato, descrisse la collettiviz-
zazione e le conseguenze della Grande carestia in Ucraina nel 1932, quindi partecip
alla guerra mondiale nel 1941 come volontario. A causa delle sue critiche contro gli ec-
cessi nei riguardi dei civili tedeschi fu condannato a dieci anni di carcere; la sua storia
ispir Solenicyn per la stesura de Il primo cerchio. Liberato nel 1954, fu reintegrato nel
PCUS e segnal alla redazione di Novyj Mir il racconto Una giornata di Ivan Deniso-
vi/. Dopo aver firmato un appello in favore di Sinjavskij e Daniel fu espulso dallUnio-
ne degli scrittori, quindi privato della cittadinanza sovietica, che riacquis solo nel 1990,
Il dissenso in URSS (1953-1991)
55
pur rimanendo a vivere in Germania fino alla sua morte. Oggi esiste un premio interna-
zionale a lui dedicato.
Vladimir Bukovskij (1942) si impegn nellattivit in favore dei diritti civili fin da
giovanissimo, partecipando nel 1958 alle letture dei giovani poeti informali in Piazza
Majakovskij. Dopo aver subito diversi arresti e la segregazione in un ospedale psichiatri-
co, nel 1976 fu scambiato dallURSS con il segretario del Partito comunista cileno, Luis
Corvaln. Dallemigrazione continu la sua lotta, finalizzata alla distruzione del sistema
sovietico e ancora oggi si batte per la difesa dei diritti civili nella Russia postcomunista.
Aleksandr Ginzburg (1936-2002), impegnato giovanissimo nella redazione delle pri-
me riviste in samizdat, fu autore del Libro Bianco sul caso Sinjavskij-Daniel. Per questo
fu condannato a 5 anni di lager a regime duro. Scontata la pena, diresse il Fondo sociale
russo e partecip al Gruppo Helsinki di Mosca. Arrestato nel 1977, venne condannato
a 8 anni di campo di lavoro e nellaprile 1979 fu scambiato, assieme a Eduard Kuznecov
e altri tre dissidenti, con due spie sovietiche arrestate dagli statunitensi. A Parigi parte-
cip alla redazione dellimportante rivista Russkaja Mysl.
Andrej Amalrik (1938-1980), fu uno dei pochi attivisti che cerc di studiare il feno-
meno del dissenso attraverso la raccolta e lanalisi di dati empirici (si vedano le sue Note
di un dissidente). Condannato a diversi anni di esilio in Siberia, fu autore del pamphlet
intitolato Sopravviver lUnione Sovietica fino al 1984? Lasci lURSS nel 1976 e mor in
circostanze mai chiarite nel 1980, in Spagna, a causa di un incidente stradale mentre si
recava a una riunione della Conferenza per la cooperazione e la sicurezza.
Anatolij Mar/enko (1938-1986), tent ancora giovanissimo di emigrare illegalmente
dallURSS e per questo fu condannato a 6 anni di lager. Nel 1967 descrisse la sua esperien-
za in un libro La mia testimonianza che ebbe una vastissima diffusione in samizdat.
Arrestato nuovamente, prefer il carcere allemigrazione e mor in prigione nel dicembre
del 1986 dopo ripetuti scioperi della fame.
Natalja \ukovskaja (1907-1996) stata una delle maggiori scrittrici impegnate
nel dissenso. Di lei si ricordano due romanzi sullo stalinismo pubblicati in samizdat e
allestero: La casa deserta e Indietro nellacqua scura, nonch limportantissima opera In-
contri con Anna Achmatova. Processo di esclusione un documento autobiografico nel
quale racconta la sua espulsione dallUnione degli scrittori, avvenuta nel 1974.
Natalja Gorbanevskaja (1936) fu la prima redattrice della Cronaca degli avveni-
menti correnti, il pi importante periodico pubblicato dal dissenso a partire dal 1968.
Il 25 agosto di quellanno partecip alla manifestazione di protesta contro loccupazio-
ne della Cecoslovacchia, che si svolse sulla Piazza Rossa e che raccont nel volume Mez-
zogiorno, Piazza Rossa. Dopo aver fondato, nel 1969, il Gruppo di iniziativa per la dife-
sa dei diritti delluomo fu arrestata e rinchiusa in un ospedale psichiatrico speciale. Nel
1975 emigr a Parigi e lavor a Radio Libert fino al 1988, quando lasci la redazione
per insanabili contrasti politici. Collabor anche con la rivista letteraria parigina Kon-
tinent e con Russkaja Mysl.
Padre Aleksandr Men (1935-1990) fu uno dei maggiori attivisti per la difesa della li-
bert di culto. Intellettuale e studioso, redasse una Storia delle religioni pubblicata negli
anni Settanta sotto pseudonimo. Molto impegnato anche durante la perestrojka, fu bru-
talmente assassinato nel 1990. I suoi uccisori non sono mai stati individuati.
Dina Kaminskaja (1919-2006) fu una degli avvocati che pi si impegn nella difesa
Marco Clementi
56
dei dissidenti. Sub assieme ai colleghi S. Kallistratova e B. Zolotuchin diverse repressio-
ni indirette da parte delle autorit. Nel 1965 le fu impedito di difendere Daniel, ma ri-
usc a occuparsi di Bukovskij due anni pi tardi. Fu quindi la legale di Larisa Bogoraz,
moglie di Mar/enko, e Pavel Litvinov, quindi dello stesso Mar/enko, finch nel 1977
non venne radiata dallordine degli avvocati. Allarresto prefer lesilio e si rec negli Sta-
ti Uniti, dove continu la propria attivit in difesa dei diritti. La sua pi importante pub-
blicazione Note di un avvocato.
Michail Molostvov (1934-2003) fu deportato da Leningrado con la famiglia nel 1935
nel corso delloperazione denominata Ex-persone. Tornato nella sua citt, pot studia-
re filosofia nella locale universit, dove svolse attivit politica informale. Per questo sub
una lunga condanna (1958-1965), scontata la quale lavor come insegnante in diverse
citt, continuando a svolgere attivit informale e mantenendo i collegamenti con gli altri
dissidenti. Nel 1990 venne eletto deputato del Soviet della Repubblica socialista federa-
tiva russa e dal 1993 al 1995 fu deputato della Duma di Stato della Federazione Russa.
