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Petrarca
Triumphus Mortis, I
che non sian tutte vanità palesi? e de la vita ch’altri non mi tolse.
Chi intende a’ vostri studii sì mel dica. Debito al mondo e debito a l’etate,
Che vale a soggiogar gli altrui paesi cacciar me innanzi ch’ero giunto in prima,
e tributarie far le genti strane né a lui torre ancor sua dignitate.
cogli animi al suo danno sempre accesi? Or qual fusse il dolor qui non si stima,
Dopo l’imprese perigliose e vane, ch’a pena oso pensarne, non ch’io sia
e col sangue acquistar terre e tesoro, ardito di parlarne in versi o ’n rima.
vie più dolce si trova l’acqua e ’l pane, « Virtù more, bellezza e leggiadria! »
e ’l legno e ’l vetro che le gemme e l’oro. le belle donne intorno al casto letto
Ma per non seguir più sì lungo tema, triste diceano « Omai di noi che fia?
tempo è ch’io torni al mio primo lavoro. chi vedrà mai in donna atto perfetto?
I’ dico che giunta era l’ora estrema chi udirà il parlar di saver pieno
di quella breve vita glorïosa, e ’l canto pien d’angelico diletto? »
e ’l dubbio passo di che ’l mondo trema, Lo spirto, per partir di quel bel seno,
et a vederla un’altra valorosa con tutte sue virtuti, in sé romito,
schiera di donne non dal corpo sciolta, fatto avea in quella parte il ciel sereno.
per saper s’esser pò Morte pietosa. Nessun degli avversari fu sì ardito
Quella bella compagna era ivi accolta ch’apparisse già mai con vista oscura
pure a vedere e contemplare il fine fin che Morte il suo assalto ebbe fornito.
che far convensi, e non più d’una volta: Poi che deposto il pianto e la paura
tutte sue amiche e tutte eran vicine. pur al bel volto era ciascuna intenta,
Allor di quella bionda testa svelse per desperazïon fatta sicura,
Morte co la sua mano un aureo crine: non come fiamma che per forza è spenta,
così del mondo il più bel fiore scelse, ma che per sé medesma si consume,
non già per odio, ma per dimostrarsi se n’andò in pace l’anima contenta,
più chiaramente ne le cose eccelse. a guisa d’un soave e chiaro lume
Quanti lamenti lagrimosi sparsi cui nutrimento a poco a poco manca,
fur ivi, essendo que’ belli occhi asciutti tenendo al fine il suo caro costume.
per ch’io lunga stagion cantai ed arsi! Pallida no, ma più che neve bianca
E fra tanti sospiri e tanti lutti che senza venti in un bel colle fiocchi,
tacita e sola lieta si sedea, parea posar come persona stanca.
del suo ben viver già cogliendo i frutti. Quasi un dolce dormir ne’ suo’ belli occhi,
« Vattene in pace, o vera mortal dea! » sendo lo spirto già da lei diviso,
diceano; e tal fu ben, ma non le valse era quel che morir chiaman gli sciocchi:
contra la Morte in sua ragion sì rea. Morte bella parea nel suo bel viso.
Che fia de l’altre, se questa arse et alse
in poche notti e sì cangiò più volte?
O umane speranze cieche e false!
Se la terra bagnar lagrime molte
per la pietà di quella alma gentile,
chi ’l vide il sa; tu ’l pensa che l’ascolte.
L’ora prima era, il dì sesto d’aprile,
che già mi strinse, et or, lasso, mi sciolse:
come Fortuna va cangiando stile!
Nessun di servitù giammai si dolse,
né di morte, quant’io di libertate