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Bernart de Ventadorn

Be m'an perdut lai enves Ventadorn Tutti i miei amici là, dalla parte di Ventadorn,
tuih mei amic, pois ma domna no m'ama; mi hanno perduto, perché la mia signora non mi ama;
et es be dreihz que ja mais lai no torn, ed è ben giusto che non vi ritorni giammai,
c'ades estai vas me salvatj' e grama. dato che è verso di me sempre crudele e cattiva.
Ve·us per que·m fai semblan irat e morn: 5 Ecco il motivo per cui mi mostra un aspetto sdegnoso e
car en s'amor me deleih e·m sojorn! duro:
Ni de ren als no·s rancura ni·s clama. trovo diletto e gioia nel suo amore!
D’altro non ha da dolersi e da lamentarsi.
Aissi co·l peis qui s'eslaiss' el cadorn
e no·n sap mot, tro que s'es pres en l'ama, Come il pesce che si slancia nella nassa
m'eslaissei eu vas trop amar un jorn, 10 e non ha sentore del pericolo, finché non è preso all'amo,
c'anc no·m gardei, tro fui en mei la flama, così mi slanciai un giorno verso il troppo amare
que m'art plus fort, no·m feira focs de forn; senza stare in guardia, finché non mi trovai nella fiamma
e ges per so no·m posc partir un dorn, che mi brucia più di un fuoco di forno;
aissi·m te pres d'amors e m'aliama. eppure non me ne posso allontanare un palmo,
tanto il suo amore mi tiene prigioniero e incatenato.
Peire d'Alvernha, Cantarai d’aqestz trobadors

E·l tertz Bernartz de Ventedorn,


q’es menre de Borneill un dorn,
en son paire ac bon sirven
per trair’ab arc manal d’alborn,
e sa maire escalfava·l forn
et amassava l’issermen.

Il terzo è Bernart de Ventadorn,


più basso un palmo di Bornelh;
suo padre fu un valente servitore
per lavorar con l’archetto d’avornello
e a sua madre faceva scaldare il forno
ammucchiandole i sarmenti
Dante, Paradiso, XX 73-78

Quale allodetta che ’n aere si spazia


prima cantando, e poi tace contenta
de l’ultima dolcezza che la sazia, 75

tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta


de l’etterno piacere, al cui disio
ciascuna cosa qual ell’ è diventa.
Bernart de Ventadorn, Can vei la lauzeta mover (BdT 70,43)

Can vei la lauzeta mover


de joi sas alas contra·l rai,
que s'oblid' e·s laissa chazer
per la doussor c'al cor li vai, 4
ai! tan grans enveya m'en ve
de cui qu'eu veya jauzion,
meravilhas ai, car desse
lo cor de dezirer no·m fon. 8

Ai, las! tan cuidava saber


d'amor, e tan petit en sai,
car eu d'amar no·m posc tener
celeis don ja pro non aurai. 12
Tout m'a mo cor, e tout m'a me,
e se mezeis e tot lo mon;
e can se·m tolc, no·m laisset re
mas dezirer e cor volon. 16

Anc non agui de me poder


ni no fui meus de l'or' en sai
que·m laisset en sos olhs vezer
en un miralh que mout me plai. 20
Miralhs, pus me mirei en te,
m'an mort li sospir de preon,
c'aissi·m perdei com perdet se
lo bels Narcisus en la fon. 24
De las domnas me dezesper;
ja mais en lor no·m fiarai;
c'aissi com las solh chaptener,
enaissi las deschaptenrai.
Pois vei c'una pro no m'en te 28
vas leis que·m destrui e·m cofon,
totas las dopt' e las mescre,
car be sai c'atretals se son. 32

D'aisso·s fa be femna parer


ma domna, per qu'e·lh o retrai ,
car no vol so c'om deu voler,
e so c'om li deveda, fai. 36
Chazutz sui en mala merce,
et ai be faih co·l fols en pon;
e no sai per que m'esdeve,
mas car trop puyei contra mon. 40

