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UERJ/INSTITUTO DE LETRAS

LITERATURA ITALIANA I – PROF. MARINÊS

LA MISSIONE DI DANTE
(Dall’Inferno, II, vv. 1-84)

Presentiamo la parte iniziale del canto, indispensabile per comprendere il senso della missione
che Dante ritiene essergli assegnata. Se il primo è il canto proeminale a tutta la Commedia, il
secondo costituisce il proemio specificamente premesso all’Inferno.

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno


toglieva li animai che sono in terra Il giorno era quasi finito, e l'oscurità toglieva gli
da le fatiche loro; e io sol uno 3 animali che sono in terra dalle loro fatiche; e io ero
il solo che mi preparavo ad affrontare un cammino
m’apparecchiava a sostener la guerra angoscioso e terribile, che la mia mente infallibile
sì del cammino e sì de la pietate, descriverà.
che ritrarrà la mente che non erra. 6

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; O muse, o alto ingegno poetico, aiutatemi; o


o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, mente, che annotasti quello che hai visto, qui
qui si parrà la tua nobilitate. 9 dovrai dare dimostrazione della tua nobiltà.

Io cominciai: «Poeta che mi guidi, Io cominciai a dire: «Poeta che mi guidi, valuta se
guarda la mia virtù s’ell’è possente, la mia virtù è sufficiente, prima di condurmi in
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. 12 questo arduo viaggio.

Tu dici che di Silvio il parente, Tu dici che il padre di Silvio (Enea), ancora in vita,
corruttibile ancora, ad immortale andò nell'Aldilà in carne e ossa, con tutto il corpo.
secolo andò, e fu sensibilmente. 15

Però, se l’avversario d’ogne male Perciò, se il nemico di ogni male (Dio) fu cortese
cortese i fu, pensando l’alto effetto verso di lui, l'uomo e i suoi meriti non sembrano
ch’uscir dovea di lui e ’l chi e ’l quale, 18 indegni a un uomo dotato di intelletto, se si pensa
all'alto effetto che doveva essere prodotto da lui;
non pare indegno ad omo d’intelletto; infatti egli fu scelto nell'Empireo come fondatore
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero della nobile Roma e del suo impero:
ne l’empireo ciel per padre eletto: 21

la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, e Roma e il suo impero, a dire la verità, furono
fu stabilita per lo loco santo stabiliti come la santa sede dove risiede il
u’ siede il successor del maggior Piero. 24 successore del primo papa (Pietro).

Per quest’andata onde li dai tu vanto, Grazie a questo viaggio che tu narri, Enea sentì
intese cose che furon cagione cose che lo portarono poi alla vittoria e
di sua vittoria e del papale ammanto. 27 produssero il manto papale (la nascita della
Chiesa).
Andovvi poi lo Vas d’elezione, Vi andò poi (nell'Aldilà) lo strumento della scelta
per recarne conforto a quella fede (san Paolo), per rendere salda quella fede che è
ch’è principio a la via di salvazione. 30 principio alla via della salvezza.

Ma io perché venirvi? o chi ’l concede? Ma io perché dovrei andarci? chi lo concede? Io


Io non Enea, io non Paulo sono: non sono Enea, né san Paolo; né io né nessun altro
me degno a ciò né io né altri ’l crede. 33 mi ritiene all'altezza di questo compito.
Per che, se del venire io m’abbandono, Perciò, se accetto di seguirti, temo che il mio
temo che la venuta non sia folle. viaggio sia una follia. Sei saggio, comprendi meglio
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». 36 di come io possa spiegare».

E qual è quei che disvuol ciò che volle


e per novi pensier cangia proposta, E come colui che non vuole più ciò che voleva, e
sì che dal cominciar tutto si tolle, 39 cambia idea a causa di nuovi pensieri, cosicché
recede totalmente dai suoi propositi, così divenni
tal mi fec’io ’n quella oscura costa, io in quei luoghi oscuri, perché pensandoci sopra
perché, pensando, consumai la ’mpresa posi fine all'impresa che fu così rapida all'inizio.
che fu nel cominciar cotanto tosta. 42

“S’i’ ho ben la parola tua intesa»,


rispuose del magnanimo quell’ombra; L'ombra di quel nobile uomo rispose così: «Se io
«l’anima tua è da viltade offesa; 45 ho capito bene le tue parole, la tua anima è
vittima di viltà, la quale molte volte opprime
la qual molte fiate l’omo ingombra l'uomo e lo fa desistere da un'impresa onorevole,
sì che d’onrata impresa lo rivolve, proprio come una falsa immagine fa imbizzarrire
come falso veder bestia quand’ombra. 48 una bestia quando si adombra.