Nel 1991 diresse la Commissione per la devoluzione al governo dellArchivio del KGB ri-
guardante la citt di Leningrado e lanno dopo fu inserito nella Commissione governa-
tiva per la grazia, che si occupava della pena di morte. Si impegnato contro la guerra
in Cecenia e nel 1995 si offerto come ostaggio al gruppo di guerriglieri diretti da amil
Basaev a Budennovsk.
Revolt Pimenov (1931-1990), matematico, fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico
speciale dal 1949 al 1950 in seguito alla sua presa di posizione contro la campagna an-
tijugoslava. Tra il 1952 e il 1955 scrisse il lavoro Il destino della rivoluzione russa e dopo
il XX Congresso comment e diffuse il rapporto segreto di Nikita Chru/v. Dopo lin-
vasione dellUngheria, scrisse le Tesi sulla rivoluzione ungherese e La verit sullUnghe-
ria come lettera di protesta alla Pravda, quindi fond insieme a Boris Vajl un gruppo
politico che si interess del rapporto tra cultura, intelligencija e potere. Convintosi che
il regime sovietico fosse una forma di capitalismo, si pose il problema di come risolve-
re, da un punto di vista teoretico e marxista, il problema del potere in uno Stato in cui
un partito aveva il monopolio dei mezzi di produzione, della forza lavoro e della cultu-
ra. Nel 1957 Pimenov fu arrestato e condannato a 10 anni di campo di lavoro con la per-
dita dei diritti civili per i seguenti 3. Nel 1970 fu nuovamente arrestato e condannato a
5 anni di soggiorno obbligato nella Repubblica di Comi. Nel 1989 partecip alla fonda-
zione di Memorial e nel 1990 venne eletto deputato del popolo della Repubblica fe-
derativa russa, lavorando al progetto della nuova Costituzione.
Valerij Ronkin (1936-2010) e Veniamin Iofe (1939-2002), marxisti leningradesi, ne-
gli anni Cinquanta, mentre militavano nellassociazione giovanile del PCUS, il Komsomol,
fondarono il gruppo dei Comunardi, che pubblic la rivista in samizdat Kolokol.
Diffusero un loro programma politico intitolato Dalla dittatura della burocrazia alla dit-
tatura del proletariato, scritto da Ronkin e Sergej Chachaev, ma furono arrestati nel 1965
e condannati a diversi anni di lager. Tornati in libert, continuarono a svolgere attivit di
dissenso, partecipando anche alla redazione della importante raccolta intitolata Pamjat,
uscita tra il 1975 e il 1981. Nel 1989 hanno fondato la sezione leningradese di Memo-
rial, di cui Iofe stato direttore fino alla morte.
Proprio il Centro scientifico e sociale Memorial costituisce il ponte di collegamen-
to tra il mondo del dissenso e il nuovo attivismo in Russia per la difesa dei diritti civili e
Il dissenso in URSS (1953-1991)
57
umani. Si occupa di ricostruire la storia delle repressioni e le biografie delle vittime del
terrore staliniano e offre la propria tutela a tutti coloro che subiscono persecuzioni giu-
diziarie per motivi politici. Tra gli attivisti di Memorial ricordiamo lattuale presiden-
te, Arsenij Roginskij (1946), anche lui tra i curatori di Pamjat, che pag con il carcere il
suo impegno. Irina Flige (1960), moglie di Veniamin Iofe, dal 2002 dirige il centro Me-
morial di San Pietroburgo. Coordina le ricerche sui luoghi di repressione e sepoltura
delle vittime del terrore e si occupa della memoria del primo GULag sovietico, nato nel
1929 sulle isole Solovki, nel Mar Bianco. Attualmente coordina la realizzazione del pro-
getto Il museo virtuale del GULag.
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Marco Clementi
58
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www.ronkinv.narod.ru.
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59
LE LOTTE OPERAIE IN POLONIA
Davide Artico
Precisazioni
Identificare automaticamente le lotte operaie nella Repubblica popolare polacca con
una sorta di comunismo eretico fuorviante e privo di fondamento nei fatti. Per com-
prendere il fenomeno occorre invece precisare tanto che cosa potesse essere un presun-
to comunismo ortodosso nel paese sulla Vistola, quanto il retroterra ideale (e ideolo-
gico) che mosse certamente non tutti, ma comunque la maggioranza degli attori delle
proteste popolari che ebbero luogo nellarco di un quarto di secolo, dalla primavera del
1956 fino a fine 1981.
Se si rinuncia a una semplificazione, ideologicamente non neutrale, secondo la
quale tutti i regimi dellEuropa centro-orientale fino al 1989 furono in massa e senza
differenze diacroniche comunisti, si pu iniziare a tracciare linee di demarcazione
cronologiche pi sensate, che permettano di meglio inquadrare lo svolgersi degli avve-
nimenti che condusse al cosiddetto autunno dei popoli dell89. La definizione, lar-
gamente diffusa in Polonia, dovrebbe del resto far riflettere di per s. Lottocentesca
primavera dei popoli, com noto, consistette in una serie di moti di liberazione na-
zionale dal giogo di imperi che invece, per loro stessa natura, erano sovranazionali e,
per scelta politica, erano fondamentalmente autoritari. Il paragone implicito fra l89
(del XX secolo) e il 48 (del XIX) suggerisce dunque che la caratteristica saliente dei re-
gimi dellEuropa centro-orientale in generale, e di quello polacco in particolare, non
fosse il comunismo, bens i metodi di governo autoritari. Daltro canto il paragone mi-
topoietico con il movimento risorgimentale suggerisce anche che la maggioranza de-
gli oppositori ai quei regimi non fosse mossa da ideali eretici di stampo socialista o
comunque marxiano, ma che al contrario il loro motore ideologico fosse di tipo prin-
cipalmente nazionalista.