Merces es perduda, per ver,


et eu non o saubi anc mai,
car cilh qui plus en degr'aver,
no n'a ges, et on la querrai? 44
A! can mal sembla, qui la ve,
qued aquest chaitiu deziron
que ja ses leis non aura be,
laisse morrir, que no l'aon! 48
Pus ab midons no·m pot valer
precs ni merces ni·l dreihz qu'eu ai,
ni a leis no ven a plazer
qu'eu l'am, ja mais no·lh o dirai. 52
Aissi·m part de leis e·m recre;
mort m'a, e per mort li respon,
e vau m'en, pus ilh no·m rete,
chaitius, en issilh, no sai on. 56

Tristans, ges no n'auretz de me,


qu'eu m'en vau, chaitius, no sai on.
De chantar me gic e·m recre,
e de joi e d'amor m'escon. 60
Quando vedo l’allodola muovere
di gioia le ali contro il sole,
che si oblia e si lascia cadere
per la dolcezza che le discende nel cuore,
ai! Tanto grande invidia me ne viene
di chiunque io veda gioioso
che ho meraviglia, perché subito
il cuore non mi si strugge per il desiderio.

Ahimè! Tanto credevo di sapere


sull’amore, e tanto poco ne so!
Perché io non mi posso trattenere dall’amare
colei dalla quale non avrò vantaggio.
Tolto mi ha il cuore e tolto mi ha me stesso
e lei medesima e tutto il mondo;
e quando mi tolse sé, non mi lascio nulla
se non desiderio e cuore bramoso.
Mai più ebbi potere su di me
né fui mio dall’ora in cui
mi lasciò guardare nei suoi occhi
in uno specchio che molto mi piace.
Specchio, da quando mi guardai in te,
mi hanno ucciso i sospiri dal profondo,
che così mi persi come si perse
il bel Narciso nella fonte.

Nelle donne non ho più speranza!


Mai più di loro mi fiderò,
ché così come le solevo difendere,
allo stesso modo smetterò di farlo.
Poiché vedo che nessuna mi aiuta
contro colei che mi distrugge e mi sbaraglia,
tutte le temo e diffido di loro,
perché so bene che sono tutte uguali.
In questo si fa mostra ben femmina
la mia dama, per cui glielo rinfaccio:
perché non vuole ciò che si deve volere,
e ciò che le si vieta, lo fa.
Sono finito sotto un dominio negativo,
e ho ben fatto come il folle sul ponte;
e non so perché mi capita,
se non perché troppo volli salire in alto.
La pietà è perduta, davvero,
ed io non lo seppi mai,
poiché colei che più ne dovrebbe avere
non ne ha affatto; dove la cercherò?
Ah! Quanto sta male, per chi la vede,
che questo prigioniero infelice, desideroso,
che senza di lei non avrà bene,
lasci morire senza aiutarlo.
Dacché non mi possono valere con la mia signora
preghiere né pietà né il diritto che ho,
né a lei viene a piacere
che io la ami, non glielo dirò più.
Così mi allontano da lei e rinuncio;
mi ha ucciso e da morto le rispondo,
e me ne vado, poiché lei non mi trattiene,
misero, in esilio, non so dove.

Tristano, da me non avrete più nulla,


poiché me ne vado, misero, non so dove.
Smetto di cantare e rinuncio,
e sconfesso la gioia e l’amore.
chaitiu ‘misero, tapino, infelice’ < CAPTIVUM

Roman de la rose, 8265-66


s’est bien dreiz que chaitis se claime
vallez quant il pert ce qu’il aime,

‘è giusto che si dica infelice un giovane quando perde quel che ama’

Peire Cardenal
335©34©1 Le ssabers del segl’e foudatz,
335©34©2 Dieus dis o e trobam o legen,
335©34©3 etz ieu cre ben so dis veraiamen,
335©34©4 qu’ieu vei que·l rix es savis apellaz
335©34©5 e·l paures fols et es caitius clamaz;

Il sapere del mondo è follia; lo dice Dio e lo troviamo studiando (le Scritture); e sono certo che sia la verità,
perché vedo che il ricco è chiamato savio e il povero folle, ed è chiamato misero / infelice
Dante

Voi che savete ragionar d’Amore,


udite la ballata mia pietosa,
che parla d’una donna disdegnosa,
la qual m’ha tolto il cor per suo valore.