Da questa tema acciò che tu ti solve, Affinché tu ti liberi da questi timori, ti dirò perché
dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi sono venuto qui e quello che sentii nel primo
nel primo punto che di te mi dolve. 51 momento che provai per te dolore.

Io era tra color che son sospesi, Io ero tra le anime sospese del Limbo, e mi chiamò
e donna mi chiamò beata e bella, una donna tanto beata e tanto bella che le chiesi
tal che di comandare io la richiesi. 54 di comandarmi.

Lucevan li occhi suoi più che la stella; I suoi occhi erano più lucenti di una stella e lei
e cominciommi a dir soave e piana, iniziò a parlarmi con tono dolce e soave, con una
con angelica voce, in sua favella: 57 voce che sembrava il linguaggio di un angelo:

"O anima cortese mantoana,


di cui la fama ancor nel mondo dura, "O nobile anima mantovana, di cui la fama ancora
e durerà quanto ’l mondo lontana, 60 perdura nel mondo e durerà tanto quanto il
mondo, colui che mi amò in modo disinteressato
l’amico mio, e non de la ventura, (Dante) sul pendio deserto di un colle è impedito
ne la diserta piaggia è impedito a tal punto che si è voltato indietro per paura;
sì nel cammin, che volt’è per paura; 63

e temo che non sia già sì smarrito, e temo che sia già smarrito a tal punto che io mi
ch’io mi sia tardi al soccorso levata, sono mossa troppo tardi per soccorrerlo, per
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. 66 quello che ho sentito su di lui in cielo.

Or movi, e con la tua parola ornata Ora muoviti, e con la tua parola elegante, e con ciò
e con ciò c’ha mestieri al suo campare che è necessario per la sua salvezza, aiutalo in
l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata. 69 modo che io ne sia consolata.

I’ son Beatrice che ti faccio andare; Io che ti faccio andare sono Beatrice; vengo da
vegno del loco ove tornar disio; dove desidero tornare; l'amore mi ha fatto venire
amor mi mosse, che mi fa parlare. 72 qui a parlarti.

Quando sarò dinanzi al segnor mio, Quando sarò davanti a Dio, spesso loderò il tuo
di te mi loderò sovente a lui". nome". Allora tacque e io risposi:
Tacette allora, e poi comincia’ io: 75
"O donna di virtù, sola per cui "O donna virtuosa, l'unica per cui la specie
l’umana spezie eccede ogne contento umana si eleva al di sopra di tutto ciò che si trova
di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, 78 sotto il cielo della Luna, la tua richiesta mi trova
così d'accordo che se anche avessi giù ubbidito
tanto m’aggrada il tuo comandamento, sarebbe tardi; non devi fare altro che dirmi
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi; quello che vuoi.
più non t’è uo' ch'aprirmi il tuo talento. 81

Ma dimmi la cagion che non ti guardi Ma dimmi il motivo per cui non hai timore nello
de lo scender qua giuso in questo centro scendere quaggiù, all'Inferno, dal luogo più
de l’ampio loco ove tornar tu ardi". 84 ampio dove desideri tornare".

