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unità 1.

Sensori: generalità
e classificazioni

1.1 Generalità
® Un sensore è un dispositivo atto a rilevare il cambiamento di una condizione fisica e
convertirla in un segnale elettrico da usare nei circuiti di controllo.
Per cambiamento di una condizione ci si può riferire semplicemente alla presenza o
all’assenza di un oggetto (rilevamento discreto), oppure di una quantità misurabile
come una variazione di distanza, di peso o di colore (rilevamento analogico).
I sensori possono quindi dividersi in due gruppi fondamentali:
l a soglia, la cui uscita è di tipo ON/OFF (costituita, ad esempio, da un contatto NO o
NC): si verifica la commutazione dell’uscita da uno stato all’altro quando la grandez-
za fisica in ingresso supera un determinato valore impostato;
l di tipo continuo, che trasformano il valore in ingresso in un segnale elettrico (o
anche pneumatico), proporzionale al valore della grandezza stessa: questo secondo
tipo è usualmente individuato col termine trasduttore, mentre il termine sensore è
riservato solamente ai dispositivi del tipo ON/OFF.
Nota ®> I termini sensore e trasduttore non sono tuttavia univoci in quanto, nella letteratura tecnica,
si trovano anche terminologie differenti con il seguente significato: per sensore s’intende
un organo sensibile alle variazioni della grandezza considerata, mentre il trasduttore è l’ap-
parecchio completo comprendente, oltre il sensore, gli altri mezzi di condizionamento del
segnale.

1.2 Tecnologie di rilevamento


A seconda del modo di rilevamento dell’oggetto i sensori si possono suddividere in due
categorie:
l a contatto; l senza contatto;

I sensori a contatto sono dispositivi elettromeccanici che rilevano il cambiamento attra-


verso un contatto fisico diretto con l’oggetto e presentano le seguenti caratteristiche:
– normalmente non richiedono alimentazione elettrica;
– possono gestire correnti maggiori;
– sono praticamente insensibili ai disturbi delle linee di alimentazione;
– presentano una struttura semplice;
– consentono una diagnosi facile dei guasti o dei malfunzionamenti.
I sensori senza contatto sono dispositivi elettronici allo stato solido che creano un campo
o un fascio di energia o di luce e reagiscono a un disturbo del campo stesso; presentano
vantaggi e svantaggi (tab. 1.1).
TAB. 1.1 – Vantaggi e svantaggi dei sensori senza contatto.

Vantaggi Svantaggi
Non richiedono alcun contatto fisico con gli oggetti. Richiedono sempre una tensione di alimentazione.
Non hanno parti mobili soggette a inceppamento, usura
Il loro interfacciamento è più complesso.
o rottura (minore manutenzione).
La velocità di funzionamento (rilevamento) è netta- Sono più sensibili ai disturbi irradiati da altri
mente superiore ai primi. dispositivi.
Hanno maggiore flessibilità applicativa.

104 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


1.3 Specifiche e caratteristiche
I termini precisi associati alle caratteristiche dei sensori non sono in genere normalizzati;
tuttavia le specifiche sono accettate dall’intero settore. Con riferimento ai sensori senza
contatto le principali specifiche sono:
l distanza di rilevamento nominale: è la distanza operativa per cui un sensore è stato
progettato;
l isteresi: definita anche corsa differenziale, è la differenza fra i punti di attivazione e
disattivazione del sensore quando l’oggetto si allontana dalla sua faccia; è espressa
come percentuale della distanza di rilevamento;
l ripetibilità: è la caratteristica di un sensore di rilevare ogni volta il medesimo oggetto
alla stessa distanza; è espressa come percentuale della distanza di rilevamento nominale;
l tempo di risposta: è l’intervallo che intercorre fra il rilevamento di un oggetto e la
commutazione del dispositivo di uscita (ON-OFF oppure OFF-ON);
l frequenza di commutazione: è il numero di operazioni di commutazione per secon-
do ottenibili in condizioni standard.

1.4 Tipi di uscita


I sensori, a seconda del dispositivo utilizzato dall’uscita per fornire l’informazione, si
suddividono in due categorie:
l sensori con uscita elettromeccanica;
l sensori con uscita a stato solido.
Le uscite elettromeccaniche sono attuate da contatti di relè quindi isolate galvanica-
mente dall’alimentazione del sensore e possono commutare carichi in AC e in DC. La
corrente di dispersione (quando il sensore è in stato OFF) è assente e la corrente di
commutazione dei contatti è alta. I contatti di commutazione sono a funzionamento
meccanico e quindi soggetti a usura (vita utile di esercizio limitata). I tempi di risposta
sono di circa 15-25 ms; quindi superiori a quelli delle uscite a stato solido. Le uscite a
stato solido sono utilizzate nelle applicazioni che richiedono frequenti commutazioni
con basse tensioni e correnti. Le tipologie di uscita, a seconda del dispositivo attuatore
utilizzato, si classificano in:
l uscite a transistor NPN e PNP (figg. 1.1, 1.2):
hanno basse correnti di dispersione e corren-
ti di commutazione relativamente elevate
(100 mA); possono alimentare solo carichi in
DC e presentano elevate velocità di commu-
tazione;
l uscite a FET e MOSFET: essendo quasi nulla la
corrente di dispersione, l’uscita si comporta
Fig. 1.1 – Esempio di collegamento fra
alla stregua di un contatto elettromeccanico
un sensore con uscita NPN e un carico:
e quindi possono alimentare sia carichi in AC quest’ultimo deve essere collegato fra
che in DC. Per i FET la corrente di commuta- l’uscita del sensore e il collegamento 1
zione è paragonabile a quella dei transistor dell’alimentazione.
mentre i MOSFET possono commutare I 5
500 mA;
l uscite a TRIAC: l’uscita può alimentare solo
carichi in AC; presenta un’elevata corrente di
commutazione e di dispersione ma una bassa
caduta di tensione;
l uscite a BUS di rete: comprendono un chip
Fig. 1.2 – Esempio di collegamento fra
di interfaccia BUS/rete che ne consente l’ali- un sensore con uscita PNP e un carico:
mentazione e la commutazione su linee quest’ultimo è collegato fra l’uscita del sen-
comuni (BUS); ciò consente una notevole sore e il collegamento 2 dell’alimentazione.
riduzione dei cavi di collegamento.

Unità 1 Sensori: generalità e classificazioni 105


unità 2. Interruttori di posizione
meccanici

2.1 Generalità
Gli interruttori di posizione meccanici sono organi di
comando automatici, azionati da una parte in movi-
mento che, raggiunta una certa posizione, determina
un segnale elettrico.
Questi interruttori sono impiegati come verifica della
posizione di determinati organi di protezione (barrie- Fig. 2.1 – Segni grafici di finecorsa.
re, portelli, cancelli ecc.), o per il controllo esecutivo
di fasi cicliche con parti in movimento fornendo infor-
mazioni sulle loro posizioni iniziali, intermedie, fina-
li. In questo caso l’interruttore di posizione prende il
nome di finecorsa (fig. 2.1).
Sono costituiti da un corpo base contenente l’ele-
mento di contatto elettrico (NO-NC), che viene mosso
dall’azionatore al quale viene applicata la forza ester-
na; secondo la funzione che deve svolgere e dello spa-
zio cui è destinato, l’interruttore di posizione assume
differenti forme, le più importanti delle quali, sono
così definite: a) b)
l a leva e rotella (fig. 2.2a);
l ad asta rigida o flessibile (fig. 2.2b);
Fig. 2.2 –
l a pulsante o pistoncino (fig. 2.2c).
Tipologie
In particolare per il tipo a leva e rotella la direzione di di finecorsa
funzionamento, può essere cambiata ruotando oppor- (da catalogo
tunamente la piastrina sagomata sottostante la testina OMRON):
operatrice, in funzione del tipo di utilizzo. a) a leva e
rotella;
I dispositivi di finecorsa adottano un particolare
b) ad asta rigida
meccanismo di sicurezza contro l’incollamento dei con- o flessibile;
tatti o eventuali inconvenienti meccanici interni. c) a pulsante e
c)
pistoncino.

2.2 Caratteristiche operative dei finecorsa


Le caratteristiche operative di maggior rilievo dei finecorsa sono:
l la vita elettrica: è il numero minimo di operazioni effettuabili in condizioni di carico
e frequenza di commutazione normali;
l la vita meccanica: è il numero minimo di operazioni effettuabili in condizioni di fre-
quenza di commutazione meccanica normali;
l la forza di scatto: forza da applicare all’azionatore per provocare lo scatto;
l la corsa totale: è la distanza tra la posizione di riposo e quella di finecorsa dell’azionatore;
l l’oltrecorsa: è il tratto di corsa a disposizione dell’azionatore oltre il punto di scatto;
l il grado di protezione: è il “grado IP” cioè la resistenza alla penetrazione di particel-
le solide e di liquidi all’interno dell’involucro del finecorsa;
l l’isolamento: è l’indicazione del valore minimo di resistenza tra le parti elettriche
stesse e la massa.

106 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


2.4 Microinterruttori
Per ambienti puliti le molteplici richieste di interruttori di posizione non troppo ingom-
branti trovano soluzione nei microinterruttori di tipo base (fig. 2.7), in miniatura (fig. 2.8)
e subminiatura (fig. 2.9). I terminali dei contatti sono a vite o a saldare; alcuni tipi possono
venire inseriti direttamente su piastra stampata. La vita meccanica, in milioni di manovre,
è altissima (20-30 milioni).

Fig. 2.7 – Tipologie di microinterruttori base Fig. 2.8 – Tipologie di microinterruttori in minia-
(da catalogo OMRON). tura (da catalogo OMRON).

Fig. 2.9 – Tipologie di microinterruttori in sub-


miniatura con terminali adatti alla saldatura
su circuito stampato; notare il paragone con
la punta di una matita portamina (da catalogo
OMRON).

2.5 Interruttori angolari a mercurio


Gli interruttori angolari a mercurio si applicano
dove sono richieste particolari prestazioni tecniche.
Essenzialmente questi apparecchi offrono l’apertura o
chiusura del contatto elettrico avvalendosi della pro-
prietà del mercurio come materiale di contatto.
La manovra avviene infatti in contenitori in acciaio
inossidabile, ermeticamente sigillati, intrinsecamente
immuni da possibilità di rottura, corrosione e usura. In
commercio esistono due famiglie di interruttori: quelli
che stabiliscono (o interrompono) il contatto elettrico
per inclinazione oppure per ribaltamento. Fig. 2.10 – Tipologie di interrut-
Questi interruttori (fig. 2.10) possono operare in un tori angolari a mercurio (da cata-
campo di temperature da 235 a 155 °C e presentano logo DURAKOOL).
le seguenti caratteristiche:
l silenziosità della commutazione;
l nessuna generazione di archi o scintille durante la commutazione;
l nessuna possibilità di rimbalzi nella commutazione;
l piccolissima resistenza di contatto.

Unità 2 Interruttori di posizione meccanici 109


unità 3. Sensori di prossimità senza
contatto
Approfondimenti n I sensori di prossimità
n Facilità d’uso e versatilità: le parole chiave
dei moderni sensori a ultrasuoni

3.1 Sensori di prossimità di tipo induttivo


I sensori di prossimità di tipo induttivo sono costituiti da un circuito oscillante che gene-
ra un campo magnetico ad alta frequenza. Quando una massa metallica si avvicina
al sensore si generano in essa correnti parassite la cui circolazione richiede, all’oscil-
latore, una certa potenza che provoca una riduzione dell’ampiezza delle oscillazioni
(fig. 3.1). La riduzione delle oscillazioni al di sotto di un certo valore, determina l’inter-
vento del sensore; la rilevazione è ottenuta senza contatto fisico dell’oggetto da rile-
vare. La distanza di intervento dipende, per un certo sensore, dal metallo azionatore.
Questo sensore può essere usato esclusivamente nella rilevazione di oggetti metallici.

Fig. 3.1 – Schema a blocchi dei componenti di un sensore di prossimità induttivo (da manuale ALLEN-
BRADLEY).

I sensori induttivi (figg. 3.2 e 3.3) si dividono in due categorie:


l sensori non amplificati, costituiti dal solo circuito oscillatore, richiedono un’unità
separata di amplificazione; sono usati, ad esempio, nei luoghi con pericolo di esplo-
sione dove l’unità di amplificazione è montata esternamente all’area a rischio;
l sensori autoamplificati, nei quali è incorporato anche l’amplificatore.

Per evitare interferenze fra sensori adiacenti o con il corpo metallico su cui sono monta-
ti, sono disponibili sensori induttivi schermati; tali sensori sono costituiti con un anello di
schermatura intorno alla bobina e al nucleo di ferrite (fig. 3.4). Il campo elettromagnetico
viene così concentrato verso la faccia del sensore; nei sensori con corpo di alloggiamento
metallico è spesso quest’ultimo a fungere da schermo.
La struttura schermata consente il montaggio a filo con le parti metalliche adiacenti senza il
rischio di una falsa attivazione. I sensori di prossimità possono essere alimentati, a seconda
dei tipi, in AC o DC. L’uscita è in genere costituita da un transistor, disponibile in polarità
NPN e PNP (vedi Unità 1, par. 1.4).

a) b)
Fig. 3.2 – Sensori di prossimità di tipo induttivo:
a) cilindrici; Fig. 3.3 – Segno Fig. 3.4 – Struttura di un sensore
b) a parallelepipedo per lunghe distanze (da catalogo grafico di sensore induttivo schermato (da manuale
TELEMECANIQUE). di tipo induttivo. “ALLEN-BRADLEY).

110 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


3.2 Sensori di prossimità di tipo capacitivo
I sensori di tipo capacitivo (figg. 3.5 e 3.6) sfruttano la variazione di capacità parassita
che si verifica quando un oggetto si avvicina alla parte attiva del sensore. La variazione
di capacità provoca la modifica di frequenza delle oscillazioni che determinano l’inter-
vento del sensore. Questi sensori possono funzionare sia con materiali conduttori, sia
con materiali non conduttori; data quindi la loro flessibilità sono usati in molteplici casi
di rilevamento quali: carta, vetro, ceramica, plastica, legno ecc.; anche per questo tipo di
sensore il rilevamento è ottenuto senza contatto fisico del materiale da rilevare. L’uscita
è costituita da un transistor disponibile in polarità NPN e PNP.

Fig. 3.5 – Schema a blocchi


dei componenti di un senso-
re di prossimità capacitivo (da
manuale ALLEN-BRADLEY).
A 5 Elettrodi del sensore.
B 5 Elettrodi del compensatore
(sensori non schermati).

Fig. 3.6 – Segno grafico a bloc-


co di un sensore capacitivo.

3.3 Sensori a effetto Hall


I sensori di prossimità a effetto Hall sono basati sul seguente principio fisico: se in un
conduttore a forma di parallelepipedo immerso in un campo magnetico e a esso per-
pendicolare viene fatta passare una corrente elettrica, tra le facce del conduttore per-
pendicolari alla direzione della corrente si genera una d.d.p. (detta tensione di Hall).
Nella pratica il conduttore è costituito da una piastra metallica o di semiconduttore,
detta cella di Hall.
Frequentemente il sensore a effetto Hall è inserito in un contenitore di tipo a forcella:
su uno dei rami della forcella è posto il sensore mentre sull’altro è posto un magnete
permanente. Quando un oggetto costituito da materiale ferromagnetico transita tra
le forcelle, a causa della minore riluttanza, il campo magnetico si chiude nell’oggetto
stesso che quindi “scherma” la cella di Hall: conseguentemente si annulla la tensione
di Hall.
Usualmente l’uscita di tali sensori è costituita da un transistor NPN con funzione di
uscita tipo NC.

3.4 Ampolle reed


Le ampolle reed sono sensori di prossimità costituiti da una coppia di lamine metalliche
elastiche realizzate in materiale magnetico (ferro-nichel), racchiuse in un bulbo di vetro
riempito con un gas inerte.
Quando l’ampolla reed è interessata da un campo magnetico (generato da un magnete
permanente o da una bobina percorsa da corrente) per induzione magnetica si gene-
rano sulle due lamine polarità opposte e conseguentemente, si genera una forza di
attrazione tra le lamine stesse.