Tanto disdegna qualunque la mira, 5


che fa chinare gli occhi di paura,
però che intorno a’ suoi sempre si gira
d’ogni crudelitate una pintura;
ma dentro portan la dolze figura
ch’a l’anima gentil fa dir: "Merzede!", 10
sì vertuosa, che quando si vede,
trae li sospiri altrui fora del core.
Par ch’ella dica: "Io non sarò umile
verso d’alcun che ne li occhi mi guardi,
ch’io ci porto entro quel segnor gentile 15
che m’ha fatto sentir de li suoi dardi".
E certo i’ credo che così li guardi
per vederli per sé quando le piace,
a quella guisa retta donna face
quando si mira per volere onore. 20

Io non ispero che mai per pietate


degnasse di guardare un poco altrui,
così è fera donna in sua bieltate
questa che sente Amor negli occhi sui.
Ma quanto vuol nasconda e guardi lui, 25
ch’io non veggia talor tanta salute;
però che i miei disiri avran vertute
contra ’l disdegno che mi dà tremore.
voce Voi che savete ragionar d'Amore in Enciclopedia Dantesca (1970; di Mario Pazzaglia)

Voi che savete ragionar d'Amore. - Ballata grande (Rime LXXX), con ripresa di 4 versi (xyyx) e tre stanze di 8
(ababbccx), tutti endecasillabi, trasmessa da codici autorevoli, quale il Chigiano L VIII 305, e pubblicata nella
Giuntina del 1527; è posta dal Barbi, nell'edizione 1921, fra le " Rime allegoriche e dottrinali ".
Una citazione implicita di essa può essere ricavata dai vv. 73-76 di Amor che ne la mente mi ragiona (Canzon, e'
par che tu parli contraro / al dir d'una sorella che tu hai; / ché questa donna che tanto umil fai / ella la chiama
fera e disdegnosa), cui vanno aggiunti tre luoghi del commento in prosa del Convivio: III IX 1, dove D. afferma
che, prima di comporre la canzone, sembrandogli che la Donna gentile-Filosofia fosse divenuta fiera e superba
contro di lui, compose una ballatetta nella quale la chiamò orgogliosa e dispietata; III X 3, dove dice che secondo
questo sensuale giudicio parlò questa ballatetta; III XV 19, dove spiega più esplicitamente: è da sapere che dal
principio essa filosofia pareva a me, quanto da la parte del suo corpo, cioè sapienza, fiera, ché non mi
ridea, in quanto le sue persuasioni ancora non intendea; e disdegnosa, ché non mi volgea l'occhio, cioè
ch'io non potea vedere le sue dimostrazioni. Si tratta, dunque, di un testo allegorico, nel quale D. ha
inteso rappresentare le difficoltà incontrate nello studio della filosofia. Tale interpretazione appare
confermata soprattutto dall'immagine (vv. 15-19) della donna che mira i suoi occhi allo specchio, evidentemente
riconducibile al tema dell'anima filosofante, che non solamente contempla essa veritade, ma ancora contempla lo
suo contemplare medesimo e la bellezza di quello (Cv IV II 18) e riscontrabile inoltre con la rappresentazione di
Rachele in Pg XXVII 104-105 ma mia suora Rachel mai non si smaga / dal suo miraglio, e siede tutto giorno e
con l'iconografia coeva relativa alla raffigurazione della virtù della Prudenza.
Tema poetico della ballata è il difficile amore per una donna disdegnosa che porta Amore negli occhi, ma li nega
al poeta; la speranza è quella di vincerne il disdegno con l'ostinazione amorosa (però che i miei disiri avran
vertute / contra 'l disdegno che mi dà tremore, vv. 27-28). Immagini e stilemi richiamano inequivocabilmente
l'affabulazione stilnovistica: dall'incipit, che ricorda Donne ch'avete intelletto d'Amore, agli occhi intorno ai quali
sempre si gira / d'ogni crudelitate una pintura (vv. 6-7; cfr. Lasso! per forza di molti sospiri, v. 8), la paura (v. 6), i
sospiri (v. 12), e in genere tutta la liturgia gestuale del rapporto amoroso, intimamente avvivata da una ricerca
melodica ispirata a umiltà e soavità.
Bibl. - Contini, Rime 94-97; D.A., Le Rime, a c. di D. Mattalia, Torino 1943, 91-93; Dante's Lyric Poetry, a c. di
K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 170-173; Barbi - Pernicone, Rime 391-394. Cfr. la bibl. delle voci
DONNA GENTILE; Voi che 'ntendendo 'l terzo ciel movete.
Traduzione Chrétien
Di Amore, che mi ha tolto a me stesso, e con sé non mi vuole trattenere, io mi lamento in modo tale, che permetto che di me faccia eternamente ciò
che vuole. Ma non posso fare a meno di lamentarmene, e dico perché: perché vedo coloro che tradiscono Amore arrivare al compimento dei loro
desideri, mentre io, con la mia lealtà, non ci arrivo.