Tratto da: https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-ii.html

L’INCONTRO CON FRANCESCA E PAOLO


(Dall’Inferno, V, vv. 70 – 142)

Dante e Virgilio dal primo cerchio infernale, costituito dal Limbo, scendono nel secondo, dove
sono puniti i lussuriosi e dove hanno inizio le pene vere e proprie. Vi si erge Minosse, il giudice
infernale, che giudica le colpe e assegna i peccatori al luogo che loro compete. Il cerchio è privo
di ogni luce e percorso da una “bufera infernale” che non si arresta mai e che affligge i dannati
travolgendoli violentemente. La pena risponde al principio del contrapasso: come in vita i
peccatori si erano lasciati trascinare dalla lussuria, che aveva vinto ogni controllo razionale sugli
istinti, così ora sono trascinati senza scampo dal turbine. Dante vede avanzare una schiera di
ombre disposte in una lunga fila; Virgilio spiega che sono coloro che furono condotti alla morte
dall’amore e ne indica un gran numero, tra cui Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Tristano,
Achille, Paride.

Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito Dopo aver sentito il mio maestro nominare le
nomar le donne antiche e ’ cavalieri, donne antiche e i cavalieri, fui preso da
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72 turbamento e quasi mi smarrii.

I’ cominciai: «Poeta, volontieri Cominciai: «Poeta, parlerei volentieri a quei due


parlerei a quei due che ’nsieme vanno, che volano insieme e sembrano essere
e paion sì al vento esser leggeri». 75 trasportati tanto lievemente dal vento».

Ed elli a me: «Vedrai quando saranno Mi rispose: «Aspetta quando saranno più vicini a
più presso a noi; e tu allor li priega noi: allora pregali in nome di quell'amore che li
per quello amor che i mena, ed ei verranno». 78 trascina ed essi verranno».

Sì tosto come il vento a noi li piega, Non appena il vento li portò verso di noi, iniziai a
mossi la voce: «O anime affannate, parlare: «O anime affannate, venite a parlarci se
venite a noi parlar, s’altri nol niega!». 81 Dio ve lo consente!»

Quali colombe dal disio chiamate Come le colombe chiamate dal desiderio volano
con l’ali alzate e ferme al dolce nido verso il dolce nido (per accoppiarsi), con le ali
vegnon per l’aere dal voler portate; 84 ferme e alzate, portate dal desiderio, allo stesso
modo i due uscirono dalla schiera di Didone,
cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno, venendo a noi attraverso l'aria infernale, tanto
sì forte fu l’affettuoso grido. 87 forte e affettuoso fu il mio richiamo.

«O animal grazioso e benigno


che visitando vai per l’aere perso «O creatura cortese e benevola, che nell'aria
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90 oscura visiti noi che tingemmo il mondo di
sangue, se il re dell'universo ci fosse amico lo
se fosse amico il re de l’universo, pregheremmo perché ti dia pace, visto che
noi pregheremmo lui de la tua pace, mostri pietà del nostro terribile male.
poi c’hai pietà del nostro mal perverso. 93

Di quel che udire e che parlar vi piace, Noi vi ascolteremo e vi parleremo di ciò che
noi udiremo e parleremo a voi, volete, mentre il vento tace come fa in questo
mentre che ’l vento, come fa, ci tace. 96 punto.

Siede la terra dove nata fui La terra dove sono nata (Ravenna) sorge alla foce
su la marina dove ’l Po discende del Po, dove il fiume si getta in mare per trovare
per aver pace co’ seguaci sui. 99 pace coi suoi affluenti.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende L'amore, che si attacca subito al cuore nobile,
prese costui de la bella persona prese costui per il bel corpo che mi fu tolto, e il
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. 102 modo ancora mi danneggia.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona, L'amore, che non consente a nessuno che sia
mi prese del costui piacer sì forte, amato di non ricambiare, mi prese per la bellezza
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105 di costui con tale forza che, come vedi, non mi
105 abbandona neppure adesso.

Amor condusse noi ad una morte: L'amore ci condusse alla stessa morte: Caina
Caina attende chi a vita ci spense». attende colui che ci uccise». Essi ci dissero queste
Queste parole da lor ci fuor porte. 108 parole.

Quand’io intesi quell’anime offense, Quando io sentii quelle anime offese, chinai lo
china’ il viso e tanto il tenni basso, sguardo e lo tenni basso così a lungo che alla fine
fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?». 111 Virgilio mi disse: «Cosa pensi?»

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, Quando risposi, dissi: «Ahimè, quanti dolci
quanti dolci pensier, quanto disio pensieri, quanto desiderio portarono questi due
menò costoro al doloroso passo!». 114 al passo doloroso!»

