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Corso: Dante e Il Purgator… 15/25

“Purgatorio”, canto 16: parafrasi

18'

Introduzione

Nel Canto XVI del Purgatorio, Dante e Virgilio

avanzano nella terza cornice, totalmente invasa da un

fumo denso e scuro, che per contrappasso

rappresenta l’oscuramento della mente causato

dall’ira. Qui sono infatti puniti gli spiriti degli

iracondi. Dante parla ora con Marco Lombardo,

cortigiano nobile e generoso di cui si hanno scarse

notizie storiche, con cui discute del problema del

libero arbitrio e delle cause della corruzione

umana, nonché del rapporto tra potere

temporale e spirituale.

Videolezione ""Purgatorio", Canto 30: commento cri!co"

Il canto dunque ha un’impostazione eminentemente

politica e morale.

Parafrasi

VISUALIZZA LA PARAFRASI

Buio d’inferno e di notte privata

d’ogne pianeto 1, sotto pover cielo,

3. quant’esser può di nuvol tenebrata 2,

non fece al viso mio sì grosso velo

come quel fummo 3 ch’ivi ci coperse,

6. né a sentir di così aspro pelo 4,

che l’occhio stare aperto non sofferse;


onde la scorta mia saputa e fida
9. mi s’accostò e l’omero m’offerse.

Sì come cieco va dietro a sua guida


per non smarrirsi e per non dar di cozzo
12. in cosa che ’l molesti, o forse ancida,

m’andava io per l’aere amaro e sozzo 5,

ascoltando il mio duca che diceva


15. pur: "Guarda che da me tu non sia mozzo".

Io sentia voci, e ciascuna pareva


pregar per pace e per misericordia
18. l’Agnel di Dio che le peccata leva.

Pur ’Agnus Dei’ 6 eran le loro essordia;

una parola in tutte era e un modo 7,

21. sì che parea tra esse ogne concordia.

"Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?",


diss’io. Ed elli a me: "Tu vero apprendi,

24. e d’iracundia van solvendo il nodo" 8.

"Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi 9,

e di noi parli pur come se tue

27. partissi ancor lo tempo per calendi?” 10

Così per una voce detto fue;


onde ’l maestro mio disse: "Rispondi,
30. e domanda se quinci si va sùe".

E io: "O creatura che ti mondi


per tornar bella a colui che ti fece,
33. maraviglia udirai, se mi secondi".

"Io ti seguiterò quanto mi lece",


rispuose; "e se veder fummo non lascia,
36. l’udir ci terrà giunti in quella vece".

Allora incominciai: "Con quella fascia


che la morte dissolve men vo suso,

39. e venni qui per l’infernale ambascia 11.

E se Dio m’ ha in sua grazia rinchiuso,


tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte

42. per modo tutto fuor del moderno uso 12,

non mi celar chi fosti anzi la morte,

ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco 13;

45. e tue parole fier le nostre scorte".

"Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco 14;

del mondo seppi, e quel valore amai

48. al quale ha or ciascun disteso l’arco 15.

Per montar sù dirittamente vai".


Così rispuose, e soggiunse: "I’ ti prego
51. che per me prieghi quando sù sarai".

E io a lui: "Per fede mi ti lego


di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
54. dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego.

Prima era scempio, e ora è fatto doppio


ne la sentenza tua, che mi fa certo
57. qui, e altrove, quello ov’io l’accoppio.

Lo mondo è ben così tutto diserto


d’ogne virtute, come tu mi sone,
60. e di malizia gravido e coverto;

ma priego che m’addite la cagione,


sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
63. ché nel cielo uno, e un qua giù la pone".

Alto sospir, che duolo strinse in "uhi!",


mise fuor prima; e poi cominciò: "Frate,
66. lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.

Voi che vivete ogne cagion recate


pur suso al cielo, pur come se tutto

69. movesse seco di necessitate 16.

Se così fosse, in voi fora distrutto

libero arbitrio 17, e non fora giustizia

72. per ben letizia, e per male aver lutto.

Lo cielo i vostri movimenti inizia;


non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica,
75. lume v'è dato a bene e a malizia,

e libero voler; che, se fatica


ne le prime battaglie col ciel dura,
78. poi vince tutto, se ben si notrica.

A maggior forza e a miglior natura

liberi soggiacete 18; e quella cria

81. la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura. 19

Però, se ’l mondo presente disvia,


in voi è la cagione, in voi si cheggia;
84. e io te ne sarò or vera spia.

Esce di mano a lui che la vagheggia


prima che sia, a guisa di fanciulla
87. che piangendo e ridendo pargoleggia,

l’anima semplicetta 20 che sa nulla,

salvo che, mossa da lieto fattore,


90. volontier torna a ciò che la trastulla.

Di picciol bene in pria sente sapore;


quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
93. se guida o fren non torce suo amore.

Onde convenne legge per fren porre;


convenne rege aver, che discernesse

96. de la vera cittade 21 almen la torre.

Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?


Nullo, però che 'l pastor che procede,

99. rugumar può, ma non ha l'unghie fesse 22;

per che la gente, che sua guida vede


pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,

102. di quel si pasce, e più oltre non chiede 23.