Se Amore, per esaltare la sua legge, vuole convertire i suoi nemici, credo che lo faccia a ragion veduta, perché non può venir meno ai suoi uomini. E io,
che non posso separarmi da colei cui sono sottommesso, le invio il mio cuore, che le appartiene. Ma credo di non renderle servigio, se le restituisco ciò
che le devo.

Madonna, ditemi se vi fa piacereche io sia vostro. Certo che no, se ben vi conosco, anzi vi pesa il fatto di avermi. E poiché non mi volete, io sono vostro
a vostro dispetto. Ma se mai di qualcuno dovete avere pietà, sopportatemi, perché io non so servire nessun’altra.

Non ho mai bevuto del filtro con cui Tristano fu intossicato; ma più di lui mi fanno amare cuore puro (perfetto) e retta volontà. Ben ne devo esser
rimeritato, perché non vi sono stato costretto da niente, se non che ho creduto ai miei occhi, attraverso i quali ho imboccato una strada dalla quale non
uscitò mai e dalla quale non sono mai tornato indietro.

Cuore, se la mia dama non ti ha caro, non per questo tu te ne allontanerai: sii sempre in sua balìa, dal momento che hai cominciato e continuato così. A
dar retta al mio parere, mai amerai l’abbondanza, e non ti perderai d’animo per la carestia; un bene ritardato si fa più dolce e, quanto più lo avrai
desiderato, tanto più ti sarà dolce, quando lo assaggerai.

Secondo me, avrei trovato pietà, se pietà esistesse al mondo, dove la cerco; ma so bene che non ce n’è. Tuttavia non sono pigro né poco solerte nel
supplicare la mia dolce signora: la prego e la riprego senza profitto, come fa colui che non sa servire o lusingare Amore per prendersene gioco.
Non chant per auzel ni per flor 1 Raimbaut d’Aurenga, BdT 389.32
ni per neu ni per gelada, 2
ni neis per freich ni per calor 3 per la traduzione: vedi file Carestiadigirol
ni per reverdir de prada; 4 attenzione: Di Girolamo dà un’interpretazione diversa
ni per nuill autr'esbaudimen 5 da quella di Lucia Lazzerini che vi ho esposto a
non chan ni non fui chantaire, 6 lezione. La traduzione però va bene
mas per midonz en cui m'enten, 7
car es del mon la bellaire. 8

Ar sui partitz de la pejor 9


c'anc fos vista ni trobada, 10
et am del mon la bellazor 11
dompna, e la plus prezada; 12
e farai ho al mieu viven: 13
que d'alres non sui amaire, 14
car ieu cre qu'ill a bon talen 15
ves mi, segon mon vejaire. 16

Ben aurai, dompna, grand honor 17


si ja de vos m'es jutgada 18
honranssa que sotz cobertor 19
vos tenga nud' embrassada; 20
car vos valetz las meillors cen! 21
Q'ieu non sui sobregabaire - 22
sol del pes ai mon cor gauzen 23
plus que s'era emperaire! 24
De midonz fatz dompn' e seignor 25
cals que sia·il destinada. 26
Car ieu begui de la amor 27
ja·us dei amar a celada. 28
Tristan, qan la·il det Yseus gen 29
e bela, no·n saup als faire; 30
et ieu am per aital coven 31
midonz, don no·m posc estraire. 32

Sobre totz aurai gran valor 33


s'aitals camisa m'es dada 34
cum Yseus det a l'amador, 35
que mais non era portada. 36
Tristan! Mout presetz gent presen: 37
d'aital sui eu enquistaire! 38
Si·l me dona cill cui m'enten, 39
no·us port enveja, bels fraire. 40
Vejatz, dompna, cum Dieus acor 41
dompna que d'amar s'agrada. 42
Q'Iseutz estet en gran paor, 43
puois fon breumens conseillada; 44
qu'il fetz a son marit crezen 45
c'anc hom que nasques de maire 46
non toques en lieis. - Mantenen 47
atrestal podetz vos faire! 48