Incidentalmente varr la pena rilevare che, in Polonia, prassi comune fra gli sto-
rici far risalire i nazionalismi del XX secolo proprio allidea di Stato nazionale sviluppa-
tasi dalla met dellOttocento. A differenza di quanto avviene ad Occidente, insomma,
Davide Artico
60
non si individuano cesure fra la risorgimentale idea nazionale e i nazionalismi viru-
lenti e infine fascisteggianti che invece furono espressi nella prima met del Novecento.
Gli stessi eredi ideali di Solidarno0 non si fanno scrupolo oggi di inneggiare alla figura
di Roman Dmowski. Politico polacco degli inizi del Novecento, Dmowski aveva chiare
ed esplicite tendenze antisemite e xenofobe, si circondava di squadracce di picchiatori,
nelle fila del suo partito milit addirittura Eligiusz Niewiadomski, il terrorista che assas-
sin a sangue freddo Gabriel Narutowicz, il primo presidente polacco eletto democra-
ticamente
1
. Dmowski tuttavia, per alcuni fra gli odierni politici post-Solidarno0, ebbe
il pregio incontrovertibile di propugnare coerentemente e insistentemente lidea di uno
Stato-nazione polacco. In nome dellideale nazionale, insomma, gli si perdonano oggi
anche le idee e i metodi fascisti.
Da queste considerazioni deriva che, prima di parlare in concreto delle lotte operaie
in Polonia in unopera dedicata ai comunismi eretici, bisogna innanzitutto rispondere
a due quesiti fondamentali: in che periodi storici e in che misura esistette il comunismo
nella Repubblica popolare polacca? Quali erano i punti di riferimento ideali degli ope-
rai in lotta contro il regime?
Il comunismo marxista-leninista in Polonia
La Repubblica popolare polacca nacque soltanto nel 1952. Ci non implica che, in pre-
cedenza, non ci fossero state in Polonia riforme istituzionali e decisioni politiche pi uf-
ficiose che allontanarono il sistema politico dallo schema classico di una democrazia rap-
presentativa di tipo occidentale.
La Polonia appena uscita dalla Seconda guerra mondiale era uno strano ibrido in cui
coabitavano un sostanziale statalismo in economia e una pi o meno radicata fedelt mi-
litare allUnione Sovietica da una parte e, dallaltra, un pluralismo politico niente affat-
to di facciata. Baster ricordare quali fossero i tre principali partiti del governo di uni-
t nazionale dellimmediato dopoguerra: uno era costituito dai Popolari (Stronnictwo
ludowe), partito contadino di ispirazione cattolico-conservatrice, che vedeva nel com-
promesso storico con le sinistre lunica maniera di raggiungere i suoi obiettivi territo-
riali e il mantenimento di uninfluenza che impedisse o perlomeno annacquasse la col-
lettivizzazione nelle campagne; di certo i popolari non potevano dirsi n comunisti n
in generale marxisti.
Altra forza erano i socialisti, che nel periodo interbellico avevano anteposto le istan-
ze nazionali allortodossia marxiana, figurando fra i pi accesi sostenitori della guer-
ra contro lUnione Sovietica fra il 1918 e il 1920. Non si potevano certo dire sostenito-
ri di Stalin.
In ultimo veniva il Partito operaio, che era certo il pi gradito a Mosca, ma non si
poteva dire esso stesso comunista in senso stretto. I comunisti polacchi del periodo
1
Cfr. R. Dmowski, Myli nowoczesnego Polaka, Towarzystwo Wydawnicze, Leopoli 1904; Id., Polityka pol-
ska i odbudowanie pastwa, Ksi egarnia Perzyski, Niklewicz i Spka, Varsavia 1925; A. Fountain, Roman
Dmowski, Columbia University Press, New York 1980.
Le lotte operaie in Polonia
61
interbellico non vi erano rappresentati che in misura minima, anche perch la maggio-
ranza di essi era perita o nelle cruente repressioni interne
2
oppure a causa delle purghe
staliniane
3
. Se comunisti eretici esistettero nella Polonia dellimmediato dopoguerra,
di certo essi si trovavano nelle fila del Partito operaio. Lesempio pi noto certamente
quel Wadysaw Gomuka che, da ministro delle Terre riconquistate, ebbe pi di una
volta a scontrarsi con i vertici sovietici
4
.
Il pluralismo politico, naturalmente, non sopravvisse alla Guerra fredda. I primi a
farne le spese furono i socialisti, che nel 1947 si videro inglobare nel Partito operaio uni-
ficato (POUP) e, con ci stesso, sottoporre a un centralismo che aveva ben poco di demo-
cratico. I popolari, almeno formalmente, rimasero autonomi, ma furono anchessi co-
stretti a adottare una linea di piena e quasi acritica collaborazione con il POUP.
Lautentico giro di vite in senso stalinista si ebbe dopo lelezione a presidente del-
la repubblica di Bolesaw Bierut nel 1947. Bierut, gi membro del Partito comunista
polacco ma salvatosi dalle purghe staliniane diventando agente dellNKVD (Commissa-
riato del popolo per gli affari interni, che gestiva le varie polizie politiche sovietiche),
sarebbe rimasto per un intero decennio ai vertici di un sistema di potere improntato
alla pi rigida ortodossia moscovita. Dopo lentrata in vigore delle riforme istituziona-
li nel 1952, che prevedevano anche la cancellazione della carica di Presidente della Re-
pubblica, Bierut continu a guidare in maniera dittatoriale sia il partito sia il governo
fino alla sua morte, avvenuta a Mosca il 12 marzo 1956. Lo sostitu alla guida del par-
tito Edward Ochab, personalit del tutto priva di protagonismo politico che si suppo-
neva potesse svolgere un ruolo di mediatore fra la frazione stalinista (Natolin) e quella
dei riformatori (Puawianie). Di fatto una delle prime iniziative intaprese da Ochab in
politica interna fu lamnistia per molti dei condannati per reati di opinione negli anni
precedenti: una sorta di atto dovuto a fronte del clima del tutto nuovo che si stava re-
spirando nel blocco sovietico dopo le famose rivelazioni di Nikita Chru/v del 25
febbraio 1956.