Unità 3 Sensori di prossimità senza contatto 111


Esercizi 2 Un sensore a ultrasuoni è impiegato per una
misura di livello in un serbatoio:
1 Scegliere il sensore più idoneo per controllare a) valutare il tempo di ritorno dell’eco sapendo che
la presenza in una certa posizione di un oggetto in la distanza D misurata è di 3 m e che la tempe-
gomma, in un’area con pericolo di esplosione per la ratura dell’aria (soprastante il livello da misurare,
presenza di vapori infiammabili; individuare la all’interno del serbatoio) è di 20 °C;
distanza di rilevamento del sensore.
b) i sensori a ultrasuoni sono normalmente dota-
Soluzione: dato il posizionamento del sensore ti di un circuito elettronico di compensazione
all’interno di una zona classificata dal punto di vista termica, in modo da compensare le variazioni
del pericolo di esplosione, ci si orienterà verso un di velocità dell’onda sonora conseguenti alle
sensore di prossimità che non richiede contatto variazioni di temperatura. Calcolare l’errore
fisico con l’oggetto da rilevare e privo di contatto percentuale da compensare nel caso descritto
elettrico di commutazione interno (stato solido). Il al punto a), se la temperatura dell’aria fosse di
sensore sarà alimentato tramite apposita “barriera” 0 °C.
(posizionata in zona sicura) in modo da limitare la
massima energia erogabile a valori inferiori a quelli
Soluzione:
necessari a innescare un’esplosione dell’atmosfera
esplosiva. Dal momento che l’oggetto da rilevare è a) La distanza D che il sensore deve misurare è
in gomma si adotterà un sensore di tipo capacitivo. legata al tempo tc impiegato dall’onda sonora
Per determinare la distanza di intervento (portata di per percorrerla (in andata e ritorno) dalla rela-
lavoro) St del sensore, occorre riferirsi a due dati for- zione:
niti dal costruttore: 1
' 5 Ys # Wc [1]
l la distanza nominale (portata nominale) d’inter- 2
vento Sn; dove vs è la velocità del suono nel mez-
l un coefficiente correttivo Fc che tiene conto del zo interposto (aria). Alla pressione di 1 at e
materiale con cui è realizzato l’oggetto da rile- 20 °C la velocità di propagazione del suono
vare. vale vs20 5 344 m/s. Applicando la [1] risolta
rispetto al tempo si ha:
Facendo riferimento a un sensore capacitivo commer-
ciale con distanza nominale d’intervento Sn 5 10 mm D 3
tc 5 2 # 52# 5 0,0174 5 17 ms
e tabella di correzione (tab. 1), osservato che per la vs20 344
gomma il coefficiente di correzione vale 0,3, si ottiene
la portata di lavoro: b) Alla temperatura di 0 °C la velocità del suono
diventa: s0 = 331 m/s
St 5 Sn # Fc 5 10 # 0,3 5 3 mm
Indicati, rispettivamente, con tc20 e tc0 i tempi di
TAB. 1 – Estratto da tabella dei coefficienti di cor- percorrenza dell’onda sonora a 20 °C e a 0 °C
rezione della distanza d’intervento per il si ha:
sensore dell’esempio. tc20 vd0 331
5 5 5 0,96 ms
tc0 vs20 344
Materiale Fc
Gomma 0,3 si ha quindi una variazione del 4% del tempo
di percorrenza; lo stesso errore percentuale, se
Acqua 1
non corretto, si ritrova nella misura della distan-
Sabbia (umida) 0,4 za.
Olio 0,2
Porcellana 0,5
Plexiglass 0,3

Unità 3 Sensori di prossimità senza contatto 113


unità 4. Interruttori fotoelettrici

4.1 Generalità
Gli interruttori fotoelettrici, usualmente denominati fotocellule, rappresentano uno dei
sistemi più diffusi di rilevamento di oggetti senza contatto; sono sempre costituiti da
una coppia di elementi:
l un emettitore di luce;
l un ricevitore che presenta una uscita di tipo NO o NC di tipo statico oppure elettro-
meccanico con o senza temporizzazione.
L’emettitore produce uno stretto fascio di luce che viene rilevato dal ricevitore; quando
un oggetto viene a trovarsi sulla traiettoria del raggio luminoso intercettandolo, si ha
la commutazione dello stato dell’uscita, distinta in due casi:
– per impulso buio: il ricevitore dà un segnale in uscita se il raggio viene interrotto;
– per impulso luce: il ricevitore dà un segnale in uscita se il raggio è incidente sul rice-
vitore.
Le applicazioni di questi dispositivi sono molteplici sia in campo civile (ad esempio, nei
cancelli automatici), sia in campo industriale (ad esempio, sulle macchine con compiti di
conteggio pezzi, rilevamento di oggetti, sorveglianza antinfortunistica ecc.). I parametri
fondamentali delle fotocellule sono:
l la lunghezza d’onda della luce emessa: si tratta di raggi infrarossi di lunghezza d’on-
da compresa tra 0,75 e 199 mm (per evitare possibili interferenze con la luce ambien-
te o altri sistemi di fotocellule, la luce viene emessa con una certa frequenza o, in
alcuni casi, polarizzata);
l la distanza di lavoro, ossia la distanza ammissibile tra emettitore e ricevitore (nel
caso unidirezionale), o tra complesso emettitore-ricevitore ed elemento rifrangente
(nel caso a riflessione);
l l’alimentazione, in DC, AC o multitensione (12-240 V) in DC o AC;
l il tipo di uscita, elettromeccanica, statica o analogica, e la relativa portata di corrente;
l il grado di protezione, che deve essere elevato (IP 65) per installazioni all’aperto (ad
esempio, cancelli automatici) e in ambienti industriali.

4.2 Tipologie di funzionamento


Si possono individuare tre fondamentali tipi di fotocellule (fig. 4.1):
l unidirezionale o a sbarramento: l’emettitore e il ricevitore sono due componenti
distinti, che possono anche essere notevolmente distanziati; importante per questa
soluzione è la collimazione o allineamento, che consiste nel far coincidere l’asse
principale del raggio di luce dell’emettitore con quello del ricevitore;
l a riflessione: l’emettitore e il ricevitore sono montati nella stessa custodia; il raggio
luminoso viene riflesso mediante una placca rifrangente;
l a tastatore (tasteggio o reflex): è simile al precedente, ma privo del dispositivo rifran-
gente; la riflessione è assicurata dall’oggetto intercettato (anche se opaco) ma solo
su distanze molto brevi; nella maggioranza dei casi il raggio viene riflesso angolar-
mente, secondo un certo angolo (tastatore angolare).
Esempi applicativi di fotocellule sono mostrati in figura 4.2.

114 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Fig. 4.1 – Fotocellule e loro modi di funzionamento; dall’alto al basso:
unidirezionale (a sbarramento), a riflessione, a tastatore angolare. Le
frecce indicano la direzione della luce incidente o riflessa (da fascicolo Fig. 4.2 - Esempi applicativi di fotocellule
tecnico SPRECHER1SCHUH ELESTA). (da fascicolo tecnico OMRON).

4.3 Barriere fotoelettriche


Se i dispositivi fotoelettrici sono impiegati “in batteria”, cioè uniti insieme formando
una barriera di rilevamento non più a fascio singolo ma a fascio multiplo, si parla di
“barriera immateriale fotoelettrica” impiegata in modo particolare nelle macchine
industriali per la protezione degli operatori.
La barriera provoca l’arresto della macchina quando l’intera persona o una parte di essa
attraversa l’area sensibile, tramite un’unità di controllo che provvede alla gestione del
sistema (fig. 4.3).

Fig. 4.3 – Principio di funzionamento di una barriera fotoelettrica (da catalogo FRER).

Unità 4 Interruttori fotoelettrici 115


4.4 Sensori a fibre ottiche
Un tipo particolare di sensore fotoelettrico è quello denominato a fibra ottica; esso è
costituito da un’anima (cuore) in vetro o plastica che ha la proprietà di trasmettere la
luce al suo interno lungo il proprio asse, anche a distanze elevate e con percorsi non ret-
tilinei. La fibra si comporta alla stregua di un conduttore di luce: al capo A del condut-
tore il segnale elettrico viene convertito in un segnale ottico, mentre al capo B avviene
il processo inverso. L’impulso ottico entrando nella fibra viene costantemente riflesso
con un’attenuazione minima fino all’estremità della stessa (fig. 4.4).
I sensori fotoelettrici a fibre ottiche sono particolarmente impiegati dove l’uso di altri
sensori sarebbe impossibile come, ad esempio, nella verifica dei fori ciechi, o in condi-
zioni di alte temperature (impiegando fibre con cuore di vetro), o nel rilevamento in
ambienti con atmosfere esplosive, o nella rilevazione di oggetti con dimensioni parti-
colarmente ridotte.

Fig. 4.4 – Principio di trasmissione della luce all’interno di una fibra ottica (da catalogo “Componenti
per Equipaggiamento Macchine” TELEMECANIQUE gruppo SCHNEIDER).

4.5 Fotointerruttori a forcella


Sono formati dall’abbinamento tra un diodo emettitore di luce (led) e un fototransistor
(fig. 4.5) e vengono utilizzati per rilevare e numerare le interruzioni dell’accoppiamento
ottico generate, ad esempio, dal passaggio delle fenditure praticate in un disco opaco
che ruota o in una barra che scorre.
Per mezzo di una oppurtuna elettronica, è possibile contare le fenditure (in modo asso-
luto o nell’unità di tempo), individuando lo spostamento e la velocità dell’oggetto in
movimento.

a) b)

Fig. 4.5 – a) Fotointerruttori a forcella (da catalogo OMRON);


b) schema circuito d’uscita tipo NPN.

116 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


unità 5. Altri tipi di sensori
Approfondimenti n Pulsante biometrico
n Tergicristallo intelligente
n Tabella riassuntiva dei vantaggi e svantaggi
dei principali tipi di sensori

5.1 Sensori per il controllo di livello


I sensori per il controllo di livello possono essere:
l a galleggiante: il livello raggiunto dal liquido determina lo spostamento del gal-
leggiante al quale è collegato meccanicamente un contatto ON-OFF; il segnale sarà
inviato successivamente alla logica di comando;
l conduttivo: sfruttano cioè la conduzione di un liquido conduttore, attuata attraverso
sonde (elettrodi) poste a varie altezze nel liquido, il cui abbassamento o innalzamen-
to determina la conduzione elettrica tra le stesse o tra queste e la parete del serba-
toio (se metallico). Il controllo del sistema fa capo a un regolatore che, rilevando la
resistività del liquido, determina di conseguenza un’uscita ON-OFF.
L’impiego dei sensori di livello, (segno grafico fig. 5.1), può essere:
l il mantenimento automatico del livello di un liquido in un serbatoio tra punti pre-
stabiliti;
l il controllo del livello di liquidi tra serbatoi
diversi;
l evitare la marcia a secco di una pompa pescante
in un pozzo; Fig. 5.1 – Segno grafico di
l funzioni di allarme. sensore di livello.

5.2 Sensori di pressione


L’interruttore di pressione o pressostato è particolar-
mente usato nei sistemi elettropneumatici, quando si a)
voglia trasformare segnali pneumatici a pressione tara-
bile in segnali elettrici (fig. 5.2). Quando la pressione del
fluido all’entrata del pressostato raggiunge il valore di
taratura, una membrana aziona un microinterruttore,
solitamente con contatto in scambio, che può essere
collegato in un circuito di controllo. In realtà le soglie
d’intervento sono due: una superiore che corrisponde
all’azionamento del contatto, una inferiore che corri-
sponde al suo rilascio, una volta che la pressione è tor-
nata al disotto del valore di taratura. Il punto di com-
mutazione è regolabile entro un determinato range di
valori fornito dalle ditte costruttrici.

Fig. 5.2 – Pressostato (da rivista COMPONENTI INDUSTRIALI).


a) segno grafico;
b) composizione: in alto il cappuccio in gomma; in basso il cor-
po con i terminali Faston e il dado filettato per l’avvitamento
sul contenitore in pressione, a destra sezione dell’apparecchio
completo. b)

Unità 5 Altri tipi di sensori 117


5.3 Rivelatori di fumo e incendio
Nelle fasi iniziali l’incendio è accompagnato da tre fenomeni fondamentali:
1. la produzione di fumo visibile;
2. la generazione di fiamma;
3. la generazione di calore.
Conseguentemente la rilevazione dell’incendio può essere effettuata con tre tipi di
sensore:
l di fumo;
l di fiamma;
l di calore.
I rivelatori di fumo possono essere di tipo ottico oppure a camera di ionizzazione: in quelli
ottici, molto usati, il fumo provoca la diffusione della luce emessa da un trasmettitore
fino a colpire un ricevitore, contenuto nel rivelatore stesso, che genera l’allarme; in quelli
a camera di ionizzazione il fumo rallenta un flusso di ioni emessi da una sorgente.
I rivelatori di fiamma si suddividono in due categorie:
l a raggi ultravioletti, adatti a rilevare incendi di metalli;
l a raggi infrarossi, idonei a rilevare fuochi di gas, liquidi combustibili e materiali orga-
nici combustibili.
I rivelatori di calore possono essere di tipo a soglia, nel qual caso intervengono quando
la temperatura supera un certo valore impostato, oppure del tipo velocimetrico cioè
sensibili alla velocità di variazione della temperatura. Solitamente si impiegano rivela-
tori di fumo di tipo ottico (adatti per fumi chiari), ricorrendo a rivelatori di calore per
gli ambienti dove esistono sorgenti di disturbo che potrebbero generare falsi allarmi
(come nel caso delle cucine).

5.4 Rivelatori di gas

Il tipo di gas può essere: il gas naturale (metano), il


gas di Craking, il GPL (Gas Petroliferi Liquefatti). Un
altro tipo di gas pericoloso, in quanto velenoso, che si
può formare negli ambienti a seguito di cattiva com-
bustione, è il monossido di carbonio.
La rilevazione gas ha lo scopo di generare un allarme
o sospendere automaticamente l’erogazione, in caso
nell’atmosfera sia presente una concentrazione signi-
ficativa di un determinato gas.
Il pericolo di esplosione si verifica quando la
concentrazione di gas presente è compresa tra un limi-
te inferiore (detto LIE 5 Limite Inferiore di Esplosività)
e un limite superiore (detto LSE 5 Limite Superiore di
Esplosività) (fig. 5.3).
La rilevazione è ottenuta mediante sensori di gas, che
devono essere adatti al tipo di gas impiegato (meta-
Fig. 5.3 – Comportamento fisico di
no, gas di Craking, GPL). I rivelatori sono costruiti in
una miscela gas-aria. Nella zona 3
la percentuale d’aria è insufficiente
modo da segnalare la presenza di concentrazioni mol-
ad alimentare il fenomeno esplo- to inferiori al LIE.
sivo. Nella zona 1 la percentuale I rivelatori sono controllati da centraline elettroniche
in volume di gas è insufficiente a che, oltre a generare allarmi di tipo ottico e sonoro
provocare un’esplosione. Solo la possono procedere, in caso di allarme, alla sospen-
zona 2 è interessata al fenomeno sione automatica dell’erogazione del gas, azionando
esplosivo. una elettrovalvola posta sulla tubazione gas.

118 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


5.5 Sensori vari
La panoramica dei sensori non contemplati in questa e nelle unità precedenti è vastissi-
ma; il questo contesto annoveriamo solo alcuni di essi:
l sensore (o pulsante) biometrico;
l sensore d’urto per airbag;
l sensore di pioggia per tergicristallo;
l sensore di accelerazione;
l sensore di solventi organici;
l sensori di ammoniaca;
l sensori di qualità dell’aria;
l sensore di spostamento.
Nella sezione digitale del corso è possibile consultare una tabella che illustra i principali
svantaggi e vantaggi di numerosi tipi di sensori.
Di questi sensori si ritiene importante proporre il principio di funzionamento di uno dei
più comuni.

Principio di funzionamento dell’airbag (fig. 5.4).


Nel caso di una collisione frontale, la decelerazione eccezionalmente violenta subita
dall’auto viene misurata da un apposito sensore d’urto, che spesso consiste in un acce-
lerometro MEMS realizzato in un singolo chip di silicio.
Il sensore comanda la chiusura di un contatto elettrico e l’emissione di una scarica che
va a innescare l’accensione di una piccola dose di propellente solido alloggiata in un’ap-
posita sede (ad esempio, al centro del volante).
L’accensione del propellente fa gonfiare di gas l’involucro dell’airbag, che fuoriesce
dalla sua sede a velocità molto elevata (oltre i 300 km/h) con il rischio di un impatto vio-
lentissimo sul corpo e il viso del conducente. La velocità di espansione va quindi ridotta,
dopo pochi centimetri di percorso, a valori più tollerabili, provocando la dispersione,
attraverso la foratura preventivamente applicata nell’involucro, del gas generato all’in-
terno.
Se i sensori sono più di uno, il sensore d’urto indicato nell’immagine, viene sostituito
da una centralina elettronica che raccoglie e coordina i segnali di tutti i sensori d’urto
a essa collegati.

Tipi di airbag
l Airbag frontale per il conducente (driver front airbag).

l Airbag frontale per il passeggero del sedile anteriore (front passenger airbag).

l Airbag frontali per gli occupanti dei sedili posteriori (rear seat airbag).

l Airbag laterali (side thorax airbag) per gli occupanti dei sedili anteriori ed eventual-
mente anche quelli dei sedili posteriori.
l Airbag a tendina (side countain airbag) per i sedili anteriori ed eventualmente anche
per quelli dei sedili posteriori.
l Airbag per i ginocchi del conducente (driver knee airbag).

Fig. 5.4 – Componenti di un airbag (da rivista AIET).

Unità 5 Altri tipi di sensori 119


unità 6. Trasduttori: caratteristiche
generali

6.1 Generalità
Nei sistemi retroazionati di controllo (vedi Parte 8, Unità 5), si utilizzano sul ramo di
retroazione i trasduttori, la cui funzione è di effettuare la misura di grandezze fisiche
quali temperatura, posizione, velocità, pressione ecc.

® Un trasduttore è un dispositivo che trasforma una grandezza fisica in entrata in un


segnale elettrico (tensione o corrente) oppure in un segnale pneumatico.

Il segnale ottenuto può essere poi trasmesso a distanza per venire manipolato dal siste-
ma che controlla il processo.
In molti casi il segnale elettrico, generato in uscita dal trasduttore, non è direttamente
utilizzabile (ad esempio, perché di valore troppo basso); occorrono allora dei dispositivi
detti condizionatori di segnale che modificano il segnale generato dal trasduttore.
Le grandezze fisiche da misurare hanno natura continua, nel senso che possono variare
con continuità tra un valore minimo e uno massimo; il segnale generato dal trasdut-
tore (ad esempio, una tensione elettrica) può invece essere continuo, ossia variare con
continuità tra un valore minimo e un valore massimo, oppure digitale, nel qual caso il
segnale elettrico generato è costituito da un valore numerico che rappresenta il valo-
re della grandezza fisica da misurare. Si possono conseguentemente avere trasduttori
analogici e trasduttori digitali.

6.2 Caratteristiche stazionarie dei trasduttori

Le caratteristiche funzionali stazionarie o statiche di un trasduttore descrivono il suo


comportamento nel caso che il tempo trascorso dall’ultima variazione della grandez-
za da misurare (segnale di ingresso) sia abbastanza grande da consentire un perfetto
assestamento della risposta (segnale di uscita) del trasduttore stesso; le caratteristiche
stazionarie sono fornite dal costruttore nel data sheet.
Un trasduttore ideale dovrebbe essere lineare: ciò significa che il legame tra il segnale
d’ingresso e il segnale d’uscita è di semplice proporzionalità: dovrebbe quindi essere
rappresentato graficamente da una retta.
Dunque, chiamando Y il segnale di uscita del trasduttore e U il suo ingresso, in un tra-
sduttore ideale, il legame tra ingresso e uscita (fig. 6.1) dovrebbe essere espresso dalla
relazione matematica:
Y 5 KU

Fig. 6.1 – Rappresentazione grafica della caratteristica di un


trasduttore lineare ideale. Y) Segnale d’ingresso; U) segnale
d’uscita.