Carestia, esgauzimen 49
m'aporta d'aicel repaire 50
on es midonz, qe·m ten gauzen 51
plus q'ieu eis non sai retraire. 52
(1) Bernartz de Ventadorn si fo de Limozin, del castel de Ventadorn. (2) Hom fo de paubra
generation, fills d’un sirven qu’era forniers, qu’escaudava lo forn a cozer lo pan del castel. (3)
Bels hom era et adregz e saup ben chantar e trobar, e venc cortes et enseingnatz. (4) E·l vescoms,
lo sieus seigner de Ventadorn, s’abelli mout de lui e de son trobar e de son chantar e fes li gran
honor.
(5) E·l vescons de Ventadorn si avia moiller bella e gaia e joven e gentils, (6) et abellic se
d’En Bernart e de las soas cansons et enamoret se de lui et el de lieis, si qu’el fetz sas chansos e
sos vers d’ella, de l’amor que avia ad ella e de la valor de leis.
(7) Lonc temps duret lor amors, anz qe·l vescoms ni las autras gens s’en aperceubes. (8) E
qand lo vescoms s’en aperceup, si s’estranjet de lui e fetz la moiller serar e gardar. (9) E la
dompna si fetz dar comjat a·N Bernart, qu’el se partis e se loingnes d’aquella encontrada.
(10) Et el si s’en parti et anet s’en a la duqessa de Normandia, q’era joves e de gran valor e
s’entendia en pretz et en honor et en bendich de lauzor. (11) E plasion li fort las chansos e·l vers
d’En Bernart, et ella lo receup e l’acuilli mout fort. (12) Lonc temps estet en sa cort, et enamoret
se d’ella et ella de lui, e fetz mantas bonas chansos d’ella. (13) Et estan ab ella, lo reis Henrics
d’Englaterra la tolc per moiller, e la trais de Normandia e menet la n en Englaterra.
(14) En Bernartz si remas de sai tristz e dolentz, e venc s’en al bon comte Raimon de Tolosa,
et ab el estet tro que·l coms mori. (15) Et En Bernartz, per aquella dolor, si s’en rendet a l’ordre
de Dalon, e lai el definet.
(16) Et ieu, N’Ucs de Saint Circ, de lui so qu’ieu ai escrit si me contet lo vescoms N’Ebles
de Ventadorn, que fo fils de la vescomtessa qu’En Bernartz amet.
Bernart de Ventadorn fu originario del Limosino, del castello di Ventadorn. Fu un uomo di
umili origini, figlio di un servo che faceva il fornaio e scaldava il forno per cuocere il pane del
castello. Bernart diventò un uomo bello, abile, cortese e colto, sapeva ben cantare e comporre.
Il suo signore, il visconte di Ventadorn, si compiacque molto di lui, del suo comporre e del
suo cantare, e gli fece grande onore. Il visconte aveva una moglie bella, giovane, nobile e gaia; lei
si compiacque molto di Bernart e delle sue canzoni e si innamorò di lui e lui di lei; così Bernart
fece le sue canzoni e i suoi vers su di lei, sull’amore che provava per lei e sul di lei valore.
La loro storia d’amore durò molto, prima che il visconte e l’altra gente se ne accorgessero.
Quando il visconte se ne accorse, si estraniò da lui e ordinò di rinchiudere e tenere sotto stretto
controllo la moglie. La dama congedò messer Bernart, mandandogli a dire che se ne andasse
lontano da quella regione.
Lui partì e se ne andò dalla duchessa di Normandia, che era giovane e di gran valore e che si
dedicava volentieri al pregio, all’onore e alle belle parole di lode. A lei piacevano molto le canzoni e i
vers di messer Bernart e lo accolse molto calorosamente. Bernart stette a lungo presso la sua corte, e
si innamorò di lei e lei di lui, e Bernart compose tante belle canzoni su di lei.
E mentre stava con lei, il re Enrico d’Inghilterra la prese in moglie, la portò via dalla Normandia
e la condusse in Inghilterra. Messer Bernart rimase da questa parte della Manica triste e addolorato, e
se ne andò dal valente conte Raimondo di Tolosa, restandoci fino a quando questi morì. E messer
Bernart, per quel dolore, si fece monaco presso l’ordine di Dalon e là morì.
E quello che io, messer Uc de Saint-Circ, ho scritto di lui me lo ha raccontato il visconte Eble
de Ventadorn, che era figlio della viscontessa che messer Bernart amò.