Ben puoi veder che la mala condotta


è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
105. e non natura che ’n voi sia corrotta.

Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,


due soli aver, che l’una e l’altra strada

108. facean vedere, e del mondo e di Deo 24.

L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada

col pasturale 25, e l’un con l’altro insieme

111. per viva forza mal convien che vada;

però che, giunti, l’un l’altro non teme:


se non mi credi, pon mente a la spiga,

114. ch’ogn’erba si conosce per lo seme 26.

In sul paese ch’Adice e Po riga 27,

solea valore e cortesia 28 trovarsi,

117. prima che Federigo avesse briga;

or può sicuramente indi passarsi


per qualunque lasciasse, per vergogna,
120. di ragionar coi buoni o d’appressarsi.

Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna

l’antica età la nova 29, e par lor tardo

123. che Dio a miglior vita li ripogna:

Currado da Palazzo 30 e ’l buon Gherardo 31

e Guido da Castel 32, che mei si noma,

126. francescamente, il semplice Lombardo 33.

Dì oggimai che la Chiesa di Roma,


per confondere in sé due reggimenti,
129. cade nel fango, e sé brutta e la soma".

"O Marco mio", diss’io, "bene argomenti;


e or discerno perché dal retaggio

132. li figli di Levì 34 furono essenti.

Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio


di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
135. in rimprovèro del secol selvaggio?".

"O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta",


rispuose a me; "ché, parlandomi tosco,
138. par che del buon Gherardo nulla senta.

Per altro sopranome io nol conosco,


s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.
141. Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.

Vedi l’albor 35 che per lo fummo raia

già biancheggiare, e me convien partirmi

144. (l’angelo è ivi 36) prima ch’io li paia".

Così tornò, e più non volle udirmi.

1 di notte privata d’ogne pianeto: senza la luce di sole e luna,

che all’epoca di Dante, erano considerati pianeti.

2 La prima terzina può sembrare ripetitiva e tautologica,

ma serve con la sua insistenza a chiarire l’estrema oscurità

di quel fumo soprannaturale.

3 fummo: nella terza cornice scontano la loro pena gli

iracondi che, per la legge del contrappasso, sono immersi in

un fumo denso e pungente.

4 aspro pelo: Dante prosegue, dopo aver usato l’immagine del

“velo” con la metafora di un panno ruvido per esprimere il

doppio effetto del fumo purgatoriale.

5 sozzo: il termine, che compare più volte nell’Inferno, nel

Purgatorio - la Cantica della dolcezza - è presente solo in

questo canto.

6 Agnus dei: gli iracondi cantano la preghiera della

Messa, ispirata all’espressione evangelica Ecce agnus Dei. La

scelta non è casuale: l’Agnello divino è infatti esempio di

mansuetudine, cui gli spiriti un tempo iracondi devono

ispirarsi. Dante parte dal testo liturgico e lo parafrasa in

breve.

7 una parola in tutte era e un modo: come sempre nel

Purgatorio, le loro voci sono in armonia.

8 La metafora del nodo per il peccato, che quindi stringe

e soffoca l’anima, è consueta, quasi un topos.

9 fendi: ancora una volta è sottolineato lo stato corporale e

materiale di Dante, in opposizione a quello aereo degli

spiriti.

10 Nella tradizione latina, la Kalenda è il primo giorno del

mese, dunque per metonimia indica il mese. Va notato in

realtà che anche gli spiriti purganti misurano il tempo in

mesi, ancora vicini, in fondo, al sentire dei viventi. C’è dunque

qualche incongruenza nella definizione dei viventi in

contrapposizione agli animi purganti. Probabilmente Dante

ha sentito particolarmente il condizionamento della rima.

11 infernale ambascia: con questo gioco di parole Dante si

riferisce sia al regno infernale che all’affanno in senso più

proprio, a proposito della difficoltà del percorso che ha

affrontato.

12 per modo tutto fuor del moderno uso: l’unico che aveva

visitato il Paradiso dopo la morte di Cristo era stato san

Paolo. Da lungo tempo dunque nessuno aveva avuto la grazie

di compiere l’impresa ora concessa a Dante.

13 al varco: cioè al passo che rende possibile la salita alla

quarta cornice.

14 Marco Lombardo è un personaggio pressoché ignoto.

Deve essere stato un cortigiano della Marca Trevigiana,

vissuto nella seconda metà del XIII secolo, saggio e nobile

d’animo, tanto che Dante gli affida l’importante questione

del libero arbitrio.

15 Nel linguaggio tecnico del tempo, “tendere l’arco” significa

mirare, porsi un obiettivo. “Distendere l’arco” significa quindi

l’opposto

16 Necessitate: è sbagliato attribuire agli astri la causa di

ogni azione dell’uomo, persino quando si tratta di

un’azione morale.

17 libero arbitrio: quello del libero arbitrio è un concetto

fondamentale sia a livello morale che dottrinale.

Senza libero arbitrio tutto dipenderebbe esclusivamente dalla

volontà di Dio e gli uomini non avrebbero alcuna libertà di

scelta, né per conseguenza alcuna responsabilità.