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, Poi mi rivolsi a loro e parlai dicendo: «Francesca,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri le tue pene mi rendono triste e mi spingono a
a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117 piangere.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, Ma dimmi: al tempo della vostra relazione, in che
a che e come concedette Amore modo e in quali circostanze Amore vi concesse di
che conosceste i dubbiosi disiri?». 120 conoscere i dubbiosi desideri?»

E quella a me: «Nessun maggior dolore E lei mi disse: «Non c'è nessun dolore più grande
che ricordarsi del tempo felice che ricordare il tempo felice quando si è miseri; e
ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. 123 questo lo sa bene il tuo maestro.

Ma s’a conoscer la prima radice Ma se tu hai tanto desiderio di conoscere


del nostro amor tu hai cotanto affetto, l'origine del nostro amore, allora farò come colui
dirò come colui che piange e dice. 126 che piange e parla al tempo stesso.
Noi leggiavamo un giorno per diletto Un giorno noi leggevamo per svago il libro che
di Lancialotto come amor lo strinse; narra di Lancillotto e di come amò Ginevra;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129 eravamo soli e non sospettavamo quel che
sarebbe successo.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso; Più volte quella lettura ci spinse a cercarci con gli
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132 occhi e ci fece impallidire; ma fu solo un punto a
sopraffarci.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante, Quando leggemmo che la bocca desiderata di
questi, che mai da me non fia diviso, 135 Ginevra fu baciata da un simile amante, costui,
che non sarà mai diviso da me, mi baciò la bocca
la bocca mi basciò tutto tremante. tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: scrisse; quel giorno non leggemmo altre pagine».
quel giorno più non vi leggemmo avante». 138
Mentre uno spirito diceva questo, l'altro
Mentre che l’uno spirto questo disse, piangeva, così che io venni meno a causa del
l’altro piangea; sì che di pietade turbamento, proprio come se morissi. E caddi
io venni men così com’io morisse. come un corpo privo di vita.
E caddi come corpo morto cade. 142

Tratto da: https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-v.html

FARINATA E CAVALCANTE
(Dall’Inferno, X, vv. 24 – 114)

Varcate le mura della città di Dite, agli occhi di Dante si presenta una vasta distesa, cosparsa di
sarcofagi spalcanti e avvolti dalle fiamme: dentro di essi sono puniti gli eretici. I due poeti si
incamminano per uno stretto sentiero che corre fra il muro e i sepolcri. Dante esprime a Virgilio
il desiderio di vedere i dannati che vi sono puniti, e Virgilio spiega che da quella parte sono sepolti
Epicuro e i suoi seguaci, che ritengono che l’anima muoia col corpo; assicura Dante che ben
presto la sua curiosità sarà soddisfatta.

«O Tosco che per la città del foco «O toscano, che te ne vai per la città del fuoco
vivo ten vai così parlando onesto, parlando in modo così dignitoso, abbi la
piacciati di restare in questo loco. 24 compiacenza di trattenerti.

La tua loquela ti fa manifesto Il tuo accento indica che sei nato in quella nobile
di quella nobil patria natio patria alla quale, forse, fui troppo fastidioso».
a la qual forse fui troppo molesto». 27

Subitamente questo suono uscìo Questa voce uscì improvvisamente da una delle
d’una de l’arche; però m’accostai, tombe, per cui ebbi paura e mi strinsi un poco al
temendo, un poco più al duca mio. 30 mio maestro.

Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? Ed egli mi disse: «Voltati, che fai? Non vedi laggiù
Vedi là Farinata che s’è dritto: Farinata che si è sollevato? Lo puoi vedere dalla
da la cintola in sù tutto ’l vedrai». 33 cintola in su».