Nella seconda met del 1956, anche per lintervento personale di Chru/v, in Polo-
nia si riusc a evitare una svolta ungherese. A capo dellesecutivo polacco torn Go-
muka, sgradito tanto al blocco Natolin, quanto allo stesso Ochab, che gi in passato
laveva accusato di deviazioni nazionaliste. Ochab fu tuttavia costretto a dimettersi
dalla segreteria del partito; ci segn in pratica linizio della fine del comunismo stric-
tu senso in Polonia. Il nuovo esecutivo, se manteneva solidi legami di alleanza militare
con lUnione sovietica, di fatto in politica interna intraprese azioni quanto meno irritua-
li: fu sospesa del tutto lappena abbozzata collettivizzazione delle campagne; fu scar-
cerato il primate Wyszyski, dando effettiva applicazione allIntesa fra Stato polacco e
Chiesa cattolica che era gi stata firmata addirittura nel 1950; si diede un impulso nuo-
2
Lappartenenza al Partito comunista fu dichiarata illegale e penalmente perseguibile in Polonia gi dal
1919.
3
Dopo leliminazione fisica della maggior parte dei suoi membri, il Partito comunista polacco fu infine
sciolto su decisione del Komintern nel 1938.
4
D. Artico, Terre Riconquistate. De-germanizzazione e polonizzazione della Bassa Slesia dopo la II Guerra
Mondiale, Edizioni dellOrso, Alessandria 2006, pp. 5-6.
Davide Artico
62
vo e niente affatto di facciata al cooperativismo ed alla piccola propriet privata quali al-
ternative alla propriet diretta statale dei mezzi di produzione in uneconomia pianifi-
cata centralmente.
Queste tendenze si rafforzarono ulteriormente negli anni Settanta sotto la direzione
di Edward Gierek. Pur restando a sua volta fedele alleato militare dellUnione Sovieti-
ca, Gierek si spinse fino a un allentamento della censura talmente avanzato da rasentare
lassoluta libert di stampa, come dimostra fra gli altri lesperimento della rivista Poli-
tyka, che negli anni Settanta segu una linea editoriale di aperta apologia delle socialde-
mocrazie di tipo scandinavo. Dopo gli scioperi di Danzica del 1970, insomma, si pu af-
fermare che in Polonia avesse cessato di esistere il comunismo marxista-leninista. Quel
che rimaneva erano invece la mancanza di pluralismo partitico, cio il ruolo direttivo
assegnato a priori al POUP, che ne faceva di fatto un partito unico; la mancanza di mecca-
nismi di autogoverno degli enti locali, tutti sottoposti al rigido centralismo amministra-
tivo della capitale; lassenza di libert di associazione sindacale. La Repubblica popolare
polacca presentava tutte le caratteristiche di un regime autoritario, anche se ben pochi
tratti tipici di un regime comunista di tipo sovietico. Rimaneva comunque uno Stato a
sovranit limitata, essendo militarmente legata a doppia mandata ai piani di difesa
strategica dellURSS sul teatro europeo.
Una cronologia di massima delle lotte operaie: Pozna 1956
Le prime proteste operaie su larga scala nella Repubblica popolare polacca si ebbero
nel 1956. Un ruolo non indifferente nel tradursi del malcontento in lotta a viso aper-
to ebbe senza dubbio il nuovo clima venutosi a creare nel paese in seguito a due avve-
nimenti pressoch concomitanti. Il 25 febbraio Chru/v tenne il suo famoso discorso
al XX Congresso del PCUS. Delegato al congresso era anche Bierut, che a distanza di due
sole settimane sarebbe morto in circostanze poco chiare. Per la Polonia, come si accen-
nava sopra, ci segn linizio di un disgelo politico cui per non si accompagn alcuna
democratizzazione nei rapporti di produzione.
Fabbrica simbolo delle rivendicazioni dei lavoratori fu la ZiSPo, sigla che stava a in-
dicare gli Stabilimenti Stalin di Pozna (Zakady im. Stalina Pozna). I metallurgi-
ci della ZiSPo avevano da tempo in corso una vertenza con la direzione dello stabili-
mento che riguardava principalmente lorganizzazione del lavoro, cio limpossibilit
di raggiungere le quote di produzione imposte a fronte dellirregolarit delle forniture
di materie prime e semilavorati ed al mancato coordinamento con gli altri stabilimen-
ti. Allinsoddisfazione generale contribuiva ovviamente il ruolo subordinato dei sinda-
cati ufficiali rispetto alla direzione del Partito, che a sua volta sosteneva a priori, come
duso, la direzione della fabbrica. La mancanza di una rappresentanza sindacale autono-
ma si traduceva in contrattazioni su tempi ed obiettivi produttivi che risultavano del tut-
to avulse dalla realt riscontrabile nei reparti.
I primi segnali di inquietudine si ebbero alla vigilia del XX Congresso del PCUS. Gi
nel febbraio del 1956, infatti, in sede di discussione assembleare sul piano quinquenna-
le vi furono addirittura circa cinquemila mozioni di protesta avanzate direttamente da-
gli operai, tanto per ci che concerneva le difficolt oggettive di raggiungere i livelli mi-
Le lotte operaie in Polonia
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nimi di produzione, quanto per questioni tuttaltro che secondarie di sicurezza e igie-
ne del lavoro.
La protesta, una volta iniziata, si arricch presto anche di rivendicazioni economiche.
Pietra dello scandalo erano le ritenute sullo stipendio che, gi da anni, venivano appli-
cate dalla direzione dello stabilimento ai danni di chi guadagnava di pi, cio i cottimi-
sti e i cosiddetti pionieri del lavoro (przodownicy pracy), vale a dire gli stachanovisti
in versione polacca.
Limpossibilit di contrattare in termini realistici con la direzione spinse i lavorato-
ri a una decisione radicale. A marzo, cio una volta che la nomina di Ochab alla guida
del POUP ebbe fatto sperare in aperture politiche in senso democratico, una delegazione
del reparto W-3 si rec a Varsavia per presentare le richieste dei lavoratori tanto al Mi-
nistro dellindustria, Stanisaw Pietrzak, quanto allo stesso Comitato centrale del POUP.