120 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Nella realtà si possono avere scostamenti dal comportamento lineare; spesso tale linearità
è garantita solo se l’ingresso si mantiene all’interno di un determinato intervallo di valori.
Le principali caratteristiche statiche dei trasduttori sono:
l portata o campo di variazione dell’entrata (range del segnale d’ingresso): individua i
valori limite che può assumere il segnale d’ingresso; al di fuori di tali valori il trasduttore
può fornire prestazioni scadenti o addirittura potrebbe non resistere alle sollecitazioni;
l campo di variazione dell’uscita: individua la massima variazione del segnale d’uscita
generato dal trasduttore;
l guadagno o costante di trasduzione: individua la pendenza nominale K della retta
ideale del trasduttore;
l linearità: esprime la deviazione massima tra la retta ideale e la caratteristica reale del
trasduttore;
l offset: individua il valore dell’uscita generata dal trasduttore in corrispondenza di
ingresso nullo;
l risoluzione: rappresenta la più piccola variazione dell’ingresso che può essere rive-
lata dal trasduttore generando una variazione del segnale d’uscita. A volte la riso-
luzione è riferita alla sola grandezza d’uscita; in tal caso è espressa in forma percen-
tuale, ottenuta calcolando il rapporto tra la minima variazione d’uscita (DUmin) e il
valore del fondo scala (DUf.s.); in formula:
DUmin
risoluzione 5
DUf.s.
l sensibilità: rappresenta il rapporto tra la variazione della grandezza d’uscita e la
variazione di quella d’ingresso. Indicando con DI la variazione del segnale d’ingres-
so e con DU la corrispondente variazione del segnale d’uscita, la sensibilità S di un
trasduttore è definita dal rapporto:
DU
S5
DI
Un buon trasduttore è caratterizzato da una elevata sensibilità, in modo da poter
rilevare anche piccole variazioni della grandezza d’ingresso.

6.3 Caratteristiche funzionali dinamiche


Le caratteristiche dinamiche descrivono il comportamento di un trasduttore in corrispon-
denza di ingressi variabili nel tempo. Possono essere definiti i seguenti parametri dinamici:
l costante di tempo: indicata dalla lettera T rappresenta una misura del tempo di
risposta di un trasduttore a una variazione del segnale d’ingresso di tipo a gradino,
come rappresentato in figura 6.2; il segnale d’uscita del trasduttore si assesta dopo
un tempo pari a 5-6 volte T. La conoscenza della costante di tempo è essenziale per
poter giudicare se un trasduttore
è in grado di misurare grandezze
variabili nel tempo; se la veloci-
tà di variazione del segnale è più
veloce del tempo minimo di rispo-
sta del trasduttore (cioè 5-6 volte
T) il trasduttore non è in grado di
effettuare la misura del segnale
d’ingresso;
l banda passante: nel caso il segnale
d’ingresso vari in modo sinusoidale
il trasduttore è in grado di effet-
tuare la misura di segnali aventi un
valore di frequenza da zero sino a
un valore massimo f0: il valore f0 è Fig. 6.2 – Risposta al gradino e visualizzazione della
detto banda passante. costante di tempo T del trasduttore.

Unità 6 Trasduttori: caratteristiche generali 121


6.4 Segnali standard dei trasduttori
Si è detto precedentemente che il segnale deve essere quasi sempre manipolato mediante
un condizionatore di segnale. Questo apparecchio può essere visto come un dispositivo
che ha come ingresso il segnale proveniente dal trasduttore e che genera, in uscita, un
segnale condizionato destinato a essere trasportato e utilizzato nei circuiti di controllo.
Nel caso di segnali elettrici i condizionatori di segnale generano in uscita segnali stan-
dard, compresi tra valori fissati dalle norme; ad esempio, le norme americane ANSI e le
norme tedesche stabiliscono questi segnali standard in DC:
l segnale in tensione 0 4 5 V; l segnale in tensione 0 4 10 V;
l segnale in corrente 0 4 20 mA; l segnale in corrente 4 4 20 mA.

Ad esempio, nel caso di segnale in tensione 0 4 5 V il condizionatore genera in uscita


un segnale che, a seconda del valore misurato dal trasduttore, può assumere un valore
compreso tra 0 e 5 V. Per i trasduttori pneumatici i segnali sono costituiti da pressioni,
le cui unità di misura più usate sono:
l il bar 5 105 Pascal; l il psi (misura inglese) 5 0,069 bar.

Le pressioni standard sono (tab. 6.1):

TAB. 6.1 – Pressioni standard e loro classificazione.


Pressioni Classificazione
0 4 5 psi Bassa pressione , 1,5 bar
0 4 15 psi Pressione normale 1,5 4 16 bar
0 4 30 psi Alta pressione . 16 bar
3 4 15 psi
100 psi

Si osserva infine che i segnali elettrici prodotti dai condizionatori sono comunque molto
piccoli e non possono essere impiegati per pilotare direttamente dispositivi di potenza;
per questo motivo richiedono l’utilizzo di amplificatori. I segnali pneumatici sono invece
in grado di pilotare direttamente dispositivi di potenza, dal momento che le pressioni
in gioco consentono di trasmettere potenze elevate.
I trasduttori con segnale d’uscita standardizzato sono denominati dalla IEC trasmettitori.

6.5 Segni grafici dei principali tipi di trasduttori


Nella figura 6.3 sono riportati i principali segni grafici da impiegarsi per la rappresenta-
zione dei trasduttori nei disegni. I segni grafici sono conformi alla norma CEI Comitato
Tecnico 3.

Fig. 6.3 – Segni grafici dei principali tipi di trasduttori.

122 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Esercizi 150 °C; l’intervallo corrispondente di variazione del
segnale di uscita del trasduttore è pari a DU 5 5 2
1 Determinare la temperatura corrispondente a 0 5 5 V. La costante di trasduzione del complesso
una tensione di 3 V generata da un trasduttore di trasduttore e del circuito di condizionamento vale
temperatura con uscita (condizionata) 0 4 5 V e cam- pertanto:
po di variazione dell’entrata 2 20 4 180 °C.
DU 5
Soluzione: l’intervallo di temperatura (grandezza k5 5 5 0,033 V/°C
DI 150
d’ingresso) misurabile è pari a:
Alla temperatura di 50 °C (osservato che tale tempe-
DYmax 5 80 2 ( 2 20 ) 5 100 °C ratura corrisponde a 50 2 (230) 5 80 °C al di sopra
l’intervallo corrispondente di variazione del segnale del valore limite inferiore di misura) corrisponde la
di uscita del trasduttore è pari a: tensione:
DUmax 5 5 2 0 5 5 V U 5 0 1 80 # 0,033 5 2,64 V
La sensibilità del complesso trasduttore + circuito di
4 Un trasduttore di temperatura è impiegato per
condizionamento vale:
misurare temperature variabili nel range 220 °C 4
5
S5 5 0,05 V/°C 180 °C; il segnale del trasduttore è condizionato in
100 modo che a 20 °C corrisponda una tensione di 0 V e
Alla tensione di 3 V corrisponde la temperatura: a 180 °C corrisponda una tensione di 15 V; deter-
3 minare la temperatura corrispondente a una tensio-
u 5 2 20 1 5 2 20 1 60 5 1 40 °C
0,05 ne di 3 V.
Soluzione:
2 Calcolare la corrente corrispondente a uno
l’intervallo di temperatura (grandezza d’ingres-
spostamento di 25 mm generata da un trasduttore
so) misurabile è pari a DI 5 80 2 (220)5100 °C;
di posizione con uscita (condizionata) in corrente 4
l’intervallo corrispondente di variazione del
4 20 mA e campo di variazione dell’entrata 0 4 50
segnale d’uscita del trasduttore è pari a
mm.
DU 5 5 2 0 5 5 V.
Soluzione: l’intervallo della grandezza d’ingres- La sensibilità S del complesso trasduttore + circuito
so misurabile è pari a: di condizionamento vale pertanto:
DU 5
DY 5 50 2 0 5 50 V S5 5 5 0,05 V/°C
DI 100
l’intervallo corrispondente di variazione del segnale Alla tensione di 3 V corrisponde la temperatura:
di uscita del trasduttore è pari a: 3
2 20 1 5 2 20 1 60 5 1 40 °C
DU 5 20 2 4 5 16 mA 0,05
5 Un trasduttore di umidità di tipo capacitivo è
La sensibilità del complesso trasduttore + circuito di
impiegato per misurare l’umidità relativa UR%; lo
condizionamento vale:
strumento è in grado di misurare valori di umidità
DU 16 relativa compresi tra lo 0% e il 100%. Il trasduttore
s5 5 5 0,32 mA/mm
DY 50 presenta una caratteristica del tipo:
A uno spostamento di 25 mm corrisponde pertanto C 5 C0 1 A ? U
una corrente erogata dal condizionatore di segnale: Dove:
I 5 4 1 0,32 # 25 5 4 1 8 5 12 mA C 5 capacità del trasduttore;
C0 5 70 pF è la capacità riferita al valore UR 5 0%;
3 Un trasduttore di temperatura è impiegato per A 5 0,25 pF/°C;
misurare temperature variabili nel range 230 °C 4 U 5 Valore dell’umidità relativa misurata.
1120 °C; il segnale del trasduttore è condizionato in
Calcolare il valore della capacità in presenza di una
modo che a 230 °C corrisponda una tensione di 0 V e
umidità relativa del 60%.
a 1120 °C corrisponda una tensione di 15 V; determi-
nare la tensione generata in corrispondenza a una Soluzione: applicando l’equazione caratteristica
temperatura di 50 °C. del trasduttore in corrispondenza del valore 60% si
ottiene:
Soluzione: l’intervallo di temperatura (grandezza
d’ingresso) misurabile è pari a Dl 5 120 2 (230) 5 C (60%) 5 70 1 0,25 ? 60 5 85 pF

Unità 6 Trasduttori: caratteristiche generali 123


unità 7. Trasduttori di temperatura
Approfondimenti n I sensori di temperatura

7.1 Generalità
Il controllo della temperatura è di fondamentale importanza in moltissimi processi indu-
striali. Per la misura della temperatura sono disponibili diversi tipi di trasduttori, basati
su principi fisici differenti, nel seguito elencati:
l termoresistenze; l termocoppie;
l termistori; l trasduttori integrati.

7.2 Generalità sulle termoresistenze


Nelle termoresistenze, dette anche RTD (Resistence Tempe-
rature Detector) (fig. 7.1), si misura la temperatura misuran-
do il valore della resistenza di un conduttore. Come è noto
dall’elettrotecnica, la resistività di un conduttore metallico varia
al variare della temperatura, secondo una legge del tipo:
Fig. 7.1 – Termoresistenza (RTD) al platino r(u ) 5 r(0) # (1 1 a # u )
con inserto di misura Pt100 (da catalogo
DISTRELEC). Costruttivamente una termore- dove:
sistenza Pt100 è realizzata disponendo su un r(u) 5 resistività del materiale alla temperatura di 0 °C;
deposito di allumina una lamina di platino, u 5 temperatura raggiunta dal conduttore, espressa in °C;
procedendo alla sua taratura con l’utilizzo a 5 coefficiente di temperatura, valore caratteristico per
di raggio laser. ogni materiale.
All’aumentare della temperatura, il coefficiente a non si mantiene costante, ma solita-
mente decresce. Per realizzare termoresistenze precise occorre scegliere materiali nei
quali il coefficiente a sia il più possibile costante e che abbiano una buona lavorabilità;
si realizzano RTD in platino, nichel, tungsteno ecc. Tra le RTD più utilizzate si distinguo-
no (tab. 7.1):
TAB. 7.1 – Termoresistenze in commercio più utilizzate.

Termoresistenze al platino (fig. 7.1)


l Coefficiente di temperatura: apt 5 3,85 ? 1023 °C21;
l campo di impiego: 2220 4 1 850 °C;
l gli errori sono molto contenuti. Una Pt100 (termoresistenza al platino con R 5 100 V a 0 °C)
presenta una tolleranza a 0 °C di 6 0,1 V che corrisponde a 6 0,3 °C.
Termoresistenze al nichel
l Coefficiente di temperatura: ani 5 6,17 ? 1023 °C21;
l campo di impiego: 260 4 1150 °C;
l anche in questo caso gli errori sono molto contenuti. Una Ni100 (termoresistenza al
nichel con R 5 100 V a 0 °C) presenta una tolleranza a 0 °C di 6 0,1 V che corrisponde
a 6 0,2 °C.
Le RTD sono normalmente inserite in un apposito involucro che protegge l’elemento
sensibile. Questo involucro può avere forme differenti e presentare diversi tipi di fissag-
gio; nelle RTD per impiego industriale, le custodie protettive rendono idoneo il trasdut-
tore all’impiego in condizioni ambientali gravose.

124 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


7.3 Collegamento e misura delle termoresistenze
La generazione di un segnale standard di tensione richiede la circolazione nella RTD di
una corrente costante. La misura della resistenza può essere effettuata col metodo vol-
tamperometrico; per non includere nella misura la resistenza dei conduttori di collega-
mento le Pt100 sono dotate spesso di quattro morsetti: a due morsetti viene collegato il
generatore di corrente costante mentre dagli altri viene prelevata la caduta di tensione
(proporzionale alla temperatura) (fig. 7.2).

Fig. 7.2 – Schema di principio di condi-


zionatore di segnale per termoresistenza
Pt100.

La misura della resistenza può essere effettuata anche mediante


un ponte di Wheatstone (connessione a tre fili, figg. 7.3 e 7.4). In
questa configurazione gli effetti termici dovuti all’autoriscalda-
mento dei conduttori A e B si compensano trovandosi su due lati
consecutivi del ponte di misura. Il ponte deve essere tarato in
modo che a 0 °C la tensione di squilibrio U1 del ponte sia nulla.
All’aumentare o al diminuire della temperatura la tensione di
squilibrio U1 del ponte risulta proporzionale alla temperatura da
trasdurre. La tensione U1 risulta in ogni caso molto piccola (dell’or-
dine di 0,1 V) e pertanto deve essere adeguatamente amplificata. Fig. 7.3 – Schema di
Il valore della corrente che viene fatta circolare nella termoresi- misura della termore-
sistenza con ponte di
stenza è scelto con molta attenzione. Infatti se la corrente è eleva-
Wheatstone.
ta l’effetto Joule falsa la misura; se, al contrario, è troppo piccola
i bassi valori del segnale di tensione risultano molto sensibili ai
disturbi. I valori tipici della corrente circolante per la misura sono
dell’ordine dei milliampere (2 4 10 mA).
La termoresistenza è collegata all’esterno tramite cavo scherma-
to (utilizzando cavi con isolamento in gomma siliconica e fibra Fig. 7.4 – Segno grafi-
di vetro, resistente alle alte temperature) per avere adeguata co di termoresistenza a
immunità ai disturbi. tre fili con terminali.

7.4 Termocoppie
Le termocoppie (figg. 7.5 e 7.6) sono trasduttori di temperatura il cui principio di fun-
zionamento è basato sull’effetto Seebeck-Peltier o effetto termoelettrico: in una coppia
di materiali differenti, saldati a una estremità (giunto caldo), si manifesta tra le estremi-
tà libere (giunto freddo) una differenza di potenziale.

Fig. 7.6 – Segno grafico di termo-


Fig. 7.5 – Termocoppie (ditta ISEOCAVI). coppia con terminali.

Unità 7 Trasduttori di temperatura 125


La d.d.p. generata dipende dai materiali a contatto e dalla temperatura a cui si trova la
giunzione. Dette uC e uF rispettivamente le temperature del giunto caldo e freddo, si ha:
U() 5 a # ( u * 2 u - )
dove a, detto coefficiente di Seebeck, è espresso in mV/°C e il suo valore dipende dal
tipo di termocoppia impiegato. L’andamento della caratteristica delle termocoppie non
è lineare a causa della dipendenza di a dalla temperatura.
Al fine di poter effettuare una misura assoluta di temperatura il giunto freddo del-
la termocoppia andrà mantenuto a una temperatura nota e rigorosamente costante
mentre il giunto caldo verrà sottoposto alla temperatura da misurare; ciò comporta
complicazioni pratiche: per evitarle il giunto freddo è posto a temperatura ambiente e
compensato, mediante circuiti elettronici (compensazione hardware) oppure, nel caso
di uso di PC per l’acquisizione dati, con appositi programmi (compensazione software).
Quest’ultima tiene conto anche dell’errore di non linearità.
Nota ®> A temperature prossime a quella ambiente la tensione d’uscita di questi trasduttori assume
valori molto piccoli (qualche decina di millivolt) per cui il condizionatore di segnale dovrà
impiegare circuiti amplificatori con soluzioni particolari.
La termocoppia generando autonomamente una tensione (dispositivo attivo) non pone
i problemi di autoriscaldamento tipici dei dispositivi come le termoresistenze.
Sono prodotti vari tipi di termocoppie che si differenziano per i materiali costituenti la
giunzione e contraddistinti, in base alle norme IEC, da una lettera (B, E, J, K, R, S, T ecc.)
(tab. 7.2).

TAB. 7.2 – Tipi di termocoppie e relative caratteristiche.

Tipo di termocoppia Simbolo Campo d’impiego °C a 5 mV/°C a 0 °C


Platino (Rh 13%) –
B 0 4 1 1820 5,96 (a 600 °C)
Platino (Rh 6%)
Cromel – Costantana E 0 4 1 871 65
Ferro – Costantana J 0 4 1 760 50
Cromel – Alumel K 0 4 1 1260 40
Platino – Rodio 13%Pt R 0 4 1 1482 10
Platino – Rodio 10%Pt S 0 4 1 1482 9
Rame – Costantana T 2 184 4 1 370 40

7.5 Termistori
Il principio di funzionamento dei termistori è basato, come già visto anche nel caso delle
RTD, sulla variazione della resistenza elettrica determinata dalla variazione di tempe-
ratura. I termistori sono costituiti da materiali semicondut-
tori: si realizzano termistori PTC (Positive Temperature
Coefficient), che utilizzano il silicio come semiconduttore,
a) oppure termistori NTC (Negative Temperature Coefficient)
che utilizzano ossidi sinterizzati (fig. 7.7).
Nei termistori tipo PTC la resistenza alle basse temperature ha
un valore pressoché costante mentre al di sopra di una tem-
peratura Tr (valori tipici 80 °C o 120 °C) la resistenza aumenta
velocemente all’aumentare della temperatura; il tipico range
b) per questi trasduttori è compreso tra 255 e 1220 °C.
Fig. 7.7 – a) Segni grafici di Nei termistori tipo NTC, al contrario di quanto avviene nei
termistori; PTC, la resistenza diminuisce all’aumentare della tempera-
b) termistori PTC e NTC (da tura; il tipico range di impiego per questi trasduttori della
catalogo RS). temperatura stessa, è compreso tra 280 °C e 1150 °C.