Io avea già il mio viso nel suo fitto; Io avevo già fitto il mio sguardo nel suo; e lui si
ed el s’ergea col petto e con la fronte ergeva con la fronte e il petto alti, come se
com’avesse l’inferno a gran dispitto. 36 disprezzasse tutto l'Inferno.
E l’animose man del duca e pronte E le mani di Virgilio, pronte e animose, mi
mi pinser tra le sepulture a lui, spinsero fra le tombe verso di lui, mentre il
dicendo: «Le parole tue sien conte». 39 maestro diceva: «Fa' che le tue parole siano
misurate».
Com’io al piè de la sua tomba fui, Non appena fui ai piedi della sua tomba, mi
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, guardò un poco e poi, quasi con disdegno, mi
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». 42 domandò: «Chi furono i tuoi avi?»

Io ch’era d’ubidir disideroso, Io, che ero smanioso di obbedire, non glieli
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi; nascosi ma, anzi, risposi pienamente; allora lui
ond’ei levò le ciglia un poco in suso; 45 sollevò un poco le ciglia, poi disse: «Essi furono
aspri nemici miei, dei miei avi e della mia parte
poi disse: «Fieramente furo avversi politica (Ghibellini), al punto che per due volte li
a me e a miei primi e a mia parte, cacciai da Firenze».
sì che per due fiate li dispersi». 48
Io gli risposi: «Se essi furono cacciati, tornarono
«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte», poi da ogni parte, in entrambe le occasioni; ma i
rispuos’io lui, «l’una e l’altra fiata; vostri avi, invece, non furono altrettanto bravi».
ma i vostri non appreser ben quell’arte». 51
In quel momento apparve alla nostra vista
Allor surse a la vista scoperchiata un'anima, che si sporgeva accanto a quella di
un’ombra, lungo questa, infino al mento: Farinata fino al mento: credo che fosse
credo che s’era in ginocchie levata. 54 inginocchiata.

Dintorno mi guardò, come talento Mi guardò intorno, come se avesse desiderio di


avesse di veder s’altri era meco; vedere se c'era qualcun altro con me; e poi che
e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, 57 smise di osservare, mi disse piangendo: «Se tu
vai per questo cieco carcere per i tuoi meriti di
piangendo disse: «Se per questo cieco intellettuale, dov'è mio figlio? E perché non è qui
carcere vai per altezza d’ingegno, con te?»
mio figlio ov’è? e perché non è teco?». 60
E io a lui: «Non sono qui per mio solo merito:
E io a lui: «Da me stesso non vegno: colui che attende là (Virgilio) mi conduce
colui ch’attende là, per qui mi mena attraverso l'Inferno verso colei (Beatrice) che
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». 63 vostro figlio Guido, forse, ebbe a disdegno
(disprezzò)».
Le sue parole e ’l modo de la pena
m’avean di costui già letto il nome; Le sue parole e il fatto che fosse tra gli Epicurei
però fu la risposta così piena. 66 mi avevano fatto capire il nome di costui
(Cavalcante); perciò risposi così prontamente.
Di subito drizzato gridò: «Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora? E lui, improvvisamente sollevatosi, gridò:
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?». 69 «Come? Hai detto "egli ebbe"? Guido non vive
ancora? la dolce luce del sole non colpisce più i
Quando s’accorse d’alcuna dimora suoi occhi?»
ch’io facea dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora. 72 Quando si accorse che esitavo a rispondere,
ricadde supino e non ricomparve più fuori dalla
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta tomba.
restato m’era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa: 75 Ma quell'altro nobile dannato, alla cui domanda
mi ero fermato, non mutò aspetto, né parve
e sé continuando al primo detto, minimamente colpito dall'accaduto:
«S’elli han quell’arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto. 78 e proseguendo il discorso iniziato, disse: «Se i
miei avi hanno appreso male l'arte di rientrare in
Ma non cinquanta volte fia raccesa Firenze, ciò mi procura più sofferenza di questa
la faccia de la donna che qui regge, tomba.
che tu saprai quanto quell’arte pesa. 81
Ma non passeranno cinquanta fasi lunari (meno
E se tu mai nel dolce mondo regge, di quattro anni) che anche tu saprai quant'è
dimmi: perché quel popolo è sì empio dolorosa quell'arte.
incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?». 84

Ond’io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio E ora dimmi (e possa tu tornare nel dolce mondo
che fece l’Arbia colorata in rosso, terreno): perché i fiorentini sono così duri in ogni
tal orazion fa far nel nostro tempio». 87 loro provvedimento contro la mia famiglia?»

Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso, E io a lui: «Lo strazio e l'orrenda strage di
«A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo Montaperti, che colorarono di rosso il fiume
sanza cagion con li altri sarei mosso. 90 Arbia, ci induce a emanare queste leggi».

Ma fu’ io solo, là dove sofferto Dopo che ebbe scosso il capo sospirando, disse:
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, «Non fui certo il solo a combattere quella
colui che la difesi a viso aperto». 93 battaglia, né certo ci sarei andato senza una
valida ragione.
«Deh, se riposi mai vostra semenza»,
prega’ io lui, «solvetemi quel nodo In compenso fui l'unico a difendere Firenze a viso
che qui ha ’nviluppata mia sentenza. 96 aperto, quando ciascun capo ghibellino era
pronto a raderla al suolo».
El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che ’l tempo seco adduce, Allora lo pregai: «Orsù, possa la vostra
e nel presente tenete altro modo». 99 discendenza trovare pace: risolvetemi quel
dubbio che aggroviglia i miei ragionamenti.
«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
le cose», disse, «che ne son lontano; Mi sembra che voi dannati vediate, se ho capito
cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102 bene, gli eventi futuri, mentre abbiate altra
conoscenza del presente».
Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, Disse: «Noi, come chi ha un difetto di vista
nulla sapem di vostro stato umano. 105 (presbite), vediamo le cose che sono lontane nel
tempo; soltanto questo ci permette Dio.
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto Quando le cose si avvicinano o accadono, il
che del futuro fia chiusa la porta». 108 nostro intelletto è vano e se altri non ci porta
notizie, non sappiamo nulla della vostra
Allor, come di mia colpa compunto, condizione umana.
dissi: «Or direte dunque a quel caduto
che ’l suo nato è co’vivi ancor congiunto; 111 Perciò puoi capire che la nostra conoscenza (del
futuro) sarà totalmente annullata dal momento
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto, in cui sarà chiusa la porta del futuro, ovvero il
fate i saper che ’l fei perché pensava giorno del Giudizio».
già ne l’error che m’avete soluto». 114
Allora, come pentito della mia colpa, dissi: «Poi
direte a quel dannato che suo figlio è ancora in
vita;

e se poc'anzi non gli diedi subito risposta, ditegli


che lo feci perché ero nell'errore che voi mi avete
spiegato».
Tratto da: https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-x.html

ULISSE
(Dall’Inferno, XXVI, vv. 85 – 142)

Varcando il ponte che sormonta l’ottava fossa di Malebolge, Dante la vede disseminata di
fiamme, entro le quali sono celati i peccatori, coloro che con i loro consigli incitarono alla frode.
Attira la sua attenzione una fiamma biforcuta, nella quale, come spiega Virgilio, sono racchiusi
Ulisse e Diomede, i due eroi greci che compirono insieme varie imprese, narrate nell’Iliade di
Omero. Sono qui puniti per tre loro consigli frodolenti, l’inganno del cavallo di Troia, quello
mediante cui fu smascherato Achille (costretto dalla madre di Teti a rifugiarsi nell’isola di Sciro
travestito da donna per sfuggire alla morte in guerra) e il furto della statua di Pallade che
proteggeva Troia. Dante prova un intenso desiderio di parlare con loro. Virgilio, che ha letto il
desiderio nella mente di Dante, invita Ulisse a narrrare le vicende che lo avevano condotto alla
morte.