Nel contempo uno degli operai ZiSPo present alla Procura di Pozna una denuncia
contro la direzione della fabbrica per appropriazione indebita delle ritenute sugli sti-
pendi. questa una circostanza alquanto interessante da un punto di vista pi ampio,
in quanto pare dimostrare il permanere di un certo livello di indipendenza della magi-
statura dallesecutivo a dispetto del decennio stalinista in versione Bierut, che si era ap-
pena concluso.
La politica del muro di gomma da parte delle autorit, nonostante tutto, non cess.
Fu necessario linvio a Varsavia di unaltra delegazione dei comitati spontanei degli ope-
rai, a fine aprile, perch finalmente, a maggio, una delegazione del sindacato ufficiale
dei metallurgici ed una del Consiglio centrale dei sindacati si decidessero ad incontra-
re i lavoratori in assemblea. Anche in questo caso, tuttavia, non vi furono progressi si-
gnificativi sul fronte della contrattazione. In compenso per si intensificarono i contatti
e le riunioni informali fra il comitato spontaneo degli operai ZiSPo e i lavoratori di al-
tri stabilimenti.
Uno spiraglio parve intravvedersi a inizio giugno, quando si rec a Pozna lo stes-
so ministro Pietrzak, il quale per non seppe andare oltre promesse generiche. Il risul-
tato fu che, dalla met del mese, alla ZiSPo iniziarono scioperi a singhiozzo. Entro il
25 giugno la vertenza si era gi estesa anche ai tramvieri, che protestarono rumorosa-
mente in assemblea contro le condizioni di lavoro. In almeno altre due fabbriche del-
la citt si giunse a proteste aperte degli operai. Il fenomeno era tanto pi preoccupan-
te per le autorit, in quanto proprio a fine giugno si stava svolgendo in citt la Fiera
internazionale di Pozna. In caso di disordini non sarebbero mancati i testimoni, an-
che stranieri.
Linquietudine per la situazione di tensione si estese ben presto anche a Varsavia. Il
27 si recarono personalmente a Pozna due leader nazionali dei sindacati ufficiali, Ma-
rian Czerwiski e Jzef Bie. Furono accolti alla ZiSPo da una protesta di massa degli
operai, mentre scendevano ufficialmente in sciopero i lavoratori delle officine di manu-
tenzione del materiale ferroviario (ZNTK). Lindomani gli scioperanti, diverse decine di
migliaia di metalmeccanici e non solo, scesero per le strade e diedero vita a cortei spon-
tanei, che ben presto sfociarono in scontri aperti con gli agenti dei servizi di sicurezza.
Uno di questi ultimi, il caporale Zygmunt Izdebny, venne brutalmente massacrato dagli
scioperanti bench fosse disarmato. Vi furono anche parecchi casi di vandalismo e sac-
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cheggi, che sfociarono infine in un assalto alle prigioni, che si concluse con un fal di fa-
scicoli penali e levasione di oltre 250 criminali comuni
5
.
Visto il successo dellassalto alle prigioni, gli insorti passarono ad attaccare altri edi-
fici pubblici, fra cui la Prefettura e la sede del Comitato regionale del POUP. Alcuni di
essi fecero irruzione anche nei padiglioni fieristici. Quelle che erano nate come semplici
proteste operaie si stavano evolvendo in autentica guerriglia urbana. Fra gli insorti com-
parvero anche centinaia di armi da fuoco, compresa una mitragliatrice.
Durante la mattinata, fino cio allassalto alle prigioni, fra le autorit sembrava anco-
ra prevalere la tendenza al dialogo ed alla ricerca di una soluzione pacifica. Nel Partito
non mancarono, fin dallinizio, i sostenitori dellimmediata repressione militare. Appro-
fittando della presenza del maggiore centro di addestramento delle reclute per i repar-
ti corazzati dellesercito, alcuni funzionari avevano pensato di far uscire da subito i car-
ri armati per le vie cittadine. Tuttavia il comandante dei commissari politici dellEsercito
popolare polacco, il generale Kazimierz Witaszewski, si rifiut inizialmente di adottare
la linea dura e non diede lordine di intervento diretto dei militari.
La situazione cambi radicalmente dopo lassalto alle prigioni e di fronte alla minac-
cia di atti di violenza armata anche contro altri edifici pubblici. Vista linsufficienza di
personale dei servizi di sicurezza, impreparati ad affrontare una rivolta su cos larga sca-
la, si decise infine di far confluire sulla citt diversi reparti militari. In totale ci sareb-
bero voluti alla fine oltre diecimila soldati per riportare lordine. Il bilancio conclusivo
delle vittime fu di 57 persone
6
. Entro la serata del 28 giugno i disordini cessarono defi-
nitivamente.
Le reazioni dellOccidente furono naturalmente di condanna. La ricaduta principale
della rivolta armata degli operai di Pozna si ebbe per allinterno del Partito. La posi-
zione di Ochab si indebol sempre di pi, fino a consigliare allo stesso Chru/v, come gi
ricordato, un intervento diretto a Varsavia per evitare che la situazione evolvesse in senso
ungherese. Entro lottobre successivo Gomuka sarebbe tornato alla guida del paese.
La lotta al vertice del Partito fra Natolin da una parte e Puawianie dallal-
tra, unita anche alla gi ricordata sostanziale indipendenza della magistratura, fecero in
modo che le repressioni post factum risultassero lievi, quasi soltanto simboliche. Ci non
toglie che, nella fase istruttoria, venissero compiuti abusi anche pesanti da parte dei ser-
vizi di sicurezza. Secondo dati ufficiali, tuttavia, i fermati furono soltanto 746, cio una
percentuale irrisoria delle decine e decine di migliaia di manifestanti. Trattenuti in un
punto di filtraggio nelle caserme dellaeronautica militare, pi della met degli inqui-
siti furono rilasciati gi il 29 giugno. Dei rimasti, oltre tre quarti erano costituiti dai lea-
der operai che si erano distinti durante gli scioperi e le proteste che avevano preceduto
linsurrezione armata del 28.