126 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Approfondimento
I termistori possono essere utilizzati, ad esempio, come protezione di macchine contro le
sovratemperature, posizionati all’interno dell’apparecchio da proteggere (fig. 7.8).
Quando si raggiunge la temperatura nominale di funzionamento delle sonde si ha una
brusca variazione della resistenza che viene convertita in una funzione di commutazione
utilizzabile per comandare la disinserzione del carico e fornire un segna le di allarme.
Anche nel caso dei termistori occorrono circuiti di alimentazione con conseguenti effetti
di autoriscaldamento del trasduttore.
Il segnale di commutazione può essere quindi trasmesso a un circuito esterno, ma può
tuttavia rimanere all’interno del termistore che quindi funziona come un fusibile autori-
pristinabile; è il caso dei “Poly Switch”, che proteggono senza circuiti esterni vari apparati,
interrompendo momentaneamente un circuito e ripristinandosi automaticamente.
Nell’impiego descritto il termistore è alimentato dalla stessa corrente del circuito di potenza
e rimane bloccato nel suo stato di scatto, in caso di sovraccarico, fino a che il circuito protet-
to resta alimentato e si ripristinerà in modo automatico, una volta rimossa la potenza nel
circuito, quando la temperatura interna del PTC scenderà al disotto di quella relativa alla
soglia di scatto.
Quando il guasto viene eliminato e di nuovo è fornita potenza al circuito, la resistenza del
PTC è bassa e il circuito protetto opera in modo normale.
Data la loro disponibilità nelle più svariate forme e dimensioni esterne contenute, i Poly
Switch sono impiegati in vari settori alcuni dei quali di seguito elencati:
l motori elettrici in DC e universali;
l apparecchi per telecomunicazioni;
l personal computer;
l phon.

Fig. 7.8 – Circuito di rilevamento temperatura all’interno dell’avvolgimento di un M.A.T. median-


te sonde a termistore (una per ogni avvolgimento) (da catalogo TELEMECANIQUE).

Una caratteristica positiva dei termistori è la sensibilità, che risulta molto maggiore di
quella delle termocoppie e delle RTD.
Questo fatto consente di non utilizzare ponti di misura, semplificando i circuiti elettro-
nici e garantendo una elevata immunità.

® Esempio 7.1
In un tipico termistore con R0 5 5000 V a 125 °C una variazione di un grado della temperatura
comporta una variazione di R 5 200 V.
Si tratta di una variazione molto grande di R, facilmente misurabile.
Un eventuale errore di misura di 20 V comporterebbe un errore di valutazione della
20
temperatura pari a Dq 5 5 0,1 °C , molto piccolo in termini assoluti.
200

Unità 7 Trasduttori di temperatura 127


7.6 Trasduttori integrati
I semiconduttori, e in particolare le giunzioni P-N e i transistori, variano il loro compor-
tamento con la temperatura. In particolare la tensione base-emettitore UBE di un transi-
store bipolare dipende dalla temperatura assoluta q (in kelvin) secondo la relazione:
Ku # IC
UBE 5 ln
q ISAT
dove:
k 5 1,38 ? 10223 J/K (costante di Boltzmann);
q 5 1,6 ? 10219 C (carica dell’elettrone);
IC 5 corrente di collettore;
ISAT 5 corrente di saturazione;
ln 5 logaritmo naturale.
Esistono due tipi di dispositivi: con uscita in tensione oppure in corrente (fig. 7.9). I primi
hanno sensibilità dell’ordine 10 mV/K; i secondi hanno sensibilità dell’ordine di pochi
mA/K; entrambi necessitano di una tensione di alimentazione. Ad esempio, un trasdut-
tore molto utilizzato è l’integrato AD590 prodotto dalla ANALOG DEVICE che genera
una corrente proporzionale alla temperatura (espressa in °K); si tratta di un dispositivo
a due morsetti in grado di generare una corrente di 4 mA/°K. Altri trasduttori diffusa-
mente impiegati sono gli integrati designati dalle sigle LM35, 590kH.
Il campo di misura dei tipi più diffusi si estende da 255 °C a 1150 °C, ed è quindi relati-
vamente limitato. Il circuito integrato può includere anche il convertitore AD per gene-
rare direttamente segnali digitali. Si tratta di circuiti integrati che presentano numerosi
vantaggi in termini di linearità, precisione, affidabilità, bassa dissipazione di potenza e
dimensioni.

Fig. 7.9 – Esempi di trasduttori integrati


tra i più utilizzati:
a) b) a) LM35;
b) AD590 (da catalogo RS).

Il trasduttore integrato AD 590


Questo integrato utilizza la dipendenza dalla temperatura di una giunzione PN e la
struttura interna comprende un sistema di compensazione che realizza un legame linea-
re del tipo: iT 5 k ? T ove la temperatura T è
espressa in kelvin e la costante k ha valore:
mA
k51 c d
K
In figura 7.10 è riportato il circuito di condizio-
namento e polarizzazione, rappresentato da
un convertitore corrente-tensione con polariz-
zazione adeguata a ottenere il valore uo 5 0
in corrispondenza della temperatura assunta
come riferimento.
Nel circuito di figura 7.10 si realizza la conver-
sione tra la corrente iT nel trasduttore AD590 e
la tensione d’uscita uo secondo la relazione:

uo 5 R # aiT 2 b
UR Fig. 7.10 – Circuito di polarizzazione e
R1 condizionamento dell’integrato AD590.

128 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Esercizi 4 Il trasduttore AD590, prodotto dalla ANALOG
DEVICE, genera una corrente proporzionale alla tempe-
1 Una termoresistenza PT 100 presenta una resi- ratura (espressa in K); si tratta di un dispositivo a due
stenza di 180 V; determinare la temperatura misura-
morsetti con sensibilità 4 mA/K. A 30 °C. Qual è il valore
ta.
di corrente generata in uscita?
Soluzione: si tratta di una termoresistenza al
Soluzione:
platino che presenta a 0 °C una resistenza di 100 V
ed è caratterizzata da un coefficiente di temperatu- I 5 ( 273 1 30 ) # 4 5 1212 mA
ra a 5 3,85 ? 1023 °C. Per risalire alla temperatura
misurata occorre ricordare che la variazione della
5 Il trasduttore LM 35 genera una tensione pro-
resistenza segue la stessa legge della variazione porzionale alla temperatura (espressa in °C); si tratta
della resistività; pertanto: di un dispositivo a due morsetti con sensibilità 10
mV/°C e che a 0 °C presenta una tensione di 0V. Se
R(u ) 5 R(0) # (1 1 a # u )
il dispositivo genera una tensione di 0,96 V, quale
dove, nel caso in oggetto: temperatura sta misurando?
l R(u) 5 180 V
l R(0) 5 100 V
Soluzione:
0,96
l u 5 temperatura misurata TM 5 5 96 °C
0,01
Risolvendo la formula sopra riportata rispetto a u si
ottiene: 6 Si vuole dimensionare il sistema di condiziona-
mento e polarizzazione di un integrato di temperatura
R(u ) 2 R(0) 180 2 100
u5 5 5 207,8 °C AD 590 mediante lo schema di figura 7.10 affinché
R(0) # a 100 # 3,85 # 10 23 rilevi variazioni di temperatura nell’intervallo 20-80 °C,
2 Calcolare la resistenza R di una termoresisten- fornendo in corrispondenza una tensione uo che varia
za PT 100 alla temperatura di 130 °C. tra 0 e 6 V. Le tensioni di alimentazione siano |UR| 5
Soluzione: come si è detto il platino presenta un
|UCC| 5 12 V.
coefficiente di temperatura a 5 3,85 ? 1023 °C; la sua Soluzione: ricordando che la relazione iT 5 k ? T
con k 5 1 c d vale se la temperatura è espres-
mA
resistenza pertanto vale:
R(130) 5 R(0) ? (1 1 a ? 130) 5 K
5 100 ? (1 1 3,85 ? 1023 ? 130) 5 150,05 V sa in kelvin, ove: 0°C 5 273 K, il campo di temperature
da rilevare va da 293 K (corrispondente a 20°C) a 353
3 Una termocoppia tipo J (con la caratteristica K (corrispondente a 80°C), occorre che uo 5 0 quando
nell’intervallo 0-200 °C riportata in tab. 1) è utilizzata per iT 5 k ? T 5 293 mA. Il dispositivo di condizionamento
misurare la temperatura di un forno. Il giunto freddo è è un convertitore corrente-tensione ad amplificatore
compensato in modo da poterlo considerare a 0 °C. A operazionale, in cui si verifica la relazione: uo 5 2 Ii ? R;
un certo istante si misura una tensione di 5,83 V. Qual è alla condizione uo 5 0, corrisponde quindi
la temperatura misurata? ii 5 0 ovvero, nel nodo A deve risultare iR1 5 iT.
Tab. 1 – Tensioni generate da una termocoppia J Ma per la proprietà fondamentale degli amplifi-
nell’intervallo 0-200 °C. catori operazionali, il punto A è a potenziale di
UR
Temperatura [°C] f.e.m. [V] massa (virtuale) quindi: iT 5 iR1 5 5 293 mA .
0 0,00 R1
Da questa relazione si ricava:
20 1,02
40 2,06 UR 12
60 3,11
R1 5 5 < 41 kV .
iT 293 # 10 26
80 4,19
100 5,27 Per determinare il valore della resistenza R si
120 6,36 fa riferimento alla condizione di fondo sca-
140 7,45 la, ovvero in corrispondenza del massimo valo-
160 8,56 re di temperatura, per cui è iT 5 k ? T 5 353 mA;
180 9,67
in questo caso occorre che risulti uo 5 6 V, ma
200 10,80
dalla relazione uo 5 R # aiT 2 b sostituendo i
UR
Soluzione: osservando la tab. 7.3 si nota che la
R1
temperatura misurata TM è compresa tra 100 °C e valori noti, si ricava:

6 5 R # a353 # 10 26 2 b
120 °C. Ipotizzando che in tale intervallo il compor- 12
tamento sia lineare, si può scrivere: 41 # 103
120 2 100 # da cui si ottiene R 5 100 kV.
TM 5 1001 ( 5,8325,27 ) 5110,27 °C
6,36 2 5,27

Unità 7 Trasduttori di temperatura 129


unità 8. Trasduttori di posizione
Approfondimenti n La posizione si controlla girando

8.1 Generalità
I trasduttori di posizione hanno moltissime applicazioni dovunque vi siano problemi di
movimentazione, come ad esempio, nelle macchine utensili e nei robot; possono infatti
misurare rotazioni (trasduttori di tipo angolare) oppure spostamenti lineari (trasduttori
di tipo lineare).
I principali trasduttori di posizione sono:
l i potenziometri;
l gli encoder (incrementali e assoluti);
l i syncro;
l i resolver;
l i trasformatori differenziali.

8.2 I potenziometri
Nel potenziometro la misura della posizione è ricavata dalla misura della resistenza
di un resistore variabile composto da una pista o striscia conduttrice e da un contatto
scorrevole solidale con l’elemento di cui si vuole misurare lo spostamento (fig. 8.1a).
Qualunque spostamento del contatto mobile si traduce in una variazione del valore
della resistenza. Si tratta evidentemente di un trasduttore di tipo analogico.
Nota ®> La striscia conduttrice è formata da un elemento resistivo in plastica (Thick Film Resistive
Track, cioè traccia resistiva a pellicola spessa), montata su un supporto di ceramica.

Il potenziometro è poi inserito in un circuito alimentato da una sorgente di tensione


costante Ui, in modo che ogni variazione della posizione si traduce in una variazione
della tensione erogata Uu.
I potenziometri possono essere di tipo lineare o rettilineo oppure angolari o rotativi
(fig. 8.1b); nel primo caso misurano spostamenti lineari, nel secondo caso spostamenti
angolari; a loro volta i potenziometri di tipo angolare si distinguono in monogiro e
multigiro.
Nei primi la rotazione ammissibile è limitata a un solo giro (teoricamente 360°, pratica-
mente 300° - 340°); viceversa, nei potenziometri multigiro è ammessa una rotazione di
più giri (ad esempio dieci).
Nel caso di potenziometro lineare, se i morsetti dello
stesso sono collegati a un carico di resistenza infinita
(cioè nel caso non si abbia erogazione di corrente come
in un circuito aperto), la tensione di uscita è data dalla
formula:
X#
Uu 5 Ui
I
dove:
a) b) Uu5 tensione di uscita, ai morsetti del potenziometro;
Fig. 8.1 – a) Schema elettrico di potenziometro; X 5 spostamento lineare;
b) potenziometri rettilinei e rotativi l 5 massima escursione del potenziometro;
(da catalogo RS). Ui 5 tensione di alimentazione del potenziometro.

130 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


8.3 Parametri caratteristici dei potenziometri
I principali parametri caratteristici dei potenziometri che devono essere tenuti presenti
per la scelta e l’impiego, sono i seguenti:
l resistenza in ohm: rappresenta la resistenza complessiva del potenziometro (può
variare da pochi ohm sino al megaohm);
l potenza dissipabile: rappresenta la potenza che il trasduttore può dissipare senza
danneggiarsi;
l risoluzione: è il minimo spostamento apprezzabile, cioè in grado di determinare una
variazione della tensione di uscita;
l sensibilità: è la variazione di tensione determinata da uno spostamento unitario del
cursore; la sensibilità è tanto più elevata quanto è maggiore la tensione di alimenta-
zione Ui (il cui limite massimo è imposto dalla massima potenza dissipabile);
l intervallo di temperatura: rappresenta l’intervallo di temperatura ambiente all’inter-
no del quale il trasduttore può funzionare correttamente.

8.4 Encoder
Gli encoder sono dei trasduttori di posizione angolare di tipo digitale, nei quali la rota-
zione genera una serie d’impulsi. Sono disponibili due tipi di encoder:
l incrementali;
l assoluti.

Gli encoder incrementali (fig. 8.4) generano una serie d’impulsi solo quando sono posti
in rotazione (fig. 8.5). Essi sono costituiti da un disco di materiale opaco sul quale sono
ricavate una o due serie concentriche di finestre trasparenti a intervalli angolari costan-
ti; può inoltre essere presente una finestra più interna rispetto alle precedenti.

Fig. 8.4 – Tipologie di encoder


incrementali (GIVI MISURE).

Fig. 8.5 – Principio di funziona-


mento dell’encoder incremen-
tale (notare la terza finestra
per “impulso zero”). Le finestre
sono dislocate su tutta l’area del
cerchio.

132 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


8.5 Parametri caratteristici degli encoder incrementali
Gli encoder incrementali sono caratterizzati da una serie di parametri la cui conoscenza
è importante per effettuarne una scelta corretta. I parametri fondamentali sono:
l risoluzione (espressa in impulsi/giro): individua il numero di impulsi generati dall’en-
coder in corrispondenza di un giro completo dell’albero;
l sfasamento delle uscite (espresso in gradi): nel caso di encoder bidirezionali (quindi
con due canali A e B) indica lo sfasamento tra i segnali generati sui due canali;
l numero impulsi di risposta (espresso in kHz): rappresenta il numero massimo di
impulsi al secondo che l’encoder può generare; in pratica da questo dato è possibile
dedurre la massima velocità di rotazione n (giri/min) a cui è possibile far funzionare
l’encoder, mediante la seguente formula:

n° impulsi di risposta
n 5 60 # [ giri/min ]
risoluzione

l velocità massima di rotazione: è il massimo numero di giri al minuto che l’encoder


può sopportare meccanicamente; ovviamente per un corretto impiego dell’encoder
non si può superare la massima velocità calcolata al punto precedente, sulla base del
numero di impulsi di risposta.
Altri dati forniscono la tensione di alimentazione, la cor rente assorbita, il momento
d’inerzia, il massimo carico (meccanico) applicabile all’albero, il grado di protezione
della custodia e la temperatura ambiente alla quale l’encoder può funzionare.

8.6 Altri trasduttori di posizione


Altri trasduttori di posizione sono:
l i syncro;
l i resolver;
l i trasformatori differenziali.
I syncro sono trasduttori di posizione angolare analogici di tipo elettromeccanico; si
tratta in pratica di trasformatori rotanti costituiti da uno statore e da un rotore. I syncro
sono collegati in coppia (trasmettitore e ricevitore) e alimentati mediante una tensione
alternata.
Una rotazione del rotore del trasmettitore produce una coppia che tende a ruotare
l’albero del ricevitore, in modo che quest’ultimo tende a riprodurre la rotazione del
primo; è possibile riprodurre a distanza le rotazioni subite dall’albero del syncro tra-
smettitore.
I resolver sono anch’essi dispositivi elettromeccanici (in pratica dei trasformatori
rotanti) costituiti da un rotore e da uno statore, i cui avvolgimenti formano un ango-
lo di 90° alimentati con una tensione alternata; alimentando uno dei due circuiti (ad
esempio, l’avvolgimento rotorico), la tensione misurabile ai capi dell’altro dipende
dalla posizione reciproca dei due avvolgimenti, cioè dalla posizione dell’albero.
I trasformatori differenziali (LVDT) sono costituiti da un trasformatore comprendente
un nucleo ferromagnetico mobile (che può scorrere linearmente), un avvolgimento
primario e un secondario suddiviso in due bobine identiche collegate in serie in modo
che le f.e.m. indotte siano in opposizione (cioè si sottraggano): ai morsetti del secon-
dario è in pratica disponibile la differenza tra le tensioni generate nelle due bobine
(fig. 8.8).
L’elemento da misurare è collegato a una estremità del nucleo mobile. Quando il tra-
sformatore è alimentato dal primario e il nucleo mobile è in posizione perfettamente
centrale, le tensioni indotte nelle due bobine secondarie sono uguali: la ten sione
risultante ai morsetti secondari è pertanto nulla.

