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LETTERATURA ITALIANA I

DOSSIER TESTI LEZIONI INTRODUTTIVE


A.A. 2022/2023

1. Francesco d’Assisi, Laudes creaturarum (prima strofa)

Altissimu, onnipotente, bon Signore,


tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, 5
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual'è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle: 10
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
(ed. G. Contini)

2. Quando eu stava in le tu’ cathene (prime 2 strofe)

Quando eu stava in le tu’ cathene,


oi Amorẹ, me fisti demandare
s’eu volesse sufirir le pene
ou le tu’ rechiçe abandunare,
k’ènno grand’e de sperança plene, 5
cun ver dire, sempre voln’andare.
Non [r]espus’a vui di[ritamen]te
k’eu fithança non avea niente
de vinire ad unu cun la çente
cui far fistinança non plasea. 10

Null’om non cunsillo de penare


contra quel ke plas’al so signore,
ma sempre dire et atalentare,
como fece Tulio, cun colore
Fùçere firir et increvare 15
quel ki l’è disgrathu, surt’enore:
qui çò fa non pò splaser altrui,
su’ bontathe sempre cresse plui,
çogo, risu sempre passce lui,
tute l’ure serv[e] curtisia. 20
(ed. A. Stussi, 1999)

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3. Dante Alighieri, Purgatorio XXIV, vv. 49-63

Ma dì s'i' veggio qui colui che fore


trasse le nove rime, cominciando
"Donne ch'avete intelletto d'amore"". 51
E io a lui: "I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando". 54
"O frate, issa vegg'io", diss'elli, "il nodo
che 'l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch'i' odo! 57
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne; 60
e qual più a gradire oltre si mette,
non vede più da l'uno a l'altro stilo";
e, quasi contentato, si tacette. 63

4. Giacomo da Lentini, Amor è uno desio che ven da core

Amore è uno desio che ven da core


per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l’amore
e lo core li dà nutricamento.

Ben è alcuna fïata om amatore


senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi à nascimento,

che li occhi rapresentan a lo core


d’onni cosa che veden bono e rio,
com’è formata naturalemente;

e lo cor, che di zo è concepitore,


imagina, e piace quel disio:
e questo amore regna fra la gente.
(ed. Antonelli, 1979)

5. Dante Alighieri, Purgatorio XXVI, vv. 91-126

Farotti ben di me volere scemo:


son Guido Guinizzelli; e già mi purgo
per ben dolermi prima ch'a lo stremo". 93
Quali ne la tristizia di Ligurgo
si fer due figli a riveder la madre,
tal mi fec'io, ma non a tanto insurgo, 96
2
quand'io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d'amore usar dolci e leggiadre; 99
e sanza udire e dir pensoso andai
lunga fïata rimirando lui,
né, per lo foco, in là più m'appressai. 102
Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto m'offersi pronto al suo servigio
con l'affermar che fa credere altrui. 105
Ed elli a me: "Tu lasci tal vestigio,
per quel ch'i' odo, in me, e tanto chiaro,
che Letè nol può tòrre né far bigio. 108
Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che è cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar d'avermi caro". 111
E io a lui: "Li dolci detti vostri,
che, quanto durerà l'uso moderno,
faranno cari ancora i loro incostri". 114
"O frate", disse, "questi ch'io ti cerno
col dito", e additò un spirto innanzi,
"fu miglior fabbro del parlar materno. 117
Versi d'amore e prose di romanzi
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
che quel di Lemosì credon ch'avanzi. 120
A voce più ch'al ver drizzan li volti,
e così ferman sua oppinïone
prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti. 123
Così fer molti antichi di Guittone,
di grido in grido pur lui dando pregio,
fin che l'ha vinto il ver con più persone. 126

6. Guido Guinizzelli, Al cor gentil rempaira sempre amore (prime due strofe)

Al cor gentil rempaira sempre amore,


come l'ausello in selva a la verdura;
né fe' amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch'amor, natura:
ch'adesso con' fu 'l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti 'l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

Foco d'amore in gentil cor s'aprende


come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che 'l sol la faccia gentil cosa;
poi che n'ha tratto fòre
3
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch'è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo 'nnamora.
(ed. G. Contini)

7. Guido Cavalcanti, Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira

Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira, calco tratto da Isaia antico testamento “chi è
colui che viene” + cantico san Francesco.
che fa tremar di chiaritate l'âre
e mena seco Amor, sì che parlare nessuno è più capace di parlare, ma tutti gli uomini
null'omo pote, ma ciascun sospira? sospirano

O Deo, che sembra quando li occhi gira,


dical' Amor, ch'i' nol savria contare:
cotanto d'umiltà donna mi pare, mi appare a tal punto signora di umiltà
ch'ogn'altra ver' di lei i' la chiam' ira. che tutte le altre donne le definirei ira

Non si poria contar la sua piagenza,


ch'a le' s'inchin' ogni gentil vertute,
e la beltate per sua dea la mostra.
la nostra capacità intellettiva non era così
profonda, e in noi non su instaurata grande
Non fu sì alta già la mente nostra salute nel senso di capacità di cogliere luminosità
e non si pose 'n noi tanta salute, che ne possiamo avere una propria percezione e
che propiamente n'aviàn canoscenza. conoscenza —> da poterne avere una conoscenza piena
(ed. G. Contini) e autentica.