Il direttivo regionale del Partito spingeva perch fosse dimostrata la tesi del complotto
organizzato o perlomeno sostenuto da agenti statunitensi e tedesco-federali. I motivi per
5
Cfr. E. Makowski, Poznaski czerwiec 1956. Pierwszy bunt spoeczestwa w PRL, Wydawnictwo Poznaskie,
Pozna 2001.
6
. Jastrzab, Biogramy ofiar Poznaskiego Czerwca 1956 roku, Towarzystwo Wydawnicze i Literackie, Var-
savia 2007.
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sospettarlo non mancavano: innanzitutto la tempistica, che aveva visto scoppiare i disordi-
ni proprio nel periodo della Fiera internazionale, mentre le vertenze si stavano trascinando
gi da svariati mesi; in secondo luogo le armi da fuoco in possesso degli insorti.
I magistrati invece smontarono del tutto la tesi del complotto, riconoscendo il carat-
tere spontaneo dei disordini. Rinviati a giudizio furono soprattutto alcuni pregiudicati,
mentre la maggioranza degli accusati fu infine rilasciata. Fu la stessa pubblica accusa a
richiedere il rilascio degli accusati contro cui non si potevano dimostrare atti vandalici o
ricorso alla violenza armata. Il teorema accusatorio prevedeva cio la suddivisione degli
avvenimenti in due grandi categorie: quella pacifica ed operaia, per la quale non furono
richieste condanne; e quella invece criminale e vandalica.
Anche per questultima categoria di accusati le pene furono estremamente lievi. I tre
riconosciuti colpevoli dellassassinio del caporale Izdebny e dellassalto alle prigioni fu-
rono condannati l8 ottobre 1956 a pene intorno ai quattro anni di reclusione. Il 12 ot-
tobre seguente altre sette persone furono condannate per banda armata a pene dai due
ai sei anni di carcere. Due furono assolte con formula piena, mentre altri dieci accusa-
ti sarebbero poi stati prosciolti per insufficienza di prove in un altro dibattimento
7
. In
totale le repressioni si limitarono dunque a condanne lievi per soli dieci pregiudica-
ti, mentre sia nella fase istruttoria, sia in quella dibattimentale i magistrati smontarono
completamente la teoria partitica del complotto occidentale.
Il decennio dellinteligencja: gli anni Sessanta
Gli anni Sessanta rappresentano, almeno a livello istituzionale, lapice del potere per-
sonale di Gomuka e della sua versione fortemente nazionalista del comunismo. Noto
in Polonia come la piccola stabilizzazione, questo periodo fu allinsegna di unincon-
gruenza di fondo le cui conseguenze sociali si sarebbero poi fatte sentire compiutamente
a partire dal 1970. Se, da una parte, il gruppo dirigente del POUP uscito dalla destaliniz-
zazione e dal confronto anche aspro fra Natolin e Puawianie, susseguente allan-
nus mirabilis 1956, non rinunci formalmente alla sua retorica operaista, dallaltra gli
anni Sessanta videro tuttavia un ritorno sostanziale alla mancanza di autodeterminazio-
ne dei lavoratori che aveva tanto tristemente caratterizzato il decennio precedente. Fon-
te di controversie, e talvolta anche di aperte polemiche, fu soprattutto il fatto che, pur a
fronte di un aumento notevole del PIL e della produttivit del lavoro, le condizioni ma-
teriali di vita di operai e contadini rimanevano pressoch immutate. Anche sul fronte
dei diritti civili non fu dato rilevare aperture considerevoli. La legislazione straordina-
ria del 1946, il cosiddetto piccolo codice penale che introduceva pene draconiane, fra
cui anche la pena di morte, per reati di natura ideologica, rimase infatti in vigore fino a
tutto il 1969.
Se negli anni Sessanta non si assistette a proteste operaie su larga scala, sullesem-
pio di quelle del giugno 56, vi furono comunque almeno due momenti in cui emersero
posizioni nettamente critiche delloperato dellapparato partitico e, con ci stesso, delle
7
E. Makowski, op. cit.
Davide Artico
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autorit statali che dallo stesso apparato erano di fatto controllate. A farsi carico di dar
voce allinquietudine sociale furono soprattutto gli intellettuali e, fra di essi, due figure
di particolare rilievo: Jacek Kuro (1934-2004) e Karol Modzelewski.
Kuro e Modzelewski salirono alla ribalta nel marzo del 1964 grazie ad una lettera
aperta ai membri del POUP, in cui esponevano tesi da loro elaborate nei sei mesi prece-
denti. Le tesi erano una sorta di profezia di Cassandra rispetto a quanto si sarebbe poi
effettivamente svolto entro i due decenni successivi.
Gli autori partivano da una constatazione squisitamente marxista: non laspetto so-
vrastrutturale della propriet legale dei mezzi di produzione, bens il controllo di fatto
del plusvalore a determinare se la classe dei produttori, cio dei lavoratori manuali e dei
quadri prevalentemente tecnici, venga o meno sfruttata da una classe a vario titolo pri-
vilegiata. Lassenza di capitalisti privati nella Polonia che gli autori definivano s socia-
lista, ma soltanto secondo la dottrina ufficiale
8
, non significava ancora che i lavorato-
ri avessero voce in capitolo rispetto allimpiego del surplus da loro creato. Infatti la sola
circostanza che, da punto di vista strettamente legale, il proprietario dei mezzi di pro-
duzione fosse lo Stato, non implicava ancora di per s che i suoi cittadini controllasse-
ro luso che esso faceva del plusvalore. A fronte di un sistema politico a partito unico,
era lapparato burocratico a determinare autocraticamente la redistribuzione del reddi-
to, dunque era questa stessa burocrazia che sfruttava la classe dei produttori, indipen-
dentemente dal fatto che i suoi singoli membri ne traessero vantaggi materiali oppure
no. In effetti quanto veniva destinato direttamente ai consumi personali dei bonzi del
Partito non era che una percentuale irrisoria del reddito nazionale. La questione di fon-
do era piuttosto la priorit che veniva accordata ai reinvestimenti nellindustria pesan-
te ed alle spese militari e per gli apparati di sicurezza. Questo andava sistematicamen-
te a detrimento della produzione di beni di consumo, con i lavoratori atomizzati cui
non era concesso di creare organizzazioni autonome che potessero partecipare ai relati-
vi processi decisionali.
