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3. Dante Alighieri, Purgatorio XXIV, vv. 49-63
6. Guido Guinizzelli, Al cor gentil rempaira sempre amore (prime due strofe)
Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira, calco tratto da Isaia antico testamento “chi è
colui che viene” + cantico san Francesco.
che fa tremar di chiaritate l'âre
e mena seco Amor, sì che parlare nessuno è più capace di parlare, ma tutti gli uomini
null'omo pote, ma ciascun sospira? sospirano
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9. Dante Alighieri, Vita nuova XXVI
Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta grazia de le genti,
che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea.
E quando ella fosse presso d’alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia di
levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì come esperti, mi potrebbero
testimoniare a chi non lo credesse. Ella coronata e vestita d’umilitade s’andava, nulla gloria
mostrando di ciò ch’ella vedea e udia. Diceano molti, poi che passata era: «Questa non è femmina,
anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo». E altri diceano: «Questa è una maraviglia; che benedetto
sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare!». Io dico ch’ella si mostrava sì gentile e sì piena
di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto
che ridìcere non lo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse
sospirare. Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente: onde io pensando a ciò,
volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere
de le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sensibilmente
vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere. Allora dissi questo
sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile.
Questo sonetto è sì piano ad intendere, per quello che narrato è dinanzi, che non abbisogna d’alcuna
divisione;
(ed. Carrai)
Poggio fiorentino segretario apostolico saluta il suo Guarino Veronese. So che nonostante le tue molte
occupazioni quotidiane, per la tua gentilezza e benevolenza verso tutti, ricevi sempre con piacere le
mie lettere; e tuttavia ti prego nel modo più vivo di prestare a questa una particolare attenzione, non
perché la mia persona possa destar l'interesse anche di chi ha molto tempo da perdere, ma per
l'importanza di quanto sto per scriverti. So infatti con assoluta certezza che tu, colto come sei, e
gli altri uomini di studio, avrete una grandissima gioia [...].
Un caso fortunato [...] volle che, mentre ero ozioso a Costanza mi venisse il desiderio di andar a
visitare [...] il monastero di S. Gallo, a circa venti miglia. Perciò mi recai la per distrarmi, ed insieme
per vedere i libri di cui si diceva vi fosse un gran numero. Ivi, in mezzo a una gran massa di
codici che sarebbe lungo enumerare, ho trovato Quintiliano ancor salvo ed incolume, ancorché
tutto pieno di muffa e di polvere. Quei libri infatti non stavano nella biblioteca, come richiedeva
la loro dignità, ma quasi in un tristissimo e oscuro carcere, nel fondo di una torre in cui non si
caccerebbero neppure dei condannati a morte. E io son certo che chi per amore dei padri
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andasse esplorando con cura gli ergastoli in cui questi grandi son chiusi, troverebbe che una
sorte uguale e capitata a molti dei quali ormai si dispera. Trovai inoltre i tre primi libri e metà
del quarto delle Argonautiche di Caio Valerio Flacco, e i commenti a otto orazioni di Cicerone,
di Quinto Asconio Pediano, uomo eloquentissimo, opera ricordata dallo stesso Quintiliano
Questi libri ho copiato io stesso, e anche in fretta, per mandarli a Leonardo Bruni e a Niccolò Niccoli,
che avendo saputo da me la scoperta di questo tesoro, insistentemente mi sollecitarono per lettera a
mandar loro al più presto Quintiliano. Accogli dolcissimo Guarino ciò che può darti un uomo a te
tanto devoto. Vorrei poterti mandare anche il libro, ma dovevo contentare il nostro Leonardo.
Comunque sai dov’è, e se desideri averlo, e credo che lo vorrai molto presto, facilmente potrai
ottenerlo. Addio e voglimi bene, che l'affetto e ricambiato. Costanza, 15 dicembre 1416.
(Trad. it. in E. Garin, Prosatori latini del Quattrocento, 1952)