18 Va notato l’espressivo ossimoro utilizzato da Dante: siete

sottoposti e liberi al tempo stesso. È proprio questo il

concetto di libero arbitrio: gli uomini sono figli di Dio -

onnisciente e onnipotente - ma sono anche liberi di scegliere e

capire, nonché spesso di sbagliare e commettere peccato.

19 E’ fondamentale dunque la distinzione tra influsso

celeste (astrologico) e ruolo di Dio come creatore. Il

primo può anche essere verso il male, cui la volontà deve

opporsi, mentre il secondo è ispirato di necessità al bene.

20 l’anima semplicetta: Dante, considera l’anima come una

tabula rasa, e quindi si trova in polemica con la dottrina

platonica delle idee innate.

21 vera cittade: chiaro riferimento al De Civitate dei di S.

Agostino.

22 La traduzione fuor di metafora può essere: “Il pastore che

guida il gregge, quindi il Papa, può conoscere la legge divina

(rumina bene perché ha sulla bocca la scienza divina) ma non

ha la capacità di agire in quanto guida temporale (non ha

l’unghia fessa, cioè la divisione dei poteri).

23 È questa una delle più forti e note critiche

dantesche alla Chiesa, che non solo non offre alcun

esempio morale, ma, accaparrandosi le prerogative del potere

temporale, contrasta il naturale dispiegamento dell’unica

istituzione che per Dante ha il diritto di governare sul mondo

terreno, ovvero quella imperiale.

24 Marco enuncia qui la famosissima “teoria dei due

soli”, che Dante presenta anche nella Monarchia, secondo la

quale l’uomo, per essere perfettamente felice, deve disporre di

due guide distinte, la Chiesa per la felicità spirituale, l’Impero

(o comunque lo Stato) per quella terrena

25 pasturale: il pastorale è il bastone simbolo del potere

spirituale.

26 Variante di sapore evangelico della massima “l’albero

si riconosce dal frutto”, cioè l’origine o la causa si riconoscono

dalle conseguenze.

27 In sul apese ch’Adice e Po: con questa determinazione

geografica Dante intende riferirsi alla Lombardia, che

all’epoca in cui scriveva comprendeva un territorio molto più

vasto rispetto a quello odierno, fino alla Marca Trevigiana.

28 Valore e cortesia sono le virtù cavalleresche per

antonomasia.

29 Il tema del passato come età onesta al cui confronto il

presente manifesta tutta la corruzione che lo contraddistingue

è topico ed abbondantemente testimoniato, anche nella

Commedia, ad esempio nel Paradiso, in particolare nei Canti

di Cacciaguida.

30 Corrado III dei conti di Palazzo, di cui si conosce molto

poco a parte la fama delle sue qualità morali, fu

bresciano e brillò nella carriera politica e militare in diverse

città d’Italia, svolgendo anche l’attività di vicario di Carlo I

d’Angiò.

31 Gherardo da Camino ebbe una notevole carriera

militare che lo portò ad essere capitano generale di Treviso.

Dante lo ricorda positivamente come uomo morale e

protettore delle arti; in realtà è noto che egli fu implicato

nella morte di Jacopo del Cassero (citata nel Canto V del

Purgatorio) e che fu legato a Corso Donati, guelfo nero

fiorentino indicato da Dante come uomo corrotto per

eccellenza nel ventiquattresimo canto del Purgatorio.

32 Guido da Castello, emiliano, forse ghibellino ed esule a

Verona, dove Dante potrebbe averlo conosciuto. In ogni caso

si tratta di informazioni incerte..

33 L’interpretazione di questo soprannome non è chiara.

Probabilmente Dante vuole intendere che persino i francesi,

che consideravano i lombardi poco onesti in quanto abili

mercanti, avessero apprezzato le virtù morali di Guido,

chiamato appunto “semplice” cioé “privo di inganni”. Poiché

Guido rappresenta un’intera generazione

moralmente integra ed ormai quasi scomparsa,

dobbiamo immaginare che la critica dei francesi agli altri

lombardi non sia condivisa da Dante.

34 Figli di Levì: i Leviti, sacerdoti del popolo di Israele che

per legge non potevano essere beneficiari di eredità

materiali o temporali.

35 albor: intende la luce del sole, non dell’angelo che viene

citato due versi dopo. La luce che filtra attraverso il fumo, che

Dante descrive come molto denso ed acre all’inizio del Canto,

significa che i tre si sono ormai avvicinati al limitare della

zona in cui gli iracondi possono dimorare.

36 Presso ogni cornice del Purgatorio si trova un angelo che

la governa e custodisce, sancendo l’avvenuta purificazione

delle anime che hanno compiuto il loro percorso. Proprio

questi angeli cancellano di volta in volta le P che l’angelo

custode, nel Canto IX, ha impresso sulla fronte di Dante,

come simbolo della sua condizione di penitente che

viene gradualmente alleggerita.

VAI ALLA PROSSIMA LEZIONE 16

Testo su Purgatorio

Relatori

Ma!lde Quar!

Giulia Ravera

Le!eratura Italiana

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