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DANTE · COMMEDIA la qual molte fïate l’omo ingombra Donna è gentil nel ciel che si compiange

INFERNO, II sì che d’onrata impresa lo rivolve, di questo impedimento ov’io ti mando,


come falso veder bestia quand’ombra. 48 sì che duro giudicio là su frange. 96
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno Da questa tema acciò che tu ti solve, Questa chiese Lucia in suo dimando
toglieva li animai che sono in terra dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele
dalle fatiche loro; e io sol uno 3 nel primo punto che di te mi dolve. 51 di te, ed io a te lo raccomando -. 99
m’apparecchiava a sostener la guerra Io era tra color che son sospesi, Lucia, nimica di ciascun crudele,
sì del cammino e sì della pietate, e donna mi chiamò beata e bella, si mosse, e venne al loco dov’i’ era,
che ritrarrà la mente che non erra. 6 tal che di comandare io la richiesi. 54 che mi sedea con l’antica Rachele. 102
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; Lucevan li occhi suoi più che la stella; Disse: - Beatrice, loda di Dio vera,
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, e cominciommi a dir soave e piana, ché non soccorri quei che t’amò tanto,
qui si parrà la tua nobilitate. 9 con angelica voce, in sua favella: 57 ch’uscì per te della volgare schiera? 105
Io cominciai: «Poeta che mi guidi, ‘O anima cortese mantovana, non odi tu la pièta del suo pianto?
guarda la mia virtù s’ell’è possente, di cui la fama ancor nel mondo dura, non vedi tu la morte che ’l combatte
prima ch’all’alto passo tu mi fidi. 12 e durerà quanto ’l mondo lontana, 60 su la fiumana ove ’l mar non ha vanto?- 108
Tu dici che di Silvio il parente, l’amico mio, e non della ventura, Al mondo non fur mai persone ratte
corruttibile ancora, ad immortale nella diserta piaggia è impedito a far lor pro o a fuggir lor danno,
secolo andò, e fu sensibilmente. 15 sì nel cammin, che volt’è per paura; 63 com’io, dopo cotai parole fatte, 111
Però, se l’avversario d’ogni male e temo che non sia già sì smarrito, venni qua giù dal mio beato scanno,
cortese i fu, pensando l’alto effetto ch’io mi sia tardi al soccorso levata, fidandomi nel tuo parlare onesto,
ch’uscir dovea di lui e ’l chi e ’l quale, 18 per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. 66 ch’onora te e quei ch’udito l’hanno’. 114
non pare indegno ad omo d’intelletto; Or movi, e con la tua parola ornata Poscia che m’ebbe ragionato questo,
ch’e’ fu dell’alma Roma e di sua impero e con ciò c’ha mestieri al suo campare li occhi lucenti lacrimando volse;
nell’empireo ciel per padre eletto: 21 l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata. 69 per che mi fece del venir più presto; 117
la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, I’ son Beatrice che ti faccio andare; e venni a te così com’ella volse;
fu stabilita per lo loco santo vegno del loco ove tornar disio; d’innanzi a quella fiera ti levai
u’ siede il successor del maggior Piero. 24 amor mi mosse, che mi fa parlare. 72 che del bel monte il corto andar ti tolse. 120
Per questa andata onde li dai tu vanto Quando sarò dinanzi al signor mio, Dunque che è? perché, perché restai?
intese cose che furon cagione di te mi loderò sovente a lui’. perché tanta viltà nel cuore allette?
di sua vittoria e del papale ammanto. 27 Tacette allora, e poi comincia’ io: 75 perché ardire e franchezza non hai? 123
Andovvi poi lo Vas d’elezïone, ‘O donna di virtù, sola per cui poscia che tai tre donne benedette
per recarne conforto a quella fede l’umana spezie eccede ogni contento curan di te ne la corte del cielo,
ch’è principio alla via di salvazione. 30 di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, 78 e ’l mio parlar tanto ben t’impromette?» 126
Ma io perché venirvi? o chi ’l concede? tanto m’aggrada il tuo comandamento, Quali i fioretti, dal notturno gelo
Io non Enëa, io non Paulo sono: che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi; chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca
me degno a ciò né io né altri crede. 33 più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. 81 si drizzan tutti aperti in loro stelo, 129
Per che, se del venire io m’abbandono, Ma dimmi la cagion che non ti guardi tal mi fec’io di mia virtute stanca,
temo che la venuta non sia folle: dello scender qua giuso in questo centro e tanto buono ardire al cor mi corse,
se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». 36 dell’ampio loco ove tornar tu ardi’. 84 ch’i’ cominciai come persona franca: 132
E qual è quei che disvuol ciò che volle ’Da che tu vuo’ saper cotanto a dentro, «Oh pietosa colei che mi soccorse!
e per novi pensier cangia proposta, dirotti brievemente’ mi rispose, e te cortese ch’ubidisti tosto
sì che dal cominciar tutto si tolle, 39 ‘perch’io non temo di venir qua entro. 87 alle vere parole che ti porse! 135
tal mi fec’io in quella oscura costa, Temer si dee di sole quelle cose Tu m’hai con disiderio il cor disposto
perché, pensando, consumai la ’mpresa c’hanno potenza di fare altrui male; sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto. 138
che fu nel cominciar cotanto tosta. 42 dell’altre no, ché non son paurose. 90 Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
«S’i’ ho ben la parola tua intesa» Io son fatta da Dio, sua mercè, tale, tu duca, tu segnore, e tu maestro».
rispuose del magnanimo quell’ombra, che la vostra miseria non mi tange, Così li dissi; e poi che mosso fue,
«l’anima tua è da viltate offesa; 45 né fiamma d’esto incendio non m’assale. 93 intrai per lo cammino alto e silvestro. 142

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