Lo maggior corno de la fiamma antica La punta più alta di quell'antica fiamma cominciò
cominciò a crollarsi mormorando a scuotersi mormorando, come quella colpita dal
pur come quella cui vento affatica; 87 vento;

indi la cima qua e là menando, quindi, volgendo la cima da una parte e dall'altra,
come fosse la lingua che parlasse, come una lingua che parlasse, gettò fuori la voce
gittò voce di fuori, e disse: «Quando 90 e disse:

mi diparti’ da Circe, che sottrasse «Quando mi allontanai da Circe, che mi tenne più
me più d’un anno là presso a Gaeta, di un anno là vicino a Gaeta, prima che Enea
prima che sì Enea la nomasse, 93 desse questo nome al promontorio,

né dolcezza di figlio, né la pieta


del vecchio padre, né ’l debito amore né la tenerezza per mio figlio, né la devozione
lo qual dovea Penelopé far lieta, 96 per il mio vecchio padre, né il legittimo amore
che doveva fare felice Penelope poterono vincere
vincer potero dentro a me l’ardore in me il desiderio che ebbi di diventare esperto
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, del mondo, dei vizi e delle virtù degli uomini;
e de li vizi umani e del valore; 99

ma misi me per l’alto mare aperto ma mi misi in viaggio in alto mare solo con una
sol con un legno e con quella compagna nave e con quei pochi compagni dai quali non fui
picciola da la qual non fui diserto. 102 abbandonato.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, Vidi entrambe le sponde del Mediterraneo fino
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, alla Spagna, al Marocco e alla Sardegna, e alle
e l’altre che quel mare intorno bagna. 105 altre isole bagnate da quel mare.

Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi


quando venimmo a quella foce stretta Io e i miei compagni eravamo vecchi e deboli
dov’Ercule segnò li suoi riguardi, 108 quando giungemmo a quello stretto (di
Gibilterra) dove Ercole pose le colonne, limite
acciò che l’uom più oltre non si metta: oltre il quale l'uomo non deve procedere: a
da la man destra mi lasciai Sibilia, destra avevamo Siviglia, a sinistra Ceuta.
da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111
"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente, Dissi: "O fratelli, che siete giunti all'estremo ovest
a questa tanto picciola vigilia 114 attraverso centomila pericoli, non vogliate
negare a questa piccola veglia che rimane ai
d’i nostri sensi ch’è del rimanente, vostri sensi (ai vostri ultimi anni) l'esperienza del
non vogliate negar l’esperienza, mondo disabitato, seguendo la rotta verso
di retro al sol, del mondo sanza gente. 117 occidente.

Considerate la vostra semenza: Pensate alla vostra origine: non siete stati creati
fatti non foste a viver come bruti, per vivere come bestie, ma per seguire la virtù e
ma per seguir virtute e canoscenza". 120 la conoscenza".

Li miei compagni fec’io sì aguti, Con questo breve discorso resi i miei compagni
con questa orazion picciola, al cammino, così smaniosi di mettersi in viaggio, che in
che a pena poscia li avrei ritenuti; 123 seguito avrei stentato a trattenerli;

e volta nostra poppa nel mattino, e volta la poppa a est, facemmo dei remi le ali al
de’ remi facemmo ali al folle volo, nostro folle volo, sempre proseguendo verso
sempre acquistando dal lato mancino. 126 sud-ovest (a sinistra).

Tutte le stelle già de l’altro polo La notte ormai mostrava tutte le costellazioni del
vedea la notte e ’l nostro tanto basso, polo australe, mentre quello boreale era tanto
che non surgea fuor del marin suolo. 129 basso che non emergeva dalla linea
dell'orizzonte.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna, La luce dell'emisfero lunare a noi visibile si era
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, 132 già spenta e riaccesa cinque volte (erano passati
circa cinque mesi), dopo che avevamo intrapreso
quando n’apparve una montagna, bruna il viaggio, quando ci apparve una montagna (il
per la distanza, e parvemi alta tanto Purgatorio) scura per la lontananza, e mi sembrò
quanto veduta non avea alcuna. 135 più alta di qualunque altra io avessi mai vista.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, Noi ci rallegrammo, ma l'allegria si tramutò


ché de la nova terra un turbo nacque, presto in pianto: infatti da quella nuova terra
e percosse del legno il primo canto. 138 nacque una tempesta che colpì la nave a prua.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque; La fece girare su se stessa tre volte, in un vortice;
a la quarta levar la poppa in suso la quarta volta fece levare in alto la poppa e fece
e la prora ire in giù, com’altrui piacque, inabissare la prua, come piacque ad altri (Dio),
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». 142 finché il mare si fu richiuso sopra di noi».

Tratto da: https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-xxvi.html

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