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DANTE · COMMEDIA E ’l duca, che mi vide tanto atteso, né dolcezza di figlio, né la pièta

INFERNO, XXVI disse: «Dentro dai fuochi son li spirti; del vecchio padre, né ’l debito amore
ciascun si fascia di quel ch’elli è inceso». 48 lo qual dovea Penelope far lieta, 96
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, «Maestro mio» rispuos’io, «per udirti vincer poter dentro da me l’ardore
che per mare e per terra batti l’ali, son io più certo; ma già m’era avviso ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e per lo ’nferno tuo nome si spande! 3 che così fosse, e già voleva dirti: 51 e delli vizi umani e del valore; 99
Tra li ladron trovai cinque cotali chi è in quel foco che vien sì diviso ma misi me per l’alto mare aperto
tuoi cittadini onde mi ven vergogna, di sopra, che par surger della pira sol con un legno e con quella compagna
e tu in grande orranza non ne sali. 6 dov’Eteòcle col fratel fu miso?» 54 picciola dalla qual non fui diserto. 102
Ma se presso al mattin del ver si sogna, Rispuose a me: «Là dentro si martira L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
tu sentirai di qua da picciol tempo Ulisse e Dïomede, e così inseme fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi,
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. 9 alla vendetta vanno come all’ira; 57 e l’altre che quel mare intorno bagna. 105
E se già fosse, non saria per tempo: e dentro dalla lor fiamma si geme Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
così foss’ei, da che pur esser dee! l’agguato del caval che fe’ la porta quando venimmo a quella foce stretta
ché più mi graverà, com più m’attempo. 12 onde uscì de’ Romani il gentil seme. 60 dov’Ercule segnò li suoi riguardi, 108
Noi ci partimmo, e su per le scalee Piangevisi entro l’arte per che, morta, acciò che l’uom più oltre non si metta:
che n’avean fatte i borni a scender pria, Deïdamìa ancor si duol d’Achille, dalla man destra mi lasciai Sibilia,
rimontò ’l duca mio e trasse mee; 15 e del Palladio pena vi si porta». 63 dall’altra già m’avea lasciata Setta. 111
e proseguendo la solinga via, «S’ei posson dentro da quelle faville ‘O frati’, dissi, ‘che per cento milia
tra le schegge e tra’ rocchi dello scoglio parlar» diss’io, «maestro, assai ten priego perigli siete giunti all’occidente,
lo piè sanza la man non si spedia. 18 e ripriego, che il priego vaglia mille, 66 a questa tanto picciola vigilia 114
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio che non mi facci dell’attender niego de’ nostri sensi ch’è del rimanente,
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, fin che la fiamma cornuta qua vegna: non vogliate negar l’esperïenza,
e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, 21 vedi che del disio ver lei mi piego!» 69 di retro al sol, del mondo sanza gente. 117
perché non corra che virtù nol guidi; Ed elli a me: «La tua preghiera è degna Considerate la vostra semenza:
sì che, se stella bona o miglior cosa di molta loda, e io però l’accetto; fatti non foste a viver come bruti,
m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. 24 ma fa che la tua lingua si sostegna. 72 ma per seguir virtute e canoscenza’. 120
Quante il villan ch’al poggio si riposa, Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto Li miei compagni fec’io sì aguti,
nel tempo che colui che ’l mondo schiara ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi, con questa orazion picciola, al cammino,
la faccia sua a noi tien meno ascosa, 27 perché fuor greci, forse del tuo detto». 75 che a pena poscia li avrei ritenuti; 123
come la mosca cede a la zanzara, Poi che la fiamma fu venuta quivi e volta nostra poppa nel mattino,
vede lucciole giù per la vallea, dove parve al mio duca tempo e loco, dei remi facemmo ali al folle volo,
forse colà dov’e’ vendemmia ed ara; 30 in questa forma lui parlare audivi: 78 sempre acquistando dal lato mancino. 126
di tante fiamme tutta risplendea «O voi che siete due dentro ad un foco, Tutte le stelle già dell’altro polo
l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. 33 s’io meritai di voi assai o poco 81 che non surgea fuor del marin suolo. 129
E qual colui che si vengiò con li orsi quando nel mondo li alti versi scrissi, Cinque volte racceso e tante casso
vide ’l carro d’Elia al dipartire, non vi movete; ma l’un di voi dica lo lume era di sotto dalla luna,
quando i cavalli al cielo erti levorsi, 36 dove per lui perduto a morir gissi». 84 poi che ’ntrati eravam nell’alto passo, 132
che nol potea sì con li occhi seguire, Lo maggior corno della fiamma antica quando n’apparve una montagna, bruna
ch’el vedesse altro che la fiamma sola, cominciò a crollarsi mormorando per la distanza, e parvemi alta tanto
sì come nuvoletta, in su salire; 39 pur come quella cui vento affatica; 87 quanto veduta non avea alcuna. 135
tal si move ciascuna per la gola indi la cima qua e là menando, Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
del fosso, ché nessuna mostra il furto, come fosse la lingua che parlasse, ché della nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto. 138
e ogni fiamma un peccatore invola. 42 gittò voce di fuori, e disse: «Quando 90 Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque:
Io stava sovra ’l ponte a veder surto, mi diparti’ da Circe, che sottrasse alla quarta levar la poppa in suso
sì che s’io non avessi un ronchion preso, me più d’un anno là presso a Gaeta, e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
caduto sarei giù sanz’esser urto. 45 prima che sì Enea la nomasse, 93 infin che ’l mar fu sopra noi richuso». 142

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