8. G. Cavalcanti, Tu m’hai sì piena di dolor la mente


Tu m’hai sì piena di dolor la mente,
che l’anima si briga di partire,
e li sospïr’ che manda ’l cor dolente
mostrano agli occhi che non può soffrire. TU

Amor, che lo tuo grande valor sente,


dice: “E’ mi duol che ti convien morire
per questa fiera donna, che nïente
par che piatate di te voglia udire”.

I’ vo come colui ch’è fuor di vita,


che pare, a chi lo sguarda, ch’omo sia
fatto di rame o di pietra o di legno,
IO
che si conduca sol per maestria
e porti ne lo core una ferita
che sia, com’egli è morto, aperto segno.
(ed. G. Contini)

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9. Dante Alighieri, Vita nuova XXVI

Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta grazia de le genti,
che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea.
E quando ella fosse presso d’alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia di
levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì come esperti, mi potrebbero
testimoniare a chi non lo credesse. Ella coronata e vestita d’umilitade s’andava, nulla gloria
mostrando di ciò ch’ella vedea e udia. Diceano molti, poi che passata era: «Questa non è femmina,
anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo». E altri diceano: «Questa è una maraviglia; che benedetto
sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare!». Io dico ch’ella si mostrava sì gentile e sì piena
di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto
che ridìcere non lo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse
sospirare. Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente: onde io pensando a ciò,
volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere
de le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sensibilmente
vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere. Allora dissi questo
sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile.

Tanto gentile e tanto onesta pare


la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,


benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mòstrasi sì piacente a chi la mira,


che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi non la prova:

e par che de la sua labbia si mova


un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: «Sospira!»

Questo sonetto è sì piano ad intendere, per quello che narrato è dinanzi, che non abbisogna d’alcuna
divisione;
(ed. Carrai)

10. Francesco Petrarca, Rvf 1

Voi ch' ascoltate in rime sparse il suono


di quei sospiri ond' io nutriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr' uom da quel ch' i' sono:

del vario stile in ch' io piango et ragiono


fra le vane speranze e 'l van dolore,
5
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sí come al popol tutto


favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,


e 'l pentérsi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
(ed. M. Santagata)

11. Francesco Petrarca, Rvf 90

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi


che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

e ’l viso di pietosi color’ farsi,


non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

Non era l’andar suo cosa mortale,


ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro, che pur voce humana.

Uno spirto celeste, un vivo sole


fu quel ch’i' vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
(ed. M. Santagata)

12. Poggio Bracciolini, Lettera a Guarino Veronese (1416)

Poggio fiorentino segretario apostolico saluta il suo Guarino Veronese. So che nonostante le tue molte
occupazioni quotidiane, per la tua gentilezza e benevolenza verso tutti, ricevi sempre con piacere le
mie lettere; e tuttavia ti prego nel modo più vivo di prestare a questa una particolare attenzione, non
perché la mia persona possa destar l'interesse anche di chi ha molto tempo da perdere, ma per
l'importanza di quanto sto per scriverti. So infatti con assoluta certezza che tu, colto come sei, e
gli altri uomini di studio, avrete una grandissima gioia [...].
Un caso fortunato [...] volle che, mentre ero ozioso a Costanza mi venisse il desiderio di andar a
visitare [...] il monastero di S. Gallo, a circa venti miglia. Perciò mi recai la per distrarmi, ed insieme
per vedere i libri di cui si diceva vi fosse un gran numero. Ivi, in mezzo a una gran massa di
codici che sarebbe lungo enumerare, ho trovato Quintiliano ancor salvo ed incolume, ancorché
tutto pieno di muffa e di polvere. Quei libri infatti non stavano nella biblioteca, come richiedeva
la loro dignità, ma quasi in un tristissimo e oscuro carcere, nel fondo di una torre in cui non si
caccerebbero neppure dei condannati a morte. E io son certo che chi per amore dei padri
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andasse esplorando con cura gli ergastoli in cui questi grandi son chiusi, troverebbe che una
sorte uguale e capitata a molti dei quali ormai si dispera. Trovai inoltre i tre primi libri e metà
del quarto delle Argonautiche di Caio Valerio Flacco, e i commenti a otto orazioni di Cicerone,
di Quinto Asconio Pediano, uomo eloquentissimo, opera ricordata dallo stesso Quintiliano
Questi libri ho copiato io stesso, e anche in fretta, per mandarli a Leonardo Bruni e a Niccolò Niccoli,
che avendo saputo da me la scoperta di questo tesoro, insistentemente mi sollecitarono per lettera a
mandar loro al più presto Quintiliano. Accogli dolcissimo Guarino ciò che può darti un uomo a te
tanto devoto. Vorrei poterti mandare anche il libro, ma dovevo contentare il nostro Leonardo.
Comunque sai dov’è, e se desideri averlo, e credo che lo vorrai molto presto, facilmente potrai
ottenerlo. Addio e voglimi bene, che l'affetto e ricambiato. Costanza, 15 dicembre 1416.
(Trad. it. in E. Garin, Prosatori latini del Quattrocento, 1952)

13. Poliziano, Rime XXXVI

Che fa’ tu, Ecco, mentre io ti chiamo? Amo.


Ami tu dua o pur un solo? Un solo.
E io te sola e non altri amo. Altri amo.
Dunque non ami tu un solo? Un solo.
Questo è un dirmi: i’ non t’amo. I’ non t’amo.
Quel che tu ami, amil tu solo? Solo.
Chi t’ha levata dal mio amore? Amore.
Che fa quello a chi porti amore? Ah, more!
(ed. Delcorno Branca)

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