Alcuni dati, citati quasi en passant dagli autori, consentono di afferrare quale fosse la
vera situazione materiale delle classi lavoratrici nella Polonia della prima met degli anni
Sessanta. Lo stesso approvvigionamento di generi alimentari era al limite della sussisten-
za, con un consumo medio pro capite di carne di 120 grammi al giorno e una percen-
tuale di addirittura il 18% delle famiglie costrette a destinare lintero reddito soltanto
allacquisto di commestibili. Per i prodotti dellindustria leggera la situazione non appa-
riva pi rosea: ad esempio un operaio poteva permettersi in media lacquisto di un vesti-
to completo di lana non pi spesso di una volta ogni due anni. La previsione degli autori
rispetto a questi dati era catastrofica: se non si fosse provveduto in fretta ad una pi equa
redistribuzione del reddito, si sarebbe giunti ben presto a sollevazioni popolari.
Le conseguenze della lettera aperta furono disastrose per i suoi autori e per alcune
altre persone accusate di concorso nel reato di divulgazione di informazioni false. En-
tro fine novembre Kuro e Modzelewski furono espulsi sia dal Partito sia dalla sua or-
ganizzazione giovanile, la Lega della giovent socialista, il che significava di fatto lim-
8
Per il testo integrale della Lettera vedasi J. Kuro, Dojrzewanie. Pisma polityczne 1964-1968, Wydawnictwo
Krytyki Politycznej, Varsavia 2009, pp. 7-89.
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possibilit di continuare ad occuparsi di politica alluniversit. Non sarebbe per finita
l. Nel luglio del 1965 i due furono arrestati a norma dello stalinista piccolo codice pe-
nale del 1946. Il processo a porte chiuse si concluse gi il 19 luglio con la condanna de-
gli accusati rispettivamente a tre anni ed a tre anni e sei mesi di carcere. A nulla valse la
linea di difesa per cui, con il documento incriminato, i suoi autori non avevano divulga-
to informazioni false, ma semplicemente espresso le loro opinioni personali. La Cor-
te dappello rigett il ricorso e, il 19 ottobre, conferm la condanna. Sarebbe poi stato
soltanto negli anni Novanta che, su istanza del Ministero della giustizia, la Cassazione
avrebbe annullato ex post la sentenza in quanto emessa in violazione della pur restritti-
vissima legge in vigore allepoca.
Il secondo episodio che vide una forma di protagonismo degli intellettuali noto
quale marzo 1968, ma non collegato in alcun modo alla primavera praghese. Fu
un altro avvenimento internazionale a scatenare il fenomeno: la Guerra dei sei giorni
del 1967. La condanna sovietica (e, con ci stesso, quella di tutti gli aderenti al Patto di
Varsavia) dellaggressivit militare dello Stato di Israele funse in Polonia da catalizza-
tore di una serie di atteggiamenti che avevano radici profonde, mai sradicate del resto
fino al giorno doggi. Una presa di posizione politica antisionista fin con il trasformar-
si in unorgia antisemita, da cui il POUP non fu affatto immune e che, anzi, esso alimen-
t a bella posta.
Lantisemitismo di fondo diffuso nella societ polacca era un fenomeno trasversale
e, con ci stesso, non risparmi nemmeno i partiti che facevano risalire le proprie radici
al marxismo. Prova ne sia ad esempio il fatto che, complici le aperture ideologiche sus-
seguenti al XX Congresso del PCUS ed alla morte di Bierut, gi nel maggio 1956 il filoso-
fo Leszek Koakowski (1927-2009) pubblic un saggio dalleloquente titolo di Antise-
miti. Cinque tesi non nuove e un avvertimento, in cui affermava esplicitamente: Ogni
volta che lombra dellantisemitismo, anche se debolissimamente, sinsinua sotto la por-
ta di casa nostra, attenzione! Le canaglie son dietro langolo, la controrivoluzione mo-
stra le zanne
9
.
Anche la lotta squisitamente ideologica fra Natolin e Puawianie aveva messo in
risalto il permanere di atteggiamenti antisemiti allinterno stesso del Partito, con i primi
che accusavano i secondi di essere appunto giudei e, con ci stesso, responsabili del-
le deviazioni dalla corretta ideologia marxista-leninista. Fu soltanto Gomuka che, gra-
zie al carisma personale che gli veniva dallessere stato comandante partigiano e, soprat-
tutto, dal non aver preso parte agli eccessi stalinisti di Bierut, riusc in qualche modo ad
arginare il fenomeno. Questo fino alla Guerra dei sei giorni. Non appena invece le posi-
zioni antiisraeliane dellURSS fornirono un pretesto sufficiente, lo scoppio di una nuova
ondata antisemita non si fece attendere.
Il casus belli furono i cortei studenteschi organizzati nel marzo 1968. Sullonda lun-
ga iniziata da Kuro e Modzelewski con la loro lettera aperta del 64, alcuni studenti
delluniversit di Varsavia (chiamati allora scherzosamente commandos) avevano dato
vita a forme non convenzionali di protesta. Una di queste si era conclusa con lespulsio-
9
Ristampato in: L. Koakowski, Nasza wesoa apokalipsa. Wybr najwa>nieszych esejw, Znak, Cracovia 2010.
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ne dallateneo di un allora giovanissimo Adam Michnik
10
. La protesta dei suoi compa-
gni, inscenata l8 marzo sotto la biblioteca universitaria, venne repressa brutalmente dal-
la polizia. La reazione furono cortei indetti lindomani da tutti gli studenti. Anche que-
ste proteste incontrarono la dura reazione delle forze dellordine.