134 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Quando si ha uno spostamento del nucleo mobile, si genera una dissimmetria del cir-
cuito magnetico che causa uno squilibrio nelle tensioni generate nelle due bobine, in
modo che la tensione secondaria risultante è diversa da zero (fig. 8.9).
La misura della tensione risultante è dunque una misura dello spostamento subito dal
nucleo. Nella pratica gli LVDT sono alimentati tramite un apposito modulo elettronico
che provvede sia a fornire la tensione di alimentazione (dell’ordine di qualche volt e
con frequenze di qualche kHz), sia a condizionare il segnale generato in uscita.
Si osservi, in particolare, che il valore efficace della tensione generata non consente di
discriminare il verso dello spostamento; a tal fine è necessario inserire a valle del tra-
sformatore un componente che, oltre a linearizzare la caratteristica del trasduttore,
consenta di discriminare i movimenti opposti (fig. 8.10); la tensione di uscita generata
è ricondotta a valori standard (ad esempio compresa nel range 0 4 5 V DC).
La linearità di questi trasduttori (tipicamente 0,5%) è più bassa di quella offerta dai
potenziometri ma il loro vantaggio sta nell’assenza di contatto fra il nucleo mobile e
gli avvolgimenti che ne permette quindi l’uso anche in quei luoghi dove sono presenti
condizioni corrosive o esplosive.
I trasformatori differenziali hanno una buona linearità della caratteristica (fig. 8.10);
presentano inoltre risoluzione molto elevata e non riscontrano i problemi di usura
tipici dei potenziometri dovuti alla presenza dei contatti interni.

Fig. 8.8 – Schema semplificato di un LVDT con relativo condizionatore di segnale. Il condizionatore è
abbastanza complesso in quanto deve fornire, attraverso un oscillatore, la tensione sinusoidale d’ali-
mentazione per il primario del trasformatore e deve provvedere a demodulare il segnale sinusoidale
d’uscita Up , per ottenere un segnale standard (ad esempio uscita 0 4 5 V DC).

Fig. 8.9 – Tensione efficace U generata in Fig. 8.10 – Caratteristica linearizzata del LVDT.
funzione dello spostamento x in un LVDT
(linea tratteggiata tensione effettiva,
linea continua tensione teorica).

Unità 8 Trasduttori di posizione 135


Esercizi canale B 120 impulsi; qual è la posizione finale
dell’albero?
1 Un trasduttore di posizione viene impiegato per
misurare spostamenti variabili nel range 20 4 50 Soluzione: un giro completo (360°) corrisponde
mm; il segnale del trasduttore è condizionato in a 2880 impulsi; pertanto l’albero ha prima ruotato in
modo che a spostamento nullo corrisponda una un senso (misurato dal canale A di un angolo a pari
corrente di 4 mA e a 50 mm corrisponda una corren- a:
te di 20 mA; calcolare la corrente corrispondente a
a5a b 820 5 102,5°
360 #
uno spostamento di 25 mm. 2880
Soluzione: l’intervallo della grandezza d’ingresso Successivamente ha ruotato in senso opposto
misurabile è pari a Dl 5 50 2 0 5 50 mm; l’intervallo (misurato dal canale B di un angolo b pari a:
corrispondente di variazione del segnale di uscita
b5a b 120 5 15°
del trasduttore è pari a DU 5 20 2 4 5 16 mA. La 360 #
sensibilità del complesso trasduttore 1 circuito di 2880
condizionamento vale pertanto:
La posizione finale dell’albero è pertanto ruotata di
DU 100 un angolo
s5 5 5 0,05
DI 5
g 5 a 2 b 5 102,5° 2 15° 5 87,5°.
A uno spostamento di 25 mm corrisponde pertanto
una corrente erogata dal condizionatore di segnale
5 Calcolare la risoluzione r (5 minima rotazione
uguale a:
rilevabile) da un encoder incrementale con codifica
4 1 0,32 # 25 5 4 1 8 5 12 mA Gray a 13 bit.

Soluzione: un codice Gray a 13 bit consente di rap-


2 Un trasduttore potenziometrico angolare di posi-
presentare un numero n di configurazioni distinte
zione viene impiegato per misurare rotazioni variabili
dato dalla:
nel range 0 4 360°; il potenziometro in corrisponden-
za della rotazione di 360° presenta una resistenza di n 5 213 5 8192
1,8 kV, mentre a 0° presenta una resistenza nulla.
Determinare la resistenza Rp(55°) corrispondente a conseguentemente la risoluzione offerta dall’encoder
una rotazione di 55°. assoluto con codifica Gray a 13 bit vale:

Soluzione: 360°
r5 5 0,044° 5 2r38s20
360 2 55 # 8192
Rp ( 55° ) 5 1800 5 1525 V
360
6 Un encoder assoluto a singolo giro fornisce
3 Un encoder incrementale con una risoluzione di
un’uscita digitale con risoluzione 32 768 CPR (con-
2880 impulsi/giro è calettato sull’albero di un motore
teggi per giro completo). Calcolare il numero di bit
elettrico. A partire da un certo istante, vengono
del codice Gray utilizzato e la sua risoluzione r (mini-
misurati sul canale A 1680 impulsi; di quanto è ruo-
tato l’albero del motore? ma rotazione rilevabile).

Soluzione: un giro completo (360°) corrisponde Soluzione: osservato che 32 768 è esprimibile
a 2880 impulsi; pertanto l’albero ha ruotato di un come potenza di 2 nel seguente modo:
angolo a pari a: 32 768 5 215
a5a b 1680 5 210°
360 #
è dunque richiesto un codice Gray a 15 bit per rap-
2880
presentare tutti gli impulsi generati.
4 Un encoder incrementale bidirezionale con una La risoluzione offerta dall’encoder assoluto con
risoluzione di 2880 impulsi/giro è calettato sull’albe- codifica Gray a 15 bit vale:
ro di un motore elettrico. A partire da un certo istan-
360°
te, vengono misurati sul canale A 820 impulsi e sul r5 5 0,011° 5 39s55
32 768

136 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


unità 9. Trasduttori di velocità

9.1 Generalità
Il controllo e la misura della velocità rappresentano un elemento fondamentale in molti
processi industriali.
La misura della velocità può essere effettuata con diversi dispositivi, analogici e digitali.
I principali trasduttori di velocità impiegati sono:
l la dinamo tachimetrica (analogico);
l l’encoder incrementale (digitale).

9.2 Dinamo tachimetrica


La dinamo tachimetrica (fig. 9.1) è un gene-
ratore in corrente continua, con eccitazione
a magnete permanente. Il rotore è collegato
all’albero di cui si vuole misurare la velocità.
Una volta in rotazione alla velocità di n giri/min
la dinamo genera ai suoi morsetti una tensione
E data dalla:
E 5 Kd # w#n [9.1]
dove:
l Kd rappresenta la costante di proporzionali- Fig. 9.1 – Motore elettrico con dinamo
tà della dinamo (che dipende dalle caratteri- tachimetrica (da catalogo BONANI).
stiche costruttive);
l w il flusso magnetico (generato dal magnete permanente).

Come si nota, nell’ipotesi che Kd e w rimangano costanti si ha proporzionalità tra la


velocità di rotazione e la tensione generata. Si tenga presente che la costante tachime-
trica Kd è espressa in V · s/rad, ma può essere assegnata anche in V/rpm o in V/1000 rpm
(rpm 5 revolution prime minute cioè giri al minuto primo); la conversione da una unità
di misura all’altra si ricava facilmente se si considera che:
2p
1 [ rpm ] 5 1 [ giro/min ] 5 [ rad/s ] 5 0,1047 [ rad/s ]
60
La tensione generata dalla dinamo tachimetrica è spesso eccessiva per i circuiti di con-
trollo: si rende pertanto necessario condizionare il segnale con un partitore resistivo
eventualmente a rapporto variabile (fig. 9.2). Per non “caricare” la dinamo (con conse-
guente variazione della costante tachimetrica) e per separare l’uscita del partitore dai
circuiti a valle, viene inserito un buffer realizzato con un amplificatore operazionale.

Fig. 9.2 – Condizionatore di segnale per dina-


mo tachimetrica (DT).

Unità 9 Trasduttori di velocità 137


Approfondimento
Nello schema elettrico del condizionatore di segnale di figura 9.2 il trimmer RP è rego-
lato per avere in uscita, quando il motore ruota alla velocità nominale, una tensione
uguale a quella del segnale di riferimento. Sull’uscita viene sempre inserito un conden-
satore che, con la sua azione filtrante, riduce l’influenza dell’ondulazione residua della
dinamo stessa e di eventuali disturbi che si possono sovrapporre al segnale.

L’albero del trasduttore è connesso direttamente all’asse di rotazione mediante giunti


privi di gioco badando che l’ancoraggio sia realizzato in modo da ottenere la massima
perpendicolarità fra albero rotore e superficie di appoggio.
Dal punto di vista costruttivo le dinamo tachimetriche sono caratterizzate da una forma
stretta e allungata, al fine di ridurre il momento d’inerzia del rotore.
Tra i vantaggi delle dinamo tachimetriche è da considerare il fatto che la tensione gene-
rata (da 10 a 20 V ogni 1000 giri/min) non richiede amplificazione. Tuttavia le dinamo
tachimetriche presentano alcuni svantaggi notevoli:
l la caratteristica di uscita dipende dalla resistenza del carico;
l la tensione generata presenta una ondulazione (“ripple”) la cui frequenza aumenta
all’aumentare della velocità di rotazione;
l la massima velocità misurabile non è troppo elevata a causa dei vincoli elettrici e
meccanici;
l presenta problemi di manutenzione e usura meccanica.

9.3 Alternatore tachimetrico


L’alternatore tachimetrico è un trasduttore di velocità analogico che fornisce in uscita
una tensione alternata proporzionale in ampiezza e frequenza alla sua velocità di rota-
zione. Il rotore è costituito da un magnete rotante, privo di collettore, spazzole e avvol-
gimenti e non richiede, quindi, la manutenzione riservata alle dinamo tachimetriche.
L’alternatore dovrà essere affiancato da un condizionatore di segnale che converta la
tensione AC o la frequenza in un segnale continuo. L’alternatore tachimetrico non è in
grado di fornire nessuna informazione sul senso di rotazione della macchina, cosa che
ne preclude l’uso nei controlli bidirezionali.

9.4 Trasduttori digitali di velocità


Un encoder incrementale (vedi Unità 8, par. 8.4) è praticamente utilizzabile per misurare
la velocità di rotazione di un albero (fig. 9.3). A tal fine è necessario stabilire un inter-
vallo di tempo T (clock) espresso in secondi, e contare il numero m di impulsi generati
in tale intervallo.

Fig. 9.3 – Motore elettrico con encoder incre-


mentale (da catalogo BONANI).

138 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Dalla seguente formula è possibile ricavare la velocità di rotazione:
60
n5m# # [9.2]
T R
dove:
n 5 velocità in giri/min (rpm);
m 5 n° impulsi generati nell’intervallo T;
R 5 risoluzione dell’encoder (impulsi/giro).
Il segnale d’uscita dell’encoder è idealmente rappresentato da una sequenza d’impulsi
assimilabile a un’onda quadra; nella pratica, nel caso di velocità elevata, l’onda quadra
subisce una deformazione; per tale motivo gli encoder di qualità elevata contengono
un circuito elettronico di correzione che consente di ricostruire l’onda quadra, impor-
tante per la corretta manipolazione del segnaIe. Il segnale generato dall’encoder è poi
convertito in una tensione continua (proporzionale alla velocità di rotazione) tramite
un convertitore frequenza/tensione.
Per ottenere elevata precisione nella misura della velocità occorre disporre di encoder
di elevata risoluzione (valori tipici da 100 a 600 impulsi/giro); infine, nel caso lo stesso
sia di tipo bidirezionale, è possibile individuare il verso di rotazione.

9.5 Trasduttori di velocità induttivi


Sono costituiti da un magnete permanente a forma di U, su cui è disposto un avvolgi-
mento ai capi del quale si rileva il segnale (fig. 9.4).
Per effetto induttivo, l’avvolgimento trasforma in variazioni di f.e.m. indotta le modi-
fiche di riluttanza provocate dalla successione dei denti di un ingranaggio di materia-
le ferromagnetico che costituisce l’elemento rotante di cui rileva la velocità angolare.
Il segnale ai capi dell’avvolgimento è di tipo periodico e modifica la propria frequenza
(e ampiezza) in funzione della velocità di rotazione dell’ingranaggio.
Il trasduttore non richiede alimentazione ed è particolarmente robusto, per cui vie-
ne utilizzato nell’elettronica dell’auto (ABS, controllo dei giri del volano ecc.).

Fig. 9.4 – Rilevamento della velocità mediante trasduttore induttivo.

Trasduttori a magnetoresistenza
La magnetoresistenza è un sensore che modifica la propria resistenza in funzione del
campo magnetico in cui viene immersa. In molte applicazioni analoghe a quelle viste
per i trasduttori induttivi, sull’elemento rotante (volano, disco del freno ecc.) viene
inserito un magnete permanente; la magnetoresistenza ne rileva il passaggio e, grazie
a opportuni circuiti di condizionamento, trasforma in un segnale il numero dei passaggi
nell’unità di tempo, ovvero determina la velocità di rotazione.

Unità 9 Trasduttori di velocità 139


Esercizi L’alternatore è calettato su un albero rotante alla
velocità di 1300 rpm; determinare il range degli
1 Una dinamo tachimetrica è caratterizzata da effettivi valori di tensione generati.
10 V
una costante kd 5 ; esprimere la Soluzione:
1000 rpm
costante tachimetrica in rad/s. la tensione teoricamente generata vale:

Soluzione: tenuto conto che 1000 rpm 5 104,7 K#v 24 # 1300


U5 5 5 31,2 V
rad/s, si ottiene: 1000 1000
10 V 10 Il valore effettivamente generato può scostarsi del
Kd 5 5 5 0,0955 V # s/rad
1000 rpm 104,7 67% rispetto al dato calcolato; pertanto lo scosta-
mento possibile vale:
2 Una dinamo tachimetrica è caratterizzata da
DU 5 6 31,2 # 0,07 5 2,18 V
una costante Kd 5 5 mV/rpm; calcolare la tensione
Ud prodotta quando la velocità di rotazione v è di In conclusione la tensione generata sarà compresa
628 rad/s. tra i valori di 29,02 e 33,38 V.
Soluzione: tenuto conto che 628 rad/s 5 628/0,1047
5 6000 rpm si ottiene: 6 Un encoder con risoluzione R 5 1440 impulsi/
Ud 5 0,005 # 6000 5 30 V giro, applicato all’albero di un motore elettrico gene-
ra 16 600 impulsi/s; calcolare la velocità di rotazione
3 Calcolare la tensione di uscita generata da un del motore.
dinamo tachimetrica, caratterizzata da una
10 V Soluzione:
costante kd 5 , quando la velocità
1000 rpm applicando la formula [9.2], con m 5 16 600,
di rotazione v è di 90 giri al secondo. T 5 1 s, R 5 1440 impulsi/giro, si ottiene:
Soluzione: 90 giri al secondo equivalgono a
90·60 5 5400 rpm; pertanto la tensione generata m # 60 16 600 # 60
n5 5 5 692 rpm 5 72,43 rad/s
vale: T#R 1440
Kd # v 10 # 5400 Si noti che il periodo del segnale a onda quadra
U5 5 5 54 V
1000 1000 vale:
1
4 Un encoder con risoluzione R 5 1440 impulsi/ periodo 5 5 6,02 # 10 25 s 5 60,2 ms
16 600
giro, applicato all’albero di un motore elettrico gene-
ra 16 600 impulsi/s; calcolare la velocità di rotazione
del motore. 7 Un encoder con risoluzione R 5 1440 impulsi/
giro è applicato a un albero rotante alla velocità di
Soluzione: applicando la formula [9.2], con
1000 rpm; calcolare gli impulsi/s generati e determi-
m 5 16 600, T 5 1 s, R 5 1440 impulsi/giro, si ottie-
nare il periodo dell’onda quadra generata dall’enco-
ne:
der.
m # 60 16 600 # 60
n5 5 5 692 rpm 5 72,43 rad/s Soluzione:
T#R 1440
applicando la formula [9.2] risolta rispetto a m, con
Si noti che il periodo del segnale a onda quadra n 5 1000 rpm, T 5 1 s, R 5 1440 impulsi/giro, si
vale: ottiene il numero di impulsi generati al secondo (fre-
1 quenza):
periodo 5 5 6,02 # 10 25 s 5 60,2 ms
16 600
n#T#R 1000 # 1 # 1440
m5 5 5 24 000 Hz
5 Un alternatore tachimetrico è caratterizzato dai 60 60
seguenti dati:
Il periodo del segnale a onda quadra vale:
l costante tachimetrica (a vuoto):
24 V 1
kd 5 6 7% periodo 5 5 4,17 # 10 25 s 5 41,7 ms
1000 rpm 24 000

l velocità massima: 10 000 rpm.

