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Gianni Alfani

Ballate

Edizione di riferimento: Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli,


Ricciardi, I960

Sommario

I Guato una donna dov'io la scontrai


II Donne, la donna mia ha d'un disdegno
III Quanto più mi disdegni, più mi piaci
IV Ballatetta dolente
V De la mia donna vo' cantar con voi
VI Se quella donna ched i' tegno a mente
VII A Guido Cavalcanti

Vetriolo - 2005
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I

Guato una donna dov'io la scontrai,


che cogli occhi mi tolse
lo cor, quando si volse
per salutarmi, e noi mi rendéo mai.
5 Io la pur miro là dov'io la vidi,
e veggiovi con lei
il bel saluto che mi fece allore;
lo quale sbigottì sì gli occhi miei,
che li 'ncerchiò di stridi
10 l'anima mia che li pingea di fòre,
perché sentiva in lui venir umile
un spirito gentile
che le diceva: "Ornai
guata costei! Se non, tu ti morrai".

15 Amor vi vien colà dov'i' la miro,


amantato di gioia
ne li raggi del lume ch'ella spande;
e contami che pur conven ch'i' moia
per forza d'un sospiro,
20 che per coste' i' debbo far sì grande,
che l'anima smarrita s'andrà via.
Ah, bella donna mia,
sentirà' tu che guai!
Che te ne 'ncresca quando li udirai!

25 Tu se' stata oggimai sette anni pura,


danza mia nova e sola,
cercando 'l mondo d'un che ti vestisse;
ed hai veduto quella, che m'imbola
la vita, star pur dura
30 e non pregare alcun che ti coprisse.
Però ti conven gire a lei pietosa
e dirle: "I' son tua cosa,
madonna; tu che sai,
fa ch'i' sia ben vestita di tuo' vai".
35 "Se tu mi vesti ben questa fanciulla,
donna, uscirò di culla".
"E saprò s'i' serrai
alcuna roba vaia, sì l'avrai".
II

Donne, la donna mia ha d'un disdegno


sì ferito 'l me' core,
che se voi non l'atate e' se ne more!

Ella l'ha disdegnato così forte


5 perch'i' guarda negli occhi di costei,
che ha ferito un mio compagno a morte;
e sol per questo la miraro i miei.
Ond'i' vi dico ch'i' m'ucciderei,
se 'l su' dolce valore
10 non avesse pietà del mi' dolore.

Questa mia bella donna che mi sdegna,


legò sì stretto il meo cor quando 'l prese,
che non si sciolse mai per altra insegna
che vedesse d'Amor: tanto l'accese
15 d'una fiamma del su' piacer, che tese
lo su' arco ad Amore,
col qual ne pinge l'anima de fòre.

III

Quanto più mi disdegni, più mi piaci,


e quan tu mi di: "Taci",
una paura nel cor mi discende
che dentro un pianto di morte v'accende.
5 Se non t'incresce di veder morire
lo cor che tu m'ha tolto,
Amor l'ucciderà 'n quella paura
ch'accende il pianto del crudel martire,
che mi spegne del volto
10 l'ardire, in guisa che non s'assicura
di volgersi a guardar negli occhi tuoi:
però che sente i suoi
sì gravi nel finir che li contende,
che non li può levar, tanto li 'ncende.

4
IV

Ballatetta dolente,
va' mostrando 'l mi' pianto
che di dolor mi cuopre tutto quanto.

Tu te ne andrai imprima a quella gioia


5 per cui Fiorenza luce ed è pregiata;
e quetamente, che non le sie noia,
la priega che t'ascolti, o sconsolata;
poi le dirai affannata
come m'ha tutto infranto
10 il tristo bando che mi colse al canto.

S'ella si volge verso te pietosa,


ad ascoltar le pene che tu porti,
traendo guai dolente e vergognosa,
lei pingi come gli occhi miei son morti
15 per li gran colpi e forti
che ricevetter tanto
da' suoi nel mi' partir, ch'or piagne in canto.

Po' fa' sì ch'entri ne la mente a Guido,


perch'egli è sol colui che vede Amore,
20 e mostrali lo spirito ch'un strido
me trâ d'angoscia del disfatto core;
e se vedrà 'l dolore
che 'l distrugge, i' mi vanto
ched e' ne sospirrà di pietà alquanto.

De la mia donna vo' cantar con voi,


madonne da Vinegia,
però ch'ella vi fregia
d'ogn'adorna bellezza che vo' avete.
5 La prima volta ched i' la guardai,
volsemi gli occhi suoi
sì pien' d'amor, che mi preser nel core
l'anima isbigottita, sì che mai
non ragionò d'altrui,
10 come legger si può nel meo colore.
O lasso, quanto è suto il meo dolore
poscia, pien di sospiri
per li dolci disiri
che nel volger degli occhi vo' tenete!

15 Di costei si può dir ben che sia lume


d'amor, tanto risplende
la sua bellezza addentro d'ogni parte:
che la Danubia, ch'è così gran fiume,
e 'l monte che si fende
20 passai, e in me non èi tanta pur arte,
ch'i' mi potesse difender che Marte
cogli altri sei del cielo
sotto 'l costei velo
non mi tornasser, come voi vedete.

25 Deh, increscavi di me, donne, per Dio,


chi'i' non so che mi fare,
sì son or combattuto feramente:
ch'Amor, la sua mercé, mi dice ch'io
non le tema mostrare
30 quella ferita dond'i' vo dolente.
I' l'ho scontrata, e pur di porla
mente son venuto sì meno e di sospir' sì pieno,
chi' caggio morto e voi non m acorrete

VI

Se quella donna ched i' tegno a mente


atasse il su' servente,
i' sare' ribandito ora a Natale;
ma i' son certo che non le ne cale!

5 Però, parole nate di sospiri


ch'escon del pianto che mi fende 'l core,
sappiate ben contar de' miei martiri
la chiave, che vi serra ogni dolore,
a quelle donne c'hanno il cor gentile:
10 sì che, parlando umile,
prieghin colei per cui ciascuna vale
che faccia tosto il mi' pianto mortale.

S'ella fa loro questa grazia ch'i' cheggio,


colu' che pel mi' peggio
15 non lascia partir l'anima dal male,
perderà quella pruova dove sale.

6
VII

A Guido Cavalcanti

Guido, quel Gianni ch'a te fu l'altrieri


salute, quanto piace alle tue risa,
da parte della giovane da Pisa,
ch'e' fier d'amor me' che tu di trafieri.

5 Ella mi domandò come tu ieri


acconcio di servir chi l'hae uccisa,
s'ella con lui a te venisse in guisa
che noi sapesse altre ch'egli e Gualtieiri;

sicché li suo' parenti da far macco


10 non potesser già ma' lor più far danno
che dir: "Mendate da la lungi scacco!"
Io le rispuosi che tu sanza inganno
portavi pien di ta' saette un sacco,
che gli trarresti di briga e d'afanno.

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