Le traduzioni delle ultime vidas fatte a lezione sono nella registrazione


In questa vida di Peire d’Alvernha viene citata proprio la canzone in cui prende in giro i trovatori presenti alla festa
e se stesso; ulteriore indizio che chi ha scritto la vida di Bernart de Ventadorn sapeva benissimo che la
discendenza dal fornaio era una fandonia
Vida di Peire d’Alvernia ms. B

1 Peire d’Alvernge si fo de l’evescat de Clarmon. 2 Savis hom fo e ben letratz, e fo fills


d’un borzes. 3 Bels et avinens fo de la persona. 4 E trobet ben e cantet ben, e fo lo
primiers bons trobaire que fo outra mon et aqel qui fetz los meillors sons de vers que anc
fosso faich, el vers que ditz: Deiosta·ls breus iorns e·ls loncs sers, qan la blanca aura
brunezis. 5 Cansson non fez neguna que non era adoncs neguns chantars apellatz
canssons, mas vers. 6 Mout fo honratz e grazitz per totz los valens homes e per totz los
valens barons e per totas las valens dompnas que adoncs eran, et era tengutz per lo meillor
trobador del mon entro qe venc Girautz de Borneill. 7 Mout se lauzava en sos chantars e
blasmava los autres trobadors, si q’el dis de si: «Peire d’Arvernge a tal votz q’el chanta de
sobre e de sotz, ab q’un pauc esclarzis sos motz, e·il so sunt doutz e plazen; e pois es
maestre de totz». 8 Longamen estet e visqet el mon ab la bona gen, segon qe·m dis lo
Dalfins d’Alvernge, en cui terra el nasqet. 9 E pois et el fetz penedenssa.
Vida dal ms. B

1 Girautz de Borneill fo de Lemozi, de l’encontrada d’Esiduoill, d’un ric castel del


vescomte de Lemotgas. 2 E fo hom de bas afar, mas savis hom fo de letras e de sen
natural. 3 E fo meiller trobaire que neguns d’aquels que eron estat denant lui ni que foron
apres; per qu’el fo apellatz maestre dels trobadors, et es ancaras per totz aquels que ben
entendion sotils ditz ni ben pausatz d’amor ni de sen. 4 Fort fon honratz per los valens
homes e per los entendens e per las bonas dompnas q’entendion los sieus amaestramens
de las soas chanssons. 5 E la soa maineira si era aitals que tot l’invern estava en escola et
aprendia letras, e tot l’estiu anava per cortz e menava .ij. chantadors que chantavont las
soas chansons. 6 Non volc mais moiller, mas tot so que gazaignava donava a sos paubres
parens et a la gleisa de la vila on el nasquet, la cals gleisa avia nom, et a ancaras, Saint
Gervasi.
Raembaut de Vaqeiras

Raembautz de Vaqeiras si fo fills d’un paubre cavallier de Proenssa, del castel de Vaqeiras,
que avia nom Peirobs, et era tengutz per fol. 2 En Raembautz si·s fetz ioglars et estet lonc
temps ab lo prince d’Aurenga, et el li fetz gran ben e gran honor, e l’enansset e·l fetz
conoisser e prezar a las bonas gens. 3 E venc s’en a Monferrat a meser lo marques
Bonifaci. 4 Et estet en sa cort lonc temps. 5 Et crec se de sen e d’arnes e de trobar. 6 Et
enamoret se de la seror del marques que avia nom ma dompna Biatritz, que fo moiller
d’En Haenric del Carret. 7 E trobet de lieis maintas bonas chanssons. 8 Et appellava la en
sas chanssons «Mos Bels Cavalliers». 9 E fo crezut q’ella li volgues gran ben per amor. 10 E
qand lo marques passet en Romania, et el lo menet ab si e fetz lo cavallier. 11 E donet li
gran terra e gran renda e·l regesme de Salonich. 12 E lai moric.

con Romania / Romenie si indicavano le terre appartenenti o appartenute all’imperatore di


Costantinopoli

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