140 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


unità 10. Trasduttori di forza e pressione
Approfondimenti n Come usare la resistenza

10.1 Estensimetri
Nei trasduttori di forza si genera un segnale elettrico proporzionale alla forza mecca-
nica da misurare.
Un esempio molto utilizzato è l’estensimetro detto anche strain gage. Esistono diffe-
renti tipi di estensimetri:
l estensimetri a filo: sono costituiti da un filo in materiale conduttore (talvolta da una
sottilissima lamina), ad esempio, costantana, del diametro di 10-30 micron piegato
a forma di griglia e collocato su una sottile piastra isolante fissata con un adesivo
alla superficie dell’oggetto in prova; qualunque sollecitazione meccanica (trazio-
ne, compressione, torsione, flessione ecc.) provoca una variazione della lunghezza
dell’estensimetro e corrispondentemente, una variazione della resistenza elettrica
del filo metallico;
l estensimetri piezoresistivi: in questo tipo l’elemento sensibile è costituito da una
piastrina a sezione rettangolare di un semiconduttore, ad esempio silicio, opportu-
namente drogato: al variare delle dimensioni varia la resistenza della piastra; que-
sto tipo di estensimetro presenta una maggiore sensibilità rispetto agli estensimetri
metallici;
l estensimetri piezoelettrici: questo tipo è realizzato con cristalli al quarzo che genera-
no una tensione quando sottoposti a sollecitazioni meccaniche; sono particolarmen-
te indicati per la misura di sollecitazioni meccaniche variabili nel tempo.
Nel caso di estensimetri metallici e piezoresistivi, la misura della resistenza viene effet-
tuata solitamente con un ponte di Wheatstone, in cui la resistenza incognita (quella
dell’estensimetro rappresentato da un lato del ponte) è confrontata con le resistenze
note degli altri tre lati.
Per compensare le variazioni di resistenza dovute alle variazioni di temperatura si usano
due estensimetri di cui uno, montato in modo da non essere sollecitato, permette di
compensare gli effetti di variazione della resistenza dovuti alle variazioni di tempera-
tura.
Nel caso degli estensimetri piezoelettrici si ricorre a un amplificatore e a un circuito di
linearizzazione realizzabili su un unico chip.
Nel caso degli estensimetri a filo o a strato, si può dimostrare che la variazione relativa
della resistenza DR/R dell’estensimetro è data da:

R#
D R 5 kG # Dl
l
dove:
l kG è un coefficiente detto fattore di deformazione (guage factor, che può variare da
2 a 3);
l R è la resistenza dell’elemento sensibile (valori tipici sono: 120, 350, 500, 1000, 3000,
6000 V);
l l è la lunghezza dell’elemento sensibile in assenza di deformazioni;
l Dl e DR sono rispettivamente l’allungamento prodotto dalla sollecitazione meccanica
e il corrispondente aumento della resistenza.

Unità 10 Trasduttori di forza e pressione 141


10.2 Celle di carico
Nel caso in cui la sollecitazione meccanica (forza o coppia) da trasdurre possa essere
orientata in una direzione qualsiasi l’estensimetro è costituito da due o più elementi
sensibili, con orientazioni diverse, posti su un unico supporto (estensimetri a rosetta).
L’estensimetro viene incollato, tramite un collante a base di resine epossidiche all’ele-
mento meccanico soggetto alla sollecitazione da trasdurre.
Gli estensimetri sono inseriti in un circuito elettrico che trasforma la variazione di resi-
stenza in un segnale elettrico; solitamente si impiega un ponte di Wheatstone la cui
tensione di squilibrio risulta approssimativamente proporzionale all’entità della solleci-
tazione meccanica applicata.
Tale realizzazione prende comunemente il nome di cella di carico (fig. 10.1) ed è uti-
lizzata per la pesatura (il peso è, fisicamente, una forza). Considerando che la resisten-
za dell’estensimetro è molto sensibile alle variazioni della temperatura si inserisce nel
ramo opposto del ponte di Wheatstone un estensimetro (identico al primo) non solleci-
tato, in modo che le variazioni di temperatura agiscano nello stesso modo sui due rami
del ponte.
Un dato importante è sicuramente la sensibilità nominale che rappresenta la tensione
d’uscita del trasduttore (in mV per ogni volt di tensione di alimentazione) quando alla
cella è applicato il carico nominale di 12 kgf.

Fig. 10.1 – Tipi di celle di carico (da catalogo DS EUROPE).


Esempio di dati nominali di una cella di carico:
Fondo scala (FS) 12 kgf
Sovraccarico ammissibile 6 150 % FS
Alimentazione 10 V DC/AC 4 18 V DC/AC max
Sensibilità nominale (Sn) 2 mV/V in FS
Non linearità 6 0,03% FS max fino a 60 kgf
Sbilanciamento zero 6 2% FS max
Variazione termica zero 6 0,008 FS/°C
Variazione termica sensibilità 6 0,005%/°C
Impedenza ingresso/uscita 350 V nominale

10.3 Trasduttori di pressione


La misura della pressione può essere divisa in tre distinte categorie:
l misura della pressione assoluta;
l misura della pressione relativa all’ambiente;
l misura della pressione differenziale.
La pressione assoluta è quella relativa al vuoto assoluto. La pressione relativa rappresenta
la differenza di pressione rispetto all’ambiente. La pressione differenziale è la differenza
di pressione esistente tra due distinte sorgenti di pressione. L’unità di pressione è il Pascal
(simbolo Pa); sono di uso ricorrente però anche altre unità: il bar, il psi, l’atmosfera.
I trasduttori di pressione (fig. 10.2) sono a loro volta suddivisibili in:
– trasduttori di pressione assoluta;
– trasduttori di pressione relativa;
– trasduttori di pressione differenziale.

142 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Qualunque sia il tipo di trasduttore, sono sempre
presenti due parti:
l la prima converte la pressione in uno spostamen-
to;
l la seconda trasduce lo spostamento in un segnale
elettrico (tensione).

La conversione della pressione in spostamento è


effettuata tramite una capsula costituita da due
membrane corrugate o diaframmi, fissati a un sup-
porto rigido. Il fluido di cui si vuole misurare la pres-
sione è a contatto con l’esterno della capsula. Nel
caso all’interno della capsula si crei il vuoto, il tra-
sduttore è in grado di misurare la pressione assoluta.
Lo spostamento subito dalla membrana può essere
misurato con LVDT, con potenziometri o con Strain-
gage, ottenendo una caratteristica lineare. In ogni Fig. 10.2 – Trasduttore industriale
caso il segnale viene condizionato. di pressione Schaevtz (da catalogo
LUCAS VARITY).
Sono disponibili anche trasduttori di pressione di
tipo monolitico, cioè che raggruppano in un unico elemento le due funzioni sopra
descritte, suddivisi in due tipi:
l capacitivi, nei quali la misura della pressione è fornita dalla variazione di capacità di
un condensatore per effetto della inflessione di un diaframma;
l piezoresistivi a film spesso, nei quali si sfrutta la proprietà di alcuni materiali di cam-
biare la propria resistenza in caso di deformazione. In questi trasduttori sono deposi-
tate sul diaframma quattro resistenze connesse a ponte di Wheatstone; l’inflessione
del diaframma per effetto della pressione determina uno squilibrio del ponte che
genera in uscita una tensione che varia linearmente con la pressione.

® Esempi applicativi
Alcuni esempi dell’impiego dei trasduttori presentati precedentemente, sono proposti nelle figu-
re che seguono.
l Sistemi di sollevamento, montacarichi, carri ponte: il sensore è applicato su una singola fune
per misurare il tensionamento proporzionale al carico applicato (fig. 10.3).
l Sistemi di sollevamento, montacarichi, carri ponte: i sensori sono applicati su tutte le funi
(sistema multifune) in contemporanea per misurare il tensionamento proporzionale al carico
applicato (fig. 10.4).
l Macchinari e veicoli: il sensore misura il carico applicato su una struttura in acciaio mediante
misura della proporzionale deformazione meccanica a flessione (fig. 10.5).

Fig. 10.3 – Pesacarico a fune sin- Fig. 10.4 – Pesacarico multifu- Fig. 10.5 – Dispositivo per misu-
gola per sistemi di sollevamento ne per sistemi di sollevamento re di forza per macchinari e vei-
(da catalogo DS EUROPE). (da catalogo DS EUROPE). coli (da catalogo DS EUROPE).

Unità 10 Trasduttori di forza e pressione 143


unità 11. Trasduttori di livello

11.1 Caratteristiche generali


I trasduttori di livello sono impiegati per misurare e controllare il livello raggiunto da un
liquido oppure da prodotti solidi sfusi (ad esempio, polveri o granuli di piccola pezzatura)
in un contenitore. La misura di livello può essere effettuata con sensori di tipo capacitivo,
quando la sostanza di cui si deve misurare il livello sia non conduttiva.
Il trasduttore (fig. 11.1) è costituito da un elettrodo (asta o fune) immerso nel serbatoio
di cui si deve controllare il livello. La capacità esistente tra questo elettrodo e la pare-
te del serbatoio varia a seconda delle caratteristiche del dielettrico interposto: aria
quando vuoto, la sostanza presente quando pieno. La parete del serbatoio deve essere
metallica e nel caso non lo fosse, occorre creare l’altro elettrodo inserendo, ad esem-
pio, una bandella metallica sulla parete. Al variare del livello della sostanza cambia la
capacità; la misura del livello può dunque essere effettuata misurando con un apposito
circuito la capacità stessa.

Fig. 11.1 – Trasduttori e regolatori di livello capacitivo (ditta VAL.CO).

Un altro tipo di sensori utilizzati per il controllo di livello sono quelli a ultrasuoni
(fig. 11.2); installati sul bordo superiore del serbatoio, effettuano la misura del livello
misurando il tempo di riflessione di treni di onde di ultrasuoni inviate sulla superficie
della sostanza di cui si deve controllare il livello (fig. 11.3).
Le superfici irregolari e l’angolo di riempimento nel caso di materiali granulari posso-
no influenzare la misura, mentre le proprietà chimico-fisiche del prodotto non hanno
influenza sulla rilevazione; questo consente di effettuare la misura anche di materiali
corrosivi, abrasivi ecc. La custodia del trasduttore deve essere in grado di resistere e pro-
teggere il medesimo in condizioni ambientali difficili (ad esempio, mediante un grado
di protezione elevato, IP 55 o superiore). Il segnale di uscita è naturalmente condizio-
nato. I sensori a ultrasuoni sono molto impiegati data l’elevata affidabilità conseguente
al fatto che non possiedono organi in movimento, non sono influenzati da condizioni
di illuminazione e non essendo a diretto contatto con il fluido, non sono soggetti a
sporcarsi.

144 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


unità 12. Altri tipi di trasduttori
Approfondimenti n Controllare i fluidi

12.1 Generalità
Le esigenze di controllo nei processi industriali richiedono la misura di moltissime gran-
dezze fisiche; corrispondentemente è stata sviluppata una gamma molto vasta di tra-
sduttori. Tra questi si esamineranno brevemente:
l trasduttore di umidità relativa;
l trasduttori di intensità luminosa;
l trasduttori di portata.

12.2 Trasduttori di umidità relativa


L’umidità relativa U.R.% è definita come il rapporto tra la quantità di vapore presente
in un metro cubo di aria (umidità assoluta U.A.) e la massima quantità di vapore che,
nelle condizioni di temperatura e pressione ambiente, può esistere nell’aria (umidità di
saturazione U.S.); in formula:
U.A. #
U.R.% 5 100 [ adimensionale ]
U.S.
Il trasduttore di umidità relativa è costituito da un dielettrico, avente una costante die-
lettrica relativa funzione della umidità relativa.
Le facce del dielettrico sono rivestite da un sottile strato d’oro; il risultato è un conden-
satore la cui capacità varia al variare della umidità relativa. Il dispositivo sopra descritto
è inserito all’interno di un contenitore forato, in modo da consentire il contatto del
medesimo con l’aria ambiente.
Il trasduttore viene poi alimentato tramite un circuito elettronico che genera, in uscita,
un’onda quadra di frequenza variabile con la capacità; quindi, mediante un apposito
circuito di condizionamento, detta frequenza è convertita in un segnale analogico di
tensione 0 4 5 V.

12.3 Trasduttori di intensità luminosa


I trasduttori di intensità luminosa sono sensibili alle radiazioni elettromagnetiche dello
spettro visibile, cioè alle radiazioni di lunghezza d’onda compresa tra 380 e 780 nm
(nanometri).
La grandezza fisica misurata da questi trasduttori è l’illuminamento (espresso in lux)
oppure l’intensità luminosa (espressa in candela).
I principali trasduttori di intensità luminosa sono:
l il fotoresistore;
l il fotodiodo;
l il fototransistore;
l le celle fotovoltaiche.

146 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Il fotoresistore (fig. 12.1) è realizzato con componenti semiconduttori; quando è espo-
sto alla radiazione luminosa i materiali semiconduttori rendono disponibili per la con-
duzione un maggior numero di coppie elettrone-lacuna.
Maggiore è l’illuminamento cui è sottoposto il fotoresistore, maggiore è la quantità
di coppie elettrone-lacuna disponibili per la conduzione: di conseguenza si verifica un
abbassamento della resistenza elettrica (esprimibile in kilo ohm) del trasduttore.
Il fotodiodo (fig. 12.2) è anch’esso fabbricato con materiale semiconduttore; in pratica
si tratta di un diodo polarizzato inversamente.
La radiazione luminosa incidente, penetrando (grazie alla particolare tecnica costrutti-
va) nella regione della giunzione è in grado, similmente a quanto già visto per i fotore-
sistori, di liberare coppie elettrone-lacuna. A causa della polarizzazione del diodo si crea
così un passaggio di corrente inversa (fotocorrente) proporzionale all’intensità luminosa
della radiazione incidente.
Quando il fotodiodo è al buio, si registra comunque un debole passaggio di corrente
denominata corrente di buio (dark current). Il fototransistore è un trasduttore basato
sempre sulla proprietà dei semiconduttori di aumentare il numero di coppie elettrone-
lacuna disponibili per la conduzione (fig. 12.3). Il fototransistore è spesso usato come
dispositivo nei fotoaccoppiatori di tipo ON-OFF (fig. 12.4). Le celle fotovoltaiche (fig.
12.5) non richiedono polarizzazione esterna, ma generano direttamente energia elet-
trica. In pratica sono simili ai fotodiodi, ma privi di polarizzazione.

a)
a)

b)
b)

Fig. 12.1 – a) Segno grafico di fotoresistore; Fig. 12.2 – a) Segno grafico di fotodiodo;
b) fotoresistore al solfuro di cadmio con finestra trasparente e circuito b) fotodiodo al silicio (da catalogo RS).
relativo all’eccitazione di un relè (5 kV 5 resistenza variabile di preim-
postazione). (da catalogo RS).

Fig. 12.3 – Segno grafico di fototransistor.

Fig. 12.4 – Segno grafico di fotoaccoppiatore. Fig. 12.5 – Cella fotovoltaica (da rivista WATT).

12.4 Trasduttori di portata


La misura della portata di un fluido (gas o liquido) è esigenza diffusa sia in molti processi
industriali, sia nella gestione delle reti di distribuzione (ad esempio, gas e acqua).
La portata può essere espressa in m3/s oppure in kg/s: nel primo caso si riferisce al volume
trasportato nell’unità di tempo; nel secondo alla massa trasportata nell’unità di tempo.
Nel caso di gas è usuale riferire la portata del gas allo stato normalizzato, ossia alla pres-
sione di 1,013 bar e alla temperatura di 273 °K: la portata viene in questo caso espressa
in “normal-metricubi” al secondo.

Unità 12 Altri tipi di trasduttori 147


Esistono diversi tipi di trasduttori di por-
tata, che si differenziano per il principio
utilizzato per la misura; tra i vari tipi di
trasduttori di portata che trovano appli-
cazione nei controlli automatici si posso-
no ricordare:
l i trasduttori di portata volumetrica a
turbina;
l i trasduttori di portata magnetici;
l i trasduttori di portata termodinamici.

I trasduttori a turbina (fig. 12.6) provve- Fig. 12.6 – Trasduttore di portata a turbina
dono alla misura del volume di liquido (da catalogo RS).
che transita nell’unità di tempo (espres-
so in m3/s) mediante una turbina idraulica inserita sulla tubazione, la cui velocità di
rotazione è proporzionale alla portata.
Per rendere più precisa la misura la turbina è inserita in un apposito corpo dotato di
raddrizzatori di flusso atti a rendere lineari le linee del flusso del liquido, in modo da
rendere più precisa la misura.
Nel rotore della turbina è inserito un magnete permanente che, per effetto della rota-
zione, genera una f.e.m. alternata di frequenza crescente con l’aumentare della velocità
di rotazione: la frequenza prodotta è dunque una misura della portata.
Un successivo circuito provvede a trasformare detta frequenza in un segnale standard
(ad esempio, un segnale in corrente 4 4 20 mA).
Sono commercializzati tipi di trasduttori a turbina in grado di generare una uscita digi-
tale, ottenuta utilizzando un LED e un fotorivelatore posti dai lati opposti delle pale
della turbina: la turbina girando interrompe il fascio fotoelettrico e il numero di impulsi
così generati nell’unità di tempo è proporzionale alla velocità di rotazione; è sufficiente
disporre di un circuito di conteggio per valutare la portata.
I trasduttori di portata magnetici sono costituiti da un tubo in materiale diamagneti-
co di sezione circolare, esternamente al quale viene installato un elettromagnete in
modo che il campo generato da quest’ultimo sia perpendicolare al flusso del liquido.
Il trasduttore è completato da due elettrodi montati a contatto con il fluido, perpen-
dicolarmente sia al flusso del liquido sia al campo magnetico.
La misura della portata è effettuata applicando la nota legge dell’induzione elettro-
magnetica nella forma:
E 5 Blv
dove:
E 5 f.e.m. indotta [V];
B 5 intensità del campo magnetico [T];
l 5 lunghezza del conduttore [m];
v 5 velocità del conduttore [m/s];
nel caso in esame il conduttore è costituito dal fluido in transito.
Dato un certo campo magnetico, la f.e.m. indotta nel liquido è proporzionale alla
velocità dello stesso; data una certa sezione S del tubo la f.e.m. risulta essere propor-
zionale alla portata. Anche in questo caso un apposito circuito condizionatore prov-
vede a generare un segnale standard, idoneo a successive manipolazioni.
I trasduttori termodinamici sono installati in modo da trovarsi a contatto con il fluido
da controllare e sono riscaldati internamente di alcuni gradi centigradi in più rispetto
alla temperatura del fluido; quando lo stesso inizia il movimento, esporta calore dal
trasduttore che si raffredda.
Confrontando la temperatura del trasduttore con quella del fluido, si può stabilire,
per ogni tipo di fluido, la sua velocità di movimento.
Per i trasduttori termodinamici è previsto il montaggio direttamente sulla tubazione
dove transita il fluido da controllare, la cui velocità è costantemente monitorata tra-
mite una serie di LED colorati, che si illuminano in sequenza in base alla velocità del
fluido stesso.