I disordini funsero da occasione perch la frazione pi conservatrice del POUP, rac-
colta intorno a Mieczysaw Moczar, iniziasse una campagna contro i cosiddetti deni-
gratori (fra cui il regista Andrzej Wajda e lo scrittore satirico Sawomir Mro>ek) ed a
favore di forme di socialismo maggiormente nazionali, che escludessero cio gli intel-
lettuali con vere o presunte origini ebraiche. Gomuka tentenn fino al 19 marzo, do-
podich decise di mettersi alla testa del movimento di Moczar, inveendo a un attivo del
Partito contro i cosmopoliti che, secondo lui, avrebbero dovuto essere esclusi dalle
sfere della vita pubblica in cui risultava necessario un forte senso di appartenenza nazio-
nale. Se dunque il Primo segretario evit accuratamente gli slogan pi direttamente an-
tisemiti, egli comunque non fece nulla per far rientrare il clima da resa dei conti evoca-
to dagli antisemiti veri e propri.
Uno dei risvolti pi interessanti del clima di tensione venutosi a creare allinterno del
POUP fu che, per conquistarsi solidi appoggi a Mosca, Gomuka sarebbe poi stato il pi
pronto e il pi zelante ad approvare e sostenere la dottrina Brenev nei confronti del-
la Cecoslovacchia. Il 20 agosto 1968 sarebbero stati proprio i polacchi a costituire, dopo
quello sovietico, il contingente pi numeroso inviato a pacificare la Primavera di Praga.
Da notare che dall11 aprile il portafoglio di Ministro della Difesa era stato assegnato a
un ufficiale allora praticamente sconosciuto: Wojciech Jaruzelski.
Londata antisemita lanciata da Moczar contribu in larga misura a distrarre latten-
zione degli intellettuali dalle vicende in corso al di l del confine meridionale. Questo
spiega, almeno in parte, per quale ragione non vi fu in Polonia praticamente nessuna
presa di posizione a favore della Primavera di Praga o contro la sua repressione. Com-
pletamente assorbiti dallondata di antisemitismo, che si sarebbe poi tradotta (entro la
fine del 1969) in oltre dodicimila espatri di studenti, docenti e intellettuali colpevoli di
avere ascendenze ebraiche, i polacchi rimanevano concentrati su quanto stava avve-
nendo a casa loro. Le proteste del marzo 1968 ebbero fra laltro spiacevoli strascichi
giuridici per molti. A novembre Kuro e Modzelewski furono nuovamente condannati
entrambi a tre anni e mezzo di carcere, Michnik a tre anni.
Una cronologia di massima delle lotte operaie: da Danzica 1970 al KOR
Se londa lunga della rivolta di Pozna, unita alle tensioni magiare ed alla tattica tempo-
reggiatrice di Ochab, avevano riportato Gomuka al potere, fu unaltra insurrezione che
lo fece definitivamente eclissare dalla scena politica polacca. Ancora una volta, alla base
delle proteste operaie, stavano innanzitutto motivazioni di carattere economico. Fu in-
fatti laumento dei prezzi di alcuni generi alimentari ed alcuni prodotti di consumo, an-
10
Si noti che Michnik viene ancora oggi insultato come giudeo dagli antisemiti vicini a Radio Maria.
Le lotte operaie in Polonia
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nunciato il 12 dicembre del 1970, che port due giorni dopo a uno sciopero dei lavora-
tori dei cantieri navali di Danzica.
Il decorso della protesta fu molto simile a quello di Pozna, senonch levolversi de-
gli avvenimenti assunse un ritmo molto pi veloce. A fronte della mancanza di riscontri
concreti da parte delle autorit, gli scioperanti gi lindomani diedero lassalto alle sedi
del Comitato regionale del POUP e dei sindacati ufficiali, incendiandole. Gomuka non
pose tempo in mezzo e diede lordine di usare le armi per impedire unulteriore evo-
luzione violenta delle proteste. Lintervento dellesercito fu efficace dal punto di vista
dellordine pubblico, il numero delle vittime si limit a cinque persone. Non serv tutta-
via a stroncare sul nascere la rivolta. Lindomani si ebbero altri incidenti a Tczew, Pru-
szcz ed Elbla g, non lontano da Danzica.
Un tentativo di calmare gli animi attraverso un appello televisivo fu compiuto dal
segretario regionale Stanisaw Kocioek, che per non ebbe successo. Il 17 dicembre si
ebbe unaltra sparatoria nei pressi dei cantieri di Gdynia, con altre vittime fra gli operai
che, questa volta, protestavano pacificamente. Alla notizia scesero in sciopero anche i la-
voratori dei cantieri navali di Stettino. Con un drammatico botta e risposta, lindomani
lesercito avrebbe fatto fuoco anche contro una dimostrazione pacifica ad Elbla g.
Il 20 dicembre il Comitato centrale del POUP sfiduci Gomuka e lo costrinse a di-
mettersi con tutto il suo entourage. Ebbe allora inizio lera di Gierek e dei liberali che
formavano il suo ufficio politico. Il cambio della guardia, cui si accompagn natural-
mente anche il ritorno dei militari nelle caserme, parve calmare gli animi. Lo sciopero
ai cantieri di Stettino rientr due giorni dopo, mentre anche nel resto della Pomerania
orientale, da Danzica ad Elbla g, le proteste persero dintensit.
La ragione principale della rivolta, vale a dire laumento dei prezzi, non era per ve-
nuta meno. A met febbraio del 1971 il fronte si spost dal litorale alla Polonia centrale,
dove entrarono contemporaneamente in sciopero i dipendenti di ben 32 diverse fabbri-
che di d, per un totale di quasi centomila persone. Anche a d si ebbero scontri
e guerriglia urbana, senza che per le autorit decidessero di ricorrere a metodi drasti-
ci come lintervento dellesercito. La nuova direzione del Partito, che raccoglieva quasi
tutti elementi dalle convinzioni fondamentalmente socialdemocratiche, volle a tutti i co-
sti evitare il confronto diretto con gli operai ed anzi, entro il 1