148 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


unità 13. Attuatori: elettromagneti,
motori in DC e AC
Approfondimenti n Gli induttori e gli elettromagneti

13.1 Generalità
Nei sistemi di controllo è necessario procedere alla misura di grandezze fisiche relative
al processo: questa operazione è svolta, come detto, dai trasduttori.
Un’altra operazione fondamentale nei sistemi di controllo è quella inversa, consistente
nel trasformare un segnale elettrico (o pneumatico) in un’altra grandezza fisica, tipica-
mente uno spostamento meccanico; l’operazione viene svolta dagli attuatori.
Importanti esempi di attuatori impiegati nei sistemi di controllo sono:
l gli elettromagneti (solenoidi);
l i motori a corrente continua;
l i motori asincroni;
l i motori passo-passo;
l i motori brushless;
l i motori lineari;
l i cilindri pneumatici e oleodinamici.

13.2 Elettromagneti
Gli elettromagneti o solenoidi o bobine (fig. 13.1) sono dispositivi che trasformano
energia elettrica in spostamenti meccanici lineari (traslazione); sono in pratica attuatori
lineari. Dal punto di vista costruttivo sono caratterizzati da un nucleo elettromagnetico
libero di scorrere, da una bobina e da un telaio.

a) b)
Fig. 13.1 – a) Aspetto esterno di un elettromagnete o attuatore lineare; in alto gli attacchi faston di
alimentazione (ditta ITALMAGNETI);
b) vista in sezione: 1) elettromagnete (bobina); 2) cilindro (parte mobile); 3) albero del cilindro; 4)
molla di richiamo.

Quando si alimenta la bobina si genera una forza che causa lo spostamento (limitato)
della parte mobile. Il movimento può essere controllato (come velocità) tramite elet-
tromagneti definiti proporzionali in quanto la loro forza è direttamente proporzionale
alla corrente che li attraversa.
Un tipico esempio applicativo è costituito dalla elettrovalvola proporzionale (valvola
idraulica a comando elettrico), in cui la portata della valvola varia proporzionalmente
alla corrente che percorre la bobina.

Unità 13 Attuatori: elettromagneti, motori in DC e AC 149


Gli elettromagneti possono essere costruiti per funzionare in corrente continua oppure
in corrente alternata e, a questo proposito, la norma IEC 947-4 definisce la categoria
d’impiego AC14-AC15 o DC13-DC14, che fissa le prestazioni degli elettromagneti stessi.
Un parametro importante per l’impiego degli elettromagneti è la potenza assorbita
(tab. 13.1), differenziata in:
l allo spunto; l in ritenuta.
Per alcuni tipi la corrente assorbita allo spunto può variare da 5 a 20 volte la corrente di
mantenimento o di ritenuta. Un altro parametro importante nella scelta degli elettro-
magneti, per l’impiego in cicli ripetitivi che alternano periodi di inserzione a periodi di
riposo, è il ciclo di servizio percentuale ED%:
ti #
ED% 5 100
ti 1 tr
dove:
ti 5 tempo di inserzione del magnete;
tr 5 tempo di riposo.
Un attuatore che sfrutta l’azione di un elettromagnete (bobina) è il relè in funziona-
mento ON-OFF.

TAB. 13.1 – Forza assiale generata da un elettromagnete commerciale e potenza nominale


assorbita (in caso di alimentazione AC o DC) in funzione della corsa e dell’inter-
mittenza ED% (da sito WEB ITALIANA RELÈ SRL).

Forza assiale (in grammi-forza) in funzione della corsa e dell’intermittenza (ED)


Corsa mm
ED
1 3 5 8 11 15
230 100 50 – – – DC
100
250 100 70 50 – – AC
380 250 70 50 – – DC
40
400 200 150 100 50 – AC
500 350 250 80 – – DC
25
550 300 200 130 80 – AC
750 600 400 150 60 – DC
15
– 450 300 200 120 50 AC
1150 950 850 350 130 – DC
5
– 700 550 360 250 110 AC

Potenza nominale assorbita dalla bobina in funzione della corsa e dell’intermittenza (ED)
Corsa mm
ED DC AC 0 2 5 10 15
100 W 4,5 4,5 4,5 4,5 4,5
VA 6 8 10 11 11
40 W 9 9 9 9 9
VA 13 20 23 25 27
25 W 16 16 16 16 16
VA 22 32 37 40 43
15 W 28 28 28 28 28
VA 38 51 57 63 67
5 W 70 70 70 70 70
VA 105 130 142 158 175

150 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


Un classico tipo di azionamento statico è rappresentato dal convertitore costituito da
un raddrizzatore a ponte di Graetz monofase o trifase che impiega diodi controllati.
Si possono avere convertitori (sia monofase sia trifase) total-controllati, nei quali sono
impiegati esclusivamente tiristori, oppure ponti semicontrollati nei quali si impiegano
sia diodi che tiristori.
In pratica il convertitore raddrizza la corrente alternata e, agendo sui ritardi di innesco
dei diodi controllati, consente anche di regolare la tensione continua di alimentazione
del motore.
In figura 13.6 sono riportati gli schemi di ponti monofase e trifase.

a) b)

c) d)

Fig. 13.6 – a) Ponte monofase semicontrollato (P.M.S.C.);


b) ponte monofase interamente controllato (P.M.I.C.);
c) ponte trifase semicontrollato (P.T.S.C.);
d) ponte trifase interamente controllato (P.T.I.C.).

Un altro tipo di azionamento è quello detto PWM che in alternativa agli SCR impie-
ga dei transistor, funzionanti a frequenza piuttosto elevata (qualche decina di kHz);
l’azionamento ottenuto è del tipo a quattro quadranti, molto efficiente e consente una
grande regolarità di funzionamento.

Approfondimento
Normalmente gli azionamenti statici sono previsti per funzionare in anello chiuso in modo
da effettuare un controllo automatico di velocità: la velocità di rotazione del motore è
misurata tramite un idoneo trasduttore (ad esempio una dinamo tachimetrica calettata
direttamente sull’albero motore), che genera un segnale elettrico di tensione proporzio-
nale alla velocità effettiva di rotazione del motore stesso; tale segnale viene confrontato
con un valore di tensione impostato che rappresenta la velocità che si vuole ottenere
(set-point).
La differenza tra le due tensioni rappresenta l’errore, cioè la diversità tra la velocità desi-
derata e la velocità effettiva; tale segnale di errore è utilizzato per pilotare la tensione
del ponte.
In questo modo l’azionamento è in grado di regolare automaticamente la velocità: infatti
a seguito, ad esempio, di un rallentamento causato da un aumento del carico, si ha un
aumento del segnale di errore che determina un aumento della tensione di alimentazione
del motore con conseguente aumento della coppia motrice e quindi della velocità.

I vantaggi degli azionamenti statici sono così riassumibili:


l elevato rendimento;
l costo e ingombri limitati;
l manutenzione quasi assente.

Unità 13 Attuatori: elettromagneti, motori in DC e AC 153


L’utilizzo degli azionamenti statici (fig. 13.7) presenta però anche alcuni inconvenienti:
l generazione di armoniche sui circuiti a corrente alternata che alimentano il converti-
tore causate dal fatto che le correnti assorbite non conservano la forma sinusoidale;
tali armoniche costituiscono un notevole disturbo per gli altri utilizzatori, in partico-
lare per le apparecchiature elettroniche e per i condensatori di rifasamento;
l il convertitore si comporta, dal punto di vista della rete a corrente alternata come un uti-
lizzatore a basso fattore di potenza, soprattutto in caso di funzionamento a basso carico;
l la separazione galvanica non è garantita, è quindi necessario inserire idonei disposi-
tivi per ovviare alla mancanza.

Nel taglio dei tronchi, come per qualsiasi operazione di


lavorazione del legno, è importante ridurre i tempi morti
per poter migliorere la produttività.
Occorre:
l disporre di un ampio campo di velocità che permetta di
ottimizzare la velocità di coppia e la velocità di ritorno
rapido;
l disporre anche, al momento del taglio di una coppia
elevata a bassa velocità;
l realizzare inversioni rapide di marcia, riducendo per
quanto possibile il consumo di energia durante il ral-
lentamento. Il variatore reversibile in frenatura con
recupero, consente tale riduzione.
L’utente sceglie la velocità e il senso di marcia manovran-
do un combinatore al quale è accoppiato il potenziome-
tro di impostazione di velocità. La soluzione scelta appor-
ta una dinamica di movimento che consente d’aumentare
la cadenza di produzione nella misura in cui lo permette
la meccanica e lo desidera l’utente.
Lo scopo è di offrire alle navi dei dispositivi di scarico e
di carico rapidi e affidabili, limitando il tempo di immo-
bilizzo.
Occorre dunque:
l lavorare alle velocità massime, evitando le brusche
variazioni di coppia e gli oscillamenti della benna;
l assicurare il posizionamento preciso di quest’ultima
sopra le stive e la tramoggia di ricezione;
l mantenere un ritmo elevato di manovre ripetitive
ottimizzando i percorsi, per assicurare la portata mas-
sima;
l facilitare il funzionamento e la manutenzione del
sistema.
Il processo di plastificazione della carta non tollera un’ar-
resto né un rallentamento della linea e neccessita di uno
svolgitore e di un avvolgitore doppi che consentono la
sostituzione al volo della bobina. In funzionamento nor-
male questi ultimi frenano o trascinano una bobina il cui
raggio e l’inerzia variano continuamente. Al momento
di cambiare bobina, si produce una variazione brusca
di tutti i parametri: raggio, inerzia, percorsi della carta
(attriti) .
È indispensabile:
l mantenere costante la velocità lineare necessaria al
processo;
l impedire qualcunqu scarto brusco sulla trazione, causa
di intasamenti o rotture poiché la trazione può essere
costante o seguire una legge predeterminata.

Fig. 13.7 – Esempi di applicazioni di azionamenti, indicati con il nome di variatori (da catalogo
TELEMECANIQUE).

154 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


13.5 Motori in AC: motori asincroni (richiami)

I motori asincroni, detti anche motori a induzione, sono i motori più diffusi per le loro
caratteristiche di semplicità e robustezza (fig. 13.8). Si tratta di macchine alimentate in
corrente alternata. Come tutti i motori elettrici sono composti di due parti: lo statore,
fisso, e il rotore, libero di ruotare; su entrambe le parti sono posizionati dei conduttori.
Nei motori asincroni i conduttori posti sullo statore sono collegati alla linea di alimen-
tazione e svolgono dunque il ruolo di induttore (avvolgimento primario o induttore),
mentre nei conduttori posti sul rotore vengono indotte invece delle f.e.m. (avvolgimen-
to secondario o indotto). Questo fatto giustifica il nome di “motori a induzione” che,
come detto, contraddistingue queste macchine.

Fig. 13.8 – Tipi di motori asincroni trifase: in alto


flangiato, in basso con basamento (ditta SEIMEC).

La corrente alternata che percorre gli avvolgimenti statorici genera un campo rotante
che induce correnti negli avvolgimenti rotorici; l’interazione delle correnti rotoriche con
il campo rotante genera la coppia motrice.
La velocità di rotazione n in giri/min del motore asincrono è legata alla frequenza della
tensione di alimentazione dalla nota relazione:
60 # f
n5 (1 2 s)
p
dove:
f 5 frequenza di alimentazione;
s 5 scorrimento;
p 5 numero di coppie polari.
I motori asincroni possono essere trifase o monofase, a seconda del tipo di alimenta-
zione. La gamma dei motori asincroni disponibili è vastissima, sia per potenza sia per
tipologia costruttiva. Riguardo alla potenza si passa da motori monofase o trifase della
potenza di poche decine di watt, a motori trifase della potenza di alcuni megawatt
alimentati con tensioni dell’ordine di alcuni kilovolt.
Sotto il profilo della tipologia costruttiva accanto ai mo tori di tipo ordinario, adatti
all’impiego in condizioni ambientali normali, si costruiscono motori in esecuzione pro-
tetta, idonei per ambienti umidi o bagnati o con modesto rischio di esplosione o addi-
rittura idonei per ambienti con elevato rischio di esplosione.
Un’altra distinzione importante riguarda i circuiti rotorici che possono essere sostanzial-
mente di due tipi: a gabbia di scoiattolo oppure di tipo avvolto. Nel primo caso il circu-
ito rotorico è costituito da un certo numero di barre conduttrici con due anelli alle due
estremità in modo da formare una struttura simile a una gabbia per scoiattoli (da cui il
nome); nel secondo caso il circuito rotorico è formato da un avvolgimento formato da
spire realizzate con filo di rame. Per le esigenze attuative della regolazione di velocità
nell’automazione industriale, il motore asincrono ha gradualmente sostituito il motore
a corrente continua sia per la semplicità di installazione, la ridotta manutenzione, il
rendimento più elevato, nonché per la semplicità nella regolazione della velocità, dopo
il massiccio impiego dei convertitori di frequenza (inverter).

Unità 13 Attuatori: elettromagneti, motori in DC e AC 155


Esercizi Soluzione:
data la tensione generata dall’inverter il moto-
1 Si ipotizzi che un elettromagnete con le prestazioni re è utilizzato nella configurazione a triangolo.
riportate in tabella 13.1, sia utilizzato per una applicazio- Considerando la relazione tra frequenza, velocità
ne ciclica con ti 5 12 s, tr 5 19 s e che richiede una forza di rotazione, scorrimento e numero di coppie polari
di 0,6 N con una corsa di 5 mm. Valutare se l’elettroma- risolta rispetto a f (posto s 5 0) si ottiene:
gnete lavora entro le condizioni nominali e determinare
n#p 2600 # 2
la corrente nominale assorbita nel caso di alimentazione f5 5 5 87 /a
a 24 V DC e nel caso di 24 V AC. Quali considerazioni si 60 60
possono fare se il carico fosse stato di 1 N? Alla velocità di 2600 rpm, l’azionamento è nel-
Soluzione: il ciclo di servizio dell’elettromagnete vale: la zona a potenza costante; conseguentemente
12 la potenza erogabile è pari a quella nominale del
,+% 5 # 100 > 40% motore (2,2 kW), mentre la coppia erogabile T risul-
12 1 19
ta determinata dividendo la potenza (espressa in
Considerato che 0,6 N equivalgono a (circa) 60 gram-
Watt) per la velocità angolare v (espressa in rad/s:
mi-forza il magnete è stato scelto correttamente; infat-
2600 rpm 5 272,13 rad/s):
ti dal riquadro di sinistra della tabella si evince che il
magnete, in corrispondenza di un ciclo di servizio del P 2200
T5 5 >85#T
40% e di una corsa di 5 mm, è in grado di produrre: v 272,13
l 70 grammi-forza per alimentazione AC; Occorrerà naturalmente accertarsi circa l’effettiva pos-
l 150 grammi-forza in DC. sibilità di far funzionare il motore in condizioni di sovra-
La potenza assorbita è deducibile dal riquadro di velocità.
destra della tabella, e vale:
l 9 W in DC; 3 Un M.A.T. ha i seguenti dati nominali:
l 23 VA in AC. l potenza nominale: 2,2 kW;
Le correnti assorbite valgono dunque: l frequenza nominale: 50 Hz;
l tensione nominale: 400 V (con collegamento a D);
l per alimentazione 24 V DC:
9 l 4 poli (p 5 2)
I+* 5 5 0,375 5 375 T( ;
24 Utilizzando un azionamento a inverter (con rappor-
l per alimentazione 24 V AC: to U/f costante) e con tensione massima generata
23
I(* 5 5 0,96 5 960 T( ; 400 V, si desidera far funzionare il motore alla velo-
24 cità n 5 2600 rpm.
Nel caso di forza richiesta pari a 1 N (100 g circa) con
corsa sempre di 5 mm, dalla tabella si deduce che è Determinare:
possibile unicamente l’impiego in DC. l la frequenza di alimentazione richiesta;
Come ultima considerazione si evidenza che al fine di l la potenza massima erogabile a 2600 rpm e la
evitare eccessive accelerazioni (con conseguenti vio- corrispondente coppia erogata espressa come
lenti urti a fine-corsa) è importante impiegare sempre percentuale della coppia nominale.
elettromagneti in grado di generare forze di poco supe-
riori a quelle effettivamente richieste dall’applicazione. Soluzione:
L’esercizio dimostra che le migliori prestazioni degli come nell’esercizio precedente, considerando la rela-
elettromagneti (unitamente a un minore riscaldamento) zione tra frequenza, velocità di rotazione, scorrimen-
si ottengono con alimentazione DC. to e numero di coppie polari risolta rispetto a f (posto
s 5 0) si ottiene:
2 Un M.A.T. ha i seguenti dati nominali: n#p 2600 # 2
l potenza nominale: 2,2 kW; f5 5 5 87 /a
60 60
l frequenza nominale: 50 Hz;
l tensione nominale: 400 V con collegamento a Y, Superata la frequenza nominale (con tensione
230 V con collegamento a D; generata dall’inverter costantemente pari a 400 V)
l 4 poli (p 5 2) l’azionamento entra nella zona a potenza costan-
Utilizzando un azionamento a inverter (con rapporto te; la massima potenza erogabile è quella nominale
U/f costante) e con tensione massima generata 230 (2,2 kW), la corrispondente coppia erogata, espres-
V, si desidera far funzionare il motore alla velocità sa in percentuale della coppia nominale TM, è data
n 5 2600 rpm. dalla relazione:
Determinare: T87 50
l la frequenza di alimentazione richiesta; 5 5 0,57 5 57%
T4 87
l la potenza e la coppia erogata dal motore alla
velocità di 2600 rpm. infatti: P 5 2p ? 50 Tn 5 2p ? 87 T87

156 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


unità 14. Attuatori: motori passo-passo,
brushless, lineari, attuatori
pneumatici e oleodinamici

14.1 Motori passo-passo


Il motore passo-passo è un attuatore in grado di trasformare segnali elettrici di tipo
digitale, generati, ad esempio, da un controllore programmabile, in spostamenti ango-
lari (rotazioni). I motori passo-passo trovano numerose applicazioni, ad esempio nel-
le macchine utensili a controllo numerico, nel trascinamento di nastri, nei robot, nei
plotter ecc. L’avanzamento del motore è ottenuto inviando una successione d’impulsi
elettrici agli avvolgimenti statorici: ogni impulso fa avanzare l’albero del motore di un
angolo di valore costante chiamato passo. Il valore del passo dipende dalle caratteristi-
che costruttive; valori tipici possono essere: 1,8°22,5°–3,75°27,5°215°230°.
Costruttivamente il motore passo-passo comprende uno statore, fisso, sul quale sono
montati degli avvolgimenti polifase (normalmente a tre o quattro fasi) distribuiti su un
numero di poli variabile, a seconda del passo che si vuole ottenere, e un rotore, mon-
tato all’interno dello statore e libero di ruotare. I poli statorici sono ottenuti inviando
corrente agli avvolgimenti.
A seconda del tipo di rotore si possono avere due tipi di motore passo-passo:
l a magnete permanente;
l a riluttanza variabile.
Nei motori a magnete permanente il rotore è costituito da un magnete permanente
con un numero di poli (abbastanza grande: 10 o più) identico a quello dello statore. Per
comprendere il funzionamento di questo tipo di motore si consideri il caso che siano
presenti quattro poli (fig. 14.1). Si immagini di “rettificare” lo statore e il rotore del
motore riportando in un piano i relativi poli. Si supponga che inizialmente l’eccitazio-
ne dei poli statorici riguardi una sola coppia di poli.
Il rotore si disporrà in modo che i suoi poli sud fronteggino i poli nord dello stato-
re; eccitando opportunamente l’altra coppia di poli statorici (comandando in modo
opportuno i circuiti di eccitazione dello statore) nasce una coppia motrice che tende

Fig. 14.1 – Principio di funzionamento di un motore passo-passo a magnete permanente (i deviatori


sono in realtà sostituiti da transistor NPN).

158 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


ad allineare i poli rotorici con quelli statorici, generando così una rotazione di un
passo. Con quattro poli occorrono quattro impulsi per effettuare una rotazione di
un giro completo. Per invertire il senso di rotazione è sufficiente invertire l’ordine di
eccitazione dei poli statorici.
Con il pilotaggio dei poli statorici, ottenuto eccitando alternativamente una sola cop-
pia di poli e tutti quattro i poli, è possibile raddoppiare i passi eseguibili dal motore
(funzionamento “half step”): nel caso in esame il giro completo viene allora eseguito
in otto passi.
Nei motori a riluttanza variabile il rotore è un cilindro di ferro dolce che presenta un
numero di denti diverso dal numero di poli statorici.
Quando la corrente percorre gli avvolgimenti statorici, il rotore si dispone nella posi-
zione che rende massima l’energia magnetica immagazzinata nel traferro; questa
posizione corrisponde a quella in cui è minima la riluttanza dei circuiti magnetici.
Quando cambia l’eccitazione dei poli statorici (perché viene cambiata la coppia di poli
eccitata) anche la posizione di minima riluttanza cambia: questo fatto genera una
coppia che fa avanzare il rotore di un passo.
Per inviare gli impulsi di corrente agli avvolgimenti statorici si possono utilizzare due
metodi:
l il comando unipolare;
l il comando bipolare.
Nel comando unipolare ogni fase dell’avvolgimento statorico è suddivisa in due parti
con una presa centrale: la tensione di eccitazione, fornita dal sistema digitale, deter-
mina una corrente che percorre solo metà dell’avvolgimento. Dunque, a ogni passo, è
utilizzato solo metà avvolgimento; il vantaggio consiste essenzialmente nella sempli-
cità circuitale del sistema di eccitazione.
Nel comando bipolare, a ogni impulso la corrente percorre un intero avvolgimento,
generando coppie più elevate ma a prezzo di una maggiore complessità costruttiva
dei circuiti di comando.
Il motore passo passo può essere pilotato inviando impulsi singoli, isolati, oppure
inviando una sequenza continua; in questo secondo caso il motore entra in rotazione
a una velocità che dipende dalla frequenza degli impulsi applicati.

14.2 Parametri caratteristici dei motori passo-passo


Oltre al passo altri parametri caratteristici individuano il comportamento di un motore
passo-passo. Particolarmente importanti i dati relativi alla coppia generata e desumibili
da diagrammi del tipo illustrato nella figura 14.2.
Questi diagrammi riportano in ascissa la frequenza degli impulsi di alimentazione del
motore (che rappresenta anche il numero dei passi compiuti nell’unità di tempo) e in
ordinata la coppia generata. Come si nota il diagramma individua tre distinte zone: la
zona 1 e la zona 2 di funzionamento e una zona 3 di non funzionamento.
Nella zona 1 il funzionamento è corretto e il motore è in grado di avviarsi da fermo e rag-
giungere una velocità di rotazione determinata dalla frequenza degli impulsi di controllo;
nella zona 2 il motore è in grado di funzionare se
è già in rotazione, ma non può essere accelerato
da fermo e neppure arrestarsi, ma può cambiare
di velocità solo gradualmente, seguendo opportu-
ne curve di accelerazione e frenata; nella zona 3 il
motore non può funzionare (non può essere acce-
lerato sino a tali valori e se già in moto, si arresta).
Altri parametri significativi sono i seguenti:
l potenza erogabile; Fig. 14.2 – Caratteristica di un motore
l momento d’inerzia; passo-passo con individuazione delle
l rendimento. zone di funzionamento.

Unità 14 Attuatori: motori passo-passo, brushless, lineari, attuatori pneumatici e oleodinamici 159
® Esempio 14.1
Un motore passo-passo ha un passo p 5 1,8° (5 0,0314) rad. Si determini:
l il numero di impulsi per effettuare uno spostamento lineare di d 5100 mm di una slitta colle-
gata all’albero motore mediante una vite di passo pv 5 5 mm (un giro completo provoca uno
spostamento lineare pari al passo);
l la frequenza f degli impulsi per realizzare una velocità di avanzamento v di 50 mm/min.

Soluzione
1. Dal momento che ogni giro completo del motore produce un avanzamento di 5 mm, uno
spostamento di 100 mm richiede un numero nr di rotazioni complete dato dalla:

d 100
nr 5 5 5 20
pv 5

Tenuto conto che un giro completo è pari a 6,28 rad, il numero di impulsi n necessario per
effettuare lo spostamento complessivo richiesto vale:
6,28
n 5 nr # 5 20 # 200 5 4000 impulsi
0,0314

2. La velocità v richiesta si ottiene in corrispondenza di una velocità di rotazione angolare del


motore v (espressa in rad/s):

v # 6,28 50 #
v5 5 0,105 5 1,05 rad/s
pv 60 5

La frequenza degli impulsi (espressa in hertz) risulta:

v 1,05
f5 f5 > 33 Hz
p 0,0314

14.3 Amplificatori lineari


Per l’alimentazione di alcuni attuatori elettrici si richiedono amplificatori di potenza:
ad esempio, i dispositivi di potenza presentati nella sottounità relativa agli azionamenti
per motori a corrente continua (ponti di raddrizzamento azionamenti PWM), sono in
effetti degli amplificatori. Sono disponibili dei chip di potenza che integrano in un uni-
co elemento le funzioni di alimentazione e controllo dell’attuatore; a titolo di esempio,
si segnalano due chip particolarmente usati.
l Integrato L298 (costruito dalla SGS Thompson), unitamente all’integrato L297, può
essere utilizzato per il comando di motori passo-passo; questo chip è in grado di
erogare una corrente di 2 A.
l Integrato LM12 (costruito dalla National), è particolarmente adatto per pilotare
motori in corrente continua.

14.4 Motori brushless


I motori a corrente continua senza spazzole, detti brushless, presentano il vantaggio di
eliminare il complesso collettore-spazzole, punto delicato del motore a corrente continua.
Nei motori brushless (fig. 14.3) l’eccitazione è fornita da un rotore a magneti permanen-
ti mentre sullo statore è posto un avvolgimento polifase (bifase o trifase): la funzione di
induttore è svolta dal rotore, mentre i circuiti indotti sono posti sullo statore, al contrario di
quanto avviene nei motori con spazzole. Il funzionamento come motore a corrente conti-
nua è consentito dalla presenza di un insieme di trasduttori di posizione, posti sul motore,
il cui numero eguaglia quello delle fasi statoriche. Questi trasduttori rilevano la posizione

160 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


elettronica di controllo che alimenta successivamente gli elettromagneti in modo da
“trascinare” gli elettromagneti della parte mobile. In base al principio di funzionamen-
to i motori lineari si suddividono in due famiglie principali:
l motori a riluttanza variabile o anisotropi; appartengono a questa famiglia i motori
passo lineari o LSTM (Linear Stepper Motor);
l motori a riluttanza costante o isotropi che comprendono i motori lineari a-sincroni
o LIM (Linear Induction Motor) e i motori sincroni lineari o LSM (Linear Synchronous
Motor).
Il motore LSTM è derivato dal motore passo rotativo dal quale eredita il principio di
funzionamento. Una parte della macchina (generalmente quella fissa) è costruita con
materiale ferromagnetico sagomato a cremagliera, mentre la parte mobile alloggia gli
avvolgimenti relativi ai poli. Se si indica con l il passo dei denti della cremagliera e con
p il numero di poli (o fasi), il passo s del motore risulta:
l
s5
2p
Questo tipo di motore consente posizionamenti di precisione, per contro è rumoroso e ha
un marcato ripple (ondulazione) di coppia. Il LIM è derivato dal M.A.T. del quale assume
i principi di generazione del moto, con la differenza che non si ha più un campo rotante
ma un campo che trasla linearmente. La parte fissa della macchina può essere una barra
di alluminio o altro materiale conduttore, oppure una struttura ferromagnetica con inse-
rita una scaletta in alluminio (ex gabbia di scoiattolo), mentre la parte mobile alloggia gli
avvolgimenti dei poli induttori. Il motore è strutturalmente semplice, ma presenta proble-
mi di riscaldamento dell’indotto e un rendimento conseguente modesto. Il motore LSM è
concettualmente discendente dal motore brushless DC cui corrisponde per caratteristiche
elettriche e dinamiche.
La parte fissa è dotata di magneti permanenti mentre la parte mobile è dotata degli
avvolgimenti. Questo motore ha come vantaggio le ottime prestazioni riguardo al moto:
raggiunge velocità elevate (fino a 7 m/s) con accelerazioni maggiori di 18 g e forza di
spinta fino a 16 kN. Gli svantaggi sono: il costo molto più elevato dovuto al costo dei
magneti permanenti (che aumenta anche con la lunghezza della parte fissa) e la partico-
lare struttura meccanica necessaria per contenere le grandi forze in gioco e per riparare i
magneti da polveri ferromagnetiche.
Le morfologie costruttive, in particolare per i motori LSM che sono quelli di maggior dif-
fusione, sono tre: monolatero (Forcer-platen); bilatero (U-shaped); cilindrico (Tubular).
Sono disponibili tre fondamentali tipologie di motori lineari: motori a un solo lato,
motori a due lati, motori tubolari.
È da segnalare che la configurazione del LEM rende problematico lo smalti-mento del
calore della parte mobile e sovente è necessario ricorrere a un raffreddamento con
liquido a circolazione forzata con notevole complicazione costruttiva. Confrontando
i motori lineari con i motori tradizionali si possono individuare i seguenti vantaggi e
svantaggi.
Vantaggi
l velocità di avanzamento elevate;
l accelerazioni più elevate;
l eliminazione di organi meccanici per la trasformazione del moto rotatorio in moto
lineare con conseguenti vantaggi in termini di affidabilità, rendimento, silenziosità;
l maggiore precisione nel controllo delle traiettorie.
Svantaggi
l costo maggiore;
l correnti elevate;
l riscaldamento della parte mobile con necessità di raffreddamento forzato spesso con
liquido;
l elettronica di controllo complessa;
l problemi di precisione del montaggio meccanico.

162 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI


14.6 Scelta e dimensionamento dei motori lineari
I parametri di scelta dei motori lineari sono:
l spinta (da 9 N a 15 kN);
l massa della parte mobile;
l accelerazione;
l funzionamento (continuo, intermittente);
l raffreddamento (naturale, forzato);
l ingombri;
l rendimento;
l costo.
Il dimensionamento si effettua in base a considerazioni termiche. La temperatura mas-
sima della macchina è di circa 150 °C. Alla forza sviluppata F corrisponde una certa
corrente I assorbita secondo una costante Kf della macchina:
F
I5
Kf
La potenza dissipata in calore è legata al valore quadratico medio della corrente e quin-
di al valore quadratico medio della forza sviluppata:
F2
Pj 5 R # I2 1 Pj 5 R #
K2f
Il vincolo è allora che la potenza massima dissipabile Pjm dalla macchina sia maggiore
della Pj richiesta per il moto del carico meccanico, sopra calcolata:
Pjm $ Pj

14.7 Cilindri pneumatici e oleodinamici


I comandi a motore non sempre soddisfano le esigenze degli automatismi, in special
modo da un punto di vista della semplicità ed economia; si ricorre perciò spesso a com-
ponenti pneumatici ed elettropneumatici (entrambi funzionanti con aria compressa),
che trovano sempre più applicazione nei sistemi di automazione, per le loro caratteri-
stiche di adattabilità, facilità installativa e garanzia di sicurezza.
Questi attuatori, cioè i cilindri pneumatici, permettono di sollevare, spostare, bloccare,
posizionare elementi vari e sono adottati con potenze non superiori a 9900 daN (cir-
ca 9900 Kgf) a una pressione di 10 bar; per esigenze superiori non è più conveniente
usare come fluido energetico l’aria compressa, in quanto la stessa, a pressione più ele-
vata produce grosse perdite di energia sotto forma di calore. Nell’attuale automazio-
ne industriale si ricorre allora a fluidi oleodinamici che impiegano come attuatori gli
stessi componenti simili a quelli della tecnica
pneumatica denominati cilindri oleodinami-
ci. Con qualche accorgimento meccanico, il
movimento rettilineo può essere convertito
in oscillazione angolare o rotativo. I cilindri
sono costituiti essenzialmente da una cami-
cia (la parte esterna) al cui interno scorre un
pistone con anelli di tenuta, che si muove
spinto dalla pressione, a cui è collegato uno
stelo (fig. 14.5).
La Norma ISO 1219 e le CETOP (Comitato
Europeo per le Trasmissioni Oleodinamiche
Fig. 14.5 – Sezione di un cilindro a doppio
e Pneumatiche) si occupano della norma-
effetto con vista del pistone e dello stelo;
lizzazione in questo settore nei riguardi dei notare in alto e in basso le connessioni cilin-
segni grafici e codici relativi, nonché del dise- driche a cui saranno collegati gli attacchi per
gno circuitale. l’aria compressa (da catalogo PNEUMAX).

Unità 14 Attuatori: motori passo-passo, brushless, lineari, attuatori pneumatici e oleodinamici 163
Questionario generale di verifica 11 Per poter fare uso di un motore a corrente conti-
nua come freno e generatore in entrambi i sensi
1 Un trasduttore effettua una: di rotazione, occorre utilizzare un azionamento:
a) Trasformazione di una grandezza fisica in a) A un solo quadrante.
una elettrica o pneumatica. b) A due quadranti.
b) Azione di controllo. c) A quattro quadranti.
c) Amplificazione del segnale.
12 In un azionamento, che cos’è il set point?
2 Le caratteristiche stazionarie di un trasduttore...
a) Una parte del circuito.
a) Descrivono il comportamento del sistema
b) Il segnale di riferimento che rappresenta la
quando l’ingresso varia rapidamente.
velocità di rotazione che si vuole ottenere.
b) Descrivono il comportamento quando il
c) Il segnale generato dalla dinamo tachimetrica.
segnale di uscita si è assestato.
3 La costante di tempo di un trasduttore è:
13 Da cosa è derivato il LIM?
a) Da un motore brushless.
a) Un indicatore della durata nel tempo del tra-
b) Da un motore asincrono trifase.
sduttore.
c) Da un motore in corrente continua.
b) Un parametro statico del trasduttore.
c) Un indicatore della velocità di risposta del 14 In un elettromagnete la maggiore corrente assor-
trasduttore. bita si ha:
4 Per la misura di una temperatura di circa 1200 a) Allo spunto.
b) Alla ritenuta.
°C quale tra i seguenti trasduttori occorre utiliz-
c) Non c’è differenza di assorbimento.
zare?
a) Trasduttore integrato. Elaborazione
b) Termistore. 1 Definire il trasduttore e spiegarne la funzione in
c) Termocoppia. un sistema di controllo.
5 L’encoder è un trasduttore di: 2 Che cosa sono le caratteristiche statiche di un
a) Temperatura. trasduttore?
b) Posizione. 3 Calcolare la resistenza di una PT 100 alla tempe-
c) Forza. ratura di 180 °C.
4 Nell’ipotesi di utilizzare un condizionatore di
6 Per misurare angoli di rotazione molto piccoli segnale che eroga 4 4 20 mA, determinare la
mediante un encoder, occorre: temperatura rilevata da un trasduttore di tempe-
a) Una elevata risoluzione. ratura, che opera nel range –10 °C ÷ 1100 °C,
b) Una elevata velocità massima di rotazione. quando la corrente erogata è di 15 mA.
5 Spiegare la differenza tra fotoresistenza e foto-
7 Gli LVDT sono:
diodo.
a) Trasduttori di temperatura. 6 Illustrare il funzionamento di un encoder incre-
b) Trasduttori di luminosità. mentale.
c) Trasduttori di spostamento. 7 Qual è la differenza fondamentale tra un encoder
8 Le dinamo tachimetriche sono a eccitazione: incrementale e uno assoluto?
a) A magneti permanenti. 8 Illustrare le caratteristiche della dinamo tachime-
b) Derivata. trica.
c) Serie.
9 Una dinamo tachimetrica presenta una costante
tachimetrica di 20 mV/rpm; determinare la velo-
9 Le celle di carico trovano applicazione nella cità di rotazione quando eroga 60 V.
misura di: 10 Definire l’attuatore e spiegarne la funzione in un
a) Velocità. sistema di controllo.
b) Pesi.
11 Per quale motivo i motori elettrici a corrente con-
c) Spostamenti. tinua sono ormai sostituiti dai motori asincroni?
12 Quale differenza esiste tra un azionamento a un
10 I motori a corrente continua impiegati nell’auto- quadrante e uno a quattro quadranti?
mazione sono principalmente: 13 Illustrare vantaggi e svantaggi dei LEM rispetto
a) A eccitazione serie. ai motori elettrici tradizionali.
b) A eccitazione indipendente. 14 llustrare i vantaggi dei motori brushless rispetto
c) A eccitazione derivata. ai motori a spazzole.

164 PARTE 5 SENSORI, TRASDUTTORI, ATTUATORI

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